- 著者
- Achille Sansi
- 初版
- 1879年
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ITiscali
ACCADEMIA SPOLETINA
ANNO MDCCCLXXXIV
STUDI STORICI
STORIA
DEL COMUNE DI SPOLETO
STORIA
DEL
COMUNE DI SPOLETO
DAL SECOLO XII AL XVII
SEGUITA DA ALCUNE MEMORIE
DEI TEMPI POSTERIORI
PER
ACHILLE SANSI
PARTE II .
-
FOLIGNO 1884
Stabilimento di P. Sgariglia
1
Foligno, Stab . P. Sgariglia 12 Ottob . 1884.
DG975
STORIA
DEL COMUNE DI SPOLETO
S67525
V.2
CAPITOLO XV.
e
InDei fautori di Pirro - Del contado nemico alla Città - Legge per la demolizione dei Castelli Come incominciasse ad avere effetto ,
come poi fosse sospesa Riacquisto di alcune parti del do ninio staurazione della giustizia e provvedimenti eroriali Cattura e morte del cardinal Vitelles hi- Turbamento della Città Il papa la rassicura Oratori al nuovo legato Patriarca d' Aquileia - Sedizione dei
Beroitani, che uccidono un priore del popolo - Beroide è messa a sacco, -
I cavalli del dua di Camerino sono sconfitti presso le Vene del Clitunno
-
Si funno vari provvedimenti . La rivoita è repressa Altri
Oratori al Legato Notizia degli acquisti del conte Francesco Sforza e
della battaglia d' Anghiari - Beroide si mostra contumace Gli Spoletini
la disfanno e mandano raninghi gli abitanti Provvedimenti per tem- perare la loro sorte I Beroiani si rivolgono al papa Oratori mandati per opporsi alle loro pretese Cecchino Campello fa pratiche per ritornare Bando contro di lui. Il popolo ne disfà la casa Sdegno
del pontefice per quest) fatto - I Beroitani raumiliati chiedono di essere perdonati e di poter riedificare la villu Trattative in proposito altre per il pagamento de' sussidi arretrati Ardita risposta del Con- siglio al papa Instanze di vari luoghi per fare munizioni Controversia con Pao'angelo Orsini sul dominio di Roc accarini, sciolta pa ifica- mente Guerra del papa a Francesco Sforza Provvedimenti fatti
dalla Città ; sue angusie per questa gerra - Novelle instanze di Cес- chino Campel'o per essere rimesso in città - Nuore deliberazioni contro di lui e degli altri sbanditi Amorotto cerca esser signore della citá Odio suo contro i cittadini che si oppongono Ambasciata al papa contro di lui - Gli è tolto il governo Seconda una congiura di Cec- chino Il giorno del Corpus Domini del 1444 - La Beata Cecca
Strage dei Beroitani che ebbero parte nella congiura Amorotto è rimosso anche dall' officio di castellano, in cui gli è sostituito Jacopo Condolmieri - Il governo della città, stato già nell' anno in mano di
Mario Orsini e di Felice Brangazi , è assunto direttamente dal Legato
cardinale d' Aquileia che vi pose poi Michele Calza, e Costanzo di S. Da- miano IBeroitani, adoperandovisi il Legato, si sottomettono al comune, e ne ottengono il perdono.
Tolto che fu di mezzo l'abate di Montecassino, gli Spole- tini non dimenticarono i fautori di lui, salvatisi con la fuga, ed essendo stato detto che il Rangone aveva stipulato nella capi- tolazione che coloro potessero tornare, molti cittadini il 30di
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2
gennaio 1440 venivano dolenti ed ansiosi a rappresentare ai priori come fosse cosa intollerabile che que' traditori, che era- no stati cagione delle sciagure della patria loro , avessero a
tornarvi ; e doverne seguire gravi scandali, e prenderne coloro baldanza a perseverare nel male. Supplicarono il legato perchè ciò non volesse permettere, e mandarono Tommaso Martani e
Nicola Pianciani allo stesso pontefice perchè provvedesse che i traditori fossero puniti come si conveniva ; e perchè la rocca che fu occasione di così gran male, e per cui tante volte la sovranità della Chiesa era stata condotta a grave pericolo, fosse disfatta (¹ ) . Ciò stava loro sommamente a cuore, e ad ogni occa- sione ne tornavano a fare caldissime instanze; ma sue ragioni a- veva il governo della Chiesa perchè la vasta mole dell'Albernoz rimanesse in piedi. In quanto ai partigiani dell'abate, essi non tornarono per allora, e furono mantenute le pene loro inflitte,
e la fuga diventò esilio. E per verità, essendo il 7 febbraio stati fatti cittadini Pietro de Pentomarsi da Fivizzano, Fabia- da Narni segretari del legato, Bomperto di Na- varra, e Francesco Pavese suoi famigliari, fu trattato ( del che il cardinale aveva mostrato desiderio ) di donar loro quattro poderi di que' ribelli, confiscati alla camera del Comune (2) .
no
Anche dei campagnuoli del contado che avevano preso con gli estranei tanta e così atroce parte ai danni della città, e le- vandosi, come si esprime il Legato, a modo di porci selvatici contro i loro signori, avevano prorotto a ribellione, era già da più di cinquant'anni, contro Spoleto, e solevano fargli aspra guerra (3), si pensò alla punizione, e a provvedere che fossero più docili e sommessi. Il Legato con una legge del 18 Febbraio 1440 imponeva che gli abitanti dei castelli del piano di qua
(1) Riform. An. 1440. fogl . 78.
(2) Riform. An. 1440. fogl. 81. 82. - Di più sotto il 21 settembre dello stesso anno si trova che Giacomo Mesoni sindaco del Comune vendè a Matteo Jacobi di Spoleto un pezzo di terra nel territorio spo- letino in vocabolo le Forche , quod petium terre fuit Perfilii Marci Ba- glioni de Spoleto ribellis et condempnati dicti comunis cujus bona sunt dicti comuni confiscata vigore condempnationis late contra eum. etc. (Riform. An. 1440 fogl. 62) Vedi questa Storia P. I. cap. XIV. pag. 313.
(3) Sane cognoscentes quanta dudum incomoda, quot iacturas et damna Civitas hec Spoletana pertulerit nec aliqua magna ex parte nec atrocius quam ex oppidis suimet comitatus in planitie subsistentibus citra silicet Trevium, quorum incole velut ac superbissimi in dominum suum cri- stas aprino more erigentes ad ribellionem contra civitatem ipsam pro- rumpentes ab annis quinquaginta citra quorum in multis superstitibus memoria est, et bella asperrima intulerunt, uni se nunc armorum duci subiicientes nunc alteri, etc. Legge sotto allegata.
3
da Trevi , fabbricati da sessant' anni in poi, fossero tenuti, den- tro il termine di tre mesi dalla data del decreto, a ridurre i
medesimi ad aperti villaggi, guastandone le mura e i forti- lizi e uguagliandoli al suolo. I castelli nominati dalla legge sono : La Piè di Bazano, Azano, S. Giacomo di Poreta, Protte,
Maiano , Terraia , S. Angelo de Chizzano , S. Silvestro , Mor- gnano, S. Angelo di galdo , S. Angelo di Mercurio , Collede- fabri , S. Giacomo di Aschito. Verrebbe punito colla multa di venticinque mila ducati , da applicarsi per metà al comune e per metà alla camera apostolica, ogni castello contrafacente;
e nessuno d'ora innanzi potesse con qualunque autorità fare edificare in detto piano, castello o fortilizio, sotto pena di cin- quantamila fiorini (') . Si era cominciato a mettere ad esecu- zione questo severo decreto, e apparisce che lo stesso governo fosse stato fatto di Beroide e di Eggi, qui non nominati (* ) ,
quando molti altamente disapprovando il fatto, se ne fece rela- zione al Cardinale, il quale rescrisse che la questione fosse sottoposta al maggior consiglio, e ciò che volessero i più si
facesse. Fu deliberato che tale demolizione , essendo per molti rispetti, e massime per la coltura delle possessioni , di non poco danno al Comune, e che quello che n' era stato fatto pareva ormai bastante, non si dovesse procedere più oltre. E
poichè que' villani in loro conventicole avevano fatto decreti ostili alla città, tra quali si trova indicato quello che i citta- dini non potessero comprar case ne' loro castelli, si facessero pur venire, e rinunciassero ai decreti fatti , dichiarando i loro sindaci e massari, nella curia del podestà, di non avere alcuna autorità di prendere deliberazioni contro i cittadini e la città .
Eportassero le loro derrate in Spoleto, non lasciando nei villaggi che quanto fosse necessario al vitto di due mesi (3).
Queste cose furono lasciate poi regolare alla prudenza dei prio- ri, dei dodici cittadini a ciò deputati, e del governatore Amo- rotto, il quale, volendo più determinatamente conoscere che cosa si pensasse dai più intorno alla detta demolizione, ne fece mettere il partito, e la conservazione dei castelli fu ap- provata con centotrenta voti contro sei (4). Di più il giorno appresso, che era il 20 di marzo, si elessero quattro cittadini ,
(1) Riform. An. 1440. fogl. 87. -Carte diplom. nell'Arch. del Comune di Spoleto. Legge del 18 febb. 1440.
(2) Carte diplom. nell'Arch. del Comun. di Spoleto, Breve del 10 no- vembre 1441.
(3) Riform. An. 1440. fol. 99, 100.
(4) Riform. detto anno, fogli allegati.
4
che, conferendo con le altre autorità, provvedessero al riacqui- sto dei castelli di Acquafranca, di Giano, di Colle del mar- chese, e delle terre Arnolfe sottratte per accorgimento del Martani al dominio, quando era occupato dall'abate ('). Giano e queste tornarono alla città per due brevi del 24 giugno e
24 luglio di quest'anno (2), e si seguito ad adoperarsi per la ricuperazione degli altri luoghi. Si riprendevano intanto in consegna dagli officiali della chiesa, Camero e Pissignano (3) . Ma altre gravi cose imponevano i tristi casi passati. Dis- si già come solo al giungere del Baldana fosse stata riposta in piedi l'amministrazione della giustizia, per lungo tempo,
in mezzo a tanto disordine, trasandata e interrotta ; ora si de- cretò che il podestà e i giudici suoi dovessero conoscere di tutti i delitti commessi negli ultimi due anni, non ostante qualunque tempo decorso, prescrizione o statuto contrario (¹);
e fu aumentato l'onorario del podestà di cento fiorini, perchè si potesse avere un più valente uomo , e che avesse modo di bene esercitare l'officio suo con quanto gli abbisognasse di officiali , famigli e cavalli (5) . Fu data questa carica al nobile Lorenzo de' Casteldensi di Montalto, che come grandemente idoneo ed esperto, venne subito confermato dal Legato (6). Furo- no obbligati i sindaci delle ville, e dove quelli non fossero, i
massari, a denunziare i malefici dentro cinque giorni dalla no- tizia avutane, sotto pene personali e pecuniarie uguali a quelle dovute pel delitto non denunziato (7). Da ultimo ad infrenare il guasto dei costumi, che nelle rivoluzioni sempre peggiorano,
si provvide con un terribile bando contro nefande libidini, e
col divietare l'andata ai monasteri delle donne, che troppo fa- cilmente facevano e chierici e laici (8) .
Briga non lieve era altresì il trovar denaro pe' pubblici bisogni, in una città stremenzita d'ogni cosa per le insoppor- tabili gravezze sostenute, per lo sperpero della guerra, e per l'orribile sacco sofferto. Ne erano occorsi molti per lo sti- pendio dei fanti condotti per l'assedio della rocca, poi per la composizione con quelli che la tenevano. Quanto agl'introiti
(1) Riform. Ann. 1440 fogl. 102.
(2) Carte Dip. nell' Arch. Comunale di Spoleto detto anno. Riform. An. 1440. fogl. 35 Breve del 24 luglio.
(3) Riform. An. 1440 fogl. 39, 58.
(4) Riform. detto an. fogl. 73, 74.
(5) Riform. detto an. fogl. 80.
(6) Riform. detto an. fogl. 86.
(7) Riform. detto an. fogl. 101.
(8) Riform. An. 1441. fogl. 83, 119.
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ordinari della città e del contado, era volontà del papa che se ne pagasse innanzi al castellano governatore lo stipendio dei fanti, e la sua provvisione, e che del residuo si soddisfacesse il podestà ('). Si ricercò denaro a mutuo dal tesoriere di Pe- rugia; ma poi in un' arringa, ove intervennero il governatore ed il vescovo, s'indussero ad imporre una colletta per catasto a ragione di venti bolognini. per centinaio, e ad affrettarne la riscossione, elessero un esattore per ciascuna delle dodici vaite (2).
Avveniva intanto che il legato cardinal fiorentino il 18 marzo, volendo uscire di Roma, invitato dal castellano ad en- trare in castel santangelo, fosse circondato da uno stuolo di armigeri che mostravano di volerlo prendere. Egli si difese strenuamente ma, gravemente ferito, fu preso e ritenuto pri- gione ( 3) . Dicono gli storici che Eugenio IV, per lettere in cifra del cardinale, venute in sue mani, entrò in sospetto della fede del medesimo, e ritenendo, vero o falso che fosse, che egli se la intendesse segretamente col duca di Milano, e con Nicolò Piccinino, e che disegnasse insignorirsi delle città della Chiesa, aveva comandato al castellano Antonio Redo che lo fa- cesse prigione, volendo sottoporlo a un processo (4). Questa novella e le voci che l'accompagnavano, giunte a Spoleto, mi- sero negli animi grave sgomento, e sospetti di novità. Per la qual cosa, consigliandolo lo stesso governatore, si fecero ri- sarcimenti alle mura e si ordinarono molte guardie alle porte della città così di giorno come di notte (5). Il 27 di marzo giungeva da Firenze al Comune un breve del papa in cui egli mostrava essere estraneo all' accaduto, dicendo che onde non avvenisse che qualche relazione apportando ciò che era avve- nuto in Roma in modo diverso dal vero, potesse in qualche maniera perturbarli, faceva loro noto come, essendo sorte di- scordie tra il castellano e il diletto figlio cardinale fiorentino,
questo era rimasto prigione di quello. Del rimanente, stessero di buon animo, chè così il castellano come le genti che obbe- divano al cardinale , mantenevansi devote alla Chiesa, nè es- servi da temere che da quel fatto nascesse alcuna novità. Man-
(1) Cart. Diplom. nell' Arch. Comun. di Spoleto. Breve del 13 agosto 1440.
(2) Riform. An. 1440. fogl. 77.
(3) MURATORI Annali. AMMIRATO , Stor. di Firenze lib. 21.
BONINCONTRO Annal Tom. 21. Rer. Ital.
(4) Vedi gli storici allegati.
(5) Riform. An. 1440. fogl. 103.
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derebbe in Roma il patriarca d'Aquileia, il quale, come quegli che era amicissimo de'due contendenti, avrebbe ottimamente racconciate le cose ('). Così il pontefice adornava e copriva il vero. Gli spoletini, considerati i benefici che avevano ricevuto dal Legato, mandarono a Firenze oratori a pregare per la sua liberazione, e ad adoperarsi insieme presso il patriarca, che era per recarsi a Roma, per la reintegrazione nei castelli di cui è detto sopra (2 ) . Gli offici a pro del cardinale a nulla poterono giovare, chè colui, o per le ferite toccate, o per ve- leno, il due d'aprile morì, ma essi mostrano come gli spole- tini poca fede avessero prestata all' idilio del breve pontificio.
Non era ancora cessata la commozione generata dal caso del Legato che altra gravissima ne sorse, e con più gravi ef- fetti. Se i castelli del contado erano maldisposti verso la città,
soprattutti, come per altri esempi fu visto, era Beroide , che tornata allora dallo Sforza all' antico dominio, non si acconciava
a star soggetta ; sicchè andatovi, Luca Antonio Nicolai uno dei priori del Comune accompagnato da altri cittadini , per esercitarvi alcun atto di autorità, que' villani l'undici di aprile in un tumulto atrocemente l' uccisero con altri sei di quelli che erano con lui. Pervenuta la notizia ai cittadini, corsero in folla al palazzo, ove dolorosamente fu co'priori molto escla- mato e detto intorno al lacrimevole caso, alla immane fellonia
degli uomini di quel luogo, e alla debita vendetta e punizione di tanto misfatto. Al defunto priore furono decretati onorevoli funerali a spese del pubblico, come si suoleva fare con ogni priore che morisse mentre era in officio, tanto più questo che era stato ucciso nell'esercizio delle sue funzioni (3) . L'arringa che poi fu sopra di ciò convocata, elesse dodici cittadini, uno per vaita, i quali uniti ai priori e al governatore, avessero su i fatti di Beroide facoltà uguali a quelle dell' arringa medesi- ma; ma questo grande arbitrio non potessero usare che in- torno ai detti fatti, e a condurre i cittadini a perfetta concor- dia (4) . I Beroitani, seguitando il loro costume, chiamarono in aiuto Berardo Varano duca di Camerino, il quale inviò loro un gagliardo stuolo di cavalli.
Una mattina adunque al suono della campana del palazzo s'andò a popolo al castello, e fu messo a ferro ed a sacco.
(1) Riform. An. 1440. fogl. 104.
(2) Riform. detto. an. fogl. 104.
(3) Riform. detto. an. fogl. 100.
(4) Riform. detto. an. ivi .
7
Narra il Graziani che molti Beroitani fuggendo si raccol- sero e fecero testa, e trovata una frotta di Spoletini che se ne tornavano con la preda, molti ne uccisero, e la roba ripre- sero (' ) . Veniva intanto il soccorso dei cavalli di Camerino ;
gli spoletini gli si fecero incontro, e alle Vene del Clitunno,
donde già s'incamminavano alla volta di Beroide , l'assalta- rono vigorosamente e cacciarono in fuga, uccidendone intorno a trenta (2) . Dando in questo mezzo il governatore avviso che v'era gente che si raccoglieva con pericolo della città, si rad- doppiò la vigilanza e la guardia delle mura e delle porte , e
si mandarono fanti nella rocca di Piediluco a disposizione dello stesso governatore (*) . La rivolta fu pertanto domata, e fatto processo ai Beroitani , ne furono messi al bando trentacin- que (*). I dodici dell' arbitrio, mandarono il cavaliere e dot- tore Giovanni Leoncilli oratore al patriarca d'Aquileia legato della Chiesa tanto per il fatto di Beroide quanto per la difesa dei diritti e giurisdizioni del Comune e dei procedimenti del podestà, da cui alcuni pretendevano appellarsi.
Gli animi de' cittadini angustiati da queste brighe parti- colari, non lo erano forse meno dalle condizioni generali dello stato della chiesa per la guerra della lega contro il duca di Milano, e per il pericolo che potesse passare nel loro territo- rio ; e cominciavano a provvedersi conducendo al soldo con cento fanti e parecchi cavalli Pietropaolo Scaramella romano nella cui prudenza e valore molto si confidavano. Il pontefice si studiava di riconfortarli, ragguagliandoli come il conte Fran- cesco Sforza avesse dato con l'esercito della lega una rotta sull' Ollio a quattromila cavalli nemici, e si fosse impadronito di gran parte del territorio Bergamasco e Cremonese; e di molte terre, tra le quali si contavano Soncino, e Martinengo.
Di che non era a dubitare che Nicold Piccinino, ( che era ai confini di Toscana ) si sarebbe dovuto ritrarre dalla inva- sione delle terre della chiesa per accorrere in Lombardia ; non mancherebbe poi loro la difesa dell'esercito pontificio che era capitanato dal legato patriarca d' Aquileia ; perseverassero per- tanto nella loro fedeltà (5). Era da pochi giorni giunto al co- mune questo breve , quando una lettera del patriarca, scritta
(1) GRAZIANI. Cron. Perug. pag. 451.
(2) MINER. lib . I. cap. VIII. - LEONCILLI, in Lotto de Sardis.
(3) Riform. An. 1440. fogl. 122.
(4) Riform. An. 1440. fogl. 5
(5) Carte Diplom. nell' Arch. Comun. di Spoleto, Breve del Giu- gno 1440.
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nello stesso giorno che fu combattuta la battaglia d' Anghiari,
dando loro la notizia della vittoria avuta contro il Piccinino
dai Fiorentini e dalle genti del pontefice, li rassicurò, e crebbe loro l'animo per disimpacciarsi dalle difficoltà interne (' ).
Il governatore dopo il bando dato ai trentacinque, faceva pubblicare che tutti gli altri Beroitani potessero andare e venire dalla città e pel distretto. Ma restava in quegli animi la contu- macia che, come un consigliere notò, si faceva manifesta anche dal seguitare a chiamare essi soli castello Beroide smantellata e ridotta a villa (2). E comecchè avessero per qualche tempo dimostrato o simulato di volere di buon animo tornare ad obbedienza del Comune, nei primi giorni di luglio con una lettera di Giacomo di Giordano proposero a' priori capitoli così inac- cettabili (inhonesta ) che ben si conosceva, non avere essi nessuna volontà di esser soggetti. Furono quindi nominati altri sei cittadini che avessero piena facoltà di richieder pre- stiti, levar collette e fare quanto altro si richiedesse alla oppressione e distruzione degl'insubordinati Beroitani (3). Fu- rono costoro detti i Cittadini della pace, della guerra e della vendetta di Beroide. E si raccolsero fanti, oltre quelli già stati condotti in previsione di guerra (1). Il 20 di luglio s' andò a popolo a mietere ne'campi de' banditi, e la dome- nica susseguente vi tornarono e disfecero la villa (5). Gli abi-
(1) La lettera intorno alla battaglia d'Anghiari, quantunque sia sta- tagià stampata, essendo uno dei documenti di maggior pregio posseduti dall' Archivio del Comune di Spoleto, credo che sia convenevole corredo di queste pagine:
Fuori
Magnificis Viris Amicis nostris carissimis .
Castellanoet prioribus Spoleti Patriarca Aquilegensis
S. d. N. Camerarius
Den' ro.
} Apostolice Sedis legatus
Magnifici Viri Amici ñri carni. Ad gaudium ve significamo come que- sto di circa le XX. hore, trovandosi in battaglia ordmata lo exercito della
chiesa e de' Fiorentini cum Nico'ò ficcinino et li suoi in campo fra que- sto castello et lo Burgo de Sansepulcro, et combattendo acremente l' uno contro l'altro circa tre hore, noi tandem li havemo ropti et pizliati quasi tucti, et Nicolò predicto cum pochissimi è scampato.
Gaudete itaque et exultate justi festum hunc diem Beatorum Petri et
Pauli celebrantes. Noi procedemo ad ulteriora cum ferma speranza de dare ad voi et ad li altri popoli ecclesiastici pace et perpetua quiete.
Datum in Burgo Anglarie die XXVIIII lunii 1440 hora XXIII.
(2) Riform . An. 1440. fogl. 3.
(3) Riform. detto an. fogl. 26, 27.
(4) Riform. detto an. fogl. 6.
(5) Riform. detto an. fogl. 31 .
9
tanti andarono dispersi ma, il dì 30 del mese, a quelli che volessero sottomettersi, si diede tempo tutto il dimani per provvedersi di un bollettino che verrebbe loro rilasciato dal cancelliere del comune; e quelli di loro che fossero trovati senza di questo, si avrebbero per ribelli, e come tali sarebbero trattati. Gli altri potessero stare ed andare liberi e sicuri, e
presso il loro luogo dimorare ( ' ). I Beroitani supplicarono il papa perchè fosse loro concesso di raccogliere e commerciare liberamente i frutti delle loro terre ; e il papa scriveva alla città volesse ciò fare per la quiete della provincia. Su di ciò Spoleto mandò al legato oratori che gli esponessero per filo e per segno le ribalderie dei Beroitani, e gli tenessero propo- sito d'un altro breve mandato in favore di quelli a Lorenzo da Todi rettor di Foligno, e governatore provisorio in luogo del Condolmieri, andato in Romagna in servigio del papa (*). Gli oratori riferirono, a proposito dell'ultimo breve, essere intenzio- ne del legato che in Beroide si riedificasse un qualche fortilizio munito di vallo, e che, quando ciò non fosse approvato dai citta- dini , rinviassero gli oratori con varie proposte su quel proposito,
che egli sceglierebbe quella che più gli piacesse. Nel consi- glio del 13 novembre si decretò tornassero gli oratori a di- chiarare essere intenzione del popolo che in niun modo si riedificasse in Beroide, nè che ivi si facesse alcun fortilizio. E
dove egli non assentisse a tali rimostranze, s'inviassero con sua licenza oratori al pontefice, perchè si degnasse provvedere sopra di ciò per modo pacifico (3) . Si mandarono infatti al papa il 21 novembre oratori Giovampaolo di messer Clodio ,
Ser Giovanni da Beroide e Pellegrino della Torre (1) .
Mentre queste cose pendevano, e i Beroitani nulla ottene- vano, nel febbraio del seguente anno 1441 si ebbe la novella che Cecchino Campello, che fu principale cagione dell' eccidio di Spoleto, era per tornare coll'occasione della venuta del Legato;
il che, quando avesse avuto effetto, dicevano i cittadini, sa- rebbe con grave scandalo e loro vergogna. Il 12 febbraio era di fatto in Bevagna, ed altro dei ribelli nella stessa Spoleto.
Ciò essendo di pericolo alla quiete della città, si aggiunsero subito ai priori otto cittadini, i quali avessero sopra di ciò
Frammento di un breve del
22
(1) Riform. An. 1440. fogl. 35.
(2) Riform. detto an. fogl. 61, 83.
-
1440. nell' Archiv. Com. di Spoleto.
(3) Riform. detto an. fogl. 83, 90.
(4) Riform. detto an. fogl. 93.
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piene facoltà (¹). E i priori e gli otto decretarono che nessuno osasse senza loro licenza praticare co' ribelli, sotto pena, per ogni trasgressione, di cinque fiorini d' oro, e dieci tratti di corda. Che ciascuno dovesse porre nelle mani dei sindaci del co- mune i beni mobili ed immobili che avesse di detti ribelli,
sotto pena di venticinque fiorini chi non lo facesse. Da ul- timo furono nominati due cittadini per ciascuna vaita con balia di ragunare , a richiesta dei priori e degli otto, gli uo- mini della medesima (2) . Fu pubblicato un bando contro quel- l'ambizioso cavaliere e suoi amici eseguaci; sicchè o le pratiche del suo ritorno non ebbero effetto, o rimasero subito interrotte.
Ma il popolo nella irritazione, generata dal rinnovellarsi della memoria di tante e così gravi sciagure sofferte, al pubblicarsi del bando, corse a furore alle case di lui e le diroccò. Questo fatto destò nel papa un gravissimo sdegno, e scriveva a' prio- ri: esser tale violenza non solo turpe e vituperosa, ma aver sembiante di ribellione. Altro non potersi dire quando il solo popolo d'una città, senza l'autorità degli officiali della chiesa,
prorompe a tanto d'audacia e di temerità da prendere le armi e disfare le case dei cittadini; dal che, fossero essi anche per mille modi ribelli, è da astenersi, perchè la città non se ne deformi. La cosa essere tale che egli non poteva lasciarla im- punita. Ed imponeva loro una multa secondo il contenuto di altre lettere mandate al governatore (3) .
Ciò nullostante il contegno della città contro i fuorusciti dovette raumiliare anche i Beroitani, che pocanzi non vole- vano elegger sindaco per sottomettersi, e ora ( 2 Aprile 1441 )
chiedevano rimissione generale e facoltàdi riedificare la villa (1) .
Poco appresso un commissario comunicava al consiglio questa riedificazione essere di assoluta volontà tanto del legato che del papa. Il governatore a facilitare una risoluzione conforme a questa volontà, prometteva tratterebbe co' Beroitani perchè pagassero al comune que' mille e cinquecento ducati che vole- vano pagare alla camera pontificia se si concedesse loro di riedificare la villa. E il commissario in tal caso si offeriva di
trattare col camerlengo e col pontefice perchè si edificasse in quel luogo una fortezza inespugnabile che si guardasse per officiali da deputarsi dal papa a devozione della chiesa e del comune ; e che nulla si farebbe della edificazione della villa
(1) Riform. An. 1441. fogl. 14.
(2) Riform. detto an. fogl. 16, 17.
(3) Riform. detto an. fogl. 14. Breve di Eugenio IV del 28 marzo.
(4) Riform. detto an. fogl. 37.
11
innanzi che la detta fortezza fosse compiuta (¹). Il consiglio ringraziò il governatore delle sue buone disposizioni, ma con- fermò volontà del popolo essere che Beroide, dove così grande scelleraggine era stata commessa, non si riedificasse nè pei modi divisati, nè in alcun altro modo. Deliberò insieme che si dicesse al commissario che il fedelissimo popolo spoletino,
si dorrebbe sommamente di sua santità quando , a voglia dei villani di Beroide, volesse gettarlo nel pianto e nella dispera- zione. Sua santità potè sempre e può disporre degli spoletini come a lui piace ; è però vero che ove assolutamente egli co- mandasse la riedificazione di Beroide, non potrebbe fare che perpetuamente in cuore non se ne rammaricassero. E furono dugento trentotto che , contro un solo, approvarono siffatta ri- sposta (2) . Questo affare di Beroide veniva ad intrecciarsi con quello dei sussidi arretrati che la città doveva alla camera apostolica , dai quali gli spoletini, per le sciagure sofferte,
supplicavano di essere esonerati. Il papa, per lo stesso suo commissario, faceva intendere che ove la città avesse voluto pagare per i detti sussidi, quattromila e quattrocento cinquanta fiorini, senza dilazione; ed in futuro, d'anno in anno, i sussidi ordinari, e di più la quarta parte del residuo di tutti i sus- sidi dovuti dopo la sua venuta al pontificato, egli farebbe grazia che Beroide non si riedificassese dove era, ma in altro
luogo ; altrimenti egli darebbe ordine che Beroide s' incomin- ciasse a riedificare, e che lo stesso commissario desse opera a ciò . Che ove gli spoletini volessero piuttosto che la contro- versia fosse decisa per via di giustizia , egli la darebbe in- contanente a giudicare ad alcuno, e dove Spoleto avesse la sen- tenza contraria, sarebbe condannato nelle spese, costretto a
pagare i sussidi passati e futuri , e Beroide, a disdoro della città, riedificata contro la volontà de' cittadini. La risposta che il consiglio diede a ciò, suggerita da Antonio Poli di Labro,
fu : che sua santità poteva disporre di questa come di ogni altra cosa a sua posta , ma essere intenzione del popolo di non consentire in niun modo alla riedificazione di Beroide.
Voler pagare, ma come la possibilità consentiva , alla quale,
quando sua santità non si degnasse avere alcuna consi- derazione , gli spoletini erano pienamente contenti che la santità sua, per i bisogni della cameraapostolica, vendesse o im- pegnasse questa sua fedelissima città (5) ! L'effetto di questa vi-
(1) Riform. An. 1441. fogl. 82.
(2) Riform. detto an. fogl. 83.
(3) Riform. detto an. fogl. 92. 93.
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rile risposta fu, sembra, d'impaurire il papa o almeno il com- missario che aveva fatto prova d'impaurire gli spoletini. Il governatore dopo tre giorni fece sapere al comune che , ove fossero pagati alla camera tremila fiorini dei sussidi dovuti,
credeva che sua santità farebbe grazia del residuo , e annui- rebbe che Beroide, non si rifabbricasse ivi , ma altrove. Discu- tendosi ciò in consiglio, lo stesso Antonio Poli, commendò le benevole cure del governatore a prò della città ; essere da avergliene obbligo perpetuo. Lodd come ottimo il partito da lui proposto , ma perchè la cosa avesse effetto con il mi- nore aggravio possibile della città , si scrivesse a sua santità che questo comune , non per i sussidi arretrati , non perchè Beroide non fosse rifabbricata nello stesso luogo, ma per sov- venire sua santità e la camera apostolica , voleva pagare una qualche somma che i priori con dodici cittadini da essi eletti,
avrebbero facoltà di determinare e di rinvenire, con la condizio- ne che sua santità facesse fine e quietanza dei sussidi dovuti a tutto l'anno 1441, dal quale innanzi il comune fosse obbligato a pagare i sussidi annualmente; e che la stessa santità sua si de- gnasse di fare a questo popolo la grazia che Beroide non venisse in alcun modo riedificata. E quando, perchè quella gente non si disperi, sua santità voglia assolutamente che in qualche luogo Beroide si riedifichi, le piaccia commettere a messer Amorotto governatore che elegga un luogo meno pericoloso allo stato della Chiesa e del Comune di Spoleto. E su tutto ciò vengano spedite bolle pontificie. E quando nelle cose dette non si con- segua la grazia apostolica, si torni a supplicare che sua santità venda o impegni la sua fedelissima città (' ). Le ferme e ar- dite risposte e risoluzioni surriferite sono tanto più notevoli in quanto che non si facevano sempre impunemente ; e di quei giorni lo aveva saputo ser Giovanni da Beroide che, per il
suo libero parlare contro la proposta fatta dal papa di accre- scere la provvisione che il comune pagava al castellano, n'era stato fatto prendere e messo intra due o di pagare una multa di cento ducati, o di andare a confine a Padova (2) .
(1) Riform. 1441. fogl 94.
(2) Humelmente supplica el devoto et fedelissimo servitor vostro ser Johanni de Beroyto vostro cittadino exponente che mo al presente la signoria de messer Amorotto à detenuto preso el decto ser lohanni nella torre dell'acqua , et vole che luy paghi cento ducati infra cinque dì, et passando li decti cinque dì, non essendo li decti cento ducati pagati, vole che sieno dugento, et che vada a confini a Padua ad beneplacito de N. S. lo papa. Et questo è per cascione de pena che vole che paghi per le parole che disse nel consiglio , o nella cerna del comune
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La proposta di Antonio Poli era stata deliberata il 28 ago- sto, e innanzi al 12 di settembre i Beroitani, contro la volon- tà dei cittadini , avevano incominciato a ricavare il fosso e
continuavano indefessi nell'opera loro. Se costoro , si diceva,
portano a fine, nostro malgrado, il loro disegno, converrà che tutti gli spoletini lascino la patria. Ragunato il Consiglio Giovambattista Chionnis disse: Esser le cose gravissime e
pericolose, ed abbisognare di cauto ed assennato governo per non urtare in uno scandalo maggiore. Consiglid, come sempre nelle più gravi occorrenze, di restringere l'autorità in pochi; e i
priori con dodici cittadini e il governatore avessero potestà assoluta sulle cose di Beroide. Nessuno potesse ricusare l'of- ficio dei dodici, sotto pena di dieci fiorini. Due giorni dopo si mandarono oratori al papa il cavaliere Giovanni Antonio Leon- cilli e Antonio de' Petroni (¹), che non perdettero il tempo,
avvenga che si cercassero poi trecento fiorini per ricompensare alcuni della curia pontificia che avevano grandemente favorito co'loro buoni offici la commissione di quelli. Beroide non sarebbe riedificata nello stesso luogo ; e conseguentemente si era già fatto interrompere il ricavamento dei fossi (2). Occor- reva intanto di avere mille fiorini che il papachiedeva urgen- temente per mantenere la quiete, cioè per far la guerra; e fu deliberato che i priori sapessero ( per quel che avevano trat- tato gli oratori ) quale dei banditi di Beroide si avessero a
quando se fece del mese d'aprile passato, nel quale se tractava demagior pagamentodella roccha che quello a que era la nostra comunità reducta de dugentovinti florini el mese per stipendio delli fanti , e provisione del ca- stellano, dove el decto ser lohanni disse per favore del Comune, che li citta- dini stessero attenti ad non obligarse ad più che quello erano consueti. Et che de quello avevano domandata gratia al papa, de tucto o de parte, et che se ce obligassemo forse non ne usciramo per morte, nè per gratia, co- me simo usciti de III m VIC. LII fiorını da messer Marino, etde quattromila d'Angelo Trasacco, et più altri, dalli quali la morte et la gratia ca aveva campati etc. El perchè supplica alle M. S. V. che vi dignate per autorità del presente consiglio, eleggere tre o quattro cittadini , de quelli della nostra città che meglio siano con messer Amorotto, li quali abiano po- testà come à el consiglio, ad pregare per lo dicto ser lohanni per tol- limento o mitigatione delle decte pene col decto messer Amorotto. Et non consentendolo, de mandare al papa per la decta cascione et per prov- vedere alla indempnità del dicto ser lohanni, acciocchè chi dice et fa per lo comune ne sia remeritato, et per buono exemplo. Et questo duño al decto messer Amorotto piaccia et contentisene, altramente no.
Et questo de gratia spetiale se domanda per lo dicto ser Iohanni como dicto è, ut altissimus etc. >> Riform. An 1441. fol. 79.
(1) Riform. An. 1441. fogl. 103. 104.
(2) Riform. detto an. fogl. 6, 8, 14. -Cart. diplom. nell'Archiv. Com.
di Spoleto, Breve del 10 nov. 1441.
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ricevere in grazia, e che da quelli che il consiglio avesse con effetto rimessi, si esigesse il più che si poteva. I Beroitani non avevano però deposto il loro pensiero, viste le grandi stret- tezze della città, le offersero tremila fiorini, perchè fosse loro concesso di ricavare i fossi, e di fare steccati per starvi dentro conminor pericolo. Ma tale proposta nell' Arringa del 21 gen- naio 1442, dove si trovarono adunati trecentosette cittadini, fu rigettata con dugentonovantasette voti ; ancorchè la penuria della città fosse tale che il governatore ritenne che per avere la detta somma non si dovessero imporre collette (') . Coloro che venivano fatti cittadini pagavano al comune una tassa ;
si appigliarono a questo partito, si fecero dieci cittadini, e se ne ebbero i trecento fiorini. Per i mille, dopo il primo disegno degli usciti, che non ebbe effetto, si sarebbe voluto tenere lo stesso modo, ma essendo stata posta condizione alla conces-- sione della cittadinanza che i nuovi cittadini dovessero fami- liariter abitare in città, non si trovò chi volesse a questa con- dizione esser fatto cittadino; talchè dovettero a forza appigliarsi alle collette , ed oltre alla riscossione non mai fatta di quella di venti bolognini per centinaio d'estimo , imposta per la re- cuperazione della rocca, ne imposero un' altra di trenta soldi per centinaio, e dieci per focolare (2).
Oltre i Beroitani, anche gli uomini d'Eggi, cui similmente erano state disfatte le mura, domandavano con grande instanza fosse loro assegnato un luogo dove potessero innalzare alcuna difesa, per ripararsi dalle frequenti scorrerie di gente nemica.
E supplicavano per avere facoltà e sussidi, Morgnano, che era stato arso due anni innanzi dalle genti di Vitaliano del Friuli e
di Francesco Piccinino, Bartolomeo Nicolai per una compen- sazione della sua torre, disfattagli in que' giorni in Beroide,
e Niccolò di Lorenzino per poter ristaurare un suo fortino chiamato Torre Grossa, assai danneggiato dalla guerra, e per potervi fabbricare abitazione in forma di castello, onde potesse servire, come fu sempre uso, di ricovero agli abitanti vicini in tempi di guerra (3) . Furono concesse a costoro le cose che chiedevano, ma non fu posta in deliberazione la supplica d'Eggi, per tema della nota costituzione del cardinal fiorentino che era tuttavia in vigore, e che sottoponeva a grave multa chi
(1) Riform. An. 1442. fogl. 29, 30.
(2) Riform. detto anno. fogl. 30, 47.
(3) Riform. detto anno. fogl. 34. 46. 47, 53. 68.
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trattasse di rifare il muro di alcun castello o qualsiasi forti- lizio, per quella legge o altra simile, demolito ( ').
Alle brighe esposte di sopra una se ne aggiunse impro- visamente che minacciò di turbare in modo non lieve la città.
Petrangelo Orsini negava i diritti di Spoleto sul dominio di Roccaccarini , e intendeva possederla come cosa sua. I diritti però del Comune erano evidenti per le antichissime conces- sioni dei signori di quella rocca, e per le conferme di pontefici e imperatori. Seguendo il consiglio del giureconsulto Matteo Bartoli, fu deliberato che, per l'antica amistà che correva tra il Comune e la casa Orsini, si cercasse modo di risolvere la differenza placidamente, ma con l'onore della città. Furono commesse le trattative allo stesso Matteo con altri cinque cittadini; i quali, quando messerPetrangelo non volesse venire ad accordo, avessero, col governatore e co'priori, facoltà di rompere e disfare i ponti che sono sulla Nera, e di fare qualunque altra cosa loro sembrasse richiesta dal bisogno. L'ultimo di ottobre del 1441 Matteo d'Angelo di Solebanche, sindaco di Spoleto, e messer Petrangelo Orsini con l'università dei castelli di Collestatte e Torre, che lo riconoscevano per signore, con- chiusero la seguente convenzione.-Il territorio di Roccaccarini fosse compreso nei confini del Comune di Spoleto ; ma i beni degli uomini di Collestate e Torre situati in esso , fossero esenti da ogni gravezza da pagarsi al detto Comune , tranne quelli che già si trovassero nel suo catasto. Che le terre di quel paese che fossero o venissero in mano di forestieri , potessero accata- starsi a Spoleto . De'danni dati e malefici ivi commessi giudicasse la curia di Spoleto, ma se avvenuti tra gli uomini di Colle- statte, spettassero alla curia di questo castello. La città nondoves- se sotto alcun colore demolire o guastare i ponti che sono in quel territorio senza una assoluta necessità per la sua sicurez- za. Il comune di Collestatte , per le possessioni che gli uo- mini suoi hanno in quel della rocca, pagherebbe alla città tutti gli anni, il primo di maggio, un fiorino , ossia ducato d'oro.
Spoleto concedeva a Collestatte il patronato che aveva sulle chiese del territorio della rocca (2) .
Mentre così placidamente si componevano le differenze tra il Comune e l' Orsini, fiere discordie insanguinavano il vicino Casteldilago ; e gli Spoletini, che pocanzi si erano ado- perati a comporre quelle che mandavano a scompiglio Foli-
(1) Riform. 1442. fogl. 34.
(2) Riform. 1441. fol. 91. 123. 137.
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gno (¹ ), fecero stipulare la pace anche fra detti uomini del loro distretto (2 ).
Sorgevano però più alte cagioni di timore, e la guerra si presentiva sino da quando furono chiesti al comune denari per conservare la quiete. Eugenio IV, stimolato dal duca di Milano Filippomaria Visconti, si apprestava a riacquistare la Marca, ritogliendola al conte Francesco Sforza. Il 2 di marzo
1442 il Condolmieri faceva avvertito il Comune che era per venire di gran gente nel contado di Todi ; erano le bande di Nicolò Piccinino che, simulando esser licenziato dal detto
duca, era venuto a' servigi del papa. Passato da Bologna a
Perugia, inaspettatamente fu sopra Todi posseduta dallo Sforza,
e l'ebbe per trattato. Gli Spoletini fecero rifar subito la porta di S. Massio , e ristaurare le mura, rifacendo per tutto le
bertesche, essendo certo l'avvicinarsi di quella gente, e non sapendosi ciò che potesse avvenire (3). E fu poco di poi espressa volontà del papa, subito accolta dai cittadini, che si riattassero anche le mura della terra vecchia, cioè della parte di città che era stata rinchiusa nella cerchia antica, dietro la quale si poteva al bisogno fare una più valida difesa. Furono nominati soprastanti a questo lavoro dodici cittadini , uno per vaita, e con essi alcuni uomini eletti fra gli abitanti dei borghi, perchè tale riparazione si facesse con unita e con- corde volontà di tutti (4). Essendosi dati allo Sforza Cerreto e Ponte, venne a Spo- leto Vittorio de' Grimaldeschi, famigliare del pontefice, ad in- giungere che si stesse ai comandi del governatore per guer- reggiare quei castelli e ricondurli alla obbedienza (5). 11 13 luglio furono richiesti quarantotto balestrieri perchè andassero nel campo della chiesa (*) ; e il giorno seguente Andrea da
(1) Riform. 1442. fogl. 51 .
(2) Riform. detto an. fol. 69.
(3) Riform. detto an. fol. 55. 74.
(4) .... his diebus preteritis habuerat (Gubernator) breve et mandatum a Santitate D. N. per quod sibi mandabat fieri actare et reparare ter- ram veterem Civitatis Spo'eti bonis respetibus et pro conservatione et tuitione dicte civitatis et hominum et personarum ei isde n.
Portata questa proposta all' Arringa, avendone consigliata l'approva- zione il Rossetto Campelli, fu riformata con 304 voti contro 18. (Riform.
1442. fogl. 47, 48 ).
Appresso si legge in volgare: « Numeru electu ad sopravedere in che modu se de' far le mura de la terra vecchia , unum per vaita ».
( Ivi . fogl. 48 ).
(5) PATRIZI - FORTI , Mem. Stor. di Norcia lib. III. -Rif. An. 1442.
fogl. 79.
(6) Riform. An. 1442. fogl. 79.
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fa
Fano, altro famigliare del papa, riuniti col governatore i priori nella rocca, e precisamente in claustro circum cisternam, in- giunse a tutti che dovessero in ogni cosa obbedire all' illu- strissimo Nicolò Piccinino capitan generale della Chiesa (1 ) .
La città, che era in gran penuria per le cose passate , si ap- parecchiava asostenere novelli aggravi e molestie, perchè le buone mura e le buone porte, che sono di grande aiuto contro i nemici, non hanno valore alcuno contro gli amici. Il capitano generale comandò gli si mandassero in campo dugento bale- strieri . Si cercò che ne fosse diminuito il numero, offerendo, in luogo degli altri, quattro fiorini il mese per ciascuno (*). Poi chiedeva mandassero incontanente grandissima copia di vet- tovaglia, pena duemila fiorini se mancassero. V'andarono i
cavalieri Angelo Martani e Giovannantonio Leoncilli , con cinquanta some di vettovaglia, a scusare il Comune che era nella massima inopia (3). A mezzo settembre il piano formi- colava dei soldati del Piccinino che muovevano verso la marca e facevano infiniti danni , turbando la coltura delle terre, e la vendemmia. Si mandarono, come consiglid il Rossetto Campello,
altri oratori con altra vettovaglia, a rappresentare gl'intollerabili danni che quelle gentifacevano, e a supplicare che, se fosse possi- bile, se ne allontanassero (4). Il Piccinino andava allora ad occu- pare Tolentino; di là comandò si mandassero venticinque somedi grano da vendersi a' Tolentinati. Poi volle dugento guastatori a Gualdo (5) . Tutte queste cose non si facevano senza denaro ,
e il papa chiedeva intanto il completo pagamento di tremila fiorini con cui si erano acconciate le cose di Beroide. Le richieste del Piccinino non essendo soddisfatte interamente,
costui multò la città di mille ducati. Guai sopra guai! Man- darono a lui Nicolò Marroggia per comporsi su i fanti richiesti ,
sull' allontanamento di quelle genti dal territorio, sulla libe- razione di alcuni cittadini presi da quelle ingiustamente . Lo riceveva il capitano pessimamente, con aspri rabbuffi, e mi- nacciando di venire con le sue genti sulle porte di Spoleto (6) .
Ma, avendo intanto chiesto al comune che Andrea Manenti,
uno dei banditi della città, fosse rimesso, e la sentenza e il processo di lui fossero cancellati, ed avendolo ottenuto, an-
(1) Riform. An. 1442. fogl. 80.
(2) Riform. detto anno. fogl. 80.
(3) Riform. detto anno fogl. 93, 94.
(4) Riform. detto anno. fogl. 96.
(5) Riform. An. 1442. al 1443. fogl. 11 .
(6) Riform. detto anno. fogl. 5. 8. 11.
A. SANSI 2
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dato a lui, con la metà dei mille ducati, Tommaso Martani ,
che si obbligo del rimanente per tutto quel mese, si mostrò placato, e scrisse al comune lettere benevole (' ) .
Venne intanto il legato patriarca d'Aquileia che sembrò commosso del povero stato della città, e fece scemare il prezzo del sale; ma ad un tempo volle si pagassero al Piccinino set- tecento fiorini d'oro. Male e a stento ne poterono accozzare du- gento, e mandarono con quelli, supplicando di essere esonerati del rimanente. Furono così ascoltati, che giunse indi a poco un cancelliere dello stesso Piccinino con una credenziale, perchè gli si pagassero duemila fiorini, da computarsi nei sussidi ordinari. Tornarono a supplicare, e furono ridotti a mille e
cinquecento, da pagarsi senza indugio. E mentre s'imponevano per questi, nuove collette , ser Alessandro il cancelliere instava,
tutto il giorno, e minacciava una cavalcata nel territorio, se non si finisse di soddisfare il suo capitano dei cinquecento che ancora gli erano dovuti (*). Mentre il conte governatore,
a nome del Legato, comandava si andasse all'assedio della rocca di Ponte (3), partivano cittadini che andavano a rappre- sentare al papa e al Piccinino le miserrime condizioni della città, e la impossibilità di soddisfare a tante richieste. Nulla ottenevano, e alle loro instanze rispondeva per soprassello la do- manda di dugento fanti. Si rivolsero per favore a Giacomo Orsini, che era nell' esercito della Chiesa, altro non ne ebbero che il consiglio di mandarne almeno una parte, e più che po- tessero; e così si fece, era il 28 luglio del 1443 (4). Le grandi strettezze condussero il Comune sino a trattare di venire ad una composizione co' Beroitani per le loro collette e gabelle e con i banditi meno rei, pur d'aver denari in così straordi- narie necessità.
Il Piccinino aveva fatto rimettere Andrea di Manente
Dedomo, il legato, messer Luigi di Castelpepe ; era stato ri- messo, per 32 fiorini d'oro , Silvestro di Giovanni (5). Questi
esempi, le dette disposizioni a trattative, e la espressa volontà del papa favorevole al ritorno degli usciti, fecero risorgere in Cecchino di Campello la speranza di poter tornare, e ne fece pratiche presso alcuni cittadini a lui meno avversi. Come cid fu saputo, la città fu tutta in tumulto ; e si adund l'arringa,
(1) Riform. 1442 fogl. 25, 41. 43.
(2) Riform. An. 1443. fogl. 66. 75. An. 1443 al 1444. fogl. 12.
(3) Riform. detto anno. fogl. 12.
(4) Riform. detto anno. fogl. 20, 21.
(5) Riform. detto anno. fogl. 89. 91.
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dove Puccio Pianciani, e Angelo Ridolfi fieramente parlarono contro, e per opera loro fu decretato che Cecchino, essendo stato principalissima cagione delle indicibili sciagure della patria, non dovesse mai più ritornarvi, e che chi osasse par- largli e averci pratica, incorresse nella pena di sessanta ducati.
Che nessun altro degli usciti potesse tornare senza l'autorità dell'arringa , e che ove tornassero in altro modo, potesse chiunque offenderli ed ammazzarli. Nè alcun castello o villa potesse ricettarli, sotto pena di cento fiorini. Di quattrocento trentadue cittadini così vollero trecento ottantasei (¹). Si può facilmente intendere quant'odio dovesse mettere nell'animo di quell'ambizioso cavaliere questo solenne decreto, e a quai pensieri di vendetta dovesse egli rivolgersi.
Ma v'era anche un altro che da qualche tempo aveva concepito secreto rancore contro i cittadini, ed era lo stesso conte Condolmieri, al quale essi si stringevano in modo che,
come dalle cose narrate apparisce, senza di lui nulla facevano;
ed egli, come colui che per essere congiunto del papa, la cre- dette non difficile impresa, vista quella gran devozione onde era circondato, disegnò di governatore mutarsi in signore ; e
ne fece ripetute pratiche. Ma i cittadini, gelosi di quella qualsifosse libertà, protetta dall'alta sovranità della chiesa, non vollero acconsentire, e troppo era viva la memoria dell'abate Tomacelli, perchè lo potessero fare. Un principio del malumore del conte, e della alienazione da lui degli animi de'cittadini si vede anche da ciò che, avendo egli sempre amministrato a
sua voglia gl'introiti e gli esiti della città, anche coerente- mente ad un breve pontificio (*) , nell'arringa del 10 di mag- gio del 1442 si dichiarò ch'egli lasciava quella ingerenza,
poichè la città pareva non si contentasse. Gli si desse degli introiti del comune quanto occorreva per soddisfare gli stipendi che pagava, e per la sua provvisione secondo la bolla della elezione ; rimetteva tutto il resto in mano del comune (3) .
Il dispetto di costui era venuto crescendo co'rifiuti, e fa- ceva alla città que' dispiaceri che poteva maggiori ; e, come suole sempre avvenire, conformandosi all' umore del padrone,
i suoi famigliari insultavano e maltrattavano i cittadini. Tal- chè , mandandosi al papa, che il 28 di settembre 1443, per Siena,
era tornato a Roma, oratori con donativi di argenti e di zaffe-
(1) Riform. An. 1443. fogl . 108.
(2) Breve del 13 agosto 1440, allegato di sopra.
(3) Riform. An. 1442. fogl. 66.
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rano, Tommaso Martani, Ugolino Dedomo e Onofrio Pianciani,
si dette loro istruzione che supplicassero perchè Amorotto fosse allontanato da Spoleto, per le illecite mene e pe'demeriti suoi e della sua gente. Che gli stipendi della rocca e laprov- visione del castellano si riducessero a quello che erano innanzi la spogliazione di Spoleto. Da ultimo che gli offici di governa- tore e di castellano della rocca fossero separati (¹). Gli amba- sciatori partiti il 7 ottobre, tornarono il 25 di quel mese e il 5 di dicembre prese il governo di Spoleto Marino Orsini (*).
Il papa aveva concesso la domanda a metà, chè togliendo al suo parente il governo, lo aveva lasciato castellano, e ciò non già mostrando di dar fede alle accuse, ma solo riconoscendo Ia convenienza di separare i due offici ; perchè v'è un breve indirizzato ai Priori in cui li rassicura sulle intenzioni di
Amorotto, e conforta a lasciare ogni sospetto verso di lui (* ) .
Dell' Orsini pare fosse la città assai soddisfatta , e si trova ch'egli essendosi portato presso il pontefice, trattava con studio i negozi della medesima, e che i cittadini gli facevano pre- senti di denaro e di altre cose (1) . Ma l'Orsini, che gover- nava anche Perugia (5), non aveva il governo di Spoleto che come un officio precario, e il 29 di marzo gli succedette Felice Branca- zi fiorentino , che ebbe dal papa anche l' officio di podestà (*).
Per ciò che era seguito si accrebbe fuormisura l'odio del conte contro i cittadini ; sicchè , intesosi secretamente con Cecchino, tolse a favorirne il ritorno, e a prestar mano a una mutazione di stato nella città, sia per vendetta, sia perchè re- putava che gli sarebbe stato più agevole conseguire i suoi fini mediante coloro che fossero ai dominanti cittadini succeduti. Era di ciò a parte il papa ? Non si può affermare, ma ne farebbe nascere il sospetto, il gran favore in cui era presso di lui messer Cecchino ( 7) ; imperocchè il proteggere e il favorire,
contro la dominante parte guelfa, che un papa faceva di un ghi- bellino, non si potrebbe meglio spiegare che pensando, che per questo modo ei potesse più facilmente ottenere qualche utilità sua privata. E capo di ghibellini era qui Cecchino. Col favore
(1) Riform. An. 1443 fogl. 64.
(2) Riform. detto anno. fogl. 76, 92.
(3) Carte Diplom. nell' Archivio Comunale di Spoleto, Breve del 15 aprile 1444.
(4) Riform. An. 1444 fol. 101.
(5) CAMPELLO lib 37. Riform. detto anno. fogl. 92.
(6) Riform. detto anno. fogl. 125. 127.
(7) CAMPELLO. lib. 37. Carte Diplom. dell' Archiv. Comunale di Spoleto, Breve del 4 agosto 1441.
