Borgia ossia Alessandro VI papa e suoi contemporanei, Vol. I

著者
Domenico Cerri
初版
1858年
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BORGIA OSSIA ALESSANDRO VI PAPA E SUOI CONTEMPORAΝΕΙ. : BORGIA OSSIA ALESSANDRO VI PAPA E SUOI CONTEMPORANEI PER MONSIGNOR CERRI POMENICO DA MACELLO Seconda Edizione Leggi, poi giudica ! RIVEDUTA ED ACCRESCIUTA DALL'AUTORE divisa in quattro parti VOLUME PRIMO TORINO TIP. LIT. CAMILLA E BERTOLERO 1873. EDITORI BIBLIOTHECA REGIA MONAGENSIS Proprietà Letteraria. Con permissione della Curia Vescovile d'Ivrea. DEDICA A MONSIGNOR DON LUIGI MORENO VESCOVO DELLA DIOCESI D'IVREA. Eccellenza Veneratissima, Grande è chi nonsolamente risiede in eminente loco, ma chi si pro cacciò siffatta elevazione , la decora eziandio colla pratica delle più peregrine virtù, nemico dichiarato delle apparenze speciose, le quali se soddisfano il volgo giudicante meramente dalle esteriorità bugiarde, non appagano poi esse per fermo il filosofo scrutatore del movente intrinseco del vero merito: chè un personaggio per adequate bene merenze , il quale conseguì le più alte cariche, ed altresì in esse esercita quegli atti richiesti dalla grandezza delle medesime può internamente viziarsene vanagloriandosi , ovvero traguardando con filautia, non curanza, disprezzo chi giace al basso, desiando, coope rando, onde rimanga obliato nella sua oscurità, da cui rilevato, po trebbe ombreggiare le gloriose nullità , ovvero le sommità altere. Di somiglianti egoisti, studiosi di calcare soltanto i fiori in ogni evo abbondò di troppo il mondo, e fra il poco, o niun bene fatto cagio narono de' mali irreparabili agl'individui, alla religione, alle lettere, come ci accerta l'istoria biblica, ecclesiastica e profana. Non pertanto s'incontrano certuni i quali si degnano quandochessia abbassare i guardi loro verso dei supplichevoli anelanti a scuotersi dalla polve, eppure già a questi debbesi lode, perchè abborriscono 6 accomunarsi a quelle grandezze larvate, nè spengono la favilla del l'intelligenza in chi loro si rivolge, anzi a questi prestano esca, af finchè fiammante scintilli. I prefati con dirittura , confessa la filo sofia, godono del titolo di magnanimi , benemeriti delle onorificenze possedute, e della religione, società, produttori di generosi ingegni tanto, quanto di vili adulatori a seconda che più o meno si stanca rono le mediocrità nell'impetrare, ed attendere, facendo poscia cotesti protetti a loro turno agli altri battere l'istesso cammino disastroso. Altri e pochissimi si annoverano, che imitatori della divinità cre atrice spontanea delle anime eccelse senza verun proprio diritto loro, non iscongiurati dalla vetta delle cattedre di loro s' inchinano com piacenti a cercare frammezzo i simili loro quegli spiriti, i quali conli lumi loro ponno riuscir utili al genere umano, e scopertili con intuito chiaroveggente gl'incoraggiano, aiutano, consigliano quando pure non si retribuiscano di gratitudine, onde corrano eglino il penevole ar ringo, e si sforzino a diventar genii. Proclamiamolo, tali dignitarii sono veramente insigni al cospetto della filosofia, e divinità, e rag giungono l'apoteosi dovuta ai santi eroi; chè emulatori beneficen tissimi dell'onnipotente creano per così esprimermi in grazia di loro valido influsso benignissimo degli uomini, dei funzionarii distintissimi vantaggiosissimi. Asiffatto inclito ceto appartenete Voi infulatospecchiatissimo per sa pienza, virtù contemplative, operative , illustratore caritativo, indefesso edesimiosopra modo dellaDiocesi d'Ivrea, di cui non solo vi mostrate, anzi vi rendete davvero Angelo tutelare. Dal primo vostro apparire sulla scena mondiale, ed ecclesiastica infioraste incessantemente i vo stri giorni non beandovi delle opulenze , della dignità in cui vi su blimò la divina Provvidenza guiderdonando la nobilissima bontà di vostro cuore, e gli elevati sentimenti della mente vostra, per contra vi reputaste felice attraverso della lunga luminosa episcopal carriera vostra di servire alla ortodossia con ogni genere d'industriosi sacri fici i più generosi costantemente, e segretamente cercare chi potesse giovare alla santa Chiesa Romana, al gregge vostro, alla società, come apertamente ognuno ha per le mani senza altro scopo salvo quello di costituirvi a tutti esempio, specchio, luce di ben operare non solo ai vostri contemporanei, ma ben anche alla futura età, affinchè uscendo 7 di questa vita Voi possiatelasciar monumenti tali quali attestino aver Voi noninvano vissuto per la società, la religione, il cielo , a cui esclusivamente avete sinora mirato. Esiccome al vostro dito possenteio tra le altre mie scritture debbo la pubblicazione della prima edizionedella vita d'Alessandro VI stata encomiata dalle Accademie italiane, e francesi, dai letterati sacri e profani, dai diarii, incoronatada un Breve dell'immortale Pio IX, così parimenti ora videbbo laseconda edizione accresciuta di questo stesso Gerarca supremo, la quale sarebbe giaciuta nelle tenebre se Voi non vi foste compiaciuto a riscuoternela e porla in mostra. Beneficio im portante ad utilità del Papato, di cui si rivendicano perentoriamente le calunnie abbominevoli colle quali si tento offuscare il triregno (pronunciarono le accennate autorità)ed a gloriadell'autore che mira onorate le sue ricerche travagliosissime in questa elucubrazione elo gistica : quindi se Voi pervostra ammirabile eutimia nonabbisognate delle espressioni di mia gratitudine immutabile, moltissimo ne neces sita certamente chi con animo il più riverente si arreca ad onore i napprezzabile di riproferirsi baciandovi le sacre mani. Di V. Ecc.za veneratissima Torino, 29 giugno 1872. Dev.mo Servitore C. CERRI DOMENICO Cameriere segreto di S. S. : PARTE PRIΜΑ AVVERTENZA. Tu bella verità, che sempre illesa Serbai per mio sostegno e per mia guida, Moverai la mia lingua, e folli o rei Non saran, tua mercè, gli accenti miei. GIOBBE, cap. VI. La verità, quella casta figliuola del cielo che poggia il suo trono sul seno stesso dell'Onnipotente, quantunque sia immutabile quanto l'Iddio stesso, che le è padre, teoricamente filosofando, tuttavia nella pratica gli uomini a cagione dell'indole, educazione, delle passioni loro immaginandosi o millan tandosi di servire devoti ad essa lei l'ecclissano, deturpano e tradiscono presentando sia pur conscienziosamente od ipocritamente alle persone so vente la menzogna orpellata dalla maschera della verità. Che meraviglia a dunque se scrittori nei tempi turbolenti , venali, corrotti d'Alessandro VI abbianlo giudicato tanto sinistramente, non potevano pensare meglio di lui, di quello che consideravano negli altri principi peggiori di lui, i quali vin colavano o in un modo, ovvero in un altro la loro penna servile. Descartes Memoir de Trevoux, mois de Juillet, et Août, 1701 p. 190, dubitò se i sensi rappresentano a ciascun uomo gli oggetti precisamente della medesima maniera. Per fermo è fondato sopra di questo, che i sensi, e le sensazioni debbono esser tanto differenti, quanto i temperamenti. I nostri sensi facendo così passare sino verso dell'anima nostra delle impressioni differentemente modificate, le nostre menti che formano le loro idee sopra tali impressioni, non conoscono esattamente della stessa maniera le qualità sensibili. Epperciò vi regna mai sempre qualche differenza oggettiva tra le idee cui formiamo, sia che quest'idee siano semplici, ovvero composte : dal che sembra Descartes conchiudere che c'è in questo principio, nel quale fa -- 10 mestieri trovare la ragione, perchè i filosofi non sono quasi mai d'accordo sopra alcun punto di fisica. Un altro autore di grido opinò che la diversità della disposizione degli organi non è la sola causa della differenza delle opinioni degli uomini, e che era necessario aggiungervene cinque altre. Egli adunque insegna che gli uomini sovente nutriscono opinioni differenti sopra una medesima cosa : 1. perchè ricevettero un'educazione differente, 2. perchè non sono agitati dalle medesime passioni, 3. non hanno la medesima dirittura, 4. la mede sima applicazione, 5. da ultimo il medesimo raziocinio che diversifica negli uni e negli altri. (Lettres philosophiques sur plusieurs sujets. Lettre 1 a Tre voux, 1703). Ma perchè queste quattro ultime cose non sono esse le mede • sime in tutti gli uomini? Non proviene ciò forse principalmente a cagione della disposizione dei loro organi? La prima causa notata da questo scrit tore, non sembra giusta. È innegabile che persone alle quali s'inspirò dal l'infanzia le medesime massime giudicheranno sovente dello stesso oggetto d'un modo troppo differente, ed altre pel contrario le quali non ricevettero la medesima educazione simpatizzano tosto nei loro sentimenti, dalle prime pagine dei libri divinamente inspirati, dalle storie profane antiche e mo derne, e dalla pratica odierna risplende ad ogni passo questo gran vero, che niuno sente, crede diversamente da quello che desso stesso è, tranne prove indubitate, seppur bastano talora, il conducano sulle vie luminose della verità, cui non curano, non vogliono, anzi temono quandochessia di conoscere e svelare tanto se riesce utile, glorioso agli avversarii di loro. II che soventissimamente s'incontra negli scrittori infensi ad Alessandro VI. Quando si accordasse che l'autorità e la congettura, allorquando trattasi d'esaminare un fatto storico, producon quasi le impressioni medesime sopra i sensi nostri, che gli oggetti sensibili ; quando fosse ancora vero, che i sensi nostri fanno di tal guisa passare sino verso l'anima nostra delle im pressioni differentemente modificate, e che le menti nostre che formano le loro idee su di tali impressioni non concepiscono esattamente della maniera stessa le prove stabilite sulla testimonianza, e sulla congettura, havvi pro babilità che i critici non confesseranno mai che le differenti opinioni che li dividono intorno ai fatti storici, siano cagionate dalla diversità della dispo sizione degli organi. Chè sarebbe ammettere che la critica è meno fondata sulla regola stabilita sul buon senso, che nella disposizione del corpo ; e per conseguenza necessaria, bisognerebbe dire, che i critici giudicano dei 11 fatti storici pel temperamento, e si attaccano ad un sentimento piuttosto che ad un altro, perchè hanno gli organi disposti d'una certa maniera. Così i critici non saranno mai determinati per la forza delle prove cui tirano dalla testimonianza degli autori, e delle congetture che possono contribuire a farli propendere da un canto preferibilmente dall'altro. Dunque, se per giudicare della verità di quest'istoria, e per determinarsi a riconoscerla come vera o come falsa nonbisogna considerarla nudamente, ed in se stessa, come farebbesi d'una proposizione di geometria ; nè riguar darla come una dimostrazione Cartesiana, per ciò che essa ha di meno prin cipale, negligentando il capitale, oppure attaccandosi al capitale, senza fare attenzione a ciò che essa ha di meno principale ; ma importa attendere a tutte le circostanze concomitanti a questa narrazione, sia che siano interiori, ovvero esteriori. Denomino circostanze interiori quelle le quali appartengono al fatto me desimo; e circostanze esteriori quelle le quali riflettono alle persone per la cui testimonianza noi siamo indotti ad aggiustar credenza a simili avveni menti. Art. de penser, part. 4, chap. 13, p. 452; queste distinzioni sup poste, se tutte queste circostanze sono tali, che non avvengono mai, od as sai raramente che simili circostanze siano accompagnate da falsità, il nostro spirito si porterà naturalmente a credere che ciò è vero. Ma se per contra queste circostanze non sono tali, che esse non s'incontrano assai sovente che con falsità, la ragione esige, o che restano in sospeso, o che teniamo per falso ciò che si racconta, quando non iscorgiamo niuna probabilità che ciò sia vero, ancorchè noi non vi vediamo un'intera impossibilità. Non accade d'un fatto storico rapporto ai critici, che ne debbono giudi care, come d'una prospettiva, ragguardo a coloro che la rimirano da diffe renti punti di vista. Si sa, che per poco si muti di luogo, tale prospettiva rappresenta agli occhi cose troppo diverse, e che si può dire con verità , io veggo un uomo, in quella che un altro dirà con la medesima verità io veggo un leone nello stesso oggetto. Chè non è arbitrario a coloro i quali e saminano un avvenimento, di prendere il punto di vista che loro piace, nè di cangiare di luogo secondo la libertà, ma sono costretti di rimanere, per così esprimerci, nella medesima situazione, e di non speculare tale oggetto tranne dal lato che loro è indicato dalle regole della critica, che non sono altre da quelle da noi citate; ovvero almeno esse si riducono quasi sempre alle stesse. Ora come mai è possibile che tanti dotti critici abbiano ponde 12 rato tutte le circostanze interiori ed esteriori della vita d'Alessandro VI, mentre che si rimarca nel loro giudicio una sì strana divergenza ? Dunque se non si può giustificare la differenza dei critici sulla narra zione della vita d'Alessandro, e sopra alcuni altri fatti, per gli esempi della prospettiva, e della dimostrazione Cartesiana: se non si può neppure rife rire le differenti opinioni alla disposizione degli organi; e se pretendono che i pregiudizi, l'inavvertenza, la prevenzione, e somiglianti disposizioni non hanno parte veruna alla diversità dei loro sentimenti ; non debbono esser dispiacenti se siamo tentati a credere, che la loro discrepanza intorno ai medesimi fatti, rivestiti dalle medesime circostanze, non ponno derivare tranne dall' incostanza, dalla poca solidità delle regole della loro grand'arte, o da ciò che i critici non ne hanno fatto un uso giusto, e legittimo. Or accingendoci noi a scrivere l'istoria di PapaAlessandro VI, Borgia, non ignoriamo che tanti furono gli scrittori, anche ragguardevolissimi, e non pochi di ottime intenzioni, i quali ne registrarono fino le minutissime azioni, da parere opera superflua ed inutile affatto il voler ancora discorrerne ai tempi presenti. E per fermo noi molti e molti ne abbiamo perletti, ma di nessuno siam rimasti paghi ; in essi abbiamo scorto o plagiarismo senza di screzione da secernere il dubbioso, il falso dal probabile e dal vero; o acri monia dilettantesi soltanto d'avventare l'avvilimento e lo sprezzo su di per sonaggio troppo bruttamenteed ingiustamente conculcato; o menzogna ane lante unicamente a svisare, prostituire la verità, per denigrare quegl'infelici contra dei quali scocca i suoi strali avvelenati; od ingannati sicuramente dal gran ripetio delle mosse accuse, cui la mancanzadi certi documenti non concedea di veder quanto fossero assurde : non ribattendo gli accusamenti, gli avvalorarono. Questo è il risultamento ottenuto dal nostro studio sulla vita e sulle gesta di questo Pontefice sì mal giudicato, del che fummo amareggiati. Possibile adunque fia, abbiamo esclamato, che un mostro somigliante abbia potuto ascendere sovra la cattedra di Pietro, e pacifico conservarvisi, più ancora essere ammirato dagli scettrati stessi! Mai no, senza che vi fossero in essolui virtù, le quali scusassero e rimpicciolissero i vizi talmente, che nol rendes sero inetto ed immeritevole di quella tiara che gli redimiva le tempia. Egli è su questo aspetto, cui noi consideriamo lavita e le azioni d'Alessandro VI, e verremo spiegandole con siffatta verità, dirittura e moderazione, da fi gliuoli affezionati, come ci pregiamo di esser noi della Chiesa cattolica, e 2 13 perciò de'suoi capi visibili, quali costantemente nelle molteplici opere nostre ci siamo mostrati, onde i lettori rimireranno la stessa materia maneggiata da mano imparziale e caritatevole, invece formar di esso un vaso d'ignominia all'esecrazione dannato, ella l'additerà capace e valevole a sostenere un posto non inonorato nella serie dei 259 Gerarchi, presso che tutti eccellenti, ot tantatre dei quali sono elevati persino agli onori degli altari, e per mezzo de' quali la Provvidenza divina ben volle che Alessandro VI sedesse non tanto inglorioso come da molti si spaccia. In prima però d'ogni altra cosa non vogliamo trasandare di premettere, come opportunissime all'intento nostro, le parole, cui nella sua Storia Ec clesiastica prepose il celebre P. Graveson domenicano alla narrazione, che doveva fare della vita e delle gesta del Gerarca supremo Alessandro VI. Dappoichè ebbe adunque riferite le parole di Melchiorre Cano, il quale af ferma non potersi attribuire il pregio d'uomo onesto, e sincero storico, colui che nello scrivere la Storia Ecclesiastica si slontana dalla verità, e riporta cose false : così io (soggiunge il dotto Graveson), nel narrare le principali azioni d'Alessandro VI « non cadrò in questo vizio, nè fingerò o proferirò falsità alcuna nello scrivere di lui; ma soltanto, attese le circostanze del luogo, del tempo, e le leggi della cristiana prudenza, lascierò onninamente in silenzio i suoi costumi. E di questa maniera Sant'Agostino, nel libro contra la bugia, scusaAbramo dalla finzione e dalla menzogna dicendo: non proferì cosa alcuna di falso, matacque qualche cosa di vero. Non discorrerò impertanto per nulla dei costumi d'Alessandro VI, attenendomi al consiglio dell'Apostolo, che diè nella prima lettera ai Corinti c. V, 12. Ogni cosa mi è lecita, ma non ogni cosa è spediente. » Queste sono le parole del padre Graveson, le quali noi abbiam voluto portar tradotte nella volgar favella per intelligenza di tutti e comodità d'una istoria nel nostro stesso linguaggio composta. Orase certi redattori ecclesiastici, non ostante le ragioni di quel discreto autore, avessero mai creduto di mancare al dovere di buoni storici, usando dell'economia prudente cui egli si propose, pareva almeno assai piùdecente ad annalisti di Chiesa, e a scrittori d'un libro comune a tutti il proporsi da imitare la saviezza, la moderazione e il contegno dei Rinaldi, degli Spon dani, dei Ciacconi, i quali pure scrivevano in latino, a preferenza della so verchia libertà dei Burcardi, dei Guicciardini, dei Gourdon, dei Varchi, dei Rucellai, dei Muratori e diremo anche dei Leti e dei Gennarelli, i quali dagli -14 uomini dabbene non tanto istorici, che satirici pungentissimi vengono ripu tati. Così di molti altri che più o meno rei, più o meno scusabili, sono piut tosto da chiamarsi echi di costoro, che non istorici. Nè vi sia perciò chi ci annoti, se noi scriviamo in volgar favella e teniamo dietro ad Alessandro VI fino nei suoi recessi: noi scriviamo così, sia perchè convinti siamo d'ap presso ai documenti che la vita di questo papa non abbisogna neppure di quel prudente riserbo adoperato dai latini scrittori sullodati, sia perchè vo gliamo con questo metodo popolare porre il bene a fianco del male. Ma alcune suscettibilità neghittose grideranno, che è intempestiva questa nostra difesa, la quale non farà altro che solleticare il prurito dei nemici del romano pontificato ad insorgere da capo contra la memoria di Ales sandro VI. Rispondiamo in prima, che contra di questo diffamato Pontefice nulla avranno da vomitare di più empio ed infame di quello che già sbucò dalle fauci loro nefande; secondamente, che se valesse una scusa tale, sa sebbero da biasimare allora quei pochi campioni, i quali piamente e savia mente si alzarono all'uopo a prenderne la difesa, e per mezzo di essi l'i stesso Catalani sorto in Roma sotto gli occhi del vicario di Dio, contro al rinomato Lodovico Muratori, a scolpare il papa Borgia da alcune macchie con cui questi il deturpava; terzamente senza iattanza, checchè siano certi insofferenti per rinfacciarci, apertamente pronunciamo, che nella nostra apo logia ci studiamo raccogliere quanto di più peregrino non solo finora siasi scritto intorno a ciò, ma portiamo ancora opinione di rimettere in punto di vista a discolpazione di lui varii documenti e fatti infino ad oggi passati inos servati. Perciò, in quella che ingenuamente ci gloriamo di questanostra non prezzolata fatica, di cuore noi aneliamo che altre penne più versate e più potenti della nostra perfezionino l'abbozzato lavoro, e correndo più valoro samente il designato cammino ne raccolgano onoratissima palma, cui lungi noi dall'invidiar loro bassamente, anzi religiosamente gliela invochiamo. Quando anche si ammettessero tutti i vizi rimproverati al sovrano Pon tefice Alessandro VI, sarebbe poi assurdo d'opporre la sua vita ai cattolici, come se il cristianesimo, per essere l'opera di Dio, dovesse distruggere nei suoi ministri il germe delle passioni umane. Iddio permise, dice uno scrit tore, che i capi d'una religione santa non fossero sempre uomini scevri di colpe e di vizi, perchè la conservazione della religione cristiana non dipende dalle virtù de' suoi pontefici, ma dalla parola di Gesù Cristo, e dall'effetto immutabile della promessa solenne che fece di conservare col loro infal 15 libile oracolo la sua Chiesa fino alla consumazione dei secoli. La sorte dei governi della terra dipende dalla saviezza e dal contegno de' monarchi , sicchè basta un principe debole e vizioso per precipitarli dalla gloria nella confusione e nel nulla. I peccati de'principi e de'popoli, dice l'Eccl. X, 28, sovvertono i regni , e li trasmettono in possesso di principi stranieri. Se adunque le debolezze, o l'imprudenza di alcuni Papi non bastarono a scassinare i fondamenti della vera Chiesa, è chiaro che Iddio gli ha rinforzati, dando loro una consistenza che gli uomini e il tempo non possono disciogliere. Daniele, II, 44. Tale conclusione debbe cavarsi da alcuni passi scabrosi della Storia della Chiesa. Ora distiamo di troppo dal volere assentire alle calunnie contraAlessan dro VI. Il protestante Roscoë dimostrò come le sanguinose accuse che gli vengono apposte sono generalmente fondate sulle menzogne del Burcardo, e sugli epigrammi del Sannazzaro, le cui infamie furono dagli acattolici e sagerate. Quindi Alessandro VI attende uno storico che lo rivendichi, come Hurter rivendicò Innocenzo III, Hoock Silvestro II, Voigt Gregorio VII, i cui nomi saranno mai sempre appo noi benedetti. Noi certo non ci lusin ghiamo d'esser da tanto, ma ne facciamo uno sperimento : per questo non preghiamo i leggitori d'usarci sofferenza, perchè se non corrispondiamo al l'aspettazione loro, non ce ne saranno indulgenti ; se appaghiamo poi le mire loro, sono troppo giusti per dinegarcela. Pei soverchiamente cen sori, non abbiamo nè preghiere, nè scuse nè rimproveri, ma caritatevole condono. Da niuno poi ne aspettiamo mercede, salvo da Dio ! Con ciò abbiamo voluto rendere meramente avvertiti chi ci legge dello scopo a cui tendiamo, e dei mezzi con li quali confidiamo di giugnervi. Non ci è ignoto che da noi s'imprende un viaggio disastroso assai, che ci sarà forza lottare contro a quattro secoli, estirpare vecchie calunnie, combattere in veterati pregiudizi, smentire autori rinomati di varie nazioni e lingue, di nanzi ai quali si rinchind troppo bonariamente l'illusa opinione pubblica, tributando loro i suoi plausi ed omaggi, soventi di essi immeritevoli ed in degni. Pure ci conforta ad esordir nella malagevole impresa il pensiero che i veramente dotti e religiosi leggenti, del vero studiosi, e dell'onore della religione sauta zelanti, troveranno salutifero questo nostro libro. Nè ci aggiugne minor lena l'assapere, che molte e copiose sono le fonti a cui possiamo attingere, e tante e si svariate le opere le quali ci somministreranno i materiali, che noi non avremo tranne che ad imitare : 16 l'uffizio del giardiniere, a non fare di ogni erba fascio, sibbene d'ogni fiore intrecciare una ghirlanda. Nè, tale uffizio facendo, con iscegliere il meglio dagli scrittori più celebrati e solenni, ci tireremo addosso la nota di pla giarismo, colla quale certe suscettibilità egoistiche, od indolenti, od ignare so gliono bestialmente regalare i generosi e laboriosi, purchè matura e ragio nevole ne sia la scelta. Nessuno fino ad ora, dice Bayle, Diction. Histor. >> Praes , ha spinta la stravaganza al segno di trattar da plagiarii coloro i >> quali riferiscono gli avvenimenti dagli altri narrati, ma li vanno ad attin > gere alla sorgente, e non fanno uso nè delle maniere, nè dell' ordine, nè >> delle espressioni altrui. Nè vi ha apparenza alcuna che per lo innanzi » sorga chi si avvisi di definir sì follemente il plagio. Una così assurda de > finizione ci condurrebbe a quest'ultimo segno d'impertinenza, che il più > eccellente istorico, il quale imprendesse a scrivere la vita di Carlo V, sa > rebbe necessariamente plagiario del più meschino cronista, che abbia >>rammassato delle rapsodie intorno alle azioni di questo grande mo » narca » . Scrivendo noi questa vita avvertiamo non aver unquemai mirato a com pilare una semplice biografia d'Alessandro VI, ma una storia compiuta; epperciò ci fu indispensabile discorrere anche a dilungo de' suoi contem poranei, quindi abbiamo intitolato l'opera nostra Borgia ossia Alessandro VI e i suoi contemporanei. Or siccome non tutti per le cui mani capiterà essa possederanno gli au tori da noi citati, il perchè ci parve essere cosa ovvia assai l'allegare le te stimonianze minutamente affinchè eziandio fosse, non giàuna semplice i storia nuda, ma documentata. L'avere poi inserito nel decorso dei capitoli i documenti, ovvero sul fine dell'opera ciò non solo non la dilunga, nè la rende oscura, anzi porge ai leggenti maggiore speditezza a riscontrare, se vogliono, a proprio luogo le riportate testimonianze . Daultimo noi intendiamo ancora con questa apologia presentare ai leg. genti nostri Piemontesi-Liguri-Sardi documenti di gloria nazionale non af fatto comuni, ragguardanti o le persone, o le cose patrie, per rendere a questi sotto ogni rapporto estimabile il lavoro. PROLEGOMENI Eruite oppressum de manu calumniantis. GEREM. XXI, 12. Non si potrà unquemai portar diritto giudizio sulla vita di qualunque siasi individuo, senza dapprima conoscere i motivi , le opinioni , le pas sioni, le circostanze, i tempi, le condizioni , la materia in cui versavano tanto gli scrittori, quanto gli uomini, vieppiù se in alto locati, dei quali si descrissero le azioni, ovvero si disputarono la materie e il diritto. Il perchè sovente ne avviene che una sola di queste ragioni trasandata si misintende, confonde, scambia, impervertisce ogni cosa. Di questo vero, irrepugnabile ce ne presentano argomenti troppo luttuosi assaissime isto rie famose, per mezzo dei quali uno deplorabilissimo abbiamo per lemani somministratoci da quegli autori che narrano la vita e le gesta d'Ales sandro VI. Perocchè nel compilarla, sopra quali autorità sonosi mai ap poggiati gli storici? Con qual criterio lo hanno giudicato? Con quale occhio rimirarono la materia sulla quale raggiravansi gli atti suoi come pontefice, principe, sovrano degli Stati Romani? Tre punti questi altret tanto connessi quanto essenziali da disaminarsi partitamente. I. Gli scrittori che inchiostrarono fogli sulla vita e sulle gesta d'Ales sandro VI sopra quali autorità mai sonosi appoggiati fino ai giorni no stri ? Forse sull'autorità di quegli scrittori , i quali nell'atto di vergare le pagine han calpestato ogni patrio amore, le proprie passioni, con in comparabile dirittura si considerarono unicamente come cittadini del mondo intero. Tutto al contrario! Si fondaronoprincipalmente sulle dia tribe del poeta napoletano Sannazzaro, che aveva come nulla la verità al lorquando non simpatizzava conlicapricci della sua fantasia ; sulla testi 2 -18 monianza non meno sospetta del Guicciardini , che non si piglia nem meno la briga di coprire il suo odio tutto fiorentino contro ai Borgia; sugli errori del Mariana che sovente guatava sinistramente i monarchi quali tiranni; sulla parzialità del Panvinio ; sulle asserzioni svergognate d'un alemanno, il quale da buon teutonico cerca mai sempre dicogliere in fallo il meridionale. Tal è il pensamento, e presso a poco il linguag gio d'un celebre scrittore. E noi nel por mano a rilevare qui le diverse magagne degli autori infensi ad Alessandro VI, le quali inforseranno d'assai il credito da sì bella pezza ai medesimi aggiustato , non giudi chiamo convenir qui l'arrecare quei documenti che gli smentiscono, vo lendo più appositamente riserbarli negli opportuni capitolidella contro versa istoria. Il primo impertanto che ci si para dinanzi è il famoso Sannazzaro. Costui erasi di buon'ora segnalato pel suo ingegnopoetico e per lo spi rito mordace cui mostrava. Egli seppe infiltrarsi nella corte di Napoli e cattivarsi, giovane ancora, la grazia del re Ferdinando, e quella d'Al fonso e di Federico, figliuoli di questo monarca, ai quali almeno rimase costantemente affezionato malgrado le loro avversità. Egli accompagnò eziandio Alfonso in parecchiespedizioni, ed in qualcheduno dei suoi poemi latini parla delle proprie gesta , colla franchezza di colui i cui servigi sono conti ad ognuno. Quando i francesi rivalicarono per la seconda volta i monti , e riap parvero in Italia, Sannazzaro iscongiurò sovra di essi e sulloro re tutta lacollera del cielo. Nè di ciò tenendosi pago, volse ancora tutta la sua bile contra Alessandro VI, allorchè questo Pontefice per evitare mali certi, maggiori assai e generali , si vide costretto a cedere alle violenze di Luigi XII e di Ferdinando di Spagna ed accordare ai dueprincipi l'in vestitura del regno di Napoli ch'essi forzosamente da lui esigettero. Da quel momentoesordironogli epigrammi delSannazzaro, come anche la necessità di tenersi in guardia contro alla satira di cotesto scrittore. Del resto il carattere del poeta non meritava nè ammirazione nè fede. Egli se la pigliava con tutti, ed in mancanza d'altro , scagliava contro de' suoi rivali ingiurie e villanie. Amico o nemico non venia da lui un quemai risparmiato. Le sue opere presentano tali atti d'ostilità che non si sanno spiegare, e certi passi sono molto più rimarchevoli perpassione ed indecenza di quello che sienlo per frizzo e verità. Francesco Guicciardini da Firenze nacque d'una famiglia che esiste ancora oggigiorno. Gli antenati di lui avevano occupati i posti più di stinti nella repubblica fiorentina. Daprincipio ei sidiede alforo, edacqui -19 stossi in questa carriera tale una riputazione che a ventitrè anni divenne professore di giurisprudenza. Quantunque non avesse ancoral'età voluta dalle leggi, fu scelto ad ambasciadore appo Ferdinando il Cattolico , di cui seppe entrare nelle grazie e guadagnare a protezione per sè è per la sua terra nativa. Fu anche chiamato a Roma da LeoneX, Adriano VI eClemente VII. Tuttavolta non vi fe' lunga dimora, essendo stato dal Papa privato della dignità di cui l'aveva insignito , e tornossene spia cente a Firenze, dove scrisse la sua Storia d'Italia. Essa venne partita in venti libri, sedici dei quali sono d'un grandis simo merito dal lato dellacomposizione. Ma l'amor della patria può tanto sopra di lui, che se ne risentono non poco ed i suoi giudizi ed il suo racconto. Egli non cela punto, noi l'abbiamo già detto , confessa anzi l'odio che porta contra la famiglia Borgia; che vuolsi di più per avere in sospetto la costui sincerità sul fatto loro ? Tutti i biografi di lui con vengono unanimi, che desso era troppo attento a notare fino le minuzie altrui, di piegarsi troppo ai motivi vergognosi ed ingiusti , ed essere troppo prevenuto pel suo paese. Sentiamo quello che ne scrive il Corniani (1), non solo spregiudicato, mapiuttosto al Guicciardini bene affetto, del merito di questo riguardo alla Storia di lui d'Italia. Lasuacontemporaneità, egli scrive, dovrebbe allontanare da lui qualunque sospetto di menzogna. Cionondimenonella sua storia si ravvisano alcuni oggetti di sua particolare avversione. Ei nondimostra una leale imparzialità istorica ragionando dei Francesi, di Francesco M. della Rovere, della Corte di Roma, e de' suoi concittadini addetti a partito diverso dal suo. Non oserei dire che in tali argomenti abbia assolutamente tradita la verità, ma forse alterata con qualche ca lore preso ad imprestito dalla passione. Si rende essa in singolar modo osservabile ove si tratta di biasimare i romani Pontefici , ad onta che questi stati fossero i suoi più generosi benefattori. , •Molti furono › i beneficii (arroge l'esatto e moderatissimo Zeno) e gli onori che dalla › Santa Sede ottenne il Guicciardini; maforse non ne ottennetuttiquelli ⚫ che a lui pareva di meritare (Note alla Biblioteca del Fontanini , ecc. ▸ t. II , pag. 122), quindi nacque il suo mal umore. Qual meraviglia adunque se le stampe eterodosse furono sollecite a farne avida incetta , ed apubblicare si famosa istoria tradotta anche in più lingue. Di co testa slealtà di lui, sovratutto contra d'Alessandro VI, ne rimase sì in (1) Veggasi il compendio della vita del Guicciardini premesso alla edizione della Storia d'Italia, del medesimo, conforme la celebrata lezione del professore Giovanni Rosini, con note. Milano 1851 al § II, pag. 7.e seg., desunta dai Secoli della letteratura italiana, del Corniani. -- 20 dispettito l'istesso Voltaire, il corifeo degl'increduli, che in faccia dell'Eu ropa intera, cui egli tentò d'ingannare, lo taccia di solenne mentitore. Guicciardini vile assentatore di quel bastardo d'Alessandro de'Medici che fu un vero mostro, è prodigo poi dei vituperi ad Alessandro VI. Bella lealtà di storico!! Panvinio Onufrio, nato a Verona e morto a Palermo nel 1568in etàdi trentanove anni , religioso Agostiniano. Egli professava pressochè tutte le scienze, secondo l'impresa da esso stesso presa In utrumque paratus, conun bue posto tra un aratro ed un altare. Indicando con ciò ch' era ugualmente prontoasopportarelefatiche delservizio divino, equelle delle scienze umane. Le moltissime opere e travaglioseda lui scritte in si gio vane età, benchè siano prove indubitate di vasto ingegno, l'impedirono appunto a profondarsi in esse scienze. E venne il Panvinio accusato di inventare delle iscrizioni e dei monumenti antichi per autorizzarele sue opinioni ; è pur nota la sua audacia in ciò , che impugnò la sua penna, ed adispetto di tutta la più veneranda antichità, scrisse che S. Pietro instituì e fondò la Chiesa di Roma in prima di quella d'Antiochia. Opi nione temeraria, strana, contraria eziandio alla ragione. Lasua vita dei Papi, in cui include anche quella di Alessandro VI, e dedicata a Pio V, sente assai di parzialità, e la verità vi è soventemente desiderata: egli ancora si rendette riprensibile per adulazione pressochè ad ogni pagina come per mordacità, dietro alla scuola del Sannazzaro edelGuicciardini suoi modelli. Epperciò non poteva a meno di ricopiarneleacri invettive e infedeltà. Mariana Giovanni, nato a Talavera nella diocesi di Toledo, entrò nei Gesuiti nel 1554 in età di 17 anni. Divenne inquestasaggiaCompagnia uno dei più dotti uomini del suo secolo. Egli sapeva le belle lettere , il greco, il latino, l'ebraico, la teologia, l'istoria ecclesiastica e profana, se condochè ne scrivono i compilatori del famoso Dizionario degli uomini illustri, stampato in Caen. Insegnò a Roma, in Sicilia, a Parigi ed in Ispagna con riputazione, e morì a Toledo nel 1624 in età di 87 anni. Dietro la pittura fattane dagli stessi suoi correligiosi, desso era un uomo irrequieto ed ardente. Ab biamo di lui la famigerata istoria di Spagna, scritta prima in latino, poi volgarizzata in ispagnuolo. Mariana, paragonabile ai più rinomati storici dell'antichità, è eguale al presidente di Thou per la nobiltà e per l'eleganza dello stile, ma non è nè così esatto, nè così giudizioso, nè così imparziale quanto questo ce lebre storico.... Egli è maestoso ne' suoi racconti , ma serba poca preci 21 sione ed ancora meno di filosofia. Si notano in Mariana parecchi errori di cronologia, geografia ed istoria. Quindi non possiamo noi fidarci gran fatto di sua narrazione in quello che ragguarda Alessandro VI per le allegate ragioni, molto meno poi ancora per le seguenti. Tra le varie opere stampate dal Mariana, di cui nonoccorre ragionare, egli scrisse ancora quella sua famosa opera: De rege et regis institutione libri tres ad Philippum III Hispaniae regem catholicum. Lasciamo da parte la sua dottrina sul tirannicidio che è quella la quale principalmente ne provocó la condanna in Francia dal Parlamento di Parigi ad essere bruciata per la mano del carnefice, e fu censurata dalla Sorbona. Questi Poteri avevano sicuramente dei motivi da mettersi in allarme contra di simil libro 1), poichè vedean morire ipropri re permano degli assassini, eleggevano in esso che Mariana osava sostenervi ch'è permesso di dis farsi di un tiranno, e vi ammira l'azione detestevoledi Giacomo Clemente. Tuttochè sia certo che Ravaillac non aveva punto attinto in quest'opera l'abbominevole disegno cui esegul contro alla vita di Enrico IV , come supposero taluni, nulladimeno cotesto libro nondebbe recaremeno orrore ai buoni cittadini. Or che può mai ripromettersi da uno scrittore di tal conio che considerava Alessandro VI qual odioso tiranno? Qual fede pos siamo non aggiustargli, quando studiasi di mostrarcelo esoso nella sua persona, in quella dei figli, sopratutto in Cesare Valentino , acciocchè si concepisca inlui sprezzo ed odio? Egli, scrive il dott. Langletdi Fresnoi nel suo metodo di studiare l'istoria..., viene accusato di non avere di mostrata troppa moderazione riguardo ai Francesi ed ai protestanti, e di aver commesso molti errori di geografia. Quanto poi a Burcardo, consultiamo l'autoredella Galleria Universale, art. Alessandro VI, e noi vedremo qual conto sia a farsene Malgrado i suoi pensieri filosofici, è a vedere come lo scrittore si rida e si burli saporitamente di quei pranzi di Trimalcione, ai quali l'impudente tede sco fa con tanta compiacenza assistere il papa Alessandro VI. Avevamo noi appena finito di scrivere la vita d'Alessandro VI, quando ci venne perle mani appunto questoDiario delfamigerato Burcardo, recen (1) Esaminando d'esso libro semplicemente la teoria sul Potere, si trova apertissimamente tanto popolare e larga, quanto essere possono quelle dei moderni democratici; ed ha il coraggio di met tere fuori le sue opinioni senza tanti rigiri e misteri. Paragonando per esempio il re col tiranno, dice: lib. 1, cap. IV, pag 57: " Rex quam a subditis accepit potestatem, singulari modestia e xercet... Sic fit, ut subditis non tamquam servis dominetur, quod faciuat tyranni ; sed tamquam » liberis praesit, et qui a populo potestatem accepit, id imprimis curae habet, ut per totam vitam » volentibus imperet. -22 temente pubblicato (e si pretende integralmente!) dal chiarissimo Gen narelli. I leggenti possono capire con quanta e quale avidità noi vi ab biamo steso la mano a svolgerne le pagine e perleggerle, sapendone in molte parti buon grado al laborioso compilatore per le pellegrine note che a piè di ogni facciata abbondantemente viinnesta; alcune delle quali non sono certo ingloriose della memoria di Alessandro VI, altre indiffe renti, molte poi cavillose, invereconde, maligne, false ed alla santa fede nocenti. Queste, a nostro avviso, od avrebbe l'illustre scrittore dovuto omettere, ovveramente colla face della cattolica critica illuminarne quelle partite nebrose, e mitigarne il rio veleno contra la Chiesa e quel troppo tartas sato Pontefice. Simile lavoro avrebbe accresciuto di gran lunga più il pregio della sua elucubrazione in se stessa, arrecato maggior rinomanza al compilatore, difeso il rappresentante dell'Uomo-Dio in terra dalla sa tira mordace, dalla calunnia perfida e ribalda, e renduto con siffatta o pera un importante servigio alla storia, alla Chiesa, alla verità ed agli studiosi. Era impresa sì degna di lui l'attuarla, come la fu indegna l'a verla omessa, e tanto più indegna ancora, quanto che la riproduzione del famigerato Diario di Burcardo, lungi dal coonestare l'intenzione sua che anzi riconferma il male asserto, e mostra non essere stato diritto il fine per cui si mosse a divulgarlo. Noi stavamo peritosi ad emettere cotal giudicamento nostro, sia pel ri spetto di cui eravamo compresi verso di Gennarelli, sia pel desiderio di intendere in prima su di ciò l'avviso di personaggi versati nelle catto liche dottrine, onde non andarne errati. Durante questa esitanza nostra ci venne fra le mani la dispensa CXLVI della Civiltà Cattolica, anno VII, terza serie vol. II, nella quale al paragrafo II, pagina 201, ecc., abbiamo letto il saviissimo giudizio, cui i dotti e pii redattori di questo accredi tatissimo periodico, danno ; giudizio che dissipando in noi ogni temenza, ci raffermò nella nostra convinzione talmente, che prescindendo nella ri vista da qualunque altro commento sfavorevole sul libro menzionato, o piniamo essere opportunissimo il trascrivere qui per intero la ragionata censura. Essa adunque dappoichè ebbe di volo vedute le misere condizioni di Roma, e diremo di tutta Italia, in sul finire del secolo XV, in cui spesso la forza soverchiava il diritto, e i sensi aveano sovversa la ragione, ma pure dimostrando che fra tanti vizi regnavano grandi virtù , scende al Diario del Burcardo, di che l'avvocato Gennarelli regala Italia e tutta l' Europa nel 1856, nella più meticolosa critica di studii istorici, e nel maggior lume della presente civiltà. -- 23 •Cotesto Diario, malaugurosamente famoso per le indegnità e le stra bocchevoli sozzure , onde l'interpolarono i protestanti , non era ancora comparso intero ad ammorbare il mondo: udiasene parlare daipiù come di un lurido spettro , che uscito di frodo dalle nere bolgie dei luterani, avvolgeasi tenebroso nei più tetri postriboli, nei covi delle società secrete, e nei trebbii dei nemici di Cristo e dei suoi Vicarii, e per lo più non o sato mai di mettere in piena mostra , ma adombrato appena a qualche botta di lutulento pennello, dacchè ci uscì di mano de'luterani insino all'ultime bestemmie dell'Anacleto diacono, vomitate ieri dallapennadel Revere nella Rivista Contemporanea di Torino. Era riserbato ad un fuor uscito romano, rubelle, e sconoscente al pontificato, da cui ricevette si alta grazia e benefizii, il metter fuori pei tipi di un popolo cattolico un libro ripudiato siccome calunnioso perfino da un protestante , e pubbli carlo sopra una copia non potuta riconoscere siccome fedele e legittima, anzi, per quello che appresso ragioneremo , sospetta palesemente di a vere con maligne interpolazioni cresciuta la malignità dell'originale.
