Mantova e Urbino

Isabella d'Este ed Elisabetta Gonzaga nelle relazioni famigliari

著者
Alessandro Luzio
出版
1893年
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MANTOVA E URBINO (14=71-1539) ELISABETTA GONZAGA MONTEFELTRO Duchessa d'Urbino H\.BC ITJLl E V ISABELLA D'ESTE ED ELISABETTA GOIAGA NELLE RELAZIONI FAMIGLIARI E NELLE VICENDE POLITICHE Narrazione sturica docomentata DI ALESSANDKO LUZIO E EODOLFO EENIER 1893. L. ROUX E C. - Editori TORINO - ROMA. PROPRIETÀ LETTERARIA (1568) AD AMALIA RENIER nata CAMPOSTRINI A te, mia dilettissima, compagna nella vita e negli studi, dolcezza del mio cuore e gioia della mia casa, voglio intitolato questo libro, che ha lo scopo di celebrare la virtù, l'intelletto e ramicizia di due fra le più eccelse gentildonne d'Italia. A questa dedica, con la gentilezza cb'è in lui solo uguale alla nobile integrità del carati sre, il nostro carissimo Luzio mi prega di aggiungere i suoi omaggi più cordiali. l^^-^S^i^ iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiniiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii AL LETTORE È già scorso tm decennio da che fermammo il proposito di ricostruire la biografia d' Isabella Gonzaga e di illustrarne le molte e rilevanti relazioni politiche, artistiche, letterarie coi mezzi veramente eccezionali che ci erano pòrti dall'archivio Gonzaga di Mantova. Un pto' di resoconto morale non sarà ora fuori di luogo. Raccolto con ogni cura il materiale inedito (s'impiegarono in ciò non meno di tre anni), la prima idea nostra fu di puliblicarlo illustrato in una grande opera, che rispecchiasse in modo definitivo la vita e le relazioni di quella dama, in etti si ravvisa ormai generalmente « il xyiù compiuto e perfetto tipo di principessa italiana « nel Rinascimento » (1). Senonchè mentre noi attende- vamo ^alVimpresa, non agevole ma piena di attrattive e di (1) E. Masi, Vita italiana in un novelliere del Cinquecento, Roma, 18£fB, p. 32: estr. dalla N. Antologia. Il Rayna la chiama « colei che tutti s'accordano nel riguardare siccome Vesemplare piìi perfetto di quello sptlendido fiore, che fa la donna del nostro Rinascimento •'. L'Orlando innamorato del Boiardo, nel volume La vita italiana nel Rinascimento, Milano, 1893, p. 325. modeste soddisfazioni, ci avvenne ben presto di riflettere aita difficoltà immensa del costringere in un solo grande lavoro una massa di documenti così svariati ed alla difficoltà anche maggiore di trovare, in Italia o fuori, un editore animoso che si assumesse un giorno la stampa d'unopera divisa necessariamente in non pochi volumi. D'altra parte il materiale mantovano, che è da anni tatto raccolto ed ordinato e che risulta di parecchie migliaia eli documenti, esige dei riguardi tutti particolari. Kon avviene qui come in molti, anzi nella più parte, dei casi, che dai documenti si possa spremere il succo e ridurre a poche pagine ciò che si rileva da un cumulo di vecchie carte; no. I documenti da noi raccdti hanno quasi se mpre un carattere di intimità così singolare, che permettono di addentrarsi nei costumi, negli usi, nella vita in- somma reale non solo della Marchesana nostra, ma di tutte le persone della sua corte o che più si onorarono della sua benevolenza; essi aprono uno spiraglio, e talora ben più d'uno spiraglio, atto a osservare ed a dominare quelle anime complesse del Binascimento. Nella maggior parte dei casi questi documenti non si possono riassumere, sarebbe anzi un indizio imperdonabile di cattivo gusto e di imperfetta coscienza della storicità il riassumerli. Mille particolari preziosi per la storia del costume, mille tratti caratteristici nei quali, a dir così, si profilano quelli spiriti, sfuggirebbero a chi, pur di far il libro, si appagasse di riferire soltanto i risultati di questi documenti. Il carattere intimo di essi fu, del resto, già ri- levato dal Baschet, dal Gregorovius, dal Braghirolli e da quanti altri li conobbero in parte. Non comunicandoli XI — integralmente al puhMico, con le opportune ilìustrazìonL ci sarehhe sembrato di venir meno ai dover nostro e di adoperare non diversamente da cJii, avendo la ventura di possedere delle gemme di raro splendore, le incasto- nasse così xìoco acconciamente, le une addossate alle altre, in un vile metallo, da non farle figurare più che se fos- sero dei pezzi di vetro. Uno spediente solo si offriva agevole e huono: rinunciare al grande operone complessivo e trattare il soggetto in lina serie illimitata di monografie, più o meno estese, ognuna delle quali illuminasse nn periodo della vita di Isabella, o qttalcJie sua relazione più cospicua, ovvero un individuo od un gruppo d'individui a lei più famigliari. Co8i infatti si fece. In questo modo, alla spicciolata, noi possiamo raggiungere l'intento nostro, possiamo nutrire, cioè, la speranza di veder puhhlicato un giorno tutto il materiale raccolto con quel corredo ampio di il- lustrazioni che meglio d'ogni cdtra cosa è atto a rilevarne il valore. Preceduto da parecchi scritti del Luzio solo (1), e da (1) Lettere inedite di Paolo Giovio tratte dairArcbivio Gonzaga. — Mantova, Segna, 1885: per nozze Asdruhali-Glraldi. Vittoria Colonna. — Mantova, 1885; nella Rivista storica mantovana, voi. I. La morte d'un buffone ; nella Gazzetta di Mantova, 16 nov. 1885, poi riprodotto con aggiunte nella Strenna dei rachitici di Genova, a. Vili, 1891. Lettere inedite di fra Sabba da Castiglione. — Milano, 1886; «eWArchivio storico lombai'do, voi. XIII. Federico Gonzaga ostaggio alla Corte di Giulio II. — Roma. 1887; «eZrArchivio della società romana di storia patria, voi. IX. I precettori d'Isabella d'Este. — Ancona, Morelli, 1887 ; per nozze jRenier-Camjìostrini. — XII — ((il unico saggio, il primo, fatto in cooperazione (1), comparve nel 1SS8, in inglese, un articolo di sintesi del lìenier (2), die e una specie di programma. In esso sono segnate le linee massime della biografia d'Isabella, desumendole, con rapidi tocchi, dal complesso dei documenti inediti. Poscia si vennero pidMicando i seguenti lavori speciali, che col tema nostro hanno tutti rapporti più meno diretti, e tutti recano le nostre due firme: Di Pietro Lombardo architetto e scultore veneziano. — Boma, 1888; «eZrArchivio storico dell'arte, voi. I. Delle relazioni di Isabella d' Este Gonzaga con Lodovico e Beatrice Sforza. — Milano, 1890; «eZrArchivio storico lombardo, voi. XVII. Francesco Gonzaga alla battaglia di Fornovo. — Firenze, 1890; neWkxchvào storico italiano, serie V, voi. VI. Gara di viaggi fra due celebri dame del Rinascimento. — Alessandria, 1890; nella rivista Intermezzo, voi. I. Buffoni, nani e schiavi dei Gonzaga ai tempi d'Isabella d'Este. — Pioma, 1891; nella Nuova Antologia. Il probabile falsificatore della « Quaestio de aqua et terra ». — Torino,Vè^2; nel Giornale storico della letteratura italiana, voi. XX. Niccolò da Correggio. — Torino, 1893; nel Giornale storico della letteratura italiana, voi. XXI e XXII (1) Contributo alla storia del malfrancese ne' costumi e nella let- teratura italiana del sec. XVI. — Torino, Ì885; nel Giornale sto- rico della letteratura italiana, voi. V. (2) Isabella d'Este Gonzaga marchioness of Mantua and her artistic and literary relations; nella rivista Italia, a monthly magazine, an. f, maggio e giugno J888. — XIII — A questi si afigiungano alcuni contrihuti, che servono a lumeggiare gli antefatti, vale a dire Vamhiente mantovano die preparò quello in cui la nobilissima Estense ebbe ad esplicare le sue doti straordinarie', Il Platina e i Gonzaga. — Torino, 1889; nel Giornale sto- rico della letteratura italiana, voi. XIII. Del Bellincioni. — Milano, 1889; «e/?' Archivio storico lombardo, voi. XVI. I Filelfo e l'umanesimo alla Corte dei Gonzaga. — Torino, 1890; nel Giornale storico della letteratura italiana, voi. XTI{\). Ecco ([uanfo sinora facemmo, ed è ben poco al confronto dei bellissimi temi die ancora ci restano da svol- gere e che svolgeremo, se con le forze non ci verrà meno il favore del pidjblico studioso. Invodiiamo solo che ci si lasci il tempo necessario, perchè a lavori siffatti fa di mestieri molta calma riflessiva, e perdiè entrambi noi abbiamo troppe e troppo gravi occupazioni d'altro ge- nere per poter attendere con la dovuta continuità e di- ligenza a queste ricerche ed esposizioni. Si può quasi dire che ad esse siamo costretti a consacrare solo i rifagli del nostro tempo, e die in esse troviamo il nostro migliore svago. lìHese ed apprezzate le nostre ragioni, non ci si accusi, adunque, di dispersione soverchia del materiale (1) Inoltre del Luzio solo: Cinque lettere di Vittorino da Feltre, «eZrArchivio Veneto, voi. XXXVI, par. II, 1888; del Renier solo: II primo tipografo mantovano, Torino, Boìia, 1890, per nozze Cipolla-Vitfone. — XIY erudito. Verrà, verrà la sintesi tm giorno, dopo tanta analisi, e allora, con la coscienza di non aver defraudato gii studiosi di tante ghiottissime e vivacissime testimonianze d'uno dei xjeriodi storici più gloriosi che vanti Vltalia, potremo raccogliere in un volume solo, di mole discreta, i risidtati di tutti i lavori speciali, e rinviando ad essi per la giustificazione documentata delie opinioni nostre, ammannire finalmente quella definitiva biografia della Marcliesa di Mantova, che molti desiderano e noi vagheggiamo come Vadempimento d'uno dei nostri voti più cari. Il volume presente è, frattanto, un contributo nuovo, più esteso di quanti finora ne offrimmo; e sia per le relazioni che esso chiarisce fra due delle Corti più co- spicue del Rinascimento italiano e fra le due principesse che ne furono il maggiore ornamento, sia per le copiose notizie particolari che arreca alla storia civile ed a quella delle lettere e delle arti, nutriamo fiducia sia accolto con lieto viso dai cultori delie discipline storiche e letterarie. Chiudendo con questa speranza il nostro avvertimento proemiale, non vogliamo trascurare di esprimere i ringraziamenti piti vivi al conte Luigi Alberto Gandini, che aderendo subito, con la gentilezza de' pari suoi, al desiderio nostro, ornò questo volume con un nuovo saggio della sua dottrina in fatto a storia del co- stume. Bingraziamo anche Von. Boux, che accondiscendendo a farsi editore del libro, volle decorarlo dei tre ritratti di Isabella e delle due Duchesse d' Urbino, Elisabetta e Leonora. La Marchesa di Mantova è riprodotta secondo l'incisione che il Bubens fece del ritratto di XV lei, dovuto al pcnìicllo di Tiziano, che si conserva in Vienna (1) ; Elisabetta giusta il ritratto di scuola ve- ronese che è nella rjalleria degli Uffizi (2): Leonora di sidla magnifica tela tizianesca, che, pure agli Uffzi, è una delle gemme della sala veneziana (S). (1) Vedasi Cavalcaselle e Crowe, Tiziano, /, 360-61. (2) Cfr. in questo voi. p. 27i n. Il ritratto nostro è il medesimo che comparve già «eZrArchivio Storico dell'Arte. Siamo molto grati all' illustre Domenico Gnoli, direttore di esso Archivio, che ce ne concesse cortesemente la riproduzione. (3) Cfr. in questo voi. p. 165 n. Chi non rammenta la eletta, e arguta, e vivace comitiva del Cortegiano? In quella serie impareggiabile di dialoghi, che si fingono tenuti alla Corte d'Urbino nella primavera del 1507, ci compaiono d'innanzi a discutere piacevolmente gentiluomini illustri per nascita e per azioni, quali OttaAàano Fregoso e Federico suo fratello, nati da una sorella del duca Guidubaldo, Cesare Gonzaga, Gaspare Pallavicino, Ludovico Pio; destri diplomatici come Ludovico di Canossa; grandi signori come il magnifico Giuliano de' Medie], che vi espone le-virlù necessarie alla donna di palazzo ; poeti e uomini di lettere come il Calmeta, l'Unico Aretino, Bernardo Dovizi, che vi tratta delle facezie e delle burle, Pietro Bembo, che vi svolge la teoria dell'amore; ar^ tisti cojne Gian Cristoforo Romano; ed altri ed altri, che direttamente figurano o s'intravvedono, fra cui non manca neppure il buffone di corte fra Serafino. In quella nobile gara di " formar con parole un perfetto cortegiano ^ quando, per necessità de' tempi, presso le Corti solevansi svolgere le più elette qualità dello spirito, venne a porgere il conte Baldassarre Castiglione quasi un ritratto di sé medesimo, 1 — Li'zio e Kenier. o che delle virtù richieste alla perfetta cortegiania possedeva di fatto g-rau parte ('); ma non è men vero per questo che idealizzando la società urbinate, egii pure intendeva ri- trarre dalla realtà e rievocare uomini e tempi il cui ricordo gli empiva l'animo di scave mestizia. La comitiva urbinate fu, in un certo tempo, quale il Castiglione ce la ritrasse, onde non v'ha esagerazione quando egii scrive che « d'ogni sorta '^ uomini piacevoli, e li più eccellenti in ogni facoltà che " in Italia si trovassino, vi concorrevano ». Due gentildonne eccelse presiedevano a quei ritrovi e \ì portavano runa_ la perspicace festività e la dialettica fine e suggestiva del- l'ingegno femminile squisitamente educato, l'altra la temperanza modesta e severa, la dignità cortese e buona, l'in- telligenza soda della matrona provata dalla sventura. Ognuno ravvisa Emilia Pia Montefeltro, che de' ragionari del Cortegìano tiene la direzione, e la duchessa Elisabetta Gonzaga, moglie di Guidubaldo Montefeltro. Tessendo qui su documenti copiosi (*) la storia dei rapporti politici e famigliari che Elisabetta ebbe con la co- gnata, Isabella di Mantova, noi avremo spesse volte occasione di parlare di Emilia Pia e di molti altri personaggi che nel Cortegiano figurano, e dell'autore medesimo di quel libro prezioso. Ci vedremo passare d'innanzi tempi ed uo- mini svariatissimi, avvenimenti impreveduti e tremendi, (1) Lo dissero i contemporanei, tra cui l' Ariosto {Furioso, xxxvii, 8), e il Castiglione medesimo lo accenna come a voce corsa, in fondo alla dedica del Cortegiano al De Silva, scusandosene con modestia, ma, si direbbe, non senza un certo compiacimento. (2) Tratti, in massima parte, dall'Archivio Gonzaga. Quando non lo siano, lo avvertiamo. In questo lavoro purtroppo la riccliezza grande del materiale ci costringerà spesso a riassumere, o ad jucou- nare soltanto, i documenti di minore importanza. usurpazioni, guerre aperte, maneggi diplomatici, e, presso a tutto ciò, ricevimenti sontuosi, e nozze, e feste, e gazzarre ; quella vita varia ed intensa, quello scomporsi, in- somma, e ricomporsi di cose, come in un caleidoscopio, che caratterizza la seconda metà del xv secolo e la prima del XVI. In mezzo a tante mutazioni e sciagure, bella è l'amicizia costante di quelle due principesse, così nobili entrambe e così elettamente dotate ; tanto più bella quanto è più rara. Fra tuttequante le gentildonne che Isabella ebbe a trattare famigliarmente, non esclusa la stessa sorella Beatrice, fu senza dubbio la Duchessa d'Urbino colei che meglio si confaceva col suo carattere ed alla quale la legò affetto più sincero e più tenace. iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii I. (14.71-14:89) Elisabetta nacque dal marchese Federico Gonzaga e da Margherita di Baviera il 9 febbraio 1471 (*). Una sorella (^) e due fratelli legittimi (^) erano nati innanzi a lei ; Maddalena e Giovanni vennero al mondo più tardi (*). Dieci anni dopo noi possiamo assistere alle occupazioni fanciullesche delle bimbe, per una graziosa letterina mandata al Marchese da Violante de' Preti, che le aveva in cura. Iiime Princ. et Ex"i® D"^ ecc. V. Ex. intenderà per questa mia come queste IIW^ jyje g^e fi- liole sono sane et di bona voglia et sono molto obediente, ita che veramente io ne ho un optimo concepto et singulare piacere e (1) Nessuno storico indica precisamente quando nascesse. L'Ugolini, Storia d'Urbino, ii, 58, la dice nel I486" poco più che trilustre ». Ciò corrisponde alla data sovraccennata , che dei'iva da una let- tera della marchesa Barbara, annunciante la nascita di una putta. \JnWix2i putta nacque il 10 luglio 1472. Crediamo fosse Maddalena. (2) Chiara, che nacque il 1° luglio 1464. L'Ugolini, nel luogo ci- tato, farebbe anche Maddalena più vecchia di Elisabetta, ma noi crediamo s'inganni. Elisabetta andò prima a marito, e si sa che nei matrimoni d'allora l'età, non la scelta, aveva la massima importanza. (3) Francesco, primogenito, destinato a succedere nel dominio, era nato nel 1466; Sigismondo nel 1469. (4) Nel 1472 l'una, come dicemmo, nel 1474 l'altro. — 6 — stano solicite a l'imparare le littere et etiam al lavorare, e se lassano governare cum bona facilità e volontieri quando se volano dar piacere elle montano suso el cavalletto suo. l'una in sella e l'altra in gropa e se ne andemo a solazo per la possessione; sempre però cum persone dredo al cavallo chi li teneno. e pò nuy dredo cum la careta. Esse ne pillano rao' tanto piacer de questo cavalino che non se poria dire, ni V. Ex. li potea dar cosa più grata a loro. Spero, 111'»° S., che mediante la gratia di Dio le cose ogni zorno succederano in meglio, ita che la Ex. V. remanera satisfatta, a la cui gratia continue me recomando. Porti mi augusti 1481. Devota servitrix Violante de Pketis (')• Chi fossero i precettori die insegnarono ìettere ad Eli- sabetta e alle sorelle non è dato asserire con precisione. Forse esse erano troppo piccine perchè di loro si occupasse Mario Filelfo, che insegnò ai figli del Marchese dal 1478 airSO (*). Oltre a Cristoforo de' Franchi, di cui parleremo in seguito, ne ebbe invece cura il maestro che successe immediatamente a Mario, quel veronese Colombino, che ha le- (1) Frequenti sono le notizie, date da Violante, delle piccole Eli- sabetta e Maddalena; ma di non molto interesse per noi. Rileviamo solo quanto essa scriveva il 23 febbraio 1483: « Heri ad bora del « disnare zonse qua il M<=^ Lorenzo di Medici et a la venuta sua u mi fece intendere per Lorenzo balarino {il Lavagnolo), che volea " visitar le III™® D"" mie... Le quali si li venneno contra fin fora w de l'usso de la sua camera et lo conduseno dentro et lo fecero « seder in mezo et stato cusi per un poco, el p''" Lo. gli disse che " V. Ex. havca una bella richezza de fioli et poi se tolse licontia... » Il Magnifico era venuto allora nell'Italia superiore per il congresso degli alleati a Cremona, contro i Veneziani. Cfr. Reumokt, Lorenzo de Medici, Leipzig, 1883, ii, 189. i2) Su ciò vedi i documenti da noi prodotti nel lavoro / Filelfo e Vumanismo alla Corte dei Gonzaga, nel Giorn. storico della lettera- tura italiana, xvi, 195-207. gato il suo nome all'edizione mantovana (1472) di Dante (*). Dell'agosto 14S2 s'incontrano parecchie lettere di Colombino intorno ad una grave malattia di Elisabetta, alla quale sembra fosse molto affezionato. Del resto Federico, che nel breve suo dominio ebbe a trovarsi in dure strettezze, non ebbe agio di curarsi troppo dell'istruzione dei figli e na- turalmente, per questa parte, i maschi gli stavano più a cuore delle femmine (*). Vivissima tenerezza le tre sorelle portavano al primogenito Francesco. A provarlo, non vogliamo trascurare una lettera veramente affettuosa, che tutte tre gli diressero alla fine del 14SG. In quel tempo Francesco, succeduto diciot- tenne al padre nel 1484, era spesso lontano da Mantova, per affari politici, o per caccia, o per viaggi. jllme Princ. et Ex'"<^ D, D. frater obs"»», Per dar qualche piacere ad V. Ex. tra nu}' sorelle cum altre zentildonne havemo ordinato fare una bellissima festa, a la ve- nuta di quella, la qual nuy speravemo senza alcuno dubio dovere bavere et godere a questa solenne festa di Natale. Unde inten- dendo nuv la speranza nostra essere senza il suo effetto se tro- viamo molto sconsolate e di mala voglia che essa Y. prelibata Ex. fra tanto tempo non sia da nuy vista, senza la quale ad nuv non pare potere ha ver alcun piacer ni gaudio che prode ce faci, et ad nuy veramente pare che già mille anni siano che non habiamo veduto quella. Unde nuy ex corde divotamente gli supplicamo et per ofuel dolce et fraterno amor ne porta la preghiamo se voglia dignare de venirce ad consolare tutte a l'anno novo et pi- (1) / Filelfo, in Giorn., xvi, 209-10. (•2i Molto siguificaute è a questo riguardo la lettera del Marchese a Battista Guarino, del 15 maggio 1483, da noi stampata nel citato Giorn., XVI. 21.3. Mare lo apparecchiato piacer gli daremo della festa nostra, la qual certo gli piacerà et ad 11113^ farà gratia singularissima. Et alla sua bona gratia continue ce recomandiamo. Mant. XXII decembr. 1486. Sorores et serve Clara j Helisabet et ,f GomxGK ,, Marchionisse Magdalena ) E avevano infatti ben ragione le buone sorelle di desi- derare la presenza di Francesco, giacché Chiara, sposata ormai da cinque anni a Gilberto di Borbone, duca di Montpensier(*), doveva essere a Mantova solo per breve tempo, e Maddalena ed Elisabetta eransi promesse in quel medesimo anno (1486) l'una con Giovanni Sforza, signore di Pesaro, l'altra con Guidubaldo di Montefeltro, duca d'Urbino ("). Guidubaldo era in quella occasione venuto incognito a Mantova per vedervi la sposa allora inferma (^). (1) Volta, Storia di Mantova, n, 200. (2) Volta, op. cit., 11, 224; Ugolini, Storia dei conti e duchi d'Urbino, li, 58. Il contratto per Elisabetta fu stipulato tra il marchese Francesco ed il dott. Pietro Ballanti da Siena, procuratore di Guidubaldo, il 29 agosto 1486, ed alla sposa fu assegnata una dote di ventisette mila ducati (vedi nell'Arch. Gonz. Contratti nuziali, D. ili, 23); il contratto per Maddalena fu firmato il 9 settembre. Guidubaldo contava, press'a poco, gli anni della sua fidanzata, essendo nato il 24 genn. 1472 (Ugolini, i, 499). Aveva poco più d'un anno quando suo padre Fedeiùco lo fidanzò con Lucrezia figliuola di Fer- dinando d'Aragona; ma i tristi casi sopravvenuti agli Aragonesi resero impossibile questo matrimonio. Cfr. Ugolini, ii, 42-43; anche Baldi, Della vita e de fatti di Guidohaldo I da iWbnfe/eZ^ro, Milano, 1821, I, 92-94. (3) Pare non leggermente, se si tien conto di ciò che ne scriveva al Marchese (il 26 agosto '86) Silvestro Calandra, quel fedele castel- lano di Mantova, che Elisabetta ricorderà cosi sposso, con tanto affetto, nelle sue lettere, come il l)uon mentore della sua fanciul- — 9 — Il caso di parentado concluso tra i Gonzaga ed i Montefeltro non era nuovo. Dacché nella Giocosa diretta da Vittorino da Feltro erasi educato il forte e nobile spirito di Federico Montefeltro e lo stesso primo Marchese di Mantova, Gianfrancesco, lo aveva iniziato all'arte militare (*), le simpatie tra le due Case naturalmente aumentarono. Uno dei figli di Gianfrancesco , Alessandro , sposò una Montefeltro, e una sorella di Alessandro, Cecilia, doveva impalmare Oddantonio, duca d' Urbino (^). Molti anni appresso (nel 1481) il marchese Federico Gonzaga, volendo ingrandire la sua residenza nel castello di Mantova, si ri- volgeva ad un suo famigliare, Matteo da Volterra, passato al servigio dei Montefeltro, acciò gli mandasse un disegno del palazzo celeberrimo d'Urbino, che il duca Federico aveva fatto edificare, contribuendovi col consiglio, dall'architetto lezza. Nella lettera del Calaudra leggiamo : <; Hozi lo ili""" S. Duca " ha voluto vedere la spalerà et doppo disnare montò in barca per " andare un poco a solazo per il laco, dove stette però poco spacio, « perchè l'aqua li facea male per non gli essere consueto, et smontò " al porto de Corte per andare a vedere li Trionphi di Cesare che « dipinze il Mantegna, li quali molto li piaqueno, poi se ne venne « per la via coperta in castello... » Il mirabile ciclo del Mantegna, che oggi si trova, lacrimevolmente danneggiato, nel castello di Hampton-Court, gli era stato commesso dal march. Francesco ed egli vi lavorò dal 1485 al 1488; poi lo interruppe per recarsi a Roma. Cfr. Crowe-Cavalcaselle, GescJi. der ital. Malerei, trad. Jordan, V, II, 419-20. (1) Vedi Baldi, Vita e fatti di Federigo di Montefeltro^ Roma, 1824, I, *14; RoSMixi, Vittorino da Feltre, Milano, 1845, p. 221, ed anche Ugolini, op. cit., i, 302. (2) Buon per lei che il matrimonio sfumasse, però che Oddantonio era un gran cattivo soggetto, e pei suoi turpi vizi mori pugnalato nel 1444. Cfr. Baldi, Federigo, i, 189 segg., e Ugolini, i, 277 segg. nonché Giorn. star., xvi, 125. Rispetto alla moglie di Alessandro Gonzaga vedi Ugolini, ii, 26-27. 10 — Luciano di Laurana (*). Lo stesso Duca, saputo ciò, volle che il piano venisse eseguito con ogni cura e v'aggiunse {l^ Intoi'no aU'edificazioiie del palazzo Urbinate Giovanni Santi, nel lib. XIV, cap. 5G della sua cronaca in rima ebbe a dire: E l'arcliitetto, a tutti gli altri sopra fu Lutian Lauranna, huomo excellente, che por nome vive, benché morte il cuopra. Qual cum l'ingegno altissimo e possente guidava Vojìra col parer del coìite. che a ciò el parere havea alto e lucente quanto altro signor mai, e le voglie pronte. Onde bene a ragione il MrXTZ scrisse che quell'edificio ^ peut « étre considéré comme le produit de la collaboration de Frédéric « et de l'architecte dalmate Luciano de Laurana ". La Renaissance à Vépoque de Charles Vili, Paris, 1885, p. 358. Sulle cognizioni ar- chitettoniche di Federico e sulle sue relazioni con l'Alberti, che forse intese dedicargli i suoi libri dell'architettura, vedi Baldi, Federico, ili, 55-50 e Mancini. L. B. Alberti, pp. 520-24. Che il Laurana sia stato l'architetto principale, ed altri, tra cui Baccio Pontelli , lavorassero solo sotto la direzione di lui, è ora ammesso generalmente , per l' attestazione sincrona del Santi , accolta dal Baldi, e pel diploma edito dal Gaye, Carteggio, i, 214. Cfr. su di ciò Ugolini, op. cit., i, 442-45-, Passavant, Baffaello d'Urbino, trad. it., I, 279 segg. ; gli annotatori al Vasari, ed. G. Milanesi, ii, 385, n. 2, 654, 661 e iii, 70, n. 4. La fabbrica costò dugento mila ducati, ed era fornita splendidamente: oltre la celebre libreria, v'ab- bondavano le credenze ricchissime, i paramenti di seta e d'oro, gli arazzi, tra cui famosi quelli rappresentanti la storia di Troia, le arniatui'e dorate, le argenterie, che costarono ben quaranta mila ducati (cfr. CoLUCCi, Antichità Picene, xxi, 76). Uno scrittore antico, il Mercatelli, dice che vi erano 250 stanze, con 40 camini e 660 usci e finestre. Sarà un po' troppo, ma di esagerazioni simili non v'è da .«tupire, perchè di tutti gli edifici rinomati occorre sentirne altrettali. Più tardi Michele de Montaigne raccoglieva in Urbino una notizia ancora più sbalorditola: " ils disent qu'il y a autant de membres " que de jours dans lan », ma a lui che d'arte non s'intendeva punto sembrò che quel " bastiment » non avesse « rien de fort " agreable ny dedans ny autour ». Giornale del viaggio di M. de Montaigne, ed. D'Ancona, Città di Castello, 1889, p. 373. Basta invece averlo veduto anche oggi, malamente ridotto com'è dal tempo e dal- - 11 - (lei suggerimenti, che potevano riuscir utili al suo giovane amico mantovano {*). In quel palazzo urbinate, già famoso l'incuria degli uomini, per non dimenticarlo più. I contemporanei n' erano ammiratissimi. Vedi ciò che ne dicono il Porcellio nella Feltria ed il rozzo verseggiatore Antonio Mercatelli detto Temperanza nel suo poema in ottave, entrambi riferiti dallo Schmarsow, Melozzo da Forlì, Berlin u. Stuttgart, 1886, pp. 75-76 e 353-56 ; vedi le lodi di Griovanni Santi (Passavant, Baffaello, i, 307 segg.); vedi i versi latini di Sulpizio Verulano, editi recentemente da B. Pecci, Contributo per la storia degli umanisti nel Lazio, Roma 1891, pp. 13-14; vedi, se non contemporaneo di poco posteriore, l'elogio del Castiglione, Cortegiano, ed. Salvadori, Firenze, 1884, pp. 14-15. Per la descrizione del palazzo è pur sempre da tener presente quella di Bern. Baldi, pubblicata parecchie volte. Alle edizioni che ne rammentammo nel Giorn. star., xvi, 155, n. 4 ne va aggiunta una, assai poco nota, nelle annate v e vi (1873-74) del periodico urbinate II Raffaello. Noi, quando avremo bisogno di citare quella descrizione, ci riferiremo alla edizione oggi più accessibile, che è in fondo al Cortegiano ri- dotto per le scuole dal Rigutini, Firenze, 1889. Al Baldi s'attenne rUooLixi, I, 445 ^egg. e poi quasi tutti. Un'opera speciale magnifica comparve in Germania, quella dell'ARìsOLD, Der herzogl. Palast von Urbino, Leipzig, 1856-57; bella e minuta descrizione offre con tecnica competenza lo Schmarsow, Melozzo, pp. 72 segg. Chi voglia vedere in libri facili a trovarsi l'aspetto odierno del palazzo, confronti C. Marcolini, Notizie storiche della provincia di Pesaro e Urbino, 2» edizione., Pesaro, 1883, pp. 17, 169, 177 e Muntz, Histoire de Vart pendant la Renaissance, l, 131. La pianta ed il cortile si vedono in Burckhardt, Geschichte der Renaissance in Italien, Stutgart, 1891, pp. 192-93. A p. 270 è riprodotto uno dei camini. La ornamentazione del palazzo urbinate, come tutti sanno, va annoverata tra le più eleganti che abbia il rinascimento italiano. La grande importanza che ha il Laurana nella storia artistica del nostro rinjfecimento fu, or non è molto, rilevata in modo speciale, da F. V. Reber, nei Sitzungsberichte dell' Accad. di Monaco, an. 1889. Questo scrittore sostiene che il Laurana fu un vero iniziatore del rinaacimeuto classico dell'architettura, e che il Bramante fu sola- mente un suo discepolo. Su di ciò cfr. Semper, neWArch. star, ita- liano, S. v, voi. IX, pp. 413-414. (1) I documenti di ciò furono da noi pul)blicati nel Giorn. sfor., XVI, 155-157. Federico era libéralissimo nel dare il disegno del suo - 12 — in tutta rjftiropa civile, doveva entrare pochi anni dopo una Gonzag;;!, la leggiadra e buona Elisabetta. Ma il matrimonio e la partenza per Urbino non susse- guirono iimnediatamente al contratto ; vi fu anzi tra mezzo un lasso non breve, circa 17 mesi. Di questo tempo abbiamo solo un documento che merita qualche riguardo, la lettera, cioè, con cui Elisabetta e Maddalena pregano il fratello di accordare la consueta provvigione alle loro famìglie. È del 23 novembre 1487. Le due fanciulle fanno pre- sente il bisogno loro a Francesco con molta grazia e gentilezza: « Hora sono cinque mesi, esse dicono, che [/ famigli] « non hano habuto denari et tutti se trovano mal conso- « lati, maxime quelli che sono agravati de familia, et « etiara tutti li altri maschii et femine , li quali hano « bisogno provedersi per lo inverno et non hanno altro modo « che di questa previsione ». Evidentemente sin d'allora le due fidanzate avevano famiglia divisa; in altri termini avevano costituita, come si direbbe oggi, la loro casa. Il 1« febbraio 148S -Elisabetta partì da Mantova ed il 9 giunse ad Urbino. Il giorno 11 febbraio fu celebrato il matrimonio e quindi ebbero luogo sontuose feste. Su tutto ciò le informazioni degli storici sono scarse ed erronee (0, palazzo. Il 18 giugno 1481 Baccio Pontelli lo mandò a Lorenzo il Magnifico, che lo aveva desiderato. Il Pontelli ne chiese licenza al Duca « el quale respuse tanto benignamente che non seria stato u possibile più, ch'io el dovessi fare et mandare a la V. M. et che « voria potere mandarli la casa propria per satisfactione di V. M. " Gave, Carteffyio, I, 274. (1) Il primo a mettere il piede in fallo è il Baldi, Vita di Guidobaldo, I, 100-101, che fa viaggiare insieme le spose, Maddalena ed Elisabetta, in ottobre. Questa contemporaneità del viaggio non è punto vera, e quel che è peggio, è falsa la cronologia. Il RepoSATi, Della zecca di Gubbio, l, 296, dice che il matrimonio di Elisa- — Vò — onde noi siamo lieti di poter fornire a questo proposito un vero tesoro di documenti sconosciuti. La Gronzaga era da un giorno partita da Mantova, quando sentì il bisogno di attestare al fratello il suo affetto sin- cero e il dolore che aveva provato nel distaccarsene. La letterina, stesa dal Capilupo e firmata da lei, è tutta un profumo di gentilezza. 111"»° S. mio fratello, Cum grandissima fatica giongessimo beri a le tre bore de nocte a Eevere per la contrarietà del vento e li trovassimo el S. Antonio cum la mag°* M^ Benedicta et M* Emilia. Siamo montati questa mattina, a le tredici bore, ma fin qua che sono le decesepte bore non siamo un milio longe da Eevere et per Consilio di paro ni siamo affirmati a la ripa per la vebementia del vento che non lo comporta senza gran-"» pericolo. Facemo fare provesione a Eevere per la cena et a Sermide per el desinare domani. A lo ili. S. Octaviano non è parso de ritornare a Eevere per non perdere tempo. La S. V. me bavera per excusata se non gli scrivo de mia mane perchè suni tutta affannata per el dolore et despiacere ho da arbandonare la S. V. che amo tanto teneramente : et se non ch'io spero vedere presto la Ex. V. non poteria per alcun modo acquietarmi ricordandomi quanto era dolce la presentia sua, che per la bona natura et amore suo verso me me dava summa consolatione. Prego Dio me presti bona pacientia che 'l dolore è grande : et V. S. per alleviamento dell'affanno se dignerà farmi scrivere spesso finche me sia concesso vedere la Ex. V., che cussi farò io et tenirola avvisata di progressi del viagio nostro. Eaccomandoli, benché non bisogna, la nostra cordialissima sorella che betta fu concluso alla fine del 1488 ed effettuato nell'autunno del 1489 e che nel tempo stesso avvennero le nozze di Giovanni Sforza. Senza determinare il mese, ma nel 1489, pone le doppie nozze I'Ugolini, op. cit., II, 62; il Dexxjstoux, Memoirs ofthe Dukes of Urbino, i, 297, le fa seguire nell'ottobre del 1480. — Illa gli faci bona compagnia, aciò de quella pigiij apiacere et conforto doppo ch'io non gli sono atipresso et raccomandonii alla Ex. V. sempre. Ex Bucintoro prope Keverum ii februarij 1488. Quella sorella che ve ama quanto se medesima IsABET DE Gonzaga de man propria. Da questa lettera appare che la sorella Maddalena era rimasta a Mantova. Benedetto Capilupo, che con Silvestro Calandra (il castellano) faceva parte della comitiva di Eli- sabetta, non mancava di partecipare giornalmente al Marchese i progressi del viaggio ed il vario succedersi degli avvenimenti nei primi tempi della dimora in Urbino. La sua corrispondenza ce lo mostra già fin d'allora un infor- matore prezioso (^). Come vedemmo, un gruppo di Urbinati -fìra venuto incontro alla sposa sino a Kevere: fra questi Emilia Pia col marito Antonio, figlio naturale di Federico d'Urbino. Ottaviano Ubaldini della Carda, tutore di Guidubaldo, erasi spinto forse sino a Mantova e dirigeva il viaggio. Oltre le molte lettere speciali che il Capilupo continuamente spediva a Mantova, ve n'è una generale, diretta a Maddalena Gonzaga nella quale, a confortarla del penoso distacco dalla sorella, il buon segretario le narra tutto il (1) I Gonzaga ebbero sempre nel Capilupo uno dei cortigiani più fidi ed uno dei negoziatori più accorti. T cultori di storia mantovana rammenteranno il decreto onorifico con cui nel 1498 veniva compensato della destrezza spiegata nelle difficili trattative col Moro. Vedasi il nostro lavoro Delle relaz. d'Isabella d'Este con Ltidovico e Beatrice Sforza, Milano, IHOO, estr. daìVArchivio, stor. lomb., p. 144. Prove novelle delle nobili doti di Benedetto offrirà il lavoro presente. Pei dati storici della vita di lui si confronti A. Baschet, Aldo Manuzio, Venezia, 1867, p. 22 n. — 15 — viaggio, tocca dell'arrivo e della cerimonia nuziale, descrive le feste che allora si fecero. Il ghiotto documento va ri- ferito nella sua integrità : IIW* ecc., Benché a pezo a pezo per diverse lettere bavera inteso la S. V. tutto el progresso del viazo nostro, el giongere qui, et le feste fatte per honorare la lll'^^* M^ vostra sorella et comitiva sua, non- dimeno per satisfare al desiderio de la S. V. che con tanta in- stantia me pregò ad rendergli conto de omni cosa m'è parso in questa sola lettera inserire tutto quello che dal di de la partita nostra di là fin al presente sia accaduto digno de aviso; et se per poca advertentia non toccassi omni ponto, me rimetto al scri- vere de li altri, et se a qualchuno paresse superfluo replicare quello che è sta scripto, io judico che a la signoria vostra sarà gratissimo, perchè come se dice sepius repetita placchunt, né a me sarà stato grave per amore suo la fatica del scrivere, anci per reverentia de la S. V. la reputo reposo et piacere singuhire. Partessemo adonche, comò scià la S. V., da Mantoa el venerdì, a dì 1° de l'instante, circa le xvi hore e per el vento tanto contrario erano xxiii hore quando arivassimo a Governolo, dove smontati de bucintoro, per la chiusa vennero incontro alla sposa molte damiselle del castello et borgo acopiate, con una cistella de fugazine in una mano, et con una ingrestara (') de vino in l'altra, che pareano apunto la temperantia et con limate et pulite parole le presentorno a la S. Sua con li piti degni inchini et cortesie grave che vedessi mai. Eemontati in bucintoro cum questa vituaria non giongessimo a Eevere prima de le tre hore dì notte et cum gran fatica per la crudeltà di borea : et lì trovassemo el S»' Antomó cum la M'='* consorte sua [Emilia]. La matina se- guente partessimo, auclita missa, a le xiii hore, ma per bavere anchora rafforzato le forze sue l'empio nimico del viagio nostro non potessemo giongere a Ferrara quello zorno né la notte et ne fu forza buttare l'anchora a Vigarano et dormire in bucintoro, (1) Voce dialettale oggi fuor d'uso. Vale piccola anfora. - 16 — M* Duchessa con tutte le zentildonne in lo corpo d'esso et lo ill.">° S. Octaviano, el castellano, mi et alcuni altri in la cameretta, dove vestiti facessimo penitentia de peccati nostri et per raagiore contritione cenassimo solamente pane et formazo: ma de questo disconzo non se possemo dolere de alcuno, perchè uno saputo nochiere ferarese mandatone incontro per lo ili"»» S'' Duca con la ganzara se offeriva condurne a salvamento et con parlare alegro dicea a lo S"" Octaviano : messer bello, non dubitate che ve condurò liberamente, et se fusti ve ben in l'aqua fin a la gola, senza vostro pericolo ve reduria in porto securo; et con alcuni saltetti per el bucintoro facea festa d'esserse ben reffìciato a una osteria lì appresso, mentre che 'l ne aspettava. Non volessemo con la fatica del navigare per quella notte privarlo de tanta alle- greza et differissimo sino la matina a vedere la prodeza sua che fu grande perchè ce mise a le xv bore a Ferara . . . ('). (1) Tralasciamo il ricevimento di Ferrara e la ci'esima di Elisa- betta colà, perchè su questo punto meglio ci soccorre una lettera che il Capilupo stesso, infaticabile, scrisse al Marchese in nome di Elisabetta: 111."'" S. mio fratello , Havessimo el sabato el vento tanto contrario che non potessimo giongere a Ferrara ma restassimo per quella nocte in bucintoro sopra ad Vigarano un milio. Hei'i mattina giongessimo a le 15 bore cum la ganzara che ce havea mandato la nocte lo ill.""^ S. Duca incontro et trovassimo al porto Sua Ex. che arrivava alhora, la quale accompagnò in corte lo 111. S. Octaviano et io a le camere nostre che fui'ono quelle in capo de la sala grande, apj^arate solennemente et cum gran*"" or- dine, che più non se ne potoria dire. El dreto disnare andai io a la camera de l'Ili. °"' S. Duca, dove stati un poco tornassimo de compagnia verso al logiamento mio et incontrassimo in sala la 111.'"» M" Duchessa cum la III'"' M" Marchemna et tutti li altri ili. figlioli, che veniva per trovarci: factoli la debita reverentia et raccommeudatione andassimo in la capella de sotto dove publicamente per satisfare al parere de li Ill."'i S. Duca et S.' Octaviano fui crisemata per mano del R.'"" Patriarcha Aquiliensis vescovo de Ferrara et fratello de S.'" Petro ad %àncula: li III.'"' S. Duca et Madama me tennero. Ritornassimo poi in sala dovo tutto el dì fin a sei bore de nocte se fece festa e lo 111."'» S. Duca fece cavaller un zentilhomo catellano et non c'è mancato cosa al- cuna per farci quelle dimonstratione de amore et honore che sia possibile pensare. A le 24 bore fu portata la colletione de zucharo labo- rato in cita, castelli, nave, animali, ucflli et diverse cose che fu bel- lissimo vedere. Come ho dicto lo 111. S.' Octaviano et io fossimo — 17 — El martedì venessemoad Ravenna con non troppo cativo tempo, et per honorare più M» vostra sorella lo ilW» S'' Octaviano et io fussemo allogiati in la corte del Podestà, che strapioveva tutta ; et io lo seppi, perchè la notte non trovai loco sutto in letto , ma a dire il vero la cortesia de le spese che havessemo e^atisfece a lo manchamento de li allogiamenti, che per gratia de quello Podestà non havessemo suventione pur de uno pignolo et ce ne sono tanti ('). allogiati in corte, lo 111. ni. Zohanne in casa de m. Julio Tassoni, li altri zentilhomini et zentildonne in le case di zentilhomini, che tutti sono stati honorevolmente cum satisfactione comune, excepto che ad ine seria stata senza comperatione più grata la presentia de V. Ex. et de li nostri Mons. fratello et M'' sorella, da li quali quando me vedo separata niuna cosa me dà piacere, perchè la compagnia sua soj^ra tutte l'altre me dava consolatione. Sforzaromi tollerare questa partita cum manco affanno poterò, fin che la S. V. venghi a vedermi come me ha promesso, presto; che se non fusse questa speranza non me poteria acquietare, et cussi la prego voglia satisfare al comune desi- derio. Questa mattina nauti i^artessi, andai a visitare a la camera sua in castello la lll.iii'i M» Duchessa, che non era anchora compita de vestire. La S. S.' l'I insieme cum le 111. figliole me acompagnò in corte a la carretta et lo 111.'"" S. Duca fin al bucintoro nel quale montassimo circa le 17 hore. A le 24 giongessimo ad Arzenta, dove fossimo anche allogiati et tractati honorevolmente. Damattina partiremo a bonhora per essere de di a Ravenna, non sciò mo' se haveremo meglior zornata de hozi che sempre è nevato forte. Altro non me accade digno de aviso, se non che per chiarir V. S. perchè fui crisemata heri. Dico che havendo questi dì inteso el S'' Octa- viano che non era crisemata, a certo proposito S. S''^ lo disse a l'Il- lustr.n^o S. Duca, a li quali parse poi ritrovandose lì el Patriarcha che 'l se dovesse fare per più honore et esser meglio che aspectare ad Urbino, essendoci anche li gudazi honorevoli. Kaccomandome ala Ex. V. Argante, IIII febr. 1488. Soror Helisabet Ducissa Urbini. Rispetto a questa lettera stimiamo soltanto utile avvertire che gudazi è voce dialettale per compari (della cresima). Nella marcJiesana, ^gliuola della duchessa di Ferrara, che insieme con la madre festeggia la novella sposa, tutti riconosceranno Isabella dEste, che fin dal 1480 era fidanzata a Francesco. Essa allora non aveva an- cora compiuto 14 anni. Se non la prima, fu quella una delle prime volte che Elisabetta ed Isabella, le due protagoniste della nostra esposizione storica, si videro e si parlarono. (1) Lo stesso dice Elisabetta, nella sua lettera al fratello, da Ravenna, 5 febbraio. E aggiunge questo arguto particolare: " La 2 — Luzio e Iìf.nier — 18 — Partessemo el mercordi a nostre spese con el più sagurato tempo de noza non vedessi mai, et non fu troppo felice zornata, perchè la Zeiievria Boselieta sinistrandose el ca\allo si dislocò un pede. Arrivassimo al Cesenatico, passato prima el Savio, Bellaere et Aquauiorta, a le xxiiii bore, dove M* Duchessa adimpi el desiderio de allogiare una volta a l'hostaria, ma non senza pentire perchè lì anchora per carestia de allogiamenti facessimo penitentia in lo dormire; nel resto stessemo ben per la provisione che li havea fatto lo ill'^° S' Octaviano. La zobia venessirao a Kiraino et quello S'® ce fece incontro più de duoa milia et ne recevette con bona cera et a tutti ce fece gran lionore de spese e allogiamenti. El venerdì giongessimo nel teritorio, et Madona, lo ili. S'' Octaviano et io allogiassemo in uno castello chiamato Colbordoli pro- pinquo ad Urbino otto milia ; el resto de la comitiva, da le gentildonne in fora che remasino con noi, allogiorno in tri castelli circumstanti a quello uno milio, nominati Talachio, Coldazo, et Montefabrio, dove secondo el paese ognuno stette bene. El sabato che fu a dì nove giongessimo qua circa le xx bore et ce venne incontro più de due milia lo 111°»° S. Duca con doi oratori del Papa, lo ilW" Zohanne vostro consorte ('), el S""® perfetto (^), el filiolo del S"" da Camerino et uno messo del M<=o m. Zohanne Bentivolio con molti castellani e gentilhomini, et intrassemo per la porta del Monte dove erano xiiii scuderi vestiti de seda con li bastoni in mano, che venero a la staffa de Madonna Duchessa, la quale montò lì presso la porta suso el Villano {*). Da essa porta fin al palazo erano coperte otto arzeate de verdura che " Ex. V. scià che la me ha dicto più volto che cascarla da cavallo u ad Urbino: per obedirla ho anticipato el tempo, che hozi essendo u montata a cavallo per venire da la nave a casa, cominciò a trarre " de calci et levarsi de nanti, che me fu forza saltare da cavallo, i. si che senza lesiono alcuna ho adimpito la prophetia de V. S. ». (1) Giovanni Sforza, il fidanzato di Maddalena Gonzaga. (2) Giovanni della Rovere, marito di Giovanna, figliuola di Federico Montefeltro, e padre futuro di Francesco Maria. (3) Probabilmente Venanzio, figliuolo di Giulio Cesare Varano. (4) Nome del cavallo destinatolo per l'ingresso solenne. - 19 - traversavino la via, su le quale se 'l tempo fusse stato bono sariono comparsi putini che con certa vepresentatione haviono cantato versi. Madonna Duchessa andette suso lo cavallo sino al pede de la scala, dove era apparecchiata una tavola col tapeto per di- smontare. Li erano le sorelle del Duca ('), con gran compagnia de gentildonne, le quale la ricevetero con viso jocundo e l'a- compagnorno a la camera sua : per quello zorno essendo tutti strachi non si fece altro. La beleza et ornamento de questo palazo non scriverò perchè pur a bocha non si potria exprimere : dirò solamente come è ador- nata la sala. Da man dritta ne l'intrare è la credenza da capo con li arzenti suoi solamente che non sono podio a numero. Da l'altro è el tribunale ornato di veluto cremesi et certe peze de panno d'oro. Da un canto de la sala , da li capitelli de la volta fino a le banche sono tirate peze de veluto cremexi e verdi in- torno, et sono compartite in quadri con colonne de ligno depinte : et da questo lato stanno le donne. Da l'altro sono baltresche con li scalini, dove stanno li homini a vedere, da le quale fin a li capitelli sono pur peze de veluto verde et alexandrino, tirato fra le coione comò è da l'altro lato. El corpo de la sala rimane netto per ballare. Dal capo de la credenza è fatto uno pozzo C) dove stanno lì piffari et donne che non intervengono in ballo, et da li capitelli poi sino a la volta sono certe feste antiche. Li candeleri per le torze sono congegnati in quelle baltresche in forma de corni de divicia molto gentilmente. El resto de l'ornato non lo so scrivere. La dominica si dovea fare el pasto, ma per non essere venuti (1) Otto si legge essere state le figliuole di Federico e di Battista Sforza, quindi sorelle a Guidubaldo, ma di alcune fra esse (seppure .esistettero) non si sanno neppure i nomi (v. Ugolini, il, 26). Allora, come si rileva dall'elenco dei convitati maggiori al banchetto, clie trovasi in fondo a questa lettera, ve n'erano in Urbino soltanto tre, cioè Isabetta, vedova di Roberto Malatesta, Costanza, moglie di Antonello di Sanseverino principe di Salerno, qui chia- mata la principessa, e Agnesina, ancora nubile, ma che l'anno dopo doveva impalmare Fabrizio Colonna. (2) Poggio; proprio il podium lat. ; ant. frane, pui. - 20 — anche li cariazi nostri, che non si potea mutare de panni, fu differito a lunedì et se ballò solamente nel salotto et le donne ur- binate tocorno la mane alla ili""» M^ Duchessa. Lunidi matina con belissimo ordine si andò a S. Francisco a la messa che cantò l'ambassadore del Papa et auctoritate apof^tolica benedisse li sposi, havendo prima fatto legere el breve al vicario del vescovo, che gli concedea questa facultà de benedirli et dispensarli. Fornita la cerimonia, retornassimo al palazo et a le xx bore a tavola dove stessemo fin passate le cinque. Furono tri pasti inserti in uno solo: et si dette el primo de ocelli et animali domestici, el secondo de pesce dolce et marino, el tei-zo de ocelli et animali salvatici , et d'ogni sorte n'erono buon numero de integri et vestiti. Se andò 25 volte alla cusina (et erono le vivande doppie) e 17 a la credenza. Nauti le vivande vennero otto carri triomphali sopra e' quali erano quelli che secondo le fabule furono de homini conversi in animali et uceUi, che cum ellegantissimi verei vulgari et latini faceano noto la conditione sua. Et gli intervene anche altre representatione et gentileze che saria longo narare: le quale meglio vederete per la lista de l'ordine del pasto che portarò con li versi descripti. Per essere consueto in queste parte de fare sescalcho el più attinente et honorevole S" parente del sposo, toccò l'officio a lo 111. S. vostro consorte, che lo fece galantemente. L'asetata (') del tribunale era comò qui desotto vederete descripto , ma notate che 'l S' Perfecto , havendo visto 1' acto do- mastico del S"" Zohanne che fu sescalcho, volse anchor lui dimostrarse de casa et honorare li forestieri. El marte non si fece altro che baiare et lo ili™" S. Duca fece tri suoi gentilhomini cavalieri, et la notte circa le mi bore trette la cirandola che haveano posta nauti la porta de la corte, la quale per pocho spacio che durò fu bella et bene ordinata. El mercori si fece una bellissima representatione de più significati, ne la quale erono meglio de 70, forsi 80 homini vestiti con li spiritelli et in questo numero era Jove con tutti li dei et (1) Ciò»"' il modo com'erano disposti (seduti > i convitati. — 21 - dee celeste finti dai poeti , vestiti secondo la allegoria sua con le insigne in mane. Furno molti che recitorono versi in diverse fictione, fra quali fu Junone et Diana che contesino un pezo con rime ellegantissime qual fusse miglior vita o la matrimoniale o la virginale, et da l'una et l'altra fu alegato eficacissime rasone nanti Jove, el quale poi dette la sententia in favore de Junone, reducendola in honore de questi ilH' s" sposi et la aprobò con molte rasone. tra quale questa fu per l'ultima che se ognuno ser- vasse verginità mancharia la generatione huraana et saria centra la institutione divina : crescite et midtijilicamiui, ecc. et per con- sequens mancharia la virginità, et allegando molti pericoli de la fragilità nostra concluse più secura et laudabile essere la vita matrimoniale ('). Durò questa representatione dalle xxi bore fino a le II de notte per molte altre che in questa sola furono inserte per non perdere tanto tempo, le quale non potria per ordine ex- primere che non me bastarla uno quinterno de carta : ma ho datto con Zohanne de Santo, che r stato l'autore, per bavere il tutto in uno compendio che portare poi a la S. V. ('). (1) Completamente ignota è questa rappresentazione urbinate, per quanto noi sappiamo. Si avverta che il soggetto, ma non la trat- tazione, è identico a quello che fu rappresentato in Bologna per le nozze ili Annibale Bentivoglio con Lucrezia dEste. Vedine la re- lazione data dall'Arienti. che di recente fu messa in luce da Gr. ZaxXOXi, Una rappresentazione allegorica a Bologna nel 1481^ Roma, 1891 ; estr. dai Rendiconti dei Lincei. [2) Questa notizia accresce di gran lunga per noi l'interesse della rappresentazione. Si tratta d' un' opera letteraria del padre di Raffaello, di cui sinora era noto solo il poema in terzine, dedicato a Guidubaldo, che si conserva nel Cod. Vaticano-Ottoboniano 1305 e che fu studiato e riprodotto a frammenti dal Pungìleoni, dal Passavant, dal Dennistoun e dallo Schmarsow. È una disadorna e prolissa, ma*" importante, cronaca in rima, in cui si narrano i fatti del tempo di Federico. Il Passavant {Raffaello, i , 37) suppone che appunto nell'occasione delle nozze di Guidubaldo il Santi ideasse il poema; ma è supposizione gratuita. Egli aggiunge che il Santi lavorò agli archi ed agli apparati eretti pel solenne ingresso di Eli- sabetta, e la notizia passò naturalmente nel Commentario alla vita di Raffaello, che il Malfatti compilò sul Passavant (cfr. Vasari, Fornita la representatione fu portata la colactione de zuccharo lavorato con gran magisterio in diverse cose: cita, castelli, fontane, ocelli, animali, bagni et altre cose che furono in tutto 63 pezi, computati dece arbori fotti al naturale, grandi e coUoriti con li Opere, IV. 31>4). Questo sarà benissimo, purché in (juelle feste non si voglia vedere una rivalità con Pesaro, celebrante le nozze di Maddalena, che non esiste. Le relazioni del Santi coi Gonzaga sono note. A noi sembra che il Campori abbia perfettamente ragione nel supporre due viaggi a Mantova di Giovanni. Tutti sanno con quanta ammirazione nel poema egli parli del Mantegna e delle sue opere mantovane, che lo sbalordirono ì^PaSS.avaxt, l, 316-17; cfr. ScnM.A.RSOW, Giovanni Santi, der Vafer JRaphaels, nella Vierteljdhrsschrift del Geiger, li, 180 e 324-25). Dopo d'allora il Passavant, i, 44, afferma che la maniera del Santi piegò al mantegnesco. Tutti sanno del pari, dopo i docu- menti gouzagheschi pubblicati dal Ca5Ipori {Notizie e documenti per la vita di Giovanni Santi e di Raffaello Santi, Modena, 1870, pp. 4-5; anche in francese nella Gazette des beaux arts , Serie i , voi. vi, p. 353 segg.) che il Santi fu a Mantova nel 1494 e che vi abbozzò il ritratto del vescovo Lodovico. Tornato in Urbino, non potè ter- minare quello di Elisabetta, pur cominciato, poiché a Mantova si era preso le febbri, che finirono con l'ucciderlo il lo agosto 1494. Ora non è supponibile che egli scrivesse in quello stato la rilevante disputa della pittura, nò i capitoli che seguono nel poema; onde convien ammettere che prima del '94 il Santi si fosse recato a Mantova un'altra volta. A dimostrare sempre meglio la continuità della malattia di Giovanni, dopo il ritorno da Mantova, valga (piesto brano che crediamo inedito, d"una lettera di Giovanni Gonzaga al Marchese: ni."" et Ex."" S.' mio fratello, ... Ho parlato cum Zohan de Sancto de li ritracti de V. S. secondo quella mi comise et lui me ha risposto non haverli anchor forniti per non essersi mai rehabuto de la infermità che gli sopi-agionse a Mantova; ma comò el sij un poco restaurato che 'l possi lavorare el non atenderà ad altro fin che 'l non babbi servito la Ex. V. ecc. Urbini xxv aprilis 1494. Fr. et servUor Johannes de Gonzaga cum r." Qui si parla di ritracti, onde sembra che oltre a quello di Monsignore il Santi ne stesse facendo altri, probal)ilment(ì anche uno del Marchese. Che ritraesse Isabella, è indubitato, ma questo di- pinto, di cui la Marchesa era poco soddisfatta, dovette essere ese- guito prima, forse in Urbino, poiché un documento edito dal Luzio {Federico ostaggio, p. 67) mostra come il 13 gennaio 1494 la Gonzaga - 23 - frutti loro, tanto ben lavorati che se li havessi veduti nel campo li haria creduti veri. Dreto questo vennero le confetterie de diversi confetti da manzare, in gran numero. Poi per l'ultima cosa fu portata una nave de ligno grande con trezia dentro, ne la quale erono tri homini che mostravino navigare e con le sesole (') butavino per la sala el confetto per forma che de ninna sorte, da quelli pezi laborati in fuora, non fu reportato niente et quelli furono puoi mandati a donare a le camere de signori et gentilhomini. Concludese da ognuno che a racordo d'homo non fu fatto così bello pasto et colectione corno sono stati questi ; ultra che a le camere cadauno fo trattato habundantissime de carne et zucharo da manzare, del quale fin qui, secondo dice Philippo Andreasio, si è con- sumato 20 milia libre, che lui ha levato la summa et tuttavia se ne spende. Zobia se ballò et uno che bramava d'essere cavalere de la gatta ebe lo grafia, perchè se conzignò una gatta ligata a traverso a un asse suso uno tribunaletto fatto a posta : et con la testa rasa l'amazò non sanza suo danno, perchè fu molto ben da li denti et zanche suoe martirizato (-). Per questa cavalaria fa vestito de novo dal lo mandasse già alla contessa d'Acerra. In quella lettera è attestata la t'ama cbe il Santi aveva come ritrattista dal naturale, e infatti si è ripetutamente asserito che egli ritraesse Guidubaldo giovinetto (cfr. Passavaxt, I, 36; Schmarsow, op. e loc. cit., ii, 344-45). Sia richiamata i?u tutto ciò l'attenzione degli studiosi di storia dellarte, i quali non mancai-ono di dare la debita importanza alle due lettere di Elisabetta Gonzaga del 19 agosto e del 13 ottobre 1494. Cfr. MiiXTZ, ffaphael, Paris, 1881, pp. 12-13; Minghetti, Raffaello, Bologna, 1885, pp. 7-8, e anche nota al Vasaki, iv, 40G. (1) Voce dialettale ancora viva, che vale palette. 2Ì In altra lettera del IT febbraio il Capilupo riparla di questo matto ?), che dalla gatta " fu molto ben scrafignato et tutta la « testa clie l'haveva rasa sanguinava ". Curiosissima davvero, nella sua barbarie, questa cerimonia dei cavalieri della gatta, che è certo da raccostare all'uso guerresco della gatta infilzata sugli spalti d'una città assediata, con grida di provocazione e di scherno agli assalitori. Cfr. Luzio, Fabrizio Maramaldo, Ancona, 1883, pp. 97 segg., nonché Ro.ssi e Crescixi, nel Giornale storico, \, 504 e xvi, 434, ove si troveranno indicati altri scritti in proposito. - 24 - S. Duca et bavera due quatrini la septiniana da ogni botega pei' dui anni, clie saria da circa 3 ducati al mese, essendo cusì stato calculato, et questo gli vene de rasone per li statuti del paese: et non fu el spectaculo suo de minore piacere die siano state le altre representationi. Doppo questo uno altro bomo andò sopra una corda tirata da uno capo a l'altro de la sala, alto quanto puotè andare, et ataccato ad essa bora con le mani, bora con li piedi fece de mirabili atti, che a tutti noi a guardarlo in servitio suo facea paura. Finiti questi gioclii fu portata una colectione de gran numero de vasi cum confectioni diverse et ce n'era ancbe de lavorate in frutti, le quale tutte se dispensò ; et fu fornita la festa per quello zorno. La sera, inanti se partesse de sala, questi ambassatori et castellani donorno a M^. Duchessa cbi anelli, chi bacinelli et chi pezi di seta : et la magior parte tolse licentia et se partirono bieri. Hozi sono partiti lo ili. S. Prefetto e prefettessa, principesse et Madonna de Rimini. Lo ili. S. Zohanne, vostro consorte, partì fin zobia matina, accompagnato fin a la porta da questi M^ì gentilhomini : noi credevamo andar a fare seco el carnevale, de che ce bavea fatto instantia et noi gli bavevamo promesso ; ma questi jllmi gri et madonna Duchessa non hanno voluto darne licentia et è forza stiamo qui. El primo dì de quaresima sanza fallo andarerao a Pesaro et poi per la via de Ravenna et Ferrara veniremo a casa, dove poi dirò a bocca alla S. V. quello che con calamo non ho possuto exprimere, ecc. ('). Urbini, xvi febr. 1488. S°'^ R. Capilupus. Asetata del tribunale de sotto nel quale erono poi due tavole di nostri gentilliomini et gentildonne. ll\ma. gra Duchessa in mezo la tavola. (1) Il Passavant (Raffaello, l, 3(j), fr:iinteiidoiulo il Ualdi {(riii- dobaldo, i, 106), afferma cl)e in (jaella occasione fecero gli Urbinati il giuoco dell'aita. Non è vero, e del resto, la stagione ancor fredda mal si prestava a ciò. Da man dritta li infiascripti : Vescovo de Urbino ambassatore del Papa — 111"'° S'" Zohanne da Gonzaga — 111""' M'^ Prefettessa — 111"»» M* Principessa — M» Emilia del S^' Antonio — S' Giberto de Carpo — 111°»° S"- Prefetto. Da man stancha : M. Marino Merlini ambassatore del Papa — Filiolo del S' da "Camerino — 111. M^ de Rimino, sorella del Duca — 111. M^ Agnesina sua sorella — L'oratore de M. Zo. Bentivolio — M. Galeazzo Sforza da Pesaro — I1H° S. Duca de Urbino — S"^ Ottaviano, in capo de tavola. In que' giorni appunto fu steso lo strumento, nel quale veniva registrato il ricco corredo di Elisabetta. Codesto documento, assai interessante per la storia del costume, i nostri lettori potranno leggerlo neìVAj'ìpendice T ('). Finito il carnevale, la comitiva mantoAana dovette partire da Urbino, e non è a dire come alla giovane Duchessa pesassero quei commiati. La comitiva era numerosa e varia, d'uomini e di donne C^), tra le quali è ragionevole supporre che qualcuna rimanesse in Urbino al servigio della sposa (^). Il personaggio più cospicuo era senza dubbio il fratello minore di Elisabetta, Giovanni Gonzaga ; poi veni- vano il fido Capilupo e Silvestro Calandra . il castellano (1) Con-ederemo quell'atto con le illustrazioni die a nostra richiesta vi fece cortesemente quel coltissimo gentiluomo e specialista in si- mili ricerche, che è il conte L. Alberto Gandini di Modena. (2) Frìi le lettere di Elisabetta al fratello ve n'è una del 6 fe1>- braio '8S, da Ravenna, in cui lo prega di lasciare disponibili colà un bucintoro e due burchi, pel ritorno delle gentildonne del seguito, di cui taluna era incinta. Di queste gentildonne conosciamo solo fxinevra Boschetta, menzionata dal Capilupo nella lunga lettera ri- ferita. (3) Mantovana dovette essere quella Ginevra de" Fanti, di cui vedremo qualche lettera al raai"chese riguardante la Duchessa. 26 amato teneramente dalla Duchessa e del quale ebbe a tessere un magnifico elogio (1).

  (1) Bellissima è, a questo proposito, una lettera, tutta autografa, di Elisabetta al fratello, che va riferita intera, poioliè è anche nuova ed eloquente prova del grande affetto e della reverenza che la Duchessa nutriva verso Francesco.  III.mo S. mio Patre,
 Se questi di non scrito a la Ex. V. de mia mane come era el debbito e desiderio mio me averà per excusata, perchè solamente è proceduto per non me avere sentito tropo bene et perchè sciò che da altri bavera inteso el giongere nostro qui e le feste cb'è sta fate. Non dirò altramente si non in avisarla come non ho preso quello piacere de queste cose che averla fato se gli fusse stato la S. V., et se non sperase de vederla presto non me poterla allegrar; perù la prego volia atendei'mi la promesa, che la ne farà gran piacere a lo ili.""." S' mio consorte et S' Octaviano, quali più volte anno dito che vorìano fuse stata qui la S. V., dove l'aspetamo ogni modo, ritronato sia a Mantua lo ili"" m. .Tov. nostro fratello. Non bisogna ch'io raconti a la S. V. de quanta fede et servitù sia stato el castellano a le bone memorie de li ili""' S. nostro Patre et Madona nostra matre et poi a noi soi fioli, perchè la n'è benissimo informata: ma per la grande obligacione che gli ò specialmente per averme alevata et sex'vita cum tanto amore me pare mio debito re- comandarlo a la S. V. et pregola de core che la voglia per mio amore averlo per recomandato, che una cosa non poterla in questo mondo bavere più grata da la S. V. El S. mio consorte se recomanda, el S' Octaviano et io per mille miara de volte. Urbini, 19 febr. 1488.
La vostra obediente fiola
ISABETA DE GONZAGA de m. p.

V'eran pure Girolamo Stanga, che fungeva da amministratore (2), lo scalco Filippo Andreasi, che ordinò il banchetto nuziale e si fece grande onore (3), secondato dal cuoco Martino (1), senza parlare del basso personale, tra cui Elisabetta ebbe lodi speciali per gii staffieri (2).

  (2) Abbiamo qualche lettera di lui. In una del 14 febbraio '88 accusa ricevuta di 200 ducati e prega d'averne almeno altri 150, indispensabili pel ritorno della comitiva. " Sono accadute de molte " spese che non se hanno potuto evitare per honorc de la S. 'V., " comò poi intenderà par el conto tenuto ".

  (3) A lui accenna, come vedemmo, anche il Capilupo. Il menzionato Girolamo Stanga scrive, in data 12 febbraio, del banchetto nuziale dell'll: " Questo pasto è stato veramente sumptuoso et ben u ordinato, ma intervenendo in riuesto l'honore de V. Ex. non posso « tacere che non gè lo significhi. Tutta questa corte dà lo vanto a PhUippo di Audreasii de essere stato quello che l'ha condotto a •• bon porto et cum tanto ordine ". Il 16 febbraio Elisabetta medesima raccomandava Filippo per certa lite dei suoi fratelli : " La « Ex. V. voglia per mio amore fare libei"a gratia ad essi fratelli, - acciò che se coguosca Y. S. non havermi manco chara qua che l'havea a Mantua, et tanto più essendo questo lo primo piacere - che gli ho richiesto doppo suu fora de casa. Et non se maravigli " V. Ex. se uso questi termini, perchè avendo per bocha de ogniuno « esso Philippe havuto Thonore de questo pasto ch'è stato bellissimo, " me pare meritarla anche magior favore che per essere stata opera « sua, la quale ritorna in laude de la Ex. V. essendo suo sescalco ".

  (1) Anche per esso Elisabetta ha parole d'encomio, in una lettera del 19 febbraio.

  (2) Il 14 febbraio Elisabetta dice che senza quelli staffieri non sarebbe forse giunta salva ad Urbino « per le pessime vie che havemo ritrovate et fiumane periculose, che qualche volta me hanno portata mi e lo cavallo ».

Nelle raccomandazioni ch'ella fa per tutti quei famigliari, grandi e piccini, si scorge la nativa bontà e gentilezza dell'animo suo (3).

  (3) In lettera autografa del 28 febbraio Elisabetta dice che ebbe « gran dispiacere quando se parti m. Jovano. parendomi in tuto abandonata da li mei ». Desiderava vivamente la visita promessa dal Marchese, come già s'è veduto nella lettera riferita del 19 febbraio. La salute della Duchessa, sin d'allora assai malferma, contribuiva a darle malinconia e forse nostalgia. L'aria fine di Urbino non le si confaceva punto, mentre meglio le conferiva quella più bassa di Fossombroue. Di là il Capilupo scriveva il 26 novembre '88; « Ma Duchessa doppo che l'è qua a Fossimbruno è assai ben refatta, per comportarli meglio questo aere che è più temperato ».

 Elisabetta peraltro con le più vive insistenze indusse il Marchese a lasciarle il Capilupo, il quale, di dilazione in dilazione, stette in Urbino sino al dicembre (4), accompagnando sempre la Duchessa, da cui si assentò solo per qualche giorno, in novembre, per eseguire un incarico del Marchese a Roma (1).

  (4) Prima Francesco gli concesse di starvi sino a Pasqua, ma il 9 aprile Elisabetta scriveva di sua mano al fratello : - Benedetto Codelupo me ha fato gran instancia de volere ritornare a Mantua, u dicendo non havere havuto licencia si non per sin a Pasqua, ma io per el gran bisogno che ancora ho qua de lui non l'ho per niente voluto lassar partire, ma prego de core la S. V, sia contenta per mio amore comandarli per una lettera sua che 'l resti qui a servirmi almeno fin che la S. V. vengi qua ». Passati alcuni mesi, Elisabetta chiese che il C. potesse rimanere ancora, e il Marchese con un biglietto, che è nel L. 132 del suo Copialettere, gli ingiungeva infatti: « Nui che desideramo in omne cosa a nui possibile farli cosa grata [alla sorella], volemo che tu resti per tre o quatro mesi et per quello più tempo parerà a sua Ill.ma Sa » (7 luglio '88). Quando in dicembre lo lasciarono finalmente partire, Benedetto fu accompagnato dalle più lusinghiere commendatizie. Raccomandavalo caldamente il duca Guidubaldo (4 dicembre da Fossombrone) per la « fede et diligentia » con che aveva servito la moglie, la quale a sua volta di proprio pugno scriveva al fratello (5 dicembre da Fossombrone): « Per la instantia grande che me ha fato Benedeto Codelupo de retornare a servire la S. V. non ho potuto finalmente negarli la licentia, benché l'habia retenuto più del voler suo, perchè invero, come dissi anche a la Ex. V. quando era qua, me ha tanto ben servita, che sempre sarò obligata a la S. V. che me lo concesse ». Prega il Marchese di favorire un nipote povero di Benedetto, per le benemerenze dello zio.

  (1) L'incarico era di impetrare il cappello cardinalizio pel proto- notario Sigismondo Gonzaga, fratello del Marchese. Per molti anni ancora dovevano durare ((uelle pratiche. Il cardinale Francesco Gonzaga ora morto nel 1183 e la famiglia voleva aver sempre un rap- presentante nel sacro collegio. Cfr. Giorn. stor., xvi, 136.

Di ciò dev'essere soddisfatta anche la curiosità di noi posteri , perchè difficilmente , senza le alìitutlini di accurato relatore, che il Capilupo aveva in altissimo grado, potremmo così minutamente seguire la luna di miele della giovane sposa. Una lettera di Ginevra de' Fanti, che è tutta di pugno del Capilupo, c'informa di ciò che accadde dopo la partenza della comitiva mantovana, e delle cortesie e premure da cui Elisabetta era circondata. l\\mo gr jjiio. Se prima non ho scripto a la Ex. V. non è processo perchè la servitù mia sia punto minore de quello era stato a Mantua, ma perchè seria superfluo replicare tante volte quello che da molte persone a bocha et per lettere sciò che ha inteso circa el venire qua de la mia ill™^ M* Duchessa et de Thonore et feste gli sono sta facte. Hora ch'io credo non habia la S. Y. le relatione cussi spesse non ho voluto diiièrire più, existimando che il scriver mio gli sera gratissimo, quando la considerarà haverlo da una sua Adele serva che non gli scriveria si non la pura verità. Lassando adunque stare li honori et dimonstrationi facte aM* quando erano qua lo ilH° S. Zohanne et quelli mag. zentilho- mini et zentildoune, dirò solamente le cose accadute doppo. Lo 111°»° S. Duca et S. Octaviano per mitigare el dolore che Jiebbe M» Duchessa per la partita de la compagnia, la^ndusseno a Fossimbruno, loco veramente ameno et delectevole per quello piano dove ogni dì se cavalcava et stasava in exercitij. Po' retornati qua continuamente stanno in apiaceri de sonare etballare, et ogni zorno quando è bon tempo montano a cavallo et vanno hora a S*° Donato, hora a S*° Antonio et per la terra ; et spesso fanno de le cene fra loro et la mag=* M^^ Emilia del S^' Antonio, et final- mente non pensano mai in altro si non in fare cosa grata a la pt» M», e la IIW* M'* Agnesina gli fa quella bona compagnia che se la gli fusse sorella. De lo ill™<' S. Duca non poterla scrivere l'amore gli dimostra e le careze e feste che gli fa, et pare non sapia vivere senza lei et ogni dì gli dona qualche zolla, et adesso ha mandato a Fiorenze a farli fare certi altri brocati per veste et ha dicto de volerline fare una de brocato d'oro et raso morello, taliata a scalioni et quelli da un capo a l'altro caricati tutti de perle, che serra una bellissima cosa. Unde, S^ mio, V. S. può vivere contenta de haverla molto ben maretata ; et hanno questi S^^ commesso a tutti li officiali suoi che la obediscano come le persone loro, né gli manca a fare in tutto M* consolata si non una cosa, eh' è la presentia de V. Ex. la quale ogni dì nomina più de cento volte cum tanta carità e tenereza che 'l pare due anni non l'haver ve- — HO — •luta. Et CUSSI fa lo ill">° S. Duca et S"" Octaviano, quali insieme cum M» Duchessa desiderano molto la venuta de V. S. et io la bramo più che la salute de l'anima mia, acciò che la cognosca ch'io dico la verità et perchè gli possa farli reverentia et dimonstrarli che sum quella bona serva e schiava de Y. S., ecc. Urbini, xx martij 1488. Fidelis serva Zenevria de Fanto. Come di nuovo si vede, ardentissimo durava nel cuore della Duchessa il desiderio del fratello. Indugiando egli a venire, lo supplicava che almeno le inviasse il castellano, l'onesto Calandra, che godeva la sua piena confidenza, e che poteva servirle d'intermediario nelle relazioni delicate in fatto d'interessi, per l'assetto della casa, fra lei ed i paranti : « Fin qui — dice in lettera autografa del 23 marzo « al fratello — non sono ancora assetate le cose mie né " de la familia ; parlando liberamente cum la S. V., come « è debito, me pare che 'l seria molto a proposito bavere « una persona fidata che se intromettesse, perchè molte « cose se faria cum un terzo che non starla bene che fa- « cese io, né in questo cognosco el più dextro del castel- « lano, per essere homo che me serveria de core. Però « prego la S. Y., si mai crede farmi piacere, volia subito « mandarlo qua, ecc. » (*). Yerso la metà d'aprile final- mente il bramato castellano venne, recando seco una bella armatura da giostra, dono del Marchese al cognato C). (1) Già il 28 febbraio Guidubaldo aveva sollecitato l'invio del castellano in nome della consorte « a ciò el gli sia aprcsso qualche " persona di cui ella cum più sicureza in questi principii possa " pigliare confidentia in le sue occurrentie «. (2) Ne parla il Calandra stesso nella lettera del 19 aprile, su cui siamo per ritornare, e Guidubaldo ringrazia il 21 aprile. Più tardi Francesco gli regalò un cavallo, di che il Duca ringraziò il l» di- — 31 — Ma certo né il Calandra, ne molto meno la giovane Duchessa avrebbero immaginato in quali bisogne intime il castellano sarebbe stato costretto sin dai primi giorni ad immischiarsi. La consumazione del matrimonio, che soleva essere con tanta cura notata in quel tempo, perchè veniva a rendere indissolubile il legame contratto, non segui immediatamente nel caso nostro alla cerimonia dell' 11 febbraio. Fu Ottaviano Ubaldini che la volle protratta, e forse non andrebbe lontano dal vero chi in ciò ravvisasse la prima causa occasionale di quelle voci maligne sul conto suo che circola- rono e sulle quali ritorneremo. Il Capilupo così informava di questa dilazione il Marchese, il 14 febbraio 1488 : « Ben- ' che io scrivesse a la S, V. che credeva se acompagna- " riano per le parole usate per lo IH'"" S' Octaviano sopra la • dispensa, nondimeno essendosi poi restrecta più la cosa, " la S. S. ha allegato molte resone perchè non se debba « fare adesso, come intenderà poi la Ex. V. da questi mag"' « zentilhomini et se differirà fin a l'octava de Pasqua, come « disse Pierantonio, et anchora sono in dispositione de fare •' la giostra a quel tempo ». Infatti le notizie che dà il medesimo Capilupo il 27 febbraio mostrano che fra i due coniugi intercedeva vivissimo affetto , ed erano F uno al fianco dell' altro continuamente... tranne__la_jiotte : « Lo " ni""" S' Duca per un poco de fredore è stato dui zorni « in lecto et quasi sempre se fece stare apresso M* sua « consorte. Heri se levò et stette tutto el dì seco et ancembre, ed Elisabetta, di sua mano, il 5: " El cavalo che ha mandato " la S. V. 111."^ al S.' mio gli è stato tanto grato che più non se poteria dire, et io ne resto insieme cum lui obligatissima a la « S. V. che si sia dignata mandare el migliore che la havesse in '< stala, che per questo coguosco el grande amore me porta la S. V. ». — 32 - « dorono de compag-nia a cavallo a S'° Antonio qui apresso « fora de la porta. Veramente doppo che se partì la com- « paguia non è mai stato, da la node in fora, una bora « senza lei, et gli fa più careze che 'l non faceva ». Quella castità forzata, unita all'amore per la deliziosa fanciulla diciassettenne, non doveva garbar troppo a Guid Ubaldo, il quale, allorché venne il castellano ,' che con la Duchessa trattava quasi come un padre, gli si mise intorno perchè s'adoperasse a troncare gli indugi molesti. E il Calandra ebbe pietà di quelle impazienze amorose. Ma poiché, come in seguito ancor meglio vedremo, l'Ubaldini era un gran credente nell'astrologia, e non avrebbe mai tollerato che il nipote s'unisse per la prima volta alla moglie se non nel punto astrologico indicato come propizio, l'accorto castel- lano ricorse agli astrologi e fece loro affrettare il termine stabilito. Della comica arrendevolezza di questi... àuguri dà notizia egli stesso al suo signore nella curiosa lettera del 19 aprile già menzionata : « Gionto qua, ritrovai che la « opinione del S. Octaviano et de li hastrologi era che lo « ili"*» S. Duca non se acompagnasse cum M* Duchessa « llu al secondo dì de mazo, et vedendo io el prefato « S. Duca mal volentiera aspectare fin a quello termine, •• aciò che sua S. non se desdignasse, ho facto fare nova « electione de poncto a li hastrologi et abreviare il ter- < mine, qual è stato assignato per questa sera che è sabato « a li xviHi del mese presente, et cussi cum la pace de « Dio se alectarano questa sera, benché creda che assai « gli sera che fare cum la p'" M'* Duchessa et bisogna- « rasse combattere cum S. S... ». E il giorno appresso partecipava : " Come scrissi a la S. V. beri sera la ili™» M"»" v'« Duchessa se acompaqnò cum il S. Duca et lasso conside- - 3B - « rare a lei quanta faticha fosse ad indurla et quanta « arte et industria me bisognò usare prima, che fu uno « inextimabile impazo. Questa matina sta mo' tuta vergo- « gnosa, ne olsa o ardisse guardare homo alcuno in volto ; " non sta anche perhò troppo grama né demessa, ma nel « volto dimonstra certa venusta gratia et honestate , che « credo non se poterla scrivere curn penna. Seria ben con- « tento che la Ex. V. la potesse vedere, che veramente la « extimaria la piìi pudica madonna del mondo corno cer- « tamente se può dire che la sij ». Parole dalle quali traspira, è facile lo scorgerlo, tutta la compiacenza di quell'affezionato cortigiano per le virtù verginali della fanciulla che aveva cresciuta (1).

  (1) Anche Griuevra de' Fanti in data 28 aprile: " Sabato a li 19 " di qnesto lo ili.™" S. Duca se acompagnò con la ill."^* M.* vostra li sorella: circha questo non scrivarò altra particularità per honestà ".

 Possono questi documenti aver lasciato non senza maraviglia il lettore, che per le esplicite quanto autorevoli dichiarazioni sincrone di Pietro Bembo (2), confermate dal Castiglione (1) e ripetute dagli storici urbinati (2), è avvezzo a tener per fermo che Uuidubaldo fosse impotente.