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dei Colonnesi , egli venne raccogliendo nelle terre di Cam- pagna dugento fanti, che con buon numero di ghibellini e
di villani di questi luoghi, sempre avversi alla città , egli inviò alla spicciolata e di nascosto nella rocca di Spoleto, dove venivano ricevuti, e dove poi venne egli stesso, senza che que- ste cose fossero per alcuno sapute. Come furono in ordine di ogni cosa che all'impresa si richiedeva, deliberarono di met- terla ad effetto il 2 di luglio , giorno del Corpus Domini,
quando i cittadini lontani da ogni sospetto, fossero intenti alla solennità della processione, e così fecero. Giunta l'ora oppor- tuna, Cecchino trasse fuori le schiere de' suoi armati, e gri- dando : fate carne e fuoco li spinse contro il popolo inerme,
mettendo tutto in confusione. I più lontani dal luogo dello assalto, avvertiti dal tumulto, con pronto animo corsero per l'armi, e tornati, e dato agio di armarsi agli altri , sempre ingrossando, si fecero incontro ai sediziosi, e combattendo fe- rocemente, con ferite e uccisione di non pochi, li respinsero e ricacciarono nella rocca, con tanto felice successo, che riten- nero dovere la vittoria alla prodigiosa assistenza del santo corpo di Cristo; talchè nello stesso dì il Consiglio decretò in perpetuo un omaggio di ceri a quella solennità, e che fosse riguardata come la domenica (¹). Era morta allora, con fama di prodigi, una monaca chiamata Francesca , sorella di Cec- chino , i consiglieri , non guardando ai demeriti del fratello ,
(1) Lo fece aggiungere il Rossetto Campello a questa proposta dei priori -> Tertio quod cum in presenti die sacratissimi corporis Christi Amoroctus Condolmario, sua perfida malignitate cum dño Cecchino, cum berotanis et cum magna comitiva peditum , conatus fuerit destrugere,
opprimereet conculcare civitatem et populum spoletanum et cum dictis gentibus insultasset hostiliter dictum populum vociferando et dicendo: fa- cete carne et fochu. Et quod cum gratia et pietate sacratissimi corporis Christi hic populus ab eorum manibus evaserit, et contra hos victoriam habuit. Ne iste populus videatur ingratus et inmemor tanti benefici et gratie quodperpresens consilium reformetur ad perpetuam rei memoriam quod in tali sacratissimo die, domini priores tunc existentes teneantur et de- beant suntibus dicti comunis emi facere quatuor torcias ponderis XVI.
librarum, et mictere accensas ante corpus Christi dum fertur per civita- tem, deinde relapsare ad ecclesiam Beate Marie Virginis, sub cuius pro- tectione hec civitas edificata et conservata est, ut defendere dignetur a
cunctis periculis et ab omnibus malis presentibus et futuris , Amen. » E
prosegue la stessa proposta » Et quod huic sorori in presentiarum mor- tue, actenta sua honesta vita, et miracula in morte facta, quod provideatur sibi de aliquo congruo honore. Sulla quale ultima parte, avendo consigliato già favorevolmente sulle altre cose, il Rossetto disse quod vicarius dñi episcopi, prior S. Marie, prior S. Petri et prior S. Gregori habeant exa- minare miracula facta per sopradictam monialem et premeditari honorem fiendi ipsi, et ut ipsis videbitur fiat etc. ( Riform. An. 1444. fogl. 18. 19 ) .
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discutevano nello stesso giorno, in mezzo a così gravi casi della città, degli onori da rendersi a quella virtuosa donna.
Il Rossetto Campello, di cui fu seguito il parere, propose che il vicario del vescovo con i tre priori di S. Maria, di S. Pietro ,
e di S. Gregorio, esaminassero i riferiti prodigi, e si facesse ciò che a quelli paresse conveniente. Quanto non appare no- bile e degno di riverenza quel consesso che nello stesso giorno notava d' infamia e percuoteva l'ambizione e la superbia, che bagnano la terra di lacrime e di sangue, e preparava onori e
gloria all' umiltà e alla stima evangelica delle cose mondane,
virtù che, ove fossero largamente seguite, basterebbero a por- tare la pace e la felicità nell' umano consorzio ! Il governatore Orsini, che era in Perugia, mandò a tal novella il tesoriere delducato per quetare la sedizione, essendosene però Cecchino,
dopo la mal riuscita impresa, tornato a Roma, le cose si ven- nero quetando da sè, ma non senza un fatto assai sanguinoso.
Fra i seguaci del Campello erano trentotto Beroitani che, ve- dendo la città essere tutta in armi contro la rocca, temendo di maggior male, vollero anch'essi tornarsene a casa. Il teso- riere annuì, e per farli sicuri volle egli stesso andarne con loro. Sul far della notte si partirono cauti e queti alla volta del loro villaggio ; ma, notati e riconosciuti da alcuno di co- loro che, per non essere ancora cessato il sospetto, stavano in sulle guardie, furono inseguiti dalla moltitudine armata che ,
avendoli raggiunti poco lontano dalla città , ancorchè dispe- ratamente si difendessero, li mise quasi tutti a morte, rima- nendo il tesoriere salvo a fatica. Il Graziani dice che ne uccisero trentasei, tra quali un padre con due figli, e che tra spoletini e quelli di Beroide ve ne morirono più di quaranta.
Il luogo dove questa uccisione fu fatta, poco oltre la Cer- quiglia, si chiama ancora la mortara (' ) . I cittadini rimasero pieni d'indignazione contro il castellano ; e se ne può vedere facilmente un ricordo sopra la porta del molino di Pissignano,
dove in una lapide, in cui è scolpita, con le armi dei Condol- mieri e del Comune, la memoria che quel molino fu fatto nel dicembre del 1441, nel luogo ove leggevasi il nome del go- vernatore ( di cui rimane ancora qualche lettera ), il sasso si vede scheggiato con lo scalpello (*) .
(1) non longe a Spoleto apud eum locum cui ab eorum morte nomen inditum postea fuit la Mortara seu turris berotana, ubi reliquie cuiusdam turris hactenus velut scopuli conspiciuntur haud longe sacello B. V. dicte hodie de Querquilia. LEONCILLI in Lotto de Sardi. (2) Ciò che ivi può parere una prima edificazione non era che una ristorazione, chè il 12 novembre del 1441, ad una proposta dei priori, che
23
Fu chiesta con istanza la remozione di costui, e il papa pose in luogo di lui un altro suo parente, Jacopo Condolmieri,
che era castellano di Narni, avendo il Comune sborsato , per questa sostituzione, duemila fiorini che vi furono richiesti (' ) .
Quanto al reggimento della città, il legato dichiarò con lettera che pel bene del paese l'officio di castellano d'ora innanzi sarebbe stato separato da quello di governatore, ed egli stesso,
chiesta la cooperazione de' cittadini, assunse il governo (*). Сес- chino intanto in Roma, sebbene multato con esilio perpetuo,
era per la sua nobiltà, per l'ingegno, e per gli altri pregi,
con l'introduzione dei colonnesi , benignemente ricevuto dal pontefice, e tenuto dalla corte in molta considerazione (3) ; il che, se non prova la segreta connivenza di Eugenio ai desideri di Amorotto , non giova per certo a rimuoverne il sospetto.
Bernardino Campello scrive di più che Cecchino, per opera del cardinal Capranica legato , fu rimesso nella città nello stesso anno, il che non può sembrare verosimile, e non è vero,
perchè il Graziani scrive che quando nel 1448 Cecchino fu podestà di Perugia, era ancora fuoruscito; nè erra, chè i libri delle ri- formagioni ci attestano, come il Campello il 26 di marzo appunto di quell'anno, avendo dimandato in grazia che i cittadini potes- sero comunicare con lui liberamente, gli fu negato (*). Al papa non mancavano parenti da collocare. Morto nell' anno il vescovo Lotto de' Sardi, quantunque i cittadini mostrassero gran de- siderio che gli succedesse il vicario Coppino da Prato , e il Capitolo aderendo a ciò lo avesse eletto; il papa, annullata la elezione, fece amministratore del vescovato Marco Condolmieri patriarca alessandrino ( 1445 ), che dopo un anno, avendo ri- nunciato, diede luogo al vescovo Sagace de' Conti ( 1446 ) ( 5 ) .
Il nuovo castellano tenne altri modi, e si fece amare dagli spo- letini che poi lo ascrissero alla loro cittadinanza (*). L'offi- cio di governare la città era stato, come ho detto, separato da
giudicarono quell'opera di somma utilità, si deliberò che ad reficiendun ,
complendum et attandum molendina Piscignani de introitibus Comunis, dži Priores habeant plenam auctoritatem providendi. ( Riform . 1441. fogl. 137,
138 ).. 11 23 maggio 1443, fu poi decretato il riattamento di tutti gli altri molini che erano nel comune, e che da lungo tempo erano guasti e trasandati. ( Riform. 1443 al 1444. fogl. 6 ) .
(1) Riform. An. 1444. fogl. 21, 36, 45.
(2) Riform. detto anno. fogl. 21.
(3) CAMPELLO, lib. 37. CAMPELLO,
(4) GRAZIANI, Cron. pag. 611.
(5) LEONCILLI nei detti vescovi.
(6) Riform . An. 1447. fogl. 35.
Riform. An. 1448. fogl. 71.
UGHELLI, Ital Sacr.
24
1
quello di castellano
(1
)
,
e vi si succedettero in breve tempo oltre il già nominato Felice Brancazi fiorentino, Michele Calza da Padova ( 1444 ) e Costanzo di S. Damiano ( 1446 ) ; i due primi ebbero anche la giurisdizione di podestà ( *) .
Appagati per tal modo
i giusti desideri del comune
, parve tempo al Legato di tornare a raccomandare la riedificazione della villa di Beroide, ne illi berotani vadant amplius vaga- bundi (3) , come richiedevano gl'interessi della chiesa e la pace del paese ; ed insistette perchè si nominasse un sindaco onde assolvere quelli uomini dalle ingiurie fatte ai cittadini e al comune, e perchè la città volesse rimettere nello stesso Legato la riedificazione di Beroide. Si adunò il consiglio più volte, e dopo lunga discussione, s'indussero a mandare oratori con istruzione di trattare questo affare per guisa che l'onore del
comune rimanesse illeso
e senza macchia
, ed elessero un sin- daco che andasse con gli oratori , come il legato chiedeva.
Rossetto Campello francamente ricordò di quanta gravità fosse- ro le ragioni per cui Beroide non si sarebbe dovuta riedificare, e
fu di parere che gli oratori che si mandavano dichiarassero ampiamente queste ragioni, e poi rimettessero la cosa nelle mani del legato. Furono elefti oratori Giacomo Ancaiani Tommaso e Arcangiolo Martani, e Matteo Bondioni (4) . Il 25 settembre del 1444 nella sala grande del palazzo del comune innanzi al governatore, all' uditore del legato, ai Priori ea molti altri spettabili cittadini, a ciò convocati, vennero col loro sindaco molti Beroitani, i quali, stando inginocchiati a
capo scoperto
e basso
, confessando le loro colpe, chiedevano
(
1) La lettera del cardinal
d
' Aquileia
, intorno
a ciò
, dichiara come dall' unione dei due offici quamplura sepenumero scandala hactenus
sunt exsorta que Statum Ecclesie et comunitatis vestre non modicum
perturbarunt
; proinde
, habito super his colloquio cum S. D. N.
, de eius commissione et mandato, vestre comunitatis et civitatis predicte guberna- tionem spetialiter et regimen in nos suscepimus et suscipimus per pre- sentes , de ipsius sanctitatis mandato vive vocis oraculo desuper nobis facto et auctoritate nostri camerariatus offici constituimus atque decrevimus ut futuris temporibus nullus omnino castellanus dicte arcis spoletane
directe vel indirecte
, atque aliquo quesito colore
, se intromittat vel impe- diat de regimine civitatis aut comunitatis vestre, sed solum et dumtaxat
sit simplex castellanus et custos arcis predicte et ei dari vel attribui non
possit aliqua facultas seu gubernatio et regimen ultra id quod exigit merum et simplex officium custodis et castellani etc. Dat. et sigillat. Ro- me die VIII iuli 1444. etc. ( Riform. detto an. fogl. 22. ) . (2) Riform. An. 1443 al 1444. fogl. 125, 127. An. 1444 fogl. 94 -An.
1446 fogl
. 190
.
(3) Riform
. Ann. 1444. fogl
. 50
.
(4) Riform
. detto anno
. fogl
. 46 al 52.
25
perdono d'ogni offesa, e promettevano di esser fedeli al comune,
di pagare le gravezze che fossero loro imposte dal medesimo,
e di eseguirne i mandati. Per le quali cose furono dal sindaco a nome dello stesso comune perdonati dei loro misfatti, as- soluti da ogni pena e rimessi in grazia (' ) .
(1) Riform. An. 1444. fogl. 53. -La confessione dei misfatti è docu- mento degli avvenimenti passati, e giova qui trascriverla. Dopo regi- strati i nomi de' Beroitani presenti, seguita: Animadvertentes gravis- simum fore delictum et obscenum quod subditi contra dominos ausu temerario actentare nituntur, ipsorum tranquillum et pacificum, iustum et sanctum regimen turbando et inquietando, maxime hoc armis actentando et exequendo juxta posse. Cognoscentes quoque quod homines dicte ville Beroiti huiusmodi nefundissimi criminis sunt laqueo irrititi , cum au- si fuerint diabolico spiritu istigati sanguinolentes manus injicere con- tra magistratum spoletanum interficiendo unum ex prioribus sindicum quoque comunis, et quamplures alios cives, cuius rei merito lese mage- statis rei judicari possunt. Videntes etiam et cognoscentes que novis- sime contra dictum tranquilum statum ecclesiasticum perpetrarunt venientes armati ad arcem spoletanam clandestino tempore, et demum una cum famulis Amorocti tunc castellani Arcis Spoletane descenderunt de arce ut opprimerent, expugnarent et debellarent dictum pacificum et juxtun statum ecclesiasticum, dictam quoque civitatem spoletanam ipsius quoque cives anichilarent, ad ultimum quoque excidium et pernitiem de- ducerent. Harum quoque rerum veniam mereri nullatenus cognoscentes nisi solita clementia, magnanimitas et humanitas dicte civitatis eiusque civium, aliis precantibus et veniam petentibus , eis impartiatur. Idcirco
dons Polus dominici sindicus prefatus existens genuflessus una cum
prefatis aliis hominibus de Beroito, capitibus detectis et inclinatis , coram prefutis dominis humili prece supplicarunt veniam de predictis nefandis- simis sceleribus et omnibus contra dictam civitatem usque in presentem diem perpetratis. etc.
26
CAPITOLO XVI.
Pacifico stato della Città e amicizia co' vicini, eccetto Norcia-Dif- ferenze con questa per Cerreto e altri luoghi - Primi fatti della guer- ra- I Cerretani si commendano a Spoleto - Si dividono in parte nursina e parte spoletina, e combattono con l'aiuto delle due città. Prevale
la parte che aderiva a Spoleto Si danno alla città Cure di questa
per quel castello Muore Eugenio IV e gli succede Nicolò V, che manda a Spoleto il vescovo d' Aquila castellano e governatore La città non lo accetta pel doppio officio Cesare Conti castellano Gli succede
Filippo Calandrini fratello del pontefice, che presto ricevette anche l' officio di governatore consensienti i cittadini Madonna Andreola madre del
pontefice in Spoleto - Messer Filippo è fatto vescovo di Bologna – Lascia luogotenente il Conti Nicolò V viene a Spoleto per sottrarsi alla peste
-
-
I
-
Ne riparte per la stessa cagione Vi ritorna più volte per visitare la madre- Morte di questa Lavori pubblici Ricomincia la guerra con Norcia - Il luogotenente vieta ogni novità contro la montagna Si
mandano oratori a Roma Il papa dà facoltà agli Spoletini di fare
uso delle armi , poi promuove accordi che non vengono ad effetto Si conchiude una tregua, e viene confermata per desiderio del papa Nursini riprendono Triponzo Pace conchiusa nel gennaio del 1452
Gli Spoletini invitati , mandano oratori alla coronazione dell' impera- tore Federigo III Novità in Norcia La parte cacciata ricorre agli
spoletini , che conducono al loro soldo il conte Everso dell' Anguillara , e
assalgono Norcia - Il Commissario Cesarini Norcia si difende bra- vamente - L'esercito pontificio muove contro Everso e gli spoletini ri- belli Questi si ritraggono dall' impresa Nicolò V. infermo, visitato
dagli oratori della città, la riceve in grazia - Compone soddisfacentemente le loro differenze co' Nursini.
Una lite di Trevi con Pissignano, un tumulto a Sellano,
una controversia per i confini delle terre di Rogoveto co' cano- nici lateranensi e con gli uomini di Ferentillo , alcune edi- ficazioni incominciate da quelli di Eggi, malgrado il divieto,
e fatte demolire dai priori, rabbiose ed intrigate discordie nel castello di Campello, mosse da persone irrequiete, ma in breve ricomposte, molestie date da' Trevani al castello di S. Gio- vanni, alcune acerbe nimistà in Orsano , presto acquetate, e
somiglianti altre minute agitazioni, che turbarono ora uno,
ora altro luogo in quelli anni, e che appena vogliono essere accennate ( ' ) , non possono fare che non si dica che con la fi- ne delle cose di Beroide , Spoleto aveva riacquistato il suo pacifico stato. Anche co' vicini era in buon accordo. Si loda del buon animo che in ogni occasione manifestavano i ternani
(1) Riform. 1443 al 1447, in vari luoghi.
27
verso gli spoletini e le cose loro, e cercava il modo di mo- strarsene grata (¹); Elisabetta Varano per gli offici di un oratore della città, aveva tolto le rappresaglie contro gli spo- letini (2). Sino dall'aprile del 1444 spoletini e fulignati avevano,
per opera d'un predicatore, fatta lietamente la pace in S. Ma- ria del piano di Trevi , e al consiglio di altro religioso fu restituito il battaglio della campana del comune tolto con gli altri trofei del 1438, e che gli spoletini allora non ripresero, come avevano fatto delle altre cose, perchè era in una campana nuova di S. Feliciano. Il consiglio di quella città avrebbe altresì assai facilmente creato cittadini di Foligno,
come il frate proponeva, tutti gli spoletini , se non fossero state alcune considerazioni riguardanti le gabelle. Anche a
Spoleto l'otto di maggio si discuteva favorevolmente una so- migliante concessione ai folignati (3). E tutto questo senti-
(1) Riform. An. 1444. fogl. 18 - An. 1446. fogl. 214.
(2) Riform. An. 1446. fogl. 93. (3) 11 15 aprile 1444 un frate Francesco predicatore faceva proporre al Consiglio di Foligno di portare ad effetto la pace con gli spoletini.
La domenica vegnente egli avrebbe predicato in S. Maria del piano di Trevi; ivi convenissero priori dell'una e dell' altra parte , et ibi cum magna letitia celebraretur pax cum ipsis, et haberetur vinum et confe- ctiones et alia pro faciendo collatione etc. Fu riformato a pieni voti di far la pace, rimettendo nei priori , e in sei cittadini, due per terziero il determinare il modo più decoroso di farla (Riform. Folign. 1444. fo- gl. 21 ) . -Sotto il 7 maggio si legge nelle stesse riformagioni . Deinde etc. Dominus predicator petit quod spoletini tractentar et sint cives fulgini et eis restituetur maleum campane grosse Sancti Feliciani quod suum est ma perchè non erat possibile quod fierent cives et trattarentur
ut cives in preiudicium gabellarum que sunt camere apostolice, nulla fu per quel giorno conchiuso ( fogl. 27) , ma il 25 dello stesso mese con 55 voti contro nove, riformarono quod restitui deberet, absque aliqua reser- vatione, maleum campane Spoletinis et tractentur humaniter in omnibus tanquam fratres ( ivi ) .
Della restituzione del battaglio infatti si trova menzione in un con- tratto d'affitto del 25 agosto, ove parlasi del prezzo di corrisposta annua di otto boi. (bolognini ? ) che il Massaro del Comune di Spoleto manualiter habuit et recipit a dicto Nicolao pro danda Mansitto panarilli pro portatura martelli campane a Fulgineo ( Riform. Spolet. An. 1444.
fogl. 40.)
L'egregio e dotto giovane Don Michele Faloci - Pulignani che gen- tilmente mi comunicò le notizie tratte dalle riformagioni del Comune di Foligno, osserva che appunto nell'anno 1438, in cui fu tolto il bat- taglio dalla campana del palazzo di Spoleto, si fuse in Foligno una nuova campana che si ruppe il 24 gennaio del 1707. Una memoria con- temporanea a quell' anno dice che questa campana aveva una scritta che cominciava così : hoc opus factum fuit tempore Rainaldi de Trincis anno 1438 Quanto poi al frate predicatore , che in maggio consigliava la restituzione del battaglio, e il conferimento della cittadinanza
28
mento di fratellanza era effetto della voce di un frate, e pro- babilmente di fra Bernardino da Siena, che per quei giorni appunto trovasi aver predicato in Foligno e in Spoleto dove,
come da per tutto, combatteva a tuttuomo le malnate divisioni di parte ( torbido mare che tanto sorride ai furfanti ) , e ai nomi e alle bandiere delle fazioni, contrapponeva il nome di lui che primo sulla terra inculcò la dilezione del nemico.
Solo i nursini erano ostili , e se ne avevano brighe ed offese ; e , tornando al tempo in cui l'autorità pontificia co- mandava che si volgessero le armi contro Cerreto e Ponte, che si erano dati al conte Francesco Sforza, è da sapere che Ni- cold Piccinino mandò delle sue genti ei nursini che aveva nel campo, contro Cerreto, secondando in ciò anche le solle- citazioni di Norcia, che gli offerì denaro per avere il dominio di quel castello. Nella state del 1442 caduto questo in mano dei Bracceschi , fu dal pontefice dato in governo ai nursini insieme ai luoghi che ne dipendono, tra quali comprese Nor- tosce, che è nel territorio di Ponte, già tornato ad obbedienza
folignate agli spoletini, e che è detto solo dominus predicator, lo crede altro uomo dal frate Francesco che in aprile disegnava la pace, e la colezione di Santa Maria del Piano di Trevi. Egli ritiene probabile che questo secondo dominus predicator sia San Bernardino da Siena,
perchè proprio in que' giorni esso era in Foligno, venutovi da Perugia,
d'onde partì il giorno tre di maggio, e diretto a Spoleto, di dove par- tito il giorno 11, si recò a Montefranco, il 12 a Piediluco, il 14 a Čivi- taducale, il 16 all' Aquila, ove il giorno 20 morì ( Umbria Serafica di fr. Agostino da Stroncone M. O. del secolo XVII. mss. ad Ann. 1444 ), —
Anche il Graziani ricorda la venuta di S. Bernardino in Perugia ai primi di maggio del 1444.
Ho detto che anche gli spoletini discutevano di concedere la loro cittadinanza ai folignati. Difatti nel consiglio del giorno 8 di maggio si legge : Quod pro manutentione pacis nuperrime facte ( in S. Maria del piano di Trevi) cum fulginatibus, placeat presenti consilio providere et reformare quod in civitate Spoletana homines de Fulginia eiusque co- mitatus , fortie et districtu , habeantur et tractentur tanquam civis Spo- letani in omnibus et per omnia, hoc anno dumtaxat excepto quoad a
gabellas cum idem dixerint Fulginati ut reformare in civitate eorum vide- licet etc. Ser Onofrio Damiani, e ser Tommaso ser Jacobi consigliarono che fosse adottata la proposta a condizione che una simile deliberazione fosse presa in Foligno, e nella misura di quella ( fogl . 6, 7).
Quanto alla predicazione di San Bernardino, abbiamo anche dal Campello, che in quest' anno egli fu a Spoleto, e vi predicò e operò prodigi ( Stor. lib. 37) .
II Platina nella vita di Nicolò V, scrive : « Canonizò S. Bernardino da Siena dell' ordine di S. Francesco perchè avesse, predicando, inse- gnando e riprendendo , estinto in gran parte i guelfi e i ghibellini , fa- zione pernigiosa d' Italia, e mostrato ai fedeli la via del ben vivere ».
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di Spoleto (¹). Gli spoletini non poterono ciò sopportare, e con una inaspettata spedizione, colti alla sprovvista , e messi a
morte quelli che erano a guardia di Cerreto, se ne imposses- sarono (2) . Se dobbiamo prestar fede ad alcune memorie nur- sine, avendo poi essi disegnato d' inoltarsi verso Norcia, parte per la via di Ponte e della Rocchetta, e parte per quella di Triponzo, siccome fecero, i Nursini opposero loro per l'una e per l'altra via gran numero di gente, avendo potuto ingros- sare i loro fanti paesani con le compagnie dello Sbardellato,
dello Scaramuccia e del Cervello che, militando forse col Pic- cinino per la Chiesa, stanziavano in que' dintorni (3) .
,
Si combattè alla Rocchetta , e presso Triponzo , con gravi perdite delle due parti. E seguitano dicendo che gli spoletini si ritrassero, e che le soldatesche che combattevano per Norcia, si gettarono sopra Cerreto ne rovinarono le rocche e ne arsero in gran parte le case (4) . Checche ne sia, è certo che di questo sossopra niun cenno si trova nei monumenti pubblici di Spoleto, e l' effetto si mostra contrario a questi successi ; imperocchè Norcia non riacquisto Cerreto. Difatti avendo Triponzo e la Rocchetta supplicato il papa di non essere riposte sotto i Cerretani per non sottostare alle ven- dette di quelli cui s'erano mostrate avverse , furono conce- dute a Norcia (5). Spoleto non aveva preso l'armi senza consen- timento de' Cerretani che poi il 5 febbraio 1445 mandavano un oratore che li raccomandasse e sottomettesse alla città , come a- vevano deliberato di fare sino da qualche tempo innanzi, quando era in quel luogo col titolo di luogotenente il Rossetto Cam- pello. Chiedevano intanto piacesse alla città di mandare un oratore al Legato perchè volesse trarre le loro castella dalle mani dei Nursini; e quando quegli ciò non facesse, fosse la città in loro aiuto per riprenderle. Desse facoltà agli uomini del di- stretto di Spoleto di praticare liberamente in Cerreto, e por- tarvi le loro derrate. Si mandò l'oratore al legato per le
(1) Bolla nell'Archiv. di Norcia, PATRIZI-FORTI, Mem. ecc. Lib. III. 51 (2) lvi.
(3) « Aquesti dì ( tra il 1 e il 17 di settembre 1442 ) venne la nova,
(1) Dopo il breve allegato nella nota della pag. 129, si legge cuius quidem brevis vigore, idem
dñus Gasper exposuit prefatam Illmam dñam Lucretiam die lune proximo futuro, qui erit duodecimus
pñtis mensis, in castro Porcarie cum omnibus eius curialibus prandium facere debet, et Spoleti
cenam; et quod nihil gratius summo pontifici fieri potest quam ut ipsa Dña Lucretia benigne ac
honorifice recipiatur; ac petiit sibi obviam ultra oppidum Porcarie micti ducentos pedites et armis
ac vestibus comptos. Et quod paretur sibi cenam sumptibus comunitatis Spoleti et Porcariam mictantur
aliqui cives ad eam prandio recipiendam cum suis curialibus. Queste cose il consiglio deliberò che
fossero fatte con 50 voti favorevoli e sette contrari. Non si vede chi fossero i commissari mandati a
Porcaria, ma forse furono quattro degli stessi eletti a provvedere a questa venuta, cioè Alberto Leoncilli, Giovanni Martani, Leonangelo di ser Luca, Antonio Transarici, Nicola Zucchetti, e Bindocio
Martani. (Riform. An. 1499. fogl. 89, 90).
Il giorno quindici, solenne per la festività dall’Assunta, Lucrezia riceveva nella sua
residenza i priori, che avuto da lei il breve del governo, ne la posero in possesso (1
).
(1) Die. XV angusti 1499
Accedentibus in arcem prefatis Magnificis Dñis Prioribus cum nonnullis civibus spoletinis ad requisitionem
Illme Dñe Lucretie Borgie ducisse Biselli, spoletanique ducatus gubernatricis, fuerunt eis per prefatam dñam
Lucretiam, exhibita duo brevia Smi D. N. in pergameno cum navicula petri in cera rubra impressa,
more romane curie, quorum tenor est infrascriptum.
Alexander pp. VI
Dilecti filii salutem et aplicam ben. Commisimus curam custodie arcis ac gubernij istius spoletane
ac fulginatis Civitatum nostrarum earumque comitatus et districtus Dilecte in Christo filie nobili
mulieri Lucretie de Borgia ducisse Biselli pro bono salubri ac pacifico regimine istorum locorum,
confisi de singulari prudentia ac precipua fide et sinceritate ipsius ducisse prout in aliis nris brevibus
latius continetur. Et licet pro vestra in nos et hanc sanctam sedem solitam obedientiam, speremus
vos pro debito vestro eandem Lucretiam ducissam tanquam gubernatricem vestram omni cum honore
et reverentia suscepturos, eidenque in omnibus parituros, cupientes tamen eandem prae ceteris
honorificantius ac reverentius recepi et admicti Mandamus vobis tenore presentium in quantum
gratiam nostram caram habetis, et indignationem cupitis evitare, ut eidem Lucretie ducisse, ac
gubernatrici vestre in omnibus et singulis ad dictum gubernium tam de iure quam de consuetudine
pertinentibus que vobis duxerit iniungenda tanquam ñre proprie persone obediatis, intendatis, ac
iniunta omni vestro studio ac diligentia exequi curetis, ita ut de vestra promptitudine valeatis apud
nos non immerito commendari. Dat. rome apud sanctum Petrum sub añulo piscatoris, Die VIIII
augusti MCCCCLXXXXIX. Pont. nri anno septimo
Hadrianus
(A tergo)
Dilectis filiis Prioribus populi et Communi Civitatis nre Spoleti
Alexander pp. VI.
Dilecta in Christo filia salutem et apostolicam ben. De bono et salubri regimine ducatus nostri
spoletani ac civitatis nre Fulginei, earumque comitatus et districtus paterna cura solliciti ac de tua
singulari fide precipuaque integritate et prudentia spetialem in dño obtinentes. Te in dictis ducatu civitate
comitatu et districtu Gubernatricem ad beneplacitum nostrum incohandum cum te primum illuc contuleris,
cum potestate, facultate, arbitrio, salario, emolumentis, honoribus et honeribus consuetis,
facimus constituimus et tenore presentium deputamus: Dantes tibi et concedentes plenam potestatem
et auctoritatem omnia et singula faciendi gerendi et administrandi que ad huiusmodi Gubernii officium
de jure vel de consuetudine spectare noscuntur, Mandantes nihilominus dilectis filiis Universitati
ducatus, civitatis, comitatus et districtus predictorum eorumque officialibus et comuni ut te ad dicti
guberni officium visis presentibus recipiant et admictant, tibique in omnibus ad illud spectantibus
tanquam nre proprie persone pareant et intendant. Thesaurario vero ut de salario consueto predictis
guberniis singulis mensibus tibi integre respondeat, contrariis non obstantibus quibuscumque.
Volumus autem quod si te contigerit de mandato nro abesse idem officium per idoneum substitutum
exercere possis. Juramentum autem quod ppea de fideliter gubernando prestare tenebaris, in manibus
nostris in forma solita iam prestitisti. Dat. Rome apud Scm Petrum sub annulo piscatoris. Die VIII
augusti 1499 pont. nri Año septimo
Hadrianus.
(A tergo)
Dilecte in Christo filie nobili mulieri Lucretie de Borgia ducisse Biselli, ducatus nri spoletani
ac civitatis nre Fulginei, eorumque comitatus et districtus Gurbernatrici.
Quibus quidem brevibus lectis et visis, prefati dñi Priores, ea qua decuit reverentia, admiserunt
et receperunt, ac obtulerunt se parituros omnibus que in dictis brevibus continentur (Riform. An.
1499.15 agosto fogl. 92, 93.)
Per le parole di quello è fatto manifesto che nei territori soliti a sottostare a Spoleto e
a Foligno era data a Lucrezia piena potestà ed autorità di fare e di amministrare tutto ciò
che per diritto e consuetudine era proprio di que’ governi. Il tesoriere era tenuto a pagarle
l’intero onorario dell’uno e dell’altro, non ostante qualsivoglia disposizione in contrario.
Potesse la governatrice, quando avesse da allontanarsi per volere del pontefice, reggere
per mezzo di un luogotenente; veniva esentata dal prestar giuramento di fedeltà, avendolo
già prestato nelle mani del papa. Fu suo auditore Antonio degli Umioli da
Gualdo, eletto a ciò dal papa (1
), e segretario Cristoforo Piccinino, che per volontà dello
stesso papa fu nominato cancelliere del comune procuratore e notaro della camera apostolica in Spoleto per tre anni (2
).
(1) Riform. An. 1499. fogl. 98, 108.
(2) Riform. detto an. fogl. 111. 112.
Nelle scritture pubbliche s’incontrono alcune orme del governo di Lucrezia. Ella domandò dapprima una coorte di balestrieri a spese della città, che
diceva necessari ad amministrare efficacemente la giustizia; e il comune, provatosi senza
effetto di sottrarsi all’insolito peso, si sobbarcò al dispendio dei foraggi e delle mansioni (3
).
(3) Riform. detto an. fogl. 94. 96.
Per le discordie co’ Ternani fece che fosse stipulata una tregua di tre mesi, nel qual tempo si
trattasse la pace, la quale però non si conchiudesse che con l’approvazione de’ centoventi
deputati super benevivendo civitatis Spoleti (
4
).
(4) Riform. detto an. fogl. 98, 99.
Il Campello afferma aver visto parecchi
decreti sottoscritti di mano della Borgia, tra quali annovera la concessione di una rappresaglia al cavaliere Alberto Leoncilli contro la città dell’Aquila, di cui quello illustre cittadino era
stato capitano (5
).
(5) Storia di Spoleto, lib. 38.
Nell’archivio del comune di Todi v’è una lettera in cui ella rende certi
i Priori d’aver dato buon ordine per la recuperazione del furto fatto al loro castellano; e
che in questo mezzo farebbe punire il delinquente in esempio de’ suoi pari; perchè non
potria essere arrivato, ella dice, in luogo dove potesse essere meglio castigato de’ suoi
peccati. E così l’avessero per iscusata se non patisse che il detto ladro fosse castigato in
Todi, perchè saria cosa impertinente all’onor suo. La lettera e data ex arce Spoleti die 21
aug. 1499 (1
). Ve n’è pure un’altra del 14 di settembre ai medesimi, in cui promette il suo
favore, perchè siano prese pronte ed efficaci provvigioni a far cessare le scelleratezze ed
uccisioni che commetteva Altobello da Canale, contro di cui, come dissi, erano già uscite
le genti pontificie (2
). Anche nell’archivio di Trevi si conserva una risoluzione del consiglio
con l’approvazione della governatrice (3
). Quantunque la dimora di Lucrezia in questi
luoghi fosse breve, ella vi si fece benvolere per la sua grazia e le sue dolci maniere, e per
quella assennatezza nelle cose di governo, che spiegò poi in modo singolare quando fu
duchessa di Ferrara.
Narra il Burcardo che dopo il 21 di settembre la duchessa lasciò Spoleto, chiamata dal papa a Nepi, di cui la fece signora; e che nell’ottobre tornò a Roma. (4
). Dì
là al cominciare del Febbraio 1500, rendeva avvisato il suo luogotenente del vicino
passaggio per Spoleto del duca valentino (5
). Il duca passò di fatto il 13 di quel mese;
e andarono ad incontrarlo a Foligno Saccoccio Cecili e il luogotenente Umioli, e gli
fu fatto un dono di cento fiorini di marca. Le sue genti, come il Comune aveva
decretato, alloggiarono nelle ville di S. Giacomo e di Egi; ed era loro data facoltà,
ove in que’ luoghi non volessero stare, di alloggiare appresso alla città, nelle case
fuori della porta romana e nella chiesa di S. Pietro (6
). Tornava allora il valentino
dalla sua prima spedizione di Romagna, dove con gli aiuti già pattuiti dei Francesi, si
(1) L’originale è nell’Arch. di Todi, fu pubblicato in un opuscolo del GUZZONI. Foligno 1851.
(2) L’originale nell’Archiv. di Todi, fu pubblicato dal LEONI nella Vita di B. di Alviano. pag.
156.
(3) Concessum quoad predicta ut petitur L. de Borgia Spol. Fulgineiq. Gub.
(Sigillo)
Datum in Arce Spoleti Die XXVII Septembris 1499.
Chr. Piccinin.
(4) BURKHARD. Diar. P. II
(5) Riform. An. 1500 fogl. 179.
(6) Riform. detto an. fogl. 181, 182.
137
era insignorito d’Imola, Cesena e Forlì.Andava alla volta di Roma dove entrò con pompa
trionfale. Il governo della sorella e la dimora fatta da lui stesso in altro tempo in Spoleto,
possono render ragione come due valentuomini spoletini, Alessandro Pianciani e
Pierfrancesco Giustolo, venissero a’ suoi servigi. Il primo, che era uomo di guerra, ne fu
prefetto delle artiglierie (1
), il secondo, che si trovava in Spoleto quando vi era Lucrezia,
andò con lui come segretario, e se ne fece istoriografo, narrando in canti, che chiamò
panegirici, le imprese del duca (2
). A chi si scandolezzasse che costoro si facessero a
seguire un uomo abominevole come Cesare Borgia, farò considerare che la sua fama non
era, mentre viveva, così enorme come è addivenuta nella storia; e che quantunque feroce,
(1) MINERVIO, lib. II. - Il p. Bracceschi trascrisse ne’ suoi Commentari dall’originale il seguente
diploma.
Cesar Borgia de Francia. Dei gretia dux Romandiole Valentieque Princeps Adrie, dñs Plumbini,
et Sacrosancte Romane Ecclesie Confalonerius et Capitaneus Generalis. Al Magnifico et nostro fedele et diletto Alessandro Pianciani, detto lo spoletino, se gli dà ogni potestà e che gli sia obediente
ognuno sì de’ soldati come delli popoli di castella e terre, che possi disporre a suo imperio e giudicio
tutto il negozio di pigliar l’artiglierie et servirsene etc. Datum Rome in Palatio Apostolico die 7 Junii.
Anno Dñi 1502, Ducatus nostri Romandiole anno 2.
Geraldus
Questa lettera è in pergamena. Il Bracceschi ne accenna un’altra del 6 giugno in carta bambacina
con la sottoscrizione di mano propria:
Cesar Borgia etc.
(2) P. F. JUSTOLI Opera etc. Spoleti 1855. pag. 148 - Riform. An. 1499. fogl. 96.
Anche altri Spoletini, con le dette occasioni conosciuti, furono al servizio del duca, e di uno ci
dà contezza la seguente lettera:
Magnifici viri Amici nri charmi sal. Inteso ch’el nostro dilecto Joanfrancesco de Silvestro è
extracto deli priori per li proximi doi mesi, ne avemo piacere per quanto ce è molto accepto el suo
ben servire, et non obstante tengamo per certo che per respecto nro removerete l’ostacolo de certa
contumacia se li oppone, nondemeno ce è parso per questa notificarve che receperimo da voi ad
piacere sia admesso allo officio non obstante l’ostacolo predecto, ad finchè li nri servitori non siano
tractati alla generale. Dat. Romae in palatio apostolico XXVIII. Junii 1503.
Cesar Dux romandiole valeñq. etc. S. R. E. Confalonerius et Capitaneus generalis.
Agapytus
A tergo
Magnificis Viris Prioribus Popoli et Coi Civitatis Spoleti, amicis nris Charmis (Riform. dett. an.
fogl. 288).
138
e lordo di sangue e di ogni bruttura, alti concetti ebbe, e nelle cose di stato prespicacissima
mente, cui univa bellezza di corpo, modi principeschi, e somma potenza, che sono come
dorature e splendide vernici, le quali hanno più volte celato le turpitudini,e fattele risplendere agli occhi dei contemporanei. Difatto si nota che grandi artisti come il Vannucci e il
Pinturicchio, dipinsero volentieri per la costui famiglia, e il gran Leonardo da Vinci con lui
si acconciò come architetto militare in Romagna; e nessuno ignora che il Macchiavelli lo
propone a modello nell’arte di fondare e reggere gli stati. Cesare Borgia era un facinoroso,
ma per alti fini. La stessa impresa ch’egli aveva a mano di fondare nel centro della penisola
un principato la cui estensione, quando si fosse tolta a misura l’ambizione del duca, si
sarebbe per avventura allargata dalle alpi a Taranto, potè facilmente affascinare quegli
animi della rinascenza, con le speranze d’un novello destino d’Italia.
(1) GREGOR. Vita di L. Borgia.
Il governo di Lucrezia non durò
più d’un anno; e trovasi registrato nelle riformagioni il breve del 10 agosto 1500, pel quale
fu nuovo governatore e castellano nominato Lodovico Borgia arcivescovo di Valenza, che
il 12 agosto lo presentava ai priori nella rocca, stando in una stanza della torre detta del
papa (2
).
(2) Riform. An. 1500 fogl. 264.
Ciò, dice uno storico, fece il pontefice senza ledere i diritti della figlia, consistenti
nelle ricche entrate di questo territorio (3
); ma ciò non appare dal detto breve, nè so da
quali documenti sia mostrato.
(3) GREGOR. Vita di L. B.
Dirò tuttavia come, essendo la Borgia già da più di un anno
duchessa di Ferrara, il 4 di luglio del 1503, con lettere sue e del suo segretario Cristoforo
Piccinino, concedeva facoltà al Comune di Spoleto di eleggersi, con certe norme da lei
prescritte, un cancelliere, riserbandosi di confermarlo. A questo officio, cui erano annessi
il notariato e la procura fiscale, il papa, non ostante il povero statuto del comune, aveva
nominato nel 1499, come dissi, per un triennio, il segretario Piccinino, e glielo confermò
persino che vivesse nel marzo del 1501, con facoltà di poterlo esercitare da sé, o per mezzo d’idoneo sostituto, che era quello appunto che la duchessa dava facoltà di eleggere al Comune. A Lei, sovrana di un altro stato, non si vede come potesse appartenere e importare
d’intromettersi nella elezione del cancelliere d’una città soggetta alla Chiesa, ed è da ritenere
che ciò avvenisse per i detti offici uniti di notaio e procuratore fiscale ossia della camera, sulle cui
entrate ella avesse veramente ancora dei diritti (1
). Nè quella intromissione nella elezione di un
cancelliere, si creda possa essere indizio di qualche diritto signorile sulla città, che se alcuno
sbadatamente chiamò Lucrezia duchessa di Spoleto, se il Muratori la disse governatrice perpetua di questa città, i documenti di quel tempo mostrano che presero abbaio; perocchè Lucrezia
(1) Riform. An. 1499. 18 settembre fogl. 111. 112. - An. 1501 marzo fogl. 2. - Similmente a ciò
che aveva detto nel primo breve, il papa dice nel secondo .... officium cancellerie Civitatis nre Spoletane
cum notariatus et procurationis fiscalium officiis illi annexis que de presenti ex concessione nostra
ad certum tempus nondum finitum obtines ..... per te vel per aliquem substitutum idoneum quoad
vixeris tenendum et exercendum cum salario, emolumentis, juribus, obventionibus, onoribus et
honeribus consuetis auctoritate apostolica tibi concedimus. Mandantes etc.
Il 20 di marzo del 1501, conseguentemente a ciò si legge nelle citate riformagioni: Ego Felicius
Marini de Spoleto substitutus R. Dñi Christofori Piccinini S. D. N. cubiculari ac Illm. Dñe Lucratie
Borgie secretarii, sumpsi officium cancellerie civitatis Spoleti, Bonis Avibus etc.
E il 22 marzo Spectabilis Contes Vitalis de Spoleto Camerarius Apostolicus Spoletinus tamquam
procurator Rev. Dñi Christofori Piccinini etc. (come sopra) exhibuit et presentavit il breve in cui è la
conferma a vita (Riform. ivi).
Le lettere del Piccinino e della Borgia del 1503, non furono trascritte nelle riformagioni, ma si
dice che per esse si dà ai priori e al Consiglio Spoletino, optio et facultas eligendi et nominandi tres
cancellarios cives spoletanos aptos ad exercendum officium cancellerie spoletane quorum unum
confirmabitur per suam eccellentiam, aut eligatur unus forensis doctus et expertus qua prestabit
consensum suum (Riform. 1503. fogl. 290). La lettura delle dette lettere fu seguita da una discussione in cui il cancelliere del comune, che era lo stesso Felice di Marino, e il modesta si ricambiarono
delle male parole come si vede dalla seguente deliberazione. Super literis Illme Dñe Lucretie Borgie
etc. Dñi priores eligant quatuor cives qui habeant mitigare modernum Potestatem Spoletinum (Giovanbattista Bosio di Faenza) et ser Felicium cancellarium pro verbis quae in hodierno Consilio
habuerunt, et grato modo rescribere prefate domine Lucretie et domino Cristoforo. (Riform. 1503.
fogl. 292). Ciò che importava a questo e alla duchessa erano gli emolumenti che si traevano dagli
offici che, come pare, venivano affidati a diversi sostituti da quelli cui erano infeudati. La duchessa
credette di favorire il comune facendolo essere a parte della elezione del cancelliere.
140
fu governatrice di Spoleto a tempo, come tutti i protonotari e tutti i cardinali che la precedettero e la seguirono.
Le sollecitudini della governatrice per la conchiusione della pace co’ Ternani
erano andate a vuoto come le precedenti; e poco andò dalla dipartita di lei che coloro
tornarono alle consuete offese. Alla metà di luglio del 1500, avendo seco grosse
compagnie condotte da Troilo Savelli e da Giacomo della Rocca, assalirono Cesi; e
quantunque al primo assalto fossero respinti, da ultimo, o per forza o per tradimento,
vi entrarono, posero la terra a sacco ed a fuoco, molti v’uccisero, e gettate giù le armi
di Spoleto scolpite sopra le porte, le trascinarono a Terni, ove le tenevano con gran
dispregio (1
). I Cesani ricorsero subito a Spoleto, e i loro messi introdotti nel consiglio il 17 di luglio narrarono que’ loro tristi casi (2
). Gli Spoletini, con grandissimo
sdegno, per l’onta ricevuta, si posero in animo di disfare la nemica città.
Alle milizie del Cirvillone e del Capranica mandate contro Altobello da Canale,
afforzatosi co’ suoi masnadieri in Acquasparta, si erano, come fu accennato, uniti gli Orsini,
i Baglioni e il Vitelli; furono mandati oratori a que’ capitani, come era stato fatto col Cirvillon,
per muoverli ai danni de’ Ternani, ed insieme al cardinale Orsini per essere giovati in ciò
dalla sua autorità (3
). Intanto si raccoglieva denaro per questo bisogno, e se ne fece depositario
il priore del duomo, perchè non fosse speso che per quella impresa (4
). Mandarono commissari pel dominio per mettere in ordine i fanti che dovrebbero muovere contro i nemici,
e fecero in Ancona gran provisione di lance (5
). Paolo Orsini nello stesso tempo chiedeva
agli spoletini aiuto contro i Colonnesi e i Savelli, e la sua domanda era avvalorata da un
(1) Cronaca MSS. ternana, presso l’Angeloni. P. II. - CONTELORI Memorie di Cesi cap. III. -
CAMPELLO, lib 38.
(2) Deinde venerunt in consilium Angelus Joannis fundati, ser lucantonius et Petrus mattus, de
Cesi oratores universitatis dicti castri, et exposuerunt quod diebus proximiis decursis eorum hostes
interamnates populariter et per proditionem intraverunt dictum oppidum et iterato illud deripuerunt,
et etiam insigna comunitatis Spoleti que sculpta erant supra portas dicti oppidi sustulerunt, et ea in
civitatem Interamne detulerunt, ubi cum magna ignominia tenentur. Verenturque ne in futuro dictum
oppidum aggrediantur; supplicaverunt propterea presenti consilio ut dignetur ipsos cesanos
commendatos suscipere, et eis opem ferre, ne cogantur ipsum oppidum derelinquere. Furono eletti
dodici cittadini a provvedere (Riform. An. 1500 fogl. 253. 255).
(3) Riform. An. 1500. fogl. 271.
(4) Riform. detto an. fogl. 272.
(5) Ivi.
141
breve del papa. Il 4 settembre i Priori con Dolce Lotti, Giovanni Martani ed altri cittadini,
eletti sopra ciò, stipularono con Paolo Orsini, che si obbligava anche pel fratello Giulio, e
con Vitellozzo Vitelli, la convenzione che Spoleto dovesse mantenere a servigio loro e
della Chiesa quattrocento fanti bene armati contro chiunque fosse designato dalla Santa
Sede, e che operassero quanto dall’Orsini, o da chi deputato da lui, fosse comandato.
L’Orsini e gli altri promettevano di andare contro Terni, e sforzarsi a poter loro di espugnarlo,e se bisogno ne fosse invaderlo, metterlo a sacco, e vendicare le ingiurie e le offese
fatte agli spoletini, per guisa che la detta città fosse ridotta a non potere più offendere
Spoleto, nè il suo territorio. Spoleto vi concorrerebbe con tutte le sue genti, e con quanto
più potesse di vettovaglia, e ciò non fosse differito oltre il corrente anno. Gli Orsini e gli altri
si obbligavano di più a procurare efficacemente che per gli offici del loro cardinale, Spoleto
conseguisse l’investitura di Cesi e delle Terre Arnolfe, e la restituzione di Montesanto e di
Cerreto che, quantunque di diritto incontroverso della città, erano tuttavia nelle mani del
duca di Camerino (1
).
I quattrocento fanti, condotti da messer Francesco di Giacomo, Moricone di ser
Michelangelo, Pierlorenzo di ser Tommaso, e Antonio di Pietro conestabili spoletini, furono all’assedio e alla espugnazione di Acquasparta, donde tornati si mossero
alla volta di Roma il 15 settembre 1500, ad operare secondo la convenzione contro i
Colonnesi e i Savelli (2
). E dopo ciò corrono dei mesi nè si vede alcun effetto delle
promesse dell’Orsini. Il 22 Giugno dell’anno seguente, avendo il Comune mandato
oratori a Roma perchè si adoperassero presso il cardinal Lodovico Borgia, affinchè
il suo auditore Antonio degli Umioli, resosi odioso ai cittadini, fosse rimosso da
Spoleto (3
), si unì a questa commissione anche quella di ricordare a Paolo Orsini i
patti della convenzione, perchè avessero finalmente effetto (4
).
I ternani, dopo il fatto di Cesi, quantunque il papa avesse comandato che ristituissero
ciò che avevano tolto a que’ terrazzani, e rifacessero loro i danni, non obbedivano, e or
qua or là rinnovavano le offese; e in aprile si erano notati sospetti armamenti nei paesi vicini
(1) Riform. detto an. 278.
(2) Riform. detto an. fogl. 283.
(3) Riform. detto an. fogl. 100.
(4) Riform. detto an. 1501. fogl. 65.
142
al territorio spoletino; per la qual cosa furono mandati commissari che guardassero i luoghi
di confine (1
).
Dopo la presa di Acquasparta erano stati con Altobello abbattuti i Chiaravallesi che si
appoggiavano ai Colonna e ai Savelli; e questi, in gran sospetto per le cose loro, s’erano
allontanati da queste contrade. Parve pertanto agli spoletini tempo opportuno alla designata impresa contro i Ternani (2
); e nell’arringa generale del 25Giugno 1501 fu decretata
la guerra (3
). Avendo però mandato oratori agli Orsini, per comunicar loro questa risoluzione, non si era conchiuso nulla (4), Intanto Gianpaolo Baglioni chiedeva che Spoleto
entrasse in una lega contro il signore di Camerino nemico comune, offererdosi per sua
parte d’intervenire ad ogni spedizione della città contro i Ternani con artiglieria e gente
d’arme (5
). L’affare fu discusso e conchiuso. Bastò la voce sparsa di questa lega perchè i
fuorusciti di Montesanto con alcuni nomini del distretto di Spoleto,corressero que’ luoghi,
e vi facessero preda, e prigioni. Il duca se ne lamentò col comune chiedendo la restituzione
della preda e delle persone, nonchè la punizione degli audaci autori della invasione, a cui
non voleva credere partecipasse il comune (6
),
Conchiuso adunque il trattato col Baglioni, si provvedeva subito vettovaglia, s’inviavano i
commissari a raccogliere i fanti dai diversi luoghi del dominio (7
); e a maggior sicurezza, e a
danno dei nemici, si posero fuorusciti e banditi a difendere il castello di Battiferro (8
). Sul fondamento di alcune differenze avute all’assedio di Acquasparta dai conestabili spoletini col Vitelli
per la divisione della preda; era sorto il timore che questi al bisogno volesse venire in aiuto dei
Ternani; ma le cose furono chiarite in modo, ed egli si mostrò così ben disposto verso gli
spoletini, che gli decretarono onori e donativi (9
). Ai
(1) Riform. detto an. fogl. 24, 27, 32.
(2) ... Cum igitur hec magnifica comunitas Spoletana multisque variisque sit lacessita iniuriis a
finitimis Interamnatibus, ut notum est, quisquis ad propulsandum vindicandumque tales iniurias
promptiore animo concitari debet, hoc presertim tempore quo hostes ipsi omni spe auxilii et favoris
destituti sunt. etc. (Rif. detto an. 24 giugno, fogl. 65)
(3) Ivi.
(4) Riform. An. 1501. fogl. 72.
(5) Riform. detto an. fogl. 78.
(6) Riform. detto an. fogl. 103.
(7) Riform. detto an. fogl. 105.
(8) Riform. detto an. fogl. 103.
(9) Riform. detto an. fogl. 102. 108.
143
primi di agosto Vitellozzo da Rieti venne a Piediluco (1
), e il 10 il Baglioni, che gli spoletini
avevano condotto a stipendio con sue genti d’arme, e fatto loro capitano generale in quella
impresa, giunse in Arrone, donde venne in persona a Spoleto per intendersi su quello che
fosse da fare (2
). Il giorno dell’Assunta, patrona della città, il Comune se ne uscì in campo
con tutto il suo sforzo; e si stette una notte nel territorio ternano presso S. Maria in Lauro
ad aspettare Giovanpaolo che s’era trasferito a San Gemini. Il dì 17 il Baglioni congiunse
le sue squadre con i fanti spoletini, e pose il campo vicino alla chiesa di S. Paolo presso il
fiume Nera; dove da due giorni dimorava, quando i Ternani, alla vista delle poderose armi
rivolte a loro danni da nemici lungamente irritati, nè sapendo che scampo si potessero
avere, vennero al Baglioni domandando pace con quelle condizioni che fossero a lui meglio piaciute. Erano presso il Capitano Generale cinque cittadini deputati a rappresentare
la città, e il cancelliere del comune, co’ quali si convenne di concedere la pace richiesta a
condizione che i Ternani senza indugio riponessero le armi di Spoleto sopra le porte di
Cesi, e si astenessero dal dare ormai altre molestie agli uomini di quel castello. I Ternani
accettarono le miti condizioni, e riposte essi stessi le armi di Spoleto nel luogo donde erano
state tolte, e dati statichi per l’osservanza delle promesse, gli spoletini levarono il campo, e
tornarono con festa alla patria (3
). Anche con Foligno fu allora raffermata la pace non
(1) Luogo allegato.
(2) Riform. detto an. fogl. 114. 115.
(3) Die XV augusti 1501.
Magnifica Communitas Spoleti et ejus floridus populus cum omni suo conatu exiverat in castra
contra finitimos et hostes suos Interamnates, duce et capitaneo Illustre dño Joampaulo de Ballionibus
de Perusia, artis bellice peritissimo, quod felici auspitio sit et possit esse ipsi Communitati Spoletine,
ac exitio cladique hostibus suis.
Die XVI augusti 1501.
Populus Spoletinus exiens contra Interamnates, una nocte permansit in territorio interamnensi
prope Sanctam Mariam de Lauro, expectaturus illm. Jo. paulum de Ballionibus ducem et capitaneum
suum, qui erat in oppido Sancti Gemini cum suis gentibus.
Die XVII augusti 1501.
Ill. Dñs. Jo. paulus de Ballionibus dux et capitaneus spoletini populi junxit copias suas cum populo
spoletino, et castra posuit in territorio Interamnensi prope ecclesiam sancti pauli sitam iuxta flumen naris,
144
troppo sicura. La guerra di francesi e di spagnuoli che in quel tempo travagliava l’Italia, e
quindi la necessità di guardarsi dagli stranieri, consigliavano la concordia tra vicini; e per
questa stessa cagione Monteleone si commendava novellamente a Spoleto (1
).