 « I nostri lettori stupiranno in vero nel leggere parole tanto diverse, con che inzaccherava le colonne dello Spettatore di Firenze il dì 27 gennaio il sig. Cesare Trevisani intorno a sì raro dono, e a si valente donatore. Il Gennarelli, diss' egli, oltre usare ogni cura nel pubblicare una preziosa opera inedita, nel supplirla, illustrarla, vi aggiugne tutta la ponderazione, tutta la serenità propria di uno storico che deve essere senza passioni, cosicchè non ritrovi nè l'avversario nè il difensore del papato, nè il propugnatore di alcun partito, ma l'uomo che professa la verità con tutta la indipendenza. »
 « Ora checostui non si professa nè avversario, nè difensore del papato, di qual religione sarà egli mai? Se ilGennarelli ha una religione, non può essere indifferente nel parlare del Capo della religione cristiana , peroc chè o egli non è cristiano, e deve avversare il Pontefice vicario diGesù Cristo, il quale ha detto colla sua divina bocca Qui non est mecum, contra me est. Se egli è poi cristiano, il Pontefice come padre dei fe deli è anche padre suo, edeve o difenderlose ingiustamente e falsamente accusato ; o non potendo farlo, tacere e coprire col mantello della rive renza le vergogne del padre suo, essendo uffizio dei pii figliuoli il com portarsi a quel modo. •Se adunque ilGennarelli pubblica per la prima volta al mondo un libro (Joannis Burchardi Argentinensis , pronotarii apostolici et episcopi Hortani, capellae Pontificiae , sacrorum rituum magistri, Diarium Inno centii VIII, Alexandri VI, Pii III et Iulii II tempora complectens, nunc primum publici iuris factum, commentariis et monumentisquamplurimis et arcanis adiectis, ab Achille Gennarelli equite, etc., Florentiae 1854 uscito il 1856), il quale, almeno nei trattichecidiedero iprotestanti, offende altamente la riputazione del Capo della Chiesa, nella quale esso Genna relli è nato, e dei sacramenti, delle grazie, delle speranze della quale ha partecipato, vuol dire , o che egli da questo libro taglia via quelle turpitudini delle quali è imbrattato , e in quel caso egli apertamente, nobilmente e francamente difende la memoria del Pontefice; ovvero il Gennarelli pubblica detto libro con tutte le invereconde note , onde va infame per le bocche non solo dei cattolici, ma dei savi e protestanti, e in quel caso egli è manifesto avversario del papato (vedi la Storia di Leone X, scritta dal Roscoë). • Il signor Trevisani vuole uscire dalle due tanaglie di questo argo mento, dicendo Il Gennarelli pubblica un documento storico di molta importanza colla serenità propria di uno storico che deve essere senza passione. • Primieramente a questo modo il Trevisani trapassa da una proposi zione in un'altra , e fugge la risposta. Secondariamente noi vorremmo supporre nel Gennarelli la serenità e l'apatia che gli dona il Trevisani ; ma noi chiederemo al Gennarelli chi abbia investito lui dell' autorità di rendere di pubblica ragione un documento, il cui autografo stain mano della Chiesa? Del quale la Chiesa nella sua sapienza, hafattopubblicare per mano del Raynaldi e di altri, quei punti che potevano illustrare la Storia Ecclesiastica di quei tempi, e il resto ha tenuto celato con quel diritto che ha ogni proprietario di non mostrare senza necessità le cose particolari che lo riguardano. Terzo, diciamo francamente che eziandio se cotesto libro fosse puro di ogni macchia, non era punto necessario che il Gennareli si affaticasse tanto a pubblicarlo , a supplirlo , ad illu strarlo, perocchè egli nulla ci narra di quanto importa alla storia , che già narrato non si trovi ampiamente dagli storici contemporanei e suc cessivi. Il Gennarelli ci crede proprio così digiuni della Storia ecclesia stica e civile di quei tempi di crisi sociale, da riputar necessaria al mondo la pubblicazione di quel Diario con tutti isuoi supplementi ed illustra zioni, e noi gli possiam dire che essendo di quei pochissimi i quali hanno avuto la pazienza di leggere tutta intiera la prima parte del Diario da lui pubblicato, non vi abbiamo trovato nulla di ciò cheveramente e so damente importa alla storia ecclesiastica e civile di quei venli anni, che già non avessimo letto nei più accreditati storici antichi e moderni. • Con tutto ciò non creda il signor Gennarelli che noi non abbiamo-24 25 ammirato sinceramente la sua diligenza ed erudizione, nel porre quasi in unquadro sott'occhio ciò ch'è sparso nei diversi autori, e nel pub blicare alcune cose aneddotiche eziandio tuttora inedite: ma qui lo pre ghiamo di considerare, che non trattasi del suo valor letterario, sì bene della veracità e dell'importanza del libro. Circa l'importanza abbiamo già detto di sopra, che non è tale da doversi rompereper siffattacagione la pietà e la riverenza dovuta da un cristiano cattolico verso la Chiesa madre sua, porgendole si forte cagione di scandalo e di dolore. • Rispetto poi alla veracità, noi ci appelliamo agli uomini savii, chie. dendo loro se puossi avere perlegittimo eautenticoun libro, che ilGen narelli non ha potuto riscontrare coll'autografo vaticano: anzi l'ha tolto in gran parte, o daquanto ne pubblicarono i luterani per astio contro la Chiesa Cattolica, voluta vituperare dell'onta d'un suo capo e maestro pontefice massimo, o da altri manoscritti, dei quali non può guarentire la genuina sorgente. • E tanto è vero che il Gennarelli non ha potuto riscontrare il suo libro coll'autentico manoscritto del Diario del Burcardo, che uno scrit tore della Vaticana ce lo assicurava con asseveranza, dicendo: che ilGen narelli mandò in Roma a chiedere di collazionare il suo manoscritto , e minacciava gran cose, ove non gli si fosse aperto l'autografo.- Eh tu vedi, lettor gentile, che la rocca Vaticana rischia di crollare dalle fon damenta, perchè il signor Gennarelli non potè ottenere il riscontro del suo libro coll'autografo del Burcardo ! Ma egli vedea che tutte lesue fatiche erano indarno senza cotesto confronto, perchè sapea benissimo che niuno potrà avere laminimafede al suo testo ; e ognuno avrà tutto il diritto, incappandosi in certe esorbitanze di dirgli- Il tuo libro men tisce-come si dice dagli uomini assennati, di quelle brutte e sporche narrazioni del testo prodotto la prima volta dai luterani. Di guisa che, con tanto affaticare, il Gennarelli non ha mai aggiunto una dramma di autenticità al suo Diario. •Ora i lettori ci chiederanno, a ragione, di qual natura libro sia il Diario del Burcardo. Ecco : •È antica usanza della Corte Pontificia, che il cerimoniere del Papa noti tutte le feste ordinarie e straordinarie che hanno luogo inPalazzo, nella Basilica di s. Pietro, e per tutto ove sia stato il sommo Pontefice in forma pubblica e solenne. I ceremonieri notano brevemente la festa, i personaggi che vi assistettero, le cerimonie e i riti che vi si opera rono; alcuna volta lo fanno di man propria, ma per lo più per mezzo di un cherico, siccome s'usa anche al dì d'oggi, il quale si trova pre 26 sente alle funzioni, o ne riceve nota dal ceremoniere. Per quest' ufficio il cherico ha un piccolo emolumento , ma si avvia per lo più ad una specie di alunnato per farsi pratico delle cerimonie. •Dalle quali cose tu vedi, lettorcortese, che ilDiario diBurcardo è per sè una lungaenoiosa filatessa di cerimonie edi nomi; di star seduti a di ritta o a sinistra, di rizzarsi, di sedere, di sberrettarsi, di porre il berretto in capo, di dare o ricevere incensazioni, come tu vediin piccolo in tutte le cattedrali, e le collegiate dei canonici. Pergli storici vi è cotesto van taggio, che si sanno di molte date, si conoscono di molte persone, si sanno di molti aneddoti pubblici o privati; e a quel tempo d'infinite ce- rimonie e osservanze d'onore e di riverenza che gli uomini si professa vano a vicenda, e pel sublime concetto che avevano i monarchi della propria dignità, il Diario del Burcardo è pieno di competenze, di liti, di discussioni sopra la preminenza dei posti che doveano tenere gli amba sciatori delle Corone nelle cappelle pontificie, nei concistori, nelle caval cate, ecc. L'oratore del re di Francia non volea ceder la mano all' ora tore del re dei Romani; quelli di Spagna non volean cederla a quelli d'Inghilterra; quei d'Inghilterra protestarono per le preminenze sopra i legati del re d'Ungheria ; questi con quelli del re di Boemia: dal che ne succedean tafferugli, brighe, e protestazioni interminabili. • In che adunque, direte voi, può egli consistere il grand'interesse che spaccia il signor Gennarelli, destare al mondo il Diario del Burcardo ? Consiste in quell'interesse che ha l'umana curiosità di sapere certi particolari che non si possono porre per li storici. Quell'interesse che desta nei buoni cristiani Fabio Mutinelli (Storia aneddotica d'Italia) pub blicando a questi di molti ragguagli inediti circa alcuni atti privati e domestici di S. Pio V, quello stesso desta negliavversarii dei Papi ilBur cardo, il quale narra atti privati e domestici, che se fossero veri disono rerebbero l'augusta persona di Alessandro. Nè qui c'entran punto registri di cerimonie, ma soltanto mormorazioni e dicerie di corte, di sfaccen dati e di maligni, alle quali (se il Burcardo scritte le avesse) non era presente, siccome quegli che non albergava in corte, ma vi andava o chiamato dal Papa o pel suo ufficio di ceremoniere. • E qui è il luogo di notare innanzi tratto, che il Burcardo nutriva astio cordiale controAlessandro VI suo padrone, e dove poteva nonman cava di fargli dispiacere, come nota più volte Paride Grassi, ceremoniere pontificio anch'egli, e vissuto qualche anno collo stesso Burcardo. Fra le altre cose, il Grassi difendendo la condotta d'Alessandro VI per la messa di requie fatta celebrare da lui adAlfonsoducadiCalabria, dice : -- 27 che il Papa nol fece perchè spagnuolo (sicut latrator ille garriebat), ma per vero atto di cristiana pietà (capo LIV dei funerali pei sovrani nella cappella papale). Nota quel latrator, lettor mio, e dove trovi morso A lessandro, apponlo pure ai denti di quel critico. •Altrove chiama il Burcardo ghiotto e beone, ediceche allorchè avea largamente vuotato diverse qualità di vini, cicalava estraparlava a me raviglia.- Omilto quam visceraliter exultat , si quando ab obsonatore exploratur , quot vini generes, quotve item fercula, epulasque parare o porteat. Bone Deus! quid ergo nuper audivi...! (Parte vi, cap. II). •Rispetto alla fede che si deve al Burcardo come ad uomo savio e verace, Paride lo ci significa dicendo- Noster ille Burchardus (al prin cipio della parte III), pleraque, suo more, ludibria, peneque fatu impos sibilia pro inani quadam ostentationem miscere tentaverit. E al capo xxvII dice rotondo Burchardus noster ille subdolus ignorantiae doctor ; e al trove (1) parlando d'una rubrica introdotta nel suo libro, lo impugna quia falsa est et mendaciosa, suo auctori simillima. (1) Lib. 11, cap. сахи. Se poi alcuno volesse trastullarsi un poco a leggere altre allegazioni di Paride sopra il nostro Burcardo, gliele forniamo assai volentieri. Nel libro stesso, capo 35, ove tratta dei riti da serbarsi nelle messe di requie, circa un punto controverso fa notare cosi : " In qua opinione vel potius errore fuit noster Burchardus sui ni " mium amator ingenii, nec ulli rationi, sed uni tantum suae pertinaciae innitens ». Nell'appendice De Funeribus nella prefazione : " Profecto dolendum quod tam multa, tamque >>praeclara de caerimoniis monumenta, non minus temporum injuria, quam Praefectorum incuria periissent, ut vix unum Johannem Burchardum Argentinensem per annos fere quadraginta sub »sex summis pontificibus caeremonizantem, nunc collegam meum, ex tanto naufragio superstitem, vel ex tanto, ut ita dicam, abortu posthumum habeamus; caerimonistam procul dubio vehe " "mentem curiosumque, sed scriptorem ita perplenum et varium, ut praeter id quod in multis locis dubia quae occurrunt non explicat, sed infinita quae desiderantur aut implicat, aut omittit, sic ut omnis Burchardina traditio non ritus, sed risus, non caerimonia sed quaerimonia verius exi » stimetur, nempe, (ut multorum opinio est) ex talibus documentis, vel potius nocumentis tam-bonum est quod ipsa qualiacumque sint obliterentur ut non extent quia malum, quod qui ita scripserit, vel intelligi noluerit, vel nequiverit ». Nella parte vi, cap. 1, parla del pranzo che si costumava dare agl'inservienti nei funerali : " Primum libet hoc in loco nostrum Burchardum paulisper appellare, quandoquidem in illius ore nihil aegre frequens versatur, quam sermo coenaticus, puto quod eius animus totus epularis sit » et semper in patinis. Nempe quoties is talem epulandi occasionem habet, seipsum ut mandiconem »invitat ad coenas hujusmodi emortuales, tamquam ad triumphales nuptialesque , ac ita , ut que madmodum dicere solet, incoenatus ca de causa biduum sustinuerit, quo crapulantius ingurgi > tetur. Quin et convivas subinde conversus hortatur, tamquam ex epulonibus unus, secum totos » ventres distendant pro anima, ut bibens inquit, illius cardinalis in cujus, honorem id exequiale " obsequium, tamquam epulare sacrificium peragitur. Omitto quam visceraliter exultat, si quando ab obsonatore exploratur, quot vini genera, quotve item fercula, epulasque pro ministris missa " libus parare oporteat. Bone Deus! Quid ego ab illo nuper audivi ? Equidem non plures visus -- 28 •Eccoti adunque, lettore, il magno viro che ilGennarelli ti cava fuori dal cassone a felicità del mondo: questa prima partecheforma unbuon volume di 40 fogli in quarto adue colonne, pubblica il Diario del Bur cardo dalla morte di Sisto IV nell'agosto 1481 fino al maggio del 1494 regnante Alessandro VI. È scritto con latino barbaro, con circostanze minute noiose e di niun momento storico, se n'eccettui alcuni tratti, la maggior parte de'quali eran già fatti di pubblica ragione. Uno dei ca ratteri che spiccano nel Burcardo si è l'essere d'una religiosa precisione nel nominare il Papa con sempre gli augusti suoi titoli, i cardinali, i patriarchi, i vescovi coll'appellazione di reverendissimo in Xto signore cardinale della santa Romana Chiesa, R.mo in Xto Padre signore pa triarca di Antiochia ecc., R.mo inXto Padre signor vescovodi Pienza ecc.: ese ne nominasse lo stesso cardinale, o vescovo, o patriarca dieci volte alla fila, sempre ripete cotesti aggiunti d'onore e di riverenza. Notiamo queste cose per mostrare quanto sia assurdo, che quest'uomo (per pro fano e licenzioso che si voglia supporre) si dilettasse scrivere d'un papa cose così strabocchevolmente indegne. • In questa prima parte non vi è nulla di cotali imbratti ; tuttavia e ziandio questa prima parte riesce di scandalo nonlieve pei supplementi, e per le illustrazioni che vi suol fare il Gennarelli, allegando per lo più in nota il Diario dell'Infessura, nome che il Gennarelli stesso confessa edichiara acerbamente avverso ai Sommi Pontefici. Cotalchè p. e. il Bur cardo registra nel Diario semplicemente, che il Papa nel concistoro no mind i tali cardinali, e li scrive coi loro titoli delle chiese , senz'altro. Che fa il Gennarelli? Eccoti nelle note l'Infessura, che narradi ciascuno » sum apud Macrobium legisse in pontificum coenis exhiberi solitus, ut illa Metelli coena, quo die " » Lentulus Flamen inauguratus, sed illud maximerisum movet, dum barbarus iste de coenis saliaribus, » aditialibus, pontificalibus, dubiisque et epularibus, nec non sybariticis et syracusanis mensis velut > grandis orator differere studet. Quae autem verborum prodigia ex illo super haec audivimus, aut „ quas aniles philaterias ipse non effutivit, versus hoc Horatii subinde, tametsibarbare, memorans : Nunc est bibendum , nunc pede libero pulsanda tellus, nunc saliaribus ornare pulvinar " Deorum tempus erit doepibus, sodales. Et haec quidemBurchardus. Ego vere a frugaliore ma gistro, citra jactantiam loquor, hoc est ab ipso pudore semidoctus censeo, quod hujus modi dictis, > factisque Burchardinis explosis, paretur prandium etc. Alla parte viu, cap. xxiv, descrive l'esequie dei defunti nel palazzo apostolico. " Sic noster „ Burchardus virtutis osor in Falconis Sinibaldi Romani tunc fiscalis thesaurarii intra palatium pon „ tificale sub Alexandro sexto defuncti funeralibus censuit etc. ". Qual meraviglia se il crapulone Burcardo nutriva amarezza contra il parco e laborioso Ales sandro VI ? Ognun sa ch'è abitudine consueta dei viziosi il mordere, e l'incolpare altrui di quelle macchie di cui sono essi medesimi imbrattati ; e quando si avveggono non potere riuscirvi, per essere apertamente convinto del contrario il pubblico, carpire tosto altri pretesti e buttar fuori altre lordure, purchè s'infami, si atterri il nemico ! Odierna nequizia ! 29 pèr lo più cosacce, cheli mette in abominazione.V'aggiugne ilVespucci, oratore di Firenze, che scrive aLorenzode'Medici: essere arrivati aRoma due gran cardinali, chedichiara cinicamente perdue ribaldi: e così allega altre volte intorno a fatti, o a persone, che il Burcardo onora, o nomina appena. Questa è nel Gennarelli la serenità propria di uno storico che deve essere senza passioni, di che lo commenda il Trevisani ! •Noi diciamo invece, che chi legge spassionatamentequesto libro cosi condito dal Gennarelli, non può a meno di nonconsiderare ilDiariodel Burcardo se non come il filundente, sopra il quale il Gennarelli ricama i vituperii del Papa e del sacro collegio dei Cardinali. I nemicidi santa Chiesa, che tendono da tanti anni pertinacemente ad iscandalizzare i fe deli in tutti i modi possibili per distaccarli dalla riverenza del Vicario di Cristo, videro che avean buon giuoco alle mani col Diario del Bur cardo; e siccome oggi si briga per ogni via di protestantizzare l'Italia, così prese il Diario come il canavaccio o il filundente, sul quale si può ricamare ogni capriccio, e te lo van ricamando abuon grado loro. Ma cotesti signori hanno bel fare: itempid'Alessandro VInon tornano più; potranno ben iscandalizzare l'Italia e stomacarla; ma farla protestante non già, se Dio ci benedica. •Che noi non calunniam punto l'intendimento del Gennarelli, dob biamo probarlo ai nostri lettori con altre ragioni, ancorchè ci paia aver detto non poco asserendo, che oveil Burcardo è innocuo nel testo , il Gennarelli ce lo rende nocivo coll'allegare annotazioni disonoranti e ma ligne contro i personaggi più illustri della Chiesa. •Egli è vero che il Gennarelli difende valorosamente l'autorità dei Sommi Pontefici pel rimprovero che fa loro ilBrequignyd'avermancato aungiuramento, che icardinali uniti nel conclave d'Innocenzo VIII imposero al futuro papa; dicendo giustamente il Gennarelli, che i car dinali non hanno nessun diritto d'infrenare la potestà del Ponteficecon cessagli da Cristo nel commettergli le somme chiavi, e però i papi non hanno debito d'obbedirli. In altro luogo ilGennarelli riprova ad evidenza con lungoedotto ragionamento la favola della papessa Giovanna, sciocca invenzione la quale ha pur data ai miscredenti tanta materia d'irrive renti dileggi. •Nondimeno abbiamo forte ed evidente argomento a dimostrare , che noi non lo calunniamo. Imperocchè il Gennarelli allapag.203allegando in nota un tratto del Brequigny, ci asserisce che Oderico Rainaldi nel l'undecimo volume della sua continuazione del Baronio, pubblicò degli ampli estratti del Burcardo tolti dai manoscritti vaticani. Il les tira -- 30 des manuscrits du Vatican; e il Gennarelli stesso l'afferma apag. 18 di cendo: Quae sequuntur ex Burcardi Diario MS. in tabula 7, Vatic. extant, sig. n. 37, pag. 75, refet Raynaldus in contin. Ann. Eccl. Card. Baronii ad anno 1484. : •Or dunque, se per confessione del Gennarelli , il Rainaldi , uomo di quella pietà e dottrina di che tutti il conoscono, pubblico alcuni tratti del testo Burcardiano, perchè il Gennarelli, che non ha potuto riscon trare il suo manoscritto coll'autografo vaticano, non seguita la lezione del Rainaldi, ove trova che la sua non corrisponda a quella? E nol fa specialmente nel più grave e solenne passodellasuapubblicazione ?Nei capitolari, apparecchiati dai cardinali in conclave pel futuro Pontefice , èdetto: che ilPapa, come prima il potrà commodamente, diaoperad'a dunare un Concilio ecumenico ad reformandam universam ec clesiam circa fidem, vitam et mores etc. etc. Dopo le parole circa fidem, il Gennarelli nota a pie' di pagina. FIDEM desideratur in Raynaldi. Se il Rainaldi non pose circa fidem, vuol dire che il testo del Burcardo non l'ha; o se pur l'ha non doveva averlo, inchiudendosi in quella parola Adem la più nera bestemmia contro Dio, e il più decisivo pretesto della Riforma Luterana, e del nascimento di tutte le eresie, che in quel mi sero tempo sbucaron dall'inferno a lacerare la Sposa di Cristo. • Fidelis Deus: Iddio è fedele e la sua parola non è soggetta amuta zione. Il Verbo eterno incarnato per la redenzione del mondo, nel fon dare la Chiesa, le promise che non mancherebbe mai della sua divina assistenza, e la sua fede rimarrebbe incorrotta e uscirebbe da tutte le lotte coll'inferno vincitrice della prova Rogavi, ut non deficiat fides tua. Lo disse a Pietro, e in Pietro a tutti i suoi successori. Come adunque i cardinali poteano proporre al futuro papa di riformare la Chiesa circa la Fede? Nè si tratta qui di qualche superstizione introdotta dall'igno ranza in alcuna Chiesa particolare di Germania, di Francia, diBretagna ecc. ecc., ma si tratta di credenze universali.- Universam ecclesiam Pensiamo! Dato e non concesso, che in quel conclave vi fossero anco di quei ribaldi che dice si cortesemente il Vespucci. Il Gennarelli non ci negherà però che v'eran uomini disommadottrina, iqualisapeano il ca techismo un po' meglio dei Leibnitz, degli Eccarde, dei La Croce: e fra questi vi erano quattrogran papi, Innocenzo VIII, Alessandro VI, Pio III, eGiulio II , che Iddio elesse a reggere la sua Chiesa in giorni così tempestosi e funesti. •Tutti i rubelli della Chiesa, cominciando dai Luterani e venendo sino ai Giansenisti, si brigarono di addurre a pretesto di loro fellonia, che la -- 31 Chiesa era venuta meno dall'antica fede degli Apostoli; e se i cardinali del conclave d'Innocenzo VIII avessero nei capitolari posto ad reforman dam ecclesiam circa fidem, sarebbero stati gli antecessori di Lutero, di Calvino, di Zuinglio e consorti. • Il Gennarelli dirà per difendere la sua buona fede: che così sta scritto nel suo codice, ed egli ha notatolealmente, che ciò mancava nel testo del Rainaldi. Va bene; una prova di più per sospettare che il suo testo è interpolato, enonha nessuna autorità, come non l'ebbe maiquello dei Luterani. Secondo. Se anche fosse realmente nell'autografo del Bur cardo, non avrebbe alcuna autorità, poichè ilBurcardo copio i detti ca pitolari dalle scritture del Lopez, dell'Arrivabene e di Lorenzo da Venezia, tre conclavisti che li trascrissero in due quaderni ciascuno da presen tare alla sottoscrizione de' cardinali. Ora cotesti quaderni autentici sot toscritti di mano propria de' cardinali, sol essi fanno autorità: e il Rai naldi, se anco avesse trovato quel circa fidem nel Burcardo, avrà con futato in Vaticano gli atti autentici, e non ve lo trovando, non lo tra scrisse abuona ragione ne' suoi annali. Terzo. Non saria stato adunque pel Gennarelli più conforme non solo alla sua buona fede, ma special mente più conforme alla fede cattolica, il lasciar fuori quel circa fidem, e al più notar da piede. Il mio codice aggiunge malamente CIRCA FIDEM, che non è negli scritti del Rainaldi tratti dai codici vaticani ? •Il Gennarelli cheha supplementi eillustrazioni per ogni piccol fatto, eche pone altre varianti del Rainaldi, non ebbe in fatto sì grave che DESIDE-- quelle due magre parole- fidem, desideratur in Raynaldi. RATUR invece, che il Gennarelli, il quale ha si dottamente difeso Inno cenzo VIII contro i rimproveri di fedifrago che gli dava il Brequigny , ehadimostrato a tanta evidenza la favola della papessa Giovanna, a vesse impugnato da buon cattolico quel circa fidem, provandocolla sua dottrina quanto malamente vi fosse stato intruso. Allora il Gennarelli avrebbe operato con buona fede e riverito, com'è dovere diogni sincero cattolico, il sacrosanto concilio di Trento, che fece i sapientissimi ca noni ad reformandam universam ecclesiam, non CIRCA FIDEM, ma circa vitam et mores, perchè CIRCA FIDEM non v'eraenonvi saràmaibisogno di riformare la Chiesa finchè Dio sarà Dio. •Inunabreve rivista speriamo d'aver detto abbastanza per provare che il Diario del Burcardo, pubblicato dal Gennarelli non ha nessuna autorità per se stesso, perchènon fucollazionato coll'autografo vaticano : nonhaautorità perchè appare manifesto che anche ilsuo fu interpolato dai protestanti: è inoltre scandaloso, non tanto pel testo del Burcardo, quanto per le note che vi appone ilGennarelli. -- 32 • Se il Gennarelli fosse stato di buona fede, non avrebbe contaminata la Sposa di Dio con abbominazioni che piacquero cotanto ai luterani , e forse in gran parte sono ad essi dovute: non avrebbe recata tant'onta all'Italia, facendo spargere dal suo grembo a tutte le nazioni cristiane ecivili tanto puzzo da mover stomaco: non avrebbe vituperata Firenze, che benigna l'accoglie nel suo esiglio, con sì invereconde pagine uscite dai suoi torchi. Egli vede che ci mosse a parlare lacausa dellagiustizia, l'amor della Chiesa, e l'affetto d'Italia; anzi tanto eravam lungi dal vo lergli recar dispiacere, che avevamo già scritto una lettera da inviargli in particolare, per avvisarlo di alcuni errori tipografici che trascorsero nel testo, e ragionare con lui a sicurtà di quelle cose che avevamo no tato nell'attenta lettura del suo libro: ma considerando che qui trattasi della causacattolica, eche molti giornali libertini esaltarono codesta opera con encomii adatti a falsare il giudizio dei giovani inesperti, ci siamo risoluti di parlarne a vantaggio di molti ›. Non poteva essere più acconcio siffatto articolo di meritata censura dirittissima del commendato giornale La Civiltà Cattolica : imperciocchè siccome il Diario del Burcardo forma l'infame luogo comune, dove cor rono tutti i detrattori, meglio che scrittori di Alessandro VI, ad attin gere le putride acque velenose per deturparne la Chiesa santa, ed am morbarne l'anima dei leggenti, così ragion voleva che noi svelassimo sovratutto a questi il tosco, le menzogne, le calunnie nerissime in esso contenute. Di fatto qua e là nel decorso della nostra narrazione avevamo messo in mostra la nequiziadel Burcardo, ma sempre dietro ad esemplari an tecedenti d'assai al Gennarelli. Ora impertanto che questi dalle fogne e reticali il rimise in luce con pretensione bugiardissima di presentarlo al mondo per quello che genuinamente venne scritto dalBurcardo, oltrac ciò straccarico pel peggio di note obbrobriose alla Chiesa cattolica, e le sive della fede sacrosanta di Gesù Cristo, così ragion richiede che ilGen narelli, denutato dell'onorata maschera di scrittore spassionato, fedele e cattolico, si additasse al pubblico qual veramente desso è: ci eravamo accinti all'opera con peritosa penna, temendo che i leggenti giudicas sero esser noi mossi in tale censura da amor proprio piuttosto che da verità, e ci raffermava in tal opinamento l'assapere quanto le merci e stranee vengono anteposte alle nostrali, specialmente se infiorate sono di titoli pomposi qual è il libro del Gennarelli, nome che certo ecclissa il nostro. Quindi non possiamo dissimulare il contento da noi sentito quando 33 leggevamo l'assennata censura fattagli dalla sullodata Rivista Romana, approvata dalla Congregazione dell'Indice (1), che proibi tosto l'opera del Gennarelli ; censura che senza alterarne nemmeno una parola abbiamo volontierissimamente riprodotta apubblico disinganno sulla fallacia per niciosa e disonorevole della scrittura del Gennarelli non solo, ma affin chè sappiano in qual conto tenere il Diario del Burcardo e le note ag giuntevi ragguardo potissimamente ad Alessandro VI, la cui vita pri vata e pubblica tanto orrendamente, quanto ingiustamente vi strazia , non avendo forse mai suspicato, amiam credere, ilBurcardo checotal suo libello luridissimo avesse undì eccitato l'uzzolo inestinguibile degli acat tolici e degli scettici di foiarvi per entro tante brutture orrende. Discepoli di questa scuola, quali più, quali meno, s'incontrano parecchi dei meno antichi e moderni. Fra quelli, ciò chel'apostataBaleo ha scritto intorno ai Papi non solo è pochissimo esatto, ma vi regna il suo spirito turbolento e frivolo, non dissimula mai la sua asprezza e la sua collera spinta ad oltranza contra i pontefici, i vescovi ed i sacerdoti, d'unama niera sì odiosa che spiacque insino alle savie persone calviniste nelle cui braccia si era gettato; come pure le opere cui hanno pubblicate il Du chesne ed il Bzovio, poco degno continuatore degli Annali del Baronio, che senza discernimento alcuno infarci i suoi scritti di fatti veri e falsi : ragione per cui gli scrittori savi isicroni ad essi, benchè amici dell' or dine suo domenicano, ne lo biasimarono apertamente , ed i Francescani ed i Gesuiti non fanno alcun conto delle sue opere.Nè di maggior peso è l'autorità di Paolo Giovio, a cui papa Paolo III rifiuto di conferire l'e piscopato di Como: egli scrisse moltissime opere e di vario genere, ma Bayle ci assicura che lo stile di lui, tuttochè assai vivo, è poco storico, epperciò gli eruditi non fecero mai gran caso della sua storia, persuasi che la penna di lui era venale, e che l'odio ed il favore facevanlo scri vere. Fra questi, il Palazzi ha infinite cose inutili ed assaicomuni (Lan glet di Fresnoy, Metodo di studiare la storia, tom. I, art. II , ediz. se conda. Venezia 1736, e il Dizionario degli uomini illustri, stampato in Caen da una società di letterati) ; e fino lo stesso Lodovico Muratori, che negli Annali suoi d'Italia punse con soverchio sarcasmo contumelioso (1) Noi portiamo ferma opinione che i leggenti nostri di buona fede resteranno convinti al par di noi che non intendiamo unquemai sicuramente di riferire quel decreto della Congregazione del l'Indice quale conseguenza della censura fatta dall' opera del Gennarelli dal benemerito periodico La Civiltà Cattolica; ma solo di convalidare la forza di quella censura coll'autorità del Sacro romano Consesso veneratissimo , il quale alla sua volta, secondo il suo metodo sapientissimo indi pendentemente da qualunque estranea influenza, disaminato attentissimamente quel libro, profferì pe rentoriamente la sua sentenza, dinnanzi a cui debbonsi curvare ossequentissimi i cattolici romani. 2 34 Alessandro VI, ed in null'altro si mostrò quel giudizioso scrittore che in diversa materia si appalesa, salvo nel purgarlo dall'accusa dell' avvele namento del cardinale Corneto. Venne poi egli imitato dalla colluvie degli scrittori oltramontani sopratutto, ed in ispecie dall'abbate Berault Bercastel nella sua Storia del cristianesimo. Questi, temperando lapenna nel fiele il più amaro, non iscorge in Alessandro VI tranne che turpitu dini madornali; e come fa le viste , in pochissimi luoghi, di prenderne la difesa, egli il fa in modo talmente schifoso e stomachevole, che imita il tigre, il quale lambisce la preda inprima di divorarla, e pareggiaqua lunque protestante anche il più invelenito contra il pontificato romano nell'ingiuriarlo ed impudentemente razzolarlo nella bruttura la più schi fosa. Per niente inferiore, nell'accumulare su quel capo augustomenzo gnere accuse, al Giannone, all' imbecille Burchard , al Guicciardini , al Sannazzaro , al Panvinio. Non parliamo dei Tommasi e dei Gordon, per chè li crediamo inferiori alla critica: il primo è un Gregorio Leti senza ingegno, senza veridicità (1); il secondo non fa quasi che copiare il Tommasi. Chè se vivesse ai nostri di l'oratore greco Demostene, pungerebbe i denigratori d'Alessandro VI con quella sua sentenza sempremai vera, che è proprio della calunnia il presentare ovunque delitti, ma nulla provare. Di troppo costei esercito il suo dente roditore su d'Alessandro VI e fe celo tenere pressochè da tutti per un vero mostro di scostumatezza, in sediatosi con frode e simonia sul seggio di Pietro, tenutovisi con vio lenza e perfidia, ed uscitosene da ultimo per delitto. Ma viva Iddio, che anche per questo Papa venne il momento di poter mostrare la fronte tersa di tante macchie, venne il momento di poter dire: Io fui calun › niato, e la mia memoria non per colpa mia giace inonorata. , Conchiudiamo noi impertanto questo primo puntodeiProlegomeni con alcuni pensieri sulla prefazione premessa dagli editori della breve vita. di Alessandro VI , volgarizzata in italiano dal francese, del Jorry, Ge nova 1855, nella quale l'abbate Jorry non fece altro che torre quasi let teralmente quanto in difesa di lui scrisse il dotto Rohrbacher 2) nella (1) Langletdi Fresnoy poc'anzi citato al cap. xvm, § 1, sul fine , scrive che " niuno fra gli » scrittori più di Gregorio Leti, il quale viene accusato che abbia offerta la sua penna a tutti i >> principi dell'Europa, promettendo loro l'immortalità, purchè il liberassero dalla morte, cheuno scrittore può difficilmente scansare, quando non ha altro che la sua penna. La lettura delle sue » opere facilmente c'ingannerebbe, credendo ch'egli seguiti esattamente quella regola, cui egli me desimo ha data; cioè che uno storico debb'essere senza patria e senza religione. Chi mai >> crederebbe che un uomo, il quale domanda tanto, possa ritrovar l'arte di comparire sì disin teressato ? " 2) Dagli Alemanni e dai Francesi si ammira e si då gran vanto al Rohrbacher per la sua sua Istoria ecclesiastica, e diciamo se questa vita giunga opportuna, non èd'uopo il ripeterlo. Chi è di voi che non vegga quanto siano accaniti contro ai Papi oggigiorno eretici e settari ed ogni fatta di scellerati ? Chi è che non senta ogni poco lanciar contra di essi accuse, ingiurie , maledizioni e bestemmie? Se tanto adunque dicono e fanno i cattivi, ri mestando cose vietissime e altre nuove aggiungendone, non sarà bene che si levi una voce a rompere loro in bocca almen una parte di tante , non so se dirmi sciocchezze od infamie? E chi havvi il quale non vide nelle cantonate delle nostre vie a grandi caratteri annunziata la vita di questo stesso pontefice Alessandro VI perAngelo Brofferio?Chi non lesse l'Almanacco nazionale uscito dalla officina della Gazzetta del Popolo nel l'anno 1855, nel quale vi si trova una biografia assai lunghetta d'Ales sandro VI, scritta con quella leziositàpropriadiquegli scrittori?Chi non intese in giorno di domenica nel 1856 quei gridatori percorrere la capi tale grida chiando la vita d'Alessandro VI, scritta daquel bistrattore fa moso dei icarii di Dio in terra, per un soldo? Cartello si infame che la polizia civ le istessa l'interdisse! Chi non lesse la sozza istoria dei Borgia del ciarliere romanzista Alessandro Dumas ? Chi non udi, o lesse con or rore le assurde invettive vociate nei due Parlamenti italiani contra Ales sandro VI, in quella si trattava delle guarentigie da elargirsi allo spo destato Pio IX, le quali pungentissime verrine , indecorosissime , erano tanto estranee all'assunto, quanto mendaci. Eppure chi le gridacchiava tenevansi in rinomanza per nobiltà, età, sapere e grado ! Figli irrive renti, imitatori di Cam, rivelavano le turpitudini del proprio padre! Se altro non fosse che per preparare un antidoto o porgere uncontrav veleno alle conseguenze funeste ovvie a prevedersi dagli scritti di au tori tanto atrabiliari contra Roma ed i successori di Pietro, che trat tano un somigliante argomento, crediamo bene impiegata l'opera nostra! Atutti i modi, sarà sempre un bene aver cooperato a sollevare dal peso di tante calunnie la memoria d'un Pontefice, sarà sempre un bene aver messo nelle mani a chi non può far lunghe indagini e studii profondi , Istoria Ecclesiastica : e noi siam ben lontani dal disconoscerne il merito. Ma scema alquanto l'am mirazione per gl'Italiani ed i Piemontesi in ispecie, che conoscono aver avuto l'esimio Rohrba cher a guida e maestro in quella sua istoria il dottissimo teologo Gaspare Saccarelli, torinese, fi lippino in Roma, che sullo spirare dello scorso secolo, scrisse e pubblicò in terza lingua latina ven tisei grossi volumi in quarto, nei quali dall'inizio dell'era cristiana scende sino all'anno 1197, con una erudizione, dottrina, critica tale e tanta che nulla lascia a desiderare, tranne il rammarico di non vederla compita e maggiormente conosciuta, essendo la sua Istoria la migliore che fino atale epoca siasi divulgata. Devesi perciò a buon diritto questo nostro Autore considerare come una gloria Italiana. 35 36 tanto da gettare in faccia un mentite a chi ci volesse farvergognare di essere cattolici, con dirci quella stoltezza: Oh! un Alessandro VI! Ecco che cosa sono i vostri Papi.....! Ètempo che si rompa, si smaghi, si annienti una voltaquestarete di menzogne, travisamenti, maligne interpretazioni, esagerazioni e storpia ture in cui da un pezzo, per opera specialmente deiprotestanti o di chi ad essi pendea, è avvolta la storia , e quella in particolar maniera che riguarda la Chiesa. Beati noi se coll'opera nostra riusciremo asdruscirla anche alquanto, come sempremai alle nostre molteplici scritture abbiam mirato : Eruite oppressum de manu calumniantis ; Gerem. xxi, 12. II. La vita d'Alessandro VI, vita di cui si servono specialmente gli ere tici per arietare il papato e gettarlo nel fango e nel disprezzo, ai quali, che troppo si congiunsero e fecero plauso anche scrittori cattolici signo reggiati da spirito di parte, o agitati da mire private, talmente che non si adontarono di svisare la verità, invece di ristorare lamemoriadi quel Pontefice, quando pure avessero voluto lasciargli il marchio di alcuni vizi, dovevano per lo meno confessare che andavano inluimiste le piùgrandi qualità ed eccellenti, e così trovare materia per variebelle paginein una vita troppo atrocemente calunniata. Non immoreremo noi, no, per ora, a ribattere il malignar di certuni, ai quali piacque il credere probabile quanto di laido e di nefando spac ciarono con tanta compiacenza storici e satirici della Lucrezia Borgia; perocchè appositamente ne tratteremo a suo luogo, adducendo a lei di scolpa dei fatti non dei fiori rettorici. Presentemente di volo soltanto ac cenniamo, che la condotta di questa matrona, poichè divenne duchessa di Ferrara, ci somministra argomento persuadente affatto il contrario. Unadonna, la quale per parecchi anni seppe inspirare ai duchi di Fer rara, suocero, sposo e figlio, tanta tenerezza e stima di sè, e destare nel gentilissimo cardinalePietro Bembo unamoreche, come affermano ilGual teruzzi, l'Oltrocchi ed il Mazzucchelli, non offese unquemai leleggi del l'onore, e poi si cangiò in reciproca estimazione ed amicizia; una donna che fu la protettrice e l'amica del Trissino e d'Aldo Manuzio, chiarissimi ambedue per dottrina ed onestà di costumi; una donna che fu ottima moglie d'Alfonso e madre egregia d'Ercole d'Este, da loro amata e ve nerata fino alla morte, non poteva essere stata una Taide, un'Aspasia, una Frine, una Glicera, famosissime negli annali greci: di coteste metamor fosi non si videro giammai nè in Poppea, nè in Messalina, nè inBianca Cappello, nè in altre di tale conio. L'età, disse il professore Giovanni Rosini a questo proposito, é un buon -- 37 missionario; ma lasciando stare che scarsi, incerti e spregevoli siano pur sempre i frutti di codesta che Montaigne chiama a ragione virtù catarrosa e vile, proveniente da sazietà e da troppi anni , anzichè da pura e migliorata coscienza, Lucrezia, quando sali sul trono di Ferrara, era ancora giovane, era ancora la più bella principessa del suo tempo. Chi mai, leggendo quelle sue lettere che ci furono conservate , quelle che tanti uomini illustri le scrissero da tante parti d'Italia, e le poesie, e le opere che furonle intitolate, eziandio da chi pur non aveva inte resse niuno d'adularla; testimonianze tutte de' suoi molti e rari pregi , i quali , al dire dei più imparziali scrittori , ne formavano una saggia ecolta principessa; chi mai indursi può a credere che ella fosse ad un tempo la figlia, la sposa e la nuora d'Alessandro , e che avesse presie duto alle orgie dscene descritte da Burcardo? Considerato impertanto quale sia stata, per confessione d'ogni coscien ziato storico, la vita di lei nell'epoca di cui parliamo; inoltre che nes suna delle colpe anteriormente oppostele non fu mai provata in modo irrefragabile; io non temo di peccare per soverchia simpatia se affermo, che quelle sono piuttosto da attribuirsi alla tristissima natura de' tempi suoi, in cui regnavano la menzogna e la calunnia , i quali, per essere licenziosissimi, rendevano credibili le accusazioni, che in altre età più costumate sarebbersi tenute per esecrabili libelli infamatori. Si toccaleggermenteper ora ma sufficientemente la quistione, ragguar do aLucreziaBorgia, che vuolsi additareper l'obbrobriodel femmineo sesso, escolpatala daogni bruttura, ragion richiede chescendiamo adiscorrere su di altri punti nonmenocalunniosi contra d'Alessandro VI e della suaprole, rallegrandoci che in tanto assunto nostro siamo stati aggradevolissima mentein alcuneparti prevenutidalleconsiderazioni delchiaro prof.Andrea Zambelli sul libro del Principe, di N. Macchiavelli, lequali non posssono perfermo avere leviste d'essere troppo parziali ai Borgia, eper le quali ancora ne conseguita che, siccome dal timo si può estrarre il mele così sotto altro aspetto considerate le azioni dei Borgia , perdono queste il carattere della ferocia, e vestono quello della severità inesorabile puni trice dei misfatti, qualunque di tal rigidissimo procedere fosse lo scopo : poco alla società importando qual ne fosse il fine privato, purchè metta apubblico vantaggio della Chiesa, dello Stato e delle famiglie in gene rale, di cui queste si compongono. Difatto: CesareBorgia racconcia la • Romagna, unitala e ridottala in pace e in fede; e il popolo divenne • affezionato alla sua potenza o confidente di quella dice il Segretario fiorentino, nel cap. 17del Principe, e il Romagnosi, Dell'indole e dei fau , t 38 ori dell' incivilimento, afferma che il passare sotto il duca Valentino fu per molte cittàun vero guadagno, e solo per certe case potenti unosterminio.. La biografia d'Alessandro VI dell'officina della Gazzetta del Popolo ri porta che fu la Romagna nettata dai masnadieri , i quali infestavano , le strade, e che era contenta sotto il governo di quellamanorobusta: ▸ tanto vale appresso ai popoli corrotti la forza!. Roma abbondava di gentiluomini: •di quei gentiluomini che oziosi vivono dei proventi delle loro possessioni abbondantemente, senza avere alcunacuraodicoltivare o d'alcuna altra necessaria fatica a vivere; sono perniziosi in ogni provincia, mapiù perniziosi sono quelli che, oltreallepre dette fortune, comandano a castelli, edhanno sudditi che ubbidiscono loro. Di queste due sorta d'uomini era piena terra di Roma, laRomagna: tali generazioni di uomini sono nemiche d'ogni civiltà, per l'eccessiva loro ambizione e corruttela, che le leggi non bastano a frenare nel lib. 1, cap. 55 dei Discorsi. Ein altro luogo (nel lib. 3, cap. 29 dei Discorsi), egli cosi ragiona : • LaRomagnainnanzicheinquella fossero spenti da papaAlessandro VI quei signori che la comandavano, era un esempio d'ogni scelleratissima vita, che quivi si vedevano per ogni leggiera cagione seguire uccisioni e rapine grandissime. Il che nasceva dalla tristizia di que' principi, non dalla natura triste degli uomini, come loro dicevano; perchè, sendo quei principi poveri e volendo vivere da ricchi, erano forzati volgersi a molte rapine, e quelle per vari modi usare : e , tra le altre disoneste vie che tenevano, facevano leggi e proibivano alcuna azione; di poi erano i primi che davano cagione della inosservaza di esse, nè mai punivano gl'inosservanti, se non poi quando vedevano essere incorsi assai in si mile pregiudicio: ed allora si voltavano alla punizione , non per zelo della legge fatta, ma per cupidità di riscuotere la pena. Donde nasce vano molti inconvenienti, e sopratutto questo, che i popoli si impoveri vano, e non si correggevano; e quelli che erano impoveriti s'ingegna vano contro i meno potenti di loro prevalersi. I feudatari ed i piccoli principidellaRomagna (diceRoscoë) laceravano dalungo tempo lo statodella Chiesa; sostenevansi colle rapine, ed erano il terrore di tutta l'Italia. Le discordie e le contese, che segnalarono quest'epoca, ponno essere paragonate ai combattimenti delle bestie fe roci , in cui l'animale più furioso e più forte distrugge gli altri.. I1 quale stato di cose, eccetto forse la signoria assoluta di alcuni feudatari, non era dissimile da quello in cui trovavansi la Francia e la Spagna -- 39 per cagione di feudalità; ma danni ancor maggiori apportava e al go verno ed ai popoli la nobiltà feudale della terra di Roma. I Colonna e gli Orsini coi numerosi aderenti loro, i Savelli, i Conti, i Santacroce, ecc , potenti pei molti feudi e castelli, potenti altresì, perchè conduttieri di ventura com'erano, disponevano d'una quantitàdi milizie, e, come dice il Segretario, avevano in mano tutte le armi d'Italia : quando solleciti dell'affezione de' soldati, tanto infesti alle campagne, ai villaggi ed a chi vi abitava: raro era che per l'effetto di continue guerre civili e della militare licenza non gli mettessero a ruba, e non vi recassero la morte e la distruzione; sicchè tra questo motivo, e pel continuo timore delle misere popolazioni, le terre o venivano abbandonate, o rimanevano pressochè incolte, o diventavano un deserto pienodi paludi pestilenziali. Cotali effetti, veggasi Sismondi, Storia delle repubbliche italiane del medio evo, tom. 13, partorivano le fazioni e la prepotenza di quei castellani , peggiori al certo di quanti ne avesse qualunque altro paese d'Europa. Egli era contro ad una tale idra che doveano cozzare i Borgia, onde salvare la penisola da imminente barbarismo e dissoluzione inevitabile; essi operarono assaissimo, ma lasciarono ancora molta erba malefica da sbarbicare ai Giulio II, Clementi, Leoni, e Sisto V, i quali a stento riusci rono a stremare, non a distruggere il mal seme. Le arti impiegate dai Borgia non erano dissimili da quelle che ma neggiavano coi castellani d'Aragona e coi feudatari di Francia, Fer dinando il cattolico, e Luigi XI, ed anche Arrigo VII re d'Inghilterra : questi se non uso di perfidia, certo mostrossi assai artifizioso nel pre concetto disegno di sollevare sulla depressione della nobiltà inglese la prerogativa reale; questa verità fu assai bene dimostrata daAllam e Ci brario, com'è da vedersi al cap 5 dell'Europa nel medio evo ; e al lib. 1 dell'Economia politica del medio evo. Dunque, insomma uguali cause in ducevano per diversi rispetti ad uguali espedienti ; ad esser volpe e leone. La forza legale non bastava contra inveterate prerogative ed usurpati poteri : conveniva ricorrere a' mezzi straordinarii e terribili, se già non si voleva che le piaghe infistolite (espressioni del Macchiavelli) degli stati s'incancherissero. Finchè i potenti non siano disarmati e posti nell'im possibilità di sottrarsi alle leggi, dice Romagnosi, nell'opera dei Fautori dell'incivilimento , quando parla delle signorie italiane dei secoli xiv, xv; finchè il popolo non sia alimentato e sicuro; finchè l'amministrazione non forte e moderata, sarà assolutamente impossibile d'evitare orpiù or meno le orride scene riferite dagli annalisti italiani. Ecome a giudizio di Sismondi e di Guizot, era necessario al corrot -- 40 tissimo ed invecchiato mondo romano che la barbarie settentrionale il ringiovanisse, così nel tempo di cui parliamo, per una diversa, ma non men trista fatalità, era mestieri che un Borgia, un Ferdinando, un Luigi adoperassero i loro terribili artifici, per liberare il progresso sociale dalle pastoie in cui trovavasi miseramente condotto , e gli dessero quello sciolto andamento, che la progressiva natura delle cose imperiosamente richiedeva. L'Italia come il resto dell'Europa, dice il prelodato Guizot, doveva passare per mezzo ad una centralità dispotica che ne avrebbe fatto un popolo, e l'avrebbe renduta indipendente dallo straniero . Ed anche il dispotismo è necessario per quelle riforme sociali, che non pos sono essere secondate da una matura civiltà..... Per tali principii, la Chiesa, che nel temporale da Alessandro VI in dietro, i potentati italiani, anzi ogni barone o signore, la stimava poco, venne a tanta grandezza, che allora un re di Francia ne tremava. Il Macchiavelli ci avverte : • che i nemici di lei a tenerla bassa servivansi • dei baroni di Roma, cioè degli Orsini e dei Colonnesi, i quali stando • colle armi in mano in sugli occhidel Pontefice, tenevano il pontificato debole ed infermo . E soggiunge : Benchè sorgesse qualche volta › un Papa animoso, come fu Sisto, pure la fortuna o ilsapere nonlopotè › mai disobbligare da queste incomodità; ondele forze temporali del • Papa erano poco stimate in Italia. Sorse di poi Alessandro VI, il quale coll'istrumento del Duca Valentino fece tutte lecose che io ho discorse › di sopra: e benchè l'intento suo forse non fossedi fargrande laChiesa, › ma il Duca; nondimeno ciò che fece tornò a grandezza della Chiesa, • la quale dopo la sua morte, spento il duca, fu erede dellefatiche sue. › Venne dipoi Papa Giulio, e trovò la Chiesa grande, avendo tutta la › Romagna, ed essendo spenti tutti i baroni di Roma, e per lebattiture › d'Alessandro annullate tutte le fazioni . E seguita a mostrare come , quindi ad esso Papa Giulio si aperse la via ad accrescere di denari e di dominio la potenza ecclesiastica. E sebbene sia troppo generale la proposizione d'un certo scrittore, quindi può ai meno cauti divenire pericolosa, tuttavia va presa in con siderazione : questi adunque dice : Che non vi è guerra più giusta, e › salutare di quella di raffrenare, ed anche spegnere i tiranni, se non vi è altra via, inimici dichiarati della società e della religione Il per › chè Mosè, Giosuè, Giaele, Giuditta, aggiugniamo ancora, comp endo a › questa missione non solo rassodarono il regno d'Israello, ma se varono › la società in quelle contrade, e la religione, non tendendo ad altro la › tirrania che allo scioglimento d'entrambi. La piaga è grave, ilcapite, -- 41 › maappunto perchègrave per risanarla ci vuole il ferro, ed il fuoco • indivisi dal dolore e dal pianto, così d'Alessandro VI . Non debbono essere i privati, nè le ribellioni le punitrici della terrania, benchè pos sano essere ministri della collera divina, come risulta dalle istorie tutte sacre e profane, ma lasciarsi una tale vendetta agl'inviati da Dio. Non può arrogarsi una simil missione senza provarne l'autorità almeno col fatto approvato da Dio. Repubblicani, vantate pur il fatto di Muzio Sce vola che proditoriamente tentò uccidere Porsena per salvare Roma! Or io domando, e non pare qui di vedere un altro Luigi XI, il quale, coll'indebolire i grandi, e poi spegnerli o deprimerli, fece quello che fu fatto da Papa Alessandro VI? Concediamo pure che questi il facesse per ingrandire la propria famiglia, anzichè la Chiesa; ma Luigi il faceva forseunicamentepel bene dellanazione francese, onon piuttosto per la pro priaambizione? Ammessoche ilfine immediato diambidue fosse l'egoismo; madi siffatto egoismo sorse a nuovavita il regno di Francia, come prin cipiò a sorgere lo Stato ecclesiastico, poichè ne furono battuti i baroni, i quali come dice il Giovio, erano chiamati ceppi dei Pontefici. Perchè dunque PER MUZIO SCEVOLA, LUIGI XI VI SONO LAUDI, E PER ALESSANDRO VI BIASIMI ! DOVE LA GIUSTIZIA ? Se Alessandro VI onde far suo figliuolo Cesare Borgia (Rivista e Bi bliot. Contemp., tom. 2, fasc. 4, p. 306, anno 1854), duca di Valenza in Francia e principe della Romagna, favoriva Luigi XII che nel 1499 in vadeva il Milanese, e nel 1501, con nerissimo tradimento, ilnapolitano ; non sarà in ciò stata diritta la politica del Papa, ma almeno fu italiana edinnientedissimileda quella dei Veneziani, alleatisi pure con Luigi XII pel misero acquisto di Cremona e di Ghiara di Adda; nè infida quanto l'altra di Ferdinando di Spagna, il quale, fingendosi protettore di Fede rico III re di Napoli e suo parente, concertava col redi Franciapredetto che sarebbersi unite le due schiere, non per guerreggiarsi, ma per di vidersi quel reame. Se non che, come già si disse, il mal seme non ne fu tolto: le inso lenze baronesche e le piccole tirannidi ripullularono a guisa dell'idra, le cui teste non potevano esser tutte recise che dal Principe di Macchia velli ; il quale, giusta le cose dette, non avrebbe mai potuto mandare ad effetto l'impresa ideata dal Segretario, se inprima non troncava tutte queile teste; teste che dovevano essere mozzate per eseguirequella mu. tazione necessariaal benedello Stato, onde purgarlo di quei tanti tiran nelli e predoni, che l'infestavano; nè potendolo fare altramente i Borgia, dovevano impiegare gli artifici, supplendo così allamanchevolezzadelle leggi. 