  (2) Le parole del Bembo vanno riferite: « Guidum Ubaldum constat, sive corporis et naturae vitio, seu, quod vulgo creditum est, e artibus magicis ab Octaviauo patruo propter regni cupiditatem impeditum, quarum omnino ille artium experientissimus habebatur, nulla cum foemina coire unquam in tota vita potuisse, numquam fuisse ad rem uxoriam idoneum. Hujus autem imprudens ipse rei adhuc omnino ignarusque cum esset, experimentumque virilitatis ulla cum foemina nondum cepisset, id enim caverat diligentissime patruus, nubit ei haec puella Francisci Gonzagae soror... Uno in lectulo jcubant annos duos, cum ille interea, quid piane posset, experiretur. Itaque tandem cum se frustra periculum facere aniu madvertit, moerens dolensque uxori aperit, putare se magicis impediri quominus virum illi ostendere se se possit: se miserrimum ac porro infelicissimum nuncupat, qui cum spe liberorum careat, tum illi nullam de se voluptatem aflferre possit, quam illa jure conjugii merito expectat Mulier, quae multo ante id, quod erat, rata, nihil apud virum questa unquam fuerat, nullum ulli mortalium verbum ea de re fecerat, tuni illum solata hilari vultu orat, sustiueat feratquc fortiter fortuuae injuriain.... » e qui seguono i ragionamenti fatti dalla Duchessa per consolare il marito e la promessa di essergli sempre fedele e di mantenere gelosamente il segreto. « Utque dicit, etiam facit. Itaque quatuor atque decem amplius annos una vivunt, eum interea non solum populi, sed ipsi etiam eorum familiares intimique sterilitatis culpam ad mulieren) potius traducerent, (juam ad virum: ita ejus piane rei nihil uiupiani rescitum est, neciue nunc (luidem esset, nisi ejus ipse vir, omnia quemadmodum se liabebant, aperuisset eo tempore, cum is a Caesare Borgia domo expulsns ad Gallorum Regem, cuius in manu tunc res erant, implorandi auxilii caussa Mediolanum se contulerat ». Cfr. De Guido Ubaldo Feretrio deqite Elisahetha Gonzagia Urbini Ducibus liber, in Opere del Bembo, Venezia, 1729, iv, 299.

  (1) Cortegiano, p. 337 della eit. ediz. Salvadori. Ivi Cesare Gonzaga dice che la Duchessa visse " quindeci anni in compagnia del « marito come vedoa », e non solo non lo palesò mai, ma non volle in alcun modo uscire di c|uella « viduità ». Al che la Duchessa, presente, modestamente risponde dando altra piega alla conversazione.

  (2) Vedi Baldi, Uuidobaldo, i, 101 e segg. e 127-28 ; Ugolini, op. cit, II, 62 e segg. Di là la notizia passò negli storici generali.

E invero le attestazioni sono di tal natura, a noi sembra, da non ammettere dubbio, e la Duchessa medesima ebbe a confessare la cosa (3).

  (3) SANUDO, Diarii, iv, 508.

Ma non prima del 1502, anno della usurpazione di Cesare Borgia, come del resto accenna il Bembo stesso. Durante quei quattordici anni, l'impotenza del Duca rimase segreta, altrimenti sarebbero stati inconcepibilmente offensivi i distici con cui Dario Tiberti dedicava a Guidubaldo il suo poema De legitimo amore (4).

  (4) Zannoni, De legitimo amore poema di Dario Tiberti i^Cod. Vat. Urb.. 707), Ttoma, ISOl, )>. 70 , n 3; estr. dai Rendiconti dei Lincei.

Nulla d'inverosimile, del resto, che nel 1488 Guidubaldo, sedicenne e tenuto assai rigorosamente (lall'Ubaklini, solo confusamente si accorgesse della propria impotenza o non ci volesse credere. Egli era gracile assai. Il magnanimo padre suo, che s'era sciupato molto in gioventù e durante lo sterile e freddo matrimonio con (xentile Brancaleoni aveva generato più tìgli naturali, lo el)be, cinquantenne, dalla dolce e coltissima, ma esile, figliuola di Costanza Varano, Battista Sforza C). E nonostante l'aspetto fiorente che Federico ha nei ritratti di Fiero della Francesca, Melozzo da Forlì e fra Carnevale, egli non era punto sanissimo ("), pativa di gotta, male che il figliuolo ereditò più acuto (^). L'impotenza, quindi, di (juidubaldo non resta, a parer nostro, infirmata dai docu- (1) Della sua esilità [)uù far fede il inagiiitìco ritratto che le fece Piero della Francesca, e che in molti luoghi si vede riprodotto. Sulla costumatezza e coltura sua non comuni vedasi Arienti, Gynevera, pp. 28S e segg., e il cit. Pecci, Umanisti nel Lazio, pp. 31 e segg. (2) Baldi, Federigo, iii, 2(0. (3) Nel Cortegiano (ed. cit., pjj. 15-16) è detto che Guido infermò di podagra a venfanni, e che il male fece ben presto grandi progressi, " e COSI restò uuo dei più belli e disposti corpi del mondo " deformato e guasto nella sua verde età ". Bello e mite anche di aspetto, come la madre, dovette essere il Duca, se risponde al vero la descrizione del Baldi, Gnidobaldo, ii, 237. Di ritratti suoi, del resto, nulla può con sicurezza aftermarsi. Quello di Raffaello, sepl)ure è mai esistito, giacché il Bembo nella lettera al Bibbiena del 1!) aprile 1516 parla di Giuliano de' Medici e non di Guidubaldo, non si sa ove sia (cfr. Gruyer, Raphael peintre de portraits, Paris, 1881, I, 215-17). Dice il Gruyer che l'unico ritratto certo di lui è il busto 'viv marmo posto sulla sua tomba di S. Bernardino presso Urbino. Ma quello, già menzionato, di Giovanni Santi nella Galleria Colonna non rappresenta sicuramente il Duca? Cfr. Schmarsow, Giov. Santi, in Vierteljahrsschrift cit. il, 344-45. E non hanno la sua effigie le monete che si conoscono di lui? Vedi Reposati, Zecca di Gubbio, I, 392. E non hanno valore le due medaglie sincrone? Vedi Armand. Médaillers- italiens, ili, 180. \^ -sementi maiitovaui ; l)eusì è dimostrato da essi che quell'impoteuza uon portava punto la repulsione per la donna. Abbiamo anzi uno strano documento del 22 aprile 1507 (anteriore d'un anno alla morte immatura del Duca), ove il suo erotismo ci appare più che ordinario. Si tratta di una lettera da Urbino di Alessandro Picenardi, detto del Cardinale, alla Marchesa di Mantova, in cui è scritto : « Io « feci il debito mio con amorevoli salutationi a la Ex'"" Du- « chessa da parte di la Ex. V. quando lei fu ritornata da « S. Maria da Loreto ; la quale ritornò tutta sancta et con « intencione de non impazarsi più con il suo consorte ne « che più il la tocchi pechato (sic). Et veramente, patrona « mia, quasi ch'io dubito che lui el farà per esserli tanto " uso, perchè io so che non hanno mai dormito insieme « dapoi che se partissimo da Venetia et questo è stato per ^ le grande facende occorse per il tempo passato. Il S. Duca « sta al presente assai bene, ma non corre né giocha alla « balla. La Duchessa lo va a visitare ogni di et sto in grande « paura che il Duca non se li metta dreto et che lei non « sia causa di farlo ricadere. Sì che io li dico spesso : guar- '^ datevi patrona quel che fati et a questo modo non usite « mai di travaglio... ". Ci si assicura per esperienza medica che anche queste disposizioni amatorie così pronunciate si possano combinare, sebbene il caso non sia frequente, con l'inabilità alla generazione. Asseriscono gli storici, che a distrarre la giovane e sfor- tunata sposa, Gruidubaldo ordinasse caccie, feste e spettacoh nel che lo secondavano i popoli a lui soggetti (*). Può dar.^i che codesti scrittori abbiano voluto vedere troppo addentro nelle intenzioni del Duca, giacché quelle feste (1) Baldi, Guidobaldo, ii, 104-6 e Ugolini, ii, 04. — 37 — facilmente si spiegano con la presentazione della sposa che il Duca faceva, secondo le consuetudini, nelle città minori del suo dominio. Questa almeno è l'impressione che noi ricaviamo dai documenti. Ancora in aprile i coniugi partirono per Cagli e Gubbio, ed il castellano così riferiva al marchese Francesco le ac- coglienze che v'ebbero {*) : 111.™» Signor mio, Martedì passato se partissemo da Urbino per venire ad Eugubio et la sera alogiassimo a Callo, assai bella et molto alegra, et nel viagio se ne fece contra uno gran numero de zentilhomini et citadini a cavallo, et ne l'intrare ne la citate ritrovassimo una infinita raultitudine de putti cum le zirlando in testa et cum rame de lauro in mane che chridavano Duca Duca et Gonzaga Gonzaga. Intrati in la citade vedessimo le strato maestre che sono assai belle et affilate, tute aridente de verdura et ornate de volti et arciate de lauri rampegarola (-) et simile zenteleze che era cosa molto pili bella da vedere che non sera ad audire, et fossimo receputi dentro finalmente cum tracti de bombarde, sono de trombe et martellare de campane. Dismontati, tuti li zentilhomini, citadini et zentildonne et citadine tochorno la mane a la 111™* M"* Duchessa nostra et in quello mezo lo 111™° S. Duca me condusse (1) Durante la presenza del Calaudi-a in Urbino, che durò sino alla fine di giugno, il Capilupo lasciava a lui Tincarico di scrivere a Mantova. In una lettera del 9 luglio messer Benedetto dice di riprendere il suo ufficio di relatore. Il Calandra del resto era egli pure un gttimo corrispondente. Nel suo carteggio da Urbino del 14S8 dà anche molte notizie politiche, specialmente sui fatti che seguirono l'uccisione di Girolamo Riario (cfr. Ugolini, ii, 59-60). In una lettera del 6 maggio si loda assai delle carezze e degli onori che gli vengono prodigati in Urbino : « io qualche fiata ne resto confuso ". (2) Voce dialettale per rampicanti. — ;38 — suso il monte a vedere la rocha, la qual me pare cosa inexpugnabile et spesa magnifica. Tornato a casa intesi che sopra uno monte (le Callo era uno nido de falchoni, et havendone parlato col p*° S. Duca, Sua S. subito lo mandò a levare et ritrovò che dentro gli era dui folchoni ben penuti et per il tempo grandi et al judicio mio assai belli, quali dona M."'' a la Ex. V. Et intendendo anche che sopra uno altro monte è uno altro nido pur de falchoni. li mandò a tuore. ma il messo anchor non è tornato : gionto che '1 sii, vederò mandarli tuti per qualche bona via a la S. V., che son certo gli piacerà no assai. Il dì sequente, che fu beri, se partissimo da Callo dopo disnare et al mezo il viazo posassimo un pocho a Cantiani, assai bello castello : ne l'intrare del quale, dopoi che quasi tuto quello po- pulo ne hebe incontrati, li puti simelmente venero cura li rami de oliva, pur chridando Duca Duca et Gonzaga Gonzaga. Le porte de la terra o castello erano tute ornate de verdura et archi triomphali cura molte arme feltresche et gonzaghesche ; et a la piaza era uno fonte che zetava vino vermilio bono, cum alcuni versi latini, che era cosa bella da vedere et facta per homini de non podio inzegno. Venendo poi a dritura ad Eugobio, longi da la terra a tre milia ritrovassimo tuti li magistrati, zentilhomini et citadini che tochorno la mane al S. Duca, S. Octaviano et M"» Duchessa, et cussi intrassimo in la citade : et a l'intrare dodeci zentilhomini de li primi de la terra vestiti de brochato de arzento et veluto aredenorno M"* Duchessa et cussi cum sono de trombe, tracti de borabarde et martellare de campane venessim.o a la corte. Et per la strata ritrovassimo quasi infiniti archi et feste de verdura, cum certi spiritelli che recitorno alcuni versi, che fue bella representatione et cosa inzegnosa, che parsi una altra noza. Venuti a la corte, molte zentildonne receveteno M°* cura molti belli mocti, et subito Sua S. disse che più non se lassarla condure a Urbino, tanto gli piace questa terra : et inver è cosa da piacere ad ogni uno, perchè è molto bella, corno la S. V. poterà intendere melio per altri... Heri sera se fecero raolti fochi per la terra, ultra le lumere se misero fori intorno al palazo et sopra le roche circumvicine, et fecesi tanto martellare de campane che pareva ogni cosa resonasse. Non poterìa scrivere quanti signi de leticia ha dimon- - 39 - strato tuti questi populi per la presentia de M"'=» Duchessa, la quale se vede molto contenta... Eugobij. xxiiii aprilis 1488. SiLYESTER Calandra. ('). (1) Le medesime cose riferisce, meuo bene, Ginevra de' Fauti da Gubbio 28 aprile 1488. Solo della chiusa della sua lettera crediamo si debba tener conto: " Questo palazo non è tanto com'è quello de -.< Urbino, ma è bello e molto aieroso et commodo ; la cita è belis- « sima, ben situata, ha gran piano et è fertile e molto delectevole, « et tanto piace a Madonna questa stancia, quanto alchuua che l'abia ancora veduta. Si che per compimento del tuto non li manca ' altro che la presencia de V. S. la quale prima da la IH.™^ M* u vostra sorella, poi da il S"^ Duca, S"" Otaviano et da tuti questi « populi fi aspetata cum sumo desiderio: però la S. V. po' gloriarse u de haverla molto ben mandata, perchè tute le cose sue per la u gratia de Dio vano benissimo ". Quest'ultima asserzione mostra come quella damigella fosse lontana le mille miglia dall'imaginare il difetto del Duca. Notevoli sono le sue parole sul palazzo di Gubbio, nel quale ei"a nato Guidubaldo il 17 gennaio 1472. Quell'edificio fu ascritto al senese Francesco di Giorgio (Eeposati, Zecca di Gubbio, I, 263\ ma pare falsamente. Oggi si ritiene che vi avesse parte quel Baccio Pontelli, che vedemmo già occupato nel palazzo di Urbino (Va.Saki, Opere, li. 654, n. 2 e ili, 71, n.). Specialmente lodato è il cortile del palazzo di Gubbio (Burckhardt, Gesch. der Benaiss., p. lOS"); anclie là si trovano magnifici ornati (cfr. MiiXTZ, Renais- sance d Vépoque de Charles Vili, pag. 362 e Marcolixi. pag. 161).

  (1) Con la cognata Agnesina, la Duchessa strinse subito le relazioni più cordiali. Si rammenterà la lettera poc'anzi riferita di Ginevra de' Fanti (20 marzo '88), in cui è detto che si trattavano come sorelle. D'età eran quasi pari; solo Agnesina d'un anno ed alcuni mesi più giovane. Sorvegliò la sua educazione la sorella Giovanna della Rovere. Pochi mesi dopo ch' era giunta ad Urbino Elisabetta , desiderò di avere in moglie Agnesina Fabrizio Colonna ; in autunno si erano già fidanzati, poiché la Duchessa scriveva il 16 ottobre al fratello: « Qua non havomo alcuna cosa de novo se non che l'è concluso el parentato de la il.ma Ma Agnese in lo Sr Fabricio Collona, qual V. S. intese qua praticarse ». Il matrimonio ebbe luogo il 20 gennaio 1489 e ne nacque prima, nel 1492. Vittoria, la celebre marchesa di Pescara, e quindi, nel 1494, Federico e nel 1500 Ascanio. Nel 1499 Elisabetta, recandosi a Roma, volle trattenersi alquanto nel castello di Marino, ove Agnesina soggiornava (cfr. il nostro articolo Gara di viaggi fra due celebri dame del Rinascimento, Alessandria, 1890, p. 6; estr. dall'Intermezzo). Mori Agnesina il 1º aprile 1523, come appare dalla partecipazione che ne diede Ascanio Colonna a Federico, marchese di Mantova (vedi Luzio, in Riv. stor, mantovana, I, 10). Meglio che in ogni altro luogo i fatti della vita, sinora oscuri, di quella gentildonna sono narrati, su solida base di documenti, da ERMINDA CASINI TORDI, nel periodico Vittoria Colonna, anno I, 1891, n. 10.

^ e g'ii seria la niagiore inimica che liavese, perchè ninna « cosa se poteria clii'e contra de lei che non fuse contra « de mi propria, et seria venuto in cattivo loco a fare si- « mile officio, perchè non è persona al mondo che ami piti ^ la S. Y. che facia io... ••. Ma continuando le insistenze del Lavagnolo per partire, la Duchessa dovette accordargli licenza alla fine del mese. Il 29 aprile così ne scriveva da dubbio, di mano propria, al Marchese : « Ho dato licentia « (al Lavagnolo) de ritornare a casa, facendomi tanta in- « stancia per venire a servire la ili"'" M"" nostra sorella " {Maddalena) e per rispetto de sua mogliera (*). L'è vero « che me rincrese se parti perchè lo ili"*" S. mio et io lo « Yedemo tanto volunteri quanto dire se possa... et ha fato « gran honore a la S. Y. " (*). L'aria temperata di Gubbio si affaceva meglio alla deli- cata Duchessa, che non quella sì frizzante d'Urbino ; ma quando i calori estivi cominciarono ad essere uggiosi, Grui- dubaldo e la moglie si avviarono verso la loro principale re- sidenza, assistendo per via ad una giostra tenuta a Cagli (*). In Urbino attendevasi sempre il Marchese, ed Elisabetta non poteva più frenare l'impazienza di rivederlo. Ma Francesco, trattenuto dagli affari politici, deluse la fervida at- tesa : ond' è che una solenne rappresentazione, già differita appunto perchè egli potesse assistervi, si fece finalmente il 27 luglio senza di lui. La rappresentazione, ignotissima per quanto a noi consta, e non priva certo d'interesse per (1) Una Isabella Lavagnola era in Mantova al servizio della Marchesa. Era essa la moglie o non piuttosto la sorella di Lorenzo ? Quello che se ne dice in seguito ci fa desiderare non fosse la moglie. (2) Guidubaldo, con lettera del 29 aprile, lodava assai il Lavagnolo. (3) Lettera del Capilupo, 4 luglio "88. - 44 - gli storici del nostro teatro, ebbe luogo a Casteldurante, otìfgi Urbania (*), ed è minutamente descritta dall'impareggiabile Capilupo : jUmo Signor mio, Haveiulo questi IH"" S" inteso che la Ex. V. non poteva venire de qua fin a lo augusto proximo, et instati da li homini de Casteldurante, che già, haveano aparechiata la festa, gli an- dorno a li xxi del presente, dove furono cuni tanta allegreza et dimonstratione recevuti per la venuta de la ilH* M'^ Duchessa che non ho ardimento de scriverlo, dubitando non sia creduto che uno castello havesse saputo far tanto. Tuttavia per satisfactione de V. Ex., la quale sciò de ogni honore de la ili™» M"* sua sorella pigliarne piacere, gli dirò quanto più breve me serra possibile tutto el progresso. El sito de quella terra non bisogna descrivere perchè da V. Ex. riio audito comendare, el qual non manco è piaciuto a M» Duchessa, et ha dicto per amore de V. S. a chi el piace, et per essere piano e dilectevole, volerlo per suo favorito. Da la porta del castello fin al palazo era coperta la strata de panni de tela et in alcuni loci de lana bianchi, da ogni canto tutta ornata de verdura et gli erano compartiti dodece archi triomphali che tra- versava la via, l'uno variato da l'altro cum l'arme e divise de V. S. e ducale, spiritelli, vasi antiqui et fontane, due de le quale butavano aqua rosata. Ne lo primo archo, a l'intrare de la porta era un putto che recitò versi : lì vi erano otto scudieri vestiti de seta che aredenorono M'». Dal palazo fino a la piaza fu condutto un carro triompliale sopra il quale in triangulo sedevano Cesare, Sipione e lo duca Federico, cum armature indosso dorate et facte a l'antiqua. Un poco da basso d'essi sedeva una Sibilla nanti al carro. Ne la cima (1) Castekluranto, fu chiainato Urbania in onore di papa Ur- bano Vili, che diede a (juel luogo il titolo di città. I Montefeltro vi avevano un celel)re i)arco, con palazzo. Cfr. Marcolini, Ox>. cit.y pp. 75 e 175. - 45 — sopra certa balla stava in pede uno angelo cum un ramo de palma in mane, el qiial prima cantò versi et doppo lui li triompbanti et Sibilla. Dui centauri tiravano el carro ; altri animali et ucelli erano sopra esso, che volendoli specificare seria troppo longo scri- vere. Recitato che ciaschuno bebé li versi suoi, se avioe el carro inanti et acompagnò el S" et M» a la corte. La dominica poi, che fu ali xxvii se fece la representatione de la vita de S'° Zohanne Baptista. El palco, cioè l'aparato era longo tanto corno è el cortile de la corte de V. S. cum collonne, cornise et coperto, facti de ligname lavorati et dipinti a l'antiqua. Tra l'una collona et l'altra erano una divisa gonzaghesca et una feltresca cum panni de verdura et corni de divitia. Da un capo d"esso palco a man dritta era la casa de Zacharia, padre de Santo Zohanne, dreto questa una casa de vicini, et poi quella de la Nostra Donna che andò a visitare S*'^ Elisabeth. Apresso era el tempio dove fu a Zacharia per l'angelo anuntiata la natività de S*° Zohanne et in quel medesimo fu circumciso. Poco piìi ultra era el deserto dove andò a fare penitentia et lì Christo et lui se baptizorono. Poi, che era proprio nel mezo del palco, era el Ee Herode assettato sopra una sedia alta et havea intorno da basso li suoi scudieri e consiglieri. Lì apresso era la credenza facta per modo che li arzenti andavano intorno dritti. Fra un poco de di- stante era la Regina che sedeva nel sop'° modo et nanti li piedi havea la figliola et intorno donne. Lì apresso era la presone dove fu posto et decapitato S'° Zohanne. Poi lì era una grotta dove ussitte la Sibilla. Più oltra da l'altro capo de la baltresca erano tri baroni del Re assettati pur in sedie cum li donzelli suoi vestiti a livrea, ma l'uno distante et differente de habito da l'altro : li quali furono invitati al convito del Re quando fu morto S*° Zo. et ogniuno era vestito apropriatamente, che furono fra tuti circa 80, di quali 30 recitorono versi. Questa festa fu facta su la piaza apresso la rocha, in cima de la quale era el Paradiso, dal quale sopra una corda in una nuvola discese tre volte angeli. La prima restò a mezo aere uno che anuntiò la festa. Due altre, venne a smontare sul palco per parlare a Zacharia. In terra apresso la fossa de la rocha era lo inferno, la bocha del quale era la testa de uno drachone grande, cum la bocha aperta che parea desendesse in essa fossa, cum uno edificio carico de diavoli che gira- — 4H — vano cum diversi instriimenti in naane che buttavano foco. In questo inferno, morto che fu S'° Zo., cum la magior presteza del mundo fu portata la regina per uno diavolo per una corda. Il che fu admirando spectaculo, et cussi quello del tagliare la testa a S*" Zo. che parse proprio vero per esser conzignato una testa falsa ad uno corpo de homo vivo Questa representatione se principioe a le 19 bore et fu fornita a le 2o. Eetornati a casa el S''^ et M», tutti queli che interve- nero a la festa insieme cum li priori de quella terra venero a dui a dui baiando a la corte et gridando Duca Duchessa et Gonzaga, et fecero una pergula (') emù tanto signo de allegreza che più non se haveria potuto fare et donorono a M* Duchessa uno bacile de arzento. La quale non poteria dire quanto è amata da tutto questo stato, dove ha anche certamente Y. Ex. gran™* benivolentia. Non mando li versi recitati perchè anchora non li ho potuti bavere. La giostra de S*" Angelo è prolongata in altro tempo per essere troppo excessivo caldo (-) et però questi S" e M* sono retomati qua ad Urbino questa mattina... Urbini, 28 julij 1488. Fid. Servus: B. CAPiLrpus. Elisabetta sospirava sempre più la venuta del diletto fratello, che era fissata per l'ag-osto ('). E questa volta attenne la promessa, ma troppo breve fu la sua permanenza per la sorella che tanto l'amava. In una lettera del {!) I ballerini, a due a duo. fonnavauo come uua specie di per- golato. (2j II 21 luglio Elisabetta aveva annunziato al fratello: -Questa " sera andiamo a Casteldurante per vedere una representatione che u fanno quelli homini, poi a 8*° Angelo [/» Vado] per una giostra .. che anchora loro fanno, le quali se sono differite fin qui existi- - mando che la S. V. dovesse venire ". (3) Nella lettera or ora citata dice : t; serra difficile che me possa u contenere che non monti un zorno a cavallo et la venghi a veti dere ". Il 29 luglio ripete le preghiere più calde acciò il Marchese non ritardi più oltre il suo viaggio ad Urbino. - -1:7 — 16 ottobre essa diceva d'essere stata sempre mesta, dopo la sua partenza da Urbino : « et se non che spero V. Ex. me attenderà la promessa de retornare al carnevale, non havarìa anchora lassato de piangere ». Essendosi aumentate le sue sofferenze, la Duchessa si recò allora a Fossombrone, ove passò l'autunno e parte dell'inverno (1).

  (1) Anche a Fossombrone i Montefeltro avevano un parco ed una magione.

Dovette tornare in Urbino nel gennaio 1489 per le nozze di Agnesina (2).

  (2) Vedi la lettera 16 gennaio '89 pubblicata da P. Ferrato nel suo opuscolo Lettere inedite di donne mantovane del secolo XF, Mantova, 1878, p. 56.

 I rapporti dei duchi di Urbino col marchese Francesco si scorgono affettuosissimi anche dal carteggio dell'89. Con attenzione squisita, il Gonzaga faceva pervenire alla sorella primizie di frutta, pesci, leccornie (3), e al cognato regalava novamente un'armatura (4), ovvero cose d'arte ed anticaglie, di cui il Duca particolarmente era ghiotto (5).

  (3) Degli invii di cacio e di sardelle vedi notizie nelle lettere di l'iisabetta pubblicate dal FERRATO, op. cit., pp. 56 e 61.

  (4) Vedi lettera 4 giugno '89 in Ferrato, op. cit., pp. 58-59. In quella lettera la Duchessa scrive « no visto sempre la S. V. portarme tanto amore, che non credo s'el me avesse ingenerata, me ne potesse volere più; ma certamente la Ex. V. n'è bene ricambiata, chè l'amo più che me medesima ».

  (5) Vedi nell'opusc. del Ferrato, pp. 54-55. Anche in una lettera del 19 luglio '89, non pubblicata dal Ferrato, Elisabetta chiese al fratello di spedirle « certe cose antique " desiderate dal Duca. Guido non sarebbe stato degno figliuolo di quel Federico, che fu uno dei principi più illuminati del tempo suo, se non avesse amato le cose d"arte. Per la sua cultura classica vedasi Baldi, Guidobaldo, i, 110.

Mandava inoltre ad Urbino, per distrarre Elisabetta, passionatissima per la musica, un Gaspare siciliano cantore (6), di cui non si hanno d'altronde novelle.

  (6) Da lettera inedita d'Elisabetta del 2 giugno '89.

Non appena poi la sorella gli richiamò la promessa avuta di rivedere ogni anno al suo fianco per qualche tempo il castellano Calandra, questi ebbe subito dal Marchese licenza di recarsi ad Urbino, ov'egli si fermò alcuni mesi, e solo nel settembre potè tornarsene a Mantova (*). La salute di Elisabetta era alquanto scossa, e per tutto l'anno le sue sofferenze non furono lievi, quantunque cer- casse celarle per non angustiar troppo il fratello. Quando l'amata sorella Maddalena, che s'era promessa insieme con lei nel 14S6, venne a nozze in Pesaro, Elisabetta non volle mancarvi e fu col marito a quelle feste, in cui Giovanni Sforza ed i Pesaresi cercarono emulare i fasti urbinati del- l'anno precedente (*). Simili solennità, che si rassomiglia- (1) Elisabetta al Marchese, 1» settembre "89: .; Se 'l castellano li i-itorna tardo da la S. V., prego quella noi voglia imputare a lui. .. ma ad me : la quale Iho retenuto fino a questa ora, et tanto pia- >. cere lio hauto de la venuta sua qua che 1 m'è parso che 'l sia ti stato una medicina a uno podio de male che me sentiva, et ii sempre de di in di sono stata meglio fin che lui è stato qua apresso t. di me ti. Eaccomanda vivamente lui, il figliuolo e le cose sue. Ferrato, Op. cit., pp. 59-60. (2) Il matrimonio di Giovanni Sforza con Maddalena Gonzaga segui il 28 ottobre 1489. Il ricevimento, la cerimonia, le feste, il convito ci sono descritti in due belle lettere del 29 e del 30 ottobre, indirizzate al marchese Gonzaga da suo fiatello Giovanni e da Maddalena stessa. Le lettere, tratte dall'Archivio Gonzaga, furono pro- dotte dal signor Guido Mondovl in Mantova, nel 1883, per nozze Rimini-Todesco Assagioli. A due miglia da Pesaro vennero incontro alla comitiva mantovana, con lo sposo, il Duca e la Duchessa di Urbino, Ottaviano Ubaldini, Emilia Pia ed il marito di lei. Il Duca aveva 200 persone nel seguito. Maddalena entrò nella città (chi glielo avesse detto allora che non le sarebbe concesso neppur più un anno di vita!) " ornata la testa da Ximplia cuni li capilli ti per spalla, et una zerlanda et penna zolielata in testa, cum vesta u de brochato d'oro biaucho, suso uno cavallo leardo pomelato co- - 4S> — vano tanto nel Rinascimento, erano vere fatiche per le costituzioni gracili o malate : e la Duchessa confessava di essere rimasta affranta per le feste di Pesaro, scrivendone al fratello il 10 novembre. È ben vero che il giorno dopo Griovanni (jonzaga notificava da Urbino : » La ili""" M"' Du- « chessa nostra sorella, essendo prima un podio magra et •• palida, havendosi comincio a medicare secondo il consi- •• glio del ]\P Carcerando, spero sera presto galiarda et « poterà venire a le noze de Y. S. » : ma in realtà Eli- sabetta soffriva sempre, onde Francesco pensò d'inviarle il medico Matteo Cremaschi accompagnato dal Capilupo. La lettera che quest'ultimo scrisse il 2 dicembre, poco dopo giunto in Urbino, non dissimula la cattiva impressione che gli destò la malata : « Grionti qua, comò ho dicto, el lune, « ritrovassimo la ili""" M^ vostra sorella essere pur nel ter- « mine che se dicea, cioè magra, pallida, extinuata et de- " bile, senza alcuna parte del collere suo tanto vivo et •• naturale comò soleva havere, et se qualche volta ha ros- -^ seza procede da vergogna o movimento. Yero è che a .. periato fin in terra de pannO;, d'oro rizo ". Dopo la cerimonia nuziale ed il sermone, ebbe luogo il pi'anzo. Poi si ballò, finché giunse l'ora della rappresentazione, che Maddalena riferisce molto confusamente (pare non l'abbia intesa bene), ma in modo da ridare l'impressione che se ne doveva ritrarre. Giovanni ci spiega che fu la rappresentazione di Giuditta ed Oloferne, fatta « cum spese et « operatione de li Hebrei de questa terra ", notizia non ispregevole, pereliè ci mostra come gli israeliti fin da quel tempo si occu- passero di teatro, in Pesaro. Le benemerenze che ebbero più tardi, a questo riguardo, altrove, sono ben note. Il di successivo (29 ot- tobre)" si tenne il grande convito, con 15 portate, secondo Giovanni, 13 secondo Maddalena, che le specifica. Succedette un'altra rappre- sentazione « de Phebo et Daphne conversa in lauro, poi vene fuori " il Petrarcha et Laura che inseme cum Diana prese Cupido et lo " spenachorno che fue bel spectaculo ". 4 — Lrzio e R;ìmi;r. « questo modo lia una certa gratia et reverentia che la - pare più presto creatura angelica che humaua, et pm* •^ niente S. Ex. non volo se dica che la sia tanto magra -' et voria fare del galiardo, ma le gambe non gli corre- • spondeno. Sta ben vestita tutto el giorno, ma a me ha •• confessato che, come ha passegiato una volta o due per •• la camera, bisogna subito ritornare a sedere. Tutto pro- - cede da mala dispositione causata da la retentione del « menstro comò meglio intenderà Y. Ex. per lettere de - M" Matheo... ». Si trattava, a quanto sembra, d'una fiera anemia, a combattere la quale certamente non ultimo ri- medio sarebbero state la distrazione e la vita attiva. Si decise pertanto che Elisabetta, la quale sotto la cura del Cremaschi migliorava già nel dicembre ('), andasse a Mantova, dove avrebbe potuto ritemprarsi nell'aria nativa ed insieme assistere alle nozze del fratello Francesco. (1) Ferrato, op. cit., p. GÌ: « Per la gratia de Dio son redacta " in tal termine che comincio ad andare per casa ". La lettera è di mano del Capilupo. iiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiMiiiiniiMiiiiiiiiiiiiiiMiiMiiiiiMiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiniiiMiiiiiniiiiiiiiiMiiniii IL (14:90-1501) Le nozze di Francesco Gronzaga con Isabella d'Este fu- rono celebrate a Ferrara il 12 febbraio 1490 (*). Dopo la cerimonia, la sposa fa condotta peL_la._città--sefioiida.iLca:^ stiime, accompagnata da tutta la Corte. Essa aveva alla sua destra il Duca d'Urbino ed alla sinistra l'ambasciatore di Napoli (*). Fu accompagnata a Mantova dai parenti più prossimi e v'entrò per porta Pradella il 15 febbraio. Grandiose furono le accoglienze e le feste : rappresentazioni, concerti, pranzi e danze, che durarono fino all'ultima notte di carnevale. Si calcolò che circa diciassette mila forestieri concorressero a Mantova in quell'occasione (^). Tra i più cospicui figuravano il Duca e la Duchessa d'Urbino, dai quali, seguendo un uso comune a quel tempo, il Marchese s'era fatto prestare tappezzerie ed argenti, per meglio apparare il palazzo ed ornare le mense (*). (1) Muratori, Rerum Ital. Script., xxiv. 2«1; Frizzi. Storia di Ferrara, Ferrara, 1848, iv, 161-62. (2) Da orelazione inedita di Girolamo Stanga, in data Figarolo, l;? febbraio '90. (3) Ofr. Volta, Storia di Mantova, ii, 230-31 e D'Arco, Notizie d'Isaòella Estense, Firenze, 1845, p. 31. (4) Nel Copialettere del Marchese, L. 134, v'è la seguente notevole lettera: Duci Urbiui 111.°'" ecc. Ho ricevuta la lettera de la S. V. et visto quanto per essa la me significa de la descriptione facta de li arzenti suoi et tapezarie. Elisabetta rimase a Pianto va presso la cognata, che prima aveva solo veduta fuggevolmente. Fu allora appunto che ^ cominciò tra loro quell'amicizia, che doveva poi durare viva ^2>^ tenace per tanti anni, a traverso vicende così fortunose. Quelle due donne erano fatte per intendersi. La Duchessa ./compiva allora i 19 anni: la Marchesa s'avvicinava ai 16^ Avevano entrambe l'animo buono, l'intelletto pronto, il gusto fine per tutte le cose dell'arte, un'educazione squisita resa migliore dalle attitudini personali. Alla Duchessa, pili matura e piti grave di spirito, piaceva il veder svi- luppare sotto a' suoi occhi quel fiore di gentilezza, quell'ideale muliebre del Rinascimento, fresco, vivo, affascinante, che era Isabella. Ed Isabella trovava nella Duchessa una de che la può accommodarmi per el bisogno de queste mie iioze se- cundo la lista data a Benedicto Codelupo la quale s'è havuta: rin- gratio quanto posso la Ex. V. de la comodità che la me ne fa, che mi redunda ad grandissimo acunzo per essere bona summa et belle cose: et se ultra le annotate ne la lista la V. S. potesse etiam compiacermi de la tapezaria sua de la historia troiana per poter apparare la sala dove se farà la festa come seria il pensier mio, et così de li antiporti suoi belli et de qualche tapeti da terra et anche de più vasi d'arzento grandi che la potesse per ornare la credenza restaria da lei molto sa- tisfacto et contento et fariame cosa grata. Prego ben la S. Y. voglia haverme excusato se li paresse in richiederla tropo copioso, che lo facio a segurtà et cum fiducia jier la fede grande che ho in quella: a la quale de continuo me ofifero et reco." et ipsa bene valeat. Mant. 19 Jan. 1490. Gli arazzi ov'era rappresentata la storia trojaua furouo tra i più famosi del palazzo Urbinate e noi abbiamo già avuto occasione di nominarli, parlando poc'anzi di quel magnifico edificio. Li vanta specialmente Antonio Mercatelli nel suo poema, ed il CoLUCCi {Antichità picene, xxi, 76) dice che costarono ben diecimila ducati. Di quel prestito dello tappezzerie s'era già trattato nel dicembre '89, come può vedersi da una lettera d'Elisabetta ormai più volte citata (Ferrato, p. 61). Né i Montefeltro erano i soli cui in quella con- giuntura ricorresse Francesco per tappezzerie ed argenti. Si rivolse eziandio a Sigis^inondo d'Este, a Marco Pio di Carpi, a Grio vanni Bentivoglio. — 5S - coinpagna ed una sorella maggiore ; qualcosa che le ramuieutava ad un tempo la gioventù della sorella sua car- nale Beatrice e la saggezza blanda della madre Leono^a^di Aragona. Ciò tanto più doveva esserle caro, inquantochè in casa Gonzaga non v'erano allora più donne, ed ella, se- dicenne, trovavasi sola con quel brutto marito dalla faccia di negro ('), ch'ella amava sinceramente, ma che, occupato di continuo nell^ faccende politiche e guerresche, non poteva essere quel compagno della giovinezza di cui essa, nasalmente, sentiva il bisogno. Appena la stagione accennò a farsi un po' meno rigida, recaronsi le due donne per alcuni giorni sul lago di Garda. Troviamo difatti che il 15 marzo 1490 Isabella scriveva al marito : --^ Hozi doppo disnare, cum bona liceutia de la S. Y.. - andaremo la ili"'" M^ Duchessa de Urbino et io a cena a ^ Goito. Domane a Capriana, dove venirà la moglie del « S. Fracasso {Gaspare Sanseverino) et zobia andaremo « sul laco de Garda, secundo l'ordine de la S. Y., et de « questo ne ho datto aviso a li mag" Rectori de Yerona « per trovar le ganzare a Sermione ». E il 21 marzo da Cavriana : « La ili"'* M"" Duchessa de Urbino et io, insieme « cum la moglie del S. Fracasso, andassimo zobia a disnar « a Desenzano et a cena a Tuscullano, dove stessimo la « notte, et havessimo veramente gran piacere a veder quella « rivera. El veneri venessimo ne le ganzare fin a Sermione -- et de lì qua a cavallo. In ogni loco fussimo ben vedute « et acarezate, max."" dal Capitano del laco, qual ce donoe •^ pesce et alcune altre cose, et simelmente la communità (1) Vedasi la magnifica terracotta del Museo di Mantova, che lo rappresenta, riprodotta, tra altri, dal Muntz. Histoire de Vart pendant la Renaissance^ ii, 277. V V - :.4 - •< (If Sallò ce maudoe a fare uno bello presente... Domane " andaremoa Goito, et marte mattina a ^lantua » (*). Così Isabella principiava le sue gite sul Garda, che furono poi così frequenti, e nessuna compagnia certamente avrebbe potuto esserle più gradita di quella di Elisabetta, dotate entrambe, com'erano, d'una insazialnle quanto elevata curiosità per i viaggi. Per quanto non molti siano i documenti che abbiamo di quel primo sodalizio delle due giovani, è facile scorgervi l'affetto che cominciava a legarle. Nella letterina autografa d'Isabella al marito assente, letterina profumata e passionata, di cui abbiamo già dato saggio altrove (^), non erano mai dimenticati i saluti della Duchessa ('). In aprile, quando Isabella tornò la prima volta a Ferrara, le spiacque molto di non aver seco la cognata (*). A Mantova potè godere ancora della sua conversazione in maggio e forse nel giugno, che poi Elisabetta, alquanto migliorata in salute, fece ritorno ad Urbino. E là attendevala un gravissimo lutto. La sorella Maddalena Sforza, dopo appena dieci mesi di matrimonio, moriva di parto l'S agosto del 1490 (^), lasciando (1) Ambedue le lettere sono tra le originali della Marchesa. (2) Vedi il nostro lavoro Delle relazioni di Isabella d'Este Gonzaga con Ludovico e Beatrice Sforza, Milano, 1890. p. 12; estr. d-AVArchivio storico lombardo. {3) Vedi specialmente la lettera del <3 aprile, tìruiata Quella che è desiderosa de continuo veder la S. V. Isabella da Este da Gonzaga de man propria. (4) Cfr. lettera 23 aprile nel L. 13t) del copialettere del Marchese. Elisabetta rispose di esserne dispiacente essa pure, ma « tuttavia (N " forse stato el meglio perchè me sento migliorata assai ». (5) Cantò quella morte Antonio Agnelli in un poemetto latino, che si conserva in un codice Capilupi. Cfr. Andres, Calai, mss. Capilnpi, Mantova, 1797, pp. 179-183. Di Maddalena fece un ritratto il Mantegna, dacché nell'inventario di libri e (jiiadri di Giovanni immerso nel dolore il povero marito, cui non arrise davvero mai la vita coniugale ('). Elisabetta sentì sin nel profondo dell'anima questa perdita inattesa, onde scriveva il 13 agosto flie dal gran piangere era -- tutta sbatuta et lassa ". Alla Marchesa, che era indisposta per una febbriciattola gastrica, ma che forse supponevasi incinta, tennero dapprima celata quella sciagura (). In settembre Isabella tornò sul Garda, e nonostante la gioventù e la naturale gaiezza dell'indole, dovette talora pesarle di non aver seco la compagna di pochi mesi prima. Il 18 settembre 1490 ella scrive di ciò alla Duchessa, dolendosi che non possa venire anco lei a - restaurarse in " quel bel paese », e poi prosegue festosamente: '• Tutti '• inseme gli auguraremo Y. S. et chiameremola sotto la •• tavola quando havaremo inanti de quel bon pesce et se- « remo nel zardino de lo arciprete de Tuscullano » P). Sforza, compilato uel 1500 figura : " La testa deirill.'"' M. Magda- •• lena de man del Mantegua in profillo . Vedi A'euxarecci, La libreria di Giovamn Sforza, signore di Pesaro, in Archivio storico per le Marche e per r Umbria, ili, 522. Di questo ritratto, per quanto ci consta, gli storici dell'arte non hanno notizia. Conoscono invece le medaglie, registrate anche dall'Armand. (1) Tutti sanno che sua seconda moglie fu Lucrezia Borgia, da cui fu separato in modo ignominioso. Eppure ne prese ancora una terza, Ginevra Tiepolo. (2) Beatrice de' Contrari al Marchese, 11 agosto "90: - Ho inteso " lo mesto et doloroso caso de la ili."" M* Madalena Perfino a " questa hora ho facto stare la cosa secreta che la ili.™* M* Mar- - chesaaa non la ha intesa, et etiam farò stare fino a tanto che 1. V. S. scriva quanto se habia da fare circha ciò, perchè cono- *. scendo la ili.™* Marchesana ne li termini che è mo', et sapiendo ti quella de cordial.""^ core amare la ili."'" M* Madalena dubito non t- agiungerà male a male -. (3) Copialettere del Marchese, L. 13tì. Quella riviera era considerata un vero paradiso. Stefano Sicco scriveva da Cavriana il 20 — :^(] - Con le quali parole si tocca forse scherzosamente quel po' di vizietto di gola, da cui la severa Elisabetta sembra non andasse immune (*). In autunno la Duchessa si recò a fare dei bagni e ne ebbe un grande ristoro (*). L'anno successivo (1491) passò senza alcuna relazione notevole, tranne il viaggio del Marchese ad Urbino, nel luglio. Isabella in quell'anni» aveva avuto grandi svaghi, prima pel fastoso matrimonio di Beatrice col Moro, cui assistette in Milano, poi per quello di Alfonso d'Este con Anna Sforza (^). Il marcliese Francesco era aspettato un' altra volta in Urbino nel gennaio 1492, come si ricava da una lettera di Elisabetta del 9 di quel mese, che è a stampa (*). Ma sembra che quel viaggio non si effettuasse allora, perchè nelle lettere del 4 febbraio e del 3 di marzo, quest'ultima molto affettuosa, la Duchessa si mostra sempre impazientissima di rivedere il fratello ('')• La corrispondenza mantenevasi marzo '90, a proposito della prima gita da noi menzionata: • le p'* « Madonne se mantennero galiarde a l'aqua et a cavallo vedendo » sempre zardini cum grandissimo piacere, che ogniuno de li habi- « tanti se sforzava farli più careze, tra' quali fu uno de Caravazo u chiamato Fermo che voleva pur ch'el zardino suo fusse posto :i « sachomanno da M' Marchesana et tutta la compagnia, et donoli « de li cedri et jjomi ranzi ecc. •'. (1) L'8 dicembre '90 Isabella raccomanda aUa cognata di itoii mangiare più (luelle cattive cose, di che la vedeva ghiotta. Kssa pure, la Marchesa, s'è corretta, con benelicio della salute. In "atti il 18 agosto la madre rimproverava Isabella di procurarsi del male col soverchio appetito per le frutta « et altre cose tristo ". (2) In una lettera del 13 dicembro '90 dice che i bagni le hanno fatto cosi bene, che le pare ;< veramente esser resusitata da morte « a vita ». (3) Vedi le succitate nostro Relazioni cuv yli Sforzd, pj). l;^ e segg. (4) Ferrato, op. cit., pp. G2-63. (5) Ferrato, op. cit., pp. 65 e (il. viva anche con la Marchesa e consisteva per lo più in iscambi di favori e di gentilezze, in raccomandazioni di persone, in doni reciproci che quei nostri signori facevansi ben volentieri, applicando sin d'allora l'adagio francese : les petits cadeaux entretiennent l'amitió (*). Da Mantova veniva mandato, di solito, del pesce, specie i celebri car- pioni del Garda (*) ; da Urbino frutta (^). Ma la salute della (1) Possono vedersi riguardo a ciò specialmente le lettere d'Eli- sabetta pubblicate dal Ferrato, che sono numerose pel 1492. Si badi peraltro ch'egli commise nella pubblicazione di quei documenti molti errori di lettura, alcuni dei quali fanno oltraggio al senso. Ne ad- ditiamo parecchi, per saggio: — Nella lettera 57, a p. 65, in luogo di Giaìi Maria et Mainoldo deve leggersi G. Maria Riminaldo; nella hittera 62, a p. 70, non Or la opilatione, che non dà senso, ma De la opilatione; quivi pure il testo dice liinidl proximo che vera exi- xtimo mettermi ad camino, ed il Ferrato stampa un comicissimo che vera Angustino!! Nella lettera 67, p. 74, non me rescrisse, ma me respuse ; nella lettera autografa 68, a p. 75, va letto quando intendo del suo e dal poeta la Ex. V. intenderà, e nella pagina seguente v'è tal confusione rispetto al castellano, che è una pietà, essendo stato ommesso di pianta il nome di Jean P. Arrivabene, il vescovo d'Urbino. Così nella lett. 72, p. 81, non avendo letto a dovere, il F. fa tal pasticcio di carpioni e di pistacchi, che lo digerirebbe appena uno struzzo. Insomma di quelle lettere non si può valersi senza una accurata collazione. (2) Ferrato, pp. 64 e 81. Cfr. la nostra nota 2 a pag. 47 delle Relazioni con gli Sforza. (3) Il 28 marzo '92 Elisabetta accompagna ad Isabella una spe- dizione di fichi (Ferrato, p. 67). Erano fichi secchi. La Marchesa risponde il 13 aprile: « Ho receputo insieme cum la lettera de la i S. V. Ji fichi che la me ha mandato, quali me sono stati gratis- • simi et per suo amore ho principiato a goderli; in cambio de li . quali mando a lei due forme de formazo da pesi cinque l'una, che • sono le più belle si sono ritrovate in questa terra, a ciò che la '< S. V. habia memoria de me quando se manzarà grasso, comò ho " io de essa adesso che se manza de macro, benché desiderarla che la venese in qua per godere inseme di queste et altre cose per Duchessa s'era di bel nuovo guastata : essa accusava sin dal marzo disturbi gastrici {op ilazione), per cui voleva recarsi ai bagni di Viterbo. Avendole il fratello spedito di nuovo il Calandra, essa lo ringraziava il 10 maggio 1492 da Gubbio, e si proponeva di menar seco Tamato castellano ai bagni ('). La Marchesa di Mantova allora, in una lettera piena di buon senso, di affetto e di gaiezza, scrivevale (17 maggio): ~ Una cosa me pare ricordarli per lo amore gli porto, ch'el •• primo bagno la cominzia a tuore sia el proponimento •• de guardarse da le cose triste et vivere de quelle che •• rendono sanità et substantia, et sforciarsi fare exercicio ^ movendose cum la persona a cavallo et a pede, stando •• in rasonamenti piacevoli, per scaciare le melenconie et af- •• fauni che per indispositione del corpo o animo gli occur- •• ressino, uè attendere ad altro che a la salute de l'anima • prima et puoi ad honore et comodo de la persona, per- « che altro da questo fragile mondo se può cavare, et chi " non scià compartire el tempo de la vita sua passa cum •• molta passione et poca laude. Questo non ho dicto per- - che non sa pia Y. S. corno prudentissima intenderlo me- •• glio di me, ma solum a ciò che sentendo ch'io anchora " sia de la dispositione sua, tanto più voluntieri si adapti - a volere vivere et pigliare qualche recreatione comò facio " io et secundo la poterà informare el Castellano : quale ~ lo ili. S. mio consorte è rimasto contento stia apresso - la S. V. finché la sera retornata da li bagni et quanto " jjiù a lei piacerà, intendendo perhò quando la sia in .. qualche tempo, et aciò che ne l'aere suo nativo potesse puigarsc i. et liberarse in tutto da quella poca opilatione cho intendo ha •'. Copialettere d'Isabella, L. li. (1) Ferkato. p. 09. — 51) — '• deliberatione de venire a Mantua, perchè altramente, non *•• solum se revocarla el Castellano, ma se possibile fusse " renuntiaressimo la benevolentia et affinità. Et in casu '« che 'l Castellano cognoschi che la S. Y. se alieni de -« volerne compiacere de la venuta sua, intendemo che per ^ vigore de questa se habi per revocato et se ne retorni '• subito qutà, dove non rendendo sufficiente rasone che " l'habia facto dal canto suo quanto gli è stato imposto, ' serra tractato comò per la littera ch'el portò de mia '•- mano, bavera inteso " (V). In quest'adorabile lettera vi è tutto il carattere d'Isabella, così impetuosa e tenace ne' suoi desideri! , così espansiva verso gli amici del cuore. Elisabetta in quel mentre era a Gubbio, sulle mosse per andare a Yiterbo, quando ricevette colà la visita del Duca di Ferrara, che si trattenne alcuni giorni nello stato di Urbino (^). A Viterbo Elisabetta intraprese la sua cura verso la metà di giugno : " io me ritrovo — essa dice in una lettera del 17 — a li bagni et per in fino adesso non '• mi hanno facto troppo utile '-• (^). Tre settimane dopo, circa, le cose erano a miglior partito, come la Duchessa comunicava direttamente ad Isabella, da Urbino (11 luglio): (1) Copialctt. d'Isabella, !>. ii. Ivi segue una lettera tl8 maggio) il Castellano, ove è detto, dalla forma in fuori, lo stesso. Isabella gli dà licenza di rimanere presso la cognata, i- purché, come gli s*'ri venie, ne observi la promessa de venire ; che quando senza urgentissima causa mutasse sententia, non solamente vui havereti a ret• i)ortiamo se debilitarla multo ••. (2) Ferkato, p. 70: risposta nel Copialettere d'Isabella, L. ii, 26 maggio "92. (3) La lettera è datata ex Balneis Viterhij e non già ex Balneo Euguhii, come ha Ietto, spropositando al suo solito, il Ferrato, p. 71. - 1)0 - " la adviso come, gratia de Dio, io son tornata da li bagni " cum bono miglioramento, quantunque me sia remasta al- " quanto de debilità ; la quale me sforzare cum omne pos- '^ sibile diligentia mandare Tia per potermene venire in brevi " giorni a stare in consolatione cum la Ex. V. et de lo •• ili"'" suo consorte et mio fratello, come è mio grandis- « simo desiderio *> (*). Erano peraltro sempre promesse il- lusorie, perchè sorgevano di continuo nuovi impedimenti. Prima la malattia del marito C), poi le brighe col papa (^),. ed altro ed altro ; quantunque la Duchessa dicesse al fratello (e della sua sincerità non vi è a dubitare) •• nume- ' raro non solamente i dì, ma l'ore, che ho a stare a vedere « la S. Y. -', e similmente alla Marchesa: - selei numera -' li giorni, io numero le ore » (*). Chiedendo dilazioni, come la vedemmo fare altra volta, la Duchessa era giunta a trattenere il castellano sino a settembre , finche la notizia, forse sparsa ad arte, ch'egli era stato « casso dell'ufficio "', non lo fece tornare a Mantova ('). Ma in di- cembre la buona signora lo richiedeva di nuovo (*^) ; quantunque non le mancassero visite, anche gradite, di personaggi venuti da Mantova, quali il poeta (') ed Alessandro Pin- (1) Ferkato, p. 72. Nello stesso senso o quasi coi) icl»;nticlie j)ii- role al fratello nella lettera successiva là pubblicata. Come apparo da quanto scrive la Marchesa (Copiai ett., L. n, 26 maggio), Elisa- betta aveva promesso di venire a Mantova - al tempo de' fasanazi -^ vale a dire iu autunno, o ad estate inoltrato. (2) Lett. ') agosto '92. Ferrato, pp. 78 e 74. (3) Lett. del sett. '02. Ferrato, pp. 70 e 7G. (4) Ferrato, pp. 76 e 80. (5) Vedi Ferrato, pp. 72, lì\ 76. (6) Ferrato, p, 78. (7) Ferrato, p. 75. Il poeta tornava allora (sett. '1»2) da Urbino a Mantova. Ciii era eodestf» misterioso personaggio più d'una volta menzionato nei documenti mantovani V Che dovesse essere un mu- - 61 — caro (*). Passò natale, passò capo d'anno, passò il carnevale del 1493 ed Elisabetta non venne. La Marchesa si disperava : « né sciò — scriveva essa — qual cosa mi possa '- più indurre a recreatione in questo carnevale, parendonie '• esser certa che tutti li concepti che per la venuta sua « havea facto seranno stati exposti al vento. El tempo che « io pensava spendere in letitia e consolatione inseme cuin sicista lo si dedurrebbe, non foss'altro, da un brano di lettera del segretario Antimaco al Marchese (3 febbr. '92): « Questa nocte io •• feci dire al poeta che per tempo questa matina il dovesse venire -. a la Ex. V. insieme col fiorentino che cauta in lira ji. Ma ne ab- biamo documento anche più esplicito. Allorché nel marzo '93 Eli- sabetta venne a Mantova, essa desiderò di " bavere in bucintoro « el poeta per sua recreatione ", onde la Marchesa glielo inviò i. aciò cum una lyra sua possi condui-re alegrauiente V. S. " (Copialettere d'Isabella, L. in). Quanto Elisabetta lo prediligesse, lo si può ricavare dal fatto, che anche nel 1495 Isabella glielo inviò (Copialett., L. v, 16 ag.) e fors'anco nel 1499, se è lui quel poetino cui il 16 ott. la Duchessa afiidava una lettera. Ma dovremo rasse- gnarci a non conoscerne il nome ? Il l'' agosto 1530 da Pesaro dà notizia a Jacopo Calandra di maioliche vedute in Urbino Grio. Francesco alias el Poeta (v. Campori, Notizie della maiolica e della porcellana di Fen-ara, ecc., Pesaro, 1879, p. 111). Il 24 settembre 1514, da Urbino, Alessandro Picenardi detto del Cardinale, scrive al Marchese: « Et questo lo dissi al poeta mio fratello et bon servitore '( a V. Ex. et non potendo venir io, lui subito si dispone a venire " a Mantua, a visitar quella ". Quindi, se una improbabile omonimia non turba la nostra congettura, il poeta suonatore di lira, caro ad Elisabetta, si sarebbe chiamato Gio. Francesco Picenardi. (1) Ferrato, pp. 77 a 79. Fratello di quel Giovanni, di cui altra volta pubblicammo le minute informazioni ch'ei dava ad Isabella delle commedie eseguite in Ferrara nel 1499. Vedi Giorn. stor. della letter. ital., xi, 177 e segg. Ivi a p. 180, n. 3 si dà qualche notizia anche di Alessandro. La famiglia dei Pencaro o Pincaro fu trasferita da Parma a Ferrara da Guglielmo Pencaro, che insegnò in quella università. Vedi Borsetti, Historia almi Ferrariae Gymnasii. II, 37. — C^I — « la S. V.. convertirò in solitudine, standomene nel mio « studiolo a dolermi de questa adversa sua valitudine, et « pregharò Dio che presto la reduclii prospera, a ciò che, " se pur non poteremo satisfare al nostro desiderio questo « carnevale, almanco co sia concesso la proxima quatrage- « sima " C). Infatti una lettera del 24 gennaio annunciava ad Isabella che le acque della Torretta conferivano molto alla Duchessa, e che, se il miglioramento fosse continuato, in quaresima si sarebbe messa in viaggio (^). Venne finalmente l'aspettata e desiderata Elisabetta nel marzo del 1493, quantunque i soliti dolori di stomaco la avessero di nuovo molestata proprio in quella che stava per partire (^). Grià vedemmo come la Gonzaga le inviasse incontro, per rallegrarla, il 2>oeta. Per desiderio della Marchesa mossero pure ad incontrarla i più cospicui cittadini, e lei stessa, Isabella, si recò fino a Kevere. Il 19 marzo a Mantova fu accolta '< cum universale dimostratione de ale- « greza » {*). Poco appresso, il 23 marzo, la Marchesa partecipava alla madre di stare deliziosamente insieme con la cognata, -- quale spero cum la conformità de quest'aere a ^ la natura sua et copia de boni medici debba revalersi, « et già me pare che la cominci a sentire la virtù de l'aere « et le careze ch'io gli facio " (^). Stettero insieme tutto l'aprile, in una beata comunanza di aspirazioni e di occupazioni, ma ai primi di maggio Isabella doveva portarsi, per desiderio del marito, a Ve- (1) IT) o-einiaio '93. Copialctt. d'Isabella, L. in. (2) Ferrato, pp. 80-81. (3) Lett. al March. 7 marzo '93. Fkkrato, ])\). 81-82. (4) Copialett. rl'lsabella, L. ni; Ki e 20 marzo '93. (5) Copialett., L. ni. — im — nozia passando per Ferrara C), ed era suo interesse che il viaggio si compisse presto per prevenire 1' andata del Moro e non sfigurare al confronto dello sfarzo della sorella Beatrice (^). Il 4 maggio giungeva a Ferrara, noiata questa volta assai pel tempo poco favorevole, e per l'abbandono della dolce compagna. « Appena — le scriveva — me ritrovai in barca senza la sua dulcissima compagnia venni tanto •• bizarra. che non sapeva che volesse. Havendo per mio " conforto aqua et vento sempre contrario... molte volte me • agurai in camera de Y. S. a giochare a scartino » (^). (1) Il Marchese era a Venezia in marzo e poi di nuovo in aprile, '• là si occupava anche degli affari del Duca d'Urbino. Vedi in proposito la lettera d'Elisabetta, 26 aprile, da Mantova, che non è già diretta a lui, come sbadatamente pone il Ferrato nel pubblicarla {Op. cit., pp. 82-83Ì, ma al comun fratello Giovanni. (2) Di ciò distesamente nelle nostre Relazioni con gli Sforza, paij;ina 70 e segg. (3) Copialett., L. iii. Questo documento producemmo già nelle ( itate Relazioni, p. 73, ». 1. Che cosa veramente fosse lo scartino, per cui lo due dame avevano singolare predilezione, non sapremmo dire con sicurezza, benché ci sorrida il pensiero clie potesse essere t|ualcosa di simile all'attuale écarté. Certo era un giuoco favorito a Mantova in quel tempo. Da Padova, il 20 maggio '93, la Marchesa ordina a Francesco Bagnacavallo " duo para de carte da scartino > e di altre « carte da scartino '^ accusa al medesimo ricevuta il l*» dicembre di quell'anno Copialett., L. iv). Il 7 settembre 1495 il Marchese, dal campo, chiede alla moglie di fargli avere " fino a due para de scartini, a ciò possiamo passare el tempo cum mancho • penserò ". Il 9 luglio 1509 Tolomeo Spagnoli comunica da Mantova che jfa Marchesa « sta molto bene e si spassa il caldo dil di " giocando a scartino ''. Tali esempi si potrebbero moltiplicare. L'anonimo autore del Diario Ferrarese, parlando di giuochi che costumavano in Ferrara nel dicembre 1199, scrive: « Si usa et coli stuma di giocare a carte molto, come a falsinelli, a rompha, a « risuscitare li morti, a scartare, et a mille diavolamenti " (Muratori, Rerum Ital. Script., xxiv, 376). Borso da Correggio, riferendo il 28 agosto '93 i giuochi cui prendeva parte Beatrice Sforza, dice: — 04 — Alla sua volta Elisabetta, angustiata per rinteinperie nelh» quale la Marchesa era incorsa, le scriveva con molto af- fetto il giorno medesimo (4 maggio) « affinchè — diceva — « almeno, essendo priva de la dolce sua couversatione, lo .. L'exeroitio nostro è questo. La inatina si cavalca un poco, al .. dopo disinare, a scartino, a resuscitar morti e imperiale fin a l'hora " de dormire " {Relazioni con gli Sforza, p. 84). Nel 1495 Ludovico il Moro pregava Ercole d'Este d'inviai-gli a volta di corriere 12 paia di scartini e due anni dopo si doleva col cardinale Ippolito, che don Alfonso non '; li havesse mandato certe carte da scartino ch'el .. gè haveva promesso " (Venturi, in Arch. stor. lombardo, Xli, 254). A Ferrara infatti ed a Mantova, l'industria delle carte da giuoco tlipinte a mano era assai progredita nel secolo xv, e verso la fine di quel secolo e nel successivo a Ferrara facevansi anche molte carte impresse. Cfr. Campori, Le carte da giuoco dipinte per gli Estensi, pp. 11-12. Che lo scartino si giocasse con le carticelle e non coi naibi o trionfi (Campori, op. cit., p. 13 e Keniior, Tarocchi di M. M. Boiardo, Modena, 1889, pp. 7-8 e 0, n. 1) ci sembra quasi indubitabile. Isabella, del resto, si dilettava anche di giuochi meno innocenti dello scartino, come il flusso. Battista Guarino in certa f^ua lettera del 2 febbraio 1493 le dice : « Ma la V. S. farà pensiero Il di avere perso qualche posta a fluxo, over a scartino » (Luzio, Precettori d'Isabella, Ancona, 1887, p. 22). Il 16 novembre 1502, To- lomeo Spagnoli scrive al Marchese: « La ili.™' M* ha convertito M il tempo che la giocava a fluxo in vedere giocare a scacchi, ma K lei non giocha mai, il che procede perchè la ne scià molto poche "• In seguito divenne valente anche in quel difficile giuoco, e meritò che il Vida le dedicasse il suo noto poema. Il flusso era giuoco assai rischioso; Stazio Gadio il 31 ottobre 1515 comunicava alla Marchesa che a Milano Lorenzo de' Medici (poscia duca d'Urbinoj giuocando a flusso col re di Francia e con altri « in pochi giochi Il tirò circha 600 scudi ". Il flusso è frequentissime volte nominato nei documenti e nelle opere a stam[)a del Rinascimento (vedi Crusca sotto flusso e frussi\ Giuoco maladetto lo chiamano i Canti carnascialeschi. Il confonderlo con la primiera, che la Marchesa preferiva nell'età avanzata (ne abbiamo documenti del 1527 e 1538), non è giusto, quantunque vi fosse realmente una figura della primiera chiamata flusso. Vedi su ciò specialmente il Commento al Capitolo — 65 — « intendere nova di quella me habi a dare alcuna recrea- « tione, advisando V. S. che dall'ora quella si partì non « mi son sentita troppo bene, et per li continuati cattivi « tempi maj sono uscita di camera, dove senza V. S. mi « pare essere mezza » (*). A Ferrara Isabella assisteva frattanto alle nozze della figliuola di Ludovico Uberti, che si maritava in casa Strozzi {^), nella quale occasione Ercole sul giuoco della pi-imiera del Berni, in Bp:rxi, Rime, poesie latine e lettere, ediz. Virgili, Firenze, 18S5, pp. 365 e 393. Ma in quello stesso tanto fortunato Commento il flusso è nominato, col trentuno, come giuoco da donne, diverso dalla primiera (p. 377), sicché crediamo poterne concludere che oltre alla menzionata figura della primiera, il nome flusso significasse un altro giuoco, affatto distinto. Come appunto distinti indica i due giuochi I'Aretixo nel Ragionamento del gioco {Terza parte dei Ragionamenti, Venezia, 1580, e. 91 r, 148 u e 149 «•, 161?-); come distinti li nomina il Rabelais, in Gargantua, L. I, cap. 22 (flux e prime) ed anche il GtARZONI, Piazza universale, Venezia, 1617, e. 241 r. A Isabella piaceva anche di giuocare a niellino. Giangiacomo Calandra informava Federico il 16 uov. 1516: « Gli cxercitii de S. Ex. (vostra madre) sono le littore a le horc u consuete, le sue solite orationi et hore, et qualche volta spassa « il tempo con gioco con questi S. et gentilhomini, et alle volte a u niellino con noi altri ". E la Marchesa stessa al figlio il 27 gen- naio 1522: « Questa sera giocando a niellino per spasso cum questi " gentilhomini, ecc. ". Di questo giuoco non ci riuscì di trovare indizio altrove. Sarebbe forse il giuoco à la nicque nocque, che compare nel luogo menzionato del Gargantua^ In questo caso sarebbe giuoco di tavoliere. (1) Ferrato, pp. 83-84. Egli stampa « mi pare esser mossa " ! (2) u M. Tito [Strozzi] se fece grande honore de representatione, u apparati et feste ", scrive il 10 maggio alla Duchessa (Copialett., L. III). È noto come Tito Vespasiano Strozzi, che fu giudicato il miglior poeta latino di Ferrara al suo tempo, fosse in rapporti cordialissimi con gli Estensi, dai quali ottenne segnalati favori. Vedasi ora la diligente biografia che ne scrisse E. Albrecht, Tito Vesp. Strozza, Leipzig, 1891. La sposa era Simona degli Uberti, e lo sposo Guido, figlio di Tito Vespasiano. Cfr. Litta, Famiglie, Strozzi di Firenze, tav. V. 5 — Luzio e Kf.nier. - 66 — Strozzi fece rappresentare una sua commedia (*). Il 15 maggio era a Venezia, ove si trattenne solo quattro o cinque giorni, uggita dagli interminabili ricevimenti ufficiali, che non permettevano alla sua giovinezza espansiva e vivace la libertà che avrebbe voluta (*). Benedetto Capilupo in- formava di tutto la Duchessa, la quale, continuando ad annoiarsi sola a Mantova (il Marchese stava a Marmirolo, d' onde veniva solo qualche volta a trovarla) diceva col suo adorabile garbo alla cognata : « spesso mi ritrovo « in fra dui gran desiderii, uno che continuo voria in- « tendere quella ritrovarsi in triomphi et letitie et in li « meriti onori; l'altro che voria continuo potermi godere « la dulcissima conversatione sua, et quella ritornasse a « reintegrare la separata nostra conversatione, senza la « quale io confesso non sapere pigliare alcuno compito pia- « sere, et altro non desidero che essere cum Y. S.: quale « prego voglia far bono ritorno et accellerato quanto sia " possibile, che ho dispiasere questi caldi ve diano niole- « stia, et desidero veniate in le comodità et che ce pos- (1) Al marito, 10 maggio : « Dopo disnar fu roprescntata una co- " media iiovamente composta per M. Herculc Strozo, cum certe " moresche in mezo, che fu veramente de gran piacer, et ritrovosu seli el S. mio patre cum gi-an populo »> (Copialett., L. iii). Questa commedia, di cui non s'ha altra notizia, registra anche il D'ANCONA, Origini del teatro'^, il, 131, n. 3, il quale per altro prende equivoco nel credere che fosse rappresentata pel Moro, che allora non era peranco a Ferrara. Tito Strozzi era particolarmente amico (come il suo signore) degli spettacoli scenici, onde un suo congiunto ebbe a dire: « fu ancora splendido e magnifico in fare spettaculi comici « nella sua propria abitazione, con apparati e conviti regi, e pre- « sente il signor Duca e tutto il populo di Ferrara: per il che !^i u vide quanto fosse liberale ». Lou. Strozzi, V^ite degli nomini il- lustri della Casa Strozzi, ediz. P. Stromlioli, Firenze, 1892, pp. 59-00. (2) Per questo viaggio vedi le Relazioni con gli Sforza, pp. 73-77. — 67 — « siamo godere insieme » (*). S'imaginerà quindi di leggieri la gioia dell'eccellente Duchessa quando ricevette dalla quasi sorella una lettera da Vicenza, del 23 maggio, in cui la invitava ad andarle incontro a Porto Mantovano « a ciò « che de compagnia godiamo quello aere bono et stiamo « in consolatioue a rendere conto l'una a l'altra de quanto «c'è occorso doppo siamo state separate ". La Duchessa atteudevala infatti il 27 e le due dame si fermarono nel palazzo di Porto « per fugire lo cativo aere del castello » C). Durò tutto il giugno quel dolce sodalizio. Ai primi di luglio la Marchesa dovette tornare a Ferrara presso la madre che la bramava, e vi stette sino al 10 d'agosto. Dalla corrispondenza d'allora noi trasceglieremo quest'affettuosa letterina di Isabella : jllme Dne Ducìsse Urbìiii , 111°!*, eie. Hozi ho una lettera de Y. Ex. de xxiii instantis per la quale me avisa del suo ben stare, dil desiderio che la tene de sentire el simile di me et del presto ritomo mio. Eespondendoli dico che al presente non haveria potuto recevere cosa più grata, perchè essendo stata molti di senza lettere sue et da me ogni liora desiderate, tanto magiore contenteza me ha addutto questa, quanto sia venuta cum magiore expectatione. De la sua bona valitudine ho singular piacere et sono più che certa che la desideri la mia, per vicissitudine de l'animo et affecto mio verso essa. Questo in- terviene anche circa l'optato suo de vedermi" Tetornare presto, per- chè se ben sono in loco dove debitamente debbo desiderare stare longamente, nondimeno la dolcissima compagnia de V. S., ultra el rispecto de l'ili'»" S'^ mio consorte me fa spesso pensare al ritorno, qual ancl3:ora non può sequire cum bona satisfactione de la ilW^ M* mia matre che va intertenendomi più che la può. In questo mezo non agravara a V. S. ad commettere che spesso me sia scripto, ecc. Ferrane, 26 julij 1493 C). (1) 18 maggio '93. Ferrato, p. 85. (2) Copialett., L. ni; alla Duchessa e al marito, 28 maggio. (3) Copialetf., L. iii. — 68 — Nella disgrazia che doveva seguire poco appresso, la morte della madre (11 ottobre 1493) (*), fu certo di grande conforto alla desolata Marchesa l'avere al fianco una così tenera e devota amica come Elisabetta. La quale poi ebbe ad assistere, verso la line dell'anno, alle prime gioie materne di Isabella, poiché il 31 dicembre 1493 nasceva appunto la sua primogenita Leonora {^), dei cui progressi noi abbiamo qui a tener conto, perchè essa pure era desti- nata un giorno a divenire Duchessa d'Urbino. In lei, secondo un pietoso costume del tempo, rifaceva Isabella il nome della madre estinta (^) ; ma avrebbe di gran lunga prefe- (1) Vedi su di ciò le citate Relazioni con gli Sforza, pp. 85-8fi. (2) Atto di nascita: " Die ult. Decembris hora xvj jam pulsata " nata est iufans femiua Elionora, Violantes et Maria nominata, " qne baptizata fuit ecc. Fueruut compatres Mag.<""5 Dom. Paulus ti Barbus Patricins Venetus capit. Verone prò Ser.'"° Dominio Veu net., Mag.'^"^ Dom. Lud.<="s de Fogliano prò D. L.<=" Sfortia, ecc. ". (3) Il 14 febbraio '94, dando notizia di sé e della bimba alla zia, la Regina d'Ungheria, dice : « Rcnovarò in lei el nome de la felice .1 memoria de la mia ex.'"' matre, quando se baptizarà " (Copialett., L. iv). Il battesimo solenne non aveva ancora avuto luogo. Il 9 gennaio '94 il Marchese invitava come padrino Lorenzo di Pierfran- cesco de' Medici, il quale rispondeva con questa lettera : Ilpne Dnc mi max. ben. — Non potrei exprimere quanta coiisola- tione et piacere habbia presa deUa nata figliuola ad V. IH'"'' S., né quanto io me li reputi obligato degnandosi quella per ineffabile sua benignità da servitore assumermi in suo compatre. Alla quale solemnità, se come seria mio debito et desiderio, non sarò presente excusimi appresso V. S. la mala valitudine, che per occasione di scesa calda et sottile con una febbre accidentale continua m'ha distenuto in casa dall'entrata del mese in qua. Della quale benché per gratia de Dio sia alquanto alleggerito, et ogni segno tenda ad liberatione et bona fine, pure per esser la infermità contratta di verno in questa aria sottile contraria alle scese, mi sera necessario stare in buona guardia bon spatio di giorni. Ma quello che non potrò io penso sa- tisfaccia Gioanni mio unico frat'^Uo, al quale scriverò che doppo il votivo cammino di S. M. dell'Oreto ove al presente si ritrova pigli la volta di Mantua. Il che ad epso sera car.'"" per far suo debito et per vedere le vostre regione; nò io potrei substituire vicario più ad me adherente, né ad V. S. più caro et accepto. Ringratio suminamente - 69 — rito un maschio ('). Nonostante i dolori morali sopravvenuti negli ultimi tempi della gravidanza, il parto riusci V. S. deUo avviso et della assumptione, pregando N. S. Dio ve ne conceda de maschij, et della presente figliuola vi doni quella contentezza che la S. V. desidera. Cosi la supplico si degni raccomandarmi et offerire alla IH"'» sua consorte mia hon.''^* madonna et comatre. Del ritratto al naturale della città di Parigi se è con ogni diligentia investigato, né si truova in Fiorenza chi lo habbia; di che per amore di Y. S. mi dispiace assai. Agnolo del Tovaglia vostro servitore ha tolto carico scriverne al suo cugnato, et io ancora per questa causa ad altri amici mei ne scriverò me lo mandino per il primo corriei'i, et ad V. S. subito che lo haremo se invierà. Alla quale m'oifero pa.- rat.'iio se in altra cosa posso* compiacerli, quam Deus ex sententia fortunare dignetur. Fior, die xvi jan. 1493 (st. fìorent. ; st. com. 1494). E. Y. D. Si- Laurentius de Medicis. Le ragioni politiche per cui in quell' anno il Gonzaga stimò op- portuno rivolgersi a quei Medici nemici a Piero s'intendono facil- mente (vedi LiTTA, Famiglie, Medici, tav. xii, e Capponi, Storia della repubblica di Firenze, III, 4 e 39). Giovanni de' Medici (il fu- turo padre di Giovanni da le Bande Nere), delegato dal fratello, veniva a Mantova alla fine di febbraio (vedi lettera di Lorenzo, 23 febbraio '94). Il 2 marzo Isabella comunicava al marito: '; El « iSIag.'^'' Johanne di Medici è venuto questa mattina qua a disnar: « l'ho facto allogiare in corte et dopo disnare è venuto a visii. tarme, io l'ho acarezato et factoli vedere la camera et Triumphi « et anche la nostra puttina » (Copìalett., L. iv). I Trionfi sono naturalmente quelli del Mantegna. Quanto al « ritratto al naturale « della città di Parigi ", nominato nella lettera di Lorenzo, sarà agevole vedervi uno di quei disegni topogi-afici, di cui i Gonzaga amavano tanto ornare le pareti dei loro palazzi (cfr. Luzio, in Archivio storico dell'arte, l, 276 e segg.). Per avere il disegno di Parigi nel 1497 ii Marchese si rivolse a Giovanni Bellini (Luzio, ibid., p. 277). Anche Isabella, molto più tardi (nel 1523) desiderava disegni di Costantinopoli e del Cairo. Bertolotti, Archit., ingegn. e matem. in relaz. coi Gonzaga, Genova, 1889, p. 28; estratto dal Giornale Ligustico. (1) Vedi nel lib. iv del copialettere d'Isabella le lettere alla so- rella ed al padre, 1 e 2 gennaio '94. Nella prima dice: " L'haverà u inteso corno ho parturito una putta, la quale insieme cum mi sta u bene, avenga che la non sia stata secondo el mio desiderio. Pur - 70 — felice se non agevole (*) ; onde nel gennaio del 1494 Eli- sabetta, rimessa di nuovo in salute, riprese la via di Ur- « cìoppo che cussi è piaciuto a Dio rilaverò cai'a ». Maggiore fu il suo dispiacere allorché il 13 luglio 149G partorì una seconda femmina, nella quale rinnovò il nome della madre del marito, Margherita (v. copialettere, lib. vi). Il Marchese quella volta mostrò prendersela con più spirito della moglie, poiché rallegrandosi il 29 luglia del parto felice, aggiungeva: " Né accade che per essere stata fem- « mina voi né altri ne restino freddi, però che se mai patre si chiama u contento di figlia, noi se chiamiamo et di questa et de l'altra, spe- " rando che N. S. Dio, comò ne ha concesso de le femine, ne darà u ancora de li maschi, et noi siamo ben acti a posserne fare ». La piccola Margherita, ciò nonostante, pensò meglio di volarsene al cielo la notte che precedette il 23 settembre, ond'è che i genealogisti ignorarono affatto la sua esistenza. Il buon Capilupo la lodava molto, e il 21 luglio, scrivendo al Marchese, dicevagli: « questa putina... « è nasciuta più bella che non fece la ili""* M-» Elenora et ha qualche •similitudine di V. Ex. ". Leonora cominciava già ad invidiarla e sfoggiava, con compiacenza dei circostanti, il suo spirito infantile. (1) Il 2 febbraio 1494 la Marchesa rimanda a Ferrara nna, pietra de Aquila e scrivendo al Prosperi dice che sebbene quella pietra la si vanti " molto a proi^osito a facilitare il parto >', non ha punto mostrato per lei « la virtù sua », perchè « nui senza grandissima " difficultà non se scaricassimo ». (Copialett., lib. iv). Ciònonpertanta non intepidì la fede di Isabella in quel genere di pietre, dacché sul principio della seconda gravidanza (19 die. '95) partecipava al marito: « De le due petre da l'Aquila che ho, una ne porto de continuo " adesso, l'altra mando a la Ex. V. secando che la me recercha ». La credenza superstiziosa nei vantaggi, per le partorienti, della co- sidetta pietra aquilina o etite vive ancor oggi tra i nostri volghi. Quel curioso amuleto suole essere una pietra vuota di dentro, che ne contiene un'altra. Cfr. C. Pigorini-Beri, Costumi e superstizioni dell'Appennino Marchigiano^ Città di Castello, 1889, p. 268-70. Tale credenza trovasi puro oggi nel Veneto ed in Sicilia e fu dottrina medica nei secoli scorsi, come ci scinve il dotto quanto gentile dottore G. Pitré. Cfr. F. Marzolo, / pregiudizi in medicina, Milano, 1879, p. 25: " L'etite, o pietra dell'aquila, ha virtù di facilitare il u parto e d'impedire l'aborto, a seconda che si applica alla parte " inferiore o superiore del corpo ». — 71 — bino (0- Ed Isabella ad accompagnarla col pensiero, a scri- verle teneramente : « Non posso già preterire che non la « certiiìchi ch'io sento grande perturbatione d'animo quando « penso che sono priva de cussi dolce et amorevole con- « versatione quanto era quella de V. S. Mentre ch'io son « sta in ledo me n'è parso stranio, ma molto più me ne « parerà comò usisca de casa (^)... V. S. presso a me non « ha pare d'amore se non la unica mia sorella M* Duchessa « de Barrj ^. Il 7 febbraio informa la cognata d'essere a Marmirolo, ove si trastulla con la caccia ed attende una rappresentazione che si farà in fin di carnevale (^). I Duchi frattanto erano giunti ad Urbino, e tutti mostravansi lieti di veder la Duchessa « bella, sana et salva ». Feste cordiali furono fatte loro dai sudditi : « Tutti li putti « li andorono incontra fino a li confini cum le olive in mano « gridando : Feltro, Feltro, et cinctura, cindura, et simi- « liter tutte le donne meglio ornate che possevano... Non « pretermetterò certe representatione che furono facto infra « via. Et prima, discosto da Urbino circa quatro miglia, « in uno pianetto de una collina se scoversono a l'impro- " viso li cantori a cavallo in forma de cazatori cum alcune " nymphe vestite a l'anticha cum li cani a lasso, li quali (1) Vedi Diario ferrarese, in i?. /. S., xxiv, 287. Nel dicembre '93 era andato a prenderla Guidubaldo. (2) Questa lettera è del 20 gennaio (copialettere). Il puerperio era stato felijCissimo e la Marchesa girava già pel palazzo. Usci per re- carsi alla messa il 27 gennaio. « El doppio direnare sentendosi bene " et desiderosa pigliare de l'aiere, montò a cavallo et andò fin sul " Te a solazo, et doppo voltezando un pocho per la terra, che fu " de gran recreatione ad tutto el populo, se ne tornò de bona voglia « al castello. Domane matina vole andare a S'^ Maria de gratia ad « desfare uno suo voto ». Cosi Beatrice de' Contrari al Marchese. (3) D'Ancona, Origini^, ii, 365. — 72 — « subito disciolti presono alcune lepore portate vive a posta, « cantando certe canzone al proposito de la tornata de loro « S'" et aproxiniandosi a la terra, aparve la Dea de l'ale- « greza, la quale congratulandosi del suo tornare li pro- « uosticò molte felicitade et prospera fortuna ". Guidulialdo, superata la minorità, si svincolò compiutamente dalla tutela deirUbaldini, ed è bello il vederlo nella dignità mite e serena, nella, quasi diremmo, patriarcalità del suo governo. " Questo S"' ha preso totalmente l' administratione '- del governo del Stato, cum una incredibile satisfactione <• de li suoi populi, dinionstrando a ciascuno tanta buma- •• nità, clementia et gratia, che più non porieuo desiderare, « tenendo sua S''^ uno optimo ordine. La matiua depò la " messa, la quale mai abandona, escie fora in lo salotto et « mettesi a sedere a tavola, et lì ascolta tutte quelle " persone che sono di qualche gravità, et expedite queste, « se mette andare intorno a le logie prestando audientia a « contadini et ad altre povere zente, et tutte le suplicatione " de un di che li sono porte, l'altro dì, prima che vada '• fora de cammera, insieme cum li cancellieri et uno doc- « tore, che è m. Dolce overo m. Alexandre de Arezo de « Lombardia, expedisce » (*). I" Qualche mese dopo Elisabetta aveva il conforto d'ospi- tare essa la cognata, che, per un voto fatto nel parto, compieva un pellegrinaggio a Loreto ('). Quando Isabella partì il 10 marzo da Mantova e recossi prima a Revere, poi a Ferrara, ove si trattenne alcuni giorni, aveva iuton- (1) Sono brani di lotterò, che Sigismondo Golfo scrisse da Urliino il 22 e 23 gennaio '94. (2) Del voto e. del viaggio toccammo l)reveraente anclie nelle i?e- lazioni con gli Sforza, pp. 94-95. zione d'andare prima ad Urbino, per « stare in devotione la septimana sancta » e di là a Loreto e ad Assisi (*). Ma poi mutò il piano, per esserle A'enuto incontro ad Argenta un messo della Duchessa, il quale le disse che in un paese montagnoso come Urbino non avrebbe potuto essere convenientemente onorata in quaresima, per mancanza di pesce. Elisabetta pertanto la consigliava a recarsi prima a Loreto, e poi ad Assisi ed Urbino, nel ritorno. Ecco pertanto come aveva fissato le tappe : ^ Postdomane, che •-• serra li xxi (marzo), andarò al Cesenatico, a li xxn ad « Arimine, a li 23 a Pesaro, a li 24 a Senogalia, a li 25 « in Ancona, a li 26, che sera el mercore sancto, ad Loreto, « dove confessata, me comunicarò la zobia mattina. De lì « in due giornate per la via de S. Severino e Camerino « andarò ad Engobio. De lì ad Asiso in uno dì, l'altro « a Perosa, sì per vedere quella inclita cita, comò perchè « dovendo audire missa et disnare, seria troppo longa gior- « nata ritornare ad Eugobio. Da Asiso a Perosa non è se « non dece milia, per una belissima vaiata, per quel che « intendo, et da Perosa ad Eugobio desdotto. Yenirò poi « de longo per la terra del Duca de Urbino, non me fìr- « mando piti de dui dì in alcuno loco. Farò la via de B,o- « magna, driciandome poi da Bologna a Ferrara per sa- « tisfare a li ili""' S. miei patre et fratelli, che me pregorono « facesse quella via nauti che ritornasse a Mantua v (2). E a questo disegno si attenne dapprima scrupolosamente. Sol- tanto da Loreto, per muovere a Gubbio, anziché prendere la via di Camerino, tenne quella di Jesi. A Grubbio furono ad incontrarla i Duchi di Urbino, e dovè fermarsi più che (1) Lettera 16 marzo al marito uel lib. iv del copialettere. (2) Lettera da Ravemia al marito. 19 marzo, nel copialettere lib. IV. V le sole tre feste di Pasqua, come aveva in animo; di là procedè per Assisi e quindi fece una corsa sino a Camerino, ove dai Varano ebbe liete ed oneste accoglienze. II palazzo di Gubbio, di cui abbiamo già toccato, le piacque assai : « Lo aparato del palazo è molto magnifico, ultra clie « da se sia tanto bello et ben situato, che non sciò se ve- « desse mai cosa clie me piacesse piti de questa, per essere « posto in loco che signoreza tutta la città et piano, et ha « un giardinetto cuni una fontana in mezo de grandissima « recreacione. La cita è assai bella et ben populata e molto « mercantile ». Delle amorevolezze poi dei Duchi non scrive nulla " perchè certo non poterla dire tanto quanto è » (*). Coi Duchi d'Urbino al fianco, il proposito di trattenersi due giorni per luogo non era effettuabile ; se stette una decina di giorni a Gubbio, comprese le escursioni, ne passò meglio d''uua dozzina in Urbino f). Fecero insieme a piccole tappe (1) Lettera 30 marzo da Gubbio al marito, nel cit. copialettere. Da queste lettere interessantissime non facciamo che spigolare qualche notizia. Più diffusamente ce ne occuperemo, se un giorno ci verrà fatto di scrivere uno speciale lavoro sui viaggi d'Isabella. (2) Delle dilazioni a cui cortesemente la forzavano i Duchi è parola nella seguente letterina autografa al Marchese: Illm" S"- mio, Non bisognava che la S. V. facesse scusa cum me de non me respondere de sua mano per esser ocupato col S. Don Alfonso, perchè a me basta che la me faci scrivere per un canzeliero, non desiderando io altro cha de intendere el suo ben stare, del quale ogni bora voria sentire; e confesso che se la cometterà che spesso ne sia avisata che la non me poterla fare magiore gracia. Io non mi posso partire questa setimana de qui, per non me volere dare licentia el S. D. e Madona D. quali me fanno tanto honore che più non se potoria dire, comò melglio per altre mie intenderà. A la S. V. me recomando e pregola me are- comandi a m. Zuan Maria. In Urbino adì xvr de avrille. Quella che l'ama quanto se stessa Isabella, mano pp. La prima lettera autografa, in ([uul viaggio, la scrisse il 1<» aprile da Gubbio, firmando Quella desidera vedere la S. V. Isabella da Este — ro il cammino da Gubbio ad Urbino, trattenendosi special- a Cagli ed a Casteldurante. Dovunque apparamenti sul ge- nere di quelli che vedemmo per le gite di Elisabetta: sulla piazza di Casteldurante le sette Virtù che recitavano versi da un carro trionfale! In Urbino, lasciamo la parola alla /^Marchesa: « ho ritrovato el palazzo molto più bello de « quello che per la fama sua havea imaginato. Ultra la « sua naturale beleza, l'hanno anche molto richamente guar- « nito de tapezarie, apparamenti et argenti da credenza ; mano pp. Anche quella bi'eve letterina della ventenne gentildonna è affettuosissima. Francesco pure teneva informata la moglie de' fatti suoi e della bimba, cui prodigava le sue tenerezze paterne. In una lettera originale del 31 marzo dice: " Heri andassimo a la camera « de la nostra figliolina, et hebimo piacere vederla alegra et sana, « facendola vestire in presentia nostra de li soi vestimenti de da- « masco biancho, secundo l'ordine vostro, che gli stavano tanto ben u del mondo et lei ne faceva gran festa. Questa matina di novo " la siamo andata ad vedere et trovandola dormire non l'havemo « voluta descidare " (voce dialettale mantovana : svegliare). Di ciò anche Silvestro Calandra il giorno stesso, e aggiunge che il Marchese è andato a prendere Alfonso d'Este, per condurlo " a solatio a falchoni ». Ecco le ragioni per cui Francesco non poteva scrivere di sua mano. Per la tenerezza paterna del Marchese è anche notevolissimo certo suo biglietto, con cui accompagnava alla piccola Leonora, VH agosto 1498, il dono d'una lepre : « Questa matina essenda " montato ad cavallo a piacere ed imbatendomi in una lepora, l'ha- « vemo presa cum li nostri cani. Dove, aciochè tu participi de la " nostra caza, te mandamo per il presente corero la dieta lepora, li ad fin (jhe te la godi, per amore nostro ". Cfr. Pélissier, Lapolitique dit marqicis de Mantoue, La Puy, 1892, p. 4, n. Violante de' Preti poi, informava giornalmente Isabella della salute e dei vezzi della piccola Leonora, nonché della nutrice di lei e delle feste che alla bambina venivano fatte. Più tardi, il IG luglio, il povero Teofilo Collenuccio figlio di Pandolfo, che doveva lasciar la vita a For- novo, vantava pure la gran leggiadria di quella fanciuUetta, e di- cova scherzosamente d' insegnarle a ballare la mazzacrocca ed il mattarello. Vedasi Giorn. stor. d. leti. It., xi, 304. - 76 — ^ avisando Y. Ex. che iu tanti loci corno sono stata fin « qui nel stato suo, li apparamenti che ho ritrovato in uno « loco non è stati posti in altro, et da lo primo dì ch'io gionsi « ad Eugobio fin qua, sempre sono stata più honorata et ^ le spese ogni dì piti sumptuose, per modo che non sciò « corno se potesse fare più ad una noza. Molte volte ho « temptato de fare sminuire le spese, pregandoli che dome- ^ sticamente me volessino tractare, ma non è mai stato « remedio che 1' habiano voluto fare. Poteria ben essere <^ che questo proceda per bavere el governo lo ili""" S. Duca, « qual non studia in altro che iu demonstrare generosità. * L'ha una bella Corte adesso et vive molto siguoril- * mente, governandose veramente cum grande humanità, « gravità et satisfactione di populi. L'è ben vero che l'usa « del S. Octaviano per consigliere, ma lui è quello che « dà audientia, ecc. " (*). Isabella si spiccò finalmente da Urbino il 25 aprile e per la via di Romagna giunse il 30 a Bologna, ove l'accolsero con grandi dimostrazioni di simpatia i Bentivoglio (*). Il distacco riuscì penosissimo ad Elisabetta, che trovò accenti di cordialità intima e profonda nella lettera diretta alla Marchesa il 26 aprile : « Non « sciò cum che altro modo medicare al dolore che me ha « dato la partita di Y. S., la quale me ha lassata quasi « nel termine non che me si fusse partita una cordialis- « sima sorella, ma me si fusse partita l'anima ; se non ^' ognhora scriverli et quello che cum la bocha dire desi- « derarei supplir cum queste carte, dove se apertamente (1) Sempre lib. iv del copialettere. (2) Vedi nel copialettere la lettera 30 aprile '94 da Bologna. Isa- bolla era allora stretta da doppia parentela ai Bentivoglio. Annibale Bentivoglio aveva proso in moglie Lucrezia, figlia naturale d'Ercole I d'Este e Giovanni Gonzaga era marito a Laura Bentivoglio. — 77 — « io li potesse demostrar el dolore che io ho preso, mi « confido che haveria tanta forza che per compassione « farla tornare adrieto V. S. Et se io non temesse esserli « molesta, non usarla questi termini che io medema la se- « guitaria. Ma essendo l'uno et l'altro di questo impossi- " hile al presente, per rispecto di Y. S. non trovo altra « via in questo se non strettamente pregarla che se ricordi « talvolta di me che sempre la porto sopra el chore ». Nella sua permanenza in Urbino, la Marchesa ebbe oc- casione di entrare in piìi cortesi rapporti con un personaggio che già parecchie volte abbiamo nominato, Ottaviano Ubaldini, cui il duca Federico, morendo nel 14S2 e lasciando l'unico figliuolo decenne, aveva affidato la tutela di Guidiibaldo e l'amministrazione del Ducato, finché l'erede raggiungesse l'età maggiore (^). Clli storici hanno circondato questo personaggio d'un certo mistero, e gli attribuirono delle mire torbide e proditorie rispetto al nipote (^). Ma, {V) Di Bernardino Ubaldini della Carda, conte di Mercatello e di Aura Montefeltro , figlia naturale di Guidantonio , nacque Otta- viano , che fu in istrettissimi rapporti d' amicizia col grande Federico. Narra Vespasiano da Bisticci che il solo Ottaviano aveva, con Guidubaldo, il permesso di accedere alle stanze ove dimoravano le figliuole di Federico {Vite, ediz. Bartoli, p. 103). Essendo il Duca figliuolo illegittimo, si suppose ch'egli nascesse realmente Ubaldini, fratello carnale quindi ad Ottaviano, e che Guidantonio, non avendo prole maschia, lo adottasse. Che quest'opinione si accreditasse, cercò in ogni guisa Ottaviano, e infatti autorevoli testimoni sincroni, come Vespasiano {Vite, p. 110) e Giovanni Santi iCfr. Schmarsow, in Vierteljafirschr. cit., Il, 176), lo dicono fratello di Federico. I più autorevoli storici urbinati non lo credono. Intorno alla grave questione si veda la memoria speciale di A. M. Zucchi-Travagli, Della nascita di Federico duca d'Urbino, in CoLUCCi, Antlch. Picene, XXI, 97-1-47 e Ubaldixi, Storia, i, 212-222. (2) Vedi nel volume citato del COLUCCI le pp. 112-113. Special- mente asj)ro contro Ottaviano è I'Ugolixi, ii, 43-41:. Il Baldi {Gni- — 78 - a dir vero, non vi sono affatto docnmenti clie valgano a provare la grave accusa; e chi pensi come simili opinioni talvolta si formino, non sarà forse lontano dal supporre che v'abbiano contribuito da un lato la fosca ambizione del Moro, che a Milano, appunto in quello scorcio di secolo, usurpava, in condizioni analoghe, il dominio, e dall' altro la passione grande che l'Ubaldini aveva per l'astrologia e per le scienze occulte ('). Fu tanto grande la sua reputazione di mago, che i contemporanei, a spiegare l'impotenza di Guidubaldo, immaginarono che Ottaviano l'avesse ridotto così per arte magica, acciò il dominio passasse^ièllar propria famiglia! (-). I documenti urbinati e mantovani da noi posseduti non dobaldo, i, 21-23) che pur ne sospetta, non tace che nelle accuse lanciate contro di Ini può aver avuto parte anche " l'invidiosa e ««puerile malignità delle corti ". Cfr. Marcolixi, Op. cit., pp. 190-92. (1) Lo attestano gli storici tutti. E a questo proposito un altro fatto va richiamato. È noto come nella biblioteca di Urbino Melozzo rappresentasse le sette arti liberali, che tanto v'erano colti- vate. Quattro soli di quei dipinti sono giunti sino a noi; due ora si trovano nella Galleria Nazionale di Londra e due nel Museo di Berlino. Lo Schmarsow dà riprodotti in fotografia i quattro dipinti. Quelli di Berlino rappresentano la Dialettica e l'Astrologia: innanzi alla prima sta inginocchiato lo stesso Federico, innanzi alla seconda sta un uomo barbuto dal profilo energico, che lo Schmarsow {Melozzo, p. 87) congettura essere Ottaviano Ubaldini. xiccoglie quest'opinione plausibile W. Bode nell'ottimo Verzelchniss der GemUlde des K. Mas. zu Berlin, Berlin, 1891, p. 175, ove parla con l'usata esattezza scrupolosa dei dipinti urbinati. Anche Federico Montefeltro amò l'astrologia, ma molto più la reale, che la giudiziai'ia. Cfr. Baldi, Federico, in, 270. (2) Vedemmo come di questa voce si facesse interprete il Bembo. Lo seguirono gli altri sino al Baldi, Guidobaldo, i, 103-4. I moderni naturalmente non ci credettero, ma ne trassero argomento per in- durre la cattiva reputazione morale di cui Ottaviano godeva. Vedi Ugolini, ii, 03. — 79 - ci fanno mai intravvedere dissensi fra zio e nipote; anzi ogni volta che il nome dell' Ubaldini s'incontra, lo troviamo pronunciato con la massima deferenza. Quando nel 1498 venne a morte, così Elisabetta come Guidubaldo ne diedero partecipazione ai marchesi di Mantova, dimostrando il più sincero dolore. La prima infatti scriveva : Ill«=i et Ex"ia Domina Cognata et soror hon'"», Essendo questa matina successa la morte de lo ili. S. Octaviano mio zio quale passò da questa vita a l'altra ad bove nove cum bonissima dispositione, m' è parso el debito significarne a V. Ex. Hozi è il XV de la infirmità de sua S. qual è stata febre flemmatica. Non ne ho più presto dato adviso là, perchè li medici e tucti per lo meglioramento grande havea facto ne aspec- tavano la hberatione o ad rainus che 'l mal suo andasse ad un certo più lungo termine. Ma el p*° S' confidando nel meglioramento desiderava sempre retornarsi ad Urbino, imaginandosi in brevi doppo lo arrivar suo esser guarito : il che e da li medici e da tucti noi altri li era contradicto assai. Nondimeno fo necessario satisfare al suo intenso desiderio et così hogi fu il quarto dì che Sua S, fo portata da li homini in un lecto da Ugobio perfino a Canthiana, dove gionto se trovò alterato per forma che tucta la nocte stecte malissimo senza mai reposarsi. Depoi fu portato qui, dove non giovando humano aiuto, immo ognhora decli- nando, è morto tanto catolicamente quanto sia possibile ad imaginare, cum dolor del S. et de tucti li suoi molto intenso ; et io ne ho preso molto ben la parte mia come si ricerca per lo amore e chareze che sempre me ha facte da patre. El S. intende e si prepara de farli honore come è obhgato. Idio per sua clementia habia misericordia a l'anima sua. A la Ex. V. insieme con lo S. mio ìlV^° de continuo me re- comando. Callij, xxvn julij 1498. Elisabeth Fel. de Gonzaga Ducissa Urbini. — 80 - Guidubaldo alla sua volta, informando il marchese Francesco, con lettera dello stesso giorno, si diceva afflittissimo di questo lutto domestico : « Come è piaciuto a Dio questa " mattina in ortu solis, hauti prima tutti li sacramenti de « la Ecclesia cum tanta bona discretione et dispositione " insino a l'ultimo quanto dir se possa, è passata quella « benedecta anima de questa presente vita, et lassatome « cum tanto dispiacere et cordial dolore per haverlo hauto « io sempre in loco de bono et honorevole patre per l'a- « more, fede et carità el portava ad me et a le cose mie « quanto dir si possa ». Nel soggiorno urbinate è lecito supporre che il conte Ottaviano più volte abbia parlato alla Marchesa di cose astrologiche, onde in essa, che da superstizioni non era immune, nacque il desiderio di farsi comporre colà uno di quei giudizi , cui tenevano tanto i signori del tempo (*). (1) Sui giudizi astrologici cosi bene sfruttati poi daU'Aretino, vedi Luzio, Pietro Aretino ne' primi suoi anni a Venezia, Torino, 1S88, p. 5. Quantunque i veri centri dell'astrologia fossero Bologna, Pa- dova e Milano, anche i signori di Mantova non mancarono di appassionarvisi. Vedi F. Gabotto, Bartol. Manfredi e l'astrologia alla Corte di Mantova, Torino, 1891. Noi pubblicammo altrove (Relas. con gli Sforza, p. 138) un brano di lettera di B. Capilupo alla Marchesa, d'onde si deduce (seppure il Capilupo era bene informato) che essa apprendesse dal Moro certe super-stizioni astrologiche , come quelle relative alla combustione della luna. Ma s'ingannerebbe chi credesse che soltanto da allora Isabella prestasse fede all'astro- logia. Lo smentiscono i documenti del 1494, che stiamo per addurre. E già prima, nel gennaio '94, sappiamo che ad Isabella mandavansi da Ferrara i giudizi del famoso Pietro Bono Avogario (Luzio, op. e 1. cit, n. 3), il più notevole astrologo degli Estensi nel sec. xv, che godeva fama per tutt'Italia. Copiose notizie su di lui in Gabotto, Nuove ricerche e doeum. sull'astrologia alla Corte degli Estensi e degli Sforza, Torino, 1891, p. 25-28-, cfr. anche p. IH. - 81 — Come di cosa intesa ne scriveva Isabella all'Qbaldini da Bologna, il 1° maggio 1494 : « Mando qui inclusa a la « S. V. la natività mia, a ciò clie la possi far fare el jtc- « dicio, comò me ha promesso » . Ma per essere l'astrologo (un tal m. Jacomo) malato d'occhi, il conte non potè servirla come desiderava ; solo le fece intendere il 23 giugno che procurasse pigliare « manche piacere che sia possibile ^ del currere cavalli ^j. Rispose la Marchesa con la seguente lettera caratteristica, che figura nel copialettere : 111. Ho inteso per la lettera de V. S. la causa che ha differito el iiiditio mio, ma ho inteso et per essa lettera et per quella che l' ha scripto a Benedicto Capilupo el particulare pericolo ch"io porto de' cavalli. Ringratione summamente V. S., la quale non me poteria bavere facto cosa più grata, sì per rispecto mio, comò per l'amore che vedo mi porta Y. S., et lo ricordo suo serra presso a me di tale auctorità , che ho deliberato non far più correre cavalli come soleva. Haverò ben caro che la S. V. me voglia fare chiarire in qual tempo de la età mia porto più periculo, et, se possibile è, vedere se 1 cavallo ha signo alcuno o de che pelo el sia, perchè ho già inteso da altri che anche de questo particulare si pò bavere noticia in astrologia ; et quanto più presto me ne avisarà tanto più li serrò obligata, non si scordando perhò de fare compire tutto el juditio mio. Ne li rincresserà raccoman- darmi alli 111. S" Ducha et Duchessa, et a la S. V. me offero et raccomando. Capriane, xvm julij 1494 ('). (1) I giudizi personali riguardavano quasi sempre abitudini da la- sciare pericoli da schivare, e s'intende come il farli non dovesse costare grande fatica. Cosi p. es. Antonio da Camera, clie dimorò anche in Mantova parecchio tempo, scrivendo nn f/iudizio a Francesco Sforza, gli raccomanda il 27 febbraio 1452 di guardarsi spe- cialmente dal veleno (p. ]0\ e più specificatamente il 14 giugno 1457 " maxime per mano di femmina ». Docum. milanesi pubblicati dal Gabotto, Nuove ricerche, p. 10 e 12. 6 — Luzto Kenier. — 82 -- Il giudizio, seppur capitò, stette gran tempo a venire, che il 15 ottobre ancora non era finito ; ma Ottaviano aggiungeva in nome del suo astrologo che la Marchesa <• si « guardi nel sexto mese dal dì de la natività sua et ne « l'ultimo quarto de l'anno de dieta natività » (*). Atterrita alquanto da queste così precise indicazioni. Isabella si astenne per qualche tempo dal correre troppo a cavallo ; ma poi il suo l)uon senso o la sua brama giovanile di tra- stullarsi trionfarono, ed ella ritornò, in barba all'astrologo, a quelle abitudini di amazzone, che furono una delle sue maggiori passioni ('). (1) Maestro Jacomo era d'umore balzano; e l'Ubaldini, scusandosi con Isabella se il giudizio tardava troppo, dice che « bavendo a far 1. cum simili cervelli quale el suo bisogna aver patientia... « Avrebbe potuto ordinare il giudizio ad un altro astrologo, M" Paolo, u ma « per essere impedito in questa permutatione de soi benefitij et " asumptione sua a lo Episcopato de Fossombrone non li haveria " possuto attendere per niente ». Questo astrologo era indubbia- mente Paolo di Middelburgo, olandese che avendo dovuto fuggire dalla sua patria, riparò prima in Padova, ove insegnò nello studio, quindi in Urbino. Quivi fu protetto da Federico e da Guidubaldo, ed essendo egli ecclesiastico fu nominato abate di Castel Durante (Urbania) e poi il 30 luglio 1494 vescovo di Fossombrone. Presie- dette al Concilio Laterano (1512-1518) e mori nel 1533. Di lui Bern. Baldi scrisse una biografia tuttora inedita, che si legge in un co- dice della bibl. Boncompagni in Roma. Copiose notizie diede del nostro vescovo e astrologo G. Uzielli, Paolo Dal Pozzo Toscanelli iniziatore della scoperta d'America, Firenze, 1892, pp. 108 segg. Riferisce rUzielli che il Paciolo, dedicando nel 1494 a Guidubaldo la sua Summa di arithmetica, scrive a proposito dell'astrologia: « De u la quale el principe oggi fra mortali è il S' Ottaviano vostro u barba, insieme con il Rev. Vescovo foro-sumproniense Paolo de " Midelborgo » (p. 112). (2) Indizi posteriori delle credenze astrologiche della Marchesa non mancano, ma tutto induce a credere che essa vi si lasciassi^ andare più per al)itudine che per vera e salda convinziono. Jacopo — 83 — Il 1495 non ci reca grandi novità nei rapporti dei Gonzaga con Urbino. Nelle vicende politiche e nella guerra di quel travaglioso anno ebbero parte, con varia fortuna davvero, tanto Guidubaldo quanto il Marchese di Mantova. Quest'ultimo non mancò di descrivere anche alla Duchessa d'Urbino, col lirismo di buona fede dei primi giorni, quella cli'ei credeva vittoria del Taro (*), e certamente la buona sorella se ne sarà compiaciuta. Essa aveva mandato a Francesco, alcuni mesi prima, un artista di rare doti per nome Adriano, intorno al quale, purtroppo, non siamo in grado di dare alcun schiarimento. Egli era nientemeno che scultore, medaglista, poeta, improvvisatore e suonatore di lira ! E pare che in tutte queste cose fosse meglio che mediocre, poiché Elisabetta, non certo facile di gusto, se ne appad'Atri scrive al Marchese il 23 nov. 1497 che Isabella aspetta di sbrigare una pratica, perchè " domane alle 13 bore è la coniunctione u sive combustione de la luna n. Il 2 nov. '99 da Ferrara le mandava un giudizio Stefano della Pigna, nel quale, tra l'altro, si pro- nosticava la nascita, per Tanno dopo, d'un maschio... e infatti nacque Federico. Per altre relazioni astrologiche del Pigna col Marchese, vedi GrABOTTO, B. Manfredi, pp. 33-44. Da Ferrara scrive Isabella al marito il 9 maggio 1503: " Domane, anche per esser la combu- " stione de la luna, me pareria che qualche desastro me havesse ad u incontrare quando me ponesse a camino ». Intorno alla prigionia del Marchese, il 15 agosto 1509, mandò una importante petizione astrologica ad Isabella Peregrino Prisciano, che fu edita da F. GrA- BOTTO, B. Manfredi, pp. 36-38, il quale produce anche altri documenti astrologici mantovani posteriori a quel tempo. Persino quando mori alla Marehesa, con suo gran dolore, la cagnolina Aura, ed ella le ordinò una « bella sepoltura ", volle « metere di sua mano la jn-ima " pietra a xx bore per calculo astrologico! " Lettera di G. I. Calandrai a Federico del 30 agosto 1511. (1) Lettera 16 luglio '95 pubblicata da noi nell'articolo Francesco Gonzaga alla battaglia di Fornovo, Firenze, 1890, pp. 21-22; estratto à-AÌVArchivio storico italiano. — 84: — gava. Ecco la sua lettera, che forse permetterà ad altri, piìi fortunati di noi, di fornire qualche particolare sul versatile artista : jUme Principes ac Ex°»« D"« frater hon., Essendo che per mio naturale instinto habbia in protectione li homini virtuosi, non posso fare che ne le lor occurrentie quelli non mi siano recomendati, e però venendo Adriano fiorentino presente estensore a la Ex. V., quanto più so e posso gli lo reco- mando e pregho sia contenta aceptarlo a li suoi servitij, renden- domi certa che li suoi portamenti insieme con le operatione scranno tal che epsa ogni dì se ne chiamerà meglio servita e satisfacta. Et azò che Y. Ex. sia informata de li suoi progressi li notifico come eli' è stato per alcun tempo per servitore e familiare del Ser™° Ee Ferdinando, et essendo mò fora de la sua servitù e destituto del suo presidio per casone de la contraria fortuna soste- nuta, ha novamente collochata omne sua speranza ne la V. Ex., elegendovi per unico signor nel suo vivente , il che summopere desidera e precipue sapendo el cordial amore qual è stato sempre intra epso signore Re et la p'* V. Ex. la quale azò sappia del suo mestiere li significo come eli' è bon scultore e ha qui facte alchune medaglie molto belle, preterea è bon compositore de sonecti, bon sonatore de lira, dice improviso assai egregiamente. Conclusive per circa tre mesi che è stato qui ne ha dato piaxere assai et intra le altre suoe virtù lo reputo bono, integro e leale quanto alchuno altro...Urbini, maij 1495, Quella sorella che ama la S. quanto lei medesima IsABETA, manu propria ('). (1) Solamente la firma ò autografa. Un altro musicista (nativo di Urbino questo) trovavasi allora presso i Gonzaga: il cappellano Bernardino d'Urbino, clic non aveva tante virtù come Adriano, era solo prete e cantore. Il G ottobre 1495 lo troviamo fra i cantori che vanno a dar piacere al Re di Francia, il quale si fa descrivere da lui i lineamenti d'l8abella(Cfr. nostre Relaz.con gli Sforza,pp. 115-16). Pare che anche s'intendesse di contrappunto e componesse, o al- Il 9 novembre del 1495 Isabella attendeva a Mantova la Duchessa ed insieme il marito, e la sorella di lui. Chiara di Montpensier. Vennero infatti tutti tre ; Francesco Gonzaga, glorioso per la guerra mossa al Re di Francia e pel ricupero di Novara, ila stettero uniti ben poco, che prima del 20 febbraio 1496 Elisabetta ripartiva alla volta dei suoi Stati (*), e Francesco erasi già recato nel regno di Napoli ad un'impresa « periculosa e difficile », come la Marchesa scriveva alla cognata , lamentandosi per quelli abbandoni. A svagarsi alquanto essa invitava a venirla a trovare da Ferrara i buffoni Galasso e Frittella C). È ben vero che le rimaneva vicina l'altra cognata Chiara, alla quale meno riducesse, della musica. Lo si ricava da quanto modestamente egli scriveva da Gonzaga il 2i maggio "94 alla Marchesa: " Ho in- *t teso per m. Zolianfrancesco quanto ha desiderio la S. Y. havere u canti uovi, e esso Pallazo me domandò uno strambotino de Maru chetto, facto poci di a Mantua. Benché a noi non para troppo u solenne, corno sia el mando volontiera a la Ex. V. e insieme con a quello una calata che se canta forte asai a Roma, e anchora noi u l'inpiastramo un pocho; perchè so che la S. V. la farà parere u bona, la mando, benché io l'abia tolta e notata per udirla dire, u e poi li ho giouto quelle consonante; ma el contralto là facto u uno che havemo qui ". Che sia da identificarsi col Bernardino musico, a contemplazione del quale il Bellincioni compose una barzelletta {Hime, ed. Fanfani, ii, 205), può darsi, ma non osiamo asserire. Egli non è da confondersi col Bernardino Piffero, alla cui fama certo giovò, molto più che il merito suo, l'aver dato la luce ad un musicista celebre, il Tromboncino. Vedi Canal, Musica in Mantova, Venezia, 1881, p. 12. L'ultimo giorno del 1195 il duca Gui- , I, 266) siccome contenente i versi di Serafino improvvisati mentre era al servigio del Valentino. Dev'essere nella Vaticana. — 93 — « ciiin omne efficatìa, che lo receverò inseme ciim la p'* « M"" de gratia siugulare ". Nonostante tali insistenze, che mostrano quanto i Montefeltro prediligessero l'ingegnoso verseggiatore, vero portento di memoria tenace e di facilità nell'improvvisare, sembra che ancora per vari mesi le loro brame rimanessero inappagate, perocché il 25 aprile 1498 il cardinale Ippolito d'Este " desideroso de bavere qualche bona cosa da Se- « raphino -', rivolgevasi di bel nuovo ad Isabella acciò che facesse « copiare alcuni delli soi strambotti et qualche altra « cosa zentile che habbia composto nuovamente » ('). Né basta. Avendole il vescovo Ludovico Gonzaga diretta una richiesta analoga, ecco la risposta caratteristica della Marchesa : « Seraphino mi ha dicto che la S. V. desydera copia « del capitulo suo dil sogno. Io, benché havessi pensato « non lo dare molto fora, tamen ho voluto exceptuare la « S. V. di questa deliberatione e mandargliene la qui in- « elusa copia tolta da l'originale proprio, del quale privai « Seraphino per essere io sola che l'havesse. Prego bene « la S. V. che lo habbia charo né sia molto facile a com- « piacerne altri, anzi (se lo può fare) non lo dia ad alcuno, « perchè serei contenta poterlo bavere presso me qualche « tempo che 'l non fosse divulgato ; e se in altro posso « gratificare la S. V. comandi et a lei mi raccomando. Credo « ben perhò che'l sera gran fatica a poterlo tenire che'l « non esca fuori. Mantue, xxvn maij 1498 " (^). (1) Vedi Bibliofilo, vii, 2G. (2) Questa lettera fu pubblicata dal Gian, Un decennio della vita di M. Pietro Bembo, Torino, 1885, p. 233. La risposta è nel Bibliofilo, VII, 84. Suppone il Gian che il componimento di cui qui si di- scorre non sia altro che il Capitolo del sonno, che nei Lirici citati è a col. 1G49 : ma la identificazione ci sorride poco. — 94 —  Il primo documento a noi noto che attesti la presenza in Urbino dell'Aquilano è una lettera di Silvestro Calandra del 27 agosto 1498 (1). Il 1° settembre di quell'anno Serafino stesso comunicava da Urbino ad Enea Furiano d'essere malato di febbre. Quindi « per non haver composto de novo alcuna cosa, altro non vi mando, ma non più presto havrò fatto alcun capitolo, strambotto o sonetto vel mandarò, tanto più cognoscendo le mie cose nel conspetto di V. S. assai favorite et sopra tutte le altre ». Dal che si ricava che rispetto alle peregrinazioni di Serafino il Calmeta non era ben informato, poiché egli dopo averlo fatto fermare a Milano sino alla venuta di Luigi XII, lo conduce senz'altro a Roma e di là lo fa passare al servizio del Valentino. Noi invece, oltre il già detto, sappiamo che il 27 dicembre 1499 era di nuovo in Urbino, reduce da Genova. La Duchessa scrive in quel giorno al fratello : « Seraphino se ritrova qua venuto de recenti da Zenova, « et questa matina a la mia presentia hebbe un gran rabuffo dal S. Zo. Jac. Triultio che gli minacioe farlo apichare perchè l'haveva scritto in suo vituperio, pur si conzoe la cosa et gli remise liberamente. Dice ben voler venire in là, ma non gli presto fede ». E realmente a Mantova non ci capitò più perchè l'anno appresso (10 agosto 1500) egli moriva in Roma d'una terzana, che lo uccise non ancora trentacinquenne. Traccie della simpatia che corse tra l'Aquilano e la Duchessa d'Urbino non mancarono poi. A lei fu dedicata, perchè deditissimo le era stato il Ciminelli, la seconda edizione delle sue opere, la Sonciniana (1) Il che non toglie che vi fosse già una volta nel 1494, come riferisce il Calincta e come, dietro a lui, ammettemmo noi pure poc'anzi. - 95 — di Fano del 1505 (*) ; a lei Giovanni Filoteo Achillim indirizzò nel 1504 le CoUettanee, ove i verseggiatori grandi, minori e minimi del tempo piansero con tanta preziosità d' imagini e tanto lusso d' iperboli il grande , l' insuperabile poeta morto, di cui vivo avranno chissà quante (1) Vedi Catalogo della libreria Capponi, Eoma, 1747, p. 350; ri- produce l'edizione principe, fatta da Francesco Flavio in Bologna nel 1503. La stampa Sonciniana è ben descritta da Gr. Manzoni, Annali tipografici dei Soncino, voi. lii, fase, i, pp. 73-77. La diciamo seconda, perchè la Sonciniana di Pesaro del 1504 fu dimostrato dal Manzoni, Op. e loc. cit., pp. 68-73, non esser mai esistita. Curioso il notare che uno dei più ardenti ammiratori di Serafino, Panfilo Sasso, volle anch'egli dedicare i suoi versi ad Elisabetta d'Urbino, cui nella dedicatoria disse : " li versi miei sol per questo me piaceno, u che per te li ho composti ". Vedemmo la rara edizione del Sasso, Venezia, per Guglielmo da Fontaneto, 1519, che è delle più pregiate. Più volte ne' suoi versi il Sasso tesse le lodi di Elisabetta; in uno dei capitoli finge una visione nella quale la Duchessa è gravemente malata ed il fratello Francesco invoca l'aiuto di Giove, il quale, pregato pure dalle maggiori deità, manda Mercurio ad Urbino. Questi trova intorno alla morente tutte le donne più insigni della mitologia, della storia sacra, della romana e della greca. Egli fuga la morte ed Elisabetta insana. La austera e mite signora d'Urbino era in genere molto onorata dai poeti. Alle notizie che si ricaveranno dai documenti addotti in questo libro ci sia concesso aggiungere qui il ricordo d'un sonetto che le dii'esse il Cariteo. Cfr. Le rime del Chariteo, ed. Pèrcopo, Napoli, 1892, il, 213 e cfr. l, CCXLII. Fi- lippo Schiafenati le dedicava con un suo sonetto una raccolta co- piosa di strambotti dovuti per lo più ad imitatori di Serafino. Forma oggi il cod. Vatic. Urbin. 729, illustrato recentemente da G. ZanNONi, Strambotti ined. del sec. XV, Roma, 1892 ; estr. dai Rendiconti delVAccademia dei Lincei. Nota quivi lo Zannoni (p. 4, n. 1) che un Marco Rosiglia le intitolò nel 1517 wa Opera nova « contenente per u la maggior parte strambotti, per consolarla della morte del mat< rito ». Anche il mantovano Giovanni Muzzarelli dedicò ad Eli- sabetta un romanzo amoroso-pastorale, sinora inedito, di cui avrà prossimamente ad occuparsi l'amico nostro Vitt. Gian. — 96 — volte invidiato i trionfi e fors' anche denigrato la facile gloria (•). L'amico e biografo di Serafino, Vincenzo Calmeta Collo (^) (1) Del libro, come tutti sanno, trasse eccellente partito il D'Ancona. Una delle migliori coso di quel volume indigeril)ile è il testa- mento umoristico dell'Aquilano, chiuso da Bernardo da Bibbiena in un sonetto a coda, che moltissimi riferirono, fra cui a p. 215 il D'Ancona. Vedasi il buon commento che a quel sonetto fece l'Antinori, pubblicato da E. Casti, Serafino delPAquila e Bernardo da Bibbiena, nel giornale aquilano Letteratura montanara, an. il, 1889, n. 24. Sulla morte di Serafino è assai notevole il sonetto in vernacolo attribuito ad altro cinquecentista, Mariano Marerio. Ve più affetto e più modcrnitA, certo che in tutti i versi delle C'ollettanee. Vedilo pubblicato dal Casti nel Bollett. della Soc. di storia patria dee/li Abruzzi, iv, 16. La seconda (piartina suoiui : Poera mamma, piagne pelligrinu De casa se' lu suu Serrafìnigliu Senza bisognu a fa da minestrigliu 'Nmezzo a Milanu, a Mantova et Urbinu. L. Fioravanti {Vita e poesie di Serafino Aquilano, Teramo, 1888, p. 18), e non è l'unico, pone Serafino tra gli interlocutori del Cortegiano. E un equivoco grossolano. In conversazioni che si fingono tenute nella primavera del 1507, sarebbe pur grazioso che comparisse un personaggio morto nel 1500! Nel Cortegiano è introdotto fra Serafino il buffone (ediz. cit., pp. 167 e 250), e vi ò nominato maestro Serafino il medico (p. 231 ì. L'Aquilano v'è indicato come morto, e chi per l'appunto lo rammenta è il Bibbiena, il quale ci- tando un sonetto del Pistoia, a noi non pervenuto, dice che " Se41 rafino s'assomigliava molto ad una valigia " (p. 219). Ciò forse pel suo gran girare, ma forse meglio per la corporatura, giacché era, secondo il Calmeta, " di statura meno che mediocre, di membri " più robusti che delicati ". Tornando all'Achillini, si rammenti che nel suo Viridario (Bologna, 1513, e. 19-1 r.) egli impone al poema, da cui prende commiato, di recarsi anche ad Urbino : A Urbino a la Duchessa te ne andrai Et ad Emilia, che hanno il nome eterno; Salutate e honorate, gli dirai : Mia servitù confermo el core interno. (2) Cosi firma una lettera ad Enea Furiano del 30 settembre '9H, in cui si duole di non potere corrispondere come vorrebbe al dosi- — 97 — era egli pure, come si sa, un estimatore dei Duchi d'Urbino ed un frequentatore della loro Corte. Gli è appunto nell'anno 1498, cui siamo giunti (anno del resto per le relazioni nostre poco notevole) (*), che una lettera urbinate (27 agosto, del castellano Calandra) ci dice : •• Vincenzo Calmeta a questa « hora debe essere a Mantua ». Già da tempo il Calmeta era noto ai Gonzaga, cui l'aveva raccomandato nel 1495 il Tebaldeo (^). Alle Corti di Mantova, di Ferrara, di Milano, di Roma sembra certo che si fermasse qualche tempo ; ma quella in cui trovò maggior favore fu senza dubbio la Corte d'Urbino. Del resto la sua vita è oggi assai oscura, quantunque godesse presso i contemporanei estimazione grandissima (*). Anche la Marchesa di Mantova apprezzava assai le prose e le poesie del Calmeta, ed egli di questa devio di Enea per " non haver trovato cosa alehuna in scripto ". Aggiunge " El presente correrò mi trovò con li speroni in pede, « ma leeta la littera de V. Ex. restai e missimi a scrivere quanto « a quella li mando ;'. Il Bossi dice che col nome di Vinc. Calmeta Collo è firmato un suo codice contenente la versione in terza rima dell'ars amaìuli d'Ovidio, dedicata al Moro (EoscoE, Leone X, trad. Bossi. I, 148). Il QrADRio {St. e rag., ii, 218) nota che nell'edizione Zoppiniana 1521 de' suoi scritti è soprannominato de Collis. (1) Rammentiamo solo, oltre i documenti già prodotti sulla morte deirUbaldini, una lettera da Gubbio, 13 luglio '98, nella quale Eli- sabetta ringrazia la Marchesa per l'aiuto valevole che essa era pronta a impetrar dal marito a favore di Guidubaldo, dato che egli avesse dovuto combattere contro 1 Baglioni in favore degli Oddi. Fortunatamente però quel dissidio si compose in modo pacifico. Vedi Ugolini, ii, 79. (2) Da Bologna, 29 marzo "95, il Tebaldeo cominciava una lettera a Isabella: « Ad li giorni passati scrissi una mia ad la ili'"'» S. V. « in favore de uìio Vincenzo Calmela amico mio: non sciò se quella « l'habia havuta... ecc. ". (3) Vedi, a riprova, con quanta lode ne parlino Cesare Gonzaga (Luzio, Precettori cVhabella, p. 39) e Gaspare Visconti (Renier, Gaspare Visconti, Milano, 1886, p. 104; estr. àsLÌVArch. star, lombardo). 7 — Luzio e Remsr. — 98 — protezioue si pavoneggiava, con im'aria di pretensione che è solo de' piccoli. Valga a provarlo il seguente brano di una lettera che ad Isabella indirizzava da Imola il 28 ot- tobre 1502 : « Non creda l'Ex, tua, virtuosissima marche- « sana, che per alclmna oblivione habbia pretermisso quello « debito del scrivere che a la mia servitute se conviene, « ma el superchio disiderio ch'io ho de volere a quella « servire me ha occupato in una tanto ardua impresa, che « io stesso non so considerare corno ne habia possuto optato « fine conseguire. Ho comentato, puoi la partita mia di « Mantua, quella suttilissima et profunda canzone del Pe- « trarca : 3fai non vd più cantar corno io solca, et a tua « Ex. intitulata, la quale ardisco de dire che da pochi o « nisciuno fin al presente sia stata intesa. Me doglio fin « a l'anima che io non habia havuto tempo de farla re- « scrivere in bona forma, ma per el primo messo la mandarò « a tua Ex., la quale per prima offerta de la mia perpetua « servitù se degnerà de aceptare ». E il 5 nov. pure da Imola : « Mando a quella una invectiva che fu facta centra « a Sasso per quelli sonetti et epigramma che fece stam- « pare in Bologna contra el duca Ludovico Sforza ; la quale « alchuni vogliono che io l' habia composta. Di questo me « remetto al judicio di tua Ex. Non fu mai mia natura " de lacerare altri, ma pur quando a defesa de un tanto « principe havesse sparso qualche poco de inchiostro, non « saria per questo da essere biasmato né chiamato in ju- « dicio ('). L'expositione sopra la canzone 3fai non vo' più (1) Nota ciarlatanesco modo di dire e non dire! In difesa del Moro volle levarsi anche il Pistoia, il quale scagliò dei sonetti veementi contro il Sasso. Cfr. Reniek, Sonetti del Pistoia, Torino, 18«7, p. xxxv. — 99 — « cantar, etc, la quale a tua Ex. è intitulata, non è for- « nita de rescrivere ; la mandarò per el primo : spero quella « Tederà una bella cosa... ». Quel commento fu poi inviato il 16 dicembre da Cesena. Con quanta deferenza accogliesse la Gonzaga regali siffatti, offerti con quel po' po' di pretesa, può mostrarlo questa sua lettera al Calmeta del 25 no- vembre 1504 : Calmeta : La ornatissima epistola vostra insieme cmn la arguta et ingeniosissima elegìa, ad noi dviciata, ni hanno adducta tanta delectatione quanta già gran tempo havessirao de alcuna nova compositione, per haver non solamente preso piacere de la rima et artificio suo, ma imparato la importantia de li capituli, epistole et elegìe, mai più non cossi bene intesa, quanto per la epi- stola vostra liaveti narrato. Yoressimo potervi rendere quelle laude et gratie che meritati, ma la lingua nostra né il calamo dil nostro secretario seriano suflBcienti ad explicare. Vi bastarà per adesso intendere che 'l scriver et compositioni vostre ne sono state gratissime, et da noi più d'una volta anzi senza numero lecte, sì come farimo se ve piacerà mandami de l'altre, dil che vi pre- gamo et confortamo non mediocremente. Le vostre commendatione serrano da noi facte al sig^^ et Mons. ritornati che sijno da Goito. Vui mò ne commendareti ali S" Ducha et Duchessa et pensareti se alcuna cosa serra in noi de la quale desiderati essere gratifi- cato, et ce ne dareti noticia che non ricerchareti invano, per il desiderio che tenimo de farvi piacere et beneficio. Bene valete. Mantue, xxv novembre 1504 (')• (1) Jacopo d'Atri il 1" luglio 1506 spedi da Gonzaga ad Isabella un « capitulo sive canto de un divortio.... da una sua già amata im- " meritamente » scritto dallo " elegantissimo Calmeta ", il quale desiderava che la Marchesa ne fosse messa a parte. Jacopo aggiunge u ultra che 'l capitolo sij limato et zentile, lo subiecto me pare 1! molto degno et ad qualche persona ben conveniente " (Bibliofilo, VII, 116). Di altre relazioni, non letterarie ma politiche, del Calmeta con la Marchesa, sarà più oltre discorso ; e in seguito, in luogo jiiù acconcio, si produrrà pure una lunga e caratteristica lettera che gli diresse nel 1502 la Duchessa d'Urbino. — 100 - La fine di questa lettera mostra come allora il Calmeta soggiornasse in Urbino. V'era già da tempo, poiché il giorno 5 marzo 1504 Emilia Pia comunicava alla Marchesa : « De « qua non e' è cosa che a q niella non sia nota, excepto <• che el Calmeta continuamente compone canzone e diverse « opere, et questo carnevale ha facto una nova comedia, '• la quale l'haveria mandata a V. Ex. quando havesse <» creduto fusse de piacere a quella » ('). E colà si trat- tenne a lungo, poiché ve [lo trova fra Serafino nel 1505 (); nel 1507 il Castiglione lo fa prender parte ai dialoghi del Cortegiano (^), e nel gennaio 1507 Pietro Bembo lo aveva efficacemente raccomandato al fratello Bartolomeo, dovendosi egli recare a Venezia (^). È solo il 25 marzo 1507 che avendo Vincenzo deciso di entrare al servizio del cardinale Sigismondo Gonzaga, Elisabetta si interpose a suo favore presso il marchese Francesco e dalla lettera di lei (^) chiaro apparisce come il Marchese fosse ostilissimo a questo di- segno. Perchè? A noi non fu dato scoprirlo, ma certamente qualcosa di molto grave era accaduto tra il Marchese e il Calmeta. Il Marchese non solo non aiutò, ma recisamente (1) Sinora non si sapeva nulla di composizioni drammatiche del Calmeta. A quelle feste di carnevale rese liete dal Calmeta allude anche il Bembo, in una lettera ad Emilia Pia del 20 marzo 1504, nella quale scherza su messer Vincenzo, cui allora era amico. Cfr. Lettere, ediz. Verona, 1743, iv, 30. (2) Vedi i suoi versi macaronici del 23 agosto 1505 mandati ad Isabella da Gubbio, in Cian, Fra Serafino buffone, Milano, 1891^ p. 10; estr. dall'^rc^. storico lombardo. (3) Ediz. cit., pp. 150 e segg. A p. 110 è annoverato fra i gentiluomini di Francesco Maria della Rovere. Si noti che il Calmeta erasi recato a Mantova con una commendatizia della Duchessa, che ha la data 15 novembre 150G. (4) lÌEMBO, Lettere, ediz. cit., il, 19. (5) Pubblio, dal Ci.w, Decennio, pp. 20G-7. — 101 - impedì ch'egli restasse col cardinale. Jacopo d'Atri trovò ancora il Calmeta in Urbino nell'aprile 1507, e TS di quel mese scriveva al suo signore essere la Duchessa afflitta * de la poca auctorità che haveva apresso la Ex. Y. in « non poter optenire una picola cosa di sua grandissima « satisfactione ». E soggiunge : « Io gli resposi non sapere « che Y. Ex. se lamentasse de lei di questo caso, ma che « 'l {il Calmeta) fosse acceptato dal p'° Mons. Card, sapeva « che ultra modo ve era molesto ". Andato poi a Roma, Jacopo d' Atri insistette affinchè il cardinale non accogliesse il Calmeta. E Sigismondo, malgrado le raccomandazioni della Duchessa, si affrettò ad obbedire e chiedere scusa al fratello, il quale il 20 aprile 1507 scrivevagli : « Circa il Calraetta non posso già far che non me resenti f alquanto, perchè una persona tanto odiata da noi, quanto è ^ il Calmetta, sia accarezata et ben vista da quelloro che « mi doverieiio amare, et odiar quelli che odio e non tenirne « tanto conto ; nondimeno excuso Y. S. R'"* et resto satis- « factissima de lei, laudando la risposta sua come saggia « et amorevole facta alla S'*^ Duchessa nostra comune so- « rolla » ('). Se e quanto durasse l'odio di Francesco Gon- (1) Copialettere del Marchese, L. 197. Elisabetta del resto non poteva lamentarsi che il Marchese non le avesse parlato chiaro, giacché nel Coi^ialettere 194 vi è la seguente a lei diretta: Illnia et Ex'"^ Soror hon. — Io non potria sentire né ricever il magior dispiacer clie vedermi ricerchato da V. S. in favore de Yincentio Cal- metta, quale non sento nominare senza mio gran disturbo et molto fastidio, per causa ho de non volerli bene. Perhò prego V. S. ad es- sere contenta de non mi mottegiare più di epso perchè la seria causa di uno mio notabile dispiacere, et poi non mi trovarla mai di altra oppinione. Mi duole non poter gratificare la Ex. V., ma quella mi perdonerà se li nego la richiesta sua et sij certa che alla sua i^rirna non feci resposta solum per l'odio porto ad esso Vincentio, et bora haria facto il simile in non dargli resposta se non havesse vogliuto che la non si tenesse in tutto da me mal satisfacta. Kingratio la Ex. V. de lo adviso la mi dà dil suo viaggio a Loreto, quale prego Dio gli lo presti felicissimo et a lei mi oflfero et raccomando. Mantue xxx martij 1507. - 102 — zaga, non siamo in grado di dire ; ma il Calmeta non ebbe certo per lungo tempo a soffrirne le conseguenze, giacché a mezzo il 1508 veniva a morte (*). Ben si discerne da ciò quanto interesse doveva portargli Elisabetta, se per cagione sua affrontava persino il pericolo di mettersi in urto con l'amato fratello. Non mancò il Calmeta di attestarle, dal canto suo, la più viva riconoscenza e devozione dedicandole quell'opera, cui credeva di legare saldamente il suo nome, e che invece, rimasta inedita, andò perduta ; i nove libri Beila voìgar poesia (), in cui so- steneva l'uso della lingua cortigiana, come il Castiglione ed altri valentuomini del tempo ('). La relazione del Calmeta con Elisabetta durò inalterata per anni parecchi, che una lettera di lui, posseduta solo in copia dall'archivio Gonzaga, e con ogni probabilità diretta alla Montefeltro, ci mostra come Vincenzo le fosse già obbligato per benefìci (1) Mario Equicola da Ferrara l'il agosto 1508: " al presente è " morto Calmeta ". Cfr. anche Luzio, Precettori d'Isabella^ p. 42. (2) GiAM. Barbieri, Dell'origine della poesia rimata. Modena, 1790, p. 29. Il Barbieri ne vide solo « un compendio ritrattone per 4; mano di un A'alcnt'uomo " e non gli parve " da prezzare per '• un'opera scolpita dalle nove Muse », il che volentieri crediamo, perchè il Calmeta non si levava gran fatto dal mediocre. (3) Cfr. Canello, Storia della letter. ital. nel secolo XVI, Milano, 1880, pp. 318-19. Vedasi pure Giorn. stor., xiv, 227 e 231-32. Filippo Oriolo nella sua enumerazione scrive: V'era il Calmeta, cruccioso in vista. Ch'esser dicea la vulgare poesia Nata da lingua cortigiana mista. (CiAX, Decennio, p. 229). È risaputo come quell'opera del Calmeta portasse la discordia tra lui ed il Bembo per ragioni che non si vedono troppo chiare (vedi Cian, Decennio, pp. 51-54 e Luzio, in Griorn. stor., vi, 273-74). Prima erano buoni amici, come indicano le lettere del Bembo richiamate. Nella prima raccolta di rime del Bembo ve n'erano anche del Calmeta. Cfr. Cian, Op. cit., p. 45. — 103 — ricevuti nel 1500. La lettera, interessantissima per altri rispetti, chiuderà degnamente questa nostra digressione :