In questo tempo era stato conchiuso il matrimonio di Alfonso primogenito del duca di
Ferrara con Lucrezia Borgia; e la notizia se ne era diffusa per tutto, anche nelle campagne
per un breve di papa Alessandro che faceva precetto alle comunità di far cacciare e uccellare
quanto più si potesse,e quanta selvaggina fosse dato avere, e per giunta capponi e galline
nella maggior copia che fosse possibile, gli si mandassero per poter farne onore ai principi
ferraresi e loro compagni e seguito che per le feste del natale verrebbero in Roma per
condurre la sposa a Ferrara (2
). Spoleto era in aspettazione di rivedere la già sua avvenente castellana e governatrice; e giunto il breve che ne annunciava il prossimo passaggio, subito fu decretato che venisse raccolto quanto denaro occorresse, ed anche
quello destinato ad altri usi si spendesse in ricevere e trattare splendidamente la duchessa e la sua gran comitiva; Vedesi, da’ libri pubblici, un insolito darsi da fare, e
molti essere i cittadini destinati a diverse incombenze, intorno ai viveri, ai foraggi, agli
alloggi e simili. E ve n’ era bisogno, chè i soli signori ferraresi che accompagnavano la
Borgia erano cinquecento, e v’era la corte sua, e più vescovi e un cardinale e dame e
cavalieri spagnuoli e romani in gran numero (3
). Lucrezia, partita da Roma il sei di
gennaio (1502), giunse da Terni a Spoleto il giorno undici, e andò a stare nella
sub duos dies moram traxit; et Interamnates adeo metu perculsi sunt ne pacem petere cogerentur sub
conditionibus que prefato Ill. dño Jo. paulo viderentur.
Die XVIIII augusti 1501
Populus Spoletinus, datis conditionibus pacis et eis ab hostibus interamnatibus acceptis, et
assignatis obsidibus a dictis hostibus, castra movit et in patriam cum suo capitaneo rediit; lapide
cum insignis communitatis Spoleti sculpto, per Interamnates reportato ad oppidum Cesaris unde
abstulerant. (Riform. detto anno fogl. 117).
(1) Riform. An. 1501. fogl. 65. 78.
(2) Riform. detto an. fogl. 72. Breve del 7 dicembre. Tali richieste per parte del comune, per far
presenti a legati, protettori, papi ed altri personaggi, non sono rari, e molti esempi se ne incontrano
negli atti chiamati Precetti.
(3) Riform. An. 1502. fogl. 98.
145
rocca, che sarà stata assai probabilmente teatro agli spettacoli d’una compagnia di musici
e di buffoni che, per pensiero del fratello Cesare, seguiva la sposa per ricrearla. Gli ambasciatori ferraresi, che giorno per giorno tenevano ragguagliato il duca dei particolari del
viaggio, scrivevano che l’illustrissima signora duchessa, essendo tanto lei quanto le sue
dame molto affaticate,aveva deliberato di riposare a Spoleto un giorno intero. Dicevano
che era stata dapertutto ben veduta, e amorevolmente accolta con gran riverenza e dimostrazioni anche delle donne, essendo universalmente amata in questi paesi; nei quali, per
essere stata già nella legazione di Spoleto, era ben conosciuta (1
). Il giorno tredici la gran
comitiva partì e fu a Foligno, dove venne ricevuta alla porta da’ priori a piedi e vestiti di
rosato, che l’accompagnarono allo alloggiamento nella piazza. Vicino alla porta la duchessa fu incontrata da un trofeo sopra il quale era una persona che rappresentava Lucrezia
Romana con un pugnale in mano, la quale disse certi versi che importavano che, essendo
ella in questo luogo, sopraggiungendo Sua Signoria dalla quale per pudicizia, modestia,
prudenza e costanza era superata, le dava luogo, e cedeva (2
).
Cesare Borgia aveva con l’aiuto delle armi francesi, e con la sua arte diabolica,
condotta bene innanzi l’impresa contro i vicari pontifici. Dopo la vittoria di Faenza, che
fece tanto romore, piacendo al cardinal Borgia e a parecchi cittadini che si facessero
congratulazioni col duca e con Paolo e Giulio Orsini che militavano sotto di lui, fu mandato a Firenze, ove Cesare erasi condotto con l’esercito, Paolo Pontani che dovesse compiere quell’officio insieme a Pier Francesco Giustolo e Alessandro Pianciani che erano
presso il Borgia (3
). Il Comune non lasciò questa opportunità per raccomandare con
(1) Pozzi e Saraceni, da Foligno il 13 gennaio 1502 al duca Ercole. (Archiv. di Modena) lettera
pubblicata dal Gregorovius.
(2) Lettera sopra allegata.
(3) Cum intelligatur Illm. Dñum ducem Valentinum etc. Florentiam venisse cum suo exercitu,
videtur Rmo Dño Cardinali Borgie presidi Spoletano ac multis civibus huius Civitatis ut mictatur
unus civis in oratorem ... ad congratulandam eidem de victoria Faventie, ac etiam ad Illmos dominos
Ursinos qui sub eodem duce militant .... (Riform. An. 1501. fogl. 41) .... cum hoc, quod fiant littere
credentiales in personam ipsius civis et etiam Alexandri Pianciani, et Perfrancisci Justuli concivium
spoletinorum qui cum prefato duce sunt. (Ivi fogl. 43) - Prefati Dñi Priores etc. deliberaverunt
quod auctoritate presentis numeri mictatur ser Paulus Pontani etc. qui congratulari debeat etc.
(Ivi fogl. 47).
146
l’opera dei medesimi a Paolo e Giulio Orsini gli affari della città, massime quelli risguardanti
Cesi e Montesanto. È noto al lettore come questo castello venduto alla città da Pio II, gli
fosse poi tolto dal cardinal Giuliano della Rovere, e dato al duca di Camerino che era stato
con lui alla occupazione e sacco di Spoleto. Da quel tempo tra Camerinesi e Spoletini, che
non erano mai stati troppo amici, non vi fu che astio e sospetto. Questi non si stancarono mai di
richiedere ai pontefici il loro castello, e spesso n’era loro data speranza che non era mai seguita
da effetto. Anche sotto papa Alessandro furono acquetati con alcune comunicazioni segrete
che forse promettevano non lontano il tempo in cui il desiderio dei cittadini sarebbe stato soddisfatto (1
). Questo tempo pareva fosse giunto. Compiuto l’acquisto della Romagna, il Borgia si
apparecchiava ad assalire i Varano, già per più titoli dichiarati dal papa decaduti dal dominio di
Camerino. Agli ultimi di maggio 1502 Luca Gazeth commissario pontificio veniva provvedendo
al risarcimento delle vie e alla vettovaglia in servigio dell’esercito di Cesare. Passava a un tempo
alla volta del Piceno, provvedendo a quel che occorreva a questa guerra, Francesco Orsini
duca di Gravina; e il vescovo di Elna commissariogenerale mandava il cavalier Roberto Orsini
a Spoleto perchè ne levasse mille fanti per la stessa spedizione contro Camerino. Questi, sotto
il comando dello stesso cavaliere Roberto, erano per muoversi, come desiderava la città, per la
via di Cerreto e di Montesanto. Intanto circa la metà di giugno giunsero e furono accolti con
festa il duca Valentino, il cardinal Borgia, e Giulio e Paolo Orsini che passarono con gran
numero di fanti e di cavalli (2
). Erano pervenuti a Foligno, quando il cavaliere Roberto Orsini il
19 di giugno venne alla presenza dei priori con una credenziale del Borgia (3
), espo-
(1) Riform. An. 1492. fogl. 268.
(2) Riform. An. 1502. fogl. 46.
(3) Magnifici viri Amici nri charissimi Sal. Al magnifico et prestante cavaliero ursino soldato e
amico nostro dilectissimo exortamove et recerchamo prestiate indubitata fede in quanto ve referirà
da parte nra. Fulginie XIX junii M. D. II.
Caesar Borgia de Francia dux Romandiole, Valentieque,
Princeps Handrie, Dñs Plumbini etc.
Agapytus
(A tergo)
Magnificis Viris Prioribus Popoli, et Comuni Civitatis Spoleti amicis nostris charissimis
S. R. E. Confalonerius et Capitaneus Generalis.
147
nendo che questi voleva che il Comune di Spoleto mandasse all’impresa di Camerino un
fante per ogni focolare della città, contado e distretto, e che Sua Eccellenza prometteva
sino da allora alla città il castello di S. Giovanni, e di prestarle ogni opera e favore per la
recuperazione di Montesanto. Essere Sua Eccellenza contenta che i fanti spoletini tenessero il cammino di Cerreto e di Montesanto; che di là si portassero verso Camerino (1
). Chè
alla città era sembrato giusto di riacquistare con questa occasione quella parte del dominio
camerinese che era stata distaccata dal suo distretto. Partì il cavaliere con i detti fanti, che
ingrossavano per via, il 21 di giugno, e andarono con lui due cittadini come provveditori
per le spese (2
). Salito in montagna e trattenutosi qualche poco nel confine di Cerreto, si
vide raccolti intorno tremila fanti spoletini, di che prese grande animo; ma, chiamato dal
commissario generale vescovo di Elna, non potè più a lungo trattenersi, nè operare in que’
luoghi, e fu obbligato a prendere il cammino alla volta di Verchiano, dove però non lo
seguirono che quattrocento fanti. Tanto potè il vedere che sì lasciava l’impresa che più
importava al comune. L’Orsini venne per questo in grandissimo sdegno; e la città, temendo che a cagione di ciò la buona disposizione in che il papa e il duca erano verso Spoleto,
si convertisse in indignazione, con severi decreti, richiamò i fanti alle bandiere (3
). Erano
questi comandati da parecchi conestabili spoletini, di cui il più illustre, e degli altri capo, fu
Piersanto Cecili, più conosciuto col soprannome di Saccoccio (4
).
Mentre ciò avveniva da questa banda dell’appennino, il territorio camerinese era già stato
invaso da quella della marca d’Ancona ; e i pontifici s’erano insignoriti di Tolentino, di Civitannova
e d’altri luoghi. Il duca di Gravina con dugento cavalli tentava di avere per sorpresa o Pioraco,
o Serravalle, o S. Anatolia, ma fu rotto da Venanzo Varano, e costretto ad uscire dal Camerinese.
Gli spoletini, condotti da Saccoccio e uniti alle genti di Liverotto da Fermo, colle quali formavano un corpo di quattromila uomini, imperversavano dalla banda dei monti, e davano il guasto
(1) Riform. An. 1502. fogl. 53.
Et contentatur etian Sua Excellentia quod pedites Spoletini per territorium Cerreti et Montis
Sancti iter faciant, et inde se conferant versus Camerinum.
(2) Riform. detto an. fogl. 55.
(3) Riform. detto an. fogli. 57, 58.
(4) LILII, Storia di Camerino, Parte II. lib. VII.
148
alle campagne con impeto pari all’odio (1
). Al cominciar di luglio Cerreto, Montesanto e
Sellano ancora si tenevano per i Varano, e il cavaliere Roberto inculcava al comune di
Spoleto che si adoperasse a ridurli ad obbedienza del duca Valentino; perciò si decretò
che due dei priori v’andassero in persona, e menassero seco tutte le genti che rimanevano
(2
). Fu mandato oratore a Norcia a chieder gente contro Cerreto, rimproverando quella
terra del soccorso già dato al castello contro i patti del la lega, che credo esser quella
promossa dal Baglioni. Finalmente i camerinesi che avevano sino ad allora difeso que’
luoghi, non potendo aver soccorsi dai Varano, si arresero agli spoletini che presero il
castello a nome ed obbedienza del Borgia col consentimento del quale posero nella rocca
un castellano loro cittadino (3
). Anche Sellano si sottopose; e andarono due priori contro
Pilcanestro ed Elce con una compagnia di fanti guidati da Mariano di Michelangelo e
Francesco di Giacomo. Li sottomisero e n’ebbero statichi che mandarono al commissario
generale vescovo Elnense insieme ad un oratore che esponesse le cose operate da Spoleto
in servigio del duca Valentino, e raccomandasse a lui stesso, al detto vescovo, e agli Orsini
gl’interessi della città (4
). Intanto il Borgia con un perfido stratagemma, quasi come episodio dell’impresa, aveva occupato il ducato d’Urbino. Il ribaldo richieste amichevolmente
ed avute dal buon duca Guidobaldo tutte le artiglierie, per valersene, diceva, contro i
Fiorentini, le mosse con l’esercito contro lo stesso Guidobaldo che, sorpreso e disarmato,
non ebbe altro scampo che il fuggire con suo grandissimo rischio. Allora tutti i fanti e cavalli
di Cesare entrarono nel Camerinese. I Varano dovettero cedere all’opera di alcuni sediziosi che misero i nemici nella città, e il Borgia quanti n’ebbe nelle mani consegnò al coltello
del suo Micheletto. Alessandro VI, checchè ne fosse dei disegni del Valentino, investi di
quel dominio Giovanni Borgia fanciullo di cinque anni, e nella bolla con cui lo dichiarava
signore di quel ducato, specificava distendersene il dominio anche a Cerreto e a Montesanto,
luoghi dell’Umbria (5
). I Camerinesi, spaventati dall’atroce caso de’ loro signori, e delusi
nella speranza di acquistare le libertà comunali col tornare sotto l’immediato dominio della
(1) LILII, luogo allegato.
(2) Riform. An. 1502. fogl. 62.
(3) LILII, luogo allegato. - Riform. detto an. fogl. 65.
(4) Riform. detto an. fogl. VIII.
(5) LILII, Parte II. lib. VIII.
149
Chiesa, congiurarono contro lo stato nuovo, ed essendosi allontanati il Valentino e l’esercito, rimisero di notte nella città Giovannimaria Varano, il quale fu poi bene accolto e
applaudito (1
). Pervenuta tal novella in montagna, gli uomini di Montesanto misero nel
castello alcuni fanti di Foligno e di altri luoghi vicini, e tornarono nella soggezione del
Varano (2
). Gli spoletini, convenendo tutti nel parere di maestro Giovanni Martani, credettero essere del loro onore e di quello della Chiesa, il risottomettere Montesanto; e che ciò
si dovesse fare senza indugio, perchè nè aiuto potesse avere, nè provvigioni (3
). Furono
eletti sei cittadini periti delle cose militari per presiedere al campo e all’assedio,fu mandato
Bernardino di Lanfranco (Campello) a Cascia per averne aiuto, e a Norcia perchè non
desse soccorso agli assediati. Questa rispose darebbe all’incontro fanti e vettovaglia per
facilitare l’impresa degli spoletini (4
). Fu fatto partire di Spoleto il priore di S. Luca, il quale
come fulignate era sospetto; e si decretarono ordini e pene a guarentigia della spedizione
(
5
). Il castello venne stretto con grandissima celerità; e agli assediati era forza o di
morire di fame, o di rendersi in brevissimo tempo. Ma in pochi giorni Giovannimaria
Varano potè adunar fuorusciti di vari luoghi occupati dal Valentino, o altri a lui nemici,
e accompagnato da Bonuccio signore di Matelica e dal conte di Sterpeto, venne a
Montesanto con soccorso di vettovaglia, e vistosi avere cinquecento cavalli e cinquemila
fanti, tra Camerinesi, Matelicani, Urbinati, Perugini, Folignati, Ascolani, Cerretani,
Trevani, ed anche Norcini, assalì il campo degli Spoletini, i quali, poco ascoltando gli
esperti che li guidavano, furono sforzati a ritirarsi; ma poterono infrenare l’urto di
tanta gente, e rientrare illesi nel loro territorio, menando seco i prigioni che avevano
fatto (6
). Nè tardarono a fare nuovi apparecchi per tornare all’impresa (7
); ponendo
intanto i fuorusciti di Montesanto in Orsano per difendere quel castello, e offendere gli
uomini di Montesanto (8
). Poco di poi il castello, fuggito nuovamente il Varano da
Camerino per timore del Borgia che le veniva contro, tornò all’obbedienza della
(1) LILII, p. II. lib. VIII. - Riform. An. 1502. fogl. 143.
(2) LILII, luogo allegato. Riform. detto an. e detto foglio.
(3) Riform. detto an. fogl. 141.
(4) Riform. detto an. fogl. 143.
(5) Riform. An. 1502. fogl. 142.
(6) Riform. detto an. fogl. 144.
(7) Riform. detto an. fogl. 180.
(8) Riform. detto an. fogl. 145.
150
Chiesa (1
). Gli spoletini per mezzo di loro oratori erano intorno al cardinale Orsini perchè
volesse intercedere presso il pontefice affinchè la città avesse facoltà di recuperare
Montesanto (2
). Ma il legato della Marca e il governatore di Camerino li esortavano intanto risolutamente a desistere da ogni disegno su quello, e a porne in libertà senza riscatto i
prigionieri, perchè dovevano sapere come quel luogo fosse di sua santità e del duca Giovanni Borgia (3
). Siffatte intimazioni, i dissidi interni, le inimicizie esterne, la necessità di dar
gente al duca Valentino, e altre brighe fecero differire l’impresa. Ho detto altre brighe,
imperocchè papa Alessandro, ove ai fatti più che alle apparenze si voglia guardare, meglio
che a concedere ville e castelli, o a riconoscervi i diritti altrui, era intento a trarli a sè, per
farne materia di lucro; e non che disposto fosse di restituire agli spoletini Montesanto, pare
andasse cercando di rivendicare altre parti del loro dominio. Ho più volte narrato come il
Comune s’adoperasse indefessamente presso tutti coloro che potevano giovargli in curia
di Roma, per la conferma di Cesi e di altre delle terre Arnolfe, quando improvvisamente un
breve del 18 luglio 1502, rivendicando ai Chierici di Camera tutte quelle terre senza eccezione, privava la città anche di quelle che possedeva pacificamente da centinaia d’anni, e si
dove’ al sapere e all’industria di valorosi giureconsulti, se la esecuzione del breve fu sospesa, e diede tempo ad avvenimenti che favorirono i diritti degli spoletini.
Il castello di S. Giovanni che era detto di Bitonta, tolto a Spoleto quando fu privato di
Montesanto, malcontento dei Trevani, forse perchè il giogo che impongono i piccoli ai
piccolissimi è sempre più grave di quello che gl’impongono i grandi, s’era volontariamente
ridato a Spoleto, facendo entrare nelle sue mura alcuni spoletini perchè lo tenessero per la
città (4
). Pei richiami di Trevi il papa ordinò al cardinale Legato che prendesse quel luogo
in sua podestà, sino ch’egli disponesse altrimenti (5
). Alle istanze poi che gli si facevano dai
cittadini perchè volesse confermare la dedizione degli uomini di quel castello, posto l’affare nelle mani del cardinal Borgia, già governatore e protettore della città, altro non s’ebbe
(1) Riform. An. 1502. fogl. 180. Lettera del 13 Dicembre.
(2) Riform. detto an. fogl. 145, 162.
(3) Riform. detto an. fogl. 180. 185. Lett. del 31 Dicembre.
(4) Riform. detto an. fogl. 50.
(5) Riform. detto an. fogl. 121.
151
in risposta che sua Santità voleva il castello di Ponte, e che per quello darebbe S. Giovanni
o qualche altra ricompensa che fosse onesta (1
). Il comune per avere una risposta più
favorevole ai suoi interessi rinnovava ambascerie, prodigava donativi di argenti, e di zafferano, che era in quel tempo ricco prodotto del territorio spoletino, e specialmente delle
terre di Bazano, la cui coltivazione era appunto allora soggetto al Giustolo di un leggiadro
poemetto; ma la risposta non veniva, nè Lodovico Borgia pareva valesse ad ottenerla.
Pure non più oratori al cardinale Orsini, o a Paolo, o al duca di Gravina, chè Sinigaglia,
città della Pieve e Castel Santangelo l’avevano visti sotto la mano del Valentino, chiuder gli
occhi ad un sonno troppo profondo (2
)!
Cessato il governo di Lucrezia, in questo tempo duchessa di Ferrara, Lodovico
Borgia come narrai aveva retto il ducato di Spoleto in persona; fatto cardinale, lo
governò per luogotenenti; che furono nel 1501 un Carlo vescovo Vestano (3
), nel
1502 un Rinaldo di S. Cilia (4
) poi, nel novembre, Francesco Marrades (5
).
Al cominciare del 1503, compiuta l’impresa di Senigallia, e fatta strage de’
suoi capitani per punire in loro il delitto di aver cercato il modo di non essere da lui
sterminati, Cesare Borgia entrava nell’Umbria, città di Castello e Perugia gli si
sottomettevano, fuggendone i Vitelli e il Baglioni. Si aspettava a Spoleto il passaggio del duca con poderoso esercito, e si facevano gli apparecchi (8
); ma non vi
passò, chè si volse contro Siena, e di là, nei primi giorni di febbraio, a gran passo nel
(1) Riform. detto an. fogl. 265.
(2) Ognuno, che non sia affatto digiuno della storia d’Italia, sa quale fosse la fine di costoro,
uguale a quella dei Varano, dei Vitelli, di Liverotto e di altri. Atroce per verità, sebbene taluno
dicesse che in generale erano così rei anch’essi e così crudeli, che non altro meritavano che un tal
carnefice! L’uccisione dei capitani, colti con inganno a Sinigaglia, non parve una mala azione, ma un
capolavoro di finezza per abbattere dei traditori. Il Macchiavelli l’ammirò, il re di Francia la disse
un’azione da romano; egli stesso il Borgia ne scrisse, gloriandosene, al Doge di Venezia, e ne riceveva congratulazioni anche da principesse. E anche Spoleto fece ciò, avendolo però eccitato a farlo il
governatore. Cum illmus dux romandiole his diebus ceperit ducem Gravine dominum Paolum Ursinum,
occisique sint vitellotius de vitellis de Castello, et dñs Liveroctus de Firmo in obsidione Senogallie,
videtur Sue Rvde Dominationi quod comunitas spoletana tanquam fedelissima etc. mictere debeat
oratorem ad Excellentiam Ducis etc. (Riform. 1503 - 5. gennaio fogl. 179.)
(3) Riform. An. 1501. fogl. 33, 35.
(4) Riform. An. 1502, fogl. 61.
(5) Riform. detto an. fogl. 152.
(6) Riform. An. 1503, 8 Gennaio. fogl. 182, 183.
152
patrimonio, dove gli Orsini e i Savelli uniti erano in armi per riprendere le loro terre e
vendicare gli uccisi congiunti. Nulla di meno si dove’ mandare gran quantità di strami e di
biade a Foligno, dove andò anche un oratore del comune (1
). Una parte poi di quelle genti,
e familiari e uomini del duca, del cardinale Borgia e di altri, tennero questa via (2
); e tale
passaggio fu cagione alla città di non poche noie. Un capitano Pietro Mazo vi fu svaligiato
e ferito da alcuni villani non so in qual parte del territorio; Simoncino da Pistoia ed altri suoi
compagni familiari di Virgilio e Mario de’ Crescenzi gentiluomini della guardia del duca,
furono derubati di robe e denari nella valle di Strettura, e questi ed altri domandavano ai
priori di esser rifatti di ciò che era loro stato tolto, e minacciavano rovine. Ma ciò che avrà
messo i brividi nel sangue dei Magnifici, fu la comunicazione fatta al Consiglio il 10 febbraio dall’auditore del Marrades, che il giorno innanzi, passando il Signor Giacomo Borgia
con i cavalli del duca, un villano di Beroide aveva proferitoparole ingiuriose contro il duca
e l’esercito. Richiedeva che per salvare Spoleto da qualche sciagura, si punisse severamente la comunità di Beroide e il castello fosse disfatto dai fondamenti, perchè lo sdegno
che potesse concepire il duca per questa enormità, si mitigasse, sapendo come l’ingiuria
fosse stata esemplarmente vendicata (3
). Il consiglio si affrettò a rispondere che approvava
qualunque più severa dimostrazione che si facesse contro i colpevoli, e che darebbe in ciò
al governatore tutto l’aiuto che occorresse. Comandò poi che a spese dei Beroitani si
mandassero oratori al cardinal Borgia e al vescovo d’Elna per informarli dell’avvenuto e
della dimostrazione sinora fatta dal consiglio, il quale voleva avesse piena esecuzione quella maggior pena che paresse all’eccellenza del duca. Intanto i Beroitani, spaventati,
(1) Riform. detto an. 190, 193.
(2) Riform. detto an. 184.
(3) Venit in dictum consilium clarissimus utriusque juris doctor Dñs Hieronimus Bertachinus
de Firmo auditor Reverendi Dñi Gubernatoris Spoletani, et nomine sue dominationis exposuit qualiter
ad eius notitiam pervenit quod quidam rusticus de villa Beroiti dum hac pridie transiit Dñs Jacobus
Borgia cum equis Illmi Domini Ducis Valentini, protulit certa verba contra prefatum Illmum Dominum
Ducem et eius exercitum, audientibus nonnullis comitibus dicti dñi Jacobi; et ne civitas Spoleti pro
dictis verbis aliquid detrimenti patiatur, petiit a presenti consilio provideri quod contra universitatem
Beroiti severa punitio fiat, et oppidum Beroiti solo equetur pro tam enormi maledicto, ut ira quam
forte prefatus Illmus Dñs Dux concepturus est adversus hanc comunitatem spoletinam, mitigetur
(Riform. An. 1503. fogl. 195).
153
per comando dei priori presero l’imprudente villano, che si chiamava Caterino Lauri; e il
bargello catturò parecchi altri Beroitani. Caterino per volontà del governatore fu posto
nelle carceri del podestà ad aspettare la mala ventura che gli fosse toccata (1
). Non si sa
che cosa ne avvenisse, ma il buon animo del cardinal Borgia portò rimedio a tutto, e
l’oratore Sebastiano Mascelari, riferendo al consiglio della bontà del cardinale, inculcò,
con espressioni forse più fiere di quelle che potesse avere proferito il villano di Beroide,
che si provvedesse a mantenersi benevolo siffatto signore, in questi tempi in cui è difficile vivere senza protezione (
2
). Il cardinale fu eletto protettore della città, e regalato di un
ricco presente di argenti (3
). Si può immaginare, dopo il brutto pericolo corso, come il
comune si desse da fare quando giunsero lettere del Valentino che raccomandavano il
Mazo, e i familiari dei Crescenzi, affinchè fossero ristorati dei danni ricevuti. Pure Tommaso
Accursini non ebbe paura di dire in consiglio che se queste cose avvenivano era colpa dei
superiori, che non punivano i malfattori (4
).
(1) Riform. detto an. fogl. 196, 199, 202, 203, 204,
(2) Riform. detto an. fogl. 213.
(3) Riform. detto an fogl. 214.
(4) Riform. An. 1503. fogl. 276. - Trascrivo le lettere del Borgia.
Reverende pater et Magnifici viri amici nri charissimi sal. El presente exhibitore serà el nostro
dilecto capitanio de fantaria Pietro Mazo, quale vene per domandare el suo et revalerse de le robbe et
denari li furono robbati da certi vostri contadini homini de malaffare, et per restoro delle ferite
recevute et danni et interessi corsi. Exortamovi et strictamente recerchamo che come se apartene a
soldati postposte cacavillationi et sotterfugi, vogliate ministrarli favorevole justitia et expedita con
farli restituire integramente le robbe predecte ad fine che possa retornar con presteza ad continuare in
li servitii nri, et non siamo necessitati per la soa indemnità fare altra provisione contra de quella
comunità: del che ce rencresceria assai per la affectioñ le portamo. Dat. rome in palatio apostolico XI
maii. 1503.
Cesar Borgia de Francia dux romandiole, valentieque. Princeps hadrie et Venafri. Dñs
Plumbini, ac
Agapytus
(A tergo)
Reverendo patri Gubernatori et Magnificis viris Prioribus et Coi Civitatis Spoleti amicis nostris
charissimis
S.R.E. Confalonerius et Capitaneus Generalis. (Rif. detto an. fogl. 259).
Magnifici viri amici nri Charmi sal. Come per altre nostre ve havemo scripto continuamo per
questa exortarve vogliate incontinenti provedere che sia integramente satisfacto tucto el resto de
154
Il Marrades, che nel dicembre del 1502 era stato di luogotenente creato governatore
in luogo del cardinale, era risolutamente operoso; e da sè stesso cavalcò co’ priori per
prendere taluni di Montefranco, che avevano svaligiato nel territorio ternano un cavallaro
della repubblica di Venezia (1
). Ma egli era altrettanto dispotico. Fece prova di abolire la
consuetudine dei numeri, ossia, come ora direbbero delle commissioni di cittadini che il
consiglio soleva deputare a trattare speciali negozi; e il 21 d’aprile del 1503, mandò a’
Priori un precetto vietando queste, da lui chiamate, perniciose conventicole, sotto
denari, robbe e altre cose che alli mesi passati, forno robbate sul vostro terreno in valle de strectora alli
famigli delli dilecti Gentilhomini della guardia nostra Virgilio et Mario de Crescentii citadini romani, non
aspettando che supra de questo se habia ad fare altra provisione, ad nui farete piacere molto accepto.
Dat. Rome in palatio apostolico, Die VIII. junii 1503.
Caesar Borgia de Francia dux romandiole valentieque.
Princeps hadrie et Venafri Dñs Plumbini
Agapitus
(A tergo)
Magnificis Viris Amicis nostris charmis Prioribus populi et Comuni civitatis Spoleti
S. R. E. Confalonerius Et capitaneus Generalis. (Rif. detto an. fog. 275).
Per non aver luogo più acconcio, pongo qui un’altra lettera del Borgia che trovo registrata nelle
Riform. del 1502, 1503. fogl. 18. non parendomi, poichè mi sono in essa abbattuto, doverla lasciare
inedita.
Magnifici viri Amici nri Charissimi salut. Informati chel nro fidele et dilecto subdito M. lepido
Deli Antiqui da forlì per haver per spatio de tempo hauta la lectura in quella città de Spoleti, intende
licentiarse da voi per altri soi desegni. Recercamovi strectamente, et exhortamo vogliate integramente satisfarlo de la sua mercè; et in questo portarve inverso de lui sicome intendemo che le bone opere
sue ha meritato, et che ultra sia debito a li meriti et servittii soi ce serra multo accepto. Dat. rome in
palatio aplico III. aprilis MDII.
Borgia de Francia Dux romandiole
Cesar
valentieque Plumbini Dñus etc. Ac
(A tergo)
Magnificis Viris Prioribus populi et Coi Civitatis Spoleti Amicis nris Charmis.
S. R. E. Confalonerius et Capitaneus Gñalis.
(1) Riform. An. 1503. fogl. 244.
155
pena di diecimila ducati d’oro. Il consiglio, grandemente meravigliato di questo arbitrio,
deliberò di mandassero al governatore alcuni cittadini per sapere donde venisse una tal
novità, se da Roma, o dalla sua testa; e quando venisse da lui, si pregasse Sua Signoria a
voler revocare il precetto; se da Roma, gli oratori che v’erano per altri affari, difendessero
la città dalle infamie in quello contenute, come da altre apposte alla città da’ suoi emuli. In
ogni caso si mostrassero al governatore, lo statuto e le riformagioni come richiedeva lo
stesso suo cancelliere. Queste rimostranze e i lamenti degli altri cittadini sforzarono il
Marrades a temperare e quasi a revocare il precetto (1
). Del rimanente contro di lui si
levavano incessanti querele di soprusi e d’ingiustizie, per modo che fu rimosso dal governo
nel giugno dello stesso anno. Partitosi da Spoleto, il cardinale, cui come a protettore,
erano giunti tanti richiami, ve lo rimandò, perchè fosse sottoposto a sindacato (2
). Gli fu
dato a successore Giovanni Cases protonotario, già segretario del cardinale, e uomo di
tempra migliore (3
).
Ma già la lugubre voce che insistente chiamava il papa, riferita dall’ambasciatore di Mantova; e il satanico abate, ricordato dal Maturanzio; tetre immagini di tremende verità, si avvicinavano alle stanze del vaticano.
Il 19 agosto 1503 i priori di Spoleto e i dieci sopra le cose dei castelli, mandarono improvvisamente in montagna il nobile Bartolomeo d’ Achille con piena facoltà di raccoglierne gli uomini in armi, di entrare, quando gli venisse fatto, in
Montesanto, e di tenerlo per allora a devozione della Chiesa, e del duca (4
). Il
giorno innanzi era morto il papa, e il Valentino giaceva in vaticano impedito da
gravissima infermità. I cacciati, gli oppressi tornavano e risorgevano da ogni parte;
i seguaci dei Borgia erano presi dovunque da sgomento. Gli Orsini, sopravvissuti
alla uccisione dei loro congiunti, entravano in Roma con loro genti, per farne vendetta. Nella battaglia che questi ebbero co’ difensori del vaticano, morì combattendo quell’Alessandro Pianciani che, essendo stato come dissi prefetto delle artiglierie del Borgia, era poi tornato a militare con gli Orsini che lo avevano educato a
quel mestiere (5
). Nel tempo di questo rivolgimento sembra che Pierfrancesco Giu-
(1) Riform. An. 1503. fogl. 536, 240, 246.
(2) Riform. detto an. fogl. 238, 239.
(3) Riform. detto an. 3 luglio fogl. 286.
(4) Riform. detto an. 19 agosto fogl. 29.
(5) MINERVIO, lib. II. cap. III. 14.
156
stolo, che dicemmo essere similmente ai servigi del duca di Romagna, si trovasse in Faenza
con qualche officio, perchè levato dai Faentini il rumore addosso agli officiali del Borgia,
che si ripararono nella rocca, il poeta, come narra egli stesso perdette in quel trambusto
tuttociò che aveva, compresa la maggior parte dei suoi scritti. Ma assai presto egli si
dovette racconsolare della perdita, essendo venuto in gran favore presso Felice della Rovere (1
).
Qui intanto Bartolomeo d’Alviano, venutoci di Venezia a dar mano agli amici
in quel trambusto, e Giampaolo Baglioni cui egli aveva già aiutato a riaver Perugia,
formavano con Lodovico degli Atti e Fabio Orsini una colleganza per compiere la
rovina dei Borgia, che ancora si sostenevano, tenendosi aggrappati al papato. Anche
Spoleto fu invitato ad entrare nella cospirazione, ma Pio III, succeduto per pochi
giorni ad Alessandro, aveva mandato commissario il vescovo di Worcester per ammonire la città che non entrasse in quella lega; e non solo si fece la volontà del papa,
ma fu il commissario ben trattato e regalato di zafferano e di tartufi (2
). Gli spoletini
volgevano invece le armi dove indicavano i loro interessi; e poichè il tentativo del
commissario mandato in montagna non aveva potuto conseguire l’effetto desiderato, chè Montesanto era ben munito, e ben guardato dai Camerinesi, mandarono ora
colassù Piersanto Cecili con il maggiore sforzo di fanti che si potè, e gli affidarono
quell’impresa. Egli compì tutte le parti di esperto e valoroso capitano, e con le artiglierie e con gli assalti costrinse gli assediati per modo, che i camerinesi, vedendo di
non potersi sostenere, nè sperando alcun soccorso, in breve resero il castello che si
sottomise al Comune. Fu tanta la soddisfazione e l’allegrezza del paese per quella
recuperazione da così lungo tempo desiderata, che i suoni, i plausi e le fronde festive
accolsero i vittoriosi cittadini. Il Saccoccio ebbe in ricompensa del servigio reso, l’esenzione a vita dalle pubbliche gravezze; il governatore Cases, che aveva secondato l’im-
(1) P. F. JUSTULI Opera, Spoleti 1855. pag. 18.
(2) Al detto invito, mandarono oratori all’Alviano e’ al Baglioni perchè con ogni studio si
argomentassero convincerli quod interest comunitatis Spoleti ut non intret in huiusmodi
confederatione, ne imputetur apud superiores .... (Riform. An. 1503. 28 settembre. - fogl. 9). Deliberata fuit bullecta .... de zaffaramine et tuberibus, pridie dono datis nomine civitatis Spoleti Rmdo
Epo Vigorniensi Smi. D. N. Commissario, qui huc venit ad inhibendum conspirationem cum Dñis
Bartholomeo de Alviano, Fabio Ursino, Joampaulo De Ballionibus et Lodovico de Actis. (Rif. detto
an. 6 ottobre fogl. 15).
157
presa, fu fatto cittadino (1
); e fu eletto podestà di Spoleto, come gli era stato promesso, ser
Paolo de’ Passeri di Sangenesio, già podestà e castellano di Montesanto, che nel tempo
dell’assedio, s’era assai ben diportato verso Spoleto (2
). Il Comune adoperò tutti i modi
per assicurarsi il possesso di quel castello con buone munizioni e artiglierie; e facendovi la
rocca quasi nuova co’ disegni di quello stesso Ambrogio da Milano che edificò il portico
della cattedrale, e che in quegli anni trattenevasi ancora a Spoleto (3
), dove nel 1499 gli era
stato allogato il monumento che il conte di Petigliano faceva innalzare al cavaliere Francesco suo figliuolo, morto in questa città; il qual monumento, notevole per eleganti ornati,
sorge nella stessa cattedrale di fronte a quello del Lippi (4
). L’acquisto di Montesanto
ebbe le consuete incresciose conseguenze di fuorusciti e banditi che ne molestavano gli
uomini e il territorio, riparandosi, se fosse loro data la caccia, nel terreno camerinese. Fu
mandato lo stesso Saccoccio a rimettere gli sbanditi che si sottoponessero, e a confiscare
gli averi dei contumaci (5
), ma anche dopo il risoluto provvedere di questo alacre soldato,
ricominciarono coloro le rapine e gli omicidi in guisa, che si dovette giungere col rigore sino
a cacciarne dal castello le mogli e le figlie (6
).
Poco dopo il detto acquisto, con l’animo che soleva dare alle audaci imprese la sede vacante, si deliberò di riprendere S. Giovanni, che poc’anzi era stato dato nelle mani di un commis-
(1) Riform. An. 1503. fogl. 24.
(2) Riform. detto An. fogl. 3, 4.
(3) Riform. An. 1503 al 1504. fogl. 2. 98. 137.
(4) Il conte di Petigliano mandò al comune, per quest’opera, centocinquanta ducati d’oro, e il
contratto fu fatto il 9 febbraio 1499. Il monumento si dovesse porre ove era quello di Marino Tomacelli,
traslocando questo nella stessa cappella, fosse fatto in pietra di Faubello, col disegno di maestro
Ambrogio. Dovesse compiersi dentro due anni (Rif. An. 1499. fogl. 5). Il contratto insieme a quello
del portico della cattedrale, fu pubblicato nel Giornale di Erudizione Artistica di Perugia 1874,
Volume III pag. 153. Nel monumento fu incisa questa pomposa iscrizione:
HIC. IACET. AURATA. FRAN. TORQUE. SUPERBUS.
PATRIA. CUI. FUERAT. ROMA. SED. VRSA. DOMUS.
VIX. QUATER. ELEI. NVMERABAT. PREMIA. CVRSUS.
DVM. CVPIDV. AD. PREM. PARCA RECLUSIT. ITER.
SPOLETI. CINERES. REQUIESCIT. SPIRITUS. ASTRIS.
NOMINIS. AT. TOTO. SPARGITUR. ORBE. IUBAR.
(5) Riform. an. 1504. fogl. 100.
(6) Riform. detto an. fogl. 141.
158
sario pontificio. V’è chi riferisce che papa Alessandro, avesse già concesso il castello a
Spoleto, che ne faceva così assidue istanze, ma che essendo morto innanzi che il breve
avesse potuto avere effetto, vollero gli spoletini aggiungendo alla concessione il possesso,
antivenire ogni disposizione contraria. Il castello fu assediato dallo stesso Saccoccio, e
valorosamente combattuto, fu preso innanzi alla metà di settembre; chè sotto il giorno 10
di quel mese si trova registrata una ricompensa data a maestro Cristoforo e a un suo
compagno di Montesanto, per le cose da essi operate in detto assedio (1
). Vi furono uccisi
il commissario e parecchi altri che v’erano a difesa e, secondo le accuse dei Trevani, senza
rispetto a un salvocondotto che avevano avuto.
Tennero gli spoletini il castello sino che venne al pontificato Giulio II, il quale con
un breve del 20 dicembre 1503 (2
), lo restituì ai Trevani, cui lo aveva dato nel tempo
della sua legazione del 1474, che fu alla città tanto infausta. La pubblicazione di quel
breve fu seguita dall’uccisione di Giacomo e di Ettore Castelli cittadini spoletini fatta
da alcuni di S. Giovanni del partito trevano. I priori richiamarono subito gli officiali di
quel luogo, sostituendone altri, e vi mantennero il loro potere, mandandovi anche munizioni e guardie (3
). Intanto si adopravano per la revoca del breve, facendo perciò
ricorso a tutti i personaggi loro amici. Si allegava la restituzione del castello, che era di
loro antico diritto, essere una ricompensa promessa da Cesare Borgia per i servigi che
il comune aveva reso nella guerra di Camerino, e papa Alessandro averla, consentita.
L’oratore Orfeo Ungario, valentissimo giureconsulto spoletino, con la destrezza sua e
con gli offici del duca di Urbino, e del vescovo di Famagosta segretario del papa, pote’
far sospendere l’esecuzione del breve, e dare adito e tempo alle ragioni addotte dagli
spoletini (4
). Ma i Trevani non se ne stavano con le mani alla cintola; talchè il papa non
ne volle sapere di ulteriore indugio, e confermò il primo breve con un secondo del 16
aprile 1504, che conteneva minacce di gravissime pene (5
). Il 20 di ottobre il castello
era ancora in mano degli spoletini; quando giunse loro avviso per lettere pressanti del
cardinale Giovanni de’ Medici, e del vescovo di Policastro cittadino spoletino, che il
(1) Riform. An. 1503, fogl. 39.
(2) Riform. An. 1503 al 1504. fogl. 84.
(3) Riform. detto an. fogl. 85, 97.
(4) Riform. detto an. fogl. 92. 98.
(5) Riform, detto an. fogl. 177.
159
papa era venuto in grandissimo sdegno contro la città per non fatta consegna di S. Giovanni (1
). Convenne obbedire, e il castello fu consegnato. Una gran parte degli abitanti lasciarono allora quel luogo per avversione ai Trevani, e per devozione al Comune di Spoleto,
che provvide ai loro bisogni (2
). Ciò pose tra spoletini e trevani un aspro dissidio che durò
a lungo con gravissimi danni. Era la città minacciata in quello stesso tempo di altre perdite,
chè in que’ medesimi giorni venne nelle terre Arnolfe per la camera apostolica un
Giovannantonio de’ Rogeri da Sutri con commissione, confermata da un breve pontificio,
per la quale si commettevano alla sua autorità oltre gli altri luoghi anche castra et oppidula
Vallis Peracchie et Vallis Paganici, che da tempo immemorabile erano compresi nel
dominio di Spoleto. Ma gli officiali della città in que’ luoghi, non lo vollero ammettere nè
riconoscere, e il comune per mezzo dei suoi giureconsulti fece opposizione ne’ tribunali; e
si vede che i luoghi che gli si volevano torre rimasero in sue mani (3
). Anche il riacquistato
Montesanto, come accennai, seguitava ad essere al comune cagione di brighe, chè gli
usciti e banditi contumaci non cessavano ancora d’infestare il territorio con omicidi, arsioni,
e ruberie, avendo sempre a sicuro asilo il confine camerinese (4
). Si mandò messer Liberato Spezia di Bevagna, podestà uscito di carica, al duca Giovannimaria per esporre le
insolenze e i misfatti che da coloro erano commessi, e a chiedere che non fossero ricevuti
in quello stato, o quando si volessero ricevere, s’impedisse loro di nuocere agli uomini di
Spoleto; e intanto si obbligassero a restituire le cose tolte ai Sellanesi nel territorio di
Serravalle.
In questo mezzo il papa creò governatore dì Spoleto il fratello Bartolomeo
della Rovere, come il lettore sà, noto da gran tempo ai cittadini; il quale rimase in
tal governo sino all’anno mille e cinquecento nove (5). Egli con la sua autorità e
parentela giovò a portare a composizione la detta differenza. Fu incaricato del trattato Orfeo Ungario, che il 6 di ottobre, in Mevale stipulò con Nicola Vichemanno
commissario del duca Giovannimaria, e di madonna Maria Rovere de’ Varano,
nepote del papa, madre e tutrice di Sigismondo, una convenzione per cui gli uo-
(1) Riform. An 1504. fogl. 98.
(2) Riform. detto an. fogl. 121.
(3) Dagli atti seguenti nei volumi delle riformagioni.
(4) Riform. detto an. fogl. 127.
(5) Riform. detto an. aprile, fogl. 139.
160
mini di Montesanto e degli altri luoghi di Spoleto, avendo transatto per certa somma,
sopra i danni ricevuti dai fuorusciti, i signori di Camerino si obbligavano a non permettere
che i detti fuorusciti dimorassero nei luoghi finitimi al territorio spoletino; e se quelli dimoranti in altre parti del loro stato, facessero alcun danno agli uomini di Spoleto, non sarebbero più ricevuti in alcun luogo del dominio. Pattuirono che tutti gli spoletini, tanto della
città che del distretto, avessero libero passo nel camerinese,e potessero trattenervisi liberamente, pagata solo la gabella di ciò che portassero. Ed altri capitoli aggiunsero che
mostravano la volontà che tra i due paesi fosse perpetua pace ed amicizia (1
). Ma il signor
di Camerino nascondeva nel fondo dell’animo il pensiero, se non di riprender Montesanto,
che era così ben munito e guardato, di ristorarsi almeno di quella perdita con l’occupazione di qualche altro luogo. Difatto l’anno appresso furono visti alcuni sconosciuti che andavano esplorando le condizioni delle mura di Ponte; i quali, entrati nel castello, diedero falsa
ragione della loro presenza. Ciò fu cagione, che il comune di Spoleto facesse delle indagini
intorno a coloro, ed inculcasse a quelli del castello che vigilassero e facessero buona
guardia. A malgrado di ciò nel 1506 il duca, invaso il distretto spoletino con improvisa
correria, s’insignorì di Ponte, che anche Alessandro VI disegnava, come si disse, di unire
al dominio camerinese; ma il duca poco lo tenne (2
). Alla riferita convenzione con Camerino si accompagnarono la pace novellamente conchiusa co’ Folignati, e già turbata da
prede e danni scambievoli (3
), e la composizione di altre differenze con Bevagna, procurata con somma industria dal vescovo di Spoleto (4
).
La città era intanto, e da lungo tempo, turbata dalle inimicizie dei Morichetti e dei
Racani; e nel finire del pontificato di Alessandro, il cardinal Borgia veniva ponendo gran
studio per sedarle. Non ben cessate erano, quando altre se ne accesero nel 1504 per le
solite pretese e gare tra nobili e popolani. Sembra ne fosse principale autore il Cecili che,
essendo sempre stato capo del partito popolare, vistosi con gran seguito, accresciutosi a
dismisura per le ultime sue imprese, cercava farsi signore della città; e, per meglio e più
speditamente pervenire a mettere ad effetto il suo disegno, preponendo tutt’al-
(1) Riform. An. 1504. fogl. 71. 82.
(2) Riform. An. 1505. al 1506. fogl. 72, 74, 78.- CAMPELLO, lib. 38.
(3) Riform. An. 1505. al 1506. fogl. 17. 27. 28. 29. 42.
(4) Riform. An. 1504. fogl. 91. 93.
161
tre cagioni, eccitava il popolo contro i principali cittadini. Nei trambusti che ne seguitarono
egli stesso si bruttò le mani nel sangue di Galeazzo Dedomo, e gli altri nobili che si ricoverarono nella rocca, andarono a grave rischio d’essere o morti o malconci da’ suoi inferociti
partigiani (1
). Così spesso avviene che le ignare moltitudini, sotto falsi colori ingannate,
credono di operare pel bene e pe’ loro interessi, ed operano con loro danno per le mascherate ambizioni e cupidigie altrui. Anzi, e sia detto con pace delle solenni e lambiccate
filosofie della storia, questa mi pare esser la vera formula della più parte degli umani sconvolgimenti; e, come ebbi occasione di dire altrove, degli esempi che mostrano la verità di
questa sentenza, si farebbe un libro che potrebbe tornare utile al popolo assai più di altri
mille, al popolo che torna sempre a lasciarsi illudere e abbindolare, perchè una gran parte,
e quella che più si agita, è sempre nuova. Di qui è il gran da fare che si danno gli arruffoni
e i mestatori intorno ai giovani che, per essere inesperti meglio raggirano, e per esser di più
vivi spiriti, meglio sospingono a fatti sconsigliati; di qui il discredito che ad arte gettano su
i provetti, che ne conoscono i modi e i disegni. Ma dove era al governo il fratello del papa,
e di un papa qual’era Giulio II, la sedizione mal poteva durare; venne il cardinale di San
Vitale (2
) con numerose soldatesche che, dando forza all’autorità, infrenarono i sediziosi e
costrinsero il Cecili ad andarsene. Uno storico, che udiva ragionare di questi avvenimenti
dal padre per tradizione dell’avo che ci visse in mezzo, dice che partito colui, tornò la pace
nella città. Tutto il male stava in chi n’era stato cacciato. A malgrado il torbito e violento
ingegno di cittadino, il Minervio chiama Saccoccio Cecili spoletini nominis precipuum
ornamentum, e tale fu veramente sotto il rispetto delle virtù militari, che più d’ogni altro
egli fece risplendere su i campi di battaglia.
(1) MINERV. lib. I, cap. IX. lib. II. cap. III. - CAMPELLO, lib. 38.
(2) .... collecta imposita civibus habitantibus extra civitatem ad rationem unius floreni pro
quolibet foculari, quando Cardinalis Sancti Vitalis venit Spoletum ob turbationem factam in civitate
per Saccoccium etc. (Riform. An. 1511. fogl. 379).
162
CAPITOLO XXI.
Varie Brighe della Città co’ sottoposti, e co’ vicini - Lite co’ Gabellieri a cagione della
nuova moneta - Spoleto malcontento d’essere governato dal luogotenente del legato Cardinal
d’Urbino - Pratiche pel castello di Sangiovanni - Il legato a Spoleto - Ossequenza degli
Spoletini verso Giulio II, ancorchè poco amico - Detto di Sensino Vari - Saccoccio Cecili
dopo l’esilio; come morisse gloriosamente nella battaglia di Ghiaradda - Giulio II a Spoleto;
si mostra soddisfatto della accoglienza fattagli - Opere pubbliche, Belle Arti, Costumi,
Agricoltura - Morto Giulio gli Spoletini riprendono le armi per avere Sangiovanni - Guastano il contado di Trevi, e prendono la torre dei molini - Mediazione dei Baglioni; i quali
dichiarano che proseguendo la guerra dovranno soccorrer Trevi - Camillo Orsini si profferisce
di aiutare gli Spoletini - Questi si provvedono per proseguire la guerra, e muniscono
Pissignano - L’esaltazione di Leone X dà loro grande speranza di riaver pacificamente
Sangiovanni - I Trevani chiedono il rifacimento dei danni - Clarelio Lupi e Piergirolamo
Garofani trattano questo negozio col Cardinal Giuliano de’ Medici - Breve assolutorio
ottenuto nel 1516 - Il Comune riprende la rocca di Cascia per la Chiesa - Novelle discordie
tra gentiluomini e popolani - Opera vana di molti per sedarle - Il Ridolfi congiunto del papa
è rimosso dal governo della città - Passaggio di Camillo Orsini e fine della sedizione -
Lorenzo de’ medici nepote del papa e duca d’Urbino ha il governo di Spoleto - Gli succede
Lorenzo Cibo - Francesco Maria della Rovere, ripreso Urbino, porta l’armi nell’Umbria -
Il Papa manda Corrado Orsini a preparare la difesa - Al suo giungere gli Spoletini avevano
respinto una invasione trevana - Il della Rovere rivolge altrove le armi - Le discordie di
alcuni castelli risvegliano le ostilità tra Spoleto e Norcia - Il papa impone una pronta
pacificazione della città co’ Nursini e co’ Trevani - Gli spoletini studiano con tutti i modi
che ciò non accada - Sdegni del papa, e conseguenze - Fine di questa differenza - Lorenzo
Cibo a Spoleto - La città ricusa i fanti richiesti contro Giampaolo Baglioni - Questi passa
per andare a mettersi nelle mani del papa; viene sconsigliato da quell’andata - Egli va, è
preso e decapitato - Orazio e Malatesta suoi figli, e il cardinal di Cortona nello spoletino -
Demolizione del castello di Pianciano - Investitura di Sangiovanni, i Priori ne prendono
possesso - Sollevazione dei Brancaleoni - Occupano Pissignano, e corrono il territorio -
Sono cacciati e dispersi dal Commissario Pontificio.
Per la quiete interna che, succeduta alla sedizione del Cecili, durò alcuni anni, non erano i cittadini senza gravi pensieri. Le controversie per i
confini di Clarignano, composte o sopite con Montefalco, rinascevano con
i più vicini castelli di Morcicchia Moriano e Giano (1
). Quelle per Appecano,
(1) Sino dal novembre 1493 i Montefalchesi chiedevano di comporre tale controversia, e gli spoletini nominarono a quest’uopo i loro sindaci, e davano loro l’istruzione di
non cedere nessuna delle cose contenute nella sentenza del commissario del Legato cardinal
di Siena, e di Maurizio Cibo; ma la composizione non ebbe effetto, e tra il 1503 e 1504,
163
Poggiolavarino e Acquapalombo con la Camera e co’ Ternani, i quali ultimi con pretesti,
corsero nuovamente la Valperacchia, traendone seco uomini ed animali (1
); le vendite di
terre che que’ di Camero disegnavano di fare ai folignati, onde si sarebbe reso illusorio il
dominio della città in quel luogo (2
); gli spiriti sediziosi di Montesanto, in cui la parte che
teneva pei Varano era maggiore, erano tutte cose che li obbligavano a inviare frequentemente oratori, a stare continuamente nei tribunali, nelle corti dei cardinali, e su i dispendi, e
a prodigare donativi, o ad adoperar severità di provvisioni ed anche le armi. Nè molto
andò che le dissensioni tra privati si moltiplicarono, e risse e occisioni tutti i dì si commettevano nella città e nel contado, nè modo era serbato nei viziosi costumi; e il male del
disordinato vivere, s’era altresì appreso a’ conventi e a’ monasteri, dove ormai senza
alcuna regola si viveva, e dei beni di quelli a tutt’altro uso destinati, si faceva profano e
furioso scialacquo a talento non solo dei religiosi, ma degli estranei o amici o parenti. E nel
1509 e 1511 fu forza far nuove e severe leggi per reprimere la licenza de’ delitti, e per
riportare ordine ne l’amministrazione delle case religiose (3
). Ebbero anche a prendersi,
non poche cure per l’oppressione enorme che loro veniva da taluni gabellieri, i quali pretendevano riscuotere ogni gabella in moneta nuova, senza computarne il diverso e maggior
valore, il che dava loro ingordi guadagni, e ai contribuenti era cagione di rovinoso aumento
nei pagamenti. Ma mandati a trattar di ciò, dopo molti altri modi tenuti, Sebastiano Sillani,
e Piergeronimo Garofani; questi persuasero la Camera, da cui uscì un decreto che sull’esempio del modo tenuto da altri onesti gabellieri, chi avesse a pagar qualsiasi gabella, potesse
pagarla in moneta vecchia, ovvero in moneta nuova, ma secondo la estimazione della
vecchia (4
).
Nel 1509 Giulio II, avendo mandato legato di Perugia e dell’Umbria il cardinal
d’Urbino, non fece che il suo fratello carnale gli rimanesse sottoposto. Bartolomeo
non governava più Spoleto, e il legato vi mandò suo luogotenente Antonio de’
gli stessi Montefalchesi, protestandosi sommessi e devoti figliuoli, e proponendo modestamente il
loro avviso intorno ai confini, rimettevano l’affare alla giustizia dello stesso Comune. (Riform. An.
1493. fogl. 2. - An. 1502, fogl. 132. An. 1503, fogl. 206, 264. - An. 1504, fogl. 105.).
(1) Riform. An. 1504. fogl. 73, 76. - An. 1505. fol. 265, e altrove.
(2) Riform. An. 1511. fogl. 61, 62
(3) Riform. An. 1502. fogl. 29. - 1509 fogl. 153.- 1511. fogl. 129, 133.
(4) Riform. An. 1510. fogl. 454, 501, 531, 532, 569, 574.