42 Ma il Valentino nella tragedia di Sinigaglia fu unosleale, mancoalla data fede, ingannd, aggirò quei capitani che eransi in lui affidati, e brut tamente li tradì ! So bene, che i moralisti dimostrano ragionevolmente, non poter es sere un argomento a giustificazione del mancar di fede, la presunzione che tutti gli uomini sieno sleali; perchè questa sarebbe un'ingiuria all'u manità, e d'altronde per tal forma ogni promessapotrebbe essere violata; ma, torno a dirlo, il Segretario in questo luogo non vuol farla da mo ralista, che si rivolga a tutti gli uomini, egli parlaad un principe nuovo dei suoi tempi, il quale, come pur dice, è spesso necessitato, per man • tenere lo Stato, operare contro la fede; e bisogna che abbia un animo › disposto a volgersi secondo che i venti e le variazioni della fortuna ▸ gli comandano: ed allega gli esempi di papa Alessandro edi Ferdi nando il Cattolico, anzichè dell'intera umanità : intese adunque parlare di coloro con li quali ebbero che fareiprincipi nuovi dell'età sua, e i due ricordati sovrani che in cotesta loro impresa del tor di mezzo o di re primere la prepotenza baronesca o castellana, facevano al certo unagran novità nei dominii loro. I principi del suo secolo, i baroni, i signorotti, e simili altri, erano gli uomini di cui egli qui evidentemente afferma, che non avrebbero osser vato la fede; il che si concilia colla descrizione che poi ce ne fece nei Discorsi, e con quanto io pure osservai di sopra in proposito degli sta tuali tutti di corrottissima età, in cui gl'inganni e le frodi erano non solo ordinarii, ma secondo i casi e apprezzati e lodati. Con simile genia, che io non dubiterei di paragonare ai ladri, agli assassini, dobbiamo noi meravigliarci se per propria guarentigia si opponeva l'inganno al l'inganno? • Lo statista, dicea questo propositoil Martines, Guide diplomatique etc., dee regolare lapropria condotta secondo quelladicolorocon li quali egli entra in un negoziato: se li trova leali e schietti, deve esser tale anche egli ; ma qualora impieghino l'astuzia, egli è pienamente autorizzato a valersi delle medesime armi: e a torto si biasimerebbe un negoziatore che fosse costretto ad operare in tal forma da chi cerca d'ingannarlo, perchè il conseguire il suo fine è quando vi ha d'essenziale in lui ». Non dissimulo l'obbiezione di alcuni. Quando, essi dicono, conchiuso che siasi un patto, un trattato, si abbiano indizii e prove manifeste che l'altro contraente non sia per osservare la fede, si può avere un giusto titolo per non attenergliela ; ma non già quando gli indizii siano ante riori e non posteriori al contratto, come avverrebbe delpirata, del ladro -- 43 edi altrettali persone; giacchè, soggiungono: eperchè adunque, non o stanti quelle antecedenze, patteggiaste con loro? Se non vi foste fidato, non avreste pattuitocon essi. La loro malvagia vita dee bensì distogliervi dal venir seco ai patti; ma conchiusi che gli abbiate, se essi non vi diano cagione di fondato timore, voi non avete il diritto di mancare ad essi della data parola. Assai severa è questa morale, nè tutti i trattatisti la spingono tanto oltre: ma io, lasciando la questione indecisa, voglio considerar le cose nell'aspetto in cui dovea considerarle ilMacchiavelli. Mi si dica pertanto; nei tristi tempi che allora correvano, quei gentiluomini castellani della terra di Roma, della Romagna, di Napoli, e quei grandi fiorentini che con le sêtte rovinavano lo Stato, quei signori che avevano occupato i feudi della Chiesa, gente, come dice il segretario fiorentino, eccessiva mente ambiziosa e 'corrotta, perniciosa in ogni provincia, nemicad'ogni-civiltà, esempio d'ogni scelleratissima vita, che per ogni leggiera ca gione commetteva uccisioni e rapine grandissime, per cui i popoli si impoverivano e depravavano; gente per conseguenza che opponeva un continuo ostacolo alla civile concordia, alla centralità ed alla tranquilla e soddisfacente convivenza, non eran forse altrettanti pubblici nemici ? Come già si vide nel testo preallegato di Romagnosi, e come dice il Se gretario istesso in quel capitolo prementovato dei Discorsi, non vi era nè poter politico, nè legge che fosse sufficiente a frenare tanta corrut tela ed a proteggere l'ordine pubblico; non bastando perciò la forza le gale, non bastando le ordinarie vie della giustizia, conveniva supplirvi con l'astuzia. Ciò stesso fu udito dire anche da Leone X, in proposito del Baglioni , se dobbiamo credere all'Anonimo padovano citato dal Muratori nei suoi Annali d'Italia. Quale altro mezzo rimaneva infatti alla Società per la propria conservazione, che è pure la prima legge di quella? I termini della ragion distato nondeggiono essi dilatarsi inproporzione di codesta legge? Non fecero forsedi più EnricoIII redi Francia nel farpugnalare estragiudicialmente nella sua reggia istessa i due fratellie duchi di Guisa ; PierGradenigo colla serratadelmaggiorconsiglio; Bonaparte col diciotto brumale; Napoleone III col due di dicembre? Se fosse lecito mescolare le cose sacre colle profane, direi pure: che altro feceAod conEglon dei Moabiti; Giaele con Sisara; Giuditta con Oloferne? Così Giacobbe che ruba con una gherminella la primogenitura ad Isacco, il quale voleva darla ad Esaù fratello di lui. Ora se è così, che alla propria ragione pri vata si debba mandare innanzi una ragione piùuniversale e piùpotente, chi potrà accusare Alessandro VI d'averla seguita nella sua qualità di Sovrano? Eppoi chi può affermare che Alessandro VI abbia ordinato od ordito questi inganni? Per la necessità evidente del comun bene, per guarentirsi e salvarsi dalle altrui perfidie e malvagità, non per farne la ragione di stato , è non solo un diritto, ma si un'obbligazione naturale e indispensabile (1). Lefrodi e gli inganni, come asserisce Aristotile, hanno talora sovvertiti gli Stati. Perchè non si ha da impedire e stornare codesti mali e salvar la società coi mezzi stessi con cui si vorrebbe rovinarla? Il volere con simil gente operare altrimenti , è talvolta un voler tradire e perdere lo Stato. • Sealcuno, dice loStellini (Ethica), cerchi di conseguire ciò cheabuon diritto se gli debba, e che dall'altrui iniquità gli sia impedito, conven gono e i giuristi e i più severi filosofi, non essere interdetto l'aiutarsi della menzogna a quel fine; e di fatto sarebbe in filosofia assurdo ildire che non sia lecito l'opprimere più sicuramente cogli inganni colui che non ingiustamente possa essere ucciso da noi conmaggior pericolo, im perciocchè l'inganno non si oppone più della forza alla ragionnaturale. qualora tendano entrambi a perturbare i sociali diritti , e, se nel difen dere e pretender questi, la forza è giudicata onesta, non può essere di sonesto l'inganno al medesimo fine impiegato.. Tanto asserisce il prefato filosofo che vuole farla da autorevole mora lista, ed a conferma della sua sentenza allega un passo della Ciropedia, dove il padre di Ciro dice al figliuolo checosì deve fare il nemico contra il nemico; ed un altro luogo di Senofonte, di cui non altrimenti consi glia il filosofo, anzi pare che in tale proposito reputi migliore l'inganno. Ora codesti occupatori delle ragioni della Chiesa, codesti castellani , ο grandi, o baroni, di cui parla il Segretario, non eranoessiribelli e mal vagi, che, postisi colle violenze loro al disopra della legge, toglievano ai cittadini la personale e reale sicurezza, ed impedivanoallo Statoogni viver civile ? E questi, che venivano dalla loro iniquità impediti, non e rano forse i più sacri diritti dell'uomo e della società, la cui conserva zione non è pure conceduta, ma comandatadalla stessa natura? Se que sta vuole il fine, deve quindi volerne i mezzi , e giustificare anche (1) Noti bene il leggente che il raziocinio qui non s'intende che sia condotto d'appresso ai prin cipii teologici, sebbene unicamente dietro alle opinioni politiche-statuali-filosofiche , conciossiachè noi non discorriamo di una morale religiosa, ma solamente politica, diremo nel solo senso, in cui venne e viene inteso dai Macchiavellisti, 44 45 l'astuzia, se altri non ne rimangono a conseguirlo fuorchè la forza o l'inganno (1). La società dev'essere dagli estremi pericoli salvata ad ogni costo ed in ogni modo pronto ed efficace , altrimenti ne nascono due mali : la mancanza dei beni che non si ottengono, e le pubbliche sventure che si vanno di di in al accumulando; sicchè, qualoraincosì tristi e imperiose circostanze, che non ammettono transazione nè ritardo, sorga un astuto potente che in un modo o nell'altro sia in istato di salvarla, io per me credo che giuridicamente il possa; egli è un nocchiero che potendo ei solo salvare la nave da una tempesta, si arroga quell'imperio che gli dà il pericolo della comune sicurezza. Il poter sociale ora fu l'effetto della natura, ora della fortuna, ora del l'arte, ma dove soddisfaccia allo scopo di effettuare una tranquilla e fe lice convivenza, i cittadini hanno il dovere d'uniformarvi gli interessi e le opere loro. perchè appunto lo legittima quel conseguito scopo e l'es senziale socialità, senza di cui gli uomini non potrebbero perfezionarsi, nè tampoco conservarsi (2); ma per giungere in quei tempi perversi a codesto stato di cose erano appunto necessarii i terribili artificii con sigliati da Macchiavelli , giacchè non vi era altra via per uscire da quell'intricato e infame labirinto in cui i malvagi avevano avviluppata la società. • Il Principe, diceil coscienzioso Montaigne(Essais), se mai un'urgente circostanza ed il bisogno dello Stato lo inducano amancaredi fede, e lo gettino fuori del suo dovere ordinario, deve attribuire questa necessità auncolpo della verga divina. Non èquesto un vizio, avendo egli abban donata la propria ragione ad una più universale epotente ragione; ella è una sventura di chi si trova astretto fra due estremi; sono rari e pe ricolosi esempi, eccezioni inferme alle nostre regole naturali, e bisogna cedervi. Nessuna utilità privata è degna che si faccia una tal forza alla nostra coscienza, ma sì la pubblica, qualora siaevidentissimaed impor tantissima.... Ma un'altra taccia è data a Macchiavelli: quel fondarsi e tornar sem pre sugli esempi dei Borgia. Ora io non gli loderò, nè tampoco gli ap proverò; nè lo stesso Macchiavelli gli lodò nè gli approvò in ogni suo scritto, come appare dalla sua Legazione a papa Giulio II e dai Decen (1) Pensava anche lo stesso Enrico Luden in un suo notabile articolo sulla traduzione di Reh berg del libro del Principe (Vedi Jenaische Algem. Lillerature Zeitung.; 1810, p. 81 e seg ) 2) Su questa verità, che io tocco appena, sono da vedersi le teorie di Romagnosi , di Guizot, di Ancillon, ecc., есс. 46 nali. Pure la severa imparzialità della storia non potrà mainegare, che o per istudio di parte contro una famiglia che si era innalzata sulla rovina di tante case potenti e piene di aderenze, o per la naturale pro pensione a supporre altri delitti in chi ne commise parecchi , o perchè in quei corrottissimi tempi, incui si teneva possibile anzi probabile quanto di più atroce e nefando immaginare si potesse, la perfidia dell'età non iscompagnavasi dagli scrittori; i vizi ed i misfatti di papaAlessandro VI e del Valentino (ogni dubbio fuora, come evidentemente proveremo) , siano stati esagerati dal Pontano, dal Sannazzaro, da Guido Postumo dal Guicciardini , dal Giovio e dallo infame Burcardo, il quale ultimo non pertanto (e questovalga contra Guicciardini)tace dei supposti amo i incestuosi di quel Pontefice, nè accenna ch'egli morisse di veleno prepa rato per altri. Alessandro VI non solo era un principediverso daglialtri principi del suo tempo, acclamati da autori coevi, che anzi ildimostriamo migliore (1) ; e se impiegò, al dire de' suoi nemici l'eminente sua dignità, servendosi della potenza spirituale per favorire interessi temporali, ma altri Papi di codesta età nonvennero coartati forse ad operar altrettanto? Giulio II, Leone X non bastando la temporale potestà contro ai contumaci figli , epperchè non dovevano usare la spirituale ancora? Qual misusoin ciò? Se molto egli sitravagliò per l'elevazione della sua casa, e per far giun gere suo figlio al grado di principe sovrano in Italia, si può imputare lo stesso a Clemente VII e a Paolo III; con questo soprappiù, che il ni pote del primo e il figlio del secondo di questi due papi, se somigliavano al figlio d'Alessandro VI nei vizi e nella malvagità, e fors'anco il supe ravano, erano ben lungi dal pareggiarne italenti militari e politici. Chi ignora, un po'versato che sia nelle istorie , che il nepotismo venisse in quei di creduto necessario, è come tale iscusato dagli stessi più mode rati e dotti scrittori protestanti? In un tempo che con ributtevole perfidia Ferdinando il cattolico e Luigi XII dividevansi il regno di Napoli, cacciandone unareale famiglia generalmente amata e rispettata in Italia, e con cui l'uno di essi aveva una stretta parentela, il Papa potevasi credere autorizzato a far perire alcuni baroni del suo Stato , perfidi ed insolenti condottieri di truppe mercenarie, amati da queste perchè ne favorivano la licenza, ma odiati (1) Come principe Alessandro VI si governo con maggior dirittura dei principi isicroni , come Pontefice poi si diportò tanto santamente quanto i più grandi Vicari di Dio, al dire di varii scrit tori sincroni ; il che proveremo nella sua vita. 47 dal popolo , che sotto la loro signoria non era, come si vide, giammai sicuro nè delle sostanze, nè della propria industria , nè delle persone. •Roma non godette mai di lunga quiete, finchè ilPapa non acquistò forze bastanti da frenare la violenza di quelle turbolenti fazioni dei Co lonna e degli Orsini , dice a ragione il dottoCibrario (Storia dell'Eco nomia politica del medio evo). Que' signori, quei principi di Romagna, ospodestati, o sterminati da lui, e dal figliuolo, erano anch'essi feudatari e vicarii suoi, che per la mag gior parte avevano acquistati i loro principati coi mezzi di cui egli si valse contra di loro, e che, come pure siosservo, con le uccisioni ecolle rapine vessavano e depravavano i loro sudditi (Vedi Macchiavelli nei Di scorsi al luogo citato. Veggasi anche il Krantz e il Coqueo, il quale di mostra come i protestanti aggravarono non poco i falli di CasaBorgia: Sempre esagera o travede l'amor di setta). E se taluni, i Montefeltro, i Varano, ecc., protessero le lettere, già non protessero ciò che un Sovrano deve principalmente proteggere. Secondo che raccolgo dalle memorie dell'età, il loro mal governo era l'effetto dell' angustia e della povertà dei dominii loro, e della mancanza di una centralità, da cui nasce ap punto la ricchezza e la forza degliStati, edallaquale aspiravano iBorgia. Giàvedemmo che da Alessandro VI in poi i papi cominciarono a fare una miglior figura nel mondo come principi secolari, al che, ove si ag giunga che tutti (1) si accordano ad attribuirgli un coraggio superiore agli avvenimenti ed una mirabile eloquenza e destrezza nel trattare gli affari ; la scienza di governare il popolo, ristabilire nel suo regno lapub blica sicurezza, visitando egli stesso più volte le prigioni e facendo pu nire ben sovente i ladri e gli assassini con tutta la severità delle leggi; che, per le sueprovvisioni, la carestia, la quale desolava il rimanente d'I talia, in tutto il tempo del pontificato di lui non si fece sentire ne'suoi Stati ; e che eziandio le arti, le lettere e l'archiginnasio romano trova rono in lui un liberale ecostante protettore; finiremo per convincerci che Alessandro VI, se non fu un santo papa, neanche fu il peggiore dei papi, com'è lapubblica opinione; e che, se egli con unamanoatterrava ipre potenti, assicurava con l'altra e beneficava i popoli 2). (1) Segnatamente Raffaele di Volterra, il Panvinio, il Nauclero e il Monaldeschi. Quest'ultimo lo chiama magnanimo, generoso e prudente. Può vedersi anche Roscoë: Storia del pontificato di Leone X. (2) In Alexandro (ut de Annibale, Livius scribit) aequabant vitia virtutes, scrive il mento vato Raffaele di Volterra; e il Coqueo asserisce de' suoi nemici : vitia notant , non dignitatem insectantur. 48 In materiadi retoriche indagini, io non inclinerei gran fatto a citare l'autorità di Voltaire, di cui è nota la parzialità e la pocacoscienza sto rica; ma sulla bocca d'uno scrittore tanto nemico ai papi, la difesa di uno di questi mi pare che, per quella stessa parzialità, divenga preziosa edanon trascurarsi. Ora egli in un ragionamento sulla morte d'En rico VI re di Francia, venendo per incidenza aparlared'alcuna di quelle enormità che si appongono a papa Alessandro V1, così apostrofa contra il Guicciardini : Tu hai ingannata l'Europa, e fosti ingannato tu stesso ›dalla tua passione; odiavi il Papa, e troppocredesti all'odio tuo e agli › altri vizi e misfatti di lui. Acoloro poi che chiamano il ducaValentino un mostro, osserverò che codesto mostro seppe introdurre il primo in Italia l'usanza di armi na zionali, che certo non sembra confarsi alla naturale diffidenza di un ti ranno ; seppe colla militare perizia, con un coraggio e con una politica che tengono del miracolo, fondare uno Stato il qualepoteva essere il pro pugnacolo, la salvezza degl'Italiani (1), e prevenirne leulteriori sciagure. Equantunque abbia regnato per breve tempo, pur seppe far gustare in Romagna i vantaggi del suo governo : talmente che, siccome dovette confessare lo stesso Guicciardini, nemico del Borgia : Anche dopo la caduta del Valentino, quella provincia stava quieta ed inclinata alla di vozione sua, avendo per esperienza conosciuto quanto fosse più tollera bile stato a quella regione il servire tutta insieme sotto un signore solo epotente, che quando ciascuna di quelle città stava sotto un principe particolare, il quale nè per la sua debolezza le poteva difendere, nè per la povertà beneficare; piuttosto, non gli bastando le sue picciole entrate asostentarsi, fosse costretto a opprimergli. Ricordavansi ancora gli uo mini, egli prosegue, che per l'autorità e grandezza sua, e perl'ammini strazione sincera della giustizia, era stato tranquillo quel paese dai tu multi delle parti, dai quali prima solea essere vessato continuamente ; colle quali opere si aveva fatti benevoli gli animi dei popoli, similmente coi benefizi fatti a molti di loro; onde nè l'esempio degli altri che si ri bellavano, nè la memoria degli antichi signori gli alienava dal Valen tino.. Queste lodi, che la forza della verità strappò di bocca a chi avrebbe desiderato di fare il contrario, sono una prova manifesta di quanto io già dimostrai: cioè che il governo di questo tipo del Machiavelli era pur quello che richiedevano i guasti suoi tempi. (1) Forse, dice Macauley, sarebbe stato il salvatore d'Italia, il solo uomo capace di difendere l'indipendenza del suo paese. 49 Ma odasi un altro scrittore di ben diversa tempra, e che non fu mai l'apologista dei tiranni : Cesare Borgia, dice Sismondi, ottimamente co nosceva ciò che poteva formare la felicità de' suoi sudditi(1): manteneva inviolabile la pubblica sicurezza ; chiunque si segnalasse aveva in lui un illuminato protettore; gli uomini d'arme trovavano avanzamento negli eserciti e nelle fortezze, e tante pensioni e beneficii i letterati. Insomma lo Stato prosperava, e nessun romagnolo poteva senza timore figurarsi il ritorno dei piccoli signori antichi. » Non dobbiamo adunque negar fede aMachiavelli quando afferma che il Borgia avea racconcia la Romagna, unitala e ridottala in pace ed in fede, e che si guadagnò tutti i popoli per avere incominciato a gustare il benessere loro. Nè tampoco si vuole quindi ricusar credenza allo stesso Valentino, allorchè nel suo celebre colloquio con Guidobaldo da Montefeltro, riportato daBernardino Baldi, dopo molte parole soggiunge : che io non sia tiranno (come da' miei nemici per tutto si va dicendo) io non voglio altro testimonio che le città della Romagna, le quali sotto il mio governo hanno cominciato a conoscere quella tranquillità e quella pace che non aveano neppur sognata, non che goduta per l'addietro. Everamente non so se Urbino siasitrovato in miglior condizione sotto il gran Guidobaldo, cui mancavano gli elementi dipotenza ediricchezza, ricordati dal Guicciardini. Del resto costui, e i Varano furono buoni e valorosi principi ; ma gli altri, che inprima del Borgia dominavano la Romagna, meritavano tutti o quasi tutti l'orrendo fine cui fecero , e al cuni il confessavano essi medesimi poco innanzi la morte. In breve: le cose battevano tra l'opprimere e l'essere oppressi ; tra il togliere la vita aunpugno di ribaldi, e la miseria dell'universale. Tali insidie e da tali potenti e facinorosi nemici erano tese al Duca da ogni lato, che, indu giando egli, lo avrebbero finalmente ucciso. Avendo l'animo grande e la sua intenzione alta, cioè d'occupare l'Italia desolata e sconvolta, nonpo teva operare altrimenti. Ben è il vero ancora, ch'egli fu il commettitore di parecchie iniquità, eche nelle sfrenate sue voglie non perdonava a persona; ma, torno a dirlo, gli altri principi del suo tempo non furono migliori di lui ; era egli iniquo, ma un iniqno sotto il cui reggimento prosperava il popolo. La rigenerazione popolare fu nel suo nascere interrotta dalla caduta di lui ; quindi nella memoria dei più non ne rimasero che gliniqui prin (2) Summa aequitate populos regebat, multa subditorum probatione, dice di Cesare Bor gia Raffaele di Volterra. Anche Muller scrive: che governo con umanità e con giustizia. 4 50 cipii scompagnati dal fine che si stava per ottenerne: assai men fortu nato della ducal casa Medici, la quale col fine ottenuto da Ferdinando I e da'suoi discendenti, fece dimenticare i principii ! Or conchiudendo dico: Se Luigi XI non fu migliore del Valentino, e non pertanto si disse di lui, che fu un principe severo, ma fece un gran bene alla sua nazione; chi sa se forse non sarebbesi detto lo stesso di Cesare Borgia, dov'egli e la sua casa avessero dominato lungamente in Romagna? I Romagnoli al certo lo amavano più che i Francesi non amassero Luigi. Se a preparare il regno di Luigi XII e di Ferdinando I furono necessarie le arti del principe accennato, secondochè dimostrai più sopra, dovremo noibiasimarle al tutto? Se altri fuor dei Luigi e dei Borgia non avrebbero potuto impiegarla, perchè a tale uopo richiedeasi appunto quella tremenda indole di uomini, non veniva dunque la con dotta loro ad essere una necessità politica ? La storia sta aperta a giudicare inesorabilmente i principi contempo ranei ai Borgia, e ce gli addita per nulla migliori; quindi errano gli scrittori quando imputano agl'Italiani l'astuzia, l'ipocrisia ela frode come fosser loro esclusivamente proprie in quell'evo. Le memorie di quei tempi ne danno ad essi una solenne mentita. Ferdinando il cattolico, quegli che pose fine al dominio dei Mori in Ispagna, che la ridusse alla sua prisca unità e promosse lascoperta del l'America, fu altresì uno dei principi più falsi e più perfidi dell'età sua. Nella sua gloriosa corte le promesse erano un laccio, un giuoco i giu ramenti, un nome vano la fede; e così poco v'erano in discredito la frode e la ipocrisia, ch'egli stesso fu udito gloriarsi d'avere ingannato più di dieci volte Luigi XII re di Francia. Il gran Consalvo, educato a questa scuola, non isdegnò d'accoppiare il suo alto valore alle arti della perfidia: e ben ne dette unsaggioquando fece partire il duca di Calabria per la Spagna dopo d'avere giurato sul l'ostia sacra che egli potrebbe ritirarsi dove bene gli paresse; e quando eziandio abbracciò il Valentino prima di farlo ritener prigioniero. Noti sono i veneficii di Riccardo III, i fraudolenti intrighi di Luigi XI, il quale, come ben dice Hallam, se non fu l'inventore , fu certo il colti vatore più insigne di siffatta insidiosa destrezza. Ed anche Luigi XII non fece forse un turpe traffico delle alleanze ? Gli stessi Borgia, le cuicolpe furono però esagerate, eran pure una famiglia spagnuola. Tant'è : la slealtà di oltremonti uguagliava quella di un Francesco Sforza, d'un Ludovico il Moro, seppure non lo superava; che anzi, non che gli Italiani fossero altrui maestri del mancar di fede , potevano ap 51 prenderlo dagli stranieri, siccome fece alla corte diAragona il Guicciar dini ; per sopramercato traditi essi furono ben più che traditori. Ne sono una chiara prova la casa reale di Napoli tradita da Francia e Spagna coll'iniquo trattato di Granata; Lodovico il Moro abbandonato dagli Sviz zeri ; i Bresciani indotti dal cardinale di Sion a congiurarecontra i fran cesi, e poi da lui derelitti ed esposti al risentimento di Gastonedi Foix. Tutto ciò mi pare che basti a persuadere, che le crudeltà provocate da fredde e profonde meditazioni e gl'inganni e i tradimenti erano proprii così dello spagnuolo, del francese, dello svizzero , come dell'italiano. •Troppo cuoceva agli stranieri di dover confessare negl'italiani la su • periorità dell'intelligenza e della dottrina: quindi la rappresentarono •come unvantaggio necessariamente congiunto alla dissimulazione ed • alla perfidia; ed arrogandosi la palma del valoree della lealtà, lascia › vano aquelli con disprezzo il merito dell'accortezza e dell'astuzia » . Così scrive il Sismondi, e dimostracome la malafededegli stranieri non fu mai pareggiata in quel tempo dai più diffamatipolitici dell'Italia. Era questa insomma una tendenza universale dell'età, e la superstizione del medio evo, come avea inprima santificata la violenza, santificava ora le perfide macchinazioni. Mentre adunque con una perfidia non mai abbastanza abbominata ire di Francia e di Spagna dividevansi il regno di Napoli, doveva al Papa essere interdetto di vendicarsi giustamente di feudatari ribelli, i quali da diuturnissimo tempo riempivano l'Italia di sangue? Di piccoli prin cipi orgogliosi e turbolenti dei quali egli era incontestabilmente signore, eche si erano levati ad alto stato per mezzo di scelleratezze? (Vedi il signor Audin, loc. cit). •Io nonvoglio decidere siffatta questione (conchiude su dei Borgia le sue riflessioni il succitato professore Andrea Zambelli), ma ben dirò, che posto da un lato ilgran disordine sociale che quindi fu tolto, e dal l'altro il mezzo per cui lo si tolse, ne viene assai scemato l'orrore di quest'ultimo. Deplorabile cosa è al certo che vi si dovesse ricorrere per la tristissima condizione dei tempi ; ma per le inconcepibili contraddi zioni dell'umana natura, trovansi nelle storie alcuni problemi sociali sì difficili ed ardui, che non gli può sciogliere pienamente nè la filosofia, nè la politica » . Cesare Borgia avea preso per divisa aut Caesar , aut nihil; quest'im presa porse l'occasione a Fausto Maddalena poeta di fare il distico se guente: -52 Borgia CAESAR erat, factis et nomine CAESAR; aut NIHIL, aut CAESAR, dixit: utrumque fuit. Egli fu CESARE e di fatto e di nome. Siamo, diss'egli , o Cesare, o niente ; ed il grande uomo fece meglio, fu l'uno e l'altro : perciocchè fu Cesare e nulla. Forse a danno lungo d'Italia! III. Il biasimo turpissimo versato sulla vita esullegestad'Alessandro IV dagli scrittori, alla romana sede più che a lui ancora infensi, avviene altresì dal disconoscere essi la giustizia dell'esercitato diritto sovrano che, come principe delle Romagne, gli competeva. Sovranità temporale che ad ogni modo ai papi dinegare e torre vor rebbesi, avendola i predetti per disutile o dannosa al sostenimentodella spirituale autorità ; quindi ne conseguita quello strepitare ogniqualvolta sorgono con energia i papi a difenderla e sostenerla, esclamando all'in giustizia ! all'abuso! all'indegnità ! A loro confusione se maligni, a loro ammaestramento poi se idioti , noi osserviamo che non vi è unquemai ingiustizia , abuso , indegnità nel governare , e difendere dalle aggres sioni interne od esterne il proprio patrimonio. Ora di questo ampio, as soluto diritto godevano e godono appunto al par d'ogni altro monarca i Pontefici romani, anzi antecedono in esso tutte le monarchie presenti per antichità; dunque, siccome niun altro havvene di più legittimo del loro, così possono al par d'ogni altro propugnarne i dirittinon solo, ma eziandio devono gli altri principati concorrere alla loro difesa. Questa dottrina la mireremo sostenuta tanto dai Santi più illuminati posteriori di poco ad Alessandro VI, quanto dagli eterodossi medesimi più discreti e savi. Il Papa, scriveva san Francesco di Sales ad una dama(lett. 48, lib. 7), è il supremo vicariodi Gesù Cristo in terra; quindi egli gode dell'ordinaria sovrana autorità spirituale sopra tutti icristiani, imperatori, re, principi ed altri, i quali in siffatta qualità debbono a lui non pure amore, onore, riverenza e rispetto, ma inoltre aiuto, soccorso ed assistenza verso di tutti coloro e contra tutti coloro che offendono lui o la Chiesa , in ordine a questa spirituale autorità, e nell'amministra zione di essa. Sicchè, in quella maniera in cui per diritto naturale, di vino ed umano, ognuno può impiegare le sue forze e quelle de'suoi al leati per sua giusta difesa contra l'iniquo ed ingiusto oppressore edof fensore; così la Chiesa od il Papa (perchè è tutt'uno) può impiegare le sue forze e quelle della Chiesa, dei principi cristiani suoi figliuoli spiri tuali, per la giusta difesa e conservazione dei diritti dellaChiesa contra tutti coloro che li volessero violare e distruggere. -- 53 • E perchè i cristiani, i principi ed altri non sono collegati al Papa ed alla Chiesa con unasemplice alleanza, ma conun'alleanzala più pos sente in obbligazione, la più eccellente in dignità che possa esistervi ; quindi, siccome il Papa e gli altri prelati della Chiesa sono obbligati a dar la vita e soggiacere alla morte, per dare l'alimento e pascolo spiri tuale ai re ed ai regni cristiani; così i re ed i reami sono tenuti e re sponsabili reciprocamente di sostenere , con pericolo della vita e degli Stati, il Papa, la Chiesa, il loro pastore e padre spirituale. Grande , ma reciproca obbligazione tra pel papa e pei re; obbligazione invariabile, obbligazionechesi estende sino allamorte inclusivamente, e obbligazione naturale, divina ed umana, per cui il Papa e la Chiesa sono debitori delle *loro forze spirituali ai re ed ai regni ; e i re delle forze loro temporali al Papa ed alla Chiesa. Il Papa e la Chiesa sono pei re, onde nodrirli, conservarli e difenderli verso di tutti ed a frontedi tutto spiritualmente. I re ed i regni sono per la Chiesa e pel Papa, per nodrirli , conservarli edifenderli verso di tutti e contra tutti temporalmente; imperciocchè i padri sono pei figliuoli, ed i figliuoli pei padri » . L'attuazione di questi principii dal grande Salesio spiegati videsi ai nostri di applicata da Donoso Cortes al Parlamento spagnuolo nell' oc casione della discussione di reintegrare l'immortale Pio IX sulla sedia di Roma: Io mi proposi di parlarfrancamente, ecosì favellerò.Ioafferano necessario, o che il Sovrano di Roma ritorni a Roma (Pio IX), o che più non vi rimanga pietra sopra pietra. Il mondo cattolico non può consen tire giammai alla distruzione virtuale del cristianesimo per unasua città in balia di pazzi frenetici. L'Europa civile non può consentire e non con sentirà mai che crolli il culmine della civiltàeuropea. Il mondonon può consentire e non consentirà mai che nella insensata città di Roma si compia l'avvenimento al trono di una nuova e strana dinastia, la di nastia del delitto. E non si dica che qui ci ha due questioni: l'una tem porale, e spirituale l'altra, chè la quistione è tra il sovrano temporale e il suo popolo, che il Pontefice fu rispettato, che il Pontefice esiste tut tavia. Due parole a questo proposito, due sole parole spiegheranno il tutto. Senza dubbio il potere spirituale è principale nel Papa; il tempo rale è accessorio, ma accessorio necessario. Il mondo cattolico ha il di. ritto d'esigere che l'oracolo infallibile de' suoi dommi sia libero ed indi pendente. Il mondo cattolico non può sapere di certascienza, com'è me stieri, che questo oracolo sia indipendente e libero, se egli nonè sovrano, perchè il solo sovrano non dipende. In conseguenza , la questione della sovranità, che dappertutto è questione politica, in Roma è questione re -54 ligiosa. Le assemblee costituenti, che si possono trovar dappertutto, non possono esistere in Roma; a Roma non può esservi poterecostituente in fuori del potere costituito. Roma e gli Stati pontifici non appartengono aRoma, non appartengono al Papa: appartengono al mondo cattolico. Il mondo cattolico ne ha riconosciuto possessore il Papa, perchè fosse libero ed indipendente, e il Papa stesso non può spogliarsi di questa in dipendenza, di questa sovranità. » Che la Sede di Roma possedesse copiosissimi beni, anche nei primi tre secoli soggetti a crude persecuzioni , ciò si prova dalle ingenti elemo sine che erogavano di quei dì i papi, e di cui parla sanDionisio di Co rinto, e dopo lui i santi Basilio eGiovanniClimaco. Perocchè le matrone, i patrizi romani convertiti alla fede offerivanoai primieri Pontefici pingui offerte, cui questi impiegavano o a rendere più splendidoil culto divino, od ameglio assicurare la sussistenza dei sacri ministri, od a sostentare i poverelli. Dopo la conversione di Costantino Magno è fatto costante, benchè contrastato dagli scrittori avversi al dominio temporale deipapi, quasi che non si trovi autore vetusto che abbia mentovato come questo principe abbia donato a papa S. Silvestro I l'ampio patrimoniodi S. Pietro conRoma e le sue circostanze, che, quantunque santo, come tale vene rato da tutta la Chiesa sugli altari, volentieri per gli stessi fini l'accet tava: nulladimeno noi, mediocri canonisti quali siamo , oltre alla testi monianza di sant'Agostino, presso che contemporaneo a Costantino , ri portata da sant'Antonino (Part. III, cap. v, tit. 22) : Puto pro veritate esse dicendum, quod Papa Vicarius Jesu Christi in toto orbe terrarum vice Dei viventis spiritualium et temporalium habet universalem juris dictionem, sed ipsorum temporalium immediatam administrationem non recipit, nisi in regionibus occidentalis imperii per concessionem factam Ecclesiae a Constantino, quare autem mediate in partibus Italiae solum medio imperatore hoc non est proptercarentiam auctoritatis, sed propter nutriendum in filiis suis viventium pacis, quia ex hoc quod imperium fuit divisum propter vitanda scandala hoc factum est. Potremmo da Girolamo Catena cavarne parecchie altre, stiamo paghi ad arrogere solo che sono più di mille anni dacchè sant' Isidoro lasciò scritto : Costantino aver dato a papa Silvestro I il regno d'Italia, e fatto di altri ingenti doni, e concedutogli di grandi preeminenze e privilegi. Ed il capitolo Fundamenta de electione, al libro vi, fa similmente men zione della donazione di Costantino; quantunque esso nondicapiù della città di Roma, e così il capitolo Futuram , che è nella causa XII alla questione I, tocca eziandio che : Costantino lasciò Roma come seggio e -- 55 capo dell'imperio, per sede e trono di Silvestro e dei successori. Altri principi accordarono ai papi dipoi amplissime possessioni per servizio della Chiesa. Cenni mostra nel suo esame dei diplomi di Ludovico Pio, che dal tempo di S. Gregorio il Grande iPonteficipossedevano immense dovizie, che godevano d'una giurisdizione estesissima e del dirittodi pu nire i colpevoli coi loro giudici nella Sicilia, Calabria, Puglia , Campa gna, l'esarcato di Ravenna, il territoriodellaSalina, la Dalmazia, l'Illiria, la Sardegna, l'isola di Corsica, la Liguria, le Alpi Cozie, ed un piccolo Stato nelle Gallie. Certune di queste regioni, ovvero Stati, racchiudevano parecchi vescovati, come si vede insan Gregorio (Lib. VII, cap. 39 , in dict. II). Le Alpi Cozie, che appartenevano ai papi , comprendevano Genova ed il litorale del mare che si stende da questa città fino alle Alpi che se parano la Francia dall'Italia (1). Paolo Diacono (Lib. VI, c. 43), scrive che i Lombardi s'impadronirono delle Alpi Cozie che appartenevanoalla Sede di Roma: Patrimonium Alpium Cottiarum quae quondam ad ius per tinuerunt apostolicae sedis, sed a Longobardis multo tempore fuerant ablatae. Il P. Gaetano registra nel suo Isagoge alla storia siciliana i differenti Stati che la sede di Roma possedeva anticamente in Sicilia. Il tempo frammezzo l'epoca di Costantino e quella diPipino eCarlo Magno fu una successiva generazione di questo potere, in quanto, rimosso dal l'eterna città il trono imperiale senza più ritornarvi mai , ed arricchito il Pontefice di doviziosissimo patrimonio, la sedia papalecominciò a pri meggiare in Roma sopra tutti gli ordini quivi esistenti: la tiara si venne poco a poco circondando di splendori anche terreni; l'influenzacivile dei lontani e deboli imperatori di Bisanzio, quasi per naturale esinanizione, si venne di grado ingrado infiacchendo fino a spegnersi del tutto.Ipo poli di Roma e dei dintorni si trovarono, quasi senza averne coscienza, sotto la tutela di chi per fatto e per diritto potea e dovea mantenerli nell'ordine; e così il papa, per naturale e spontaneo svolgimento di cose, si trovò principe temporale con pienezza di manifestazione appunto nel tempo in cui, formandosi l'Europa in regni distinti tendenti a sempre più equilibrarsi per la creazione della nuova civiltà, codesta condizione del papato oggimai diveniva indispensabile. I due termini del suo avve nimento sono: le donazioni patrimoniali di Costantino , la ricognizione pubblica e la sociale ratifica dei dominii papali fatta da Carlo Magno. I (1) Veggasi Tomassini, lib. 1, De discipl. eccles., c. 27, n. 17 ; e Baronio, sotto l'anno712, p. 9. Questi prova l'affermazione sua colla testimonianza d'Oldrado, vescovo di Milano. -- 56 punti intermedi partecipano più dell' uno o dell' altro, secondo che più all'uno o all'altro dei termini si accostano. Tanto era già al tempo di san Gregorio Magno il peso di questo tem porale governo, che il santo Papa ne menava lamentireiterati, e lo stesso astioso nemicodel dominio temporale dei papi, Nicolò Tommaseo, nel famoso suo opuscolo Roma e il mondo, sez. 5, pag. 263, confessa: che questo Pontefice aveva conceduto un salvocondotto. Chi non ha autoritàpolitica non può concedere salvocondotti; e che aveva provveduto aimodie tro vato il tempo di render salubre la campagna di Roma (pag. 111). , Ma non dobbiamcene fare le meraviglie; imperocchè questo gran Fontefice avea già, almen nel fatto, il governo di Roma , e il dominio , pressochè regale, di molte altre parti d'Italia; egli era poi certamente più cco dei moderni papi. Basta leggere le lettere che scrisse ai diversi amn nistra tori dei beni della Chiesa romana , i quali egli designava col : ome di rettori e difensori, per farsi un'idea delle immense ricchezze d. questo papa. Ventitrè erano a quel tempo i così detti patrimoni della Chiesa ro mana sparsi nella terraferma d'Italia, nella Sicilia, Istria, Dalmazia, Illi ria e Sardegna. Il solo imperatore di Costantinopoli , per alcuni patri moni papali situati nell'Africa ed Asia, pagava annualmente alla Chiesa romana la non lieve somma di 400, 000 franchi. (Veggasi intal proposito Orsi e Rohrbacher). I papi partecipavano assai al governo civile di Roma. Spettava ad essi, dice san Gregorio il Grande (Lib. v, ep. 40, alias, 1. Iv, ep. 31, ad Maurit), a provvedere la cittàdi frumento.Toccava parimenti ad essi, arroge lo stesso ( Lib. v, ep. 32, alias , 1. iv, ep. 45), il vegliare contra gli artifizi dei nemici , come anche contro ai tradimenti dei ge nerali e dei governatori romani. Egli stabili (Lib. 11, ep. 11, alias, ep. 7) il tribuno Costanzo, governatore di Napoli. Anastasio il bibliotecario ri ferisce che i papi Sisinnio e Gregorio II ristaurarono le mura di Rome, e la posero in istato di difesa. Tomassini (De benef., part. 111, lib.1, c. 29, num. 6) arguisce da questi fatti e parecchi altri somiglianti, che i papi avevano la principale amministrazione in Roma e nell'esarcato; che sti pulavano trattati di pace , allontanavano le guerre , respingevano i ne mici e difendeano le città che avevano ricuperate sopra di essi, a somi glianza del pacifico Abramo che, tolte le armi, incalzò i re vittoriosi, li debello, e liberò dalle loro ugne Lot, i suoi famigli, le sue sostanze ; poscia, recatosi a' piè del sommo sacerdote Melchisedecco, fe' volare fino al cielo gli accenti ossequiosi de'suoi ringraziamenti, accompagnati dagli odorosi incensi bruciati sull'altare di Dio. Non ostante le invasioni dei Lombardi, gl'imperatori non mitigarono per niente le imposizioni ecces 57 sive che percevevano dai Romani : anzi li abbandonarono ai furori dei barbari, stentando già essi di troppo a sostenersi in Oriente contro ai Sa raceni. Durante questi tempi di turbolenze , la confusione invase ogni cosa. I popoli d'Italia si trascelsero dei capi, e si crearono dei principi in parecchie parti sul principio dell'ottavo secolo. Non vollero porgere orecchio al papa Gregorio II, che, dietro la testimonianza d'Anastasio il bibliotecario, gli esortava a restarsene fedeli all'imperatore. Nedesiste rent ab amore et fide romani imperii admonebat. Quantunque i Cesari, Leone Isaurico, ed il suo figliuolo CostantinoCo pronimo perseguitassero i cattolici, i papi Zaccaria e Stefano II non ri masero però meno fedeli a rispettarli, e ad ubbidire loro in tutto quello che concerneva il civile governo. Sulla minaccia fatta da Leone di di struggere le immagini e profanare le reliquie degli apostoli che serba vansi in Roma, il popolo diventò furioso, e rovesciò le statue di questo pritcipe, che erano state dapprima ricevute onorificentemente. Il papa Sterano II esortò l'imperatore a far cessare la persecuzione, e feceglicon temporaneamente intendere quanto fosse cosa perigliosa lospingere agli estremi un popolo irritato , aggiungendo che non rispondeva di quello che potesse accadere di funesto, sebbene s'ingegnasse d'adoperare ogni mezzo per prevenire una ribellione. Tunc proiecta laureata tua con culcaverunt... Aitque: Romam mittam, etimaginem S.Petri confringam... quoc si quispiam miseris, protestamur tibi, innocentessumus a sanguine quem fusuri sunt (1). Gl'istorici greci calunniavano che il papaGre gorio II, per sottrarsi al furore degl'iconoclasti , avesse scosso il giogo dell'obbedienza dovuta all'imperatore di concordia coll'Italia; ma s' in gannarono, come dimostrò il P. Tomassini. Sentiamo come si esprime intorno a ciò il P. Alessandro (Diss. II, sect. VIII ) , parlando di Grego rio Il: Questo savio Pontefice non ignorava, no, latradizione dei Padri, dalla quale non si diparti unquemai. Di fatto i Padri insegnarono mai sempre che i sudditi sono tenuti ad ubbidire ai principi loro, avvegna chè infedeli od eretici , nelle cose che ragguardano i diritti della so vranità.. Quando gl'imperatori ricusavano di difendere l'Italia contra dei bar bari, i papi imploravano i soccorsi di Francia in nome del popolo, che riguardava i monarchi francesi come i suoi padri, i suoi protettori, e come i principali capi dello Stato. (Veggasi Tomassini, p. III, De benef. , (1) Veggasi nei Bollandisti, sotto il 9 d'agosto, l'istoria dei sacrilegi e delle crudeltà, cui gl'i conoclasti esercitarono in Oriente. 58 lib. 1, c. 29). Il continuatore di Fredegario sembra dire, che ilpapaGre gorio III di concerto col popolo creò Carlo Martello patrizio di Roma; titolo che non importava altro, salvo l'obbligazione di proteggere la Chiesa ed i poveri. Tal è la spiegazione datadalPadrePagi edalsignor diMarca(de concord. lib. III, c. II, n. 6), dietro l'autorità di Paolo Dia cono. Il papa Zaccaria conchiuse un trattato di pace con Luitprando re dei Lombardi; fece di seguito una tregua di venti anni con Rachis, re dei medesimi popoli. Avendo questo principe indossato lacocolla nell'or dine di S. Benedetto, la corona passò al suo fratello Astolfo, che violò il trattato. Il papa Stefano II, succeduto a Zaccaria nel 752, inviò ricchi doni adAstolfo, pregandolo di non portare laguerra nell'esarcato; inu tilmente. Il Santo Padre si rivolse allora a Pipino, chemandò ambascia tori al re dei Lombardi per intimargli di restituire alla Santa Sede ciò che aveale tolto, e di riparare ai danni che aveva cagionati ai Romani. Astolfo non ubbidi. Pipino scese in Italia, sconfisse i Lombardi, assedió eprese in Pavia il re loro.Gli rendette nulladimeno il suo reame, esi gendo da lui niun'altra condizione tranne vivesse in piena concordia col Papa. Le promesse di Astolfo furono mendaci; perchè appena uscitoPi pino d'Italia, che costui, ripigliate le armi, mise tutto a ferro , fuoco e sangue nello Stato ecclesiastico. Il monarca Franco rivalicò le Alpi, battè dacapo i Lombardi, e fece prigione eziandio il loro re a Pavia. Per la seconda fiata gli restituì il regno, minacciando di ucciderlo se per l'in nanzi oserebbe rivolgere le armi contro al Papa. Gli levò l'esarcato di Ravenna di cui erasi impossessato, ed il ridonò alla Santa Sede. Questa restituzione si fece nel 755, secondo Eginhard. Redditam sibi Ravennam › et Pentapolim, et omnem exarchatum ad Ravennam pertinentem, ad › sanctum Petrum reddidit .. Tomassini osserva intorno a ciò, che quello che dava Pipino non po teva appartenere agl'imperatori di Costantinopoli.Eransi spogliati d'ogni diritto riguardo al territorio di cui si tratta, lasciandolo parecchi anni senza soccorsi, e soffrendo che i Lombardi ne facessero la conquista; di maniera che i paesi cui Pipino eCarlomagnodiederoai papi loroappar tenevano a titolo di vincitori. I popoli stati dai Cesari Greci abbandonati alla preda, al furore dei barbari, dovettero perciò ricuperare la libertà loro ed acquistare il diritto di crearsi una novella forma digoverno. (To massini, p. III, De benef., 1. 1, c. 29, n. 9). Questa è una massima che Puffen dorf, Grozio, Fontanini, ecc., dimostrarono, pelconsentimento unanime di tutti gli autori antichi e moderni, fondatasuldiritto universaledelle genti, che quegli il qualeacquista una contrada inunaguerra giusta, non in trapresa maidai primitivi possessori, nè in virtù di un'alleanza contratta 59 con essi, non vi è obbligazione veruna di restituire quella contrada che non avevano o voluto o potuto difendere. Illud extra controversiam ⚫ est, si ius gentium respiciamus, quae hostibus per nos ereptasunt, ea › non posse vindicari ab his qui ante hostes nostros ea possederant et • amiserant , (Grotius, De iure belli et pacis, 1. III, c. 6, 38). Ora, i Greci avevano perduto, per loro dappocaggine, l'esarcato di Ravenna. Se Pi pino avesse conquistato l'Italia sopra i Goti, ovvero l'Africa sovra i Van dali, in prima che Giustiniano le avesse riunite all'impero, da cui erano state disgiunte dai barbari, sarebbe egli stato obbligato a restituirle agli imperatori ? Se iBretoni avessero respinto i Sassoni dopo che i Romani gli ebbero abbandonati al furore di questi popoli, avrebbesi loro potuto contrastare il diritto di guardarsi per l'innanzi qual nazione libera? Ep perchè irragionevole si reputerebbe adunque che i Papi ed il popolo ro mano, ai quali iGreci ricusarono qualunque soccorso, ne abbiano ricer cato altrove? Essi non si rivolsero ai Francesi se non se dappoichè eb bero per lunga pezza inutilmente sollecitato la protezione degl' impera tori costantinopolitani ; perciò Anastasio il bibliotecario ci assicura che il papa Stefano II aveva sovente implorato senza successo il soccorso di Leone contr' Astolfo : Utjuxta quod ei saepius scripserat , cum exer • citu ad tuendas has Italiae partes modis omnibus adveniret .. Noi leggiamo nel medesimo autore, che quando Cesare fece richiamo aPipino per la restituzione delle contrade cui aveva in su i Lombardi conquistate, questi risposegli, che essendosi esso solo esposto ai pericoli della guerra per la difesa della sede di S. Pietro, e per niun altro fine, non soffrirebbe però che ne venisse unquemai spogliata la Chiesa Ro mana di quello che aveale donato. Pipino diede alla Santa Sede lacittà di Roma col suo territorio, l'esarcato di Ravenna e laPentapoli, che con teneva Rimini, Pesaro, Fano, Sinigaglia, Ancona, Gubio, ecc.; egli ri tenne l'ufficio di protettore e difensore della Chiesa Romanacol titolo di Patrizio. Desiderio, re dei Lombardi, avendo poi saccheggiato le terre della Chiesa Romana, Carlomagno entrò in Italia con un esercito per combatterlo ; lo vinse, assedio Pavia che si arrendette, ediè fine al reame Lombardo nel 773. Facevasi poscia coronare re d'Italia evuolsi chenella cerimonia si servisse d'una corona di ferro, a somiglianza dei Goti edei Lombardi che cingevansi le tempia di questo diadema, forse a simboleg giare la forza ed il potere. Checchè ne sia, Carlomagnoconfermò alpapa Adriano I ladonazione di Pipino padre suo.Carlo ilCalvo edalcuni altri principi la ratificarono non solo , ma l'ampliarono maggiormente. Es sendo stato Carlomagno coronato imperatore d'Occidente nell'800dal papa Leone III, Irene allora imperatrice di Costantinopoli il riconobbe per Au 60 gusto due anni dopo: in che ella di poi venne imitata dall' imperatore Niceforo III. I Goti nel medesimo tempo confermarono la divisione cui egli aveva fatto dell'Italia. Da ultimo, ancorchè la Chiesa non avesse tenutadonazione daCostan tino, Pipino, Carlomagno, la quale nonpertanto ècerta, non lemancano titoli di donazioni valevoli di altri imperatori antichissimi. Leggasi a tal riguardo la Bolla d'oro ovvero diploma aureo (Petra, in comment. ad constit. Apost. § I. Proëmial), così detto dal sigillo d'oro con cui esso era marcato; il cui originale conservasi presentemente non più nell'ar chivio di Castel Sant'Angelo di Roma, ma nella Biblioteca vaticana, e si riferisce dal Baronio an. 962, n. 1. Per virtù di questo diploma l'impera tore Ottone III l'anno 962, indizione V, addì 23 febbraio, e nell'anno XXI dell' imperio d'esso Ottone, questi conferma alla Santa Sede Romana la dominazione degli Stati , cui possiede, fattale da Pipino re, e poscia da Carlomagno imperatore. Oltracciò nel vol. I dellaVita dei Sommi Pontefici nativiod oriondi degli Stati Sardi da noi scritta, nella vita di Niccolò II, al n. iv, abbiamo par lato delle ampie donazioni fatte da S. Leone IX papa ai conti Normandi del regno di Napoli, invitato da Niccolò II che accordò l'investitura a Roberto Guiscardo col titolo di duca. Lalegittimitàdi tale atto esercitato da S. Leone IX e da Niccolò II era in quei dì sì manifesta, che nessuno scrittore la revocava in dubbio, nè molto meno poi lacontrastava, come riluce chiaro dal monaco Malaterra, dall'Anonimo dell'Historia Sicula, dal Carusio Bibl. Hist. P. S. tom. II, pag. 834; ibid. 1, 9, pag. 177, с. 14, Siffatta investitura fu la primordiale del regno appellato oggidì di Na poli, e vi aggiunse anche la Sicilia, su cui conservavano il loro gius i greci imperatori. Certo è che in quei tempi si facevamoltovalerelado nazione di Costantino, che gli osteggiatori di lei si sbracciavano a vo lerla inventata nel secolo viu dell'era volgare. Checchè ne sia, desso è un fatto autentico che, oltre alle autorità già da noi allegate superior mente in favore di questa, S. Leone IX papa santissimo, nellasua lunga epistola scritta a Michele Cerulario patriarca di Costantinopoli nell'anno 1053, epist. 1, t. Ix concil. Labbè, cioè pochi anni prima di Niccolo II papa, la produsse presso che tutta, e massimamente quelle parole: Tam › palatium nostrum, quam romanam urbem, et omnes Italiae, seu occi › dentalium regionum, provincias, loca, et civitates saepe fato beatissimo, ⚫ et patri nostro Silvestro I universali papae contradentes, atque relin › quentes, ei vel successoribus ipsius, Pontificibus potestatem constitutum › decernimus disponendo, atque juri Sanctae Romanae Ecclesiae conce 61-- ▸dimus permansura. Ora un Papa si santo, si savio e dotto avrebbe egli mai osato scrivere ad un imperatore greco in termini tali, appog giato ad apocrifi o suppositizi documenti ? E quando tali fossero stati, la suscettibilità greca avrebbe ella taciuto ? No! Eppure tacque! Perchè aveva contra di sè la credenza pubblica ed universale. Fece anchegran caso di tali donazioni alcuni anni dopo San Pier Damiano inun suo dia logo Opuscul. c. IV. Oltracció Ermanno Contratto Opusculc. IVći rende conto che Arrigo II imperatore avea conceduto al santoPapa LeoneIX: • Pleraque in ultra romanis partibus ad suumjus pertinentia pro Cisal › pinis in concambium datis. Questa sovranità temporale non fu adunque dai papi cercata, o con quistata a sfoggio di loro ambizione, comedamolti fu scritto, mafu loro lasciata dai sovrani medesimi, i quali venivano persino dal fondo della Russia (Epist. Gregor. VII, lib. II, pag. 74), a porre la corona loro sotto la salvaguardia dell'unica autorità allora rispettata, essendo la sola ri masta degna di rispetto. In questo convennero gli elettori, igrandi vas salli ed i popoli, vittime d'un'orribile ed universale oppressione.Era sta bilito dal diritto pubblico allor vigente, diritto anteriore aGregorio VII ead Innocenzo III, diritto riconosciuto dai monarchi, che perciò presta vano giuramento, diritto stampato a chiare lettere nelle costituzioni fon damentali della maggior parte degli Stati, nelle quali era stabilito, che il principe violando l'unità della fede, o se scomunicato, avesse rifiutato di farsi assolvere dalle censure sarebbedecaduto.(Introduzione alla storia di Gregorio VII e d'Innocenzo III per Jager e J. Vial: Potere dei Papi sui sovrani del medio evo). Dal che ne conseguita, che se non fu necessario a sostegnodell'auto rità spirituale del Papa l'assegnargli uno Stato temporale, è indubitato non pertanto che ciò che non è necessario, diviene soventemente cosa convenevolissima, epperciò convenevolissimo era che i Pontefici romani, giacchè fu loro dato un impero temporale, il custodissero edifendessero con tutte learmi loro. Dopo la divisione della cristianità in differenti Stati, è spediente assai che il Padre comune dei fedeli non sia soggetto aniunmonarca. Un Papa, cittadino di Londra, ovvero di Parigi, non sarebbeugualmente rispettatodalle due nazioni. IlVoltaireosserva (Annal. de l'Emp. t. 1, p. 397, 398), che i Papi d'Avignone erano troppo dipen denti dalle volontà dei re di Francia, e non godevano della libertà ne cessaria al buon impiego della loro autorità. Il Papa, dice ilpresidente ► Hanault (Abrégé chronol. de l'hist. de France. Remarque part. sur la ›deuxième race, edit. 1768), non è più come sulprincipio, il sudditodel -- 62 › l'imperatore; dacchè la Chiesa si è diffusa nell'universo, egli debbe ri • spondere a tutti coloro che vicomandano, eperconseguenza, nondeb •begli niuno comandare. La religione non basta per imporre a tanti › sovrani; e Iddio ha giustamente permesso che il S. Padre comunedei › fedeli mantenga per la sua indipendenza il rispetto che gli è dovuto. ►Così adunque è ottima cosa che il papa abbia la proprietà d'uno Stato › temporale, insiememente alla podestà spirituale: ma purchè non pos › segga la primiera tranne appo sè, e che non eserciti l'altra salvo entro › quei limiti che sonogli prescritti. L'unione di tutte le Chiese occiden › tali sotto un Pontefice sovrano, arroge un autore (M. Hume, Hist. de • laMaison de Tudor, t. III, p. 9.) protestante e filosofo, facilitava il com › mercio delle nazioni, e tendeva afare dell'Europaunavasta repubblica; › la pompa e lo splendore del culto che apparteneva ad una istituzione ›sì ricca, contribuiva in qualche maniera ad incoraggiare le belle arti, ›ecominciava a spandere un'eleganza generale di gusto, conciliandola • colla religione. , Anzi Fleury (Hist. Eccl., t. 16, dis. 40, n. 10) osserva, che l'autorità se colare del Papa, come monarca di Roma, è divenuta necessaria per-im pedire gli scisma, e tenere i vescovi a dovere. Nella Chiesa Romana si › può trovare una ragione particolare d'unire le due podestà. Finchè • l'impero romano sussistette, egli rinchiudeva nella sua vasta estensione • pressochè l'intera cristianità: ma dacchè l'Europa venne spartita in › parecchi principati indipendenti gli uni dagli altri, se il Papa fosse › stato soggetto d'uno di essi, sarebbe stato da temere che gli altri a • vrebbero penato a riconoscerlo per Padre comune, e che gli scisma › sarebbero stati frequenti; si può adunque credere che è per disposizione ›della Provvidenza che il Papa si trovò indipendente e padrone d'una › dizione sufficientemente potente per non divenire di leggieri oppresso › dagli altri scettrati, affinchè fosse più libero nell'esercizio della sua au • torità spirituale, e che potesse più agevolmente contenere gli altri ve › scovi nel dovere. Tal era il pensiero d'un grande vescovo del nostro • tempo.. Napoleone I, il quale, allorchè lo smisurato orgoglio non faceva velo alla sua vasta intelligenza, era miglior canonista che il signor Dupin , e i moderni gallicani, diceva: Il Papa, custode dell'unità cattolica, è ›una mirabile istituzione. Rimproverasi (fuor d'Italia) a questo Capo di ▸ essere un sovrano straniero. Egli è straniero, ma bisogna ringraziare • il cielo ch'egli sia tale. Sarebbe mai sì forte la sua autorità, in paese •non suo e davanti al potere dello Stato? Il Papa è fuori di Parigi; e 63 questo è unbene.Noi neveneriamo l'autorità spirituale, appunto perchè › egli non è nè a Madrid, nè a Vienna. A Vienna e a Madrid si dice lo › stesso. È un bene universale ch'egli non risieda pressodi noi nè presso › i nostri rivali, ma nell'antica Roma, lungi dalle mani degl'imperatori •alemanni, lungi da quelle dei re di Francia edei redi Spagnatenendo • la bilancia fra i sovrani cattolici, inclinando un poco verso il più forte, › e rialzandosi contra d'esso quando egli diventa oppressore. Questa è ›opera dei secoli, ed i secoli l'hanno fatta bene. Questa è istituzione la • più savia e benefica che sipossaimmaginare nelgoverno delle anime. (Thiers Hist. du Consul. et de l'Empire, liv. du Concordat). Felice Napo leone, se questa sua grave e verace sentenza l'avesse confermata colla sua condotta verso di Pio VII ! Laècosa troppo provata, che se il Papa stesse suddito d'una deter minata Potenza, nascerebbe un'universale gelosia fra tutti i governi cat tolici, ciascuno dei quali vorrebbe per sè la prerogativa d'avere il Papa sotto la propria giurisdizione. Non potendosi contentare che un solo, tutti gli altri a poco a poco si sdegnerebbero di veder un suddito di potenza straniera influire sulla coscienza dei propri sudditi, massime in caso di politici dissapori. Così comincierebbesi dal sopravvegliarlo, si passerebbe quindi a impedire del tutto lecomunicazioni fra i propri sudditi e il Papa suddito di una potenza straniera; e finirebbesi coll'eleggere un patriarca indipendente, che faccia le veci d'esso Papa. In talmodo vedrebbesi rin novata in più vaste proporzioni per tutta la cristianità la triste epоса pel grande scisma d'Occidente, quando tre pretesi Papi inuntempo, uno in Francia, uno in Ispagna, un terzo in Italia, laceravano in tre ubbi dienze diverse la cattolica unità. Il divario sarebbe in ciò, che ciascuno di questi governi vorrebbe avere il suo; e sotto colore d'assistere e pro teggere un pupillo da essi loro considerato per dipendente, gli porreb bero apoco apoco le mani addosso per guisa da rivocare al sovrano la suprema direzione degli affari ecclesiastici, aquel modo che fa lo Czar nella Chiesa greco-russa-scismatica. Ond'è che lo stesso Sismondi, sebben protestante e ai Papi avversissimo, pure confessa non potere essi godere d'una veralibertà nell'esercizio del loro ministero, se non francheggiando l'autorità spirituale coll'indipendenza politica, e quindi col possesso del civil principato. Perciò con li canonisti pontifici , i quali credono che Roma moderna, per essere stata non solo salvata, ma creata dai Papi, sia quasi per natural pertinenza possesso loro, ricordiamo la conforme sentenza di Giovanni Muller, istorico protestante, nell'opera sua Viaggi dei Papi: Se la natural giustizia deve decidere, iPapi sono di diritto -- 64 › signori e padroni di Roma, perchè senza i Papi Roma più non esiste › rebbe. Gregorio, Alessandro, Innocenzo opposero una diga al torrente › che minacciava tutta la terra. Le loro mani paterne elevarono la ge › rarchia, ed a lato d'essa la libertà di tutti gli stati. » Osserviamo noi altresì che l'allontanamento dei Papi riuscirebbe a suprema sventura di Roma, edotti dall'esperienza che se n'ebbe nei sette anni che i Papi re siedettero in Avignone, assimilati dai Romani ai settant'annidellacattività babilonica. La popolazione di Roma quando i Papi fissarono laresidenza in Avignone si ridusse a diciasettemila abitanti, scrive il dotto Coppi : (Discorsi sull'agro Romano), leggasi ciò che hanno operato i Papi da S. Gregorio fino ai tempi di Carlo Magno, sia per riparare le rovine di Roma e ristabilirvi non solamente le chiese e gli spedali, ma le strade egli acquedotti, per guarentire l'Italia dal furore dei Lombardi, e dal l'avarizia dei Greci, e si vedrà ciò che loro debbe Roma, e l'Italia , Fleury, dei costumi dei crisi ini, p. 4, c. 3. Noi sentiamo ancora oggidì l'influenza dei beni immensi ed inestima bili, che il mondo intero deve alla corte di Roma; essa avea idee di le gislazione, di diritto pubblico: essa conosceva le belle arti, le scienze, la civiltà quando tutto era inabissato nelle tenebre di gotiche istituzioni ; nè apro suo teneva esclusivamente laluce; ma laspandevaa tutti: essa faceva cadere le barriere che ipregiudizi mettono fra le nazioni: cercava d'addolcire i nostri costumi, di trarci dalla nostra ignoranza , di strap parci dalle nostre pratiche grossolane, e feroci. I Papi presso inostri an tenati furono missionari delle arti, inviati di civiltà fra i barbari, furono legislatori fra i popoli selvaggi. Il solo regno di Carlo Magno , scrive Voltaire, è un'aurora di civiltà, che fu probabilmente il frutto del viaggio dalui fatto a Roma. È adunque cosageneralmente riconosciutache alla santa sede l'Europa va debitrice della propriacivilizzazione, che ad essa debbe porzione delle migliori sue leggi , e di tutte quasi le scienze, le arti. Chateaubriand Genio del Cristianesimo, p. 4, 1. 