 Non me pare, Illma Madonna mia benefactrice, de pretermetere el scrivere circa quelle cose che sono nove e monstruose. Saperà V. Ex. che heri nocte che furono xv del presente, circa le tre hore tornando Don Alphonso Duca de Bisey et marito de madonna Lucretia da vedere il Papa, et volendo entrare in casa sua, como fu sotto il luoco dove il Papa dà la benedictione fu assaltato da cinque cum le alabarde et hebbe due grandi ferite, ima in testa, l' altra in una spalla et due piccole in una cossa, l'altra in uno brazo. Il povereto non haveva si non dui in compagnia, uno m. Thomaso Albanese et il mro de stalla suo : quello m. Tomaso il diifese un gran pezzo da paladino tanto che 'l condusse in salvo. Volse fugire in casa, ma ritrovò parecchij altri che gli intrarono inanti per amazarlo et fo bisogno che 'l refugisse in palatio, poi se scoperse erano per il borgo Sto Spirito multi a pede et a cavallo per fare simile effecto et cerchorono prenderlo et gietarlo in fiume. Li furono straciate le maniche de la camisa così como el volsero prendere, et li lavori d'oro trovati in terra da Baboyno mio ragazzo. Quello m. Thomaso recorete in camera mia cum molte ferite et la capa sua lasciò taliata in molti pezi et recoverò quella del Duca Alphonso. Le ferite ne de Don Alphonso, ne de m. Thomaso se spera non seranno mortale benché siano grande, se altro novo aiuto non li sopragionge. Chi habij facto far questo da ogniuno se extima il Ducha Valentino... a la Ex. V. me raccomando. Rome, XVI julij MCCCCC.
Servitor
VlNCENTIUS CALMETA (1).

  (1) Ecco una nuova relazione dell'audace assassinio, con cui Cesare Borgia cercò sciogliere la sorella Lucrezia dal connubio con Alfonso di Bisceglie, contratto il 20 giugno 1498. Il Calmeta aggiunge qualche particolare nuovo al fatto conosciuto per molte narrazioni sincrone. Ciò che seguì in appresso tutti lo sanno. Alfonso che guariva, fu fatto strozzare dal Valentino nel suo letto il 18 agosto 1500. Il giorno dopo G. Lucido Cattaneo scriveva da Roma al Marchese di Mantova : « Stava Don Alphonso ducha di Biselia marito de Mª Lucretia assai bene ; pensava el Re de Napoli levarlo, ma essendo redutto quando fu ferito in certa torre presso le camere del Papa non potea facilmente levarsi. Solo el medico mandato da Napoli lo medicava, e la molie li facea lo suo mangiare aciò non fusse atosichato. Al fine heri nanti completorio morite, et sono stà presi alcuni neapolitani de li soi et de la molie, imputati che volevano amazare lo Ducha Valentino in sua casa e camera. El Papa ne sta di malavolia, si per natura del caso e per lo Re di Napoli, si perchè la filiola se despera ». Vedi GREGOROVIUS, Lucrezia, pp. 141-43 e Storia di Roma, VII, p. 520 e segg.; YRIARTE, César Borgia, I, 226 e segg., e pei confronti delle fonti anche VILLARI, Machiavelli, I, 281, n.

 Ma torniamo al punto d'onde siamo partiti. S'avvicinava l'anno del giubileo, ed Elisabetta desiderava di andare a Roma « incognita et cum pocha comitiva ». Cosi essa ne scriveva già il 15 giugno 1499 alla diletta cognata, invi- tandola ad andare con lei. Qual migliore occasione ! Elisabetta era già stata a Roma nel 1492, mentre Isabella, che pure era giunta sino ad Assisi, non aveva peranco posto piede nella città eterna. La voglia gliene sarà certo venuta, ma forse mancarono i mezzi, onde rifiutò (1). Andovvi pertanto Elisabetta sola, nella primavera del 1500. Quand'era già in via la raggiunse una lettera del Marchese, che la sconsigliava dal viaggio, certamente per quello che già buccinavasi delle mire di Alessandro YI sul ducato d'Urbino ; onde in que" tempi borgiani la dimora in Roma poteva non essere senza pericolo (2). Ma la Duchessa animosamente

  (1) Vedi la nostra cit. Gara di viaggi, pp. 5-6.

  (2) Finora questa lettera era soltanto nota per la bellissima ri- sposta che fece Elisabetta, da Assisi, il 21 marzo 1500. Vedila in Gregorovius, Lucrezia, pp. 393-94. Aveva bensì mostrato Alessandro VI, nel 1499, di favorire la disegnata adozione, per parte di Guidobaldo, del suo nipote (nato nel 1490) Francesco Maria della Rovere, ed anzi avea detto di dargli in isposa Angiola Borgia (Ugo-

proseguì il viaggio, divise la sua dimora tra Eoma e Marino, presso la cognata Agnesina, visitò in Eoma solamente le chiese ordinate a conseguire il giubileo, " dimorò in casa del card. Savelli protetta dai Colonna, e ripartì al più presto possibile senza danno soffrire (0- Isabella frattanto era assai inoltrata nella gravidanza e LINI, II, 82; GreCtOROVIUS, Lucrezia, p. 395); ma che cosa valevano le parole di Alessandro A'I? Ecco la lettera testuale del Marchese Francesco: 111 me Ducisse Urbini Ili'"» etc. — Presentendo che la S. V. ha pur deliberato de transferirsi a Eoma non posso fare per il singular amore che li porto et per il desyderio che ho del ben suo qual participa cum l'anima mia, tanto è in me fundato, che non li scriva el parere et voler mio insieme. Dico volere, rispecto a la libertà, segurtà et fìdutia che indico potermi pigliai-e et usare cum la S. V., a la quale adunque dico che la prego voglij bavere condigna consideratione a li tempi et occurrentie pre- sente qual sono de sorte che debeno persuaderla a restare a casa et non ad prestare orecchie a chi ha poco rispecto a lo honore de la casa nostra et mancho a quella del S^e vostro consorte, che tanto io estimo runa quanto l'altra, intervenendoli maxime el niezo de la persona de y. S. la qual prego voglij removersi et in tutto revocarsi da simile pensiero: et cossi la sconzuro per quanto amore et fede de cordial fx'ateJlo et sorella è fra nui, et se 'l mi è concesso gè lo commando constretto cosi da più che legitima causa, dicendoli che quando pur l'animo suo sia de mutar aiere et itinerare, laudabile cosa et digna gli serra el venirsene qua a casa sua a goderse fra le altre cose la illuia JXa mia consorte, constituta nel grado et termine che ella è, stando qui mentre che la sia descaricata in bene, in consolatione com- mune: etiam pensando che Tanno è longo et che li serra tempo de adimpire al suo desyderio et di poter tuore el jubileo al qual io an- chora designo transferirme insieme cum la p-'^ mia consorte. Sì che tutti de compagnia potremo a stagione congrua, cum salveza de l'ho- nore, contenteza comune et salute de le anime molto ben satisfare ad ogni bon pensiero de la S. V. la qual constringo de novo ad non posti^oneffi questo mio scrivere, se mai la spera gratificarmi et conse- guire alcuno suo intento de me. Et certamente quella debbe esser certa che non mi facendo contento in questo, la me priva de speranza de mai più doverla in cosa di questo mundo recircarla ; perhò la prego et sti'aprego ad volere esaudire le mie pregere comò merita il cordial amore ch'io porto a la S. V., a la qual me raccomando pregandola mi raccomandi a lo IH. S. suo consorte. Mantue, xvii mai'tij md (Copialettere, Lib. 164). (1) GrREGOROViis, Lucrezia, pp. 134-137. - 106 — il 17 maggio 1500 diede in luce il desiderato primogenito, Federico (1). Si può imaginare 1' allegrezza sua , che era parimenti tripudio generale dei sudditi. Fu invitato ad essere uno dei padrini Cesare Borgia od egli accettò (2). La Marchesa notificava ad Elisabetta, il 16 luglio, che il battesimo s'era fatto privatamente in castello e che erano stati compari (rappresentati da procuratori) l'Imperatore, il duca Valentino ed il cardinale Sanseverino. " Le turbulentie de « l'Italia (soggiungeva) ne hanno privato de baptesmo piìi « honorevole -' (^). Da Urbino veniva poco appresso una triste novella : era morto d'idropisia il fratello, illegittimo, di Guidubaldo, il marito di Emilia Pia, Antonio che, dedicatosi alla milizia, era stato armato cavaliere da Alfonso d'Aragona ed aveva combattuto al soldo dei Senesi e dei Veneziani, prendendo anche parte alla battaglia del Taro (*). Elisabetta ne partecipava il 16 agosto 1500 la morte, dicendo : « El dolor « de M* Emilia è una cosa extrema da commovere ogni « homo a compassione. El S. mio et io non siamo per « abandonarla de tucto el possibile » (^). La Marchesa (1) Volta, Storia di Mantova, il, 266. (2) Vedi la sua lettera del 24 maggio 1500 in Gregorovius, Lucrezia, p. 3S4. (3) Copialettere, L. xi. (4) Ugolini, ii, 70; Litta, Famiglie, Montefeltro, tav. in. Vespasiano dice di lui: " Aveva {Federi(:o'\ uno altro figliuolo, ch'egli u era a^^sai giovane, che l'aveva avuto innanzi che avesse la donna, « il quale si chiamava il signor Antonio. Questo volle che si desse u alla disciplina militare, ed è giovane di laudabili condizioni » {Vite, p. 102). Cfr. anche Baldi, FederUjo, in, 2(38. (5) La lettera con cui il li* marzo 1487 Marco Pio consenti al matrimonio di sua figlia Emilia con Antonio è pubVdicata nelle Memorie storiche sull'antico principato di Carpi, l, 347. Emilia serbò fede esemplare al marito defunto, come indica anche il rovescio della sua medaglia. — 107 — mandaTa subito le sue condoglianze ad Emilia nel seguente tenore :

 M.ca Ma. Emilia. — Per lettere de la Ill.ma Ma. Duchessa havemo inteso la morte del S. vostro consorte, de la quale havemo sentita quella alteratione de animo che ricercha lo amore che portamo a la S. V., perhó cum lei se ne condolemo summamente. Ma considerato che tutti habiamo a fare questo viagio et che lui cum contricione et receptione de tucti li sacramenti ecclesiastici ha facto el suo, la S. V. cum la prudentia sua debe pacientemente tollerare et cedere alla rasone, doppo che al pientissimo offitio de la bona mogliera haverà satisfacto, perchè quando haverà aquetato l'animo suo conformandosi cum la voluntà divina li suffragij che la porgerà alla anima del marito serranno più grati et acepti al nostro Sr Dio quale pregamo che per sua clementia la racoglia. Alla S. V. non potemo nui offerire più de quello che la scià potere disponere ; solum gli recordamo avalersine ogni volta che 'l bisogno et beneplacito suo lo richiede. Se 'l tempo ne havesse servito nanti la partita de questo correro haveressimo scripto de nostra mane, una altra volta suppliremo. Benevaleat D. V. Mantue, XXI augusti 1500 (1).