164
Conciliis (1
). I cittadini, delusi nella speranza di esser retti, era costume, da un personaggio
consanguineo del papa, ne furono umiliati, e si dettero a pensare e a spargere che ciò fosse
un atto arbitrario del legato, affermando che il governo di Spoleto era stato dato al cardinal
Leonardo nipote del pontefice; ma questi con un breve del 12 agosto dichiarò essere sua
volontà che il legato governasse la città per luogotenenti (2
). Nulladimeno, venuto in settembre il cardinal d’Urbino a Spoleto, fu ricevuto con onori insoliti, perchè non era straniero. Si fregiarono delle sue armi le porte della città, e la facciata del palazzo del popolo,
gli si fecero doni di pollame e d’altro, fu lodato con discorsi e poesie, di cui furono richiesti
maestro Giovampaolo, maestro Pierleonardo, Clarelio Lupi, ed altri letterati (3
);
In quanto al castello di Sangiovanni, tolto al Comune nel modo che fu detto, gli
spoletini non si acquietarono, e mandando oratori anche per altri affari a Roma, commisero loro di fare istanze chè il pontefice revocasse quel luogo a sè, o lo mettesse in
altre mani, e lasciasse che del diritto sul medesimo se ne trattasse per giustizia; ma
nulla mostra che ciò fosse ottenuto. Quantunque Giulio II, come si vede, non fosse
largo di favore alla città, gli spoletini gli furono sempre ossequiosi. Tacevano quando
nell’intento di ricuperare le città di Romagna, che erano in mano de’ Veneziani, fu
autore della lega che chiamava in Italia Francesi e Tedeschi a danni di quella
(1) Riform. An. 1509. fogl. 245.
(2) Riform. detto an. fogl. 262.
(3) I priori e i cittadini deputati alla venuta del legato, il 2 settembre, a consiglio di Perberardino
Racani, decretarono: Quod honorifice suscipiatur R. D. Legatus prout alii legati accepti sunt, et eo
libentius quo ipse non extraneus neque barbarus, sed ex civitate Fani, nobis et vicinitate provinciae
et benevolentia coniunta, oriundus est. Nello stesso giorno fu decretato che si dipingessero le armi
del Legato ad portas civitatis, et in rostris palatii populi versus episcopatu. - Ville taxentur de summa
pullorum - cives rurales etc. offerant cappones - districtuales, et alii recomandati offerant munera. -
Requirantur viri licterati magister Joanpaulus, magister Perlonardus, Clarelius et alii qui et licteris
et ingenio valent, ut aliquid docti effingant et representent ea die qua civitate intrabit. (Riform. An.
1509. fogl. 287, 288.).
A pagine 65 di questa storia parlai della lacerazione del baldacchino sotto cui si accoglievano,
nell’entrare in città, sovrani e legati. Il luogo delle riformagioni che allora accennai riguarda appunto
la venuta di questo legato in cui baldachinum fuit laceratum; e convenne soddisfarne il canonico
Bartolomeo Racano, da cui a nome del capitolo fu prestato. E poichè per consuetudine baldacchinum
ad parafrenerios spectat, idque petunt, quamvis laceratum, in pecunia commutari (Ivi. fogl. 360).
165
repubblica. Brutta determinazione in verità, e di soverchio pericolosa, della quale non
certo assolverlo, ma può farlo scusare il pensiero de’ Veneziani di chiamare in aiuto i
turchi; il che mostra quanto sia facile che anche i più assennati, quando sono stretti dagl’interessi, pospongano a quelli il sentimento nazionale. Ma come poi, mutati con gli avvenimenti i propositi, volle egli giovarsi dei Veneziani per cacciare gli stranieri condottivi dalla
lega, gli spoletini non solo gli si mostrarono ossequiosi, ma caldamente devoti; e, percossi
nell’anima, come i posteri, da quel suo grido fuori i barbari d’Italia, lo veneravano altamente. Sicchè, avendo egli nel settembre del 1510, chiesto un sussidio di fanti per le cose
da operarsi nel Ferrarese contro i francesi e i loro alleati, Sensino Vari disse in consiglio
che, per quanto penuriose fossero le condizioni della città, non si doveva venir meno a sì
glorioso pontefice e a guerra così necessaria (1
).
Questi avvenimenti mi chiamano a riparlare di Piersanto Cecili, il quale, spinto come
fu detto in esilio, andossene a Venezia dove, avuto occasione di mostrarsi qual era, e ben
noto essendo a Bartolomeo d’Alviano e al conte di Petigliano, che capitanavano gli eserciti di quella repubblica, militò per alcuni anni sotto le insegne di San Marco, rendendosi
ogni dì più illustre per valorosi fatti e per accorgimenti di guerra. Scesi i Francesi e gl’imperiali in Italia per la già ricordata lega di Cambray, i Veneziani opposero loro un esercito
guidato dai due esperti capitani surricordati. Ma per non essere essi concordi, e per altri
avversi accidenti, malgrado la loro perizia, e la gran virtù con cui si combattè, le genti di
Venezia furono disfatte nella battaglia di Ghiaradadda, come la chiama il Guicciardini, o di
Vailà o d’Agnadello, come la dicono altri storici. Quivi morì il Cecili, rinnovando i meravigliosi fatti degli antichi eroi. Giovi al lettore udirne la narrazione da scrittore assai vicino a
quel tempo, che la traeva dai racconti di coloro che avevano conosciuto Picozzo Brancaleoni genero del Cecili e suo alfiere a Ghiaradadda, e gli altri spoletini che si erano trovati
a quel fatto d’armi. « Nell’anno 1509 Saccoccio Cecili serviva la repubblica di Venezia
come contestabile di settecento uomini, e nella mal pensata risoluzione che prese Bartolomeo d’Alviano generale il 14 maggio di venire a battaglia co’ francesi, consigliò a poter
suo il contrario, per le stesse ragioni d’inopportunità, che aveva messo innanzi
(1) Tam glorioso pontifice, et tam necessario bello non deficiendum esse (Riform. An. 1510,
fogl. 719).
166
il conte di Petigliano. Ma sentì dirsi dall’Alviano: chi ha paura non vada alla guerra ». Il
Cecili seguiva la parte guelfa con l’Alviano, era nativo delle stesse contrade, era stato a
festeggiare come rappresentante di Spoleto le nozze di lui con la Pantesilea Baglioni, aveva più volte combattuto sotto la stessa bandiera con esso che ne conosceva il valore, ed
era suo amico; l’inaspettato e immeritato oltraggio lo trafisse profondamente, e si pose in
animo di mostrare co’ fatti che lo sconsigliare la battaglia, era stata in lui prudenza e non
codardia. Rispose che egli aveva lasciata la paura nel ventre di sua madre, e che nel fatto
si sarebbe potuto conoscere chi avesse cuore. Seguì la gran rotta, dalla quale l’Alviano
non potendo scampare, ferito nel viso, si rende prigione al re di Francia, e il conte di
Petigliano, entrato tardi in battaglia fu costretto a voltar le spalle. « Il Cecili intanto, prosegue lo storico, combattendo valorosamente, uccisogli sotto il cavallo, rimase a piedi in
mezzo alle squadre dell’esercito vincitore; ma con una alabarda, che gli venne alle mani,
cominciò a schermirsi dalla calca che gli veniva addosso, tanto che in poco d’ora fattosi
intorno una larga piazza, alzò quasi un argine di corpi tronchi e uccisi, attendendo a ferire
e ad abbattere, qualunque se gli appressasse senza alcun riguardo della sua vita o pietà
dell’altrui. Ammirati gli stessi avversari del fatto, cominciarono a confortarlo a lasciar l’armi, e a non profondere tanto inutilmente la vita. Egli nondimeno, serrato il cuore e l’orecchio ad ogni motto di arrendersi, tutto asperso di sangue, senza far parole o minacce,
senza prender respiro, e fatto più feroce dal di spregio della vita, non lasciò mai di menar
l’asta implacabilmente, finchè, dalla moltitudine oppresso, cadde intrepida vittima del suo
vanto (1
) ». Il 17 d’agosto il consiglio di Spoleto commetteva ai priori e a dodici cittadini,
eletti da loro, di provvedere, che il comune prendesse degna parte ai funerali del Cecili,
benemerito cittadino che aveva reso alla patria tanti e così segnalati servigi (2
). Nella primavera del 1511 per i sinistri casi della guerra Giulio II lasciava Bologna, e tornavasene a Roma.
(1) CAMPELLO, lib. 38.
(2) Nella congregazione dei priori a degli officiali delle proposte, dell’undici agosto 1509, fu
approvato che si facesse al Consiglio questa proposta. Secundo: De morte Saccocii, an sit in eius
funere aliquid deliberandum, cum semper de republica benemeritus fuit (Riform. fogl. 250).
Nel consiglio generale del dì 17. - Secundo: Dñi Priores magis vellent Deus hoc fecisset, ut vivo pocius
Saccoccio gratias agere possent quam mortuo honores querere; sed tamen cum Sors ita tulerit, propo-
167
A Spoleto giungeva il 18 di giugno. Fattiglisi incontro sino a Foligno due oratori del
comune, Feliciangelo Campello e Marco de’ Grassi, fu accolto al confine da centoventi
giovani vestiti vagamente di seta, e portanti aste con le insegne pontificie e di casa
della Rovere. Nell’entrare in città fu ricevuto con gran pompa sotto un baldacchino di
broccato d’oro, precedendolo sotto altro baldacchino il scramento che fu subito ad
nitur an pro eiusdem honore in funeralibus sit aliquid agendum (Rifor. 256).
E Sensio Vari consigliò che i Priori e i dodici sunnominati avessero piena facoltà pro honore in
funeri Saccocci fiendo cum dum vixerit semper fuerit de republica bene meritus. Il che fu approvato
con quarantotto voti contro ventiquattro (Rif. fol. 258, 259).
« Il Guicciardini, dice il Campello, fra i capi dell’esercito veneto, che l’anno seguente si trovarono alla presa di Padova, conta Saccoccio da Spoleti; ma,essendo certo che questi morì a Ghiaradadda,
lo storico diede per certo il nome di lui alle reliquie della sua schiera rimessa in piedi. »
Tra le memorie raccolte nei commentari del padre Bracceschi si legge questa: « Saccoccio fu
conductiero e capitano con il cardinale Roano Giorgio de Ambasia luogotenente generale del re
Francesco di Francia, per e in nome del re con salario di 400 ducati d’oro l’anno per la sua persona
con condotta de mille fanti et de cento cavalli leggeri. Ad contra .... Saccoccio promette d’esser
fedele e diligente servitore del re, et di condurre i soldati suoi buoni et pratici, et bene armati. Giurano insieme sopra i quattro evangeli, obbligando sè e i loro beni presenti e futuri, in palazzo di SS.
Piero, presenti il Sig Galeazzo .... Tesaurieri (?) etc. il Rdo Sig. Francesco Cardulo de Narni protonotario
regio, Rainaldo dei Rainaldi clerico de Cremona et notario pubblico. »
Questa notizia non può riguardare Piersanto Cecili perchè egli morì 6 anni innanzi che Francesco I cominciasse a regnare. Ma tuttavia, la memoria conservataci dal Bracceschi quasi contemporaneo, la quale si vede evidentemente tratta da un contratto scritto, non può essere una favola. Se ivi si
tratta veramente d’un Saccoccio, potrà forse riguardare alcun altro della stessa famiglia a cui fosse
stato continuato quel soprannome. » Piersanto ebbe un fratello chiamato Giovan Cesarino, di cui
nacquero quattro figli, cioè Giovanni, Antonio. Adriano .... - Adriano, ancora vive (diceva il Bracceschi verso la fine del secolo XVI), e il suo figlio Antonio è capitano - Lo zio Antonio (nepote di
Saccoccio) fu capitano dei Baglioni.
Le case dei Cecili furono presso la piazza della torre dell’Olio, ed un vecchio erudito affermava
esser quella sul cui muro ora si legge VIA CECILI;quella stata poi dei Votalarca e dei Gavotti, quella da
cui s’innalza una torre. Talchè io ebbi occasione di osservare che la fortuna, che suol prendere a
giuoco i disegni degli uomini, avrebbe in qualche mode appagato, con un certo scherno, i desideri di
colui che voleva abbattere la potenza di tutti i suoi pari, per dominar solo. Tutte le torri de’ palazzi
signorili, mozze o demolite, disparvero, sorge sola inalterata quella del palazzo Cecili.
Un ritratto di questo strenuo cittadino (Tav. IX.) fu, a mia preghiera, comprato, sono già molti
anni, dagli eredi dell’avvocato Bernardino Leguzi e posto dal Conte Alessandro Onofri gonfaloniere
nelle sale comunali.
168
onore circondato da quaranta fanti con torce accese. Fu fatto copioso presente a Lui, alla
corte, ai cardinali, all’ambasciatore di Spagna, Bartolomeo della Rovere e a Giampaolo
Baglioni, che erano seco, secondo era costume, di carni fresche e salate, di castroni,
agnelli, capretti, capponi, pane e vino, marzapani, confetture, zafferano, cera in torcie e in
fasci di candele. Giulio, vedendo la copia delle cose donate, disse hoc fecistis munus
papale. Tra i modi di festeggiarne l’arrivo si ricorda il cavallo o colosso, ch’era una
macchina mobile bene ornata, sopra cui si recitavano versi encomiastici, che in quella
occasione furono composti da Giovampaolo Ferentillo pubblico professore di lettere. Il
papa andò a risiedere nella rocca dove ricevette i priori amorevolmente; e, lodandosi della
città per l’accoglienza che ne riceveva, l’assolve’ dalle pene a cui era stata sottoposta da’
commissari pontifici per una indebita esazione di gabelle (1
). Il pontefice partì il giorno 20,
rimanendo i cittadini non poco rassicurati dalla piacevolezza con loro usata da quel fiero
uomo, delle cui antiche percosse ancora si dolevano. Però se questo li avesse fatti venire
in qualche speranza che la mente di lui fosse disposta a cambiarsi rispetto a ciò che allora
più importava alla città, un breve, per assicurar Trevi da ogni offesa degli spoletini, da lui
indirizzato ai priori il 22 ottobre 1512, li dovette togliere d’inganno. Ma molto maggiori
brividi dovettero loro correr per le vene quando Severo Minervio nel cominciare del 1513
scriveva da Roma che il duca di Camerino aveva impetrato dal papa la concessione di
Montesanto, Sellano, Ponte, e Cerreto. Se ciò fu più che una diceria, convien credere che
il munus papale degli spoletini che aveva messo il vecchio pontefice di così buon umore,
gli fosse poi stato cagione di una pessima digestione. Ma, non trovandosi riscontri delle
cose scritte dal Minervio, si può credere che le sollecitazioni fossero scambiate con la
concessione, e che il papa, come diceva un ministro del re di Napoli, avesse dato parole,
non parola.
Delle opere pubbliche utili e di ornamento, in questo e nel seguente pontificato, delle belle arti, usi e costumi degli spoletini in questo secolo, mi convien
toccare innanzi di procedere nel racconto. Sino dal 1510 si presero a restaurare i ponti sul Marroggia, e più particolarmente il ponte Bari e quello detto
(1) Tutti questi particolari sono ricordati nelle Riformagioni di quell’anno, fogl. 185 al 192. -
203 al 207.
169
di San Nicolò, a lungo trasandato, e che era stato edificato in tempo assai remoto con
grande avvertenza e spesa. Il lavoro si estese poi anche agli argini del torrente (1
). L’anno
che seguì si diede opera al risarcimento di un gran tratto dell’acquedotto di Cortaccione
per potervi rimettere le acque che per i guasti avvenuti più non vi correvano. Vi fu fatto
anche un lungo muro, e il restauro fu condotto sino al ponte sanguineto. Con questa occasione, perchè i danni non si rinnovassero, si vietarono i lavori campestri presso gli acquedotti, e il derivarne l’acqua per comodità privata (2
). Si edificava un torrione a Montesanto,
s’incominciava a mattonare le vie suburbane; dava il Comune sovvenzioni per riparare la
cadente chiesa di San Biagio, e per portare a perfezione il luogo di Santo Antonio nel
Monteluco, che era già stato da più tempo incominciato e seguitato con sussidi comunali (3
).
Nel 1510 si demoliva nel campanile della cattedrale la parte ove erano le campane (ciborium)
per ricostruirla con miglior disegno (4
), che assai facilmente è quello stesso edificio a quattro facce d’archi e pilastri che ora si vede, e su cui s’innalza una guglia, di cui fu decretata
l’esecuzione con le enfatiche espressioni che si dovesse spingere usque ad sidera. Quest’opera fu portata a termine nel 1515 da maestro Cione di Taddeo lombardo (5
); e nel
1519 ai tre di luglio fu posta sulla cuspide della detta guglia una palla di bronzo dorato che
un secolo e mezzo dopo si vedeva, scrivono i contemporanei, così risplendente come
poteva essere il primo giorno (6
).
(1) Riform. An. 1510. fogl. 579, 582.
(2) Riform. 1511. al 1512. fogl. 270, 345, 623, 626.
(3) Riform. An. 1512. fogl. 491, 511, 513, 571, 578 - Al foglio 754 v’è anche una supplica del
1513 di fra Antonio eremita che aveva fatto nel Monteluco due eremi, uno dei quali fu S. Maria delle
grazie. Volendosi ritirare presso la tribuna della cattedrale, chiede 25 fiorini per fornirsi il luogo,
dicendo dell’eremo delle grazie voler fare erede il comune.
(4) Nel Consiglio del 15 settembre 1510 si legge: Cum campanilis ecclesie S. Marie ciborium
demolitum sit ut in meliorem formam instauretur orta est opinio multorum civium ut pulcrius esset
crescere ad aliam fenestratam super testudinem que nunc est supra campanas, nec id fieri sit
conveniens sine Consilii spoletani consensu, proponitur quid agendum. Fu risoluto: quod per
magnificos dños priores eligantur XII cives, per quos opportune consulatur sit ne utile et decorum
an non fieri additio predicta et deinde referatur ad consilium (Rif. fogl. 707, 710) Ritornata la questione al consiglio il 9 di ottobre questo la rimandò con piena facoltà ai priori, ai cittadini eletti sopra
di ciò, e agli operai della chiesa (Rif. fol. 726, 728).
(5) Diari presso il Campello - Statistica dell’Umbria 1872, pag. 728.
(6) Diari suddetti.
170
Nell’anno 1512 si restaurava il palazzo del podestà, in parte caduto in rovina, e allora si
demoliva un arco che occupava dall’un de’ capi la piazza, la cui fontana era stata da poco
ravvivata di maggior copia d’acqua per migliorie portate nei condotti (1
). Allora cominciò
a corredarsi la cappella del palazzo priorale di arredi di argento, e si decorò di devota
pittura la sala delle udienze (2
). A chi fosse allogata quest’opera, posta in luogo tanto
cospicuo, non è detto. Probabilmente il pittore non fu chiamato di fuori, che in quel tempo
di tanto splendore di arti, non mancavano alla città. L’arte era stata sempre coltivata da’
paesani, senza ciò non si vedrebbero dapertutto così coperte di pitture, massime del secolo XV, le pareti di tante vecchie badie, e chiese e monasteri ora addivenuti stalle e fienili. I
nomi di que’ pittori non ci sono noti perchè non scrivevano sotto i loro dipinti che il millesimo e il nome del devoto che li aveva fatti fare. Ma in questo tempo più inoltrato si
rinviene qualche nome. Prestavano l’opera della loro arte al Comune, nella venuta di Lucrezia
Borgia (1499) un Bernardino, nel passaggio di Giulio II (1511) un maestro Antonio Brunotti
(
3
); nè è da opporre che questi, che in quelle occasioni dipingevano arme e baldacchini, e
risarcivano ornati, saranno stati dozzinali decoratori, chè gli antichi maestri, massime in
città secondarie non sdegnavano anche umili lavori, ed è da rammentare come allo stesso
Giotto fossero portate le targhe per dipingervi gli stemmi. Non è anzi fuor di ragione il
credere che quel Bernardino fosse lo stesso Bernardino Campilli, pittore valentissimo che
nel 1502 dipinse la madonna della stella nel muro esterno d’una casa posta nella piazza
San Gregorio, un San Sebastiano nella vecchia porta della città ivi vicina (4
). Un affresco di
più santi sopra una porta rustica del monastero di San Giovanni, una tavola in Arrone, e a
giudizio di taluni, l’altra assai bella, che è in duomo nel coro d’inverno, in cui sì vede il
beato Gregorio nell’abito degli antichi eremiti del Monteluco. Nacque Bernardino in una
(1) Riform. An. 1511, fogl. 270.
(2) Riform. detto anno. fogl. 170, 349.
(3) Vedi pag. 133, 168 di questo libro; e Riform. 1511. fogl. 191, 202.
(4) Questi due dipinti sono stati distaccati, e posti nella pinacoteca comunale. Il primo fu donato
al comune dalla famiglia Benedetti e fatto distaccare dal Cav. Tommaso Benedetti sindaco, a sua
cura e spese. L’altro era stato distaccato sino del tempo che era gonfaloniere di Spoleto il Cav. Pietro
Fontana di chiara memoria, sono oltre a cinquant’anni.
171
villetta presso il castello di Campello detta Amaranta, che è forse quel gruppo di casolari
cui ora danno corrottamente il nome di Cesamaranca, o Casamaranca. Egli fu piacevole
uomo, poeta e suonatore di cetera e di liuto, e leggesi in alcune memorie che fu padre di
quel Sempronio Amaranti che si vedrà adoperato dal Comune in molti e gravi negozi. V’era un Marinangelo di Bartolomeo da Spoleto, cui nel 1501 fu allogata l’opera
della tribuna della chiesa di Bazzano (1
); un Giovanni di Cilione da Eggi di cui si
legge il nome in un dipinto in Santa Maria Reggiano, un Giacomo di Giannonofrio,
autore della bellissima tavola dei re magi (2
), il quale operava nel 1510. V’erano
pittori domiciliati a Spoleto che, quantunque figli di estranei, forse nacquero, o vennero da fanciulli co’ loro parenti in questa città: un Jacopo Siciliano, del quale vi
sono dipinti all’Aspra, a S. Mamiliano, a Norcia, e di cui rimangono in Spoleto la
cappella Eroli nel duomo, vasta e bella opera, e la Madonna di Loreto. Alcuni credono di sua mano anche le stupende decorazioni della facciata di palazzo Arroni, e
un’altra dello stesso stile nel soppresso monastero della Stella. Costui sopravvisse al
suo cognato Giovanni Spagna, artista assai principale anch’egli domiciliato a Spoleto di
cui nel 1516 fu fatto cittadino (5
). Vi erano da ultimo certamente gli scolari di questo;
(1) Istrumento di quell’anno nell’Archivio dei Notai.
(2) Questa tavola era conservata nelle camera dell’amministrazione degli esposti, ora si vede
nella pinacoteca comunale.
(3) Giovanni di Pietro soprannominato lo Spagna, forse perchè o egli o il padre suo era venuto
in Italia da quella regione, apprese l’arte del dipingere da Pietro Perugino, e fu quindi condiscepolo
di Raffaello. Il duca Pompeo Montevecchio, nostro concittadino, di queste cose intendentissimo, lo
credette più studioso delle opere di quel caposcuola che discepolo, per aver notato com’egli suole
scegliere forme diverse da quelle di Pietro, e come in più dipinti da lui osservati lo stile largo e
brillante sia lontano dai principi di quel maestro. Ad altri l’ardua sentenza! Scrive il Vasari che
Giovanni s’era fermato ad esercitar l’arte in Perugia, ma che, essendogli stato forza partirsene, perchè perseguitato per invidia dai pittori di quella città, pose la sua dimora in Spoleto. Il medesimo
afferma il Bandinucci, ma il Mariotti e il Mezzanotte, venuti al mondo più di dugent’anni dopo, lo
negano per carità di patria; quasichè l’astiarsi e il nuocersi fra coloro che professano medesima arte,
cosa così comune in ogni tempo e in ogni luogo, che se ne formò il proverbio figulus figulum odit,
potesse tornare a disdoro d’una intera gentile città. E dicono che di ciò non v’è alcuna prova, come se
di tali cose si facessero istrumenti, e il Vasari, che nel tempo in cui lo Spagna ancora operava, era già
adolescente e pittore in luogo così vicino come Arezzo, non lo avesse potuto sapere, come certamente fu, pe’ racconti dell’altri artefici. Ma venuto Giovanni a Spoleto, o per tema dell’acqua tofana,
senza pensare che fra Filippo Lippi trovò qui qualche cosa di simile, o perchè vi sperasse maggior
172
perchè oltre le opere certe di sua mano, si veggono sparse in conventi, edicole e chiese
nella città e nelle campagne cosiffatti dipinti che assai ritraggono del suo stile, e talora tanto
gli si accostano da lasciare in forse gl’intendenti se gli si debbano attribuire. Il che mostra
come anche intorno a lui si adunasse una scuola, e anche qui ingegni non volgari lo seguitassero più o meno da vicino nella bella ed onorata via; il Crovve e il Cavalcaselle giudicarono, senza dubitarne, essere opera di questi gli affreschi della chiesa di Patrico come
guadagno per avere in questi luoghi minor numero di competitori, vi fu bene accolto e per la sua virtù
e bontà dopo qualche tempo gli fu data donna, che il Vasari dice di buon sangue. La giovane si
chiamava Santina, e il Montevecchio scrive con tutta sicurezza, essere stata della famiglia Capoferro,
non so se per documento ch’egli ne avesse, o per le tradizioni che, come dice il Lanzi, non nascono
dal nulla, ed hanno sempre qualche cosa di vero. Dimorava lo Spagna già da molti anni in Spoleto e
v’era presso tutti in grandissimo credito, quando il 7 di dicembre del 1516, ragunatisi i Priori e il
Consiglio dei Trentasei, che avevano le stesse facoltà dell’Arringa, o assemblea generale del comune, volendo fare onore a questo valentuomo per la eccellenza nell’arte e per la devozione sua verso
la città in cui si era accasato,lo crearono cittadino con tutti i suoi discendenti maschi in linea retta. Ed
ecco, omesse le formalità, l’atto in proposito come si legge nelle riformagioni di detto anno. - «
Cognita fide et virtute magistri Johannis hispani pictoris excellentissimi, qui in hac civitate plurimos
annos degens nupsit, misso inter eos solemni partito more solito, eoque approbato per palluctas
unam et viginti in bussula alba etc. approbante repertus etc. ex auctoritate generalis arrenghae
comunis et hominum civitatis Spoleti ipsis concessa et attributa, deliberaverunt, elegerunt, costituerunt,
et solemniter creaverunt civem spoletanum magistrum Johannem hispanium pictorem, et incolanum
civitatis spoleti, eius filios, posteros, et descendentes in linea mescolina dumtaxat, etc. - Reform.
Spol. An. 1516. fol. 137 - Nè, ammesso fra cittadini, tardò ad averne gli onori, chè l’ultimo d’agosto
dell’anno seguente, si trova essere stato eletto per uno dei due Capitani delle arti de’ pittori e degli
orefici, che in quel tempo erano qui riunite in una sola corporazione.
Fu lo Spagna pittore valentissirno, grazioso e semplice nelle forme, e pieno di soavità nei colori, che
a giudizio del Vasari, colori meglio che nessun altro di coloro che lasciò Pietro dopo la sua morte, e i suoi
dipinti furono scambiati talora per opere dello stesso Vannucci e della prima maniera di Raffaello. Molte
egli operò in Spoleto e in contado, e in altre città e luoghi dell’Umbria, ma non poche delle sue opere
perirono, ed è perciò da fare tanto maggior conto delle poche cose che ci restano. Si conserva nel palazzo
del Comune, quella gran gentilezza dell’affresco della Vergine assisa col Bambino in grembo, e circondata da Santi, trasportatovi dalla Rocca nel 1800, e quelle altre figure simboliche della Giustizia, della
Clemenza e della Carità, portatevi dallo stesso luogo parecchi anni più tardi. Si vedono a poche miglia
dalla Città, nella chiesa di S. Giacomo, le storie di questo Santo, l’Assunzione, ed altri affreschi che sono
tra le più belle e grandi opere di questo pittore; altre ne vengono additate in una edicola presso le vene
173
alcuni di altri luoghi. Anche i nomi di tali virtuosi sono perduti; nè altro posso dire che
dipingevano dopo di lui una Francesca Pianciani, e assai meglio una Ginevra Petroni, di cui
si conserva nel palazzo comunale un quadretto in tavola dipinto nel 1564, ove è la Madonna
delle grazie circondata di angeli e santi. Maestro Adriano eccellente pittore, che in una gran
riunione di quattrocento persone, fra cavalieri e pittori, presso il duca di Palliano, in cui si
paragonavano parecchi quadri, fu giudicato quegli che meglio di ogni altro del suo tempo
del Clitunno, in Morgnano, e in Gavelli, e queste ultime, in cui sono figurate la Vergine Assunta, e
Angeli e Santi, vengono da taluno giudicate anche di maggior pregio di quelle di S. Giacomo. A
parere del Passavant e di altri ne vanta Trevi nella chiesa delle Lagrime e in S. Martino. Possiede
Todi la celebrata tavola della Coronazione della Madonna, che fu dipinta nel 1511, per dugento
ducati d’oro, e che è ripetizione dell’altra ch’egli fece in Narni, giudicata dall’Orsini opera di Raffaello. Ne ha Montefalco in S. Bartommeo una tavola con tre Santi in campo d’oro. Vedesene in
Perugia nelle sale dell’accademia una stupenda lunetta ad olio in legno con l’Eterno Padre fra gli
angeli; ed una Pietà di molto pregio presso i Bracceschi Meniconi. Ancora si vede in S. Maria degli
Angeli un dipinto descritto dal Vasari, e sono vivacissimi ritratti di compagni di S. Francesco, di cui
scrive il Lanzi, che nessun allievo della scuola di Pietro, da Raffaello in fuori, ne ha mai fatti con più
verità. Il Vasari parla altresì di due tavole che lo Spagna dipinse in Asisi, l’una in S. Caterina, l’altra
in S. Damiano; non è noto che ne sia, ma bene v’è di lui nella chiesa di sotto di S. Francesco, una
Vergine in trono col bambino nelle braccia e due angeli e tre santi per lato quadro a tempera, ove si
legge la data 15 luglio 1516, ed è stimato il suo capolavoro. Quest’opera, scrivono gli annotatori del
Vasari, è veramente raffaellesca, e rammenta la Madonna detta del Baldacchino, è d’un colorito forte
e scuro che non si trova ne’ suoi affreschi. Così, per una bella coincidenza, toccava lo Spagna l’apice
della sua virtù pittorica nello stesso anno in cui veniva creato cittadino di Spoleto. L’adorazione dei
Re Magi, dipinta a guazzo in sottilissima tela senza imprimitura, che era in S. Pietro di Ferentillo, fu
per lunga stagione creduta opera della prima maniera di Raffaello. Gli Ancajani che n’erano proprietari trasportarono questo quadro nella loro cappella di Spoleto; poi in Roma, e colà fu venduto nel
1833 alla galleria reale di Berlino, dove ancora si ammira sotto il nome di Raffaello. Altra tela ne vidi
io qui, sono già parecchi anni, nello studio del pittore Giovanni Catena, valente restauratore morto
nel 1877; era assai guasta ma bella, e mi parve lo stendardo d’una confraternita.
Uno degli ultimi lavori, e forse l’ultimo dei grandi lavori dello Spagna, è quello della chiesa di
S. Giacomo, e dobbiamo alle quetanze sue e della moglie pel prezzo di que’ dipinti, scritte in un
libretto, con gran cura custodito dal parroco di quella chiesa, il sapere ch’egli finì di operare e di
vivere tra il febbraio del 1528 e l’ottobre dei 1533 i quali termini verrebbero d’assai ristretti, quando
l’opinione del Passavant che sia dello Spagna anche il dipinto della stessa chiesa in cui è segnato
l’anno 1530, si debba, come pare doversi fare, ritenere per vera.
174
poneva sott’armi, cioè ritraeva uomini vestiti di armatura. Essendo costui molto innanzi
nella grazia di Paolo IV fu per invidia avvelenato a Siena nel 1557 (1
). Non mi sia disdetto
di chiudere questo piccolo novero di artisti con Angelo Martani di cui si conserva ancora
un S. Antonio Abate in terracotta egregiamente modellato, e con bel pensiero assiso sopra
un seggio dove sono figurati a bassorilievo vari quadrupedi; questa statuetta si vedeva una
volta nella collezione di oggetti d’arte del Tordelli, dove era altresì una croce metallica di
molto pregevole lavoro nella quale si leggeva questa scritta A. D. 1485. Johannes Civitella
aurifex spoletinus.
Amarono e coltivarono gli spoletini le gentili arti del bello, ma la pittura e la
poesia furono presso i loro di gran tratto sorpassate dagli studi delle leggi della
medicina e delle armi. Del che fu cagione una tempra d’umore serio e riflessivo che
li fece meno atti a seguire i rapimenti della calda fantasia che ad esercitare il freddo
buon senso. Il Minervio che viveva in questi tempi ci ha lasciato dei costumi de’
suoi cittadini questo ritratto. « Quasi tutti sino dalla prima età si educano ai duri
esercizi della milizia; vincono in guerra tutti i vicini, nè credono per valore quelli
potersi loro paragonare. Prevalgono nelle fanterie. Non si recano mai in contado se
non armati; fiera gente che della vita senza le armi non fa alcuna stima. Ad apprendere le lettere hanno acuto ingegno; le cose pubbliche discutono con soldatesca concitazione. Sono disprezzanti, facili all’ira, altieri, invidi insofferenti di regola, audaci, robusti, e grandemente vendicativi. Sogliono guardare altrui torvi ed accigliati; il
loro andare è tardo e grave, il parlare rapido e scolpito. Furono sempre amanti di libertà;
negli altri luoghi la superbia è propria dei grandi, a Spoleto dei poveri; non possono
sopportare i più potenti, e si pesano tutti nella stessa bilancia; i nobili non cedono al
popolo, nè i popolani alla nobiltà. Per la patria si espongono a qualunqne pericolo. Hanno
belle abitazioni, ma con modeste masserizie. Sono sobri, vestono con parsimonia, e di
domestici hanno appena quanto è necessario. Sono pii verso Dio, e co’ poveri caritatevoli.
Sono grandi e ragguardevoli di persona, hanno donne belle e costumate che sono per tutta
Italia in esempio di pudicizia e di castità. Essi le custodiscono ed amano ardentemente, e
le adornano con pompa, e con fregi preziosi anche più di quello che compor-
(1) BRACC. Comment. - Fu favorito anche da Paolo III. che gli die’ di che dotar la sorella (Brev.
23 mar. 1548. Arch. Spol.)
175
tino le loro facoltà; ma severissimamente trattano le impudiche. Da ultimo si deve ascrivere
a gran lode degli spoletini, il reputare, com’essi fanno, gravissima colpa l’offendere l’ospite e il viandante, ai quali è presso loro aperta la casa e apparecchiata la mensa di tutti »
(
1
). Ecco il ritratto degli spoletini del secolo decimosesto; vegga il lettore paesano come lo
abbiano mutato più di tre secoli e mezzo, che v’abbiano aggiunto, che n’abbiano tolto.
I fatti fino in addietro narrati e quelli che sono per narrare mostrano il valor militare
degli spoletini, e la bravura delle loro fanterie. In quanto agli ordini loro nelle cose di
guerra, dissi già altrove come all’occorrenza i fanti fossero levati, da appositi commissari,
uno ogni tante famiglie, ed anche uno a famiglia secondo il bisogno, in città, nel contado, e
nel distretto con equa ripartizione, e come fossero dati a comandare a conestabili della
città. Alcuni altri particolari ci sono stati conservati nello statuto. Quando il comune avesse
a fare, come dicevano esercito o cavalcata, i priori eleggevano due gonfalonieri; uno
era vessillifero dei fanti, l’altro dei cavalli. La bandiera veniva loro consegnata innanzi che
uscissero della città. Nessuno poteva partirsi dalla schiera in cui era stato collocato, non
andare per altra via che per quella tenuta dalla sua bandiera, nè muoversi prima o più tardi
del segno che venisse dato. Al primo segno di tromba o di campana il cavaliere o fante
doveva armarsi, al secondo condursi nella piazza del foro (
2
), o al palazzo del podestà, e
seguire la sua bandiera. Tornando l’esercito o la cavalcata dalla spedizione, fanti e cavalli
dovevano seguire le bandiere sino al detto palazzo o al luogo dove quelle si riponevano.
Nel tempo dell’esercito o cavalcata, fanti e cavalli al suono convenuto di tromba o d’altro,
dovevano raccogliersi alle bandiere. Nessuno poteva mettere e levar tende senza espressa
licenza o comando del podestà o del capitano di guerra; nè in qualsivoglia modo gridare,
o dire a casa a casa, o altra simil cosa.
Ogni fante, e ciascuno che dovesse andare in qualche spedizione, doveva portare celata, rotella, lancia, partigiana (3
), scure e balista o archibugio.
Chi contravvenisse a questi e agli altri ordinamenti e bandi di guerra era
punito con pene pecuniarie o determinate dallo statuto, o lasciate all’arbitrio
(1) MINERVIO, lib. I. cap. II.
(2) Dissi già in questa stessa storia che si chiamava piazza del foro quella del mercato.
(3) La partigiana era un’arma in asta.
176
del capitano. Il delitto commesso nell’esercito o cavalcata era doppiamente punito. Un
manescalco doveva cavalcare sempre con l’esercito, nè mai allontanarsene, con ferri,
chiavi e altre cose opportune e necessarie ai cavalli (1
).
Delle abitazioni che il Minervio chiama pulchras domos, si possono ancora vedere quà e colà alcuni vestigi. Le porte di strada, per lo più erano ad architrave piano,
portavano assai spesso un piccolo stemma scolpito in mezzo alla fascia, e anche
qualche motto sentenzioso latino; s’entrava per esse in piccole chiostre, talora con
pozzi rotondi nel mezzo, e coperte solo al primo ingresso da una volta o largo arco
sotto di cui da un lato saliva la scala con uno svelto parapetto. Questi vestiboli belli
dapprima della sola loro semplice eleganza, che come nel detto parapetto appariva
negli stipiti e nelle cornici delle porte e delle finestre, furono poi decorati con dipinture
allegoriche e arabeschi, e i più cospicui cittadini solevano ornarli di antiche iscrizioni, e are, e cippi ed altre siffatte pregevoli anticaglie (2
).
Il procedere sempre più splendido delle arti, lo studio e il sentimento del bello e
della eleganza, che a tutti si comunicava, l’esempio delle pompe delle corti degli
ultimi papi, dei cardinali e di tanti signorotti sparsi per le città d’Italia, diffondevano
dapertutto l’amore del lusso e dello sfarzo; ed anche a Spoleto, come dice lo storico,
si facevano spese supra vires. Talchè riconobbe il comune la necessità di leggi suntuarie per moderare le spese dei funerali, le doti, e il lusso del vestire delle donne;
che tra povere e ricche esercitavano sul conto dell’ornarsi quelle stesse gare e rivalità che correvano tra gli nomini nobili e popolani per il potere (3
).
(1) Statuto del 1542. lib. IV. dal cap. 38 al 47.
(2) Per additare talune di queste abitazioni noterò la casa Conca (Corradi, Vicolo S. Filippo n.
18) la casa Bonavisa (Campello, via della Basilica n. 10) ed un’altra nella via di Visiale n. 2. La volta
di questa è dipinta. La porta laterale del fabbricato della posta è del 1505. V’è in mezzo lo stemma
(un gallo e una spiga) e nel fregio il motto SOLI. DEO. VIVITO.
(3) Et quia in civitate Spoleti nullus ordo neque modus in sumptibus funeralium servatur, imo
absque ulla personarum dignitatis consideratione cives certant alios cives in eiusmodi sumptibus, et
cereorum numero superare, que res cum ad inutilem pompam potius quam ad animarum utilitatem et
salutem tendat et aliqui pauperes cives ad inopiam reducuntur, tanto universali damno prospiciendum
fore etc. E col consiglio di ser Giovanni de’ Bancaroni fu decretato che nei funerali di un cittadino non si
potessero portare più di dodici ceri di due libbre e solo pe’ capi di famiglia, eccettuati i cavalieri e i dottori
pei quali, a cagione della dignità, se ne potessero portare in maggior numero. Per le donne e i figli
177
Da ultimo fupensiero di questi anni, e se ne fa menzione in più luoghi delle riformagioni,
che si dovesse dare opera al rinnovamento de’ catasti, ciò che dimostra lo svolgimento
che era seguìto della industria agricola, che poi non si fermò, ma tramutò. A que’ tempi,
leggiamo nel Minervio, gli spoletini avevano nel loro piano non estesi ma fertili campi, da
cui ritraevano grano, olio, vino, quanto era loro bastante, e zafferano e mandorle che
vendevano in gran copia. Bastò meno di un secolo a mutare affatto le cose, per modo che
il Serafini scrivendo de’ suoi tempi (1639), dice che si vendevano abbondantemente ai
vicini grano, olio e vino, ma non zafferano nè mandorle (1
). Ora con nuovo cambiamento si
esportano solo olio e legnami. Anche il gelso era non mediocremente coltivato nel secolo
decimosesto, chè i setaiuoli spoletini nel 1512 invocavano la protezione del comune per
non essere danneggiati nei mercati dalla vendita irregolare dei setaiuoli d’altri luoghi (2
).
Il 21 di febbraio del 1513 papa Giulio passò di questa vita. Gli spoletini, già in avviso, per
la disperata infermità del vecchio e logoro pontefice, gettatosi dietro le spalle il breve del 22
aprile, incontanente uscirono in armi a popolo contro i Trevani per riavere San Giovanni di
Bitonta (3
). Nè i Baglioni, nè il comune di Perugia, che co’ loro offici e con l’opera del cancelliere Maturansi, l’avevano potuti rattenere nel 1511, quando alla novella di un’altra grave malattia del pontefice, si erano sollevati con lo stesso proposito (4
), poterono fare che questa volta
non ponessero ad effetto il loro divisamento, da cui non intendevano desistere se prima i Trevani
non riponessero nelle loro mani il castello. Al che, ricusandosi quelli, il territorio fu messo a
di famiglia siano permessi solo otto ceri dello stesso o minor peso ec. (Rif. An. 1513 fogl. 768).
Cum in vestimentis, dotibusque mulierum tanta luxuria creverit, ut pauperes ditiores equare
desiderent, divitesque superari egre ferant; et sic in maximam calamitatem tota civitas trahitur,
proponitur ergo, duobus istis instantis malis, ut dotibus dandis modus imponatur, et vestitibus honestior
habitus constituatur, presentim accedente suasione presentis Rev. patris predicatoris (Rif. detto an.
fogl. 776). Fu deliberato che i priori e sei cittadini a ciò eletti e il padre predicatore, compilassero un
regolamento per le doti e il vestire delle donne; cum res sit maxima importantia, et maturo indigeat
consilio. E avevano buona ragione di volerci pensare, perchè le leggi sul vestire delle donne furono
sempre lo scorno e la disperazione dei podestà.
(1) MINERVIO, lib. I. cap. III.
(2) Riform. An. 1512. fogl. 710.
(3) Riform. An. 1511. fogl. 207.
(4) Riform. detto an. fogl. 294, 296, 303 - CAMPELLO, lib. 39.
178
guasto con molta rovina di alberi e di edifici; e sotto gli occhi degli stessi trevani, che
dall’alto contemplavano il fatto, diedero la battaglia ad una fortissima torre che era in sul
fiume Tinia a difesa de’ molini, ed uccidendo quanti v’erano dentro, la disfecero dalle
fondamenta, e i molini lasciarono in rovina (1
). Nè il luogotenente del tesoriere, nè il vicelegato,
che pure vi accorsero, poterono a quella furia opporsi. Il 2 marzo, sfogata l’ira, senza aver
portato a termine l’impresa, chè San Giovanni rimaneva tuttora in mano dei Trevani, tornarono per provvedere a più regolata spedizione. Ma con poco onore e con poca soddisfazione dei sessanta deputati al reggimento della città. Vincenzo del Friscio, inviato del comune di Perugia, pregava allora si volesse cessare dalle offese contro i Trevani, e a voler
ridurre la controversia nelle vie di giustizia. Fu invitato a trattenersi sino che si avesse
risposta dal consiglio del popolo, che fa tenuto il giorno seguente. Quivi furono esposte le
cose dette dal Friscio, e la comunicazione di altro inviato dei Baglioni, il quale con meraviglia di quella adunanza, faceva noto come dovesse la città ad ogni modo astenersi dal
molestare i Trevani con l’armi, altrimenti tutta la casa Baglioni sarebbe stata sforzata a
prestar loro soccorso. Il legato cardinale di Sanvitale scriveva si contentassero che il castello fosse posto nelle sue mani. Ma se i Trevani avevano ben pensato ai loro casi, non
pare che Spoleto avesse dimenticato i suoi, chè un inviato con credenziali di Camillo
Orsini, introdotto nel consiglio, annunciò che, ove occorresse, messer Camillo era
pronto a portare aiuto agli spoletini, ed in ciò esservi il consentimento di tutti i signori
di quella famiglia. Fu deliberato di adoperarsi con tutto l’animo e con i modi più
acconci e opportuni per riavere Sangiovanni; e che fosse a questo fine mandato a
Roma un cittadino eloquente ed operoso che, col favore degli amici, che si erano
mostrati così ben disposti, potesse conseguire l’intento. Si ringraziassero gli oratori
del comune di Perugia per l’amichevole mediazione esercitata. Fu poi eletto un numero di cittadini che co’ priori avessero facoltà di fare in questa materia, quanto
credessero richiedere l’onore e l’utile della città. Questi giudicarono necessario si
provvedesse a ciò che fosse per occorrere, quando per la questione, che sarebbe
vergogna abbandonare, si avessero a riprender le armi; ed assicurarono intanto
(1) MINERVIO, lib. I. Capitolo XVI.
179
di guardie e di munizioni il castello di Pissignano. Al desiderio del legato d’avere il castello
nelle sue mani, come cosa che in nulla era loro utile, non consentirono; e, mentre accoglievano quel prelato con ogni onore, e sontuoso trattamento, seguendo il consiglio di
messer Dionisio Berardetti, si apparecchiavano effettivamente alla guerra (1
). Ma i dubbi
in che versavano gli spoletini intorno a questo affare di Sangiovanni, parvero felicemente
risoluti dalla esaltazione del cardinale Giovanni de’ Medici che fu Leone X, il quale, per
non essere mai stato troppo amico del suo predecessore, e per aver trattato quell’affare in
favore della città, faceva bene sperare che se ne potesse giungere felicemente a fine. Intanto i trevani non si acquetavano, e chiedevano d’esser ristorati dei danni loro arrecati.
S’introdusse su di ciò una causa e n’ebbero la cura Clarelio Lupi, facondo parlatore e
poeta elegante, un inviato propriamente acconcio ai tempi di Leone X, e il noto Piergeronimo
Garofani capacissimo nel condurre gli affari pubblici. Gli spoletini poterono contrapporre
alle accuse dei trevani, guasti ed uccisioni commesse da quelli a loro danno (2
) e per studio
che vi posero il cardinal Giuliano de’ Medici, e que’ due illustri cittadini, pagando mille
ducati d’oro, ottennero poi nel 1516 un breve assolutorio di tutte le pene incorse in quella
congiuntura (3
). Al che papa Leone, oltre l’antica devozione della città, si diceva indotto
dal servigio che la medesima aveva di recente reso alla Chiesa. Imperocchè poco dopo i
fatti di Trevi, una delle due parti in che era divisa Cascia, detta degli abitanti di sotto,
ricusando obbedienza al pontefice, aveva occupato per tradimento la rocca che, per la sua
postura, signoreggiava tutta quella terra. Gli spoletini mandarono in soccorso dell’altra
parte i due priori Giuliano Giustiniani, e Girolamo del Piccione che, con grosse compagnie
di fanti, sbaragliarono i ribelli, ne saccheggiarono le case, e in breve tempo, espugnata la
rocca, la restituirono agli officiali della Chiesa, tornando carichi di preda (4
).
(1) Riform. An. 1513. fogl. 893, o seguenti - Diari del detto anno, presso il Campello.
(2) Riform. An. 1514, fogl. 36. - Tra le uccisioni si annoverava quella di Guido Campelli,
egregio giovane, che fu ucciso dai Trevani, senza nessuna causa. (Riform. An. 1509. fogl. 314).
(3) Riform. An. 1515. fogl. 331. An. 1516. fogl. 467.
(4) Diari presso Campello - MINERVIO, lib. I. cap. XVII. - Riform. An. 1516. fogl. 448.
180
Ma gli spoletini, che con le armi e con gli offici s’intromettevano oltracciò per comporre le discordie fra Monteleone e Leonessa, fra Triponso e Nortosce, non valevano a
mantenersi concordi tra loro e pochi giorni dopo la elezione di Leone X, per la quale tutti
si promettevano un era di pace, si riaccesero le vecchie discordie tra i gentiluomini e i
popolani. Il 24 di marzo 1513 nella cattedrale, mentre si celebrava il mattutino delle tenebre, furono dai Berardetti date alcune ferite a Celio Leoncilli. Molti ritennero che il misfatto
fosse stato commesso per avversione alla nobiltà; del che sentì grave sdegno tutto quel
ceto, ma specialmente dieci famiglie che giurarono di vendicare l’offesa. Allontanatosi e
poi morto Saccoccio Cecili, era subentrato a lui, come capo del partito popolano, Paolo
Berardetti. Ora avvenne che per effetto forse della detta congiura, l’undici d’aprile, giorno
della coronazione di Leone X, in Roma, nella chiesa di S. Salvatore in Montegiordano, il
Berardetti fu assaltato e morto da Antonino d’Alberto Leoncilli e da altri suoi compagni
(
1
). Non appena questa notizia giunse a Giuliano, fratello dell’ucciso, che trovavasi a Castelritaldi, senza por tempo in mezzo, accompagnato da molta gente armata, venne in città
e al suo giungere levossi il popolo a romore, corse alla contrada dei nobili Dedomo, che
erano tenuti capi della parte contraria e, ucciso Ballante che si fece innanzi, pose il fuoco
nelle case, che arsero in gran parte, e si dette a ricercare gli autori della uccisione di Paolo.
Lo stesso Giuliano co’ fratelli Claudio e Pietro e loro seguaci si portarono a mano armata
alla casa di quell’Antonino; e quella vendetta che poterono di lui, che non v’era, presero
nelle cose sue. Furono perseguitati anche gli altri gentiluomini che, parte nella rocca, parte
ne’ castelli vicini, fuggendo, cercarono scampo, e tempo da raccogliere i loro partigiani
per tornare in armi alla vendetta. La parte savia dei cittadini, aliena dal parteggiare, temendo di veder rinnovellati i casi delle vecchie sedizioni, s’adunò nei collegi delle arti, e unitisi
poi armati nel palazzo del popolo, si studiarono di por freno ai tumulti, e i più turbolenti
disposero ad uscire della città. Il papa per provvedere al bisogno, mandò commissario
Giovanni degli Albizi fiorentino, che a prima giunta, fatto mettere a morte alcuni nobili,
inacerbì i corrucci e peggiorò il male. Questo veniva in breve accresciuto da uomini facino-
(1) MINERVIO, lib. I. Capitolo IX. - CAMPELLO, lib. 39. - Riform. An. 1515. fogl. 319.
181
rosi che, stati da lungo tempo banditi per il loro malfare, ora accorrevano, come sempre
avviene, allo scompiglio, e mescolandosi ai cittadini e alle cose loro, con falsi sembianti,
commettevano ogni scelleratezza. Da ciò segni che coloro che volevano viver tranquilli, e
tra questi contavansi spettabilissimi cittadini s’erano condotti a dimorare in campagna tra
lavoratori. Intanto la giustizia impacciata si faceva inoperosa, i malvagi vantavansi de’ loro
eccessi, e la città si vedeva come convertita in una paurosa spelonca di ladroni. Le solite
dolcezze a che conduce il parteggiare (1
).
I reggitori del Comune, sopraffatti da tanto disordine, nè vedendo a qual’altro partito
potessero appigliarsi, saputo come fosse giunto a Todi Giulio Orsini con le sue genti,
mandarono Marco de’ Grassi e Granato Granati a pregarlo volesse venire a Spoleto, e
adoperarsi con la sua amichevole autorità a ricondurre la pace tra cittadini. Vana riuscì
anche l’opera di costui, il quale se ne ripartì insieme all’Albizi, che lasciò il luogo a Pietro
Grifi vescovo di Forlì, sotto il cui governo cominciavano le cose appena a migliorare,
quando avvenne che molti giovani popolani, andati a diporto al castello di Santanatolia,
non vi furono lasciati entrare; ma poco dopo vi furono ricevuti alcuni gentiluomini con loro
seguito, che vi sopraggiunsero a caso. I popolani, che ciò si recarono ad ingiuria, indispettiti, pretesero entrare e vennero alle armi, e vi dovette andare a provvedere uno dei priori
che, per essere sospetto a quelli che erano venuti nel castello, non fu fatto entrare. Talchè
si gridò alla ribellione; e molti, che sino ad allora se ne erano guardati, furono tratti dentro
quel rabbioso parteggiare. Non fecero miglior prova di pacieri messer Goro da Pistoia e il
cavaliere Antonio Santacroce, che vennero, mandati dal papa, a dare aiuto all’opera del
vescovo di Forlì (2
).
Crebbe il turbamento al cominciare dell’anno seguente, e si allargò a tutti i cittadini,
perchè si disse che i nobili, sussidiati dai ghibellini, macchinavano contro lo stato popolare.
Si presero l’armi e si stette per molti giorni con gran se-spetto; ma erano voci vane, e forse
sparse ad arte dai sediziosi per rendere i nobili odiosi a tutto il corpo dei cittadini, con arte
antica e non mai dismessa dalle parti. Nel 1515 inacerbirono le nimistà e molte uccisioni
furono commesse. Sino dal principio dell’anno precedente al vescovo di Forlì era
(1) Riform. An. 1515. fogl. 334.
(2) Diari, presso Campello.
182
succeduto Pietro Ridolfi cognato del papa; il quale, avendo per quelle opere di sangue,
condannato nel capo alcuno della plebe, ancorchè ciò facesse giustamente, non pote’, per
l’accecamento delle passioni, andare esente dal sospetto che, come gentiluomo, favorisse
quel ceto; per la qual cosa venne in modo indicibile in odio alla parte popolana (1
). Avendo
il papa per le straordinarie condizioni del paese, dato con un breve del 21 agosto 1515 al
numero dei sessantatre, detti del pacifico stato, ampie facoltà per rimettere e mantenere,
insieme al governatore, la quiete nella città (2
), il detto odio di molti contro questo, impacciava l’opera di que’ cittadini e le toglieva efficacia. Talchè parve necessario doversi adoperare perchè il governatore fosse richiamato. Il papa era a Bologna, e doveva portarsi a
Firenze. Gli furono mandati oratori i già nominati Lupi e Gerofani, che per questo importante affare si recassero ove egli fosse (3
). Già si era decretato che tutti i cittadini immischiati in quella sedizione potessero tute et sicure dimorare in città, perchè fosse dato
trattare con essi della pace con maggior agio; e l’otto di novembre (1515) si era fatto un
bando che nessuno dei Pianciani, Dedomo, Campelli, Leoncilli, tanto di ser Angelo che di
messer Alberto, Arroni di Francescantonio, e Berardetti si dovessero tra loro offendere; e
nessuno di Spoleto dovesse offendere o fare offendere alcuno di quelli per tutto il mese di
dicembre, sotto pena di ribellione, e di confisca di tutti i beni, e che ognuno potesse
impunemente offenderlo; e il capo dei priori insieme co’ suoi compagni, spiegato il gonfalone, fosse tenuto andare all’offesa del trasgressore, sotto pena, non facendolo, di 25
ducati d’oro per volta, e così gli artigiani che non lo seguissero. Cento di questi giurarono
di essere in favore della giustizia, e di procurare che fossero deposte le armi. Nei primi
giorni di dicembre i Dedomo, i Pianciani e i Berardetti si obbligarono per istrumento al
comune di far pace tra loro e con gli altri loro avversari nel modo e con le condizioni che
fossero piaciute ai priori (4
)
Gli oratori mandati al papa, avendo potuto in Firenze avere adito al cardinal
de’ Medici, per i buoni offici del vescovo Baglioni, l’avevano supplicato del loro
bisogno, facendogli per acconci modi intendere tutte le cagioni che li muovevano a quella
(1) Diari Citati, ecc.
(2) Riform. An. 1515. fogl. 348, 350.
(3) Riform. detto an. fogl. 412.
(4) Riform. detto an. fogl. 349, 382, 394, 400.