6, c. 6. Veggasi la lettera pastorale di Monsignor Vescovo d'Ivrea dell'anno 1849 Del Magi stero della Chiesa già citata nella prefazione di quest'opera. • I Ghibellini (scrive il Cantù, vol. III della sua opera I cento anni), Neoguelfi, consoni nel bene a Dante, a Macchiavello e ai Giacobini, ve deano la necessità di governi robusti, qualunque si fossero. E rammen tando come Napoleone colla spada troncasse tanti gruppi italici, sicchè stette da lui il farci nazione, fissavansi su qualcuno dei regoli d'Italia per metterlo in capo di tutta, fosse Carlo Alberto di Savoia, oFrancesco di Modena, o fino l'Imperatore d'Austria. Primo bisogno di una nazione -- 65 (dicevano) è l'essere, è l'unità; il resto verrà dietro. Gli altri zelavanó innanzi tutto la libertà; e nella storia leggevano che questa fu sempre tutelata dai Papi, i quali coll'opporre la Chiesa universale all'universale impero, avevano creata anche politicamente la vasta unitàcattolica; essi salvata l'Italia dall'eccidio totale della civiltà; essi impedito nessun bar baro qui prevalesse; che se a tal uopo avevano chiamato uno straniero per opporlo all'altro, in nome di essi però si erano fatti i tentativi d'in dipendenza e di federazione italica, sia nella lega lombarda e nella to scana, sia in quella contro Ezelino, poi sotto Giulio II e fin sotto Pio VI, (vedi vol. 1, p. 488). In Italia l'avversione ai Papi è volgare, sia perchè qui sono anche principi, sia perchè gli scrittori primi li bersagliarono , e i seguenti sogliono imitare. Pure, negli ultimi tempi , diverso occhio vi portarono i migliorati studii storici e l'annobilito sentimento religioso. Del neoguelfismo in Italia i primi segni sono a rintracciare(chi 'l crede rebbe?) in Ugo Foscolo. Durante il Regno d'Italia, egli potè, malgrado mille ostacoli, pubblicare un articolo in lode di Gregorio VII, e sta fra le opere sue. Il 1815 preparava un discorso a Pio VII per mostrare la necessità che il Pontefice rimanga in Italia difeso dagli italiani. E nel discorso II SULLA SERVITÙ DELL'ITALIA: Noi Italiani vogliamo, e dobbiamo volere, volerlo fino all'ultimo sangue, che il Papa sovrano, supremo tu tore della religione d'Europa, principe elettivo e italiano, non solo sus sista e regni, ma regni sempre in Italia e difeso dagl'Italiani. E nel III si lagnano che si fossero obliate la sovrumana fortezza e la sapienza poli tica di quel grande Pontefice (Gregorio VII), che vedeva consistere la tem porale dignità della Chiesa nella indipendenza delle nostre città, e quindi nella loro confederazione la più fidata difesa dei suoi Pastori. Or ripigliamo quel sentimento suddetto religioso , che se in taluni degenerò in ascetismo monacale o in gergo teosofistico, nei migliori di veniva ispiratore di opportunissime beneficenze; e negli scrittori aveva prodotto (a tacer altri) i due libri che, quasi soli , divennero popolari anche oltre Alpi, e dove alle nequizie degli uomini e alle sofferenze della vita s'opponevano quellemiti virtù che trionfano del mondo. Pareva adun que che ancora, ad elevare le plebi, il miglior modo fosse elevare i pa stori; rinfiancavasi la primazia spirituale, comeadatta a ristabilire il con cetto dell'autorità, così necessario pei reggimenti liberi, cioè frenati solo dalla morale; temerne gli abusi come potevasi, quando i governi tene vano la forza, e gli scrittori l'opinione? Ricorrendo alla storia , si divi sava dunque una lega di popoli italiani, a cui capo il Papa, che così facesse rivivere Italia nell'unità, non già del principato, ma degl'inte 5 -- 66 ressi e dei sentimenti, della bandiera, di pesi, misure, dogane, di mili tari esercizi, di palestre dottrinali, di diplomazia. Ma l'Austria vorrebbe entrare in una lega che isolerebbe le sue provincie italiche dalle tran salpine? E la sua potenza non ve la farebbe preponderare ascapito del l'indipendenza? Gravissima difficoltà! ma, come troppe si suole, crede vasi eluderla col non tenerne conto. Queste idee guelfe erano derise dai molti, che riguardano come unico impaccio delle fortune italiane i Pon tefici , mal discernendo gli accidenti dalla sostanza , le persone dai prin cipii, il Papa dal papato. Ma con pazienza le coltivavano buoni ingegni e retti cuori: l'esempio e la voce dei quali professò seguire l'abate Gio berti nel Primato degl'Italiani. Suo assunto politico è che la redenzione › d'Italia è impossibile a ottenere senza il concorsodelle idee religiose : ▸ che la penisola non può essere una, libera, forte, se Roma, suo centro › e capo morale, non risorge civilmente; che finora i tentativi politici > non riuscirono perchènon si fece alcun caso, nel porvi mano, della ⚫ classe clericale e delle comuni credenze; che la religione è la base del › genio nazionale ; che Roma è la nostra morale e civile metropoli; che • il solo riordinamento d'Italia possibile al dì d'oggi risiede in una con ▸ federazionede' suoi principi, capitanatadal Pontefice (Gesuita moderno, • tom. V, p. 113). Queste idee giobertiane consegnate nel suo libro Il Primato, Cesare Balbo le ridusse in un altro suo libro più pratico, più semplice più breve. E poi nell' opere nostre , tra le altre consacrate ai Papi , O Papa, o irreligione, anarchia e morte ! ed Il trionfo di S. Pietro sopra di Roma Pagana , abbiamo con indissolubile nesso logico-storico dimostrato che se Roma (amor) fu fondata e chiamata per aspirazione ed intuizione superna città eterna fin di sua culla, la ragione n'è per chè fu creata pei Papi , e durerà fino a che in essa lei si manterrà il Papato. Or questo regno per cagione degli scismi suscitati dagli Enrichi , dai Federici imperatori, prolungati dallo scandalo di tre antipapi, rinforzati dalla residenza dei Papi in Avignone, e dallo imperversaredel concilia bolo di Basilea, era stato scosso infino da'suoi cardini e diviso in varii principati, i cui signori, come abbiamo di volo accennato, e discorreremo appositamente a suo luogo, a loro beneplacito angariavano, infastidivano i romani Pontefici che di monarchi appena ritenevano il nome;quindi se non fosse venutauna mano robusta talequal fu quelladiAlessandro VI, a rialzarlo, riunirlo e difenderlo, egli sarebbesi in breve sfasciato, са dendo sotto i colpi dell'eresia; chè i novatori già facevanocapolino eRoma dovette ad Alessandro VI la sua grandezza temporale , e questi pose i 67 suoi successori in istato di tenere quandochessia le bilance d'Italia, come ebbe a confessare l'istessa Enciclopedia universale di Diderot e d'Alem bert, PAROLA Valence. La divina Provvidenza che richiedeva un petto forte a reggere il do minio temporale in quei procellosi tempi, fe' che l'eletta cadde sopra di lui rapidamente ed unanime, che fosse temutada'monarchi pelsostegno che riceveva da Ferdinando di Spagna, essagli tenne affezionati i popoli in tante ribellioni dei baroni romani , il preservò da certa morte in quella che il fulmine sul Vaticano ruinava sull'augusto suo capo le sovrastanti volte, perchè troppo sconquassate ancora erano le cose di Romagna , protrasse i suoi dì alla più tarda vigorosa vecchiezza , malgrado gli affanni travagliosi e le peripezie acerbissime a cui andò soggetto ; e parve che anche dopo la morte di esso , Iddio approvasse il suo go verno , imperocchè avendo i cardinali eletto a suo successore Pio III , personaggio santissimo, ma troppo mite per quei tempi duri e feroci, il Signore, dopo averne ricompensate le virtù con innalzarlo alla tiara pon tificia, come se fosse, qual monarca temporale, poco atto a reprimere la impudente baldanza e cupidigia di quei baroni romani a rapinare e ti ranneggiare rotti, fra lo spazio di ventisei giorni il chiamò asè, lasciando che il sacro Conclave eleggessein suaveceunanimamente l'emulo, l'av versario di Alessandro VI, Giulio II, il quale prosegul tuttavia con ar dore il piano di lui, e pose ogni studio onde liberar l'Italia e renderle la sua nazionalità. Questa nostra digressione sembrerà a taluni troppo lunga ed estranea ad Alessandro VI, l'abbiamo nondimeno creduta necessaria per rischia rare un punto istorico che alcuni moderni hanno molto intricato, forse più per malignità che per ignoranza (1). Ed abbiamo voluto via via, come per mano, condurre il leggente dall'origine del temporale dominio dei Papi fino ai tempi presenti, acciocchè il fatto fosse appoggiato dalla autorità, e perentoria ne riuscisse la risposta. Ache adunque sivacon ristucchevole sazietà compiacendosidi ripetere che vi fu abuso nell'esercizio di questa autorità, quando questo esercizio si diè in Pontefici che la mano laica violentemente pose a sedere sulla cattedra di Pietro, in Pontefici viventi intempi depravatissimi, e che erano pur essi ancora i migliori principi: quando Gesù Cristo istesso espres samente ci avvertisce, che i capi della religione non sono punto impec (1) Veggansi i Monumenta dominationis Pontificiae di Cenni , stampati in Roma nel 1760; una dissertazione di Orsi sul medesimo soggetto: Cenni, Esame di diploma, ecc.; Giuseppe As semani, Hist. ital. scriptor, t. III, c. 8. cabili, e che le personali colpeloro non debbono scemare ilrispetto che ad essi Pontefici è dovuto. Matt. XIII: Super cathedram Moysi sede • runt Scribae et Phasaei. Omnia ergo quaecumque dixerint vobis, ser ⚫vate et facite: secundum opera vero eorum nolite facere (1). I secoli d'ignoranza unitamente alle passioni umane hanno indotto grandi disordini in tutte le sociali istituzioni, come corti, tribunali, ac cademie , società di uomini sulla terra, e quando questi tempi di cala mità sonoseneiti, bisogna gettare un velo sulle piagheche cagionarono all'umanità ed alla religione. Tale è l'avviso innestato in alcuni bei versi del mediocre poeta Stazio : •Excidat illa dies aevo: nec postera credant • Saecula; nos certe taceamus, et obruta multa •Nocte tegi nostrae patiamur crimina gentis. , Tali sono le riflessioni cui premettiamo in prima di scrivere la vita di Papa Alessandro VI, Borgia, e suoi contemporanei, del qualeuna mol titudine pressochè innumerevole di scrittori di tutti i paesi ebbe lapre tensione di tessere l'istoria , ed in cambio gli uni composero romanzi , libelli , altri gli hanno servilmente copiati. Ed è cosa dispiacevole lo scon trarsi in uomini celebri che divennero organi dell'impostura e dellacre dulità. Uomini non consentanei mai a sè, i quali sempre struggendosi d'un bulimo matto di mordere il Papa: se questi in vigore delle due spade affidategli dal Re dei regi colpisce i rei, tatamellano che le mani di lui non debbono alzarsi salvo per benedire e pel perdonare, perchè padre comune; se poi per mitezza egli è indulgente verso dei felloni , ranto lano ch'è impotente il braccio di lui a sostenere il peso d'un governo temporale ! Insomma ad ogni modo si aggavignano i rivoluzionari a carpire pretesti bugiardi, onde avvilire il potere spirituale delle Somme Chiavi ! (1) Noi abbiamo di ciò abbondantemente ragionato nell'opera nostra L'Eccellenza della santa Fede cattolica, apostolica e romana, ecc., sopra la sedicente religione maomettana, luterana, calvinista in tutta la parte III , come anche nell' opuscolo I vizi del clero non sono d'ostacolo al trionfo della religione cattolica, apostolica e romana.- Torino, tipografia Ribotta, 1855. 68 CAPO PRIMO. Mortedi Nicolò Vpapa.AlfonsoBorgia gli succede colnome di Callisto III. Lasacra tiara redimiva le tempia onorate del magnanimo pontefice Nicolò V, da Sarzana, dinanzi al quale col più ossequioso rispetto s'in chinavano i più dotti personaggi dell' Oriente e dell' Occidente, il cui nome venerato sempremai si pronunciava con un misto piacevolissimo d'ammirazione edi gratitudine. I popoli rimiravano attoniti sedersi splen didamente sul soglio pontificio un Gerarca onninamente di sèdimentico, il quale tutta la sua vasta mente, ed il suo gran cuore con sapientis simamoderazione, infino dai primissimi istanti del suo pontificato, volgeva a ristabilire l'unione nella Chiesa, già da lunga stagione lacerataper uno scisma lagrimevole (1). Nell'anno 1448 conchiuse un concordatocon l'Allemagna. Qualche tempo dopo sedò le turbolenze suscitatesi nella Spagna all'occasione d'una nuova legge , la quale escludeva da tutti gl' impieghi civili ed ecclesiastici i giudei novellamente convertiti. Nell'anno 1450 si celebrava l'universale giubileo. Nicolò V l'apri la vi gilia del santo Natale. Poca pezza dopo canonizzò san Bernardino da Siena, morto ad Aquila nel 1444. Trasferì a Venezia il patriarcato d'A quileia, unito infino allora alla chiesa di Grado, e rivesti della dignità patriarcale il santo vescovo Lorenzo Giustiniani, le cui virtù facevano l'ammirazione di tutta Venezia. (1) V. vita e gesta de Romani Pontefici nati od oriundi degli Stati Sardi, da noi composta, vol. 1. Ivi scrivendo la vita di Felice V, di Nicolò Ve d'Alessandro V, diffusamente abbiam ragionato di cotesto scisma e delle virtù di Nicolò V. Un grave pensiero tenea occupati in quell'epoca i Pontefici Romani. I Turchi dovunque minacciavano le province europee senza che dai , principi cristiani si potesse sperare il più leggiero soccorso contra dell'in vasione. I soli papi, con una mano di privati crociatisi, e la devozione dei cavalieri di Rodi e dei due generosi principi Scanderberg, e Giovanni Uniade, dovevano pel momento cozzare e far testa contro ai conati di cotesti nemici formidabili. Nicolò V fu preso dal dolore di veder cadere tra le ugne degl'infedeli la capitale dell'impero greco, e tanta fu l'afflizione che provò in cuor suo, che da quel punto le forze e la sanità di lui diedero giù con una sorprendente rapidità. Alle sue pene sforzossi egli di cercare un sollievo nelle opere sante di beneficenza e della pietà cristiana. Si compiaceva del pari di conversare coi greci letterati, i quali la presa di Costantino poli aveva costretti a rifugiarsi nelle diversi parti d'Europa. Egl'inco raggio le arti, adornò la città di Roma di parecchi monumenti degni d'osservazione; sopratutto arricchi le chiese di vasi d'oro, d'argento e di arredi preziosi. La sua ultima malattia fu dolorosissima; ma il santo Pontefice lungi dal darsi in pianto, lodava e benediceva continuamenteil Signore. Sguar dando il suo amico, il vescovo di Arras, che in lagrime scioglievasi ac canto al letto : Non piangete, gli disse, ma cangiate il vostro lutto in ▸ preghiere, che m'impetrinouna morte santa .Egli spirò addi24marzo dell'anno 1455. Non muoiono sì ilari gl'infensi al Papato ! Nel giorno ottavo dell'aprile successivo, i cardinali radunatisi in con clave, stavano per nominare papa il cardinale Bessarione, dalla cui ele zione Alano cardinale d'Avignone gli stornò colle seguenti parole cal dissime: Latinae Ecclesiae Papam graecum dabimus? etin capite libri ▸ neophytum collocabimus? nondum barbam rasit Bessarion, et nostrum ▸ caput erit? quae indigentia Ecclesiae latinae, quae virum non reperit ▸ diguum, nisi ad graecos recurrat, assumatque eum quiheri et nudius tertius fidem romanam impugnavit? et quoniam hodie conversus est, › magister noster erit, et christiani ductor exercitus ? en paupertas Ec , clesiae latinae, quae virum non reperit summo apostolatu dignum, nisi ad graecos recurrat! Sed agite, patres, quod libet; ego, et qui mihi > credent, in graecum praesulem nunquam consentiemus . Siffatti ac centi mossero talmente gli animi dei padri del collegio, che più niuno vi fu che si accostasse al Bessarione. Laonde elessero Alfonso Borgia, Cardinal prete del titolo dei Quattro Coronati, il quale assunse il nome di Callisto III, in memoria di Callisto II benemerito assai della Spagna. Questi era un buon vecchio di 78 anni, virtuoso, disinteressato al sommo. Narra Guglielmo Burio in Callist. III, che altro non aveva inmira tranne la gloria di Dio, ed il trionfo della Chiesa. Egli aveva predetto ai car dinali l'elezione sua, sopra l'assicurazione che ne aveva ricevuta da san Vincenzo Ferreri suo compatriota. Non essendovi molta apparenza di suo esaltamento, fu perciò trattato da visionario. Ma nutriva egli una fidanza tale nel vaticinio di S. Vincenzo, che avanti la sua elezione giunse 70 71 aformolare un voto sotto il nome pontificale che prese dappoi.Era esso cosi conceputo, il che conferma il giudizio che di questo pontefice da remo or ora. Io Callisto, papa, prometto egiuro a Dio e alla santa in ⚫ divisibile Trinità, di perseguitare i Turchi nemici crudelissimi del nome • cristiano, colla guerra, colle maledizioni, cogli anatemi, colle esecrazioni ⚫econ tutti i mezzi i quali saranno in mio potere . Ed il suo operare fu immutabilmente conforme al giuramento. Egli è nell'ordine naturale delle cose che un personaggio innalzato ad alta carica, specialmente se vecchio, e stipato si vegga da nemici interni ed esterni, il pensare a raffermarsi in essa coll'aiuto dei valorosi parenti suoi, cui il sangue gli detta essere più schietti consiglieri e fidati esecutori delle sue volontà; tanto più se scorge gli antecessori suoi essersi appigliati aduntalpartito, punto non esita ad abbracciarlo. Ora Callisto III versava appuntoin somiglianti circostanze, epperciò volleavereai fianchi un qual che membro della famiglia sua illustre. Computavansi fra gli altri due giovani d'animo svegliato e prestante, uno di essi specialmente sovrastava per alta levatura d'ingegno e vigoriadi pensamento: questi eraRodrigo Lenzuoli, del quale imprendiamo a narrare l'istoria, divenuta troppo famosa. CAPO SECONDO. Natali di Rodrigo Lenzuoli, poi Alessandro VI. Suoi studii, impieghi, azioni giovanili. Quantunque della fanciullezza di Rodrigo Lenzuoli non accada il rac contare, non essendo ancora egli papa, perciò non venne impetita anche dai più inveleniti scrittori contra di esso; nulladimeno deggiam noi al cunchè narrarne permaggior chiarezza dell'istoria sua discussa, contrad detta, contestata. Illustrava adunque gloriosamente la cattedra romana il pontefice Cal listo III, il quale aveva in Ispagna due sorelle nobilmente maritate, cia scuna di queste teneva un figliuolo. Piegandosi Callisto di leggieri spe cialmente per le allegate ragioni all'andazzo di quei secoli, per cui i papi creavano cardinali iconsanguinei loro, promosse al grado di cardi nali i suoi due nepoti, i quali se non n'erano gran fatto degni, meno ancora certamente vi aspiravano (Rhorbacher, Istoria eccl., in Alessan dro VI). Uno di questi due (1) era Rodrigo Lenzuoli, o Lenzoli (come il nomi (1) L'altro nipote di Callisto III promosso congiuntamente a Rodrigo al cardinalato era, secondo il Volaterrano (MS. arch. Vat. sign. n. III in Diario feriae V. majoris hebdomadac anni 1481), Lodovico cugino di Rodrigo, creato cardinale dei santi Quattro Coronati, che da quattro anni ed oltre sedeva quietamente nel suo presulato Ilerdese , dal giorno in cui scrivea il Volaterrano suc 72 nano alcune medaglie coniate nel tempo del ponteficato istesso d'Ales sandro VI), nato a Valenza, una delle città regie di Spagna, l'anno 1431 da Gioffredo Lenzoli distintissimo cavaliere per nobiltà e ricchezza, e da Isabella Borgia sorella del suddetto Callisto III, d'antichissima e molto rinomata famiglia, feconda di grandi uomini e di santi insigni. Se poi si vuole che Alessandro VI avesse 74 anniquando morì, allora fad'uopo convenire che nascesse due anni innanzi , cioè il 1° gennaio 1429 come affermano molti scrittori. Nicolò Tigrino oratore di Lucca ad Alessandro VI disse, cheRoderigo Lenzoli traeva l'origine sua da C. Giulio Cesare questore delle Spagne: d'onde abbia mai tolto egli questa notizia curiosa , Andrea Vittorello ( Vitae et res gestae SS. PP. RR., in Alexand. VI) soggiunge di non a verlo potuto sapere. Trapelavano sino dalla sua fanciullezza in lui disposizioni sovra il co mune, egli faceva maravigliare ognuno per la vivacità del suo spirito eper la copia dei suoi talenti; ma altresì, eildobbiamo pur confessare, Rodrigo recava seco il germe delle ardentipassioni, le quali influire do vevano poi sur i primi anni di sua gioventù. Fino all'età di diciotto anni Rodrigo si applicò alle scienze ed alle let tere con un senno rimarchevole, dando segno di buon giudizio nello studio delle medesime, e tali furono i progressi in esse fatti da lui in pochissimo tempo, che il suo genitore il quale aveva successivamente conseguito le cariche più eminenti nella sua patria, fin d'allora credette potergli affidare la cura di più d'un affare di non leggiera importanza. Il giovane gli strigò e condusse a finimento con una saggezza rara (questi erano specialmente de' processi difficili), ed i suoi sforzi vennero coronati d'un esito ancora più preclaro. Inanimato da siffatti splendidi principii, egli nutri per un istante ilpensiero di continuare una carriera, che gli si apriva dinanzi così bella e gloriosa. Se non che a cagione della leggerezza si propria di quell'età, inopinatamente Rodrigo abbracció la carriera del padre suo, la professione delle armi, meno per vocazione, sembra, che per bramosia d'indipendenza. Noi non terrem dietro ai primi suoi passi nella professione militare. Anima bollente, tal quale dessa era, non andò molto a segnalarsi. Somi glianti ingegni non possono giacersi lungamente nell'oscurità, diventa loro quasi necessità il galleggiare sopra il comune, e qualsiasi il posto cui occupano, è forza che si distinguano tra tutti coloro i quali li cir condano : fortuna, se ciò avviene dal lato del bene; ma troppo sovente accade il contrario. L'ozio è il padre di molti falli; e Rodrigo ne fece esperienzanelle in citato contemporaneo ad Alessandro VI. E ciò vogliamo osservato , perchè altri scrittori meno e satti e posteriori al Volaterrano erroneamente dissero che si chiamasse Giovanni il Seniore , ni pote d'Alessandro VI e da questo fatto cardinale. Altri autori poi i quali non perscrutarono abba stanza l'istoria, sciolgono la difficoltà col pronunciare, che non seppero conoscere nè distinguere chi fosse questo nipote di Calisto III, cuginodi Rodrigo. 73 tramesse che gli lasciavano gli esercizii della milizia. In questo stato adunque egli conobbe una vedova romana, ch'erasi ricoverata aBarcel lona nella Spagna, con due figliuole, ed arse in breve d'amore d'una di queste denominata Rosa Catterina Vannozza, o Zanoggia (non Lucrezia, come scrive il Berault-Bercastel con altri). Di costei ebbe poi cinque fi. gliuoli, dei quali si mena tanto scalpore. Il primo di essi, l'abate Berault Bercastel dietro ad altri (Storia Eccl., in Aless. VI) chiama Pietro Lodo vico; il secondo, a questo sottentrato per la sua morte senza prole , fu Gian-Francesco, che divenne poi ducadi Candia; il terzo, Cesare, che Luigi XII creò duca di Valenza in Francia; il quarto , Lucrezia , che morìduchessa di Ferrara; il quinto, Gioffredo, principe di Squillacio. Non concordano però gli scrittori nel numero della prole di Roderigo Lenzuoli : alcuni gli assegnano soltanto quattro figliuoli, per mezzo dei quali una femmina. Altri cinque, ma dicono che s'ignora il nome e la sorte d'uno di essi, epperciò il vogliono morto nella sua infanzia o pue rizia. Chi poi chiama il primogenito Pietro Lodovico, il dice da pezza premorto all'assunzione di Rodrigo al pontificato, a cui succedette il secondogenito Gian-Francesco. Per contro alcuni opinano con maggior probabilità, che abbia generato soltanto tre figliuoli maschi, Gian-Fran cesco, Cesare, Gioffredo; e due figliuole: di queste una fu la celebre Lucrezia, l'altra di cui s'ignora il nome, per essere stata la primogenita di tutti, morì in Ispagna nanti che Rodrigo venisse in Roma, ed in sì immatura età da non essersene fatta menzione nella storia (Vitae et res gestae SS. RR. PP. etc. auctoribus M. Alphonso Ciaconio. Francisco Ca brera Morali; et Andrae Victorello Ferdinando Ughello, HieronymoAle xandro.Romaetypis vaticanis, ann. MDCXxx, tom. II, pag. 132ad 1392, in Ale xandrum VI: con vari altri autori). E somigliante opinione, dietro le più minute e coscienziose ricerche, pare a noi la più veridica e soddisfacente. tanto più che simpatizza colla giudiziosa annotazione del traduttore del Jorry citato, il quale osservando appositamente che presso gli storici non si trova conformità intorno aquesti nomi(tranne Cesare e Lucrezia), esclama: sarebbe mai che i figli di Rodrigo avessero avuto più nomi ad un tempo, e che gli autori incurosi un po' l'uno , un po' l'altro ado perassero ? Nulla d'improbabile! Ma seppe Rodrigo si artificiosamente tenere recondita questa congiun zione illegale, chenon siconobbese non lunghi anni dappoi. Ilperchè con alta dirittura scrissero i più assennati autori non essersi legata la Rosa in connubio col Domenico d'Arimano o Arignani, se non posteriormente al nascimento di quei figliuoli e verso il tempo in cui Rodrigo da car dinale diacono fu assunto da Sisto IV , sulla metà del suo pontificato , al sacerdozio ed all'episcopato, nella gestione del quale, rinunciate egli tutte le illecebre secolari, si consacrò onninamente alla Chiesa, alla Re ligione, a Dio (veggasi il protestante Schrocckh, tom. 32, p. 382 e 383 ). Del resto nè la prole di Rodrigo potrebbesi spacciare per sua, nè per sì bella pezza sarebbe stata occulta quell'amicizia, sopratutto ad un marito spagnuolo, o romano, secondo altrivoglionocon più ragione.Quindi emerge -74 irrepugnabile che contra ogni diritto aggravano di troppo lamemoria di Rodrigo coloro i quali affermano positivamente , che la sua tresca fosse con donna coniugata, quando risulta chiaramente che era con persona libera, la quale come passò a legittime nozze, non più venne frequentata dal Borgia, sopra cui pesavano troppo più gravi cure affannose, profondi studi, rilevantissime legazioni remote, che soventissimamente e diutur namente tenevanlo lontano non solo di Roma, ma d'Italia. Pertanto, di chi sono, esclamiamo qui opportunamente col savio Rohr bacher (Istoria Eccl , in Alessandro VI), quei grandi scandali, notori, fa mosi e certi d'Alessandro VI? Codesti scandali sono essi delvescovo, del papa, ovveramente dell'uomo privato? Noi vedemmo che sono del gio vane militare, dell'uffiziale ispano, dello studente di diritto civile e ca nonico, a cui si applicò Rodrigo in Bologna quando, abbandonatalami lizia in Ispagna per ordine dello zio Callisto III, arrivò in Italia; da ul timo si ammetta pur anche del cardinal chierico, non ancora sacerdote: perocchè è mentre era occupato in tali carriere , che Rodrigo ebbe di quella matrona romana quei fanciulli, non adulterini, sibbene naturali ; manon mai del vescovo nè del papa (1). (1) Questions sur l'Encyclopédie, 5 vol. 1774, pag. 166. Gfi scrittori d'Alessandro VI il ren dono colpevole degli errori nei quali essi stessi precipitarono.- Costoro, ibid. pag. 173 si fanno scudo della massima di Cicerone ragguardo all'istoria; che l'istoria non osi dire una falsità, nè ce lare una verità. La prima parte di questo precetto è innegabile : bisogna esaminare la seconda. Se una verità può essere di qualche utilità allo Stato, il vostro silenzio è riprovevole; ma sup pongo che voi scriviate l'istoria d'un principe che vi avrà confidato un segreto, dovete voi mani festarlo ? Dovete voi dire alla posterità ciò che sarete incapace di rivelare secretamente ad un solo uomo? Il dovere d'uno storico la vincerà sopra un dovere più grande? Suppongo ancora che voi siate stato testimonio d'una debolezza che per nulla influi sugli affari pubblici, dovete voi propalare simile debolezza ? In tal caso l'istoria diventa una satira. Fa mestieri confessare che la più parte degli scrittori d'aneddoti sono più indisereti , che utili. Ma che dire di quei compilatori insolenti, che attribuendosi a merito il maledire, stampano e ven dono degli scandali come Lavoisier vendeva i veleni ! Se Plutarco morse Erodoto di non aver sufficientemente rialzato la gloria di alcune città greche, e. d'aver omesso parecchi fatti conosciuti degni di memoria, troppo più sono oggidì riprensibili quelli i quali senza aver niuno dei meriti d'Erodoto , imputano ai principi , alle nazioni , azioni odievoli , senza niuna apparenza di prova ; anzi col marchio di spudorata menzogna ! Questo non èscrivere l'istoria, anzi è una sfacciata azione meritevole della gogna. Ibid. tom. 1, pag. 194 e seg. Du Haillan pretende in uno de'suoi opuscoli, che Carlo VIII non era figliuolo di Luigi XI. Questo forse è il motivo secreto per cui Luigi XI negligentò l'educa zione di lui, e l tenne sempre da sè lontano. Carlo VIII non rassomigliava a Luigi XI nè per lo spirito, nè pel corpo. Da ultimo la tradizione poteva servire d'accusa a Du Hallian; ma quella era troppo incerta, come quasi tutte. La dissomiglianza tra pel padre e pel figlio è ancora meno una prova d'illegittimità, di quella che la rassomiglianza il diventi del contrario. Che Luigi XI abbia odiato Carlo VIII, ciò a nulla conchiude. Un figlio si cattivo poteva facilmente diventare un cattivo padre. Quando pure dodici Du Hallian ci accertassero che Carlo VIII era nato d'un altro che non da Luigi XI, noi non dovremmo crederli ciecamente. Un leggitore savio debbe , ci sembra , pro nunciare come i legisti : pater est is, quem nuptiae demonstrant ! Nella Spagna i bastardi hanno sempre ereditato. Il re Enrico di Transtamare non fu mai con -- 75 Il padre di costoro, che spirò in età di settantadue anni , ovvero set tantaquattro, ne numerava impertanto almeno sessantuno quando si cinse le tempia della tiara pontificale: questa non è più certamente l'età delle follie scandalose; per credervi sono necessarie ben altre malleverie da quelle dei racconti e delle satire dei malevoli; ci vogliono prove e ve ridici documenti ! Vogliamo noi conchiudere che Alessandro VI non siapuntocolpevole? Per fermo non mai! Desso è colpevole, il confessiamo senza peritanza , ma assai meno di quello che si bucina, perchè di quei dì nella società non solo si teneva in tanto sconcio come presentemente la prole natu rale, ma per poco avevasi inferiore alla legittima: dei figliuoli naturali, scriveva (Memorie, lib. VII, cap. 2) Filippo Comines , autore accreditatis simo ed isicrono : in Ilalia non si fa grande differenza dai naturali ai legittimi. Quindi se noi vogliamo giudicare Rodrigo secondo l'andazzo dei tempi e dei luoghi, nanti agli uomini non erapoi desso quel reo che tanto ai giorni nostri declamasi. Perocchè, oltre che gli uomini debbonsi unicamente sentenziare secondo i luoghi ed i tempi, si ha ancorada di stinguere tra il giudicamento umano ed il divino: e quello che davanti a Dio è delitto, avvenne spessamente che per la infermitànostrafu cre duto quandochessia quaggiù tollerabile , scusevole. Laonde conseguita che se Rodrigo fu al cospetto di Dio peccatore, pur avanti al mondo di allora comportabile e scusevole appariva la sua condotta. Si, ripigliamo, non vogliamo noi purgare da qualunque labe il Borgia: desso è colpevole, non fosse per altro che per essersi invischiato nella lutulenta pania della libidine. Desso è colpevole sopratutto, che dopo una somigliante giovinezza, con simili antecedenti pose il piè nel santuario di Dio; ma queste colpe, senza manifesta ingiustizia ed irragionevolezza non deggionsi imputare ad Alessandro VI come papa. Noi ammettiamo altresì che sarebbe stato più colpevole di lui chi diè mano a tale sacro ingresso, se avuto contezza de'suoi disordini, l'avesse intromesso , senza che ne porgesse pegni o promessa almeno d'emendamento. Noi possiamo avantaggio ed onore di Rodrigo arguire con assai fondamento l'uno e l'altro, e la sua condotta palesemente tenuta durante il pontificato di suo siderato come re illegittimo, quantunque fosse figliuolo illegittimo ; e questa razza di bastardi, trasfusa nella casa d'Austria, regnò nella Spagna fino a Filippo V. La stirpe d'Aragona che regnava a Napoli al tempodi Luigi XII, era bastarda. Il conte di Dunois sottoscrivea il bastardo di Orleans; e si conservarono per bella pezza alcune lettere del Duca di Normandia re d'Inghilterra sottoscritte Guglielmo il bastardo. Carlo Quinto avea dormito colla sua sorella Margarita governatrice dei Paesi Bassi, da cui nacque Don Giovanni d'Austria fratello intrepido del prudente Filippo II. Di questo non abbiamo maggior prova di quello che ne possediamo dei secreti del talamo di Carlo magno che dormi, narrasi dai garruli impudenti scrittori, senza niun profitto, edificazione della società , con tutte le sue figliuole : epperchè adunque affermare simili cose infande? Se la Santa Scrittura, per fini altissimi , non mi assicurasse che le figliuole di Lot concepirono figliuoli dal loro proprio padre , e Tamar dal suo suocero , io esiterei molto ad accusarlene. Importa esser discreti. E che! uno scrittore nella sua stanzetta potrà pronunciare una diffamazione che i giudici più illuminati del regno tremerebbero d'ascoltare sedenti sul loro tribunale ! 76 zio e de'suoi successori, che prodigarongli onori , addossarongli onorifi centissimi uffici difficili, dei quali egli colla più accorta, sollecita dirit tura seppe dirigere, governare , condurre a soddisfacente compimento , somministrerà argomenti luminosi di sua alta levatura, integrità ed esti mazione pubblica , da esser giudicato meritevole di venir coronato col triregno. CAPO TERZO. Rodrigo Lenzuoli rinuncia alle armi. vescovo e cardinale diacono. suoi uffici. Si reca in Roma, viene eletto Sua premura nel retto disimpegno dei I disordini surriferiti di Rodrigo, avvegnachè deplorabili, nulladimeno non erano poi eccessivi per un militare ed un legista di quei tempi , e sarebbe pur imperdonabile utopia e stranezza stupida quella di voler mi surare gli abusi dei travalicati secoli colla stregua della presente età più costumata! Orå, essendo lo zio suo divenuto Papa, come abbiam detto, col nome di Callisto III, l'anno 1455, nulla certamente sapendo esso dei falli cui moderni o vecchi istorici troppo irruginiti si compiacciono a rimprove rare al suo nipote (altrimenti l'avrebbe lasciato in Ispagna a continuare, come avrebbe fatto, la carriera che aveva impresa), l'invito a valicare i Pirenei per recarsi a Roma, affine di pigliare parte ai più eletti favori. Rodrigo, che si trovava ingolfato con seducente lusinga nel seno dell'o pulenza e delle voluttà nella Spagna, non si curò d'aderire ad un tale invito, più volte ripetuto, per cui dovette finalmente lo zio inviare colà un prelato per condurlo alla corte pontificia. Quando venne egli era già padre di tre bimbucci, della figlia primogenita morta in Ispagna, del se condogenito Gian Francesco, poi duca di Candia e di CesareBorgia. Chè coloro i quali sono impegnati a protrarne il di lui nascimento onde farlo figlio non del militare Rodrigo, ma di Rodrigo Borgia cardinale, tutto al più il ritardano senza precisione sin verso al 1457, che sarebbe sul fine del 1456, epoca appunto in cui abbandonò la Spagna il Lenzoli Rodrigo suo padre, ed il lasciò affatto bambino nelle braccia della Vanozza , che venne poi a raggiungere Rodrigo in Roma, di qua a Bologna. In Roma ricevette squisite accoglienze dal Gerarca supremo, che colmatolo di be nefizi considerevoli, il mandò tosto a Bologna, dove, postolo sotto disci plina di valorosi dottori e maestri nelle lettere , volle che incombesse appo i medesimi allo studio del diritto civile e canonico, nel quale fece egregi progressi. (Vitae et res gestae SS. PP. RR., cit. loc). Volgeva al lora Rodrigo l'anno ventesimo quinto della sua età , ma se fosse nato nel 1429 avrebbe avuto 27 anni, ed altri dicono 28. ABolognaimpertanto, dove Rodrigo studiava il diritto, il raggiunse Vanozza, ed il fece padre 77 di Lucrezia; poscia un poco più tardi dell'ultimo figlio Gioffredo. Stando sui trent'anni Rodrigo diventa assai naturale che avesse generato già quei quattro figliuoli. Pago il Santo Padre di siffatta riuscita, lo aggregò alla carriera pre latizia, per laquale non faceva mestieri sopratutto in quei dìd'essere iniziato negli ordini sacri, ed il designò verso il fine del1456, addì 21 settembre, ve scovo ( veggansi le Vite dei Pontefici, diBartolomeo Platina, parte II, da SistoVfino a Benedetto XIV, descritteda Onofrio Panvinio, inAlessandro VI) di Valenza in Ispagna; erane solo titolare senza essere insignito d'or dine sacro, e rimanendosemplice chierico, teneva, secondo usavasi a quei tempi, come in commenda il vescovado, che amministrato veniva da un vicario, o vescovo residente , e che poi salito egli al soglio Pontificio , eresse in arcivescovado; oltrecció Callisto III lo cred cardinal-diacono col titolo di san Nicola in carcere Tulliano, il quale titolo poteva altresì ritenere senza prendere ordini sacri, e poco dopo lo innalzò ancora alla dignità di vice-cancelliere di santa Chiesa romana : nei quali uffici Ro derigo si mostrò d'alta capacità, d'intrepido coraggio e sottile prudenza dotato. Cominciò da questo punto a riformare il suo tenore di vita sino allora troppo leggiero e dissipato. Callisto III (che Platina chiama pontefice di grand'animo e mente, ed integerrimo in tutta la sua vita), applaudendosi della sua scelta , volle perfino che Roderigo deponesse il nome di suo padre Lenzuoli, e si ap propriasse quello di sua madre , Borgia, ch' era eziandio quello d'esso papa, unitamente allo stemma dei Borgia, il quale aveva un bue nel suo campo: Bos Albanus in portu : il Bue d'Alba in porto. Così disponevasi soavemente Rodrigo all'avveramento in sè del vaticinio del santo vescovo d'Armack, Malachia, che sotto tal simbolo avealo preconizzato pontefice. Noi abbiamo discorso a lungo dell'origine ed autenticità di questa pro fezia nell'operetta nostra Ifuturi destini, ecc , e sopratutto nella settima edizione della medesima. (Veggasi eziandio il nostro opuscolo l'Oracolo, ecc., stampato posteriormente dall'istessa tipografia editricedi F. Marti nengo e Comp. Torino, 1856). Bisogna pur arguire con sano criterio che Callisto III pensasse che questo nome, il quale era il suo proprio, non verrebbe disonorato da colui che volle ne andasse adorno. Coloro i quali si dilettano di vociferare , che di soppiatto egli conti nuasse le sue relazioni colla Vanozza, la quale trovandosi nella Spagna priva del suo braccio sostenitore, rimpatriava nella romulea città poco dopola partenzadiRodrigo, dovevanoad onore della verità confessare inge nuamente nonsolo cheeral'unico commercio condannevole che tratto tratto avesse tenuto, ma anche ad encomio di lui meritato propalare, che pub blicamente Rodrigo si diportava da prelato pio, frequentava le chiese e gli ospedali, era liberale a pro' dei poveri , ed adempieva ogni dovere , non solo del cristiano, ma del religioso; in breve egli si procacció, dietro la confessione di tutti coloro che ne scrissero la vita , una fama gene ralmente favorevolissima. Perchè mai non hanno altro voluto qui vedere alcuni se non ipocri -- 78 sia ? Autori di peso hanno apertamente proclamato quest'accusa. Orasopra di che si sono essi appoggiati per condannarlo intal guisa?Sopra qual che maligna supposizione, poichè dal canto nostro noi non abbiamo tro vato nulla a sostegno di questa gargagliata.-Unoscrittoreprotestante. Schrocckh (Tom. 32, p. 382 e 383), fu il primo a metter fuori questaodiosa interpretazione. Ma a noi sembra che in siffatto argomento uno spirito saggio, prudente ha delle ragioni non disprezzabili per tenersi in guardia contra degli storici ecclesiastici della setta protestante, sempre ostili, in fensi (tranne qualche onorevole eccezione) alla ChiesaRomana e ai Papi. Per ciò che spetta a noi, se nel decorso di questa biografia abbiamo so vente consultato l'anglicano Roscoë, del quale è nota l'imparziale buona fede , non è già che noi ci tenessimo paghi soltanto della sua privata autorità, quanto di quella dei contemporanei d'Alessandro VI, dei quali la suaopera contiene preziose ed incontestabili testimonianze.-Delresto, in nessun luogo, salvo in certe pagine giustamente sospette, venne rap presentato il Pontefice, di cui parliamo, come falso e dissimulato. Al suo carattere ardente non si poteva unquemai confare la finzione. In grazia adunque del regolato vivere non solo , ma edificante , del nostro cardinale Rodrigo Borgia, venne egli sempre più a rendersi ag gradevole allo zio, ed a meritarsi maggiori distinzioni ed onorificenze. Asiffatte promozioni diè occasione la morte del conte di Tagliacozzo, che avea l'anno avanti Callisto III creato governatore di Roma; subito nacquero dissensioni tra pel conte Averso e per Napoleone Orsino , per avere il conte occupato Monticello, terra non lungi da Tivoli, la quale diceva essere sua, e per ragione ereditaria medesimamente , per essere stato quel conte della famiglia Orsina. Dalla contesa di questi due ba roni , che colle armi sulle ragioni ereditarie discettavano, il popolo di Roma sofferse gravi danni; ma essendo questa contesa sopita perun or dine rigoroso che loro ingiungeva di deporre le armi , Callisto III pon tefice prepose Roderigo Borgia suo nipote in luogo del morto conte, go vernatore di Roma, ed il fece generale e confaloniere della Chiesa, pre fetto sulle liti ecclesiastiche , per tener più agevolmente i turbolenti baroni romani a freno (Vitae et res gestae SS. RR. PP., etc. cit. loc.; Platina, in Callist. III). Il che operò questi con sagacesolerzia ed energia. Dove sono adunque gli scandali d'Alessandro VI !.... Nonsarebbero forse i maldicenti, i quali avrebbero accagionati colle penne loro cotali scan dali nei tabernacoli di Dio, mettendo a giorno quello che stava celatis simo, o quelio che fu esagerato di soverchio, o che era falso? e per un uzzolo cocentissimo confondere epoche, costumi, condizione, affine d' in famare con colpo più sicuro il triregno ! Se Rosa Vanozza, alla partenza di Spagna di Roderigo per Roma, fe' ritorno in questa città, quale meraviglia di ciò, che una giovane in estra nea contrada, orbata del suo braccio difensore, soletta rimasta, compiute le bisogna per cui colà erasi portata la defunta genitrice sua, pensi di ripatriare al suo suolo natio? Quale cosa di più naturale? Eperchè va lersi dell'ingresso di costei nella città dei sette colli per cavillare sur i costumi di entrambi? Non sappiamo noi cheRoderigo Lenzuoli, divenuto Borgia, frequentemente si assentava per tempo diuturnissimo dall'Italia onde attendere ai negozi di Stato affidati alla sua saviezza dai Gerarchi supremi ? E pur ridicolo il leggere appo certi scrittori , i quali, per de nigrare ambidue, danno l'ubiquazione al Borgia ed alla Vanozza; ovvero fanno da Roderigo trascinarsi dietro cotesta donna di Spagna in Roma, di Roma a Bologna, da Bologna nelle Legazioni, e da capo da Roma in Ispagna, quando consta certo che egli non l'ebbe unquemai compagna nei viaggi : quando è certo ch'egli vegghiava riguardosissimamente dal non far suspicare di sè; quando è palese che , ritornata la Vanozza in Roma, più non ritornò nella Spagna, dove era ito legato il Borgia ; quando, giusta la più indubitata sentenza, ella venne maritata in Roma col ragguardevole e nobile cavaliere Domenico d'Arignani verso la metà del pontificato di Sisto IV, quando il Borgia fu promosso acardinal vescovo. Un'infame, una cortigiana spudorata, tal qual vorrebbesi da certi pilucconi dipingere la Vanozza, non avrebbe giammai potuto contrarre un sì illustre imeneo ! CAPO QUARTO. Morte di Callisto III e de' suoi successori Pio II, Paolo II. d' Innocenzo VIII successore di Sisto. Elezione Gesta del cardinale Rodrigo Borgia durante questi pontificati. In quella che il cardinale Rodrigo Borgia continuava nelle importanti cariche affidategli a far mostra delle doti necessarie per addivenire glo rioso papa (afferma Henrion in Alessandro VI), e gli avvenimenti, i quali nell'alternarsi rapidamente, si spiegavano in singolar modo a lui favo revoli, Callisto III, dappoichè ebbe tenuto la Santa Sede appena tre anni e quattro mesi, pagò il debito alla natura, ed alla sua morte la cattedra di S. Pietro vacò per dodici giorni. Il conclave in sulle prime pensava d'eleggere il cardinale di Rouen Guglielmo d'Estouteville ; ma gli italiani tementi non riconducesse in Francia la corte pontificia, cosa che riguardavano come la rovina d'I talia, unanimamente si opposero. Tutti i voti gli ottenne il cardinale di Siena, Enea Silvio, che prese il nome di Pio II. Desso era nativo di Cor sini, in su quel di Siena, ed era del nobil sangue dei Piccolomini. La sua scienza, la sua facondia, la sua abilità negli affari, la sua prudenza fu rono i gradini che il portarono al sommo pontificato. L'elezione di lui avvenne il giorno decimonono d'agosto 1458, e l'inco ronazione il dì decimoterzo di settembre. Roma mostrò la sua gioia con festeggiamenti, e quest'allegrezza si comunicò ben presto a tutta la cristianità. Appena rivestito della suprema dignità, egli convocò nella città di Man 79 80-- tova i diversi sovrani d'Europa, nell'intendimento di concertarsi con essi sulle disposizioni a prendere per mettere un argine insormontabile ai progressi sempre crescenti dei settatori di Maometto. Ma i suoi sforzi andarono vani. I principi si separarono dopo alcuni giorni di discussione, nè andò guari che a cagione dei loro peculiari li tigii posero in dimenticanza la grande causa del nome cristiano e della religione di Gesù Cristo minacciata dal fanatismo vittorioso dei turchi. Ciò nulla ostante il Pontefice non si perdè d'animo. Dopo un ultimo ten tativo credendosi securo dell'appoggio di Filippo duca diBorgogna, uno dei più possenti principi europei, di quello di presso che tutti gli stati italiani e sopratutto della repubblica di Venezia, risolvette d'esporre la sua persona e comparire, invece di dondolarsi come gli altri neghittosi scettrati nelle delizie , in mezzo alle schiere crociate alla testa delle proprie milizie. Comunicato questo progetto ai cardinali, il sacro collegio fe' plauso alla risoluzione del coraggioso Pontefice, il quale verso la metà di luglio andò al porto d'Ancona per isferrare di colà contra degli infedeli. Ma qui il colse d'improvviso una febbre violenta, e questa malattia aggiunta alle altre infermità, privollo di vita ilgiorno decimoquarto d'agosto 1464, facendo così svanire le liete speranze cui il suo ardor guerriero avea fatto concepire per la gloria e gli interessi del nome cristiano. Il dì trentesimoprimo dello stesso mese i poporati gli diedero per suc cessore Pietro Barbo veneziano, cardinale del titolo di S.Marco, il quale prese il nome di Paolo II. Sull'esempio degli antecessori suoi, ei lavorò di forza e senza tregua a rovesciare la potenza degli Ottomani, od al meno a rallentare i progressi formidabili della lor marcia usurpatrice. Nel tempo medesimo ei perseguitava con vigore quegli spiriti sediziosi che odiavano lapurità della dottrina cattolica. Ed è per questo che con dannò qual reo d'eresia Podiebrad re di Boemia, dichiarandolo decaduto dagli stati suoi, cui avea d'altronde ingiustamente invaso , ed ammini strato ancora più iniquamente. Nel 1471 egli mandò al monarca d'UngheriaMattia, figliuolo d'Uniade. una spada ed un berretto d'onore, come al più intrepido soldato della fede. Lo stesso anno raccomandò ai cavalieri di Rodi di fortificare le loro città affine di potere all'occasione validamente ribattere gli attacchi dei mulsulmani. Egli morì improvvisamente il ventotto luglio, dopo sei anni, dieci mesi, ventisei giorni di pontificato. Il suo posto fu occupato il 9º giorno d'agosto 1471 da Francesco dellaRo vere, d'Albissola piemontese, cardinale (v. vol. II della vita e gestadei Papi degli Stati Sardi, da noi scritta) prete di S. Pietro in Vincoli, che volle esser chiamato Sisto IV. Il nuovo Pontefice consacro le sue prime cure per formare una lega potente contra dei nemici eternidel cristianesimo. Atutta prima per trattar questo grande affare pensava convocare un concilio a Roma; ma avendo incontrato nei diversi sovrani un' opposi zione inaspettata, risolse di negoziare la cosa per mezzo dei legati, e scelse il cardinale d'Acquileia per l'Allemagna, l'Ungheria e la Polonia; 81 il cardinale Bessarione per la Francia, ed il cardinale Borgia Rodrigo per la Spagna (1). Questi accolti dappertutto onorevolmente, non otten nero però nei loro negoziati quel frutto che si potevano aspettare. Sotto il pontificato di Sisto IV avvenne il celebre assedio di Rodi. Sisto ebbe a successore il 29 agosto 1484, Giovanni Battista Cibo, detto il cardinale di Melfi, illustre genovese (V. vol. sopracitato. Noi abbiamo diffusamente ivi parlato sì di Sisto IV, che d'Innocenzo VIII). Fu coro nato il 12 settembre, e si chiamò Innocenzo VIII in memoria di papa Innocenzo IV, egualmente nativo di Genova. La guerra contra ai Turchi formava da molti anni l'oggetto costante dello zelo dei Pontefici , primarii salvatori dell'Europa. Innocenzo VIII raddoppiò gli sforzi, specialmente alla voce corsa che Baiazet, alla testa d'un'armata tremenda veniva a gittarsi sull'Italia.. Il Sultano Maometto II aveva tra gli altri avuto tre figliuoli, Mustafa, Baiazet e Zizim. Egli strozzò il primo pergelosiadel suo valore militare indi morì senza designare quale dei due superstiti dovesse succedergli al trono. Il perchè sorse una guerra civile nell'impero. Ma Zizim fu di sfatto e rifuggiossi in Europa, presso i Cavalieri di Rodi. Innocenzo VIII ottenne da Pietro d'Aubusson di loro gran maestro , che questi gli ri mandassero libero Zizimo fratello del Sultano Baiazet. Questo principe fece il suo ingresso in Roma addì 10 marzo dell'anno seguente 1489 ac compagnato dal principe Cibo, figliuolo d'Innocenzo, e condotto il giorno appresso al Concistoro; benchè fosse stato avvertito di piegar le ginoc chia entrandovi, e di baciare i piedi delPontefice, si avanzò diritto verso il trono pontificale e si accontentò d'appoggiare la bocca ad una delle spalle di S. Santità; condotto poi in un appartamento del palazzo pa pale, ivi si fermo sotto buona custodia. L'ambasciatore del Sultano d'E gitto, ninacciato d'una guerra con li Turchi, trovandosi aRomaprodigò le più belle promesse affinchè Zizimo venisse posto in suo potere , ma invano; ove trascinò una vita, come vedremo tra poco, molle e disordi nata. Allora Baiazet parve obbliare pienamente i suoi progetti contra dei principi cristiani. La sollecitudine pastoraled'Innocenzo si estendeva a tutto e dovunque. Nel 1485 pregó lo czar Basilio III, a non portare la guerra in Livonia, per essere questa provincia posta sotto la protezione di Roma; fermò la pace tra pel re di Scozia e per li sudditi suoi: inviò a Liegi un inter nunzio per sedarvi le turbolenze civili. L'anno appresso pose fine alle di scordie sanguinose dell'Inghilterra, unendo con una alleanza i due rami (1) Sisto IV vien lodato dagli scrittori per molte virtù, per la purezza dei costumi, per una scienza straordinaria, per rari talenti, per somma applicazione agli affari (Artaud, Storia dei Rom. Pont., vol. 1, p. 471). Questa legazione dopo altre anteriori si compi dal cardinale Borgia tra gli anni 1471-72: multas tam subeo, quam sub aliis pontificibus et maximas legationes obivit Ciac con., vitae R. PP.; fu eziandio Sisto IV, che il promosse dall'ordine dei Diaconi a quello dei Vescovi, nominandolo in prima Cardinale, Vescovo d'Albano, poi di Porto nell'anno 1476 epoca in cui dovette entrare negli ordini sacri. Ciò avvertasi diligentemente. 6 -- 82 rivali dei Plantageneti. In più riprese lavorò alla conversione degli us siti, e ne fece rientrare un gran numero nel grembodellaChiesa santa. Nell'anno 1478 creò il vescovo di Revel suo legato nel Norte, per ri conciliare il re di Danimarca col popol suo, e vegliare alla direzione di tutte le Chiese del settentrione. Nel 1491 il Vangelo si predicò per lacura sua nella Nigrizia e nel Congo. L'anno seguente ilmedesimo Papa scuo pre a Roma il titolo dellaCroce del Salvatore nella basilica di questo nome. Da ultimo egli approva laconfraternitadella Misericordiainstituita sotto il patrocinio di S. Giovanni Battista decollato da Erode, e l'arric chisce di privilegii ed indulgenze copiose. Or dappoichè abbiamo toccato per sommi capi le cose operate durante il breve pontificato dei quattroGerarchi supremi Pio II, Paolo II, Sisto IV, Innocenzo VIII, che la Provvidenza divina interpose dalla mortedi Cal listo III all'innalzamento del cardinale Rodrigo Borgia suo nipote alla cattedra di Pietro col nome d'Alessandro VI, importa che dietro il pre fissoci metodo diciamo alcun che delle azioni e delle cariche dal Borgia sostenute. Ad ognuno è conto che i papi Pio II e Paolo II non furono mai in nessun tempo avari al Rodrigo di pubblici pegni di onorificenzaed esti mazione, anzi se gliene mostrarono più fiateprodighi. Ma illoro successore Sisto IV li sorpasso entrambi, chè, invaghito della dirittura del Borgia, da diacono il fece vescovo cardinale d'Albano ( veggansi le vite dei Romani Pontefici del Platina, da noi citate in Alessandro IV), e poco ap presso di Porto; così sempre piùsi disponeva al pieno adempimento del vaticinio di Malachia santo, Bos Albanus in Portu. Or quando mai si vide un Pontefice avente essostessonipoti virtuosi e di elevato ingegno proteggere i nipoti viziosi dell'antecessor suo, e largheggiare con essi ? Le istorie ci narrano invece il contrario. Dunque , se il Borgia, non solo da Pio II, Paolo II, Sisto IV fu pro mosso a novelle onorificenze (Vitae et res gestae SS. PP. RR. , cit. loc.), anzi dal successore di questo ancora ed emulo di esso Borgia , Inno cenzo VIII, fu favoreggiato ed avuto in altissimo conto, fa mestieri con chiudere che non fosse Rodrigo quell'uomo licenzioso, effrene, di perduta fama, come si spaccia. Di fatti è indubitato che , sotto il pontificato di Sisto IV e di Inno cenzoVIII, venne ilBorgia mandatopiù volte legatopernegozii di rilevante importanza, massimamente quando, sull'inizio del Pontificato di Sisto IV andò in Ispagna con pontificia potestà (Volat.MS.Arch.Vat. sign. T. III, in Diario Feriae V maioris hebdomadae, anni 1481), perquietare il redi Portogallo e quello di Aragona, i quali stavano colle armi in mano per cagione del regno di Castiglia, a cui entrambi pretendevano. Il Borgia venne da essi magnificamente ricevuto. Non avendo egli però costàpotuto eseguire tutto quello che divisato a veva, rlfece tosto vela per glitalici lidi; nel ritorno suo sopra le galee dei Veneziani, perunaviolentatempestasortainmare, perdette pressochè tutta la sua guardaroba ricchissima, e manco poco che affondasseesso stesso -- 83 nei lidi di Pisa; perciocchè un'altra galea, sulla quale erano saliti molti de'suoi, essendo stata durante l'intera notte e grande partedeldi vegnente tormentata e scossa dalle onde infuriate, in ultimo vi si sommerse, e vi perirono da cento ottanta uomini, per mezzo dei quali numeravansi tre vescovi ed alcuni dottori di legge (1). Di tal modo laProvvidenza si di chiarava singolarmente propizia al nipote di Callisto III, che doveva in breve divenir papa sotto il nome di Alessandro VI. Or come mai l'ambizioso Borgia, quell'uomo così cauto, poteva essere tanto improvvido da ingolfarsi talmente in colpevolissime tresche , che, compromettendone la riputazione, avrebbero troncata sulla metàla bril (1) Panvinio in Alex. VI. Di questa legazione scrissero il Cardinale di Pavia, epistola 534, e Garimberto, lib. VI, cap. 6, nonchè lib. 2: i quali , per essere scrittori contemporanei, e di grande probità, si meritano tutta la fede. Alleghiamo le parole loro precise: " Rodericus ex civitate Valentiae, tit. S. Nic. ad carcerem Tullianum. Is admodum juvenis a Callisto III eius avunculo cardinalis factus, Picenam legationem constantissime gessit; moxque vice cancellarius R. E. est dictus). רו listum III . Vide vitae et res gestae SS. RR. Pont., in Alex. VI et Cal " Divite suppellectile, auro argentoque affluebat Rodericus (ibid.; vide eumdem cardinalem Pa piensem epistola 539, et Garimbertum, lib. vi, cap. 6, ubi de supervacaneis delitiis) Hispanicam etiam legationem desideratam diu a pontifice sua industria creato adeptus Valentiam et ulteriorem Hispaniam petit: hic et ibi vanitatis, luxusque documenta edidit ; nullaque re exiis, quae legationis nomina perficiendae erant, absoluta ; Romam marino itinere cum rediret, non exiguam calamitatem est expertus, cardinali Papiensi, teste epistola 534, ann. 1473, ad FranciscumdecanumToletanum, scribit: Ante ostium Anserici fluminis, octobris die 10, ingenti tempestate conflictatis quatriremibus duabus, in quibus ipse et familia, cum omni praeda Hispanica vehebatur, altera... ante oculos eius depressa est; altera, quae sua erat, disfracta iam puppe, cum haud procul ab exilio esset... aegre in portum Liburnium lacera... protruditur, praeter caeteram turbam, quinque et septuaginta ex fa milia periere; in his episcopis tres.., iurisconsultis amplius 12, equestris ordinis sex (nonnulli pro notarii, ait Ciaconius, etiam mortui sunt in mare) ; iactura autem rerum amplius 30 millium au reorum est aestimata... Eidem (Roderico) apud Hispanos legatione fungenti scripsit cardinalis Papienssi epistolam 513, 27 aprilis 1473, hortans ad reditum in urbem, affirmansque eum inulteriorem Hi spaniam transgressum honores, caeteris legationibus ampliores tulisse, nihilque ab eo praetermissum in quo prudentia, studium, aut integritas eius desiderari posset ; epistola autem 514, 20 octobris 1473, eumdem Romam invitat, ubi auctoritatem eius multam, gratiam apud omnes non mediocrem fuisse fatetur (eas literas scripsit C. Papiensis, 19 iunii anno eodem). " Papa Sixtus IV ante fores Basilicae principis apostolorum in gradibus suae coronationis insignia suscepit per Rodericum Borgiam Valentinum, Hispanum, S. R. E. archidiaconum et vice cancella rium, Sixtus IV patrum consensu inter alios, Rodericum Borgiam legatum summa potestate inHi spania creavit et misit, in qua ut in prima legatione magnis ubique triumphis exceptus fuit. Sixtus vero IV creavit Rodericum ex diacono cardinali sancti Nicolai in carcere Tulliano, Callisti III, е piscopum card. Albanum, post Portuensis et S. Rufinae... multas tam sub eo, quam sub aliis Pon tificibus, et maximas legationes obivit, et praecipue Hispanam Sixti IV pontificatus initio (Sic!) •Hispania praebuit Italiae, quem ad amplissimum sacerdotis gradum promoveret, et qui locum Innocentii VIII recens mortui, consequeretur doctores ei, ac vitae magistros Callistus adhibuit, quo rum opera Bononiae civili, ac pontificio iuri operam egregiam navavit. " Romae iam ab annis septem et triginta; postquam ad cardinalatus apicem fuerat evectus, cum in maximum, ut videbatur virum evasisset , Innocentio VIII pontifici mortuo 3 idus augusti suffe ctus est, anno 1492, ac tunc magnum desiderium Sixti in populo romano fuit. 84 lante di lui carriera? Come avrebbe mai frammezzo atante e sì dispari cure e viaggi, potuto tanto intensamente innescarvisi ? Come mai, mal grado queste, avrebbe egli potuto attendere ai severi studii ecclesiastici, dei quali era affatto dapprima ignaro ? Eppure, comediremo a suo luogo, ne porse colle sue dotte scritture molteplici argomenti luminosi. La sola malignità, la sola calunnia può considerare per leggiere queste riflessioni e siffatti dati istorici, i quali, dinanzi ad un pensante direttamente, di ventano atti a coonestare il procedere del Borgia , o per lo meno a mi norarne la colpa. * CAPO QUINTO. Morte di Papa Innocenzo VIII. Enumerazione dei cardinali componenti il Sacro Collegio in detto tempo Loro indole e qualità d'animo. Dopo due anni disofferenze, od almeno di una sanità cagionevolissima, Innocenzo VIII s'infermo gravemente (Gennarelli Diar. Burchardi , pa gina 208, not. col. 1, versus finem et init. secundae), e vedendosi ridotto agli estremi di sua vita, raccomandò ai cardinali l'eletta di un santo e dotto pastore. Cominciarono i cardinali (scrivono coloro che si affannano rendere non lo Spirito Santo, ma la cabala il movente principale d'ogni elezione de' pontefici di Dio) in questa infermità atrattare la nuova scelta. Tra loro vi furono varii discorsi sopra li soggetti papabili; la fazione di Innocenzo era più numerosa, ma il capod'essa erapocoaccorto e meno invogliato di fare un papa che potesse proteggere la sua casa. I cardi nali soli Ascanio Sforza, Riario, e Lorenzo Cibo, aveanogranmaneggio e potere, e da questi poteva dipendere la elezione del papa. Il cardinal Rodrigo Borgia praticava assai quello dello Sforza, perchè sapeva che non era riuscibile per più capi ; ma lo Sforza aveva in mente solo il cardinal Borgia; questi dissimulava, e quegli operavacon effetto colle pratiche di altri cardinali. Lorenzo Cibo si sarebbe contentato d'un francese , perchè aveva grande obbligazione alla Francia , e questi era don Lodovico di Spina. Li trattati per questo furon molti, ma senza fon damento, per non essere stati approvati dai capi fazionari e da'cardinali che avevano il traffico delle creature. In questi tanti trattati e discorsi il Papa toccava il suo giorno estremo : dappoichè fu confortato da tutti i sacramenti di Santa Chiesa, con sentimenti di pietà e disprezzo per le fragili grandezze del secolo , valicava con viso sereno le temute soglie dell'eternità il di ventesimo quinto di luglio dell'anno 1492, lasciando di sè la più grata memoria. Aveva egli compiuto il duodecimo lustro di sua età, e retto con saviezza la nave di Cristo per otto anni. Al trapasso adunque del capo dell' universo cattolicismo numerava il Panvinio ventotto cardinali (in Chron. et in Elogio); ma poco dopo lo -- 85 stesso non ne annovera che ventisette viventi all'anno 1492, dei quali confessa egli che quattro non intervennero all'elezione di Alessandro VI. Laonde osservano gli autori citati dell'accreditata opera (Vitae et res gestae S. R. Pont.) doversi conchiudere, che sia una svista dei tipografi l'asserzione che ventotto cardinali siano entrati in conclave, mentre è cosa certa che soli ventitre condotti dallo spirito di Dio eranvisicongre gati, i quali furono : Di Callisto III e Sisto IV, cardinali vescovi sei. 1. Roderigo Borgia, da Valenza, spagnuolo, adottato dal Papa in casa Borgia; cardinale vescovo di Porto e di santa Rufina, decano del collegio dei cardinali e vice-cancelliere; eletto papa col nome diAlessandro VI, di cui appunto scriviamo la vita. Di Paolo II e Sisto IV. 2. Oliverio Caraffa, cittadino ed arcivescovo napolitano, vescovo car dinale Sabino, era stato creato da Paolo II, qui fuit vir integerrima vita, plenus strenuitate, et religione, qui in legationibus a Paulo II, Sixto IV missus nonfuit otiosus, in ecclesiis fuitfructuosus, Senatus S. ornamentum (ex Nomencl. p. 187). Garimbertus et Ciaconius, scriptores meritoet epi taphiauno ore fatentur fuissevirum nobilitate generis, pietate, religione, munificentia, prudentia, humanitate , usuque rerum illustrem, laudibus augent et praedicant; clero, populo divitibus et regibus , ob singularis simas eius virtutes perdilectum (cardinalis Papiensis epist.451, cardi nalis S. Marci epist. 