L'anno successivo (1501) troviamo che il Duca chiede alla Marchesa il celebre musicista Jacopo di Sansecondo : « Intendendo io retrovarse al presente lì apresso la Ex. V, « Jacomo da Sansecondo musico, quale io ho havuto gran- « dissimo desiderio bon pezzo fa de sentire, quella mi farà « singular apiacere contentarse che el predicto se transfe- « rischa fino in qui per alclmni giorni » (^). Quel valente suonatore, che vuoisi Raffaello abbia ritratto nel leggiadro (1) Copialettere, L. xi. (2) Lett. 12 luglio 1501. Cfr. Davari, La musica a Mantova, in Riv. stor. mantov., i, 61 e Bertolotti, Musici alla Corte dei Gonzaga, p. 26. — 108 — giovane rappresentante Apollo che canta accompagnandosi col violino nel Parnaso delle stanze Vaticane (*), i signori del tempo se lo rubavano l'nn l'altro. Quando il Moro era in auge, viveva Jacopo alla sua Corte, ed i Gonzaga do- vevano contentarsi d'averlo in prestito. Il 7 luglio 1493, Beatrice Sforza chiedeva da Pavia alla sorella : « Essendo « la S. Y. ritornata a casa, io penso che la dovarà havere « poco più bisogno de Jacomo da S'^ Secondo, et per questo « la prego sia contenta remandarlo subito in qua, a ciò « che lo ili""" S. mio consorte ne possa prendere qualche « recreatione in questa poca alteratione de febre terzana <• quale se sente •?. Il Marchese lo rimandava con una let- tera deiril luglio 1498, ove diceva di lui « che per il « tempo è stato appresso me, si è sforzato danne tanto pia- '^ cere che non posso fare non me gravi la partita sua ». Caduto lo Sforza, il Sausecondo prese stanza in Mantova. Probabile che nel 1501, in seguito alla richiesta del Duca, siasi recato ad Urbino ; ma è certo che nel 1503 trovavasi in Ferrara, perchè il 26 marzo di quell'anno Lucrezia Borgia lo rimandava ai Gonzaga « anclior che la stantia <• del dicto qui continua, non poterla essere più grata a « tucti questi ili"'' S" » (*). Ma è, del resto, indubitato che varie volte ed a lungo dovette Jacopo trattenersi in Urbino. Che vi fosse nel 1506 e nel 1507, lo rende probabile la menzione del Cortegiaìio e l'accenno a lui nel Tirsi (') ; che vi fosse nel marzo 1511 lo si sa con certezza per un (1) Vasaui, IV, ;j3r>-, Passavant, Raffaello, ii, i>0. (2) La presenza di Jacopo in Ferrara a quel tempo è pure atte- stata da una lettera del Bembo, LetL, li, 15. (3) V. Rossi, Appunti per la storia della musica in Urbino, Modena, 1888, p. 4; estr. dalla Rassegna Emiliana. Il Tirsi fu recitato nel carnevale del 1506. - 109 — documento già prodotto da uno di noi (*). Ma ciò nonostante i Gonzaga non se lo lasciarono mai sfuggire, e nel 1523 Federico concedeva a quel « suo musico » un'annua pensione {^) ; e 1' anno appresso si impetrava con grande calore un benefizio per lui dalla Curia papale, come prova questa lettera, diretta da Isabella a Bernardo Accolti (^): Al S"^ Unico Aretino, S"^ Unico. Desiderando lo ill°io et Ex™*' S"^ Marchese nostro figliolo dilettissimo che 'l Sp. Jaconio da S. Secondo consegui l'intento suo in ogni sua occorrentia, sempre dove gli è sta concessa l'opportunità lo ha aiutato et favorito. Hora anchor S. Ex. ha fatto scrivere in bona forma alli R'»! Cardinali Cibo et Eangone et al m^° Conte B. Castiglione ambassatore nostro in Roma che voglino in suo nome intercedere da la S** di N. S. una riserva de ducati 200 per un figliolo del p*° Jacomo, il che pensamo si debba ottenire da S. B^^^, g^ perchè noi haveressimo molto caro che 'l desiderio del S"^ Marchese havesse bon sucesso sì per amor di S. Ex. comò per essere le virtù di esso Jac° dì tal manera che ne inducono a desiderare ogni utile et honor suo, confidentemente e' è parso pregar V. S. che in ciò voglii anchor lei per amor nostro favorire et aiutar questa cosa appresso il R™° ]\Ions. Car^- suo fratello dal quale seria necessario haver il consenso di questa riserva per essere S. S"* Episcopo di Cremona. Però quanto più potemo pregamo essa V. S. che voglia ottener questo dal p"' Mons., certificandolo che oltre che S. S"* farà a noi singularissimo piacere et al S"" Marchese, et che l'uno e l'altro di noi gli ne bavera sempre summo obligo, veramente questo beneficio sera collocato in persona quale per le virtù sue merita molto ftiaggior cosa di questa. (1) Luzio, Federico Gonzaga ostaggio, Roma, 1887, p. 16. (2) Davari, in Riv. star, mantov., i, 61. (3) Copialett., L. xlv. - no — V. S. anchova lei sia secura clie questa cosa ni è molto a core et che adopraiidosi come speramo la ne farà cosa di tal satisfac- tione che sempre gli haveremo obligo; offerendoci, etc. Mantue, xxvi febriiarij 1524. Alla Corte d'Urljino la inusica era coltivata con vera e iuteusa passione. Cantava e suonava la Duchessa, che una elegia del Castiglione ci rappresenta infatti mentre canta: forse il Duca medesimo era musicista (^). Vedemmo già le premure fatte dai Montefeltro per avere il ])oeta e Gaspare siciliano. Che in Urbino soggiornasse Gian Cristoforo ro- mano, il quale univa l'arte della musica a quella della scultura, lo dice il Castiglione e i documenti mantovani lo confermano. Nel 1510 v'era il celebre liutista Gianmaria Giudeo. In quell'anno stesso doveva recarvisi uno dei massimi musicisti mantovani, il Testagrossa ; ma la Marchesa non lo permise. Ei vi andò invece nel 1525. E coi signori d'Urbino fu pure in buoni rapporti l'altro musicista celebre, Marchetto Cara, che nel 1503, per gentile pensiero d'Isabella, allietava ad Elisabetta i giorni penosi di Venezia (-). Ognun vede da tutto ciò quanto fosse vivo nei signori di V Urbino l'amore alla musica (^), e come la loro Corte, an- (1) Ce lo fa sospettare un quadro riprodotto dal Litta, il quale lo vide nel palazzo Conti di Firenze. Vi si vede Guidubaldo ginocchioni, in adorazione dinnanzi ad una santa, clic potrebbe essere Santa Cecilia, percli«3 addita un organo ch'è in terra. (2) Acccnuiaino appena a questi particolari, perchè i lettori pos- sono trovarne i documenti nei lavori diligeutissimi del Davari e del Rossi, che abbiamo testé citati. (3) Le migliori prove, del resto, sono nel Cortegiano, in quel bel- lissimo libro che ritrae la Corte d'Urbino come in un quadro ge- nialmente disegnato e dipinto. — Ili — che sotto tale rignardo, dovesse non poco a quella di Mantova (*), Il 26 agosto 1501 fu stretto il contratto del terzo matrimonio di Lucrezia Borgia, con Alfonso d'Este. La sposa, per recarsi a Ferrara, doveva passare anche da Urbino, onde ben presto la Duchessa cominciò a preoccuparsi del modo di ricevere quella figlia di papa, avvezza alle son- tuosità romane. Per quanto (lo abbiamo veduto) fossero ricchi gli addobbi del palazzo d'Urbino, le pareva non bastassero, e il 18 settembre 1501 scrisse ad Isabella d'in- viarle per quest'occasione « cinque o sei paramenti da lecto « de voluto e brocato ". L'anno dopo essa doveva accom- pagnare la sposa, per la quale certo non poteva sentire che una grande avversione. (1) Anclie i Gronzaga dovevano qualcosa ad Urbino. S'è menzionato in addietro Bernardino d'Urbino, il poeta cantore. Più tardi fu organista rinomato del duomo di Mantova Girolamo da Urbino, amico di Giulio Romano. Vedi Canal, Musica in Mantova, p. 30, n. iiiiiiiiniiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiii iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiinii III. (1502-1503) Sarebbe un portar vasi a Samo il rammentare qui avve- nimenti come l'andata della comitiva ferrarese a Roma per prendervi Lucrezia, il matrimonio per procura, in cui Ferrante rappresentava il fratello Alfonso, celebratosi il 30 di- cembre 1501, le feste e gli spettacoli ordinati allora da Alessandro VI. La Marchesa di Mantova, per essere infor- mata esattamente di tutto, mandò a Roma un agente spe • ciale, il j;re^e da Correggio, famigliare di Niccolò, delle cui lettere ha tratto conveniente partito il Gregorovius (*)• Partì Lucrezia da Roma il 6 gennaio 1502, con tale accompagnamento di altissimi personaggi quale di rado si era veduto (-). Doveva, secondo il piano prestabilito, venirle incontro il Duca d'Urbino a Foligno, ma in realtà andò ad incontrarla solo Elisabetta, a due miglia da Grub- (1) Lucrezia, pp. 201-211. Vedi anche Diario ferrarese, iu Ber. It. Script, XXIV, 390. Per altro la trascrizione dei documenti mantovani è quasi sempre poco esatta nel Gregorovius. Del jyrefe da Correggio ci occupiamo in un lungo articolo speciale su Niccolò da Correggio, clic comparirà nell'annata 1893 del Giornale storico della let- teratura italiana. (2) Grkgorovius, Lucrezia, pp. 211 e segg. 8 — Luzio e Resi.;k. - 114 — bio, mentre G uidiibaklo con la Corte l'attendeva ne' pressi d'Urbino il 18 gennaio (*). Elisabetta si fece compagna alla Borgia sino a Ferrara. 11 24 gennaio essa scriveva ad Isabella che reputava superfluo descriverle il viaggio, per- chè sapeva '• ch'el Prete del S/ Niccolò de Coregio gli « ne dà particulare adviso ». Del resto, le due amiche dovevano rivedersi ben presto, perchè a Malalbergo, presso Ferrara, fecesi incontro alla sposa, il 1° febbraio 1502, la Marchesa di Mantova. Il 2 febbraio entrò Lucrezia in Ferrara : gli splendori del corteggio, l'accoglimento solenne in palazzo, nel quale Isabella fece gli onori di casa, le feste che poscia si succedettero sono oramai cose note ad ognuno (-). La Marchesa dava di tutto al marito giornaliere notizie, non dimenticando mai di accennare la parte che in quelle cerimonie ed in quei sollazzi aveva Elisabetta C). La sposa, la Marchesa e la Duchessa attira- vano specialmente l'attenzione, sicché era difficile lo stabilire quale delle tre primeggiasse, se non per bellezza, per eleganza di foggie e per distinzione di modi. Secondo il Capilupo la palma spettava ad Isabella, e l'ultimo posto alla Borgia ; e benché già edita (^), la lettera del buon segretario — in cui le tre donne sono raggruppate in così importante momento storico — ci pare troppo caratteristica per non meritare d'essere riprodotta: 111™° S"" mio... Hozi essendo la M» mia et la Duchessa (d'Urbino) alla camera della sposa venero dicti ambassatori (di Venezia) et (1) Gregorovius, Op. cit., pp. 213 « 223-, Ardi. stor. italiano, serie V, voi. x, p. 288. (2) Vedi Diario ferrarese, in lier. It. Script., xxxv, 401-4; Sanudo, Diarii, IV, 222-30; Antonelli, Lucrezia Borgia in Ferrara, Ferrara, 1867; Greoorovius, Op. cit., pp. 228 e scgg. (3) D'Arco, Notizie cVIsahella Estense, pp. 98-109. (4) Luzio, / precettori d'Isabella, p. 3G. — 115 — ' in uno medesmo tempo fecero la visitatione a sua Ex. et Duchessa de Urbino, pigliando anche licentia da la sposa; ma el primo parlar fa verso M-'^ D:ìia cum longo exorJio che havevano havuto commissione de la sua IIW* S"^ de visitare et honorare V. Ex, se la fusse venuta alle nozze et che non essendoci lei havessino a fare el medesmo cum la p*"- M^ mia et questo per li benemeriti de V. Ex. cum quello stato, dal quale era tenuta per bon figliolo, offerendoli ogni opera et facultà in beneficio de Y. Ex. Madama reasumpse tutto il suo parlar et a parte per parte gli respose alta voce cum tanta ellegantia et prudentia che 1 seria bastato ad ogni consumato oratore, et per me non mi basta l'animo de saperlo mettere in scripto. Non tacerò una sol parte che da ogniuno fu notata per molto savia et artificiosa : che se quella 111'"^ S"^ havea esperimentata la Ex. Y. in tempo giovanile et col mezo suo diffesa Italia, doveano essere certi che adesso che la Ex. Y. è de maiore età et experientia poteriano quando bisognasse valersi de la persona sua a magior prove. Queste et altre efficace parole misero in stupore li dicti ambassatori et circumstanti, in mo* che tutti se gli fecero schiavi. Li dicti ambassatori se vol- sero poi alla Duchessa de Urbino et nel parlar suo dissero chia- ramente che per essere sorella de la Ex. Y. la visitavano principalmente, poi per esser moglie del Ducha de Urbino : lei anchora saviamente gli respose... L'ultimo parlare fu a Donna Lucretia, la quale se bene ha praticato più homini che non hanno vostre moglie et sorella, non agionse però un gran pezo alle prudenti risposte loro. Goda Y. Ex. che M^ sua consorte ha lassato a tutti questi ambassatori et S" mirabile odore et ne la spurcissima comedia de beri (la Cassina) fu notata tanta venustà et displicentia in lei per ogniuno, che la laude d'essa è stata sua et la vergogna del S^" Duca, certificando Y. Ex. che la non volse che alcuna de le sue doncellft gli venesse... Ferrarle, 17 febr. 1502. Fideìiss. servus B. Capilupus. Le feste ferraresi — sulle quali non staremo a ripetere particolari già noti — ebbero uno strascico di curiosi pet- - 116 - tegolezzi e di eleganti discussioni cortigiane , ed il Caimeta, a quanto pare, indirizzò alia Duchessa d'Urbino una lunga lettera, in cui venivano riferite le maldicenze e le critiche, sentite a Eoma da parte de' nobili, che ave^'ano accompagnato la Borgia. La Duchessa fece rispondere al memoriaìe — disgraziatamente perduto — del Calmeta con un'apologia, che qui pubblichiamo, come documento per più rispetti notevole, sebbene la mancanza della proposta renda talora poco chiare ed intelligibili le difese (') : Vincentio Calmetce, Tutte le vostre opere indifferentemente, prestantissimo Vincentio, a nui sono sempre grate per essere cum prudentia et ingeniosità facte, ma fra le altre questa ultima diffusa et elegante epistola, quale me haveti scripta, narrando il successo de le nozze di Ferrara et il reporto de li nobili romani cum le annotationi facte de alcune de nui donne, ha superato tutte le passate per essere di argutia et legiadria piena et per donarmi oceasione de ringratiare quelli che per bontà loro ni hanno laudato et iustificarne da le imputationi che ne sono date da quelli che hanno voluto iudicare non solum le actioni ma li pensieri nostri, non perchè vogliamo arguire che tutti li gesti nostri siano stati irreprensibili ne che vogliamo levare la libertà del parlare alli homini h abitanti in terra libera, sicome a nui che tenemo principato è concesso fare quello che a privati seria damnato, il che naturalmente considerato ser- ressimo dalli non vulgari da tale annotationi liberate, ma solum per satisfactione nostra, acciò che intesa la verità possiate illu- minare quelli che non l'hanno saputa discernere. Et per non post- ponere quello dove ho maggiore obligo ve ringratio de la diligentia (1) L'originale di questa lettera si cerca invano nell'Archivio Gonzaga. Noi la conosciamo per la copia di Giuseppe Arrivabene, che è nella Biblioteca Comunale di Mantova. Essendo essa molto scorretta, vi abbiamo praticato quelle restituzioni, che ci sembrarono più plausibili. - 117 - haveti usata ad investigare cosi minutamente li particulari et darmene fidele avviso, comò curioso de l'honore nostro : laudovi anche de l'haver differito il scrivere per bavere più tempo de exa- minare ogni persona et lassare passare li giorni sancti non acco- modati a simile electione. Et perchè cognosco, ingeniosissimo Cai- meta, che ad volere respondere a le eloquentissime et artificiose lettere vostre, secando che 'l stile terso recircaria, serei costretta ad differire la risposta dovendo fare electione di persona sufficiente, ho terminato senza usare alcuno artititio cura bona consulta de le anotate compagne, così simplicemente comò simplici siamo create, declarare quello che da relatori aut immaginatori non è stato bene interpretato, remettendo poi a voi ad supplire a quello che di or- nato mancaremo. Ma parmi expediente, sicome nui quattro che qiià se ritrovamo (tacendo la parte de la quinta, per renderli maggior honore, alla quale altro che precipua laude non si conviene) (') siamo state anotate et in qualche parte commendate, essendo an- che de affinità et singiilare amore coniuncte, cosi unitamente col mezo di queste lettere mie, essendo le vostre a me sola desti- nate, respondere ;"^ove per non preterire l'ordine da voi servato a parte per parte la mente nostra exprimere ne sforzarerao. Alla prima dove diceti che in le representationi facte a Roma li Prìncipi vostri, li loci, li modi et compositori sono stati damnati, rispondemo che questa justificatione non speda a noi, perchè non essendoli intervenute non havemo potuto laudarle ne damnarle, anzi essendo celebrate ne la regina de le cita dal Principe di Principi christiani, et composte da singulare poeta, le havemo imaginate superbissime né da veruna persona a credere il contrario siamo state persuase (^), ancora che essendo lo arbitrio dell'animo in quella medema libertà a Ferrara, Mantua et Urbino, che sij a Eoma, se ben nel resto senza emulatione le su- (1) Isabella, Elisabetta, Emilia Pia, la Marchesa di Cotrone. E la quinta? Forse s intendeva accennare a Lucrezia, di cui è detto più oltre meritar essa sola le lodi riferite dal Calmeta. (2) Eiguarda evidentemente le rappresentazioni sceniche romane, su cui vedi Gregorovius, Lucrezia, pp. 207-11. Nelle parole di Elisabetta par di riconoscere una leggiera punta d'ironia. — 118 — pera, non seria stato grave peccato se qualche elevato spirito qual- che anotatione liavesse focto et che nui li havessimo porto oreehia, benché uè l'uno uè l'altro sia accaduto. Noi havemo havuto sempre et havemo ancora optiraa opinione de tutti li S" et zentilhomini romani et spagnoli venuti a Ferrara, et meritamente per le virtù et boni costumi loro, né mai ad alcuno d'essi per nui s'è dato carico, però che li modi servati laude et non contumelia meritavano, et quando pur altramente fusse stato excusati et non accusati li haveressimo, comò quelle a chi sumamente dispiace il sindicare altrui. Chi ha facto iuditio sopra li doni per nui facti, attribuendoli alcuni a ostentatione et altri a liberalità, ha poco considerato la corruptela di tempi et le qualità dello persone, però che seguendo la consuetudine non si può ricevere biasmo ; ma quando questa expositione non satisfacci al testo vostro signato, potreti commentarlo, acciò che più chiaramente rispondere possiamo. La S''* Marchesana, a chi tocca la parte delli acconzamenti del capo, dice che 'l Piceno (') non si doveva maravigliare che li romani fussero remasti tanto satisfacti de li ligamenti de li capelli suoi, perchè se havessero posto quella accurata diligentia in considerare el diritto de le medalie, che hanno facto de li riversi, non haveriano tanto laudato l'acconziatura de la testa sua. Cognoscemo ben che siccome quelli che ci hanno damnate sono 'stati da passione oppressi, così anche chi tanto et fora di misura ne hanno laudate superchia affectione li habbia facto parlare, et li epiteti che a tutte ne danno sono tanto eleganti et singulari in ogni sorta di comendatione, che se non fussero causati _da animi amorevoli saria da dubitare che per adulatione potessero venire, confessando solo le laudi se danno alla p"* Duchessa de Ferrara meritamente poterseli atribuire, però che li vestimenti et altri ornamenti, per noi sono stati facti, solo per honorare la Ex. sua' sono causati. (1) Cosi viene soventi volte chiamato il verseggiatore Benedetto (la Cingoli, sul quale vedi Tiraboschi, Storia letfer., ediz. Antoiiclli, VI, 1132. Lo chiama anche in questo modo il Bibbiena nel citato testamento poetico di Serafino Aquilano. - 119 — Se non liavemo dato imputatione ad alcuno de li nobili romani de foggie, nò che fussero freddi, ne poco prompti nel parlare, per- chè se nota alcuna de noi de troppa argutia et sindicamenti per magistra de scola nominandola ? Perchè non fia a noi concesso ancora il mottegiare et rispondere ad altrui proposte per le medesime rime ? Ma havendo rispecto anzi reverentia all'Unico poeta, se tollera pacientemente, parendone le sue parole, ancora che in collera fiisseno diete, doverse tenere per favore et come oraculo de Apollo venerate (').... Voi mostrate pigliare tanta admiratione de le nove foggie de cappelli et del garbo diverso dalli altri, che se col vostro subtile ingegno ben l'havesti considerate iudicaresti che ad anteveduto fine fossero state introducte : unde acciò che n'habiate ad remanere chiaro, perchè poco recevere offensione dal sole né da l'aqua era da vedere, parse a chi conosceva el costume de le genti cuni quale se havesse a conversare che 'l periculo solo drieto alle spalle consistesse et che reparato ad quella parte tutto il resto della persona se dovesse render sicura; et cusì li cappelli se ben sono stati examinati coprevano quello che piti era da temere, et ben fo utile et salubre remedio, che ancora cum tal defifensivo appena ne siamo possute redure salve et che sii il vero, benché siamo lontane, de darci in la schena. Gli forno de quelle che hebbero in fantasia de fare qualche altro novo habito, ma per non torre la fogia ad certi che have- vano già prima scripto de calze alla sforzesca, berette a l'antiqua cum la lettera alla ducale et altri novi ornamenti, per non di- spiacerli adfinchè loro soli de tale inventione havessero l'honore se restò de inmitarli, bastando assai comparire cosi mediocremente et provvedere fra tutte de cappelli, come de cosa più importante in li presenti tempi. Chi annotò l'ordine dil cavalcare de le mie donzelle, se piti profondamente l'avesse considerato, non averla dicto che rappre- (1) Sembrerebbero quasi una canzonatura queste parole, dette a proposito di Bernardo Accolti, ma, come meglio vedremo in seguito, non sono, poiché l'abitudine di gonfiarlo era quasi così comune negli altri come in lui quella di gonfiare sé medesimo. ^ — 120 — sentassino processione o raonstra de fanti, ma che per cortesia et per onorare spagnoli fusse facto : però, che intendendo io il co- stume loro de costeggiare voluntieri, ordinai alle mie donzelle che per farli più bella costerà andassero spartate; che quando romani solamente fossero stati in la comitiva, altro ordine averessimo facto servare. Ma se alcuni d'essi lo ha damnato, avendo ogni regula la sua exceptione, debbe essere persona a clii piace più li costumi externi che li patrij : et forsi che 1 fu quello che se immaginò che una giovine gli desse, per usare il vocabulo vostro, dil menchione, parendoli che la dimanda sua lo meritasse, non che da la bocca de la donna uscisse, perchè in la corte nostra non è proprio ne consueto vocabulo... Alla parte de alcuni acti facti sulle feste, li quali monstrati stare in dubbio, se arrogante licentiosità aut cortesanaria si deb- bano appellare, ancora che 'l testo vostro sij senza commento, havemo pensato che vogliati dire per il manzare che fece la S''"- Marchesana rappresentandosi una comedia. Però rispondemo che le pare nostre ponno et debbono usare de la libertà che hanno a loco e tempo, per non essere loro sottoposte a quella censura de cortesanerie, che sono le inferiori : dove che ritrovandose quella S""* appresso de chi l'era, gli parse maggior virtù ad sapersi ac- commodare al modo dil vivere del compagno che partizanamente volere servare li costumi naturali, intervenendoli maxime uno poeta, il quale sapeva essere sufficiente ad dispensarla quando per questo fusse damnata ; se ben, a dirsi il vero, la credeva non dover essere veduta dalli vostri zentilhomini, existimando che per stra- cheza de voltegiare li cavalli sulla piazza il giorno adormentati alle camere o su la sala essere dovesseno... La ellectione che fece la S'''* Marchesana de dare la torza al Castigliano, non fu per far parengone di la sua persona, ma per rendere merito a chi aveva magior obligo, essendo stata più da spagnoli che da romani onorata ; et però l'offitio de Medina era de laudarla e non in questo acto annotarla. A noi non sta iudicare quali siano più belli angeli, o li venuti da Roma, o quelli che prima in Ferrara se ritrovavano, lassando tal iuditio a chi più affectuosamente li hanno reguardati. Laudamo summamente la determinatione facta de li tre quesiti de Medina circa il componere versi, perchè essendo facta in — 121 - quella excellente accademia troppo di se presumerla chi non l'approbasse ancor che di la scientia fusse professore, della quale essendo noi ignare ce remettemo al iuditio facto. Non senza admiratione havemo lecto il capìtulo per il quale scriveti che siamo state causa de renovare le parti et secte in Roma per rispecto de quelli che celebrano chi l'una e chi l'altra de noi cum diversi epiteti et laude, perchè essendo quelli medesimi che hanno sindicato le nostre actioni non potemo credere che sinceramente ce amino, però che dove è il vero amore non po' stare la detractione, et rendemone certe che quando questo caso fusse stato ben ventilato dal sacro collegio della vostra Accademia , dove sono tanti sapientissimi et consumatissimi homini, non haveriano admessa alcuna sinistra informatione, dove che reiterandosi il scrutinio de questi sindicati non recusaremo stare al juditio loro, come a fonte di prudentia et iustitia intervenendoli maxime lo doctissimo Aretino, fulgente lume de la lingua latina, et lo ingenuo Calmeta fidele relatore delle nostre iustificationi, Ringratiamovi non mediocremente de la ingeniosa canzone de Calimaco facta dal Buffalo ('), la quale non solamente a mi, ma a tutte queste Madonne è stata gratissima, così cum desiderio expectamo le stanze del romano et ferrarese et la decisione delle conclusioni pubblicate dal Piceno, secundo che de vostra propria liberalità mi haveti offerto. Se alcuna altra cosa degna ve occorrerà delle vostre o d'altri, non vi sera grave per mio contento farmene participe, che magiore piacere non mi potresti fare. Le raccomandationi vostre ho facto a queste Madonne, le quali cum perfecto cuore hanno acceptate et tutte vi laudano et extoUeno, come conviene al vostro sublime grado. Bene valete. Mantue, prima Maij 1502. Elisabeth Felteia de Gonzaga Ducissa Urbini. Nel tempo trascorso tra le feste ferraresi e la composizione di questa lettera, Isabella ed Elisabetta avevano fatto, (1) È costui Stefano del Bufalo, che fu tra i cittadini romani della comitiva di Lucrezia? Vedi GtREGOROVIUS, Lucrezia^ p. 211. 222 iiicoguite, ima scappata a Venezia. La Marchesa tolse pretesto da iiu voto (*), che doveva compiere al Santuario di Padova — voto che certo risaliva alla nascita del suo Federico — e non le fu difficile indurre a tenerle compagnia la Duchessa, che non aveva mai visto l'incantevole città delle lagune. D'altra parte Isabella nel suo precedente viaggio s'era, come notammo, mortalmente annoiata per la corvée dei ricevimenti officiali che la Serenissima le aveva inflitto : quindi entrambe sentivano il desiderio di ammirare a loro agio la città trionfante. E infatti si divertirono assai (*) ; ed Elisabetta riconobbe che Venezia era « più meravigliosa di Roma *'. Ascoltarono la messa in quel gioiello di chiesa del Rinascimento che è Santa Maria dei Miracoli, visitarono San Marco, San Giovanni e Paolo, San Giorgio, la Misericordia. Fecero, instancabili, vari giri a piedi per la città, alla pescheria, per le mercerie, a Rialto, in piazza San Marco. Il Doge, che era stato informato della loro ve- nuta, mandò quattro gentiluomini ad ossequiarle e diede ordine che fosse loro mostrato il tesoro di San Marco. Visitarono anche il palazzo ducale. Quantunque fossero in incognito, non mancarono di presentarsi a Caterina Coruaro, (1) La solita occasione di viaggiare, che la Gonzaga si procurava cosi volentieri. Per un voto l'abbiamo già veduta andare a Loreto, per un voto andò nel 1506 a Firenze. (2) Con le due cognate erano Emilia Pia e la Marchesa di Cotrone. Le accompagnava il protonotario Sigismondo Gonzaga. •< Et - Francesco Trovixan fa li fati dil Marchexc li preparò la caxa di u sier Nicolò Trevixan, procurator, a San Stai, et ivi arivono. La " Signoria mandò a visitarle li savii ai ordeni, ©ferendosi, e fuli « fato uno presente di confetion e cera, per valuta de ducati 25. u Andavano perla terra stropate; veteno el tutto e poi so partine. u Et dil mexe di marzo partino per terra ". Sanudo, Diarii, iv, 234. Il viaggio ebbe tutto luogo nel marzo. A Mantova giunsero di ritorno il giovedì santo. — 123 — regina di Cipro (0. lusomnia una vera festa di emozioni artisticlie e di svaglii, colti in fretta e alla buona, senza timore dei disagi. •• Se la Y. Ex. (scriveva Isabella al nia- « rito il 22 marzo) considerarà el viagio, quale havemo « facto, la ne reputarti le più gagliarde donne die vadino « per il mondo " (). ^-HLa povera Duchessa d'Urbino non avreb])e mai imagi- (1) Regina di nome e non più di fatto, perchè nel 1489, a Famagosta, ella aveva abdicato a favore della Repubblica di Veneizia. Questa peraltro le accordò di poter portare anche in seguito il ti- tolo di regina. Cfr. A. Cestelli, Caterina Cornaro e il suo regno, Venezia, 1892, pp. 109, e 111. Xelle delizie di Asolo, descritteci dal Bembo, in mezzo alle quali la regina visse per parecchi anni dopo l'abdicazione, sembra che già ella ospitasse la marchesa di Mantova. Cfr. Cestelli, p. 118. Isabella, rivedutala in Venezia quando la Cornaro sera ormai volta alle pratiche religiose, le scrive poi gentilmente il 3 aprile 1502 : " Lo amore et observantia che io ho a •• la S. M^ V. fa che non potendo visitarla personalmente cum - questa suplisca, ricordandoli che li sono affectionata et per " quello che naturalmente gli era et per quello che me hanno obbli- " gata le careze et dimonstratione che la me fece quando la visitai u cum la persona in Venetia, ecc. ecc. " le si offre e raccomanda. Ecco il biglietto con firma autografa, che la Regina le inviò in risposta : IH. tamquam filia dilecta Havendo novamente ricevuto le dolcissime lettere di V. S. piene di amor et caritate siamo constrecte quantunque per avanti gli fussemo incljmate ad amarla similmente et offerirli quanto in noi ci atrova da esser exposto in ogni occorentia sua, quale ancor pregiamo volgia le nostre car""^ Duchessa di Orbino et Marchesana di Cotron per nome nostro salutare. Valete Venetijs die x aprilis 1502. ^ Recisa Chaterina. Quest'ultimo biglietto è inedito, mentre della letterina d'Isabella diede comunicazione (non del tutto correttamente) V. ClAX in una recensione al libro del Centelli pubblicata nel Giorn. stor. della Ietterai, italiana, voi. xxi, p. 167. (2) Per non intralciare di troppo la narrazione, raccogliamo nel- VAppendice li le interessanti lettere originali che la Marchesa spedì al marito su questo suo viaggio a Venezia. — 1-24 — nato iu che diverse condizioni ella sarebbe tornata a Venezia solo qualche mese dopo ! Stavasi Elisabetta in Mantova con la cognata in quella dolce intimità eh' è solo delle anime gentili ed amiche. I caldi del giugno persuasero le due dame a recarsi nel fresco palazzo di Porto Mantovano. Ne troviamo la par- tecipazione a Francesco nel Lib. xm del Copialettere di Isabella in data 17 giugno : « Per mutar aere liavemo de- « liberato la Duchessa d'Urbino et mi andare cum le no- « stre de la camera solamente, senza homini da li cochi « et credenceri in fora, a stare octo o deci dì a Porto per « essere in magiore libertà ; et perchè io non poterla starli « cum l'animo quieto senza Federico, conduròlo anchora <• lui ». Là appunto in quell'ameno ricovero le raggiungeva alcuni giorni dopo, ospite doloroso quanto inatteso, il duca Guidubaldo che, sorpreso a tradimento dal Valentino, era fuggito da Urbino la notte del 21 giugno e fra disagi e pericoli d'ogni genere, conducendo seco il piccolo nipote Francesco Maria, aveva riparato a Ravenna, di là a Mantova {*). Il turbamento di quella visita improvvisa e la (1) Tutti gli storici espongono questo fatto-più o meno estesamente. Relatore più fedele certo non si potrebbe desiderare del Duca stesso, che narrò per disteso l'altrui tradimento e la propria fuga in una lettera del 28 giugno al card. Della Rovere, che è nell'Arch. fio- rentino, e fu utilizzata dall' Ubaldixi (ii, 89, 94) e da altri, e pubblicata dal Leoni (Vita di Fr. Maria) e dall'ALVlSl, Cesare Borgia duca di lìomagna, Imola, 1878, pp. 528-33. Cfr. Birchardi, Diarium, ed. Thuasne, lii, 209 e seguenti e degli storici recenti particolarmente Alvisi, Op. cit., pp. 282-95 e Yriarte, Cesar Borgia, ir, 78-80. Vedi anche Giustiniax, Dispacci, ed. Villari, l, 82, segg. Il Valentino diceva d'essersi indotto a quell'impresa perchè Guidubaldo voleva raccostarsi a' Varano. Guidubaldo passò da Ferrara, accompagnato da soli quattro uomini a cavallo, il 25 giugno e si diresse subito a Mantova. Cfr. Diario ferrarese, in li. I. S., xxiv, 408. — 125 — pietà che destava ìd Isabella la sventura dell'amica sua sono eloquentemente dimostrati da questa lettera della Marchesa a Chiara di Montpensier (') : Illma '^la. j^ja cognata. — Nui qua siamo stati mi tempo assai quieti et contenti, dove ritrovandosi dal Carnevale fin adesso la Illma ]\ia D^chessa de Urbino... habiamo cercato conservarsi in consolatione, agurandoli molte volte V. S. per compimento del piacer nostro. Ma essendo novamente successo lo inopinato et ne- fando caso de la perdita del Ducato de Urbino, e la gionta qua in giupone (^) del S'^ Duca cnm quattro cavalli solamente, quale per essere stato con tradimenti acolto a l'improviso con gran periculo ha servato la vita, siamo remasti tuti tanto atoniti, tanto confusi et tanto adolorati che nui medesmi non sapiamo dove se retrovamo, corno pò pensar V, Ex., et tanta è la compassione che io ho a la S'* Duchessa che non voria mai haverla conosuta... Mant., XXVII junij mpii. Del tristo caso Lucrezia Borgia si mostrò sinceramente addolorata. Già il 27 giugno 1502 scriveva Bernardino de' Prosperi a Isabella che essa non poteva darsene pace, memore delle accoglienze ricevute nel passare per Urbino, pochi mesi prima, come sposa. Ed il 29 giugno così il prete da Correggio : « Mi dimandò (Lucrezia) se avea auto let- « tera da la S. V. del caso occorso. Dissi de non. Lei mon- « strò aver grandissimo adispiacere e così tuta la sua Corte, « et àme dito che la pagarla cinquanta millia ducati non « l'avere mai cognosciuta, e dove la poterà con fati e pa- « rol6 non li mancherà mai «. I rapporti che in questo tempo i Gonzaga avevano con (1) L. XIII del Copialettere. (2) Il Saxudo con le stesse parole: « 'l povero signor convene « fuzer in zipon ». Diarii, iv, 274. — 126 — ^Cesare Borgia furono intravveduti dag-li storici, ma nes- suno li ha l'mura interamente chiariti albi luce dei documenti. È ciò clie intendiamo far noi, perchè, senza duh- ; bio, tali rapporti costituiscono una pagina caratteristica di quella politica tortuosa e piena d'infingimenti ch'era propria \ del Rinascimento. Da tale episodio apparirà nel tempo stesso con quanta scaltrezza sapesse, in così rischiosi fran- genti, regolarsi la marchesa Isabella. Abbiamo veduto come nel 1500 il Talentino tenesse per ^-"procura al sacro fonte il primogenito dei Gonzaga. D'allora in poi le relazioni dei signori di Mantova con lui con- tinuarono cordialissime (*). Nel 1501, da Carlotta d'Albret, nacque a Cesare una figliuola, Luisa, ed egli pensò subito, com'era uso del tempo, di farsene strumento a qualche forte alleanza. Rivolse lo sguardo al primogenito dei Gonzaga, i quali accettarono di buon grado ; sicché il parentado fu conchiuso. Il Giustinian ci riferisce che la voce di questo matrimonio fu diffusa in Roma nell'agosto del 1502 e aggiunge che « in conto de dote se die far cardinale el fra- « fello di esso Marchese -•'. E in data del 9 settembre notifica essere venuto a Roma il fratello del Marchese di Mantova, per sigillare i già pattuiti capitoli. Il Marchese per altro non vuol pubblicare le nozze disegnate, perchè - dubita del gabo » (*). Ma dai documenti mantovani ri- sulta che quell'unione era stabilita fin da parecchi mesi prima. Il 12 giugno troviamo che il Valentino scrive di propria mano ad Isabella da Roma : « Non poterla mai « exprimere el gran"" piacere che ho receputo da le amo- (1) Le accennò anclie il Gregouovius, Lucrezia, \). VMK mn doi documenti mantovani ivi nominati si giovò pochissimo. (2) GirsTiNiAX, Disparci, i, f»5, 09, 111. — 127 — « revole parole che \. Ex. per una sua lettera scripta ad « m. Houorato Agnello verso de me ha usate circa el ma- « trimonio del suo primogenito et la nostra figlia : el quale « ultra che per molti altri respecti me habhia summamente « ad piacere, me è gratissimo per essere totale corrohora- « tione de la nostra comensata amicitia, in cocservatioue « de la quale vorria anchor con più strecto vinculo si fosse « possibile ce ohligassemo per el grande beneficio et sta- « bilità che a li nostri communi stati è per resultare, « sicome per m. Carlo exhibitore de questa ne sera ad « pieno informata, con el quale la S"" de N. S. et io ha- « verno longamente conferito ". Termina con profferte ampie « de la facultà, stato et persona mia, come de quelle de la « Ex. S. proprie ". Poco dopo che della cosa si vociferava in Roma ed il Griustinian ne dava avviso alla Serenissima, il v/Marchese rimise la trattativa nelle mani della consorte; e Cesare Borgia se ne dichiarava soddisfattissimo in una sua lettera autografa del 2S ottobre, con la quale le mandava un abile negoziatore nella persona del gentiluomo spagnuolo Enrico Corberano. Se non che le due parti volevano assi- curarsi per bene, acciò che il matrimonio avesse luogo a suo tempo alle condizioni stabilite, e per intanto venisse concessa la porpora a Sigismondo. A questo scopo Isabella pensò di profittare della mediazione di quel Lorenzo di Pierfraucesco de' Medici, che, come vedemmo, era stato padrino di Leonora ; e mandò apposta a Firenze il suo ca- meriere Vincenzo Bonzani, interessando contemporaneamente alla cosa i suoi corrispondenti Jacopo Nerli, Angelo del Tovaglia, Francesco Malatesta. Per buona ventura si è conservato un documento squisito, il memoriale stesso che la Marchesa diede al Bonzani, e noi crediamo utile lo stamparlo integralmente : — 128 — Instruciio Vincenti] Bonzani ad 3£""' Laurentium de Mcdicis. Vincentio. Yolemo che tu vadi a Firenze et te presenti al M«o Lorencino de' Medici nostro compatre dilectissinio, il qual visi- terai et saluterai iu primis in nostro nome. Poi sotto le littere de credenza gli exponerai quanto qui ti instruiremo. Siamo lo 111°»" S"" nostro consorte et noi già alcuni mesi stati recercati da 1111™° S'' Duca di Romagna a far parentado cura noi col megio de una sua filiola de anni (') in lo nostro primogenito de anni dui e megio, cum questo che la S*^ di X. S. habbi a promover Cardinale lo K. et I1H° Mons. Prot. nostro cognato, et finalmente restringendosi la pratica el p*° S"' Duca col megio de m. Henrico Corberano suo gentilhomo (') ni ha facto dire et (1) L"età di Luisa è lasciata in bianco. (2) Abbiamo veduto poc'anzi come costui venisse a Mantova in nome del Valentino. Pare che egli veramente avesse l'incarico di stringere la pratica. Di questo Corberano faceva grandi elogi il Calraeta, che allora trovavasi al servigio di Cesare, ed è curioso il vedere con che aria d'importanza egli parli di quelle trattative come fosse affar suo (28 ott. 1502) a Isabella, da Imola: " Ultra di questo u de tanta qualità de huomini ve habiamo mandato Tassagio, che " io spero se dirà noi bavere facto comò li sagaci mercadauti, che u sempre in le ultime mostre reservano la perfectione. Adesso asecuro " V. Ex. che habiamo voglia de venire a qualche effecto de le pasti sate pratiche, solo considerando la qualità de l'huomo che man- - damo. Costui se chiama Mossen Corberan fsic, forse Monsen - = Monseììor), nel quale, virtuosissima Marchesana, secondo il mio i- poco judicio credo, se vera bontà e gentilezza mai fiisse in huomo - ultramontano, tucta in costui sia collocata. Et advenga che tucti - li penseri suoi sieno a l'arme dedicati, e meglio per bon guerrero - che per optimo cortesano se potesse spendere, pur spero che a « quella satisfarà di lui una innata bontà por tal modo, che li pa.- u rerà forte tanta modestia in huomo di tale natione poterai ritrot vare ". E il 5 novembre pur da Imola: « Non ho scripto nò u parlato fin al presente cum tua Ex. se non ambiguo, overo quando u a quella sono stato presente ho taciuto per non venire in alti-o " ragionamento che de Muse. Adesso che in le cose del signor Mar- " chese e del mio Signore vedo un tal Cavallero corno è il signor - 129 - promettere che la S'* di N. S. serra contenta creare et publicare Cardinale el p*" Prot., ma che per cautione sua che 'l parentado babbi ad haver effecto. voria promessa di bancho o in Firenze o in Genoa o in Roma, che ogni volta che li comuni nostri filioli fossero in età idonea et che per manchamento dil S' Marchese o dil nostro primogenito non piliasse per moglie sua filiola, alhora et in tal caso gli fossero pagati per il bancho 25 mila ducati d'oro per restitutione di parte di la dote, quali el S"^ nostro se haveria a chiamare haver ricevuto in contanti dal p*° S"^ Duca. Noi havendo ben considerato quanto importa questa obligatione et che dovendola ritrovar bisogna far capo a persona amorevole et quale per amicicia et benivolentia sij in desiderio di vedere questa IIW* Casa exaitata de tale degnità, havemo fra tutti li amici nostri drizato Tanimo et facto principal fundamento in lo pto ]\Xco Lorenzino, comò a quello che sempre è stato cordialmente amato dal S"^ Marchese et che per l'auctorità et facultà sua bavera modo di gratificami. Et perhò da parte de 1111™° S"^ nostro consorte, dil R'"° Mons. Prot. et nostra, pregarai la M'^'» sua ad voler li in Fiorenza o in Roma o in Genoa, se gli havesse cor- « Corberano operare tengo che habiano ad haver quello lieto fine .. che ciaschuno servitore de tua Ex. desidera. E quando fusse al- .. tramenti dirla corno dissi al S"" Paulo Ursino : Che contra el ciel non vai diffesa humana. Ma spero essere cosi bono propheta a .. tua Ex. corno fui a sua S"". E si corno el signor Corberano a •• quelle dede prudente principio e lieto fine, così a queste altre darà *i felice et optato compimento ". Il 27 novembre il Calmeta scrive ancora alla Marchesa, essendosi il Valentino meravigliato che il messo non tornava. Egli la sollecita " a ciò non se usi tardità, 4i adesso che le cose si ritrovano in bona dispositione ».La causa della tardità la troviamo nell'istruzione al Bonzani. Dai documenti allegati guadagniamo la certezza che il Calmeta era al servigio del Valentino: cosa finora ignorata. Vedi sui letterati che circondavano Cesare Alvisi, op. cit., pp. 95-103. Delle trattative pel matrimonio ben poco sa I'Alvisi, p. 306, che per una svista sbaglia persino il nome del piccolo fidanzato. Poco sa pure I'Yriaete, il quale dice che nel 1502 Carlotta d"Albret doveva con la figliuola valicare le Alpi, ma una grave malattia s' oppose a questo disegno. Oj)- cit., II, 298. 9 — Luzio e RcMr.H. — 130 - respondentia, ritrovar banchi che facessero tal promessa, la qua! se ben prima facie paresse difficile et importantissima, non è perh6 di sorta che 'l banche mai babbi ad haverne carico ne impazo, perhochè il S' Marchese ne il filiolo mancherìi per alcun tempo di quanto serranno obligati al S"" Duca di Komagna, et se pur per qualche caso al presente occulto, che le condictioue di tempi portassero, non havesse loco è da extimare che essendo la libertà dal canto nostro non se venirla mai a declarare la exclusione se non si havesse il modo di pagare di subito li 25 mila ducati. Ultra che qua da Mantua si prometterla in forma camere di con- servare indemne il p*» m^o Lorenzino et ogni altro che promettesse. Questa è la forma de la prima peticione et instantia che hai ad fare senza preponere altri partiti, perhochè cossi sta la di- manda dil S*" Duca. Ma quando tu vederai non voler attendere et consentirli, potrai poi proponere li partiti che haverai in nota da Ant. da Colechio et usar quella diligentia et dextreza che se confidamo debbi fare recordando al 1\I<=° Lorencino che 'l non ser- virà signore ingrato. Mant., XV nov. 1502 ('). Le pratiche col Medici riuscirono vane, e Francesco Mal atesta scriveva da Firenze il 4 dicembre 1502, che avrebbe tentato altre vie per ottenere la sicurtà. Aggiungeva per altro che bisognava indursi a depositare su qualche banco cinque o sei mila ducati in gioie. Poi, chiedendo venia del suo ardire di dar consigli ad una mente superiore, come quella d'Isabella (^), continuava : « Questa pra- « ticha dil capello a molti pare che sia uno ziramento, (1) Nello stesso tempo il Bonzani doveva sollecitare per la Marchesa in Firenze Pietro Perugino, per un certo quadro che aveva promesso a Isabella. Vedi sulle relazioni della Gonzaga col Perugino la memoria speciale del BRAaiimoLLi nel Giorn. d'erudiz. artistica. Quale diversitA d'incarichi! E quanta versatilità di spirito nella gentildonna che accudiva nel medesimo tempo a cose così differenti ! (2) Il Malatesta dice: « qualche volta uno picholo lume accende « una torza grande qualche volta sentendosi parlar de li pari mei — 131 — « perchè per experientia se vede che il Papa non li dà « senza pagamenti expressi et di presenti esso Papa è « bisognoso più che mai el fiisse per li chasi dove lui se « trova. Però pare ad alchuui che ad dare uno capello « senza utilità alchuna de presenti che 'l sia più presto « uno voler zirare et delezare che volere con effecto farlo ; •< et tanto più questo se crede essendo esso Papa di ua- « tura inclinato al danaro et che non dà senza utilità gran- « dissima. Però io saria di parere che nel pratichare che " fa la S. V. tal chosa, che la proponesse questo partito « al Papa : che 'l fusse contento di depositare le bolle et •-' la expeditione libera dil capello in mano di una persona « libera, come saria il Gonfaloniere qui, overo el M"" Pau- " dulpho da Siena ; che facto questo la S. V. gè darà « la sicurtà di bancho o in Roma o in Fiorenza o in « Zenoa, perchè così facendo la S. V. coguoscerà se il .'• Papa voi inganare o no. Perchè se 'l non lo vorà fare, « apertamente se cognoscerà che 'l zira : se 'l lo farà, la « S. V. harà la chosa in mano, perchè vedendo questo « signo manifesto de la voluutà sua la p'^ S. V. trovarà '^ cum più facilità la segurtà dil bancho, perchè... de pre- « senti molti non lo voglieno fare per non voler essere « delezati, perchè non voglieno parere de impazarsi in chosa « che diventi vana ". Questo documento così esplicito è una rovente bollatura pel Papa marrano, la cui simonia del resto non ha biso- gno di' novelle prove (*). Le trattative per la sicurtà conu che siamo homini debili et bassi si apreno li ocliii a quelli che " più ultra intendono, che hanno da la natura inzegni più ellevati ". La lettera è in cifra. (1) Né degli avvertimenti del Malatesta aveva d'uopo Isabella, che già un mese prima aveva scritto al marito la seguente lettera, / - 132 - tiuuarono aucora ('), ina sempre infelicemente, sicché passò Tanno 1502. Il Valentino procedeva nelle sue conquiste sanguinose in Romagna e nelle Marche, e ne mandava ragove si vedo come il eappello cardinalizio si contrattasse a contanti: Illmo S'' mio Mg' quarto giorno gionse qua uno m. Henrico Corberano mandato dal S"' Duca di Romagna cum lettere de credenza per fare apuncta- mento circa la pratica nostra, il qual in effecto mi ha exposto come la S'^ di N. S. è contenta fare Mons. Proth" Cardinale cum questo che la Ex. V. se chiami havere recevuto dal S"= Duca per nome de la dote de la figliola qual prometteva per moglie al nostro primogenito ducati da vintecinque in trenta milia, de li quali voria securtà di bancho in Venetia o Fiorenza, che ogni volta che per manchamento di V. S. o del filiolo el matrimonio non havesse loco , che questi dinari gli fos- sino restituiti, li quali benché fossero per pagamento del capello non- dimeno non facendosene mentione pai-eriano dinari recevuti in anti tracto per el dote da esser restituiti in lo caso predicto. Il qual partito ha proposto cum gran modestia, mostrando quasi vergognarsene, cum dire che 'l S'' Duca quando consistesse in sé solo non lo recercava, ma che 'l bisogna ottemperare al Papa, il qual procede in tutte le actione sue cum questi avantagij. Per la prima volta io non gli feci altra resposta, se non che 'l fosse il ben venuto, et cossi stando sopra parole genei'ale lo remisi ad resolvermi lo dì sequente. Partito che 'l fu da me, feci chiamare il Proth", S'' Zoanni, et m. Antimacho, et di- scussa la cosa fra nui, vedendo che 'l non havea facto nome a la dote mi parse mandare il Codelupo et il Brognolo a dir queste parole a m. Heni'ico: che 'l dovesse declararmi qual summa de dinari voleva il Sf Duca prometer di dota a la figliola ogni volta che la ve- nesse a marito. Respose che di questo non havea commissione né sen- tore alcuno, ma che ben credea la voria talmente aconzare che la Ex. V. se ne avesse a contentare. Ritornati a noi li nostri cum questo, et contrapesato ben tutte le parole, dubitassimo che 'l non havesse pensato il Papa di far trabucare questo capello in tutta la dote, et perhò deliberassimo di fare che 'l scrivesse al S"' Duca per haver la chiareza di là dote In questo megio io attendo a ritrovar partiti per haver securtà di bancho, et vederò de tirar più abasso che poterò li dinari dil ca- pello et la dota magiore, ma fra noi havemo ragionato che quando il facesse la dota de óO m. ducati computato il capello da 20 fin in 25 m. si ijoteria concludere Mant. IH nov. 1502. Isabella, consors. (1) Vedi k'tt. del Capilupo 23 die. 1502, ove si fanno nuovo condizioni. - 18:3 - guaglio ad Isabella, che non lesinava le sue congratulazioni. Ad una lettera, nella quale di suo pugno le notifi- cava l'arrischiata impresa di Senigallia (*) essa rispondeva con una lettera celebre, che accompagnava il dono di 100 maschere acciocché il Duca trovasse « loco de recrearsi », dono " vile... i; la grandeza de li meriti di V. Ex. ! ^ f) (1) Vedi Cipolla, Signorie, pp. 788-89. Il fatto è uno dei più noti del Valentino. Non sarà tuttavia inutile riportare la lettera con cui egli ne faceva parte a Isabella: 111"» et Ex">a Signora comatre come sorella nostra honoran™» Havemo recepute le lettere de V. Ex. responsive ad quanto per Brognolo servitor suo li havemo facto intendere, et havemo grande pia- cere havendo compreso che ad essa è grato quanto havemo facto : sfor- zaremoce per lo advenire in ogni occorentia fare el simile. Et per darli notitia de li nostri progressi queUa advisamo che heri con lo exercito nostro venemmo a la impresa de Senegallia, dove ce erano prevenuti el Duca de C4ravina, Paulo Ursino, Vitellozo Vitelli et Liverotto da Fermo, li quali non placati per la clementia li è stata usata ad remessione de la perfida rebellione et atroci tradimenti facti da loro contra li Stati et persone de la S'* de N. S. et nostri novamente credendo che l^er la partita de le genti francese retornate in Lombardia restati fos- semo molto debili se erano disposti con inteligentia del castellano de Senegallia perdurre ad effecto contra la nostra persona li loro primi pensieri, come appresso intenderà ad pieno la V. Ili'"" S. Ma non certificati del tutto havemo ad un ponto reducto in poter nostro in Se- negallia la città vecchia et nova, facti presoni tutti li prenominati et desvalisate et destructe le genti loro ad piede et ad cavallo, secrete et palesi, et receputa la rocca, la quale el castellano ce consignò libera- mente, subito che vide li designi esser mancati, Per la qual cosa procederne col exercito et artigliarle nosti'e ad re- ducere ad obedientia libera de la sede apostolica tutte le cita de quella che per i^artialità o per tyrannia sonno alterate, sì come è nostro de- bito fare. De li progressi darrimo successivamente adviso a la Ex. V. A la quale ce reccomandamo. Sengallie primo jan. mdiii. De V. Ex. Conapatre come minor fratello El Duca de Komagna e te. Cesar. Agapythus (2) La lettera d'Isabella e la risposta di Cesare, 15 gennaio, e lo febbr. 1503, sono in G-regorovius, Lucrezia, pp. 270-72 e 424-26. — 134 - In quella lettera si parlava di nuovo della sicurtà, per la quale pendevano le trattative. E Cesare di rimando: « Quanto « alla nostra comune parentela vi perseveriamo sempre con « maggior fervore ». Così si tirò innanzi senza concludere, sinché la catastrofe della morte di papa Borgia non ebbe / annichilata la potenza del Addentino. Allora di parentado non si parlò più, quantunque Cesare rimanesse, almeno esteriormente, nei migliori rapporti coi Gonzaga (,*). Luisa, affidata, dopo la morte della madre (1514) alle cure di ma- dama d'Augouléme, rimasta poscia unica erede di Carlotta e di Cesare, sposò di 17 anni Luigi II de la Tremolile, il celebre cav. Baiardo, e rimasta vedova di lui dopo la bat- taglia di Pavia, si rimaritò nel 1530 con Filippo di Borbone (-). vSigismondo dovette attendere sino al 1505 il cappello cardinalizio. Ora, in questo stato di cose, con un uomo della tempra del Valentino, così sagace e pronto nell' operare, così facile al sospetto e inesorabile con le persone sospettate, così risoluto e grande in line, di sinistra grandezza, in quella sua impresa di conquistarsi un regno, da imporre l'ammirazione ad un Machiavelli C); con un uomo simile, ripetiamo, e' conveniva destreggiarsi molto bene per non venir meno né a lui, né alla pietà dovuta ai parenti. Mantova era una specie d'asilo di rois en exU. V'era già da qualV (1) Vedi sua lettera da Pamploua, diretta al march. Francesco il 7 die. 1506, in Gregorovius, Lucrezia, p. 433. (2) Su tuttociò Yriarte, Cesar Borgia, u, 290-304. A pag. 303 pubblica una letterina poco significante di Luisa a Isabella Gonzaga. (3) Non fa bisogno di ricordare che appunto in Urbino il Machiavelli ebbe ad abboccarsi la prima volta con Cesare, inviato da Firenze col Soderini. Cfr. Villari, Machiavelli, l, 372-75; ToMMASiNi, Machiavelli, i, 225-30 ; Yriaute, Cesar Borgia, u, 81-83. — 135 — che tempo Giovanni Sforza di Pesaro ('j, quando vi capitò Guidubaldo : in seguito, sotto il pontiiìcato di Giulio II, dovevano trovarvi ricetto i Bentivoglio. Ed è ben naturale che di tutti questi parenti esiliati i Duchi di Urbino fos- sero quelli che, per le qualità personali ed i vincoli amichevoli, importava più ai Gonzaga il proteggere. Poco conforto poteva dare ai Montefeltro la predizione di suor Osanna Andreasi, la santa monaca visionaria mantovana, che « il <• Borgia sarebbe stato a guisa d'un fuoco di paglia « (^) : egli intanto occupava il loro dominio e cercava senza dubbio di nuocer loro anche nelle persone. Bisognava poterli trattenere in sicurezza senza destare i sospetti di Cesare ; e in questa delicata bisogna, Isabella operò da maestra. Essa non dissimulò la sua gentile pietà di donna verso gli infelici congiunti ed i loro aderenti. Il 7 luglio 1502 non si peritava di raccomandare al Valentino quel Dionisio Agatoni de' Marchi, di Sant'Agata Feltria, che aveva avuto tanta parte nell'agevolare la fuga al Duca inseguito, e che per ciò era stato privato de' suoi beni (^). Il 22 di quel mese stesso, annunciando al marito, recatosi a Milano dal re di Francia per perorare la causa degli spodestati (*), che il Talentino avevale regalato la Venere ed il famoso Capido, su cui ritorneremo, lo pregava insieme a nome della Duchessa di spedir Ludovico Brognolo a Cesare per (1) Cfr. Gregorovius, Lucrezia, pp. 180 e 224. (2) DoxESMOXDi, Istoria ecclesiastica di Jfantova, Mantova, 1613-16, II, 90. Ili quell'opera sono molte notizie di Suor Osanna. (3) Baldi, Guidobaldo, i, 242; Ugolini, ii, 92. (4) La Marchesa il lo luglio 1502 avevagli raccomandato vivamente il Dtica d'Urbino e lo Sforza di Pesaro, concludendo: « Dio voglia " che si come la gli ha dato recapito sii anche il megio a restiti tuirli in casa col stendardo de la p** Ch""* Maestà -. Copialettere, L. xiii. - 136 - reclamare la dote di lei (*). Ma il dì appresso, intimorita, §li diceva : « Io ho scripto a la S. V. del mandare a Ya- •< lentino per la dote de la Duchessa, essendo cussi ricer- « cata da lei: ma perchè ho inteso che ultra quello che ^ la disse al suo cavallaro in via, ha poi diete altre pa- « role publicamente in la Corte del Re contro Valentino, « non sciò quanto seria in proposito mandare, se fussero « parole de sorta ch'el si havesse a sdignare havendole « intese ». E raccomandava pure al marito la prudenza : " perchè adesso non si sa di chi fidarsi ; et quando acca- •' desse accordo fra il Re et Valentino, non seria fora de « proposito che la S. V. se avesse conservato : però che « in li stabilimenti di stati, conio sa quella, non se guarda •< allo interesse del compagno, né ad inimicizie che prima « siano state fra loro » (-). La tristizia morale de' tempi parlava per bocca di quella donna magnanima ('), ma as- sennata ed accorta. La quale in quel medesimo giorno mandava una lettera originale, e in parte autografa al marito, /così piena di sollecitudine per lui e di terrore per quell'odioso Borgia, con cui pure era costretta a trattare, che vale meglio d'ogni nostra parola a dipingere la situazione e il carattere della donna. Eccola pertanto nella sua in- terezza : 111™° S' mio — In questa terra è fama, o per lettere di particulare persone, o per bocha di qiialchuno che venga da quelle (1) Docum. pubbl. (lall'ALViSi, 02). rit., p. 536. (2) Docum, pubbl. dal D'Arco, Notizie d'Isabella, pp. 58-59. (3) Anche allora Isabella continuava a sovv^enire i poveri profughi in quanto poteva. Nel copialettere L. xiv v'è, con la data 30 luglio, una sua lettera al Valentino a favore di Emilia Pia, che cercava «< la .< recuperatione de le cose suo, per la quale più volte gli ho scripto « de mano mia ». — 137 — parte, che la Ex. V. ha usato di male parole de Valentino alla presentia del Chr°^° Re et^e homini del Papa ; che quando o vero, non che 'l sij, questa fama essendo divulgata penetrava ad ore- chie de Valentino. Il quale essendo de sorte che 'l non ha res- pecto a machinare contra quelli del sangue proprio, son certa che temendo la S. V. non invigilarà in alcuna cosa cum magiore di- ligentìa che in voler machinare contra la persona vostra : et sa- pendo io per la naturale bontà sua in quanta libertà la sole vivere ho interrogato, conio gelosa de la vita sua, la quale più extimo che la mia ne il stato nostro, da cavallarij et ultimamente da Antonio da Bologna in che modo la vive : et ogniuno me referisse che ogniuno indifferentemente la serve, et che Alex° da Baese manza seco a tavola et li cavallarij et stapheri sono sescalcho et scuderi. In modo ch'io vedo che quando si volesse avenenare V. Ex. la via seria molto facile, per non se gli fare credenza ne guardia alcuna. Per il che prego et supplico quella che quando ben lei non se ne curasse per se voglij per rispecto mio et de nostro figliolo bavere magiore cura alla persona sua : facendo fare ad Alexandro lo officio del sescalcho cmn grandissima diligentia... Et quando Alexandro... non potesse... io gli mandarla Antonio o altro che volesse V. Ex. alla quale protexto che se la non farrà che Alex° o altro la serva per sescalcho che io gè ne mandarò ogni modo uno, perchè voglio che più presto lei se turbi cum me, che io bavere causa de piangere insieme col nostro puttino. (Di mano della 3Iarc1iesa) Signor mio, la S. V, non se facia beffe de questa mia, ne dica che le donne sono vile e hanno sempre p^ira, perchè la malignità de loro è assai magiore che 'l timore mio e animo de V. S. Io haveria (scritta) questa de mia mano, ma el caldo è tanto grande che dubito durando moriremo. El putino sta benissimo e manda un baso a la S. V., e io me li racomando sempre. Mantue, xxiii julij. Desiderosa veder V. S. Isabella, manu pp. \y - 138 - A completare il quadro merita il conto si esponga uu altro incidente, che occorse appunto non molto dopo la partenza del Marchese. Arrivò allora a Mantova un tal Francesco, inviato da Cesare, che Isabella sospettò potesse avere soltanto il compito di spiare. Ond'ella a scrivere subito al marito (15 luglio 1502) : « L'ambasata che mi ha facta ~ questo homo del Duca (Valentino) è stata tanto confusa " et cum tante pause che al judicio mio credo che non « havendo ritrovato qui V. S. habbia variata la commis- « sione sua, perchè io non vedo a che proposito l'haveria « mandato cum sì puoca importantia, non se ne potendo <* cavar sugo né conclusione anchora ch'io l' babbi molto « bene examinato ; et perchè il parlare suo è stato tanto '' confuso ho voluto che 'l vedi la littera ch'io scrivo a « V. S. la quale gli ha satisfacto... Sì che io concludo per " quanto ho potuto comprehendere o che l' babbi alterata « l'ambassata o che 'l sij venuto per explorare quel che « si facci qua: l'ho facto alogiare in casa del Milanese, « il qual non lo abandonarà per non lassarlo bavere com- « mercio de altri. Havendo inteso che li forausciti sono « venuti a la corte del Chr""" Re ha dicto che 'l S""' suo « non se ne curerà per haver bona intelligentia cum sua « M'^. Me ha etiam dicto che 'l me manda a donare quelle « cose antique che gli dimandai (*). Signor mio, come ho « dicto, questui parla tanto variamente che non si può in- « tendere... Prima liavea dicto di volere avisare il Duca de « la venuta di forausciti dal Re, poi ha dicto non volerlo « fare per non mettere suspitione a sua Ex. di la vostra, (1) La Venere e il Cupido, f|Uiiiituii(iue quest'ultimo fosse di Mi- chelangelo. " El Cupido, pei' cosa moderna, non ha paro '•. Alvisi, p. 537. - 139 - « perchè quando Ì3en fossero acceptati et accarezati da sua « M'" Chr'"', purché Y. S. non li introduchi ne favorischi « non se ne curarà : et che quando la lo facesse ne seria « ogni modo avisata da li amici che l'ha in quella corte. « Circa questo gli è stato risposto per le rime et honore- « Yolmente per V. S. a la qual anchora che 'l non hiso- « gnasse mi pare racordargli che respondendomi (voglia) « farmi una lettera amorevole da poterla mostrare a lui « et dargli parole per parole, et quando V. Ex. havesse « bene altro animo non lo demonstrare ne in scripto né ^ in dicto, reservando un colpo in sé, perchè non è male « ad intertenersi per ogni cosa che potesse accadere et non « si scoprire finché il tracto non se facci. Io sto bene in- « sieme col nostro puttino et a V. Ex. mi racomando. Laudo « che la S. V. responda subito, aciò che questui si levi « presto de qua, dove non seria in proposito stesse molto ». Francesco invece tardò a rispondere, ciò che mise tutta la corte in ambascia. Finalmente la lettera venne e tutti fu- rono « risuscitati " dalla buona notizia. Solo, quello scritto non era tale da poterlo mostrare al messaggiero sospetto. La Marchesa vi trovò rimedio, ed ecco quale : « Continendo « (scrive al Gonzaga il 20 luglio) alcune parte la lettera *' de Y. S., quali non mi parsene in proposito mostrare a « r homo del Yalentino, feci formare una lettera particu- " lare et fecila ingrassare un poco, parendomi che haven- « domi poi a restare apresso, non si potesse errare a mo- ^' strargela in questo modo et mandone copia a Y. Ex., « aciò che del tutto sii informata, né ho voluto che alcuno <- lo intendi, aciò che la non andasse ad orechie de la Du- « chessa né dil Duca, et che pigliassino diffidentia de quelle « parole, quale artificiosamente ho poste in la lettera per « darne magiore speranza a Yalentino : perchè quando ac- — 140 — '' cadesse che 'l Papa se assettasse ciim quello Chi*"''' Re -' uou seria fora de proposito che se restringesse la pratica « et quando anchora alla S. V. non paresse per altri res- « pecti non è male renderli parole per parole. Cossi ha- '• vendoli monstrata essa lettera è rimasto molto satisfa- « cto » (*). A tali arti può la prepotenza dei tristi indurre anche i buoni in un'età di corruzione politica e di pervertimento morale ! Non era uomo il Valentino da lasciare che i principi scacciati gli aizzassero contro nientemeno che il re di Francia ; onde incognito si mosse da Urbino con quella celerità che era propria a lui solo, piombò a Milano, persuase Luigi a suo favore , strinse patti con lui ("). E fu appunto da quel tempo che, come si è veduto, del fidanzamento tra Federica e Luisa fu parlato con maggiore serietà; si venne, per usare la frase d'Isabella, a « restringer la pratica ». Un altro particolare discusso allora fu l'idea di sciogliere il matrimonio, che generalmente dicevasi non consumato, (1) La lettera falsa è del 18 luglio ed ha il seguente passo: " Adii vertitelo {Vambasciatore del Valentino) che se bene intendesse che " havessimo usato o usassimo alcune parole in favore del Duca nostro " cognato in pubblico, non pilii per questo suspitione alcuna, perchè « havendo lui et nostra sorella sua moglie in casa lo facenio stu- " diosamente, a ciò che gli sii riferito et habbino causa di passarsi a cum qualche conforto et satisfactione di noi ". (2) Per questo meglio di tutti Alvisi, op. cit., pp. 303 segg. Nell'andata e nel ritorno, Cesare si recò a salutare la sorella Lucrezia, gravemente malata, che aborti. Lo due visite sono assegnate dal Greoorovius {Lucrezia, pp. 2G8-69), al 28 luglio ed al 19 settembre, sulla fedo di una cronaca estense ms. Ma certamente quella cronaca erra. Bernardino de' Prosperi scrive alla Marchesa il 4 agosto 1502 che Cesare giunse a Ferrara quella notte a 7 ore, e riparti subito. Della seconda visita die' conto già l'S settembre. - 141 - tra il Duca e la Duchessa d'Urbino ed indurre Guidubaldo a farsi prete. Su questo curioso episodio gli storici sono incerti : chi dice che la proposta venisse dal Papa, chi da Guidubaldo medesimo. E infatti le fonti a stampa lasciano un po' nell'incertezza. Riferisce il Griustinian in data del 20 agosto 1502 essersi diffusa in Roma questa voce e che « el Pontefice se contenta dispensar el matrimonio del Duca « per essere impotente, e far lui cardinale ; la moglie si darà « ad un baron in Franza ". Poi il 21 aggiunge che il caso vien studiato da uomini competenti, ma l'S settembre dice la pratica arenata perchè il Duca non vi consente (*). In seguito, dopo il tentato ricupero d'Urbino per parte di Guidubaldo, il Giustinian riferisce, in data 20 dicembre, una conversazione avuta con Alessandro VI, dalla quale risulterebbe che la richiesta del cappello cardinalizio sa- rebbe partita dal Duca, e che il Papa avrebbe rifiutato di fare quella cJiimera {^). Anzi allora il Papa loda Elisabetta, la quale con magnanima abnegazione verso lo sposo impotente aveva risposto « che piti presto la 'l voleva an- « Cora tegnir per fratello, che refutarlo per marito » (*). Più tardi non si fa più questione di compensi, ma si cerca soltanto che il Duca rinunci ai suoi diritti (*). Su tutto ciò, e su altro, vale a sparger luce una rilevante lettera, che scriveva al Marchese di Mantova, da Genova, (1) Dispacci, I, 96 e 110. (2) Frase identica nel Saxudo, iv, 568. (3) Dispacci, I, 279-80. La lode del papa era tanto più meritata, inquantochè nel sec. xvi le dame erano assai facili a far dichiarare inabili al matrimonio i loro mariti, anche qnando non lo erano. Su di ciò ride il Braktòme, Femmes, vili, 92 segg. (4) GirSTixiAX, Dispacci, ii, 17. - 142 — un suo corrispondente, che aveva avuto un colloquio col Valentino : Xiimo gre iyì\q — Sabbato sera per Zoanfrancesco cavallaro re- cevei una di la Ex. V. in executione di la quale andai a visitare lo 111'"" S''® Duca di Eomagna. Sua S"» mostrò vedermi molto voluntieri ed intrò meco in ragionamento sopra le cose dil Duca di rrbìno, domandandomi se 'l si voleva far prete e renuntiarli il stato, che in tal caso li farla qualche provisione. Gli risposi tal cosa non potersi tractare senza satisfactione di la Duchessa la qual perseverava in opinione di non voler dissolvere il matrimonio. Alhor il S'" Duca concluse senza questo non li da ria uno suspiro, allegando bavere parlato cum la X'"» M*» qual gli haveva pro- misso scrivere a la Ex. V, che havesse a licentiare , tutti li soi nemici dil dominio suo, attento che cossi la S. V. li havea pro- misso, ma che di questa promissa non ne havea parlato niente cura la M*" X"»^. Subintrando poi in le cose del parentado disse volerlo in ogni modo serrarlo, comò è stato ragionato e per più reputatione a lui pareva tal cosa si havesse a tractare e conclu- dere a Roma, dicendomi haver speranza partirsi fra octo giorni di quìi e nel partir mandaria uno gentilhomo cum me a Mantua cum littere credentiale a la Ex. V. per tractar quel fosse ad honor e bene de le parti cum molte bone parole. Io risposi che la Ex. Sua dovesse forciarsi de concludere a sa- tisfactione di la S. V. gratificandola sopra l'altre cose dil capello dil E"»" Proth": al che mi rispose la S*» de N. S. esser molto ben disposta per il bon riporto di Troccio (') e per far- vine segno la S** Sua havea scritto uno bono breve a la S. V. Io replicai : forciative de concludere che cossi gli serra l'honore di rill™° S"" ^Marchese di poter licentiare tal persone cum qual- che justificatione. AUior Sua Ex. mi discorse che la Gel. V. dovesse ben consi- derare de cui meglio la si poteva servire o de li forausciti o de (1) Il Troche, secretarlo del papa, e in questo tempo anima dei divisamenti Borgiani. Fu in corrispondenza con Isabella. Vedi GreooROVins, Storia di Roma, vii, 576. — 143 — lui cum quello stato e conclitione che si trova, affirmandomi che pocho estimava alcuno d'essi soi nemici, ma ben tene conto et estimatione de la S. V. a la qual significa conducendosi Sua S"* in Asti, come ha pur qualche dubio, voler nel ritorno suo andare per il camino de Ferara, ove spera aboccharsi cum la S. V. benché di questo non parla affermative... Genue, 29 augusti 1502. Serviis fidelis GUIVICIIANUS C). Chiaro apparisce quindi che il desiderio di farsi prete non era punto nell'animo del Montefeltro, ma che i Borgia, così spicciativi nello sciogliere matrimoni, gliene avevano fatta la proposta, per poter così legalizzare la proprietà del Ducato. Ed un altro fatto risulta pure evidente dalla lettera menzionata. Dopo la convenzione col re Luigi, il Valentino non voleva più patii'e che i Duchi d'Urbino fossero ospitati in Mantova, e da parte loro i Gonzaga s'inducevano a licenziarli, cercando di ricavare da quell'atto il maggior profitto possibile. Il doloroso licenziamento avvenne infatti in settembre (°), e della soddisfazione del Yalentino è prova una sua v^ettera autografa al Marchese (13 settembre), nella quale lo (1) Il Ghivizzano, che venne adoperato dai Gonzaga in parecchie missioni politiche, fungeva in tempi normali come tesoriere e soprastante alla zecca. In una sua lettera del 19 novembre 1492 egli scrive di aver fatto fare certo voto d'argento, ordinato dal marchese Francesco: e il Bertolotti, prendendo un grossolano equivoco, lo crea di motu proprio orefice ed argentiere! {Ch: Le arti minori alla Corte di M., nelVArch. st. lombardo, v, 277-302). (-2) Vedi lett. del Capilupo alla marchesa del 9 settembre, in cui è detto che la Duchessa vuol seguire le sorti del marito « conclu- " dendo che la vita del Duca saria in magior periculo senza la com- " pagnia sua et che non lo vole abandonare se dovessino morire a « uno hospitale! ". - 144 - ringrazia « de li modi et opere quella ha usate in le pre- « senti occurrentie nostre con el S""" Guido Ubaldo et la " ili'"" S'" Duchessa sua sorella ». Faccia quanto crede « circa el lassarli andare o altramenti adoperare con essi, « perochè indubitatamente extimamo che quanto per la « Y. Ex. in questo sera facto sia ad nui el più expediente ». E aggiunge : « L'antiqua amicitia nostra non paté hormai « tra nui exceptione alcuna «.Reietto dai parenti, il Duca trovò ospitalità a Venezia, che gii pagava anche il fitto dell'abitazione (^). Lamentavasene il Papa (*), ma Venezia lo lasciava dire (^). Essa ebbe a diventare in quel tempo « il rifugio e reduto de' signori scazati dal duca Valen- « tino »,conie disse il piti grande de' suoi diaristi (^). Non ostante i fatti avvenuti, Isabella continuava a mantenersi ^ in relazione affettuosa con la cognata. Nelle sue lettere continua ad esservi una singolare serenità, congiunta ad una sincera amorevolezza; cose che a noi moderni sembrano veramente strane fra quelle sciagure domestiche. Eccone un esempio, tolto dal L. xiv del Copialettere : Ducisse Urhini, Illma "iy['« mia cognata et sorella hon. Per le lettere de lo IIW^ S. Duca et de V. Ex. intesi il giongere loro a Venetia a salva- mento et quanto amorevolmente siano state raccolte da publico et privato, dil che presi et sento gran"»" piacere per lo amore porto alle S"« V, et cum questa che serra comune le ringracio (1) Sanudo, Diarii, iv, 329. (2) Dispaccio 27 sett., in Giustixian, i, 129-130. (3) Non a torto il Castiglione nel suo discorso De vita et gestis Guiduhaldi Urbini Ducis dice che in quella occasione tristissima solo Venezia prestò veramente aiuto ai Montefeltro. Vedi Lettere del Castiglione, ed. Serassi, ii, 350. (4) Sakudo, Diarii, iv, 701. — 145 — grandemente de lo aviso. Né più presto gli ho resposto per non liaver havuto commodità de messi, ma bora che Alexandre se ne vene a quella non ho voluto differire più : la S. V. intenderà da lui el benestare del S'' mio et de tuti nui excepto che la Elionora non è mai liberata ne si munda di febre. Havemo tolto la tecta a Federico il quale dal primo dì et prima nocte in fora se ne ha passato legermente. El p*° S"^^ partirà domane per andare secundo l'ordine in Franza. Pensi la S. V. in che termine mi ritrovarò essendo etiara priva de la conversatione di quella, la quale se cum lettere sue me visitarà spesso mi renderà consolatone assai, ch'io farò el medesimo cum lei a la quale me racemo insieme cum lo Ill'^o S»- Duca et M^ Emilia. — V octobris 1502. Non così tranquilla era peraltro Elisabetta, come si può scorgere dalle sue lettere autografe al fratello. Essa non cessava dal raccomandarsi a lui, firmando, per es. : Quella che inìi spera in la S. V. che in persona che ahia ai mondo Elisaheta da Gonzaga m. p. (leti 10 ott. 1502); uè trascurava mezzo per destare la pietà nel Marchese. Si sa che appunto in quell'altalena avvenne la rivolta di S. Leo e quindi delle altre terre del ducato, sicché Guidubaldo potè in brevissimo tempo riconquistare il suo dominio, ove fu accolto con dimostrazioni di simpatia (*). Senza alcun dubbio gli valse in quella occasione l'appoggio dei Veneziani, ma la Duchessa cercava che anche il fratello lo sovvenisse. Scrivevagli pertanto, in una sua lettera senza data, ma di questo tempo senza dubbio, che vedesse di procurare a Guidubaldo i soccorsi di Bologna, Firenze e Siena, .Su cui il Re di Francia avevagli dato autorità, « et <• volia scrivere al S. Zovanno nostro fratello che se velia (1) Ugolini, ii, 97-102 ; Alvisi, pp. 323 segg. ; Yriarte, ii, 1 03-100. Il Sanudo, IV, 379-80 pubblica la lettera 14 ottobre, con la quale il Duca partecipa di essere rientrato in Urbino. 10 — Luzio e RcM^K. — 146 — « trausferire ad Urbino e se possibile fusse che la S. V. « mandasse qualcuna de le zeute sue, ancora che fusseno « poche non iniportariano, ma solo per uno segno che la « S. Y. tenga conto de me et che la me ama come son « certissima quella fa «. Il Marchese non fece nulla di tutto questo. Come è noto, di fronte all'audacia ed alla potenza di Cesare, aiutato dal padre suo, Guidubaldo dovette cedere ben presto. Malgrado la bontà della sua causa, malgrado il favore del suo popolo, tra cui si distinsero per abnegazione le donne di Valbona, che portarono al Signore i loro ori perchè potesse resistere, Guidubaldo fu costretto a ce- dere ufficialmente il 7 dicembre 1502, lasciando di nuovo il ducato in mano all'usurpatore, contento che gli promettesse libera uscita e non insidiasse a' suoi giorni. Riparò a Città di Castello, ove lo assalse la gotta. Il papa lo voleva avere in poter suo, ma egli, soccorso specialmente dal conte di Pitigliano, riuscì a sottrarsi alle ricerche dei nemici, e dopo aver menato una vita di disagi, cui sembra incredibile resistesse la sua debole fibra, giunse di nuovo, alla fine di gennaio del 1503, in Venezia (^). La Duchessa ebbe a soffrire in quel frattempo angoscie mortali, y priva com'era di notizie del marito, che sapeva insidiato, malato, esposto ad ogni maniera di pericoli. Il fratello Sigismondo erasi recato a Venezia per confortarla, ed una sua lettera a Isabella è vivo ritratto di quel dolore: (1) Coi Dispacci del Giustinian si possono seguire tutte queste vicende, che noi accenniamo sommariamente. Vedi anche Sanudo, per l'arrivo a Venezia, IV, 675 e 677, Cfr. Ugolini, il, 106-10 e 117-18. Erra quest'ultimo dicendo che Guidubaldo andò a Mantova^ dove era la moglie. Questa lo attendeva a Venezia. — 147 — IIW» et Ex™» Madonna mia unica Trovai madonna mia sorella tutta sconsolata, grama et malcontenta et non senza gran causa per le adversità del S'^® suo et era in tal travaglio che stasea sola et non volea che alchuno de li zentilhomini di questa terra gli parlasse, ni pur quasi de gli soi, et apena quando gionsi qua ella mi conobbe, ne io essa per la transfiguratione sua, per essere stata tre o quatro giorni cum pochissimo cibo et senza dormire; pur assai consolata per la gionta mia è tutta rehauta, et vedendo che Sua S. non era per venire sì presto a Mantua per aspectare una risposta del S'® suo ben de giorno in giorno, gli domandai liceutia per voler venire a Mantua per parerme mille anni che non vidi Y. S. et per farli quella compagnia et servitù che sono debitore di fare. Ma astrecto e sforzato da la p*^ e sconsolata mia sorella et da molte sue lacrime mi ha astrecto che voglia restare per alcuni giorni, maxime fin tanto che la habia nova dal S"^^ suo di l'acordo che 'l farà, et acordandossi cum pensiero di esser prete, lei subito venirà a Mantua ad V. Ex. per vivere et morire sotto l'ombra e comandamento suo et dil S'®, et acordandossi cum qualche provisione senza il divortio lei starrà a la obedientia del Ducha suo, et secondo il credere suo bavera nove fra tre zorni. Gionto che sia il messo avisarò V. Ex. dil riporto suo, et se le nove veranno che 'l se faccia prete veniremo di compagnia verso Mantua Venetiis xxi decembris 1502. Servitor Sigismundus de Gonzaga ('). (1) Il 28 die. Sigismondo scriveva che la Duchessa era sempre più sconsolata, perchè non sì avevano nuove. Si scusava insieme di non poter tornar a Mantova « fortiato da lo amor fraterno ". Nonostante la provvigione della repubblica veneta, Elisabetta aveva scarsezza di denaro. Da lett. del 22 febbr. 1503 alla Marchesa si apprende che aveva quasi tutte le sue gioie impegnate. Ma di un altro particolare ancora più pietoso e del tutto ignorato c'informa un'altra lettera dello stesso di, indirizzata a Francesco. 