183
richiesta. Il medesimo fecero con madonna Alfonsina madre del papa; e l’una e l’altro
avevano loro promesso farebbero il debito suo presso il pontefice, riconoscendo esser
bene che Pietro Ridolfi lasciasse quel governo; non dovendo stare in un luogo dove, per
qualsiasi cagione, non fosse universalmente amato. Pietro però diceva che ciò non procedeva dalla comunità; e che questa, consultata, direbbe al papa il contrario di ciò che
dicevano gli ambasciatori. Per lo che la cosa esser ridotta a ciò, che chi lo contrariava si
fondava in cosa che non era il volere generale della comunità. Facessero i signori priori
prova certa del desiderio pubblico, e null’altro si richiederebbe all’effetto. In conseguenza
di che, proposta nell’arringa del 15 febbraio 1516 la domanda di un nuovo governatore, fu
approvata con quattrocento novantaquattro voti contro un solo. E Leone poco appresso
mandò al cognato un breve con cui gli permetteva di assentarsi dal governo (3
). Facilitava
questa remozione del Ridolfi l’opera dei saggi cittadini intesi alla pacificazione della città; ai
quali venne poi opportunissimo, il passaggio di messer Camillo Orsini, che per volere del
papa recavasi con le sue genti a toglier lo stato al duca d’Urbino. L’Orsini, trovando le
pratiche bene avviate, le parti stanche, i rancori mitigati del tempo, con la sua amichevole
autorità compì l’opera, e fece stipulare la pace tra tutte le famiglie discordi, e ci vennero
comprese ben cento persone, tra le quali se ne annoveravano quindici della sola famiglia
Dedomo (2
). Questo felice successo fu coronato dal deputare che fece il papa a governatore di Spoleto il nepote Lorenzo, già addivenuto duca di Urbino, essendone stato cacciato con le armi quel della Rovere. Tale elezione fu accolta e festeggiata come una grande
ventura (3
). Governò pei Medici il luogotenente Fabiano de’ Lippi di Arezzo, uomo di
molta capacità, che tenne il governo con equità e modestia convenienti all’alto intelletto
che aveva. A Lui succedette nel 1518 il vescovo di Nepi, ma essendo passato in questo
stesso anno il governo alle mani di Lorenzo Cibo, figlio di Maddalena sorella del pontefice,
il nuovo governatore mandò suo luogotenente Giovambattista Buonconte di Pisa, che nel
1519 ebbe a successore Giampaolo Tisi di Salerno cui succedette Andrea Cibo vescovo
di Terracina (4
).
(1) Riform. An. 1515. fogl. 452 - An. 1516. fogl. 455. 509.
(2) Istrumento della pace visto dal Campello.
(3) Diari. Il novembre 1516.
(4) CAMPELLO lib. 39.
184
Francescomaria della Rovere intanto, essendo i suoi sudditi malcontenti del Medici,
credette non dovergli essere malagevole di ricuperare lo stato; e, assoldati spagnuoli e
Italiani, riprese Urbino, e con Carlo Baglioni, fuoruscito e nemico dei suoi parenti, assediò
Perugia, e trattane gran somma d’oro, si condusse contro Cittadicastello. Fu creduto che
sarebbe poi corso contro Roma; e per questo il papa mandò a Spoleto Giancorrado
Orsini ad apparecchiare la difesa. L’Orsini giunse a Spoleto con un breve del pontefice il
25 Giugno 1517, e fu molto gradito, tantopiù che in quel giorno i trevani, sempre in discordia con Spoleto, essendo entrati con alcuni cavalli di Orazio Baglioni nel territorio per
correrlo, ne erano stati respinti con facile scontro. L’Orsini fu eletto gonfaloniere e capitano del comune per la difesa della città e a servigio della Chiesa; e furono scritti settemila
fanti. Ma il della Rovere assalito nel suo dominio, si ritrasse. In mezzo a tali avvenimenti le
discordie di alcuni luoghi del territorio di Norcia con altri del distretto spoletino, e specialmente un sanguinoso conflitto pe’ confini tra Montesanto e Mevale, avevano ridestato le
ostilità di Norcia con Spoleto. I cittadini, per i sospetti già da più tempo destati dal Minervio,
per le pretensioni sopra Montesanto che mostrava il Medici qual duca d’Urbino, e per le
promesse di aiuto che il Varano faceva a Norcia, entrati in timore per i loro possedimenti
della Montagna, non tardarono a mandarvi agenti ed armi. I nursini invaso il territorio di
Montesanto, avevano fatto una gran preda d’animali; gli spoletini accorsi li assalirono
sotto il castello di Mevale, ritolsero loro la preda, e postili in fuga, li rincorsero sino a
Riofreddo. Così tra il 1516 e il 1517, s’era in guerra con Trevi e con Norcia (1
). Il papa
interveniva, e imponeva una pronta pacificazione con l’uno e con l’altra. Ma gli spoletini,
temendo che l’esser condotti ad un accordo con Trevi chiudesse loro la via di riavere
Sangiovanni, si ricusavano di stipulare la pace, se non fosse restituito loro quel castello. Il
papa voleva che la pace si facesse senza indugio, riserbandosi poi a trattare del dominio
del castello. Qui si parve davvero l’indomabile pertinacia degli spoletini. Il legato cardinal
di Cortona, che aveva avuto la commissione di portare a termine quest’affare sino
(1) Riform. An. 1516, fogl. 3, 52, 70, e altrove. - LEONCILLI in Fran. Herulo. - PATRIZI - FORTI,
Mem. Stor. di Norcia, lib. V. §. 21.
185
dall’aprile 1517 (1
), richiese si mandassero a Roma sindaci, con pieno mandato, a concludere la pace. Trevi e Norcia obbedirono. Spoleto, non solo non mandava alcuno, ma
comandò ai suoi oratori che si trovavano in Roma, se ne fuggissero. Il legato scriveva e
rescriveva, ed essi non si curavano di rispondere, vi si adoprò il governatore de’ Medici
senza alcun effetto (2
). Minacciati dal papa di censure e multe, fecero il mandato, ma con
la clausola che il sindaco ser Pietro di Perleonardo non se ne avesse a servire che con la
volontà di un tale arcivescovo, il quale erasi allora allora partito per la Francia (3
). Leone
X, parendogli essere schernito, mostrossi assai sdegnato di questa indicibile ostinazione,
per lo che si mandarono il Lupi e il cancelliere Campanari a scusare il Comune, a perorare
pe’ suoi diritti e pel suo onore, e a trovar modo di menare in lungo l’affare. Ma il cardinale
non voleva ascoltare più nulla, e diceva che Sua Santità voleva essere obbedita, nè altro
che questo ripeteva alle repliche degli inviati (4
). Renzo Orsini da Cere conte dell’Anguillara,
a cui questi si rivolgevano per favore, li consigliava a fare il volere del papa, proponendo
un partito onesto, cioè che essi farebbero la pace co’ trevani, se il papa togliesse a quelli
Sangiovanni, con promessa che non avesse loro a renderlo mai più (5
). Il papa aderì a tal
proposta di Renzo, ed era già risoluto che il castello sarebbe dato per la Chiesa allo stesso
cardinal di Cortona, e si era già procacciata una riconciliazione dei fuorusciti con gl’intrinseci di quel luogo, per togliere ogni difficoltà. Lo stesso Renzo scriveva ai priori che Sua
Santità prenderebbe il castello con animo che non fosse più dominato dai trevani (6
).
Intanto,per volontà del cardinale, il Lupi e il Campanari erano ritenuti in castel Santangelo.
Essi ne scrivevano dicendo, che erano disposti a sopportar tutto per l’onore del loro
paese (7
). Anche dopo ciò il Consiglio, lasciando a’ priori facoltà di parlare e di discutere
(1) PATRIZI - FORTI, Mem. Stor. di Norcia, lib. V. §. 21.- Riform. An. 1517. fogl. 221.
(2) Riform. An. 1518 fogl. 369.
(3) Riform. detto an. fogl. 371, 386.
(4) Riform. detto an. (lib. in absentia ser Cesaris Campanari Cancellarii) fogl. 15
(5) Riform. detto an. ivi.
(6) Riform. detto anno (lib. come sopra) fol. 23, 37.
(7) Questa matina ad bonissima hora andammo da Mons. Revmo di Cortona come heri ce
havia commandato et adpresentatine ad sua Signoria lo adcompagnammo insino alla camera del
papa; et dopo multi boni rascionaminti, ce comandò retornassemo hoggi alle 20 hore, et così essendo al ponte de castello, fommo chiamati da parte del castellano, et semo stati ritinuti in castello
186
sulle cose contenute nella lettera dell’Orsini, escludeva che si devenisse per allora ad alcuna pace; e quando il papa la volesse assolutamente, se ne facesse nuova proposta al
consiglio, e si mandassero intanto, se occorresse, altri oratori per supplire a quelli imprigionati (1
). Questa deliberazione fu presa il 18 Giugno (1518), e il 24 gli oratori scrivevano
aver saputo da persona benevola che tutte le genti d’arme che erano adunate a Viterbo,
venivano inviate ai danni di Spoleto, perchè il papa diceva di voler vendicare il suo onore
(
2
). Fu allora convocato il Consiglio che, secondo il parere di messer Marco de’ Grassi,
deliberò si facesse la pace co’ trevani con quella clausola che fosse loro tolto ogni dominio
sul castello di Sangiovanni di Bitonta, e che ove fosse loro restituito, la pace s’intendesse
rotta. Si mandò incontanente un messo a Renzo da Cere, che era capo di quelle genti che
si muovevano contro Spoleto, ad informarlo di questa deliberazione, a rendergli grazie di
quello che aveva operato per la città, e a pregarlo che le continuasse il suo favore (3
). E lui
fecero sindaco per quella pace, che fu stipulata in Roma l’undici di luglio tra Spoleto con i
suoi castelli di Montesanto, Ponte, e Rocchetta, e Norcia con i suoi di Mevale, Riofreddo,
Biselli e Triponso. Le due parti si condonarono vicendevolmente i danni e le difese, e
promisero che ogni loro controversia sarebbe stata trattata in via giudiziaria. E in simil
modo fecesi la pace con Trevi (4
).
Nell’aprile del 1519 si portò a Spoleto lo stesso Cibo, per provvedere che, a cagione
della lega stretta con l’imperatore, e della guerra co’ francesi, la città fosse apparecchiata
a corrispondere con uomini e denaro alle richieste del papa, il quale a renderla ben disposta se le mostrava benigno oltre l’usato (5
). Con tuttociò, venuto Renzo dell’Anguillara,
che era mandato dallo stesso papa a cacciar di Perugia Giampaolo Baglioni, il consiglio, in
considerazione dell’antica amicizia che aveva la città con quella casa, non volle concedergli i mille e cinquecento fanti ch’egli chiedeva per valersene in quella impresa (6
); la quale
per altro non ebbe effetto, perchè nello stesso tempo, era il 12 di marzo 1520, giungeva a
per conmissione del detto Monsignore etc. (Riform. detto an. e libro, fogl. 22).
(1) Riform. detto an. (lib. come sopra) fogl. 38.
(2) Riform. detto an. (lib. come sopra) fogl. 44.
(3) Riform. detto an. (lib. come sopra) fogl. 45.
(4) Riform. detto an. (lib. come sopra) fogl. 48. 82. 90.
(5) CAMPELLO lib. 39.
(6) CAMPELLO ivi.
187
Spoleto il Baglioni che andava da sè stesso a porsi in mano del papa confidando, per altrui
consiglio, nella magnanimità di quello. Essendo egli in Spoleto presso Giovanni de’ Pelloli
suo amico, vecchio uomo ed accorto, lo sconsigliò da quella andata. « Se ora è in tua
mano, egli diceva, il non andare, non sarà poi ne’ tuoi piedi il ritornare ». Egli andò, e fu
preso e decapitato per orribili colpe che si diceva aver lui confessato nei tormenti (1
). A
Perugia allora se la intendeva co’ ministri della Chiesa, e signoreggiava Gentile Baglioni.
Orazio e Malatesta figli di Giampaolo, dichiarati ribelli, si portarono nel regno di Napoli
per le montagne di Spoleto, e per la via di Gavelli con forse ottant’uomini a cavallo. Di là
tornati con gran numero di fuorusciti e di altre genti rotte ad ogni insolenza e ribalderia,
mettevano sossopra il loro paese, avendo eglino a Spoleto di molti amici presso i quali
trovavano al bisogno sicuro e riposato ricovero. Aspettavano genti spagnuole, che, entrate pocanzi in Abruzzo, dimoravano in Civitaducale, donde dovevano venire a rimettere i
due fratelli in Perugia. Parve al legato cardinal di Cortona dovere, innanzi che quelle genti
più s’inoltrassero, snidare i Baglioni da questi luoghi; e, sottocolore di comporre parecchie
differenze, che erano tra i cittadini e quelli del distretto, venne in Spoleto, ed ebbe con sè
il governatore Cibo, e il Vitelli con la cavalleria della Chiesa, seguito da Gentile Baglioni
con altri cavalli. Orazio e Malatesta non si fecero sorprendere, nè li aspettarono. Tra pochi
giorni però il legato fece disfare il castello di Pianciano co’ suoi fortilizi, posti sopra San
Gilio, perchè seppe da taluno che i Pianciani, che n’erano signori, v’avevano accolto i
Baglioni, e aperto loro sicuro passo alla fuga (2
). Avrebbe voluto che il Comune avesse dato
fantial Vitelli per impedire gli Spagnuoli detti di sopra che non entrassero nella provincia; ma
partì col Vitelli senza ottenerli, e con essi partì anche Lorenzo Cibo, che lasciò al governo
Giovanni degli Albizi finchè, e fu in breve, giungesse il successore del vescovo di Terracina,
che fu il protonotario Francesco Pitta da Pisa. Intanto, essendo stata stipulata, come dissi, la
pace tra Spoleto e Trevi, erano intorno a due anni che Sangiovanni di Bitonta era stato resti-
(1) TESEO ALFANI, Memorie Perugine, Archiv. Stor. Ital. Vol. XVI. P. II. pag. 288.
(2) MINERVIO lib. I. cap. XVII.
188
tuito allo immediato dominio della Chiesa. Gli spoletini insistevano studiosamente per riaverlo, e dopo alcune trattative, convennero di pagare pel riscatto di quello tremila ducati,
sotto titolo di sovvenzione per alcune imminenti necessità della Chiesa (1
). Il pontefice ne
diede loro l’investitura il 25 dicembre 1520 con una bolla in cui si diceva che quel castello,
essendo posseduto con giusto titolo dagli spoletini già da oltre cinquant’anni, n’erano stati
spogliati per una violenza del cardinale di San Pietro in vincoli che aveva in odio la città (2
).
Il 4 d’agosto del 1521 (3
) i Priori con numeroso seguito e concorso di gente si portarono
a quel castello e, presente il Pitta, ne presero possessione per il Comune con indicibile
allegrezza degli abitanti, i quali erano rimasti sempre devoti alla signoria di Spoleto, come
indietro fu mostrato; e a tal punto devoti, che un d’essi volle piuttosto essere strangolato
che fare atto contrario al dominio della Città (4
).
Prima che questa lunga cagione di discordie, e d’innumerevoli danni avesse fine,
altra già n’era sorta presso gli stessi luoghi. Avevano i Brancaleoni impreso a edificare
dei molini nel fiume Clitunno sotto il castello di Pissignano, contro la volontà del Comune
che riteneva ciò per una usurpazione d’un diritto pubblico, e lo aveva impedito molti
anni prima alla comunità di Campello con tutto il suo potere. Venendo disprezzate le
intimazioni di desistere da quell’opera e sostenuto il fatto con la violenza, il Comune
pose mano a modi più vigorosi; ai quali Girolamo Brancaleoni, detto Picozzo, genero di
Saccoccio, giovane torbito e feroce, avvezzo alle armi audacemente resistendo, fu bandito con bando capitale. Allora costui, raccolti molti compagni, si afforzò nello stesso
castello di Pissignano, donde scendeva a correre e depredare le campagne che a piè di
quel monte si distendono, tenendo così in sgomento tutto il paese. Le cose giunsero a
(1) Riform. An. 1521. fogl. 345.
(2) Carte Diplom. nell’Arc. Com. di Spoleto - Vedi anche Saggio di Doc. Ined. pag. 45.
(3) Di questa data, che si ha dai Diari presso il Campello, non mi so render ragione; e considerando che la bolla d’investitura è del 25 dicembre 1520, che il breve in cui si dichiara fatto il pagamento dei tremila ducati è del 17 gennaio 1521 (Rif. fogl. 344), non vedo come si dovessero aspettare sei mesi per prendere la possessione del castello. E tanto più è da diffidare di quella data, in
quanto che la elezione di Bartolomeo d’Achille a vicario del comune in quel luogo, fu fatta dai Priori
il 2 di febbraio (Rif An. 1521, fogl. 346).
(4) Riform. An. 1505. fogl. 184.
189
tale che Annibale Baglioni, come commissario del papa, fu con molta gente ad assalire
quella rocca. Coloro ne furono snidati; e nello stesso tempo venne, per comando del
governatore, disfatto il molino; cagione di quel sossopra. Non per questo Picozzo si
raumiliò, che anzi da ciò irritato, si fece capo di altri facinorosi e banditi, e con
Giacomofilippo della stessa famiglia, lungamente inquietò il paese, essendogliene
stata data dagli avvenimenti, come si vedrà, opportuna materia.
CAPITOLO XXII.
Rivolgimenti cagionati dalla morte di Leone X. anche nell’Umbria - Gli Spole tini
s’adoprano per la concordia tra Gentile Baglioni e i figli di Giampaolo - Non ascoltati, aiutano questi con le armi - Il Conclave dà il governo di Spoleto al cardinal di Como - Alessandro
Ungaresi luogotenente - Soccorso mandato a Renzo Orsini da Cere contro i Senesi. I fanti
della Vallinarca ricusano andare oltre il confine del dominio, e tornano ne’ loro luoghi - I Vicari
e Massari, chiamati a render conto non compariscono. Minacce ai castelli inobbedienti e
punizione loro inflitta - L’inobbedienza si converte in ribellione aperta - Casi diversi di questa
- I Ferentillesi invadono le terre della città, spedizione vittoriosa contro di Loro - Altri soccorsi
mandati a Renzo da Cere - Si decreta di sottomettere i Castelli con le armi - Apparecchi a ciò,
sussidi degli Orsini - Renzo da Cere capitano generale degli Spoletini - Spedizione contro i
ribelli. Dedizione di Campello e di Pissignano - Si combatte sotto l’Acera - Questo Castello, la
Spina, Agliano, e Pustignano si sottomettono. Camero è preso d’assalto, Orsano è ricevuto
ad obbedienza - Disfatta d’un soccorso venuto dalla Vallinarca - Presa di Sellano, e di Gavelli
- Sottomissione generale de’ castelli, fine della spedizione. - Ambasceria al nuovo pontefice
Adriano VI - Alfonso di Cardona governatore - Si riaccende la ribellione, il governatore
riconduce i ribelli al dovere; Sellano solo contumace - Petrone e i Brancaleoni corrono la
Vallinarca - Hanno asilo a Cerreto - Fanno crudel governo di Vallo - Il governatore cavalca
contro costoro; e rimane ucciso - Onori resi al defunto - La ribellione, le correrie, e gli assalti
ai castelli fedeli continuano - Seconda Spedizione contro i ribelli - Assedio di Sellano - La
banda di Petrone entra in Monteleone; Serafino de’ Lotti podestà spoletino di quel luogo,
giunge a cacciarli. - L’elezione di Clemente VII, e il governo di Giorgio Cesarini pongono
termine alla sollevazione - Il Minervio arde vivi in una casa Petrone e il figlio - Spoleto riscatta
da un contratto di vendita Massa e Acquasparta - Que’ di Polino cacciano gli Arroni loro
signori, e si danno a Spoleto - Che cosa ne seguisse -Resistenza al governatore Giacomo Muti
- Il papa chiede soccorso di fanti - Spedizione degli Spoletini contro le terre dei Colonna -
Rimettono in Aquila i conti di Montoro.
La morte di Leone decimo, che seguì il primo giorno di dicembre dell’anno
1521, fu cagione di nuovi e non lievi rivolgimenti. Malatesta e Orazio Baglioni
erano tornati dal veneto con Francescomaria della Rovere, che in pochi giorni
190
aveva ripreso Urbino che gli era stato ritolto, aveva messo fuori di Camerino Giovanni
Varano, e sostituitogli Sigismondo; e poi s’era condotto nell’Umbria per assediare Perugia
e rimettere que’ due fratelli con un numeroso stuolo di fuorusciti (1
). Veniva allora in Spoleto
con fanti e cavalli, raccolti nel napoletano (2
), Camillo Orsini; anch’egli in favore dei figli di
Giampaolo che erano suoi cognati; il quale, introdotto il dì otto dicembre nel Consiglio,
richiedeva che la città, con gli offici, e al bisogno con le armi, cooperasse a rimettere i
Baglioni nella loro patria (3
). Il Comune, che aveva ricevuto sei giorni innanzi un breve
onde il collegio dei cardinali strettamente lo esortava ad astenersi dalle novità (4
), soprassedette per allora quanto alle armi, non volendo combattere contro la bandiera della Chiesa, per la quale Gentile Baglioni zio di Orazio e di Malatesta, e il Vitelli difendevano Perugia. Ma in quanto al rimanente con tutta la sollecitudine e lo studio si volse, per mezzo di
suoi inviati, a procurare un accordo con Gentile. Avvenne però che molti giovani spoletini,
contro il divieto del comune (5
), andassero volontariamente ad unirsi alle genti dell’Orsini
che erano a Massa di Todi (6
). La notizia di ciò fece nascere nell’animo del Baglioni dei
sospetti intorno alle vere intenzioni della città; talchè non prestò più ascolto alle trattative,
e gli oratori spoletini se ne tornarono senza aver nulla conchiuso. Poco appresso accadeva
che il Vitelli, mentre faceva gagliarda difesa, rimasto gravemente ferito d’un colpo
d’archibugio, e non potendo più nè operare, nè provvedere, dovesse con Gentile lasciare
la città, che si dette agli assedianti. Poco di poi Renzo da Cere che, per suoi fini, amava più
che tra Baglioni fosse concordia che divisione, indusse gli spoletini a rimandare loro oratori
a Gentile, che era a Cittadicastello presso il Vitelli che n’era signore, per mostrargli la
convenienza di accordarsi con gli altri di sua famiglia. Il comune vi mandò Stefano Fabritii, e Calliopio Benedetti, i quali tornarono senza alcun frutto della loro missione. Per la
(1) Muratori Annali. 1521.
(2) Riform. An. 1521. Ivi si legge. Habito inter se maturo colloquio presertim de militibus qui
congregari in regno intelliguntur a domino Camillo Ursino etc. (5 dicembre fogl. 443).
(3) Riform. detto an. fogl. 445.
(4) Riform. detto an. fogl. 444.
(5) Avevano allora (5 Dicembre 1521) per que’ casi decretato: Ne quis accipiat alia stipendia
quam sedis apostolice, vel gratis cum aliquo militet absque expressa licentia comunis Spoleti, sub
pena centum ducatorum auri pro quolibet. (Riform. fogl. 444).
(6) CAMPELLO, lib. 39.
191
qual cosa la città sdegnata, essendo già gli usciti di Perugia ingrossati da genti toscane, in
punto di tornare ad assaltare la città, mandò in difesa di Orazio e di Malatesta cinquecento
fanti bene armati, guidati da Pieronofrio Martelli, Giordano Cecili, ed Emiliano Martani. E fu
molto opportuno soccorso, e di tanto accrebbe la forza di que’ di dentro, che Gentile dovette lasciar l’impresa, e ritirarsi con le sue genti nel fiorentino e poi presso il Vitelli. Per modo
che Orazio Baglioni, venuto poi con Camillo Orsini a Spoleto per abboccarsi con l’Anguillara
e co’ Priori, professo la massima gratitudine di tanto servigio ricevuto dalla città con l’opportuno soccorso, da cui in gran parte riconosceva la conservazione dello stato (1
).
Il conclave aveva intanto dato il governo di Spoleto al cardinal di Como Scaramuccia
Trivulsi, che vi mandò luogotenente Alessandro Ungaresi di Pavia, il quale venne il 24 di
marzo 1522, quando il suo predecessore, lasciata al fratello Gherardo la custodia della
rocca, era già partito onorevolmente accompagnato da’ cittadini, e preceduto da quattro
trombetti del comune sino al confine. L’Ungaresi, trovando qualche opposizione nell’auditore
del castellano, che aveva lettere del cardinal camerlengo per la continuazione in quelli
offici, si rivolse al consiglio che lo fece mettere in possessione del suo governo (2
).
Francescomaria della Rovere, e gli Orsini, come ebbero rimessi in Perugia i
Baglioni, si provarono insieme con essi a rirnettere in Siena, per forza d’armi Borghese Petrucci, che n’era stato cacciato. Ora, essendo quest’impresa andata a vuoto, i
Senesi, favoriti dai Fiorentini, si erano volti ad invadere le terre degli stessi Orsini, e
specialmente di Renzo da Cere. Questi, ed altri capi della gente Orsina, al fine di
marzo del 1522 dimandarono al Comune di Spoleto un soccorso di mille fanti (3
), che
il consiglio, per l’antica e grande amistà che correva tra Spoleto e quella
(1) MINERVIO, lib. I. cap. XVII - Diari presso il Campello. - LEONCILLI in Francisco Herulo.
(2) Riform. An. 1522 fogl. 530, 532, 535.
(3) La lettera è del 27 marzo. Dicono di non sapere a chi si avessero a revolgere, se non lo
facessero verso i loro antichi affezionatissimi. « Avendo, per alcune cose importantissime a tutta la
fazione (orsino-guelfa), a fare qualche numero di gente, pregano strettamente i Priori li vogliano
subvenire per alcuni giorni di mille uomini etc. » Sono sottoscritti R. Lat. Ursinus Arcir., Renzo de
Cere, Camillo Ursino, Malatesta Baglioni, Mario Ursino, Galeazo da Farnese, (Riform. An. 1522.
fogl. 537).
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casa, di buon grado concesse (1
); e furono i fanti chiamati da tutto il dominio. Da ciò ebbe
origine una grande sedizione; chè, partiti i detti fanti, e giunti presso Giano ai primi d’aprile,
quelli di Sellano e dei castelli della Vallinarca, contro la volontà dei commissari spoletini, e
tentando d’indurre gli altri a far lo stesso, retrocedettero improvvisamente, e se ne tornarono nei loro luoghi. Chiamati i vicari e i massari a render conto dell’avvenuto salvo quelli
di Civitella e di Ceselli, che vennero e, scusando la loro comunità, gettarono la colpa sopra
gli stessi fanti, gli altri non si presentarono punto. Ammoniti a ritornare alle bandiere dentro
tre giorni, non fecero conto del mandato, rispondendo che per le condizioni della loro
federazione, non erano tenuti a servigio militare fuori del dominio. Nuovamente esortati, e
minacciati senza effetto, a parere di Sinsidonio Grifo, andò il popolo a comune in que’
luoghi e vi fece guasto di case e di campi a punizione della contumace insubordinazione (2
).
Anzichè raumiliarsi Sellano e Camero, apertamente si ribellarono, e seguirono il loro esempio Paterno, Vallo, S. Anatolia, Scheggino, Caso, Gavelli, Montesanvito, Civitella, le Grotte,
la Geppa, Meggiano, l’Acera, Sanfelice, la Spina, Orsano, Agliano, Pustignano, Apagni,
Campello e Pissignano; i quali castelli, stretta fra loro confederazione, si sottrassero in
tutto al dominio di Spoleto. I cittadini, accesi di grandissimo sdegno, e deliberati di por
termine alla intollerabile oltracotanza di coloro, elessero ne’ loro consigli ventiquattro cittadini, che con piena autorità insieme ai priori provvedessero al bisogno. Gli eletti e i priori,
governandosi in queste cose principalmente col senno di Geronimo Garofani, dapprima
con i consigli, con le esortazioni e con le promesse, s’adoprarono a persuadere que’
paesani, e a ricondurli alla ragione, ma ogni cura e industria usata a quest’effetto riuscì
vana. Che anzi la rozzezza di quelle menti trasse argomento d’insolentire maggiormente da
quella temperanza che, per essere adoperata dopo i primi atti di rigore, giudicavano debolezza. Avveniva intanto molto a proposito che, per lo intromettersi del cardinal Cibo e
dello stesso Renzo dell’Anguillara, Giovannimaria Varano duca di Camerino che, ucciso
Sigismondo, era tornato a dominare, avendo ceduto agli spoletini quelle ragioni che potesse avere in Montesanto, si strinse in lega con essi, con grande utilità dell’uno e degli altri,
(1) Riform. luogo soprallegato.
(2) Riform. An. 1522. marzo, aprile, fogl. 540, 542, 544. al 549.
193
perché al Varano facevano di mestieri le forze degli spoletini contro il duca di Urbino, e
questi potevano avere da lui grande aiuto contro le castella ribelli (1
).
Stimolati da’ sediziosi, o invitati dagl’impacci in che la città trovavasi involta,
si sollevarono anche i Ferentillesi, ed occuparono i territori di Rogoveto e di Petano
che sono a confine con essi. V’accorsero tosto due de’ priori e alcuni dei ventiquattro
con non piccolo stuolo d’armati; i quali furono presto e con grandissimo ordine
seguiti da una grande moltitudine mossa dalla città e dal contado; onde non solo gli
occupatori furono scacciati, ma domandarono pace, e riconobbero solennemente le
ragioni della città in que’ luoghi (2
).
I sollevati, di cui erano capi un Petrone da Vallo, uomo fiero ed implacabile, e
il già noto Picozzo Brancaleoni, attendevano ad offendere come potessero la città e
i cittadini, e quelli che nelle loro contrade erano rimasti fedeli a Spoleto. Portandosi un commissario del comune con sua gente a ricondurre ad obbedienza il castello
dell’Acera, essi gli mandarono contro Andrea da Pianciano allora bandito, con
dugento uomini, e fu forza al commissario aprirsi la via con un sanguinoso conflitto, nè credo che potesse giungere al fine della sua commissione (3
). Andarono ad
assediare la rocca di Scheggino, che si teneva per Spoleto. Gli uomini del castello erano, come dissi, della lega; ma accortisi che que’ ribaldi adoperavano
arti fraudolente, e trattavano in mala fede anche con essi, si rivolsero loro contro
e, audacemente combattendo, li cacciarono di quel luogo, e presa tale opportunità,
tornarono con Montesanvito e con Civitella all’obbedienza della città. Altri pure
seguirono quell’esempio, ma fu per poco, e solo questi si mantennero fedeli (4
).
Anche quelli di Norcia facevano allora il viso dell’arme, e gli uomini della
Rocchetta, che ne temevano gli assalti, chiesero a Spoleto un aiuto per poter raccogliere con sicurezza i grani che avevano ne’ confini di quella terra; perciò un commissario spoletino a mezzo luglio conduceva loro per la Valnerina dugento mietitori.
I sollevati, avutane notizia dagli esploratori, deliberarono ne’ loro consigli di ammazzarli
(1) Riform. detto an. fogl. 574. - CAMPELLO lib. 39.
(2) Riform. detto an fogl. 579. - CAMPELLO lib. 39.
(3) CAMPELLO lib. 39.
(4) Nell’atto di sottomissione dell’undici luglio si leggono anche Vallo, Gavelli, Caso,
Castelsanfelice Santanatolia, e le Grotte, che poi nelle deliberazioni dei Ventiquattro del dì trenta del
detto mese, si ritrovano notati tra i luoghi ribelli (Rif. An. 1522. fogl. 581, 596).
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tutti. Vennero contro di loro in gran numero, e li avrebbero raggiunti e manomessi, se il
ponte sulla Nera presso Ceselli non fosse stato tagliato dagli uomini di quel castello. Non
potendoli più inseguire, se ne tornarono e, assalito il castello di Scheggino, tentarono di
occupano, ma per la natura del luogo, furono ributtati dalle stesse femmine. Era loro
condottiero Geronimo di Fiorino di Spoleto, omicida e ribelle (1
). Andarono per sorprendere anche la rocca d’Orsano, ma non essendo loro riuscito di prenderla alla sprovvista, la
strinsero d’assedio, e la ridussero in grandi angustie (2
). Oltracciò nei loro segreti congressi venivano anche meditando di entrare improvvisamente in Spoleto, e farvi strage de’
cittadini; i quali per certo a ciò non pensavano, anzi a tutt’altro pensavano, chè in questo
tempo appunto si trova fatta istanza al comune di un sussidio per la rappresentazione di
commedie, che è la prima menzione che io ne abbia incontrata (3
); e poco innanzi ai fatti
sopra narrati, si era creduto di poter mandare senza pericolo quattrocento fanti agli Orsini
in aiuto contro i Sanesi che minacciavano Cere (4
). Ma per queste ultime cose dette, i
ventiquattro, tra i quali signoreggiava il senno di Geronimo Garofani (5
), mentre si affretta-
(1) 23 luglio 1522. - Cum commissarius comunis ducentos messores, ab universitate castri
Rochette petitos, per vallem Narci duceret, homines dicte vallis in magna copia, armata manu, contro dictos messores processisse, ut illos offenderent, et eos insecutos fuisse, et ni pons super Narem
apud Cesellium ab hominibus dicti Castri rescindebatur, dictos messores lesissent, cumque insequi
longius non possent, regressi oppidum Schiagini agressi, illud occupare tentarunt, unde a mulieribus
loci natura repulsi fuerunt. Horum ductor erat Hieronimus Florini de Spoleto homicida et rebellis
cois Spoleti (Rif. 1522 fogl. 581, 589).
(2) MINERVIO, lib. I cap. XVIII. - Riform. An. 1522. fogl. 593.
(3) Erano alcuni giovani che intendevano « rappresentare d’innanzi al cospetto delle Signorie
loro (i consiglieri) et de tutta la città, una ingegnosa et jucunda comedia da summi principi non
desprezata, e inoltra accomodare altri piaceri al proposito delle tre festive giornate (di pentecoste ).
Ma perchè ne occorrono de varie e grandi spese, e senza esse la cosa seria imperfetta .... e maxime
per trovarse el palazzo adesso senza pifari (suonatori), e loro siano forzati per ornamento de la festa,
de altri lochi condurli e non senza cunveniente provvisione, però ecc. » (Rif. 1522. fogl. 557).
(4) Riform. detto an. fogl. 557. 559.
(5) Non credo dover passare in silenzio che tra le cose di pubblica utilità da lui fatte adottare in
questi tempi, ve n’è una principalissima, cioè l’aggiunta di una nuova vaita alle dodici esistenti; nella
quale si dovessero iscrivere i novelli cittadini che si facessero. Perieronimus Garofanus ... consuluit
quod cum haud equum sit cives qui noviter fierent, officiis ita cito frui, deliberatum sit in civitate
Spoleti tertiadecima vaita in qua omnes cives deinceps fiendi et creandi describi debeant, et
195
vano nei necessari apparecchi di guerra, mandarono lettere e messi ai capi degli stessi
Orsini, ragguagliandoli della ribellione, e della volontà del popolo impaziente di opprimerla. Chiedevano loro, fanti e cavalli a questo effetto, e li avvertivano che i sollevati non
facevano assegnamento sulle loro forze sole, ma contavano nel favore altrui; essersi collegati co’ Ternani e co’ Nursini, e avere aiuti e caldo dai Colonnesi. Gli Orsini tutti concordi
risposero essere apparecchiati; e indi a poco Giovannantonio mandò quaranta cavalleggeri,
Virginio conte d’Anguillara cinquanta, Ottavio andò a Cascia per poter molestare i nemici
dall’altra riva del fiume Nera, avendo seco molti valorosi militi della città e una compagnia
di Assisani. Intanto i ventiquattro mandarono cittadini esperti delle cose militari, a raccogliere i fanti pel contado e pel distretto, e a richiedere i collegati dei loro aiuti. Assegnarono
a ciascuna delle dodici vaite due conestabili, elessero quattro cittadini che presiedessero
alla vettovaglia, collocarono un commissario a Montesanto e uno a Monteleone, perchè
fosse chiusa ai ribelli l’uscita da quella banda. Mandarono a chiedere le artiglierie ad Orazio Baglioni per allontanare dal medesimo ogni pensiero di prestare aiuto agli avversari, ed
ottennero l’artiglieria d’assedio dal duca di Camerino (1
). Al finir di luglio, essendo stato
pregato ad affrettarsi, giunse con dugento cavalli e una compagnia di Corsi, Renzo da
Cere; il quale, per i sussidi avuti, era desideroso di mostrare la sua benevolenza alla città.
Appena giunto, i ventiquattro, deliberato che omai tutto si facesse a suo senno e, nominati
sei del loro numero che, con piene facoltà, fossero presso di lui, lo costituirono capitano
generale (2
). Secondo le disposizioni date già dagli stessi ventiquattro, tutti o cittadini o
distrettuali che si trovavano nei luoghi ribellati, dovettero tornare, e tutti i cittadini dai 18 ai
sessant’anni presero le armi (3
). La città, perchè fosse assicurata da ogni danno e pericolo
non possint alibi describi et annotari, et alii etiam qui civilitate privarentur; et omnes qui fuerunt
descripti et annotati in dicta vaita quicumque sint, et eorum successores non possint habere seu
consequi aliquod officium per centum annos a die facte descriptionis, et si eis concederetur non
possint frui, contrariis quibuscumque non obstantibus. Questa proposta fu riformata nel consiglio
del 16 luglio 1522 con 52 voti di cinquantotto votanti (Rif. fogl. 584). Conviene dire che allora gli
Spoletini sentissero il peso della gente nuova di cui ragiona Dante, e che non solo ai tempi di quel
poeta fu dannosa alle città.
(1) MINERVIO lib. I. cap. XVIII. - Riform. An. 1522. fogl. 590, 593.
(2) Riform. detto an. fogl. 597.
(3) Riform. detto an. fogl. 596.
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nel tempo della spedizione, fu data a guardare a que’ di Cantalice, che per antica confederazione, erano stati sempre amici fedeli degli spoletini (1
). Il sei d’agosto Renzo uscì della
città e con settemila uomini si accampò al piede dei monti di Campello e di Pissignano,
presso le vene del fiume Clitunno. Gli abitanti di que’ due castelli, alla vista di tante armi
pronte alla loro distruzione, vennero supplichevoli al capitano e ai priori, chiedendo pace e
perdono, e furono ricevuti in fede. L’esercito allora prese la via dei monti, e si volse verso
l’Acera, che aveva promesso arrendersi e dare ostaggi se vi si mettesse un presidio che la
guardasse dagli altri sollevati. Questi per impedire il passo all’esercito avevano posto aguati
in un luogo difficile sotto quel castello, ed erano condotti da alcuni de’ Pianciani e dei
Morichetti banditi spoletini. Vi fu aspro combattimento in cui i sollevati furono ributtati e
messi in fuga dai cavalli di Renzo, e dai fanti guidati da Letterio Campana, destinati appunto a presidio dell’Acera, che fu subito presa (2
). Movendo di là Renzo il giorno appresso,
superati i gioghi di que’ monti, ebbe la Spina al primo giungere, e Agliano e Postignano
che mandarono ostaggi. Già il sole volgeva al tramonto quando si pose il campo a
Camero; e mentre i paesani non sapevano risolvere se dovessero arrendersi, e non
ardivano difendersi, il castello con un solo assalto fu preso al cominciare della notte e,
contro la volontà del capitano e dei priori del comune, fu mandato in fiamme dai soldati;
parte degli abitanti furono presi, parte si salvarono con la fuga. Orsano si arrese, e fu
ricevuto ad obbedienza. Saputo poi che i Sellanesi, afforzato tutto all’intorno il castello
con fossi ed argini, e condotte artiglierie, e soldati di mestiere, erano disposti a resistere
e a sostenere l’assedio, il capitano condusse le sue genti a Forfi, villaggio di quel territorio, dove aspettò che giungessero le artiglierie concesse dal duca di Camerino, a scorta
delle quali mandò due compagnie. Condurre le artiglierie da Camerino a quel luogo fu
cura del capitano Severo Minervio, non meno illustre nelle lettere che nelle armi. Egli,
con grandissimo studio e fatica, e non minore celerità, seppe trasportarle per scoscese
balze e ardui gioghi sul monte che sovrasta a Sellano (3
). Il giorno seguente
(1) MINERVIO, lib. I. cap. XVIII
(2) MINERVIO, lib. I. cap. XVIII. - Riform. detto an. fogl. 597.
(3) Egli stesso il Minervio narra ciò nella sua storia (lib. I cap. XVIII); ma di più trovasi annotato nelle riformagioni di quell’anno (fogl. 598) come segue: Item quod dño Severo Minervio, qui
curam adducendi tormenta a Camerino habuit, et in hoc passus fuerit magnos labores, dentur salme
decem grani pro eius premio.
197
Renzo pose il campo presso le mura di quella terra assai popolosa, e con tutte le genti che
aveva seco la cinse di strettissimo assedio. Intanto molti dei sollevati della Valnerina che,
condotti da Luzio di Campello, venivano a recar soccorso agli assediati, incontrati e posti
in mezzo dagli spoletini, che alcuni ne presero e altri ne uccisero, volti in fuga, si ritirarono
a Cerreto, da cui non erano lontani. Tra quelli presi fu lo stesso Luzio che venne impiccato
nel campo (1
). La notte veniente sorto, per dispareri, un gran tumulto tra gli assediati, ne
uscirono per la porta inferiore meno guardata, quasi dugento con i figli e con le donne, e
presero la fuga; e gli altri, che restarono dentro le mura, arrendendosi, fecero entrare gli
spoletini dalla porta superiore. Di quelli che s’erano dati alla fuga molti furono presi, e
alcuni puniti di morte sotto le stesse mura. Il castello fu messo a sacco e a fuoco, e ne fu
guastato il territorio. Nello stesso tempo Ottavio Orsini, sulla sinistra sponda della Nera,
aveva preso Gavelli per assalto. Atterriti gli altri castelli da questi eventi, mandarono al
capitano generale ostaggi in segno di sottomissione, tutti tranne Paterno, i cui abitanti parte
a Cerreto parte a Triponso si ripararono. Gli ostaggi vennero mandati a Spoleto ben guardati; e furono ad ogni castello imposte multe ed ammende secondo la gravezza degli atti di
ribellione. Renzo tornò con l’esercito a Spoleto e, ricevuto con grandi dimostrazioni d’onore,
gli si resero solenni grazie per decreto del popolo (2
). Per riconoscenza poi del beneficio
ricevuto dal duca di Camerino, fu ordinato che i serrami e le catene di quella città che, sino
dal 1502, pendevano come trofeo sotto il portico del podestà nella piazza di Spoleto, ne
fossero tolti (3
).
Era in quel tempo giunto di Spagna a Roma il novello pontefice Adriano VI.
cui furono mandati dal comune oratori, per il consueto omaggio, Fabio Vigile
insigne latinista, Andrea Parenzi e Bartolomeo Racani (4
), ai quali il papa mosse
dapprima qualche doglianza perchè Spoleto città pontificia avesse fatto guerra
ad altri sudditi della Chiesa. Ma fu per modo chiarito da que’ valentuomini delle
ragioni del fatto, che egli non potè non riconoscere la giustizia e la necessità di
quella guerra (5
). Mandò poi Adriano a governare la città e a custodire la
(1) Riform. detto an. fogl. 598.
(2) MINERVIO lib. e capo allegato - Rif. detto an. fogl. 598, e altrove.
(3) Item quod pro beneficio accepto ab illmo Dño Duce Camereni serre et cathene Civitatis
Camereni, quae pendent sub porticu palatii potestatis in platea civitatis Spoleti, inde removeantur.
Rif. 1522. fogl. 598.
(4) Riform. detto an. fogl. 616.
(5) Diari, presso il Campello.
198
rocca un gran signore spagnuolo, il giovane don Alfonso di Cardona, congiunto dei re
d’Aragona. Furono i cittadini assai lieti e soddisfatti di questa scelta, ed accolsero con
grandi segni di rispetto e di considerazione il giovane governatore che entrò col suo seguito
in città ai primi di novembre, cavalcando tra molti nobili e principali cittadini,che per fargli
onore si erano portati ad incontrarlo (1
).
La peste, che sino dal cominciare del 1523, si era sparsa per le campagne, e
dalla quale la città si guardava a fatica, non impedì che una nuova sollevazione, già
incominciata in Sellano, prendesse piede e si allargasse alla più parte delle castella
della Vallinarca. V’andò però il governatore in persona, e quelle, salvo Sellano,
tornarono facilmente al dovere, e rinunciarono ad ogni controversia con Spoleto,
non solo nelle vie di fatto, ma anche di giustizia. Sellano, però, rientrativi quelli
che n’erano fuggiti, si mantenne contumace. E con tanto maggior animo si ostinava in suo proposito da che una numerosa masnada di banditi, che aveva per capo
quel Petrone da Vallo, di cui fu indietro parlato, col caldo di Picozzo e degli altri
Brancaleoni, s’era data a correre il paese, e, con depredazioni e vendette, teneva in
piedi la rivolta, avendo sicuro ricovero nel borgo e castello di Cerreto, allora nemico alla città. Petrone, a un tratto, ingrossata la banda di quanti fuorusciti e ribaldi
potè adunare, si pose intorno ai castelli della Rocchetta, di Ponte, di S. Felice e di
Vallo per sottometterli, e sforzarli ad operar seco. I primi tre si difesero bravamente,
ma Vallo, assaltato con maggior impeto, fu preso, fatto tutto pieno di rovine e di
sangue, e spogliato d’ogni cosa. Un gran numero di giovani spoletini, a tali notizie, presero con sdegno le armi, ma quando giunsero nella valle, quei ribaldi si erano
già ritratti nel loro ricovero di Cerreto. Alla voce sparsa poco di poi, che per
immedicabile infermità, Adriano VI era condotto in fin di vita, i ribelli, che si vedevano venire incontro il debole e trasandato governo della sede vacante, tornarono a
Vallo, v’entrarono a forza, e vi commisero novelle iniquità d’ogni maniera. Di che
fieramente sdegnato il giovane governatore, il 9 di settembre cavalcò egli stesso alla
volta di Vallo accompagnato da pochi familiari, e da alcuni cittadini, come quegli
che forse, per l’iberico sentimento della sua nobiltà e dignità, reputava poter bastare
la presenza di sua persona a sbigottire e reprimere abbietti masnadieri. Coloro
(1) Riform. An. 1522. fogl. 647. - CAMPELLO lib. 39.
199
videro da Vallo la comitiva di cavalieri che calava dal monte opposto; temerono di aver tra
poco contro tutte le armi della città, nè parve loro di doverle aspettare, e uscirono dal
rovinoso e insanguinato castello per tornare all’usato ricovero, quando era loro ancora
concesso di farlo. Erano ottanta nomini, tra quali Picozzo, gli altri Brancaleoni e Petrone,
armati di spiedi, lanciotti e schioppetti, perduta ed efferata gente. Quando costoro passavano il ponte di Piedipaterno, il governatore e i suoi compagni, armati pressochè di sole
spade, già scendevano rapidamente dall’altra banda della valle, e s’incontrarono in luogo
angusto tra il monte e il fiume. Il governatore, vedendo uno che veniva innanzi alla masnada,
gli domandò quale fosse Petrone; avendogli quegli risposto esser lui, don Alfonso gli diede
d’una giannetta per modo che lo fece cadere da cavallo. Quelli che venivano dietro
abbassarono tutti le armi contro quel signore, ai lati del quale si strinsero i compagni in
difesa,e ne seguì una mischia feroce in cui i pochi e male armati, comecchè prodi compagni, furono sopraffatti dai molti e bene armati. Il governatore cadde trucidato con un gran
numero di mortali ferite nel capo e in altre parti; e presso di lui e combattendo disperatamente in sua difesa, morirono cinque suoi familiari Giannotto Sales, Pedro Paneglia, Diego
Francisco Zambrana, Arnaldo Perez e Jacome Moranes, con più dura sorte dei cittadini,
i quali nulladimeno rimasero tutti mortalmente feriti, massime Antonio e Giordano Cecili, e
Giovanmatteo Mesoni (1
). Solo gli uomini di Ponte si provarono di traversar la strada a
quella mala gente, ma furono ributtati, e coloro si ridussero in sicuro a Cerreto, donde poi
si portarono a sconvolgere la terra di Monteleone (2
). La novella dell’atroce caso portò a
Spoleto gravissimo lutto; tutti piansero la misera fine del giovane governatore che aveva
imprudentemente prodigato la vita per le ragioni della città, e del suo governo. Si vietò ogni
allegrezza di canti, di suoni e di danze o spettacoli sino che di tal morte fosse stata fatta
vendetta, e di sollecitarla si die’ cura ai ventiquattro sulle cose della guerra e a due oratori
mandati per questo a Roma. Splendidi funerali furono celebrati nel duomo; e disse le lodi
del defunto Nicolò Scevola spoletino, uno dei più insigni professori d’eloquenza, e di lette-
(1) MINERVIO lib. I. cap. XVIII. - LEONCILLI in Francisco Herulo - CAMPELLO lib. 39.
(2) Sentenze relative al fatto, presso il Campello.
200
re greche e latine che allora fossero ingrido in Italia. Al finire del secolo XVI si vedeva ancora
nel duomo l’arca che racchiudeva le ossa del giovane sollevata su due colonne e coperta
d’un drappo nero fregiato d’oro sopra la quale si ergeva il trofeo delle sue armi (1
).
Nel principio della sede vacante, pochi giorni dopo il caso narrato, i sellanesi, accendendosi maggiormente nella ribellione, ne fecero centro il loro castello cui trassero gli
uccisori di don Alfonso, e molti altri fuorusciti e banditi per misfatti con gran numero di
cerretani guidati da Picozzo Brancaleoni. Costoro ricominciarono a correre il territorio,
minacciando i castelli che si mantenevano sommessi alla città, e specialmente Montesanto.
Essi se la intendevano co’ Colonnesi che, stretti di amicizia agl’imperiali, erano allora assai
temuti. Mossero da Spoleto contro coloro mille fanti che obbedivano a Corrado, Orsini,
uniti a gente camerinese, mandata dal Varano, e a molti cavalieri cittadini ed estranei.
Questa milizia, dopo avere assicurato il passo, e mandata una squadra a presidiare Montesanto, andò a campo a Sellano, dove la feroce bordaglia si difendeva ostinatamente; ma
non avrebbe potuto fare lunga resistenza, perchè le mura, percosse da bombarde, e minate, sarebbero tra poco cadute in più luoghi. Venne però, forse per mene del cardinale
Pompeo Colonna, un commissario del collegio de’ cardinali, che il 29 d’ottobre fece
sciogliere l’assedio. Gli assedianti lasciarono a malincuore l’impresa condotta quasi a termine e, guastando la campagna e ardendo i piccoli luoghi d’intorno, se ne partirono. Gli
spoletini, scrive il Minervio, sostennero in questo assedio molti e gravi disagi per uno
straordinario imperversare della stagione, e non pochi ve ne furono uccisi, non solo del
popolo minuto, ma cittadini di conto, tra quali si annoverò Giovannantonio Urrigo, giovane
assai esperto nell’arte militare; il quale mentre disponeva le guardie, e preparava macchine, percosso d’un colpo d’archibugio nel petto, morì, e fu pianto da tutta la città (2
).
Nel tempo che ancora durava l’assedio di Sellano, centocinquanta e più seguaci di
Picozzo, tornarono a Monteleone per compiere il rivolgimento a cui s’erano provati pochi
giorni innanzi. Avuta la porta di sotto, corsero con gran tumulto sino in piazza, gridando
Colonna, Colonna, Carne! e mettendo tutto a rumore per insignorirsi del luogo, e sottrarlo
(1) CAMPELLO, lib. 39.
(2) MINERVIO, lib. I. cap. XVIII. - SERAFINO ODDUCCI, Memorie mss. - LILII Stor. di Camerino. P.
II. lib. IX. - CAMPELLO, lib. 39.
201
alla dominazione della città. Ma il podestà spoletino Serafino de’ Lotti fu di tanto animo
che, accorso co suoi famigli, e chiamando all’armi quanto popolo potè, ricacciò gl’invasori, che tentarono poi fare il medesimo tratto a Cascia, per rimettervi alcuni ghibellini cacciati poco innanzi; ma trovata la terra ben guardata, altro non fecero che alcuni omicidi,
commessi per via a sfogo di rabbia (1
). Colla elezione del pontefice Clemente VII (18
novembre 1523) si quetarono questi tumulti, e si rese inutile una deliberazione fatta a
Spoleto perchè si ricominciasse l’assedio di Sellano. Il novello papa mandò a governare la
città Giorgio Cesarini gonfaloniere di Roma; il quale molto si adoprò a torre di mezzo ogni
resto di quelle turbolenze. Sellano e gli altri sollevati, stanchi, tornarono a sottomettersi, e
riconoscendo il loro errore, rinnovarono le antiche convenzioni che furono poi sempre
osservate. Questi buoni effetti furono dovuti in gran parte a una sentenza di morte che mise
fuori della legge i capi di que’ tumulti, uccisori del governatore Cardona; che chi quà, chi
colà, quale prima, quale poi, furono uccisi o presi. E quello che pose il suggello alla quiete,
e rimosse anche il pericolo di novello turbamento fu la morte di Petrone primo autore della
ribellione che seguitava tutt’ora ad essere infesto. Costui, cercato a morte più lungamente
degli altri, essendosi una volta infra l’altre nascosto con un suo figliuolo in un povero abituro, fu scoperto da Severo Minervio, che ve lo assediò con l’opera di alcuni giovani spoletini, e vi fece mettere il fuoco. I due ribaldi vi morirono arsi; e i loro cadaveri, tratti dalle
fiamme neri e fumanti, furono portati a Spoleto, e con le mani mozze sospese con catene ai
tronchi, stettero esposti al pubblico. Terribile spettacolo, dice lo storico, ad ammonizione
di tutti coloro che mettono le fiamme della discordia nella loro patria (2
).
Al fine del 1525 si dovette rivolgere il pensiero ad altri castelli nella parte opposta del
dominio. I Todini, avendo frequenti differenze con que’ di Acquasparta e di Massa per i
confini, offersero al papa non piccola somma d’oro per comperarle. Le due comunità si
rivolsero a Spoleto perchè impedisse questo mercato che si voleva fare di loro, offerendosi
di essergli soggette se ne le liberasse. Spoleto pagò la somma promessa da Todi, e redense
(1) Dalle Sentenze del Governatore di Spoleto e del Podestà di Monteleone, presso il Campello.
(2) MINERVIO lib. I capo XVIII.
202
le castella, a cui forse per qualchetempo mandò il podestà (1
). Il lettore sa come al tempo
del governo di Lucrezia Borgia, Aquasparta fosse soggetta a Spoleto, e suo confine da
quella banda. In picciol corso d’anni gli era sfuggita, e ora tornava. Di questo e degli altri
casi incontrati in questa storia, di tanta mutabilità dei domini, era cagione il capriccio dei
popoli scontenti sempre dello stato in cui si trovavano, qualunque fosse, e sempre desiderosi di quello in cui non fossero, non che dell’alta sovranità che li dava e toglieva secondo
le opportunità, e spesso vendeva al maggiore offerente. Il lettore avrà più volte notato
come nella narrazione sia stato detto che la città aveva riacquistato un luogo, senza che si
fosse notato che lo aveva perduto, il che avveniva, perchè di questi passaggi non si ha che
una storia monca ed imperfetta. Nell’anno seguente (1526) que’ di Polino cacciarono gli
Arroni loro signori, togliendo l’occasione data da uno di questi attentando all’onestà di una
donna del paese. Essi si offersero a Spoleto, che senza accettarli, li proteggeva per potere
intanto adoperarsi a ricomporre la pace. Contro la promessa fattane alla città, gli Arroni,
con gente loro e degli amici anche spoletini, assediarono il castello, per rientrarvi per forza;
e l’intìmo che mandò il comune perchè l’assedio fosse tolto, non fu prezzato, e venne
insultato il messo che lo portò. Si levò per questo tal rumore, e tante grida dalla plebe
contro i nobili, che gli storici affermano essere sembrate soverchie e per sin ridicole a tutte
le persone sagge e temperate. Come fu deliberato, nella stessa veniente notte il priore
Gaspare Rosari ed altro de’ suoi colleghi, con sufficiente numero d’armati, mossero alla
volta di Polino per far levare quell’assedio. Gli Arroni, avvertiti in tempo della deliberazione, non aspettarono che giungesse agli assediati questo soccorso, e si ritirarono. Ma tuttavia non finì senza sangue, chè questa gente che andava alla volta di Polino, scontratasi in
alcuni gentiluomini amici degli Arroni, prese ad offenderli, e nella mischia che ne nacque
rimase ucciso Andrea Dedomo per mano d’un barbiere e di un altro di quella risma (2
). I
Polinesi, liberati da’ loro timori, e vedendo di che utilità fosse loro stata la protezione di
Spoleto, mandarono dei sindaci per dare effetto alla dedizione. Il comune soprassedeva
ad accettarli per riguardo agli Arroni che erano suoi cittadini, e specialmente a
Giovannantonio che il Campello, allegando scrittori di quella età, di essere stato uomo di
(1) BRACCESCHI, Commentari fogl. 215. - CAMPELLO, lib. 39.