449 in Infideles, Panvinius in Paulo IV, Andreas Victorellus, Floravantes Martinellus, Caes. Engen in sua Neapol. p. 276). Di Sisto IV pαρα. 3. Giuliano della Rovere, nipote di Sisto IV, oriundo di Torino, vescovo cardinale di Ostia e Velletri, penitenziere maggiore. Quegli era di tanta virtù che fu poi papa GiulioII, ed oltracciò era emuload Alessandro VI; quindi non diè il voto a lui, se non per intima convinzione di operare dirittamente. Di Paolo II e Sisto IV. 4. Battista Zeno , creato cardinale da Paolo II, vescovo cardinale Tu scolano; vir, (ait Garimbertus lib. 4, c. 16. Ciac. in fine vitae Alexan dri VI) qui nobilem familiam aluit, et nobilissimus ipse, dives, liberali tatem etmunificentiam coluit, iustus, sincerusque existimatus, libertatem loquendi amavit, et singularem pietatem (Bembus 1. 6, ep. 91. Petrus Delphinus, Andreas Victorellus et alii). 86 Di Paolo II ed Innocenzo VIII. 5. Giovanni Michaelio , veneto, vescovo di Verona, vescovo cardinale Prenestino , stato creato da Paolo II; ⚫vir cui (cardinalis Papiensis e pist. 206, 220, 221) nihil deesse fatetur ad constituendum perfectum, ma gnumque, pium cardinalem , nec non doctorem, et patrem pauperum , uti appellabatur teste Hieronymo Curt. in hist. Veronensi: item inquit D. Ferdinandus Ughellus mon. Cist. Di Sisto IV e d'Innocenzo VIII. 6. Giorgio Costa, vescovo cardinale Albano, Portoghese , arcivescovo di Lisbona, col titolo de'santi Marcellino e Pietro. Di Callisto III, dodici cardinali preti. * 7. Lodovico Milano, Valentino, spagnuolo , prete cardinale del titolo de'santi Quattro Coronati. Priore de'preti. Questi, che era affine di Rode rigo Borgia, e che avrebbe potuto favorir l'elezione di lui, era assente dal conclave. Ciò importa assai osservare. Alcuni scrittori, tratti in errore, invece di questo Lodovico, dicono che era stato creato cardinale da Callisto III Giovanni il Seniore; quando dalla testimonianza degli autori isocroni si sa che Giovanni il Seniore fu fatto cardinale da Alessandro VI, di cui era nipote, come annoteremo a suo luogo parlando d'esso e dell'altro Giovanni il juniore, pronipote del medesimo Alessandro VI. Vedi cap. II, nota 1, si parla di esso Lo dovico. Di Sisto IV. * 8. Pietro Gondisalvo, di Mendozza, spagnuolo, arcivescovo di Toledo, prete-cardinale del titolo di Santa Croce in Gerusalemme (che da Ga rimberto vien colmato di laudi ed annoverato tra i cardinali dotti), che pure, come compaesano di Roderigo Borgia, avrebbe potuto essergli fa vorevole, era assente dal conclave; d'altronde l'animo di lui non soffriva corruzione certo, come diremo nel capo della sua morte. 9. Girolamo Basso della Rovere, di Savona, vescovo di Recanati, e car dinale-prete del titolo de'santi Grisogono, detto Illerdese. Questi non pa trocinava sicuro, come Giuliano, gl'interessi di Roderigo Borgia, se non per convinzione. 10. Paolo Fregosi, cittadino ed arcivescovo di Genova, prete-cardinale del titolo di san Sisto; esso era avverso ad Alessandro VI, perchè ap pena finito il conclave si diparti da lui, quindi non gli concedette il voto tranne riguardo al merito. 11. Domenico Della Rovere, torinese, arcivescovo di Tarantasia, prete 87 cardinale del titolo di san Clemente, col suo voto per Rodrigo Borgia, essendo egli della fazione di Giuliano, ne confesso la degnevolezza. 12. Giovanni dei Conti, feudatario romano, arcivescovo Consano, prete cardinale di san Vitale, del titolo di Vestina. Virum huncmagnae exi › stimationis Roma in senectute purpurascentem vidit. Interfuit senex ▸ decrepitus Innocentii VIII et Alex. VI electioni. Excessit Romae, anno 1493. V. Garimbertum, ib. 5, c. 3. 13. Giovanni Giacomo Sclafetano, milanese, vescovo di Parma, prete cardinale del titoto di santo Stefano in Celio Monte. Sixtus IV hunc › virum humanum, comem, affabilem amavit, magni aestimavit aula: is › in publicis privatisque rebus pertractandis singulari praestabat dexte • ritate; moriens Romae, et Parmae sui desiderium reliquit; cuis epita › phium commemorat fidem, solertiam, modestiam incomparabilem, for ▸ tudinem perpetuam .Andreas Victorellus. D'Innocenzo VIII. 14. Lorenzo Cibo, genovese, arcivescovo di Benevento, prete-cardinale del titolo di santaCecilia. Vir praeditus miro ingenio, suavitate morum, › ac doctrina, et pietate insigni, incardinalatu ita vixit, quum esset ma › ximaeprobitatis, ut ab omnibus summecommendaretur . VideUbertum Folieta, lib. 3, c. 3. Garimbertum, 1. c., lib. 3. Andream Victorellum , et ejus epitaphium (1). 15. Ardicino della Porta, di Novara, vescovo Albiese, prete-cardinale de'santi Giovanni e Paolo, del titolo di Pammachio : Vir tam magnus ▸ animo, et humili ut excusaverit se se apud Innocentium VIII epistola • non ineleganti, se non posse ferre honorem, et onus sacrae purpurae, • cui tantum se humilitatis gratia submisit. De ipso Ardicino peraras • laudes canunt scriptores ipsi coevi (2). Lo stesso Infessura Stefano , avverso al collegio apostolico, nel suo Diario commendo l'alta probità e la volontaria povertà di questo cardinale. 16. Antoniotto Pallavicino, genovese, vescovo Auriese , prete-cardinale del titolo di sant' Anastasia appo santa Prassede : Vir coruscans tam › sacra purpura quam omnibus dotibus, principibusecclesiasticis, dignis, (1) Laurentius Cibo, genuensis, Innocentii VIII ex fratre nepos. Utpote maximae probitatis vir ab omnibus commendatus, ejus ad cardinalatum assumptio fuit universaliter probata. (2) Ardicinus de la Porta, novariensis, episcopus Aleriensis , vix adolescentiam excedens , pu blicis civium novariensium votis expetitus, pontificatum patriae adeptus est. Cum Florentiae vicarii vices impleret, spreto capitis periculo, ceteris omnibus, ob primorum civitatis potentiam mandatum declinantibus, interdictum in Florentinos mirabili audacia promulgavit. Sixti IV beneficio , suppli cibus libellis referendis praefuit, et non vulgares legationes obivit ; Nursinos, Interamnatos , Peru sinos, Tiphernatos, atque Tudertes tumultuantes vel placavit, vel compressit. Legatus in Panno niam ad Mathiam Ungarorum regem, et in Germaniam ad Maximilianum Caesarem, atrox diutur numque bellum inter eos extinxit. Reversus ad Urbem, datarii munere functus est sub Sixto IV; et sub Innocentio VIII delectus ad negotia cum nationum exterarum oratoribus componenda, Haec Ciaconius aliique cardinalium biographi. Reliqua de ipso cardinali dicam, ubi ago de illius interitu. 88-- › etsubInnocentio VIII, Alexandro VI, Julio II, amplissimis legationibus, › maximisque reipublicae muneribus summa cum laudeprobitatisatque • prudentia perfunctus est . Garimbertus, lib. c. 3, lib. c. 2. Folieta e logium Pallavicini, Ciaconius ex c. 1, lib. 4. Andreas Victorellus (1). • 17. Lodovico Andrea Spinay, prete-cardinale di SanMartinoai monti, del titolo d' Equizio. Questi era assente dal conclave d'Alessandro VI. Quand'anche fosse stato presente, l'integrità di sua anima salvato l'a vrebbe da qualunque simonia, come diremo parlandodella sua morte(2). 18. Frate Maffeo Girardo, patriarca di Venezia, veneziano, prete-car dinale del titolo de'santi Nereo ed Achille: Hic vir erat praestantibus ▸ moribus, et sanctimonia dives, ut testatur Petrus Delphinus , scriptor › doctus, pius et verax, universi Camaldulensium ordinis moderator, qui ▸ cum Maphaeo in cenobio multis annis vixit, et morientem conspexit (1) Antoniottus Pallavicinus, et Hieronymus atque Ciprianus fratres , quum Gentilium cogno mine, non Pallavicinorum aliquando vocarentur, credidere nonnulli Antoniottum Pallavicinum car dinalem et Pallavicinorum domo non esse, sed Gentilium. Erroris causam (sic Ciaconius) , hine fluxisse ajunt , quod Pallavicini, Calvi et Talamoniaci, quum olim per pauci essent, nec initio possent (qui mos est nobilium genuensium) obviam progredi principibus aut oratoribus principum Genuam petentibus nec alias nobiles familias numero ampliores aequare, Gentilibus, qui tunc et virtute et numero praestabant, jure viciniae, atque paroeciae S. Pancratii sese adjunxerunt. An toniottus vero, ubi per aetatem licerit, re cognita, ne veram defraudaret familiam, majorum suorum cognomento recepto, Pallavicinus tantum appellari voluit. Sed, si vera sunt narrata, evidens est tempore assumptionis suae in cardinalium collegium, cognomen non dimississe, cum Burcardus eum Gentilem, non Pallavicinum appellet. In sepulchro quod vivens sibi fecit, inscribere fecit Anto niottus card. S. Praxedis absque cognomine : post saeculum tantum, disturbata veteris monu menti sede in templo Vaticano, nepotes epitaphium novo monumento in templo S. Mariaede Po pulo, Antoniotto Pallavicino, Genuensi, inscripserunt, uti suo loco videbimus. Haec de familia. De Antoniotto vero testimonium desiderabile scriptores una voce reddunt. In familiam cardi nalis Cibo adscitus, a Sixto IV episcopus Intimiliensis dictus , ab Innocentio VIII , supplicibus li bellis gestis subscribendis praepositus, suavis, et praeeminentis ingenii vir sese ostendit. " Erat in eo (sic Ciaconius aliique testantur) ad promerendas hominum voluntates , mirabilis ingenii lenitas, morumque suavitas , expedita in deliberando sententia , modestia , et personae quam gerebat apta gravitas, tantaque in tractandis hominum ingeniis dexteritas, ut cum aliquando Innocentius VIIIma gistratus quosdam (quos Sixtus IV creaverat stratiotosque cognominaverat) pecunia emptoribus non restituta, penitus antiquasset , atque illi , officiis privati, querelis omnia replerent, cardinalesque el pontificem adirent, ad Antoniottum a Pontifice remissi , dulcissimis ab eo verbis deliniti , post modum placati et quieti discedebant. Ob idque eum vocitare solebant incantatorem ; quod ejus suavitate disertoque sermone, tamquam sacro quodam carmine et incantatione coacti quiescerent ». Ad episcopatus Pampilonensem et Auriensem electus, tandem in cardinalium numerum cooptatus, plurima egit, de quibus loco suo dicendum. (2) Panvinius et Ciaconius, Ludovicum d'Espinay Armoricensem appellant hunc cardinalem, et plurimi alii cum eis. Sed Ferdinandus Ughellus, errorem animadvertens scribebat : " Male Ludo vicus ab Onuphrio, et Ciaconio dicitur, nisi forte esset binominis : Andreas enim ab omnibus, quos vidi, auctoribus vocatur, monachus et Prior S. Martinide Campis, ordinis S. Benedicti: ar chiepiscopus Burdegalensis, inde Lugdunensis. Videndus Arnoldus Vuion, Franciscus Belforestius et Claudius. Jacobus Breltius, Theatr. Antiq. Parisien. eum gubernatorem Parisiensem vocat : sed et improprie a nonnullis dicitur Bituricensis archiepiscopus ». Burchardus verba Ughellii per omnia confirmat. Gennarelli, cit. loc., pag. 110, nota 2. 89 › sanctissime; utpote qui Mapheus remotus semper fuit ab omni terre narum rerum cogitatione, animo tantum coelo intentus , doctrinae et ▸ pietati; ex ore ejus ne verbum quidem ociosum prodiit, mundi oble › ctamenta prorsus abhorruit. Hinc Cacionius et Garimbertus (1) qui ›minus recte de illo senserunt, versantur in errore, ut constat ex Petro • Delphino . Ita Andreas Victorellus. Di Pio II, diaconi cardinali nove. 19. Francesco Piccolomini, cittadino ed arcivescovo di Siena, diacono cardinale di sant'Eustachio, arcidiacono di santa romana Chiesa : Vir ▸ tanti nominis, tantae dignitatis tantaeque virtutis , et sanctitatis , et ▸ doctrinae, ut omnes illum dilaudabant et venerabantur, qui dignus fuit ⚫ sedere super cathedram S. Petri , sub nomine Pii III , post Alexan drum VI . Vide Garimbertum, lib. 1, c. 3, 5; lib. 4, c. 16, 18. Card. Papien., lib. 2. Com. Franciscum Philelphum, epist. ad Alexandrum 0 livam, card.; Andream Victorellum. Di Sisto IV. 20. Raffaele Riario , savonese , diacono-cardinale di san Gregorio in Velo , di santa romana Chiesa camerlengo ; egli assecondava il partito diGiuliano. 21. Giovanni Battista Savelli, romano, diacono-cardinale di san Nicolò in carcere Tulliano: Qui quasi aurum ob suas virtutes et constantiam, • prudentiam, dexteritatem , amorem in sedem Apostolicam emicuit ut ▸ in igne . Garimbertus, lib. 4, c. 2. Epitaph. ejus Andreas Victorellus. 22. Giovanni Colonna, barone romano, cardinal-diacono di santa Maria in Aquino, avverso ad Alessandro VI. 23. Giovanni Battista Orsino, romano, cardinal-diacono di santa Maria Nuova, avverso ad Alessandro VI. 24. Ascanio Maria Sforza, di Milano, diacono-cardinale del titolo dei santi martiri Vito e Modesto in Macello: • Quem Julius II laudavit, et › tumulum ejus sepulchrali inscriptione illustravit, dicensque Ascanium • fuisse in secundis rebus moderatum, in adversis summum virum , et › honestissimarum virtutum praeditum, licet locupletissimum virum .. Garimb., lib. 4, c. ult. Epitaph. Ascanii Sfortiae: Andreas Victorellus. Questa lode datagli dal piemontese papa Giulio, che, quando era car dinale, ebbe sempre l'Ascanio a sè avverso, sebbene provi la magnani mità Giuliana, tuttavia per niente indebolisce il merito del lodato. (1) Non quod probitatem, sed electionem. " De Gerardo ait ipseGennarelli, loc. cit., pag. 112, nota 3, contra Ciaconium, qui asseruit eum diplomata pontificis de cardinalatu amisisse, ait Victo rellus, clam ab Innocentio creatum, post Papae mortem acceptum a collegio utpote socium, et Delphinus his verbis confirmat: Ante annos aliquot ad cardinalatum promotus SECRETO di gnitatem, post mortem Pontificis, cardinalis publice declaratus est ". -- 90 D'Innocenzo VIII. 25. Giovanni de'Medici, fiorentino, cardinal-diacono di santa Maria in Domenica: Vir ditissimus, et aufugiens aRoderico Borgia, generosis simus animi, qui post Julium II, fuit electus Papa sub nomine Leo nis X. , * 26. Frate Pietro d'Aubusson, francese, Gran Mastro di Rodi, cardi nal-diacono del titolo d'Adriano. Era assente dal conclave. • Fr. Petrus d'Aubusson, magnus magister Hospitalis Hierosolymitani, inter patres cardinales cooptatus fuit, ob insulam Rhodon, antiquum or dinis sui domicilium, a legionum Maometis terribili et maximainvasione servatam. Ludovicus XI Francorum rex pileum rubrum pro illo petebat etiam ex eo quod Zizimum Bajazethis fratrem ex adversa pugna in fra trem ipsum ad se confugientem, regedeposcente, traduxisset inGalliam: et postea captivum illustrem ad Innocentium VIII miserit. Sed de hoc subter est dicendum. (Vitae et res gestae SS. RR. PP. in Alexandr. VI). 27. Francesco Sanseverino, cardinal-diacono di san Teodoro, che non era persona da lasciarsi corrompere da nessuna ingente copiadi danaro. • Fridericus Sanseverinus , Roberti ducis, et belli rectoris pro Inno centio VIII contra regem neapolitanum, filius, in patris gratiam inter cardinales adscitus, sed non publicatus fuit. Innocentio VIII vita functo, Ascanius Sfortia Visconti, cardinalis secreto creati, apud patres sic cau sam peroravit, ut Fridericus, confirmato sibi honore, dignitate cardina litia potiretur, et comitiis pro novo Pontifice eligendo interesset. (Vitae et res gestae, etc.) Ora dei nominati 27 cardinali, soltanto 23 intervennero al conclave: i quattro notati coll'asterisco furono assenti. Di questo picciol numero di 23 che vi assistettero, abbiamo veduto che erano ragguardevolissimi tutti per pietà, sapienza , santità, dovizie; op pure sfavorevoli a Roderico Borgia per mire private : ciò nulla ostante tutti concorsero a votare in favor suo. Che significa ciò ? Di questo esiguo numero, che divenne poscia esiguissimodopolamorte d'esso Alessandro VI, uscirono tre papi insigni , Pio III , Giulio II , Leone X; avranno essi smentita la loro fama, ponendo su quella fulgente sede, a cui essi aspirar potevano, una persona spregevole ? Fra questi pochi parecchi ve n'erano che per l'avanzata età già sen tivano schiudersi sotto de'piedi la tomba: avranno essi anteposto legran dezze terrene con vili mezzi comperate, alle eterne, da se stessi con lunghi travagli procacciate, per acconsentire alla nomina del Borgia a Papa? Da tante virtù adunque, da tanta prudenza, da tanto distacco dalle umane cose , da tanta elevatezza d'anima e di spirito di quei porporati si poteva ben aspettare che eleggessero un Pontefice che inqueiturbo lentissimi tempi valesse con mano robusta e petto fermo a frenare l'au dacissima petulanza e licenziosità sfrenata dei grandi; nè poteasi sce glierne uno migliore di Roderigo Borgia, d'animo vigoroso, di forte tem pra, d'eletta dottrina ed esperienza, -- 91 Attendiamo impertanto la deliberazione di questi non venderecci , ma santissimi e sapientissimi principi della santa romana Chiesa , i quali corrono a chiudersi in conclave. Questi cardinali quando occorse il transito di Innocenzo VIII trova vansi in quella calda stagione a villeggiare: conosciuta appena la per dita deplorabile fattane, rientrarono in Roma per addivenire all'eletta di un novello Pontefice, vantaggioso alla Chiesa e società. CAPO SESTO. Disordini, torbidi, ammazzamenti avvenuti in Roma dopo la morte d'Innocenzo VIII. Frettolosi i sacri porporati si recarono in Roma (Le Fabre, continuat. dell'abbate Fleury, Stor. eccles., ann. 1492, lib. 117, nº 30 e seg. per tutto il libro) per intervenire all'elezione d'un papa novello , e videro la città secondo il vieto andazzo al decesso d'ogni pontefice , abbandonata alla discrezione della canaglia, che espilava, saccheggiava le case, e riempiva le strade di carnificine e di sangue; il quale barbarissimo abuso per durò fino al secolo decimosettimo. (Muratori, Rer. Italic. script., tom. xxIII, p. 200: Populus romanus fere semper, mortuo quolibetpontifice, usque ad saeculum decimum septimum, in tumultus prorupit; et hincquod per saecula evenerat, iterum accidit in obitu Sixti IV.... Innocentii VIII). , Non osavano i giudici comparire inpubblicopertemenzad'essereesposti al furore del fecioso pattume del popolo, il quale si accaniva ad impre care all'estinto Gerarca , adusandosi in Roma adularli vivi e straziarli morti, come con li vecchi imperatori romani ; invece di pregare per lui, adesso rinfacciavano il non avere sentita niuna compassione dei poveri. Solite gargagliate di codesto popolo romano , sì manesco di mano e di lingua, come volubile di pensiero. Per le vie di Roma bulicavano imperversanti ladri, predoni, assassini, banditi, talmente che furono i cardinali costretti a far entrare delle in tere compagnie di moschettieri nei loro palagi , e di porre dei cannoni nei vicoli e nelle piazze per impedirne il saccheggiamento. Somiglianti precauzioni li salvarono dagl'insulti. Le vie delborgo di S. Pietro furono serrate con grosse travi, dietro alle quali si appostarono dei soldati , in quella che i cavalli leggieri della guardia rondavano incessantemente intorno al palagio pontificio. Affine di comprimere poi interamente questi disordini chiassosi e pesti feri, diedero ancora i cardinali la custodia d'esso palagio a Garcilaffo , arcivescovo di Tarragona, personaggio illustre di nascita e di saviezza consumata. Questi aveva conchiuso l'aggiustamento d'Innocenzo VIII col re di Napoli, ed aveva qualche tempo innanzi calmata una sedizione in Ascoli. Scelta giudiziosa, e confermata quindi dal successore del defunto pontefice che lo costitui prefetto di Roma, -- 92 Che in questa descrizione nostra, tolta da vari autori, nulla siavi di esagerato, ce ne rende perentoria malleveria la narrazione fattane da diligente scrittore, che, vicinissimo a' tempi d'Alessandro VI, la raccolse da autori contemporanei, la quale noi riferiamo integralmente : • Roma, egli scrive, tutta era sollevata (Conclavi dei Pontefici Romani, quali si sono potuto trovare fino al presente giorno. Colonia. 1601. Haec de sede vacante Innocentii VIIl et de assumptione Alexandri Vl, vol. 1, narrat, auctor operis istius apud Gennarelli, pag. 207, col. 2, in not), e le squadriglie degli huomini di mal affare scorrevano in ogni luogo , e molti erano uccisi, perchè nei tribunali non si rendeva ragione, essendo li giudici racchiusi per paura delle vite loro; per il che, icardinali, ac ciò non nascesse tumulto, deputarono uno che custodisse il palazzo et un altro che havesse cura della città. Fu governatore del palazzoGran dislao, arcivescovo di Tarracona, spagnuolo nobilissimo e savissimo, per la cui opera era stata conclusa la pace tra papa Innocentio et il re di Napoli, dopo quietato il tumulto d'Ascoli: il quale poi fu fatto governa tore di RomadapapaAlessandro. Ildìseguente (la morte d'Innocenzo VIII) si cominciarono le esequie, le quali essendo finite , alli otto d'agosto fu cantata la messa dello Spirito Santo, alla quale furono presenti tutti i cardinali. •Finita la messa, Bernardino Caravaglia , vescovo di Cartagena, ora tore del re di Spagna, fece il sermone, il quale fu dottissimo et elegan tissimo, e fu tenuto per un certo augurio, che allora molti spagnuoli erano adoperati alle cose pubbliche, quasi che dovesse essere ancora un papa spagnuolo, per la cui elettione si avviarono verso al conclavepro cessionalmente ventitre cardinali, et tra questi, Maffeo Girardo, cardinale, patriarca di Venetia, dell'ordine deCamaldoli, già decrepito. Egli, intesa la morte d'Innocentio, venne a Roma a ricevere il cappello, et volle en trare in conclave, benchè a fatica si potesse muovere etreggere in piedi. •Il conclave fu fatto nella cappella di Sisto et nelle sale vicine, alla guardia del quale erano gli oratori dei principi. •Per Roma scorrevano a schiera li ladroni, gli homicidiarii, ibanditi, et ogni pessima sorta d'huomini ; et i palazzi de' cardinali havevano le guardie de'schioppettieri e delle bombarde perchè non fossero saccheg giati. Ma benchè tutta Roma fosse in arme, non nacque però tumulto notabile, solamente furono ammazzati molti per inimicitie. Le strade di Borgo erano sbarrate con li travi , et erano guardate da soldati , et le compagnie dei cavalli leggieri facevano la ronda del continuo avanti il palazzo. › Era vecchio cotale andazzo, come accennammo, al decessod'ogni pon tefice, e la Civiltà Cattolica (anno VII, numero 146, terza serie, volume 11, pag. 201) cosi al vivo il descrive, esordendo l'articolo della censura sul libro del Gennarelli, che servirà anche a schiarimento della severa con dotta da Alessandro VI tenuta verso dei baroni romani: • Prima d'entrare nella rivista di questa prima parte d'un libro che tratta degli avvenimenti di Roma negli ultimi 20 anni del secoloxv, non -- 93 sarà discaro, anzi sarà utile assai ai nostri lettori di vedere in iscorcio la scompiglia e misera condizione di que'tempi; il che faremo mettendo in mostra i fatti occorsi in pochi giorni per la mortedi Sisto IV, sommo pontefice, che fu addì 12 agosto dell'anno 1484. • Saputasi la morte del Papa, Roma fu tutta in arme e andò a rumore, assaltando le case dei cardinali e signori di parte avversa; perocchè Roma era tutta divisa in fazioni, e chi parteggiava pei Colonna, e chi per gli Orsini, pe'Riarii , pe'Savelli, pe Crescenzii, pe' Conti, pe' Gaetani , pe'Santacroce, per gli Anguillara, pei Della Valle, pei Margana, ecc. •Ad ogni morte di papa sorgea tumultuante il popolo, ecorrea Roma per sua. I cardinali si trinceravano ne'palazzi, muravano usci e finestre, facevano abbarrare le vie intorno ; i soldati rondavano a difesa, le ber tesche erano piene d'arcieri; i piombatoi eran presti a versare sugli as salitori olio e acqua bollente. In tanto scompiglio la plebe rubava, e guastava magazzini pubblici e privati. • Due giorni dopo la morte di papa Sisto IV, cioè il 14 agosto (nar rano l'Infessura e il notaio dell'Antiporto), molti giovani corsero armati alla casa del conte Girolamo, stimando ch'ei vi fosse, e, non trovandolo, e la casa essendo già per la maggior parte sgombra e vacua, gridando Colonna ! Colonna ! l'assalirono, la rubarono in tutto e distrussero , de vastando con mazze di ferro porte, finestre ed ogni cosa. Quel giorno stesso corsero in Trastevere, ruppero due magazzini de'Genovesi pieni di mercatanzie, e li rapinarono; saltarono sopra due navi genovesi che erano a ripa piene di vino, vuotaronle e miserle a saccomano. Que' cit tadini che, per porre le loro robe a salvamento, trafugavanle in case più sicure, se venivano colti per via erano rubati. I Trasteverini si as seragliarono ; la moglie del conte Girolamo rifuggì in Castel Sant'An gelo. Vi fu gran buglia in piazza Giudia fra gli uomini deSavelli e dei Santa Croce, e in piazza della Rotonda fra la gente deCrescenzi e dei Colonnesi. •Verso Monte Giordano, nella casa degli Orsini, era gran pressa, a cagione che i Colonna con Antonello Savelli erano entrati in Roma con due mila fanti e cavalli, laonde le strade della cittàs'abbarrarono in pa recchi luoghi. Paolo Orsino con le genti di Monte Giordano era fiera mente in guardia; Mariano suo padre andava per Ponte gridando , che tutti si levassero in arme , perocchè i Colonnesi volevano assaltare il Rione; due squadre di cavalli, armati di elmetto e lancia, girarono tutta la notte, gridando: Orso e Chiesa; e però si poteva cominciare il con clave. Finalmente i Conservatori di Roma tanto si maneggiarono coi cardinali, che i Colonna, i quali erano contro la Chiesa, e gli Orsini che erano in favore di lei, vennero a concordia di uscire colle loro masnade daRoma per un mese; che Castel Sant'Angelo fosse in mano dei car dinali eGiacopo dei Conti uscisse dal palazzo Vaticano, e dal giorno dell'incoronazione del futuro Pontefice fosse tregua e convegno per due mesi. •Inmezzo atanto conquassoperò i popoli eran pieni di fede, e in 94 mezzo a tanto furore di parti, e rusticità e crudezza di costumi, fiorivano virtù grandi, e dottrina e sapienza e magnanimità incredibile ai nostri giorni di civiltà molle, artifiziata e scredente. Tutta l'Europa era catto lica, e tanta era la riverenza in che s'avea la Chiesa di Dio , la Sede a postolica e la persona dei Successori di San Pietro, che ad ogni nuova elezione di Papa tutto il mondo era in movimento per onorarlo e pro fessargli sommessione ed obbedienza. • Indi si vedepelDiariodel Burcardo che, dopolamorte di Sisto IV, es sendo statoeletto a sommo Pontefice Innocenzo VIII, vennero, come diceasi allora, all'obbedienza gli ambasciatori dell'imperatore, dei re di Spagna, di Portogallo , di Francia, d'Inghilterra, d'Ungheria, di Boemia, di Po lonia, di Svezia, di Danimarca, delle Città libere , dei Principati eccle siastici e secolari di Germania, delle Repubbliche e dei Principati Ita liani; e questi ambasciatori venivano accompagnati da tanta grandezza e tanto sfarzo che fa stupire il nostro secolo gretto e pitocco. •Allora dir Papa e dire il Vice-Dio in terra sonava lo stesso, e tanto era profondo e sincero l'ossequio che gli si prestava dalle umane podestà, che il Papa era avuto inconto del Padre universale della cristianitàtutta, pendendo dal suo cenno imonarchi più sublimi e potenti, che lo facean arbitro delle loro più gravi differenze, a tal segno che, scopertosi pei Portoghesi il passaggio alle Indie orientali, ed avendo Cristoforo Co lombo scoperto l'America pei re di Spagna, i due monarchi nelle loro controversie ricorsero al Papa, il quale, tirato colla penna un graffio sull'Oceano, divise le conquiste dei due regni, e le due corone vi s'ac chetarono, come vedremo nel pontificato d'Alessandro VI. In quella sta gione era tanta la riverenza in che era tenuto il successore di Pietro , che i regnanti, deposte le corone ai pie' del Papa, si reputavano ad onor grande il tenergli la staffa e addestrare il palafreno quando cavalcava dal Laterano a San Pietro , poichè allora i monarchi si teneano re per grazia di Dio, e nel Papa riveriano il suo Vicario in terra. • Pochi mesi innanzi la morte di Sisto IV, ciò fu addì 29 maggio 1484, infierendo la casa Colonna contro la Chiesa , e Lorenzo Colonna proto notario apostolico, essendosi fortificato nelle case del cardinale a' santi Apostoli, Virginio, Paolo e Girolamo Orsini, coi Riarii e coi Santa Croce, gridando per le vie Chiesa e Orso, andarono ad assalirlo con tremila ar mati. Vi fu aspro combattimento per due ore; finalmente le case dei Colonna furono prese d'assalto, messe a ruba ed incese, pigliato vivo il Protonotario che non avea potuto fuggire. Virginio Orsino il condusse al Papa e poi a Castello. Ivi, secondo l'universale procedura criminale di quei tempi, Lorenzo fu posto alla tortura, acciocchè confessasse i suoi delitti di lesa maestà; e fu sì crudele il martiro , che ne avea gonfi i piedi , stravolte le dita delle mani, e sollevata la cotica dal capo, con quelli spasimi che ognuno può immaginare. • Quattro giorni appresso, lettagli la condanna di morte econdotto al supplizio per essere decollato, un connestabile gli disse (così l'Infessura): • Signore, abbisogna che gli leghiamo le mani di dietro. Er egli disse: -- 95 A che fare? Io son ben CONTENTO di morire , poichè così PIACE ALLA › SANTITÀ DI NOSTRO SIGNORE. Prego Dio e la Beata Vergine Maria che › abbiano per raccomandata l'anima mia. E così colle sue mani si colcò sopra un tripetto, dove stava lo ceppo e la mannaia; et addiman dogli uno di coloro, che era lo manigoldo, che gli perdonasse , et egli gli perdono, e disse poi: Raccomandatemi alla santità di Nostro Si gnore , e pregatelo da mia parte che gli sia raccomandato. E coloro • dissero: In che? Et egli rispose: L'ANIMA MIA. E così disse: In manus tuas , Domine , ecc., e chiamando tre volte il nome di Gesù Cristo, l'ultima volta col Gesù in bocca, gli saltò il capo dalle spalle. •Ecco un ritratto vivo della fede e della magnanimità di quei rozzi tempi. Lorenzo Colonna era rubello del Papa per ispirito ed iradi parte; ma egli venerava in lui il Vicario di Cristo, che ricevette l'autorità di sciogliere e di legare: e però, benchè martoriato sì crudelmente alla tortura , benchè condannato alla morte , dice che è contento di morire perchè cosi vuole il Papa, e le ultime sue parole sono che raccomandino al Papa l'anima sua, e muore invocando il nome di Cesù. •Gli eroi de' giorni nostri invece sono felloni al Papa, non per essere Ghibellini, ma perchè odiano il papato in sè, come vegnente da Cristo, il cui nome vorrebbero radere dalla terra. Lamaggior parte d'essi, come si vede fra quelli del 1848 , e poi nella congiura del 16 agosto 1853 , е successivi furono altamente beneficati dal Pontefice, vivevano dei grassi emolumenti dello Stato Pontificio, essi e le loro famiglie e i loroparenti; non torturati, ma condannati a morte dai giudici , e perdonata loro la vita dal Papa; pure, per guiderdone, l'odiano e lo imprecano ; e se, per altri delitti devono morir decollati, muoiono colla bestemmia in bocca. Si cessi ora dallo irridere il Borgia , confondendo le epoche dei suoi traviamenti, ed occultando le sue posteriori virtù, per cui si rendette a cinque Pontefici estimabilissimo; quel Borgia che da' suoi collega pre stantissimi a lui non benevoli, fu trovato l'unico, il più eccellente e ca pace ad insedere sulla cattedra Pontificia, a regolare la Chiesae lo Stato, e vi divenne un vero papa in fede ed in politica, un nuovo Luigi XIV, a ragione celebrato per talenti, giustizia, politica, fermezza, che più col pevolmente di lui perdurò ad amorazzar colle donne. I censori poi del Borgia inetti a poggiare col basso animo loro all'alto eroismo del loro capro emissario, che si sprigionò dalle reti diVenere, e se non imparan dalui adetestare quelle colpe, nellequali giacciono ingolfati essi stessi, almeno siano giusti a confessare in luiquello che encomiano negli altri. FINE DELLA PRIMA PARTE. PARTE SECONDA CAPO SETTIMO. Ingresso dei cardinali in conclave. Elezione del Borgia alpapato e sua allocuzione ai medesimi. In somigliante guisa disposte ed assicuratele cose in Roma, si celebra rono le esequie d'Innocenzo VIII, l'ottavo giorno d'agosto; per mezzo di esse si offrì l'augusto sacrifizio dell'altare in presenza deicardinali, i quali, in numero di ventitre, il giorno undecimo d'agosto dell'anno 1492, en trarono processionalmente in conclave, e si raccolsero nella cappella Sistina, la cui custodia fu affidata agli ambasciadori delle corone. Egli è vero che i cardinali componenti il sacro collegio erano ventisette, od al più ventotto; ma quattro di essi non intervennero al conclave, così rimaservi ventitre solamente ( Vitae et res gestae SS. PP. RR., cit. loc., in Alex. VI ). Gli assenti furono Pietro Lodovico Milano, Pietro Gondi salvo, Lodovico Spinay, Pietro d'Aubusson. Monsignor Leonelli, Vescovo di Concordia, in pieno concistoro recitò l'orazione funebre d'Innocenzo VIII in presenza dei conclavisti e dell'u niversa Corte romana; e dappoichè ebbe esposto lo stremo in cui dura mente versava la Chiesa, esortò quei porporati ad eleggere unPapa che fosse vissuto senza macchia, che al par di Leone I avesse tradotta la vita sua nella pratica delle virtù , che meritasse la sua esaltazione per motivo delle sue fatiche e per l'integrità de' suoi costumi , che fosse senza ambizione, dotto, santo, e tal qual esser debbe un Vicario di Gesù Cristo. Ma affrettatevi (egli calorosamente insisteva ad arringarli) di farne l'eletta; perocchè Roma è in ciascun ora del giorno il teatro d'omicidi e di rapine; ed avvertite che il soggetto SOVRATUTTO sia capace a dar sicuranza ai cittadini romani , esterminando i facimali ed i grassatori (Rec Masson. in Innoc. VIII.- Duchesne, Hist. des Papes.-Rohrbacher, Ist. Eccl., in Alex. VI). Henrion. 97-- Quegli elettori abbracciarono siffatto consiglio, e l'undecimo giorno d'agosto, malgrado cheGiovanni de' Medici si accostasse col suo suffragio al Piccolomini ed al Caraffa, prestantissimi per integrità e purezza di costumi , ma credendoli d'animo non abbastanza forte e risoluto, essi a derirono ad Ascanio Sforza, e salutarono (Infessura, Diar., p. 11, t. 3. Rer. Italic. Panvin.-Marianaet alii ) persuccessoredi Innocenzo VIII Rodrigo Borgia, cardinal-vescovo Portuense e di santa Ruffina , decano del sacro collegio, e vice-cancelliere della santa romana Chiesa , il quale aveva all'apertura del conclave cantata la messa dello Spirito Santo, ed era già stato proposto (notisi attentamente) nell'anno 1484 per succedere a Sisto IV dal medesimo cardinale Ascanio Sforza e da quello d'Aragona ; ma perorando altri per Giovanni cardinale di Molfetta, l'im portò questi su del Borgia, e fu papa col nome d'Innocenzo VIII (Guido Antonio Vespucci, oratore fiorentino, residente in quei dì a Roma: appo il Gennarelli, citato luogo). Prese il Borgia il nome d'Alessandro VI. Egli era vantaggioso della persona, di maestosa presenza, talmente che Maino Giasone, giurecon sulto di grande estimazione, ci assicura (Vitae et Res gestae SS. PP. RR., cit. loc.) che : in Alexandro VI fuisse formae elegantiam, quae virtuti suffragium adderet, latam frontem, regium supercilium, faciem liberalem et majestatis plenam, ingenium et heroicum totius corporis decorem .. Asiffatte qualità peregrine egli accoppiava moltissmo spirito, era fa cile ed eloquente al dire, letterato, sagace, di assaissime dependenze an che appo i più possenti sovrani, ed abilissimo a trattare gli affari della Chiesa, dotato oltracciò ancora d'un coraggio poco comune (Petr. Mar tyr., epist. 118). Prerogative queste che gli amicarono que' Padri, i quali, dal suo senno, dalla sua esperienza e vigoriadi pensiero ripromettevansi assai in quei dì sì travagliosi : falte (Vedi l'opera Conclavi dei Pontefici romani, quali si son potuti trovare fino al presente giorno. Colonia, 1691 ; vol. 1) le pratiche con grandissima diligenza, il secondo giorno andarono tutti di buona voglia ad adorare Roderigo Borgia, vice-cancelliere. Pon deri il leggente queste parole, che per sè sono gravissime e valevoli a purgare l'elezione di lui da ogni sospetto di simoniaca elezione. Risulta impertanto chiaramente che se, nonostante i giovanili trascorsi di Rodrigo Lenzuoli, e la sua prole vivente, testimonio palmare di sua voluttuosa vita quand'era militare e giovane studente, pure trasandati tanti altri personaggi specchiatissimi al conclave presenti, e fino l'A scanio, il quale aveva in suo favore lo splendore del suo nome e l'auto rità di sua famiglia che impugnava in Italia un illustre scettro, il sacro collegio elesse unanimemente il Borgia. A tale quasi repentina elezione vennero certamente indotti dalle virtù, dal valore da esso lui mostrato in modo più che distinto, nello zelo per lareligione, nellasapienza delle dottrine sacre, nella dirittura d'una politica accorta e risoluta. Difatto, oltre a'suoi decreti, alle sue scritture, delle quali a suo luogo debitamente discorreremo, bisogna convenire che questo Papa, trattando con gli universi principi cattolici dell'Europa, venne a capo di cattivar 7 98 seli tutti, e che collasuadestrezza nel governo tenne posciaun eminente posto fra i sovrani temporali, ed ebbeunaforzaepreponderanza decisiva negl'interessi dei diversi potentati. Nè meno preziosa esser debbe ladescrizione minuta fattacenedal Corio nella sua storia di Milano, come quegli che niuno per fermo il dirà a (mico d'Alessandro VI, eppure scevra si legge da quelle villane dicerie Corius, in Hist. Mediolanense, inter omnes magis accurate coronationem Alexandri VI, ex litteris oratorum mediolanensium facile depromptam , iis verbis describit) di cui son lorde le carte dei nemici di questo Papa (tranne la puerile e falsa supposizione del danaro dal Borgia profferto ad Ascanio). Diffatto il Corio, poche linee sotto, corregge l'espressione sua, confessando che il Borgia non fu usurpatoredelpontificato ; e nelcapo X, discorrendo dell'elezione d'Alessandro VI, la dice elezione di un ottimo Papa. •Il collegio dei cardinali entrati in conclave, furono fatte diverse e frequenti pratiche per l'elezione d'un nuovo Pontefice. Di voce quasi di paro contendeva Ascanio Sforza, ed il vice-cancelliere, per generazione ispano. Fu costui nepote di papa Callisto, che l'orno del galero, edel ti tolo della vice-cancelleria apostolica, il cui ufficio avendo esercitato sotto del memorato, similmente con Pio, Paolo, Sisto, ed Innocenzo, era oltra modo divenuto uomo callido e astuto. Onde finalmente ebbe la viadi far proferire ad Ascanio grandissima quantità di denari, tutte le suppellet tili sue e la vice-cancelleria. Questa partita ad Ascanio parendo gran cosa, cominciò a considerare, che d'esserlui pontefice, nongli sortirebbe. Mabene per la pecunia, quale indubitamente era per cumulare, il mo bile grandissimo, grandi e numerosi beneficii e ufficio di vice-cancelliere, riccamente e in più parte trasferendogli ad altri cardinali, in processo di tempo era per ascendere alla dignità pontificale: e nonconsidero, che l'Ispano, come uomo pratico e saputo, presa la somma dignità, sempre ricercherebbe con diversi modi di avere quanto gli avevadato, con l'ul timo suo sterminio. •Ma essendo necessario, quello che da Dio era provvisto fosse adem pito, e la fortuna essendogli favorevole, permise che Ascanio invitò il Vincola, quale ancor lui contendea di voce, e gli altri colleghi che mal volentieri vedeano la Chiesa di Cristo dovesse essere nelle suemani, non perchè sperassero dovesse essere un usurpatore del nome, nè della Chiesa di Dio, ma solo desideravano, che la pontificia diguità non fosse sotto posta ad altro nome che di italiano. •Niente di menotanta fu la sollecitudine, che finalmente conducendosi una sera da Ascanio, non manco sino alla propria cattedra, dov'era al beneficio corporale, inchinarsi e deprecarlo con infinite promesse lo vo lesse aiutare nella creazione del nuovo Pontificato, considerato in lui tutto il pondo essere della elezione. Concludendosi adunque col suo fa vore, fu creato Pontefice e nominato Alessandro VI .. Inteso dal Borgia, dicono altri due scrittori, che le voci furono tutte asuo favore, pronuncio egli: Papa ego sum, Pontifex. Christi vicarius. -- 99-Papa son io, Pontefice, vicario di Cristo adunque ! Rispose il cardi nale Sforza: Padre santo, tanto speriamo dare gran gloria a Dio in questa sua elezione, maggior riposo al popolo, e gran contentezza al mondo tutto, per essere Vostra Santità scelta da Dio, maggiore fra tutti noi (1) .. Al che soggiunse il Papa: Così è, Dio ci assisterà, esperiamo che Dio ci darà forza e vigore, tuttochè siano deboli e fiacchi i nostri talenti ; ma pare che già siano rinvigoriti ed illuminati, pronti a seguire le voci dello Spirito Santo, e intrepidi a mostrare al favor del suo santo Spirito quelle leggi che sono già stabilite in cielo e che sono già destinate da Dio. È un gran peso, fratelli carissimi, questo del Papato. Non dubitiamo però di cosa alcuna; abbiamo l'autorità di sciogliere e legare, aprire e serrare le porte del cielo. Altre cose porta seco, fratelli miei, questo gran carico, da quello di prima; pare che Iddio voglia che noi ci mutiamo in un punto da quello chepensavamo da stabilirci per noi; sarebbe deforme peccato d'abbandonare il gregge , lasciare il bene dell'apostolato ; Iddio noi vuole, Dio nel comanda. Dio dice a noi, come disse a san Pietro, quando gli diè le chiavi del cielo , quasichè S. Pietro disperasse di po tere reggere la sua gran nave da sì gran peso, carica di tante varia zioni, difficile di poterla sostenere; e pure Iddiogli promise che egli non mancherebbe, e gli spirarebbe a suo luogo tutte le sue operazioni ed in tutte le sue deliberazioni : Deliberavit Dominus in coelo deliberationes esse in terram. Chi sarà quello che tanto presumerà di volere, non chia mato da Dio, ardire di pigliare il nostro peso? Chi avrà tale temerità di preferirsi a noi, quando che conosciuti fossimo inabili a questo gran ca rico ? Speriamo che ciascheduno mostrerà l'obbedienza, ad imitazione. di quella dei principi degli apostoli . Ciò detto, senza frapporre indugi: Era l'alba, fu messala croce fuori d'una finestra, e fu pubblicato che era fatto Papa il Borgia , col nome d'Alessandro VI; (Conclavi dei Pontefici romani, quali si sono potuti tro vare fino al presente giorno. Colonia, 1691; vol. I, cit. loc ), e S. Pietro fu subito pieno di innumerabile moltitudine di popolo, concorso a ve derlo mentre veniva in chiesa; io era vicino all'altare maggiore, al quale, poi che giunse il Papa, fu pigliato in braccio dal cardinale di Sanseve rino, e messo a seder sopra; e quivi li cardinali gli diedero pubblica mente l'ubbidienza, et i prelati gli baciarono li piedi. • Il Papa, innanzi che scendesse dall'altare, cred vice-cancelliere A scanio Maria Sforza, perchè così gli aveva promesso in conclave. Fu poi cantata la messa al solito, et i cardinali andarono alle case loro, restando (1) Lo Sforza, nell'annunciare segretamente al Borgia che stava per essere nominato Papa, gli disse : " Signor cardinale, conosco veramente la volontà di Dio, che voglia far palese e pubblica la vostra gran virtù ed il vostro buon zelo di carità e santità, con darvi il peso di essere suo Vicario e reg gere il mondo tutto con la vostra gran forza e valore : quando poi vi concorreranno le voci, che non abbiamo ancora sicure, ma solo di parole, con alcuni cardinali in numero di 24, che tanti sono li nostri dipendenti ». -- 100 adesinare col Papa il cardinale Sforza et alcuni altri pochi; si fecero grandissimi fuochi per Roma, et il Senatore, che era Ambrioso Mirabili, fece in Campidoglio inusitati segni di allegrezza, perchè fu riconfermato in quella dignità dal Papa; e, dopo, il vescovato di Perugia fu dato a don Giovanni Lopez, già scrittore del Papa, a cui di prima era stata data la Dataria, e dietro lui fu fatto datario Bernardino Luna, pavese, col fa vore del cardinale Ascanio Sforza. • Passato il primo giorno della creatione del Papa, verso le due hore di notte il Senatore , i Conservatori et i capi delli Priori di Roma, con moltissimi giovani della nobiltà romana, fatta una incamosciata, anda rono al palazzo del Pontefice con bellissimo ordine a cavallo, con le torcie accese in mano, e nella piazza di S. Pietro fecero una giostra con di versi intrecciamenti, aggirando intorno quelle fiaccole. Il medesimo fe cero ancora nel cortile del palazzo di Sua Santità, con molta soddisfa zione del Papa, il quale dalla camera gli diede la beneditione » . CAPO OTTAVO. L'elezione del cardinal Borgia in sovrano Pontefice è pura da ogni trasognata simonia. Noi non ignoriamo esservi a ribocco scrittori inviperiti contra d'Ales sandro VI, i quali spacciano arditamente essere l'elezione sua al sovrano pontificato frutto di combriccole e di corruzione; e in questa loro asser zione si appoggiano ad alcuni autori al par di essi cupidi di detrarre alla fama diquesto troppo biasimato pontefice; vanno spargendo avere il Borgia comperato con blandizie e promissioni i voti dei cardinali. La calunnia, la malignità non si assume mai per l'ordinario l'incarico di provare; ad essa lei basta l'affermare o gettare ildubbio, per poscia con vertirlo in certezza. Come è mai possibile, noi rispondiamo, chepersonaggi si integerrimi, illuminati, gelosi del proprio decoro e di quello della santa Sede, secondo il detto al capo III , si siano lasciati corrompere dal danaro? Avendo molti di essi assai dovizie e la tomba, per l'avanzata etàloro, socchiusa già sotto dei piedi altri poi, per emulazione, essendo contrarii alBorgia, come avrebbero mai permesso ed accettato tal compra delle somme chiavi di Pietro? Lo stesso Rodrigo come vi avrebbe mai egli osato aspirare, adoperando così sacrileghi mezzi ? Com'egli sarebbesi fiduciato di gua stare coll'oro quegl'intemerati cuori, senza temad'inacerbire gli ubbiosi avversarii suoi, e di tal maniera chiudersi ogni via onde pervenire al pa pato? Era troppo cauto, previdente il nipote di Callisto III per appigliarsi a somiglianti ripieghi , cui sapeva essergl' infallibilmente per tornare perniciosissimi al conseguimento di suo scopo. Come mai avrebbe egli potuto maneggiare idifferenti rigiri necessarii 101 atantabisogna , anche l'avesse voluto , in brevissimo spazio di tempo, anzi di ore? perocchè ad ognuno è conto che i cardinali erano in quei dì alle villeggiature loro lungi da Roma, e che nel secondo giorno del subitaneo conclave , il quale era l'undecimo d'agosto 1492, tutti i con clavisti, meno forse uno, diedero il voto loro a Rodrigo Borgia. Per altra parte, resta dall'esperienza dimostrato che quei conclavi, in cui furonvi cabale e brighe, cagionarono sempre un maggior ritardo alla elezione del Pontefice. Questa, per contro, di combriccole scevra, fu pronta ed u nanime. Il perchè, chi, perito dell'istoria, potrà aggiustare credenza alla diceria che il Borgia abbia circonvenuto quei porporati si antiveggenti , disin teressati, rispettabili, e da esso loro abbia simoniacamente conseguito il sacro camauro ? Dove esistono le prove d'imparziali autori? Nessune se ne allegano, tranne incerti rumori contrarii al buon senso, alla suaele zione rapidissima, ed alla magnanima religione e pietà degli elettori ? Ora, se in cortissimo deliberare l'elessero ventidue cardinali, ciò avvenne perchè lo si conosceva capace di coprire onoratamente tal posto subli missimo, il che eziandio dimostrano gli applausi e le onorificenze inso lite tributategli dai popoli e dai principi, di cui più sotto ragioneremo. In questo nostro divisamento ragionato concorre persino il famoso au tore anonimo delle vile dei Papi, stampate in Amsterdam nel 1776, il quale, tuttochè si diletti assaissimo in denigrare il papato, in arzigogo lare macchie, brutture sui pontefici, per entro i quali non risparmia certo Alessandro VI, nulladimeno, scrivendo di questo e del modo con cui ot tenne il pontificato, recisamente confessa che l'elezione non fu punto ri tardata da cabale, perocchè, insino dal secondo giorno (del conclave), il cardinale Borgia ebbe in suo favore tutte le voci, e venne eletto ponte fice. Ingenua confessione d'un nemico mordace ! Qual credenza impertanto si merita un cotale autore, il quale asserisce che Rodrigo si fece strada al trono pontificale coll'oro, e reca a questo proposito delle particolarità veramente spettacolose ! Egli dice, fra le altre cose, che il cardinale invio quattro mule cariche d'argento a casa d'A scanio , e che regalo ad un altro prelato la somma di cinquemila co rone d'oro. Altri storici al contrario pretendono ch'ei fosse d'un'estrema avarizia, che amasse il danaro sopra ogni altra cosa, che l'onore e le dignità fos sero agli occhi suoi , già vecchio , un bel nulla in comparazione d'un fiorino. Andate ad accordare queste contraddizioni ! Da ultimo leggiamo nel primo narratore: Di 20 cardinali che en trarono in conclave, non ve ne ebbero salvo cinque, si dice, i quali non vendessero i loro voti .È vero che qui l'espressione è assai più vaga, e non senza ragione; perchè, senza cercar più in là, noi domanderemo (prescindendo dalle addotte ragioni superiormente) a chi vergò queste linee, se ciaschedun cardinale, avanti o dopo l'elezione, inmateriasi te nebrosa, è andato a riportare a lui il suo voto. Che se sopra un sem. plice ho inteso a dire! ha egli lanciataunacotantograve accusa contro -- 102 al corpo il più rispettabile che vi esista al mondo, non è egli, per non dire di più, estremamente riprensibile? Egli sapeva al paridi noi il conto che un uomo di senno, e sopratutto uno storico debbe fare d'un vano rumore, il quale non posa su d'altro fondamento, tranne che sulla ma lignità. Del resto noi avremo sovente occasione di segnalare questo modo di giudicare nei tanti detrattori di questo pontefice. Egli è vero che, creato pontefice , il Borgia incontanente distribui e donò ai poveri i suoi beni. (Vedi il Diario del Burcardo appo il Genna relli citato). Sparti ancora per mezzo dei cardinali le dovizie e i benefizii cui dapprima possedeva, come afferma ilBurcardo, che certo niuno avrà per sospetto di parzialità verso del Papa ; ma se tolgonsi siffatte libera lità generose d'Alessandro VI usate ai cardinalidopo la fattane elezione, qual mercimonio, nulla di più irragionevole ed ingiusto! imperocchè, nè solamente Alessandro VI sarebbe da condannarsi allora, ma anche i più santi suoi predecessori e successori che di tale maniera si comportarono. D'altronde il capo seguente diluciderà maggiormente quanto finora ab biamo discorso, ed accerterà i leggenti che l'elezionedelcardinal Borgia in sovrano pontefice fu pura da ogni trasognata labe simoniaca.

CAPO NONO.

Gioia e festeggiamenti di tutti gli ordini del popolo romano
per l'assunzione al pontificato d'Alessandro VI, ed atti di questo.

 Ora quest'elezione, che vuolsi incolpare di simonia , noi la veggiamo appena appena annunciata, che colla rapidità del lampo si divulga dal clero, dai nobili cittadini, dal popolo, dai militi, in una parola da ogni ceto di persone; accolta con istraordinarii ed insoliti clamori di gioia cordialissima, e tutti tutti con quell'umanità solo dettata dall'intima approvazione di presente, secondo lor dettava l'ingegno e permettevano le forze, impegnarsi totalmente a solennizzarla festosissimi, in quella che la nobile schiera dei letterati si distillava la quintessenza del cervello per dettare certe iscrizioni, nelle quali l'uguagliavano ad Alessandro magno ed al divino Giove, dicendo non pertanto che questi erano stati uomini, ma lui, Alessandro VI, essere proprio un Dio, e Roma dover andare superba d'aver di bel nuovo il suo Giove.Encomii, che miriadidi bocche con tripudio aprivansi a ripetere, inneggiando gloria ed onore all'invittissimo, al sapientissimo, al magnificentissimo, al massimo Alessandro VI. E n'aveva ben ragione, chè da secoli non eravi più stata incoronazione sì solenne e pacifica d'alcun romano pontefice quanto quella del Borgia (veggasi il Gennarelli citato Sull'incoronazione d' Innocenzo VIII, pag. 48, not: 2 e 3, quel che dice di cotali disordini, d'appresso veriori scrittori).
 Questo straordinario apparato festosissimo e spontaneo colpi talmente lo spirito del Burcardo istesso, che nel suo famoso Diario non potè a meno di scrivere: « Die 27 augusti ejusdem anni 1492 coronatus fuit Alexander in Sancto Petro. Deinde, pro ut de more, accessit ad ecclesiam Sancti Johannis Lateranensis, cui per urbem factus fuit honor, multi arcus triumphales, et magis quam nunquam alii Pontifici factum fuerit per romanum populum potissime » .
 Manon lasciamoci trascinare ancora da tali clamori giulivi d'un popolo intero ebbro di letizia per l'elezione del suo Pastore; chè noi, dappoichè con ragionamenti tirati da vera logica cristiana abbiam provato la futilità e malignità dell' incriminazione affibbiata ad Alessandro VI , d'essersi procacciato il triregno simoniacamente , acciocchè pienamente vittoriosa risulti la confutazione nostra, non deggiamo usciredalla lizza in cui siamo entrati senza prima corroborare la disputazione nostra con quei passi istorici, i quali manifestamente propugnano il contrario , lasciatici a perenne ricordanza da autori sincroni ad essa elezione ed incoronazione. Testimonianze che pure vorrebbero soppresse in perpetuo i nemici del Borgia, e da noi spigolate dall'opera del Gennarelli, ilquale, facendo le viste d'essere imparziale, in quella che allega alcune di queste, infarcisce il suo scritto d'intemerate virulenti talmente , che dileguato di leggieri dalla mente dei leggitori ogni favorevole concetto , non vi resti impresso tranne il sinistro.
 Proviamoci adunque (dietro l'autoritàd'uno scrittore coevo proprio all'elezione ed esaltazione d'Alessandro VI, il quale ne ragiona con criterio ben diverso, ed altrettanto più diritto, quanto gli altri stortamente) d'effettuare il propostoci compito santissimo; e se i permalosi e gli astiosi del romano pontificato, per dilacerare questo, vanno cupidamente razzolando negli antiquari le sozzure del cardinale Rodrigo Borgia, niuno dovrebbe poi muovere lamento se noi, per amore del vero, caritatevolmente rinverghiamo queste vetustissime testimonianze negli stessi contemporanei, amiche e non ingloriose al suddetto. Ora sentiamo quanto uno di questi narra esser avvenuto nell'assunzione famosa del cardinale Borgia al papato.
 « A tutti è palese ( Johannis Burchardi, etc. Diarium, etc., Alexandri VI etc., ab Achille Gennarelli, equite ablecto , Florentiae, 1854, pag. 205 , not. 1, col. 1, etc., etc.) che cosa sia conclave per li doi capitoli dei canoni pontificj, ma nondimeno, come in quel luogo ciascuno si ritira, diremo così brevemente quello che havemo veduto.
 « Nell'apostolico palazzo Vaticano dove si è fatto il conclave vi è una cappella chiamata di Sisto IV, fondatore di quella; in questa, dall'una e dall'altra banda furono scompartite tutte le celle, quanti erano i cardinali allora presenti in Roma, nè ciascuno prese quellache volse, maquella che dalla sorte gli fu concessa. In questa cella si riducevano di notte a dormire, di giorno passeggiavano in altri luoghi serrati. Gli ambasciatori residenti de' principi erano stati proposti alla custodia delle porte del conclave, e come fedeli portinari facevano sicura guardia al sacro conclave. Era intanto tutta la città in arme, e tutti quelli che avevano bando, gl'indebitati, gl'incendiarj, turba inimicissima e perniciosa, s'era tutta insieme radunata per tumultuare. Erano li capi delle strade guardate da buoni soldati, e li principali baroni avevano buon numero di gente armata per custodia delle lore case, avanti delle quali, a guisa di bastioni, erano state drizzate gran macchine di legno a torri con gran travi ferrati sino al cielo, intessute con pertiche e cespugli , ed erano preparate alle finestre balestre ed altri strumenti da lanciar dardi, e si facevano mine per forza alle vicine case e nelli luoghi più sicuri e meglio fortificati.