111""° S. mio fratello e patre hon. Havendo el conte Ludovico da Canossa nel ritorno suo da la S. V. fattome intendere lo animo e desiderio suo circa lo andare mio a li - US — Il 1503 doveva essere auiio di riscossa per i poveri Duchi d'Urbino. Noi nou ripeteremo avveuimenti notissimi. Tutti sanno che la morte di Alessandro VI, la sera del 17 agosto 1503, contemporanea ad una malattia di Cesare Borgia, segnò il tramonto dell'astro sanguigno di quest'ultimo. Lo stato Urbinate si ribellò tutto e fu perduto in un giorno. Alla fine di agosto potè Guidubaldo rientrare nella città sua (0. L'esultanza del popolo fu senza esempio. « Oc- « currebant (dice il Castiglione che poteva essere bene « informato) redeunti puerorum exàmiua ramos olivarum « teneutium: canebant auspicatissimum regis adventum: « occurrebant tremuli gradu longaevi senes prae laetitia « lacrimantes, viri, feminae, matres cum infantibus, turbae « acervatim cujuscamque sexus, cujuscumque aetatis: ipsa servicij de la Ch.'"» M^* de la Regina, quale per sua humanità con tanto bono animo non solo se ne contenta ma ne ha recerchata la S. V., che in queste mie tribulacione m'è de non pichola satisfacione de animo, ultra che io cognoscha non poteria de tal cosa reportarme se non utile et honore, tuttavolta essendo venuto qui el S. Ducha mio consorte e per questo expostosi a tanti e diversi pericoli per venermi a ritrovare, com pocha sanità del corpo, non son per abandonarlo né mane bare de quello che altre volte ho facto intendere a la S. V., la quale vedendo quanto ad ogni tempo la tiene memoria di me con perpetuo obligo et animo la ringracio, et pregandola in nome mio volia rengraciare la X^» M'» de la regina, alla quale ancbora me facio el medesimo per Taligata. et in bona gracia de la S. V. sempi-e me racomando a la quale non rimando el Conte Ludovico per certa scesa a la gola li è sopra- gionta in questo suo ritorno. La littei-a me racomandarà a la S'* Marchesana.Venecijs xxii febr. 1503. QueUa che in perpetuo li è obbligata Serva de la S. V. Elisabeta de Gonzaga, m. p. Si comprende adunque che poco mancò la Duchessa d'Urbino non dovesse andare a servire...., sia pure la Regina di Francia! (1) Abbiamo in proposito due lettere autografe di Elisabetta del 27 e 28 agosto. — Wà — « videbantur saxa exsultare, et quodammodo gestire •' (*). Nò sono queste esagerazioni retoriche, come può vedersi dalla descrizione di quelle accoglienze che fa ad Isabella il 29 agosto Polidoro da Fossombrone, il segretario abituale di Emilia Pia. Riferisce fra l'altro che « doi yechi de SO anni - ciechi per la età » si fecero presentare al Duca dicendo: « aspecta, S''^, aspecta che vi voglio tocare. Chi li portava « el figlioL) e chi diceva cose da far spezare durissimi " marmi Hogi sono venute quasi tutte le donne et le « pili nobile e piti belle, cum uno tamburo inanti a visi- « tare Sua Ex. e poi partendosi sono tornate ballando ^ sempre e cusì hanno circato tutta la cita et poi nel « mercatale a suono de tamburo a la svizara hanno finito * la festa -j (*). Elisabetta frattanto continuava a stare in Venezia, decisa a non partirne durante il brevissimo pontificato di Pio HI, \-il-i:Ìuale non^sava^pporsi risolutamente a,l Talentino. Andò tuttavia in ottobre a presentarsi ufi&cialmente in Senato con Emilia Pia ed altre donne, per ringraziare a nome del Duca la Signoria di quanto aveva fatto per lui ('). Ma quando il 1° novembre 1503 fu proclamato papa Giuliano della Rovere, parente e necessariamente amico, Gruidubaldo mandò a Venezia Alessandro Ruggeri d'Arezzo, per invi- tare la Duchessa a tornare ad Urbino (^). Elisabetta il 15 novembre, recatasi di nuovo in Senato con EmiUa e il suo seguito, prese commiato, e fu accompagnata dai Savi agli ordini sino alla porta del palazzo. Andò per acqua sino (1) Oraz. citata in Lettere del Castiglione, ediz. Serassi, ii, 350-51. (2) Cfr. anche Ugolini, ii, 123. (3) Sa^sUDO, Diarii, v, 157. (4) Saxudo, Diarii. y, 248-49. - 150 — a Kaveniia e di là a cavallo ad Urbino (*), dove entrò ai primi di dicembre '• con gran jiibilo di tutto il populo, « che li fo coutra e l'aceptono allegramente », come dice il suo segretario Giampietro Stella C^). Noi possiamo for- nire maggiori particolari, mercè la lettera seguente : Ill'»a et Ex'"» patrona mia, Com prosumtione darò adviso a la S. V. de la intrata che ha facta la excelentia de Madonna in Urbino, ma prima da là partiti da Venetia per fina ad Urbino non poteria scrivervi quanti fu li desastri, l'incomodi et li sinistri et male vie et mali albergi che se ritrovò : pur giongessimo apresso ad Urbino a quattro miglia, et tanto populo gli vene incontra che è una cosa mirabile : tutti cridando Te Deum laudamus con olive in mano et pur Gridando Gonzaga et Feltro Feltro. Et gionti dentro de Urbino assai gientilhomini et citadini che erano fuor di la porta che ivi l'aspectavano com magno gaudio se li fecero incontro, abrazandoli e tochandoli la mano com lacrime di tenereza, et -tenerono Sua Ex. per spacio di tre bore inanzi che la potessi agiongere a la piazzia. Et gionta che la fu dinanti al Yischovato dismontò et intrò in la chiesia dove era tutte le gientildonne di Urbino con una rama di oliva con le foglie dorate et tutte ad una voce Gri- davano il nome di Sua Ex., et abraziata da tutte con gran""» consolatione venne inanti mons. Viscovo adornato eclesiastichamente, prese M»» Duchessa per mano et andò a inzinochiarsi dinanti a l'aitar grande, dove era tutto il clero, et comenzorono a cantare Te Deum laudamus con altre orationi divote, et datta la benedictione usiron fuora di la Chiesa et andoron in pallazo acompagnata dal Vescovo et dal clero con tanta moltitudine di giente che mi parevano assai et steteno tanto in nel pallazo che era nove bore di nocte : et così ogni dì et ogni nocte siamo a questo di essere Sua Ex. visitata. (1) Sanudo, Diarii, v, 305 e 320. (2) Lett. da Urbino 3 die. 1503, in Sanudo, v, 514. — 151 — Sua Ex. sta benissimo et si racomanda all'Ili™^ S. V, et io così poverino corno io sono a li piedi di V. Ex. di continuo m'aracomando. Ex Urbino die XI decembris 1503. Perdonami V. S. a la mia prosumptione. Fidelissimiis servitor Alexander Car.'i^ Siniscalco (')• Queste dimostrazioni di gioia, og-nuno lo vede, non sono le solite accoglienze che i popoli desiderosi di feste fanno ai principi, per inveterata consuetudine, ma serbano l'im- pronta di quella cordialità che solo l'affetto può dare. Gruidubaldo intanto era in Roma e, memore dell'ospitalità veneziana , cercava stornare dal capo di A^enezia l'ira del terribile Giulio II (*), ma pur troppo senza successo. Ivi pure vediamo Cesare Borgia, col berretto in mano, in ginocchio, tutto allibito, chiedere perdono al Duca e giungere a tal punto di vigliaccheria da maledire il padre, come causa de' suoi eccessi (^). È una scena ributtante. Promise Cesare di restituirgli tutte le cose sue, tranne quei magnifici arazzi di Troja, che nominammo altra volta, per- chè li aveva già regalati. La libreria doveva essergli resa tutta quanta (*). Si volle che Gruidubaldo gli perdonasse, (1) Alessandro Picenardi, detto del Cardinale. (2) Per queste disposizioni e pratiche di Guidubaldo sono special- mente da vedere i Dispacci del GIiustiniak, ii, 303-7, 810-12, 314, 332, 357-58, 413. Più tardi, nel febbr. 1504, Guidubaldo si sentirà tentate n darsi in braccio ai Veneziani. Vedi Giustinian, ii, 422-24. (3) Vedi la lettera pubblicata dall'UGOLiNi, ii, 523 segg. Il col- loquio non può più essere revocato in dubbio. Cfr. Ugolini, ii, 127 n. (4) GiuSTiNiAN, II, 326 ; vedi Ugolini, ii, 131-132. La famosa li- breria di Federico, di cui parla a lungo Vespasiano {Vite, pp. 94-98), ch'ebbe tanta parte a formarla, era la maggiore del tempo (v. Favre - 152 — e di ciò lo encomiarono il Bembo ed il Castiglione. Non lo mettiamo in dubbio, ma certamente il Duca si mostrò anche in seguito fieramente avverso al Valentino ('). Ne poteva essere altrimenti. Un dispaccio dell'agente mantovano Gian Lucido Cattaneo (Roma, 22 dicembre 1503) ci assicura che il Valentino, nel vedersi tratto in prigione, non seppe trattenere le lacrime! « La detentione del ducha Valentino — dice il « Cattaneo — ho scritto a V. S. e piangeva quando se « couduceva; poi la partita de Roau fu posto in camera, " dove statea esso E,oan cum guardia honesta di fuora. - A li xvim de questo la notte a le vii bore li fu noti- « ficato l'animo del Papa essere che 'l fosse retenuto più « strettamente da presone in castello, per il che tanto fece « instantia che 'l fu posto in la torre Borgia fatta da so - patre ! ». L'anno 1503 finì lietamente in Urbino sotto la reggenza in Mélanges d'ìiist. liti., Genève, 1856, pp. 127-128 n. e Gaspara, Storia, II, I, 33G). Erra il VoiGT ( Wiederbel., i, 574 ; trad. it., i, 569) aflfermando che Cesare Borgia trasferi quella biblioteca a Roma. Egli la portò seco in Romagna (Gregorovius, Storia, vii, 549) e poi la restituì. Fu solo ai tempi di Alessandro VII, nel 1658, che la libreria Urbinate passò a Roma e fu aggregata alla Vaticana. Su ciò vedi uno scritto contrassegnato L. F., La bihliot. dei duchi d'Urbino nel periodico II Raffaello, an. vi, e poi, ampliato ed ano- nimo, nella Riv. Europea, N. S., iv, 82 segg. Quello scritto passio- nato diede luogo a quelli di F. Raffaelli, La imparziale e veritiera istoria dell'unione della bibl. Urbinate alla Vaticana, Fermo, 1877 e di A. Valenti, Mem. critic. sul trasfei'im. della bibl. d'Urbino a Roma, Urbino 1878. È innegabile però che tanto nell'usurpazione del Valentino come in quella di Lorenzo de' Medici, la libreria dovette soffrire varie sottrazioni. Cfr. CoLUCCi, Antich. Picene, xxi, 77 ; Denni- •STOUN, I, 70; C. Guasti, in Giom. stor. d. Arch. toscani, vi, 130. (1) Cfr. per es. Giustiniax, ih, 27. — 153 — d'Elisabetta, e nel carnevale (precisamente il 19 febbraio 1504), tra molte altre feste, si ritrassero anche in una curiosa rappresentazione storica i fatti capitali che s'erano maturati in due anni: i torbidi disegni d'Alessandro YI e del figliuol suo di usurpare Urbino, il passaggio di Lucrezia, accompagnata dalla Duchessa a Ferrara, lo Stato" preso, il ritorno di Gruidabaldo, la tragedia di Senigallia, la morte di papa Borgia, il ricupero d'Urbino (*). Così al triste dramma reale, in cui fermentarono tanti istinti perversi, che costò tanto sangue e tanti dolori, l'età versatile e artista volle dar termine con una commedia storica. (1) Ugolini, ii, 128-29. Cfr. D'Ancona, Origini, ii, 21-22. Nel 1513 si rappresentò in Urbino VEiitichia di Nicola Grassi, nella quale pure entravano il Valentino ed i Borgia. Vedi Vernarecci, in Arch. stor. per le Marche e V Umbria, iii, 186-88 e anche Saviotti, in Giorn. stor., XII, 406 n. iiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii IV. (1504.-1509) Cesare Borgia ebbe di grazia, liberato dal carcere di Medina, di poter finire i suoi giorni combattendo in Ispagna (1507), ed uno dei pochi signori italiani che conti- nuassero in relazioni amichevoli con lui fu il Marchese di Mantova (*). Altre persone, altre idee trionfarono in Italia, pontificante l'iroso Giulio li, indole di guerriero più che di papa, spregiatore degli interessi piccini per non perdere mai d'oc- chio quello massimo, cui aspirava, formare alla Chiesa un dominio proprio largo e forte; ^ natura potente, ma (come ^ ben si disse) troppo diversa, nonché dall'ufficio che a lui « si spettava, dai tempi e dagli uomini in mezzo ai quali « gli toccò a vivere e regnare " (^). Quantunque al nepotismo quel fiero pontefice inclinasse di natura sua forse meno di qualche altro, l'affinità coi Montefeltro doveva recare a questi ultimi grandi vantaggi. Guiduljaldo era a Roma molto spesso al fianco del Papa, che in lui (1) Gregorovius, Storia, viii, 35-36. (2) CappoìsI, Storia di Firenze, ili, 129. — 156 - aveva fiducia. Nel novembiv del 1503 si ripresero le pratiche, già avviate al tempo di Alessandro VI, affinchè Francesco Maria della Rovere, nipote di Guidubaldo e del Papa, succedesse nel Ducato d'Urbino ('). Dopo alcuni tenten- namenti, cui la politica non fu estranea, volendosi Guidubaldo tenere stretto ai Veneziani e Giulio avversandoli, il Papa propose nel maggio 1504, in Concistoro, la conferma dell'adozione di Francesco Maria a figliuolo di Guidubaldo ed a successore nel feudo C), 6 nel settembre di quell'anno i popoli dello stato d'Urbino giurarono fedeltà al giovinetto adottato (*). In pari tempo un'altra pratica si avviava, quella del matrimonio tra Francesco Maria, tre- dicenne, che durante l'occupazione borgiana era stato in Francia, ed ora veniva chiamato a stabile fortuna, e la decenne Leonora Gonzaga. Le prime voci ne circolavano già nel dicembre del 1503 (*). Nel marzo del 1504 se ne discorreva con più insistenza, ma, riferiva allora il Giustinian (^), « la cosa non ha ancora molto fondamento ^. Fu solo nel gennaio del 1505 che il Duca d'Urbino mandò a Mantova Ludovico Canossa, per stringere quella pratica^ sollecitata specialmente da Elisabetta, che così reputava di ottenere finalmente la porpora al fratello Sigismondo (^). (1) Vedi GiuSTiNiAN-, Dispacci, li, 2.S1, 30G, 323. (2) GiusTixiAN', III, 01. Vedi Raynaldus, Ann. eccles., xi, 1754. (3) Giu.STiNiAX, III, 230. Nel tempo medesimo fu dato solenne- mente a Guidubaldo il bastone di capitano generale della Chiesa,, grado che a Roma eragli stato conferito nel giugno 1504 (Gil'STIXIAN, III, 161). Per la cerimonia urbinate vedi Baldi, Vita di Guidobaldo, II, 173 segg. Giovanni Gonzaga era luogotenente di Guidubaldo. Giustiniax, III, 104. (4) Giustisian, II, 359. (5) III, 33. Cfr. III, 316. (6) GiusTiNiAX, IH, 370. - 157 — Le due pratiche furono continuate insieme ; il Papa esi- geva si desse una dote vistosa a Leonora ('). Il 2 marzo 1505 il matrimonio fu concluso per procura, presenti quasi tutti i cardinali italiani, rappresentando la sposa suo zio Giovanni Gonzaga. « La dote è de ducati 30 mille, li « 20 dei quali si dieno dar al transdur della donna, zoè « 15 mille de contadi, e 5 mille in vestimenti e zoie ; li « altri ducati 10,000 se remeteno in arbitrio de la Du- « chessa d'Urbino, che lei abbi a statuir el tempo del pa- « gameuto » (-). Fu allora che papa Giulio promise di far cardinale al più presto Sigismondo. Infatti il 15 di- cembre 1505 questi ebbe la porpora (^). Il 5 aprile il matrimonio era stato ratificato, ed in quella occasione il marchese Francesco avrebbe desiderato che Francesco Maria venisse a Mantova in persona ; ma pare che il Papa non volesse fare le spese del viaggio (*). Di questi avvenimenti, del 1504 e del 1505, riscontransi naturalmente le traccie nei rapporti tra le due dame alle quali è volta la nostra attenzione. Svanite le paure dei tristi anni borgiani, i rapporti fra di esse divennero ancor (1) GiuSTixiAN, III, 376. Cfr. pp. 390, 394, 402. (2) GiuSTiNiAN, III, 438. Cfr. BuRCHARDi, Diarium, iii, 379, Pelle persone che intervennero cfr. Castiglione, Lettere, ed. Serassi, I, 15. L'atto legale fu rogato dal notaio Camillo dei Beneimbeni ed è conservato nell'Archivio notarile di Roma. Ha la data 9 aprile 1505. Vedi Gregorovius, Das Arcliiv der Notare des Capitols in Boni, nei Sitzungsber. dell'Accademia di Monaco, 1872, p. 516. Come no- tammo, Francesco Maria era già stato fidanzato ad Angela Borgia. Gli strumenti relativi, del 25 agosto e 2 sett. 1500, furono pure ro- gati dal medesimo Beneimbeni. Vedi Gregorovius, Aii. cit., p. 514, e Lucrezia Borgia, pp. 395-96. (3) Volta, Storia di Mantova, ii, 276. (4) GirsTiNiAN, III, 476. - 158 - più serenamente cordiali ed a questa cordialità contribuiva in non piccola parte la buona Emilia Pia. Spirando così propizia ai Duchi d'Urbino l'aria del Vaticano, ebbe la Marchesa il pensiero di andare a Roma con la cognata. Di ciò fa testimonianza una sua festosa lettera del 17 giugno ]504 ad Elisabetta, nella quale dice che il marito « persiste pure in proposito di concederme la licentia », onde ha determinato, « quando non me occorra cosa nota- - bile che me necessita mutar sententia, dare principio al « viaggio mio ». Siccome peraltro ha udito dire che Roma « non è ben secura di peste ", prega la Duchessa a chiarire il vero e dargliene avviso. Termina : « quando il viagio « se possi fare securamente, facio pensiero andarli inco- « gnita vestita di negro con tutti li miei beni di seta. Se « Y. S. vorà andare publica, io me metterò in la fami- « lia sua, a fargli qualche servitio, da citella, et starò a « la obedientia sua » (*). Certo Isabella rammentava il piacere che avevale procurato il viaggio a Venezia in in- cognito, del 1502. Ma qualunque ne fosse la causa (forse la peste) (-), quel viaggio a Roma non si effettuò. In Urbino allora le informazioni di Roma solevano es- (1) Copialett., L. xvii. Dimenticammo questo documento nella nostra Gara di viaggi, ove poteva essere acconciamente rammentato. Erano già parecchi mesi che la Duchessa voleva recarsi a Roma. Infatti in una lett. autog., senza data, ma del genn. (o primi feb- braio) 1505, Emilia Pia, dopo essersi condoluta con la Marchesa per la morte del padre suo, dice: « De l'andata nostra a Roma se fa " tutte le pratiche che se pò fare, ma questo Papa è tanto misero u che non so quello me diga, ma per questa andata del conte Luu dovicho [Canossa] a Roma se saverà quello abiamo da sperare e u del tutto V. Ex. ne sei'à avisata ". (2) Infatti di molti casi di peste parla la lettera di Emilia Pia deiril luglio 1504, che stiamo per citare. — 159 — sere fresche e precise, onde Emilia Pia, che aveva speciali qualità di corrispondente, informava la Marchesa di quanto avveniva nella città eterna. Y' è una sua lettera d'Urbino dell'I 1 luglio 1504 piena di particolari romani interessanti. Dopo aver accennato al pasto fatto dal Papa a Belvedere con alcuni cardinali, il dì delle nozze della nipote, scrive : « Et dipoi li venne mad^ prefectessa (') cum mad^ Con- « stanza sua figlia et le doi nepoti de N. S. spose. La « prima, madama Sixta, maritata nel nepote de San Zorzo " signor Galeazo (^), la quale ha za hauti tre mariti cura « questo, havea indosso una veste de brocato d'oro coperta « de raso crimisino tutto tagliato et la sbernia de tabi « d'oro. La secunda, dieta mad* Lucretia, maritata al ne- « potè del Cardinale di Napoli, za fo figlio del Duca de « Ariano (^), havea indosso una veste negra et d'oro facta « a razi cum perle al collo et zoie in testa non de troppo « valore ; et queste sono nepoti del Papa, figliole de una « sorella de S. S'% dieta mad^ Luchina (*). Et mad* Con- « stantia precedeva tutte cum una veste zalla coperta de « zendale bianco tutto tagliato et cum una lenza in testa « de diamanti di assai valore et extima, la qual li donò « el Papa. Mad^ Foelice (^) non comparse, che za se sen- (1) Giovanna della Rovere, sorella di Guidubaldo e madre di Francesco Maria. Era giunta a Eoma fin dal 18 marzo 1504 (GiuSTINIAN, III, 27) e perorava presso il Papa a vantaggio del figlio. (2) Qioè Galeazzo Eiario, nipote di Raffaele, cardinale di San Giorgio. (3) Vedi GiuSTixiAN, III, 158-59. (4) Luchina della Rovere, moglie del lucchese Gianfrancesco Franciotti. Giunse a Roma, con Felice, ai primi di giugno del 1504, ed andò pubblicamente dal Papa, con la Prefettessa, l'il giugno. GiuSTixiAN, III, 138 e 143. (5) Una delle tre figlie naturali di Papa Giulio, della quale avremo ad occuparci tra non molto. - 160 — « tiva male : et sposati che fuorono doppo alquanto spatio « se tornorono a casa, magna comifante caterva. Mad" « Prefectessa dovea venire qua insieme cum mad^ Con- « stantia e mad* Foelice, ma per essere occasionato male " a p'* mad* Foelice s' è sopraseduto. El Car'^ Samp° ad « yincula (*) se dovea partir alquanti di za passati et « portare li stendardi, quali sono doi, secondo usa la Chiesa « a li sui capitanij , et el haston al S. Duca ; quali « stendardi se dice sonno molto sumptuosi et belli, ma « non habiamo hauto ancora lettere de la sua partita ». E così continua, dando altri ragguagli minuti, non senza una impronta spiccata di pettegolezzo. Ma quanto giova anche il pettegolezzo alla storia ! Chiude : « Eengratio sum- « mamente Y. Ex. de la mandata compositione (^) quale « a mi è stata gratissima, de la quale se ha a fare para- « gone cum quelle se fanno a Roma : et so che sirà con- « eluso quello che ho sempre dicto, che Y. Ex. ne bavera " lo honore •' (^). Di maggiore interesse è un' altra let- (1) Galeotto Franciotti della Rovere, figlio della mcnziouata Lucliina, su cui Giulio II accumulò tanti benefici. Vedi Gregorovius, Storia, vili, 48. (2) La compositione, di cui qui si parla, è indubbiamente una di quelle misture di profumi, che la Marchesa sapeva fare con arte di maestro, le quali misture riposte in appositi hossnletti dispensava poi ai suoi fidi. Di ciò avremo ad occuparci quando tratteremo di pro- posito un soggetto importante quanto vasto, il lusso d'Isabella d'Este. Notiamo, per ora, che uno degli amici che più si godevano quelle composizioni era Pietro Bembo. Ne ha pubblicati bei documenti il Gian, Pietro Bembo e Isabella d'Este, in Giorn. stor. d. lett. Hai., ix, 115, 119, 120. (3) Chi voglia vedere la lettera intera, consulti lo Lettere inedite dei Pio signori di Carpi, pubblicate da Policarpo Guaitoli, nelle Memorie storiche di Carpi, e precisamente, voi. ii, jip. 297-99. — 161 — tera dell'Emilia, scritta pure in quell'anno, che crediamo utile riferire intera : 111™* et Ex. patrona mia. — Rengratio V. S. de la copia me ha mandata de l'adviso ha havuto de la incoronatione de la Regina de Franza, qual me è stata gratissima, et per contracambio li advisarò mi de le cose de quìi, anchora che mi persuada Y. Ex. per altra via le habbia havute. Occnrse in li giorni passati che a Stabia, terra del S. Juliano de l'Anguillara, fu morta la moglie che se domandava M* Hierouyma (') , sorella de M* Julia Farnese (-) , da doi figli del dicto S. Juliano. cioè uno legiptimo, l'altro naturale, figliastri però de quella infelice. El legiptimo è gentilhomo qui del S"^ Duca : el qual circa uno mese e mezo fa domandò licentia de andare a parlare al patre ; ma secondo s' è depoi inteso, se partì per far tale effecto. Arivando ad un castello de un suo barba vicino a dicto loco, mandò per el patre che venisse in certo altro loco de- terminato, che li volea parlare de cosa che importava. Et così el patre venne, ma lui et el fratello naturale fecero un'altra via, e quasi in un instante che lui fò fori de Stabia, loro per un'altra \ÌR senza che epso se ne acorgesse intrarono, et andettero in casa dove atrovarono la sudicta lor matrigna cum una figliolina che l'havea in braccio. Et un lor staffiero, menato a posta, fò el primo che li menò un colpo ne la testa, del qual subito cascò in terra et così morendo etiam cum agionta de altre ferite mai dixe altro se non contìnuo recomandare la figliolina che se li retrovava in braccio. El patre non retrovando li figlioli a quel loco deputato se ne tornò indretro, et inteso el caso monstrò esserne forte adolorato, e lor gli dixero che più non haveano possuto tollerare la vergogna de casa sua et che haveano voluto tagliarli le coma. (1) Moglie prima di Puccio Pucci, che moiù a Poma il 31 agosto 1491, poi di Giuliano dell'Angaillara. Cfr. Gregorovius, Storia, vii, 392-93. (2) La concubina di Alessandro VI, troppo nota perchè spendiamo intorno a lei molte parole. Vedasi passim la Lucrezia del GregoROVius. specialmente alle pp. 37-38, 61, 64, 66-69, 296-99. 11 — Luzio e Kenieb. - 162 - Et questa è la scusa che fanno essi fratelli, ma quelli dal canto de lei dicono haver loro focto tal homicidio perchè vedendo questa meschina gravida dubitavano non havesse partorito un figliolo maschio et per respecto de non essere pregiudicati nel stato han facto tal delieto ('). Un altro caso pur de homicidio è intervenuto in Uoma circa XV dì fa. Un giovene et una giovene, essendo ogniun de loro unici figlioli a li lor patri, erano ferventemente inamorati insieme et haveano trovato via che spesso se parlavano senza testimonio, et dicesi che se haveano promessi et data la fede l'uno a l'altra de congiungersi in matrimonio. Occurse che 'l patre del giovene, qual niente sapeva de questa pratica, non molto de poi dixe al figliolo volerli dar moglie de conveniente parentado, et insumma per- suaso assai promise voler far la voglia del patre. La giovene pre- sentendo de questo, nel loco consueto parlò al suo inamorato e seppe da lui che l'era vero che al patre havea promesso di torre in sua moglie quell'altra, et che non havea possuto contradire per non incurrere in disgratia del patre. Finalmente vedendo lei non lo poter removere de proposito, anchora che li recordasse le pro- messe facte et li rimproverasse la rocta fede, exagitata da diabolico furore cum un pugnaletto che occultamente se havea posto a canto, decte al giovene in mezo el core, dicendo solo questa parola : faremo dir de noi. Quello subito cadette in terra, poi essa col medesimo pugnaletto se ferì pur nel core, in modo che senza alchun intervallo passò de questa vita. Una donna della casa de (1) Di questo tragico fatto la relazione migliore che sinora si aveva era quella del Bukchaud, Diarium, in, 369-70. La data as- segnatagli è dell'ultimo di ottobre del 1504. Il LlTTA, Famiglie, Farnesi, tav. vii, ne riferì una relaziono italiana dal codice Vatic. 7871, senz' avvertire che essa è traduzione letterale del Burcardo. (Cfr. nota al Giustinian, in, 327 n.). Emilia Pia narra l'avveni- mento con non pochi particolari nuovi. Il Burcardo riferisce in più lo prime risultanze del processo iniziato. I testimoni accusavano Gi- rolama di adulterio. Uno di essi, certo Nanne, depose pure che ella aveva portato a Stabia del veleno per attossicare « D. .lulianum, " ejus fìlium, et plures alios ac omnes presbyteros de Stabia et u quatuor incolas ejusdem terre et se facerc dominam... ". — 163 - questa giovene morta, inteso tal infortunio subito arivò lì e dal giovene anchora che fusse in transito de morte gli fò dicto come el caso era passato. El quale quanto sia miserabile e stupendo ciaschun el pò judicare. Et perchè el fine de questa mia sia più presto de comedia che de tragedia, volendosi partire la Principessa de Bisignano de Roma per andare a Milano, el cardinale San Severino fece un pasto a S. S"* emù una festa dove si facea una representatione di tre donne: una representava Francia e Lombardia che pregavano la principessa a voler andare in diete lor provintie, promettendoli gran cose. Poi veniva Eoma dolendosi d'essere abandonata et restar priva de la sua presentia. Et depoi molte contese vincta remanea et adolorata et per lo contrario le concurrenti provintie mostra- vano de la Victoria loro gran triompho et festa ('). Ragionasi che la pratica è pur strecta che la figliola del S. Don Consalvo se habbia a dare al figliolo del S. de Piombino et quasi se ten per conclusa. Et dicto S' Consalvo a questi dì fece fare un bellissimo exequio a la principessa de Squillatio dove volse se li trovasse tutta la famiglia remasta de la decta M* : quale era però molto mal contenta, perchè Don Giovanni de Cardona li havea tolta tutta la robba, in modo che non li restò niente, salvo a una sua favorita a la qual se dice esserli restato parecchi centinara de fiorini : et questo è forsi per esser molto bella, come ne è gran fama, et è nativa da Fossombrone. El S'' Duca sequita el viagio suo. anchora che li tempi vadino sinistri et sta bene, respective de quel che 1' è stato per essere quartanaria : credemo che lunedì prox. sera in Eoma. La causa de sua andata non la sapemo, né anche lo orator suo m. Aloisi Ripol , qual è stato qua , sa altro se non una bona voluntà de N. S. di vederlo et conferirli molte cose, et se 'l sequirà la mità de quel che lui ci ha dicto possemo stare cum bonissima speranza che le cose nostre habbiano a succedere cum honore et utile. Li (1) Di questa i-appresentazione allegorica, data dal card. Federigo Sauseverino, nessuno, o c'inganniamo, ha parlato in questi ultimi tempi, in cui pur tante curiose notizie vennero in luce sul teatro romano durante il pontificato di Giulio II. — 164 — Car^' non se faranno fino a Pasqua de resurectione, quali scranno parecchi e tra li altri se tene per certo sera el N. R*° Mons. lo Protonotario. Et così piaccia al N. S. Dio, ecc. TJrbini, xxi decembre 1504.Quella che desidera servire V. Ex. Emilia, V. schiava. Seguitiamo ad occuparci del delizioso epistolario di Emilia Pia, che è specialmente ricco in questi anni. La Marchesa le chiedeva di continuo notizie, ed essa era instancabile nel fornirgliene. Qualche volta scriveva di propria mano ('): ma più spesso le lettere piìi lunghe erano stese dal cancelliere ed essa le firmava. Caratteristica è la seguente, scritta quando ormai il matrimonio di Francesco Maria con Leonora era un fatto compiuto. Si noti la varietà degli argomenti trattati in questa lettera : cerimonie e nozze ro- mane, predicatori, particolari di toilette e nello sfondo la truce figura del Valentino, che tenta la fuga dalla rocca di Medina del Campo. Se qualche nova havesse degna de aviso voluntiere farla participe la Ex. V. ; pur de quelle ce sono, benché me persuada quella esserne certificata, non restarò de fare cum alcuna el debito mio, e maxime del parentado intra el S'" Prefecto et el S' Marchese, quale se dovea publicare domenica passata, ma per essere soprazonto a la S** de N. S. alquanta molestia de gotta s'è soprastato f). El retracto de Mad. Lionora subito che '1 (1) Aveva una scrittura molto simile a quella d'Isabella. (2) Como notammo in addietro, il matrimonio fu celebrato per pro- cura in Roma il 2 marzo 1505. Lo notificava il giorno stesso da Roma (t. Lucido Cattaneo, il quale in altra lettera, del 15 marzo, aggiungeva: « El S"" Perfetto monstra ingegno in ogni cosa. L'altro u d'i essendo con lui, che legeva insieme al maestro suo, io li dissi u iocose: bisognia ben che habiate ben imparato, perchè Madonna u Leonora ben intende gramaticlia ". Il Duca partecipò ufficialmente gli sponsali il 3 marzo. . 1 > I — 165 — Papa l'intese bisognò mandarlo a Koma, e Mad^ Prefettessa non lo potè vedere : bene è vero che questi de qua se siriano acontentati el fusse stato de colore ('). (1) Il penultimo d'aprile del 1505 troviamo che la Marchesa scri- veva a Giovanna Della Rovere (la Prefettessa): « haveria mandato « il retracto de la Elionora a V. S., come la ni ricerca, quando " fusse stato qui pletore che sapesse ben collorire. Expectandone « uno, subito lo farò fare et mandarollo a V. E. ». L'asserzione potrà sembrare strana quando si pensi che il Mantegna era ancor vivo (mori nel 1503). Leonora fa poi ritratta da diversi pittori. Il veronese Francesco Bonsignori, che tanto lavorò di pennello nei palazzi e nelle ville dei Gonzaga, ritrasse molti personaggi di quella famiglia (fra cui Ercole e Federico) e dipinse pure un quadro, raf- figurante S. Francesco che presenta a Cristo il march. Francesco, con ai lati il card. Sigismondo, il piccolo Federico e la piccola Leonora. Vedine descrizione in Vasari, Opere, v, 301-2. Di questa tela è a lamentarsi assai la perdita, massime considerando che il Bonsignori ebbe fama d'eccellente ritrattista (Cfr. Zannandreis, Vite dei piti., scult, e archit. Veronesi, ed. Biadego, Verona, 1891, p. 62). Nel 1508, poco prima che Leonora andasse sposa ad Urbino, lavo- rava intorno ad un ritratto di lei il pittore Lorenzo Costa. Cfr. Bertolotti, Artisti in relaz. coi Gonzaga, Modena, 1885, p. 27 e Venturi in Ardi. star. deWarte, i, 251, n. 2. L'anonimo Morelliano indica quel ritratto del Costa, con l'altro che egli fece d'Isabella, esistenti insieme in casa Marcello a Venezia (Cfr. ed. Frizzoni, p. 171). Poi non se ne sa più altro. Esiste invece ancora il ritratto di Leonora, eseguito dal Tiziano, quando essa aveva già passato la quarantina, nel 1537, e trovasi, col num. 599, nella Galleria degli Uffizi, presso al ritratto che del mai'ito suo fece pure il Tiziano. Pietro Aretino inneggiò a quei ritratti ed alle figure da essi rappresentate in due enfatici sonetti, che il Dennistoun {Memoirs, ili, 437) rife- risce. Per la descrizione del ritratto di Leonora vedasi specialmente Cavalcaselle e Crowe, Tiziano, Firenze, 1877, l, 389. Riproduzione non cattiva nel Klassischer Bilderschatz di Monaco, tav. 310. Curioso particolare è questo che la bellezza di Leonora giovane sembra abbia colpito la fantasia artistica di Tiziano, il quale ripro- dusse il tipo idealizzato di lei in varie sue opere. E noto come fosse consuetudine di quel pittore il prendere simpatia per un tipo e poi riprodurlo in pax'ecchi quadri. Cosi fece, per es., col tipo della Flora - 166 — De questi parentadi et de le altre cose de Eoina non me exten- derò più ultra , persuadendome che 'l S' Zoanni tengna V. Ex. certificata del tutto, excepto che del Valentino quale volendo fu- gire de una rocha se ingegnò sutilmente scampare cum asotigliare li sui lenzuoli in modo et vice de una corda et essendo fuora a mezza via apicato li lenzuoli non poterò tenir tanto carco et cussi cascò et rupese una spalla et la guardia sentendo lo repilgliò et meselo in loco assai più forte, et questa fo la fobula che andò che il Valentino era lassato : ma non è stato vero niente, che fuorono doi mercatanti de Valenza. Questa è la vera verità venuta da l'imbasatore de Spagna da Roma: quale ha facto fare exequie per la regina de Spagna, dove intervenero 26 cardinali et la per- sona del S"^ Duca et del S'' Prefecto et el Principe de Salerno, quale fuorono misere a la italiana et cerimoniose a la spagnuola. L'imbasatori del Re de Polonia sono venuti a Montefiascone et è bisognato cavarli de lì cum più excomunicatione por condurli a Roma. degli Uffizi e in fine con quello di Lavinia sua figlia. Ora il tipo di Leonora ricompare idealizzato in quella splendida figura che è la Bella di Tiziano in Pitti (n. 18) e nella Venere degli Uffizi (nu- mero 1117). Cavalcaselle e Crowe (i, 366-67) toccarono dell'af- finità tra la Venere e la Bella; il Burckhardt, Cicerone, iii, 761, riconobbe l'analogia del tipo con quello della duchessa d'Urbino. (Cfr. anche Gsell-Fels, Mittel-Italien, Leipzig, 1886, p. 250), Il se- natore Morelli, ritrovando che il corpo della Venere degli Uffizi è tratto da quello dell'incantevole Venere di Giorgione, che è a Dresda, crede che Tiziano v'abbia sostituito il " viso idealizzato " della duchessa Leonora, forse per commissione dello stesso duca d'Urbino (Lermolieff, Opere di maestri ital. nelle gallerie di Monaco, Dresda e Berlino, Bologna, 1886, p. 168, n.). Il dr. Vittorio Bossi, che ci venne in aiuto nel delicato paragone fra i tre quadri, avvert'i pure un particolare non privo d'importanza, e che poi con- statammo coi nostri occhi. Nel ritratto della Duchessa e nella Venere notasi la presenza dello stesso cagnolino, forse prediletto da Leonora. I cagnolini dei due quadri sono identici per razza, per colore, per posa. Non conosciamo un altro ritratto di Leonora, pure del Vecellio, che secondo il Morelli (1. cit.) dovrebbe esistere nella Galleria del Belvedere in Vienna. - 167 — El parentado de Mad» Foelice cimi el Principe de Salerno credo anderà in fumé (')• Circa le cose de Koma ponerò silentio : venirò a la particularità de le cose nostre de qui, et mando qui inclusi certi statuti facti per Mad'* Duchessa cum persuasione et instincto de uno nostro predicatore , quale converte omni homo f) ; che volendo V, Ex. anco fare questo bene li mandamo el modo et la via, benché sapia che li predicatori vostri non faranno tanto fructo ma ben in la S. V. per esser continua a le prediche loro et a Sampiero et a Sanfrancesco, quali l'uno et l'altro sono mei amicissimi et piacemi de lo honor quale V. Ex. li fa. Mando a V. Ex. uno legno quale ha proprietà de fare molto lustre le onghie de le mani, el quale se usa in questo modo : quello canto dove è el cuoro se frega sopra l'onghia tanto che se sente alquanto rescaldata et alora se fa lustra assai, et in el principio sirà uno poco fatigha et dapoi in capo de otto dì omni poco basterà, et questo non lo so fare ma m' è stato donato, et questo legno durerà uno bono tempo, facendone V. Ex. bono governo. Item mando uno poco d'aqua de denti, quale me è stata mandata, che è de quella sorte che usavano quelle regine da Napoli, che se usa così : necti che siranno li denti, se ne tene uno poco in bocca quanto para conveniente, ma bisogna sia fora el freddo, et per essere questa poca V, Ex. porà bagnare uno poco de bambaso et cusì bagnarse li denti et le gengive et tante volte quanto parerà a V. Ex. Mando qui inclusa la recepta de questa et de un'altra : per el primo venirà, manderò uno uncto da mane quale sirà dififìcultà haverlo, ma sirà per excellentia. Se altro melgio havesse lo manderia a V. Ex., ma quella se degni pigliare queste cose minime de essentia ma grande de animo et de bonità de cuore : haveria scripto de mia mano, ma impe- (1) Ne riparleremo commentando una lettera d'Emilia del 1506. (2) Si trattava d'una specie di legge suntuaria per le donne. Eli- sabetta scrivendo a Isabella lo stesso giorno le dice: « M^^ Emilia « ha tolto lo assumpto de mandarli li capitoli novamente facti qui, u che queste nostre ciptadine non possino in le eamurre portar u code ". - 168 - dita circa la serntù mia de Mad. Duchessa non ho possuto satisfare al mio debito et satisfactione, ma la lettera baserà la mano de Y. Ex. et a quella humilmente me recomenderà. Urbini, x raartij 1505. Quella che desidera servire e vedere V. Ex. La scontenta Ejiilia, v. schiava. Nel 1505 Isabella iufermò di febbre e la malattia fu abbastanza lunga e grave. Ed ecco Emilia Pia, appena la sa ristabilita, le scrive poche righe autografe, incaricando di portargliele quel frate Serafino buffone, che compare nel Cortegiano e di cui si stamparono di recente notevoli documenti C) : Sapendo che per la infermità passata V. S. IIW* la sera re- masta non senza qualche fastidio, non mi è parso conveniente cum longo scrivere aughumentarglilo, però frate Seraphino a boccha supplirà per nome mio ad quello che io manco per lettera. Eecomandomi sempre in bona gratia de V. Ex., basandogli la mano. In Foro Sempronio, a dì xxx de octobre 1505. Quella che piìi desidera servire e vedere Y. Ex. La scontenta Emilia Pia, v. schiava. (1) Rimandiamo a ClAN, Fra Serafino buffone, Milano, 1891, ed a Luzio-Renieu, Buffoni dei Gonzaga, Roma, 1891, pp. 37-40, ove si potrà trovare il documento relativo alla ferita di Fra Serafino in Roma nel 1507. Dalla parte ancora inedita della lettera di Serafino a Isabella del 7 febbr. 1505, di cui il Ciak (p. 8) riferì il principio, s'impara che l'onesto buffone secondava la Marchesa anche nel suo vivo desiderio di trovare anticaglie. Infatti " perchè so che la S. V. i. ha gran i)iacere de medalie et de cose antiche per adornare la " grotta vostra ", le manda un oggetto trovato in uno scavo di fondamenta. E giustamente apprezzando l'intendimento artistico della Marchesa aggiunge: « Non bisognarà che mandate per Zoan Chriu stofaro [Romano] perchè la S. V. ha tanto judicio, che subito comu prenderà il tutto, et suplico quella la volia nieter nella sua grotta u per memoria ". - 169 — (tIì scambi, del resto, di oggetti curiosi e preziosi, di componimenti letterari (^) ed anche dì persone, tra le due Corti, furono in questo tempo continui. Avremo a parlare tra breve del Castiglione, che appunto nel 1504 si acconciò col Duca d'Urbino. Nel 1505, con lettera di presentazione di Elisabetta e di Emilia, veniva da Grubbio, reduce da una (1) Di provenienza urbinate era una predica d'amore, che nell'ot- tobre 150Jt Isabella spediva al padre, con questa lettera: Hlmo S'-'^ mio patre obser"» Quando la Ex. V. era in questa terra io gli dissi de una predica di amore che havea composta uno cancellere di la Duchessa di Urbino de la quale alhora non poti darli copia per non haverla presso me: ma essendo capitato qua frate Stoppino che l'ha a memoria mi ne son raccordata et factone fare exemplo m'è parso mandaiio qui alligato a V. Ex. persuadendome che la gli piacerà per esser piacevole et honesta. Eaccomandome ecc. Mant. xxvii oct. 1504. Intorno alle prediche d'amore cfr. Novati nel Giorn. stor. della leti. ital., I, 68. È importante assai l'accenno a frate Stoppino. Il Gian {Gioviana, in Giorn. stor., xvil, 345, n. 2) parlando d'una commedia satirica, in cui i discorsi dei cardinali sono riferiti da fra Stoppino, osserva: " Nel cinquecento era diventato un personaggio popolare, « leggendario e proverbiale, una specie di piovano Arlotto, ma an- " ch'egli dovette essere in origine persona vera «. E riferisce una facezia del Colocci, ov'egli compare. Persona vera è certo fra Stoppino nel docum. nostro, e lo vediamo in relazione con la Gonzaga. Da questo fra Stoppino divenuto leggendario pensò di prendere il suo pseudonimo il poeta macheronico secentista Cesare Orsini di Ponzone, autore dei Capriccia Macaronica stampati e ristampati molte volte nel xvii e xviil secolo. Non pare che gli studiosi dell'Orsini abbiano avvertito la derivazione del suo nome di battaglia. Vedi Quadrio, *S^^ e rag., i, 218; Gexthe, Gesch. der JMacaron. Poesie, Leipzig, 183G. pp. 144-4:6; Delepierre, Macaronéana, Paris, 1852, pp. 116-17. Si avverta una coincidenza. Nel 1507 e nel 1514 si stampò a parte una predica d'amore, che venne anche inserita in edizioni dei versi del Calmeta. Il Melzi, Anonimi, i, 270, crede ne sia autore Filippo Baldacchini. Non avanziamo neppure l'ipotesi che sia la medesima indicata nel documento nostro. — 170 — ambasceria, Pietro Bembo e si procurava per la prima volta il piacere di conoscere personalmente la Marclu'sa, verso la quale professò poi sempre una sincera ammirazione ('). Pure nel 1505 recossi in Urbino Lorenzo da Pavia, il noto fabbricatore di strumenti musicali ; e Isabella si rallegrava con lui, rS luglio, per la buona accoglienza che avevagli fatta la Duchessa. La interposizione di Gluidubaldo e del Prefetto, fu in quell'anno sollecitata dalla Marchesa per ottenere da Roma un Cujndo antico, posseduto dai Bonatti (-), acconcio per far riscontro all'altro Cujndo, opera (1) Di ciò assai bene V. Ciak nell'articolo Pietro Bembo e Isabella d'Este, nel Giorn. star., IX, 81 segg. Le due lettere rammentate, che hanno la data 10 e 16 giugno 1505 sono impresse integi-al- mente a p. 98-99. (2) Sull'acquisto di quella statua pubblicò dapprima qualche do- cumento, con la solita trascuratezza, A. Bertolotti, Artisti in re- lazione coi Gonzaga, pp. 170-172. A. Venturi, che noìVArch. star, ital., Serie iv, xvii, 135-138, aveva rettificato le asserzioni bertolottiane, parlò poi anche di quella statua da par suo nell' articolo Il Cupido di Michelangelo, in Archivio storico delVarte, l, 10-12. Come opera di Prassitele è indicata nell'inventario di oggetti d'arte posseduti dalla Marchesa , dato in luce dal D'Arco, Notizie d'Isabella, p. 123, e tale lo credette il Castiglione nel suo epigramma In Cupidinem Praxitelis (Poesie del Castiglione, ed. Serassi, Roma, 1760, p. 159). Il De Thou nelle sue Memorie dice che nel 1573 a Mantova gli fu mostrato il Cupido di Michelangelo, che trovò bellissimo; ma poi cjuando vide quello antico, dovette confessare la immensa superiorità di quest'ultimo, ed anzi riferisce la leggenda che a Mantova correva, avere il medesimo BuonaiToti pregato Isabella di far sempre vedere prima la statua moderna e poi la greca. Ciò riferisce il Manette nelle annotazioni al Condivi, Vita di Michelangelo, Pisa, 1823, p. 179. Per l'acquisto dell'Amorino in Roma si valse special- mente Isabella di Lodovico e Floramontc Brognolo, ma pose in moto tutti i personaggi altolocati, di cui poteva disporre (e fra questi Guidubaldo e Francesco Maria, ai quali scriveva 1*8 giugno 1505) acciò quell'opera d'arte non le sfuggisse. Le trattative per quell'acqui- sto sono ora solo in minima parte conosciute. Ne parleremo altrove. — 171 — di Michelangelo, che avevale regalato nel 1502 il Valentino C). La poHtica avvicinava ora sempre più i Montefeltro ai Gonzaga (^). Il battagliero Giulio II, nel 1506, acquistata Perugia, volgeva le sue armi contro Bologna, per cacciarne i Bentivoglio. Guidubaldo, a dirigere quella spedizione, pensò che nessuno sarebbe stato meglio a proposito del Marchese di Mantova, onde lo invitò il 24 agosto a recarsi ad Urbino, ove il Papa intendeva trattenersi nel (1) Insieme con una Venere antica. La corrispondenza in proposito fu pubblicata dal Gaye, dal D'Arco, dal Minghetti, ma ora tutto è riferito e bene interpretato e vagliato nel citato articolo del Venturi, nel I voi. delVArch. stor. dell'arte. II Cupido, che Michelangelo vendette per antico al card. Raffaele Riario, passò in possesso di Cesai'e Borgia, il quale secondo l'opinione del Richter, appoggiata dal Venturi e dal Miintz, lo regalò nel 1496 a Guidubaldo. Isabella lo impetrò dal Valentino quando questi occupò Urbino, ma chiese il consentimento del Montefeltro, che l'accordò. Quando questi fu reintegrato, egli ridomandò il Cupido a Isabella, ma la Marchesa non volle darglielo, facendosi forte sul suo consen- timento al dono {Arch. delVarte, I, 5). Anche al Cupido di Michelangelo vari poeti inneggiarono, tra cui specialmente notevoli Battista Mantovano e Niccolò d'Arco {Arch. cit., i, 5). In Urbino lo vide Serafino Aquilano e vi fece sopra un sonetto (D'Ancona, Studi cit., p. 206), nel quale dice che quel putto fu pietrificato dagli « ardenti sguardi medusei » della Duchessa, ch'egli aveva tentato di ferire. E il concetto medesimo che sopra un Amorino di Lucrezia Borgia svolse poi in eleganti versi latini Ercole Strozzi, provocando cosi magnanime ire nell'animo di Mario Equicola (Luzio, Precettori, p. 43). Ambedue i Cupidi, l'antico ed il Michelangiolesco, furono nel 1632 portati in Inghilterra, ove tuttora si trovano. (2) Nacque bensì certo malinteso alla fine del 1505 e si protrasse nel gennaio 1506, ma Elisabetta cercò di appianar tutto e si valse perciò anche della mediazione di Battista Scalena, segretario del Marchese. Cfr. le lettere autografe di Elisabetta del 7 e 31 gennaio 1506. Nell'ultima manifesta l'intenzione di recarsi la quaresima a Roma, ciò che crediamo non facesse. — 172 - passaggio (*). Elisabetta frattanto a darsi un gran da fare per ricevere degnamente l'ospite eminente. Il 20 agosto essa prega Isabella a compiacerla « de qualche paramento de « panno d'oro et de seta et de tapeti così da taula come da « terra... Et acciò che io possa fare ornare più che me sia « possibile la camera del Pontefice, Y. S. sia etiam pregata « a compiacermi de qualche sparveri et altre cose come li « parerà conveniente per poter satisfare più che si può a « l'honor nostro » (-). Ma Isabella non potè questa volta inviare all'amica che due « aparamenti da lecto, uno de « brochato d'oro, l'altro de dalmascho cremesino », perchè dovendo ricevere lei pure dei cardinali « voressimo de cose « nove et non vedute altrove far honore ". Gli apparamenti di raso erano quasi tutti ^ tirati tra Gonzaga, Goito et « Mantua, per molti forasteri che questi di havemo havuto « a casa et havemo tutto el giorno " Q). Prestò anche delle gioie, poiché il 15 ottobre Elisabetta le rimanda « le l)erle grosse et le altre cose sue », delle quali dice di es- sersi " con gran mia satisfactione servita ». Il 25 settembre 1506 entrò Giulio II in Urbino e gli furono fatte grandi accoglienze (*). Francesco Gonzaga gli (1) Vedi docum. pubbl. dal D'Arco, Notizie d'Isabella, pag. 78-79. (2) Anche l' anno innanzi erano stati inviati dei paramenti da Mantova ad Urbino per il ricevimento degli ambasciatori veneti, tra cui era il Bembo. Vedi lett. di Elisabetta da Gubbio, 1° maggio 1505. (3) Lett. 29 ag, nel Copialett. d'Isabella, Libro xix. Anche nel 1507 Isabella fu richiesta di " tapezarie n dalla cognata, pel ritorno di Giulio II in Urbino; ma non potè darne perchè « sono tutte u in opera per le comedie che fa fare lo ill.rao S"" mio consorte ». Copialett., L. xx. Cfr. D'Ancona, Origini^, ir, 109, 390. (4) Ugolini, ii, 137-138. Nel L. 193 del Copialett. del Marchese v'è SU quell'entrata una lettera a Isabella, ma non ha nulla di note- - 173 — andò incontro sino a Perugia e là gli Tenne l'idea di con- durre il Pontefice a Mantova, onde il 18 ottobre avvertiva la moglie : « Et perchè porrla essere che conducessimo il « Papa a Mantua, piaccia a V. S. ordinare che il corridor « sia coperto tanto che 'l non nocia la pioggia alla ca- « mera depinta, et ordinare che mes. Andrea Mantinea o « il figliuol la reconci ove son guaste le depincture, o « quando lor non potessino o non volessino, M'" Fran'° de- « pinctor suplisca " ('). Il progetto peraltro sfumò. La ressa d'illustri personaggi era tale in Urbino che il Marchese non potè essere alloggiato in palazzo (°). Yi si trat- tenne poco, giacché seguì il Papa in tutta la spedizione : il 1^ ottobre era già a San Marino. A Imola, ove Giulio pose il suo quartier generale, il Marchese veniva nominato, con breve del 25 ottobre 1506 , generale luogotenente di vole. È soltanto curioso lo scompiglio che nacque quando quelli della terra, secondo l'uso, vollero pigliare la mula del pontefice. Meglio peraltro (pei particolari, non per la grammatica) narra di ciò Ales- sandro Picenardi alla Marchesa, pure il 27 settembì'e. — Egli dice che poco mancò non lo buttassero in terra « per torli la mula, tanto 4: che'! papa disse: aspectati, la mulla è vostra, ma se V. E. ha- " vesse visto in quella furia alabarde et homini al volere dieta mulla " et dieta mulla andare a lo indreto, et haver visto Cardinali in « volta con cascharli li capelli et a chi le muUe in volta, haveresti « riso assai et a piacere ». (1) Cioè il Bonsignori. Quando quella lettera fu scritta il grande Mantegfta era morto. Spirò il 13 settembre 1506. (2i Di ciò avvertivalo 1*8 settembre Elisabetta. Sarà impossibile alloggiarlo « venendo Sua B"^ cum vinctiocto in trenta Cardinali, u molti altri prelati, imbasatori et si po' dire cum tutta la corte et u cum la guardia a piedi et a cavallo ; sapendo V. Ex. che Urbino u non è né Mantua ne Ferrara. Et si è facto descriptione che non « si po' dare più per Cardinale di alloggiamento che per 50 cavalli « e sedici lecti per uno... ». — 174 - tutto l'esercito (*). L'impresa di Bologna procedette, come si sa, a vapore. I Bentivoglio fuggirono ; Giulio II entrò trioufalmeute nella città l'il novembre e ne ripartì solo il 22 febbraio del 1507 (). Il destino de' tempi lanciava di nuovo Francesco contro congiunti strettissimi. Prevedendo la loro rovina , egli così curiosamaniente scriveva fin dal 14 ottobre 1506 alla moglie : « Non possemo già non haver « compassione a questa nobile et a noi sempre amica fa- « miglia de' Beutivogli, che lior si ritrova così in balanza : « la fede che ha riposto N. S. in noi ni sforza a fare il « debito del nostro honore ". Convien peraltro riconoscere a sua lode che l'anno dopo, incoraggiato specialmente dalla pietosa Marchesana, egli permetteva che alcuni dei Bentivoglio si rifugiassero in Mantova, sfidando le ire di Giulio. Questi nel ritorno fermossi novamente in Urbino, solo un giorno, essendovi giunto il 3 marzo 1507 (^). Nel suo breve soggiorno in Urbino del 1506, il Marchese sarà stato lieto di non trovarvi un gentiluomo, con cui allora era corrucciato, Baldassarre Castiglione. Questi, legato alla famiglia Gonzaga per vincoli di sangue e per tradizionale fedeltà de' suoi maggiori, aveva militato col Marchese e gli era stato carissimo ne' primi 25 anni della sua vita. Nel 1503, quando era a Roma, Baldassarre scri- veva affettuosamente al signor suo : « non desidero altro « se non essere dove è la E. V., a cavallo o a piedi, per « spendere questa povera vita in servizio di quella e mo- (1) Il breve è in Dumont, Corps universel cUplomatiqiie, voi. iv, P. II, p. 89, e riprodotto, poco esattamente, in Gozzadini, Giovannill Bentivoglio, pp. xcviil-ix dell'Appendice diplomatica. Tradotto in Eqdicola, Storia di Mantova, Mantova, 1(510, pp. 247-48. (2) Gregobovius, Storia, viii, 56-59. (.3) Ugolini, ii, 140. - 175 - « strargli una volta la servitù mia, che maggior grazia « uon posso avere al mondo " (*). Ma ben presto dove- vano cominciare i guai. Il Castiglione conobbe in Roma Guidubaldo e fu tentato di passare al suo servizio. Tanto il Duca quanto Baldassarre non mancarono di chiederne licenza al Gonzaga, il quale freddamente consentì (") ; ma dentro gliene coceva e il Castiglione ebbe subito ad accor- gersene. Infatti già il 26 sett. del 1504 egli scriveva alla madre di non voler venire così presto a Mantova, e di nuovo il 2 nov. : « Io non voglio per niente venir a Mantova per « adesso » (^). L'ira peraltro del Marchese ebbe specialmente a scoprirsi nel dicembre 1505, allorché il Castiglione doveva recarsi a lui ambasciatore del Duca. Gli fu fatto intendere che non senza pericolo avrebbe calcato il terri- torio mantovano, ond'egli si fermò in Ferrara, e di là tornò ad Urbino, dove, diceva amaramente, " se 'l resto mi manca, « almeno son ben visto •' (*). All'ingiusta permalosità di (1) Lett. 4 ott. 1503, dell' Ardi. Gonz., in Martikati, Notizie stor. hiogr. di Bald. Castiglione, Firenze, 1890, p. 7(3. Nel maggio di quel- l'anno il Castiglione era ancora a Mantova. Vedi D'Arco, Notizie d'Isabella, p. 66. (2) Ne ricavò i documenti dall'Arcli. Grouz., dal maggio al giugno 1504, il cit. Martinati a pp. 76-77. I patti nelle Lettere del Castiglione, ed. Serassi, Fani, i, 7. Il 6 sett. 1504 Baldassarre recavasi ad Urbino, come appare dalle lettere successive. Suo fratello del cuore divenne Cesare Gronzaga, con cui compose il Tirsi, e che loda nel Cortegiano. Su costui vedi Poesie del Castiglione, ed. Serassi, Roma, 1760, pp. XXXIII, seg. Egli trattava con affetto figliale la madre del Castiglione, ch'era una Gonzaga. Ibid., pp. 51-56. (3) Lett., ed. Serassi, Fani., i, 9-10. (4) Lett., Fam. i, 26-27. Per questo e per quel che segue vedi anche passim la biogi*afia del Castiglione scritta dal Mazzuchelli , che il Narducci pubblicò nel Buonarroti, Serie II, voi. xii, quad. x, e le Notizie cit. del Martixati. - 176 — Francesco, la Marcliesa non prese parte. Il Castiglione la rammentava sempre con grande affetto e chiamavala « la colonna nostra » (*)• Ben naturale che il Marchese, il quale non rifuggiva dal far spiare i passi del Castiglione (*), non desiderasse di trovarselo innanzi in Urbino, ove lo schivarlo sarebbe stato impossibile. Il Castiglione allora era in viaggio per l'In- ghilterra, inviato dal Duca per ricevervi l'ordine della Giarrettiera, che Enrico VII voleva conferirgli (^). Non è per- (1) Lett., Fam. i, 20. (2) Vedi la lett. da Roma (21 aprile 1506) di Grirolanio Eremita. D'Arco, Notizie d'Isabella, pp. 76-77. (3) Ugolini, ii, 136. La missione era già stabilita nella primavera del 1505, ma il conte, per motivi di servizio e di salute, dovette indugiare la partenza fino all'estate del 1506. Il 1° nov. giunse a Londra. Nel marzo 1507 era di nuovo in Urbino. Le particolarità di quel viaggio ricavansi egregiamente dalle lettere famigliari a stampa. Cfr. anche Martinati, Op. cit., pp. 14-18. Una lettera di Guidubaldo al Marchese, del 4 agosto 1506, mostra come il Gonzaga, infastidito forse un poco per quell'onore concesso al cognato, cer- casse mettergli delle pulci nell'orecchio circa le convenienze di certi presenti al Be d'Inghilterra. Tra questi v'era un baio, già regalato al Duca dal Marchese, a proposito del quale Griiido scrive: « Quanto u specta a la parte che lei me scrive dubitare che questo corsiero « non sia gietato via havendo ad andar in Inghilterra dove non Il sonno apprezati simili cavalli, grandemente me maraviglio di tale u opinione per essere io informato totalmente in contrario et sau pendo che la felice recordatione del Re Ferdinando quando hebbe u questo ordine de la garatera non mando altro presente che cavalli u grossi ad quello Ser"" Re. Similmente la bona memoria del S. mio « patre et lo ili""" S. Duca de Ferrara passato maudorono pur cau valli a la M'' de quello Re, sapendo che simil dono era gratis* u Simo a Sua M*'. Il che havendo io molto ben pensato prima e i; cognoscendo per lo adviso etiam havuto de Inghilterra che tra M li altri presenti qualche cavallo grosso seria aceptissimo a la p«» u M*» deliberai mandarglili... ». - 177 - altro da credere che il Castiglione, delicatissimo com'era, trascurasse di fare il possibile per riguadagnarsi la grazia perduta del suo antico signore. V è del 19 maggio 1506 una sua lettera al Gonzaga, che crediamo inedita, in cui si legge : « Havendo deliberato el S' Duca mandarmi in « Ingilterra, mi è parso debito cum questa mia far reve- ^ rentia a Y. Ex.... per farli intendere che vado a questo « viaggio suo servo e schiavo, e '1 medemo piacendo a Dio « tornerò, e cussi serò sempre fin ch'io habia spirito, e ^ tanto spero servire Y. Ex. che la conoscerà una volta « ch'io, come li sono nato servitore, cussi li voglio vivere « e cussi morire... Dio voglia che Y. Ex. una volta se " dispona a volermi almeno fare intendere la causa de la « disgratia mia e far parangone di me cum quelli che gli « hanno persuaso ch'io non gli sia vero servitore, che alhora « io mi reputare felicissimo ». Da questa lettera cosi piena di devozione sincera, il Marchese non si lasciò punto commuovere, ne sembra acconsentisse alle raccomandazioni della sorella Elisabetta, tanto venerata da Baldassarre (*), che pregava Francesco di lasciarlo passare per il Mantovano, « aciò el possa vedere la madre et li altri suoi ». Solo (1) Alcuni sostennero che la amasse di vero amore e la cosa non è impossibile. Non diciamo questo per le lodi che le prodiga nel Cortegiano e nel Tirsi (spec. st. xxxvil), spiegabili benissimo con la cortigianeria del tempo, ma per l'entusiastico carme De Elisabella Gonzaga cariente (ed. Serassi, pp. 134-37) e per i due sonetti, che chiaramente parlano d'un amore non corrisposto, e che ne richia- mano altri, forse perduti, che una vaga tradizione rammenta (v. ed. cit., pp. 44-45 e 119). Il Beffa-Xegrixi, Elogi di personaggi della fam. Castigliona, p. 415, parla di un cod. intero di sonetti, canzoni e madrigali dal conte composti <' in grazia della sig. Duchessa ^' e da lui veduto. 12 — Luzio e RsMZR. — 178 — quando tornò, gli concesse di recarsi a Casatico ad abbracciare la madre (*). Nel 1506 e nel 1507, anni pieni di occupazioni diverse così per la Duchessa come per la Marchesa, la loro cor- rispondenza ebbe a patirne alquanto, non il loro affetto reciproco. Nelle lettere graziosissime intorno a quella specie di emulazione nel viaggiare che s'era palesata fra loro appunto nel 1507 (), ambedue si rinfacciano la poca assi- duità e la brevità nello scrivere. Durò invece nel suo ufficio di relatrice, che disimpegnava così bene, Emilia Pia. Tra le sue lettere una ve n' ha del 12 giugno 1506, che merita nota per i curiosi particolari che vi si leggono sul matrimonio della bastarda di Giulio II, Felice Della Rovere, con Giangiordano Orsini. Fatta la cerimonia : « el S^' Zoan- « zordano pilglò la sposa et la menò in uno camerino et « lì stetero uno quarto d'ora et quella sapia che molti " credeano che facessino altri secreti, ma el sposo faceva « certe ceremonie a la spagnola cum dire che lei era la « patrona, ecc. ". Andarono poi a Montegiordano, al palazzo, a piedi « et lui volea passare per una certa via « dieta Pozo Bianco dove stanno femine de mala vita, pure " li fò dicto tanto che pigiò una [altra] via et le donne ^ quale erano cum mad^ Felice forono mad^ Julia et la figlia « et le sorelle de San P° ad vincula (^) : et mad^ Ju- (1) Il Marchese tuttavia a quel tempo cercava già di trovar moglie al Castiglione, il quale era sdegnato e non ne voleva sapere; anzi intendeva fare una permuta di beni con Ercole Bentivoglio, per aver di che vivere fuori del Mantovano. Lett., Fam., i, 30-31. (2) Lett. d'Isabella, 7 luglio; risposta di Elisabetta, 7 settembre replica di Isabella, 25 sett. 1507. Furono pubblicate integralmente da noi nel cit. opuscolo, estratto dalVIntermezzo, che s'intitola Gara dì viaggi fra due celebri dame del Rinascimento, Alessandria, 1890. (3) Galeotto Franciotti della Rovere. — 179 — « lia (*) se voltò e disse cum certi che al S' sposo non man- « cava altro per essere uno gintil S'" se non quello liavea « facto in quello viazo : et come forono apresso Monte Zor- « ciano forono butati per le finestre molti confecti, et lo sposo " se levò el suo capello de testa et lo mise in capo a la « sposa, ma lei non lo volse, cusì introrono in casa... Le " stanze erano malissimo aparate et pegio da cena, che non « havèro altro se non quello havèro de la Vicecancellaria, « che fo doi spalle de montone, mezo agnello et mezo ca- « pretto et uno capone et tre scudelle de bianco manzare : « questa fo robba che avanzò, perchè loro za haveano tutti « manzato : apparechiata che fo la tavola questa robba tutta « era in uno piatto et volse che servisse a la francese, che « non era alcuno cortello in tavola in modo che la dieta « robba quasi tutta avanzò, perchè molti non ce arrivavano, " et alcuni non posseano rompere cum le unghie, et lo « sposo quando intrò a tavola fece certe ceremonie a la « spagnola, che se fé' cavare a uno pagio suo lo capello « quale havea in testa et lo se fé' tenire sopra el capo in- « fino cenò, et cenato che hebbe basò dicto capello et poi « lo se mise in testa : et a quella cena demostrò quanto « era experto in la lingua francese et spagnola che mai " fece altro che pareva volesse pascerli de quelle sue « virtù... " {% Finisce annunziando le prossime nozze della (1) Giulia Farnese intervenne come parente dello sposo, perchè era moglie di Orsino Orsini. (2) Felice era stata prima fidanzata col principe di Salerno, ma nella lett. riferita di Emilia Pia, del 10 marzo 1505, si notifica che la pratica è andata in fumo. Quella pratica si può seguire coi Dispacci del GlUSTiNiAN, voi. III. Giovanni Acciaiuoli, in una sua del 3 marzo 1505, di cui dà conto il Villari (Giustinian, hi, 439 n.), dice che Felice medesima vi si rifiutò " allegando non volere maritarsi - 180 — figlia (li m'^ Giulia Farnese : « quale ha facto uno bando - in Roma che omni homo possi andare a le uoze de sua « tiglia, excepto li traditori et renegati che sera corte ban- « dita de mangiare et baiar solamente... cosa che ha dato « molto da ridere » (*). I primi mesi del 1508, durante i quali a Ferrara Lu- « ad signore senza stato et senza alcuna entrata di presente ». Allora s'intavolarono trattative con Giangiordano Orsini signore di Bracciano, soldato valoroso e liberale, ma molto strambo, ed il matri- monio segui il 24 maggio lóOtì. Giangiordano, che era vedovo di Maria Cecilia d'Aragona, naturale del Re Ferdinando di Napoli, si acconciò di mal animo e solo per interesse al parentado, e dicesi che alla moglie rinfacciasse poi l'umiltà dei natali (v. Litta, Della Rovere, tav. lii e Orsini, tav. xxviiì. Della bizzarria di quel matrimonio dà notizie Paride de' Grassi, di cui può vedersi un estratto comunicato dal Villari nel Giustinian, hi, 439-40, n. Ancora più bizzarre sono peraltro le cose riferite da Emilia Pia, e tali da giustificare il nome di pubblico pazzo, che affibbiava a Giangiordano, nel 1532, Francesco Maiùa, per dissuadere suo figlio Guidubaldo dal maritaggio con Clarice, nata da Giangiordano e da Felice. Vedasi Feliciangeli , Caterina Cibo- Varano, Camerino, 1891, p. 129 e, in mancanza, Ugolini, ii, 248. Il Castiglione nel Cortegiano (ediz. cit., p. 337) loda di Felice della Rovere la bellezza, la prudenza ed il coraggio. Nel Viridario, che si sa finito nel natale del 1504, GioVi Filoteo Acliillini ingiunge al suo poema di recarsi a Roma e dico : Saluta e onora il nostro almo Legato, degno iif'pote del gran Padre santo, che 'l stil suave ha tanto et astringato. Dapoi che lieto' avrai parlato alquanto, l'alta Felice, il cui stile aijpi'egiato merita tanta laude et onor tanto saluta, e se un « ben venga » sol ti dica con sua Felicità sarai felice. Ediz. di Bologna, per Heronymo di Plato bolognese, 1513, a e. 195 r. (Ij Parrebbe si trattasse del matrimonio di Niccolo Della Rovere con Laura Orsini, figlia di Giulia Farnese e di Alessandro VI; ma quel contratto fu stipulato nel novembre del 1505. Vedi GreGOROVIUS, Storia, vili, 52. Forse le nozze reali seguirono lùù tardi. Cfr. LuziO, Fed. oatar/ffio, p. 55. - 181 — crezia Borgia trionfava tra il lusso e le feste sceniche (*), furono mesti per la Marchesana nostra e per la Duchessa. A Isabella moriva una figliuoletta, Livia (-), ed essa ne rinnovava il nome in un'altra bambina che partoriva in agosto C). Poi infermò il Marchese ; trista avvisaglia della (1) Vedi D'Ancona, Origini^^ ir, 136. Tra gli scrittori d'eclogbe drammatiche nomina il D'Ancona, anche Ercole Pio. Di lui fu rap- presentata in Ferrara un'ecloga molto interessante, nella quale si mostrava come Lucrezia, Isabella ed Elisabetta fossero le più emi- nenti donne del tempo. La descrive con molta cura Bernardino Prosperi in una lettera alla Marchesa del 14 febbraio 1508, che si troverà hqWAppendice III di questo volume. Ercole Pio, figlio di Marco, era nel 1502 rettore di S. Michele di Soliera, quindi fu ret- tore ed amministratore della chiesa di S. Antonio di Vienna nel Delfinato, carica cui rinunziò nel 1508, ritirandosi in Ferrara, ove morì. Alcune sue rime sono nelle Collettanee in morte di Serafino. Cfr. LlTTA, Famiglie, Pio di Carpi. (2) Partecipazione del 23 genn. nel Copialettere, L. xx. Elisabetta si condoleva il 4 febb. Va notato come la Marchesa, che per le tri- stezze proprie non dimenticava gli amici, appunto in quel tempo si valesse dell'appoggio della Duchessa d'Urbino per impiegare fra Sabba da Castiglione presso il priore di Roma, frate Sisto Della Rovere, che nel 1509 Giulio II doveva promuovere a cardinale (vedi BosiO, Istoria della religione di S. Giovanni Gierosolimitano, Roma, 1594, I, 491). Il 28 gennaio 1508 Isabella scriveva a Sabba: " Hau vevamo scripto et per dare anche magiore favore alla cosa, facto « scrivere per la S'"* Duchessa di Urbino cum ogni efiìcatia a « Mons' Sixto a fine ch'el vi acceptasse in casa sua ", ma egli per essere « carico di famiglia " ha ricusato. Questa lettera sfuggi al Luzio, quando pubblicò ed illustrò le Lettere inedite di fra Sabba da Castiglione, Milano, 1886; estr. dalVArch. storico lombardo, ^ahha, corrispondente artistico d'Isabella, desiderava molto d'essere impiegato presso quel Sisto (v. Op. cit., pp. 16, 18, 19, 20) ; ma non pare ricevesse la lett. del 28 genn,, se si considera ciò che egli scriveva in quella del 15 luglio 1508, che il Luzio produsse (v. p. 24). Circa lo stabilii'si di Sabba in Roma cfr. il cit. Archivio, xvi, 345-46. (3) La neonata s'ebbe i nomi di Livia ed Osanna. Vedi il citato Copialett., 14 agosto 1508. - 182 — schifosa malattia che doveva condurlo molti anni dopo al sepolcro. Ma ben maggiore sciagura pendeva sui capo ad Elisabetta. Il buon Guidubaldo, tormentato dalla gotta, si spegneva di soli 35 anni nella primavera del 1508 (*), tra il compianto di quelli che avevano conosciuto le doti eccezionali dell'animo suo, e le belle qualità della mente ('). Giovanni Gonzaga e il Capilupo volarono a Urbino per confortar la Duchessa. Lodava il primo massimamente il contegno esemplare di Elisabetta in quella dolorosa circo- stanza, dicendo: « A me non è parso de tacere la solita « sua prudentia che ha usato M"" in questa infirmità del « q. S. Duca suo marito et maxime nel ponto de la morte, " non obstante che la se ritrovasse involta in tanti affanni « e tribulatione, in haverlo facto confessare et darli la co- « munione et tutti li sacri ordini de la Chiesa, comò debbe '• havere ogni fìdel christiano : et poi ultra de ciò cum « gran constantia se sia portata in essa sua morte in ha- « vere facto passar le cose de questo stato cum tanta quie- « tudine et bona satisfactione de tutti questi populi ('). " havendo mostrato in questo uno animo da una prudente « et savia madonna corno 1' è et veramente non se pò se « non comendare in tutte queste cose... «. (Lettera delli (1) Vedi Baldi, Guidobaldo, ii, 206 segg.; Ugolini, ii, 143146. (2) Cfr. il ritratto tracciatone dall'UGOLixi, ii, 153-54. Rispetto alla coltura del Duca è specialmente osservabile ciò che ne dice Vespasiako, Vite, p. 102. Sul suo animo mite, che lo faceva tanto amare in quei tempi di violenza, riassume in poche pagine buone osservazioni il Minghetti, Raffaello, ])p. 53-56. (3) Esagerava il corrispondente del 12 aprile, di cui riferisce le parole il Sanudo, vii, 405, notificando la sollevazione di Gubbio e Cagli, perch»!; non volevano a signore Francesco Maria. La cosa non fu cosi grave. Vedi la lettera 29 aprile del Castiglione; Lett., Fam., l, 39. — 183 — 22 aprile 1508). Il Capilupo, informando con la sua solita diligenza la Marchesa, descriveva il dolore della Duchessa, riferiva i discorsi tenuti con lei — a cui era di sollievo il pensiero della prossima venuta di Leonora — e finalmente toccava dei funerali magnifici di Gnidubaldo. Ecco la lettera : Ulma Ma jj^ia. Gioiisl qui heri sera, partito dal Cesenatico per fare prova de la prosperità de Mattheo ll2)politi\ et mia ; la S"'* Duchessa mi expectava cum desiderio et volse che subito andassi da lei. La trovai in la camera cum le donne sue, apparata tutta de negro, serrate le finestre cum una sol candela in terra : assettata suso uno matarazetto col vello negro in testa, cum la veste non sgolata o sia cum una gorghera negra fin alla gola, che anchora per tanta scurità non mi ne ho chiarito ne dimandato. Col mantello gli fui condutto corno se fanno li orbi ('). Porsime la mano et le lacrime insieme et stetti un pezo che per il suo et mio singultire non pottì parlare. Detili la lettera de V. S. et feci la visitatione, condoglianza et conforti cum poche parole per non tenerla troppo in questo tribulo. Feci anche le raccomendatione et offerte che mi commise el mio 111""° S'®, che l'una et l'altra gli fu ultra modum grata. Intrassimo in ragionamento poi del stare de V. S"«, de li figlioli et de cose più facete, narandomi anche lei seriosamente le amorevole demonstratione che gli ha facte N. S. in questo caso, quale sciò che dal (1) Corrisponde questa descrizione a ciò che dice il Bembo nell'epistola latina cit. De Guido Ubaldo. Feretrio, in Opera, Venezia, 1729, IV, 281 e meglio in due lettere volgari, la prima specialmente importante, a Vincenzo Quirini ed a Lucrezia Borgia. Vedi Bembo, Lettere, ii, 64-70 e iv, 19-20. Ne parla anche il Castiglione nell'Ora- zione latina più volte citata {Lettere, li, 358-59) e v'accenna scri- veodone alla madre (Fara, i, 38). Questa di chiudersi in una stanza buia sembra fosse consuetudine delle vedove addolorate. Per non citarne qui che un esempio, rammentiamo quello d'Isabella Sforza, quando le mori il marito Giangaleazzo. Vedi le nostre Belaz, con gli Sforza, p, 105. — 184 — S' Zoanne sono state scripte : et cossi mi tenne più de due hore. Bravi el S'" Duca novello assettato basso in mezo le donne. Chiamato da la S''» Duchessa si levò et io feci la visitatione del S"^» et de V. S. : mi rispose poche parole ma molto assentite et prudente. Farmi più grandetto et disposto che non se diceva, ma per la obscurità non pottì farne troppo iudicio. La S'* Duchessa se ne lauda summamente et stalli cum reverentia da figliolo et da servitore (•). Hozi siamo anche stati più de tre hore et bolla tirada in piacevoli ragionamenti et facta ridere ; cosa che dicono non haver facto auchora ; et parlatoli et confortatola ad aprire le fenestre, cosa che alcuno non olsava dirli, de modo che credo aprirale fra dui giorni. Ha sempre magnato bassa et magna. Mi son dolto del vello negro che non babbi compiaciuto V. S. : si scusa che cossi gè furono messi, che lei non gli pensò prima che 'l S' Zo- anne giongesse, et che mo' non scià cum che honore levarsilo, ma che quando venirà a marito la 111. Donna Elionora se lo mutarà per allegreza, perchè succedendo questo corno summamente desi- dara gli parerà de non essere più vidua et serra la magiore alle- greza speri bavere mai. Le altre cose ragionate seria troppo longa diceria. De l'ordine de le septime non scrivo pensando che V. S. bavera viste le lettere che ha scripte el S. Zoanne al S'' nostro Ci- che sono state secundo intendo sumptuose per esserli 825 vestiti (1) Curioso è il modo come Giovanni Gonzaga lodò a Francesco Maria la sua fidanzata. Lo riferisce egli medesimo in lett. 12 maggio 1508: " S'' mio (gli disse) quando la Ex. V. vedesse Donna Eleonora « et la raza [equina] del S*" Marchese, la vederla doi cose forsi le " più belle che la vedesse mai; perchè io credo che'l non sia dona « in Italia de più beleza et più virtù che essa M"*; nò credo che " sia nò Re nò Principe in Christiani che habbi una raza de la sorte u che ha sua Ex. ". (2) Infatti abbiamo una lettera di Giovanni Gonzaga del 3 maggio, in cui descrive l'ordine dei funerali avvenuti il dì procedente. V'era nel corteo, con Emilia, anche Gentile, figlia naturale del grande Federico, moglie di Agostino Fregoso e madre di quegli Ottaviano e Federico Fregoso, che dimorarono a lungo presso i Montefeltro. — 185 — de gramaie cum coda longa et capuzo, de tutti li frati et preti del stato, cinque vescovi et infinito numero de torze et talamo ma non di tanto numero et belleza corno è stato quello de Mantua Il dolore et corrotto universale è inextimabile. Altro io non sciò che scrivere se non che fra dui giorni andarò a Loreto et per ricordo del S'' Zoanne andarò a Pesaro per vedere li miracoli che continuamente fa el S"^ Petrogentile. Kitomato qua, vederò de expedirmi et ritornare a Mantua. Kaccomandomi in bona gratia de V. Ex., ecc. Urbini, vii maij 1508. Servo et schiavo B. CODELUPO. Qui manca solo la notizia, data dagli storici, dell'ora- zione funebre letta da Ludovico Odasi, maestro del Duca defunto {^). Sedato il primo dolore, Francesco Maria Della Rovere, duca a 18 anni, pensò di fare finalmente la conoscenza personale di Leonora, che dal 1505 gli era moglie. S'avviò pertanto nell'agosto verso Mantova. II Marchese, col quale (1) Lo dice però Giovanni nella cit. lettera: « M. L'^" Odaxio preu ceptore et secretario del Duca morto fece la oratione, la quale u durate circa una hora, quale fu bellissima, per quanto dicono coloro « che se ne intendono più di me ". Afferma il Tiraboschi (Storia, ediz. Antonelli, vi, 72 n.) che quest'orazione fu stampata a Pesaro nel 1508 e che è diversa da quella che come opera dell'Odasi inserì il Bembo nella cit. epistola latina, Opere, iv, 282 segg. Può darsi che il Bembo l'abbia rifatta, ma anche a quel modo non ci sembra, a dir Y6ro, gran cosa, e consentiamo pienamente alle critiche che le mosse I'Ugolini, ii, 150 segg. Ludovico Odasi fu fratello di Tifi, il poeta maccheronico, e nacque di famiglia padovana. Su ambedue i fratelli vedi V. Rossi, in Giorn. stor. della letter. italiana, xi, 6 segg. Ludovico e gli Odasi furono lai'gamente compensati dei loro servigi (Ugolini, ii, 156). G-li Odasi ebbero in Urbino un palazzo, le cui porte, bellissime, furono vendute non molti anni sono. Cfr. Il Raffaello, XI, 76. - 186 — erasì conservato in buoni rapporti (*), lo pregò d'indugiare la sua venuta perchè Isabella era sopra parto ('). Partorito ch'ella ebbe, il giovane Duca fu a Mantova e la sposa gli venne ufficialmente presentata. Ecco la relazione che ne diede Federico de' Cattanei a Isabella . che passava il puerperio a Cavriana : 111. patrona mia... Eri ad bore 22 lo Ducha de Urbino vene in castelo com qiiatro personi incognito per visitar lo 111. S. nostro, qiial sua S. è alogata in castello et li steteno di sota circha meza bora. Subito gionto che fu lo Ducha in castelo lo 111. S. N. mandò per M* Laura C) : et ad essa M» Laura duoi giorni fa morite la sua putina. Subito vene et M» Violante, M» Costanza, M» Ursina de li Uberti, gionti che essi fureno in castello feceno vestire M» Elionora de tabe bianclio. Se la S. V. havesse visto la confusione qual ce era in istante ! Per me molto desiderai che la S. V. se ritrovasse qui per molti respetti, comò etiam molti altri servitori de V. S. faceva il mederao. Lo R™° Cardinale no- (1) Fra gli indizi che ne abbiamo valga questa lettera del 13 giugno 1507, che Francesco Maria scriveva allo suocero da Roma: " Essendo occorsa la morte del R""" Car'® di Salerno apresso del u quale erano alcune cose mobile del condam Duca Valentino, la u S'* Sua dignosse farmene parte, fra le quale vi era una scimitarra u clie fu del celeberrimo et victorioso Re Ferrandino de Aragona, « la quale credo che in le victoriose imprese de lo reacquisto del u suo regno li fesse fida compagnia. Et pensando io non li poter dare " successore più degno et conveniente de V. Ex. ...la mando ecc. ". Né meno premuroso mostravasi con la Marchesa, cui scriveva: « Sau pondo lei non solo de lo andare in carretta o cavalcar mule, ma u di maneggiar ligiadrameute turchi o ginetti delectarsi, li mando " el p'» guarnimento a la ginetta, a ciò V. Ili*"* S. participe anchora u de le spoglie di colui che male seppe la sua buona sorte cognou scere et sequitare ». Curiosa quest'ultima sentenza in bocca del- l'erode di Guidubaldo. (2) Da lettere di Niccolò Stella, in Sanudo, Diarii, vii, G21. (3) Laura Bentivoglio, moglie di Giovanni Gonzaga. — 187 - stro (') vene disopra, tolse a mano M» Elìonora et andeteno de soto per la scaleta picola apresso a la camara dipinta. Introno disoto in la camera del Solle ; lì ritrovò lo Ducha insiemo lo IH. S. N. levato com molti altri zentilhomeni. Lo Ducha andete incontro a M» Elionora et la basò. Parse a li estanti che non havesse satisfato bene ; fu spinto dal Cardinale nostro a ritornargie et li butò lo brazo a la testa et la basò in bocha : poi andeteno tuti a sedere et resonòno di molti casi, in specie de picture. Lo HI. S. me clamò, qual me mandete a tore lo retrato de V. S. : de pocho inanti io gè haveva fato ponere lo telaro suo. Subito lo portai, dovo che piaque ad ogni uno. Poi se levoreno. Lo Ducha andete a S*" Sebastiano et hogniuno ad locha sua. De la modestia et modi de ]\I* Elionora certo io non poteria dire più a la S. V. 111., comò lei è proceduta, non dico da puta, ma signora prudentissima. Lo Ducha luni prossimo se ne parte a stafeta et vassene a Viterbo, ecc. Mant., dat. 26 augt° 1508. S°'' Fedeeicus de Cattaxeis. Leonora passava allora di poco i 14 anni e mezzo. Aveva la festività dell'età sna, onde non è meraviglia che l'anno seguente, e precisamente il 19 giugno 1509, Tolomeo Spagnoli notificasse al Marchese : « Di Madama se intende che « la sta bene e che heri si fece una festa a Capriana. ove « Donna Leonora cum le donzelle et villane mischiate fe- « cero uno gran ballare ". Simili feste rustie ali piacevano molto anche alla madre, che aveva già valicata la trentina. Del resto i genitori avevano vigilato che alla fanciulla fosse impartita una buona educazione intellettuale. Sigismondo Golfo della Per^-ola bibliotecario (-) e storico dei Gon- (1) Sigismondo Gonzaga. (2) Cfr. Giorn. stor., xiii, 438 e xvi, 161. Il Golfo venne in Mantova verso il 14:78 e fu segretario di Federico I e poi di Francesco. — 188 — zaga (*), che era stato già precettore di Isabella (") e che 1 Signori di Mantova avevano carissimo (^), servì di guida a Leonora nella prima istruzione letteraria. Troviamo che il 21 aprile 1502 la Marchesa si lamentava per l'indugio del Golfo, che era assente, dicendo : « la sua absentia ne « pesa per l'officio che interlassa de insignare a la Eleo- " uora nostra figliola -' . E il giorno medesimo du'ettamente scriveva al Golfo : « Dolne fora di modo che la Eleonora « così spesso perdi tempo per tua causa de imparare »; torni presto se non vuole che faccia « provisione de altro pre- « ceptore a nostra figliola " (*). Abbiamo veduto come nel 1505, al tempo del matrimonio romano, Gian Lucido Cattaneo asserisse al Prefetto di Roma che « M^ Leonora ben « intende gramaticha ». Al Golfo pare succedesse nello istruirla il buon Francesco Vigilio , che insegnò anche a Federico. Tanto Federico che Leonora si interposero nel 1506 presso la madre a favore del loro precettore, perchè (1) Vedi Bibliofilo, VII, 117. L'Equicola nel proemio aììn, Storia di Mantova accenna alla PoUstoria di Sigismondo Golfo, ma in modo tale che pare non labbia veduta. Ora ò perduta. Per un'altr'opera letteraria del Golfo cfr. Bettinelli, Lettere ed arti Mantovane, Mantova, 1774, p. 130. (2) Luzio, Precettori d'Isabella, pp. 19-20. (3) Con decreto 30 aprile 1507 il Marchese gli accordava la citta- dinanza mantovana. Davagli anche dei privilegi, che Federico Gonzaga mantenne (1519) ed accrebbe (1520). Cfr. Decreti, L. 33, 34 e 35. Vedansi pure le notizie di lui che raccoglie il Portigli nella prefazione all'opuscolo anonimo Una cena a Mantova nel sec. XV^ Mantova, 18SS, che è una lettera del Golfo al Capilupo estratta da un codicetto Cavriani. (4) Copialett., L. xiii. II Golfo recavasi spesso anche ad Urbino. Noi ve lo trovammo nel 1494. Del 13 giugno 1500 v'è una lettera d'Elisabetta, nella quale lo scusa d'essere stato là più del tempo dovuto, per definire certi litigi co' suoi parenti. — 189 — egli, quantunque nel 1502 fosse succeduto come maestro pubblico a Pietro Marclieselli, non aveva da vivere ('). Il nuovo Duca Francesco Maria era avvenente della per- sona (), ma di carattere violento. A diciassette anni aveva già trucidato un uomo (^), il che fu preludio di altre vio- lenze gravissime, che commise dipoi (*). Dato alle arti della (1) Riserviamo a tempo più opiiortuuo varie notizie che abbiamo di lui, rinviando per ora solo a D'AxcoxA, Origini-, ii, 389-90 ed agli scritti ivi rnenzionati. Di un terzo precettore più oscuro, Cri- stoforo de' Franchi, parleremo più oltre. (2) Vedetelo quale, nell'età circa di che discorriamo, lo ritrasse RafiFaello nella Scuola d'Atene. E nel gruppo cosidetto di Pitagora, a sinistra di ehi guarda: quel giovane in piedi, dal portamento di- stinto, in atto di camminare. In quel gruppo pare oramai certo, dopo tante discussioni, sia ritratto anche il decenne Federico Gonzaga; il fanciullo di cui si vede poco più della testa dietro l'arabo. Vedi Gruyer, Eaphatl peintre de poì-traits, i, 237-45 e MiiXTZ, Raphael, p. 348. Fuvvi la tradizione di un altro ritratto, a parte, fatto da Raffaello a Francesco Maria giovinetto, e lo si volle riconoscere in una tela che era a Bergamo prima in casa Suardi e poi passò in casa Marenzi. Anche recentemente (1891) il signor Delmati prese a sostenere la autenticità di quel ritratto. Vedi la confutazione ben fatta che v'è nell'almanacco Bergamasco Notizie patrie, per Fanno 1892, a pp. 101 segg. Il Gruyer {Op. cit., i, 249-56) crede che il ri- tratto di Frane. Maria dipinto da Raffaello sia ora posseduto dal principe Czai'toryski, Al ritratto sicuro del Duca che in età matiu'a gli fece Tiziano e che ora trovasi agli Uffizi, accennammo già. Lo riprodusse 11 Giovio, Elogia vir. bellica virt. ili., Basilea, 1575, p. 321. Anche Marcolixi, p. 257 e Ardi. st. cVarte, v, 22. (3) Il drudo