(2) Diari sopra allegati.
203
gran merito e nome, e da cui riceveva allora la patria fama singolare (1
). Si provò quindi il
comune di riconciliare quegli uomini con i loro signori, ma non volendo quelli a niun costo
riassoggettarsi ad essi, li riceve’ alla fine sotto la sua giurisdizione, considerando che un
castello posto ai confini del regno di Napoli, non doveva lasciarsi esposto a passare in
mani straniere. La città lo tenne sette anni; poi, sbolliti gli sdegni di que’ paesani, gli Arroni
lo riebbero, con pressochè ottocento suffragi del popolo spoletino (2
)!
Non fu questa la sola, nè la maggior cagione di turbamento in quest’anno. Governava
come luogotenente Giacomo Muti romano, con tale e tanto dispregio della città, dei cittadini e dei loro diritti, che ogni giorno se ne ricevevano sfregi e soprusi. Si rese pertanto
costui siffattamente insopportabile a tutti; che fu necessario prendere una deliberazione; e
non potendosi riunire l’arringa dentro la città, per la peste, si riunì nella chiesa suburbana
dei SS. Apostoli (3
) dove si deliberò che al luogotenente, come dispregiatore ed oppressore della città, non fosse più prestata alcuna obbedienza; e che cinquanta cittadini, a ciò
eletti, avessero cura di procacciarne la remozione dall’officio. Venne da Roma commissario su queste cose Guido Guidoni vescovo di Modena, accolto con gran favore dalla
moltitudine armata. Il Muti fu ristretto co’ suoi nella rocca, e rigorosamente guardato,
sinchè, avuto salvocondotto, usci di notte della città, di cui il Guidoni prese il governo (4
).
Il pronto ascolto dato da papa Clemente ai richiami dei cittadini, aumentò per modo la loro
dedizione di guelfi, che avendo egli mandato il conte Nicola da Tolentino, e Pietro
Chiavellocci il 21 settembre per chiedere pronto soccorso contro gl’imperiali che erano a
Napoli e contro i Colonna, non solo furono subito levati fanti, quanti più si potè in città e
nel distretto, ma trecento dei più scelti giovani giurarono di prendere quella difesa, e di non
lasciarla che per morte (5
). Erano in via a grandi giornate questi soccorsi quando il Moncada
spagnuolo e i Colonnesi assalirono Roma a tradimento, misero a ruba il vaticano e Sanpietro;
e il papa salvossi appena nel castel S. Angelo. Una tregua che seguì, avendo reso inutile
(1) CAMPELLO, lib. 39. - LEANDRO ALBERTO, in III Reg. Italiae.
(2) Riform. 1535. fogl. 51, 54. - Diari e Istrum. della restituzione.
(3) Diari allegati, a dì 6 giugno 1526.
(4) CAMPELLO, lib. 39.
(5) MINERVIO, lib. I Cap. XIX.
204
per allora ogni servigio, gli spoletini, come fu comandato, ritornarono nel loro paese. Ma
poco appresso ricominciata La guerra con i Colonnesi, il papa comandò loro una spedizione contro le terre di costoro. Il 19 di novembre 1526 le schiere del comune, che
noveravano settemila uomini, comandate dai priori Severo Minervio e Antonio Cecili, ed
accompagnate dal governatore come commissario apostolico, entrarono in cammino. Pervenuti a Collescipoli, e avendo quel castello negato i viveri, fu senza scale assaltato, preso
e saccheggiato. Giunta intanto la novella di questa spedizione a Giulio fratello del cardinal
Colonna, capitano dei Sanesi, che con pochi si affrettava per vie nascoste in soccorso dei
suoi, prese il cammino per l’altra riva della Nera dove cadde nelle mani degli uomini di
Bonacquisto, castello degli spoletini. Essendo pochi e quasi inermi, aiutato dal cavallo,
potè salvarsi, ma ferito, e lasciando in potere degli assalitori nove bandiere tolte all’esercito pontificio che aveva assediato Siena, e che seco menava nel suo paese; le quali bandiere da que’ di Bonacquisto portate a Spoleto, furono dal comune mandate in dono al
pontefice. Intanto i fanti spoletini, per vendicare le ingiurie sostenute da Clemente, portarono le armi contro la terra di Subiaco, che era tenuta dal detto cardinal Colonna. Occuparono la terra, ebbero per dedizione la rocca fortissima, e presero e mandarono a
sacco tutte le castella del territorio. Non venendo provveduti di vettovaglia, ebbero poi a
rientrare ne’ loro confini, vittoriosi e carichi di ricca preda, nella quale si contava molt’oro
che il capitano Minervio consegnò alla camera del comune (1
).
Era l’anno 1527, ingrossava in Italia la guerra, e novelli apparecchi si facevano. Agli
spoletini, rotti com’erano ad inimicizia co’ Colonnesi, che militavano per l’impero, molto importava che le armi di Francia e della lega rimanessero superiori, perchè dal contrario avevano a temere aspre vendette e rovine. Il re di Francia aveva con molta gente e
danaro rimandato in Italia Renzo dell’Anguillara, che era a’ suoi stipendi, perchè avesse
il comando delle milizie della Chiesa. Di ciò essi sentirono, rassicurandosi, grande letizia, e tosto per le lettere del papa, e secondo le disposizioni di Pietro Ascanio, inviato
dallo stesso Renzo, ordinarono e posero in armi loro fanti. Nello stesso tempo Clemente
collocò al governo del ducato di Spoleto Fabio Petrucci, che non gli era venuto fatto
(1) MINERVIO, luogo allegato
205
di rimettere nella signoria di Siena. Fu avuto in gran pregio il giovane signore e gli fu fatta
ottima accoglienza (1
).
Inoltrandosi i Colonnesi dalla Campagna, il papa inviò Valerio Orsini per affrettare l’aiuto domandato, e promise voler ricompensare la città di quel servigio,
confermandole Acquasparta, Massa e Cerreto. Duemila fanti scelti erano per muoversi coll’Orsini, quando la notizia che in un fatto d’armi avvenuto sotto Frosinone
le milizie della Chiesa avevano vittoriosamente combattuto, fece soprassedere alla
partenza, aspettando di conoscere la volontà del papa. Questi dette allora agli spoletini l’impresa di rimettere nella città d’Aquila Francesco e Giovanni figli del conte
Lodovico di Montorio, che essendone stati cacciati col padre dagli imperiali, per
istigazione dei Colonnesi, si erano riparati in Ascoli. Accettata l’impresa, ottocento
fanti comandati da Severo Minervio, Antonio Petroni, Antonio Cecili, Claudio
Berardetti, Lavinio Racani e Zucchero Perello, partirono a quella volta, avendo seco
i detti signori di Montorio. Mentre costoro si avvicinavano ai confini aquilani, alcuni di que’ della città, nemici del conte, tentarono di levare il popolo a rumore, perchè
si opponesse a tale ritorno. Ma il popolo, che assai amava la famiglia di quel conte,
non prestò loro ascolto. Ai turbolenti cadde l’animo, e la notte seguente se ne fuggirono; e il popolo mise nella città i figli di Lodovico e gli spoletini che vi riposero in
piedi l’autorità della Chiesa. Il vicere di Napoli Carlo Lannoy, come seppe ciò che
era avvenuto, pose in libertà il conte Lodovico, sotto fede, che si portasse all’Aquila,
e riconducesse la città e i figli alla obbedienza dell’imperatore. Il conte, quanto più
speditamente potè, portossi nell’aquilano, e si fermò a Paganica a tre miglia dalla città,
sperando il giorno appresso di far sollevare l’Aquila e i vicini villaggi contro gli spoletini.
I figli di lui, avuto notizia di ciò, chiamarono a sè i capitani, e non tennero loro celato
in qual pericolo si trovassero. Gli spoletini allora deliberarono di antivenire quel disegno, e d’impadronirsi in quella stessa notte del conte, che era lontano da ogni pensiero
di ciò. Così fecero e, senza por tempo in mezzo, occupata per forza Paganica, presero
il conte, e lui che, con gran contrasto gridava a testa, minacciando i figli, e spesso
ripeteva il nome di Carlo V, menarono all’Aquila insieme a cinquantadue cavalli
amalfitani che aveva condotto seco. Ma la tregua, che il vicere conchiuse indi a poco col
(1) Diari allegati - CAMPELLO, lib. 40.
206
papa, avendo la condizione che l’Aquila fosse restituita all’impero, fu cagione che gli spoletini tornassero al loro paese (1
).
(1) MINERVIO lib. I. cap. XIX.
207
pel Valdarno incominciato a seguitarlo, non era più in tempo di contrapporsegli. Il misero papa alla inaspettata notizia, cer- cando di raccogliere d'ogni parte quella gente che potesse a
difesa di Roma, a Spoleto mandò il Minervio (¹) . Era il soccorso,
che questi subito ottenne, in cammino quando giunsero le spa- ventevoli notizie del sacco di Roma. Le milizie furono richiamate dalla omai inutile spedizione ; e pensando a quel terribile eccidio, e all' assediato pontefice, gli spoletini furono presi da grave sgomento, massime a cagione della nimistà dei Colon- nesi che li atterrivano con incessanti minacce. Parvero le cose
acosì mal partito che i cittadini se ne uscivano a furia con- ducendo seco le donne e i figliuoli con le cose più pregevoli che avevano, nei castelli meglio muniti (*) ; nel solo Montesanto si ricoverarono più di cento famiglie (3).
Intorno alla metà di giugno (4) Sciarra Colonna , eviden- temente per ragioni strategiche, muoveva ad occupare la mon- tagna con mille fanti stipendiati e due milaventurieri. Questi erano seguiti da altri mille fanti e circa trecento cavalli di Giulio e Camillo Colonna, che alloggiarono a Terni, e co' ter- nani si portarono ad assediare Stroncone, che si rivolgeva a
Spoleto per avere un esperto capitano e cinquanta archibugieri.
Sciarra, tentata Cantalice, e lasciato sotto quelle muranon pochi morti, da Leonessa venne a Cascia che anch'essa si rivolgeva a Spoleto per aiuti. Avuta quella terra per forza d'armi, e Norcia per accordi, volse il pensiero a queste parti e, trovato il castello di Monteleone senza presidio, se ne insignorì il 23 di giugno, e
fu di buon accordo con quasi tutti gli abitanti, che favorivano quella fazione, e ai quali egli fece giurare obbedienza all' im- pero e alla famiglia Colonna. Il giorno 25 scrivevano al COmune da. Polino che il signore Sciarra era in Monteleone con circa dugento fanti, e che aspettava lì gran numero di gente,
con animo di ventre alla volta di Spoleto (5) .
Gli Spoletini, riavutisi dal primo sgomento in loro messo dai fatti di Roma, avevano chiamato sotto le armi quanta mag- gior gente si era potuto, e dubitando della fede de' soggetti,
avevanomandato commissari Pieronofrio Martelli a Montesanto,
Antonio Cecili a Sellano, Caterino Pagani a Gavelli, Filippo
(1) Breve del primo di maggio 1527 ( Doc. Stor. Ined. in sussidio ecc.
Parte I. pag. 64) .
(2) MINERVIO, lib. I. cap. XIX.
(3) Lett. del 20 giugno 1527 del Commissario di Montesanto, nell'Ar- ch. Com. di Spoleto.
(4) Lettere del 18, e 20 giugno ecc. nell' Arch. Com. di Spol.
(5) Lettere diverse del 22, 23, 24 giugno 1527, come sopra.
208
Berardi alla Rocchetta , Severo Minervio all' Arrone ('), altri in altri luoghi, con fanti e archibugieri, e avevano commesso il comando superiore della difesa della montagna e della Val- linarca ad Amico d'Arsoli, assistito da messer Giovanni, uno
(1) Tra le lettere scritte in que giorni dai Commissari, ve ne sono anche del Minervio, alcune delle quali m'è avviso essere utile mette- re in luce, sia per documento della storia e de' costumi, sia per riguardo allo scrivente.
1.
Magnifici Signori (Priori) è venuto l'altro fratello de don Berar- dino ad fare intendere che uno soldato de Montefortino, il quale stette
feri o in casa di don Berartino, quando fu el caso del Sr. Jutio, et fu ben veduto , ha advisato don Thomasso che è prete de Bonacquisto che se levi dellì, perchè nel salire che queste genti (a) faranno per Cascia , Bo- nacquisto serrà spianato. Ad le soperchie gen'i V Signorie sanno che Bo- nacquisto non si può difendere, ma se un Salustio, che sta in Predeluco conpochi fanti furtivamente ce and sse, ce farria un gran mancamen o (b)
ché quelli homini sono in fuga, essendo el castellano partito lo non ce posso provedere Sono di parere che ancora che costoro mostrino d'es- sersi scostati , pure se seguiti mandare le tre bandiere che V Signorie scriveno, perchè seranno ad proposito ad Polino, et ad tucto el paese no- stro et per montelione Et serria molto al proposito che se alloggiasse nel nostro territorio de Rovito et Petano; nec alia .
Ex castro Arronis die XX junii 1527 D. V. S.
Ser. Severo Minervio
Cancell. Carta ( c)
2.
Post scripta (d) . me ne vo con 200 fanti fine ad Coldestatti per darli
animo, incuter timore ad li inimici et guastarli qualche disegno, et su- bito arrivato me ne ritorno, nec alia.
idem uti in literis.
3.
Carissimi fratelli sal. (e) . Ve adviso che li archibuseri ch'io menai, per lor virtù se ne sonno andati li più con dio ad Spoliti, et per tucto do- mani se ne vanno l' altri. L' homini de questi castelli, contro ogni bando,
(a) Le genti di Sciarra . (b) Da ciò può sembrare che Piediluco fosse già in mano dei nemici di Spoleto,
e senza fallo dei Colonnesi.
(c) Non so che cosa importino queste due parole, se poste così a modo di po- scritto non siano una richiesta .
(d) 11 poscritto è in foglio separato , e perciò non si può dire se spetti a
questa lettera o ad un' altra che più non esiste. Non sembra però che possa appar- tenere alle seguenti che lamentano la dipartita dei fanti e degli archibugier..
seguente.
(e) Scriveva ai suoi colleghi , i commissari di Polino , di cui parla nella lettera
▼
209
dei priori. L' Arsoli formò un campo alla Geppa, donde man- dava fanti e munizioni, secondo il bisogno e la possibilità, in quel numero , e in que' luoghi che più si conveniva. E i fanti faceva muovere da questo a quel castello, e raccogliere insieme per improvvise recognizioni; tenendosi pronto a dar soccorso a
se ne sonno andati ad metere, di modo che voi et io ce trovamo in mal termine, et non vi potrei mandare un fante ; ma in questa hora scrivo ad Spoliti per il bisogno vostro et mio, et mandolalettera vostra pro- pria; in questo mezo stamo sopra de noi , nec alia. Valete. Da Arrone ad dì 25 de jugno 1527. Vostro Severo Minervio
4.
Magnifici Signori salut. La nova de montelione non la scrivo. Ve mando la lettera delli Commissari de Polino. Io non li potria mandare un fante che, come vi ho scripto, tucti se ne sonnoandati ad metere (a) ,
et li nostri archibuseri gran parte se ne sonno venuti via, et per tucto domane se ne vene el resto. Credo che siano stati incantati. Provedete,
provedete, et subito; che altremente ne incontrarà qui come ad monte- lione. Et quando le Signorie vostre farranno la provisione dal canto loro,
ve prometto che senza sangue non guadagnaranno questi lochi, et che chi sta qui li renderà tal conto che forse se pentiranno d' esserci venuti.
Intendo che in l'abbadia se comincia secretamente ad far qualche consiglio poco al proposito.
Ve mando una lettera che manda V. trombetta da Riete che ha uno
suo zio qui, et ama questo loco. Nec alia. De Arrone Die 26 junii 1527.
Servitor Severus Minervius
Lo trombetta scrive, et manda ad posta un suo fratello, et dice ad bocca che le genti pigliano la via de Cotanello (b) dove alloggiano questa
sera.
5.
Magnifici Sri. humile Commendatione. Ho scripto più lettere, etnon posso aver risposta. Questi nostri soldati tucti se ne vengono via, et non li teneria le catene, domatina restarò solo. Questi castelli tucti stanno ed malavoglia, et pigliano tristo exemplo. lo non voglio restar solo ad ucellare a le cornacchie. Le signorie V. se degnino risolverla de
bona provisione. Et se possibile è non si fugga nanzi tempo. Nec alia.
Benevalete. Ex castro Arronis die XXVI. junii 1527.
Certissimo è che ad Cotanello sonno 7 bandiere de inimici. Non posso tener questi homini de questi castelli che vogliono sgombrare ;
et questo cercano li più facultuosi, et tucto procede per la partita de questi nostri . Sre. Severus Minervius
6.
Mag. Sri. Sal. Questa matina se sonno partiti tucti questi nostri archibuseri che erano restati , et fanno questo poco de bene che vanno ad trovare el campo nostro in montagna. Pure io son rimasto solo, et questi lochi son nudi. Le Srie. V. come han dicto mandino altri forestieri ,
etal summa che io ne possa supplire per tucti questi lochi, et ad Po-
(a) Anche il Cecili ed altro commissario si lamentano dell' andarsene dei fanti per mietere.
(b) Luogo in Sabina, presso Torri .
A. SANSI 14.
210
quel luogo che fosse assalito. Chiedeva intanto gli mandassero altra gente; chè, scriveva messer Giovanni a' suoi colleghi, se entrano nel nostro, importa al primo assalto di darli una rabbuf- fata (') . Alcuni cavalli di Sciarra erano venuti in Cerreto,
allora dominio camerinese, e v'avevano sequestrato le robe che v'erano degli spoletini. La duchessa Caterina era venuta in persona a cacciarli di quel luogo ; e messer Giovanni , saputo che era dentro il castello, le mandò Costantino Ferratini per offerirle aiuto d' armi se occorresse ( 2) .
Ma queste erano cose da ciance a comparazione di ciò che si era temuto, e che era per sopravvenire. Il papa aveva ca- pitolato, e le genti dell' imperatore, frugate dalla stagione e
dal contagio, si disponevano a portarsi in queste parti del- l'Umbria per prendervi i quartieri d'estate. Inviava perciò il comune spacciatamente a Roma Nicold Scevola, Pierfrancesco Lauri, e Sempronio Amaranti, onde provvedere allà salvezza della città, inculcando loro che si giovassero del favore di Roberto e Mario Orsini; i quali, sebbene a differenza degli altri di quella gente, militassero sotto le bandiere imperiali,
erano quanto mai gli altri fossero, amici degli spoletini. Gl' in- viati ebbero principalmente l'istruzione di conoscere la volontà del papa intorno al modo di governarsi in quella congiuntura.
Essi non poterono che tardi e a gran pena far giungere le loro istanze al pontefice assediato in castel S. Angelo. Clemente fece rispondere che, non potendo egli allora adoperarsi in nessuna maniera per assicurarli, dava loro facoltà di provvedervi per sè stessi nel miglior modo che avessero potuto ; e ciò era quello che gli spoletini volevano.
L'esercito imperiale , circa ventiquattromila uomini tra tedeschi, spagnuoli e Italiani , il 10 di luglio lasciava Roma
lino ancora; et se degnino mandarli subito. Altro non c'è de novo. Va- leant ex castro Arronis die XXVII junii MCCCCCXXVII.
D. V. S.
7.
Sr. Severo Minervio
Mag. Sri. humile Commen. È venuto uno Caruso della Matrice et fa intendere che tucto el popolo dell' Aquila è fuora alla volta de Ci- vitareale per andare ad giongerse con Sciarra. Le Signorie V. solleci- tino de mandare subito qua li soldati che scrivono voler mandare. lo
son rimasto solo e questi castelli non stanno niente de bono animo, tu- cti sonno impauriti. Nec alia, Benevaleant. Ex castro Arronis die XXVIII junii MCCCCCXXVII. D.V.S.
Servit. Severo Minervio.
(1) Lett. del 24 giugno 1527 nell' Arch. Comunale.
(2) Lett. del 27 giugno 1527, come sopra.
211
dove, per le cose dette di sopra, e per le altre ree condizioni della città , non era più possibile rimanere. All' entrare nel- l'Umbria, a suggestione de' ternani, che erano del partito impe- riale, e provvidero le scale per l'assalto, prese Narni, ancorchè si difendesse strenuamente, e lo pose ferocemente a sacco (' ) .
Gli spoletini , quasi fuori d'ogni speranza di salvezza, avevano mandato oratori a' Perugini, Folignati e Todini, perchè con gli altri popoli di questa contrada , volessero stringersi in colle- ganza contro quelle orde di belve. I Perugini, o perchè con- fidassero nell'esercito della lega , o perchè giudicassero non doversi provocare le bestiali masnade, furono di diverso avviso,
e gli altri l'imitarono. Gli spoletini mandarono allora a Terni,
all' esercito imperiale , Andrea Parenzi , Giovanni Ferratini e
Severo Minervio, perchè si adoperassero con ogni industria a
farlo rivolgere in altri territori; ma poi fu rimesso in Roberto Orsini il trattare una convenzione tra quell'esercito e il comune di Spoleto; e questa fu conchiusa con condizioni sulle quali l' Amaranti aveva avuto l' annuenza del papa. -Spoleto col suo territorio era fatto sicuro da ogni offesa , purchè non si muovesse contro gl' imperiali, e fosse loro piuttosto favorevole,
mentre non fosse contro la Chiesa ; desse alloggio all' eser- cito nella valle d' Arrone , somministrasse la vettovaglia per quindici giorni a mezzo prezzo ; poi verrebbe pagata al prezzo corrente. Quella prima prestazione fu consegnata dal Dardani e da altri tre primari cittadini, presso san Claudio, alle genti che erano inAcquasparta; e vi aggiunsero dodici some di cibarie per i capi dell' esercito (2). A sicurezza poi dell'osservan- za dei patti stipulati , fosse la rocca data in mano allo stes- so Roberto Orsini per tutto il tempo che gl' imperiali stessero nel paese (3). Intanto l'esercito della lega, che da Viterbo si era inol- trato sino a Todi, di cui aveva depredato il territorio , si di- stendeva e ingrossava nelle campagne di Assisi e di Foligno ,
(1) MURATORI, Annali. -EROLI, Miscellanea Storica Narnese. Vol. I. - Saggio di Doc. Ined. tratti dall' Archiv. del Com. di Spoleto, pag. 87.
(2) MINERVIO, lib. I. cap. ΧΙΧ Il GREGOROVIUS, dopo aver parlato della sorte buona o rea delle altre città, dice: ,, Spoleto era città forte e
bene armata ; mandò provigioni di pane al campo dei nemici presso Acquasparta, e i nemici dovettero anche pagargliele ( Stor. di Roma lib. XIV. cap. VII. )
(3) Il Muratori, negli Annali, afferma che la rocca fece resistenza ,
e fu presa per forza, e il presidio messo a fil di spade. Non si legge alcun cenno di ciò nelle nostre memorie e documenti. Nè il prendere la rocca era cosa di così facile riuscita, chè non era stata mai presa,
neppure con lungo assedio.
212
mettendole similmente a sacco sino al confine di Trevi. Gli
spoletini, vedendosi fra due eserciti così formidabili, credevano non potere in niun modo sfuggire a qualche gran danno; ma all'incontro il fatto mostrò che questa fu la vera cagione della salvezza. Perchè i due eserciti, che ben sapevano la città esser forte, e potere in poche ore mettere in armi parecchie migliaia d' uomini esercitati in recenti fatti d'armi, si guardavano dal provocarla ; l'uno e l'altro dubitando che, offendendola, non mettesse dentro le mura l'avversario. Per modo che, a quella guisa che alcuno al crollare di un edifizio rimane talora illeso sotto due grandi massi di rovina che si puntellino l'un I'altro , Spoleto , in mezzo a tanto rovinio e strepito di armi opposte , si stava incolume, e in somma prosperità si viveva , per la copia della vettovaglia che v'era, e che dai meglio accorti, che avessero potuto, v'era stata portata. La quale era tanta, dicono gli storici viventi o vicini aquell' età,
che potendo, oltre all' ordinario bisogno del paese, soddisfare a
quello dei due eserciti, che largamente pagavano, entrò in Spoleto inestimabile quantità d'oro.
Amonumento dei pericoli, dei terrori, e della inesperata salute e prosperità di que giorni, sorge nella piazza del duomo dal lato del tramonto, un elegante tempietto, promesso in voto dai cittadini in una di quelle giornate di costernazione in cui l'uomo andrebbe a rischio che gli si offuscasse l'intelletto se non avesse l'istinto di porre la sua fiducia in Dio. Il sacro mo- numento che, preso forse il nome dalla singolarità degli avve- nimenti, chiamasi S. Maria Manna d' oro, o Santa Maria della salute, è l'ultimo, ma al pari degli altri pregevole ornamento di quella piazza. Anche questo edificio per la sua vaghezza venne attribuito a Bramante, ma fu, per quanto pare si possa rilevare dalle riformagioni, architettato da un eremita del Monteluco (').
I vicini castelli, che vedevano il sicuro e felice stato di Spoleto, e che erano tutti i giorni afflitti dalle scorrerie de' due
(1) Nel consiglio del 22 febbraio 1528 si legge: Prima preposita est de ecclesia noviter edificanda , et de pecuniis pro fabrica eiusdem inve- niendis . Spectabilis vir Perhieronimus Garoforus unus ex prefatis consiliariis etc. consuluit etc. concedatur ecclesie S. Marie Mannedore noviter edificande in palatio ecclesie Sancte Marie Maioris de Spoleto,
tertiam partem pecuniarum tangentium castrorum pro expensis factis ex commissione S. D. N. pro salute patrie , pro fabrica ipsius ecclesie, et templum ecclesie predicte edificetur secundum tenorem literarum here- mitis . Fu approvata la proposta con cinquantasette voti contro quattro (Rif. detto an. fogl. 38, 48, 49 ).
213
eserciti, per mettersi anch' essi al sicuro, si davano alla città,
accrescendone il credito e la potenza. Ciò fecero Macerino , Fi- renzuola, Cisterna e Porzano nella Terra Arnolfa, Montecchio eGiano, Cerreto e, con l' esempio di questo, Usigni, Mucciafora e Roccatamburo castelli del territorio casciano (') .
Sciarra Colonna, dopo aver fatto occupare Monteleone, si tratteneva in Norcia di cui divorava denaro e derrate ; ma per ammenda scriveva agli spoletini che rendessero ai popoli loro vicini e suoi amici, ciò che era di ragione dei medesimi. I
priori gli mandarono un messer Giovanmatteo che , per tenerlo abada, lo appagava con buone parole, mentre i cittadini pro- cedevano conformemente ai propri interessi. Il Colonna si la- mentava che anzi che restituire come gli avevano fatto credere,
procacciassero all'incontro di prendere quanto più potessero (* ) . Ma checchè si fosse delle sue intenzioni, visto egli ben guar- dato il confine ed ogni luogo forte, come fanno fede uno scompiglio di lettere dei commissari che scrivevano da tutte le parti del dominio, nè reputando agevole una rapida e poco contrastata occupazione da quella banda, ravvicinatosi al campo spagnuolo, quando ancora pendevano i negoziati di cui ho qui sopra fatto parola , si volse contro Polino che, per essere te- nuto dagli spoletini con debole presidio, facilmente prese,
rimettendovi gli Arroni, che poco vi stettero, non fidandosi degli uomini del luogo , e temendo di Spoleto. Questo non aveva potuto soccorrere il castello, perchè il paese all' intorno era tutto occupato e chiuso dal campo degli spagnuoli, i quali per altro di cid informati, fecero in modo che fosse restituito alla città. I Colonnesi, con la cooperazione dei ternani , ave-
(1) MINERVIO, luogo allegato.
(2) Magnifici Dni Amici charmi ( ! ) - Perchè l'altro giorno scrissi a le S. V. che volessino tutte le cose tolte a Fulignati, Teramnani, Nor- sini , et Casciani restituire, si come da messer Giovanmattheo da loro parte mi fu referito voler fare, et intendendo che non solamente a detta restitutione per voi non si procede, ma più presto si cerca di giorno in giorno levare a dette città et luochi quel più che poteno, ci ha parso per questa exhortarle et pregarle voglino desistere da tale incepto, et nonmancare di quanto m' hanno fatto intendere voler fare de restituire a detti ogni lor cose, et con epsi vivere da buoni amici et vicini. Il che facendo me darranno causa esserli in ogni loro occurrentia prontissimo.
Et non havendo per adesso da servirse del prefato messer Joanmattheo sarranno contente mandarlo da me, al quale ho da conferire alcune cose,
et a voi me offero, De Norsia alli XIII de Giuglio 1527.
Al piacer et comodo.
D. V. S.
Sciarra
Colonna
214
vano dapprima preso anche Piediluco ; e , ucccisi Federico e
Pino Podiani, che n' erano signori, ne avevano cacciato gli e- redi, alcuni de' quali si ripararono presso la duchessa di Ca- merino loro parente (¹).
In quanto ai fatti dei due eserciti così vicini, e tenuti solo divisi dal contado della città, che rimaneva con singolar privilegio immune da' quei danni che ricevevano dall' una e
dall' altra parte i territori vicini, si ha memoria che dopo il misero eccidio di Narni, i tedeschi che si erano spinti con gli alloggiamenti nei d'intorni d' Acquasparta, venivano tutti i giorni alle mani con un corpo di mille e cinquecento uomini dell' esercito della lega , con cui il capitano generale duca d' Urbino aveva occupato Todi sino dal primo entrare nel- l'Umbria. Intanto dalla parte opposta Alessandro Vitelli e
Braccio Baglioni, che erano tra i capitani dell'imperatore, ve- nuti da Terni con alcune compagnie di fanti e cento cavalli nella campagna di Trevi, furono da Federico di Bozzolo e dal marchese di Saluzzo assediati nel monastero di San Pietro di
Bovara. Coloro vedendo che, nè per la fortezza del luogo, nè per la gente e la vettovaglia che avevano, potevano sperare di mantenervisi, s'arresero, salva la vita, la libertà e le cose loro.
Gli spoletini, che in gran numero erano accorsi a questo as- sedio, fecero tener celato Braccio Baglioni e, perchè non cadesse nelle mani degli altri della stessa famiglia, ma di parte con- traria, lo condussero segretamente al castello di Montesanto. Partitosi poi nel settembre inaspettatamente da questi luoghi l' esercito imperiale, che se ne tornò a Roma per ricevere lo stipendio , e aver parte alle taglie che pagavano i prigioni ,
gli spoletini si portarono a Monteleone, tenuto ancora dalla gente di Sciarra, e postovi il campo, dopo tre giorni, facendone uscire salvo il presídio, risottoposero il castello al loro do- minio (*) .
Il duca d' Urbino comunicava al comune aver disegnato che il suo esercito prendesse i quartieri d' inverno in Spoleto ;
ma il comune gli mandò oratori a supplicarlo che lo volesse
rivolgere altrove. Intanto fu disposto che tutti i militi della città e del distretto si tenessero apparecchiati pel caso che non annuendo il duca alle istanze della città , sè e i suoi ed ogni lor cosa potessero difendere. Ma il duca per opera degli oratori, e per gli offici del marchese di Saluzzo, che agli spo-
(1) MINERVIO lib. I. cap. XIX (2) MINERVIO, cap. allegato.
-
Lettere nell' Archivio Comunale.
215
letini era grandemente benevolo, come si vede da molte sue lettere, si arrese al desiderio del comune. Intanto però questo ebbe altri disturbi, perchè Onofrio conte di Montedoglio, che comandava ad alcune compagnie di fanti veneziani , assaltò Macerino che essendosi, come fu detto, dato a Spoleto, fu da una mano di spoletini valorosamente difeso. Il che mal sop- portando il detto conte, sfogò il risentimento sopra alcuni cit- tadini che gli vennero nelle mani, incarcerandoli, tormentan- doli ed anche uccidendoli. Di più scrisse ingiuriose lettere ai priori, non lasciando vituperio che non dicesse ; nè si astene- va dal parlare indegnamente degli stessi santi patroni della città. Non potè Severo Minervio sopportare tanta insolenza; e
poichè allora l'oltraggio fatto ai rappresentanti della città,
ognuno lo reputava fatto a sè stesso, rispose come cittadino di Spoleto a quel conte una lettera acerbissima. E perchè quegli aveva detto che a dispetto degli spoletini vorrebbe venire con le sole sue compagnie sotto le mura della città,
gli rispondeva che o sotto le mura o in ogni altro luogo tante compagnie spoletine quante fossero le sue, erano pronte a
combattere, e da uno sino a mille uomini, come volesse, pro- metteva con pari armi e pari numero , per decreto pubblico,
volersi misurar seco. Da ultimo, se non avesse risposto intorno a ciò nel termine voluto dalle consuetudini, o se, come do- veva, non si mostrasse pentito delle turpi parole e delle male opere dette e fatte contro Spoleto ; doveva sapere ciò che se- condo le leggi militari egli farebbe con irreparabile danno dell' onore di lui. Il conte ricevette questa lettera in Todi,
ma preso dalla peste, poco appresso morì e, come dice lo stesso Minervio, larvis pugna relicta fuit.
Nei primi giorni di dicembre (1527) Clemente settimo si sottrasse celatamente alla custodia in cui era tenuto, e venne in Orvieto. Intorno alla metà del mese andarono a lui con presenti,
e congratulazioni per la recuperata libertà, oratori del comune Piervincenzo Zacchei e Piergeronimo Garofani , ai cui assen- nati consigli era principalmente dovuta la incolumità di Spo- leto tra quelli avvenimenti (¹). Clemente lodò la fede e la pru- denza mostrate dagli spoletini e, ascoltati gli oratori di Cerreto ,
ne confermò la dedizione alla città, e promise di fare a tempo opportuno il medesimo per gli altri castelli, che le si erano
(1) Il Garofano nel consiglio del 15 dicembre 1527, disse : quodoratores debeant ire omnino , et pro munere faciendo Sue Sanctitati, donetur ducatos mille, e più se paresse ai priori ; e cento ducati illustrissimo dño Fabio Petruccio gubernatori Spoleti. ( Riform. 15 Dic. 1527 fogl. 3 ) .
216
dati; e ciò in benemerenza dei servigi resigli da Spoleto, il quale mentre egli era ancora in Orvieto, e per sua commis- sione, con pronta ed onorata spedizione, ritolse Montefalco ai soldati di Orazio Baglioni, che l'avevano occupata nei passati rumori, e lo restitui alla Chiesa; operando con siffatta tem- peranza che il papa fu soddisfatto , e il Baglioni non si sdegnò con gli esecutori di quel comando (¹). Portarono gli spoletini le loro armi protettrici anche ad Acquasparta. I
Todini sempre in discordia con quella terra, colta la oppor- tunità che per la recente invasione era rimasta mezzo vuo- ta d'abitatori, vi si portarono, e si posero a disfarla. Giuntane a Spoleto la notizia, fu dato di piglio alle armi e corso a
quella volta; ma coloro, sentito il venire degli spoletini , la- sciarono subito il lavoro, e si ritrassero. Il comune alla metà di marzo vi mando Severo Minervio con una compagnia di fanti perchè ne facesse restaurare le mura, e intanto la custodisse contro la temerità dei Todini (*). Il 19 di quel mese, essendosi portato in Orvieto per alcune occorrenze del comune il ca-
(1) GUICCIARDINI lib. 18. CAMPELLO lib. 40.
(2) 11 Minervio scriveva di là la seguente lettera che non meno delle già trascritte , mostra come questo grave ed elegante scrittore la- tino, fosse briosamente faceto nello scrivere il suo vernacolo.
Mag. Sig. humile commen. Con l'ajuto de Dio son dentro in Acqua- sparta, et già ho reparato tanto che spero basti ad ogni impeto che facessero Todini. Ma mi protesto che de cento cinquanta homini ordi- nati non ne ho più che de 80 in tucto. Senza manco le S. V. me mandino almheno 25 altri hominj, chè non posso supplire ad tucte le poste, delli acquasparthanj non ne ho più de dodici ; delli quali ne ho lassati cinque in una bona torre che ha castel dello monte, chè non ce ne bisogna più, chè quel castelletto è una buscietta, et la torre è la importanza. Et sopratucto me protesto che mi mandate li dicti 25 altri hominj . Catarino de benedicto de 20 homini non ne ha mandati più che sei. Li Berotanj et quelli della val soppenga (a) non son venuti, sicchè V. Srie. provedano subito.
Appresso non ho avute se non novanta cachiate de pane (b) , et sapete furno ordinate dui some : domatina per far colatione non ce serrà pane, et credo mancherà questa sera ; o V. S. provedano che questa nocte ce sia dicta victuaglia, o mandino qualche recepta da vivere senza magnare. El vino che parti hieri è gionto hoggi ad mezodì ; vedete co- me vanno li ordini.
Ho pigliato una spia; non ho potutu ancora bene examinarla, ma certifica che li Todini hanno spenta (c) gente in questi castelli vicini.
Se V. S. me vogliono mancare dell' ordine dato, non so che modo me
(a) Valsoppenga, corrotto da Valgiuseppenga, è il nome che prendeva la Val- nerina dal territorio d' Arrone, e ne è la parte estrema, come fu detto altrove.
(b) Cacchiate, picce di sei pani attaccati, il vocabolo non è del tutto ignoto alla Toscana, che conosce le cacchiatelle.
(c) Spinta, fatta venire innanzi.
217
nonico Pompeo Spirito, papa Clemente gli lodd gli spoletini perchè avevano soccorso Acquasparta, malo avverti che non spingessero più oltre le novità (¹).
Poco di poi gli uomini di Piediluco, messo a morte il governatore mandato dal cardinal Pompeo Colonna, subito si dettero a Spoleto, che mandò soldati in loro difesa, e a guar- darne il castello e la rocca, da cui fu concessa a coloro che la tenevano sicura uscita. I priori spoletini scrissero dell'accaduto a Costanza Podiani madre degli eredi di quel luogo, che era a
Camerino, e con la quale si trovava anche Giulia Podiani contessa di Mirabello. Costanza si portò incontanente in Spo- leto, e si profferse di stipulare una federazione con eque condizioni. Il comune si mostrò disposto a tutto, purchè la rocca rimanesse nelle sue mani. Di ciò si turbarono i Podiani che
mutarono, dice il Minervio , i loro pensieri, come quelli che vedevano mal potersi dominare il castello, non avendo la rocca.
Ciò nullameno,gli spoletini vi posero loro castellano che mu- tavano d'anno in anno. A malgrado di questa differenza i
Podiani, anche per gli offici della duchessa di Camerino, fu- rono rimessi in possesso di quel dominio , in casa loro, dice laduchessa nelle sue lettere (*) . E si vede poi la detta Costanza,
habbia ad tenere: pensate se loro me mettessero qui el campo, se ha- vemo ad magnare li calcinacci ; et pensate che se magna matina e
sera (a).
Vederò se domatina posso spignere al Papa tre o quattro de questi Aquasparthanj ad far querela.
Nè dirrò altro se non che vengano li 25 hominj de beroiti, et le victuaglie. Et bn. valete.
DaAquasparta ad dî XVII de marzo 1528 ad hore quindici de dì.
D. V. M.
Servitor Severus Minervius.
Mag. Sri. havemo retrovati sotterrati due bellissimi smirigli (b) li quali non se ponno adoprar qui, chè sonno sforniti d'ogni cosa. Ho
dicto ad questi homini che li voglio mandare ad V. S. ad fornire et met- tere ad cavallo. Qui bastano li archibusi. La nostra communità ha più bisogno di questi che de cosa al mondo per tenerli per mandarli in su le rote con una grossa fanteria; pure V. S. ne pigli el partito li pare.
Se l'ha la Communità, l' hanno l' homini de aquasparta, in loro bisogno serrà l'artiglieria, et l' homini. Sapientibus etc.
(a) Pare che i piccoli corpi delle milizie spoletine non avessero potuto, quanto aprovianda, invidiar nulla all' esercito italiano.
(b) Una specie di cannoni. Il comune aderendo alla proposta del Minervio, de- libero quod artillaria quam ipse duxit ex Aquasparta reactatur sumptibus comunis spoleti( Riform. 1528-1529. fogl. 62) .
(1) Saggio di docum. Ined. ecc. pag. 89.
(2) Lettera del 1528, nell' Arch. Comunale.
218
e Pirro Podiani, figliuolo di messer Pino ucciso dai Colonnesi,
attendere alle cose di Piediluco , e scriverne frequentemente ai priori. Gli abitanti però di quel luogo, secondo afferma il Minervio, si mostravano tutti più desiderosi di dipendere dalla città, che dai loro antichi signori (').
La discesa verso questi luoghi di un altro esercito fran- cese, condotto da Odetto di Fois signore di Lautrec, che muo- veva alla volta di Napoli contro gl'imperiali, aveva dato alla città occasione di maggiore acquisto. Imperocchè all' avvicinarsi del Lautrec ai confini del regno, Bernardino degli Amici si- gnore di Cascia, già noto al lettore, il quale seguiva le parti dei Colonnesi e perciò dell' impero, temendo di quelle genti che tenevano in parte anche la via delle montagne, si parti prestamente da detta terra , e si ritrasse presso i Colonna.
Come ciò fu saputo, quasi tutti i castelli del casciano si det- tero spontaneamente agli spoletini. I cittadini di Cascia , che non potevano rassegnarsi ad essere spogliati del territorio ,
mandarono, per deliberazione del loro consiglio, oratori a Spo- leto, a pregare la città che volesse ricevere in raccomandigia Cascia con tutti i suoi castelli, e non i soli castelli, senza di cui quella non poteva sussistere. Gli spoletini stettero lunga- mente in forse di ciò che dovessero fare, ma saputo di alcuna trama che i casciani venivano copertamente ordinando contro di essi, e parendo loro non dover venir meno alla fiducia di que' castelli, che avevano voluto scuotere il giogo di prepotente signoria, rimandati i messi casciani senza risposta, ricevettero i castelli sotto la loro podestà, e vi mandarono castellani che li guardassero. Non essendo riusciti ne' loro ingannevoli di- segni , i casciani inviarono oratori al papa a supplicarlo non volesse permettere ch'essi fossero così dal comune di Spoleto spogliati con que' castelli d'ogni loro avere. Clemente in- dirizzò su di ciò agli spoletini lamenti e rimproveri, e mandò il camerlengo Antonio da Spello a sequestrare i detti luo- ghi (*) . Ciò provocò ostilità contro i casciani; e il papa con un breve del principio d' agosto da Viterbo, tornava a disapprovare l'occupazione fatta daglispoletini, e diceva essergli anche più mo- leste le quotidiane incursioni nell' agro casciano,che non avrebbe in que' tempi da loro aspettate; mandava quindi Alessandro Ungherese suo familiare con la commissione di mettere ordine in quelle cose (3). Ma venne poi fatto a Sempronio Amaranti
(1) MINERVIO, lib. I. cap. XIX.
(2) Breve del 31 di maggio 1528, nell' Archiv. Com. di Spoleto.
(3) Breve 8 agosto 1528, nell' Archiv. suddetto.
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di mutare i pensieri del pontefice, il quale per virtù di quel- l' oratore accertatosi come i casciani opprimessero i loro con- federati, dappoichè que' castelli erano tali e non sudditi, nel principio dell'anno seguente, sollecitato l'affare anche daGiovan- nantonio Arroni e da Piervincenzo Zacchei, giureconsulti va- lentissimi, concesse i castelli al comune di Spoleto, che pagò per l'investitura dei medesimi, sei mila ducati d' oro. I castelli che accrebbero per tal modo il dominio spoletino, edei quali alcuni gli erano già appartenuti, furono Clavano , Poggio,
Trimezzo, Usigni, Poggiodomo, Roccatamburo, Roccaporena,
Colgiacone, Paterno, Giappiedi, Poggio primo caso, e Rocca di Tervi, con le loro ville e territori (') . E la concessione fu con piena giurisdizione ( omnimoda iurisdictione) civile e
criminale (mero et misto imperio) che la città aveva anche sopra gli altri luoghi del distretto , e sopra i cittadini come,
anon esservene altri argomenti, mostrerebbero la decapitazione di uno dei malandrini che infestavano il territorio di Mon- tefranco, eseguita nel luogo stesso per comando di Geronimo Pontano, uno dei priori, colà trasferitosi in persona; e l'altra per decreto del consiglio, per cui furono messi a morte il castellano di Piediluco e una giovane adultera, che avevano insieme strangolato e gettato nel lago l' innocente marito ; due fatti dello stesso anno 1528 ( 2 ) . Nè con i castelli sopra annoverati ebbero fine gli acquisti di che i tempi arruffati dettero occasione alla città. Terni aveva vecchia e aspra nimistà con Stroncone ; nè al papa con brevi e commissari era venuto fatto di ricondurli a concordia.
Gli uomini di quel luogo, malmenati di fresco dai loro nemici,
erano, per alcun sentore che avevano, in sospetto grandissimo di essere assaliti di giorno in giorno, e si procacciavano aiuti da' vicini. Il 12 giugno (1528) Pirro Podiani scriveva ai priori di Spoleto essere stato richiesto da quelli di volersi degnare di andare per dieci sere a pernottare dentro Stroncone con cinquanta compagni (*). Ma pensarono poi a provvedere in modo più durevole alla propria salvezza, e quando il pontefice il 27 settembre comandava agli spoletini che si portassero a difendere Stroncone dai ternani, ch'egli sapeva star disegnando di as- saltarlo , quella comunità s'era già commendata a Spoleto,
(1) Riform. An. 1529 fogl. 205 - Chirografo del Card. Camerlengo del 17 febb. detto anno, nell'Archiv. Comunale. - MINERVIO, lib. I cap.
ΧΙΧ.
(2) CAMPELLO, lib. 40.
(3) Lettera nell' Archiv. Comunale.
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che il 9 del mese aveva dato il mandato a Giovanbattista Leoncilli di riceverla come sindaco, sotto la podestà del comune con le consuete clausole e condizioni (') .
Anche Giano, che aveva avuto suoi antichi signori, e che nella seconda metà del secolo decimoquarto era stato in podestà di Spoleto, e forse non per la prima volta, tornava ora in do- minio del medesimo. Pochi anni innanzi , avendo Leone X
soppressa la prefettura del presidio di Firenze, che era tenuta da Severo Minervio con lauto stipendio, a ristorarlo di quella perdita gli concesse la signoria di Giano. Ma i Gianesi non lo vollero ricevere per loro signore, e se ne riscattarono col denaro (2). Lo stesso pontefice ne investì nel 1515 Lorenzo Cibo, fatto anche signore di Ferentillo. Occupata poi quella regione nel 1527 dall' esercito della lega, nè dandosi il Cibo pensiero di difendere il castello dall' imperversare di quelle genti, o non potendolo fare, gli abitanti si diedero a Spoleto da cui furono protetti. Giovanbattista Cibo, che era in Cameri- no, presso la sorella duchessa, mandò poi il commissario di Fe- rentillo a riprendere in possesso quel luogo. I Gianesi ricorsero a Spoleto, a cui Giovanbattista ne scriveva dicendo, ritener per fermo che, da amici cordiali come erano, gli avrebbero avuto quel rispetto ch' egli aveva sempre avuto alle cose loro (3) .
Ma non gli fu badato, facendo gli spoletini fondamento al loro diritto non tanto la recente dedizione dei Gianesi, quanto la concessione loro fattane da Sisto IV nel 1478, e altre prece- denti. Avendo il Papa comandato che il castello fosse resti- tuito al suo nepote Lorenzo Cibo ( 4) , il comune mandò a
Roma Pompeo Spirito, e Sempronio Amaranti i quali, mostrato il diritto degli spoletini, vennero col Cibo ad una transazione,
favorita dallo stesso papa, per la quale quegli, per mille e cin- quecento scudi d'oro del sole, cedette alla città tutte le sue ragioni su quel castello, del quale Clemente con bolla del 9
d'agosto 1529 le dava l'investitura (5 ). Andarono adunque il 9 dicembre i priori con altri cittadini a prendere la posses- sione del castello e ne fu fatto istrumento; la presero insieme del palazzo , dove ricevettero il giuramento di fedeltà e l'o- maggio di quegli uomini, e costituirono i nuovi priori (6) .
(1) Riform. An. 1528 fogl. 149.
(2) Docum. Stor. Inediti in sussidio ecc. pag. 104.
(3) Lett. da Camerino dell' otto maggio 1528. ( Arc. Com. di Spol. ).
(4) Breve del 20 marzo 1529, nell' Archivio Comunale.
(5) Bolla nell' Archiv. Comunale.
(6) Riform. An. 1529 al 1530, 9, e 11 dicembre fogl. 18 al 20.
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Come da questo notevole distendersi del dominio veni- va alla città aumento di potenza , così crescevale autorità l'officio di protezione che esercitava su questi luoghi delle sue contrade, e la fama di poderosa andava anche fuori, e le sue armi erano ricercate. Nel gennaio del 1529 gli Aquilani,
uccisi i soldati imperiali che ivi svernavano, e datisi ai Fran- cesi, questi per difesa di quella città condussero fanti spole- tini, dandone il comando al Minervio e ad altri quattro citta- dini. Ma innanzi che gli spoletini entrassero in Aquila, questa fu occupata dalla gente del Principe d' Orange, che postosi poi ad assediar la Matrice, e temendo che gli spoletini po- tessero portarle soccorso, se ne richiamò al pontefice, che con severissimi modi vietò loro di militare sotto ai Francesi ,
e ingiunse che si scusassero presso il principe. Gli spole- tini mandarono a quello lo stesso Minervio , e accompagna- rono l'ambasciata con copiosi doni. Intanto la Matrice , per tradigione dei fanti Perugini che la guardavano, fu presa , e
con molta strage, saccheggiata ed arsa. Per queste cose i Fio- rentini e Malatesta Baglioni entrarono in sospetto che il Papa con l'esercito cesareo e gli altri Baglioni fuorusciti , fossero per muovere ai loro danni , e mandarono oratori a Spoleto offerendogli la loro alleanza, e danaro e soldati contro l'eser- cito imperiale. Gli spoletini risposero volere stare in pace con l'esercito dell' imperatore, e finchè non ne fossero molestati, non gli avrebbero dato cagione di risentimento e di guerra. Il ponte- fice, dopo queste cose volle che la città gl'inviasse oratori con i quali potesse liberamente conferire. Gli furono mandati quattro cittadini co' quali tenne segreto e amichevole discorso intorno a varii negozi , ingiungendo loro d' inculcare al comune di non stringere lega con Perugia che obbediva a signore in- festo alla Chiesa. Satisfece a un tempo alle petizioni della città; e fu allora ch' egli esortò i Cibo a cedere, come siè detto che fecero, agli spoletini tutti i diritti che avevano sul castello di Giano (1). Nei primi giorni di giugno del 1529 Braccio Baglioni co' suoi compagni Giovanbattista Savelli e
Pirro da Cipicciano, portavasi, non senza l'annuenza del pon- tefice, ad assalire con gente imperiale Perugia, dove dopo la morte d'Orazio Baglioni, dominava il solo Malatesta. Braccio,
per via si pose a campo a Norcia, di cui aveva seco i ghibel- lini fuorusciti, ma credo non intendesse che a trarne danaro
e vettovaglia. Ciò forte dispiacendo al papa, comandò agli spo-
(1) MINERVIO lib . I. cap. XIX.
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letini di correre in aiuto di quella terra; e il breve era ac- compagnato da una lettera, del 12 di quel mese, di Jacopo Salviati che, spiegando la volontà del pontefice, diceva liberas- sero Norcia dall' assedio di coloro e, quando altrimenti non si potesse fare , li combattessero da ribelli come meritavano (') .
Gli spoletini tentarono di soccorrere i Nursini con l'intro- mettersi, e mandarono oratori al Baglioni, Giuliano Berardetti e Fidanza Bernabei ; e ne avevano dato avviso ai commissari che erano nel casciano, per il caso che si dovesse ricorrere alle armi (2). Parendo che gli assedianti non si volessero pie- gare agli offici degli oratori spoletini, il comune fece muovere dai detti luoghi alla volta di Norcia, il Minervio ed altri commissari con una grossa fanteria ; il che, come fu saputo dal Baglioni, si compose con gli oratori, e l'affare fu terminato pagando i Nursini mille scudi d'oro, di cui non sborsarono allora che la metà, dando per sicurezza del rimanente ostaggi in mano degli Spoletini. Il giorno dopo quelle genti assedia- rono Mevale e lo presero e cedettero a Spoleto, perchè era no- to a Braccio come fosse di ragione della città, e tenerlo i
Nursini ingiustamente. Il Baglioni, accompagnato amichevol- mente da uno dei detti oratori sino al confine del territorio spoletino, proseguì poi il suo cammino, e andossene a
combattere Spello, difeso da milizie fiorentine. Poi si portò a
Bevagna, a Montefalco e in quello di Todi, e una gran parte de'suoi fanti si sbandarono (3). Falso è pertanto ciò che narra il Crispoldi, cioè che Braccio assediava Norcia per ricondurla alla obbedienza della Chiesa, e che la terra gli si era resa pagandogli quattromila scudi d'oro e sottomettendosi al papa.
Norcia, come si vede, non era allora ribelle alla Chiesa, chè
il papa chiamava ribelli quelli che l'assediavano, e il Baglioni non intendeva, come ho detto, che a trarne danaro, mettendo innanzi il nome del papa per colorire il suo ladroneggio. Quindi lo scalpore che faceva Clemente sul contegno tenuto dagli ora- tori spoletini con gente che, vessati i Nursini sudditi suoi, si portavano ai danni dei Perugini ugualmente suoi sudditi ! il quale contegno era stato tale da confermare anzichè smentire
(1) Saggio di Doc. Ined. pag. 93.
(2) Minervio e Zuccaro commissari, il 14 giugno 1529, scrivevano ai priori : El campo de Norsia non è partito , nè meno accordato ;
credo pigliarebbono volentieri un pan per uno per accordo. Noi stiamo in ordine, ma aspettiamo lo adviso de V. S. etc. ( Saggio di Doc.
Ined. pag. 92 ).
(3) Ricordi del Bontempi. Archiv. Stor. Italiano T. XVI. Par. II. pa- gina 333. nota 4.
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le false opinioni intorno a coloro. Nè solo di questo si sdegna- va focosamente il pontefice, ma che in luogo di milizie si fossero mandati due oratori, che senza dare agli assediati alcuna speranza, scesero a turpe transazione; non aver voluto lui che i Nursini si redimessero, si bene che fossero difesi (¹). Ma la lettera del Salviati e la mossa del Minervio, erano più che bastanti, perchè i giureconsulti spoletini potessero scagionare la città che, tanto nel trattare col Baglioni suo amico, quanto nel farlo accompagnare nel tempo che traversava con le sue genti il territorio, aveva operato per trarre Norcia d'impaccio col minor danno possibile, senza mettere apericolo la propria sicurezza. Nel luglio poi Clemente comandò che Mevale fosse re- stituito ai Nursini, annullando un contratto di compra e vendita che diceva essere stato fatto contro la sua volontà , ed estorto col timore. Similmente ingiungeva fossero restituiti gli ostag gi presi per sicurezza dei cinquecento scudi d'oro promessi alle genti che avevano assediato quella terra ( 2 ) .