 « Si vedevano per tutte le strade ammazzamenti e latrocinii, ma nondimeno tanta fu la cura ediligenza degli illustriss.cardinali, avanti che si serrassero in conclave , di provvedere alle cose della città, e la vigilanza delli tribuni della plebe nel far le guardie dove apparivamaggior bisogno, che tra li molti pericoli di così gran cose non fu fatto alcun rubamento, o soverchieria spettante al pubblico. Ma solo seguirono alcune poche ferite ed uccisioni d'uomini popolari , che per private loro inimicizie , presa l'occasione della sede vacante , si volsero vendicare di qualche ricevuto oltraggio.
 « Al palazzo apostolico era stata fatta una trinciera di tavolati d'alti, grossissimi , e di lunghi travi in forma di terra piena; si erano inoltre radunate alcune compagnie di cavalli, e li principali signori della città stavano armati alla guardia della piazza del Vaticano; e li luoghi vicini al Castel S. Angelo erano assicurati da ogni subito tumultodalli signori li quali in questo affare erano vigilantissimi.
 « Alli 10 di agosto, su la prima ora della notte ( era questo il giorno festivo di S. Lorenzo), essendo concordi tutti gli illust. cardinali nell'illust. Roderigo Borgia, quasi da contrarii voti (si noti la grave confessione), a favor suo rivoltati , lo crearono Sommo Pontefice; onde sulla mezzanotte dall' impeto e furor della plebe gli fu mandato a sacco tutto il palazzo suo. La mattina seguente, cavata fuori dalla finestrella la croce, fu data voce per tutta la città che Roderigo Borgia card. cancelliere di natione spagnuolo, di patria Valentiano era stato fatto Papa.
 « Concorsi a tal avviso tutti li signori romani meschiati con la plebe all'altar maggiore di S. Pietro, e con allegro e risonante grido, salutarono Alessandro Sesto, perciocchè tal nome si era posto, e la frequenza del popolo fu di tanta meraviglia a tutti, quanta ad alcuno fosse giamai. Erasi già condotto vicino l'altare, quando l'illust. cardinale S. Severino, di forza e robustezza sopra ogni altro gagliardo, di membra egrossezza di corpo assai grande, e grave, avendo abbracciato lo stanco ed affaticato Pontefice, lo sollevè sopra il detto altare. Felice veramente e beato tu, S. Severino , che prendendo con le tue gagliarde braccia un gratissimo e felicissimo peso, tu prima degli altri presentasti al Sommo Dio un suo unico Vicario. Tu fosti il primo sostenendo il corpo poco fa venerabile Padre della romanagloriadeponendolo poco dapoi. Tu primo fosti ministro, ajutatore e partecipe della felicità di sì gran principe.
 « Avendo di poi ammesso S. Santità gl' illust. cardinali al bacio, era cosa incredibile il vedere con quanta allegrezza e festa il Papa ciascun di loro ricevesse. Gli altri prelati e signori gli baciarono il piede, nè fu interposta dilatione alcuna in pigliar la corona di tant'impero essendoli assistenti d'avanti con gl'illust. card , Ascanio Maria Sforza , il quale fu sostituito cancelliere di S. Chiesa, et era persona di gran autorità, virtù eprudenza. Di novo rendute gratie al Sommo Iddio , se ne ritornarono li cardinali nelle loro abitationi , eccetto Ascanio Sforza e quelli che abitavano a Palazzo. S'acquetarono in un subito li tumulti erumori della città , e furono statuite et ordinate molte cose , e la turba d'assassini e malfattori da per se stessa si mise in fuga.
 « Pareva che tutta Roma fosse fiamma e fuoco, e che n'andassero le faville sino al cielo , tanta fu commune et inesplicabile l'allegrezza et applauso in onore di tanto Pontefice. Ambrosio Mirabili, cavaliereAurento, milanese, persona illustre per aver ottenuti et amministrati magnificamente li più segnalati governi d'Italia, col nome di Pretore, fu la prima volta da S. Santità, e con universal consenso approvato et eletto Pretore, il quale nome da' posteri fu detto Senatore; cosa, cheper avanti a pochi onessuno era accaduta, sì per la bontà e giustizia sua per l'addietro conosciuta, sì anco perchè con somma fede e prudenza avea ben custodita e fortificata la rocca, et era stato diligentissimo e vigilantissimo in quello che potea per pacificar la plebe, e perchè in quel principio del pontificato vi era gran bisogno d'un tal uomo pratico et esperto in quel offitio: furono poi stabilite le stanze nell'Apostolico palazzo , e furonvi intromessi alli desiderati onori quelli che fin allora in lunga angustia erano vissuti, e si fece una maravigliosa mutatione di cose.
 « Eran scacciati dalle dignità, gloriosa lode, quelli che al tempo d'Innoocentio Cibo avevano atteso ad empire il ventre. Alcuni ancora, contenti della parsimonia, se ne ritornarono a miglior vita, e quelli prima intenti custodi aveano accompagnato il bue a pascolarsi. Era segretario di S. Santità Gio., prosapia Lopez, di natione Spagnuolo, uomo famoso e celebre, di piccola statura, ma di vivace ingegno, e dotato di gran dottrina , e sopratutto in ogni negotio fidelissimo. Questo fu fatto subito da Sua Beatitudine Datario, l'offitio del quale sappiamo non esserdi poca importanza; di poi, meritando egli per la sua gran bontà , il Papa lo fece Vescovo di Perugia. Non bisogna che siano pigri et otiosi quelli chehanno sopra di sè tal carica. Ma Sua Santità sapea benissimo con qual sollecitudine e prudenza egli fusse consueto a trattare li maneggi. Tu puoi ben vedere, o lettore, a che impresa io mi sia messo se voglio ad una ad una esprimere le mutationi di ciascuno. Poichè io fo mentione di Datario, ecco che mi si rammenta quel nostro Bernardino Luna da Pavia, di famiglia nobilissima, il quale con integrità de' suoi costumi e con l'onor della virtù seguendo le vestigie dell' illustrissimo sig. card. Sforza, con somma lode si è guadagnato appresso di quella somma gratia, e molto bene se la sa conservare. Perchè l'illust. cardinale confida in lui se stesso e tutte le sue cose; onde merita esser ajutato et innalzato da S. Santità ad ogni grande e sublime onore; per il che gli ha dato stanza in palazzo, et abita in questo dove soleva stare il Ragusino, datario di papa Innocentio. Poco dopo è stato fatto protonotario, indi segretario; intanto dalla propria virtù sollevato, si crede senza dubbio sia per riuscire cardinale. Grandissima destrezza ha egli nel trattare inegotj, cortesia, gravità e prudenza maravigliosa.
 « Mentre queste cose si facevano in palazzo, il senatore, tribuni, triumviri, e gli altri primarj del popolo romano con un segnalato splendore di lumi accesi di notte, fecero manifesto quale e quanta fosse la loro allegrezza, poichè con torcie accese, tutti a cavallo, su le due ore se ne andarono dal Campidoglio al Sacro Palazzo: per lo spatio di un miglio intiero risplendevano le strade e le piazze, di maniera che pareva fusse mezzo giorno , ne quanto a me credo mai che quella famosa Cleopatra ricevesse Marc' Antonio con tanto numero e splendore di facelle: attorniarono il palazzo Vaticano , e andando in giro si rivolgevano in sieme avanti le porte di quello, parendo che fussero tutte le stesse , che vi si aggirasse la macchina del cielo , perchè era tanto grande il numero delle torcie, che fu tenuto per spettacolo tra li rari bellissimo. Dalla cima del palazzo dava S. Santità loro la beneditione: aperte le porte et intromessi nel gran cortile, di nuovo et in giro volgendosi con varie maniere, rappresentavano l'imagine d'un laberinto, e con lieto applauso e con alta voce e gridi facevano d'ogni intorno risonare il nome d'Alessandro. Non potei fare di non intervenire ancor io a tante gran cose, e proprio parevami di vedere i notturni sacrifici che facevano gli antichi, o le baccanti feste, che con facelle si andavano facendo al Dio Bacco.
 « Acquietaronsi un poco le cose: si pensava da poi alla coronatione del nuovo pontefice, e questa fu fatta alli 26 d'agosto, con tanta pompa e splendidezza, con quanta sia mai alcun altro trionfo degli antichi romani. Perciò diciamo alcune cose ormai di questa coronatione. Sogliono li S. Pontefici romani, poichè hanno presa lacoronanon civile, non mirtale, non castrense, non murale, ma quella che triregno si domanda, trasferendosi subito dalla basilica di S. Pietro all'antica chiesa di S. Giovanni Laterano, come loro proprio vescovato , dove sono le stanze episcopali , e dove si suole fare l'esperienza dell'uomo. O Dio buono! qual pompa, quale splendidezza accompagnò il Pontefice, mentre esso cavalcava al Laterano, e con larga e copiosa mano andava spargendo al minuto popolo. Rilucevano per tutto le candide vesti e le belle mitre de' cardinali e dei vescovi, essendo parato ciascuno di quell'abito sacro al quale era ordinato. Tralascio li cavalieri Gerosolimitani con le due insegne, e gli altri Confalonieri della S. Romana Chiesa , e del popolo romano con le loro candidissime vesti da capo a piedi, ed abbigliamenti dei cavalli con li palafrenieri vestiti superbamente con gli abiti diversi di tutte le sorti. Gli uomini di arme erano divisi a tutti li capi delle strade per guardia e sicurezza in ogni occasione. Gli archi trionfali , le tappezzerie d'oro, d'argento e di seta, li, vasi di fiori pendenti dalle finestre allo scoverto, quali ghirlande, quali fiori e fronde odorifere erano per le strade, in ogni luogo si vedeva splendore e s'udiva strepito d'orpello: tutte le fonti scaturivano limpidissime acque , s'udivano canti e suoni d'ogni sorta, trombe et altri strumenti d'allegrezza, che sonavano dapertutto da Palazzo sino a S. Giovanni Laterano per lo spazioquasi di due miglia; che tutti facevano maravigliosamente vista e udito a quelli che trapassavano. Porgeva mirabil spettacolo Castel S. Angelo , il quale in tempo di notte alzava sin al cielo una croce di fuoco che prima era stata nascosta quasi nelle tenebre: ed una gran corona d'armati soldati fecero una gran salva mentre passava il pontefice Borgia con gran ribombo d'artiglieria e schiopetti, che d'ogni intorno fortemente rituonava.
 « Qui furono fatte le cerimonie della Caldea legge (1) e l'oblationi della legge mosaica ; come cosa da non sprezzarsi, così da non imitarsi.

  (1) Giudichiamo che torni acconcio lo spiegare cosa sia questa cerimonia che si opera il giorno medesimo dell'incoronazione di ogni Papa.
 Allorquando il Santo Padre è giunto al piede del monte Giordano, i giudei vengono a porgergli omaggio, inginocchiati per terra, e nel medesimo tempo gli presentano la legge loro scritta in lingua ebraica, ne intessono grandi elogi, ed esortano il Pontefice a venerarla. Sua Santità loro risponde che è compreso di rispetto per la legge che le presentano; ma che riprova e condanna tutte le vane loro osservanze e le false interpretazioni cui essi danno ai libri santi. Loro dichiara di seguito che inutilmente stanno ancora aspettando il già venuto Messia, e che dovrebbero riconoscerlo nella persona del Nostro Signore Gesù Cristo. Riportiamo le stesse parole del Supremo Gerarca :
 " Sanctam legem, viri hebraei, et laudamus et veneramur, atpoteab omnipotenti Deo per manus Moysi patribus vestris tradita est; observantiam vero vestram et vanam interpretationem damnamus atque reprobamus, quia Salvatorem, quem adhuc frustra expectatis, apostolica fides, jam pridem advenisse docet et praedicat Dominum Nostrum Jesum-Christum, qui cum Patre et Spiritu Sancto vivit et regnat Deus per omnia saecula saeculorum. "

Vantinsi pure gli antichi delli loro rostri, dei loro circoli e dei loro teatri, aquila, chiavi, tribù, carri, trofei, ovazioni, delle corone di quercie, di olivo, di gramigna, di mirto, le collane, et i monili dei loro trionfali allori. Riguardino un poco intorno la nostra Roma, e considerino quanto e quale sia, mediante questo nostro augustissimo Pontefice, et il sacratissimo Collegio de' cardinali, Roma: oh Roma! dico, già padrona del mondo, in per certe etadi della umana vita sei cresciuta, come dicono le memorie lasciatici da scrittori, et alle volte, come se tocca di contagioso male, languida sei in terra caduta, e con scambievole mutatione di fortuna, or ti sei abbassata, ora levata in alto; ma or non contenta d'avanzar li antichi onori, avendo un tal Pontefice, diffondi iraggidel tuo splendore sino alli estremi lidi dell'immenso Oceano, e credendosi che sii una volta per uguagliarsi alla vecchia età, è fermo giuditio e costante opinione degli uomini che sia ciò per avvenire nel nome enella felicità di questo sacratissimo Pontefice.
 « Essendo adunque state le suddette cose tutte maravigliose, fu maravigliosissima che ora li differenti desideri ed affetti delli mortali e tanta felicità, senza violenza alcuna così fortunato principe, nato d'eroi, di provincia generosa, nipote di papa Callisto, pocoprima passatoamiglior vita, cardinale vecchio, cancelliere di S. R. Chiesa potentissimo, in cosl breve spatio di tempo, cioè nel corsod'unmese, siastato elettopapa, approvato e coronato, e con tanta magnificenza e gloria. Qual cosa, osservi il leggente, può dichiararci lacagione di questo, se non il suograndeingegno, la destrezza e sincerità dell'animo suo, dalle quali virtù tanti illust. cardinali quasi sono stati forzati a darli il voto loro, che già mai di quei regi et imperatori antichi, quali noi tanto onoriamo e celebriamo, senza sfoderar spada o effusion di sangue ottenne lo scettro et impero, chi, non avendo prima ammazzato il fratello o scannato il pupillo parente, cinto ed ottorniato d'armata gente fra le fiamme ed uccisioni civili, potè mai arrivare all'altezza del dominare? Ma a questo nostro Pontefice la solita virtù ha aperti li sentieri, e l'inaccessibili strade, e la sola sua sapienza l'ha posto a sedere nel trono di Pietro.
 « Di poi nel primo concistoro, che si fece all'ultimo d'agosto, avendo sua Beatitudine ordinato molte cose saviamente, fece ancor quello che già tempo prima avea tramato;poichè fece cardinale del titolo di S. Susanna Gio. Borgia suo nipote, arcivescovo di Monreale; con ilqual fatto Sua Santità ha dichiarato benissimo di qual animodebba essere ciascuno verso de'suoi quando giunge a tale altezza; col medesimo consensodel Sacro Collegio fece suoi legati il cardinale Savelli, di nobilissima famiglia di Spoleti, l'illust. card. di Genova in Terra di Lavoro, e diede la legatione di Bologna al cancelliere della Santa Chiesa, cioè al cardinale Sforza, al cardinale di S. Pietro in Vincola quella d'Avignone, etal cardinale Medici quella del Patrimonio. Rivoltando poi Sua Santità l'animo ad altre cose, confermò l'uffitio delle suppliche e delle gratie (così lo chiamano) all'illust. cardinale di santa Anastasia, et essendo alquanto indisposto il cardinale Alerien gli aggiunse anco la signatura di giustitia. Di poi, pure di parere de'cardinali, elesse quattro suoi referendari di gratia e di giustitia, quelli che giudicò avanzar gli altri di dottrina, di ingegno e di fede, e furono l'infrascritti l'arciv. di Ragusa, il vescovo Alessandrino, il vescovo Concordiense e il Volterrano, uomini famosissimi ; e fece S. Santità molte altre cose, che a lui parevano appartenenti al buon stato, riputatione e grandezza della Santa Apostolica Chiesa. »

CAPO DECIMO.

 Incoronazione solennissima d'Alessandro VI. Sebbene (per non dimezzare i passi allegati degli scrittori) siasi già toccato alcun che di questa incoronazione d'Alessandro VI, pure, essendo essa stata solennissima sopra ogni altra mai, ragione troppo richiede che ne discorriamo di proposito, affatto sempre dietro ai citati autori con temporanei. • Fu poi incoronato Alessandro alli 26 agosto, con grandissime ceri monie; ma l'andata sua a S. Giov. Laterano per pigliare il possesso del sommovescovado, avanzò di gran pezza di splendore e di magnificenza -- 109 quella di tutti gli altri papi suoi antecessori, essendo le strade tutte a dornate d'arazzi e fiori, e fatti molti archi trionfali, a similitudine delli trionfi antichi. (Vedi superiormente al capo ix la citata opera Conclave dei Pontefici Romani, ecc ). • Per la elezione (seguita il Corio, citato luogo) d'uno si ottimo Papa, ne fu celebrato per lo insciente della sua rovina (d'Ascanio Sforza) (1) ed altri, grandissimi spettacoli ; imperciocchè, in capo di trenta giorni da che Innocenzio fu spinto dalnumerodei viventi, il sopradetto Alessandro, nuovo pontefice, fu accompagnato in San Pietro intorno alle undici ore, una domenica, che fu ai ventisei del mese di agosto, e i cardinali di Siena e Sangiorgio teneano il manto a due parti, e con la mitria epi scopale in testa giunse alla scala che discende al portico del tempio di San Pietro, e quelli sacerdoti gli andarono a baciare il piede in segno di obedienza. D'indi, entrato nel tempio, monto sopra uno sgabello coperto di drappo d'argento, e similmente era il baldacchino; e quivi si mise adorare quello nel quale ognuno debbe credere, poi andò all'altare di Sant'Andrea, dove si vesti per celebrare lamessa, e dopo un certo ufficio, detto per i cardinali, da quelli si fece fare la obedienza, con essi entrò nella cappella di San Pietro, e vi intervenne una tanta turba di prelati, che fu cosa ammiranda, ed erano in pontificale con le mitrie in testa, eciascheduno ornato secondo la sua dignità, e fu posto all'altare il palio con lacroce nera a modo solito, e, fatto l'introito, ascese nella pontifical cattedra, la quale era coperta di panno d'oro. Ed ivi un'altra volta i car dinali gli andarono a baciare il piede, la mano e la bocca, e così suc cessivo fecero gli altri prelati, e ad un tempo, con le solite cerimonie, si celebrava la messa. •Erano su la piazza del tempio venti squadre di gente d'arme con la lanza, sopra la coscia; il loro capitano era Nicolò Orsino. E questi sta vano, dopo la coronazione fatta in San Pietro, per accompagnarlo a San Giovanni Laterano, suo primo vescovato. V'erano ancora molti provigio nati e balestrieri. Forniti che furono i solenni e i divini ufficii, venirono i cardinali e baroni magnificamente ornati , sopra un certo palco edifi cato alle scale del Santo, dove intervenne la Rota tutta apparata, e lo circondarono di tredici confaloni dei Rioni di Roma; e dato alle trombe ed altri infiniti strumenti, cosa stupenda pareva: ed ancora per il tirar dei tormenti fu tanta caligine, che quasi non si vedea l'aere, in forma che tutti pareano essere divenuti ciechi e storni , e così ciecamente fe cero la santissima coronazione. • Dopo, i cardinali cominciarono avviarsi con diverse foggie. Ilprimo fu colui che male il suo male scorse, cioè Ascanio Sforza, che aveva do dici scudieri, con ruppetti di raso cremesino , e sopraveste di raso pao (1) Il cardinale Ascanio Sforza imputi a sè ed al suo fratello Lodovico il Moro la propria loro rovina, non già al Papa, come vedremo nel decorso dell'istoria nostra. Noti qui chi legge, come il Corio chiami Alessandro VI ottimo Рара: sarebbe оттімо chi com pera le chiavi di Pietro Santo col danaro? Come si contraddice apertamente da sè il Corio ! -- 110 nazzo, le fodre ganzante, e ibastoni dipinti all'arme de'Visconti o Sfor zeschi. Poi seguitava Sangiorgio, con altrettanti vestiti di rasocremesino, eparimente la sopraveste. Dopo veniva Parma coi suoi, vestiticon zup poni di raso cremesino, gabanello d'argentino, e fodere di zendalo verde cinte, ed alle brazze avevano certi manili ed armille.Veniva poi l'Orsino, che aveva i suoiconcalze di rosado e zornee di velludo verde, confrange bianche e rosse. Il Sanseverino, con altri dodici , vestiti di raso sambu gato, in gabanelle lunghe. Poi Santa Maria in Portico, coi suoi, vestiti di velludo negro. Napoli, con velludo pelo di leone. Sant'Anastasia, con gabanelle di damasco verde. Alera, di rosato, e similmente procedeano gli altri con diverse foggie di seta, e i suoi staffieri coibastoni in mano. • I cardinali aveano in testa le mitrie, e l'abito secondo ladignità loro, e tutti a cavallo coperti di beccassino bianco. Gli erano dopo due ora tori ispani con otto scudieri per ciascheduno, ornati di velludo negro e l'altro di damasco vede e paonazzo. L'arcivescovo di Tertona, come go vernatore, aveva dieci vestiti di raso nero, con le partegiane in mano. Il vicario papale similmente procedeva. •D'indi Alessandro pontefice era posto sopra una barra ornata con la triplice corona, e dietro seguitavano i sette protonotariipartecipanti, ve stiti da cardinali', riservato il cappello che aveano negro. Veniva dopo Domenico Auria, capitano della piazza, ed a canto Giovanni Gierona della Camera che gettava carlini allo stampo del Papa, edin alcuniluo ghi gettò ducati d'oro; davanti erano ite le genti d'arme, e pigliarono i luoghi per la via di San Giovanni a custodia delPontefice, e ibaroni, che l'accompagnavano , similmente come gli altri avevano i suoi ornati con diverse foggie. Tra questi v'intervenia il conte Antonio della Miran dola, il quale portava lo stendardo del Papa, cioè unoscudomezzo d'oro con un bove rosso che pasceva l'erba, e l'altra parte trebande nere che traversavano il campo aureato, e disopra le chiavi con lamitria; la sua foggia era di zendalo cremesino. Il signor Corezzo l'avea bianca, e por tava il confalone ecclesiastico, cioè le chiavi, ed ambidue erano armati, sopra possenti cavalli. Poi venivano due cavalieri , con le sue bandiere della milizia. L'uno della prima milizia d'Alemagna con la sopravesta bianca e le croce negre. L'altro della seconda milizia le avea rosse, con le croce bianche. Gli era dopo il signor Gabriello Cesarino, romano, con-confalone S. P. Q. R., e duce dei Rioni, con dodeci alla staffa. •Giunti che furono al ponte di Sant'Angelo, iGiudei aveano(Vedi la nota al cap. IX) , sopra un alto pulpito la sua legge con molti cilostei accesi, e domandarono che lalegge sua si dovesse confermare; dismonto da cavallo Napoli e Siena , e quivi fu eseguito quel che si suole fare della legge giudaica , che il Papa la riprende , chè non la intendono. Onde non la approva, anzi la improba; nondimeno gli dà licenza che vivano secondo essa legge data da Dio, e conferma i capitoli che hanno con laChiesa di poter abitare tra cristiani. Allora molte artelarie tira rono dal castello, percadun merlo del quale era un uomo d'arme; sopra la torre dell'Angelo era lo stendardo del Papa. All'altra più bassa due -- 111 bandiere con le chiave, alledue verso il ponte disoprail mosaico un'arma del Papa scolpita in marmo. All'entrata del ponte molti fioroni e feste antiche. Similmente era apparata in Banco Fiorentino insino aSan Gio vanni, e coperto di panno azzurro, riservato dal Campidoglio sino al Cu liseo, perchè non si poteva per la latitudine; ma alle mura erano posti finissimi drappi di razza, e le porte de' palagi stavano ornate all'antica foggia; per terra erbe e fiori in gran copia; v'erano edificati alcuni su perbissimi archi trionfali. I principali furono due dei Banchi, l'uno alla entratadove comincia la chiesa di san Celso, e l'altro al finedel tempio; il primo era a similitudine di quello di Ottaviano appresso al Culiseo, con quattro colonne di gran grossezza, e alte a due parti, sopra i capi telli quattro uomini armati a modo diantichi baroni, conle spade nude in mano sopra l'arco, e al capo degli uomini era la corona dell'arcocon l'arma del Pontefice e lechiavi, eallato corni di dovizia e mirabili festoni con le sue cornici. Dall'altra parte lavori d'oro perfilati con grande ar tificio. •Nei tre angoli erano dipinte figure antiche, quali parevano che vo lassero con le lanze in mano, mitria e crosette papali, e moltealtre cose aproposto moderno; nel cornisone largo della volta insino al sopra cor nicie dove stavano le arme, era uno spacio grandissimo azzurrocon let tere d'oro in mezzo, che facilmente si leggevano da lontano, edicevano ALEX. VI PONTIF. MAX., e da un'altra parte sotto la volta al piano era dipinto un atto di vaticinio, e sotto era una tavola al modo antico pen dente, con lettere che dicevano VATICINIUM VATICANI IMPERII. All' altro canto era una simile volta con la coronazione, e queste lettere DIVI A LEXANDRI MAGNI CORONATIO. Ed a canto una gran tavola mezza azzurro con lettere d'oro: QUI SUIS IN ACTIONIBUS MODERATUR , FACILE AC PARVO CUM LABORE AD OMNIA PERVENIT. Vi erano molti altri ornamenti, che a pieno volendoli scrivere sarebbe lungo. L'altezza sua era aguardard'oc chio, e molti tetti furono rovinati per la edificazione di quello. • Il secondo arco era di simile altitudine , ed arme sì diligentemente fatte, che pareva dovessero essere perpetue. La sotto-volta era fatta a quadri con fioroni d'oro rilevati.In mezzo certe cave a modo di chiocciole marine, e sopra le cornisature erano certe fanciulle le quali recitavano versi latini e in materna lingua alla venutadel Papa; e di fuori all'arco aman destra una cella, dove era scritto ORIENS : e v'era una fanciulla mora vestita alla foggia orientale. Alla sinistra OCCIDENS: e similmente una al modo occidentale. Sotto l'arco a mano diritta era LIBERALITAS. ROMA. JUSTITIA. E ciascheduna celletta avea la sua ninfa. Roma era in mezzo, e aveva il mondo ai piedi e una mitria papale in mano, ed un bue che pasceva. A mano stancaera PUDICITIA, FLORENTIA, CHARITAS ET FLORENTIA. Era poi nel mezzo un fiorone di diversi colori con un ornato di ninfe. Di fuori , all'altra banda dell'arcol, a man destra AETERNITAS ; alla manca VICTORIA. Sopra l'arco ad unaparte era EUROPA, all'altra Re LIGIO. E tutti cantarono sei versi al Pontefice. •Passati questi due archi , avanti che si giugnesse dove si parte la -- 112 strada, cioè In via Pontificum et in via Florae, era edificato uno stu pendisssimo ornato, e prima alla cantonata che partisce le due strade vi era dipinta un'arma ponteficale, con fanciulli in colore azzurro , feste e molti fiorioni, con letterechedicevano ALEX. VI PONTIF.MAX. Poi v'erano posti alcuni travi doppi che traversavano le contrade con molti orna menti e panni azzurri , con l'arma del Pontefice, fioroni di legno inta gliati a cornisoni antichi. Nel tondo sopra le strade in campo azzurro lettere d'oro, cioè D. A. VI. P. M. E. H., con tanti ritorti edornamenti tra l'una e l'altra lettera, ch'era cosa maravigliosa, e quivi i murierano co perti di drappi d'oro e d'argento. • D'indi , passata la casa dove stava il signor Franceschetto, ad un tirar di mano, vi era fabbricato un altro arco trionfale molto ingegno samente ornato; poi seguitando al palagio di Napoli, sigliera un altro mirabile , diviso dagli altri primi, lavorato con erbe, ed avanti l'arco tanti capitelli, feste, pitture ed altrecose, che lasuabellezza difficile sa rebbe a descriverla. Sopra la porta dell'arco era l'arma del Papa, con molti fanciulli e feste in campo azzurro eoro.All'incontro il protonotario Agnello sopra la casa fece cosa stupenda, e sotto la volta in finissimo azzurro due versi d'oro, quai diceano: Caesare magna fuit, nunc Roma est maxima , Sextus Regnat Alexander, ille vir, iste Deus. • Questo palagio era ornato con feste tonde, ed in campo azzurro let tere d'oro, nello scuro lettere d'oro, nello scudo lettere bianche conque sti motti : I. Liberalitatis rerum, copiae aequitas, et pacis pater. II . Alexandro invictissimo, Alexandro pientissimo, Alexandro magnificentissimo, Alexandro in omnibus maximo, honor et gloria. III. Sancta fuit nullo maior pax tempore, tuta Omnia sunt, Agnus sub Bove, et Angue jacet. IV. Viventibus aeternitatem laetam danti, gloriam aeternam. V. Prisca novis caedant, rerum nunc aureus ordo est. Invictoque Jovi est cura primus honor. VI. Libertas, pia justitia, et pax aurea, opes, quae Lucet ibi, Roma, novus fert Deus iste tibi. •Ancora in una tavoletta all'antica, pendente, avea messo questi quat tro versi : Ambrosia, nectar violae, rosae, lilia, amomum, Turaque sint aris tibia cantus honos. Accumulent fora letitiam testantia flamma, Scit venisse suum patria grata Jovem. • Passato quest'arco sin alla casa de' Massimi, v'era un altro apparato con alcune colonne che sostentavano certe cornici e feste. Nel piè delle 113 colonne gli era pinto un Bue rosso , e l'arma papale con questo motto : Laeta Ceres. All'altro canto D. Alex. magno, majori, max., ed all'altro unatavolacomeusavano gli antichi, qual'avea sopra un Bue dimetallo dorato, conquesti versi sotto : Est piger in coelo, sunt et tua pigra boote Signa quod emerito pacis ad usque bove. Terge piger, tardoq. magis rege tremite currunt Tardus ut in terris bos quoque noster est Reddidit Europea, Bos est non Taurus in illo, Trux amat, in nostro fertile sidus arat. Roma Bovem invenit tunc, cum fundatur aratro, Et nune lapsa suo est ecce renata Bove, Fertilitatis habet signum bos Roma repertus, Mella favi amissa hoc, et vereantur apes. Pastor Aristaeus suffoso mella juvenco, Reddidit effosso nunc mea Roma Bove. Urse Leo Aquila alta simul, simul alta columna, Etmeahabes dominum cumBoveRoma Bovem. •Dopo, procedendo più oltre alla casa del vescovo di Spoleto, gli era unaltro arco trionfale, con arme, festoni, mostri marini ed altre magni fiche cose. S. Marco ne aveva due, ed ad uno gli era una fonte con un Bove che gettava acqua dalle corna, bocca, occhi, nari, e dalle orecchie, dal fronte delicatissimo vino, e continuava più avanti alla viache passa Post Capitolium. All'entrata era un altro arco molto sfoggiato, e in fin qui le vie continuavano coperte di panni e drappi, che parea impossi bile che Roma avesse tanta cosa. •Passato il Campidoglio , v'era un altro ornato; similmente a Santa MariaNuova, oltre al Coliseo, insino all'Acquedotto, uno mediocre. Mada ivi per fino a San Giovanni, non si potrebbe narrare i grandissimi ap. parati di panni, di razzi. Archi trionfali in diverse foggie, e feste mira bili. Il tempio di San Giovanni era serrato , e quivi stavano le genti d'arme in modo che, aprendosi, non lasciarono entrare dietro al Ponte fice se non i prelati ed il signor Virginio Orsino, che era alla custodia della porta. • Finalmente, essendo fornite le solite solennità in Sancta Sanctorum..... data labenedizione, ritornò al palagio. Entrò nel pontificato Alessandro VI, mansueto come bue, e l'ha amministrato come leone per forza e gene rosità. Non si può intesser più sincera narrazione! Nè possiam meglio conchiudere questa descrizione che colle parole di PietroDelfino, il quale trovavasi presente all'incoronazioned'Alessandro VI; riepilogando egli tutto l'anzidetto, arroge alcuni fatti e riflessioni utilis sime omesse dagli altri, cui noi dallatino volgarizzati riproduciamo. •Se volessi io ordinatamente rinarrarti e descriverti con quale cele brità, onorificenza, pompa jeri sia stato incoronato il sommo Pontefice, non mi basterebbe il giorno. Fu certamente uno spettacolo bello e di 8 -- 114 lettevole a mirarsi, nè affatto infruttuoso, se le cose temporali noi ap plichiamo allo spirito; imperciocchè il vario ornatodelle persone distinte e delle dignità, l'incedere de' superni cittadini, e le molte e diverse man sioni de' beati mi rammentava, e il decoro di cotesta Chiesa militante assai sovente invitò l'animo a considerare lo stato e lo splendore della Chiesa trionfante. •Era diffusa per l'universale città una turba ingente di uomini edonne, che lungo le vie e sulle finestre stavano aspettanti, finchè da San Pietro, dopo celebrata la messadello Spirito Santo dal Pontefice medesimo, siamo pervenuti a San Lorenzo. Tutta la strada per la quale abbiamo caval cato era coperta di panni ed ornata con varj simboli di trionfi, penzo lando di qua e di là alle pareti delle magioni, addobbi , fregi, tappeti, appeso vedendosi in parecchi luoghi il pinto ritratto del Papa, con mol teplici distici edepigrammi in scritto; dei quali questo solo ti trascrivo, che ho imparato perleggendolo durante il tragitto, e cheda molti gravi personaggi ho inteso non poco commendarsi. • Ai tempi di Cesare Roma fu grande , ma ora è grandissima, chè il Sesto Alessandro vi regna; quegli fu uomo, questi Dio. • Ma quello che al Pontefice avvenne nel tempio Lateranese , trovan domi io presente, ed assai vicino standogli, e rimirando con altri prelati frammezzo a queste delizie del vertice supremo, mi eccitò a pensare sul l'infermità della condizione umana, e a sprezzare la gloriadella potenza e della grandezza terrena; perchè forse dalle soverchiamente prolisse ce rimonie defatigato Alessandro VI appo San Pietro, e stancopel cammino, essendo egli colla mitra, cui chiamano regno e dei paramenti sacerdo tali vestito, fervendo sopra il sole , sen venne a Laterano : Certo , cosa siagli succeduta nol so, attendendolo noi nel tempio; da ultimo vi en trò talmente sfinito ed estuante. In prima piegate le ginocchia, orò al l'altare in cui sono riposti i capi degli Apostoli, e prendendo, secondo l'usanza, possessione della Chiesa, benedisse al popolo. Quindi si portò all'altare maggiore del tempio nel Santodei Santi, dove era il faldistorio preparato in luogo più eminente, affine di ricevervi l'ubbidienza dai ca nonici e dai sacerdoti Lateranesi. •A stento ascendendone i gradini, due cardinali diaconi da entrambi i lati l'aiutavano. Voltosi al popolo il Gerarca dove si assise, anzi dove rifinito di vigoria sopra il faldistoro cadde, di presentesoprailcollo del cardinale di S. Gregorio reclinò la testa. Ildicono colpito da sincope: e di tal maniera esanimato rimase immobile per tanta pezza, finchè por tata dell'acqua, di cui spruzzatogli il viso, ricoverò lo spirito.E tanto e stimasi il pontificato, che costa tanto, si comperacon tanto pericolo ! A che gli giovano le innumere falangi di armati poste per tutta la città per sua custodia? Voglia ora il Signore, e che possa di leggieri mo strò ecc. Addio, da Roma nel giorno XXVII d'agosto 1492 , . Si sfarzosa magnificenza e pomposi apparati parvero ad alcuni fetire d'orgoglio Borgiano, e l'attribuiscono all'ambizione d'Alessandro VI smo data, che profuse a larga mano i tesori, onde soverchiare colle feste ed 115-- ecclissare in isplendore nell'incoronazione i suoi predecessori, e stordire il popolo Romano. La costanzanon è l'appannaggiodella bugia! Gli stessi scrittori che affibbiano la più sordida avarizia al Borgia, ora l'incolpano di spensierata prodigalità ! Obliando essi , che quando si annunciò al popolo romano la sua esaltazione al papato, questo farnetico corse al pa lazzo del Borgia e tutto il sacheggio! Poi con tutto l'oro del mondo in sì ristretti giorni non avrebbe mai il Papapotuto eccitare ne'figli di Romolo quell'entusiasmo insolito, universale, giulivo pei grandi e pei piccini, se non fosse stato spontaneo, e se la devozione, l'amore, la contentezza una nime di loro non avesse ai medesimi somministrato ali, ingegno da at tuaresi vaghi, sorprendenti apparecchi svariati. Questo popolo sì versatile ed intrepido nel comporreedaffiggere epigrammi, libellimordenti, sangui nosi, infami in ogni evenienza e contra qualunque, all'incoronazione di Alessandro VI cangiata, direi natura, dimenticata la satira, la maldi cenza, che appunto dall'oro trae vita infesta, non seppe inscrivere, can tare tranne laudi, inneggiamenti. Nemici dell'innalzamento del Borgia confondetevi alla verità! Verità che apparisce vostro malgradodalle pagine del velenoso Diario del Burcardo, tanto sottilissimo scopritore delle magagne d'Alessandro, quanto dissimulatore industre e malevole di sue virtù. A noi ora tocca di mettere in mostra la sua moderazione e modestia, dietro la stessa te stimonianza del Burcardo : •Nella domenica seconda d'Avvento celebrandosi con pompalamessa solenne al cospetto del Papa, a cui fra gli altri personaggi eminenti in tervenire dovea don Federico d'Aragona, figliuolo del re di Napoli. I can tori ad esortazione del cardinale vice-cancelliere vollero cantare dopo l'offertorio una certa lode in onore di Sua Santità, recentemente com posta : esploratone dal cerimoniere imprima la volontà del sommo Pon tefice, egli il divieto, permettendo solo che in un altro giorno gliela of frissero in sua camera senza accompagnamento però di cantori . Così se la modestia prescrive d'evitare in pubblico i propri encomii, si può nulladimeno senza offesa della medesima assecondare in privato gli o nesti desiderii dei sudditi devoti ; a siffatta massima si conformò Sua San tità ricevendo quell' epigramma di Giovanni Tintore, dottore di legge e musico, in lode, e gloria di N. S. Alessandro VI Papa, conceputo in queste parolegloriosissime per esso lui : Gaude Roma vetus magnis celebrata triumphis Cui Deus aeternum contulit imperium. Claris Caesaribus quondam regnata fuisti, Multo Clarior es subdita Praesulibus Qui virtute licet nituerunt tempore prisco , Haud vincunt aetas quem modo nostra videt. Sextus Alexander Hispanus origine celsa Regnat et ufficio fungitur aethereo ; Qui prudens, justus, constans, pius atque modestus (notisi modestus !) Pro meritis tanto culmine dignus erat ; -- 116 Eya Christicole Domino persolvite gratas Quilibet et vestrum mente pia resonet : Vivat Alexander celebrandus imagine Magni Fastigio major non probitate minor. Amen. Queste iscrizioni bastano per dar un'idea delle altre. Or questo Pontefice che ascende in mezzo all'eccheggiamento di tanti etali clamori giulivi sulla cattedra del principe degli Apostoli, oltra i duecento cinquanta Papi i quali si computano da San Pietro in poi, vo glion i più degli scrittori che fosse uno, i cui costumi non erano più castigati di quelli della maggior parte dei sovrani temporali e della più parte degli uomini del suo tempo: gli s'imputano crimini non già co munali, come il tradimento, l'incesto, l'avvelenamento, oltre a quello della simonia, di cui crediamo averlo abbondevolmente sopra purgato. Gli eretici, gl'increduli con altri scrittori irreligiosi, impudenti o per lo meno ignoranti, con ghigno satanico, e beffardo pretendono, con esso lui sia salito sul seggio del grande Pietro un disonore tale, che la san tità degli altri Borgia, e le virtù eminentissime degli altri successori di lui non possano scancellare mai più. Il che appare falso da quanto e sposto abbiamo, e da quello, che verremo refutando, emergerà ancora che Alessandro VI non fu quell'infame, come, o con maligna compiacenza, od irreflessione colpevole, o stolta vociferano a piena gola gli avversari, anche ecclesiastici, della Santa Sede di Roma. Vi ha certo dell'esagerazione nelle laudi tributategli, ammettiamolo pure, e noi sappiamo benissimo che le espressioni dei poeti, in simili contingenze, non debbonsi mai intendere alla lettera. Ma supponendolo bruttato dalle turpitudini appostegli, noi domanderemo agli avversari suoi passionati, se il Borgiaperdurò in esse fino all'epoca dell'esaltazione sua ? E nel caso affermativo lor chiederemo: come va che il popolo gli prodigò tanti e sì inusitati omaggi e trionfi ? Si può egli immaginare siasi unanime prestato alla più vergognosa adulazione , onorando così un uomo cui esso avrebbe conosciuto come un mostro di depravazione e di scelleratezza ? Finita l'intronizzazione, avendo il papa ricevuto la pienezza del potere, benedisse al popolo, secondo il consueto, indi il corteggio rientrò nel palazzo. -- 117 APPENDICE I. Oratores, obedientiae et venerationis pensum reddentes, Alexandrum VI, non vulgaribus laudibus extulerunt, quos comiter ille excepit. Horum ergo oratorum principum ad Alexandrum VI orationes causas videre omnes possunt, Angeli Politiani, pro Senensium (1) oratoribus ; Antonii GaleaciiBentivolii, pro Bononiensibus; Benevenuti de S.Georgio, pro marchione Montisferrati ; Erasmi Vitelii, pro Alexandro magno Li tuaniae duce; Gentilis episcopi Aretini, Florentinorum nomine ; Jacobi Spinolae I. C. pro Genuensibus; Jasonis Maini I. C. pro principe Medio (1) Ciaconius in Vitis Pontificum, inter legationes ad Alexandrum VI missas et de quibus au ctor noster non loquitur, illam Senensium recenset his verbis : " Legatos principum, salutandi sui causa, Romam missos, comiter excepit et inter ceteros, duos praeclaros viros, Angelum Politianum qui senensium nomine ad eum orationem habuit etc. " Ad confirmandum Ciaconii dictum oratio Politiani stat, quae legitur in ejusdem clarissimi scriptoris operibus tom. II, pag. 135, Lug duni 1537. Griphius : Orationem Procerum Europae, eorumdemque Legatorum ac Mini strorum. Lipsiae 1713, ubi inscribitur : Oratio Angelo Politiani senensium oratoris ad Alexan drum VI pontificem maximum, cui nomine reipubblicae suae felix faustumque Romanae Ecclesiae gratulatur regimen, anno 1492, part. 1, p. 132 : Orationes clarorum hominum vel honoris of ficiique causa ad principes, vel funere de virtutibus eorum habitae. Coloniae 1560, p. 99, quo inscribitur ». Ad Alexandrum VI Pont. Max. Angeli Politiani pro senensium oratoribus. Sed contra Ciaconium (ait Gennarelli, cit. loc. p. 267), aliorumque testimonia stant senensium mo numenta publica. Johannes Antonius Pecci in opere cui titulus : Memorie storico-critiche della città di Siena, Ciaconium aliosque contradicit iis notitiis in medium allatis. . Ad Alessandro VI mandavano i Sanesi secondo il costume pei suoi oratori M. Alessandro Borghesi cavaliere, Leo nardo Bellanti (che fu dal Papa creato cavaliere) Bartolomeo Sozzini, Giacomo Tolomei, Fran cesco Severini e Mariano Chiesi, i quali, ai 9 di ottobre, accompagnati da 100 cavalli, andarono a rendere la solita obbedienza ". Sbaglia dunque il Ciaconio, perchè negli atti pubblici si veggono registrati gli oratori qui nella storia descritti ; e se pure è vero che Angelo Poliziano fosse dai Senesi spedito, sarà ciò seguito in altra occasione, perchè molte si presentarono ai Senesi in quel pontificato, e con tutto che da quelli che fecero al suddetto scrittore le addizioni venga asserito d'aver veduto l'orazione con la stampa impressa, non s'accorda nondimeno, perchè nella occasione dell'innalzamento d'Alessandro, furono gli indicati soggetti e non altri spediti ambasciatori. Sed ego, prosequitur Gennarelli, disputationi et contradictioni finem imponam aliquibus verbis Petri Criniti (De honesta disciplina, lib. v, cap. 1). " Viri aliquot et doctrina, et in rebus gerendis prudentia non vulgari, inter orandum exciderunt : sicuti ex populo Senensi Bartholomaeus nuper Sothinus juris cum civilis tum pontificii consultissimus, qui Alexandro Pontifici Maximo suae civi tatis nomine gratulaturus in media pro oratione excidit, Quam illi Angelus Politianus dicta verat ". Norbertus Bonafous in opere suo De Angeli Politiani vita et operibus disquisitiones, auctore Norberto Alexandro Bonafous. Parisiis 1843.