della sorella Maria, vedova di Venanzo Varano. I particolari del truce fatto trovansi in Sanl'DO, Diarii, vii, 193-94. Lo stesso Francesco fini quel disgraziato : « il prefetin medemo de- " teli alcune bote di cortella e lo amazò '•. Vedi anche Ugolini, ii, 141-42. (4) Fra queste specialmente nota e notevole Tuccisione che di pro- pria mano il Duca fece in Ravenna, nel 1511, del card. Alidosi, che l'aveva calunniato. Il nipote d'un papa che, a vent'anni, trucidava pubblicamente un cardinale non era certo fatto edificante, quantunque — 190 - guerra, più che a quelle pacifiche che allettarono Guidubaklo, egli non ebbe neppure la cavalleresca grandezza di molti capitani del tempo. L'elogio che ne fa il Castiglione, quantunque indeterminato, è eccessivo e vieppiti eccessivo quello ch'egli tesse di Leonora (^), donna in cui le qualità dello spirito furono di molto inferiori a quelle della persona, figura scialba al confronto della madre e della suocera. Nel novembre del 1509 Elisabetta con Emilia Pia reca- ronsi a 31antova per prendervi la sposa (^). Yi giunsero alla fine del mese e ripartirono ai primi di dicembre. Il Buca, richiamato dal Papa, non potè venire. Isabella così ne scriveva il 4 dicembre a Jacopo d'Atri : « La ili"" S""^ « Duchessa de Urbino è qui cum una gran et honorevole « cavalchata: noi l'honoramo con gran spesa, ma volun- « tieri; fra dui o tre dì se ne andarà menando seco la « nostra Duchessa giovine, la quale inviamo molto volun- « tieri, sperandoni molto magior favore in le cose nostre il Giovio tenti scusarlo; e infatti Giulio II ne fu dapprima irrita- tissimo, ma poi perdonò. Cfr. Ugolini, ii, 185-87; Guegorovius, Storia, vili, 83 segg. Un altro fatto che non fa punto onore al Della Kovere, e che nessuno stoiùco rammentò, è quello narrato nalVIIepta- meron di Margherita di Navarra, Giorn. vi, nov- 51. Secondo quel racconto, egli fece crudelmente impiccare una donzella della moglie, che s'era senza malizia prestata a secondare gli amori del giovane Guidubaldo. Margherita finisce la novella dicendo: " Nulle pitie ne « sceut toucher le coeur de ce Due, qui ne cognoissoit autrc feli- u cité que de se venger de ceux qu'il hayssait ". (1) Cortegiano, pp. 481-82. (2) Le notizie degli storici non sono ben chiare a questo proposito. Essi fanno andare allora a Mantova Francesco Maria, il (jualc realmente, come vedemmo, v'era stato solo nel 1508. Cfr. Ugolini, II, 170, che del resto non interpreta bene Leoni, Vita di Frane. Maria, Venezia, 1005, pp. 53-54. - 191 — « da la S'" de N. S., tanto più che intendeino Sua B"^ « volerla a Roma col Duca fra pochi dì, dove si celebra- « ranno le noze pontificali. Da la p'" S'" de N. S. havemo « grandissime demostrationi de tenereza et non mancho dal « S""' Duca nostro genero. Quella ha mandato ad levare « de qui la sposa in una bellissima lectica portata da dui « belli fresoni con gli fornimenti et vestiti di ragazi con- « formi alla lectica, tutta coperta de tela d'argento tirato, « reportata de cordegliere d'oro et apresso una nobil cliinea « benissimo guarnita ('). Il S'" Duca veneva incognito fin « qui con la S'^ Duchessa per desiderio de vederci et vi- « sitami, et già era venuto fin ad Carpi, ma per brevi « apostolici è stato revocato in fi'eta : se dice per star con « le genti unite verso Ravenna » (^). Il giorno 7 dicembre era destinato per la partenza, ma questo termine fu oltrepassato, per un accesso di gotta sopravvenuto ad Elisabetta. Partirono invece il 9 (^). Della partenza dava notizia Isabella a Ludovico Brognolo a Roma con questa lettera importante, che è nel copialettere lib. 23: Ludovico. Heri cum el nome de Dio alle deciotto hors et meza si levò de qui la Duchessa nostra figliola insieme cum la Duchessa nostra sorella acompagnata da nui et da tutta la nobilita fin alla porta, che più ultra non patirno che andassimo per esser una nebia grossissima. Mons. Cardinale andò cum loro fin a Gonzaga, ma essendo sopragionti da la nocte et da grande obscurità fumo de quelh che smarirno la via, che per la prima giornata (1) Il 6 die. Isabella, con una lettera latina che è nel L. 23 del Copialettere, ringraziava il Papa dell'invio di quella lettiga. (2) Copialett., L. 23. (3) Pare fosse nel seguito anche la madre del Castiglione. Vedi sue Lettere. Fam. i. 51. — r,)2 — fu mal calciilata dal suo astrolof^o. Tuttavia gioiisero a salva- mento cum speranza di miglior giornate. Alla S""* Duchessa havimo consignate quatro peze di panno 10-le5l5) Volle Giulio II che il matrimonio del nipote avesse so- lenne riconferma in Roma, onde Francesco Maria vi si recò nel febbraio 1510 con la moglie, con la suocera, con Emilia Pia, con largo seguito di cavalieri e di dame, fra cui spiccava una figliuola naturale del Marchese di Mantova, Margherita ('). Gli sposi furono accolti con feste son- tuose : musiche, rappresentazioni varie, palli, corse di bu- (1) Margherita stette lungo tempo presso i Duchi d'Urbino. Essa compare come interlocutrice nel Cortegiano (ed. cit., p. 298) ed era certo indicata fra le ninfe accompagnanti la Dea (Elisabetta) nel Tirsi {Poesie del Castiglione, ed. Serassi, p. 91). Il Bembo, scrivendo da Urbino il 28 agosto 1507 ad Alberto Pio lo informava della sa- lute della sua consorte {Lettere, iii, 32). Questa non era altri che Margherita, fidanzata per molto tempo al Pio; ma benché entrambi sinceramente si amassero, per questioni di aifari ogni impegno fu sciolto. Si vedano per ora in proposito le Lett. inedite dei signori Pio di Carpi ai Gonzaga pubbl. da W. Braghirolli, nel voi. I delle Memorie storiche di Carpi, Carpi, 1877. Vi furono anche trattative di matrimonio tra Margherita ed Agostino Chigi, che non ebbero effetto per ripugnanza dnlla fanciulla a quell'unione. Vedi Luzio, Federico ostaggio, pp. 25-28. Cfr. pp. 16 e 54. — 200 — fali, ecc. (*). Leonora insistette presso il Pontefice af- finchè ottenesse la liberazione del padre dalla prigionia dei Veneziani ; ma pel momento non se ne fece nulla (*). In seguito, nel luglio 1510, il Marchese fu liberato ed allora Isabella accondiscese che il giovinetto Federico si recasse a Roma, ostaggio del fiero Pontefice. Vi giunse prima della metà d'agosto, e non è a dire le carezze che furono fatte al bello, elegante e precoce fanciullo, che Raffaello Sanzio doveva ritrarre nella Scuola cVAtene (^). (!) Notizie in Leoxi, Vita di Frane. Maria, pp. 94-95 ; ma meglio di tutto nei documenti mantovani pubbl. dal Luzio, Federico ostaggio, pp. 53 segg. Cfr. D'Ancona, Origini^, ii, 78 segg. Da certa frase d'un corrispondente della Marchesa appare clie tra Elisabetta e Gio- vanna della Rovere non v'era buona armonia. Luzio, p. 57. (2^ Luzio, Fed. ostaggio, p. G; Saxudo, Diarii, x, 7, 79, 82, 138. Il Bembo scriveva allora (15 aprile 1510) di Leonora: « La Duchessa « nuova, bellissima fanciulla, riesce ogni di più dilicata e gentile e « prudente, tanto che supera gli anni suoi » Lettere, iii, 42. (3) Grià poc'anzi asserimmo che secondo noi il Gonzaga è quel giovinetto che nella Scuola d'Atene sta nel gruppo a sinistra di chi guarda, e di cui si vede poco più della testa. L'opinione divenuta tradizionale voleva invece clie fosse il giovane del gruppo di destra, che apre le braccia per la meraviglia sul disegno tracciato da Archimede, e ciò per l'unica autorità del Vasari (iv, 331), il quale sproposita continuamente nel discorrere delle Stanze Vaticane. Le tradizioni sono sempre forti anche se assurde, onde non è meraviglia che a quella identificazione piegassero storici acuti come il Cami'OKI, Notizie e ducum. jjer la vita di Giovanni e di Raffaello Santi, p. 6, e specialisti come il Gruyer, Essai sur lei fresques de Raphael au Vatican, Paris, 1858, l, 96 e Raphael peintre de jìortraits, 1, 224-2.X Eppure era facile il vedere che il giovane del gruppo a destra non può aver meno di IG o 18 anni , mentre Federico, nel tempo che stette a Eoma, ne aveva da 10 a 12: considerazione che fece valere molto bene già il Passavant, Raffaello, i, 101. L'opi- nione nostra è ora sorretta, oltreché dal MiiXTZ citato in addietro, •dai sigg. Cavalcaselle e Crowe, Raffaello, Firenze, 1884-91, il, 72-73. Ma aAgnesina, temeva dei pretendenti al Bucato (-). Appena rimesso, il Papa si diede col solito ardore ad ac- cudire alle faccende politiche, stringendo la lega santa, che fu proclamata il 5 ottobre 1511, contro Luigi XII di Francia. Le relazioni di cui ci occupiamo, durate alquanto scarse nel 1511 (^), si rianimarono, per motivi politici, nell'anno •successivo. Non è d'uopo di qui rammentare i gravi fatti che si compirono in quel memorando 1512, il cozzo dell'esercito francese con quello dei collegati a Kavenna, la seconda lega proclam-ata in Roma il 17 maggio, lo sperdersi delle forze francesi, Bologna rioccupata a colpo sicuro dal Duca d'Urbino (*), Ferrara, alleata di Luigi, esposta ora alla terribile ira del Papa. Fu appunto in quelle difficili contingenze, in che ebbe a trovarsi il fratello Alfonso, che Isabella fece di nuovo valere la sua accortezza politica, ponendo a profitto anche i suoi rapporti personali e famigliari col Duca d'Urbino. Alfonso erasi recato a Roma sotto (1) Come Federico fosse l'unica persona cui il papa obbedisse un poco in quella malattia vedasi in Luzio, Op. cif., pp. 21-23. (2) Vedi Gregorovius, Storia, vili, 91-97. (3) In una lettera d'Isabella del 22 agosto 1511 ad Emilia Pia, •che è nel Copialett., L. xxix, essa si rallegra che la commissione relativa a certo anello dell'arcivescovo di Salerno abbia dato oceafiione ad Emilia di scriverle e così rompere il « longo silentio ». (4) Dopo la battaglia di Ravenna egli ebbe paura e, per sicurezza, mandò la moglie e la suocera nella fortezza inespugnabile di S. Leo. Lettera del IS aprile 1512 in Sakudo, Diarii, xiv, 139. S. Leo era in tale posizione, che non poteva essere preso. Vedine il disegno del Dennistoun, Memoirs, l, 72. Cfr. anche C. Ricci, San Marino e San Leo, nella N. Antologia (1892), Serie in, voi. 38, pp. 242 segg. Ognuno rammenta il passo dantesco sulla inaccessibilità di S. Leo : Purgai, iv, 25 segg. — 205 — l'egida d'un salvacondotto, il Papa avevagli concesso l'as- soluzione, ma poi i suoi portamenti furono siffattamente borgiani, che il Duca di Ferrara potè stimarsi fortunato di riuscire a fuggire sotto la protezione dei Colonna (^). In quel frangente l'affetto della Marchesana non gli venne meno : v' è un fascio intero di lettere scritte a questo proposito dal Capilupo in nome d'Isabella, e si può esser certi che il buon messer Benedetto non era in questo caso solamente scrittore, ma anche abile consigliere (-). Essa mandò l'Equicola ad accompagnare il Duca e mise in moto tutte le proprie aderenze per salvarlo. Papa Giulio vedeva di mal'occhio quell'armeggio, e se la prendeva direttamente anche coi Gonzaga, come si rileva dalla lettera 19 agosto 1512 che Isabella scriveva al cardinale Ippolito d'Este. Gli dice che il Papa ha irosamente rimproverato il Folenghino, ambasciatore mantovano « dolendosi del S. Marchese « che 'l sii causa de la Dieta che è fatta qui a suo di- « shonore et danno, essendo causa che Gurgense (^) non « vadi a Eoma et che 'l sa che dà recapito a Ferraresi et « robbe loro, giurando che se 'l dà recapito a V. S., alla « S. Duchessa et figlioli, che lo exercito che debbe andare « a Ferrara la voltnrà a danni di questo stato, ne haverà « rispetto a l'Imperatore et mandarà Federico nostro fi- « glielo in la torresella de Venetia, con gionta de molte « altre male parole ». La guerra contro Ferrara fu appunto commessa a Francesco Maria. Ed allora Isabella cercò (1) Gregorovius, Storia, viii, 117-120. Aggiungi il docum. mantovaru) pubblicato dal Luzio, Federico ostaggio, p. 37, n. 2. (2) Infatti le minute di quelle lettere, che l'Archivio Gonzaga conserva, sono piene di cancellature, che indicano come fossero il frutto di matura discussione. (-3) Mattia Lang vescovo di G-urk, legato dell'Imperatore. — 206 — di indurlo a procedere tepidamente, di che il Duca le dava fìdauza, pur facendo le viste, per non irritare il Papa, di «ssere tutto calore per quell'impresa. La gherminella che si giuocava a papa Giulio appare da una latterà del 12 ott. di Isabella al cardinale d'Este, in cui è detto : « Mandai « Mario [Equicoìa] al Duca de Urbino per la causa che « me disse Alfonso Cistarello, il qual ha riportato che tanto « gli rencresce bavere questa impresa quanto di alcun <« altro despiacevole et damnoso caso gli potesse interve- « nire : et benché babbi commissione expressa et ogni giorno ^ replicata di fare al pegio che si pò, nondimeno per mio « amore et molti altri rispetti, quali veramente da savio « ha explicati, andarà più retenuto che 'l potrà, de modo « che 'l se conoscerà che 'l non farrà tutto quel male che « 'l poterla fare. Et quello che mi fa darli fede è che l' ha « commesso a Mario per quanto ha cara la vita che da mi « in fora sapendo alcuno de la venuta sua debba dire ha- « vere havuto risposta de voler fare al pegio che 'l pò «. E il 31 ottobre assicura di nuovo il cardinale d'Este, che avendo spedito un altro messo al Duca d'Urbino, « M. Bal- « dassare Castiono, a chi 'l mio fece capo, perchè è quello « che fa adesso ogni cosa con lui «, l'ha pienamente rassicurata che il Duca d'Urbino è sempre nelle migliori disposizioni, poiché egli, ad arte, « faceva l'impresa » come il Castiglione diceva, « difficile et impossibile ». In questa no])ile intromissione a favore dei parenti suoi Isabella non era secondata dal marito. Questi, chiuso nel suo egoismo, te- meva le rappresaglie papali. Yi è una sua lettera importante del 13 novembre 1512 a' suoi agenti in lloma, il Folenghino ed il Gabbioneta, in cui egli cerca scagionarsi dall'accusa di favorire il Duca di Ferrara e da quella d'aver accolto il cardinale d'Este. Il cardinale, dice, venne a Mantova — 207 — solo di passaggio per recarsi dall'Imperatore, quindi non credetti opportuno l'imprigionarlo, per quanto lo vedessi il più tardi ed il più brevemente possibile : « Assecuramo, « prosegue, ben N. S. sopra la fede di leale signore et di " fidelissimo servitore che se Don Alpbonso bavera tanto « ardire che 'l venglii in le forze nostre et che gli pos- « siamo far mettere le mani adosso, lo faremo indubitata- •^ mente et terremoto a dispositione di Sua S'-^, et se robbe « bestiami di ferraresi verranno sul mantnano ne faremo « far bottini. Volesse Dio che anche havessimo ventura una « volta di possere pigliare uno di scismatici o di Benti- ^ voglij per fami un dono a Sua B°* et mostrarle l'animo « nostro. Non vi mancamo già di sollecitudine, che tenemo « homini pagati a posta oltre le guardie ordinarie alli passi « dovi possemo pensare che potessero capitare. Assicurate « di questo la S'* Sua et di la nostra mente dispositis- « sima in ogni cosa alle voglie sue et alli servitij di quella « come serao debitori " (*). Questa lettera è vile. La Marchesana mostrò di contro al battagliero Pontefice animo ben più risoluto e coraggioso del sedicente trionfatore di Fornovo. Certo che poteva pagarla cara. Fu per lei buona ventura che nella notte dal 20 al 21 febbraio 1513 Griulio venisse a morte. L'il marzo 1513 fu proclamato Pontefice il cardinale Giovanni de' Medici, che prese il nome di Leone X. Dopo il Papa marrano ed il Papa soldato e bestemmiatore, parve una redenzione il vedere col triregno in capo quel cardinale di 37 anni, mite, anzi molle ed epicureo, prodigo, amante del lusso, delle arti tutte, della vita voluttuaria, vano di spirito e debole del corpo, oramai cronicamente malato, (1) L. 225 del Copialettere del Marchese. - 208 — con una gran reputazione di bonomia dipinta sul faccione tondo e poco espressivo. Quale riuscisse poi in realtà quel Papa nel suo breve pontificato , tutti lo sanno (^) ; egli raccolse la splendida eredità dei tempi e fu oltremisura apprezzato come mecenate d'artisti e di letterati, mentre in realtà sft'uttò quanto Giulio II aveva fatto e gli mancò ogni finezza nella scelta degli uomini, sino al punto da trascurare l'Ariosto ed empire invece la Corte d'improvvisatori, di ciarlatani e di buffoni, che lo divertivano (-). Il culto delle lettere si convertiva in un eierno saturnale, in cui dissipavansi i tesori accumulati dal severo Della Rovere ('). Bernardo da Bibbiena, che già vedemmo in relazione con la Marchesa e che a Roma era stato compagno di spassi al giovinetto Federico (*), e a Mantova erasi recato nel 1512, Bernardo da Bibbiena, creatura dei Medici e fido compagno del cardinale Giovanni nell'esilio, fu conclavista del futuro Leone X e con molta accortezza cooperò alla sua elezione C). Gongolante del successo, il Bibbiena s'af- (1) Sull'argomento v'è un'intera letteratura storica e critica. Non è il caso di citare le opere speciali, come quella del Roscoe, uè il voi. VITI del Gregorovius. Buon ritratto fisico e morale dà il PerRESS, Hist. de Florence depuls la dominat. des Médicis, ili, 31-32. (2) Su ciò vedi le buone osservazioni dello Gnolt, Raffaello alla corte di Leone X, in N. Antologia, xcviii, 1888, pp. 577 segg.; spec. pp. 580-81. (3) Quanti e quali fossero puoi trovare in Brosch, Papst Julius II, Gotha, 1878, pp. 273-74. (4) Vedi passim il Federico ostaggio del Luzio. La corrispondenza del l.')ll quivi pubblicata (pp. 13-15) mostra in quanta confidenza fosse fin d'allora con Isabella. (5) Giovio, Elogia v. liti, ili., p. 123. II Giovio dice che il Bibbiena sovvenne Giovanni « astuta quadam urbanitate " e in questo leggiadro modo accenna allo strattagemma cui diede luogo il famoso ascesso scoppiato. Vedi Bandini, Il Bibbiena , pp. 8-9 e 12-15. — 209 - frettò a darne l'annunzio alla marchesa di Mantova con questa affettuosa missiva, che accompagnava il breve offi- ciale del nuovo Pontefice (*) : Ill°»a et Ex™a S'"» patrona obser™» V. S. bara havuto la nuova di questa felicissima assumptione al pontificato del E™° S'« suo Compatre, di che penso che quella habbia sentito et senta immensissimo piacere et consolatione perciò che lassando da parte il singulare amore che N. S. et tucta la casa sua ha sempre portato et porta allo Ul^io S' V. Consorte et a V. Ex., ma dalla creati one di vostro compatre in questa santa sede depende la total salute di vostro nipote et dello stato suo, et così quella del S. vostro fratello. Sì che V. Ex. ha cagione di rallegrarsi et di starne contenta quanto altra persona del mondo et però io con quella molto me ne allegro et congratulo. Molto harìa desiderato N. S. quando se uscì di conclavi haver trovato in Eoma lo ili""" S. Federigo primogenito di V. Ex. sol per bavere occasione di mostrare in lui alcun segno dello animo et della vera affectione che S. 8*^ porta al S. Marchese et a V. Ex. di chejj volte me ha parlato S. B°« et io questo dico afl&nchè V. Ex. co- gnosca che N. S. ha del continuo in memoria le cose vostre, come quel che molto ve ama. Non scrivo nuove a V. Ex. perchè m. Cechino presente latore mandato da N. S. col breve di sua creatione al S. Marchese potrà dire il tucto a quella : però io non dirò altro se non che li ricordo che io li son quel vero servo fidel che io li fili mai, et che di me si può tanto piìi valere et servire, quanto io vaglio et posso un pochettino più che prima. Sì che V. Ex. mi comandi perchè sempre mi troverà promptissimo a servirla et ad obbedirla, avenga che poco obligato li sia per non havermi voluto far guadagnare quelli cinquecento ducati a Milano. A V. Ex. mi raccomando et così alla ili. M"^* Laura et a M'' Alda msieme con tucte l'altre madonne et donne di Y. Ex. et sopratucto Isabella et Mario. El servo di M'"* Marchesana et Tesoriere di N. S. Bernaedo. (1) Poche linee di questa lettera furono date dal Luzio, Federico ostaggio^ p. 52. "14 — Luzio e Kknier, - 210 — L'Eqiiicola, inviato dai Gonzaga a Eoma in quell'occasione , scrive alla Marchesa il 18 marzo 1513 d' essere stato accolto con festa dal Bibbiena e poi sentito dal Papa, il quale spesso la nomina per comare e « non « sa discernere differentia da V. S. alla sorella [Madda- " lena ?] , se non che V. S. merita più reverenzia ». .E il 23 marzo : « La S'* di N. S. sta sana et non opera oc- " chiali che jà ci vede per ingegno di Mons. ill'"° di Ara- « gona et providentia divina (*) ; se leva ad bona hora « fora di suo costume, dà audientia gran""' et grat"'\ Desna « in publico et poi dà di nuovo audientia, fa cantare sino « a l'hora che vanno cardinali... Cardinali favoriti sonno « primo Ragona, Yulterra e Siena: de li altri Bibiena « tiene il principato et m. Ludovico di Canossa... Bibiena « è quel che era con li amici et dà tanta et tale audientia « che io li ho udito dire : ecci altri che voglia altro de « me? È multo laudato d'humanità, so che sa fare il gac- « tone. Como me vede, me fa comò soleva et con più risi, « chiamandome comò Y. S. lo chiama in la sua lettera (^). « Tanti fiorentini che è una compassione : tucto 'l palagio, « tucta Roma non è altro ". È agevole l'imaginarsi come la Marchesa, così accorta com'era, s'industriasse di trar partito dalle favorevoli circostanze e profittasse di quel suo amico tanto influente presso il Pontefice. Ecco la lettera che gli indirizzava il 28 marzo per felicitarsi dell'elezione di Leone e ringraziarlo delle cortesi profferte : R'^" Mons. Prima che noi havessimo la litt» de la S. V., essa bavera inteso da Mario Equicola mandato a basare il piede a (1) Scherza sulla miopia di Leone. I cardinali qui nominati erano Lodovico d'Aragona, figlio di Ferdinando 1°; Alfonso Petrucci di Siena e Francesco Soderini. (2) Probabilmente moccicone. — 211 — N. S. et congratulami de la sua assuraptione, in quanta allegreza et jubilo ni trovassimo al primo aviso de questa felicissima nova , et anchora ni troviamo, che veramente, doppo siamo nate, mai havessimo la magiore, essendo in un subito seguita doppo la morte de papa -Tulio. Dil tutto laudamo et ringratiamo N. S. Dio spe- rando clie per la summa bontà et prudentia sua habiamo a ve- dere lo assetto dil stato del S'" Duca nostro fratello, il stabili- mento di quello dil S. Duca di Milano nostro nepote, l'iionore et exaltatione del S. Marchese nostro consorte et finalmente la quiete de tutta Italia. Per il nostro particular ni promettemo una ferma protectione et perpetua gratia de la S*^ Sua, sì per il vinculo dil compatrato, come per l'amore et observantia gli portavamo, quando era Card« de Medici, et per la domesticheza, che havemo col M<'° S. Juliano suo fratello ; ma non manco per il favore et patrocmio, che speramo ni prestarà Y. S. presso S. S'^, non dubi- tando che per honore et grado che l'habbi possi mai mutare na- tura et costumi, ma che sempre ne babbi ad essere più amorevole et benivolo, se bene gli habiamo fatti perdere li 500 ducati. Però de la creatione dil S. patron suo al pontificato, et de l'officio et dignità, che meritamente gli ha dato C) ni congratulamo cum (1) Leone X accumulò subito le cariclie su quella sua creatura ; lo fece protonotario, conte palatino e tesoriere. A questo accenna Isabella. Nel medesimo tempo Bernardo prese gli ordini sacri fiuo al diaconato. Il 23 settembre 1513, di -soli 33 anni, il Bibbiena fu fatto cardinale (Bandini, Op. cit., pp. 15-16). Nella lettera con cui egli partecipa (il 18 ottobre) la novella dell'alta dignità conferitagli alla Marchesa, la assicura « che con V. Ex. voglio pur essere quel u stesso moccicone che debbio n e con eleganza scherzosa le si profferisce (Luzio, Federico ostaggio, p. 18 n.). E infatti a Isabella non mancava occasione di importunare l'amico suo, non tanto per sé, quanto per altri. Appunto l'il ottobre 1513 si rivolge a lei perchè lo raccomandi al Bibbiena quel Fra Benedetto da Castiglione Aretino, che non è altri se non il padre Moncetti, il falsificatore pro- babile del De aqua et terra attribuito a Dante. Su questo curioso tipo di frate e sulla sua probabile falsificazione leggasi il nostro articoletto speciale nel G-iorn. stor. della leti, italiana, xx, 125 segg. Rispetto alla dignità cardinalizia del Bibbiena, vedi la lett. giubi- lante con cui egli ne dava notizia al Castiglione. Lettere del Cast., Negozi I, 174. - 212 — V. S., pvt'gaiiclola voglii basare spesso il pede a N. S. in nostro nome, finche Dio ne concederà gratia di poterlo fare personalmente, come summamente desideramo. Et a lei ni offerimo et racemo.Mantue, xxvm martij 1513. L'occasione di baciare il piede al novello Pontefice non tardò poi tanto a presentarsi. Nel 151-4, dopo essere stata a Pavia ed a Milano, Isabella ebbe licenza dal marito di soddisfare ad uno dei suoi massimi desiderii, quello di ve- der Eoma. Acciò non avesse disturbi per entrarvi, si adoperò con gentilezza il Bibbiena, come appare dal biglietto seguente : 111""^ et Ex"^* D=a honor Come nelle terre vostre di Lombardia è sopra li viandanti lo officio delle bollette per tener conto di chi va et di chi viene, cosi da qualche tempo in qua se ne è fatto et stabilito un simile a Roma. Ma perchè le Madonne, le Donzelle, li Gentilhomini et li servi di Y. Ex. non habbino a comparire inanzi alli officiali et ministri di detto officio, ho impetrato da N. S. gratia che, per più honor et per manco fatica loro, uno solo de li vostri se presenti al R° Mons. Datario di S. S'* et questo vuol essere el maiordomo di V. Ex. che deve sapere apunto quanto sia la comitiva di quella. Però la Ex. V. mandi subito el p*° suo maiordomo al Datario de N. S., el qual per essere virtuosissima et gentilissima persona, et per haver così in comissione da N. S. darà inconti- nenti ordine tale che non bisognerà che alcuno delli vostri comparisca altrimenti a l'officio delle bollette, che non è cosa molto honorevole l'andarvi. Altrimenti li vostri sariano per Eoma presi et menati al detto officio. Siche V. Ex. mandi in ogni modo subito el suo maiordomo al Datario. Et a V. Ex. mi racomando. Li Capodimonte, adi xv di oct. 1514. El S" di V. Ex. Moccicone suo B. — 213 — Il 18 ottobre era già entrata nell'eterna città. Dire l'ac- coglienza clie le fecero il Papa ed i cardinali, fra cui specialmente il nuovo porporato messer Bernardo, dire i godimenti di quello spirito così ben temprato e disposto nello ammirare la Roma di Leone X, dire le feste ordinate per rallegrare vieppiù la Marchesa non è di questo luogo. Accenneremo ad un fatto solo, perchè ci riguarda più dappresso : per lei fu data in Roma con singolare magnificenza la Calandrici del Bibbiena (*), che l'anno antecedente era comparsa la prima volta sulle scene in Urbino (-). Da (1) Il Griovio dice precisamente " in gratiam Isabellae Mautuani « principis uxoris ". La rappresentazione romana, famosissima, fu a torto creduta la prima. Vedi d'ANCONA, Origini, li, 88. Per una svista il Gaspary, Storia, ii, ii, 228 pone questa rappresentazione nel 1518. Del valore della commedia, in cui la favola de' Menaechmi si complica,per essere i due gemelli di sesso diverso, sarebbe inopportuno il discorrere qui. Tutte le storie letterarie ne parlano. Tra i lavori speciali citiamo segnatamente quello del Graf negli Studii drammatici, Torino, 1878, pp. 83 segg. Pressoché insignificante e pieno d'errori di fatto è l'articolo di A. Moretti nella N. Antologia, Serie ii, voi. XXXIII. R. WeisDRINEr annuncia uno studio speciale, in cui dimostrerà che passi interi della Calandria sono tolti di pianta dal Decameron (Cfr. Litteraturbl. filr germ. und roman. Philologie, xm, 424:). La Calandria non è una buona commedia, ma fu molto for- tunata. Il Baxdini ne cita 12 edizioni antiche, oltre la prima, che è del 1521 {Il Bibbiena, pp. 60-65). Le due edizioni più recenti e migliori sono quelle del Camerini nella Bibliot. rara del Daelli (1863) e del Piccini (Jarro) nel i voi. del Teatro antico italiano, Firenze, 1888. (2) La cronologia della rappresentazione urbinate diede luogo a polemica, fra il Tiraboschi e lo Zeno, giacché la bellissima lettera del Castiglione a Lodovico di Canossa, che la descrive (ediz. Cominiana delle Opere del Castiglione, pp. 303 segg.) non ha data. Altra descrizione è nel cod. Vatic. Urbinate 490 segnalato ed utilizzato dal TOMMASINI, Machiavelli, i, 240, n. 3, che ne vorrebbe autore il bibliotecario Veterani. Ivi è detto con precisione che la rappresentazione urbinate ebbe luogo il 6 febbraio 1513. È dunque la prima. Rileva questo fatto il Vernarecci,!?/ alcune rappres. dramm. alla — 214 — Eonia andò a Napoli, nel dicembre ; ma fu tale il desiderio che aveva lasciato di sé quella creatura incantevole, che tornata a Roma, il Papa volle si trattenesse tutto il car- nevale e per impetrare questo favore diresse una lettera al Marchese, stesa da Pietro Bembo. Una richiesta tanto gentile, venuta così dall'alto, non poteva che trovare con- senso: fino alla metà di marzo del 1515 Isabella non fu corte d'Urbino nel 1513, in Arch. stor. per le Marche e per r Umbria, III, 183, il quale parla anche, assai bene, di altre due commedie, dal Castiglione accennate genericamente, che in quel carnevale si recitarono in Urbino, una di Nicola Grassi mantovano, l'altra del giovinetto Guidubaldo Ruggeri di Eeggio (cfr. ;D'Ancona, Origini, II, 101-105). Nella rappresentazione urbinate il prologo giunse troppo tardi per essere mandato a memoria, sicché il Castiglione ne sostituì uno suo, che è quello ora a stampa. Del prologo vero del Bibbiena diede notizia il Del Luxgo n^WArch. stor. ital., Serie iii, voi. xxii, pp. 348-49. Il Gaspary (ii, ir, 300) ed altri danno il merito al Vernarecci d'aver per primo fissato la data della rappresentazione ur- binate; ma veramente, con giusta argomentazione, l'aveva proposta già L. PofGiLEOXi, Elogio di Baffaello, Urbino, 1829, p. 288, la cui nota rilevò il Dexnistoun, Mémoirs, il, 141. La rappresentazione romana del 1514 fu la seconda; la terza quella di Mantova del 1520 1_D'Ancosa, Orig., il, 397) ; la quarta e la quinta quelle di Venezia del 1521 e del 1522 (Bandini, pp. 65-66 e D'Ancona, ii, 122); la sesta quella di Mantova nel 1532, come rileviamo da documenti sconosciuti; la settima quella di Lione del 1548, su cui vedi BanDixi, p. 64; GiNGUEXÉ Hist. liti. d'It., ed. 1821, vi, 1(56-67; D'Ancona, II, 456. Intorno alla rappresentazione romana della Calaridria merita di non passare inosservato questo brano di lettera di Agostino Gonzaga, in data di Eoma, 15 die. 1514. « Al ritorno de S. S. -' III™* (da Napoli) se preparano due comedie, una vulgare e l'altra u latina: la vulgare sera una comedia uova in versi composta per u un giovane che si dimanda Cherea, che secundo me già soleva a recitare a Mantua ne le comedie di V. Ex. et la latina sera VAndria u de Terentio e forsi ancho che per aventura se recitarà di novo j quella che fu recitata a questi di del R"" S" M. in portico ». Sul Cherea vedi D'Ancona, Origini, ii, 111 segg. — 215 — di ritorno a Mantova (*). Le parve allora d'esser caduta in un cimitero, onde subito dopo, il 18 marzo 1515, così si sfogava col Bibbiena : « Sono in Mantua con desiderio « di essere in Roma, salvo che per liaver obedito et satis- « fatto al 111""° S"" mio. Quanto differente sij questa stantia « et questa mia vita da quella di Roma et quanto a me « para strana, Y. S. R"^ la consideri. Il corpo è qua, « l'animo a Roma ; con quello vado et parlo continuamente « con lei et con quelli altri R"" S" Cardinali, et parmi di « poter basiare il piede et adorare alla S'* di N. S. Con « tali imaginationi vorei inganarmi et potere assetarmi a « passare il tempo con manco fastidio et expectare occa- « sione di poter servire Y. S. R""' in recompensa aut reco- « gnitione de li infiniti oblighi etc. ". E prosegue chie- dendo al Bibbiena d'inviarle qualche bella cosa antica, perchè ne è venuta affatto priva da Roma ("). Per non interrompere la serie delle notizie riferentisi al Bibbiena, abbiamo trascurato di notare, nell'aprile del 1513, la morte di un oscuro precettore, che aveva diviso col Grolfo e col Yigilio, tanto più noti di lui, la gloria d'avviare alle lettere i figli di Isabella, fra gli altri Leonora. Il maestro di cui si tratta è Cristoforo de' Franchi, che nel re- gistro necrologico ove lo si dice morto « ex dolore coste » il 14 aprile 1513, è indicato come « preceptor liberorum (1) Il ^papa avrebbe voluto trattenerla anche di più, sino all'ar- rivo della sposa di Griuliano de' Medici. Vedi una lettera del Bib- biena in Lettere di principi, Venezia, 1851, l, e. 16 v., e anche Bembo, Lettere, ili, 47; ove si attribuisce alla presenza d'Isabella il brio del carnevale romano del 1515. (2) Isabella era usa da un pezzo a servirsi anche del Bibbiena per soddisfare al suo desiderio insaziabile d'anticaglie, Cfr. Giorn. stor., IX, 115. — 216 — « ill°" D. nostri ». Gio. Maria cantore, dandone la notizia al Marchese, in qnel medesimo giorno, lo pregava di esser eletto a sostituire il defunto presso gli allievi, aggiungendo che da parte sua « per cantare et scrivere... sono per farge « honore ». Cristoforo allora doveva essere attempatissimo, perchè era stato anche precettore di Francesco e di Elisabetta. Lo si deduce da un decreto, con cui l'S ottobre 1484 il Marchese gli dona 50 biolche di terra in quel di Borgoforte, perchè lo meritano « ejus fides et devotio et in- « defessa obsequia quae erga 111""°' genitores nostros to- « tamque nostrani domum adhibuit, tum erga nos perso- « namque nostrani contulit in litt(?rarum studiis et moribus « instruendo quantum in se fuit » (*). Ma non sempre il Franchi ottenne lo stesso ossequio riconoscente ; perchè il suo discepolo, divenutogli padrone, impiegandolo in cose al- quanto lontane dall'ufficio di pedagogo, non ebbe riguardo di dargli qualche solenne rabbuffo. Ne fa fede questo pepato biglietto: Mag""» Christoforo mantuano. Mag''° Christoforo. Quando vui eravati nostro preceptore facil- mente ne potevati dare ad intendere una cosa per un'altra. Adesso non voliamo vi persua diati lo medesmo, et questo diceino in proposito del cavallo turco de la 111'"'* M* Duchessa de Sabba da nui compro, el qual ne fu denegato sotto certo colore de una zanza de Antonio Scazano e che l' è stato promisso al S" L''°. Vui doveti ben essere informato come la cosa passa lì : se farà lo debito 'ad farne bavere lo nostro cavallo, ecc. Mant., 26 jan. 1490 0- Ed ora tornando al racconto nostro, avvertiamo che nei primi tempi del pontificato di Leone, mentre Isabella di- (1) Vedi anche la lett. di Mario Filelfo del 21 dicembre 1478 già stampata da noi nel Giorn. stor., xvi, 201-2. (2; L. 134 del Copialett. del Marchese. — 217 — vertivasi in Eoma, i Duchi d'Urbino non avevano ragione di essere ugualmente paghi del nuovo Pontefice, [alla cui elezione avevano contribuito. È vero che alla cerimonia fastosa dell'incoronazione del Papa Francesco Maria era intervenuto ed era stato carezzato dal Medici (') ; ma poco appresso questi aveva tolto al Della Eovere la condotta degli eserciti pontifici per gratificarne suo fratello Giuliano (-). Di mano in mano che il tempo passava, scoprivasi sempre più il maltalento del Pontefice contro il Duca, e si vedeva ch'egli non avrebbe esitato a cogliere ogni pretesto per danneggiarlo. Ond' è che Francesco viveva in gran sospetto, e nell'ottobre del 1515 egli pensò bene di mandare l'unico suo rampollo nel forte di San Leo. Destinato ad accompagnarlo e sorvegliarlo era il letterato pesarese Guido Postumo Silvestri, che così ne scriveva il 21 ot- tobre a Isabella, sua costante protettrice (^) : « Io sono al « presente qui in San Leo, dove mi hanno mandato li « ill^^ et ex™^ S" Duca e Duchessa vostra figliola per « compagnia et custodia dell'unico lor S" figliolo, lo quale « hanno mandato qua per il suspecto se è havuto del pas- « saggio de questo exercito spagnuolo, che è bisognato al « S"^ Duca star in su le arme alcuni giorni et vi è pur « ancora ». Nell'anno successivo scoppiò la bufera. (1) Gregorovius, Storia, viii, 207. (2) Ugolini, ii, 197-98. (3) Delle relazioni letterarie e private del Postumo con la Marchesa ci occuperemo un giorno di proposito. Lo Gnoli, che di lui scrisse recentemente, dice: " Caso strano che il fanciullo eia rocca, u in cui era riposta ogni speranza, si affidassero dal Eovere ad un u amico dei Medici! ma certo è che alla prossima caduta del forte, u il comandante non era lui «.Vedi D. Gnoli, ie cacce di Leone X, Roma, 1893 ; estr. dalla N. Antologia, p. 49. iniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii VI. (1516-1529) n 1516 doveva vedere uno degli atti più indegni che il nepotismo, l'ambizione e la slealtà di carattere del Papa mecenate riuscissero a commettere. Calpestando ogni diritto ed ogni sentimento di gratitudine verso coloro che a lui ed a' suoi, esiliati, avevano porto asilo e sostegno, il Papa de' Medici non rifuggì dallo scacciare il Duca da Urbino per gratificare il proprio nipote. Fu osservato, ed è giusto, che tale occupazione è indizio di prepotenza e perversità d'animo molto più di quella dei Borgia, perchè i Borgia, almeno, non erano stretti ai signori d'Urbino da alcun vin- colo di riconoscenza personale. Leone aveva un fratello ed un nipote che amava moltissimo. Giuliano e Lorenzo di Piero. Chi li vede entrambi scolpiti da Michelangelo sulle tombe medicee, nel loro as- setto classicamente guerresco, con le faccie giovanili, pure, gravi e risolute, male congetturerebbe dall'espressione di quelle figure i sentimenti di quegli uomini. Ma Michelangelo, che del resto al lavoro delle tombe si prestò sempre repugnante, idealizzò i tipi con la sua robusta ispira- — 220 — zione d'artista (*). Brutti uon erano, del resto, né l'uno nò l'altro. Giuliano, migliore del nipote, aveva gli occhi azzurri, era bianco di carnagione, dal collo lungo ; d'animo era mite, bonario, liberale ; piacevole nel conversare, ma fiacco di natura e infiacchito vieppiù dall'abuso delle donne, superstizioso insieme e tediato di tutto. Più bello Lorenzo, che somigliava alla madre, aveva di essa una certa gagliardia di propositi e ambizione non poca ; era destro delle membra, morigerato (sebbene in Roma si guastasse), circo- spetto, calcolatore ; ma gli mancavano altezza vera di mente e valore, sicché riuscì di troppo inferiore a ciò che il Papa avrebbe sperato da lui (). Nato il 12 settembre 1492, Lorenzo era stato portato in Urbino ancora bambino ; poi era passato in Roma, ove sua madre Alfonsina Orsini lo allevò ed il Bibbiena addestrollo negli affari politici ('). (1) Li ritrasse entrambi anche Raffaello. Vedasi Passavant, Baffaello, II, 167 e 313; Gruyer, op. cit, ii, 210-14. Un ritratto bel- lissimo di Giuliano, creduto opera del Botticelli, è nella galleria Morelli ora passata nell'Accademia Carrara di Bergamo. Di questo ritratto stima il Lermolieff {Die Galerie zu Berlin., Leipzig, 1893, pp. 11-12) sia una copia quello che ha il n» 106 B nella galleria di Berlino. Il Bode invece {Gemàlde der K. Museen zu Berlin, Berlin, 1891, p. 32) ritiene che il quadro di Berlino sia l'originale, e quello della raccolta Morelli la copia. Forse egli s'inganna. I due ritratti sono riprodotti nel libro del Lermolieff. (2) Vedasi ciò che dice molto bene di Giuliano e di Lorenzo F. NlTTi nell'art. Leone X e la sua politica rispetto ai parenti, nella N. Antologia, cxii, 1890, 402-4. Ci riferiamo a questa prima edizione, non avendo potuto giovarci in tempo della ristampa, con qualche aggiunta notevole, che il Nitti stesso ne fece nel voi. Leone X e la sua politica, Firenze, 1892. Si veda la recensione di questo libro data dal Ciak nel voi. xxi del Giorn. storico, ov'è un documento note- vole sui costumi di Lorenzo. (3) Vedi specialmente A. Giorgetti, Lorenzo de' Medici capii, gen. della lìepuhhlica fiorentina, in Arch. stor. ital.. Serie iv, voi. xi, pa- gine 194 segg. Fra Mariano Fetti, il celebre piombatore buffone, - 221 — Maggiori rapporti con Urbino ebbe Giuliano, clie vi dimorò così a lungo che ad un'ala di quel palazzo rimase il nome di appartamento del Magnìfico (*). Militò col duca Guidubaldo. vi contrasse amicizie preziose, tra le altre quella col Bembo (^), le cui lettere stanno ad attestare la simpatia che correva tra loro. Y' ebbe anche un figlio, di misteriosa provenienza, quell'Ippolito che fu cardinale tanto celebre (^). Ognuno rammenta la parte che Giuliano ha nel Cortegiano, ove è chiamato ad esporre, egli che di donne ben s'intendeva, quale debba essere la donna di corte (*), e loda tra le più ragguardevoli dame del tempo Isabella Gonzaga (^). Negli ozi urbinati egli prese anebbe ad asserire poi d'essere stato il primo cristiano che Io vedesse quando nacque. La lettera del Fetti fu segnalata dal Giorgetti (p. 194 n.) ed ora è pubblicata intera dal Gian, Un buffone del se- colo XVI, Milano, 1891, pp. 5 segg. ; estr. dalla Cultura. (1) « Ve poi un'altra parte del palazzo, pure antica e nobilmente « fabbricata, la quale è quella che è piìi vicina alla chiesa catte- « drale. In questa abitò il magnifico Griuliano de' Medici, quando « bandito dalla patria, fu si umanamente raccolto dai duchi d'Ur- « bino, e per questa cagione le dette stanze si chiamano del Ma- « gnifico n. Baldi, Descriz. del palazzo d'' Urbino, nell'ediz. Eigutini del Coì'tegiano, p. 298. Di quell'appartamento parla poi il Baldi più volte nel suo scritto. (2) Vedi Ammirato, Opuscoli, Firenze, 1642, ni, 99. (3) L'Ammirato, Opusc, in, 134, espone le varie congetture che si fecero sulla madre di Ippolito. Il Litta, Famiglie, Medici, tav. x, sa che Ippolito nacque da una Pacifica Brandano. Comunque sia, tutti gli storici lo fanno nascere d'unione illegittima in Urbino. (4) A pp. 273 segg. dell'ediz. cit. (5) A p. 317. Parecchie cose ci sarebbero da dire intomo ai rapporti d'Isabella con Giuliano. Qui ci limitiamo a notare che quando nel 1512 Giuliano ritornò in Firenze col fratello card. Giovanni (Capponi, St. di Firenze, in, 123), non mancò di avvertirne, U 31 agosto, la Marchesa. La lettera è di mano del Bibbiena: « Infiniti « cittadini, dice, son venuti qui a congratularsi con noi di tanto ben « nostro, del quale son certissimo V. Ex. dover pigliare piacere — 222 — che a poetare (*) e meritò che, morto, lo lodasse l'Ariosto (-). Non pago Leone X d'aver concesso a qiie' suoi cari, appena salito al seggio pontificale, con solennità insolita, il patriziato romano (*), non soddisfatto d'aver conferito a Lorenzo il capitanato generale della sedicente repubblica fiorentina (*), repugnante all'usurpazione tramata per lui u grande ". Le offre i suoi servigi, e termina: " Alla mia M" Alda u {Boiardo) et al mio Equicola me raeomando insieme con tutta u la sua virtuosissima corte et così fa el Moccicone vero servo di « V. Ex. ». Rispose Isabella il 3 settembre con grandi elogi di Giuliano e rallegramenti per lui e la città che lo aveva riacquistato. u Ringratiamo la S. V. de cosi felice aviso, che in vero la non ci « potria significare cosa j)iù allegra di questa. Piaceni molto che la « entrata di V. S'® in la patria sia stata con tanto consenso de quella « republica, et senza tumulto, che havemo questo per un augurio « del futuro loro quieto et pacifico stato in bona fortuna, che la u redutione di quelle in casa sarà tanto manco invidiosa quanto l'è « stata senza spargimento di sangue, et a loro deve essere per questo u tanto più grata ». In fine scrive: « Ne allegramo anche con Moc- « cicone, come de la magiore allegreza che l'avesse mai ». La in- trinsichezza del Bibbiena con Giuliano fu grande e lo rammentò anche l'Ariosto nel commiato della sua canzone su Giuliano (vedi Bandini, Il Bibbiena, pp. 21-22). Nel i voi. delle Lettere di principi si troveranno varie lettere del Bibbiena, nelle quali, sotto finti nomi, gli parla delle imprese politiche a cui allora i Medici attendevano. Altre lettere del Bibbiena, « molte e bellissime » secondo il Del Lungo {Arch. stor. it., Serie in, xxii, 350) sono nell'Archivio di Fi- renze e meriterebbero certo d'esserne tratte. (1) Vedi RoscoE, Leone X, vi, 315. (2) Nella canz. Anima eletta che nel mondo folle, in cui si finge che l'anima di Giuliano parli alla vedova Filiberta di Savoia. (3) Delle feste suntuosissime fatto in quella circostanza abbiamo a stampa una relazione sincrona di Marco Ant. Altieri (Roma, 1881) ed un'altra di Paolo Palliolo (Bologna, 1885; disp. 206 della ^ce«a di curios. leti.). Cfr. pure II Buonarroti, Serie in, voi. iv, 4. (4) Curiosa una lettera 3 giugno 1514 del Capilupo, il quale in- contra in Firenze « in S» Liberata et S" Joannc il Mag» Lorenzo — 223 - dalla madre del ducato di Piombino, a' danni dell'Appiani ('), voleva costituire e al fratello e al nipote due principati solidi, die fossero de' maggiori d'Italia. Disegnò dapprima che Giuliano signoreggiasse il mezzodì dell'Italia, mentre Lorenzo doveva dominare nel nord ; ma la vittoria di Melegnano riportata da Francesco I distrusse quelle sue spe- ranze (^). Allora vagheggiò un altro disegno: formare a Giuliano uno stato di Parma, Piacenza, Modena e Reggio, e dare a Lorenzo il ducato d'Urbino. Nell'abboccamento di Bologna del dicembre 1515 convennero il Papa ed il Re di Francia la barbara spogliazione ('). Il mite Giuliano s'interpose e cercò in tutti i modi di stornare dal capo dei Della Rovere la sciagura che stava per colpirli ; ma la madre di Lorenzo, Alfonsina Orsini, faceva pressione sul Papa (*). Per colmo d'infortunio l'unico di- « catervato da più de cento citadini che lo acompagnavano a pa- « lazo, lui con dui veglili inanti al paro, ma in megio era però il u più vechio, vestito col luclio alla fiorentina. Farmi vedere m. Zoan « Bentivolio quando andava a palazo. Havea circa octo stafferi che u da ogni canto de la via lo acompagnavano con arme. È houorato u et obedito come se 'l fusse Sig". Se dice esser de più ingegnio « esso et lo Card^ [Giulio] che non sono il Papa et Mag<=o Juliano, « benché a Firenze non se expedisca alcuna cosa senza il tema a loro, che molto pesa a l'universale de Firenze, si per la tardità u loro comò per bavere cossi stritto jugo, pur portarlo gli con- « viene >'. Ecco le traccie di quei malumori che Lorenzo seminò in Firenze, senza veramente aver fatto mai cosa che pienamente li giustificassQ. Cfr. Nitti, in N. A., cxii, 405-6, e più estesamente GriOR- GETTi k pp. 200 segg. dell'artic. cit. (1) GiORGETTi, Lorenzo de' Medici duca d'' Urbino e Jacopo V d'Appiano, in Arch. Stor. ital., Serie iv, voi. vili. (2) Perrens, op. cit., Ili, 41-42. (3) NiTTi, op. e l. cit, pp. 419-22. (4) Anche il Giovio attribuisce l'usurpazione d'Urbino special- mente ad Alfonsina che chiama " ambitiosa, importunaque faemina ». — 224 — feusore d'Urbino il 17 marzo 1516 moriva. Si disse che fin sul letto di morte egli raccomandasse al Papa di non spogliare i Della Rovere ('). A nulla valse. Nell'aprile del 1516 Leone accusò il Duca d'Urbino di fellonia con in- giunzione di venire a Roma per discolparsi. Egli indusse invece ad andarvi la bnona Elisabetta, per tante virtù così venerata, che aveva tenuto nelle braccia Lorenzo fanciullo. Il Papa rimase impassibile, ogni preghiera dell'inclita dama fu vana. Non essendosi il Duca presentato, Leone lo con- dannò in contumacia, fulminandogli contro la scomunica. Tra il giugno ed il luglio 1516 tutto il ducato d'Urbino veniva conquistato ed il 18 agosto 1516 Lorenzo era creato dal Papa Duca d'Urbino (). Su questi avvenimenti, per quanto notissimi, particolari interessanti ci recano i documenti mantovani. Nell'incremento straordinario che prendevano le cose dei Medici, chi si trovava a parte di tutti i loro segreti, pronto sempre ad aiutarne l'ambizione era il Bibbiena. L'affetto gi'ande per Giuliano lo faceva specialmente caldeggiare gl'interessi suoi, e senza dubbio una delle amarezze massime della vita del cardinale fu quella di perderlo. Egli assistette alla morte dell'amico, ed il Bembo gliene inviò Elogia vÌTor. beli. viri, ili., od. cit. p. 322. Cfr. anche Nitti, op. e l. cit., pp. 422-24, nonché MoRSOLiN, Una medaglia di Alfonsina Orsini, nella Rivista ital. di numismatica, an. v, 1892, pp. 71 segg. Ivi si fa in breve la storia d'Alfonsina. La medaglia, con l'eflSgie di essa, rivela ne' suoi tratti la risolutezza e la imperiosità di quel carattere. (1) Cipolla, Signorie, p. 810. Tutti gli storici attestano la opposizione di Giuliano. (2) Su tutto ciò vedi specialmente Ugolini, ii, 200 segg. e Leoni, op. cit., pp. 171 segg. Cfr. Pekrens, ih, 59-63 e Nitti, op. e l. cit. p. 421. Anche RoscOE, Leone X, vi, 19-25. •^or, _ le sue condogiianze {*) a Fiesole. Poi dovendosi recare con lina delicata missione presso l'Imperatore, si fermò a Modena e vi sedò le discordie intestine che la travagliavano (*). V'andò il 1" maggio e ne partì il 16 giugno (*). Da Modena scriveva due lettere alla Marchesa, in una delle quali (2(3 maggio 1516) si firma : •' Quel che desidera servire et " satisfare a V. S. parimente come al Papa, servitore « Moccicone •', e nell'altra (3 maggio) ha questo poscritto, strano davvero per un porporato che non fosse cinquecentista : « Isabella mia chara, chara, chara, te baso con tucta « l'anima mia sin de qua et prego che ti ricordi di me, " come merita il grandissimo amore che ti porto ». Ma queste focose quanto confidenziali parole non sono dirette alla Marchesa (mancherebbe altro !), sibbene ad una sua damigella, Isabella Lavagnola, sorella, crediamo, del ballerino Lorenzo Lavagnolo. I costumi del tempo permettevano che una donna della qualità d'Isabella Gonzaga ricevesse e ri- ferisse quelle espressioni, sian pure scherzose. In altra let- tera di Bernardo alla Marchesa, che ha la data di Firenze 7 febbraio 1516, leggiamo : « Le racomandationi fattemi « da Y. Ex. per parte de Isabella mi sono sute di suprema « satisfatione, per bavere amato io sempre et amare tut- •• tavia Isabella piti che me medesimo et per essere tutto " de Isabella in anima et in corpo ; sì che, o amando o « non amando Isabella Mario [EquicoJa], son tutto suo et " desidero sopra tutte le cose del mundo esser amato da « lei »• (*). Il prendersi simili licenze con le damigelle (1) Lettere, i, 25-32. (2) Baxdini, Il Bibbiena, pp. 27-28. (3) Lancellotti, Cronaca Modenese, l, 165 e 187. (•4) Caviamo queste righe da una bella lettera del Bibbiena, che per la sua lunghezza abbiamo dovuto relegare neirJ^J^je^t/ice IV. 15 — LtziG e RsMjIR. — 226 - (Iella Marchesa, che erano famose per bellezza, gioveDtù e vivacità, e certameute non peccavano di solito per esa- gerata riservatezza, par quasi un' abitudine del Bibbiena. Prima sembra civettasse con Alda Boiarda (*), e certamente quando nell' estate del 1512 fu a Mantova con Giuliano de' Medici sarà stato anche lui tra quelli che spasimavano per la Brogna e le davano scherzosamente molestia (-). Appena si subodorò la iattura che incoml)eva sui Duchi d'Urbino, cercarono i Gonzaga di scongiurarla e ne scris- sero al loro figliuolo Federico, che seguiva nel 1516 il Re di Francia. Egli fece dal canto suo calorosi offici col Re e con Ludovico Canossa, il quale pure dei beneficii otte- nuti in Urbino non doveva esser dimentico ; ma non riuscì a nulla. Così scriveva da Valenza il 14 febbraio. Intorno al penoso ed inutile viaggio che Elisabetta fece a Roma a prò del nipote, particolari stupendi e caratteristici sentiremo raccogliere dalle labbra stesse della Duchessa, profuga a Mantova. Sulle prime, ella potè illudersi per le grandi ac- coglienze, dacché Carlo Agnello partecipava da Roma il 4 marzo : « La ili""* S""-* Duchessa è venuta con una bella " famiglia cussi de gentilhoinini, come de damiselle ; M'* « Emilia anchor lei è con Sua Ex"", la quale quotidiana- « mente è cortegiata da S""' prelati et honoratissimi cor- « tegiani che anche la accompagnano quando esce de casa « . Ma che cosa le servivano queste urbanità, quando non riu- sciva a smuovere l'animo del Papa fellone ? Leone X giunse (1) Vedi la lettera del Bibbiena prodotta dal Luzio nel Federico ostaggio, p. 14. (2) Di quella curiosa avventura dava notizia Amico Maria della Torre a Federico Gonzaga assente. Vi sono in proposito aneddoti gustosissimi, che riserviamo per un futuro lavoro, molto caratteristico, su le damigelle d'Isabella. oo: a tal punto di mala fede, da prometterle prima sicura la sua dote, garantita da Guidubaldo su terreni, e poscia confiscargliela. La resistenza opposta dal Duca d'Urbino alle genti papali fu ben poca cosa, sconsigliatone anche dal Marchese di Mantova, che pur gli diede in aiuto un valoroso capitano, Alessio Beccaguto (*). Il Duca mandò prima a Mantova il figliuolo, e poco appresso la moglie e la suocera. Ippolito Calandra partecipò a Federico l'S giugno 1516 : « Ozi è venuta la Isabella Balarina (^) qui a Mantua per « far fornire li letti a Pietolo per lo 111"'' S' Duca et le a iii^-e gre Di;^ci;iesse do UrMuo, quali arivano questa sera « lì a Pietolo: et il S^ Guido Baldo filiolo de 1111"^ ' S' ^ Duca è qui a Mantua già quatro giorni alloggiato in <- corte in le camere di la S. Y. il quale è 'l più gentil " signore et piacevole del mondo. Lui dice le piti gran ^ cose che 'l bastaria a uno homo di tempo ; tra gli altri (1) Da identificarsi con quell'Alessio della Biscolta che menziona il Leoni, Vita di Frane. Maria, pp. 185-186. Il Beccaguto aveva meritamente tutta la fiducia del Marchese Francesco. Nella battaglia di Fornovo si addimostrò soldato valoroso, facendo prigioniero il Bastardo di Borbone (Volta, ii, 247); nella peste mantovana del 150G fu egli che con la sua energia ed il suo coraggio scongiurò lutti maggiori (v. Luzio, La peste a Mantova nel 1506, in Gazzetta di Mantova, an. xxv, n. 7 e 14). Sotto i Marchesi Francesco e Federico al Beccaguto fui'ono affidate le fortificazioni di Mantova, ed ei vi atl^'ese sino al 1528, in cui mori. Cfr. Datari, Cenni storici intorno ad opere di fortificazione della città di Mantova, Mantova, 1875, pp. 6-9. Si noti che nella Trivulziana v'ha una piccola serie di documenti non ancora studiati sull'occupazione d'Urbino in questo tempo. Provengono dalla casa fiorentina dei Buondelmonti. Vedi Porro, Cat. mss. Triv., p. 447. (2) Probabilmente la medesima Isabella Lavagnola, cui testé ac- cennammo. — -228 — « cosi che lui dice, el dice: a la fede, si papa Leone fusse " venuto lui solo, uou l'haveria preso il stato dil S" mio « patre; et alcune altre cose che ognuno si ne maraviglia, « al poco tempo che lui ha. che 'l non ha piti di 26 mesi. « Anno aparichiato lo alozamento de rilP" S' Duca et « Duchessa in corte... ». Francesco Maria giunse poco appresso ('). Ma non è vero, come si disse, che il Papa vietasse al Marchese di ricettarlo ; verso suo genero il Gonzaga fu meno egoista del solito e volle stringere un'apposita convenzione col Pontefice (-). Una lettera che il 14 giugno 1516 Ippolito Calandra dirigeva a Federico Gonzaga, allora in Francia, spargerà nuova luce così sul tristo fatto dell'occupazione d'Urbino, come sulle prime vicende dei profughi e sul loro ricoverarsi in Mantova. Ill"»o et Ex'^° S-'e et patrone mio obs"^" Per una altra mia scritta aUa S. V. credo habia inteso come l'Ulto g_ j)^(.a et S'* Duchessa sono a Pietolo ; beri io fui a visitare Sue S"« cum mia matre et li basai la mane a tutti et Sue S"« subito mi domandò della S. V. et come la sta volentira in Pranza et molte altre cose. A la line la S''"* Duchessa vidua vene da baso sotto la fi-escata per haver un poco di fresco. La S'a Duchessa giovene andò a dormire, che 'l S' Duca la fece chiamare et io andeti gioso. La S''^ Duchessa vidua cominciò a (1) Vedi Sanudo, Diarii, xxii, 272, 277, 294, 300-12. {2) La notizia del divieto è in Leoni, p. 100; Ugolini, ii, 206; Volta, ii, 303, i quali dicono concordi che il Duca fu tenuto ce- lato a Goito e che di \k si recava di nascosto a Mantova per ve- dere la famiglia. Ciò sarà stato forse nei primi mesi; ma ò certo che il 10 agosto 1510 tra il Mai-chese ed il Papa fu stipulata una convenzione, mercè la quale il Della Rovere poteva stare libera- mente nel Mantovano, purché non trasgredisse certi patti. Vedi pubblio, il docum. in D'Anco, Notizie d'Isabella, pp. 83-84. — 229 — racontare quando Sua S"* andò a Roma a parlare al Papa che non li era niuno che non piangesse ad oldire gli mali modi che li ha usati il Papa. Prima Sua S"* dice che la andò in la ca- mera dil Papa et S. S'* gli vene incontra et l'abrazò et li fece tante careze dil mondo; per quella volta Sua S"'* non li disse altro. Il giorno sequente Sua S"^ ritornò a Sua S'^ et la li co- minciò a racontare et domandare a Sua S*^ per che rasone li volea tor il stato, che 'l sapeva ben il beneficio che S. S^'^ haveva re- ceuto dalla casa sua et suo fratello il Mag«=o ; et mai Sua S*» non li respose parola alcuna, se non che 1 guardava com il suo ochialo sua S"a et poi si strinceva in le spale. Et Sua S"* andaseva pur racontando li suoi lamenti et la li dise: non se arecorda ben la V. S*a quanto facevamo far oratione perchè la S** Y. intrase in casa ? ; et poi Sua S"* diceva : ah padre santo, la S^^ Y. se doveria pur mover a compassione a volerne tuore il stato, che vole poi la S*a Y. che andiamo mendicando ? Non sa ben la S*» Y. che cosa è esser caciati fora casa et andar mendici per il mondo ? Et mai Sua S*^ non li rispose pur una parola, et avea comandato a tuti gli suoi. che non li parlase. A la fine Sua S"* se ne vene fora molto mal sodisfata de Sua S'* et se ne tornò a Urbino et Sua S"* dice subito che la fu gionta il campo dil Papa li fu atorno al Stato. Sua S"^ finì il suo parlare che non li era niuno che non piangesse. Da poi m. Alexio Becaguto cominciò a racontare a che modo andò la guera. Il dice che 'l campo dil Papa se partì in tre parte : una parte andaseva a una terra, una parte a una altra, et Vl\b^° S' Duca et S»» Duchessa erano a Pesaro. Subito che 'l populo senti il rumore se areseno et cominciorno a cridare Chiesia Clnesia et quelli de cui se fidava più il S"^ Duca fumo li primi a rebelare et a sachegiare il palazo et andatene a rubare la stalla, ma li era ^ocha robba lì in el palazo che haveveno portato quasi ogni cosa a Pesaro per imbarcarla. M. Alexio che videva che tuto il stato era rebelato, eceto Pesaro, il saltò fora de Urbino cum la artelaria et cominciò a dischargarla contra li inimici : quando lui hebe fornita tuta la monitione et amazato assai di quelle genti del Papa et li vene incontra gente assai per torli l'artelaria et vedendo lui de non la posser difendere, perchè la non andase in le mani de li inimici, la fece condure sopra un monte et la fece - 230 - ruinare giuso in un fiume aciò che li inimici non la possano bavere, et lui se ne ritornò a Pesaro. Il S' Duca ridendo il stato perso et ogni oosa in ruina l'imbarchò le S^« Duchesse et la roba et lui, et se ne vene alla volta di Mantua. Come fumo dislongati un pezo da la ripa se levò una fortuna grandissima, che li portorno più di settecento milia qua?i in fin in Schiavonia. La S. V. pensa se la fortuna gè era contra. Pur quando piacque al nostro S. Dio la fortuna cessò et cominciò haver bon vento, et se ne vene tanto dì e notte che sono gionti tutti a salvamento a Pietolo et li starano fino clie sera venuto la licentia dal Papa da posser venire a Mantua, et stano lì consolati al melio che pono. Ozi sono andati a visitare la 111"^» Madama vostra matre a Burgoforte et se diceva che serieno stati là forsi quatro giorni, ma sono venuti questa sera a Pietolo. Dapoi io visitai li gentilhomini et servitori dil S"" Duca et S^^^ Duchesse ; tra gli altri ch'io visitai fu m. Beneditto Mondozo qual è molto servitore de la S. V. et me ha pre- gato che 'l voglia arecomandare alla S. Y. per mille volte, et il conte Gemento fratello di Brunoro e tuti queli altri de 1111™° S»" Duca et IIW^ S'« Duchesse che seria longo a scriver tutto quello che me hano ditto, ma tuti sono servitori di la S. V. Se areco- manda alla S. V. et basa la mane il m^o m. Ptolemeo [Spac/noU] et mio barba [Silvestro Calandra] et tuta la Cancellaria. Mantue, xiiii junij 1516. De V. S. 111"^* Schiavo HippoLiTO Calandra. Le condizioui materiali dei poveri Duchi d'Urbino erano tutt'altro che splendide. Stringe il cuore il leggere una lettera del Capilupo alla Marchesa, in data 7 luglio 1516, nella quale le riferisce : « Le S'^ Duchesse me dissero « l'altro giorno che erano necessitate fare rompere et bat- « tare alcuni pezi di argenti, fra quali erano dui bacilli « con dui bronzi da mano molto belli de desegno et fogia « antiqua designati per Raphael ; hanno del oblongo, sono « dorati et credo piaceriano alla Ex. V., dicendomi che « quando V. S. havesse modo de dargli dinari o tanti ar- — 231 — - genti da rompere, che voluntieri li gii dariano più presto " che hutare via tanto bella opera » (*). Quel lavoro prezioso senza alcun dubbio, ch'era uno dei non molti ricordi che Raffaello lasciò di se ai signori della città natale (-), (1) Questa lettera fu la prima volta pubblicata da Giacinto Fontana nel periodico urbinate R Raffaello, viii, 1876, 101-2; poi dal Bertolotti, Le arti minori alla Corte di Mantova, Milano, 1889, p. 06; finalmente da Cavalcaselle e Cuova^E, Raffaello, ni (1891), 44, n. 2. (2) Disse il Muntz recentemente che la corte di Guidubaldo e di Elisabetta fu anzitutto una corte letteraria e che le arti vi furono molto meno coltivate; non a torto {Hist. de Vari pendant la Renaissance, II, 262). A ciò contribuì indubbiamente l'essersi Raffaello as- sentato da Urbino assai giovane ed il non esservi tornato che per poco tempo nel 1504, nel 1506 e nel 1507 (per quest'ultima dimora vedi Alippi nel Raffaello, xii, 113 segg.). Tuttavia egli pianse la morte di Guidubaldo (Passavant, Raffaello, i, 368) ed aveva gran deferenza per i Della Rovere, com'appare da una lettera del 1514, che diresse a Simone Ciarla suo zio (Passavant, i, 146). Quantunque poi ritrattasse Lorenzo de' Medici, come vedemmo, non crediamo che in nessun caso l'animo suo gentile gli permettesse di ritrarre le sembianze del Valentino , dato eziandio che le ragioni di cro- nologia ed altre molte non si opponessero a credere che sia sua e che rappresenti Cesare Borgia la tela già appartenuta alla galleria Borghese (cfi-, Yriarte, Autour des Borgia, Paris, 1891, pp. 88-94) ; Lermolieff , Die Galerien Borghese und Daria Panfili in Rom, Leipzig, 1890. pp. 165 segg.) Fu invece costante tradizione che fa- cesse i ritratti di Guidubaldo e d'Elisabetta (Passavant, i, 79-80). Per Giovanna della Rovere, madre di Francesco Maria, che nel 1504 raccomandavalo al Soderini, con una lettera di cui è ingiusto so- spettare l'autenticità, come fa il Minghetti {Raffaello, p. 61), di- pinse Ja cosidetta Madonna della Prefettessa (cfr. Il Raffaello, vii, 31 segg., 59 segg., viii, 61). Per Guidubaldo colori in Urbino alcuni quadretti (Vasari, iv , 322-23 e 395), di cui parla con spirito il MiiNTZ (RaphaeL pp. 117-22) imaginando che col S. Giorgio e col S. Michele abbia il Sanzio voluto simboleggiare la disfatta del Valentino ed il trionfo della buona causa dei Moutefeltro. Non sap- piamo su qual fondamento storico, ritiene il Morelli che la Ma- 232 — doveva essere uua gran teutazioiie per la Marcliesa, esti- matrice così fina dell'arte e degli artisti e necessariamente quindi ammiratrice del Sanzio (*). Purtroppo, peraltro, non doiiììa del Granduca, ora in Pitti, " allei- Warcheinliclikeit nach iu u Urbino (150i) entstanden ist und fiir den Herzog Guidubaldo " geraalt wurde « (Lermolieff, Die Galerien Borghese, ecc., p. 59). Dobbiamo credere pertanto che, per quanto spetta ai Montcfeltro, difettasse loro, più che il volere, il potere nel mostrarsi larghi verso Raffaello (v. anche Plngileoni, Elogio di Raffaello, p. 41); e i Della Eovere erano entrambi poco portati alle arti, Francesco Maria perchè sempre in guerra (v. però la lettera del Castiglione ora ripubblicata nel Propugnatore, N. S., v, li, 368) , Leonora perchè fredda ed insipida, checche ne dicessero i cortigiani. In qualunque modo, per lo meno esagerata è la opinione di un antico, il Serlio, il quale nelle Regole generali d'architettura (Venezia, 1542) dà quasi ad Elisabetta il merito d'aver fatto salire a tanta altezza Raffaello. (1) Raffaello non fu mai a Mantova; la Marchesa lo conobbe a Roma, ma già prima aveagli ordinato il ritratto del giovinetto Federico, di cui parlammo. Il Campori {Notizie di Raffaello, Modena, 1870, pp. 9-12) rese conto, sui documenti mantovani, delle pratiche fatte da Isabella, dal 1515 in poi, per avere un quadro del Sanzio. Intermediario fu il Castiglione (Luzio, Fed. ostaggio, p. 18) la cui amicizia grande pel sovrano pittore »; a tutti nota. I signori Ca- VALCASELLE e Crowe sostengono senz'altro (in, 47) che quel quadro non fosse mai eseguito. Ma certamente nel 1531 i Gonzaga avevano un quadro di Raffaello, come appare da una lettera di Ippolito Calandra, pubblicata prima dal PuNaiLEONi, Elogio cit., p. 182 n., e poi dal Passavant, ii, 288. Quest'ultimo storico identificò risolu- tamente quel dipinto con la Madonna della Perla; e in ciò lo segui anche il Campori, che inclinò a vedere il quadro eseguito da Raffaello per Isabella in un altro dipinto del Sanzio, più piccolo, che posse- deva Vincenzo II (Campori, p. 12). Il non trovarlo peraltro indicato nell'inventario d'Isabella pubblicato dal D'Arco dà molto sospetto. La March.'sa del resto aveva troppi amici, che erano amici a lor volta di Raffaello, per non essere continuamente informata de' fatti suoi. Oltre i Duchi d'Urbino, citiamo il Bibbiena ed il Bembo. Ma specialmente essa si prevaleva del Castiglione. Questi davale notizia nel 1519 delle loggie che Raffaello froscava in Vaticano flett. pub- — 233 — v' è alcuna speranza che quei vasi disegnati da Raffaello siano stati salvati dalla rovina. Una lettera che l'arcidia- cono Gabbionata scrisse il 27 novembre del 1516 da Manblicata dal Foktaka nel Raffaello, \iu, 102; cfr. Cavalcaselle e Crowe, Raffaello, iii, 149); a lui la Marchesa s'indirizzava in quell'auno medesimo perchè le procurasse da Raffaello un disegno pel mausoleo del marito (Campori, p. 13; Cavalo, e Crowe, ih, 184). Quando il 6 aprile 1520 Raffaello cosi premataramente morì, tra coloro che ne diedero informazione fuvvi Pandolfo Pico della Mirandola, la cui si- gnificante lettera alla Marchesa venne dapprima pubblicata dal CamPORi, pp. 13-14, poi dal Fontana nel Raffaello, viii, 102, finalmente, in parte, da Cavalcaselle e Crowe, ih, 265. La risposta che la Marchesa fece a quella lettera è tuttora inedita (di mano dell'Equicola), e suona cosi: " Ad mess. Pandolpho. — Alla vostra di vii « non accade altra risposta se non che molto ne dole dela morte t; de mes. Raphaelo, homo digno de immortalità per esser exornati tore de la gloria di man (?). Dio ce ha tolto quel che non reserva u ad alcuno ; la natura ce ha generati con questa inevitabile neces- « sita et dal fato è prescrito el fine, siche bisogna haver pat lentia. « Havemo havuti i versi de la inmatura morte del Mellino ingenioso; ti se volessimo dolerci quanta è la jactura de tal virtuoso, ce doleremo u in infinito ; ma la mediocrità è quella ce decta di quanto et corno ti devemo con honor operare, siche obedire a quella, anzi a la va.- « gione, è cosa degna di laude. Vederemo volontieri dicti versi. Beato " lui che il Papa ha decorato suo obito poetando. Qual laude magior ti potria haver né da magior? Sta sano, ecc. — Mantue, xvi de t. aprii 1520 ". Ecco accoppiato in questa lettera al nome di Raffaello quello di un altro giovane, che destò compianto non minore per la sua fine crudele, Celso Mellini, il difensore focoso della di- gnità di Roma, che mori annegato il 20 nov. del 1519. Leone X stesso volle depoi-re dei versi sulla sua tomba e tutti i poeti della corte seguirono il suo esempio. A quei versi allude Isabella. Vedasi OxoLi, U7i giudizio di lesa romanità sotto Leone X, Roma, 1891, pa- gine 73 segg. Il corrispondente della Marchesa Pandolfo Pico della Mirandola non si trova nell'albero dei Pico, ma ne diede qualche notizia il Campori, Notizie di Raffaello, p. 14, n. 3 e poi altre F. Ceretti, esperto di cose Mirandolaue, in un opuscolo per nozze Ghirelli-Tosatti, Mirandola, 1888, nel quale pubblicò una sua lettera — -lU — tova a Federico, ci fa sapere che iu quell'anno le calamità del paese erano state tante e siffatte che, oltre ad imporre la tassa straordinaria del maccdnffo, si dovettero impegnare le gioie di Isaliella e fondere gii argenti. È quindi quasi certo che alla profferta del Capilupo la Marchesa avrà dovuto rispondere negativamente, quantunque si facesse mostrare quei bacili (*). Un avvenimento lieto rallegrava mesi dopo, quell'anno così melanconico. Baldassare Castiglione, tornato in grazia del suo signore, prendeva in moglie una buona, bella e nobile giovane, Ippolita Torelli C). Al matrimonio, che ad Isabella dell'S luglio 152-4. La lett. rammentata dal Campori, in cui il Pico parla (29 gemi. 1520) di un discepolo di Michelangelo che dava ombra a Raffaello, fu pubblicata dal Beiìtolotti, Artisti, in relaz. coi Gonzcuja, p. 155. Quel discepolo di Michelangelo sarebbe stato, secondo recente congettura del Morelli, Ferino del Vaga (Lerholieff, Die Galerien Borghese ecc., pp. 188-89). (1) Bertolotti, Arti minori, p. 66; frammento di lettera del Capilupo, 9 luglio 1516. Sulla tassa del macaluffo cfr. Alberi, Relazioni, II, 16. (2) Diverse spose gli erano state proposte, ma egli era molto perplesso. Vedansi le Lettere famigliari del Castiglione. Nel 1508 Alda Boiarda gli propose una Martinengo (pp. 36, 37, 38). Mentre duravano ancora quelle trattative (p. 41), Griovanni e G-iuliano de' Medici gli offrivano una loro nipote, Clarice (p. 40). Siccome nel matrimonio il Castiglione non vedeva che un mezzo per rifare le sue finanze dissestate, egli stava indeciso fra la Mai-tinengo e la Medici (p. 42). Ma l'affare con Clarice andò in fumo, perchè ella fu data in moglie a Filippo Strozzi (pp. 45-46). Appena svanita quella combinazione, la Duchessa Elisabetta ne presentò un'altra a Baldassare, con una Borromeo (p. 46 ). Fra «jucste ed altre trattative si restò lungo tempo indecisi e certo nelle esitanze del Castiglione avevano pai'te spe- cialmente le sue continue occupazioni politiche ed anche la disgrazia in cui era presso il Marchese (pp. 61-62, 68, 70-71, 72). Finalmente nel 1516, intermediario lo stesso Marchese, diede l'anello a Maria Ippolita Torelli. Oggi tutte queste trattative, che durarono ben tre — 235 — si stringeva il 19 ottobre 1516, assistevano anche le Duchesse d'Urbino. Amico Maria della Torre così ne infor- mava Federico il 22 ottobre : « Dominica p. p. che fu adì « xvim inst., m. Baldesarre da Castilione condusse a casa « sua la molie fq. dil conte Guido Torello, quale è gio- « vine di xv anni e bella. La lll°" S" Duchessa vostra « sorella cura la IIP'' M* Laura vostra ameta (*) et ili. « 3P Laura consorte del S' Zoanfrancisco C), per hono- « rare la sposa gli andorno a l' incontro in carretta un ' buon pezo per la porta di Cerese, et cum multi gentil- « homini di la terra, parenti et amici dil sposo. Et la 111" « M* vostra madre cum la S'"'' Duchessa vostra ameta an- « domo a casa dil sposo ad expectare et accoglier la sposa, « la quale e in gesti et in costumi satisfece ad ognuno. « Il S' vostro patre anchor montò in carretta et incontrò « la sposa su l'argine dil Te, al quale insieme cum il sposo « basò la mano : et il S' vostro patre raccolse ambi duoi « cum buona ciera et usoli parole molto amorevoli et cussi " Sua S''"- tolse licentia da la sposa andando a sollazo sul " Te, et la sposa cum la compagnia sua a casa... ». E prosegue dicendo come in casa di Giovanni Gonzaga si rappresentasse in quella congiuntura « la comedia dell'Oga " Magoga composta dal quond. mess. Falcone » (^). — Il lustri ed in cui si negoziò su una ventina circa di partiti, furono molto acconciamente poste in luce da V. Gian nell'elegante e dotto opuscolo Candidature nuziali di Bald. Castiglione, Venezia 1892 (per nozze 'Salvioni-Taveggia). (1) Laura Bentivoglio moglie di Giovanni Gonzaga. Per parte di madre, la sposa del Castiglione era congiunta ai Bentivoglio. (2) Laura di Galeazzo Pallavicino moglie di Gianfrancesco Gonzaga (figlia di Rodolfo) del ramo dei marchesi di Luzzara. (3) Il brano relativo a quella rappresentazione è in D'AxcoxA, Origini-, II, 396. Falcone mantovano, morto prematuramente nel — 236 — 4 agosto deU'auuo successivo, il Castiglioue aunimeiava già al Marchese la nascita del suo primo figliuolo, con questa letterina, che è tutta una protesta di devozione sincera : 111"»» et Ex«"° S'*^ e patron mio, Io desiderare! bavere facilitate e amici e force e più de una vita per potere spendere ogni cosa in servitio de la Ex. V, Però havendomi N. S. Dio concesso un figliol maschio el quale nacque lieri matina. e sta bene insieme con la matre, mi è parso debito mio fargelo intendere, acciò che la sappia bavere un servitore de più; e che tra li altri rispetti per li quali mi trovo haver molta contentezza di questo el principale si è perchè mi pare de bavere più del sangue mio da esponere in servitio de la Ex. V. cbe non bavevo prima, e così sera de tutti li altri cbe da qui inanti na- sceranno se N. S. Dio me ne concederà più. A quella bumilmente basando le mani in bona gratia mi racomando. In Mantua alli 4 de agosto mdxvh. De Y. Ex. burnii servo Baldesar Castiglione. Tornando ai Duchi d'Urbino, osserveremo come, mentre Francesco Maria pensava ai mezzi del ritorno, la moglie sua con piccolo seguito si recasse incognita a Venezia, ove sembra non fosse mai stata. \i si trattenne circa un mese ; fino airU novembre del 1516 ('). Che vi fosse in quella gita uno scopo politico non risulta e non par verisimile. Il Duca frattanto, continuamente molestato anche da lon1505, fu im giovane letterato grande amico del Castiglione, che ne lamentò la morte con parole affettuosissime (cfr. Lettere famiL, i, 23-24) e compose su di lui una elegia latina intitolata Alcon. Vedi neUa ediz. cit. delle Poesie del Castiglione, pp. 123 segg. e il com- mento del Serassi a pp. 189 segg. (1) Vedi le notizie che di qnol viaggio dà il Saxudo, Diarii, xxiii, 144, Ufi, 152, 201. — 237 — tauo dal Papa (*), era giunto a mettere insieme abbastanza gente per tentare il ricupero del suo territorio, e nel feb- braio del 1517 si avanzava verso le Romagne. Dire di quella guerra lunga ed ingloriosa, in cui si palesò specialmente l'incapacità militare di Lorenzo de' Medici, non è compito nostro, perdio si tratta di fatti notissimi (-). È noto come Lorenzo, anziché guidare i suoi capitani si lasciasse con- durre da essi; è noto come, nel principio della guerra, avendogli Francesco Maria proposto di risolverla con un duello fra lor due, vigliaccamente rispondesse imprigionando i suoi messi (^); è noto come in tutta quella lotta disuguale, ma più specialmente nello scontro dell'Imperiale (6 maggio 1517), che ne fu il fatto culminante (^), il Duca (1) Cfr. la lettera di Frane. Maria ai cardinali pubblio, dal Ro scoe e rammentata dall'UGOLiNi, ii, 208. Anche Sanudo, xxiii, 508. (2) Ugolini, ii, 207 segg., che riassume lucidamente il Leoni ; Capponi, St. di Firenze, iii, 14042; Roscoe, Leoìie X, vi, 35 segg. Più specialmente notevole deve essere la monografia, condotta su documenti fiorentini, di Ad. Verdi, Gli ultimi anni di Lorenzo de' ^tedici duca d'Urbino, Este, 1888, lavoro che conosciamo solo indi- rettamente per quel che n'è detto we^'Arch. stor. ital., Serie v, vo- lume li, p. 94. Da quanto ci sembra rilevare dalla recensione, il Verdi giudica Lorenzo con troppo favore. (3) Vedi il docum. pubblio, dal Leoni e ristampato dal Roscoe, Leone X, vili, 94 segg. L'Ammirato {Opuscoli, iii, 104 segg.), partigiano de' Medici, cerca scagionarlo, ma non vi riesce. (4) Notevole è specialmente la lettera con cui il Duca descriveva quella battaglia alla moglie. Si trova nella Oliveriana di Pesaro e fu fatta conoscere prima frammentariamente dal Dennistoun, e poi intera aa G. GrosìSI in un opuscolo per nozze Guidi-Elliot, stamp. a Pesaro nel 1887. Anteriore a quel tempo è nel medesimo opuscolo una lettera s. d. di Leonora al marito. Leonora, qui come altrove, è sempre lo stesso tipo incoloro. Anche il marito pare si accorga e si sdegni delle sue incertezze, perchè in un luogo le dice : « si ve prego a non volerve governare così timidamente e con re- .1 spetto, perchè so che e da voi e con el consiglio delli amici {i u Gonzaga) non possete se non governarve benissimo ;' (p. 11). — 238 — d'Urbino manifestasse accortezza e valore (*) ; è noto come il card. Bibbiena si trovasse in qualità di legato nell'esercito mediceo e come sfoggiasse, egli prete, molto maggior co- raggio ed energia di Lorenzo (*) ; è noto infine come papa Leone, nonostante gli SOO mila scudi d'oro che sperperò in quella guerra, dovesse venire ad un accordo per lui poco onorevole, di cui, per colmo, non mantenne i patti. Era ben altra, conveniamone, la fibra con cui l'usurpazione era stata compiuta e mantenuta da Cesare Borgia ! Davvero crediamo vedesse troppo roseo quell'ambasciatore veneto, che rite- neva Lorenzo '• di un animo gagliardo, astuto e atto a far « cose grandi, non come il Yalentino, ma poco meno " (^). E il Machiavelli scelse Lorenzo, che appena conosceva, per dedicargli il Principe, in mancanza di meglio (*). Astuzia e perfidia non gli mancavano ; ma difettava di forte ini- ziativa, di proposito risoluto, di quell'ascendente sulle milizie che vien solo dal coraggio personale. Le Duchesse d'Urbino rimasero in Mantova durante la guerra del 1517, seguendo col pensiero e col cuore le vi- cende del Duca. La Marchesa non ristava dal carezzarle, particolarmente Elisabetta, per far sembrar loro meno amaro l'esilio. Il 3 gennaio 1517 troviamo che inviava alla Duchessa vecchia, cultrice così passionata di cose poetiche, un inno sulla Natività di Matteo Bandello. Ma nell'aprile di quell'anno Isabella partì per un lungo viaggio nel mezzodì della Francia, e non fu di ritorno a Mantova che il (1) Vedi Ugolini, ii, 214-21. (2) Cfr. Bandini, Il Bibbiena, pp. 29-37, ove la guerra d'Ur])iiio l narrata con copia di particolari, di su la relazione inedita di un ms. Magliabechiano, (3j Marino Giorgi. Vedi Alberi, Relazioni, in, 51. (4) Cfr. ViLLARl, Machiavelli, u, 370-71: iii, 10 e 41». — 239 - 2 luglio. Nel giugno 1518 tanto Leonora che Elisabetta si recarono a Venezia per assistervi alla processione del Corpus Domini (*): andò a prenderle incognito, ma tutto armato di sotto, Francesco Maria, che le ricondusse a Mantova (2). Là si trattennero il rimanente dell'anno, mentre Isabella in autunno si recò a Casale di Monferrato, e di là si lasciò tentare ad una escursione ad Asti ed a Genova. L'ottima Elisabetta, in cui l'età e le sciagure sembra non spegnessero il desiderio di girare, specie con la Marchesa, le esprimeva Vìi novembre 151S il suo rincrescimento per non averla seguita e ne sollecitava il ritorno, dicendo : « parme mille anni ne sii priva, così ne sto in continuo « desiderio di rivederla ". Nel gennaio di quell'anno, 151S, ebbe luogo il matrimonio per procura di Lorenzo de' Medici con Maddalena di Boulogne, figlia di Giovanni conte d'Auvergne C). Lorenzo andò a prenderla in persona nel luglio ed il 7 set- tembre giungeva con essa a Firenze (*). Ma quell'unione fu breve ed infausta, giacché Maddalena moriva il 28 aprile 1519, dando alla luce una bambina, che fu la celebre Caterina de' Medici, e Lorenzo la seguiva il 4 maggio 1519, corroso da malattia vergognosa (''). Una cattiva stella seml:ira perseguitasse quei Medici degenerati. In quell'anno il cardinale Bibbiena ebbe un incarico assai (1) Saxudo, Diarii, xxv, 437 e 441. (2) Sanudo, XXI , 493. Il Duca aveva una sorella monaca nel convento di S. Francesco della Croce a Venezia. Cfr. Sanudo, XXI, 285. (3) Vedi Tatto menzionato dal Molini, Docum. di storia italiana, Firenze, 1836, i, XLVili. (4) Perrexs, Op. cit., Ili, G4-67. (5) Perrens, III, 69. Anche Capponi, ih, 145. - 240 - importante da Leone X, nel quale seppe disinipegnarsi con molta accortezza. Si trattava di una legazione in Francia, presso Francesco I, con lo scopo palese di formare una lega dei principi cristiani contro il Turco, ma in realtà con parecchi altri scopi segreti, che al Pontefice forse preme- vano ancor più, a favore de' suoi parenti, massime di Lorenzo. In quell'occasione Bernardo si fece mandare dal Sanzio, che era grande amico suo C), il ritratto di Giovanna d'Aragona, per regalarlo al Re C). Francesco I ebbe assai caro quel cardinale allegro e destro, e gli regalò il vesco- (1) A tutti è nota questa bella ed affettuosa amicizia. Il Bibbiena voleva dare la nipote Maria in moglie a Raffaello (Passavant, i, 145); ma volle il destino che riposassero l'uno accanto all'altro solo nei sepolcri del Pantheon (cfr. Arch. stor. delVarte, i, 142). Si disse che al Bibbiena lasciasse Raffaello morendo la propria casa (Passavant, I, 204-5) ; notizia che fa dimostrata erronea. Vedi Gkoli, in N. Antologia, voi. xcill, 415, il quale in quell'articolo e nell'altro su Raffaello alla corte di Leone X {N. Antologia, voi. xcvill) molte notizie diede della casa, anzi delle case, di Raffaello, notizie da lui e da altri completate neìVArch. stor. delVarte. Il Sanzio fece al Bibbiena anche il ritratto (Passavant, i, 134; li, 1G9) che i più credettero ravvisare in una tela del Museo di Madrid. Cfr. Gruyer, Raphael peintre de portraits, il, 35-39. Si vuole oggi che il ritratto di Madrid rappresenti invece il card. Alidosi, colui che fu ucciso da Francesco Maria della Rovere (MiiNTZ in Arch. stor. delVarte, iv, 328 segg.) e che quello del Dovizi sia in Pitti (Cavalcaselle e Crowe, Raffaello, III, 12-13 ed anche Virgili, Frane. Berni, pp. 116 e 529). Raffaello disegnò pure, e fece dipingere da' suoi scolaiù, la stufetta o gabinetto da bagno del Bibbiena, che ancora si conserva in Vaticano. Vedi Passavant, i, 181 segg. Il più recente e migliore studio su quel gabinetto cosi caratteristico ne' soggetti t- quello di H. DOLLM.WR wcWArch. stor. dell'arte, ìli, 272 segg. Riproduzioni in Ca- valcaselle e Crowe, Raffaello, in, 15 segg. (2) Pa.ssavant, Raffaello, i, 192 n., e ii, 304. È, tutto o parte, di mano del Pippi. — 241 - vado di Coutauce e ). Esaurita la missione, tornò a Roma sul cadere del 1519 ("), passando per Modena, ove aveva amici C). Da Brescello, il 3 dicembre, scriveva ad Isabella scusandosi se non andava a ritrovarla : « Io me ne torno « a Eoma, diceva, molto contento e satisfacto del Ee, di « M'"^ et di tutta quella corte. Quel figliolo et quella matre « non potriano bavere megliori né maggior parti (*) « Molto spesso mi ba l'uno et l'altro di loro, maxime ne « l'ultimo del partir mio, parlati del S'" di V. Ex. et di « tutte le cose vostre con tanta affectione et amor quanto « piti dir non si potria ". Morto Lorenzo de' Medici , morto ancbe , nel marzo del medesimo anno 1519, il Marchese Francesco Gonzaga Q), (1) È a questo o ad altro che si riferisce il lascito sibillino che fa al Dovizi l'elefante di Leone X nel suo aretinesco testamento : Il darai el mio figado al E™" cardenal de Santa Maria in Porticu « de Bibbiena, ad indurli desmenteganzia de li benefici rezenti, t: nel tempo de la sua estrema calamità e ad impir el suo cornuII copia de formazi marzolini de la diocesi casentina? " Cfr. Eossi, Un elefante famoso, Alessandria, 1890, pp. 15-16; estr. dalV Inter- mezzo. (2) Vedi la ordinata narrazione in Bandini, Il Bibbiena, pp. 37-47, che si fonda specialmente sul carteggio del Bibbiena che è nelle Lettere di prìncipi. (3) Lancellotti, Cronaca Modenese, i, 196. (4) Ciò può vedersi confermato dalle grandi professioni di stima ed affetto che fa il Bibbiena a Luisa di Savoia, madre di Francesco I, nelle sue lettere pubblicate dal Molini, Docum. di sf. ital., i, 74-87, che vanno dal 18 febbr. al 19 maggio 1520. Un'altra let- tera accennata dal Molini, i, xl. Bernardo chiama Francesco I, Luisa di Savoia e Margherita d'Anguléme (sorella del Re) la sua Trinità, e non è dir poco jDer un cardinale di Santa Romana Chiesa ! (5) Volta, ii, 304 segg. Fra le disposizioni testamentarie di Francesco riferite dal Sakudo (xxvil, 161) havvene una con cui si as- segnano, durante l'esilio, seimila ducati annui al Duca ed alle Duchesse d'Urbino. 