In questo mezzo gravissimi avvenimenti si erano compiuti,
e per la disfatta e la morte del Lautrec, era caduta rovinosa- mente la fortuna dei Francesi in Italia; e già, secondo gli ac- cordi fatti tra il papa e l'imperatore addivenuti amici , il principe d' Orange muoveva per toglier Perugia al Baglioni ,
e poi volgersi contro Firenze e rimettervi i Medici. Essendo l'esercito cesareo all' Aquila, si credeva dovesse passare per questi luoghi; e a tenerlo in rispetto armarono gli spoletini duemila uomini tra fanti e cavalli, facendone capo lo stesso governatore Fabio Petrucci. Lo stare con le armi in pugno al passare delle soldatesche, era tornato utile anche l'anno pre- cedente , in cui passò gran copia di gente del Vaimonte,
del marchese di Saluzzo e del duca di Urbino, amici festeg- giati, che andavano a riunirsi al Lautrec; pure fu necessario uscire contro alcune compagnie che, nel traversare le cam- pagne, commettendo grandi ribalderie, furono dai cittadini cac- ciate in fuga sino ai confini di Trevi (3). Ma questa volta a
Spoleto non venne che il principe con mille cavalli cui, sotto colore di onoranza, uscirono incontro altrettanti armati, ei fu poi splendidamente trattato dal comune che lo alloggiò nel palazzo del vescovo. Il ventidue d'agosto 1529 parti alla volta di Foligno , dove l'esercito, che aveva tenuto la via di Norcia ,
era già da due giorni calato dai monti. Fu egli accompa-
(1) Breve del 19 giugno 1529, nel saggio ecc. pag. 93.
(2) Breve del 24 luglio 1529. nell' Arch. Comunale.
(3) Diari , presso il Campello.
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gnato sino a Foligno dal Petrucci, al quale stava grandemente acuore quella impresa dal cui successo dipendeva il suo ri- torno alla signoria di Siena. Ma, o vane speranze ! al cader di settembre un altro feretro riccamente adorno, innalzato tra due colonne e sormontato da un trofeo da cui pendevano i vessilli della città, sorgeva presso a quello del governatore Alfonso di Cardona. In esso era composto il corpo del Petrucci morto di naturale infermità ('). Era gentile e valoroso giovane, e fu pianto dalla città, cui egli aveva posto affetto come a sua se- conda patria, del che molte lettere sono testimonio (*) .
Il pontefice con un breve del giorno due di ottobre, esortan- do alla rassegnazione donna Caterina vedova di Fabio, le conce- deva, anche per istanze fattene dalla città, che continuasse nel governo del marito (3). E fu appunto sotto questo governo di una donna, che il comune portò ad effetto la prammatica delle vesti muliebri e delle doti, meditata sino da quando diede norme alle spese dei funerali. Se ne fece la proposta nell'Ar- ringa del 6 febbraio 1530, che si congregò nel palazzo del po- polo; la precedette un solenne discorso in cui il cancelliere Valerio Vigili , sfoggiando filosofia morale ed erudizione greca e romana, avrà forse ben disposto tutti a bene accoglierla ,
tranne le donne (*). Veniva vietato a queste d'indossare vesti o sbernie di broccato, o di seta, cioè velluto, raso, damasco e
taffettà , ma solo di cammellotto per le cui maniche potessero adoperare sino a tre braccia di seta. Erano vietate catene e cin- ture d'oro o d'argento, le cinture potessero essere di seta ; non
(1) Nel consiglio del 29 settembre: Secunda preposita est de honore pendo in funere illmi dñi Fabi Petrutii de Senis olim Guber. Spol. nu- per defuncti in arce Spol. (fogl. 381).
Die ultima septem. Illmus dñus Fabius Petruccius etc. traditus fuit
ecclesiastice sepulture, qui precedenti nocte obierat, et demum die X dicti (sic) celebrate fuerunt exequie sumptibus communitatis cum maxima solemni pompa ( fogl. 383).
Dicta die X. octobris Celebrate fuerunt exequie dñi Fabii Petruccij
sumptibus cois Spoleti cum facibus ducentis; et tota cera in dictis exe- - quiis ascendit ad numerum librarum quadringentorum septuaginta dua- rum, computans dictis facibus ( fogl. 389 ). Riform. An. 1528 al 1529.
(2) Lett. nell' Archivio Comunale.
(3) ...... pro ea benevolentia qua bo. mem. Fabium Petruccium virum
tuum prosequebamur ac te prosequimur etc. tibi in Chro filie concedimus ut gubernium istius ñre civitatis Spoleti, que etiam super hoc supplica- vit, eiusque arcis castellaniam , ad nostrum beneplacitum continues , etc. (Riform. 1528 al 1529. fogl. 386. ) .
(4) Lo stesso cancelliere inviato a Bologna dal Comune, ci ha lasciato anche una particolareggiata relazione della coronazione di Carlo V, a
cui fu presente.
225
gemme, ma solo tre anelli d'oro, non cuffie o ghirlande d'oro,
ma di seta; non scarpe o pianelle di broccato, di velluto o
altro drappo serico. Non potessero mascherarsi nè per via, nè in casa. Le doti fossero limitate a quattrocento fiorini di marca,
il corredo a cinquanta, quelle delle monache a cento compreso il corredo. Alla donna che contravvenisse alla legge del vestire,
fosse tolto dallo esecutore ciò che era contro la prammatica,
e il marito cadesse in pena di cinquanta ducati d'oro. Strani e goffi rimedi adoperati con oneste intenzioni , e addivenivano piùstrani e più goffi quando il papa, approvandoli, li corroborava con la scomunica, da non potersi rimettere che in articolo mortis. Cosicchè una povera donna per un palmo più di seta,
o per un paio di pianelle di velluto, poteva essere spogliata in piazza dai birri, ed arrischiare la salute dell'anima (').
Furono confermate queste disposizioni da Paolo III nel 1542,
specialmente a cagione di alcune monache, che avevano estorto un breve onde poter chiedere e ricevere maggior dote non ostante ciò che era disposto dallo statuto. Fu la prammatica rinno- vata sotto Pio V, nel 1570, e fu più larga, chè la dote in città poteva giungere a mille fiorini, il corredo essere più abbon- dante, fare uso di alcune once d'oro per ornamento di cuffie o reticelle, e per farne collane e monili. Si rinnovò sotto Gre- gorio XIII nel 1573, poi nel 1576, ed anche nel tardo 1626 sotto Urbano VIII, e vi si pone regola anche alle inutili spese che si facevano nelle nozze e nei festini ( *) . Si vede che, come dapertutto, queste leggi, eluse dalla indomabile malizia e per- vicacia delle donne, rimanevano in vigore per poco. Ora sono documenti utili alla storia delle usanze e della moda.
Ma tornando al nostro racconto, dinanzi al recente monumento del Petrucci, così amato, non potè non rattristarsi Cle- mente VII, che in quell'ottobre ( 1529), essendo in viaggio per recarsi a Bologna a coronare Carlo V, aveva nei giorni 11 e 12,
con molta soddisfazione veduto l'interno aspetto della città che tanti gli aveva reso, e così segnalati servigi (*) . Ma non vi ri- vide quello che ci aveva avuto forse la maggior parte, chè poco innanzi i vessilli del comune avevano accompagnato al sepolcro Severo Minervio, storico e capitano foggiato sullo stampo degli
(1) Riform. An. 1530 fogl. 64, 70 al 73.
-
Breve del 10 marzo 1730,
nell' Arch. Com. di Spol.
(2) Di queste due ultime si trovano ancora esemplari a stampa.
(3) Riform. An. 1528 al 1529. fogl. 391. Diari, e Memorie presso il Campello..
A. SANSI 15.
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antichi (' ). Era morto il primo giorno di luglio di quell'anno,
sedici giorni dopo avere scritto ai priori intorno alle cose di Cascia e di Norcia. Lascid una figlia per nome Gorgonia ma- ritata a un Vincenzo Sordoni, alla quale si trova aver poi ( 1543)
papa Paolo III elargito sussidi in considerazione dei meriti e
dei fedeli servigi dell' avo Ermodoro Minervio uomo di scienza e di lettere, e diplomatico illustre, nonchè del capitano Severo genitore di lei ( 2). L' Orange, preso Spello, che era dei Baglioni, e fatto un accordo con Malatesta, perchè non si volle per allora fermare intorno a Perugia, procedette verso la sua meta. Tenendogli dietro con l'occhio sino a Cortona, ritroviamo ivi un onorato ricordo spoletino. Mentre gl' imperiali combattevano per pren- dere quella città, il marchese del Vasto fece mettere il fuoco alla porta detta di S. Vincenzo, la quale fu difesa vittoriosa- mente da Giacomo Tabussi prode capitano da Spoleto che mi- litava col Baglioni, e si trovava a guardarla con la sua gente.
Egli, secondato da Ridolfo d' Assisi altro capitano , spense il fuoco che ardeva la porta, e ributtò gli spagnuoli con sommo valore. Senza questa strenua difesa, Cortona non avrebbe po- tuto darsi a patti, ma presa per assalto, sarebbe soggiaciuta a quella funesta sorte , che poteva aspettarsi dalla avidità e ferocia di quell'esercito (3). Il Tabussi si segnalò anche in altri fatti ; dalla difesa di Cortona andato a quella di Firenze , prese parte assai vigorosa alla gran sortita del 5 maggio che pose in scompiglio e quasi in rotta il campo
(1) Docum. Storici Ined. in sussidio ecc. P. I. pag. 106.
(2) Intorno alle cose operate dal Minervio, oltre a ciò che si legge in questa storia, si possono vedere le notizie da me pubblicate nei Docu- menti sopra allegati pag. 103, ed anche nel volumetto degli articoli bio- grafici che pubblicai col titolo : I nomi delle vie di Spoleto. Ivi feci pure alcuni cenni di Ermedoro Minervio, a questi e alla notizia datane dallo stesso Severo, aggiungerò le superlative parole che, parlando di lui, usa Evenzio Pico nell' arte metrica: Hermodorus Minervius, summus astro- logus , summus orator, summus poeta , omnium suae etutis , extitit pro- pterea Leoni X Pontifici gratissimus et jucundissimus.
(3) BRACCESCHI, Comment. ec. Giovio, Hist. lib. XXVII. - 11 Cam- pello ( lib. 40) nel ricordare questo fatto, non dà al capitano il nome di Jacopo Tabussi, malo dice Giacomofilippo da Spoleto. Credo che si tratti della stessa persona, e che il Bracceschi non abbia fatto che ag- giungere il casato al nome abbreviato che familiarmente avranno dato al Tabussi. Ma quando per avventura, cosa che ritengo lontana dal vero, fosse il Bracceschi incorso in un errore che gli avesse fatto porre il Tabussi nel luogo di un altro, il fatto potrebbe sempre attribuirsi ad unprode soldato spoletino, che per le stesse memorie dal Bracceschi rac- colte, viveva e militava in quel tempo, cioèGiacomofilippo Brancaleoni.
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dell' Orange (' ) ; e nella guerra che ebbe più tardi il duca Cosimo de' Medici contro Siena , egli costrinse ad arrender- si Montereggioni luogo posto tra quella città e Firenze , che era difeso dal capitano Zeti fiorentino. Il vecchio e valoroso uomo morì nel 1557 a Vicovaro, dove teneva una fortezza pel duca di Palliano. Lasciò un figlio per nome Alessandro il quale non senza onorata fama milito in Francia nella guerra contro gli Ugonotti (2) .
Nel fine del 1529 un breve del papa conferiva il governo di Spoleto ad Alessandro de Medici (*). Ma ai 6 di gennaio del 1530 ancora lo teneva la Petrucci, che in quel giorno dava facoltà ai priori di potere per assenza di molti cittadini congre- gare il consiglio con un numero di consiglieri minore di quello voluto dagli statuti (*). Solo alla metà di febbraio Ettore Fat- tiboni di Cesena, luogotenente del nuovo governatore, venne a
prender possessione dell' officio. Nella lettera da lui presen- tata al comune, Alessandro dice che l' avere avuto questo go- verno gli era cosa assai gradita, più per mostrare il suo buon animo verso la città, e riconoscere l' antica affezione della medesima verso casa Medici, che per qualsivoglia altro interes- se (5) . Ei fu poi a Spoleto il 12 settembre quando si recava in Germania presso l'imperatore suo suocero. Venne accompa- gnato da Valerio Orsini, dal vescovo di Vaison e da numerosa comitiva di gentiluomini. Viaggiava per le poste (venit per equos dispositos). Fu onorificamente accolto sia perchè governatore,
sia per alcuni benefici fatti alla città. Forse agevolezze pro-
(1) VARCHI, Storia Fiorentina lib. XI . -SISMONDI, Stor. delle Repub.
Ital. capo 121 .
(2) BRACCESCHI, Comm. etc. Un ricordo di Jacopo Tabussi s'in- contra anche nelle memorie della difesa della Vallinarca contro Sciarra Colonna. Il priore messer Giovanni il 26 giugno 1527 scriveva dal campo della Geppa a' suoi colleghi a Spoleto E venuto Jaco de Tabussa con dieci archibugieri a cavallo et dice che non sono pagati ». E in altra del 27 aggiungeva « leri sera come advisai V. M. S. venne Jaco deTabussa con quilli compagni, e lu signore Amico ( d' Arsoli ) li mandò uno ducato de pane, perchè disse che venivano per gentilezza non per pagamento ». Segue a dire che li mandarono a S. Anatolia, poi volen- doli mandare a Montesanto , quelli preferirono di tornare a Spoleto.
( Lett. nell' Arch. Comun. )
(3) Riform. An. 1529 al 1530. fogl. 41 . (4) L'atto con cui è data questa licenza è detto bollino. La gover natrice lo sottoscrive in questa forma:
Ex arce Spol. die VI. Januari 1530.
Catherina Petrucci Medices Spol . etc. Gubernatrix
(5) Riform. detto an. fogl. 85.
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curatele nei molti pagamenti di cui era gravata, e che lenta- mente faceva con sdegno del papa; il quale, ritornando da Bo- logna, era ripassato per la città agli 8 d'aprile ('). Il duca Alessandro pernottò nella rocca, e partì il dì seguente a mattina,
assai di buon ora. Questo malvagio bastardo di casa Medici,
nato di serva africana , il quale aveva nel sangue commiste alla ferocia le più brutali libidini, presto, di là dove correva,
era per tornare sorretto dal braccio imperiale, a fare strazio della bella Firenze. A quell'ora, spento a Gavinana l'eroico suo difensore Francesco Ferrucci , tradita dalla vile perfidia di Malatesta, la sventurata città aveva capitolato. Se ne partivano le genti che erano state a quell' assedio, e gli spoletini, per un vano timore, presero l'armi onde negare il passo nel loro territorio agli spagnuoli che non vi passarono. Ma al non vero pericolo tenne dietro nel finir di settembre una vera e grave calamità. Quasi che le uccisioni, i saccheggi, la peste, e gli stenti della fame, che avevano in questo tempo desolata l' Italia, non fossero bastanti compagni ai soqquadri politici, una pioggia dirotta e incessante di dieci giorni, un vero diluvio, fu cagione di una inondazione terribile. Dicono le memorie di que' tempi che il Tevere fece indicibili rovine di alberi e di edifici, e
strage d' uomini e di animali per le campagne di Perugia e di Todi; e nello spoletino tutti i torrenti soverchiarono o ruppero gli argini , si portarono il coltivato, e confusero le strade con danni che accrebbero gli aggravi del pubblico e l'inopia dei privati.
(1) Die VIII aprilis MDXXX - Smus . D. N. Clemens VII. e Bo- nonia rediens et Romam petiturus, Spoletum venit , comitatus quinque Rmis Cardinalibus tantum; ubi cum tota curia honorificentissime hospi- tatus, receptusque fuit, omnibus sumptibus comunis Spoleti.
Die VIIII Dicti mensis Prefatus Simus . D. N. ad Urbem pro- fecturus summo mane discessit Spoleto. ( Riform. del detto anno ,
fogl. 120).
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CAPITOLO XXIV.
Rivolta di Giano severamente oppressa - I Castelli del casciano si adoprano a sottrarsi al dominio del Coтипе - Рара Clemente li dà a
reggere al governatore di Spoleto, da cui poi tornarono al dominio di Cascia Lite intorno ai medesimi Cose di Piediluco - Sedizione a
cagione dei frati di S. Domenico - Discordie tra i Berardetti e i Gentiletti Passaggio di Paolo III - Pierluigi Farnese governatore ridd la pace alla città - Guerra del sale Al vescovo Francesco Eroli suc- cede Fabio Vigili spoletino Suor Antea e le orfane - Rinnovamento del catasto Papa Giulio III, e Baldovino del Monte fratello di lui go- vernatore - I Vicepodestà Necessità della presenza del governatore per tenere il consiglio Sedizione Cerretana ; intervento della Città Cesi rinnova la federazione ; vicende susseguenti L'esercito
alemanno ed il francese - Morto Fabio Vigili, il cardinal della Cor- nia e il Farnese amministrano il vescovato - Si riaccendono le discordie tra Berardetti e Gentiletti, e cagionano la rivolta di Monteleone Paolo
IV papa ; il nepote duca di Palliano al governo di Spoleto Lavori pubblici Il cardinal Rosari San Carlo Borromeo governatore Il luogotenente Luzio Costa si toglie la vita Fulvio Orsini vescovo di
Spoleto; sua entrata solenne Le dissensioni civili e il cardinal di Trento Altri governatori Varie differenze termi- nate I terremoti e la chiesa della Madonna di Loreto - I cardinali di
Vercelli e Guastavillani -Lavori - Il novello monte di pietà Petrino
Leoncilli capo famoso di banditi Suoi nemici , sue avventure e mi- sfatti Come cessassero per opera del cardinale Sforza Passaggio
di Michele di Montaigne, e la Via Boncompagni Ultime notizie di Petrino Illustri militari spoletini di questi ultimi tempi, e cittadini
distinti per scienze, lettere e arti - Lavori.
I cappuccini
-
A queste sciagure seguitarono da vicino commozioni e
turbamenti per contrarietà esterne, e interne discordie. I ca- stelli che avevano tanto desiderato di essere accolti sotto la
giurisdizione della città per ripararsi dai danni della guerra,
passato che fu quel pericolo, s'adopravano a sottrarsene. Nel 1532 Giano si levd ad aperta ribellione. V' andò la cavalcata del comune e, presi coloro che avevano istigato gli altri alla sconoscente novità, li mend a Spoleto , dove furono appiccati per la gola alle finestre del palazzo del popolo ('). E fu al- fora preso e tenuto prigione per sospetto anche un frate Ip- polito francescano, tra le cui robe furono trovati scoppietti e
balestre (2) . Così si quietarono le fisime della incostante comu- nità; che nell' anno appresso, per ristoro, vide nei suoi luoghi papa Clemente che, tornando dal secondo viaggio di Bologna,
traversata la Romagna e la Marca, teneva il cammino per
(1) Diari, 24 gennaio 1532. - CAMPELLO lib. 40.
(2) Lett. 17 gen. 1532 di Tizio Cidonio podestà di Giano ( Archivio
Comunale).
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l'altro ramo della flaminia, e il dì 30 di marzo era a Mon- tecchio presso Giano ('). I castelli del casciano , che il papa aveva dato a Spoleto, avevano cominciato a cangiar di voglie sino dal 1529, e il Minervio che allora si trovava, come dissi,
commissario co' fanti del comune al Poggio di primo caso,
ragguagliando i priori delle cose di lassù, diceva che mentre icasciani avevano eletto per loro signore Ascanio Colonna da cui speravano essere reintegrati nelle cose perdute, gli uomini dei castelli avevano segreti colloqui con Bernardino degli Ami- ci (*) . Ma checchè ne fosse di que' trattati, essi cominciarono poi a levar lamenti contro Spoleto, e con l'insistente que- relarsi, e col favore di potenti protettori , pervennero a far revocare la concessione che nel 1529 ne era stata fatta alla città. Questa, di ciò fieramente rattristata, non sapeva confor- marsi ai decreti del papa. Però nel luglio del 1533 i cittadini,
per lettere di un commissario, venivano sottoposti a catture,
è a sequestri di robe ovunque fossero e capitassero (3). Si mandarono a Roma Sebastiano Sillani e Vincenzo Zacchei che,
ricordando i servigi resi da Spoleto per tanti secoli, e recen- temente ai papi con l'oro e col sangue, mostrarono gran me- raviglia che le incostanti voglie e matte di turbolenti villani,
dovessero nell' animo di sua santità potere più di quelli, e
di ragioni incontroverse acquistate sotto gli occhi e per vo- lontà espressa della stessa santità sua. Molto si operò perchè alla città non venisse fatto un tal danno e disdoro, e molto
(1) Sul cartone d'un libro di amministrazione del convento di S. Felicedi Giano, conservato nell' archivio del comune, io rinvenni questamemoria. -« Año Domini 1533, a dì trenta de marcii , fu el Papa Clemente a Montegio, et tuta la sua familia. Quì in Santo Felice et lui deveva venire ; biaso, baliono, et claudio et joliano de Montefalcho el destolsero, et questo el feceno per bono respetto, così año dito loro; a
Santofelice è stato daño perchè avemo perduti alcuni grasie che aria fatto, n'è stato causa (sic), Dio li possa punire de tai soi mali se l'año fato a male ». -
(2) Questa solo per dare certo adviso ad V. S. che casciani hanno electo per padrone et Signore el Signore Ascanio Colonna, et sabato gli mandarono la loro patente, et continuo machinano cose nove, penso si averà travaglio............ >
Bene valeant. Dal poggio di primo caso die XIIII. junii 1529.
Delli parlamenti che secretamente fanno questi nostri castellini con messer Bernardino continuo intendemo. Vigilandum est.
( Saggio di Doc. Ined. etc. pag. 92 ).
Servitori
Severo Minervio et Zuccaro.
(3) Lettera di Valerio Vigili, del 12 luglio 1533 da Perugia.
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vi si affaticò Sempronio Amaranti; ma dopo lunghe pratiche non si riescì che a questo. Fu rimessa la controversia ai tribunali , e intanto il papa evocò a sè le dette castella, e le diede in governo allo stesso governatore di Spoleto che era Alessandro de' Medici. La città non fu contenta, più malcon- tenti furono i villani, permodo che alcuni non vollero rico- noscere gli officiali del duca, che ordinò al luogotente Taurisi di apparecchiare armi a servigio di Rinaldo Brancheri suo commissario, perchè ne potesse prendere possessione, e quegli
die' la patente a Claudio Berardetti per raccoglier gente a
questo effetto ; ed infine toccò alla città di levare mille e
cinquecento fanti con i quali due priori andarono insieme al detto commissario del duca a sottomettere Colgiacone e Rocca Intervi (¹) . E quando per la morte di Clemente spirò la com- missione di quel reggimento al governatore di Spoleto, i ca- stelli tornarono all' antica soggezione, e alla città non rimase che una lite, la quale, agitata a lungo, interrotta talvolta per ottenere l' intento con le armi, e incominciata poi per stanchezza a trascurarsi, a poco a poco rimase dimenticata (*).
Le cose di Piediluco formavano un altra controversia tra i
Podiani e il comune. Il 17 ottobre del 1530 s' erano portati a
Spoleto messer Sante dei Vitelleschi di Corneto, tutore di Giulio e Fabrizio Podiani, con Pirro, e parecchi altri , per trattare un accordo, e furono per parte del comune eletti a ciò il Sillani ,
il Parenzi, l' Arroni, if Zacchei, il Gentiletti e un France- scantonio di ser Leonangelo (3) . Ma non pare si venisse ad alcuna conchiusione; perchè il papa, che aveva sino dal set- tembre richiesto al comune l'inventario, e i contrasegni della rocca di Piediluco, aveva voluto che andassero (1) a Roma oratori, che per Spoleto furono Sempronio Amaranti e Valerio Vigili, i quali nel marzo del 1531, per le buone disposizioni dimesser Sante e di donna Costanza, davano molte speranze (5) .
(1) CAMPELLO, lib. 40. -Lettere del 12, 15, 27 novembre 1533.
Patente di Tarusio Taurisi al capitano Berardetti del 18 novembre del
detto anno.
(2) Nell' Archiv. Com. vi sono lettere di un Fraticelli del 1540 in cui si parla de causa castrorum Cassiae; del gennaio del 1550 di Pier- vincenzo Zacchei, che consigliava la sospensione dell' impresa di Cascia;
e del 16 aprile di Loreto Sillani che riparla della Lite, che pare gli spoletini non volessero più fare, e che il Sig.Balduino ( fratello di papa Giulio III ) governatore, stimava necessaria e di sicuro effetto.
(3) Riform. An. 1530. fogl. 241.
(4) Carte Diplom. nell' Archiv. Comun. Breve del 12 sett. 1530.
(5) Lettere del 19 e 24 marzo 1531 .
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Ma invece il 27 giugno il papa comandò ai priori di conse- gnare Piediluco e la rocca a Cristoforo Corneto suo commis- sario, minacciando loro, se non lo facessero, censure e una pena di quattrocento ducati (¹). Due o tre anni dopo il castello e
la rocca erano in potere del cardinal Salviati, che li faceva tenere a Giulio e Fabrizio come suoi commissari. Nel 1535 Pirro, con uomini del comune di Spoleto, tolse loro la rocca;
e, essendo stato mandato da Roma Cristoforo Corneto a ripren- derla, non gliela volle consegnare. Fu imposto al comune che per purgarsi d'ogni sospetto di connivenza con Pirro, prestasse al Corneto aiuto efficace per riavere quella fortezza (2) e con- venne, chè così piacque al Corneto, che si portassero gli stessi priori ad esortare Pirro a rendersi obbediente ai voleri del pontefice ; e poi mandar trecento fanti, con artiglierie che ve- nivano all' assedio di quella rocca (*). Ma checchè ne fosse di ciò, fu poi stipulato un accordo co' tutori di Giulio e Fa- brizio Podiani. Era loro conservato il dominio di Piediluco e
la rocca , e come confederati del comune di Spoleto facevano omaggio del pallio per la S. Maria d'agosto ; davano quaranta fanti ad ogni sua richiesta; i nemici e gli amici del comune sarebbero i nemici e gli amici loro, facendo con esso oste e
cavalcata. Spoleto proteggerebbe i signori di Piediluco i ter- ritori e le cose loro da ogni persona , e darebbe in cid, alla
occorrenza, soccorso, consiglio e favore. Quanto alla rocca si con- veniva che in ogni evidente pericolo di guerra in quella parte o altro sospetto, potesse il comune di Spoleto mettere in pie- diluco e nella rocca quel presidio che più gli piacesse, con queste condizioni, che le spese del presidio fossero sostenute dalla città, e che cessato ogni sospetto e pericolo, la rocca tornasse in mano de' Podiani ('). La stessa comunità di Pie- diluco nel 1559 si obbligò alla prestazione del pallio e alle altre cose dette (5), e prima e dopo quest'anno si veggono Giulio e Fabrizio amici ed obbedienti al comune di Spoleto,
e dopo loro Giuseppe Podiani, nel finire di quel secolo e nel seguente (6) .
(1) Carte Diplom. dell' Archiv. Comun. Breve del 27 giugno 1532.
(2) Carte Diplom. etc. Breve del 6 gennaio 1535.
(3) Riform. An. 1535. fogl. 49 al 58, 105, 244.
(4) Exemplum capitulorum etc. inter comunitatem Spoleti et dños Pedeluci seu corundem dñorum tutores etc. Carte Diplom. nell' Arch.
Comunale.
(5) Ivi carte Diplom. Istrum. 25 giugno An. 1559.
(6) Lettere, nell' Arch. Comun. An. 1553, 1555, 1566, 1597, есс.
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Mentre le cose dette di sopra avvenivano, nè l' interno della città era quieto. Cominciarono a risvegliarsi i tumulti per la riforma del convento di San Salvatore, tenuto dai frati predicatori ( 1532 ). Erano costoro venuti a tal disordinato vi- vere e dissoluto da essere la vergogna del loro ordine, e lo scandalo del popolo. Il comune, sollecito del bene, impetrò dal papa che fossero espulsi, e il convento dato a religiosi dello stesso ordine meglio osservanti della regola. A questa novella i compagni e ministri del mal fare di que' frati, e
tutti coloro che vivevano de' loro vizi, si levarono a tumulto.
I frati, chiamati a sè costoro, e i loro congiunti, si afforza- rono dentro il convento e, prese l'armi , si difesero gagliar- damente contro gli esecutori del comune che a guisa di chi dà la battaglia ad un castello, furono condotti alla necessità d' impadronirsi del luogo a tutta forza. Entrativi i nuovi religiosi, i cacciati con la bordaglia loro partigiana fecero prova di rioccupare il luogo per forza , e più volte rinnovellarono le violenze, mavanamente; sinchè, perduti d'animo, lasciarono che i nuovi venuti cantassero in pace vespri e matutini (') .
Nello stesso tempo cominciarono a gareggiare di maggio- ranza le famiglie dei Berardetti e dei Gentiletti ; e le loro gare si facevano ogni dì più calde ed astiose . Clemente VII vi mandò a ricomporre la pace il vescovo di Sinigaglia che non so dire quali effetti ottenesse (*). Succeduto a Clemente nell'ottobre del 1534 Paolo III, nomind governatore di Spo- leto il nepote Alessandro Farnese, e venuto a governare per lui il vescovo di Sora , le dette emulazioni ruppero in diverbi e risse sempre crescenti, e molti altri accostandosi agli uni o agli altri, le cose giunsero a tale che le due fazioni armate vennero un giorno ad azzuffarsi ferocemente nella piazza del foro ; nè i benevoli neutrali, nè coloro che vi accorsero pel comune, poterono raffrenarli e partirli senza gran fatica e
difficoltà (3). Le ire, dal fatto e dalle ingiurie più che mai accese, seguitarono a partorire risse ed uccisioni ; e il male s' aumento in modo che quasi tutta la città si trovò involta in questa maledizione, e si divise nelle due parti. Il papa che nel 1535 passò per Spoleto, potè far rimuovere il coro del duomo , che a forma delle antiche consuetudini era nel
(1) BRACCESCHI Commentari etc. -Lett. del 16 febbraio 1532 del supe- riore dei Domenicani di Perugia. ( Arc. Comun. ) .
(2) Carte Diplom. etc. Breve del 7 marzo 1532.
(3) Diari del 1535 presso il Campello.
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mezzo , e farlo collocare nella tribuna (¹); potè, in considera- zione degli stipendi che il comune pagava al presidio della rocca, renderlo esente in perpetuo dagli alloggi e tasse pei cavalli, tranne il caso di urgente necessità (*), ma non gli venne fatto di ricondurre la pace tra cittadini, quantunque se ne desse molta cura, e chiamasse poi per questo a Roma Paolo Gen- tiletti e Claudio Berardetti che erano capi di quelle fazioni (3) . Breve tregua appena vi potè mettere il passaggio delle soldate- sche che in gran copia si portavano da Napoli ad occupare il ducato di Milano; le quali, per essersi posta la città in armi, non fecero alcuna insolenza. Il papa aveva novellamente dato il governo di Spoleto al suo troppo famoso duca Pierluigi. Questi,
veduto che nè i migliori cittadini potevano temperare gli a- nimi arrovellati ed implacabili dei due avversari (1), nè meglio esservi riuscito Fabio Mignanelli avvocato concistoriale dele- gatovi dal pontefice, vi pose mano per sè stesso nel maggio del 1537; e questo malvagio ebbe quella virtù che gli onesti non avevano avuto, di pacificare i contendenti, tor di mezzo gli odi, e rendere alla città la quiete che non fu poi per buon tempo turbata. Che modo ei tenesse nel farlo non so dire, ma lo fèce, e tra tante voci che maledissero la sua memoria,
quella degli spoletini potè a ragione benedirla. La città celebrò la pace con feste , e l'arringa del popolo con trecento voti elesse il duca suo protettore perpetuo , e si offerse in ser- vigio di casa Farnese (5). Pochi anni appresso le fu grave sostenere quest' obbligo di gratitudine ; imperocchè , avendo nel 1540 i Perugini ricusato pagare l'aumento di tre quattrini per libra nella tassa del sale, cosa contraria ai trattati che essi avevano con la camera pontificia, dovettero gli spoletini , per non venir meno alla detta gratitudine, e alla obbedienza di sudditi, concorrere anch' essi con loro fanti e guastatori che
(1) CAMPELLO, lib. 40. -Fra le lettere varie del 1546 ve n'è una
di un maestro Sante veneziano che domandava di presentare un modello pel coro di S. Maria.
(2) Carte Diplom. ecc. Breve del 3 di febbraio del 1536.
(3) Carte come sopra. Breve del 5 luglio 1535 al Luogotenente della città Giovangaspero Argulo.
(4) quid agendum de inimicitiis noviter exortis inter domos de
Gentilittis et de Berardittis, ac inter domos Vincentii Moriconi, et Octa- viani Perhonofrii, cum non possint reduci ad pacem (consiglio del 2 mag- gio 1535 Riform. fogl. 181 ). I precetti con sanzioni di multe, consigliati dal luogotenente Giovambattista Massari, non giovarono, nè più giovò la obbligazione di far pace del capitano Claudio Berardetti; che, se ebbe effetto, fu di assai breve durata. ( Riform. detto an. fogl. 195 ) .
(5) Diari allegati presso il Campello 4 maggio e seguenti, 1537.
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obedivano al commissario Giovambattista Lupi (¹), alla guerra che fu detta del sale, contro la città amica; e furono dolorosi giorni quelli in cui fu qui il quartiere generale delle truppe pontificie che gran parte delle artiglierie della rocca di Spo- leto trasportarono nella fortezza che Paolo III fece edificare per tenere in soggezione i Perugini (*). In queste spiacevoli congiunture la città ebbe anche il dolore della morte del ve- scovo Francesco Eroli, che già coadiutore dello zio Costantino sino dal 1497, gli succedette, nel 1500, e aveva retto la diocesi spoletina per quarantaquattro anni (3). Fu uomo dotto e di santi costumi; ci parlano di lui alcuni restauri del vescovato, e la cap- pella dell'Assunta nel portico del duomo che, incominciata da Costantino, fu da lui portata a termine e fatta vagamente dipin- gere da Jacopo Siciliano (*). Gli succedette Fabio Vigili spo- letino già priore del duomo, poi segretario de' brevi e vescovo di Foligno. Insigne letterato e poeta era costui, e fu tenuto giustamente tra i primi del suo tempo. Lui e Fedro Inghi- rami furono detti lumi principali della sapienza di Roma in cui insegnarono eloquenza. Il Valeriano, nell' elogio riportato dal Tiraboschi, lo assomiglia a Varrone per la universalità del sapere (5). 11 20 di settembre del 1542, muovendo dalla chiesa di S. Pietro fuor delle mura, con solenne cavalcata, entrò egli in città, procedendo sino al duomo; e due giorni appresso vi ricevette il papa che giunse da Perugia, e celebrò in detta chiesa l'anniversario dei funerali di papa Clemente. Egli al- lora, a preghiera del comune, restitui alla giurisdizione del vescovo le monache, le quali dappoichè, per varie cagioni,
erano passate sotto quella dei frati del proprio ordine, conduce- vano una vita per nulla conveniente alla loro professione (6) . Non così però suora Antea, monaca spoletina del terzo ordine de' domenicani che, ispirata dalla cristiana carità, con tre sue compagne, avendo comprato un luogo acconcio nella città, aveva cominciato a edificare un ricovero per le povere fanciulle or- fane, e nel 1546 ve ne aveva già accolte dieci tutte nobili, ma poverissime. Non ho altre notizie dell'opera di questa virtuosa donna, nè so dire ove fosse l'ospizio da lei fondato. Ma chec-
(1) Vi sono sue lettere al Comune del giugno 1540 dalla Bastia e
dal Ponte S. Giovanni.
(2) CAMPELLO, lib. 40.
(3) LEONCILLI, in Costantino e Francesco Eroli. (4) FONTANA, descrizione del duomo. G. EROLI , Miscellanea Sto- 、
rica Narnese.
(5) TIRABOSCHI, Stor. della Lett. Ital. Tomo VII. P. III . (6) Carte Diplom. nell' Archiv. Com. Breve del 25 settembre 1542.
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chè ne sia, viva la memoria del suo pietoso pensiero ('). II Vigili die' regola anche agli eremiti del Monteluco.
Quantunquenel1546fosse Spoleto compreso nella legazione data al cardinal Durante, la quale si allargava sopra Cameri- no, Visso, Cerreto, Terni, Cesi, Narni, e Rieti, pure seguito ad avere a governatore il duca Pierluigi, di cui sino ad allora erano stati luogotenenti , dopo il gia ricordato vescovo di Sora, Capino de' Capi da Mantova, Giovambattista Massari da Reggio, Papirio da Sassoferrato, un Mantecato, Fabio Tiberti da Cesena, discendente dagli antichi Tiberti signori di Mon- teleone, un Ruffo, uno Spinola, un Brunamonti, un Ranucci,
unTarugi, un Martelli; e da ultimo un Bernardo da Venezia (*).
Ma il duca governatore nel 1547, in cui Paolo III visitò di nuovo Spoleto, fu trucidato in Piacenza, pagando con orrenda morte le sue brutte e nefande scelleratezze. Anche per questo caso la città si trovò in qualche modo immischiata nelle co- se dei Farnesi , chè il cardinal legato Alessandro , figlio del- l'ucciso , condottosi da Perugia e Spoleto , commise a Giu- seppe Berardetti di formare una compagnia di dugento uomini a' suoi servigi, e condurgliela senza indugio (* ) .
Quanto alle cose interne della pubblica amministrazione non voglio tacere che nel seguente anno 1548 ebbe pieno com- pimento il nuovo catasto, indietro da me accennato, il quale tuttavia si conserva in grossi volumi in pergamena nell' ar- chivio del comune.
Andato, al cadere del 1549, al giudizio di Dio anche papa Paolo il successore, che fu Giulio III, diede il governo di Spo- leto al fratello Baldovino del Monte , che ebbe a luogote- nente Angelo Recchia ( 1550 ) , poi un Medici ( 1551 ) , un Nelli ( 1552 ) , un Bonaccorsi ( 1553) , un Gualtieri ( 1554)
e l'anno seguente Salvato Pacuti; e deputò con un breve vice podestà Tommaso Compagnoni gentiluomo maceratese (1). La discordia che nelle passate dissenzioni turbava ed impediva assai spesso la elezione dei podestà, avendo dato ai pontefici una di quelle occasioni, che essi non si facevano mai sfuggire,
di sostituire l'esercizio del loro arbitrio all'uso delle franchigie comunali, nominavano essi stessi un vicepodestà. Il qual costu- me durava da parecchi anni ancorchè ne fosse cessato il biso- gno. E notevole vincolo alla libertà dei consigli aveva posto lo
(1) Carte Diplom. nell' Archiv. Comun. Brevi del 5 giugno 1546, e
del 12 giugno 1550.
(2) Atti Pubblici - CAMPELLO lib. 40.
(3) Diari sopra citati CAMPELLO, detto libro.
(4) CAMPELLO, detto libro.
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stesso Paolo III, quando nel 1546 , presa occasione da alcune scandalose baruffe in quelli avvenute, decretò che non si po- tessero tenere senza l'assistenza del governatore (¹).
Nel 1550 i Cerretani, divisi in due fazioni a cagione della cacciata della famiglia Totti, richiesero la città che volesse intervenire per ricondurre tra loro la quiete, il comune vi mandò Cariteo Spiga e Giordano Cecili perchè trattassero la concordia. Ma vi andarono anco di loro volontà Giovambattista
Lupi, Lorenzo di Basilio, e Lodolo Lodoli con una banda di armati, e rimisero i Totti in quella terra, dove a danno degli avversari fecero una gran preda che riportarono a Spoleto. E
così fu fatta la concordia (*)! Anche Cesi per vivere quieta e
sicura , e forse prevedendo i passaggi di truppe per la guerra che si faceva a Siena nel 1552, si rivolse a Spoleto, e rinnovò la sua perpetua sommissione. Fatti suoi procuratori a ciò ser Todino di Todino e ser Annibale Cuccio, che promisero voler mandare venticinque fanti ad ogni richiesta della città, esen- tare i cittadini da ogni gabella di estrazione e di passaggio,
e presentare ogni anno un pallio del valore di quattro fiorini di Marca. Il sindaco di Spoleto Bartolomeo Luparini all' in- contro prometteva che il suo comune prenderebbe Cesi in pro- tezione, e lo difenderebbe contro chiunque lo volesse offendere.
La convenzione stipulata il 26 aprile, fu poco di poi confermata da papa Giulio III (3), e Chierici di Camera e tutte le difficoltà d' altri tempii non si opposero, e poteva dirsi Spoleto vincitore della lunga lotta , quantunque Giacomo Cesi portasse già da prima il titolo di conte delle Terre Arnolfe, di cui Cesi era capo (1) . Ma nel 1568, con un breve dell' ultimo giorno di marzo, Pio V. sciolse Cesi da ogni altra giurisdizione e la restituì, come capo di quel dominio patrimoniale della Chiesa,
ai Chierici di Camera che vi posero la residenza del loro vi- cario. Forse ciò non annullò la confederazione di quella terra con Spoleto, come non tolse che la famiglia Cesi dominasse con il titolo ducale Acquasparta, Porcaria ed altri luoghi allo intorno, dominio che nelsecolo XVII, fu reso così chiaro dal duca Federico Cesi gran cultore delle scienze , fondatore dell' ac- cademia dei lincei, e gran protettore degli scenziati che con- venivano da ogni paese nel suo palazzo d' Acquasparta , ove ancora si additano le stanze da loro abitate, edovenonbreve
(1) Breve del 4 novembre 1546, nell' Archiv. Comunale.
(2) Diario di Paolo Martani.
(3) CONTELORI, Mem. Stor. di Cesi cap. III pag. 70.
(4) Lett. del 9 dicem. 1559 nell' Archiv. Com.
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tempo dimord Galileo Galilei. Nel 1561 si ridestò da' Ternani la controversia della Valperacchia in cui si adoperò molto in Roma Marco Gentilucci giureconsulto e poeta spoletino. La controversia fu data a giudicare ai governatori di Terni e di Spoleto, e que' luoghi rimasero al comune (¹). Diviso così fra la città, ed altre signorie, l'antico dominio degli Arnolfi, di cui sono venuto narrando le vicende, si vede ristretto sino dal principio del secolo XVII a sei piccoli luoghi, cioè Ma- cerino, Collecampo, Porzano, Firenzuola, Cisterna e Scoppio con Cesi, dove risiedeva il vicario, che per lo innanzi aveva avuto sede in Macerino; i quali luoghi soli portavano allora, e
portarono poi il nome di Terre Arnolfe (2) .
Ma, tornando al tempo in che Cesi rinnovò la sua con- federazione, l'anno 1553 Spoleto fu in pensiero non lieve per il passaggio dell'esercito alemanno che, richiamato da Siena a Napoli, il 18 giugno era a Torgiano; furono mandati com- missari in più parti a spiarne il cammino, a procurare di sviarlo dal paese, e ad apparecchiare armi e ogni altra cosa che potesse occorrere. L'esercito passò per altri luoghi, e Ascanio della Cornia che tenne la via per le vicinanze di Todi e Acqua- sparta, per riguardo alla città non fece la via d' Arrone, ma quella delle Marmore, o almeno così disse di voler fare (3). Е
molto maggiori noie e difficoltà ebbero poi nel 1557 per l'e- sercito francese, che mosso d'accordo col papa , per togliere il reame di Napoli al re di Spagna , non si potè evitare che passasse per Spoleto, e per la montagna. V'è una lettera del 9 agosto di Annibale Dedomo commissario a Camero per quel passaggio, della gran fatica che durava a tener provvisti que'luo- ghi di vettovaglia perchè le soldatesche facessero quel minor danno che fosse possibile. Egli rendeva avvisati i priori che o
in quella sera, o nella seguente, giungerebbe colassù il duca di Guisa con cavalleria e fanteria. 11 dì 12 Tarquinio Parenzi,
altro commissario, scriveva da Montecchio di tremila uomini che erano per passare per quel luogo, cosicchè si vede che l'esercito, per trovare più facilmente provigioni e altre como- dità, marciava in colonne parallele per tutta la larghezza del
(1) CONTELORI, opera allegata cap. III pag. 72.
(2) Lett. del Gentilucci del 1561 nell' Archiv. Comunale.
(3) Dagli Statuti da quei soli luoghi rinnovati nel 1606.- E. A. MILI,
Carsuli Rediviva ecc. Macerata 1800. Lezione III. pag. 138 . (4) Lettere del giugno 1553 di Muzio Brancaleoni , di L. Scelli , di Vincenzo Garofano, e di altri commissari , nell' Archiv. Comunale.
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dominio. Gli abitanti di Montecchio per timore delle genti straniere che erano per arrivare, se ne fuggirono con ogni lor cosa, lasciando il castello deserto a porte aperte. Andrea Pe- rotti podestà di Giano scriveva che se Spoleto non voleva per- dere quel castello (temeva forse dei Todini) mandasse un commissario con archibugieri a guardarlo. I soldati che do- vevano alloggiare presso Montecchio erano quattromila e du- gento fanti, e provenivano da Spello ('). Oltre i commissari,
tutte le comunità del dominio scrivevano a' priori doler loro assai dei travagli in che questo passaggio teneva la città, e si offerivano ad ogni bisogno; e alcuni domandavano istruzione sul modo di comportarsi co' soldati quando passassero pe' loro luoghi, e aiuti per premunirsi (2). Insieme all'esercito fran- cese militando le genti del papa, Spoleto non era per certo andato esente dal mandare il suo contingente ; e Adriano Ce- cili il 18 d'agosto trovavasi con fanti spoletini a Tivoli, dove allora fu anche il quartiere del duca di Guisa (3).
Morì nello stesso anno 1553 il vescovo Fabio Vigili ; e
papa Giulio, tenendo sospesa la concessione del vescovato, che era stata fatta dal predecessore al legato Alessandro Farnese,
lo diede ad amministrare al Cardinal Fulvio della Cornia che
lasciò lodevole ricordo della sua amministrazione. Esercitò
dicono gli storici l' officio suo con doverosa diligenza, ornò la chiesa, e le rivendicò molti beni. Egli poneva in serbo tutte le rendite col proposito di riedificare con maggior magnifi- cenza il palazzo vescovile ; ciò che non ebbe effetto , perchè nel 1555 gli fu tolta l'amministrazione per esser data, se- condo la prima concessione, al Farnese (¹). La pace che dura- va da parecchi anni, parve volesse partirsi, seguendo con le sue candide ali la serena immagine del Vigili , chè poco ap- presso alla morte di lui si erano ridestate le discordie tra Berardetti e Gentiletti, e n'era specialmente cagione la po- desteria di Monteleone ch' essi presero a disputarsi. Lo stesso castello si divise parteggiando per questo o per quello, e le due possenti e guerresche famiglie presero a combattere cia- scuna i suoi avversari del luogo. Sicchè fattosi il male a tutti insopportabile, per liberarsene, dal parteggiare per i due con- tendenti, trascorsero ad aperta rivolta contro la città. Venti anni innanzi ( 1535) i Monteleonesi s' erano ribellati appunto
(1) Lettere dei nominati commissari, nell' Archivio Comunale.
(2) Lettere dei Comuni come sopra.
(3) Lettera del Cecili , come sopra - MURATORI, Annali.
(4) LEONCILLI, in Fabio Vigili e Fulvio della Cornia.
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per non volere più podestà spoletino; ma il senno di Nicold Scelli e di Bernardino Favoni, che il comune vi mandò, li aveva ricondotti all'antica devozione (¹). Ora però, senza al- cuna considerazione delle cagioni di cui era effetto, la rivolta fu intesa dal popolo con gravissimo sdegno, reso maggiore dal pensiero che Monteleone era stato fondato dagli spoletini.
Talchè Flavio Ferratini, soffiando nel fuoco , e facendo gente per andare contro il castello, ebbe in poco tempo raccolti nella
sola città quattrocento giovani che si posero sotto la guida di Claudio Berardetti. Era la stessa fazione privata che prendeva forma di movimento pubblico. Si convocò l'arringa nel marzo del 1555, e fu decretato che si andasse alla distruzione del
castello. Presto furono in armi parecchie migliaia d' uomini pronti a quella impresa; ma molti, come amici e parenti di que' di lassù, v' andarono per attraversarla. E così fu che,
arse alcune capanne con molto rumore, raffazzonate le cose, se ne tornarono con pochi ostaggi ; non senza sospetto che per alcuni, corrotti dall'oro, si fosse fatto mercato dell'onore della città (2). Avvenivano queste cose in tempo di sede vacante per la morte di papa Giulio; eletto Marcello II gli uomini diMonteleone si richiamarono a lui dell' avvenuto. Mostrava egli di voler condannare i promotori di quel sossopra, e di usare in- dulgenza al comune; ma morto fra pochi giorni, e succedu- togli Paolo IV. questi, con avviso contrario, perdonò agli in-
(1) Nel consiglio dell'undici di febbraio del 1535, gl'inviati di Mon- teleone reclamarono contro le estorsioni, vere o supposte, e le violenze commesse dai podestà spoletini ; occorrere di porvi riparo. Chiedevano potere eleggere il podestà da qualsivoglia luogo essi volessero. Mariano Leoncilli e Simone Persensii consigliarono che per togliere il malcon- tento si concedesse la domanda, ma a condizione che il detto podestà non potesse entrare in officio, senza essere stato approvato dal comune di Spoleto, e che il cancelliere di esso podestà fosse un cittadino spo- letino eletto da essi ed approvato dal consiglio della città. Ma o che ciò si giudicasse contrario agli interessi di Spoleto, e ai capitoli che questo aveva con quella terra (chè era stata lasciata facoltà ai priori di giudicarne col parere di giureconsulti ) e perciò la concessione non avesse avuto effetto, o che malgrado questa la rivolta avesse progredito,
i Monteleonesi espulsero Geronimo di Giovannangelo podestà, dicendo che non volevano più podestà della città di Spoleto, e che con detta città non volevano aver più che fare , dando a Geronimo termine un giorno ad andarsene. Spoleto fece deputati che procurassero la condanna dei Monteleonesi per questa rivolta, e pe' danni da loro fatti nel vicino territorio di Rogoveto. E si cominciò una causa che dispose coloro a
raumiliarsi . Allora furono mandati lo Scevola o Scelli e il Favonio che
ottennero l'effetto di farli tornare all' amicizia di Spoleto ( Riform.
An. 1535 fogl. 65, 187, 190, 271 ) . (2) BRACCESCHI Commentari ecc. - CAMPELLO, lib. 40.
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quieti privati, e punì di quel disordine il comune con grossa multa, e gli tolse il dominio di quella terra che non riacquistò mai più (1). Anche questo papanapoletano, seguendo l'esem- pio dei predecessori, diede il governo di Spoleto a un suo congiunto, che fu il nepote Giovanni Caraffa duca di Palliano econte di Montorio, del quale tennero il luogo Cesare Albino di Cittadicastello, e poi Michelangelo Sorbolonghi da Fossom- brone. Al nome di costui va unita la memoria del rinnovamento laterizio della maggior via della città, e dell'apertura di un' altra via dalla cattedrale alla Valle , fatta nel 1558 e
1559 (*) . E qui noterò che oltre a questi, molti altri lavori si facevano in città tra il 1542 e il 1562, come al cessare di un tempo di guerra e di sconvolgimenti, e al ritornare della tranquillità e della confidenza, suol sempre avvenire. Nè solo si lavorò intorno a strade, acquedotti, argini, fontane e simili opere comunali , ma a chiese e monasteri , restaurandoli ed ampliandoli (3). E pressochè tutto si faceva col ritratto dalla vendita della interminabile stoffa della cittadinanza ; giacchè questo costume ci fosse che supplicando alcuno il comune, o
il papa d' un sussidio per alcun bisogno, gli venisse concessa la facoltà di conferire la cittadinanza ad una o a più persone per una certa somma, quale al suo bisogno fosse sufficiente.
Lo stesso comune con l' approvazione del papa si valeva talora di questo modo per provvedere a pubbliche spese. Rimase la tradizione di ciò, sino ai nostri tempi, nel dono che solevano fare al comune coloro che venivano ascritti alla nobiltà. Lo
stesso pontefice aveva nel 1557, che fu turbato dal passaggio dei Francesi per Napoli, creato cardinale Virgilio Rosari gen- tiluomo spoletino, prelato di pregi insigni e di mirabile au- sterità di costumi, che Filippo II di Spagna ebbe in gran- dissima stima. Il pontefice fece il Rosari suo vicario, e diede a lui insieme al cardinal di Trani quelle alte ingerenze che sotto molti dei predecessori avevano avuto i cardinali nepoti.
(1) CAMPELLO lib. 40.- Egli dice di avere mille volte udito riferire que- ste cose dai suoi avi.
(2) LEONCILLI, in Francesco Eroli. Supplica del Priore di S. Maria del 9 giugno 1558.
(3) Ristauri di strade ( 1542), di condotti ( 1543) , d'argini ( 1553 )
compimentodella fonte di Porta S. Pietro ( 1549), rinnovamento del tetto di San Nicolò ( 1544 ) , ristauri e miglioramento dei conventi e chiese di S. Simone ( 1544), San Ponziano, e S. Ansano già santo Isacco (1545),
San Nicolò ( 1547), il portico della canonica del duomo ( 1549), San Sal- vatore ossia San Domenico ( 1550 ) , del monastero del palazzo ( 1553).
Ampliamento dei monasteri di Santangelo ( 1547), e della Trinità ( 1549).
A. SANSI 16.
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Ma egli poco visse nella dignità cardinalizia e alle speranze del suo luogo nativo , chè morì nell' anno 1559 , in cui un altro spoletino, Loreto Lauri, fu governatore della Marca, poi della S. Casa di Loreto (1). Morto nel detto anno anche Pao- lo IV, il governo della città andò in mano a Federico Borro- meo, nepote del nuovo pontefice Pio IV, e poi nel 1562 ad altro nepote cardinale. Una lettera sottoscritta di sua mano ,
posero i nostri padri in cornice dorata e sotto cristallo , per- chè quel governatore era S. Carlo Borromeo. La lettera è indi- rizzata al vicelegato monsignore Atracino il primo di maggio del 1563, perchè revocasse le rappresaglie da lui concesse contro Spoleto, per conto della contribuzione che si faceva per il porto d' Ancona, chè quando occorresse, che non pagasse la somma a che di ragione fosse tenuto, il suo luogotenente non mancherebbe di fare ogni opera perchè quello soddisfacesse il debito. Luogotenente del Borromeo già nel 1562 era Sebastiano Rutiloni di Tolentino ; ma pare che scontentasse i cittadini, e
nell' agosto del 1563 fu mandato Lucio Sassi referendario di segnatura a sottoporlo a sindacato , e a sostituirlo provvi- soriamente nel governo (2). Nell'anno seguente succedette in questo il conte Annibale d' Altemps , un terzo nepote del pontefice. Il referendario Luzio Cotta milanese, che resse per lui , abusando tirannicamente il suo potere , fu sotto- posto ad un severo sindacato, e ne prevenne l'effetto to- gliendosi la vita di sua mano. Il che mostra come que' sin- dacati a cui si sottoponevano podestà, bargelli a governanti,
non fossero una ciancia a guisa di alcune responsabilità dei tempi nostri, per le quali chi venga riprovato se ne suol
passare con una caduta dalla seggiola che non gli fiacca alcun osso, o con un più ameno traslocamento da una seggiola ad un' altra (3) .
(1) Memorie di Nicolò Pileri, sunto di Bernabeo Martorelli.
(2) 11 Campello pone il principio del governo di S. Carlo nel 1564,
e dice suo luogotenente Lucio Sasso. Ma la lettera in cornice, e un'al- tra dello stesso Borromeo, con cui dà avviso ai priori del sindacato,
sono del 1563 ; e il Rutiloni era luogotenente da prima. Difatto il 15 luglio 1562 fu battezzata una figlia ( Rotilia ) Magnifici Dõi Sebastiani Rutiloni de Tolentino locumtenentis in arce Spoletina ( lib. Battesim.
del domo fogl. 97. ).
(3) Morto Pio IV , la comunità di Spoleto spedì al nuovo ponte- fice Pio V, ambasciatori messer Calisto Leoncino, e messer Cesare Leon- cilli, pregando sua Santità volesse dar rimedio alla tirannide passata.
E sua Santità date loro grate orecchie, disse voler satisfare la comunità.