- ne verbum quidem disputationi dedicat, sed haec tantum in medium adducit : " Ut absolutam tibi Politiani operum offeramusseriem, qua tuor orationes tantum memorabimus, primam pro Oratoribus Senensium ad Alexandrum VI , etc , -- 118 lani ; Joannis Lucidi Catanei pro marchione Mantuae ; Marci Montani ar chiepiscopi Rhodiorum pro magno magistro Rhodi ; Nicolai estensis epi scopi Adriae, pro Hercule Ferrariae duce; Nicolai Tigrini I. C. pro Lu censibus ; Petri Carrae, pro Sabaudiae duce; Rutilii Zenonis episcopi S. Marci, pro Ferdinando rege Italo; Sebastiani Baduarii, pro repub. Veneta. (V. Vitae et res gestae Summ. Pontificum, in Alex. VI). Cardinalis Ægidius, qui illis diebus vivebat (In Hist. 20. Saec. M. S.) haec de illo: Inerat Alexandro VI acerrimum ingenium, inerat solertia, prudentia, diligentia, et multae efficaciae facundia naturalis, nemo egit accuratius, persuasit vehementius, defendit pertinacius, cogitando, lo quendo, agendo, sustinendo... ut ad imperium natus videretur, cibi fuit, somnique parcissimus... nunquam publica munera obire, numquam ac cedentes admittere, nunquam cuique pro officio, vel adesse, vel respon dere recusavit. , Adiecit Nonnullos cardinales ab eo creatos insigni eruditione, magno ingenio, multa virtute praeditos; qui vel momo pla cere potuissent . (Un vizioso non s'incorona di uomini virtuosi !). Laudatur etiam a Panvinio in elogio a Nauclero : vir magni animi, magnae prudentiae, Callistique aemulator appellatur. Ea Janus Vitalis. • Nomine magnus erat, sed majorBorgia factis, Cuius dextera enses strinxerit una duos » . Erasmus Vitellius. Te (magnus Lithuaniaedux) unicum Jesu Christi vicarium, romanae Ecclesiae et totius christianae religionis Pontificem maximum recognoscit, cui firmam fidem, etveram obedientiam praestat, ac perpetuo pollicetur .. Joannes Lucidus Cataneus. Te (ait Mantuani Marc. orator) coelestis aulae janitorem, aeternae vitae clavigerum, indubitatum Petri succes sorem, Domini nostri Jesu Christi vicarium, patrem universorum fidelium, et Ecclesiae totius magistrumcognoscimus... Tibi supremi rerum omnium opificis potestas in terris concessa est, te supra mortalem conditionem honoribus merito prosequuntur, non solum reges et principes, colla sub mittentes, verum etiam imperatores augusti › . Nicolaus Tigrinus, lucensium ad Alexandrum orator, a C. Julio Cae sare Ispaniae quaestore eidem Alexandro VI originem fuissetestatus est, Andreas Victorellus haec affert. Et de Alexandro VI Tigrinus orat, et inter alia dixit : Quis iste tuus divinus, et majestate plenus aspectus? quid vultus et facies venerabilis ? etc. Sed inter hos missos legatos principum duos praeclaros viros excepit Alexander V1, nempe Angelum Politianum, qui senensium nomine, ad eum orationem habuit, ex qua haec verba sustulimus : • In Alexandro... formae elegantiam. Sapientia singularis, praestans a nimi magnitudo, qua mortales crederes omnes antecellere, et aetas ipsa pariter auctoritati retinendae, laboribusque ferendis idonea, et vigor iste tuus oculorum, ac vultus , plenaque dignitatis , plana majestatis facies , ac totius corporis vivida quaedam vis, et solidum robur; tum istud ipsum Alexandri nomen omnibus orientis populis formidabile; quod tibi credo -119 non frustra, sed divinitus adoptasti, magna quedam de te nobis rara, ardua singularia, incredibilia, inaudita pollicentur. , Jasonemque Mainum magnae aestimationis jurisconsultum; ex cujus verbis discimus in Alexandro VI fuisse formae elegantiam, quae virtuti suffragium adderet, latam frontem, regium supercilium, faciem liberalem, etmajestati plaenam, ingenium et haeroicum totius corporis decorem.. Nicolaus autem episcopus Adriae: Alexandri VI faciem venerandam, ethumana longe augustiorem vocavit. Petrus Carra jurisconsultus, oratione pereleganti, nomine Caroli ducis Sabaudiae, Alexandro VI obedientiam praestitit solemni ritu, aliis orato ribus adstantibus. Cum in Burchardi codicibus desiderentur quae auctor scripsit a mense junio ad finem hujus anni, non inutile erit hic ex aliis monumentis aliqua subjungere, ait Gennarelli citato loco , aliis pro ap pendice adservatis. Plura orator disserens de Apostolicae sedismajestate, de Sabaudis principibus, nec non de Pontificibus qui Alexandri nomine appellati, haec addidit, ex testimonio Raynaldi , qui ex oratione typis edita selegit. • Pulchrius tibi erit et gloriosus, si (quod omnes autumant) in Turcos molitus fueris, tequae alterum Alexandrum magnum in orientales illos reges, et populos Christi hostes ostenderis , ut ( quod maxime omnium optandum est, futurumque speramus) orientalem cum occidentali ecclesia conjungas, et te tandem verum Alexandrum magnum, Ponteficem ma ximum terrarum mundique Regem, et Christi Vicarium omnem omnes salutent, et adorent. Gentilis ille tuus gloriosae memoriae Pontifex ma ximus Callistus III, ut primum ad apostolatum assumptus fuit, id mente concepit, vovitque se perpetuo totis conatibus Turcos et infideles perse cuturum. Ad eam rem perficiendam ex omni Europa multa mari, terra que paravit, nonnullas barbarorum insulas vi expugnatas cepit, ingentes clades hostibus intulit..... Et infra: Dummajorem molitur victoriam, in ipsius primitiis Sanctis simus Pontifex ad coelos revocatur, cujus morte sicut interrupta sunt omnia, ita Turci et barbari maximo metu liberati. Tibi uni nunc hic honos, haec palma debetur, ut quod patronus Callistus incoeperat, nepos Alexander felicibus auspiciis prosequendo perficias. Oblata est tibi hoc tempore insignis occasio rei bene gerendae, quae te magis atquemagis incendereinflammarequedebet. Celeberrimus Ferdinandus RexHispaniae, unde tibi nobilissima origo est, postquam barbaros Christiani nominis hostes bis atque saepius ingenti clade percussit, et trophea saepe nu mero de ipsis statuit, superiore anno victricibus signis universum Be thicae regnum illis eripuit, chistianisque restituit. O felicem, divinumque principem! O clarissimum , et praestantissimum regem cunctis saeculis literis ac monumentis celebrandum! Hac una Ferdinandi victoria latro nes illi spurcissimi trepidant, pertimescunt, latebras quaerunt. Proinde si Redemptoris nostri vexilla te duce moveri, et Alexandri VI signa prae senserint, tantus eos tui nominis terror invadet, ut facile tibi eventurum credamus, quod Alexandro magno contigit, cui ab ultimis etiam mundi -- 120 littoribus legationes undique nuntiabantur, quibus cunctae gentes velut destinat sibi Regi obsequerentur. • Dum igitur trepidant , tolle moras: nocuit semper differre paratis. Habes quoque domi, et in his excelsis tectis veluti captivum Zizimun Sultanum magni Turcorum regis fratrem , maximum certae fortunae tuae victoriae momentum: is non parvo adjumento tibi exercitibusque tuis multis rationibus est futurus. Non deerunt, ut opinor, in tamprae claro divinoque opere christiani principes, potentatus, respublicae: om nes omnibns viribus, omnibus copiis te sequentur: nihil certa ad eam rem de futurum tibi video, modo velis, velle autem debes: nec te, mihi crede, hujus consilii unquam poenitebit. Parata est tibi immortalitatis gloria, Alexander , modo tu Christi gloriam; a quo tua omnis emanat, diligenter, ut sperant omnes , inquiras ; nec enim ad cibum, ad potum, ad titillantem prurientemque corporis voluptatem nati sumus , verum, ut soles dicere, ad decus, ad dignitatem, ad labores, adjustitiam, ad ae rumnas etiam pro justitia perferendos: at quae major justitia dici exco gitarique potest, quam injurias Christo Redemptori nostro illatas ulcisci: gregem suum a barbaris oppressum , christianum populum Terrasancta spoliatum, ludibriis et contumeliis affectum, defendere? Cogita, Pater sancte, quot urbes, quot provincias, quot regna, quot imperia , et supe rioribus et nostris saeculis barbari christianis eripuere. Nam ut Jeroso lymam terram sanctam Christi domicilium, et ea omnia loca, in qui bus salutis nostrae mysteria sunt tractata silentio praetereamus, ut Sy riam, Phoeniciam, Egiptum, Achajamnostrorum olim Sabaudiaeprincipum provinciam, ut GraeciametAsiam Minorem, ac innumeras fere provincias omittamus, horret animus meminisse quas clades nostris etiam tempo ribus Mahometana rabies populis christianis inflixerit: recens est adhuc Costantinopolitana calamitas, recentia Euboriae clades, quae sine lacry mis a christianis audiri vel censeri non possunt..... Et infra: Age itaque, Alexander, exurge, te ipsum excita , te hor tare, te verum Alexandrum in orientales illos infideles ostende, nam Christo duce non minoracerte gesturus est quam Alexanderille magnus, qui cum nullo unquam hoste, ut legitur, est congressus , quem non vi cerit, nullam urbem obsedit, quam non expugnaverit, nullam gentem adiit, quam non calcaverit; sed de his satis. , Bernardinus Carthaginensis , et Johannes Pacensis episcopi fuerunt oratores regis, et reginae Hispaniarum, quibus adjecerunt hi reges ter tium oratorem extraordinarium Magn. D. Didacum Lopez de Hare licet desiderentur quid de hac legatione Romae actum sit in Burchardo , ta men ex Surita aliisque historicis tum hispanis, tum italis , noscitur rex Hispanus suspectam habuisse fidem Caroli Gallorum regis pro requisi tione Neapolitani regni; ideo hac, aliisque multis de causis, super juri bus in novo orbe adipiscendis, legationem hujusmodi misisse (sed istae causae non fuere pro certo illae a calamo improbo enumerate Stephani Infessura). • Hispanus vero (sic Raynaldus ex Surita) metuens ne Carolus Gallo -- 121 rum rex parto, Neapolitano regno, Siciliae insulamveteri jure affectaret, cumjam se Siciliae et Jerosolymarum regem incardinalium senatu ora toris Aubiniis voce se appellasset, tum etiam Johannis Aragoniae regis, qui , Alphonso seniore extinto, ad regnum vocatus fuerat successionis jure, tum quod ab aliquibus magnatibusinspemNeapolitani imperiivo caretur, amplissimum oratorem ad Alexandrum misit, utaGallicaillum amicitia divelleret, contenditque ab eo ne nova in Italia bella concitari sineret, quia potius dissipatis omnibus intestinis christianorum discordiis arma sacra in Turcas jungerentur. , Hinc si super juribus in orbe novo adipiscendis omniaregibus Hispanis successerint in votis. Non autem eamdem fortunam legatio eorum obti nuit quoad res italice, ad declinandam gallicam invasionem a regno Neapolitano, uti ex historia patet. Gentilis, episcopus Aretinus, orator Florentinorum edidit orationem ha bitam nomine Florentinorum ad Alexandrum VI romanum Pontificem (Parisiis, apud Hieronimum de Marnet 1577 in 16). Georgius Blandrata, ex Hypporedia, Italus, Bonifacii marchionis Mon tisferrati, orator Romanus, scripsit orationem, quam habuit Romae. no mine Bonifacii marchionis Montisferrati ad Alexandrum VI Summum Pontificem. Sub quo vixisse in dubium revocari nequit. CAPO UNDECIMO. Magnanima parlata d'Alessandro VI, fatta in presenza di varii cardinali a Cesare, detto poi Valentino. Quantunque probabilissimo sia che quest'allocuzione d'Alessandro VI, aCesare suo figliuolo, sia stata fatta fra il tempo che trascorse dall'ele zione sua al papato alla sua incoronazione; nulladimeno , per non di sgiungere i capi della creazione ed incoronazione d'esso Alessandro , ci accomodiamo volentieri il trascriverla dopo questa; tuttochè sia di pro venienza un poco sospetta, e senta essa della penna d'un Burcardo, d'un Gordon, d'un Gregorio Leti e simile consorteria, i quali infallantemente non risparmiarono d'inventare favole indecorose, maligne sottoogni verso, affine d'abbassare, avvilire il Borgia. Ma come l'ape che dall'amarissimo timo estrae il dolcissimo mele, così proviamoci altresì noi di torre da questa parlata alcune riflessioni non ingloriose ad esso Papa. Cesare, figliuolo di Alessandro VI, giovane ancora, in sur i ventidue anni circa, stava nello studio pisano con altri giovani nobili , vescovi e cardinali, secondo l'uso di quel tempo: saputa l'elevazionedel padre suo al pontificato, volò per le poste a baciargli il sacro piede; e gli scrittori (Diarium Burchardi, ab Achille Gennarelli aequite, etc., etc., ablecto, etc. Florentiae, ann. 1855, pag. 211, not. column. 1, vers. medium et seq.) ci -- 122 riportano la parlata fattadaAlessandro VI pubblicamente aCesareBorgia in presenza di molti prelati insigni, in quella che gli stavaginocchione innanzi. Parlata memorabile, che ci dipinge quale fosse e volesse essere Alessandro, e ci porge un'idea delle sue alte mire, alle qualisenonpotè poi con tutta purezza pervenire, abbiamo fondato argomentoche debba sene accagionare assai più la tristizia dei tempi, che non il suo cuore , per quanto ne schiamazzino in contrario i nemici suoi. •Ben ci persuadiamo, Cesare , dicevagli il Santo Padre, che vi siate singolarmente rallegrato per questo grado sovrano, a cui la bontàdi vina è rimasta contenta di farci ascendere oltra ogni nostromerito. Ve n'è dovuta la contentezza per nostro rispetto , come in contraccambio dell'amore che vi abbiamo portato e vi portiamo. Vi è dovuta per vo stro interesse, poichè potete promettervidi riceveredalla nostra mano quei benefizi, di cui le vostre buone parole vi renderanno meritevole; il che a' giorni d'oggi non è poca, nè ordinaria fortuna. Ma se le vostre con tentezze (l'istesso diciamo ai vostri fratelli) si sono innalzate con più va sti e meno regolari disegni, vi hannoingannato, e ve ne troverete deluso. •Abbiamo aspirato, il confessiamo, forse con smoderatezza alla sovra nità del pontificato, ed abbiamo tenuto per arrivarvi tutte quelle strade che à saputo rintracciare l'umana industria (1), solo perchè ci siamo fi gurati, giunti che noi vi fossimo, di camminar così direttamente per le vie che conducono al miglior servizio di Dio e allamaggior esaltazione di questa Santa Sede, che in una gloriosa memoriadei nostri giusti an damenti, cacciata ogni nota degli errori passati, e venisse esposto ai no stri successori un sentiero per cui, non volendo dietro le vestigie degli antichi procedere da santi, potessero almenosopra le nostre pedate cam minar da Pontefici. • Iddio che ci à secondati neimezzi, richiededa noi l'adempimentodel fine ; e noi siamo pronti asoddisfare aquesto gran debito, perchè non vo gliamo necessitarlo ai rigori della giustizia con le nostre fraudi. Un solo impedimento potrebbe attraversarsi a questabuona intenzione, il troppo interessarci ne' nostri interessi , ma questo siccome siamo risoluti di te nere lontano dal cuore edi schivarloalpossibile, così preghiamo Dio che ci tenga la mano sopra acciocchè non v'inciampiamo, giacchè non vi può inciampare un Pontefice senza cadere, nè cadere senza un grande danno di questa Santa Sede. • Piangeremo fin che avremo vita le colpe che ci fanno aver espe rienza di cotal verità, e piaccia a Dio che la felice memoria di Callisto nostro zio non porti ancor oggi più di quelle, che delleproprie, le pene nei cruciati del purgatorio. Egli era ornato di ogni virtù e colmo di santissime intenzioni , ma amatore dei suoi e di noi sopra ogni altro , (1) Vie ed industrie di un ordine estraneo a Simonia, come dichiara il medesimo Pontefice A lessandro VI dicendo più sotto che Iddio ci ha secondati ne' mezzi per conseguire il Papato, certo che intende che quelle strade cui ha saputo rintracciare l'umana industria non sono si moniache e viziose, perchè non da Dio, ma dal demonio sarebbero state suggerite. -- 123 onde, lasciandosi reggere ciecamente da questo affetto , anzi da quelli dei congiunti, che erano pur troppo divenuti suoi proprii , accumulò in poche teste e forse men degne, quei benefizi che dovevano rimunerare il merito di molti; pose nella nostracasa que' tesori cheononbisognava congregare adispendio dei poveri , o faceva mestieri di convertire in miglior uso. •Smembrò dallo Stato ecclesiastico il ducato di Spoleto ed altri ric chi dominii, per concederli anoi in feudo, ed appoggio sopra lanostra debolezza la vice-cancelleria, la prefettura di Roma, il generalato della Chiesa, e tutti gli altri incarichi più autorevoli; i quali doveano essere conferiti giustamente a quelli che per meriti rilevanti ne erano resi più capaci; vennero dalui promossi a nostra contemplazione alle dignità supreme certi tali che non possedevano altra condizione per ascendervi cheil nonpoter riconoscere lalorofortuna da principiopiùdegno della nostra beneficenza, e tenuti addietro gli altri , ne' quali i molti e pre clari meriti ci rendeano sospetta la dipendenza. •Per ispogliare Ferdinando d'Aragona del regno di Napoli, si accinse ad una arduissima guerra , di cui un esito fortunato non era per risul tare che a nostra grandezza, ed un evento infelice non poteva arrecare che scorno e detrimento notabilissimo alla Santa Sede. Insomma lascian dosi egli governare da chi con ordine pervertito ordinava il pubblico governo al proprio privato interesse, pregiudicò non poco aquesta Sede, allasua fama, e, quel che più è rilevante, alla propria coscienza. •E pure (ogiustissimi giudizi di Dio ) perquanto egli vi si adoprasse, non potè stabilire in guisa la nostra fortuna, che in aver lasciato vuota la sede pontificia , questa non desse volta, e non ci lasciasse in abban dono ad una indiscreta furia di popolo ed agli sdegnivendicativi di quei baroni romani che si chiamavano offesi da alcune nostre particolarità alla fazione avversa. Onde non solo ci convenne cader precipitosamente dalla più rilevata parte delle grandezze e degli Stati a noi donati, ma, per non perdere con quelli la vita, sottrarci per qualche tempo con un volontario esilio, e di noi e degli amici, dall'impeto di quella commossa burrasca. (Dove adunque le sfondate ricchezze dei Borgia !). •Daquesta prova fummo resi accorti che, sapendo Iddio deludere gli umani disegni quando sono meno che giusti, è grande errore dei Pon tefici lo studiare più al bene di una casa che può durare pochi anni , che aquello della Chiesa che deve essereeterna; ed ègran follia di quei politici che avendo il maneggio di un dominio che non à da essere e reditario per essi e pe' successori loro , ergono gli edifizi della propria grandezza sopra altri fondamenti, che di eroiche virtù esercitate a pro' di tutti, e si promettono altronde la durevolezza della loro fortuna , che dal non far nascere dalla calma i turbini che possono loro muovertem pesta, cioè a dire i nemici ; il solo oprare da senno d'uno dei quali più danneggia di quel che giovino le dimostrazioni fallaci di cento amici. Se voi e i vostri fratelli v'incamminerete per questo lodevole cam mino di cui vi additiamo la scorta, non desidererete aiuto dalla nostra -- 124 manoche non vi venga prontamente prestato, maseprocedendopervie meno che virtuose, penserete che la nostra affezione abbiada farsi mi nistra dei vostri disordinati interessi, la prima vi renderà accorti che siamo Pontefice per la Chiesa, e non per la casa, e che, come vicario di Cristo, vogliamo oprar ciò che Egli dispose a pro de' cristiani, non quel che disporrete voi a pro di voi. Questa magnanimaparlata pubblica ed ingenuadi Alessandro VI, non dacircostanze imperiose dettata, ma spontanea uscendo di suo labbro pontificale, bisogna confessare che fossefiglia di un cuore nobile, schietto egeneroso, che umile rivela i proprii falli, e palesemente li riprova, se condo il celestial dettame registrato nel libro divino dei Proverbi , сар. XVIII, 17, Justus prior est accusator sui: Il giusto è il primo ad ac cusar se stesso. Atto questo sol degno di un'anima sublime, la quale dichiara solennemente che i sentimenti cui davvero allora nutriva, sa rebbero per l'innanzi di continuo tali quali li manifestava candidamente in quel punto ; gl'ipocriti schifosi non sarebbero unquemai capaci di so miglianti confessioni eroiche ! Quindi, se i propositi d'Alessandro VI non vennero attuati pienamente, secondo prometteva, ragguardo al politico governo (poichè quanto alla Fede fu lodevolissima la sua reggenza) , fa d'uopo conchiudere aver fallito a'suoi disegni le circostanze, i tempi, gli uomini, e forse più di tutto il breve suo pontificato ; chè , del resto, un risultamento ancora assai più prospero pel dominio temporale della Chiesa non solamente , ma dell' Italia intera sarebbesi conseguito. Ma stava scritto ne'cieli a caratteri indelebili che non sorgesse libera Italia ! Fa d'uopo parimente conchiudere che, se scrittori ostili aiBorgianon avessero male interpretato le intenzioni d'Alessandro VI, stravoltele ed esplicatele in pravo senso, ben lungi dal ravvisare in essolui un fedi frago, un tiranno, un vizioso, ammireremmo anzi un santopontefice, un principe assennato e d'animo veramente italiano, superiore in eccellenza aquanti allora si annoveravano. E se apparve talvolta rigido e severo, egli è perchè così richiedea altamente il salvamento di parecchie pro vince di Romagna: non fu più aspro di quello che si mostra la mano d'Ippocrate, che inesorabilmente col ferro ecol fuoco tronca od ammorta il cancro per salvar la vita. Quanto verremo di mano in mano nei sin goli capi esponendo, appianerà questo nostro pensamento. CAPO DUODECIMO. Elezione di Giovanni Borgia il Seniore in cardinale, fatta da Alessandro VI. Dappoichè ebbero i nemici d'Alessandro VI malignato sulla elezione di lui , senza frapporre indugio, alla taccia di simonia fanno tener dietro quella di fredifrago, perchè contra la convenzione fatta egiurata incon 125 clave, di non promuovere niuno dei suoi consanguinei alle prelature, avesse subitamente nominato cardinale-prete col titolo di santa Susanna, il 30 agosto 1492, Giovanni Borgia il Seniore, Valentino, di Spagna, ar civescovo di Monreale, protonotario apostolico e correttore delle lettere apostoliche, ecc , ch'era figlio d'una sua sorella, epperciò nipote. Ma di questa costituzione, nel conclave formulata, il Burcardo, attento annota tore di quanto possa essere indecoroso ai Borgia, non ne faparolaasso lutamente; e se veramente avesse esistito, avrebbela questo critico sfre nato passata sotto silenzio? Mai no! Pure soggiugnesi: essa va girando per le pagine di parecchi autori : èvero, nol neghiamo; ma dissimilmenteconceputa, secondo lorotalenta, il che induce grave sospetto di supposizione fraudolenta. D'altronde il Gennarelli, che ne arricchisce pure il suo Diario burcardiano, pag. 215, е cita in altre cose minutamente gli autori e le opere d'onde trasse i suoi documenti, si accontenta d'allegarla senza citazione di sorta; nella quale bisogna manca egli certamente, perchè volendo esso, coi precedenti, muo vere di siffatta creazione colpa di spergiuro , avrebbe dovuto fulcire la Bolla di tutte le consuete e debite citazioni ed autenzie , acciocchè essa non appaia suppositizia. Riportiamola per intero tale quale la trascrisse egli, ed anche ammessa quella costituzione firmata da voto e giuramento, non obbligatoria pel Papa, rileveremo dallalettura di essa che AlessandroVInon fu fedifrago, nè spergiuro; perchè da quella risulta che i medesimi cardinali, i quali aveanlo a ciò obbligato, furono dessi che neloassolvettero, esortandolo, almeno lamaggior parte, alla nomina in cardinale di quel suo nipote Johanni tit. S. Susannae presbytero cardinali. •Auctoritate apostolica tenore praesentium attestamur, et fidem faci mus, ac declaramus nos sic promittendo, jurando et vovendo menteges sisse contenta in promissione, juramento et voto praemissis firmiter ob servare et adimplere, nisi nobis de eorundem fratrum, seu majoris partis eorum consilio videretur ad tui etiam sic qualificati in cardinalem as sumptionem fore procedendum, nosque ad ejusdem voti, promissionis et juramentis observationem sub dicta conditione, et non alias obligasse ac teneri voluisse, licereque nobis ad tui in cardinalem assumptionem pro cedere, voto, promissione et juramento praedictis minime refragantibus, et pro potiori cautela ad obstruendum ora sic asserentium , qui de hu jusmodi declarationis nostrae in his viribus et sufficentia adhuc haesi tarent, nos ipsos de simili consilio et assensu, et apostolicae potestatis plenitudine, quo ad tui assumptionem praedictam dumtaxat, a voto, pro missione et juramento praedictis, si et quatenus expediat, absolvimus, ac decernimus ad probandum plene hujusmodi nostram et eorundem fra trum nostrorum in sic vovendo, promittendo, ac jurando necessitatem et intentionem praesentes literas sufficere, et alterius probationis admini culumnonrequiri, etc.Dat.Romae, apudSanctumPetrum, anno Mccccxcи, kal. septembris. › Daquestabolla impertanto emerge chiaro in prima: che quei porpo -- 126 rati, i quali aveanlo spinto acotal giuramento, poscia lo persuasero del contrario; secondamente: che il voto e il giuramento fu pronunciato colla precisa eccezione di procedere all'innalzamento del suddetto nipote; terzo: che in prova della liceità e validità della nominazione, gli spe diva somigliante Bolla, che per se sola era valevolissima a chiudere la bocca ai chiosatori mordaci. Aquesta risposta, noi mediocri canonisti, soggiugniamo all'istesso Gen narelli quanto egli saviamente già riferì adiscolpad'InnocenzoVIII in con simile accusa(Diar. Burch , p.34, n.1)nonmenocheatutti quelli i qualian faneggiansi per iscreditare la promozione d'Alessandro VI fatta: Che immeritamente si lagnano essere stata dal Papa commessa una frode, perocchè debbesi por mente, secondo il Rinaldi, che non sarebbe quella stata una legge, ma una corruttela indotta a rovinarelaponteficale po testà; che non è unquemai permesso nè ai monarchi, nè aicesari, molto meno agli urbani magistrati, imporre al sommo gerarca, che sta per impugnare le redini della Chiesa, delle leggi sur i sacerdozi daconfe rirsi. La sarebbe per fermo cosa strana che i cardinali avessero voluto con leggi legare il Pontefice futuro, quando èconto che dallaBollad'In nocenzo VI e dal diritto pontificio non si può coartare l'autorità del Pontefice, e che i cardinali, essendo di pastore vedova laChiesa, nongo dono d'altra autorità salvo quella di dare un novello Antiste all'orbe; e sarebbe cosa presso che inesplicabile, se il collegio di quei porporati, sì eminenti per pietà e dottrina, come abbiamo provato, avesse cospirato contra le bolle e le costituzioni dei Pontefici. , Ragioni queste le quali il discolpano anche per lepromozioni ulterior mente fatte di altri suoi agnati. Di tale maniera impertanto Alessandro VI, negli stessi primordiidi suo pontificato, il giorno trentesimo d'agosto 1492, iniziò il suo primo con cistoro colla creazione di quest'unico cardinale, suo nipote per parte di sorella, Giovanni Borgia. Del merito e delle azioni di lui parleremo ap positamente in altro capitolo, unitamente a tutti gli altri cardinali no minati da questo Gerarca. CAPO DECIMOTERZO. Atti lodevoli e salutevolissimi d'Alessandro VI, sul principio del suo pon tificato, pel buon governo di Roma. Lacondotta che aveva tenuta in prima d'esser papa il Borgia , e che mantenne ancora sul principio del suo pontificato (scrive il continua tore del Fleury, noto per la sua antipatia contro ad Alessandro VI) , la dolcezza, la moderazione, le ordinanze sagge da lui stabilite per l'ammi nistrazione della giustizia e pel sollievo dei popoli , facevano concepire grandi speranze. -127 Quindi, quasi pentitosi il buon Fabre di siffatto elogio meritevolmente dato ad Alessandro VI, abbandonandosi egli al Mariana, alGuicciardini, tira giù alcune pennellate ad esso assai svantaggiose, non solo garga gliando che cambiò egli presto di linguaggio e di sentimento nella sua condotta, ma che si brutto in colpe tali, che invero durerà fatica lapo sterità a credere che un uomo, il quale aveva sostenute le più onorevoli cariche della Chiesa avanti la sua promozione , e che aveva dall'altro canto tante eccellenti qualità, abbia potuto oscurarle con tanti vizi, da far ispargere lacrime per questa elezione a Ferdinando re di Napoli, principe che aveva molta esperienza, e che sin d'allora prevedeva tutto quello che si doveva temere nell'avvenire ! Innanzi tutto rispondiamo, che se Alessandro VI deposé la dolcezza e lamoderazione, fu perchè antivide, da accorto qual desso era, che tor nava questa disutile e perniciosa al buon regime dello Stato. Quegli ol tracotanti feudatari suoi, sitibondi di rapine e di stragi, dovevanoadunque lasciarsi sempremai liberi a soverchiare ideboli, acorrere sfrenatamente di scelleratezza in più immane scelleratezza ? Continuando costoro ad imperversare, doveva il Pontefice con riprovevolissima connivente dab benaggine assecondarli? E dove mai si legge, fidentemente noi pronun ciamo, che Alessandro VI sia stato immisericorde verso del povero e del l'afflitto ? Dove, che non abbia costantemente governato la Chiesa con saviezza e pietà somma? Era Papa-Re, doppio compito da attuare! Ètanto conto che, asceso il Borgia sulla cattedra di Pietro, converti. ogni suo pensiero alla gloria di Dio ed alle bisogna della città, pubbli cando incontanente i più saggi editti per l'amministrazione della giu stizia e pel sollevamento de' popoli, che l'istessa lurida biografia d'esso Alessandro VI, uscita nel 1853 dall'officina della Gazzetta del Popolo, in Torino , dall'evidenza sopraffatta, fu costretta a confessare che : diè provvedimenti per l'annona, e forni Romadi tanto pane e vettovaglie, che i vecchi non si ricordavano altrettanto. •Mise buon ordine nelle limosine, cui fece erogare copiose ai poveri dei diversi rioni della città. Curò la giustizia con mano sì ferma, che a nessuno operaio venisse la sua mercede negata o ritardata, e pose a so praintendere alla giustizia quattro dottoroni di grande fama, di senno e d'integrità, i quali conoscessero di qualsivoglia causa criminale. E sic come sotto papa Innocenzo VIII erano corsi assai disordini, e durante la sua ultima infermità erano state ammazzate in Romameglio di 220 per sone, così, per incutere un salutare timore, volle che inavvenire la pu nizione seguitasse pronta il misfatto. •Onde, avendo un certo Salvatore (narra il Burcardo nel suoDiario), figliuolo di Tuzio dello Rosso, il di terzo di settembre 1492, in mezzo del campo diFlora, insultato Domenico Benavveduto, nemico d'esso, col quale nulladimeno viveva sotto la malleveria di cinquecento ducati , con due botte il percosse e sì létalmente ferì, che n'ebbe a basire. Nel giorno im mediatamente seguente il Papa ingiunse ai Conservatori di Roma ed al popolo il diroccare e spianare la casadel micida fuggiasco, e nell'istesso -- 128 dì il complice Girolamo, fratello di cotesto Salvatore, ad istanza dell'as sassinato Domenico, venne impiccato. Così nel quarto giorno di lui fu presa vendetta, il che (conchiude il Burcardo) hassi da credere non sia avvenuto senza disposizione di Dio. Il Papa cassò dai fideiussori la pena. • Nè però trascurò le carceri, dove soventi volte l'innocenzapiange, e nominò parecchi visitatori, i quali dovessero continuamente udire i giusti lamenti de'carcerati, e render loro ragione. •Oltracció spalancò le porte del palazzo a tutti, ed a ciascun martedi della settimana accoglieva uomini e donne con maestà benigna, o com ponendone speditamente i piati, o dando sentenza d'assennato giudice. Se ne cominciò pertanto ad amministrarsi nella città la giustizia rigo rosissimamente ed in ammirabil modo, e fecesi estimarepontefice severo dai grandi, ed affabile abbastanza dagl'infimi. •Ed ataluno che il pregava di sostare dal gran travaglio per cura della sanità, rispose, che era papa per governare e non per governarsi; e per essere quello imperio elettivo, poco importare ch'egli mancasse. Giusto estimatore degli uomini valorosi (fosse pure imitato ) li cercava e manteneva con grande onore a spese dell' erario pubblico ; e Roma di ventò inbreve onorato ricetto dei personaggi più virtuosi della cristianità. • Questi suoi modi, se da un lato gli guadagnavano l'affetto del po polo, dall'altro gli suscitavano contra le inimicizie pepotentibaroni, av vezzi in Roma a fare del libito la legge loro. Ond'egli uscì talora per dir messa e cantare le litanie in mezzo ad una folla di cavalieri armati di lancia, di scudo e di corazza. Afforzò il Castel Sant'Angelo e quella parte delle mura che guardano il palazzo papale (ed una porta è tut tora insignita Alexander VI Papa fecit), esoldando cavalli e fanti, trat teneva intorno a Roma più di quaranta squadre di soldatesche, le quali cagionavano assai timore ». Se pianse il caparbio Ferdinando re di Napoli, ne ebbe ben d'onde ; perocchè questo volpone canuto prevedeva in Alessandro VI un pontefice atto a fargli scontare le sue ingratitudini verso dei sovrani gerarchi commesse, e a rintuzzare quella sua fiera oltracotanza si ostile allaChiesa. Da ultimo, gli autori dei quali si valse il Fabre per dare quelle atre pennellate sulla fama del Borgia, sono non solamente sospetti di mala fede, chè anzi vennero in grido di maligni detrattori. Del resto, ben lungi dallo sprezzare Ferdinando il novello Pontefice, egli fu il primo de'monarchi europei cattolici che inviassegli per so lenne ambasciatore a complimentarlo di sua esaltazione il proprio fi gliuolo, il principe Federico, secondo ciò che ci narra l'istesso Burcardo nel suo diario, di che noi dovremo più sotto appositamente toccare. Non si tenne pago Alessandro VI di mostrarsi sollecito amministra tore di giustizia, e provveditore attento sur i bisogni de' sudditi suoi, ma volle altresi porgere argomento indubitato all'alma città di Roma ed all'orbe cattolico quanto apprezzasse egli la pietà e la santità. Sentiva cordoglio amarola Chiesa pel trapasso da questa all'altra vita avvenuto in Terni il giorno decimoquarto di settembre 1492 del cardi -- 129 nale MatteoGerardo, patriarcadi Venezia, inquellache ritornavadal con clave alla sua sede; perdita grave! la quale stavasi addoppiando per la deliberazione ferma del cardinale Ardicino della Porta di svestirsi della porpora sacra, giusta l'impetrata facoltà da Innocenzo VIII, e nascon dersi fino alla morte nell'eremo di Camaldoli: ma accortisene i cardinali, ed avvertitone Alessandro VI, nell'atto istesso in cui usciva travestito ed incognito dalla città di Roma, con senno il più lodevole il rattenne, ed irremovibile perquanto pianto spargesse, il costrinse a rimanervisi, dove seguito ad essere l'esempio de' buoni ecclesiastici fino alla morte sua, la quale l'incolse l'anno seguente. Ora l'avere il Papa voluto tenere colla sua volontà energica un mo nitore si santo e rigido al fianco suo, mostra ad evidenza quanto esti masse la virtù, e non ne temesse lo splendore: contatto che fuggono mai sempre i permalosi ed i facimali. Non dissimuliamo, no, che il Panvinio scrisse non esservi mancati nel conclave alcuni cardinali, i quali, conoscendo quanto fosse Alessandro VI nel segreto simulatore eccellente, abbiano predetto essere stato molto alla cieca eletto Pontefice, e dover essere una grande rovina di tutti ; e che difatto taluni di coloro, i quali promossero quest'elezione, abbiano sen tito non guari dopo varie calamità, altri d'esiglio, altri di crudel pri gione, altri condannati a violente morti. Ma quale fede si merita mai il Panvinio, scrittore napoletano ed astioso ragguardo ad Alessandro VI ? Non vi sarebbe paradosso in questa sua affermazione? Come mai i car dinali, subitamente, spontanei, in numero di ventidue, secondo lo stesso, cioè unanimi, meno forse il soloGiovanni de' Medici, abbiano dato il voto al loro carnefice ? Ciò è improbabilissimo ! Tanto più apparisce falsa la asserzione di lui, quanto che quei fatti suddetti di sevizie si spiegano, si mitigano, si rigettano, si dimostrano inconsentanei al vero. Il che ver remo man mano operando coscienziosamente. Siamo pure indulgenti verso degli avversari che (Rivista e Biblioteca contemporanea. Torino, 1854, anno I, fasc. 4, cap. 6, pag. 298 e 299) : il forte ingegno e la simulazione profonda succeduta alle giovanili intem peranze del Borgia, abbiano adunque allucinato, in parte sedotto l'animo degli elettori : ma di lui, pontefice, rumori troppo vaghi sul principio, si tradussero in fatti sotto la penna, ed il lungo ripetersi delle fazioni po litiche, alle quali appartenea il parzialissimo Guicciardini, che esordiva la sua Storia dall'anno 1493 appunto. • Noi deploriamo i vizi ovunque siano, ma ricordiamo i tempi corrot tissimi, le atroci politiche, e più di tutto il divino consiglio di non al terare le condizioni della personale e privata libertà nelle individuali azioni dei Papi, frenandola tuttavia con perenne assistenza a non dover mai corrompere l'autentico magistero delle anime; dandoci a venerare, non l'uomo che pecca, ma il Vicario che Iddio tiene nella destra sua ; e con ciò fortificando il merito della fede, cui l'Onnipotente regge dall'alto, quando le tempeste minacciano d'affondarla. Ricordiamo le azioni del 9 -- 130 principe doversi separare dalle azioni del pontefice, in quell'età special mente che univa il decimoquinto al decimosesto secolo. •In quel vigoreggiare delle monarchie circondanti l'italica penisola, già divenute centri e leve possenti alle grandi opere della politica, ed all'incontro, in quel battagliare e infievolirsi delle potenze italiane per divenire pasto più facile alla straniera ingordigia; se giusto è il preten dere più retto ed elevato senno nel principe romano, non veggo però che la qualità del Pontefice debba rendere infallibile lapoliticadel prin cipe temporale, nè che a questo disconvenga l'usare nel tempiola stola, e sul trono la spada. Anzi, a danni dell'Italia concorrendo allora le fa zioni interne colle esterne aggressioni, e involgendo quelturbine lo stato pontificale, era pure necessario che maggiore estensione e intensità pi gliasse allora la politica dei papi; come ci faranno intendere il rispetto civile del papato e le parti sue nelle sorti, o prospere od avverse, delle cose italiane . La è cosa indubitata, che la nuova di questa elezione essendosi sparsa per tutta l'Italia, fu dai differenti principi sentita diversamente, per es sere allora la penisola nostra già da lunga pezza che troppo in preda alle più violenti commozioni, figliuole d'intrighi e di dispute tra pei pic coli sovrani dei numerosi stati in cui era divisa! Il carattere dell'eletto Pontefice era conosciuto, ed era sicuro ch'egli avrebbe saputo mantenere i diritti inalienabili della Santa Sede, far rispettare la sua autorità, ed indurre al dovere i ribelli. Tutti, scrive Guicciardini, avevano in alta stima la prudenza diBorgia, la sua perspicacia rara, il suo vedere profondo, la sua eloquenza grande quanto esser potea, la sua incredibile perseveranza, la sua attività, la sua infinita destrezza in ogni sua intrapresa. Dopo di che lo storico asserisce ciò che quasi tutti hanno ricantato dopo di lui, cioè che queste belle doti venivano oscurate in Alessandro VI da vizi troppo più grandi. Non è questo il luogo di esaminare una tale affermazione: noi la cribreremo in appresso, con quella filosofia propria della vera storia. CAPO DECIMOQUARTO. Dissidii tra per papa Alessandro VI e per Giuliano della Rovere, cardi nale di San Pietro, accagionali da Don Federico, figlio di Ferdinando re di Napoli. Non erano ancora trascorsi due mesi dall'innalzamento di Alessandro VI alla cattedra del Principe degli Apostoli, che Giuliano della Rovere, car dinale di San Pietro in Vincoli (poi papa Giulio II), si scartò da Ales sandro VI per alcuni dissidii in apparenza di niuna importanza; ma che produssero col tempo conseguenze spiacenti; a coteste divergenze ag giunsero gravità le viete già avute tra il Borgia quand'era ancora car -- 131 dinale, etra l'istesso Giuliano, le quali stettero per un pezzo assopite, ed ora s'inasprirono talmente queste contestazioni, da non potersi più ac quetare nè sbarbare. Due animi inflessibili si urtavano! Questa disunione clamorosa tra siffatti animi alteri fu accagionata dalla venuta in Roma dell'ambasciatore del re napoletano per compli mentare il Pontefice, come ci racconta il ciarliere Burcardo, al quale noi possiam dar credenza senza peritare, trattandosi d'Alessandro VI, per cui non ha presso che mai miti parole. •Nell'anno 1492 (costui adunque scrive), nel mese di dicembre, alcuni giorni avanti il Natale del Signore, Don Federico, figliuolo del re Fer dinando, in qualità d'ambasciatore del padre, sen venne a Roma per pre stare l'obbedienza, e vi si portò molto sontuosamente e ben ornato. Egli fu con grande onorificenza ricevuto dal cardinale di San Pietro in Vin coli, il quale l'accolse con tanto onore e magnificenza, e il sostenne per alquanti giorni, che appenasi può ripetere (il Santo Padre usò pure verso di questo principe i più dilicati riguardi). •Narrasi, che il suddetto Federico tra le altre cose avesse domandato nel concistoro al papa Alessandro d'astenersi dalla dispensa del matri monio, cui avea richiesta il re di Ungheria, il quale voleva far divorzio con Leonora sua consorte, e figliuola del re Fernando, perchè non otte nesse da costei prole, e voleva sposare la figliuola del duca di Milano, e sorella d'Ascanio cardinale milanese; il perchè, affin di conseguire so migliante dispensa, si offerivano molte migliaia di ducati. •Divisando Sua Santità d'accordare una talefacoltà, sorsero molte al tercazioni fra di essi; talmenteche, come si dice, Federico se ne parti irato, epermare si recò ad Ostia. Il cardinale di S.Pietro in Vincoli veleggiò seco lui, che, come si vocifera, per averfavorito detto re, diventò nemicó al Papa per siffatta maniera, che non volle più ritornare in Roma , ma si stanziò nella rocca della città di Ostia, bene armato e munito , quasi che aspettasse contra sè un accampamento , e si astenne di ricomparire inRoma . Bisogna pure che questi rancori si accendessero gravemente in quei petti di bronzo, poichè il medesimo Burcardo subito prosegue : Avendo quandochessia il Papa Alessandro destinato d'andare a pranzare nel pa lazzo di San Giovanni della Magliana, già edificato ed ornato da Inno cenzo, ed avvicinatosi al luogo, quelli che vi si trovavano per allestire il desinare , avendolo veduto appressarvisi, per giubilo spararono una grossa bombarda; al cui rombo intimorito incontanente il Pontefice, seb ben digiuno, retrocedè , e ritornò nel palazzo di San Pietro, perocchè, come egli stesso manifesto, temette che quella bombarda fosse un segno dato al cardinale di San Pietro in Vincoli per sorprenderlo in detto sito. Enon volle entrarvi, ma senza frapporre indugi, contutta la sua comi tiva, non senza grave incomodo d'essa per essere ancora ognundigiuno, rientrarono in Roma . Or giova osservare: se Alessandro avesse porto a Giuliano altri motivi di dissapore, il Burcardo , non avrebbe per certo omesso di scriverli e -- 132 chiosarli & modo suo; quest'è il primo chesiasipresentato. Dobbiam noi imputare al Santo Padre la colpa della diserzione di quell'anima belli cosa di Giuliano? Maino! Anzi, per contro, dobbiamo incolparne la forte animosità d'esso Giuliano, se vogliamo essere imparziali. Alessandro era Pontefice, non doveva in concistoro sentirsi impor legge, in cose rag guardanti esclusivamente la Chiesa, dal superbo sovrano di Napoli, che già fin sotto d'Innocenzo VIII e Sisto IV avrebbe voluto disporre a proprio talento dello Stato Romano e delle istituzioni ecclesiastiche. Quindi si go vernò da pontefice, e reputò essere di sua dignità il resistere all'oltra cotanza napoletana, indecisioni di suo pien diritto. Giuliano era uomo : epperciò parteggiò da uomo per chi altercava col Pastore supremo; ebbe egli torto a far scissura , e tanto più torto per aver seguito il principe aragonese , e per essersi fortificato nel suo ve scovato d'Ostia contro al suo Gerarca, il quale che non disse , che non operò per indurlo a restituirsi alla pontificia Corte, desiderando somma mente che andasse a Roma, offerendogli per sicurtà la fede del collegio dei cardinali, di Ferdinando re diNapoli, edei Veneziani ? Inutilmente ! (Guicciardini, Storia d'Italia, lib. 1, cap.11). Ma egli, invece d'ubbidire alla voce del suo Pastore primario, rispondeva : Giuliano, Giuliano, non fidarti delMarrano ; contaleappellazione ingiuriosa soleva definireAlessandro VI, epaventandonesempre più la crescente indignazione, trasmigrò in Francia, pauroso d'essere attrappolato dalle melliflue parole e minacce di lui ; vi domicilio fino alla morte del Papa (Guicciardini, Storia d' Italia). Giu liano, divenuto Papa, avrebbecerto operato quel che disapprovava inAles sandro VI; ma Giuliano cardinale operava, come dicemmo, da uomo. Quel matrimonio stretto con la figliuola di Ferdinando era stato invali damente contratto , come più sotto ammette poi l'istesso Burcardo (1) ; epperciò dirittamente operava Alessandro VI. Nè dissimilmente dicasi di Raffaele Riario, il quale stettesene in vo lontario esiglio dieci anni, solamente perchè era divenuto sospetto al Papa per cagione di Forli e d'Imola, cui il Pontefice avea giustamente tolto ai figliuoli del conte Girolamo Riario, stretti parenti ad esso Raf faele. Questo suo bando fu spontaneo, e spiacevole al Santo Padre. (1) Burchardus in Diario : Feria tertia, VIII januarii 1493, hora vigesima, fuit congregatio sive convocatio omnium cardinalium ab ea usque ad tertiam horam noctis, in qua in pontificis prae sentia fuit disceptatum super dispensatione quam serenissimus Wladislaus Ungariae et Bohemiae rex (qui alias ad regnum Bohemiae, quod tune nondum fuerat assecutus, aspirans, ut illud facilius as sequeretur, cum illus. D. Barbara filia quondam Alberti Marchionis Brandeburgensis relicta quon dam ducis Schelesiae (Schlesiach)..... per legitimum procuratorem contraxit matrimonium, per verba legitime de praesenti in facie Ecclesiae solemnizatum , ac deinde dicto regno Bohemiae assecuto, vacante regno Ungariae per obitum piae memorie Mathiae regis Ungariae, ut et ad illud per prin cipes regni eligeretur, matrimonium cum illus. Domina serenissimi Ferdinandi neapolitani ac Siciliae regis, filia relicta dicti Mathiae regis Ungariae, per se ipsum, per verba de praesenti contraxit, ac illud carnali copula subsequuta consumavit) secum fieri postulabat, ut praemissis non obstantibus cum jam esset etiam dictum regnum Ungariae pacifice assecutus, posset matrimonium cum illus. Domina filia serenissimi Ferdinandi regis... rescindere uti diximus superius. 133 Giovanni de'Medici, il quale, guidato piuttosto da politici avvenimenti, odiato e temuto meno degli altri, tornò in Firenze, e vi dimorò finoal l'esiglio della sua famiglia illustre : egli parimente si governo a capriccio suo in tale sbandeggiamento. Così dicasi di Giovanni Colonna, che ve leggiò per la Sicilia : perocchè, se fossero stati concordi e sommessi al fianco del loro sovrano, l'animo di questo non sarebbesi tanto inasprito con esso loro, e non sarebbesi porto lo scandalo funesto di quelle scissure deplorabili tra per Sua Santità epei cardinali primarii. Tocca al sovrano umiliarsi ai sudditi, ovvero questi al loro Signore? Quando si spingono le cose agli estremi, si trasmoda sempredaentrambe le parti ! Una piaga, anche leggiera, se si esacerba, infistolisce. Noi veggiamo in Alessandro VI, circa questo affare, l'uomo, Rodrigo Lenzuoli, il Borgia, ma non già il Pontefice infame. Egli fino ad ora stette mirabilmente integro, e tale si conserverà; chè, cinto dall'aureola sfolgorante del cattolicesimo, non errerà unquemai , nè potrà aberrare riguardo alla santa fede, essendone il centro, ilcuore, la vita della fede stessa. CAPO DECIMOQUINTO. Oratori mandati dai Principi e dalle Repubbliche cristiane acomplimentare Alessandro VI. Il Burcardo, qualora si tratta di discorrere di squisiti vini , non ripu gna esso di scendere col suo Diario fino nelle più profonde ed oscure caverne, e gongola tutto di gioia nello assaporargli e distinguerli gli uni dagli altri. Se poi si ha da parlare di conviti, egli parimenti come un gradasso discende sul suo terreno, e degl'intingoli e dei manicaretti e dell'uccellame disputa con una scienza talmente culinaria e ghiotta, che pare essere nato, cresciuto, educato non fra gli odorosi sacri incensi, ma per mezzo le imbandite mense e la crapula. Ma se debbesi riportare in quella sua scrittura un brano onorevole dei molteplici oratori distintis simi mandati dai principi e dalle repubblicbe cristiane a complimentare Alessandro VI pel suo elevamento al vertice degli onori, egli ammuto lisce per siffatta materia, egli ha si tarpata la sua penna, che appena fa grazia di citarne il nome, numerarne le persone, ricordarne i titoli, infilzarne gl'inchini, fissarne i dì d'ammissione all'udienza. Noi pel con trario, curandoci poco di queste ristucchevoli notizie, desidereremmo che avessevi piuttosto innestato le belle parlate onorifiche da quelli fatte al Beatissimo Padre; ma se tale non è l'economia Burcardiana, questa sarà bensì la nostra. E dappoichè abbiamo precedentemente nell'apposita ap pendice arrecato (Vedi capo x , e seguente Appendice 1*) gli aurei detti loro, non dobbiamo ometterne il sintetico catalogo.
 I primi oratori impertanto partirono da Genova per ossequiare il Pontefice; questi furono Giacomo Spinola, dottore in ambe leggi, Giovanni Battista Adorno, Paolo de Flisco e Silvestro Inurea , cittadini genovesi, ed entrarono in Roma, con grandiosa festa accoltivi, il giorno secondo di dicembre dell'anno 1492, in cui ricorreva la prima domenica d'avvento.
 Il giorno quinto di dicembre 1492 si presentarono con molto apparato al Papa gli oratori di Giovanni Galeazzo duca di Milano, e di Lodovico, duca di Bari, che furono Ermete Maria Sforza, accompagnato da quattro altri oratori, e per tutti questi recitò l'orazione Giasone Maino, il quale formava il quinto di essi.
 Il giorno sesto di dicembre 1492 Roma vide altresi i cinque oratori della Repubblica veneziana, cioè Marino Leone, Cristoforo Driodo, Paolo Barbo, Sebastiano Budaurio, Andrea Cappello.
 Il giorno decimo di dicembre 1492 D. Federico, figliuolo secondogenito del re Ferdinando di Sicilia venne a presentare ad Alessandro VI gli omaggi di ubbidienza del padre suo, come antecedentemente abbiamo notato, la cui venuta cagiono quella rottura funesta tra pel Papa e pel cardinale Giuliano, sebbene il Papa fossegli stato prodigo di onorificenze singolari.
 Il giorno ventesimo di dicembre 1492 il vescovo Balneotense e don Giovanni Gili da Lucca, oratori di Enrico re d'Inghillerra, già stanziati fin prima del trapasso d'Innocenzo VIII, in vigore delle lettere lor date sino dal giorno sesto di settembre dal re medesimo, si presentarono alla Santità Sua per prestarle l'ubbidienza in nome di quel sovrano; l'orazione elegantemente fu pronunciata dal Vescovo succitato.
 D. Giovanni de la Serra, affine del Papa, fu l'oratore deputato dalla Francia. Il giorno sesto di febbraio 1493 entrarono parimente in Roma i tre oratori di Bonifacio Marchese di Monferrato, cioè il sacerdote Andrea Stovelli vescovo d'Alba, e Benvenuto di Santo Giorgio dei conti di Biendrate, e Lodovico de' Ticioni, che presentarono al Papa l'ubbidienza del loro signore Bonifacio.
 Il giorno venti di febbraio 1493 Wilielmo, arcivescovo di Sant'Andrea, oratore del re di Scozia, prese a contendere nella stessa cappella maggiore alla presenza del Papa e dei cardinali, col vescovo Nitriese, oratore del re d'Ungheria, per la precedenza a complimentare il Pontefice , la quale fu aggiudicata al re d'Ungheria, come erasi già praticato in consimile contingenza tra gli oratori di questi monarchi al tempo d'Innocenzo VIII.
 Nel giorno 27 febbraio 1493 sorse eziandio disputazione sul diritto di preeminenza tra per gli oratori del marchese di Monferrato e per quello dei Sanesi D. Sacio Benassali, che da ultimo cedette il luogo ai suddetti, i quali tutti concordi si presero poscia in mezzo D. Filippo Valorio , oratore fiorentino.
 Nel giorno 31 marzo1493elevossi pure altercazione tra Lorenzo de'Bibra canonico di Magonza, oratore dell'arcivescovo di Colonia, con D. Antonio de Clappis, prevosto di Worms, oratore dell'arcivescovo di Magonza, per la precedenza.
 Nel giorno 21 maggio 1493 vennero pure nell'eterna città quattro oratori, mandati dal principe Carlo Giovanni Amedeo duca di Savoia, il P. Bartolomeo vescovo di Nizza, il capitano Filippo Vagnone mastro di casa di esso duca, Pietro Carra consigliere e collaterale del medesimo duca , eil P. Giovanni Orioli; il Carra recitò l'eloquentissima sua orazione.
 Il 25 maggio 1493 D. Didaco Lopez de Haro, capitano, senvenne con altri personaggi in Roma mandato da Ferdinando ed Isabella re di Spagna ad offrirgli l'obbedienza loro, incontro al quale, oltre a varii prelati romani, andarono due altri vescovi spagnuoli, oratori di quei monarchi, già da pezza prima domiciliati in essa città, per trattare i negozi dei loro signori prefati. Furono dal Santo Padre accolti tre giorni dopo con distinzione singolare.
 Il giorno decimo di marzo 1494 il gran Mastro di Rodi presentò parimente con grande apparato al sovrano Pontefice i suoi tre oratori, personaggi ragguardevolissimi per età, dignità, scienza ed integritàdi vita, ai quali fecero corona nobilissima tuttiicavalieri dell'ordine Gerosolimitano i quali si trovavano allora in Roma, e ciò per comando di Sua Santità, la quale ricevette solennemente questi tre oratori , onorolli assaissimo, e dignitosissimamente gli accomiato.
 Nel giorno 15 di maggio 1497 giunse eziandio Lodovico Bruno, segretario ed oratore del Redei Romani, l'Imperatore Massimiliano; si stette anche sopra pensiero per la precedenza da darglisi sul vescovo di Lombez oratore del re di Francia; da ultimo la preeminenza fu data a Lodovico Bruno.