16 — Luzio e R^MiiR. — 242 - Federico suo successore maiulò a Roma il Castigiioue por varie lacceude, tra cui specialmente la riduzione dei sali, che il Mantovano doveva rilevare dalla Sede apostolica, e gli interessi dei Della Rovere C). Questi non ne ebbero a guadagnare gran che, nonostante le pratiche avviate (*). Il Ducato d'Urbino fu annesso allo Stato ecclesiastico, salvo San Leo e il Montefeltro, che furono ceduti ai Fiorentini (^). Conoscendo i gusti della Marchesa, il Castiglione non mancava mai di renderle conto di ciò che in Roma succedeva di notevole (*), Tornato a Mantova nel novembre del 1519, Baldassarre non vi stette a lungo perchè il disgusto che Leone mostrava per l'ospitalità concessa in Mantova ai Duchi d'Ur- (1) Questi erano gli aflfai'i maggiori; ma vi andò anche per un pi'ocesso di Tolomeo Spagnoli, come a noi risulta da documenti inediti. Varie lettere del 1519 circa la faccenda del sale scambiate tra il March. Federico, il Castiglione e i Della Rovere sono nell'opu- scolo anonimo (opera dell'erudito Gr. Coddè) Delle esenzioni della famiglia di Castiglione e della origine loro e fondamento, ]\Iantova, Pazzoni, 1780, pp. 19-23. Il TPapa diede licenza al Castiglione con breve del 5 nov. 1519, concedendo ai Gonzaga la riduzione dei sali {Ibid., pp. 23-24) Cfr. Martinati, Op. cit., pp. 35-36. (2) Per le voci che correvano in Roma intorno alla soluzione di quell'affare cfr. Sanudo, xxvii, 344. Si pensò anche di conchiudere un niatriraonio tra il piccolo Guidubaldo e la neonata Caterina de' Medici, ma il papa non volle saperne. Ibid., xxvii, 472. Vedansi anche le cit. Lettere del Castiglione edite dal Feliciangeli, in Propugnatore, N. S., V, II, 348-53. (3) Oltre gli storici urbinati RoscOE, Leo7ie X, vili, 4fi-47 e 83-84. (4) Lo Gnoli ha recentemente pubblicato quanto ad Isabella nar- rava il Castiglione del Longolio in una lettera del 16 giugno 1519. {Giudizio di lesa rom,anitd, p. 54). Altra relazione più estesa, del- l'Arcidiacono di Gabbioneta, stampò il CiAN nel Giorn. stor., xix, 155-156. In seguito, nel 1521, comincierà a raccogliere le pasquinate in voga per i suoi signori e descriverà in una lunga lettera al Marchese il caraevale romano di quell'anno. Vedi Appendice V. — 243 — bino, indusse Federico ad inviare un'altra volta quel suo fido a lloma uel luglio del 1520. Spalleg'giato dal cardi- nale Griulio de' Medici, il Castiglione dissipò tutti i sospetti di papa Leone, che riaccordò intera la sua grazia al gioA'ane Gonzaga C). Ma all'autore del Cortegìano pesava allora sul capo la maggiore sventura della sua vita. La buona, la candida Ippolita Torelli, sua moglie adorata da soli quattro anni (-), (1) Questi, nel maggio 1520, si recò cou entrambe le duchesse d'Urbino a Venezia per la festa dell'Ascensione. Il Sanudo (xxvin, 513, 516, 533) dice che il Marchese vi andò u con la sua favorita ", che era una donna maritata, di cui peraltro non indica il nome. Isabella andò per suo conto a Loreto nell'ottobre, e in quel viaggio avrà pensato con melanconia alla solita tappa d'Urbino, che quella volta non le era concesso di fare. (2) Sono veri gioielli di sentimento e di stile le lettere di Baldassarre alla moglie, pubblicate tra le famigliari del Serassi (i, 73). Delle lettere d'Ippolita a lui se ne conosceva una sola, quella dell'agosto 1520, scritta cinque giorni prima di morire, che il Serassi pubblicò a pp. 221-22 delle Poesie del Castiglione. Due frammenti sono quivi a pp. 214-15. Ma il Serassi stesso ci dice (p. 212) che altre se ne conservavano presso il card. Valenti. Ora sono passate in Vaticana e l'amico Gian ne ha tratto conveniente partito. Cfr le cit. Canài 'ature nuziali di B. C. , pp. 41-42 e anche 43 e 62-63. Ippolita ispirò al Castiglione il più bello tra i suoi carmi latini, l'elegia in cui finse che la moglie lo lamenti lontano, probabilmente condotta su qualche lettera di lei {Poesie, p. 138 segg.). Quivi ella dice di consolarsi solo col ritratto del marito, che ha di mano di Eaffaello, il bel ritratto (o uno dei ritratti) che non vogliamo ci tenti a ram- mentare i rapporti del Castiglione col Sanzio, d'altronde assai conosciuti. Una bella riproduzione di quel ritratto si può ora aver facilmente a mano nel voi. ili del Raffaello di Cavalcaselle e Crowe. Per la moglie del Castiglione e le sue virtù vedi la Vita del Castiglione del Marliani, a pp. xvni-xrx della ediz. cominiana delle Opere del Castiglione (1733). Uno schizzo moderno affettuoso è quello di 0. AxTOGXOSi, Contessa, di Castiglione, nel libretto Appunti e memorie, Imola, 1889, pp. 26 segg. - 244 - la madre de' suoi figliuoli (*), spirava in seguito al terzo parto il 25 agosto 1520 (-). Quella perdita fu tanto più crudele inquantocliè il Castiglione credette dapprima che la puerpera stesse bene (^). Isabella, con la massima premura, spacciò un cavallaro che recasse la trista novella ed una sua lettera di condoglianza, che è la seguente : D. Bald. Castilioneo, M<=8 Eques char'^e iioster. Saperne ben esser cosa difficile et quasi impossibile poner subito freno al dolore che se riceve dalla perdita d'una cara cosa e max*« come era a voi la vostra char™* consorte, la qual come havereti inteso novamente è passata da la presente alla immortai vita. E perhò non ve exhortamo già a non doler in tanta perdita perchè seria invano, anci ci condo- lemo di cor con voi, havendo anche noi sentito in questo caso grandissimo dispiacere per amor vostro et per l'amor grande che meritamente portavamo alla p*» M» vostra consorte. Ma ve con- fortamo ben e pregamo che poi che havereti dato loco al primo senso vogliati più presto che sia possibile ritornar nelli termini della ragione e considerato che ne per pianto ne per lachrime se potria reparare a un tanto danno vogliati disponervi a patientia, il clie quanto più presto fareti tanto meglio mostrareti la virtù de l'animo vostro et a noi fareti cosa gratissima. Benevalete. Mant., XXVI augusti 1520 (•). (1) Erano tre: Anna, Camillo ed Ippolita. Vedi Martinati, Op. cit., p. 38, n. 4. (2) Il Castiglione commemorò la moglie con due epitafil latini {Poesie, pp. 15G-5T), ed un carme latino scrisse su quella pei'dita il medico e poeta mantovano Battista Fiera (Poesie , pp. 222-23). Leone X, per alleviargli il dolore, gli assegnò un'annua pensione di 200 scudi d'oro. Vedi la Vita del Mazzuchelli nel cit. Buonarroti, ]). 398. (3) Vedi la lettera alla madre del 27 agosto 1520, nelle famigliari del Serassi, l, 74-75. (4) L. .38 del Copialettere. - 245 — Nel tempo stesso il Marchese, con ilelicatezza somma, pre2:aYa il Bibbiena a voler assistere l'amico in quella scia- gura, preparando l'animo suo a sopportarla con rassegnazione. La risposta del Dovizi è assai notevole, perchè mostra in lui l'uomo di cuore, che è aspetto nuovo sotto il quale lo vediamo. Ill^e et Ex™« D'^e iioQ. Giunse qui martidì sera il cavallaro che V. Ex. spacciò sopra il caso della morte della M^* consorte del conte Baldessar nostro, il quale apieno exequì tutta la prudente commissione et ordine che V. S. gli havea dato in far capo a me, et nel darmi tutte le lettere in mano. E perchè esso conte Bald. si trovava apunto quella sera haver cenato qui meco et era assai di buona voglia, communicata prima la cosa con Mons. mio E™° Eangone, et datagli la lettera di V. Ex. ci parve di donargli quella notte quieta, quasi come in conto di guadagno, facendogli solamente dare la lettera delle facende di Y. S. La mattina poi Mons. 'R'^° Eangone, il conte Anniballe et io insieme con quegli altri che ci parvero opportuni al bisogno, il meglio che sapemmo gli facemmo inten- dere il tristo caso : il qual V. Ex. può esser certa che gli apportò tanto cordoglio et tanto affanno che non fu di noi chi non lagrimasse di pietà per buona pezza. Pur poi confortato da noi et ancora da se stesso come prudente, se ben con difficultà, alfin disse volersi accordar con la volontà di Dio et con la necessità de la natura. Gli demmo apresso le lettere di V. Ex. et quelle di Mad°^a sua madre et l'altre. Quelle di Y. S. gli hanno in parte lenito quel duro dolore, sì per la grande amorevolezza che gli intende esser suta mostrata costì da lei nella morte di quella poverina,' come pel gentil atto che Y. Ex. ha usato in expedir così prontamente quel cavallaro, comprendendosi da ciò quanto Y. Ex. ami m. Bald. et tenga conto di lui et de' suoi mali. Di questo atto et la S*» di N. S. et ciascim altro che l'ha in- teso ne commenda et lauda supremamente Y. S., ma m. Baldessar sopra modo le ne rimane obligato. La puntura sua credo lo trafigge più assai dentro che non appar di fora, seben molto -- 246 — appare, et si conosce manifestamente ch'egli amava la sua consorte da vero, la memoria di quale non so come potrà partir mai più da lui ('). et ragionevolmente havendo fatto irrecuperabil perdita di così nobile et virtuoso pegno. Piaccia alla divina clementia dar riposo a lei di là eterno, et consolar di qua lungamente il suo marito, le lodevole conditione del quale certo lo fan degno di lunga vita et di contento. Io mo', S'' mio 111'»°, ringratio V. Ex. quanto più efficacemente posso della elettione fatta di me per havermi tenuto atto a mollire una sì forte novella, et pel giudicio ch'ella ha dell'amore che io porto a m. Bald., il qual amor certo non è minore che da fratello carnale. Io mi son sforzato di confortarlo quanto m'è stato possibile, et sforzaròmene ancora non men per beneficio mio medesimo, stando io a parte come sto d'ogni suo dispiacere... Io ricordo a V. Ex. che le son quel buon servidor che son sempre stato alla fel. mem. del S' suo padre et che desidero quella si serva di me, dell'opera et d'ogni altra mia facultà in tutte le occurrentie sue con quella sicurtà et fede che io farei con Y. Ex. ecc. Rome, XXX augusti 1520. Deditiss» S'è El Carle di S** M" in Portico. Questa è rultima lettera del Bibbiena che si trovi fra i nostri documenti. Il 9 novembre del 1520 egli venne a morte, e si sospettò che per i suoi disegni ambiziosi lo facesse avvelenare lo stesso papa Leone (-) ; ma il sospetto (1) E infatti non parti mai. La lettera al Marchese del 1" sett. 1520 pubblicata dal Martinati, Op. cit., p. 82, die risponde a quella di condoglianza che è nelle Esenzioni, p. 27, sembra rassegnata e fredda nella sua ufficiosità; ma come il Bibbiena indovinava, il dolore rodeva dentro. Si osservi la profonda mestizia con cui scrive, circa un anno dopo, alla madre. Lettere Fam. del Castiglione, i, 75 e 77. (2) Par voglia affermarlo il Giovio, Elegia, vir. Ut. ili., pp. 123-24; velatamente forse lo accenna l'Ariosto, nella satira vii: ed al Bibbiena A cui meglio era esser riraaso a Torse. — 247 — è forse infondato ed in quei tempi di facili avvelenamenti troppo spesso avveniva di sospettarli anche dove non erano (*). Comunque sia, quell'anno era pure funesto pel povero Castiglione ; gli muore prima il suo Raffaello, poi la moglie, poi l'amico Bibbiena. Ed egli, ciò nonpertanto, costretto dagli obblighi assunti, non desiste perciò dal- l'adoperarsi col Papa a favore del suo signore. E nella se- conda metà di quell'anno e nella prima del successivo, tanto egli fa che riesje ad indurre il Pontefice ad accor- dare a Federico il capitanato generale delle genti della Chiesa. Neil' aprile del 1521 ne sono trasmessi i capitoli, ma la cosa deve rimanere ancora segreta ; nel luglio final- mente si dà la voce pubblica del trattato concluso : il gio- vane Federico è fuori di sé dalla gioia e tutta Mantova si associa a quel suo primo trionfo (-). (1) 11 Bandini {Il Bibbiena, pp. 48-52), che della morte del car- dinale parla a lungo e ne riferisce le disposizioni testamentarie, sta in bilico e non dice né si né no. Il Tiraboschi, Storia, vii, 1755 dubita della notizia. Il Capponi, annotando un pezzo di certa let- tera del Bibbiena, ove si dice malato già il 19 maggio 1520, av- verte che quel fatto è molto significante contro Topinione dell'av- velenamonto (Molini, Documenti, i, 76), ed il EEUMO^"T neir^?'c/i. stor. ital., serie iv, voi. xiv, p. 338 sì mostra della medesima idea. Negativo è pure il Gian, Decennio, p. 9 7i. (2) Vedi le lettere piene d'affusione e di riconoscenza, scritte dal Marchese al Castiglione il 12 apr., 6 luglio e 10 luglio 1521, che sono nelle cit. Esenzioni a pp. 27-28, e le risposte di lui nel cod. di lettei-e del Castiglione che è nell'Archivio di Stato in Torino a e. 19 r e V. Da una lett. 24 luglio 1521 alla madre, che il Serassi pubblica tra le famigliari (pp. 77-78), si vede che allora Baldassarre desiderava rimanersene a Roma. Da Mantova lo allontanavano la disgrazia recente ed altri dispiaceri che vi aveva avuti. Nel monco epistolario che abbiamo a stampa del Castiglione sfuggono le trat- tative di quelli anni. Vedi su ciò Rexier, Notizia di lett. ined. di B. Castiglione, Torino, 1889, p. 11. — 248 — Le praticlie per entrare nel servigio diretto di Leone X forzarono Federico a licenziare da Mantova i suoi ospiti urbinati. Già nell'autunno del 1520, avendo Isabella desi- derato di stabilirsi in Corte vecchia, aveva il Marchese cer- cato ai Duchi una nuova dimora nel palazzo posseduto in Mantova dai prozìi Ludovico, Federico e Pirro Gonzaga (*), ai quali così scriveva in data 1" ottobre 1520 : « Come forsi « sa V. S., la ili"'" et ex""' M""' nostra matre hon""" già molti « mesi sono è venuta in desiderio, per sua comodità et « anche per accomodar noi, di allogiare in lo avenire ne >' la Corte vecchia, et ivi ha fatto reparare et reformare « le stantie a suo modo reducendole a grandissima com- « medita, et una sol cosa vi resta a provedere, che importa « però assai : di ritrovar stantie et allogiamento per lo « IH""' S. Duca et Sig'" Duchesse, cognato, nipote, sorella « nostre hon., perchè impossibile seria che tutte queste « corti con quella de la p'" M'"" nostra matre puotessero « capire in un medesimo luogo che una non incommodasse « l'altra ; et havendo la p'" M""' et noi discorso assai sopra « questo bisogno, non ritrovamo in Mnntua luogo dove li « p" S"' Duca et Duchesse se puotessero accomodare se non « nel palazo che tiene V. S. su la piaza di Mantua con « li IH"" S'' soi fratelli alli quali circa questa cosa scri- « verno il medemo. Et perchè desideramo sopra tutte le « cose le commodità di M"'" nostra matre et più assai che « le nostre proprie, acciò che il disegno e l>isogno suo le « riesca, pregamo la S, V. che le piaccia accomodare Sua (1) FigU (li Gianfrancesco fratello di Federico I avo del Marchese e fondatore del ramo di Sabbioiieta. Cfr. Litta, FamùjUe, Gonzaga, tav. XIV. La lettera di cui riferiamo il brano più rilevante fu scritta in singolo ad ognuno dei tre. E nel L. 2(j2 del Copialettere del ^larcliese. — 249 — « Ex. concedendone el ditto palazo... ».Ma nel 1521 anche quel ricetto doveva esser contestato a Francesco Maria. Egli si rivolse allora, come già Giùdubaldo, airosj)itale Venezia, ed il Sanndo riferiva sotto il gennaio 1521 : » Fran- « cescho Maria da la Rovere olim duca di Urbin, havendo « il marchese di Mantoa tolto stipendio con il Papa, ha « mandato a la Signoria per via di l'orator dil prefato « Marchese a suplicar possi con la moglie e fìoli hahitar « in qualche loco nostro, perchè non poi più star in Man- « toa ». I Veneziani gli davano licenza di venire ad abi- tare in casa di Domenico Giorgi (*). In appresso passò a dimorare in Verona, forse per essere più vicino alla moglie ed alla suocera, che continuavano a stare a Mantova (-). L'instancabile Castiglione adoperavasi nel 1521 presso il Papa anche per un altro negozio , la elezione a cardinale del giovinetto Ercole Gonzaga, vagheggiata specialmente dalla madre. Vedeva Leone la sconvenienza della cosa, massime per esser\"i già un cardinale Gonzaga, Si- gismondo ; ma tuttavia non seppe resistere all'abile negoziatore e la cosa, se non subito, si sarebbe certo combinata (1) Vedi Sanudo, Diari, xxix, 568 e 593. (2) Per l'armeggio che in quel tempo i Duchi d'Urbino continua- vano a fare per essere riammessi nello Stato vedi le otto lettere di Francesco Maria e di Leonora pubblicate e illustrate da G. Grossi nel menzionato opuscolo per nozze Guidi-EUiot, pp. 8-15. Mediatore presso il papa era il Castiglione, al quale non era punto uscita dal cuore l'affezione per i suoi antichi signori e benefattori. Vedi anche Zaxxoni, Nuovi contributi per la storia del Cinquecento in Italia, Milano, 1890, pp. 4-7; estratto dalla C«fó;6ra. Elisabetta intanto fre- quentava monasteri e chiese per pregare Iddio che favorisse i ne- gozi del genero. Cosi ella scriveva al Duca medesimo il 19 luglio 1521 in una lettera ined., che è nel ms. 375 (tomo i) della Olive- riana di Pesaro. Esplorò per noi quella biblioteca il prof. Bernardino Feliciangeli, al quale rendiamo qui pubbliche grazie. - 250 - presto (anziché solo nel 1527, come avvenne), se Leone non fosse morto repentinamente la notte tra il 1*^ ed il 2 di- cembre 1521 (*). A nessuno certo la notizia tornò più gradita che al Duca d'Urbino, il quale subito, strette alleanze e raccolto un esercito, riconquistò il suo dominio (-). Il IS dicembre del 1521 Federico Gonzaga si rallegrava già secolui pel felice esito dell'impresa (^). Nel 1522 Leonora partì da Mantova (*) ; ma il fanciullo Guidubaldo vi rimase. La (1) Anche il Castiglione credette all'avvelenamento. Vedi Eexieu, Notizia cit., pp. 19-20 e I^Iaktixati, pp. 40-41. Cfr. V, Eossi, Pasquinate di Pietro Aretino, Palermo-Torino, 1801, pag. vni, n. 2 e p. 162. Rispetto alle trattative per dare ad Ercole il cappello rosso, sono specialmente da vedere le lettere del Castiglione pubblicate nelle cit. Esenzioni, pp. 46-47. Nel Copialett. d'Isab. v'è una lettera del 21 nov. 1521 che riguarda quell'argomento. Ivi la Marchesa manifesta pure l'intenzione di mandare il figliuolo allo Studio di Bologna e vuole ne sia fatto motto al papa. Ercole infatti si recò a Bologna alla fine del 1522 e vi stette sino al 1525, frequentando le lezioni del Pompoaazzi. Cfr. Luzio, Ercole Gonzaga allo studio di Bologna, nel Giorn. stor., Vili, 374 segg. Nell'Archivio di Firenze (Urbino, CI. i, Div. G., filza 265) v'è una lettera di Ercole, nella quale prega Leonora di fargli avere un Pietro Matteo, per accompagnarlo allo Studio. Non sapremmo chi potesse essere, quando non fosse il cameriere di Guidubaldo, del quale parla Elisabetta in una lett. del 9 febbr. 1492 pubblicata dal Ferrato, Op. cit., p. 65. (2) Ugolini, ii, 223-24. Il Castiglione trattò poscia in Roma gli ac- cordi col Sacro Collegio per lo stabile possesso del Ducato. V. le let- tere edite da B. Feliciangeli nel cit. Propugnatore, N. S., v, 359-67. (3) La lettera è nell'Oliveriana, ms. 375 (tomo i). Numerose altre lettere dirette a Frane. Maria da Federico e da Sigismondo Gonzaga sono nel tomo ii del medes. ms. 375; ma non hanno impor- tanza pel proposito nostro. (4) Nel carnevale del 1522 la Duchessa dava ancora in Mantova una festa. Vedi Luzio-Renier, Buffoni, p. 46. Il Bembo si rallegrava il 25 aprile 1522 con Elisabetta pel ricuperato dominio. Cfr. Lettere, iv, 39. — 251 — nonna ne aveva cnra e nelle lettere di lei al Duca, ptr lo più trattanti di affari, non mancava d'informarlo dei progressi del figlio ('). Felice da Sora, che a Mantova sollecitava pel Della Rovere la visita desiderata dei musicisti Testagrossa e Cara (*), informava anche Leonora (16 ottobre 1522) degli studi di Guidubaldo : « Egli sta «^ per Dio grafia sano, questa septimana ha cominciato a « legere o, per dir meglio, ad odire el primo de Virgilio... « Y. Ex. non se scorde de provederli del fornimento del « cavallo, che in vero ne ha de bisogno » ('). In questo frattempo il Castiglione non aveva da stare in ozio in Roma. Nel gran fluttuare dell'opinione pubblica che distinse il conclave d'onde uscì eletto Adriano TI, e nel periodo che dal 9 gennaio 1522, in cui Adriano fu proclamato pontefice, corse sino al terminare d'agosto, in cui entrò in Roma, periodo di agitazione e d'incertezze, il Castiglione dovette fermarsi in Roma, nonostante la peste onde la città era infetta. Si trattava prima di aiutare, per quanto era possibile, la candidatura al pontificato del car- dinale Sigismondo Gonzaga 0, poi di tener fermo nel (1) Cfr. le lettere 5 giugno 1522 e 13 giugno 1523, che sono tra quelle d'Isabella e Francesco Maria raccolte nell'Arch. di Stato in Firenze, Urbino, CI. l, Div. G. , filza 210. I documenti rovereschi fiorentini furono per noi gentilmente ricercati dal prof. Vittorio Eossi. (2) Rossi, Appunti per la storia della musica alla corte dei Della Rovere, pp. 8-9. (3) Atch. di Firenze; Urbino, CI. i, Div. G.. filza 265. (lì Di quello che il Castiglione faceva a prò di Sigismondo sono indizio due lettere della sezione di negozi tra le raccolte dal Serassi (i, 3-5) e più quella pubblic. dal D'Arco, Notizie d'Isabella, pp. 86-87. Altre notizie si trovano nelle lettere ancora inedite. Abbiamo veduto come nel 1505 venisse fatto ai Gonzaga di far entrare Sigismondo nel sacro Collegio, quantunque già prima più — 252 — Collegio dei cardinali il generalato di Federico, poi di molte e molte altre faccende meno gravi, di cui la corrispondenza di Baldassarre, che abbiamo a stampa, lungamente ci in- forma (*). Di quella lunga legazione egli fu annoiatissimo (-), e certamente i compensi avutine da Federico non erano pari alla grandezza dei servigi resi né alle difficoltà superate (^ì. Sino al marzo del 1523 il Castiglione non potè essere di ritorno a Mantova. Gradito senz'alcun dubbio dovette riuscirgli, dopo tante noie, l'invito della Marchesa di re- carsi con h»i prima a Padova per sciogliere un voto al Santo, quindi a Venezia. Partirono in allegra comitiva il 16 maggio 1523 (*), ed il fratello Alfonso d' Este si unì volte lo tentassero. Sigismondo fu tra i cardinali che più coopera- rouo alla elezione di Leone X; ma di ciò ebbe poi a pentirsi, sicché assunse un'impresa che manifestava appunto questo suo pentimento. Vedi Giovio, Ragionamento sopra le imprese, Milano, 1863, p. 57, Quantunque l'Aretino lo chiamasse coi gentili nomi di hahhione, coglione e, quel che è peggio, Gomorra (v. Rossi, Pasquinate, pp. 19 e 23) e nel testamento dell'elefante gli facesse lasciare il cuore del- l'onesto e grosso animale « del qual sia fatto polvere e purgar la u sua loquacità ed intollerabile spuzor del fiado " (Rossi, Un ele- fante famoso, p. 16), sta il fatto che Sigismondo era nel 1521 tra i cardinali più papabili. Nelle scommesse lo si quotava abbastanza alto ed egli aveva vera fiducia di riuscire. È amenissima la lettera che scrisse alla Marchesa dopoché si seppe la elezione di Adriano. Vedi Luzio in Giorn. sfor., xix, 83, n. 3. (1) Vedi il I voi. nelle Lettere di negozi, passim. (2) Cfr. specialmente la lettera 23 ott. 1522 a Gian. Jacopo Calandra, pubblicata nelle Esenzioni, pp. 43-44, in cui il Castiglione si sfoga, dando particolari importanti sulla peste di Roma, che metteva a repentaglio la sua esistenza. (3) Per i compensi avuti cfr. le Esenzioni, pp. 8-0. Erano davvero poca cosa ed il Coddè ha ragione di osservare che il Duca d'Urbino, per molto meno, lo trattò assai meglio (p. 22). (4) Vedi nel L. 42 del Copialett. d'Isabella le lettere 15 maggio ad Elisabetta e 16 maggio ad Ercole. — 253 — ad Isabella ('). Quantunque fosse « occupatissimo in ac- cumpag-nare Madama « neppure allora trascurò il Casti- glione gfinteressi del Marchese, giacché in una lettera del 31 maggio egli dice di essersi recato dal nuovo Doge cui lo ha raccomandato. « Sua Serenità ha mostrato singular « affectione a \. Ex., esprimendola con molte amorevolis- « sime parole, conio più a lungo riferirò a bocca » (^). Fticominciò il carteggio fra la Marchesa ed Elisabetta, quantunque nessuna delle due avesse più la freschezza di si.drito d'altri tempi. Il 16 settembre 1523 Isabella le partecipava la morte quasi contemporanea di Giovanni Gonzaga e di Laura sua moglie (^); il 18 dicembre le an- nunziava di aver ricevuto la visita del Duca di Borbone e di averlo molto onorato, aggiungendo : « non potria scriver « a Y. S. quanto sia gentil et bel signore, et cum quanto « bono animo et virtù tollera questo suo infortunio ». Era questi Carlo di Borlione, di famigerata memoria, che morì sotto Roma nel 1527, capo di quelle soldataglie che do- vevano ridurre così a mal partito la grande città. Essendo nato da Chiara Gonzaga e da Gilberto di Borbone, era ni- (1) Cfr. la lett. di Alfonso al Duca d'Urbino, del 14 giugno 1523, uell'Arch. di Firenze, Urbino, CI. l, Div. G., filza 242. (2) Esenzioni, p. 30. (3) Quelle due morti avvennero a pochi giorni di distanza; Laura mori nell'agosto e Giovanni nel settembre. Vedansi le lettere 4 set- tembre 1528 scritte da Sigismondo Gonzaga alla sorella Elisabetta ed a Francesco Maria, che si trovano nel tomo ili del ms. Olive- riano 375. Il Casio consacra un sonetto molto gonfio a quei coniugi, dicendo che: Per opre eccelse et per sua illustre prole, di sé lasciamo cotal fama in terra cb'hoaor crebbe a la Sega et luce al Sole. Allude ai due stemmi dei Bentivoglio e dei Gonzaga. Cfr. Ejntaplìii del Casio, ediz. 1527, e. 53 v. — 254 — potè d'Isabella. Morto nel 1505 il fratello primog-eiiito Luigi, avendo egli sposato Susanna di Borbone, riunì sotto di se i vasti possessi dei due rami di quella famiglia ('). Ma la sua ambizione lo rese fellone. Disgustatosi con Francesco!, esulò dalla Francia e si pose al servigio di Carlo V. Nel 1523, quando la Marchesa lo ospitò sfortunato a Mantova, egli era profugo dalla Francia e 1 aveva raccolto 6000 Lanzichenecchi per combattere i Francesi nell'Italia superiore. Isabella aveva dimostrato altre volte della simpatia per lui. In una lettera del 7 luglio 1507 ad Elisabetta così ne parlava: ^ Non tacerò il Buca di Borbone nostro « nipote , giovine di buono e grave aspetto , grande di « persona , di la carne , occhi et volto similiante a la « madre " (^). Il 19 novembre 1523 fu assunto al papato il cardinale Giulio de' Medici, che prese il nome di Clemente VII. Il Castiglione fu di bel nuovo inviato a Roma, per trattare del generalato del Marchese (^). Questa missione ebbe l'esito pili lusinghiero. Clemente confermò Federico nel capitanato della Chiesa, e Baldassarre si adoperò afiinchè gli fosse accordato anche quello della repubblica di Firenze. Fin da quando era cardinale, Griulio de' Medici avea avuto pel Castiglione stima ed affetto singolari, che gli si accrebbero allorché ebbe a trattarlo in Roma nel 1524. Il nuovo Papa pensò che nessun negoziatore più abile e più onesto di lui avrebbe potuto trovare per le delicate trattative con Carlo V, onde il 20 luglio 1524 chiese licenza (1) Mas LatriEj Trésor de chronologie, col. 1647. (2) Luzio-Rbxier, Gara di viaggi, p. 8. (3) La lettera con cui il Castiglione andò al Papa, datata 26 nov. 1523, ò nelle Esenzioni, p. 31. — 255 — al Marchese di potorsene servire a quello scopo (*). Federico, naturalmente, non potè rifiutarlo, e così il degno conte fu impigliato in quella onorifica ma difficile impresa diplomatica, che doveva abbreviargli, pei dispiaceri, la vita. In Roma il Castiglione non risparmiava premure per soddisfare il desiderio di cose d'arte, che avevano così vivo tanto la Marchesa che il figlio. Lo si può scorgere agevolmente anche dalle lettere pubblicate dal Serassi. Tra i calori estivi della città papale, egli pensava con desiderio alla loggia mantovana della buona Isabella, ove si stava così freschi, in compagnia deliziosa. Non possiamo tratte- nerci dal riferire una lettera assai graziosa che scriveva in proposito : S»"» mia IIW» La peiiitentia de miei peccati, che V, S. IH. me impone per il raro scrivere, accetto con humiltà come bon confitente. Hormai la peste in Eoma è così assutiliata che poco se teme. Evi mo' il caldo e la copia un mese fa de meloni bonissimi, che talor dis- concia un poco el mio stomaco, e se noi fossero le bone medicine già mostratemi da V, Ex. farrei male. Io penso se non in questi gran caldi, almen quando sevanno un poco sminuiti, venire a basar le mani a V. S. Ili'»» a tempo che ancor se potrà mangiar sotto la bella loggia, che in vero tra tutti li belli lochi di Roma non ve n'è alcuno che possi star al parangone di quella. Io non dirò altro a V. S. Ili* se non che le baso le mani, et in bona gratia humilmeute mi raccomando. In Roma, alli xx di luglio, :\iDXxnn. Di V. S. Ill'"^ Humib*Servo B. Castiglione. (1) Il breve di Clemeute ha parole molto onorevoli pel Castiglione. Vedilo nelle Esenzioni^ pp. 32-33. Lettere relative alla legazione nella raccolta del Serassi, i, Nerjozi, 133-34, 138, 142, 145, 146. — 256 — Isabella di rimaudo il 28 luglio : « Sareti aspettati) dalla « nostra loggia, da la quale sareti raccolto tanto più voluu- « tieri, quanto che gli siano per voi date tante belle lodi «. E il Castiglione di nuovo il 4 agosto : « Desidero molto « de godere la loggia de V. S. Ili'"* e duolmi perchè du- « bito che 'l tempo non mi compoi'tarcò, ch'io la godi molto. « Quando serò in Hispagna, non potendola godere, la de- « siderarò e satisfarò a me stesso col servir allo 111""° S. « I). Ferrando, fin tanto che Dio mi concederà il ritorno, « il quale vorrei che fusse accompagnato dal riposo, che « hormai è debito al tempo e debito alla etate ». In queste parole si vede molta malinconia e molta stanchezza. Il po- vero Castiglione non riuscì a godere quell'anno la deside- rata loggia, perchè non tornò a Mantova che tardi, nel novembre 1524, e in seguito era destino che non la rive- desse più. Condusse seco un discepolo del suo Raffaello, Giulio Pippi romano, che erasi .già reso illustre in Roma e che ornò poi Mantova, sotto il dominio del munificente Federico, di tanti monumenti insigni C). Da Roma portò pure il Castiglione un disegno di Michelangelo, del quale in questo modo Felice da Sora informava il Duca d'Urbino, il 16 gennaio 1525 : « . . . M. Baldassare Castiglione « ha portato da Roma un modello d'un giardino et d'una « habitatione in epso, disegno di Michelagnolo, et coloro « che l'hanno visto quando se mostrò ad Madama me hanno (1) Vedi Martinati, Op. cìL, p. 44 e suoi rinvìi. Giulio Romano, doveva, solo cinque anni dopo, disegnare per l'amico Baldassarre il sepolcro delle Grazie, per cui il Bembo dettò Tiscrizione. Martinati, p. 56. Per la venuta o la dimora di Giulio Pippi a Mantova vedi D'Auco, Arti ed artefici, ii, 92 e 95 e specialmente l'opera del D'Arco, Istoria della vita e delle opere di Critdio Pippi romano, Mantova, 1838. -^ 257 — « (lieto essere una bellissima cosa et edifìtio di graiidis- « Simo iugenio et di grande delectatione et il sig. Mar- ' chese liaver detto volerlo far fare in Marmirolo, che non « è laudato da molti per venirce un bellissimo Teatro da « representare et spesa de circa ventimilia ducati, per la « quale se existima se habia ad mettere a monte per ciual- « che dì... » (^). Fu questa l'unica volta che a Federico venne fatto di ottenere qualcosa di mano del grande e sdegnoso artista. Quando in seguito (nel 1527), per mezzo di Giovanni Borromeo, aperse pratiche per avere da Michelangelo un qualche oggetto d'arte da adornarne il palazzo del Te, non riuscì a nulla ; e parimenti a nulla riuscì quando sollecitò il Buonarroti a venire a Mantova, e quando procurò di averne dei cartoni (^). Unico lavoro di lui restò in Mantova il Cupido, di provenienza urbinate, come abbiamo veduto C). Nessun altro a\eva saputo ot- tenere tanto da lui quanto il Castiglione, dal quale è tempo (1) Ardi, di Firenze, CI. i, Div. G., filza 241. E difFatti quel di- segno fu messo a monte. Federico aveva costrutto in Marmirolo un nuovo palazzo, d'un piano come quello del Te, con splendidi giardini e tutti i lussi dell'arte. Cfr. Davari, I j)alazzì dei Gonzaga in Marmirolo, Mantova, 1890, pp. 12-14. (2) Vedi Luzio, Michelangelo e i Gonzaga, nel num. unico Per il 50^ anniversario degli asili infantili di carità, Mantova, 5 luglio 1887. (3) Del resto neppure con Urbino Michelangelo ebbe grandi rapporti. Si riducono tutti ai contratti per il sepolcro di Giulio II. Vedi Condivi, Vita di Michelangelo, Pisa, 1823, p. 57; Grimm Lében Michelangelo's, Hannover, 1868, ili, 30 segg. ; Gotti, Vita di Michelangelo, Firenze, 1875, l, 211-23 e il, 76. Pel Duca d'Urbino modellò Michelangelo una saliera nel 1537 (Gotti, ii, 125). Del ter- ritorio d'Urbino era un famigliare di Michelangelo, a cui quella grand'anima aveva posto l'affetto tenace e profondo che era tutto suo. Chiamavasi Francesco Amadori di Casteldurante (Urbania) , soprannominato V Urbino. Bellissimi documenti di quella relazione sono nel libro del Gotti, i, 276, 332, 333-38; ii, 137 segg. 17 — Lezio e Henier. - 258 — che preiuliaino coinmiato. Il niigiior cavaliere del mondo, partito da Mantova già nel dicembre del 1524, fermatosi qua e là nel lungo viaggio, giunse a Madrid ai primi di marzo del 1525. Le vicende della legazione sono imperfettamente conosciute per le lettere a stampa, ma a farle note interamente varranno le inedite. Non spetta qui a noi l'oc- cuparcene. Tra i molti negozi non dimenticò Baldassarre la Marchesa, quantunque non si abbia indizio che le scri- vesse di frequente. Vogliamo segnalare qui un passo di certa sua lettera da Toledo, 20 luglio 1525, in cui scher- zava sulla mania de' viaggi che più volte già notammo in Isabella : « Altre volte V. Ex. disse bavere desiderio de « andar a S. Jacomo de Galicia. Farmi che adesso sarebbe « el tempo commodo per ogni conto, e quella vederebbe « tanti belli paesi, che saria molto contenta. Farmi vederla « ridere, credendo ch'io dica questo per burla e per rac- « cordargli quella maledicione della vagabondarla che lassò « quel Sig'^ de casa da Esti alla sua posterità ; ma io lo « dico pure pensando de far piacere a Y. Ex. So bene che « la Brogna (*) non lo lauda per il desiderio che ha de " tornar a Mantua (^), che a lei pare magior perdonanza « quella de S** Croce che quella de S*° Jacobo : a me basta « haver detto il mio parer; V. Ex. farà poi il suo ". Non vogliamo ci trascorrano questi anni senza che si dica qualche parola d'un altro personaggio, che ha parte non piccola nel Cortegìano ed i cui rapporti con la Marchesa di Mantova e con la duchessa Elisabetta furono molti e notevoli. Intendiamo alludere al famoso improvvisatore (1) Una dello più vivaci (lamigellc della Miiichcsana, sul cui conto ce ne sono da raccontare delle belle. (2) Ei*a allora con la sua padrona a Roma. — 259 — Bernardo Accolti d'Arezzo, astro delle Corti, nelle quali lo si chiamava col nome pomposo ed antonomastico di Unico Aretino {*). Abbiamo riferito in addietro una lettera della Marchesa 'à\V Unico del 26 febbraio 1524, nella quale gli raccomanda un figliuolo del musicista Jacopo di S. Secondo. Già da lungo tempo Isabella aveva relazione con lui. Fu recen- temente prodotta per le stampe una lettera stranamente enfatica che l'Accolti, già scrittore ed abbreviatore apostolico (^), indirizzava il 15 marzo 1502 alla Marchesa, alzandone a cielo le virtù, le doti, le grazie, solo paragonabili a quelle della « miracolosa •' Duchessa d'Urbino, di cui Bernardo si professa innamorato (*). Isabella gli ri- spondeva il 18 aprile 1502 con una lettera che è pure a stampa (^), compensando adulazione con adulazione, preziosità con preziosità, ed assicurando che lodi infinite ave- (1) Per le notizie biografielie di hii vedasi specialmente quanto ne dicono il Mazzuchelli, il Tiraboschi, il Gaspary. Era di nobilissima famiglia aretina, assai benemerita delle lettere e delle scienze. Cfr. L. Landucci, Un celebre scrittore aretino del sec. XV, in Atti della Regia Accademia Petrarca d'Arezzo, voi. il, P. il, pp. 19 segg. Il padre di Bernardo fu Benedetto Accolti, storico e giureconsulto, su cui vedi ora Flamini, La lirica toscana del Rinascimento, Pisa, 1891, pp. 267-69. ^^2) Per questa sua carica il Mazzuchelli, Scrittori, i, i, 66 cita lo Zilioli; ma non vi è bisogno di rimandare a fonte cosi torbida, perchè il titolo compare nelle antiche edizioni della sua Virginia. Lo Zeno asserisce {Bihliot. Fontanini, Venezia, 1753, i, 374), richiamandosi ai Marmi del Doni, che fu araldo della Signoria di Firenze; ma la notizia non è confermata da prove sufficienti. (3) La lettera, che certo non la cede in artificiosità alle poesie precocemente secentistiche dell'Accolti, leggesi in Luzio, Precettori d'Isabella, pp. 65-68. (4) CiAN, Decennio, p. 236. — 260 — vano pronunciate, ragionando di lui, Elisabetta ed Emilia. Ricorderanno infatti i lettori con quanta stima si parli de\- V Unico in due luoghi della lettera della Duchessa al Cal- mela (1502), che producemmo in addietro. L'Aretino faceva una corte spietata ad Elisabetta. Vediamo che nel Gortefjiano egli improvvisa (o finge d'improvvisare) un sonetto sul S che vede in fronte alla Duchessa ('), ed Emilia Pia gli dice ch'egli conosce piti degli altri, per l'ingegno suo, l'animo di quella signora e quindi più degli altri l'ama (-). Il sonetto, che è giunto sino a noi, con cortigianesco bi- sticcio, lamenta la crudeltà ed esalta le virtù della Duchessa (*). Attesta il Bembo che quando nel 1516 Elisabetta andò a Eoma (uè certo allora olla aveva voglia di piacevoleggiare) l' Unico le stava sempre intorno : « Le loro « Signorie {Duchessa ed Emilia) sono corteggiate dal « S. Unico molto spesso ; ed esso è più caldo nell'ardore " antico suo, che dice essere ardore di tre lustri e mezzo, (1) Nessuno imaginò che cosa potesse essere quella S. Nel ri- tratto d'Elisabetta ch'è agli Uffizi, di cui toccheremo, ella ha, come nella medaglia, un cordoncino, che le gira il capo, e proprio in in mezzo della fronte, v'è appeso uno scorpione. Si tratta con tutta probabilità d'un' impresa, che trova la sua spiegazione nel simbolismo animalesco medievale. (Cfr. Goldstaub-Wesdriner , Ein tosco-venezlanischer Bestiarius, Halle, 1892, p. 320). Ora la S. potre1)be essere l'iniziale di Scorpio, che forse Elisabetta portava in fronte talvolta, in luogo dell'animale. All' C/mco, sapesse egli o no la cosa, tornava comodo di fare dei poetici bisticci con quell'iniziale. (2) Cortegiano, ed. cit., pp. 26-27. Altrove Emilia (p. 357) dice aì- YUnico ch'egli è " gratissimo universalmente alle donne », e tra lui appunto ed Emilia s'impegna un dialogo sul modo come due leali amanti si debbono comportare. (3) Ediz. Cominiana delle Opere del Castiglione, p. 271 e Poesie del Cast, ed. Serassi, p. 99, Il sonetto fu peraltro anche stampato col nome del Calmeta. Vedi Mazzuchelli, i, i, G8. — 261 — « che giammai ; e più che mai spera ora di venire a prò « de suoi desii, massimamente essendo stato richiesto dalla « sig-^ Duchessa di dire improvviso, nel quale si fida muo- « vere quel cuor di pietra » (*). L'Accolti quindi avrebbe cominciato ad ardere per Elisabetta prima del 1500, in una delle gite frequenti che faceva ad Urbino. H Tiraboschi mostrò prendere quell'amore sul serio (-) ; ma noi ci ac- cordiamo perfettamente col D'Ancona che giudica siffatti amori per lo meno tanto innocui quanto spasimanti (^). Era un vezzo poetico cortigianesco, non altro ; e vi si lasciò andare, appunto in Urbino, anche il Bembo, che pure era tanto più serio dell'Accolti (*). Convieu però riconoscere che in questi scherzi di Corte s'andava molto più in là di quanto convenienza e buon gusto permettessero, e che quelle dame indulgevano ai poeti (specialmente a questo genere di poeti, che, nonostante tutto, avevano del buffone) più di quello che si sarebbe aspettato da loro. Isabella, per es., permetteva che l' Unico dicesse al figliuol suo Federico, quando era ostaggio a Roma : « Tu assimili ben a « quella traditrice di tua matre, tu sei ben così bello, come « è tua matre, ingannatrice e maga •' e proseguisse : « « povero Aretino, questa casa di Gonzaga ha tuolto ad « disfarti e cruciarti, e la fichatella di la Marchesana et « la giotoncella de la Duchessa de Urbino » (^). Nh si sdegnavano quelle dame quando egli proclamava pubblica- (1) Éettere, i, 32-33. (2) Storia, ed. Antonelli, vi, 1128. {S) Studi sulla leti. ital. de' primi secoli, pp. 217-18. (Il Vedi Ciak, Motti del Bembo, Venezia, 1888, pp. 89-91. [o) Luzio, Federico ostaggio, p. 11. Già nel 1504 V Unico parlava di u quella ficatella giotina de la marchesana •'. Cfr. Luzio in Giorn. stor., IV, 3S1, n. 3. — 262 — mente in Napuli che corteggiava Isabella per far dispetto alla crudele Duchessa e quest'ultima non cliiamava con altro nome se non con quello di traditrice de Urbino (*). Nell'Archivio di Firenze v' ha una sua lettera diretta a Leonora, quando Elisabetta era già morta, che può dav- vero citarsi a modello di questa curiosa libertà di procedere, su cui insistiamo. Eccola: Ill™a mala figliola. Havendomi la dispietata Duchessa Helisabet quanto visse, tanto constituito martire et protomartire suo, et Voi forsi, et senza forsi, con volto de angelo et core de ser- pente essendo stata perfida sua consultrice ne' miei danni, forza è che io mantenga con medicine le poche relliquie della mia tanto stratiata vita. Però mossa da quella pietà, qua! mai non cognoscesti ne viva, ne dipincta, vi degnarete farmi gratia de uno barattolo vero alberello di barbe di calcatrepuli, quali intendo sì fanno ad Urbino per excellentia, acciò che io possa gloriarmi essere stato una volta exaudito dalle durissime Madonne de Casa de Gonzaga. Non mi raccomando a V. Excellentia per non gittare le parole al vento. Sol prego il Cielo in longa felicità et sanità La conservi, acciochè lungamente faccia macello de' servi sui. Ex Nepete un» septerabris mdxxxh. Ill^e et exc^e D. Servus perpetuus Unicus C)' Isabella, a sua volta, non esitava, ne' suoi tempi migliori, a prendersi giuoco del solenne improvvisatore. Una burla s'intravvede nella seguente lettera a Ludovico Brognolo, che è nel L. xxvni del Copialettere della Marchesa: (1) Lettera di Jacopo d'Atri dell'S maggio 1507 stampata dal Luzio nel Giorn. star., iv, 382 n. (2) Sez. Urbino, CI. l, div. G., filza 207. Fu citata dal Luzio nel luogo del Giorn. stor. testò menzionato. Ebl)e la gentilezza di co- piacerla il prof. Pasquale Papa. — 263 — Ludovico: havemo facto scrivere per spassare tempo una let- tera per m. Mario al Unico, la quale vi niandamo aperta acciò clie voi la mostrati occultamente alla S. Duchessa nostra sorella hon., se e' è lì : perchè la S. sua se ne pigli piacere. Poi la sigillareti, et la fareti capitare in mano di esso Unico per qualche bona via et con modo, che 'l non se avedda che la S"^* Duchessa ne altri lo sapia , se non quanto lui la mostrarà : et ni piacerà che observati ben ciò che lui dirà et farà poi la receputa d'essa let- tera, et del tutto ne dareti aviso, raccomandandoni alla p** S. Duchessa, al Ex. S. Duca et salutando in nostro nome la Duchessa nostra figliola. Mantuae, mi aprilis mdx. Ed una burla, o per lo meno un sotterfugio, si cela in quelle lettere del 1506, che pubblicò di recente il Yenturi, da cui si ricava che la Marchesa voleva prendersi un po' giuoco dell'Aretino, promettendogli che Gio. Cristoforo Romano gli darebbe un duplicato della medaglia fatta per lei; ma nello stesso tempo non voleva che l'Accolti se ne avvedesse, onde redarguì fieramente lo scultore, che si comportò secolui con meno prudenza (*). Dal che si discerne sempre meglio che nonostante le lodi roboanti che a ver- seggiatori come l'Aretino si dirigevano, egli era pur sempre tenuto come qualcosa di simile ad un giullare, al quale e col quale credevansi lecite molte licenze. Se ne vuole un altro esempio ? Eccolo. Allorché Isabella andò per la prima volta a Roma nell'autunno del 1514, fa ad in- contrarla a Bolsena, insieme col Magnifico Griuliano e col Bibbiena, l'Unico Aretino. Esso veniva « con un breve del « N. S. e dicea che era mandato per Comisario de la (1) Venturi, Gian Cristoforo Bomano , iu ArcJi. star. delVarte, l, 150-151 n. — 2(54 — « g'iota (*), e questi R™' Car^» li fecero una beffa, li mo- « stranio M-"» Diana e la Marchesa di Massa, diceudoli poi « che tochase la mauo a Madama. Alor stette sopra di se « tuto balordo, dicendo : non la vedo ; et volendosi partir « come disperato, vide Madama a l'uscio, dove tuto si mutò « di colore e mise un grido dicendo : iugauatrice fìchatella, « io sou tuo comisario e ti nascondi ? Non serai a Koma « ch'io t'insignarò a fuzirmi. E di questo ne fu gran « riso " (). Non fa dunque meraviglia che Leone X, il quale non si divertiva meno coi poeti burlevoli di quello che si trastullasse coi poeti barbagianni, tenesse V Unico assai caro, e che egli componesse una rappresentazione di poeti per la celebre beffa fatta al Baraballo ('). Ai tempi di Leone X infatti giunse V Unico al sommo fastigio della sua gloria poetica (*), per quanto fosse sti- mato anche sotto il pontificato di Giulio II (^). Accoppian- (1) Cioè ghiotta, epiteto confidenziale dato alla Marchesa, insieme con quello di ficatella, femminile di fegatello, equivalente a cosa squisita, prelibata. (2) Lett. 15 ott. 1514 da Montefiascone, scritta da Alfonso Facino a Federico. (.3) Gnoli, Raffaello alla corte di Leone X, in N. Antologia, xcviii, 582. Quella rappresentazione non giunse sino a noi ; ma è notissima la commedia dell'Accolti ch'egli intitolò Virginia dal nome d'una sua figlia naturale. Vedi Mazzuchelli, i, i, 67 e per. le edizioni il Brunet. Analisi in D'Ancona, Origini-, li, 15-17. (4) Già il Rossi nello Pasquinate, p. 113 rammentò due privilegi concessi da Leone all'Accolti, che sono nei Regesta Leonis X, pubbl. dallo Hergenroether, ai num. 3(314 e 12019. Che componesse un poema col titolo La liberalità di Leone X spacciò il Doni nella Seconda Libraria; ma è forse una delle tante invenzioni di quel bizzarro sci-ittore, quantun(juo il Mazzl'CIIELLI (i, l, (iS) mostri crederci. (5) Prima della fine del sec. xv era poco noto. Gaspare Visconti, in una lettera del 1° giugno 1498, che scrive da Milano ad un cor- rispondente romano, dice: « Intendo che tino m. Bernardo d'Accoltis — 265 — dolo con Serafino Aquilano (*), così lo vanta Cassio da Narni : Vedovasi poi V Unico Aretino, un nuovo Orpheo con la cetra al collo, a l'improviso un stil tanto divino che invidia gli ebbe non poch'anni Apollo (^). Clliudevansi in Roma le botteglie e tutti accorrevano quand'egli improvvisava (^). In questo modo rag-gruzzolo onesta somma di denaro, sicché potè dare buona dote alla u de Arezo è de li Academici 11: se l'è vostro domestico, vi prego " lo salutati in nome mio, però che altra volta qui in Milano ha- « verno havuto qualche familiar domestichezza insieme ». (Renier, Gasp. Visconti, p. 104). A' tempi di papa Giulio, l'Unico era spesso in Urbino ; il Cortegiano ci attesta che v'era certamente nel 1507 ; la macheronea di fra Serafino (Gian, Fra Serafino, p. 10) nell'estate del 150Ó. Vedemmo quanta famigliarità lo legasse ai Duchi d'Ur- bino ; questa peraltro non avrebbe impedito che, mutato il vento, egli dedicasse all'usurpatore Lorenzo de' Medici due suoi poemetti in ottave, uno dei quali descrive una caccia di dame fiorentine, l'altro l'innamoramento di Venere, che trovansi anonimi in un esemplare rarissimo della Trivulziaua. Gli sono attribuiti in Melzi, Anonimi, I, 288. Anche Lucrezia Borgia fu gentile con V Unico, il quale fu a Reggio e poi a Ferrara nel 1508 (Luzio, Precettori, p. tì). Ciò che succedesse colà non s'intende troppo da una lettera 19 sett. 1508, che da Ferrara scriveva ad Isabella Margherita Cantelma: « Credo che V. S. habbia inteso da Mario [Equicola'\ quanto è suc- « cesso con l'Unico Aretino; prego V. S. me advise se la volontà u sua è che 'l venga in Mantua o no, che secundo el voler de " V. S. così el desponerò ». (1) Infatti Bernardo ebbe grande ammirazione e stima per Serafino e ne onorò in più modi la memoria. Vedi Fontanini-Zeno, ed. cit., I, 430. (2) La morte del Danese, L. ii, C. iv; Milano, 1522, e. 71 r. (3) Molte sono le lodi che poeti e prosatori contemporanei gli at- tribuirono. Vedi l'elogio sbalorditolo di Francesco Prudenzio nel Giorn. stor., xiv, 229 e anche Rossi, Pasquinate, p. 118. Ma le lodi maggiori erano pur sempre quelle che egli faceva di sé stesso. — 266 — figiiiiola quando andò a marito, e comperarsi il ducato di Nepi, che poi Paolo III con tanta prepotenza gli doveva togliere (*). Il concittadino Pietro Aretino, che l'ebbe a protettore e doveva poi, con arti simili, di tanto soverchiarlo, lo proclamava - non solo norvo e fiato de le Muse « de' suoi e degli altrui tempi, ma signore di due città >• , con che forse alludeva alla signoria reale di Nepi ed a quella tutta morale di Roma (*). Zazzeruto, con la barba rasa, col naso grande aquilino (^), V Unico sapeva sfrut- tare tutti gli elementi di successo che gli davano le sue qualità di cortigiano e di fabbricatore di versi in quell'età festaiuola ed epicurea (*). L'Unico aveva un fratello, che fece fortuna nella carriera ecclesiastica : Pietro. Nominato già da Alessandro YI auditore di Ruota, ebbe nel 1505 da Giulio II il vescovado (1) Che comperasse quel feudo e che poscia Paolo III glielo to- gliesse dice egli medesimo. Fu appunto pel crucio di quella specie di ruberia che Y Unico moriva il 1° marzo 1535, come stabilisce un documento mantovano stampato dal Luzio nel Giorn. stor., iv, 383, n. 1. L'ipotesi del Litta {Accolti d'Arezzo) che Leone X desse al- l'Unico Nepi solamente in vicariato per alcune generazioni, è desti- tuita di fondamento. (2) Il passo riferito è nel Ragionamento delle corti. Vedi nella ediz. 1589 della Terza parte dei Bagionamenti la e. 19 v. Bernardo scri- veva a Pietro il 6 febbr, 1532: u Ringratio Iddio (come già dissi u a Leone et a Clemente in presentia di molti cardinali e signori) u ch'io lascio uno altro me, doppo i miei giorni in la patria ". Lettere scritte a P. Aretino, ed. Landoni, i, i, 221. Di ciò doveva gloriarsi Pietro Aretino nel 1548. Sui rapporti tra i due Aretini vedi specialmente Luzio, La famiglia di Pietro Aretino, in Giorn. stor., IV, 381-84. (3) Cosi lo ritrasse il Vasari nella sala di Giovanni de' Medici del Palazzo Vecchio, tra molte altre figure che circondano quel papa. Vedi Vasari, Ragionamenti, giorn. ii, rag. ni, in Opere, vrii, 142. (4) Cfr. anche GxoLi, Cacce di Leone X, pp. 40-41, 52, 58. — 2r57 - d'Ancona e poi dal medesimo, il 10 marzo 1511, fu creato cardinale di S. Eusebio (*). Di quell'nlta dignità concessa al fratello suo l'Aretino era superbo, e s'era messo in capo di porre a profìtto tutta le sue aderenze per farlo salire al papato. Troviamo che il 14 agosto 1511, pochi mesi dopo l'elezione, l' Unico scriveva in questi termini, di propria mano, ad Isabella : « Io sono unico fratello al Cardinale e voi sa- « pete quanta e quale parte havete in me, onde è neces- « sario che aiutando salire a magior grado mio fratello, « Voi facciate voi medesima non solo la piti gloriosa, ma « la più potente donna che may fussi in casa vostra : del « marchese I1P'° non parlo, che sarà patrone absoluto lui « e con vinculo indissolubile si confermerà ([uanto scrivo. « Degnisi V. Ex. stringere el Il"^° Car^^ da Este e de Ara- « gona a questo voto e far tanto bene a voi medesima et « a l'Unico Aretino, che nel core scripta vi porta... E chosì « si degni dispouere el Marchese et lo 111"'" Duca vostro « fratello, che credo non sarà molta faticha ". Xon è più lo scherzoso e galante corteggiatore, ma è il solleci- tatore accorto, che qui ci si presenta : una forma sotto la quale l'Aretino non era noto (-). Tuttavia, anche in questa (1) Cfr. Mazzuchelli, i, i, 77, e Litta, Accolti, che dà qualche notizia in più e reca il ritratto del cardinale fatto da Griulio Romano. Pietro Accolti compero la casa di Raffaello Sanzio, che era contigua a quella da lui prima abitata. Vedi su ciò varie informazioni nell'artic. di D. G-NOLi, La casa di Raffaello, in N. Antologia, xeni, 414. (2) La Marchesa, del resto, quando seppe della nomina a cardi- nale di Pietro Accolti, non aveva indugiato a mandare alVUìiico questa lettera gratulatoria per lui molto lusinghiera : Sr Unico: Siamo state un pezo suspese, se dela promotione de Mons, Rev"" vostro fratello al cardinalato ni dovessimo congratulare cum Y. S. Pensavamo la dignità essere gi-ande, ma la prestantia de le rare virtù vostre essere in tanta estimatione et credito, accompagnata da la — 268 - nuova preoccupazione, non lasciava di mostrarsi l'antico uomo. Ecco in qual modo ce lo rappresenta in Urbino Alessandro Picenardi in una lettera ad Isabella del 19 feb- braio 1512 : « Quìi si fanno comedie, si recitano egloge, si « sona, balla e canta et si sta in apiaceri per esserli an- « cho il S. Uniclio Aretino, cioè messer Bernardo, el quale « è venuto qutà affare carnasale et per vedere se 'l pò « cavare la conclusione : lui dice che à ad esser Re per- « che suo fratello à ad esser Papa, et con questo conforta « vostra sorella la Duchessa acciò che la se abbia ad hu- « miliare a lui et compiacendolo che la sera Regina, et « così la prega che la gè habbia compasione. Sì che, 111'"» « patrona, V. Ex. li mancha aciò che 'l trasse presto i « sassi: ogni giorno lui va di ben in meglio, cioè in « stulticia. A madonna Emiglia ha promesso se l'avirà « di bon core di farli dil bene assai et con questo si va « pasendo ». Naturalmente le speranze, e quindi le sollecitazioni, cre- scevano quando radunavasi un conclave. Così dopo la morte di Giulio II l'Equicola, dopo aver narrato da Roma al Marchese (21 marzo 1513) : « contra Papa Julio sono stati « facti un milion di versi latini di gran maledicentia et " altrettanti vulgari », aggiungeva che V Unico voleva a tutti i costi facessero Papa il fratello « et lui se contensingolare doctrina et integrità sua che l'un jjer l'altro vi facciati tanto lume, che altro non vi era necessario a pervenire a maggiore reputatione et fama. Il fine de la elegantissima lettera vostra a Mario ni ha facto risolvere di congratulami cum Vostra Signoria. Di quello di che Lei si allegra, tutta la religione Christiana meritamente si debbe congratulare, non cum Mons'^ Y'" Rev'"", non cum V. S., ma col saci'o colegio de' Cardinali che habbiano agiunto al numf-ro loro sig. qual dato che 'l non fusse, siccome è, per la bontà et scientia sua benemerito di quel grado, lo essero fratello del Unico la unica suprema di- gnità meritarla, la quale dal onnipotente etjusto Dio gli fia concessa. Alla cui Rev"'» S. et ala V. Ex. ne race™". Mantue, xxvi martii 1511. - 269 - « tava de la Duchessa d'Urbino et del regno di Napoli ». Poi, eletto Leone, ecco l'Unico adoperarsi pel Duca di Ferrara e l'Equicola scrivere di nuovo al Gonzaga (20 a- prile 1513) : « Il S"" Unico fa mirabilia per il S' Duca et « multo più il fratello Cardinale... lo Unico grida che '1 <• fa per amore di Y. S. » Questa capfatìo henevoìentiae non cessò certamente in seguito, quantunque altri documenti ci manchino. Nel 1521, nel conclave che seguì alla morte di Leone X, l'Unico fu conclavista del fratello (*). Il cardinale Accolti sembra fosse estremamente superijo e iracondo, poiché Pietro Aretino lo nota appunto di superbia in una pasquinata sui vizi dei cardinali convocati, e altrove lo chiama Capaneo, e altrove ancora gli fa promettere, se vuole ottenere la tiara, « di non essere furioso » (-). Nel testamento dell'elefante, il saggio bestione desidera che siano dati « li mie nervi al R'"" cardinal di Accolti, con « questa però condizion che do volte a la setemana se fa za « ligar disteso, tegnando de continuo conzonto suo fratello « Bernardo, per molte cause le qual non posso esprimere « piliado da la malatia e dal grave parossismo » (^). Nelle quali parole, alquanto oscure, a noi par certo che si mor- dano le furie e le violenze del cardinale , e fors' anco del fratel suo, che in questo doveva somigliargli. Infatti che l'Unico, nonostante le sue galanterie e smancerie poetiche non fosse una pasta di miele, lo si può rilevare da queste righe del Castiglione, scritte da Eoma al Marchese 11 12 agosto 1519: « Successe pochi dì dappoi per causa d'un serfc vitore di Mons. Armellino et un altro di Mons. di An- (1) Rossi, Pasquinate, pp. 113 e 141. (2) Rossi, Pasquinate, pp. 18 e 26. (3) Rossi, Elefante, p. 14. — -270 — « clioua una gran costioiie tra le famiglie delli predicti « S" et ve se interpose anclior quella di Mons. Cornaro : » et per dua ore durò una gran baruffa, nella quale l'Unico « Aretino se portò valentissimamente, che da una finestra « sua gettò da circa quattrocento coppi e mattoni e sassi, « e ruppe più di cento mustacci, e benché li fossero tirate " molte schioppettate mai non volse levarsi da quella fiue- « stra ». Di peggio ci fa sapere un documento fiorentino recentemente segnalato (18 marzo 1522) : « M. Bernardo « Accoltis ha fatto amazare un vecchio di sessanta anni, « che havea testificato contra di lui in una causa, homo « stimato di bonissima fama » (^). Ma dalla digressione, a cui l' Unico c'indusse, ritorniamo al punto a cui la nostra esposizione s' è arrestata, vale a dire al 1525. In quell'anno Isabella volle recarsi nova- mente a Roma. Partì da Mantova in pieno inverno e giunse a Roma ai primi di marzo. A Pesaro era arrivata il 17 febbraio, e i Duchi d'Urbino vennero a farle buon viso. Di ciò il segretario della Marchesa, Gio. Francesco Tridapale, così informava Federico (18 febbraio) : « Heri gionse in « Pesaro galiarda et allegra. Fo encontrata fuori di la « porta per tre millia dal S"" Guidoubaldo accompagnato « da molti di questa città cum grandissima demonstratione « di reverentia et amore. Il jubilo et la tenerezza cum che « fo poi raccolta da la ili""* S'* Duchessa, discesa al pede « di la scala del palazzo cum il seguito de molte gentil- « donne, fo di la sorte che V. Ex. da se pò haver consi- « derato. Et benché Madama havessi concluso et deliberato « partirsi di qui el giorno seguente, nondimeno vincta da « le molte preghiere de la S^* Duchessa si contentò fermarsi (1) Pubbl. <]al Rossi, Pasquinate, p. 113. — 271 — « per oggi. Cussi dimaue fatta collatione partiremo, cum « disseguo de ritrovarui la sera iu Sinogalia, qual via si « fa per andare a Loreto. Non tacerò a V. Ex. una Egloga '' che si è recitata questa sera, ne la quale sono interve- « nuti dui pastori namorati, quali per concorrentia di amore « cum jurgii et molte controversie contesero insieme iu « presentia di Galatea sua 'namorata. Et dappoi che a « persuasione cU un altro pastore amico commune non si « poterò acquietare, redutti al parere et sententia di un « altro pastore Antiquo, non potendosi convincer cum « ragioni, per termiuatione d'esso Antiquo devenero alla « lutta, nel che uno di loro rimase victorioso. Et quel fo « reputato havere major ragione et grafia cum la 'namo- « rata. L'altro restò tutto sconsolato, et varie cose disse '< piene di varii affetti amorosi. La Egloga fo molto ben « recitata, et vi iutervenero appresso altri interlocutori cum « musica ; finita cum una moresca de gioveni ben disposti, « tutti vestiti ad una medesima livrea, che molto piacqui « a Madamma et a qualunque vi fo presente ». In Roma Isabella s'acconciò dapprima nel palazzo del Duca d'Urbino, ma poi, venuto l'estate, trovò dimora più comoda e fresca ('). Yi stette questa volta assai a lungo, fino ad assistere al tristo spettacolo del sacco, durante il quale corse vicende che narreremo in altra occasione. Il Bembo scriveva ad Isabella il 10 aprile 1525 : « La S"-» Marche- « sana molto onorata e bene accompagnata va con la sua « carretta or qua or là, il che fa non men bello che nuovo « apparimento » (^). Par di vederla sempre insaziabile di / l ) Lo si ricava dalle lettere che spediva a Mantova l'ambasciatore Fraucesco Gonzaga. (2) Lettere, iv, il. 272 cose d'arte, sempre curiosa del bello e del nuovo, in quella Roma inesauribile, su cui dominava di nuovo un Papa mediceo ! Ma dove mai le sciagure non raggiungono l'uomo ? E di sciagure ne dovevano capitar due, una dopo l'altra, una più grave dell'altra. Morì a' primi d'ottobre del 1525 il cardinale Sigismondo, che la Marchesa diceva d'amare come un fratello carnale ; e infatti in più d'una scabrosa circostanza di governo egli l'aveva con la sua prudenza sorretta. Essendo in quel tempo Elisabetta d'Urbino mal ridotta di salute, Federico le usò il riguardo di partecipare la nuova ad Emilia Pia, il 3 ottobre. « Sapendo (egli le « scriveva) quanto habbia ad essere il dolore che di tal « perdita sera per sentire la IIW-^ et Ex"»* M"»^ nostra eia « et madre obser'"^.. e quanto sua Ex. di natura è sensi- « tiva... dubitarne che la non incorra in qualche periculo « de la vita propria, et pertanto mi è parso scrivere questa « nostra lettera a V. S. et avisar il caso a lei, la qual « pregamo velia usare de la sua solita prudentia et de- « streza in questo caso in far che la non riceva questa « mala nova tucta in una volta, ma a poco a poco, per « asuefarla a patire il dolore et provedere che qualche uno « incautamente non ce lo dica inanci il tempo... » {*). Ma la maggiore, ma la dolorosissima tra le perdite do- veva seguire l'anno appresso. Sugli ultimi di gennaio del 1526 la migliore amica della Marchesa, la gentildonna in- temerata, Elisabetta Gonzaga nei Montofeltro, cessava di vivere tra l'universale costernazione dei sudditi. Elisabetta non ebbe il conforto di vedersi circondata dai suoi figli di adozione, poiché il Duca d'Urbino e sua moglie si trovavano allora sul Veronese. In data 28 gennaio, Leo- (1) Copialett. riscrv. del Marchese, L, xxxv. — 273 — nora scrive alla madre che avendo appreso la grave malattia della Duchessa, ha mandato subito in gran fretta ad Urbino lo scalco Liicantonio ; ma tre giorni dopo il Della Rovere desolato partecipa : « con acerbissimo dolor mio, in « questa hora ho havuto aviso come la ill™^ S'-^ Duchessa • mia madre et zia di V. Ex. è passata di questa vita ». (Lett. da Legnago al Marchese). E Leonora esprime alla sua volta eguale afflizione, quale « si convene alla obser- « vantia filiale che io haveva a sua Ex. et a l'amor ma- « terno che lei mi portava ». Il dolore della marchesa Isabella si può immaginare. Ecco quanto ne scrive il 5 febbraio 1526 l'ambasciatore Francesco Gonzaga. Dalla sua lettera ricaviamo anche il bello elogio che della defunta duchessa fece papa Clemente, al quale non si può negare perspicacia nel conoscere gli uomini : « Ella « (Isabella) ha havuto gran°i° despiacere de la morte de la « ill°i» S'" Duchessa de Urbino vidua, di bo. me., che oltra '^ la attinentia del sangue et il singular amore che l'una « et l'altra de S. S"^ si portavano insieme, li pare chela « iactura sia gran"", per essersi fatto perdita d'una così « singular donna come fusse alla età nostra : pur essendo « così piaciuto a N. S. Dio non si può fare altro che bavere « patientia. La nova de ditta morte era gionta qui a l'am- " bassatore di Urbino poche prima che io havessi la let- « tera di V. Ex., che fu venerdì sera, et essendo l'hora « tarda et Madama in compagnia de certi Cardinali, non ne « parve dirne altro per alhora, ma si aspettò di communi- * Carli tal mala nova la mattina seguente. La S*^ di N. S., « con la quale mi è accascato parlarne, ha dimostrato ha- « verne despiacere assai anchor lei, dicendo che tal per- « dita è stata de dona rara et de singular virtù alli tempi « nostri, et che di questo Sua B"^ era molto ben informata 18 — Luzio e R:mi:r. — 274 — « per liaverla conosciuta assai domesticameute ne li tempi « de la sua più bassa fortuna, et liami ditto die 'l S' Duca « ne liaverà bisogno assai in quel stato per haverlo S. S'"'" « nianegiato sempre con gran'»* dextorità et prudentia et « con una benivolentia mirabile di quelli sui populi ». Tutti riconoscevano che s'era perduto una donna vera- mente eccezionale, in cui alla bellezza (*), all'amore per (1) Bella la proclamarono unanimi i contemporanei, anzi bellis- sima; ma se dice vero il ritratto di lei che è nella Galleria degli Uffizi (riprodotto ncìVArch. stor. deWarte, iv, IfiO), che alcuni vol- lero opera del Mantegna (vedi commentario a Vasari, ih, 422, ove si confonde Elisabetta con Isabella) altri di scuola veronese (forse del Bonsignori?), se dice vero quel ritratto, bella non era. Nulla peraltro in lei di quella maschera di mulatto del march. Francesco. Tratti regolari, fronte altissima, occhi languidi, ma in tutto il complesso una impronta di gravità, di bontà, di mitezza. Del resto la iconografia della Duchessa non è troppo ricca. La notizia del ritratto che le avrebbe fatto Raffaello si basa su di un'ipotesi emessa dal PuNGiLEONi, Elogio di Raffaello^ p. 75, ed appoggiata dal Passavant, Raffaello, i, 80. Oggi quel ritratto nessuno sa dove sia. Il Gruyer parlandone nell'opera sua Raphael peintre de portraits, l, 220-21, as- serisce esser copia del ritratto raffaellesco quella miniatura che un poeta che si chiamò il Pupillo pose in testa ad un suo poema. Avendo Elisabetta il merito d'aver dato principio ai monti di pietà nello Stato d'Urbino, il Pupillo dedicò a lei ed al card. Antonio del Monte il suo poema, scritto verso il 1512, quando fu eretto il monte di pietà in Fabriano. II codice unico, che contiene quel poema, ha in fronte i ritratti di Elisabetta e del cardinale. Ne parlarono il Pungiglioni, Op. cit, p. 73 n., il Ricci, Mem. storiche della Marca d'Ancona, 1834, II, 37, il Reposati, Op. cit., ii, ;»()-97 e pochi altri. Era il co- dice un tempo nella bibioteca dei canonici di S. Salvatore in Bologna; oggi è tra i If) ms. di quella libreria che rimasero a Parigi (vedi L. Frati, nella Rivista delle biblioteche, voi. il, p. 4), ed ha pre- cisamente il n. 1057 fra gli italiani. Poco esattamente è indicato dal Mazzatinti, i, 183; per noi lo rintracciò e ce ne forni la de- scrizione il sig. C. Couderc. Il Gruyer, pertanto, avrebbe potuto esaminare quella miniatura purché si fosse recato alla Nazionale di -LEONORA GONZAGA DELLA ROVERE Duchessa d'Urbino, — 275 — tutte le cose belle e buone andavano congiunte grande saggezza, soavità e purezza di costume, onestà a tutta prova, mantenuta in circostanze diificili, tra molte tentazioni, in un secolo grandemente corrotto. Parigi. Sia essa o no una copia del ritratto di Raffaello, ha pur sempre non piccolo valore iconografico perchè è opera contemporanea. L'effigie in profilo di Elisabetta trovasi pure nella medaglia che di lei fece, secondo le ultime indagini, Gian Cristoforo Romano. Cfr. Armand, Médailleurs^, il, 118 e iii, 202 e Venturi in Arch. stor. delVarte, l, 154. Riproduzioni nel Trésor de numismatique, med. it. ii, x.xiv, 3; in Reposati, Op. cit, p. 96; in Marcolini, Op. cit, p. 225; in De^tnistoun , II, 84; in Muntz, La Renaissance à V epoque de Charles Vili, p. .371. IIIIIIIIIIIMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIMIIIIIIinilllllllllllllllllllllllllllllMIIIMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIMIinil VII. (1527-15H9) Le notizie posteriori alla morte di Elisabetta, non sono né molte né molto interessanti. Noi le riassumeremo in breve. I rapporti tra i Gonzaga e i Della Rovere si vennero sempre più raffreddando. Il carattere di Francesco Maria, in cui alla violenza giovanile successe una prudenza spinta sino alla codardia, era troppo in contrasto con quello cavalleresco di Federico. Quindi spesso sorgevano tra loro delle discordie, degli attriti, che lasciavano tristi sedimenti negli animi d'entrambi. Da una lettera d'Isabella a Leonora dell' 11 ottobre 1527 apprendiamo clie una « umbreza -' simile era nata appunto in quel tempo, e che la buona Marchesana \5ercava di restituire la pace (^). Querela più seria sopravvenne nel 1534, questa volta per motivi d'interesse, che la tenace Leonora era sempre pronta ad accampare. (1) Ardi, di Firenze, Urbino, CI. i. Div. G., filza 265, e. 245. — 278 — Da Urbino fu spedito a Mantova nel luglio di quell'anno, a bella posta, Pietro Panfilio (*). La freddezza che sempre notammo fra Leonora e la madre andò aumentando dopo la morte d'Elisabetta, che era fra loro un vero anello di congiunzione (^). Leonora differiva anche dalla madre per le sue tendenze mistiche. Essa prese qualche parte, quantunque con la solita sua incertezza, a quel movimento religioso diretto ad una ri- forma nel seno stesso dell'ortodossia cattolica, per cui si appassionarono tanto Vittoria Colonna e Caterina Cibo Varano (^). A ciò l'indole d'Isabella decisamente repugnava. Non fa meraviglia quindi che madre e figlia non si rivedes- sero molte volte, né cercassero troppo di rivedersi. Si tro- varono a Bologna nel 1530, quando vi convennero Cle- mente VII e Carlo V per la solenne coronazione (^). Leonora era a Mantova nel 1533, e vi partorì in aprile il figliuolo Giulio, che doveva un giorno essere cardinale (^); (1) Varie lettere di lui alla Duchessa, che trattano deirargomento, sono nelle cit. carte d' Urbino dell'Archivio di Firenze, ci. e div. cit., filza 266, e. 113 segg. (2) Fra Leonora ed Elisabetta sembra siano sempre intercedute relazioni molto affettuose. Vedi anche Deknistoun, Mémoirs, ili, 48-49. (3) Vedi le lettere del Vergerlo (1540) pubblicate nel Carteggio dì Vittoria Colonna, ed. Ferrero-Miiller, Torino, 1889, p. 196, ed anche la lettera della Colonna a Leonora di pp. 106 segg. Vittoria amava Leonora, ch'essa chiama in una lettera del 1532 « la mia Duchessa d'Urbino " Carteggio cit. p. 144; cfr. p. 155. (4) Francesco Maria e la moglie vi giunsero il 22 febbraio 1530; Isabella v'era già dal novembre dell'anno precedente. Cfr. Gr. Giordani, Della venuta e dimora in Bologna di Clemente VII ^^er la co- ronaz. di Carlo V, Bologna, 1842, pp. 19, 106-107 e note relative. (5) Ugoliki, II, 250. - 279 - poi ve la troviamo solo nel 1537 (*), l'ultima volta che rivide la madre. Due figliuoliue di Leonora sembra per altro fossero in Mantova nel 1527, perchè Cleofe Ubaldini, probabilmente la loro governante urbinate, ne scriveva alla Duchessa il 14 giugno 1527 : « Ancora non ho menato le puttine a « Madonna ill"'^ perchè essendo tornata quella in Mantova « iere, è stata et è S. S"^ molto occupata » (-). Infatti Isabella tornava da un viaggio disagiato, sfuggita a pericoli maggiori in Roma, durante il sacco. Il figlio le inviò incontro a Ferrara una eletta comitiva, ed in Mantova, quando la Marchesa vi si fu ridotta sana e salva, le fu fatta dal popolo una vera ovazione. Particolari di ciò, che riserviamo ad altro luogo, danno due lettere dirette a Leonora, l'una da Ferrara (10 giugno 1527) di Lelio Capilupo, l'altra da Mantova (15 giugno 1527) del Tridapale ('). In questo e negli anni successivi il Tridapale non mancava d'informare Leonora di ciò che faceva la madre ; e le sue lettere (*), per quanto di poco interesse, sono tuttavia più nutrite di quelle che Isabella medesima dirigeva a (1) Isabella scrive il 30 maggio 1537 al figlio Ferrante: " Quello u che di me si può scrivere a V. S. per ora è che io sto bene, et u tanto più lieta del solito quanto comporta il diletto che mi viene u da godere, oltre Mons""* R"'» [il card. Ercole], la Duchessa d'Ur- « bino nostra anchora , la quale mo' terzo di giunse qui , et per « quello che ella dice et per quanto si comprende nella ciera che " ha, è così sana come sapesse desiderare ». La lettera si trova nella Autografoteca Campori, ora entrata nell'Estense di Modena. (2) Arch. di Firenze, Urbmo, CI. i, Div. G, filza 265, e. 989. (3) Ambedue queste lettere sono nell'Arch. di Firenze, Urbino, CI. I, Div. G, filza 265, ce. 725 e 695. Il Tridapale era succeduto all'Equicola (f 1525) in qualità di segretario d'Isabella. (4) Sono disseminate nella filza 265 della Sez. Urbino, ci. e div. cit., dell'Archivio di Firenze. — 280 — Leonora {*). lu queste si tratta quasi sempre di cose così supi^rfioiali, ohe noi nou crediamo neppur pregio dell'opera l'andarvi spigolando. Nonostante questa grande freddezza, la Marchesa era pur sempre donna e madre. La pietà, che l'anima sua gentile sentiva così facilmente per tutti, doveva ravvicinarla anche alla figliuola, allorché la sapeva disgraziata. Su di ciò è notevole assai la seguente lettera che inviava da Mantova a Leonora, malata di corpo e di spirito (*), il 17 ottobre 1527, il dabben frate dell'ordine dei Predicatori Serafino da Mantova (^) : « Non sono per tener cellatto (1) Nella medesima filza a e. 244 segg. (2) Due lettere che Paride Ceresara — celebre medico e astro- logo — scriveva da Pesaro al Duca di Mantova nel novembre 1530, contengono un'assai strana rivelazione sulle malattie di Leonora. Essa era una vittima delle dissolutezze del marito, e corse persino il rischio di perder la vista. Il Ceresara, mandato apposta per curarla, scrive il 3 nov. : " Ho ritrovato la Sig" Duchessa epileutica u et ancor come maniaca et haver la gonorea e de tal mali è fatta « molto e molto debile ". Al solito di tutti i medici, accusa l'igno- ranza de' suoi colleghi che hanno aggravato il male; e il 16 nov. con aria trionfale annunzia di aver operato il miracolo, salvando in meno di due settimane la inferma: « Facio intender ad quella come « gli accidenti epileutici e melanconici al presente più non si tro- « vano ne la S""* Duchessa, et è ritornata in se medesma, senza « perdita de gli occhi, come molti dubitavano ». In quel secolo dis- soluto non era il primo caso che delle gentildonne contraessero schi- fose malattie da' loro mariti : Lorenzo de' Medici duca d'Urbino e sua moglie morirono precisamente delle stesse conseguenze del mal francese, a pochi giorni di di.stanza fra loro, come s'è visto (cfr. Glorn. storico, V, 416, n. 2). L'usurpatore d'Urbino e il legittimo erede dei Montefeltro si rassomigliavano perfettamente nella vita sregolata. • (3) Di questo Serafino domenicano, che non è da confondersi col Serafino priore del convento di S. Francesco in Mantova, e molto meno col buffone fra Serafino, esistono parecchie lettere nell'Arch. Gonzaga. Vedi Gian, Fra Serafino huff'ove, p. 5. - 281 — « a V. Ex. S'" mia 111"^* una cossa che mi creggio che •• piacer gli debba. L'altro giorno raggionando con Madama « Ilh'^ madre de V. Exc^ et patrona mia osservane, caschò « raggionar de V. Ex. et de li casi suoi, de li quai quanto « S. Ex. ne mostrasse cordoglio et displiceutia io per me « noi poterei dire. Sua Ex. replicò due volte queste pa- « role : L'è pur stata la poverina un tempo battuta da la « fortuna ! la non ha mai auto quasi ben ! Mi amaraviglio « che la non sia morta de fastidii, con tanta dìsplicentia « che 'l parca che lei medema patisse, de sorte ch'io pro- « metto a V. Ex. per quella servitù che gli tengo che ne " restai tutto sodisfatto, che mai non ne restai tanto, per- « che mi parca vedergli il core. Io l'ho ben sempre cono- « scinta verso V. Ex* amorevole ; ma allora la cognobbi « amorevoliss*, de manera ch'io ardirei in nome et in uti- " lità de V. Ex" sempre quando caschasse l'oportunità « recircarla del proprio sangue et senza dificultà ottenerlo ; « per il che V. Ex^ ha da star de bon animo et appresso « al benefìcio che la sente de l'acqua colocar ancor questa « bona et vera nova, la qual insieme con le orationi et la « bona guarda che la debbe far, sera quella che farà le « zornate de Y. Ex. longissime et felici » (*). La qual lettera, chi ben rifletta, ci dà la misura della freddezza che v'era fra la Marchesa e la Duchessa, giacché altrimenti come si spiegherebbe il gran caso che fra Serafino fa di questa Ijona et vera nova, che una madre si senta mossa a compassione del destino d'una figliuola travagliata ? Persino nel testamento di Isabella, che ha la data 22 dicembre 1535 e che un giorno pubblicheremo intero, ci pare di scorgere, o c'inganniamo, quali fossero i sentimenti della (lì Ardi, di Firenze, Urbino, CI. i, Div. G, filza 2(35, e. 825. — 282 — madre verso la figliuola. Mentre la generosa Marchesa è prodiga di lasciti, rion solo alla prole sua, ma a congiunti, damigelle e famigliari d'ogni genere, nel testare a favore di Leonora, sente il bisogno di richiamare a mediatrice la defunta prediletta Duchessa, quasiché in grazia sua unicamente essa benefichi Leonora. Ecco il passo : « Item « sapendo essa ili*"" Sig^» Testatrice sicome la ilh* Sig'"^ « Isabella Duchessa d'Urbino, di grata memoria, non solo « tolse per figliuola la ilW* S'" Eleonora, Duchessa al pre- « sente d'Urbino, figliuola di essa S^» T., ma anchora sì " come figliuola l'ha trattata et exercitato in lei l'offitio « materno, pur acciochè di continovo tenga memoria di « essa S'^ T.... li lassa la sexta parte de ducati venti- « cinque millia ad essa S""* T. dati in dote » (*). Yien quasi a dire : per quanto sia stata più figlia d'Elisabetta che mia, voglio si rammenti di me. La morte di Emilia Pia dovette servire anch'essa non poco ad allontanare da Urbino il cuore ed il pensiero della Marchesa. Quella compagna indivisibile di Elisabetta poco le sopravvisse. Il 20 maggio 1528 la povera Emilia era già agli estremi, poiché Sebastiano Bonaventura così ne scriveva da Urbino a Leonora : « In questa hora ho inteso commo M* j\Iilia « sta in extremis e li medici de qui l'hanno desfidata e « non credono che la passa de oggie. Lei non parla quasi « niente. M* Gentile sta lì e non pensa che li haliia a « manchare niente. Insieme cum le sue donne s'è provato (1) Queste sono le parole del testamento ufficiale definitivo. Ma pare che Isabella già testasse alcuni anni prima, ijerchè il card. Ercole, con lettera del 21 agosto 1531, inviava alla sorella Leonora una copia « del testamento che già fece Mad. ili"" nostra matre ». Arch. di Firenze, filza 265, sez., ci., div. cit. — 283 - « de farle fare testamento et asettare le cose sue. però « ancliora non c'è stato verso. Lei non s'è confesata ». Continua chiedendo alla Duchessa istruzioni, cioè « quello « se ha fare del suo corpo e 'l partito s' ha da pigliare '- de la sua robl)a » (*). Morì infatti il 21 maggio e il 22 Giammaria della Porta, oratore urbinate in Eoma, cliie- deva a Leonora da Orvieto : « È vero quel che è stato detto « al Papa, che M"'' Emiglia è mancata senza alcun sacra- « mento di la Chiesa, disputando una parte del Corteg- « giano col conte Ludovico in cambio de raccomandarse a « chi gli potea perdonare ? quante zanze si dicono ! Io ^ per me noi credo, pur ogni cosa è possibil. N. S. Dio " doni pace all' anima sua ancora " (^). La verità della diceria sembra luminosamente confermata dalla lettera del Bonaventura antecedentemente riferita. Strana davvero in quei tempi tanta libertà di spirito in una donna ; strana perchè il Rinascimento d'Italia, sebbene in estremo grado irreligioso, fu per abitudine, per superstizione o per ipocrisia, ossequente alle pratiche. La Pia, che era pur donna così virtuosa, seppe fare a meno anche delle pratiche, le quali senza lo spirito sono vuota e disonesta apparenza. Nel Cortegìano essa ci appare non rade volte inclinata all'ironia fine, che è degli spiriti scettici (^), ed è noto che, con agevole bisticcio, fu chiamata impia; ma in ciò non cre- diamo vi fosse alcuna intenzione di mordere la sua mancanza di fede, sì bene unicamente imo scherzo di amanti (1) Ardi, di Firenze, Urbino, CI, i, Div. G., filza 265, e. 663. (2) Questo prezioso doeiim. fiorentino fu fatto conoscere da V. Rossi nei cit. Appunti per la storia della musica in Urbino, p. 6, n. 1. (3) Si veda, per es., il modo come nel Cortegiano (ed. cit., p. -479) richiama il Bembo dalla sua volata lirica sull'amore. — 284 — disillusi, i cui tentativi si fraug-evano contro la sua castità ('). All'infuori delle relazioni accennate, ben poco ebbe Isa- bella da fare in questo periodo, con Urbino e con per- sonaggi urbinati. Ormai quasi tutta l'eletta schiera del Cortefjiano era scesa nel sepolcro : lo stesso autore del libro famoso era destino si spegnesse fuori d'Italia il 7 feb- braio del 1529. In un libretto di spese fatte dalla Marchesa in Roma nel 1527 troviamo notato, sotto il 14 gennaio, una partita di 43 scudi d'oro in oro, pagata a maestro Raffaeli) orefice « per due figurine di preda dura ". Codesto Raflaello era d'Urbino, come risulta da una lettera della Marchesa al residente Francesco Gonzaga in data 31 maggio 1529, nella quale gli scrive che le due statuette comperate non furono trovate antiche e quindi vuole siano restituite a Raffaello ed esige che questi le renda il denaro sborsatogli. In un poscritto aggiungeva : « Quando M'" Raphael « volessi persistere in l'opinione sua che le figurine sue « l'ussero antique, potresti addurli per testimonio M""" Ja- « corno Sansuino sculptore, Gio. Bap''' Colombo anti- « quario et un Lorenzo sculptore, quali havendo vedute « le diete due figurine, le judicorono per moderne, et sono « homini di tale peritia in questa arte, che al loro judicio « si può prestar fede ». ^la Raffaello non voleva convin- cersene e mendicava scuse, onde la Marchesa a scrivere di (1) Vedi OMegiano, p. 210 e la nota del Serassi alle Poesie del Castiglione, pp. 93-95. Li' Unico la chiamava « non Pia, ma Pyra di chi gli crede ". Com'è noto, anche la medaglia di Gian Cristoforo, che fu fatta per lei, porta sul rovescio l'emblema della sua pudicizia. - 285 - nuovo al Gonza^'a il 27 iiiuo'iio 1529 che se l'artefice non ha modo di restituire i denari, le dia almeno « per il cou- « trocambio... quella sua medalia grande che ni piaceva « cum altre cose appresso equivalenti ». E di nuovo al medesimo ambasciatore il 14 agosto : « Circa la difficultà « che usa il p'° M'° Eaphaele con cantar tanto la miseria « come fa, parni che l'intention sua sii di non volerni '. satisfare a modo alcuno, uè sapemo come possa justifi- « care la scusa sua de non poterni contentare, perchè sap- « perno che quando venne la furia de' Colonnesi ni fece « intendere haver salvata la medaglia antica, insieme con « le altre sue cose chare, fuor di Roma, il che ni fa pen- « sare et ecsemi certa che s'el sarà stato accorto in sal- « varia in quel romore, molto più sarà stato diligente in « questo nel sacco di Roma et furia de Spagnoli. Et se ^ altramente dicesse non siamo per dargli credenza così « facilmente, ma siamo nell'opinione nostra che 'l sii iu « facultà sua de poterni dare la medaglia che havemo « desiderato da lui, volendola dare. Così voi sarete con- « tento falline instantia et certificarlo che più presto vo- « lemo restar senza ricompensa delle nostre figurine, che « haverla de cose tristi et vulgari ". Sempre la medesima Marchesana dal gusto elettissimo, dal desiderio vivo di qualsiasi cosa d'arte squisita ! Con la sua consueta tenacia in simili bisogne, ella insiste il 4 settembre 1529, sicché lo ambasciatore mantovano parla fuori dei denti a quel Raffaello; il quale, come ormai la Marchesa si persuadeva (let- tera 15 settem. 