Mandòun messer Giovambattista Brugnatelli da...... Commissario aposto- lico agiudicare detto messer Luzio Cotta, e suo uditore Marzio Giordano da Zagarolo, i quali sono prigioni ; ma il detto messer Luzio , stando
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In questo mezzo, e segnatamente nel detto 1563, il cardinal Farnese,dopo otto anni di amministrazione lodevolmente te- nuta, lasciando la diocesi di Spoleto, per conformarsi ai decreti del concilio di Trento, s' adoperò perchè fosse data a Fulvio Orsini. Aveva questi militato onoratamente in Germania per Carlo V, e s'era poi reso chierico. Undiscendente di così gran famiglia da secoli amica della città, e da cui questa aveva ricevuto frequenti aiuti con le armi e con gli offici, un Orsini vescovo di Spoleto, era per certo un lieto avvenimento, e da porgere occasione ad una accoglienza d' una solennità non or- dinaria. Narrano le memorie contemporanee che « Sua Signoria Illustrissima, così si diceva allora, venendo da Roma,
giunse in San Pietro fuori delle mura alle dodici, e che sino alle ventidue ore furono a fargli riverenza la più parte de' cit- tadini. Che poi con abiti pontificali, e con grancomitiva a piedi e a cavallo, si avviò alla porta romana trasformata in arco trionfale con colonne, cornicioni e ornati sontuosi, nella cui fronte leggevasi l'epigramma: Fulvi qui fulvo nomen deducis ab auro-Aurea in adventu saecula redde tuo ; e nel fregio Deo Electori et Tibi Senatus Populusque Spoletinus dedicavit. Ivi giunto il vescovo fra il suono dellecampane e delle trombe,
e lo sparare delle artiglierie della roccaca , fu ricevuto dai priori del comune, dal clero, dalle religioni, dagli ordini della città,
e da una immensa moltitudine. Nelle vie per cui procedeva il corteggio verso la cattedrale, s'incontravano sette archi trion- fali benissimo fatti, ornati di pitture, d' iscrizioni latine, di em- blemi, e delle armi dell'Orsini, di quelle del comune, del Borro- meo, e dei cardinali Farnese e Santafiora. Le porte del vescovato equelle della cattedrale erano ornate di verdura mista a
gigli e rose, d'ingegnose pitture e d' altri fregi. E in più luoghi da persone vestite in varie fogge, furono recitate poesie,
tra le quali una elegante egloga latina di maestro Severo Sil- vani; e in più luoghi si udivano al passaggio del corteggio,
musiche e canti; e fu sempre accompagnato dauna schiera di fanciulli leggiadramente vestiti, che gridavano: viva papa Pio,
Fulvio e Orso! Compiute nel duomo le cerimonie del rito con molta solennità di musica tanto di voci che d' istrumenti,
ristretto con due servitori, ed andando del corpo in una sedia, piglio un coltello da tagliare il pane, e sì tagliò la gola da sè stesso, e mori disperato, e fu sotterrato il corpo fuor della rocca, inuna costa di essa.
Il detto messer Marzio ancora sta prigione, sempre colle guardie dei cittadini, dì e notte, con un bell'ordine da principio del sindicato. - II giugno del 1566 costui fu menato prigione inRoma.-Riuscì con grande sicurtà ». Così si legge in un diario.
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fu il vescovo accompagnato al suo palazzo da tutto il popolo plaudente fra lo strepito delle artiglierie e dei tamburi (' ) .
Non erano queste cose nuove, chè ad ogni entrata di vescovo,
o di legato , e d' altrettali personaggi si rinnovavano siffatte festose accoglienze; ma furono queste fatte all' Orsini, con mag- gior pompa e sentimento. E questa descrizione è seguita da quella assai somigliante dell'entrata del cardinale Cristoforo Madrucci , detto il cardinal di Trento , che venne a questo governo il 14 novembre 1566. Nella fronte dell'arco innalzato aporta romana, si vedeva figurato il tempio di Giano serrato,
e sopra il verso : Aeterna clades, civica bella sera. Perchè il cardinale era mandato da Pio V, appunto per pacificare e
racconciare le cose della città (2), che da qualche tempo erano tornate a turbarsi per le discordie dei Gentiletti, Mar- tani e Scelli contro i Berardetti e i Fontana, di cui nei diari si registrano parecchi scontri a mano armata, e molti tradimenti,
agguati e omicidi, massime nell' anno 1565. I primi di costoro si mostravano devoti al partito popolano; ed era vernice per dar colore onesto alle loro ambizioni e cupidigie. Il Ma- drucci pervenne a riconciliare le due parti, e nel febbraio del 1567, fu fatta la pace con la fede del cardinale. La città fu lieta dell' avvenimento , ma a poco andare ricominciò ad essere troppo spesso funestata da corrucci di sangue tra privati. Suc- cedevano al cardinale nel 1567 Giovanfrancesco Andreoli di Gubbio, nel 1568 Priamo Pettinari alessandrino, e Nicold Visconti Lo- nato milanese; nel 1569 Giovambattista Baiardo celebratissimo giureconsulto parmigiano nel cui tempo (1570), essendovi già si- no dal 1541 quello di Sant' Anna, fu fondato un nuovo convento di cappuccini sul colle presso gli Attivoli che sorge amezzo- giorno poco lontano dalla città (3). Nel decennio che si compiva
(1) La solenne entrata di Monsignore Illño e Revño Fulvio Ursini vescovo al suo vescovato nella città di Spoleti, fatta nel mese di giugno 1563. ( Mss. presso di me ) .
(2) » 1566 a dì 14 novembre venne a Spoleti il Revño Sig. Cardinal diTrento, governatore absoluto per papa Pio V, a far le paci e accomodar la città. ( Diario sopra allegato).
(3) Sino del 1535 un Ambrogio Recalcario (?) chiedeva con let- tera da Roma del 22 gennaio ( Arch. Comun. ) ai Priori del comune,
come desiderato dai Padri di S. Francesco , che volgarmente si chia- тапо саррисcini, un luogo nel Monteluco , e massime quel che si chia- ma la vigna, per farvi un heremitorio e habitarvi ; prega sia loro concesso chè gran bene ne verrà , ed essersi lui presa sicurtà di scriverne per essere a que' frati particolarmente devoto ed affezionato per la esemplare lor vita. Nel catasto del territorio di Spoleto del 1548. Primo libro, si legge : Ecclesia S. Annae fratrum ordinis S. Fran-
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in quell'anno, furono definite, o per sentenza o per accordo, parec- chie differenze. Si determinarono i confini tra Leonessa e Polino
( 1559 ); tra il territorio di Spoleto e quello di Norcia furo- no dichiarati termini i castelli di Triponso e di Ponte (1562).
Furono fatti nuovi capitoli regolare le rerelazioni conMontesanto ( 1563 ); Montecchio cedette a Spoleto le ragioni che aveva su varie terre sopra la strada di Todi, sino ai confini di Viepri e di Castagnola ( 1562 ); e fu terminata l'antica controversia de' confini e d'altro di Rogoveto e Petano con
a
cisci capucinorum habet terram silvatam cum ipsa ecclesia in circuitu Spoleti, in vocabulo Valle Bosa juxta etc : Era quel luogo di Giordano Consoli, che vi accolse i cappuccini nel 1541. Essendo pochi , quando andavano a capitolo, serravano il convento e ne portavano la chiave al Consoli. Questo luogo rimase deserto, per la bolla d'Innocenzo X, sulla soppressione dei piccoli conventi ( 1644-1655) ; e fu con grande rincresci- mento tanto dei frati che dei cittadini. V'è nell'archiv. Comun. una let- teradel 3 gennaio 1668 di un padre Bonaventura cappuccino, che lamenta quella soppressione, e ringrazia il comune del desiderio e studio che mo- stra perchè il convento fosse riaperto.Elo fu il 27 di agosto 1669, per in- tromissione del cardinal Facchinetti vescovo di Spoleto. Ne fu guardiano
lo stesso P. Bonaventura, e da lui furono raccolte memorie di detto convento in un mss. che era un tempo posseduto dalla Signora Conti- na Bonavisa di Spoleto ( mss. presso di me).
I frati, cui il popolo diede il nome di cappuccini, furono istituiti da fra Matteo minore osservante, nato in Baschio piccolo castello del Mon- tefeltro. Di questa riforma francescana si può dire che Camerino fosse la culla, e Costanza Cibo moglie del duca Giammaria Varano, la nu- trice. Fra Matteo rinnovò l'antico abito di San Francesco nel 1523 mentre trattenevasi nei villaggi del camerinese, predicando ed assistendo gli appestati. Non è possibile che da quelle umili campagne il pensiero non voli al padre Felice, e ai cappuccini del lazzaretto di Milano ! La duchessa difese fra Matteo dai superiori dell'ordine che lo perseguita- vano per quella novità, ella gli procurò dallo zio pontefice il breve di approvazione della riforma, del quale fu esecutore il vescovo di Came rino; il primo convento in cui il riformatore, e i suoi due compagni ebbero ricovero furono alcune stansucce segregate dello stesso palazzo ducale; donde poi nel 1528 si trasferirono presso la chiesa di S. Cristoforo,
aunmiglio dalla città, e quindi in altri luoghi come richiedeva la crescente famiglia religiosa. Qual fosse poi questa duchessa, che è quella stessa che nella storia si è vista venire virilmente a cacciare da Cerreto i cavalli di Sciarra
Colonna, ce lo fa sapere il Lili, ottimo storico di Camerino ». Grande ,
egli dice, era la fama e la gloria di questa principessa, e riuscirono ogni dì maggiori, perchè giornalmente negli affari, e ne' negozi d' im- portanza spiccavano la vivacità del suo ingegno, e le doti mirabili dell' animo. Possedeva ella non mediocremente le tre lingue ebraica,
greca, e latina ; discorreva saggiamente delle scienze e delle arti li- berali, e quello che a meraviglia la nobilitava era la bellezza eccellente accompagnata dalla modestia, dalla costanza dell' animo, e da una pietà rarissima. Gareggiavano con queste virtù i doni della fortuna, i quali erano forse impareggiabili ». Lili Stor. di Camer. P. II. lib. IX. pag. 302.
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la badia di Ferentillo (1568, 1570), e questo fu per giudizio di due prelati delegati del papa, il Brumanno, e quell'Aragonia che poi nel 1571 succedette al Baiardo nel governo di Spoleto (').
Egli fece nella rocca novelli edifici e la ornò di sfarzose pitture (*). Correndo quell' anno, Spoleto, come tante altre regioni d'Italia, fu afflitto da frequenti e paurosi terremoti con imminen- te pericolo degli edifici e delle vite dei cittadini. Lo sgomento in cui questi vivevano e l'impossibilità di altri soccorsi vol- gevano , come sempre avviene fra credenti , la loro confidenza a
quella sovrannaturale pietà che tutto può, e che abbraccia, con la espressione di Dante, tutto ciò che si rivolge a Lei. Sino dal 1538 Giacomo Spinelli spoletino, avendo per sua gran devo- zione alla Madonna di Loreto, fatto edificare in un campo fuori della porta S. Matteo una cappellina in forma della Santa Casa,
commise a Jacopo Siciliano che vi dipingesse dentro la Vergine col Bambino. Era fama che l' opera, essendo lontano il pittore e
la cappella chiusa, fosse stata compiuta prodigiosamente da ma- no invisibile, e quindi fu tenuta dai vicini, cuiil caso era meglio noto, in grande venerazione. Avevano adunque cominciato da più giorni in questo bisogno alcune donne e specialmeote don- zelle ad andare a pregare in quella cappella, quando la notte precedente il 21 d'aprile , la città veniva scossa da terremoti così disordinati e violenti che pareva dovesse tra poco tutta subbissare. Il popolo, preso da gravissimo spavento, levossi e,
sospinto da un sentimento unanime, corse alla detta cappella agridare misericordia, facendo proponimenti e voti per essere liberato da così tremenda e prolungata calamità. Dopo quella notte i terremoti cessarono. Si sparse dapertutto la fama del- l' avvenuto; e la cappella cominciò ad essere visitata da quanti, e vicini e lontani, avessero stringente bisogno di chie- dere alla onnipotenza del cielo quello che non speravano più ave- re dalla poca scienza degli uomini. Il grido dei prodigi che si narravano, vi chiamava un concorso sempre crescente, e le o- blazioni della speranza e della devota riconoscenza di poveri
(1) Istrum. e Sentenze nell' Arch. Comun. ai detti anni leggesi in alcune memorie manoscritte presso di me il seguente ricordo:
«1569. 27 novembre. Fu fatto il consiglio in palazzo, dove fu trat- tato d' accordo da certi gentiluomini perugini, e certi altri mandati dal Sig. marchese di Massa, e il Sig. della Badia, quali sono stati a Spoleti parecchi giorni. Alfine oggi s'è risoluto l'accordo , e che quelli della Badia siano nostri lavoratori ».
(2) CAMPELLO, Brevi Commentari ecc.- Non sono molti anni si ve- devano nelle sale e ne' corridoi di quel luogo, festoni e figure allego- riche in più parti.
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e di ricchi, che non sono sempre i più felici, erano così ab- bondanti che si potè cominciare a edificare, intorno alla edicola con disegni di peritissimi architetti che il vescovo Orsini vi chiamò da Roma, una chiesa in forma di croce greca che ha tutto il rivestimento esteriore, e le modanature interne di tra- vertino, ed è di rara bellezza di proporzioni in ogni sua parte.
Se ne pose la prima pietra il 4 di ottobre del 1572, presenti i cardinali di Trento, e di Vercelli, e i vescovi di Spoleto , di Norcia e di Assisi. Vi si fece un portico che dalla città si pro- lunga sino alla chiesa , e altri edifici a servigio della me- desima e de' visitatori; e veggonsi ancora i vestigi di un muro che era a man destra della via con i canali e ricettacoli
per le acque del colle sovrapposto. Nella chiesa si spesero ottantamila scudi, ma rimase incompiuta pel mancare delle oblazioni con le quali si era cominciata a edificare. Tutta- via è uno dei più pregevoli monumenti che si ammirino in questa regione. Nel 1577 ne fu offerta la cura ai Teati- ni ( ') poi, lasciata da questi , ai Minori Osservanti che non l'accettarono , rimanendo nelle mani del clero secolare sino che nel 1604 fu data ai Barnabiti, e allora fu incominciata ad ornare di marmi, di pitture, di stucchi e di dorature per mu- nificenza di varie famiglie della città (2). Gran promotore della devozione alla famosa immagine fu ne' primi tempi Guido Ferrero cardinal di Vercelli, che in quell' anno 1572 fu de- putato al governo di Spoleto, e vi durd sino al 1580, ammi- nistrandolo immediatamente come vicegovernatori negli anni
(1) Giova vedere come ciò è riferito in un diario - > 1577 , a dì 11 di giugno. Il vescovo di Spoleto fece proporre in consiglio se si voleva contentare il pubblico di accettare la divota religione di S. Silvestro,
chiamati preti teatini, uomini famosi, e specchio di santimonia. Fu pal- lottata come solito. Non ci fu palla in contrario, e furno cinquanta palle,
e sono allegramente accettati, cioè in Santa Maria di Loreto fuordelle mura (Memorie Laurentine).
(2) D.IGNAZIO PORTALUPI, Historia della Immagine della Madonna di Loreto, fuori di Spolelo. In Terni, per Tommaso Guerrieri 1621. — Е
documenti nell' Archivio del Comune, tra i quali registri e note di obla- zioni per la fabbrica. V'è pure un' offerta di maestro Bernardino e com- pagni scarpellini, i quali » avendo inteso che la Madonna di Loreto di Spoleto, paga giulii sette e bolognini doi il piede dello scorniciato, e che tuttavia mancano li denari etc, s' offerivano a far tutti scorniciati che entrassero nella detta chiesa, a ragione di giulii sei il piede, da misu- rarsi secondo il solito, et l'altri lavori di scarpello secondo li patti ;
dandose però ferramenti, cava di pietre e tutt'altre cose date a maestro Francesco etc. et l'offerta nostra sarà utile alla fabbrica 1500 scudi,
calando due bolognini per piede lo scorniciato come se può far conto ».
(Supplica 24 ottobre 1580) .
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seguenti Corrado Asinari gentiluomo astigiano (1573), Giulio Ungaresi (1574), Alcherigio degli Alcherigi ( 1575), Sertorio Petrucci ( 1576 ), e Ventura Maffetti ( 1577) che, come l' Ara- gonia, ornò la rocca in varie guise; mentre il comune dava opera a notevoli restauri delle pubbliche vie e degli acque- dotti ( ') ; e si riprendeva a lavorare per compiere l' ornato della chiesa della Mannadoro (2). Nel tempo che governava l'Al- cherigi, alcuni cittadini, raccolti settecento scudi dai privati, ed ottenuto da Gregorio XIII di potere riscuotere per un anno una colletta, rinnovarono la istituzione del monte di pietà. Convien ritenere che l'altro eretto nel 1469 fosse mancato già da gran tempo, perchè i nuovi istitutori non ne fanno alcuna menzione,
e dicono di volere istituire un monte a somiglianza di ciò che si era fatto in Roma e in alcune città vicine. Il papa approvò la formazione di una compagnia di probi cittadini per l' am- ministrazione del monte, e diede loro facoltà di farne gli sta- tuti , prescrivendo che questi fossero approvati e confermati dal vescovo, il quale avesse nel monte il diritto di visita (3).
Correndo l'anno 1578, per l'assenza del cardinal di Vercelli,
fu dato il governo al cardinal Filippo Guastavillani, anche perchè si giovasse di quest' aria salubre. Ma egli poco vi si
(1) Carte Diplom. nell' Archivio Comunale, Breve di Gregorio XIII del 26 aprile 1575.
<
(2) În una istanza del 29 Settembre 1577 (Arciv. Com. ) si legge :
di già avemo ricominciato a lavorare a S. Maria Mannadoro, ed avemo fatto patto con un maestro Geronimo da Cagli, che è un bravo intagliatore, et ne ha fatto uno bellissimo capitello, e ne siamo conve- nuti de dargli scudi nove al mese con stanzia e lecto > Il rimanente non ha nessuno interesse fuori del farci sapere che nelle stanze,
della Mannadoro v'era un cappellano. L'istanza e sottoscritta dai cit- tadini ed operarii Cherubino Bufalino et Giambattista de Domo.
La chiesa della Mannadoro ( come da una carta d'archivio) era stata istituita erede da un Teodosio di Fiorenzo, morto tra l'agosto e il set- tembre del 1556. Nello stesso tempo le pervenivano 19 scudi della pe- nale della frattura della pace di Pompeo Gentiletti, la quarta parte del provento dei malefici dedicato a quell' opera, altri 140 fiorini per altro ti- tolo; e da ultimo, essendosi rinvenuto il libro della imposizione fatta per detta fabbrica, che era in mano dei figliuoli di un messer Aurelio, si era veduto che v' erano ancora da riscuotere circa 500 florini. ( Carta tra le lettere del 1556) .
(3) Carte Diplom. nell' Archivio Comunale. Breve dell'otto febbraio 1575. Con questa occasione non voglio tacere che v'è anche una i- stanza dal 17 agosto 1578, dove si legge > Essendo stata levata una pietra di marmo dal batismo vecchio per li operali de' Santa Maria, la qualenon serve a niente, s'è pensato per li cittadini deputati alla ad- ministrazione del monte della pietà, con bona grazia delle prestanzie vostre , metterla sopra alla porta del monte, parendo a quelle etc. >.
È forse quel Nazareno che vi si vede anche ora.
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trattenne, lasciando delusi i cittadini che ,per essere quegli nepote del regnante Gregorio XIII, Bontompagni, avevano fatto gran fondamento sulla ferma dimora del medesimo per la prosperità e per il lustro della città. Tanto mutati erano gli animi dei cittadini da que' tempi che domandavano non avere reggitori interposti tra il loro comune e l'alta sovranità dei pontefici ! Governava in sua vece Agostino Brenucci da Sarza- na; e si vede ancora nelle mura della città lungo la via che scende dalla porta di S. Luca a quella di S. Matteo o di Loreto,
una grande e fosca tavola di travertino sottoposta a quattro stemmi , nella quale è una iscrizione che ricorda come quella muraglia e quella strada, non che l'altra della valle di Stret- tura, fossero fatte a cura del Brenucci luogotenente generale nel 1579 ('); ancorchè si fosse posto mano all' opera nel 1577,
sotto la luogotenenza di Ventura Maffetti (*). Queste vie non erano che due tratti della strada romana per Loreto, detta
anche Via Boncompagni da papa Gregorio XIII che la faceva riformare. Quanto alla muraglia caduta o rovinosa, forse pei recenti terremoti, molto per verità importava allora il ristau- rarla, chè per questi anni appunto, essendosi suscitate fierissime inimicizie tra alcuni cittadini che, mandati in bando per opere di sangue, fattisi capi di numerose masnade di altri facinorosi, commettevano tutti i giorni rapine ed omicidi, cer- cando gli uni di menare a distruzione gli altri. Scrive uno storico che mai, dalle fazioni guelfe e ghibelline in poi, la città fu peggiormente turbata d'allora, e tutto il territorio n' era messo sossopra, nè grosse terre e città si tenevano sicure.
I diari ci hanno conservato parecchie di quelle brutte av- venture, nelle quali consiste la storia, per verità poco nobile,
di quegli anni. Ma era sorte comune a molti altri paesi. « I
banditi e gli assassini, scrive uno storico, desolavano in quel tempo la media e la bassa Italia, e massimamente lo stato della Chiesa. Nè pochi erano e spicciolati , ma forti bande che le campagne infestavano, i borghi e le grosse terre as- saltavano, sforzavano, saccheggiavano. Avevano per capi e con- dottieri non uomini di basso affare , ma membri d'illustri famiglie che, non potendo più vivere con- la guerra, la cupidità
(1) GREG. ΧΙΙΙ. ΡΟΝΤ. ΜΑX. SEDENTE. AUGUSTINUS. BRENUTIUS. SARZANUS. LOCUNT. GENERALIS. SPOLETI. HAEC. MOENIA. ET UTRAMQ. VIAM. HIC.
ET. IN. STRICTURA. VALLE. FACIEND. CURAVIT. ANO. DNI. MDLXXIX.
(2) » A dì ... de xbre, 1577 fu cominciata la strada per commissione de Roma, e se seguita sino a Roma et sino a Loreto ».
allegato).
(Diario sopra
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di acquistare, il desio di esercitarsi nelle armi e di scapricciarsi nella militare licenza, soddisfacevano in quell' infame mo- do (¹) ». Sino dall' agosto dal 1577 il luogotenente, due priori del comune e il capitano delle battaglie (2) , andarono a Be- roide e a Sangiovanni a far guastare, per volontà di Roma, le case, e una torre nelle terre di Giovanni Leoncilli, perchè vi trovava ricovero Petrino suo figlio, giovane di diciotto anni che era contumace, e menava seco una grossa squadra di altri banditi co' quali scorreva tutta l' Umbria, imponendo taglie,
e facendo uccisioni de' suoi avversari, de' quali il principale era Antonio Martani, che similmente bandito, per avere ucciso il suo fratello capitano Tommaso , fattosi capo di fuorusciti,
correva anch' egli il paese. Quella demolizione non fudi gran danno a Petrino, che seguito arditamente ad andare e venire compiendo audacissime scelleratezze. Entrò un giorno in Spo- leto, era il 10 di maggio del 1578, e con la sua gente assaltò nel borgo la casa di Sforza Romani, nè trovando lui che voleva uccidere, corse alla casa di Sigismondo dei Benedetti (3), che come il Romani era della parte del Martani, nè altri trovando che il figlio Luca , lo fece uccidere nel letto. Poi uscito alla volta della madonna di Loreto, imbattutosi in alcuni poco a
lui benevoli , fece loro una gran paura con poche e terribili parole, e co' suoi compagni si dileguò innanzi che coloro che amministravano la giustizia nè avessero avuto sentore. Nè l'al- tra parte se ne stava ; e la notte del 2 di novembre, passando conla sua squadra il Martani per la piazza dei pellicciari (¹ ),
a furia di archibugiate uccise un figliuolo di messer FabioAr- roni, ferì sconciamente Antonio Pelluli, essendosi salvati con la fuga Sebastiano Ancaiani ed altri. E pochi giorni appresso venne il Martani improvvisamente in piazza con gran numero di banditi d'altri paesi, e vi uccise con gli archibugi i suoi nemici Vincenzo Admira e Volumnio Leti. Suond a martello la campana del palazzo, ma nessuno ardiva accorrere ; e coloro
(1) LA FARINA, Storia d' Italia ecc. Vol. VII. Par. II. 35.
(2) Erano le compagnie delle milizie territoriali istituite dal governo superiore. Si dava questo nome anche al complesso delle dette compa- gnie. Da una notificazione del 17 maggio 1576 si rileva che per grazia labattaglia del contado di Spoleto era stata ridotta al numero di settecento fanti.
(3) Alcuni diari lo chiamano Fraschetti, che è forse un soprannome;
ma era de' Benedetti, che furono poi duchi di Ferentillo, a cui succedet- tero per eredità i Montevecchio di Fano ( Memorie di Nicolò Pileri nel
sunto di, Bernabeo Martorelli ) .
(4) E quella piazzetta detta anche dell' erba, che tiene il mezzo del Corso Vittorio Emanuele, o via di S. Filippo.
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uscirono di città sani e salvi, sebbene seguitati dalla corte del bargello, alla quale si unirono l'uditore del luogotenente, e
i priori con parecchi cittadini incalzandoli sino ad un luogo detto la torricella, dove i banditi fecero testa; e la corte si ebbe a ritirare per non toccarne. Ma mentre il Martani andava così uccidendo gli avversari suoi, e gli amici di Petrino, que- sti non posava dal canto suo. Era il settembre del 1579,
quando tornò di notte alla casa di Sforza, e non abitandovi alcuno per lo gran sospetto, la pose a sacco. Due giorni ap- presso egli e i suoi compagni simularono di partirsene, uscendo avista di tutti dalla porta S. Gregorio, e tornarono poi cheti e inosservati. La mattina seguente salirono inaspettati nella piazza San Simone e vi ammazzarono Eurialo Campello cognato del Martani ; e fu detto che in cid operasse principalmente Dionisio Leti per vendicare la morte di Volumnio suo padre.
L'audacia di costoro di venire in capo alla città, sotto gli spalti della rocca, e il loro misfatto, generarono grande stupore,
ma il timore non fu da meno ; e mentre la campana del pa- lazzo affrettava i suoi rintocchi, i malfattori uscivano salvi dalla impresa e dalla città. Nè solo nel paese s'insanguinavano co- storo le mani ne' loro avversari, ma li raggiungevano dovunque fossero. Il capitano Giampaolo Berardetti amico di Petrino uscendo in Roma, insieme al capitano Camillo Rotuli dalla chiesa di S. Maria in via, fu ucciso da Raimondo Benedetti.
Conviene cercare tra le iperbole de' poemi eroici per trovar fatti da porre a paragone con ciò che lo stesso Petrino e alcuni de'suoi compagni fecero a Terni nel luglio del 1579. Andativi sul mez- zogiorno, entrarono in casa d'alcuni cittadini, e ne ammazzarono tre. Levossi il popolo a furia contro di loro, e d'innanzi all' in- grossare della moltitudine che gl' incalzava, dovettero uscire, ma lenti e minacciosi senza che alcuno osasse offenderli come Rodo- monte a Parigi. Gli omicidi delle due parti, e di altre inimicizie intrecciate con queste, o che si valevano della opportunità del tempo, in cui ogni misfatto si attribuiva ai banditi, sempre cre- scevano. Paolo Ancaiani ammazzò Giuseppe Pollastri per ven- dicare il padre, i figli di Marco del Saracino lasciarono morto,
sulla strada della Madonna di Loreto, Masino da Massa amico intimo di Petrino, perchè questi fu ad uccidere un loro zio. Pri- ma che andasse a Roma, dove, come ho detto fu ucciso , era
stata tirata un archibugiata dal giardino del priore del duomo anche a Giovampaolo Berardetti, che non ne fu tocco. Fu fe- rito d'archibugio in piazza del foro (1) da una caterva di ban-
(1) È quella del mercato, sempre detta la piazza per antonomasia.
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diti Messenzio de' Piermarini speziale, e ucciso da un Mario vasaro il canonico Pietropaolo Grifo. Tutti biasimavano il pa- pa che non si prendeva cura di portar rimedio a così gran male, e che nè di banditi, nè di archibugi si dava pensiero. Le grida si dovettero far sentire, e al cadere di settembre del 1579 venne un commissario apostolico incaricato specialmente di queste cose, il quale incominciò subito a procedere; e per avere avuto in mano un bandito del seguito del Leoncilli, ne trasse quanto potè degli amici e aderenti di lui che, secondo il diario del Serafini, erano alcuni degli stessi Leoncilli, i Be- rardetti, i Lauri, i Rotuli, gli Arroni di Polino, le famiglie di Andrea a di Camillo Ancaiani, e quella di Lorenzo Bursino. Ma colui, secondo altri diari, andava calunniando e nominava più altre persone delle famiglie principali ; per modo che a
mezzo ottobre n'erano state già condannate, tra forestieri e
cittadini, intorno acinquanta; alcuni de' quali, perchè falsamente accusati , erano assassinati da chi veniva a liberarli dagli assas- sini. Fu allora di passaggio, tornando a Roma, il governatore cardinal di Vercelli, al quale furono dai Priori, nel cui palazzo desind, dette molte cose intorno alla misera condizione della città, e che volesse col papa provvedere a così gran bisogno.
Intanto le cose erano condotte a tale, che alla festa d' ognes- santi in duomo non ci fu alcuno ; e il priore e i canonici stessi per timore de' nemici avevano lasciata la chiesa vuota e
deserta.
Non correva giorno che i banditi, e specialmente la ma- snada del Martani, non facessero ai villani qualche insulto,
o di metter loro taglie o di derubarli di quello che recavano non meno che agli altri passeggieri. ATerraia, dove si celebrava la festa di S. Andrea, si presentarono in mezzo alla gente e
vollero mangiare e bere in casa del parroco, e molte altre cose vollero che portarono seco. Assediarono per tre giorni i
frati di Bovara, e lasciarono malconci quelli di S. Antonio di Pissignano. Per le quali cose fu loro posta una gran taglia.
Il commissario di Spoleto, aveva intanto fatto prendere Gio- vangeronimo Martani e Gismondo Benedetti, e aveva minacciato di farli decapitare se i loro figliuoli banditi, cioè Antonio e
Raimondo, non andassero fuori di paese come il bando voleva.
E quelli per alcuni dì si allontanarono , ma poi tornarono se- gretamente, e vennero nei dintorni di Spoleto ; ed erano per le ville molti banditi. Furono chiuse le porte della città, e
fatto un bando che le battaglie si portassero contro costoro ;
ed essendo state mandate dal governatore di Perugia segre- tamente anche le genti di là, i banditi, che erano a Bazzano
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di sotto, sarebbero stati assaliti da tutte le battaglie dell' Um- bria; ma uno dei militi, avendo scaricato un archibugio, coloro si addiedero del pericolo in cui erano, e prestamente, stretti insieme, si posero in salvo, prima di essere circondati, e nel ritirarsi uccisero alcuni militi , comecchè fossero cinquanta contro mille. Di là per vie obblique si condussero nelle vici- nanze della Bruna. Ragguagliato di ciò Petrino, che trovavasi a Castelritaldi, credette di avere l'opportunità di assalire gli avversari con buon effetto ; e, mandò fuori del castello parec- chi dei suoi, che non li poterono giungere, perchè si ritira- rono prontamente, scagliando loro parole ingiuriose e archi- bugiate. Ma, stretti poi più vigorosamente, camparono con la fuga, e con perdita di vestimenti e di cavalli. Il giorno se- guente il Leoncilli andò loro dietro per i luoghi dove solevano praticare, ma non li trovò mai.
Il 28 gennaio 1580 Antonio Martani era a Bazzano in casa d'un agiato contadino chiamato Giusto ; e v'era venuto con tutti i suoi per riscuotere una taglia che gli aveva imposto.
L' astuto villano fece vista di mandar pel denaro, e mandò ad avvertire il luogotenente e i priori. Fu subito provveduto che le battaglie di Spoleto e dei dintorni si portassero in quel luogo ; ma Petrino, con una forte mano de' suoi, vi fu prima di ogni altro, e stette tutta notte a guardare e bersagliare quella casa; e rispondendo que' di dentro , vi morì dalla sua parte un giovane di Norcia de' principali. Aspettava che venisse altra gente , ma solo nel mattino vennero le battaglie di Spo- leto, il capitano delle quali operò in modo, che quelli che e- rano nella casa, ebbero maniera di salvarsi ne' monti, dove li aspettavano molti dei loro amici e parenti. Si disse che il capitano e due ufficiali fossero stati corrotti e che Petrino, il quale per odio degli avversari era venuto in aiuto delle armi pubbliche, fosse stato tradito. Il dispetto ch' ei n' ebbe gli fece pensare una terribile ed arditissima vendetta. Giovangeronimo Martani e Sigismondo Benedetti, o che il governatore li tenesse ancora in ostaggio pei figli, o che, com' altri dice, vi si fossero messi volontariamente per propria sicurezza , se ne stavano nella rocca con altri loro amici. La sera del 21 febbraio il bargello e la corte, avvertiti da una spia dėl luogo in cui a- vrebbero potuto prendere il Leoncilli, subito si mossero e,
cadendo nell'agguato , furono invece presi da lui presso il Pontebari. Fattili legare e messili in mezzo alla sua masnada,
ei si portò con essi in città; ed essendo la notte già inoltrata,
venne alla porta della rocca, dove fattosi credere il bargello di un commissario pontificio che era spesso nella valle umbra,
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disse: » aprite , che meniamo prigioni d'importanza ». Come le fu aperto, s' impadroni della porta, e avuto in mano il car- ceriere, e rinchiusi i birri, si fece condurre ove erano i padri de' suoi avversari. I due miseri vecchi, destati al rumore e
alla luce insolita, apersero gli occhi chiusi dal sonno per ri- chiuderli subito con una morte spietata. Furono anche uccisi Alimento Martani e Simone Sordoni odiosissimi a Pietro , e
tutti vennero messi a morte con quella atroce voluttà di sangue che non si sazia mai di ferire ; e dopo le tante ferite con cui i loro corpi vennero lacerati, ne furono troncati i capi e, quasi a sfida, portati nella fonte di piazza. Nella stessa notte i ban- diti, menando seco gli altri carcerati, scesero in città, e s' ag- girarono bussando per le case; ma poco venne lor fatto, che tutti erano in sospetto. Pure ferirono un figlio di Pietro Del- fino, e da quella e da altra casa dove poterono entrare, tolsero denaro, e partendo, menarono via muli e cavalli. Sorto il giorno,
alla vista dei teschi che erano presso la fonte e al divulgarsi dei misfatti della notte, molti cittadini impauriti lasciarono la città, e rimasero sospese le officiature delle chiese, chè tutti cercavano di sottrarsi a così fieri pericoli. Il giorno ap- presso un commissario con molta sbirraglia e gli avversari di Petrino che erano in Spoleto , si davano molto da fare. La notte veniente presero in una casa presso sant' Agata, una giovane donzella sorella del Leoncilli, e la menarono prigione in rocca « con poca approvazione del pubblico, come usanza vituperevole e dannosa ». Ma fu rimessa in libertà la mattina con sicurtà, per i buoni offici del luogotenente. Oltre i molti birri che aveva seco il commissario, vennero cavalleggeri co- mandati dal Mellini romano ; e tutti uniti con altri compagni,
uscirono in gran numero alla volta di Castelritaldi contro Petrino, ma senza alcun effetto dei tanti vanti che si davano.
Gli ultimi eccessi del Leoncilli però avevano mosso Gregorio XIII a sdegno per modo che gli fece guastare le case sino a
terra (¹ ), e porre una taglia di duemila scudi ; e chi lo desse in mano della corte o vivo o morto, potesse anche rimettere dieci banditi per qualsiasi delitto, e anche sè medesimo ove fosse un bandito. Crescevano intanto a Spoleto le guardie per
(1) « Tutte le pietre della casa del sopraddetto Pietro sono andate per beneficio della città, cioè per innalzare le mura, et tutti ilegnami et altri ordigni sonno adoprati per risarcire la rocca, fare usci, porte edaltre cose necessarie per quella. Tutte queste cose sonno state por- tate da' contadini nostri con gran furia di bestie, et è durato parecchi giorni » ( Diari, 25, 26 aprile 1580 ).
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sicurezza della città, e vi si riunivano milizie contro così audaci malfattori che si volevano pure ridurre al dovere. Tuttavia Antonio Martani potè fare ammazzare Bernardo Parenzi, uomo assai principale, da un servo fulignate di casa Martani con una archibugiata nelle spalle; e al sicario venne fatto di fug- gire con tanti birri e soldati che v' erano.
Non meno sicuro da tante armi pare si tenesse Petrino che con scomuniche e con quella gran taglia addosso, certo di poter deludere l'insidie e di poter venire al paragone delle armi, stavasene a Pissignano a suo diletto senza temere,
dicono le memorie contemporanee, alcun potentato. Un birro da Montefalco il quale, essendo a Cascia in certo officio, per sue furfanterie fu messo prigione, uscitone dopo molti mesi,
volendo vendicarsi della ingiuria che gli pareva aver ricevuto da' casciani , venne a Petrino e gli disse che se voleva andare a Cascia, gli farebbe fare un lauto bottino. Egli v'andd su- bito con la sua masnada ; e giunto inaspettato, v' entrò, e con la guida di quella spia, mise in breve tempo a ruba le mi- gliori case, senza dimenticare il governatore e il tesoriere; e
questo trasse seco legato per molte miglia, lasciandolo poi andare. Corsero i casciani per aiuto a Spoleto , e furono loro dati birri e soldati co' quali si posero ad inseguire i banditi,
non so con quale effetto.
Intanto, essendo state radunate le milizie occorrenti per operare contro i potenti banditi, fu mandato dal papa il legato cardinale Sforza , e vennero a un tempo dugento archibugieri a cavallo, e Mario Rasponi da Ravenna con altra gente. In un combattimento presso Casteldilago Petrino , battuto, perdette munizioni, attrezzi d'archibugi, e dei bei cavalli di cui si servirono il cardinale e i suoi gentiluomini. Negli stessi giorni venivano impiccati a Spoleto, un giovane seguace del celebre bandito, preso da' cavalleggeri a Parrano, mentre s'imboscava,
un altro da Montefalco che portava gran quantità di pietre da archibugi a servigio del Leoncilli ; e fu tagliato il capo a Ni- cold Bursino che aveva nella rocca compiaciuto il medesimo nella uccisione di Simone Sordoni. Furono appiccati due da Trevi, e due da Mercatello di Castelritaldi, per questo stesso misfatto. Le milizie del cardinale a piedi e a cavallo, con le altre genti e le sbirraglie di cui era pieno Spoleto, prosegui- vano a dar la caccia a Petrino che sapeva sempre uscire dal loro cerchio, e schermirsi da tanti assalitori ; e sebbene fosse guerreggiato da ogni banda, non per questo pareva che fosse vicino il tempo che scoraggito cedesse. Il cardinale, vedendo che la fastidiosa guerra voleva esser lunga, e ne aveva altre
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simili in più luoghi, mentre seguitava ad impiccare i seguaci del Leoncilli che si pigliavano, tra i quali il capitano Antonio dei Nobili da Trevi, e facesse poi decapitare dentro le mura della rocca di Spoleto Galeotto de' Nepis d' Assisi per avere alloggiato Mariano da Cotagliola altro capo di banditi, per Petrino s' indusse nella deliberazione, da tutti lodata, di ve- nire a patti. Pose a fondamento di ciò la pace tra lui e An- tonio Martani, i quali non intervennero in persona, ma il le- gato ragunò le famiglie loro, e molte altre degli aderenti, e
fece che giurassero la pace, con sicurtà di cinquecento ducati,
e col patto che Petrino, Antonio Martani, e Raimondo Benedetti, principali di quelle parti, stessero fuori del contado e do- minio di Spoleto, nè si levasse il loro bando; il quale trat- tato fu sottoscritto da tutti il 27 agosto 1580 (') . Tuttavia non pare che i cittadini si tenessero troppo sicuri che il Leon- cilli osservasse la convenzione, nè si stavano su di ciò sprov- veduti. Il celebre Michele di Montaigne che, avendo compiuto il suo viaggio in Germania, andava allora visitando l'Italia,
partitosi di Roma il giorno diciannove d'aprile 1581, e prose- guendo il viaggio da Terni, scriveva nel suo giornale: » Ci por- tammo a Spoleto, città celebre e agiata, che siede tra monti,
e in parte si distende nel piano. Fummo ivi costretti a mo- strare la nostra bolletta, non per la peste, che non era allora in alcuna parte d' Italia, ma pel gran sospetto in che sono di un Petrino loro cittadino, che è il più segnalato masnadiero d' Italia, di cui si raccontano fatti molto strepitosi , e dal quale Spoleto e le città dintorno temono d'esser sorprese ».
Si vede che Montaigne, essendosi trattenuto in Spoleto poche ore, se ne parti con idee confuse, talchè riferisce al tempo del suo viaggio, cose accadute l'anno innanzi. Ma è però vero che la richiesta dal bollettino sanitario, precauzione adottata per que' fatti, non si era ancora smessa. L'autore dei Saggi segue dicendo « in questa contrada si trovano frequenti ta- verne e, dove non siano case , fanno dei frascati sotto i quali sono tavole imbandite di uova sode, di formaggio e di vino.
Essi non hanno burro, e friggono ogni vivanda con l' olio. Al partire di là dopo il desinare, nello stesso giorno, ci trovammo nella valle spoletana, il più bel piano che si possa vedere tra i monti, largo due buone leghe di Guascogna. Vedevamo non poche abitazioni su i colli vicini. La strada che percorre
(1) Diari diversi, e specialmente le Memorie Laurentine e quelle del Serafini.
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questo piano, continuazione della strada del papa di cui parlai,
è in linea retta come una carriera fatta a posta. Lasciavamo,
passando, a destra e a manca molti villaggi, tra quali a mano diritta la terra di Trevi, posta sopra un alto monte; la qual terra da un lato scende sino a metà del pendio che in ogni altra parte è tutto rivestito di olivi con molto piacevole vista.
Per questa nuova strada, rettificata da tre anni, di cui non si può vedere la più bella, arrivammo la sera a Foligno » ('). Di tale strada, che è la medesima che partendo da Spoleto si vede ora per grandi tratti ombreggiata da alte querce cui non si ricusa assegnare l'età di tre secoli, aveva il celebre viag- giatore, come qui accenna, fatto parola anche in addietro,
quando ad Otricoli, che dice appartenere al cardinal di Perugia,
leggeva la scritta col nome Via Boncompagni. E poi quando,
uscito da Terni , cominciando a salire il monte, osservava esser
questa nuova strada opera veramente nobile e sontuosa. Ivi riferisce che le popolazioni vicine erano state obbligate a
farla; ma che esse non si dolevano gran che di ciò, ma piut- tosto che si fossero senza risparmio occupate terre coltivate,
orti, e simili altre cose senza ricompensa (2). Ma per tornare
(1) Avverto il lettore che i brani del Montaigne che trascrivo sono nella originale ortografia antica.
Spoleto, dix - huit milles , ville fameuse et commode, assise parmi ces montaignes et au bas. Nous fumes constreins d'y montrer nostre bollette, non pour la peste, qui n'estoit lors en nulle part d'Italie,
mais pour la creinte en quoi ils sont d'un Petrino, leur citoïen , qui est le plus noble bani volur d' Italie, et duquel il y a plus de fameus exploits; duquel ils creignent et les villes d'alentuor d'être surpris .
Ceste contrée est semée de plusieurs tavernes ; et où il n'y a pouint d'habitation, ils font des ramées où il y a des tables couvertes et des eufs cuits et du fromage et du vin. Il n'y ont pouint de burre et servent tout fricassé de huille. Au partir de là, ce mesme jour après disner,
nous nous trouvasmes dans la vallée de Spoleto qui est la plus bele pleine entre les montaignes qu'il est possible de voir , large de deus grandes lieues de Gascoingne. Nous descouvrions plusieurs habitations sur les croupes voisines. Le chemin de ceste pleine est de la suite de chemin que je viens de dire du Pape, droit à la ligne, come une car- riere faicte à poste. Nous laissâmes force villes d'une part et d'autre,
entr' autres sur la mein droite la ville de Trevi Tant-y-a que c'est une ville pratiquée sur une haute montaigne, et d' un endret étandue tout le long de sa pante jusques à mi montaigne. C'est une très-plesante assiete , que ceste montaigne chargée d'oliviers tout au tour. Par ce chemin là nouveau, et redressé depuis trois ans, qui est le plus beau qui se puisse voir, nous nous randismes au soir àFo- ligni (Voyages deMontaigne en Allemagne et en Italie , en 1580 et 1581 ) .
(2) Delà ( da Terni ) nous nous engajames un peu plus avant en l' Appennin, et trouvames que c'est à la verité une belle grande et
A. SANSI 17.
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al Leoncilli, non pare che a que' sospetti che si avevano se- guisse alcun effetto. Egli se ne andò in Spagna, donde tornò già vecchio nel 1640; nè la gente lo credeva il vero Petrino,
sebbene fosse stato ben riconosciuto dai suoi congiunti. Ac- quistato il favore dei Farnesi, per introduzione del canonico Paolo Leoncilli, maestro di casa di quel cardinale, non solo, es- sendo scorso più di mezzo secolo, potè assai facilmente acconcia- re i fatti suoi con la giustizia, ma al Farnese duca di Parma parve così savio e valente uomo, che gli diede il governo dei suoi feudi di Leonessa e di Civitaducale, dove egli quantun- que vecchio si riammogliò, e morì di ottantaquattro anni il 28 di giugno del 1650. Un contemporaneo, come dissi altrove ( '),
ce ne ha dato questo ritratto. » Era Pierino di statura mezzana,
di colore alquanto olivastro, di fattezze nerboruto e forte, di pelo tra castagno e rossiccio, d'aspetto più rustico che civile e amabile, ma sempre avido di rinomanza. Audace , intre- pido, fecondo di partiti, aveva le doti per essere un eccellente capitano. I tempi succeduti alle grandi guerre, e che avevano rigettato nelle campagne e nelle città gran numero d' uomini avvezzi a vivere solo delle armi, non lo fecero essere che un
capo di masnadieri, un Ghino di Tacco; come in un' altra condizione di cose avrebbe potuto essere un Erasmo Gattame- lata, o un Bartolomeo d' Alviano. E forse fu effetto di troppo altera natura, che lui com'altri rendeva indocile a seguire le inclinazioni guerresche sotto la disciplina d'un superiore, se non imitò l'esempio di coloro, che desiderosi di fama, la cer- carono portandosi a militare dove si poteva onoratamente; come,
fra gli altri non pochi, fecero Angelo e Valerio-Corvino Zacchei,
quegli in Francia, questi col duca di Ferrara (* ); Marco Lauri con il re Filippo di Spagna, cui rese notevoli servigi nella guerra di Siena (*); Leo Sillani che militò a Malta (1); Quattro fratelli Martelli, Marco, Cassio e Silvio uccisi, e Giuliano fatto
noble reparation que de ce nouveau chemin que le pape y a dressé et de grande despans et commodité. Le peuple voisin a esté constreint à
le bastir ; mais il ne se pleint pas tant de cela que sans aucune re- companse où il s'est trouvé des terres labourables, vergiers et choses samblables ( Voyages etc ) . (1) Vedi Edifici e frammenti storici delle antiche età di Spoleto.
Foligno, presso Sgariglia. 1869. pag. 228.
(2) Diplomi nell' archivio Zacchei-Travaglini , e il Sunto sopra allegato del Martorelli.
(3) Sunto Martorelli.
(4) Patente del Conte d' Altemps del 28 aprile 1565, nell' Archivio dei Parenzi, pubblicata da Carlo Guzzoni con altri documenti. Firenze,
Bencini 1851. - Sunto Martorelli .
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prigione nella espugnazione di Famagosta. Tre Montini, di cui due morti ivi, l'altro prigione, non meno di un Giovambattista Morellotti (' ) , e da ultimo quel Gelio Parenzi al cui valore l' armata veneta, guerreggiando contro i turchi, dovette la presa del forte di Barbagno nel golfo di Cattaro (*) .
(1) Carte Diplom. nell'Archiv. Comun. Brevi 13 aprile 1574- 13 gen- naio 1575-7 settembre 1575 - Quanto a Famagosta nel regno di Cipro, difesa dai cristiani ed espugnata dai turchi , vedi Muratori Ann.
1571. La famiglia Montini si estinse sono intorno a quarantacinque anni; ne ereditarono gli averi il Marchegiani di Amelia e il Calai di Gualdo Tadino.
(2) Piacemi riportare intera la lettera originale in proposito, che lo stesso Guzzoni pubblicò, dall' Archivio Parenzi, nell'opuscolo allegato alla nota precedente.
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< Noi Niccolò Surian per la Serenissima Signoria di Venetia Pr.
della armata. Ricercati dall' Illustre et strenuo Capitano Gelio da Spoleti q. Domino Bernardo Parenzi , siamo in obbligo di render testi- monio appresso Sua Serenità et ogni rappresentante suo come ogni altro Signor estero : che ritrovandosi noi Vice Capitano in Golfo nella Guera passata col Signor Turco alla impresa dei forte di Barbagno nel Golfo di Cattaro sotto la Carica del Illustrissimo Signor Giacomo Soranzo allora Pr. generale da Mar per la Serenissima Signoria so- pradetta, et essendo andati al assalto, per causa di certo disordine non potendo espugnar esso forte per esser ben diffeso da' nimici , gli ap- presentassimo da un canto le scale et stringessimo le nostre genti par- ticular amontar : le quali ben ch'arditamente tentassero d' intrar,
furno però due flate dai fuochi artificiati de nemici et dal impeto loro rebutati; il che veduto dall' Illustre predetto capitano Gelio, ricercata anoi una trobumba ( sic ) di fuoco artifitiato et avutala, con singular valor levò li inimici dalle diffese in quella parte; et montando il forte,
dette occasione a' miei et altri di far il medesimo superando i nemici et il forte isteso ; et questo è quanto occorse sull' angulo di esso forte dalla parte verso le Cadene ; riportandosi dal seguito ne le altre parti ad altre persone che ne sappiano render conto di questa singular ope- ratione fede et valor dell' Illustre capitano predetto, abbiano voluto farne testimonio conlapresente, raccomandandolo appresso efficacemente aSua Serenità, perchè la gratitudine verso questo singular suggetto passi in esempio ad ogni altro che saria in simil carichi: in quor. fi- dem etc. Da Galea in porto di Corfù a dì 8 Zener 1573 Niccolò Surian pror de l'armata.
Nel Sunto del Martorelli, altrove allegato, si legge sotto la rubrica Parenzi < Oggi vive il capitano Gelio, il quale per molti anni restò alla servitù del serenissimo Ferdinando Medici gran duca della Toscana conmolto suo onore; il quale per ricognizione de' suoi meriti, fece un figliuolo di lui cavaliere di Santo Stefano ». Forse è lo stesso Gelio che era prima stato al servizio di Venezia. Sotto l'anno 1584, nell' Archivio Comunale v'è una lettera di Gelio Parenzi ai priori, scritta il 5 gen- naio da Giano di cui era podestà, per il comune di Spoleto. Nè faccia meraviglia che l'illustre capitano, tornato in patria, andasse podestà a Giano, chè nei principali luoghi del dominio v'andavano sempre i
primari cittadini; in una lettera del 19 Ottobre 1596 di Teofilo Mar-
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Come questi cercavano fama dalle armi, così altri onesti ingegni se la procacciavano con le lettere e con le scienze.
AGregorio Elladio celebre filologo maestro del duca di Mi- lano e dell'Ariosto (1) , ad Ermodoro Minervio scienziato, poeta e diplomatico, al Giustolo , al Vigili (*) , al Lupi laureato
tani, che manda ai priori la nota di quelli che erano stati podestà di Giano dal 1583 al 1596 59, si vede essere stati tutti gentiluomini. Lo stemma che è impresso nella lettera del Parenzi non ha il sole che porta in alcuni luoghi, nè in cima la croce purpurea che si vedeva in quello dipinto nel chiostro di S. Simone.
(1) Nessun miglior testimonio si potrebbe avere del merito di costui che quello che ne porge l' Ariosto stesso nella VII Satira :
Fortuna allora mi fu molto amica
Che m' offerse Gregorio da Spoleti ,
Che ragion vuol ch' io sempre benedica.
Tenea d'ambe le lingue i bei secreti,
E potea giudicar se miglior tuba Ebbe il figliuol di Venere o di Teti.
Gregorio seguì in Francia, quando vi furon tratti prigionieri, Isabella vedova del duca Giangaleazzo Sforza e il figlio Francesco suo discepolo.
Corsa la voce ch'egli fosse per tornare in Italia, l'Ariosto, festeggiando questa lieta novella con un ode latina ad Alberto Pio, disse di lui :
qui tribuit magis Ipso Parente, ut qui dedit optime Mihi esse, cum tantum alter esse In populo dederit frequenti. Il Bracceschi nei suoi commentari ne registrò queste notizie <<
2025年2月27日
Avendo io accennato l’esistenza della notula delle spese fatte in questa occasione nel Saggio di
Documenti ecc. da me pubblicato nel 1861, è incredibile quanto insistente desiderio se ne destasse
dopo che il Gregorovius si giovò di quel Saggio nella Storia di Roma e nella vita di Lucrezia. Comecchè
il documento non mi sembri d’importanza, lo pubblico, certo di far cosa grata ad alcuni.
Priores popoli
Civitatis Spoleti
}
die XIIII Augusti 1499
Ex nostra et civium deputatorum
super honore faciendo Illme dñe Lucretie
Borgie solenni deliberatione fatta ad bussulas
et palluctas more solito, per presentes mandamus
Tibi perjoañi Ciamache depositario grani molendinorum cois Spoleti quod de dicto grano quod
mandato nostro vendidisti ad roñem bolenenorum
triginta duorun pro qualibet cuppa, penes te retineas
infrascriptas deñ summas quas jussu ñro esposuisti
pro infrascriptis causis, videlicet:
Imprimis Lorito Sindico beroiti pro emendis pullis de
marina.....................................fl 4. bol. 2.
Item pro duabus salmis ordei fl 3. bol. 28.
Item pro una salma spelte fl 1. bol. 2.
Item pro sex libris confectionum et quatuor scatulis fl 1. bol. 2.
Item pro novem pippionibus fl 0. bol. 13. d. 15.
Item pro riganellis et spachis pro conficiendis
portis busseis fl 0. bol. 32. d. 3.
Item pro angelo de baiano pro una vitella. fl 4. bol. 4.
Item bernardino pictori pro carta et picturis armor. fl 2. bol. 10.
Item pro carne salita fl 0. bol. 30.
Item Conti aromatario pro spetiis fl 0. bol. 7. d. 1.
Item pro palea fl. 0. bol. 20.
Item pro septem paribus pippionum fl 0. bol. 21.
Item ser Leonangelo pro duodecim paribus pippionum fl 0. bol. 36.
Item nicolao bonaise pro duodecim paribus pippionum fl 0. bol. 36.
Item pro herbis et insalata fl 0. bol. 3.
Item pro libris sexdecim confectionum et scatulis fl 2. bol. 30.
Item paulangelo macellaio pro libris ortuaginta una
carnis castratium fl 2. bol. 6. d. 1.
Item tamborino pfate Illme Lucretie fl 1. bol. 8.
Item pro duobus paribus capponun et totidem pullor. fl 0. bol. 30.
Item pro tribus barilibus vini fl 2. bol. 20.
Item pro portatura palee fl 0. bol. 12.
Item pro vectura equi grifoni tubicinis fl 0. bol. 12.
Item pro vecturis equor. quatuor commissariorum
missorum porcariam fl 1. bol. 32.
Item pro urbano hosti pro stramine dato equitibus
prefate Illme Dñe fl 1. bol. 32.
Item pro actamine martelli campañ. cois fl 0. bol. 30.
Item pro vino dato lombardis qui sonuerunt campanas fl 0. bol. 12.
Item retineas penes te cuppas grani quatuor et unum
quartum quas mandato nostro dedisti variis
pistoribus pro conficiendo pane pro prefata Illma
Dña et ejus curialibus cuppe 4. qrto 1.
Item pro salvato carlenos tresdecim, saracino
carlenos novem, laurentio carlenos viginti
quinque, Andree carlenos viginti quinque
pro stramine dato stipendiaris, sunt in totum fl 10. bol. 32.
Nei primi di ottobre del 1499 il papa, avendo sostituito in questa legazione al cardinal
Giovanni Borgia, il cardinal Curk, eccettuò dalla medesima Spoleto, perchè la figliuola non
fosse soggetta ad un superiore estraneo alla famiglia (1
).
記載日