1529) era « solito dar cianze ". Quindi allorché seppe di poterne ottenere qualche cosa, fu contenta, tanto poco sperava oramai di cavarne costrutto, e ordinò il 29 settembre al Gonzaga di accettare gli oggetti che maestro Raffaello gli profferiva e di mandarli a Man- - 286 — tova (*). Chi fosse il Raffaello d'Urbiuo orefice, di cui qiù si parla, a noi uon fu dato appurare, perchè nessuno dei RalFaelli artisti vissuti dopo il Sanzio si presta ad una identificazione legittima (-). V'era poi un altro genere di lavori per cui Isabella, an- che in vecchiaia, ricorreva volontieri ad Urbino, le maioliche, che dettero tanta celebrità a Castelduraute (Urbania) e ad Urbino (^). Essa che con tanto amore raccoglieva le cose belle e le specialità (come oggi dicono) d'ogni ge- nere dovunque le trovava, come per vetri si rivolgeva a Murano, così per ceramiche, oltre alle rinomate fabbriche faentine, ricorreva a quelle del territorio d'Urbino. Griov. Francesco Picenardi, detto il Poeta, partecipava da Pesaro (1) Questo rilevante carteggio fu quasi compiutamente pubblicato dal Gaye, Cart.^ ii, 192 scgg. Il D'Arco, Arti ed artefici, ii, lO-l ne riprodusse una lettera. Ne parla anche il Minghetti, Le donne ital. nelle belle arti al sec. XV e XVI, in N. Antologia, xxxv, 1877, p. 16. (2) Verun documento di quest'orefice reca il Bertolotti nello scritto sugli Artisti urbinati in Roma, nel Raffaello d'Urbino, an. xii. Del resto ò noto che vissero alcuni Raffaelli d'Urbino contemporanei al Sanzio. Il Pungileoni {Elogio di Raffaello, p. 46) e quindi il Passavant {Raffaello, i," 368, n.) parlano d'un Raffaello di Ghisello, pittore mediocre urbinate, che sopravvisse d' assai al Sanzio. Un Raffaello Ciarla d'Urbino si vuole sia l'autore di molte pitture su maiolica, che vennero attribuite senza ragione al grande Urbinate. Vedi PuNGiLEOXi , Notizie delle pitture in maiolica fcdte in Urbino, nel Giorn. Arcadico, xxxvii, pp. 348 e 355-56. Egli potrebbe essere stato parente del Sanzio, perchè questi nasceva da Magia Ciarla, e specialmente con lo zio Simone Ciarla fu sempre intrinseco, specie durante le liti con la matrigna. Convien peraltro notare che nessun Raffaello compare nell'Alberetto dei Ciarla parenti dei Sanzio che dà il Milanesi nel Giorn. stor. degli archivi toscani, iv, 253. (3) Su questo soggetto resta pur sempre fondamentale l'articolo cit. del PuxGlLEOKi, che fu ristampato nella 2* ediz. del Pa.sseri, Istoria delle pitture in maiolica fatte in Pesaro e ne' luoghi circonvicini, Pesaro, 1H57. Cfr. anche Dennistoin, Memoirs, in, 382 segg. — 287 - al Calandra il 1° agosto 1530 : « Io sono stato in Urbino « et ho visto vasi veramente ex^^^ e dipinti a paesi, fabule « et istorie sopra tutta bellezza a li ocM mei, et fateli « intendere de la credenza (*) m'avete scritto, la risposta « è stata che non pono dirmi el pretio se non sanno la qua- « lità et quantità, ma dicono dui ducati d'oro e dui e « mezo de l'uno di quelli piatti grandi et de alcuni altri « uno scado... et meza scudo l'uno, et poi scudelle et tondi « tre et quatro pezi al scudo, secondo l'opere, perchè vo- « liono asai et poco secondo la molta et poca manifat- « tura " ('). (1) Davasi questo nome generalmente a quello che noi oggi chia- miamo alla francese servizio, con la differenza che le credenze do- vevano esser ben più ricche di vasellami diversi. (2) Pubbl. in Cahipori, Notizie storiche e artistiche della maiolica e della porcellana di Ferrara, 3* ediz., Pesaro, 1879, p. 111. Si trat- tava veramente d'una commissione del Duca Federico Gonzaga, come si ricava da altra lettera, che a quella si ricollega, e che è in BraGHiROLLi, Lettere ined. di artisti del sec. XV, Mantova, 1878, p. 47. Per altre ordinazioni di maioliche d'Urbino vedi A. Bertolotti, La ceramica alla Corte di Mantova, in Archivio star, lombardo, xvi, 832. Il compianto sen. Morelli suppose, con molta verosimiglianza, che nel primo decennio del sec. xvi fosse regalato da Elisabetta a Isabella il magnifico servizio, di cui sono un resto i 17 piatti di maiolica, dipinti con figure mitologiche, che esistono nel Museo Correr. Egli ritiene siano usciti dalla fabbrica di Casteldurante e sospetta che le figure dipinte su di essi siano di Timoteo Viti. Un altro piatto di quella serie si vede oggi nel museo municipale di Bologna, ed ha gli stemmi dei Gonzaga e degli Este, con quelle note musicali, che sono una delle caratteristiche dello studiolo mantovano*^ della nostra Marchesana. Anche il Museo britannico possiede un piatto della medesima fabbrica, dipinto nel 1525 da Nicola di Urbino per i Gonzaga (cfr. Lermolieff, Die Galerie zu Berlin pp. "219-21 e 235). Da Pesaro Isabella si faceva venire i quadrelli per pavimentare i suoi camerini. Cfr. Braghirolli, Op. cit., pp. 25-26 e 1:5-46, La lettera del Fedeli fu poi prodotta come inedita dal Bertolotti, -aalVArchivio lomb. or ora citato, xvi, 815-17. - 288 - Nel 1534 Gruidubaldo II sposò Giulia Varano, ed al suo doiniuio, quando succedette al padre, morto non senza so- spetto di veleno nel 1538, se non mancarono alcune glorie artistiche, mancò quella rettitudine e quella paterna benevolenza verso i sudditi, per cui erasi segnalato T ultimo dei Montefeltro. Si doveva poi scendere sempre più in basso con l'infelice Francesco Maria II della Rovere, ultimo Duca d'Urbino (*). Ma quella rapida decadenza non vide, per sua fortuna, né la Marchesa di Mantova, che spirò la notte fra il 13 e il 14 febbraio 1539, nò la stessa Leonora, che venne meno il 13 febbraio del 1550. (1) Vedasi, oUre l'Ugolini, D. Ciampi, Gli ultimi signori d'Urbino, in N. Antologia, xxvii, 1874, pp. G82 segg., quantunque sia articolo scritto più da retore che da storico. I iiiiiiiiiiiniMiiiiiiiinniiniiiiinHiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiii YIII. Eccoci pertanto alla fine del nostro lungo cammino, durante il quale documenti svariatissimi ci misero in grado di apprezzare compiutamente le relazioni tra due delle più caratteristiche Corti, tra due delle dame più eminenti del Kinascimeuto. Abbiamo assistito a scene molto diverse nel periodo densissimo di fatti che comprende la fine del secolo xt ed i primi decenni del xvi. Feste, rappresentazioni, musica e ricevimenti in Urbino ed in Gubbio ; particolari di vita privata, di vita letteraria ed artistica; la politica malfida e travagliosa del tempo specchiata nelle due usurpazioni d'Urbino, del 1502 e del 1516 ; il retroscena dei Gonzaga carezzanti nel 1502 il temuto Valentino ; Giulio II che innalza i Della Rovere, Leone X che li schiaccia; Giuliano de' Medici debole, Lorenzo perfido ; la nuova Duchessa d'Urbino non meno diversa dalla vecchia che Francesco Maria 'diverso da Guidubaldo : tutto ciò osservammo alla luce di documenti nuovi e numerosi, che ci parlarono le idee del tempo con la lingua del tempo. E fra queste brut- ture e queste prepotenze sfacciate della politica ci si fecero innanzi numerose figure secondarie, che vennero a pren19 — Luzio e Kkniiòr. - 290 — dere il loro posto noi quadro : rintiMiiorato Castig'lione, l'ac- accorto e galante Bibbiena, il fortunato Bembo, accanto a improvvisatori celebri e ciarlatani quali Serafino Aquilano e Bernardo Accolti, a poetucoli pretensiosi come Vincenzo Calmela, a buffoni veri e propri come fra Serafino. Gran parte insomma della società del Cortegìano noi vedemmo in azione, non in un dialogo finto, ma nei suoi rapporti reali. Lo sfondo del quadro ò dato dall'arte, la grande, la gloriosa arte del Rinascimento nostro, col Laurana, con Melozzo, con Giovanni Santi, con Raffaello, con Gian Cristoforo, tutti idealmente raccolti intorno al palazzo d'Urbino. E in mezzo, in atto soave, si stringono la mano le due gentildonne, a cui per tanti fili tutti i personaggi del quadro si riconnettono ; figure diverse, ma nobilissime entrambe, attcstanti in mezzo a tante vicissitudini, nella prospera e nell'avversa fortuna, nelle occupazioni geniali e nei negozi politici, giovani spose e matrone, la gentilezza del sesso, il profumo delle virtù più squisite, la dolcezza d'una amicizia vera ed inalterabile. FINE. APPENDICE iiiiiiiiiiriiniiiiiiiiiriiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiin iiniinniiii I. Corredo di Elisabetta Gonzaga Montefeltro illustrato dal conte L. A. Gandhii. (Bui). D. Ili 23, 1488, 20 fel. - Urbino). Jocalia et donamenta et bona donata et titulo donationis concessa prò ut diete partes dixerunt, et de quibiis in dieta scriptura siint infrascripta hic prout ibidem materno ser- mone descripta, videlicet : Uno vestito de pan cremosino fodrà de zendal (') morello ciim balzana C) de brocà d'oro alexandrino ('). Uno vestito de pan bruno C) fodrà morello (') cum balzana de pan d'oro alexandrino facto a rizo C). Uno vestito de dalmasco alionato C) fodrà de tela rossa balzana de pan bruno. Uno vestito de raso turchino fodrà de tela cum catafeste dal pè (^) e torno a le maniche de brocà d'oro cremisino. Uno vestito de dalmascho cremesino de tela orla de raso verde. Uno vestito de dalmasco bianche cum una manica fodrà de pan morello et balzana straforata. Uno vestito de dalmasco cum liste C) intorno de brocà d'oro. Uno monzino ('") de pan morello. Uno vestito de dalmasco bertino (")• Una zippa C^) de raso morello listata de brocà d'oro alexandrino. Una zippa de raso cremesino listata de brocà d'oro biancho. Una zippa de raso alionada cum balzana de pan bruno frapatta ('^). Una zippa de taffetà turchino orla de pan bruno al pè. Una zippa de raso cre- mesino foderata de cirlatoni ('*). Uno coretto O de raso cremesino foderato de zendal morello. Una zippa de brocà d'oro cremesino listato de pan bruno. Un paro de maniche de brocà d'oro verde — 294 — facto a stalia ("). Uno paro de maniche de brocà d'oro cremesino in canestrate ('"). Uno paro de maniche de brocìi d'oro pavonazzo. Uno paro de maniche de brocìi da retato ('") cremesino. Uno paro de maniche de brocà d'argento facte a la musarola ('"). Uno paro de maniche de raso cremesino cum recami de perle facte a let- tere (-")• Uno paro de maniche intramate de brocà d'oro et pavonazzo. Una sbergnia (-') de raso cremesino fodrà di ermellini. Una sbergnia de pan morello fodrà de zaudal tm-chino cum zoile et perle e una balzana intorno. Una coltra de tabi (--) cremesino. Quatro tapidi fatti a la dalmaschina ("). Uno paro de cosini de raso cremesino cum una rite doro et dargento, cum uno friso largo facto a la divisa de cabralani et cervete ('") molto belli. Due para de cosini de tela de Cambra lavorati d'oro. Doi cosini de brocà d'oro cremesino. Uno altro cosino de brocà d'oro cremesino fodrà de brasilio f^). Doi cosini de brocà d'argento cremesino. Uno altro cosino de brocà d'argento cremesino fodrà de brasilio. Quindici lenzuoli de tela de rens, 7 de pezzi 4, octo de pezzi tre. Braza (*) de tovalie da tavola de rens. Una tovalia da tavola de rens sustile de braza 20. Cinque panicelli cum li capi lavorati d'oro. Tre panicelli grandi de rens cum li capi lavorati de refe. Braza 20 de tela de rens da fare drapiselli ('^®). Quarantotto drapiselli. Vintiquattro camise de rens. Doi camisce lavorate d'oro (") una de cambra, l'altra de bambasina. Uno lenzuolo de bambasina lavorato d'oro cum le franze d'oro. Una pezza de tela de cambra. Cinque panicelli lavorati. Undici scuffie cum li fresetti d'oro. Quindici scuffie lavorate de rens. Vinti foderetti de tela de rens. Uno pectine da olio da capo C^"). Quatro cassettini et da olio et da pasta (^'). Due foze da testa una de pan bruno una de raso morello. Venticinque tovaioli de rens. Decianove tovaglie da man de rens. Braza (**) de tovaliette de rens, Quatro spechi de diverse sorte f"). Quatro scrignie et coperte de brocà d'oro et de pano cremesino. Una confetiera de zonchita O d'argento. Una taza d'argento. Uno perfumarolo d'argento dorato. Venti forzieri, dieci lavorati d'oro, dieci depinti a la divisa. Una sella de pan d'oro cremisino. Uno quadro da la immagine de la nostra donna. (*) Manca iieirorighiule. (**) I2-l.")r)3 — fra gli oggetti d'argento sono indicati a e. 112 — Candelieri dui darzento bassi sopra quatro 2^^6di de lion con li orli fati a festa. Eiepilogando, dalle sopra esposte ragioni siamo indotti intanto a ritenere che le catafeste di tessuto d'oro che ornavano il fondo della — 299 - gonna e le maniche della veste della Gonzaga fossero festoni, forse con fronde e fiori. Ed ora passiamo alla prima parte del vocabolo catafeste, ossia alla voce caia. In greco significlierebbe all'ingiù: zz-'/^ait-r, andare aìVingiìi, in arabo la stessa voce Kataa o qata sarebbe radice del verbo tagliare. Ma non crediamo d'essere sulla retta strada. Non jiotendo presentare un'etimologia che soddisfaccia, cercheremo almeno darne una esplica- zione. Nel Du Gange (che non iDorta il vocabolo catafesta) troviamo la voce catacli/tus e dice che — cataclytae vestes eae sunt, quae opere Phrigio aclor- nantur — Aggiungeremo poi che clytus, clysus, j>6raclytus significavano contorni, orli. Il Muratori (Tom. i, Diss, xx, Dissertazioni sopra le Antichità Italiane) riporta memoria di un dono fatto da Pasquale I alla chiesa dei ss. Processo e Martiniano, anno S17, di alcuni veli — vela de fundato cum peracli/si de blatlÌ7i circumsuta — ossia con orli tessuti o ricamati in seta chermisina, giacché blattin in arabo vuol dire chermes. E i^arlando del hlattin il Du Gange cita una Carta ann. 1197, ajmd Ughellium, tom. 7, Ital. sacr. pag. 1275 — quatuor sindones de seta., quarum una... de catahlatio — ossia ricamata in rosso chermisino. Altra voce riportata dal Du Gange è il catasamitum o cataxamitum (lo sciamito, come tutti sanno, era un tessuto a 6 licci) e cita un Inv. Card. Barbo ex transcr. 1457 — pianus grecus {catasamitum) reca- matus de auro, de argento et serico poi dice che, campus erat de cata- samito pavonacio. Gertamente sarebbe stato più chiaro se avesse detto sciamito, ma si ha i-agione di credere, che tutto insieme col ricamo prendesse il nome di catasciamito pavonacio. Ora dal fin qui detto dobbiamo conchiudere con molta probabilità di non errare, che la voce cata corrisponda a ricamo e quindi catafeste dal ph significasse un ornamento a festoni ricamati in fondo alla veste. (9) GuM LISTE — A dare un'idea di queste vesti listate basterà ricor- dare una tavola di Bernardino Segale, che si conserva a Milano, nella quale ai piedi della Vergine vedesi Lodovico Sforza colla moglie Beatrice d'Este, che si era sposata sulla fine del 1490. La veste di Beatrice è tutta listata. Nel corredo di Lucrezia Borgia, che giunse sposa a Ferrara nel febbraio del 1502, trovausi notate gonnelle listate d'oro, faldette di raso nero listate di Avelluto, busti a fondo d'oro listati di raso, epe. *. (10) Uno monzino — Sopraveste, più frequentemente detta monzile. Sotto questo nome la trovammo parecchie volte indicata nei registri di guar- daroba della Gorte di Fei'rara della seconda metà del secolo xv. La voce monzile o monzino non si trova ne' glossari, soltanto il Lexique Roman, cu Dictionnaire de la langue des Troubadours de M. Raynouard, porta la voce mongil e cita un testo della vita del monaco Montaudon « Portant tota via los draj)s mongils » portando semi^re la veste monastica. - 300 - Il monzilc lìoveva essere indvuiiento ampio, aperto ilinauzi, lungo fino a ten"a, di provenienza spagnuola, d'origine monastica. Nella guai'da- roba di Eleonora d'Ai-agona, ne troviamo 40, tra il 1478 e 85, alcuni detti ala moresca, molti senza maniche, otto negri, otto morelli, gli altri di A-ari colori. Le sue figlie, di un anno appena, già vestivano il monceleto, pel quale bastava un braccio e mezzo di stoffa. (11) Bertino — Colore ad nigredinem tendeiis, donde il nome di bi/rrum, veste un tempo di vii prezzo; « b>/rrum pretio vili ad servos adscrìbil lex », così un antico Statuto. Fu portato da pellegrini, più tardi da vescovi, e fu sinonimo di rocco, racchetta. Sulla fine del secolo xv e ai primi del XVI, coll'introdursi in Italia delle mode spaglinole, questo colore, anche presso le dame, fu in voga, tanto che vediamo negli inventari di Lucrezia Borgia figurare quindici gonnelle di colore berrettino. (12) ZipPA — Da documenti estratti dal R. Archivio di Stato in Modena, fra i registri di guardaroba della Corte di Ferrara, rileviamo che la zippa era sinonimo di camora, quindi una veste completa lunga fino ai piedi. Anche in questo stesso corredo della Gonzaga troviamo più avanti una zippa de taffetà turchino orla de pan bruno al ]}h. Aveva il busto e le maniche. (Regis. Esten. 1478-83, a e. 38) velludo in due pilli in li busti et uno paro de maniche et uno patio da petto per una zippa per la III. dona Isabella. Il busto era allacciato con stringhe. (Mandati Est. 1422-24, a e. 87) e a di 14 de zenaro (1423) per braza 4 de cor- della de seda de grana a sol. 2 el brazo per alazare zipe per madonna (Parisina). (13) Fbapatta — Molto in uso erano le frappe nel medio evo e una professione era Vaffrappare. A Ferrai^a, al tempo di Nicolò III, tro- viamo dai Mandati che affrappatore della Corte era M" Zanino da Milano, che dava il conto a fin d'anno per affrapadure di zomee, auchi camore, baviere, cappucci e per avere affrapade pezze di panno et per avere affrapadi (car. r22, v) datorno a larma del Signore et a la soa divixa penoni da tromba. Alcune volte le frappe si tagliavano colle forbici. (Reg. Estense 1447, a e. 50, v) factura de affrapare tutte le zomee de panno (per paggi) a le quali se facto a li quarti de drieto una frapa lunga cum le forbexe. Altre volte si tagliavano sopra una incudine con dei ferri (Mandati 1422-24, a e. 125) factura per M" Bonasollo (fabbro) de ferri 7 da frapare che monta Lire 2 et de dare per una ancuzinetta da lavorare 8UX0. (14) CiELATONi — Ecco uiia voce che , come tante altre che trovansi nelle vecchie carte, si avvolge nel mistero. Ne' glossari non è menzionata. Quando questo vocabolo non fosse un corrotto dell'antico syglaton o riclaton. tessuto del quale fino da bassi tempi si facevano vesti, spe- cialmente femminili, potrebbe avere un qualche valore quanto siamo per esporre. — 301 — L'erudito e cortese conte Vinceuzo Ansidei, direttore della Biblio- teca comunale di Perugia, ebbe la bontà di comunicarci uno Statuto del 1400, che conservasi nell'Archivio Decemvirale e che porta per ti- tolo: De vestimeutis, ornanientis et arediis mulieribus, ^jej'miw/s et 2>ì'ohibitis. In codesto statuto troviamo che « possint tamen in quolibet vesti- mento 2}0vtare et habere stamiìaturas, ìntagliaturas et cincigliaturas usque ad duo braccia pani lane et non tdtra. Insujìer statuimus et ordinamus quod nulla mulier piossit facere vestimenta cincigliata vel stamjiata. nisi ut supra dictum est. Ora questa voce cincigliata, significante caratteristica di un tessuto, nel caso nostro ci sembra che abbia molto valore, poiché sappiamo con quanta facilità antichi vocaboli abbiano col tempo e col cangiar di luogo subito modificazioni e più facilmente abbreviazioni. La voce cincigliata abbreviata si converte in cigliata, facilmente in latino si forma in ciclata. Kitornando in volgare potè dirsi cirlalo, donde forse i cirlatoni. de' quali era foderata la zippa della Gonzaga, equivalenti per avventura ad una tela stampata. (15) Coretto — Sinonimo di guardacore o corsetto, ogg-i si direbbe corpetto, indumento da portarsi sotto altre vesti — Corsetum foderatum, quo erat sub capi>a indutwi (Vita S. Phil. Are, tom. 3, col 1931): così il Du Gange. —VioUet le Due dice essere il guardacore una sopraveste con capuccio e fodera di pelliccia. Come possiamo noi credere che sempre questo vocabolo abbia avuto un tale significato, quando nei registri della Corte di Ferrara troviamo (1445-46, a e. 304) che il marchese Lionello ordina braccia due di cetanino raso crimisino 7^e?' farsi tin guardacore per tenere in lecto ? Così vediamo che guardacore alcune volte è sinonimo di camicia o camiciola (Registro 1476, a e. 40). Per la figlia di Ercole I, Isabella d'Este, che aveva due anni: un guardacore onvero camisa per portare la nocte de pano rosado de grana. (16) Stalia — ossia fatto a tagli, a squarci. Molti esempi di quella epoca possiamo presentare di questa usanza comune tanto nelle vesti virili che femminili. Valga questo documento, non privo d'interesse pei suoi particolari, esti-atto dal E. Arch. di Stato in Modena. (Eegis. spese dello Spect. Marco de Galioto M» Carmelengo, 1475, a e. 19) A dì dicto — XIII de novem. — per acunzare uno vestito et cambiare uno coloro gt viste de le maniche, le quale Sua Ex.»- (Ercole I) fiece fendere de sopra j^er traverso, secondo il x>ortare suo dadesso. (17) In canestrate — Nello Statuto bolognese del 1401, che abbiamo citato dianzi, trovasi menzione di una veste fatta a turlis cTiannicati, ossia cannucciati o incannucciati, vale a dire con pieghe a guisa di canne, fatte a scannellature, come un canestro. Le pitture nel palazzo di Schifanoia ed altre del secolo xv danno frequenti esempi di vesti incannestrate. — 302 - (18) Retato — Omamendim sericum, elice il Du Gange, ùtslar rctis con- textum. (19) Ala mdsarola — che è quanto dire ad ingralicolato o a gelosia, anzi 4uest'ultima dizione fu nel secolo xv usata più comunemente. Dal E. Archivio di Stato in Modena (Regis. di guard. 1444, a e. 50) Factura de due zelone de pano largo strnforado poste in manege 2)izole a gombedo delle sorelle del Signore — (Regis. 1447, a e. 47) Factura de avere {'rapata una geloxia larga atorno da ])iedi et ale manege et una alfi-a zeloxia streta })osta a lungo denanzi el vestì. (20) A LETTERE — L'uso di Ornare le vesti cou lettere esprimenti motti ed imprese è anticliissimo, e nel secolo xv era ancora in voga. Cite- remo qualche esempio, tratto dai soliti Registri della Corte di Ferrara. (Mandati 1434-35, a e. 24) a dì XV de marzo yiastro Justo rechamadore debe havere da la camara del nostro Signore per rechamare LXIIII lictere doro ombrade de seda et adornate cum molti caprioli doro cum fìoreti de seda per i punti de le litere... el quale lavoro è 2}osto suso le falde denanci et dui de dredo et inframendue le manege de uno vestito de pano verde (Invent. delle vesti di Nicolò III d'Este, 1441, a e. 38) Vestito de dalmascho cremisi cum le manege strecte rechamade cum lettere et arzenti batudt doradi — (Regis. Est. 1478-83, a e. 44, v) Un fornimento da cavallo con litere 34 doro smaUade, regalato da Ercole I alla moglie. (21) Sbergxia — o Bernia, veste d'origine spagnuola, forse derivante da Ibernia, secondo altri, da una corruzione della voce araba Bornos (sagum cucullaticm). Il Du Gange cita la seguente definizione che ne fa il Gavarruvias: Bs una cajm larga a modo de manto, grossera come manta frazada. Due sbergnie sono notate nel corredo della Gonzaga, una fo- derata di ermellino, l'altra di cendale: la prima per l'inverno, e per l'estate la seconda, ricca di gioie e di perle. (22) Tabi — o attahì, come troviamo in carte della bassa latinità. Vuoisi fosse stoffa di seta ondata, come dice il Carena, il che ci fa ricordare ciò che dicemmo del raso festechin de' veneziani. Doveva es- sere tessuto di pregio, se nel testamento di Betta Dolfin, 1418, ripor- tato dal Gecchetti, è detto che della sua vei-natia (guaniacca) de tabi viride sia fatto unum indumentum prò Beata Virgine Maria posila in ecclesia Beali Salvatoris. (23) A LA DALMASciiiNA — ossia alla guisa dei tappeti orientali. (24) Divisa de cabralam et cervete — Cabra, vox hispanica, dice il Du Gange, in luogo di capra, e che fu usata anche dai latini, e ne cita un esempio in una carta del nono secolo (in append. ad Marcam hisp. col. li^) cabra» XXX et porco'i XXVI. Forse il notaio che redigeva l'inventario del corredo scrisse cabralani — 303 — a notare capre intonse, col pelo lungo; si dice capricorno per signifi- care un becco cornuto ! Che la capra fosse divisa dei Gonzaga all'erudito signor Stefano Davai'i, direttore dell' Ai'chivio storico Gonzaga non consta, quantunque esso pui'e opini debba intendersi per tale, ma era un'impresa di quella famiglia, aggiunge il Davari, la cervella o capriolo. (25) Brasilio — Cuoio rosso, così chiamato dal nome di una pianta, a quanto pare, dell'Asia, cuius succo optimus fìl color rubeus, secondo un Ms. del secolo xv, riportato dal Du Cange. Il brasilio serviva a molti usi. Registri di guardaroba Est. (EE. 1469, a e. 16, v) conciadura de una valisela de brasilio da mantello. — (Mandati 1457, a e. 9) Factura de havere consà una scarana de braxilio, la quale haveva roto el jìcde de legno. Mandati 1422-24, a e. 197, v) Per un officiolo., che coversi ])er Madonna (Parisina). Item conzadura del dito officiolo coverto de braxilio. (26) Dkapiselli — ^'oi possiamo aggiungere da naso come frequente- mente li trovammo menzionati nei registri della Corte di Feri-ara del quattrocento. (Reg. EE. 1469, a e. 21) Drapeselli ventiquattro de tela de Benso (Reims) da naso. Alcime volte erano di piccola dimensione (Cred. e Deb. 1471, a e. 12) ])oste in oj)era braccia tre de tela de Benso 2>er drajiexelli 12 da naso. (27) Camisce lavorate d'oko — Anche Viollet le Due parla di camicie ricamate d'oro, con cordoncini e fili d'oro e molte pieghe, che, secondo il Cecehetti, i veneziani dicevano increspate. (28) Pectine da olio — ossia d'avorio, che si usavano anche alla Corte di Feri-ara (Reg. EE. 1469, a e. 7, v) Pectine uno de avolio facto fare ])er Boman de Bossetti — (Mand. 14'22-24, a e. 72) Ducati trj doro ]}er quatro petini da volio bianchi schietti, zoo duj grandi et duj pizoli, i quali fé venire da Venexia per Madama la Marchesana. Ma non semjjre erano d'avorio. (Libro de le calzamenta 1442, a e. 14) ave Messer Hercules un jìetene de corno per suo uxo — (Regis. EE. 1469, a e. 7, V) petini quattro de busso con dintadura una più spessa delP altra, digradando... (29) Cassettini et da olio ed da pasta — Evidentemente si tratta di profumeria, di cui nel Rinascimento si faceva spreco. Di queste paste facevaiió commercio i veneziani, come del zenzero, del muschio, ecc. Citeremo, fi-a tanti, questo solo esempio tratto dai mandati della Corte di Ferrara (1422, a e. 3) Ducati sejite, quarti trj doro per due alberelli damaschini con le ceste di zenzauro verde et jìer uno quarto de onza de maschio fino. (30) Specchi de più sorte — Il Mimtz « Histoire de Vart pendant la Benaissance » (voi. I), parla di uno specchio ornato di gemme che fa- ceva parte del corredo della figlia di Bianca Maria Sforza. Nei registri — 304 — della Corte di Ftn'rara (Libro de interada, 1461) si fa menzione di specchi lavorati di muschio a la damaschina (orientali) vendnti a Venezia da uno spagnuolo. Nell'inventario dei mobili del marchese Nicolò III, 1436, sono notati due specchi, uno de legno dorado grande a larma estense e dei Malatesta, l'altro con larma de Pii e uno specchietto d'avorio. (81) ZoxcHiTA — E frequente, dice il Galvani nel suo Saggio di un GlosSiirio Modenese (Modena, 1868), lo scambio nel dialetto modenese del g in z, che fa dire zall per giallo, zov per giogo, ecc. Noi possiamo aggiungere che ciò è comune a dialetti di altre città dell'Italia centrale. Zonchetta per giunchelto è quindi facile a spiegarsi. Quanto allo scambio del mascolino in femminino, questo pui'e non è raro. Cosi si usa nei nostri dialetti zeppa per ceppo. Dobbiamo dunque interpretare che questa confetiera o bomboniera fosse composta di piccoli giunchi in argento a guisa di panierino, (32) Fornito — Crediamo debba intendersi per operato. In un docu- mento del secolo xiv citato da Francisque Michel « Recherches sìir le commerce » (pag. 239), troviamo la stessa voce usata nel qualificare un diaspro, stoffa siciliana o lucchese preziosa, operata sempre e spesso con disegni a fiori, animali, uccelli, ecc. Son mantel qui estoit d'un diaspre furnis. (33) A LA PERUsiNA — E quale potcva essere la caratteristica dell'opera di questi damaschi ijerugini? Il chiarissimo conte Ansidei, già citato a proposito del vocabolo cir- latoni, ci ricorda che Lorenzo Spirito, che nacque ai primi del 1400 e mori nel 1496, nel suo poemetto II Publico, parlando del lusso delle dorme penigine del suo tempo, descrive alciuie stoffe allora in voga. Femo j)oi damaschini a farse honore Et fu tanto mirabil quelV ingegno Che 'Z tessevan di varia fronda e fiore. Il che vorrebbe significare che l'opera di codesti damaschini non era in ordine simmetrico, come era l'uso comune con fiori centrali, a ri- parti, ecc., ma a fronde e fiori sjjarsi, a branches et fleurs semées, direbbe il Dupont. Nella collezione di stoffe da noi donata al civico Museo modenese vedesi un frammento che vuoisi abbia appartenuto ai duchi d'Urbino del cinquecento, e questo è appiuito tessuto di varia fronda e fiori. Finalmente il sullodato conte Ansidei ci avverte che anche nella Bi- blioteca di Perugia, in quadri di pittori che fiorirono nella metà del secolo XV, non mancano riproduzioni di stoffe tessute a fronde e fioì-i aparsi. (34) Festa — Sulla voce festa già ci siamo intrattenuti uflla nota re- lativa all'altra voce catafeste. Soltanto dobbiamo notare, che non dice — 305 — feste, ma festa, il che ci indiu'rebbe a credere che il fermaglio rappresentasse lui solo festone in oro. (35) Afazadi — ossia ad angidi o a faccette, come trovammo indicato nei Registri Estensi. Il Boccardo e il Larousse nelle loro Enciclopedie concordano nel dire, che l'inventore dell'arte di tagliare i diamanti fu Luigi di Berchem fiammingo nell'anno 1476 e il Larousse aggiunge che il primo diamante tagliato venne acquistato da Carlo il Temerario. Di più sempre il Larousse accenna a diamanti tagliati in India, ma non dice a quale epoca fosse nata questa industria. Comunque sia, noi presenteremo due documenti estratti dall'Archivio di Stato in Modena, nei quali si parla di diamanti a faccette e ad angoli. Probabilmente non saranno stati lucenti, ma nello stato greggio e naturale. Trovammo il primo fra le note di sj^ese dal 1451 al 1461 (autografo di Borso d'Este) ove sotto la data 4 marzo 1454, è detto: Item per x>aì'te de uno diamante in tre anguli ligado in luna zioielo comprado da messer Francesco Viniero (Venier), veneciano, ducati treamilia trenta ferarixi a dì 9 dito. Il secondo documento fu da noi tratto dal Libro de Creditori e Debitori del 1476, ove a e. 145 leggesi — Zokane Ritio zoiliero de Venezia de havere a dì ultimo de dexembre ducati mille seiìtecento doro de Venezia per uno diamante grosso quadrangulo facto a facete ligato in una panizuola doro che insino a dì XI de zenaro p>^mo passato comparò la Ex.a del nro. Signore (Ercole I) da luj, tempo a 2}agare per luto marzo 1477 come aj)- pare a Intruda al memoriale de la guardaroba a e. 44 e j)osto a spiese (36) CuGULO — Il chiarissimo sig. Stefano Davarì, già menzionato, ci comunica « che la voce cugulo si trova usata nei segni e contrasegni delle rocche e fortilizi dello Stato di Mantova sino dal 1414, così: s;"- gnum castri Severi medius cogulus rubeus j^ernigatus totus de nigro, quasi schizus. Questo segno doveva essere un sasso, probabilmente a forma co- nica, detto cugulo o cogulo, ed anche oggi nelle campagne d'oltre Po cogoi o codot si usa per notai-e un blocco di terra », consistente, elevato, cre- diamo noi, da vedersi di lontano, quale doveva essere questo segnacolo del castello di Eevere, dipinto in rosso « et pernigatu^ totus de nigro, quasi schizus », pernigatus, cioè pernicatus, nicatus da nicere, segnare, ^t secundo credeva seria stata la mente de la 111.^ Sig.>* et volse che disnassimo lì. Gli fu resposto per la Duchessa et per mi, che nui eravamo partite da Mantova per andar incognite a satisfar uno voto a Padua: ma eravamo per questa via venute, perchè la Duchessa non era stata mai a Venetia et che quando la necessità non avesse constrecte essendo in lo habito che siamo non se — 308 — seressimo dimonstvate a S. ]\I. ma sapendo che la era amica de la Ex. V. liavevamo preso securtìi di lei: che non haveressimo facto cum altri. La ce rispose: che havevamo facto troppo bene, et che la non vorìa haver guadignato una gran cosa. Subito che fussimo giunte el spazò alla Sig.'* ma fu pregato da nostra parte che per niente non facesse che fussimo incontrate, ne facto alcuna demonstratione. Cossi siamo gionte qua, questa sera privatamente, et allogiate in casa de ms. Nicolo Trivisano, quale tene lo oratore del Duca de Urbino. Havemo ritrovato in casa Francischino, qual dice che tutta Venetia scià la venuta nostra, et che da li amici de V. Ex. se fa la magior allegreza del mondo ch'io sii venuta. Per hozi non mi occorre altro se non che la p.** Duchessa, Mons. et mi ne raccomandamo in bona gratìa de V. Ex. et io la prego basi el puttino. Domane metterò ad ordine de mandare del pesce et ostreghe. Piingracio V. Ex. che la mi habi mandata qua: perchè gusto meglio Venetia che non feci l'altra volta, per parermi sempre più bella. La Duchessa confessa essere più maravegliosa di Roma. La signora se ne spanta et resta confusa et basa la mane a Y. Ex. Yenetiis xiv Martii 1502. Ex. V. Consors Isabella cum r. 2. 111."^° S. mio. Son certa che la Ex. V, habi havuto dispiacere del disconzo che gli scrissi dubitava patire alla Stellata, ma voglio che la intendi che li mei non furono però cossi da poco, ne io de cossi poco animo che non fussi ben accomodata: ma non già a comperatone de quello seria se fussi restata a Sermide apresso V. Ex. Un sol disaventagio haveria havuto che non serissimo potuto giongere quello di a Chioza dove se bene fussimo al'improviso, per humanità del Mag.^o ms. Aluise Capello Podestà stes- simo molto comodamente et fecene le spese di suo molto hono- revolmente comò per un altra mia ho scripto. Quello che dopo habiamo facto è questo: beri quando fussimo a Ponia (sic, o Poiia), se firmassimo a vedere quelle nave grosse, et intrassimo in quella — 309 — grande che si fa la quale è molto grossa et dicono che la è de tre millia botte et più. Questa mattina andassimo ad udir missa a S.** Maria di miracoli, poi andassimo a S.*^ Zoanne in polo et la scola de S.t" Marco, ritornando per altra via a casa. Dopo disnare andassimo subito a S.*° Marco, credendo a quel bora ritrovarli poca gente, ma non ce reuscì el pensere, essendoline bon numero et per non pretermettere cosa per contemplar bene questa singulare cita andassimo sul campanile de S.*° Marco, dove pigliassimo gi'an piacere considerando el sito et ex,*i hedificii che vi sono. Descesi ritornassimo in barcha ed andassimo a S.*° Zorzo, et alla Misericordia, poi voltegiando per il canale grande ritornassimo a casa. Fin qua non son stata visitata d'alcuno di nostri amici, salvo chel Genua mi tochò la mane nel campanile: et questa sera è ritornato al logiamento per vedere s'el ne bisognava qualche cosa. Mons. et mi parlassimo subito cum Francischino circa il caso de le zoglie : fingendo Mons.'® che lui avesse ritrovato uno amico che lo serve de tre millia ducati: et volere fare questo officio de scoderle prima che V. Ex. lo intendi et questo ha facto Mons. per condure la cosa più secretamente per respecto de li dua millia ducati che pagorono li Albani. Francischino dice chel crede che dandoli li 3000 ducati del capo et la mità de li 450 del interesse: che si poteranno bavere, benché non lo sappi certo : et per questo havemo mandato per lo hebreo, ne si maucarà per Mons." et per mi d'ogni diligentia et de quello se farà ne serra avisata V. Ex. La Duchessa et mi havevamo facto recircare la ser.'* del principe, se potevamo mandare a visitarla alla camera sua; ce ha resposto che'l audirà voluntieri li messi nostri, ma che debano pur andare in collegio. Per essere la cosa nostra tanto pubblica, beochè andiamo coperte, ne pare mandarli a farli reverentia et excusarni se personalmente non gli andiamo: essendo in questo habito^ cossi damattina gli andarano mes. Alexandro et Benedetto Codélupo. De la recoglienza gli serra facto et de la giornata nostra de domane V. S. sera avisata. Desiderando M.* Duchessa vedere el Principe et la signoria, ne potendosi vedere fin dominica in la processione de la oliva havemo deliberato restare fin quel giorno, benché per haverla io veduta non me ne seria curata: ma essendo in compagnia sua — 310 — non mi pare cum mio lionore potere contradire. Lune veniremo a Padua. ]\[arte a Vicenza. Mercori a Verona, et per non cavalcare la zobia ne 'l veneri s.'° staremo quelli dui dì lì, dove me comunicaro : el sabato serimo a Mantua. Mons.'« dice che questa mattina furono qua ms. Zoanpaulo Gradenico et ms. Zoanne Diedo : quali satisfecero cum lui la visitatione, laudando grandemente questa nostra venuta, quale era de summa satisfactione a tutti. La Duchessa, Mons.''® et mi ne raccomandarne a V. Ex. pregandola che in nome mio doni cento basi al puttino acio che quando io serò lì non gli pari stranio se lo basarò. Venetiis xv Martii 1502. Ex. V. Consors obsequens Isabella. 111.° S. mio. Questa mattina ms. Alex.° et il Codelupo furono admessi in collegio, quali in nome de m.» Duchessa et mio parlarono alla ser.*=» del principe in questa sententia: come essendo partite da Mantua principalmente per andare a satisfare uno voto al sancto de Padua, non essendo mai stata la Duchessa a Venetia ne era parso transferirne qua in questo habito coperto per vedere senza rispecto la terra: cosa che non haveressimo potuto fave quando fussimo in publico, parendone che essendo li signori nostri quelli boni figlioli et servitori che sono alla ser.*» sua et inclyto Dominio potere usare ogni securtà nel stato loro, credendo però de potere starli più secretamente che non siamo: ma che essendo mò state pubblicate ce doleva non ritrovarne in habito da potere comparere alla presentia sua, per farli reverentia, et però noi gli havevamo commesso clie in nome nostro gli facessero reverentia pregandoli ad haverne excusate: subjungendo il Codelupo in nome mio che era certa che quando la Ex. V. havesse creduto eh' io fusse stata cognoscuta che la me haveria imposto che ogni modo gli havesse facto reverentia in nome di quella; et però che io gli raccomandava la S. V. et gli ricordava che'l gli era quello ben figliolo et servitore che'l fusse mai, desideroso che occorresse — 311 - qualche occasione alla siib.*^ sua de commaudarli, aciò che cognoscessero in effecto l'animo et disposizione vostra, de la quale io era optimo testimonio: et che gli offereva di novo quello che più volte gli haveva offerto V. Ex. cioè la persona et stato ad ogni beneficio de questa ser.»^^ sig.^*. Ultimo loco li pregorono che fus- sero contenti che stessimo cossi privatamente per potere meglio scorrere la terra: perchè l'altra volta ch'io gli fui in pubblico fui tanto honorata et acarezata che non hebi tempo de examinare la excellentia de Venetia, corno faccio adesso. A queste parole il principe et tutti li consilieri prestorono gratissima audientia dimostrando in gesti et murmuri fra loro grande satisfactione et contenteza. Lo principe rispose: che fussimo le ben venute, ma che gli rincresceva che non l'havessero inteso prima, et che non fus- simo in habito da lassarsi honorare, corno ricercava lo amore che portavano alla Ex.'^ V.^ et S."^ Duca havendoli per dilecti figlioli et benemeriti de ogni dimonstratione , et comò seria convenuto alle persone nostre : il che non esserli concesso, per non scompiacerne, che gli doleva grandemente, ma che più presto erano contenti mancare del debito suo cha volere sturbare li piaceri et commodi nostri, offerendone de exequire in questo privato tutto quello che nui voremo: et alhora dette ordine che ne fusse monstrato el Thesoro de S.*° Marco et la Kesanata. Cum queste parole et grata ciera da tutti furono licenciati. In quel megio nui eravamo andate ad udire missa alla cagrande, et factone condure in barcha al Eealto smontassimo in terra, et cominciando alle pischarie venessimo per Eealto et merzadrie a pede fin alle col- Ione de S.*° Marco. Trovassimo tanta gente che cum fatica pote- vamo passare : et lo piacere fu di tanto colmo che il carainare non ce agravò niente et lo più straco de nui fu Mons.''^ La signora si portò benissimo. Montate in barcha alle collone venessimo a casa; dove ritrovassimo imo secretano de la S."^ quale ce disse che venevaiio quatro zentilhomini savi de li ordini a visitarne da parte de la Sig.i* Facessimo gran resj^stentia : cum dire che non era necessario che la usasse cum nui questi termini, et che'l bastava quello che lui haveva facto, cioè dicto secretario; nondimeno non volsero restare, che subito che havessimo disenato furono qua. La Duchessa Mons.^ et mi li incontrassimo alla scala: et se reducessimo in camera, dove uno de dicti zentilhomini in nome de - 312 - tutti disse che la ser.'" del Principe et Ex.»^» S." Senatori non contenti de la resposta facta alli messi nostri li havea mandati loro a replicare el medesimo, dolendosi non liavere inteso la venuta nostra prima: et che non potessino fami li honori et dimonstratione che haveriano voluto per li respecti che'l Principe havea dieta alli nostri, quali li replicorono cum grande humanità et amorevoleza verso V. Ex. Io gli resposi in consonantia, extendendomì molto circa l'affectione et observantia sua verso questa 111.» S.'** cosa che da loro fu confirmata et gratificata. Partiti sopragionse ms. Aluise Marcello, quale artificiosamente ha differita la visitatione sua finchè'l fusse facta quella de la S.'^ Stette uno pezo cum mi in domestici rasonamenti, ne mi pare puncto manco partesano de V. Ex. del consueto. Venne anchora ms. Philippo Capello, quale similmente stette cum mi et cum Mons.'^'^ familiarmente. Andassimo poi alle Virgine, dove pigliassimo gran piacere vedendo li allogiamenti de le sore et oldendo cantare due di loro; ma per ordine novamente facto ad istantia de Frate Raphaele da Varese, qual predica in S.*° Marco, non gli ponno intrar homini. Ritornati. a casa sopravenne Aluise Marcello, quale parlò a Mons.« significandoli corno era posto or- dine de vedere il Thesoro damattina et la Resanata doppo disnar. Eaccomandome in bona gratia de V. Ex. insieme cum m.» Duchessa et Mons.s Cossi fa ms. Aluise Marcello per mille volte. Il nome de li zentilhomini mandati sono li infrascritti. Supp.<=° V. S. basi el nostro figliolino per mio amore. Venetiis xvi Martij 1502. M. Aluise ]\Iozenigo M. Petro Justiniano M. Zoanne Gabriele M. Aluise Molino Ex. V. Obs. consors Isabella cum r.»^^ O 1 o olo — 111, S. mio. Mando alla ex. V. per Fermo fratello de Franciscliino presente exibitore el pesso de la sorte e quantità, che se contene in la inclusa lista, qual prego essa V. Ex. voglia goder per amor mio. Eaccomandandomi sempre in sua bona gratia: Venetiis xvi Martii 1502. Ex. V. Obsequens conjux Isabella cum r.'^e Presento facto per la Ser.^ S."* P.° Octo forze de libre octo l'uua Marzapani octo grandi dorati Scatolette 29 de confecto de più sorte Pignatte quatro de Zenzerverde Pignatte due Sirupo violato Ciste quatro grande de pesso de diverse sorte Mazzi dui de candele de Cera de 1. XX. Post s. Lo ambassatore del Papa residente qui ha mandato a dire alla Duchessa che essendo hozi in collegio, la ser.**' del principe gli parlò de questa nostra venuta cum dire che la Ex. V. et Duca de Urbino non haveriano potuto fare cosa più grata a tutta questa Sig.'* cha a lassami venire qua, dimostrando per questo una gran confidentia essendo ragionevolmente le più chare cose che habino V.^ Sig.'^; el medesimo confirmano tutti li amici nostri, iterum me racc^» a V. S.^* Ut in litt.ì^ Eadem Consors. 111. S. mio. Questa mattina Aluise da le ragione vechie venne a bonhora al nostro allogiamento et da parte de la signoria ne apresentò le robe anotate in la cedula inclusa. Nui poi andassimo a missa alla Karità et de lì se transferissimo a S.*" Marco, dove — -314 — De fu monstrato la Pala et Thesoro per il mag.° ms. Polo Bai'bo procuratore. Fussinio poi conducte a vedere la sala grande, et le Armarie del Palazo. Descese andassimo a pede per le Merzarie, quale erano state preparate fin in Realto, dove intrassimo in barella ot venessimo disnare. Doppo andassimo alla Rasanata, la quale ni fu monstrata per il nostro ms. Aluise Marcello cum tante careze et domesticheza dil mondo, dove erano li Mag.<=' ms. Carlo Valerio et ms. Polo Capello che ne tocborono la mane. Vista la Rasanata, fussimo conducte in la casa contigua lì dove sta ms. Aluise per es- sere il Thesorero, dal quale fussimo recevute cura la consueta colletione. Ms. Aluise et ms. Polo Capello introrono in barcha cum nui et andassimo a S.*° Antonio per vedere il sepulcro, et nel venire a casa andassimo a visitare la Regina de Cipria quale è nostra vi- cina, et ce havea mandate ad invitare. Fussimo poi acompagnate al nostro allogiamento per li dicti zentilhomini et cossi la giornata d'hogi è finita et se la V. Ex. considerarà el viagio, quale bavemo facto, la ne reputarà le più galiarde donne cbe vadino per il mondo. Raccomandamone in bona gi-atia de V. Sig. la Duchessa, Mons. et mi, et pregola basi el nostro dolce puttino per mio amore. Venetiis xvii Martii 1502. Ex. V. Consors Isabella cum r.''^ Ill.o S.' mio. Partite da Venetia questa mattina siamo gionte qua a Padua circa una bora di nocte allogiate honorevolmente in casa del Conte Achile Bonromeo cosino de la moglie de ms. Julio. Sequi remo il viagio nostro nel modo scripto a V. Ex. sì che gab- bato giongeremo a Mantua. Mentre che siamo state a Venetia non ho scripto novelle per non haverne mai inteso alcuna: se non questa mattina che la Sig.""" Duchessa de Urbino bebé da persona di credito et autorità, quello che credo bal)i havuto prima V. S., tuttavia per essere de impoi*tantia non me pare incoveniente replicarlo. Se ha dil certo — '015 — li ambassatori Francesi essere partiti in di sconcordia da Re dei Romani : et questo per causa che'l Re de Franza voleva essere investito del Stato de Milano prò se et filiis utriusque sexus, et chel fosse incorporato in la corona de Franza: cosa alliena dal apuntamento facto cum Rohano ; ne voleano confirmare la libera- tione del S.'" Ludovico, ne remettere tutti li forausciti, dicendo Francesi chel non era stato parlato se non de li primi: et lo Re dei Romani dice bavere inteso de tutti quelli che sono fora sì per la prima comò per l'ultima mutatione del Stato, in modo che se existima che la pratica sii in tutto exclusa. Questi ambassatori se expectano qua domane et per quanto se ha da quel amico andaranno a Yenetia a fine de restringersi meglio cum la Sig.'^: perchè in questi tempi de la pratica ha pur monstrato il Re de Franza de tenere poco conto de Venetiani. Chi sii auctore de questo aviso Y. Ex. serra poi da me informata. Ho havuto piacere intendere per le lett.^ sue che le mie gli siano state grate, et che la pigli tanta recreatione del nostro figliolino, de la quale non posso fare che non habi invidia a Y. S., ma quando io serò a Mantua vorò recuperare il tempo perso. La Duchessa, Mons.'^e et mi ringratiamola' de le raccomandatione sue, et gli rendemo duplicate. Padue XXI Martij 1502. Ex. Y. Consors Isabella cum r."« iiniiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiniiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiMiiiiiiiMiii iiiiiiiiiniiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii IH. Uu'Ecloga (li Ercole Pio. JlJma j\£nia Per aver cosa da scrirere a V. S. me condussi hersira al spe- ctaculo de l'Egloga composta per questo D. Hercule di Pij ad instantia del E'^o Car,, dimonstrata in sala grande, dove a traverso nel mezo d'epsa sala era uno tribunale ornato sol de tapezarie che guardava verso il Castello, et lì trovandossi il S^ Duca et lo p*° Car. ambidui in mascara et la S'* Duchessa cum bona comitiva de zentildonne, senza altro preambulo de sono ni d'altra pronuncia se presentoe uno pastore gioveneto inamorato, dogliandosse de l'amante sua et de sua trista sorte; et dicto supra tal materia multi versi ne vene un altro più provecto ne l'arte de amar, benedicendo quello loco dove principioe l'amor suo et l'amata sua. et discorrendo in questo dire monstroe contenteza et leticia grande. Et alzando l'ochij et vedendo il primo pastore li adimandoe la causa de la sua tristeza. Narratogli il tuto cum biasmar non tanto la sua inamorata ma anche l'altre done, quello provecto pastore lo ^riprese, laudandole lui da l'altro canto et comemorando succin- tamente li ex.*i facti, vaglia et valorosità de done antiche, hebree, greche et latine, de le quali, dixe, tre mo' ne tenino il principato : una supra lo Heridano, l'altra supra il Mencio et la terza presso il Metauro: intendendo de la p.** Duchessa nostra, de V. S. et Duchessa de Urbino. Facta questa controversia a la longa, dove fo dicto cose notabile assai prò et contra, se ne presentoe un altro. — 318 - lo quale ponendo fine a li ragionamenti di primi dimonstroe anchor lui le done esser digne d'esser amate; et introe a laudare il nome de Borgia, adducendola sempre in ogni capo del terceto. Ne vene poi una pastorella ferita de amore, et narrando la sua grave doglia fra sé dimonstroe prima voler morire cha manifestarse a veiiino de la doglia sua; et cum tal animo dixe voler andare fra lochi alpestri a pianger et rimaricarsi de la sua dura sorte. De che se ne contristoe fra loro li tri pastori, dimostrando portarli compassione. Et sonato uno corno da Gazatori, fori se presentorno multi pastori cum cani a lassio et sogoxi, de li quali il principe d'epsi cominciò a laudare il sito de quello loco trovato per esser florido et ameno cum copia de arbori et de delicate fonte, et dimonstroe che 'l loco et il tempo recerchasse che li pigliassino recreatione et piacere mentre l'hora veniva a ritornar a li tugurij et armenti suoi. Poi vedendo li tri pastori se accostarno a loro, et quello provecto narrandogli la causa del suo essere tardato a ritornare ad epsi, quale era stata per dar conforto et boni recordi al giovane pastore de li gua}^ a lui narrati, li tirarno a se a far giochi et canti cum dire che a questi se doveva vacare et lassar da canto hormai il tanto contristarse, et che doppo fariano sacrificio a la Dea Pallas per conservatione et augumento de li loro armenti, et a la diva Borgia acciò li raccomandasse et defendesse presso il suo divo Alfeo. Et constituito uno signore che havesse a comandare a cadauno d'epsi quello gli pareva, fo comandato a dui che cantassino in una cithera, li quali laudando et depingendo una dona bella cadauno da per se et poi ambi dui insieme cum bona gratia et belle sententie, gli fo posto silenzio, et comandato ad un altro che cantasse in uno lento, lo qual pur cantoe in laude de Borgia diva ; poi fo facto voltezar quatro putarelli disciplinati da quello che va supra la corda, servitore del Cardinale, et lui doppo li discipuli suoi fece cose stupende butandosse inanci et indrieto cum salti schiavoneschi et infine a l'indreto cum simile salto gioso del tribunale, quale è alto più de me circa mezo brazo. Dalida poi, quale era vestita cum l'altri da pastore, cominciò a cantare cum tri suoi compagni, fra li quali era Tromboncino. Finito il canto suo et preparato il sacrificio et facto anche alcuni altri giochi di tomegiare, uno d'epsi per comandamento del S' loro piglioe uno liuto et ingionochiati tutto il resto cum facelle in mano accese — 319 — quale parevano adornate de fronde fece una bella invocatione et deprecatione a le p.*^ Dea Pallas et Diva Borgia, ma per lo più nominando la diva Borgia che fosse contenta de acceptare il sacrificio et le deprecatione loro; et quando non fessine condigne a la sua alteza et meriti ne volesse pigliar il core et boni animi suoi: quale deprecatione finita, fo sparso odori supra il perfumatoro che era lì parato et levati in pedi a dui a dui zirorno tre o quatro fiate il tribunale et li dicti odori, cantando in forma de suppli- catione o sia de letanie, dove dui dicevano prima, poi dieta Dalida cum li compagni suoi gè respondeva cum uno tono dolce et quasi comò volesse dire prega per nui. Finita questa processione lo p.*<> S/« de pastori dixe alcune parole verso lo adolorato pastore, dandogli consiglio et conforto, et dimonstrogli che ultra la recreatione et piaceri che havevano pigliato in quelli giochi et canti che anche il poteva recrearse et mitigare li affanni suoi col ballare insieme cum le done astante. Et cominciato a sonar li pivi tutti salirno gioso del tribunale, et chi una et chi un'altra ne prese per mano. Et mi me ne veni a casa, ne multo credo che se ballasse, perchè già era presso a le III bore, termine che ognuno se ha a trovare a cena a casa sua. Questo è quanto poteti racoglier de l'Egloga, la quale invero fo bella da audire et da vedere. A V. S. baso la mano ecc. Ferr. XIIII febr. 1508. Fidel'»" servo Beknardixo (de' Prosperi). aiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiniiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii IV. Una lettera del Card. Bibbiena ad Isabella d'Este. lll"^* et Ex»"* Madama et padrona honoran. Hebbi questi dì la lettera di Y. Ex. tanto a me grata quanto altra che io havessi potuto recevere al mondo, sì per essere quella tutta gentile in sé et piena di Immanità grandissima, sì ancliora per venire da quella Madonna honorata et observata da me tanto (non posso dire con maggiore efficacia) quanto sono le excellenti virtù sue et le infinite obbligationi mie verso lei. Alla quale lettera se io non respondo di mano mia, come se ricercava, prego V, Ex. mi perdoni, perciochè il sentir tuttavia alquanto di fastidio della mia hemicranea ne è suto cagione et non altro: benché però se bene la scriptura della presente non è mia il dettato è mio, che così almeno ho voluto in parte satisfare al debito et al desiderio mio che era di scriverli di mia mano accertando V. Ex. che nel dettare sentomi alleviare la hemicranea. V. Ex. nella humana, et cortese sua lettera dice che li avanza tanto ocio che a suo piacere potria venderne et donarne a chi ella volesse, il che a me pare difficile cosa a credere, pensando che quan4o bene quella fusse libera da tutte le altre occupationi, li virthosi et leggiadri pensieri che sempre l'accompagnano non la possono lassare in quello ocio che ella dice; che, come si legge di quel romano (credo) Scipione, che solca dire non essere manco solo che quando egli era solo, così di V. Ex. si può dire che non è manco ociosa che quando ella è ociosa, sondo come è in continui negocij che li portano alla mente le virtuose et nobili cogitationi. Ma V. Ex. come modestissima, che è stata sempre, considerando 21 — Luzio e Renier. - 322 — quanto oltre le altre tante obligationi che io ho con epsa lei mi pareria esserli tenuto se per satisfattione mia non li gravassi, sendo occupata, scrivermi di mano sua, ha voluto dire che li avanza tanto ocio : il che fa veramente che tanto più mi tengo esserli di ciò obbligato, quanto ho compreso che per volermi ella manco obligare non ha recusato di deviar foi"se alquanto dal vero. Monstrai la lettera di V. Ex. a N. S., la cui SM la vidde tanto voluntieri et con tante laudi di quella, quanto più exprimere per me non si potria, soggiongendomi S. B.^^^ le cose dello 111.™° S. Duca fratello di V. Ex. essere resolute nello animo di S. S.** secondo il desiderio di V. Ex. di sorte che non potevano revocarsi più, ne più tornare a drieto. Nel che certamente la dispositione et l'animo di S. B"e è stato sempre per se stesso così inclinato che poco ci è stato bisogno della opera mia. Non tacerò già che oltre le altre inclinationi, che S. B°« ha havute sempre circa ciò, il respetto anchora di V. Ex. et l'affettione grande che N. S. porta a quella ha aiutato non poco la materia. Farò quanto V. Ex. mi scrive di non mover parola di quella cosa che ella mi disse a Roma, reservandomi a parlarne, quando a lei parerà che sia il tempo più opportuno. Quanto allo 111"»° S. figliolo di V. Ex. credo veramente che cosi sera, come quella dice, maxime aggiongendosi alla optima natura sua li prudenti ricordi et amorevoli admonitioni di V. Ex. Con grandissimo piacere mio ho inteso il buon credito et la buona gratia, nella quale V. Ex, si trova con lo 111™° S. suo consorte, parendomi che quella ne debba sentire grandissima satisfa- ctione. ]Mi ne rallegro dunque quanto posso con lei, la quale conforto però a guardarsi di non usare in tutto questa gratia, affinchè non habbia mai da pentii-sene. Rallegromi medesimamente che il p.*° S. suo consorte stia meglio et prego N. S. Dio li renda la total sanità, acciocché V. Ex. possa tanto più godere di questa buona gratia che ella scrive bavere con epso lui. La piumina di V. Ex. non potria né più satisfarmi né più es- sermi grata di quello che ella è, così per essere in effetto cosa molto delicata et molto gentile, come per essere venuta da V. Ex. Et certo è ch'io non dormi mai meglio in vita mia. Né giurerei il falso, s'io giurassi a V. Ex. non essere mai notte che io di lei non mi ricordi. N. S. desidera anche egli che V. Ex. li mandi quella, - 323 — che S. S.*a ha vista nella lettera di quella, et veramente monstra che l'haverà sommamente grata, si che V, Ex. può (parenfloli) farla fare, et mandarla a S. B."^® con la quale non bisogna certo che V. Ex. habbia tanto di respetto, quanto ella monstra nella sua lettera, ma può con quella sicurtà governarsi con S. B.°e et usare con lei quella medesima confidentia che faria con Mons. mio K™° suo fratello, tenendo per certo che S. SM l'ama non altrimente che se ella fusse sorella o figliola de S. B.»« Non bisogna che V. Ex, dica dubitare di non fastidirmi con le lettere sue, per ciò che mi sono di tanta satisfattione, che se la discretione non havesse in me loco, io li chiederei di somma gratia che fusse contenta di scrivermine ogni qual giorno una, ma con- siderando che ella le scrive di sua mano non ardisco farlo, non perchè io non le desideri sommamente, ma per non essere causa di dare fatica et fastidio a V. Ex. Le raccomandationi fattemi da V. Ex. per parte de Isabella mi sono sute di suprema satisfattione per bavere amato io sempre et amare tuttavia Isabella più che me medesimo et per essere tutto de Isabella in anima et in corpo ; sì che, o amando o non amando Isabella Mario, son tutto suo et desidero sopra tutte le cose del mundo essere amato da lei. Le cose di m. Mario mi sono alla memoria, et V. Ex. ne lassi a me la cura, che le condurrò al fine che egli desidera. Non re- scrivo a lui, per ciò che havendo desiderio di servirlo non ho vo- luto darli prima parole che effetti. Non ho potuto fare le raccomandationi delle Pellegatte de Isabella alle code mie, per non ci esser quelle, che son restate a Koma. Ma gionto che io serò ove sono le farò di buona voglia, et credo li scranno grate. Io amai ben sempre molto Mons. l'Archidiacono, ma certo da un telilo in qua non posso fare che di giorno in giorno non li voglia*meglio, vedendo quanto egli è servitore aftettionato di V. Ex., che in tutte le lettere sue che scrive o alla S.*^ di N. S. o a me fa sempre quella honorata mentione di V. Ex. che si richiede a vero et perfetto servitore; si che, come ho detto, li sono già tanto affettionato per questi boni et discreti officij che usa in scrivere di V. Ex. che non posso fare che io non li renda quel testimonio ch'io debbo della fede et delli boni officij soi apresso N. S. — 324 - La lettera di V. Ex. ha basiati per se stessa in vece vostra li l>iedi alla S.*-'' di N. S. la quale, come dico di sopra, non potria amar più V. Ex. di quello che si faccia. Ho fatto le raccomandationi allo l\h^° Sj Duca di Nemours (Ginìiano de siedici). Il poverino da circa undici dì in qua è stato di sorte che molto più si è temuto che sperato della vita sua, salvo che quatro dì sono è pur stato alquanto meglio, ma non però che non si temi anchora per non lo havere la febre las- sato per sino adesso libero dil tutto. V. Ex. si dignerà ricordare al Vescovo di Nicla che scriva alle volte, perciochè le lettere sue sono molto grate alla S.** di N. S., ma scriva il vero, se possibile è che lo faccia, benché però se dovrà scrivere il vero mi rendo certo che non scriverà mai. Io mi ritrovo un cavallo turco molto bello et buono, il quale quando V. Ex. ne habbia così voglia, come già hebbe di uno altro di quello amico, gli ne farò un presente molto voluntieri. Mons. mio K'"^ Cito è arrivato qui et non può satiarsi di predicare le careze fatteli costà dallo I1W«> S. Marchese et da V. Ex. S. R»»* S. è suta quella che mi ha detto dil cavallo turco. Ci sono lettere da Roma che Mons. mio R"^° di Aragona va migliorando di giorno in giorno della sua quartana, et che si spera che presto debba esserne libero. Nuove non scrivo a V, Ex. perciocché quella è più vicina a quelli lochi ove bora si attendono, et le deve sempre havere prima che noi altri. Ci sono avisi che in Hispagna si è cridata la liga fra quella M.*^ Cath.'^'^ et il Ser."'° Re di Anglia. Noi piacendo a N. S. Dio partiremo di qui fra octo giorni et ci invieremo per Roma. V. Ex. pensi se li accade cosa alcuna, et mi lo facci intendere, che certo non potria sentire maggior piacere al mondo che adoperarmi in continuo servitio per lei, alla cui bona gratia mi raccomando senza fine, pregando quella che allo 111"^° suo consorte mi faccia raccomandato. Florentie VII februarij 1.516. [Quel che per il piacere preso de l'havere dettato la lettera a V. Ex. è guarito de l'iiemicranial (1). Servo Moccicone. (1) Autografo. iiiiiniiiiniiiiiniiiininiiiiiiiiiiiiMiiiiiniiininiiMnniiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiniiiiii V. Carnevale di Roma del 1521. Baldassare Castiglione, 1° di quaresima 1521, 'al Marchese di Mantova. Le feste... sono passate non con molta belleza ne caldezza, ma sì con gi'ande freqiientia di popolo, perchè Roma è pienissima de gente. N. S. è stato sempre in castello insino al lune ìì sera, dove ha havuto piacere di veder passare maschare, musiche e moresche, benché però cosa molto ex.*® non si è fatta. Il sab- bato sua S.** fece lottare nelle fosse del castello per un buon spatio, forno lottatori gagliardi villani di questo paese, alchuni Svizeri, Gruasconi et altri tali, pur tutti persone di poco grado. La dominicha se corsero li palij, nelli quali li cavalli di V. Ex. forno desaventuratissimi... La dominica di sera in castello li Sanesi fecero una morescha nel cortile assai bella, la quale fu di questa sorte : che poi che fu notte li moreschanti che erano otto giovani sanesi vennero in castello accompagnati da circa 50 servitori tutti in giuppone di raso e calae ad una certa loro livrea e gran torze in mano, e così se misero nel cortile del castello et allargorno uno pavaglione di raso berrettino, sotto il quale erano li moreschanti : el Papa stava con molti altri S." alle finestre, che rispondono sopra il cortile. La morescha fu di questa sorte che prima uscì una donna, la quale con certe stantie in octava rima pregò Venere che gli volesse dare uno amante degno, e così detto se ne tornò, di poi a suono di - 326 — tamburino cominciò dal pavaglione uscire la morescha che era otto lieromiti li quali in liabito griso ballando se menavano iu meggio incatenato uno amore, et così poi che hebbero ballato uno poco si fermorno, e cominciò uno a parlare e dissero: che questo era quello inimico del mondo che faceva tutti e mali, et però lo voleano castigare; et qui ognuno col suo bastone ballando ballando cominciorno a darli, e lui ballando a parare con la phavetra, perchè quelli heremiti gli haveano tolto l'arco. Ballato alquanto questo Amore se inginochiò e fece una oratione a Venere sua matre, pre- gandola che lo liberasse dalle mani di costoro, et così fece per due volte. In ultimo comparse Venere la quale mandò quella donna che l'havea pregata che li desse lo amante degno, per vedere de ingannare questi heremiti; et essa accostatasi a loro li diede a bere un certo liquore che li fece dormire ; et così poi subito scatenò Amore et gli rese l'arco et i strali e tutti Fi suoi ordegni, onde cominciò a saettare questi poveri frati, li quali svegliati si lamentavano forte et pure ballavano intorno ad Amore tutti inamorati di quella donna. Alla quale cominciorno a dire parole amorose, et essa a loro; in ultimo li pregò a dimostrare il valor suo, acciò che essa potesse conoscere s'elli erano degni del suo amore. Onde essi buttata via la schiavina restarono giovani ben vestiti in habito de galanti e cominciorno a ballare un'altra volta la morescha, al fin della quale la donna gli pregò che se mostrassero quanto valevano in arme, e così presero una spada da due mani per uno et fecero una bella morescha con quelle. Apresso tolsero una targa da pugno, con la spada da una mano et fecero l'altra morescha, nella quale se ammazorno tutti excetto che uno il quale fu l'amante di quella donna et così fu finita la festa assai bella invero. Il lune al tardo N. S. venne in pallazzo e vidde correre li somari al consueto. Doppo la sera N. S. se ne andò alle stanzie di Mons. Ii™° Cibo, et in quella sala era preparata una bella scena, nella quale se recitò una comedia non troppo bella : popolo assai vi era, molti Car.'' con sua S'» e corteggiani e corteggiane; oravi anchor la S'''» Marchesa di Massa e la figliola che è moglie del Sj Lorenzo Cibo et una altra sua sorella non maritata, la moglie del conte Hanibal Rangone et la moglie del conte di Lima sorella del Car.'« Salviati, e tutte queste con le loro donzielle. La comedia durò assai che fu insino apresso alle VI bore, poi il Papa - 327 — venne a cena, con S. S.*=* mangiorno circa XII Car.''- e quelle madonne... Heri che fu il dì de carnevale N. S. andò a veder correre le bufale ad una finestra sopra la porta della guardia, il corso fu secondo il consueto. La sera liavemmo un'altra comedia della me- dema sorte, cioè non migliore della prima. L'apparato è molto bello, le comedie non bone, li recitatori mediocri. Queste sono state le feste del carnevale di Eoma, le quali io scrivo fredda- mente perchè esse ancor invero non sono state molto calde. In qualche loco per Roma sonosi ammazati thori, come in Agone et inanti casa de Medici, ma non è intravenuto cosa alcuna memorabile. Note aggiunte. A p. 23, n. 2. Aggiimgasi, intorno al costume guerresco della gatta, il rinvio a ciò che ne dice A. Medin nella terza appendice alla disp. 244 della Scelta di curiosità letterarie. V. Gian ri chiama la nostra attenzione su questi versi del Morgante (ili, 41), ove parla Brunoro, gigante saraceno : 'A Ercol s'agguagliò quel ciutfa 'l mosto O cavalkr di gatta, o qualch'araldo. A p. 63, 11. 3. Si noti che oggi a Venezia diconsi scartini " tutte le carte che non concorrono a far punti nel gioco ".Vedi A. P. Ninni, Giunte e correzioni al Dizionario sul dialetto veneziano, Serie iii, Venezia, 1890, p. 221. Sulla probabile origine del vocabolo, cfr. Flechia, Postille etimologiche, in Ardi, glottologico, ili, 125. A p. 78, n. 1. Rispetto ai dipinti di Melozzo nella biblioteca di Urbino, leggasi ora anche Lerholieff, Die Galerie zu Berlin, Leipzig, 1893, pp. 48-49. A p. 82, n. 2. Sia rammentato anche l'articoluccio di A. Bertolotti, Relazioni dei Gonzaga, signori di Mantova, con indovini, astrologi, alchimisti e altri ciurmatori, nel periodico Natura ed arte, 15 luglio 1892. A p. 95, n. 1. L'articolo di Vitt. Gian da noi annunciato, Di Gio- vanni Muzzarelli e d'una sua operetta inedita, vide la luce nel Giornale storico della letteratura italiana, voi. xxi, 1893, pp. 358 e seg. A j^.' 96 e segg. A proposito del Galmeta, non passi inosservata la lettera di lui a Gateriua Sforza Riario (Milano, 31 ott. 1499) che dall'Archivio milanese pubblicò P. D. Pasolini nella sua Caterina Sforza, ili, 403. Gfr. anche ii, 127-28. A p. 128, n. 2. Sul Gorberano vedasi anche un documento del maggio 1500, edito dal Pasolini, op. cit., iii, n.o 1129. Ivi egli è chiamato Corvarano. — 330 — A p. 187. Rispetto aireducazione di Leonora si raininenti che nel 1500 Isabella aveva manifestato l'intenzione di farla educare in Francia presso la regina Anna di Brettagna. La lettera gentile che costei scrisse in proposito alla Marchesa è in PélisSiER, Les amies de Ludovic Sforza, estr. dalla Bevue historique del 1891, p. 15, n. 1. Gli avvenimenti politici occorsi dipoi spiegano perchè non se ne facesse nulla. A p. 213, 7ì. 2. Intorno alla rappresentazione della Calandria in Mantova nel 1520 si veda oggi anche l'opuscolo del Gian, Una giostra mantovana nel carnevale del 1520, Torino, 1893, per nozze Pélissier. Siano qui rammentate, a proposito del Bibbiena, le lettere di lui che uscirono in luce recentemente nell'qp. cit. del Pasolini, hi, nn. 536-540, 545, 551 ; cfr. i, 340-41, e nell'opu- scolo di A. Virgili, Lettere di Casentinesi, Firenze, 1893, per nozze Gratteschi. Sono tutte del 1494, estratte dall'Archivio di Stato fiorentino. H^IDIOIB Al Lettore Pag. I. 1471-1489. — Xascita d'Elisabetta Gonzaga. Prime occupazioni e studi. Rapporti con le sorelle e col fratello maggiore. Relazioni dei Gonzaga coi Montefeltro. Il palazzo d'Urbino. Elisa- betta parte per Urbino il 1" febbraio 1488. Suo matrimonio con Guidubaldo Montefeltro. Sentimenti della sposa. Documenti sul viaggio e sulle feste di Urbino. Una rappresentazione di Giovanni Santi. Notizie del padre di Raffaello. Il cavaliere della gatta. La comitiva d'onore d'Elisabetta: Benedetto Capilui)o e Silvestro Calandi-a. Gita a Fossombrone. La consumazione del matrimonio protratta. Schiarimenti intorno all'im- potenza di Guidubaldo. Il Duca e la Duchessa a Cagli ed a Gubbio. Il palazzo di Gubbio. Il ballerino Lorenzo Lavagnolo. Rappresentazione sacra in Urbania nel 1488. Francesco Gonzaga in Urbino e rapporti di lui con Elisabetta in questo tempo. Nell'ottobre 1489 Maddalena Gonzaga viene sposa a Giovanni Sforza di Pesaro. Feste alle cxuali assiste la Duchessa. Malattia di quest'ultima » IL 1490-1501. — Nozze d'Isabella d'Este con Francesco Gonzaga. Elisabetta a Mantova. Intrinsichezza delle due principesse, e loro gita al lago di Garda. Ritorno d'Elisabetta ad Urbino. Morte di Maddalena Sforza, 8 agosto 1490. Salute cagionevole della Duchessa d'Urbino. Desiderio che ha di lei Isabella. Viene a Mantova nel 1493. Lo scartino. Viaggio della Marchesa a Venezia, poi a Ferrara. Nascita di Leonora, primogenita d'Isa- .i)ella, il 31 dicembre 1493. La tiene al fonte Giovanni di Pier- *francesco de' Medici. La pietra aquilina. 1 Duchi d'Urbino accolti con festa nella loro residenza. Isabella a Loreto. Di là va a Gubbio, poi ad Urbino. Tenerezze paterne del Marchese. Otta- viano Ubaldini. Egli procura alla Marchesa giudizi astrologici. Credenze astrologiche d'Isabella. Scambio di musicisti fra Mantova e Urbino. Elisabetta di nuovo a Mantova. Secondo parto della Marchesa. Essa va incontro al marito e in Fano si trova con la Duchessa e con l'Ubaldini. Emilia Pia, e poi nuovamente Elisabetta a Mantova. Sarafino Aquilano. Poeti che iuueggia- rouo alla Duchessa d'Urbino. Vincenzo Calmela. Kelazione di quest'ultimo intorno all'attentato contro Alfonso di Bisceglie, 1500. Elisabetta a Roma. Nasce il primogenito d'Isabella, Federico, e Cesare Borgia ne è il padrino. Morte di Antonio Montefeltro, marito di Emilia Pia. Il musicista Jacopo di S. Se- condo in Urbino. La musica a quella Corte PaQ- 51 III. 1502-1503. — Isabella, Elisabetta e Lucrezia Borgia in Ferrara nel 1502. Un memoriale del Calmeta, cui risponde la Duchessa d'Urbino. Viaggio di questa, in compagnia della Marchesa, a Venezia. Relazioni d'Isabella con Caterina Cornare. I Montefeltro spogliati da Cesare Borgia del loro dominio. Rapporti dei Gonzaga con Cesare Borgia. Mantova asilo di principi spodestati. Magnanimità ed accortezza nei portamenti d' Isabella. Il disegnato scioglimento del matrimonio fra Guidubaldo ed Elisabetta. I Duchi d'Urbino, licenziati da Mantova, ripa- rano a Venezia. Miseria di Elisabetta. Sua corrispondenza col fratello e con la cognata. Guidubaldo rientra in Urbino. Feste che gli si fanno dal popolo suo. Ritorna anche la Duchessa e vi è parimenti festeggiata. Il Valentino in lacrime. Commedia storica dell' occuijazione d'Urbino -> 113 IV. 1504-1509. — Francesco Maria della Rovere adottato da Guidubaldo e Leonora Gonzaga fidanzata a liii. Emilia Pia informa da Roma Isabella (nel 1504 e 1505) di ciò che vi succede. I ri- tratti di Leonora Gonzaga. Scambi di preziosità artistiche e letterarie fra la corte urbinate e la mantovana. I due Cupidi. Giulio II in Urbino nel 1506. Vi è anche il Marchese di Mantova. Baldassarre Castiglione. Il matrimonio di Felice della Rovere con Giangiordano Orsini. Morte di Guidubaldo nel 1508. Francesco Maria va a Mantova per conoscervi la sposa. Leo- nora Gonzaga, sua educazione e qualità spirituali. Aspetto e carattere di Francesco Maria. Elisabetta ed Emilia Pia ven- gono nel 1.509 a Mantova per prendervi la sposa. Partenza per Urbino e ricevimento. Bernardo da Bibbiena scrive da Urbino alla Marchesa » 155 V. 1510-1515. — I Della Rovere in Roma. Federico Gonzaga ostaggio presso Giulio II. Raffaello Sanzio ritrae più volte Federico. Malattia di Elisabetta. Viaggio di Federico ad Urbino. La guerra di Giulio II contro Ferrara affidata a Francesco Maria. Viltà del Marchese; accortezza d'Isabella nel disporre il genero a favore del fratello. Leone X. Il Bibbiena annuncia alla Marchesa la proclamazione di lui a pontefice. Relazioni del Bib- biena con Isabella. Quest'ultima va a Roma nel 1514. La Calandria. Il precettore Cristoforo de' Franchi. Francesco Maria in disgrazia del Papa > 199 — 333 — VI. 1516-1526 (1). — I Della Eovere spogliati del ducato d'Urbino. Giuliano e Lorenzo de' Medici. Di nuovo il Bibbiena. Elisa- betta a Roma. I Duchi d'Urbino a Mantova. RaiFaello e i Duchi d'Urbino. Raffaello e i Gonzaga. Le nozze di Bald. Castiglione ed il suo primo figliuolo. Francesco Maria combatte jDer ricu- perare lo stato. Dappocaggine di Lorenzo de' Medici. Suo matrimonio e morte. Viaggi d'Isabella. Il Bibbiena va in Francia. Il Castiglione a Roma. Gli muore la moglie. Lettera del Bib- biena relativa a questa sventura. Per opera del Castiglione, Federico Gonzaga diAdene nel 1-521 capitano generale della Chiesa. Egli licenzia da Mantova gli ospiti urbinati. Morte di Leone X. Francesco Maria ricupera il ducato d'Urbino. Il Castiglione in Roma. Nel 1523 egli accompagna Isabella a Pa- dova ed a Venezia. Carteggio della Marchesa con Elisabetta. Il Castiglione di nuovo in Roma. Tornando a Mantova nel 1524, conduce seco Giulio Romano e porta un disegno di Michelangelo. Michelangelo e i Gonzaga. Bernardo Accolti detto 1' Unico Aretino. Relazioni di lui con Elisabetta, con Isabella, con Leonora. La Marchesa in Roma. Morte di Elisabetta nel 1.526. Suoi ritratti. Sue qualità morali Pag- 219 VII. 1527-1539. — Rapporti non buoni di Francesco Maria della Rovere con Federico Gonzaga. Freddezze tra la Marchesa e la figlia Leonora. Morte di Emilia Pia nel 1528. Un secondo Raffaello di Urbino. Maioliche urbinati acquistate da Isabella. Morte d'Isabella Gonzaga e di Leonora della Rovere. . . » 277 Vili. — Conclusione » 289 APPENDICE. I. Corredo di Elisabetta Gonzaga Montefeltro illustrato dal conte L. A. Gandini (20 febbraio 1488) Pag. 298 IL Isabella ed Elisabetta a Venezia nel 1.502 » 307 III. Un'ecloga di Ercole Pio (14 febbraio 1508) » 317 IV. Una lettera del cardinale Bibbiena ad Isabella d'Este (7 feb- braio 1516) » 321 V. Carnevale di Roma del 1521 » 325 Nq^e aggiunte » 329 (1) Nella intestazione di pag. 219 è sfuggito, per errore tipografico, lui 1.529 in luogo di 1526. 00 LO [>- caCD University of Toronto Library Acme Library Card Pocket LOWE-MARTEM CO. Umited " N,-" ' 'r. ^ / V 'i /)>v ^* """• ''^ ^ ^ ^i ^^' ^ ^ -^^ .\ ' .(A :-^ ijt^vV/vl ^/^.

記載日