 Ora, tanta premura dei principi, tanto gareggiare fra loro de' più co spicui ambasciatori per la primazia ad ossequiare il Santo Padre in nome dei loro padroni , le umilissime , ed ossequentissime loro espressioni in onore del Borgia, sarebbero state indubitatamente una indegnaservilità, ed una derisione mordacissima quelle loro innumere felicitazioni fattegli pel suo meritato innalzamento , o per lo meno una buffoneria ridicolis sima ! Bisognerebbe essere acefali non solamente per prestarvi credenza, ma al puro idearselo. Il che resterà sempre più dimostrato nei seguenti capi, riflettendo come i monarchi italiani fecero una altissima quistione di stato , cosa da secoli inaudita! sul modo di regolare il più solenne mente possibile quest'ambascieria a Sua Santità, affine di presentarle con cordi le congratulazioni loro ossequiosissime. Ma basti il dettone, perchè in breve dobbiamo ritornarvi sopra. Alessandro VI, dappoichè ebbe ricevuto colla massima cortesia questi ambasciatori dei sovrani cattolici, egli caldamente gli esortò tutti a per suadere ai loro signori che intendessero unicamente a conservare in casa ed infra essi la pace, non volgendo i pensamenti ad altra guerra salvo aquella contro alla ferocissima nazione dei Turchi, ingorda e fiera delle spoglie cristiane (V. Vitae et res gestae SS. RR. PP., in Alex. VI, cit. loc ). -- 136 CAPO DECIMOSESTO. Morte di Federico III imperatore, a cui succede Massimiliano , che ad istanza di Alessandro VI marcia contro ai Turchi. dinando in Ispagna sopra i Mori.-- Vittorie di Fer Colombo scopre il Nuovo Mondo Bolle del Papa intorno a questo continente in favore dei Redi Spa gna e di Portogallo.- Confermazione fatta da Alessandro VI di al cuni ordini religiosi. Aprivasi il novello anno 1493 con tremore di quegli antichi o signori, o possessori , o tiranni insolenti delle città appartenenti alla Chiesa , i quali rimiravano incrollabile sedersi sul soglio pontificale il più terribile loro domatore, percussore e sterminatore irreconciliabile, che strugge vasi di voglia d'incontrare occasione propizia per abbatterli totalmente gli uni dopo gli altri. Alcuni avvenimenti dolorosi e straordinarii stor narono bensì per alquanti mesi laprocella, e sospese o il sonante flagello che dovevali colpire in giusta vendetta di protratte ribalderie; ma dis sipar quella, e spezzar questo non già. Era giunta l'epoca avventurosa per la Chiesa che scuotere doveva il giogo , rompere i ceppi ne' quali tenevanla serrata que' suoi figliuoli rubelli e petulanti. Alessandro VI ne era il rivendicatore inesorabile tanto quanto costoro eransi indurati nei maleficii. Esso erasi già occupato a riordinare le interne cose, ora vol gevasi a provvedere a quelle di fuori, e per conseguire l'intendimento suo, più di leggieri attese a contrarre varie leghe. Il pacifico Federico III, dappoichè ebbe posseduta per più di otto lustri l'imperial corona, senza che egli giovasse o nocesse all'Italia (Trithemius, Cuspinian. et alii , vide Vitae et res gestae SS. Pontificum., loco cit. in Alexandro VI. Paolo Giovio e Francesco Guicciardini, in quest'anno 1493 cominciarono a scrivere le istorie loro), avendo unicamente atteso a de bolmente guerreggiare in Ungheria , Boemia ed in altri luoghi oltra montani, disse l'ultimo addio alla vita presente nel giorno decimonono, venendo il dì ventesimo d'agosto 1493, in età di ottant'anni; longevità rara in quei tempi fra i principi. Il suo figliuolo Massimiliano I, già da alcuni anni re dei Romani, suc cedette a lui nell'amministrazione dell'imperio. Fu egliil primo ad inti tolarsi imperatore eletto de' Romani , con tutto ciò l'aggiunto d'eletto cadde poi in disuso nei tempi susseguenti. In questo Cesare intese ch'erano anche stati icristiani disfatti dai Turchi per colpa di Bernardino Frangipane, ilquale vi lasciò la vita, senza pen sare alle circostanze in cui egli medesimo versava, volle andare col suo esercito scelto a vendicare la religione di quella perdita ; ma avendo sa puto che gl'infedeli si erano ritirati vergognosamente, sospese la esecu zione del suo disegno generoso, -137 Avendo sopra ogni altrosofferto gli Unghari in quella vittoria de' Mus sulmani, Uladislao loro re attese a riparare lasconfitta. Fece leva di nuove truppe, e il Papa promise molte indulgenze a quelli che impugnassero le armi : procacciò da prima a ristabilire la pace e l'unione per mezzo dei signori d'Ungheria, affinchè ladiscordia loro non fosse d'ostacolo alla guerra che voleva intraprendere, e minacciò con le censure ecclesiastiche quelli che vi si opponessero (Bonfin. dec.5, lib.3. Naucler.tom.3, geneal. 5°, pag. 506. Cromer. L. 30). Ne diede la commissione al vescovo di Trani suo legato, il qualenello stesso tempo ebbe l'incumbenza d'adoperare il suo zelo per ricondurre alla Chiesa coloro di Praga, che eranodagli errori degli Ussiti infettati ; nella quale impresa riusci ottimamente. (Raynald., Ann., hoc anno 1493, n. 6). Uladislao ne informò il Sommo Pontefice, che indirizzo diversi Brevi aquel prelato, al re d'Ungheria ead Alberto re di Polonia per esortargli anon istancarsi mai nei loro buoni disegni. Fa ne'suoi Brevi una de scrizione assai viva dei tormenti, cui i cristiani sopportavano dagl'infe deli, e dice che le discordie dei principi ad altro non servivano salvo a renderli più crudeli. Palesa la sua consolazione che fossero iboemi ussiti ritornati nel grembo della Chiesa. Nomina il vescovo di Trani suo in ternuncio. L'incarica d'affaticarsi a ristabilire un'unione perfetta tra i si gnori, affin di soggettare più facilmente il comune nemico della cristia nità. Ma tutte le esortazioni del S. Padre non arrestarono i procedimenti de'maomettani; tutti i principi se ne prendevano pochissimo pensiero ; enon mettevano attenzione, tranneallaspedizionedel monarcadi Francia progettata contro al reame diNapoli. Dopo otto anni di guerra , Ferdinando re di Castiglia e d'Aragona si rendette da ultimo signore del regno di Granata. Questa conquista fu tanto più gloriosa a questo principe, quanto che con essa l'antico im pero de'Mori in Ispagna fu affatto distrutto, e terminò di liberare il suo paese da una barbara potenza che da ottocento anni lateneva oppressa. Dopo la conquista di Granata Ferdinando aveva cacciato dalla Spagna ottocento mila ebrei, e saraceni, e per conseguire una simile espulsione, gli spagnuoli erano stati costretti a dare pressochè cinque mila battaglie nello spazio di circa nove secoli. Del resto la penisola non fu libera da questi nemici fuorchè sotto Fi lippo III, nel 1610. Esso fu astretto ad espellerne intorno a novecento mila uomini. E se i giudei, ed i saraceni non fossero stati risospinti in Mauritania , avrebbero costoro sicuramente conquistata l'intera Spagna, assoggettato i prodi ed altieri spagnuoli , e distrutto il cristianesimo in questa bella regione. Si disse che verso quest'epoca l'Inquisizione sia stata stabilita nelle Spagne, per punire coloro, i quali avessero abbracciato per politica la religione cristiana, e la profanassero con un orribile miscuglio di giu daismo e di maomettismo. Ma consta che questo tribunale venne stabi lito in quel regno sotto Sisto IV. Potrebbesi avanzarecheAlessandroVI 138 non infirmo punto la Bolla del suo predecessore. (V. Artaud de Montor. Vie de Sixte IV, et de Alexand. VI). Appena aveva Ferdinando eseguito queste grandi imprese, che Cristó foro Colombo, genovese, più probabilmente di Monferrato, sciolse le vele da Cadice onde portare la gloria del suo nome in un nuovo mondo, e per istabilirvi nel tempo stesso il dominio di quel re. Avendo questo pilota eccellente giudicato da un discorso dedotto dalla rotondità del globo della terra , che vi fossero dei paesi abitabili nella parte opposta a quella cui noi abitiamo , ottenne tre vascelli da quel principe , e tanto navigò che trovò le isole della Florida , nominate dagli spagnuoli Indie Occidentali , dalle quali ritornò in Ispagna nel mese di marzo dell'anno seguente 1493, portando dei certi contras segni della sua scoperta, e delle immense dovizie diquelle contrade. Ad un dipresso versoi medesimi giorni Bartolomeo Diaz, portoghese, scuopri il capo di Buona Speranza, ed aperse con siffatto ritrovamento ai na zionali suoi il cammino delle Indie Orientali. Il S. Padre ch'era aragonese di nascita, lietissimo di questi avvení menti grandiosi per la religione, nel mese d'aprile dell'anno medesimo non pose indugi ad indirizzare anche un'altra Bolla al vescovo d'Avila in Ispagna in proposito della conquista cui Ferdinando avea allora fatta del regno di Granata. (Bullar. L. p. 230.- Raynald. ut sup. n. 7). Per la quale Sua Santità commette a questo prelato di restaurare le chiese antiche, e di stabilire quattro cattedrali coi loro vescovi, cioè una aGra nata, la quale fossene la metropolitana, a Malaga, a Cadice, e ad Almeria, che furono dichiarate suffraganee di questa capitale: assegnando i limiti convenevoli a ciascuna di queste diocesi. Inoltre Ferdinando ed Isabella ottennero per sè e loro eredi da Ales sandro VI le grandi maestrie coi loro redditidegli Ordini diS.Jacopo ed'Al cantara. Innocenzo VIII aveva loro di già conceduta quella diCalatrava, sua vita durante, dopo la morte di Garzia Pardilla, che possedevala. Ve nuto a morte Alfonso Cardenas nel 1493, loro venne eziandio accordata la grande maestria diS. Jacopo, e nell'anno seguente, essendo stato con ferito il vescovado di Siviglia a Giovanni Strenica gran-maestro diAl cantara, fu ceduto il governo di quest'ordine a Ferdinando, dopo la cui morte doveva goderne Isabella, sopravvivendo ad esso. Intesa dal Beatissimo Padre la scoperta del Nuovo Mondo, si affretto di farne cessione ai re di Spagna colla seguente Bolla(Bullar. t. 1. Alex. VI, Constit. 2, n. 78, p. 42. 1493, n. 19. Barros de Asia, dec. 1, L. 3, 11. Raynald, Noi allegheremo altre Bolle ancora testualmente sul fine dell'Appendice 11), la quale era espressa nelli seguenti termini: • Noi per la pienezza del potere apostolico, per l'autorità cui Iddio ci ha comunicata nella persona di San Pietro, e nella nostra qualità di Vi cario di Gesù Cristo, del quale sosteniamo le funzioni sulla terra, Noi vi diamo, accordiamo, ed assegniamo per le presenti, per sempre, edai vostri eredi e successori, sovrani di Castiglia e Leone, tutte le isole e le terre ferme, scoperte e da scoprirsi dai vostri legati e capitani , verso 139 l'occidente ed il mezzodi, tirando una linea da un polo all'altro acento leghe dalle isole Azzorre, dalla parte del mezzo giorno e dell'occaso. Non intendiamo nonpertanto pregiudicare al possedimento dei monarchi e principi cristiani, in ciò ch'essi ne avranno scoperto avanti Natale ul timo. A condizione ancora, che in virtù della santa ubbidienza ai nostri ordini, e secondo le promesse che voi ci deste, e chenoi nondubitiamo non esser voi per non recare a compimento, voi abbiate massima solle citudine d'inviare in queste contrade continentali ed isole, personaggi savi, sperimentati e virtuosi , per ammaestrarne gli abitanti nella fede cattolica, e nei buoni costumi › . Portava la data tal Bolla del quattro maggio 1493. La condizione in essa stabilita fu assai male effettuata; perchè si nutriva più ardore per l'oro di quegli abitanti, che per la salvezza delle anime loro, come gli effetti bastevolmente lo dimostrarono, a vergogna di quei superbi ed a vari conquistatori del novello emisfero, i quali se avessero abbracciata la moderazione sublime del magnanimo Colombo avrebberolasciata me moria di sè venerata. Per siffatta cessione restavano sotto la dizione di Ferdinando V le isole scoperte e tutti i paesi che sarebbero per iscoprirsi in appresso. Ales sandro VI tirò una linea che cominciasse dal meridiano, e distasse cento leghe dalle Azzorre e dalle isole delle Esperidi a ponente e a mezzo giorno. Di qui nacque discordia tra pel detto Ferdinando e per Giovanni re di Portogallo. Pretendeva questi che tutta la scoperta del nuovo emisfero gli appartenesse per concessione de romani pontefici, e segnatamente di Eugenio IV ; quegli poi si prevaleva dellaconcessione di papaAlessandro per sostenere la sua causa. Entrambi questi monarchi si rimisero come ad arbitrio di lui, nè falli Alessandro VI all'aspettazione di ambidue. Questi pose ogni studio salutare ad impedire che la lite non andasse a terminare in una lunga guerra fatale all'Europa ; epperciò ne rifece la divisione in modo talmente sagace, che contentò quei due principi. Condusse Sua Santità un circolo dal settentrione al mezzogiorno, che deviasse dal precedente, e si stendesse oltre alle isole delle Esperidi in torno a trecentosettanta leghe, divise in due parti eguali tutta la terra. Giovanni prese quella parte ch'era rivolta a levante, spettando a lui la scelta per l'antichità del diritto; l'altra rimase a Ferdinando. Mirabile esempio d'equità e di giustizia da un canto, e di grande fi ducia nell'altro, verso della persona augusta del Pontefice Sommo ! Il quale esempio, se fosse stato in altri tempi, e più spesso ripetuto, avrebbe impedito che impunemente si fosse versato a torrenti l'umano sangue, e l'umanità non sarebbe stata così avvilita e tormentata. Ma progrediamo, giacchè abbiamo per le mani quest'argomento, a ri portare altri Brevi o Bolle del medesimo Pontefice, zelante dell'aggran dimento della fede sacrosanta, pei quali favorisce, incoraggia, protegge i disegni de'prefati monarchi delle Spagne; conciossiachè , in prima di chiudere il presente capitolo, possiamocome ragion richiede, aggiugnere -- 140 intorno al procedere diritto d'Alessandro alcune altre riflessioni critiche opportunissime, ed a questo gloriose. Alessandro VI conosceva tutte le vie per farsi apprezzare; egli rivolse ancora un altro Breve a Ferdinando e ad Isabella, con cui, dietro al l'antica massima la quale in allora da nessuno era contrastata e posta in dubbio, che potesse un Papa disporre degli stati temporali, gl'investe del diritto d'assaliree di conquistare l' Africa, per aggregarla ai loro Stati dopo che l'avessero soggiogata, ed'aggiungere a'loro titoli quello d'Afri cano ; a condizione tuttavia che avessero il pensiero di ristabilirvi la re ligione cattolica. (Reynald, ad hunc ann. 1494, lib. 3, Bullar. secret (p. 240). Questo breve porta la data del giorno tredicesimo di febbraio 1494. E perchè fossero i regnanti Cattolici sostenuti in questa impresa mala gevole, il supremo Gerarca con una Bolla del giorno dodicesimo di no vembre 1494 elargisce molte indulgenze, a richiesta dei medesimi mo narchi, a chi prendesse le armi o contribuisse co'suoi averi all'esecuzione di quel progetto magnanimo. Eper non operare contra il diritto, cui aveva il re di Portogallo alla medesima conquista per una concessione di papa Pio II, Alessandro VI restrinse quello di Ferdinando e d'Isabella ai soli regni d'Algeri e di Tu nisi, lasciando al sovrano di Portogallo il regno di Fez, Mequinez, Ma rocco, e le sue vicinanze. Con una seconda Bolla il Beato Padre indulge poi a Ferdinando la terza parte delle decime, affinchè potesse rinforzare i presidii delle for tezze del regno di Granata contro agli assalti de'Mori, se mai ustolas sero ritornarvi. In sequela del primo Breve, i regnanti Cattolici allesti rono una flotta considerabile per discendere in sur i lidi africani. Quella Bolla d'Alessandro VI, inter caetera, che divide le terre recen temente scoperte tra pei regnanti di Spagna e perquelli delPortogallo, diede luogo a declamazioni sinistre sulla podestà temporale dei Papi ; ma oltrachè siffatto potere a quel tempo era sanzionatodall'opinione (1), (1) Non soltanto era al tempo d'Alessandro VI sanzionato siffatto potere del Papa sul temporale della pubbica opinione, ma molto tempo innanzi di lui prese inizio, e perseverò anche dopo dello stesso per moltissimi anni, di che fecene uso il santissimo Pontefice Pio V quando incoronò per gran duca della Toscana Cosimo I, che aveva offerto al supremo Gerarca non solo armate di uomini in difesa della Santa Sede, ma se medesimo. Il perchè alzate Pio V le mani al cielo, e rivolto con occhio lagrimevole al crocifisso, il supplicò di donare a sè tanto di vita, fino a che ri munerar potesse l'oblazione del duca. Fu esaudito il Papa dal Cielo, imperocchè gli diè tempo di chiamar Cosimo a Roma, il quale giuntovi, fu nella sala reale ricevuto ; e poscia nella cappella, mentre solennemente sacrificava, lo fregio della corona, in cui erano le seguenti parole incise : Pius V. Pont. Maximus Ob eximiam dilectionem, Ac Catholicae Religionis Zelum praecipuumque Justitiae studium donavit. -- 141 laBollasuddetta non contiene forse, sotto l'apparenzadi unaconcessioné formale, unadivisioneconciliatoria propria ad impedire questioni e guerre per mezzo dei due principi potenti ? Sorpassando alla forma, nonè forse essa il linguaggio d'un arbitrio che pronunzia in un contrasto, e che stabilisce leggi ai contrastanti ? Oh! era pure giocondo spettacolo quello di duepopoli che sottomette vano cosi, mediante l'accettazione cui facevano della Bolla surriferita, le loro dissensioni presenti, ed anche le possibili, al giudizio disinteressato del Padre comune dei fedeli, e mettevano sempre l'arbitramento più de coroso in luogo di truculenti guerre interminabili" Non sarebbe forse un bene per l'umanità se il papato avesse ancora bastevoli forze per ottenere questo grande consenso? Dopo tutto ciò, non che biasimare la Bolla d'Alessandro VI, dovremmo piuttosto rimpiangere Protesto contro tale atto l'imperatore Massimiliano II, dicendo che a sè e non al Papa si ap parteneva l'incoronazione di Cosimo, per non essere nel temporale, suddito, vassallo della Santa Sede; ma le sue pretensioni annullò il Pontefice con informarlo, che le translazioni dell'imperio nel l'occidente colla creazione degli elettori si effettuarono per opera ed autorità della Santa Sede di Pietro. InGirolamo Catena s'incontrano moltitudini di casi che salvano al Papa l'autorità suddetta ; ed odirò solo con sant'Antonino ( I. p., cap. v, tit. 22), come il Papa nel temporale, ancora si deve riconoscere giustissimo dominatore delle monarchie del mondo, e per conseguenza può tito lare i personaggi. A' piè di questo apporta il dottore una sentenza fortissima di Agostino, qual dice: " Puto pro veritate esse dicendum, quod Papa vicarius Jesu Christi in toto orbe terrarum vice-Dei viventis spiritualium et temporalium habet universalem jurisdictionem, sed ipsorum tein poralium immediatam administrationem non recipit, nisi in regionibus occidentalis imperii per con cessionem factam Ecclesiae a Constantino, quare autem mediate in partibus Italiae solum medio im peratore hoc non est propter carentiam auctoritatis, sed propter nutriendum in filiis suis vinculum pacis, quia ex hoc, quod imperium fuit divisum, propter vitanda scandala hoc factum est ". Che però, se alcuni teologi, i quali professano di stare all'orecchio dei principi, volessero con traddire, sappiamo (segue a dire Antonino, I Reg.) che sono simili ai consiglieri del re della Siria, i quali sussuravangli : " Dii montium sunt Dii eorum, et ideo superaverunt nos, sed pu gnemus contra eos in campestribus et in vallibus, in quibus Diis eorum dominium non habent, et obtinebimus contra eos victoriam ". Ma qual sentenza incoronò poi gl'infelici: " Quia dixerunt Syrii Deus montium est Deus eorum, et non Deus vallium, dabo omnem hanc multitudinem in manu vestra, et scietis, quia ego Dominus ١٦٠ Giacchè abbiam fatto cenno della donazione di Costantino Magno fatta al romano Pontefice, e tanto contrastata dagli scrittori infensi al dominio temporale de'Papi, quasichè non si trovi autore vetusto che abbiane fatto menzione, come gargagliano i suddetti con tanta compiacenza, noi me diocri canonisti quali siamo, oltre alla testimonianza di sant' Agostino, pressochè contemporaneo a Costantino, riportata da sant'Antonino, aggiugniamo che sono più di mille anni dacchè sant'Isidoro lasciò scritto : Costantino aver dato a papa Silvestro il regno d'Italia, e fatto di altri in genti doni, e concedutogli di grandi preminenze e privilegi. Ed il capitolo Fundamenta, de electione, al libro sesto, fa similmente menzione della donazione di Costantino ; quantunque esso non dica più della città di Roma; e così il capitolo Futuram, ch'è nellacausa xr, alla quistione 1, tocca eziandio, che Costantino lasciò Roma come seggio e capo dell'imperio, per sede e trono di Silvestro e de'successori. Da ultimo , ancorchè la Chiesa non avesse tenuta donazione da Costantino , non le mancano titoli di donazioni di altri imperatori antichissimi. Leggasi a tal riguardo la Bolla d'Oro, ossia di -- 142 il tempo nel quale i gerarchi romani con una parola saldavano lacon cordia degli scettrati. in cui alla voce delPastore universale soffocavansi senza resistenza e senza rumore i germi delle più lunghe e sanguinose contestazioni ! Così noi la ragioniamo colla turba degli scrittori ecclesiastici, sì laici che religiosi , ma non vogliamo occultare ai lettori , che per mezzo di quelli sorse il celebre conte De-Maistre, il quale, nella sua opera accre ditata Du Pape, si espresse a un dipresso nello stesso modo; eper mezzo di questi si elevò il non men celebre monsignor arcivescovo Giovanni Marchetti, che appunto vari falli al lodato De-Maestri, epperciò anche a tutti coloro che precedentemente a questo abbracciarono il medesimo o pinamento. La questione è troppo rilevante per essere trascurata; noi impertanto arrecheremo innanzi la nota dell'insigne De-Maestri e la contronota del ploma aureo (Petra, in comment. ad constit. apost., § 1, proemial ), così detto dal sigillo d'oro con cui esso era marcato; il cui originale conservavasi nell' archivio del Castel Sant' Angelo di Roma, e si riferisce dal Baronio (anno 962 , numero 3). Per virtù di questo diploma, l'impera tore Ottone III l'anno 962, indizione v, addi 13 febbraio, e nell'anno xxı dell'impero d'esso Ol tone, questi conferma alla Santa Sede romana la donazione degli Stati che possiede, fattale da Pi pino re, e poscia da Carlo Magno imperatore. Del resto, nel volume I della Vita dei Sommi Pontefici, nativiod oriundi degli Stati Sardi, da noi scritta, nella vita di Nicolò II, al num. iv, abbiamo parlato delle ampie donazioni fatte da san Leone IX papa ai conti Normanni nel regno di Napoli , imitato da Nicolò II, che diè l' inve stitura a Roberto Guiscardo col titolo di duca. La legittimità di tale atto esercitatoda san Leone IX e da Nicolò II era di quei dì si manifesta, che nessuno scrittore la revocava in dubbio, nė molto meno poi la contrastava, come riluce chiaro dal monaco Malaterra, dall' Anonimo dell' Historia sicula, dal Caruso (Bibl. hist. R. S., tom. 1, pag. 834; ibid, lib 1, pag. 167, c. 14). Siffatta investitura fu la primordiale del regno appellato oggidì di Napoli, e vi aggiunse anche la Sicilia, su cui conservavano il loro gius i greci imperatori. Certo è che in quei tempi si faceva molto valere la donazione di Costantino, che gli osteggiatori di lui si sbracciarono a volerla nata nel secolo vi dell'era volgare. Checchè ne sia, egli è un fatto autentico che san Leone IX, nella sua lunga epistola scritta a Michele Cerulario patriarca di Costantinopoli, nell'anno 1053 (Epist. 1, t. IX, Concil. Labbé), cioè pochi anni prima di papa Nicolò II, la produsse pressochè tutta, emas simamente quelle parole : " Tam palatium nostrum, quam romanam urbem, et omnes Italiae, scu occidentalium regionum, provincias, loca et civitates saepe fato Beatissimo et Patri nostro Silvestro universali Papae contradentes, atque relinquentes, ei vel successoribus ipsius pontificibus potestatem et ditionem firmam imperiali censura per hanc divalem jussionem et pragmaticam constitutumde cernimus disponendo, atque juri Sanctae Romanae Ecclesiae concedimus permansura ". Ora, un Papa si santo, si savio e dotto avrebbe egli mai osato scrivere ad un imperatore greco in termini tali, appoggiato ad apocrifi e suppositizi argomenti ? E quando tali fossero stati, la su scettibilità greca avrebbe ella taciuto ? No! Eppure tacque, perchè avea contra di sè la credenza pubblica ed universale ! Fece anche gran caso di tale donazione, alcuni anni dopo, san Pier Da miano, in un suo Dialogo (Opuscul., c. iv). Oltracciò Ermanno Contratto (Opuscul., c. rv) ci rende conto che Arrigo II imperatore aveva accordato al santo papa Leone IX : " Pleraque in ultra romanis partibus ad suum jus pertinentia pro Cisalpinis in concambium datis ". Ci siamo forse un po' troppo allungati intorno a ciò , ma la discussione non è estranea alla nostra istoria, come percepirà il leggente via via che s'inoltra in essa. Abbiamo voluto che all'au torità si accoppiasse il fatto, affinchè perentoria fosse la risposta. -- 143 chiarissimo arcivescovo, la quale, sebbene discordi dalla sentenza danoi esposta, nulladimeno, vaghi quali siamo della verità, produciamo lietis simi tutti quegli argomenti che l'onorano e la pongono in bellissima mostra. (V. Appendice 11). Il vigile guardo d'Alessandro VI, in quella che adocchiava da padre amoroso la Germania, l'Ungheria, l' America, la Spagna, il Portogallo, spingendolo acuto fino nei penetrali delle reggie, eccitando le teste co ronate a proteggere, tutelare la promulgazione e conservazione del Van gelo, egli lo abbassava pure con eguale amorevolezza e sollecitudine sulle umili istituzioni religiose, le quali, avvegnachè non sieno essenziali all'esistenza della fede santa, nulladimeno assaissimo concorrono a ren derla speciosa ed amabile. Fu sotto gli auspici di Alessandro VI che prese origine l'ordine delle Convertite, cioè delle giovani penitenti, istituito da Giovanni Tisserand, religioso cordigliere di Parigi, in onore di Santa Maria Maddalena, ap. provato da Sua Santità nel 1494. I sermoni di lui, vivi e penetranti, eb bero la forza di convertire molte persone del sesso femmineo, le quali ruzzavano nella dissolutezza, e di farle rientrare sul diritto calle della virtù, e libare a' piè del crocifisso Gesù inconcepibili dolcezze, e rimirare in lui non già uno sposo crudele, sibbene un Dio d'amore e di pietà. Alle preghiere di Massimiliano I imperatore, con Bolla del giorno de cimoterzo d'aprile 1494 non solo Alessandro VI riconfermò la confrater. nita, ossia l'ordine militare dei cavalieri di S. Giorgio, che anzi volle esso stesso esservi inscritto, mostrando con simil atto palesemente quanto gli stessero a cuore e quale stima avesse per somiglianti pie istituzioni. La regola dell'ordine degli eremiti di San Francesco, compilata da San Francesco da Paola ed approvata da Alessandro VI sino dal 1493, questi, per accrescerle maggior credito e rinomanza, la riconfermava ora, cangiando il nome di eremiti, cui portavano quei religiosi, in mi nimi. Parve che la sua pontificale benedizione mirificamente giovasse a questo santo istituto, poichè rapidamente si estese tosto per le Spagne e per le Gallie, protetto, incoraggiato e venerato dai monarchi Ferdinando, Isabella e Carlo VIII. E quasi che fosse troppo angusta la sua dizione, tantera ardente l'affetto che il sovrano francese nutriva verso di S. Fran cesco da Paola, che, ritrovandosi in Roma nel 1495per ricevere la corona di Costantinopoli dalle mani del Papa, vi fece innalzare una chiesa sul monte Pincio sotto il nome della Santissima Trinità, ed impetro da Sua Santità che fosse uffiziata sempre dai religiosi minimi della nazione fran cese. Dove sono ora le avarizie, le libidini e i tradimenti di lui, i quali si spacciano con tanta malignità, fraudolenza od imperizia ? « Se(Rivista e Biblioteca contemporanea, cit. capo VII, pag. 301 e 302) Alessandro VI fosse stato quel Nerone sotto la tiara che ci rappresentano gli scrittori di quell'età superlativamente faziosi nelle storie come nella politica, a vrebbe inai la sua persona, la sua famiglia ed il suo governo conseguita sulle Corti quella possente influenza? Forse ad un vile pontefice o so -- 144 vrano(che che fosse della sua vita privata) avrebbero appellato i poten tissimi sovrani di Spagna e di Portogallo pel dominio delle terre novel lamente conquistate? Ed egli, colla Bolla Inter caetera, come padre co mune, come giudice di pace, evitava la guerra e finiva la controversia. •Certamente Alessandro VI non falliall'alto reggimento della Chiesa; e parrebbe miracolo, quando si tenessero per vere tutte le narrate in famie. Che se nel governo temporale, come al Giove della favola, gli fu dato l'emblema del fulmine e dell'aquila, non ripugneremo noialla sen tenza. Messe da parte le onte fatte alla stola pontificale, non fu più tristo de' suoi coetanei, e tutti li superò nelle qualità dell'animo grande e sa gace: In Alexandro, ut de Annibale Livius scribit, aequabant vitia vir tutes. Inerat nempe ingenium, ratio, cognitio, memoria, diligentia, elo quentia vero quaedam naturalis, et ad persuadendum apta, utnemo rem cautius proponeret aut acrius defensitaret (Raph. Volater., Anthropol., lib. xxii, p. 683). Egli fu magnanimo, generoso e prudente; se non che si lasciò vincere dall'amore de' figliuoli che aveva e da troppa cupidità (Monaldeschi, Comm. Histor., p. 148), del che pure in gran parte si giu stificherà. • In forza di simili testimonianze, non ci appariscono troppo nobili, nè giusti, nè ingenui i poeti e i narratori trafelanti per cumular fango e sozzure sulla persona d'Alessandro VI, senza uno sguardo nè allecondi zioni dei tempi, nè all'eminente ingegno del sovrano » . I capitoli seguenti arrecheranno maggior lume a quanto in iscusa e difesa di lui abbiamo esposto. APPENDICE II. Osservazioni del conte DE-MAISTRE sulla Bolla d'Alessandro VIInter cae tera e contro Osservazioni di Monsignor GIOVANNI MARCHETTI. Bolle relative di questo Pontefice. Un secolo precedente a quello che vide il famoso trattato di Westfalia, un papa (Alessandro VI) promulgò quella celebre bolla che tra per gli spagnuoli e pei portoghesi divideva i paesi che l'ardito genio delle sco perte avea dati, o poteva dare alle due nazioni nell'Indo e nell'America. Il dito del Pontefice segnava sul globo una linea, e le due nazioni con sentivano a riconoscerla come un limite sacro, che l'ambizione rispet tava da una parte e dall'altra. Era certamente uno spettacolo magnifico quello didue nazioniche ac consentono a sottoporre le loro dissensioni attuali, e le possibili eziandio, al disinteressato giudizio del comun padre di tutti i fedeli, a sostituire alle guerre interminabili il più autorevole arbitrato. Grande ventura si era per l'umanitàche il potere pontificale avesse an cora vigor sufficiente per ottenere questo gran consentimento, eil nobile -145 arbitrato era cosi degno di un verace successore di San Pietro, quanto laBolla Inter caetera appartener doveva ad un altro Pontefice. Qui almeno sembra che il secol nostro dovrebbe applaudire; ma no: Marmontel ha deciso in termini proprii , che di tulli i delitti di Borgia questa Bolla fu il più grande (Si veggano gl'Incas, tom.1, pag. 12). Que sto incomprensibile giudizio non deve recar sorpresa, perchè pronunciato da un allievo di Voltaire ; ma vediamo inoltrecome un senatorefrancese non haaddimostrato nè più di ragionevolezza, nè più d'indulgenza. Ri peterò in tutta l'estensione il rimarchevolissimo giudizio di lui, preci puainente sotto il punto di veduta astronomico. Roma, dic'egli, laquale › da più secoli aveva preteso di dare sul suo continente scettri e regni, › non volle più alla propria autorità porre altri confini che quelli del › mondo. L'equatore medesimo fu sottomesso al chimerico potere delle › sue concessioni (Lettere sull'istoria, tom. III lett. LVII, pag. 157. » Essendo la pacifica linea segnata sul globo dal Pontefice romano un meridiano (fabricando et construendo lineam a polo arctico ad polum antarcticum (Bolla Inter caetera d'Alessandro VI, 1493), ed avendo siffatti circoli, che ognun sa, la irremovibile pretensione di andare da un polo all'altro, se egli avvenga che per via s'incontrino con l'equatore, lo che puòagevolmenteaccadere, lo taglieranno certamente ad angoli retti, senza il menomo inconveniente nè per la Chiesa, nè per lo stato.Malci avvi seremmo poi opinando cheAlessandro VI siasi fermatoall'equatore, e che lo abbia preso per lo confine del mondo. Questo Papa, il qualefosse pure, da ciò che maldicesi, un catlivo soggetto, ma che aveva molto ingegno e studiato, e che avea letto il suo Sacro Bosco, non era uomo da ingannarsi in questo rapporto. Confesso di più essere per me inconcepibile com'ei po tesse essere con giustizia incolpato d'avere attentato all'equatore mede simo coll'essersi interposto premurosamente quale arbitro fra due prin cipi, i possidenti dei quali erano odovevano essere da questo gran circolo intersecati. (Non troppo bene conoscevasi in quel tempo la teoria della terra per prevedere che gli spagnuoli spingendo le scoperte loro all'oc cidente, ed i portoghesi all' oriente, erano necessariamente nelcaso d'in contrarsi. Magellano lo provò ventun'anni dopo). Così nel suo Manuale di Cronologia Universale discorre Gio. Battista Rampoldi non favorevole al Borgia, a pag. 431 an. 1500 Conchiudiamo: Se, dietro al Marmontel, di tutti i delitti di Borgia que sta Bolla fu il più grande ! forza è conchiudere che Alessandro VI non solo sarebbe senza delitto, ma anzi degno di lode! Si cessi adunque dallo spacciare che questo atto del Pontefice abbia fornito a certuni l'occasione di sollevarsi con violenza contro all' inter vento dei Papi negli affari temporali dei principi. Checchè nesiadi que st'atto, lasciato eziandio stare che questo diritto era ammesso e ricono sciuto da lunghissima pezza, come abbiam provato, avanti l'epoca d'Ales sandro VI, si può egli nella Bolla or ora citata scorgere altro che una decisione conciliatrice della prima autorità che regni sulla terra ? Deci sione sola capace a prevenireledisputeele guerre chepotrebbero nascere 40 -- 146 per mezzo i popoli aquesto riguardo ? Ciò che sembra aver l'ariad'una vera concessione, non è altro che il linguaggio puro e semplice d'un arbitro che parla in una contesa, e determina la porzione dei conten denti. Non che biasimare un tal decreto, non sarebbero, come dicemmo altrove, non sarebbero da rimpiangerequesti tempipassati, quando i Pon tefici con una solaparola teneano fermalaconcordia fra iprincipi, quando alla voce del padre comune dei cristiani si dileguavano senzaresistenza esenza rumore, i semi delle più lunghe e sanguinose contese ? Tempi felici, in cui i popoli angariati dai sovrani volgevano aRoma losguardo fiducioso, e vedeano tosto la calma succedere alla tempesta, la quiete alle agitazioni della guerra, la felicità pubblica ai disastri, che sono la inevitabile conseguenza delle discordie politiche ! Contro-Osservazioni di Monsignor MARCHETTI. Un equivoco rancido, risponde al signor conte De-Maistre monsignor Giovanni Marchetti, che dopo elucidati a sole di meriggio tutti imonu menti, le epoche fin dei giorni, le linee, non che i gradi, e noverati gli scogli non che le isole e le baie di quei primi viaggi dei portoghesi e degli spagnuoli, che manovravano per l'Oceano a tastoni, onde fareuna scavalcata al commercio dei veneziani, e trovare una rotta per le Indie orientali (senza aver mai allora potuto pensare nemmeno in sogno al l'America) senza toccare il mar rosso, e passare l'istmo di Suez; quest'equi voco da veccchiarella, e di cui dovrebbe vergognarsi un lacchè, sta an cora sulle penne dei critici illuminati dal bel giuoco che vi fa un Papa, che fece la schiavitù e l'oppressione dell'America con una Bolla. Essa è la famosa: De insulis novi orbis : che non è scritta in arabo, nèinsan scrito, ma in un piano latinobollario, nè può essere mai controversanella sua data, perchè si lega a citazione precisa con li primi viaggi del Co lombo, dei quali in oggi son ragguagliate, si può dir fin le battutedel l'orgoglio, nonchè le giornate, e Alessandro VI e la stessa regina Isa bella eran fra i più quando in Europa si cominciò a dire, che esistesse un continente antipodo, al quale dopo diversi anni diede il suo nome Vespucci per far dispetto al Colombo immortale. Non ostante, su la fede del mitologico Solerzano edegliammiragli del re Ferdinando, che dopo tre o quattro lustri portarono al Messico la Bolla Inter caetera: per dare ad intendere a quei selvaggi che con essa il Papa aveva data l'America alla Spagna (il Solerzano dimostramatemati camente, che la Spagna vi aveva però quel diritto da già più di mille anni prima di G. C.) eche bisognava ubbidirlo. Perciò cotesto(di disporre dell' America) dice da buon scolaro di Voltaire, il signor Marmontel(In cas, t. 1, pag. 12) su tutti i delitti di Borgia fu il maggiore la sua Bolla sull' America. E anche fino a questa gran luce del giorno che spiega la vasta letteratura dei senatori di Francia a suonare contra quella Roma che da più secoli aveva preteso di dare gli scettri e i regni sulsuocon -- 147 tinente, scese per ultimo con questa sua chimerica possanza finoall'Ame rica (Lettres sur l'hist. t. III, 1, 57). Noi poveri ricercatori dei fatti, quando debbon fare argomento, possiamo alzare appenalatesta per dire diquesta politica sublimiore : imposture di vento. Mi dispiace ch'ella con pochi tratti al suo solito la dileguabenissimo, ma infondo suppone, e appoggiasi sulla chimera comune, e che fa im pazienza a vederla reggersi sopra una Bolla di circostanze sì lampanti ed incontroverse. Il famoso contratto di Santa Fè per la spedizione del Colombo a cer careuna rotta per le Indie fu stipulato con lareginaIsabellae perconto del solo regno di Castiglia, addi 17 aprile 1492 (V. Hist. gen. des voyag. t. XLV. pag. 17). Vedasi il Fleury lib. 116, n. xvIII an. 1485disua storia ecclesiastica, egli suppone che probabilmente questo sia stato già un se condo viaggio di Colombo nell'America e ciò dietro all'autorità di Ferd. Colombo, Hist. dell' ammir. Chist. Colombo, Pizzaro de Loz illustres Va rones del Nuovo mondo. Foglietta in elog. In sequela di questo contratto, Colombo allesti lasua piccola flottiglia della S.ta Maria, la Pinta e la Nignia, e con essa escì dalPorto di Palos addi 3 d'agosto dello stesso anno 1492 (ivi), quasi smarriti, dopo avertra passato addì 6 di settembre le Canarie, per circa 800 leghe di quell'im menso Oceano, non videro per tre settimane alcun segno diterra, finchè scoprirono la piccola isola di S. Salvatore, una delle Lucaie, verso la metà d'ottobre. Il resto di questo primo viaggio, e iltrattenimento fatto aS. Domingo, non è a dirlo qui. Cristoforo, senza avere per allora veduto altro in quei mari, ne riparti certamente per ritornare in Ispagna il dì 4 gennaio 1493, a prendere dei rinforzi : e rientrò a Palos su la sua S.ta Maria il dì 15 marzo se guente, e la sera medesima vi entrò anche l'altra fregata la Pinta, se gnando la precisa epoca di sette mesi e undici giorni dacchè il dì 3 del precedente agosto eran partiti. Cose grandi, speranze immense di nuovi acquisti, come suol sempre chi viene da molto lungi, portarono inEuropa i nuovi Argonauti ; e Co lombo stesso ne aveva interesse per animare lacorte a somministrargli que' rinforzi, che, come avevalasciate le cosedi sanDomingo, avea somma fretta di ripartire da Spagna. Ma la regina Isabella, che aveva gran mente e coscienza, non volle entrare in impegno di acquisti stranieri senza consultare il Capo della Chiesa e sentirne la regola morale, giac chè gli si faceva gran fondamento sul bene da fare ai popoli delle isole scoperte, che si erano trovati ignari di proprietà ordinata, nudi ince dentes, unum Deum colentes, e docili ai lumi della vera religione. Ed ecco l'occasione e la causa per cui fu consultato allora Alessandro VI. Qui non entro nel dritto. Ne darò soddisfazione altra volta. Per ora siamo ai fatti dal di 4gennaio 1493 in poi; e questi nonhannodubbio. La Bolla stessa d' Alessandro VI fa vedere che a Colombo premeva di ripartire ; imperocchè ella è data IV, nonas maii, anni 1493 (senza va rianti, nè controversia), col titolo : DE INsulis novi orbis; in tutte le e 148 dizioni. Cristoforo l'aveva già a bordo pubblicato in tutta laSpagna, quando provveduto di nuova flotta nel porto di Cadice, ne riparti addi 25 settembre dell'anno stesso per tornare in un secondo viaggio alle sue scoperte, che fin d'allora diceva nuovo mondo. Vennero adunque in quel frattempo (dal 13 marzo chetorno Colombo, a' primi di maggio che è data la Bolla) a Roma gli ambasciatori della regina, e in quel mezzo fecero il viaggio, riferirono quanto sapevano di quelle cose, negoziarono, ed ebbero bella estesa la Bolla da recar seco. Se la portò diffatti addi 25 di settembre che parti da Cadice, otto mesi e venti giorni da che era arrivato a Palos Cristoforo, e senza che fosse ve nuto in questo tempo alcun angelo a rivelare ad Alessandro od a Co lombo che potessero esservi Americani. Edèbella, ch'egli dovè anche dopo questa secondagitaritornare un'altra volta in Ispagna, e trattenersi quasi due anni per le bisognadella sua colonia di San Domingo (che continuò a creder sempre il Giappone di Marco Polo), alla quale di nuovo si volse nel 1495. Fu in questo terzo viaggio che, passate le isole di Capo-Verde e le Canarie, fece il gran tentativo di staccarsi verso il mezzogiorno, fino a cinque gradi della linea, ove il dì 1 d'agosto ebbe la sorte di scoprire l'ampia isola che chiamò la Trinidad ; e quivi, in quell'anno, in quel mese, XXVII dopo la Bolla Inter cætera, quivi fu che dall'immenso sbocco dell'Crenoco con gettur à l'esistenza d'un gran continente, volle tentarne l'accesso, e si salvò appena per quel piccolo passaggio che ancora ritiene il nome che diedegli dello Stretto del Dragone. Si trovò così alla Gujana, che a lui non fu dato che di vedere, ed ove per altra parte il Gryalva sbarcò il primo nel 1518 (dopo le avventure del 1497 di Vespucci) una flotta spagnuola alle coste del Messico, e nel 1520 vi arrivò pure Ferdinando Cortez, altro famoso ammiraglio, che cominciarono a propalare in America che Alessandro VI, morto 25 anni innanzi a tutte queste faccende, aveva dato alla SpagnalaGujana, ilMes sico, ogni cosa. Compatirò l'ignoranza di quei selvaggi, la prepotenza di Cortez, le chi sciotterie del Solerzano, lignavia de' copisti seguenti: ma che fino al se colo, che chiama critica la miscredenza e l'odio del Papa, si continui ad assaporare il maligno, dentro la tanta dose di sciocco (v. Raynald. Stor. d'Americ. T. IX, p. 7, 33, ecc., Hist. gén. des voyag. T. XLV, p. 93, есс. lettres cit. ecc.), questo non mi sa entrare in capo; mi perdoni, signor De-Maistre, benchè sia sfuggito anche a lei. Non posso trattenermi (e ne avrei cento altre da dire), che la stessa famosa linea tracciata dalla Bolla, dal polo artico all'antartico, eda essa centum leucis versus occidentem, et meridiem, a qualibet Insularum, quæ a vulgo nuncupantur DE LOS AZORES Y CABO VERDE , detectæ et de legendæ; questa linea anche sola basterebbe a svergognare l'ignoranza, l'impostura, l'odio, la balordaggine, la mala o troppo buona fede di chi ha sognato, o permesso che sognisi disposto dell'America da Alessan dro VI. Basta a vederlo un ragazzo, che getti l'occhio su un mappa -- 149 mondo e su le tracce della Bolla, fissi un meridiano all'ultima delle Az zorre. Eccolo qui....... Scorrete ora versus meridiem et occidentem, le cento leghe sino alla linea d'Alessandro VI, guardate, che vi è ? Un tratto di di cinque leghe ed un quinto di longitudine; che per curiosissima com binazione, non abbraccia che una pura e nuda striscia di mare, parte dell'Atlantico verso tramontana, e parte dell'Etiopico verso mezzogiorno. Ne restano tagliate fuori persino le Lucaje, che ilColombo avea giàsco perte sin dal primo viaggio, non che l'America, che hache far qui come il monte Ararat sulle fasi lunari. Ora mi dica ella, che ha più scienza e più pazienza di me, venerato signore, se nell'atto che ellase ne sta qui col compasso sul mappamondo, le venissero innanzi anche dieci Marmontel e venti senatori di Francia adirle in tuono dittatorio, e grandiloquo che fra i delitti d' Alessan dro VI, questa sua linea è il maggiore, poichè decide della sorte d'Ame rica, e volle perfin l'Equatore sottoposto alla chimerica sua possanza..... Dica di grazia: a risentire in fragranti queste rancide fanfaluche, che farebbe ella di quel mappamondo che ha per le mani? Intanto si può conchiudere, che per le imputazioni contra Alessan dro VI è falso tutto. 1º Falso, che allora vi fossecontesafra i Portoghesi egli Spagnuoli, onde la Bolla fosse data per pacificare queste nazioni. 2º Falso che nemmeno si cercasse allora del continente opposto. 3º Falso che ne sapesse nulla il Colombo. 4° Falso molto più che potesse saperne il Papa. 5º Falso che ne disponesse con la sua Bolla. 6° Falsissimo che l'abbracciasse con la sua linea e chedisponesse di occupazioni fuor solamente che per intento di religione. Si leggala bella lettera con cui accompagnò la sua Bolla a Ferdinando e Isabella, che il Revinaldi ha inserita al N. 19 di quello stesso anno 11493. Ma..... manum de tabula. Il suo libro per ora scuoterà molti e le ve ritàdel suo libro, non può andar molto, che non restino riconosciute da tutti, se non perderanno il cervello. Le sono pieno di stima. Roma, 20 novembre 1821. GIO. ARCIVESCOVO D'ANCIRA. Aquattro italiani, Colombo, Vespucci, Cabot, e Verazzani principal mente è dovuta la scoperta del nuovo continente , ma non poterono essi dare impulso ai loro connazionali di profittarne, perchè fra di loro di visi, e rivali. -- 150 BULLE ALEXANDRI VI Quoad inventionem Novi Orbis, Regibus Hispaniarum et Lusitaniae datis. 1. Simul ac de noviter inventis imperiis nuntium Christofori Columbi Oceanae classis prefectus advenit, pro legitimanda rerum acquisitarum possessione ad Pontificem sese verterunt, legatis Romae residentibus pro eis diplomata investiturae implorantibus. Nam post Christofori Columbi reditum, de novi orbis imperio acriter certabatur inter Castellanum et Lusitanum reges. Hic enim insulas a Columbo inventas ad se spectare contendebat, diplomatibus pontificiis in medium allatis, quibus, conces sionibus apostolicis, ei donabantur indiscriminatim terrae et insulae in ventae et inventurae in partibus Africae, Guineae, ac Minerae auri, et alibi : negabat rex Castellanus, sed ad novas dominationes melius fir mandas, auctoritate pontificia fulciri nitebatur. Quapropter oratoribus in Urbe manentibus novum extra ordinem legatum adiicere statueruntpro hac aliisque rebus. Interim Alexander pontifex, priusquam legatus Hi spanus Urbem solemniter intraret (die XXVIII maii 1493 evenit hic in gressus solemnis), hoc diplomate inter duos reges litemdiremit. Charissimo in Christo filio Ferdinando regi, et charissimae in Christo filiae Elisabeth reginae Castellae, Legionis, Aragonum, etGranatae illu stribus, salutem, etc... Eximiae devotionis, sinceritas et integra fides, quibus nos et Ro manam reveremini Ecclesiam non indigne merentur, ut illa vobis fa vorabiliter concedamus, per quae sanctum, et laudabile propositum ve strum et opus incaeptum in quaerendis terris et insulis remotis ac in cognitis in dies meliuset facilius ad honorem Omnipotentis Dei, et im perii christiani propagationem, ac fidei catholicae exaltationem prosequi valeatis. Hodie siquidem omnes et singulas terras firmas et insulas re motas et incognitas versus partes occidentales et mare Oceanum consi stentes per vos, seu nuntios vestros, ad id propterea non sine magnis laboribus, periculis, et impensis destinatos repertas et reperiendas in po sterum, quae sub actuali dominio temporali aliquorum dominorumchri stianorum constitutae non essent, cum omnibus illarum dominiis, civi tatibus, castris, locis, villis, juribus, et jurisdictionibus universis, vobis, heredibusque, et successoribus vestris Castellae et Legionis regibus in perpetuum motu proprio, et ex certa scientia, ac de apostolicae potestatis plenitudine donavimus, concessimus et assignavimus, prout in nostris inde confectis literis plenius continetur. Cum autem alias non nullis Portugaliae regibus , qui in partibus Africae, Guineae, et Minerae auri, ac alias insulas etiam in similibus con cessione , et donatione apostolica eis facta repererunt , et acquisiverunt per Sedem Apostolicamdiversa privilegia, gratiae, libertates, immunitates, exemptiones, facultates, literae, et indulta concessa fuerint, nos volentes -- 151 etiam, prout dignumet conveniens existit, vosheredesque et successores vestros praedictos non minoribus gratiis, praerogativis, et favoribus pro sequi , motu simili , non ad vestram vel alterius pro vobis nobis super hoc oblatae petitionis instantiam, sed de nostra mera liberalitate, ac eis dem scientia et apostolicae potestatis plenitudine, vobis ac heredibus, et successoribus vestris praedictis, ut in insulis et terris pervos seu nomine vestro actenus repertis hujusmodi et reperiendis in posterum , omnibus et singulis gratiis, privilegiis, exemptionibus, libertatibus, facultatibus, im munitatibus, literis, et indultis regibus Portugaliae concessis hujusmodi, quarumomniumtenoresacsideverbo adverbumpraesentibusinsererentur, haberi volumus pro sufficienter expressis et insertis, uti, potiri, et gaudere libere, et licite possitis et debeatis in omnibus et per omnia perinde, ac si illa omnia vobis ac heredibus et successoribus vestris praefatis specia liter concessa fuissent, auctoritate apostolica tenore praesentium de spe cialis dono gratiae indulgemus, itaque in omnibus et per omnia ad vos heredesque ac successores vestros praedictos pariter et ampliamus , ac eisdem modo, et forma perpetuo concedimus, non obstantibus constitu tionibus, et ordinationibus apostolicis, nec non omnibus illis, quae in li teris Portugaliae regibus concessis hujusmodi concessa sunt: non obstan tibus, etc. Dat. Romae apud S. Petrum, anno1493 non. maii, pontificatus nostri anno I. II. Eodem die(sicRaynaldus)aliuddiploma(esx. inlib.4Bull.sign.n.78, p. 12, quo novi orbis imperium regibus Hispaniarum confirmabatur edi tumest, quo aeedem praerogativae atque immunitates collataesunt, quibus reges Lusitani in Africa et occidua Ethiopia donati erant. Tertio diplomate Alexander ad controversias quae inter Castellanos ac Lusitanos aboriri possent, dum classibus Oceanum sulcabant, dirimendas Indias Orientales, Occidentalesque discrevit diplomate hisce verbis con cepto: Alexander episcopus , servus servorum Dei , charissimo in Christo filio Ferdinando regi, et charissimae in Christo filiae Elisabeth reginae Castellae, Legionis, Aragonum, Siciliae, et Granatae illustribus, salutem et apostolicam benedictionem. •Inter caetera divinae majestatis beneplacita opera, et cordis nostri desiderabilia, illudprofecto potissimum existit, ut fides catholica et chri stiana religio nostris praesertim temporibus exaltetur ac ubilibet am. plietur et dilatetur, animarumque salusprocuretur, ac barbaricae nationes deprimantur et ad fidem reducantur. Unde cum ad hanc sacram Petri sede divina favente clementia meritis licet imparibus, evecti fuerimus, cognoscentes vos tamquam veros catholicos reges, et principes , quales semper fuisse novimus et a vobis praeclaregesta totipene jam orbi no tissima demonstrant, nedum id exoptare, sed omni conatu, studioet dili gentia nullis laboribus, nullis impensis nullisque parcendo periculis etiam proprium sanguinem effundendo efficere ac omnem animam vestram, omnesque conatus ad hoc jamdudum dedicasse, quemadmodum recupe ratio regni Granatae atyrannide saracenorum hodiernis temporibus per -- 152 vos cum tantadivini nominis gloria facta testatur, duximus non immerito et debemus illa vobis etiam sponte et favorabiliter concedere, per quae hujusmodi sanctum, et laudabile ac immortali Deo acceptum propositum in dies ferventiori animo ad ipsius Dei honorem et imperii christiani pro pagationem prosequi valeatis. • Sane accepimus quod vos dudum animoproposueratis aliquas insulas et terras firmas remotas et incognitas ac per alios hactenus non repertas quaerere et invenire, ut illarum incolas et habitatores ad colendum Re demptorem nostrum et fidem catholicam profitendam reduceretis, sed hactenus in expugnatione et recuperatione ipsius regni Granatae pluri mum occupati hujusmodi factum et laudabile propositum vestrum ad optatum finem perducere nequivistis; sed tandem, sicutDomino placuit, regno praedicto recuperato, volentes desiderium adimpleri vestrum, di lectum filium Christophorum Columbum, virum utique dignum et plu rimum commendandum, ac tanto negotio aptum, cum navigiis ethomi nibus ad similia instructis non sine maximis laboribus et periculis ac expensis destinatis, ut terras firmas et insulas remotas et incognitas hu jusmodi per mare, ubi hactenus navigatum non fuerat diligenter inqui reret. • Qui tandem, divino auxilio, facta extrema diligentia, in mari Oceano navigantes, certas insulas remotissimas et etiam terras firmas quae per alios hactenus repertae non fuerant, invenerunt: in quibus quamplurimae gentes pacifice viventes, et, ut asseritur, nudae incedentes, nec carnibus vescentes inhabitant, et utpraefati Nuncii vestri possunt opinari, gentes ipsae in insulis et terris praedictis habitantes credunt unum Deum et Creatorem in coelis esse, ad fidem catholicam amplexandum et bonis moribus imbuendum satis apti videntur, spesque habetur, quod si eru dientur, nomen Salvatoris Domini nostri Jesu Christi in terris et insulis praedictis faterentur(in aliis editionibus facile inducerentur pro faterentur), ac praefatus Christophorus in una ex principalibus insulis praedictisjam unam turrim satismunitam in qua certos christianos, qui secum iverant in custodiam, ut alias insulas et terras firmas remotas et incognitas in quirerent, posuit, construi et aedificari fecit. In quibus quidem insulis et terris jam repertis aurum, aromata et aliae quamplurimae res pretiosae diversi generis et diversae qualitatis reperientur. •Unde omnibus diligenter et praesertim fidei catholicae exaltatione et dilatatione ( prout decet catholicos reges et principes) consideratis, more progenitorum vestrorum clarae memoriae regum, terras firmas et insulas praedictas, illarumque incolas et habitatores vobis, divina favente clementia, subjicere et ad fidem catholicam reducere proposuistis. • Nos igitur hujusmodi vestrum sanctum et laudabile propositum plu rimum in Dominocommendantes, ac cupientes ut illud addebitum finem perducatur, et ipsum nomen Salvatoris nostri inpartibus illis inducatur, hortamur vos quamplurimum in Dominoet persacri lavacri susceptionem, qua mandatis apostolicis obligati estis, et viscera misericordiae Domini Jesu Christi, attente requirimus, ut cum expeditionem hujusmodi omnino -- 153 prosequi, et assumere plena mente orthodoxae fidei zelo intendatis, po pulos inhujusmodi insulis et terris degentes ad christianam religionem suscipiendam inducere velitis et debeatis , nec pericula, nec labores ullo unquam tempore vos deterreant , firma spe fiduciaque conceptis quod Deus omnipotens conatus vestros feliciter prosequetur. •Etut tanti negotii provinciam apostolicae gratiae largitate donati liberius et audacius assumatis, motu proprio, non ad vestram vel alterius pro vobis super hoc nobis oblatae petitionis instantiam, sed de nostra mera liberalitate, et ex certa scientia, ac de apostolicae potestatis pleni tudine, omnes insulas et terras firmas inventas et inveniendas, detectas et detegendas versus occidentem et meridiem, fabricando etconstruendo unam lineam a polo arctico, scilicet septentrione, ad polum antarcticum, scilicet meridiem (sive terrae firmae et insulae inventae et inveniendae sint versus Indiam aut versus aliam quamcumque partem), quae linea distet a qualibet insularum, quae vulgariter nuncupantur de los Azores y Cabo Verde, centum leucis versus occidentem, et meridiem , ita quod omnes insulae et terrae firmae repertae et reperiendae, detectae et de tegendaeapraefatalineaversus occidentem et meridiem peraliumregém aut principemchristianum nonfuerint actualiter possessae usque ad diem Nativitatis Domini nostri Jesu Christi proxime praeteritum, aquo incipit annuspraesens(1493)millesimus quadringentesimus nonagesimus tertius ; quando fuerint per nuncios et capitanos vestros inventae aliqua praedi ctarum insularum auctoritate omnipotentis Dei nobis inbeato Petro con cessa ac Vicariatus Jesu Christi, qua fungimur in terris, cum omnibus illarum dominiis, civitatibus, castris, locis, juribusque et jurisdictionibus ac pertinentiis universis , vobis haeredibusque et successoribus vestris Castellaeet Legionis regibus in perpetuum tenore praesentium donamus, concedimus, assignamus, vosque et haeredes ac successores praefatos il larum dominos cum plena, libera et commoda potestate , auctoritate et jurisditione facimus, constituimus etdeputamus. •Decernentes nihilominus per hujusmodi donationem, concessionem et assignationem nostram nulli christiano principi, qui actualiter praefatas insulas et terras firmas possederit, usque ad dictum diem Nativitatis Do mini Jesu Christi jus quaesitum sublatum intelligi posse aut auferri de bere. Et insuper mandamus vobis in virtute sanctae obedientiae ( sicut pollicemini, etnon dubitamus pro vestra maxima devotione et regiama gnanimitate vos esse facturos) ut ad terras firmas et insulas praedictas viros probos et Deum timentes, doctos, peritos et expertos ad instruendum incolas et habitatores praefatos in fide catholica, et bonis moribus im buendum destinare debeatis, omnem debitam diligentiam in praemissis adhibentes. Ac quibuscumque personis cujuscumque dignitatis, etiam imperialis et regalis, status, gradus, ordinis vel conditionis sub excom municationis latae sententiae poena, quam ex ipso, si satisfecerint, incur rant , districtius inhibemus , ne ad insulas et terras firmas inventas et inveniendas, detectas et detegendas versus occidentem et meridiem, fa bricando et construendo lineam a a polo arctico ad polum antarcticum, 154-- sive terrae firmae etinsulae inventae et inveniendaesint versus Indiam, aut versus aliam quamcumque partem, quae linea distet a qualibet in sularum, quae vulgariter nuncupantur de los Azores y Cabo Verde centum leucis versus occidentem et meridiem, ut praefertur, pro mercibus ha bendis vel quavis alia de causa accedere praesumant, absque vestra ac haeredum et successorum vestrorum praedictorum licentia speciali. Non obstantibus constitutionibus et ordinationibus apostolicis caeterisque con trariis quibuscumque, in illo, a quo imperia et dominationes , ac bona cuncta procedunt, confidentes, quod, dirigente Domino actus vestros, si hujusmodi sanctum etlaudabile propositum prosequamini, brevi tempore cum felicitate et gloria totius populi christiani vestri labores et conatus exitum felicissimum consequentur. , Verum quia difficile foret praesentes litteras ad singula quoque loca, in quibus expediens fuerit deferri, volumus ac motu et scientia similibus decernimus, quod illarum transumptis manu publici notarii rogati suis scriptis et sigillo alicuius personae in ecclesiastica dignitate constitutae, seu curiae ecclesiasticae munitis, ea prorsus fides in iudicio et extra, ac alias ubilibet adhibeatur, quae praesentibus adhiberetur, si essent exhi bitae vel ostensae. • Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam nostrae commen dationis, hortationis, requisitionis, donationis, concessionis, assignationis, constitutionis , deputationis , decreti , mandati , inhibitionis et voluntatis infringere, vel ei ausu temerario contraire. Si quis etc.... Datum Romae apud Sanctum Petrum anno Incarnationis dominicae millesimo quadri gentesimo nonagesimo tertio, IV nonas mai , Pontificatus nostri anno primo.. III. Post breve tempus Pontifex rebus religionis in Orbe Novo consu luit directe, utpote patet ex hac Bulla. Dilecto filio Bernardo Boil (forsan pedemontano) fratris ordinis Mino rum, vicario dicti ordinis in Hispaniarum regnis, salutem etc. • Tibi, qui presbyter es, ad insulas et partes praedictas etiam cum a liquibus sociis tuis, vel alterius ordinis per te aut eosdem regemet re ginam, nempe Ferdinandi et Elisabethae, eligendis, superiorum vestrorum vel cuiusvis alterius super hac licentia minime requisita , accedenti , et inibi, quamdiu volueritis, commorandi , ac per te, vel alium , seu alios ad id idoneos presbyteros saeculares vel religiosos ordinum quorumcum que, verbum Dei praedicandi et seminandi, dictosque incolas et habita tores ad fidem catholicam reducendi. eosque baptizandi et in fide ipsa instruendi, et ecclesiastica sacramenta, quoties opus fuerit , ipsis mini strandi , ipsosque et eorum quemlibet per te, vel alium, seu alios pre sbyteros saeculares vel religiosos, in eorum confessionibus et quoties opus fuerit , audiendi , illisque diligenter auditis pro commissis per eos criminibus , excessibus et delictis , etiamsi talia fuerint , propter quae sedes apostolica quovis modo fuerit consulenda , de absolutionis debito providendi, eisque poenitentiam salutarem iniungendi , nec nonvota quaecumque per eos pro tempore emissa, Jerosolymitani , li -- 155 minum apostolorum Petri et Pauli, ac S. Jacobi in Compostella, et reli gionis votis dumtaxat exceptis, in alia pietatis opera commutandi , ac quascumque ecclesias, cappellas , monasteria , domos ordinum quorum cumque etiam mendicantium, tam virorum quam mulierum, et locapia cum campanilibus, campanis, claustris , dormitoriis , refectoriis , hortis , hortalitiis et aliis necessariis officinis sine alicuius praeiudicio erigendi, construendi et aedificandi, ac ordinum mendicantium professorias domos, quas pro eis construxeris et aedificaveris recipiendi , et ad perpetuo in habitandum licentiam concedendi , dictasque ecclesias benedicendi , et quoties illas earumque coemiteria per effusionem sanguinis vel seminis, aut alias violari contigerit, a qua prius per aliquem catholicum mini strum , ut moris est , benedicendi , reconciliandi, et etiam necessitatis tempore, super quo conscientias vestras oneramus, carnibus et aliis cibis tibi, et sociis tuis praedictis, iuxta regularia dictorum ordinum instituta, prohibitis, libere et licite vescendi, omniaque alia et singula in praemis sis, et circa ea necessaria, exequendi et disponendi, plenam, liberam et omnimodam auctoritate apostolica et ex certa scientia tenore praesen tiumfacultatem, licentiam, potestatem et auctoritatem concedimus pariter et elargimur. •Et insuper ut Christi fideles eo libentius devotionis causa ad dictas terras et insulas confluant, quo suarum se speraverint salutem animarum adepturos, omnibus et singulis utriusque sexus Christi fidelibus praedi ctis, qui ad praedictas terras et insulas se personaliter de mandato tamen et voluntate regis et reginae praedictorum, contulerint, ut ipsi, et qui libet eorum confessorum idoneum saecularem, vel regularem eligere possint, qui eos et eorum quemlibet modo praemisso , ab eorum crimi nibus, peccatis et delictis etiam dictae sedi reservatis absolvat, ac eorum vota etiam commutet, nec nonomnium peccatorum suorum, de quibus corde contriti, et ore confessi fuerint, indulgentiam et remissionem ipsis in sinceritate fidei, unitatae sanctae Romanae Ecclesiae, ac obedientia et devotione nostra , et successorum nostrorum romanorum Pontificum canonice intrantium persistentibus semel in vita et semel in mortis ar ticulo auctoritate praefata concedere valeant, nec non monasteriis, locis et domibus erigendis et aedificandis, et monachis et fratribus, et illis pro tempore degentibus, ut omnibus et singulis gratiis, privilegiis, liber tatibus, exemptionibus : immunitatibus, indulgentiis et indultis aliis, mo nasteriis, locis, domibus, monachis et fratribus ordinum, quorum illa et illi fuerint in genere concessis, et concedendis in posterum , uti , potiri et gaudere libere et licite valeant auctoritate praefata de specialis dono gratiae indulgemus, non obstantibus felicis recordationis Bonifacii Papae VIII praedecessoris nostri literis , ne quivis ordinum mendican tium fratres nova loca recipere praesumant absque dictae sedis speciali licentia, etc. Datum Romae apud S. Petrum ann. MCDXCIII, VII kalend. iulii ; pontificatus nostri ann. I. Diplomatibus Pontificiis relatis , Raynaldus haec subdit non pre tereunda, -- 156 • Cum porro Pontificis sacras indulgentias proponerent Hispanis , qui subsidium aurum Ferdinando et Elisabethae regibus pro amplificanda christiana religione conferrent, quibus auxiliis fulti et Mauricam super stitionem in Granata exciderant. Africamque subiicere meditabantur , nonnulli praeclarum hoc licitationis genus et emungendae pecuniae ido neam artem rati, plures corruptelas in iis promulgandis admisere , tum etiam adulterina diplomata finxere , quos Alexander a praesulibus com primi iussit (l. 3, Bull. secr. pagina 136). Adiecta est eius literis , haec temporis nota. Datum Romae apud S. Petrum anno Incarnationis domi nicae 1494, VI kalend. augusti, pontificatus nostri anno I. , AVVERTENZA. Nel libro Storia del Santuario di Nostra Signora d'Oropa nei monti di Biella, dell'abate Gustavo Avogadro di Valdengo, Torino, Stamperia Reale 1846, a pag. 184, 185, 186, 187, Ν. ⅩⅠ, si riporta altresì una preziosa Bolla d'Alessandro VI Papa ragguardo a detto Santuario, ricavata dall'Ar chivio capitolare di Biella, di cui manca il Bollario Romano. Questa Bolla fu emanata nell'anno 1501 . CAPO DECIMOSETTIMO. Conati di Lodovico il Moro per usurpare il ducato di Milano.- Lega zione dei Principi italiani al Papa; disaccordo perciò tra per questi e per Lodovico il Moro ; maneggi di costui ostili a Ferdinando re di Napoli, al quale inimica Alessandro VI. Trattato di una lega fra i Principi italiani, il Papa, i Veneziani e il Duca di Milano, dalla quale vengono esclusi il re di Napoli ed i Fiorentini. Stia dunque fermo in prima di tutto , altra cosa in ogni Papa essere l'uomo, il sacerdote ed il sovrano ; nè all'uno di questi rispetti essere imputabili i trascorsi dell'altro. E questa è dialettica lucida e possente , la quale tutte le sette, fuori del cattolicismo, hanno obbrobriosamente confusa e dimenticata. Sospendiamo noi qui di esaminare l'intangibile pontefice per riflettere sul sovrano. Essendo frutto d'umana e civile saviezza l'uso della temporale sovra nità, sarà più o meno felice nei papi, come negli altri sovrani; e pianta non è sì buona e feconda, che non soggiaccia mai al difetto della sua contingente natura. Perciò distinguendo l'uso dall'abuso sulla pontificia sovranità, bene avvertiva un oratore del concilio di Basilea : La mia • opinione fu altra volta che il potere temporale si disgiungesse dallo • spirituale; ma appresi che ridicola è l'autorità senza la forza, e che il › Papa senza il patrimonio della Chiesa, altro non sarebbe che l'illustre › schiavo di qualche potentato Schroeckh, vol. xxII, pag. 90 Quindi nei tempi più burrascosi l'eleggersi, come Alessandro VI, i più valenti a mantenere la sovrana indipendenza, ed il prefato oratore, che -- 157 del suo voto favoreggiava l'elezione di Felice V principe di Savoia, mal nonvedeva che uomini stati già nel secolo si elevassero al pontificato per difenderlo più agevolmente dai tiranni coll'opera dei figliuoli e delle aderenze famigliari; e forse tutto amor di famiglia non era il nepotismo di alcuni papi, ma aiuto pure e rincalzo del gradoloro. Allaqualemon dana prudenza ripugniamo ora fermamente, volendo nel successore di Pietro vedere dapprima il pontefice che il sovrano; ed essendo per fon damentale costituzione il concistoro dei cardinali, e non i figliuoli o i nipoti, il legittimo consiglio e le braccia del papato. Ma pure è indubi tato che molto debbesi comportare in grazia del tempo e dei pregiudizi dell'età in cui vissero gli uomini, come si tollerano le mode ed i vieti gerghi. Qui, senza considerare l'andazzo de' secoli , vuolsi urtasse e rompesse il sesto Alessandro. Ai figliuoli bene o male acquistati (innanzi al sacer dozio, al pontificato) preparava una reggia nel Vaticano , onori , gradi , principati, benefizi ecclesiastici, la porpora e parentele colle case regnanti. Forse più lento stato sarebbe lo svolgimento di questo suo disegno am bizioso, o fors'anche sventato, se i precipui cardinali Giuliano della Ro vese, Giovanni Colonna, Raffaele Riario, Giovanni de'Medici, sacrificando il loro amor personale, come richiedeva il proprio dovere, fossersi seduti irremovibili in sur i gradini del soglio di Alessandro VI, quali utili con siglieri o monitori intrepidi; ma la dispersione loro ingloriosa lascian dolo cinto da pochi, che non sentivano molto innanzi, sospinto qual era da sua indole altera, dall'oltracotanza degli effreni baroni romani, e della prole cupida di stato, quale meraviglia, se in cotale abbandono cedendo egli , siasi talvolta mostrato più sovrano che pontefice , e vie maggior mente quando le circostanze e la malvagità dei tempi glielo rappresen tavano utile, onesto, necessario. Siacene maestra l'istoria fedele. Era Alessandro VI succeduto ad Innocenzo VIII, morto pochissimi mesi dopo Lorenzo de' Medici , principe il più savio d'Italia. Il primo effetto cattivo , cui il trapasso di questo stato cagiono allo stato universale di nostra penisola, fu l'ambiziosa voglia di sottentrargli inquella riputazione generale che venne in cuore a Lodovico Sforza, detto per sopranome il Moro , o per cagione del suo color bruno , o per aver introdotto pel primo il moro ossia gelso in Italia. Non pago costui di amministrare con autorità assoluta le cose di Mi lano sotto nome del Duca Gian Galeazzo Sforza suo nipote di cui era tutore o piuttosto oppressore, anelava ad essere stimato l'arbitro equasi l'oracolo dell'universa Italia, dettando norma e consiglio ai diversi prin cipi e regolando le cose comuni e gl'interessi delle varie potenze. Il vero è che questa suaambizionenon procedeva direttamente da unvano desiderio di comparire più sottile ed intendente degli altri in politica; ma aveva un altro più sostanziale principio, avvegnachè non più lodevole, ch'era di conservarsi l'autorità principale esovranacuiaveva al giovane duca Gian Galeazzo usurpato (veggasi anche Pietro Messia. Vita degli imperatori Romani, alla vita di Massimiliano, 114imp. Pietro Messia era presso che coetaneo a Gian Galeazzo, ecc.). -- 158 Per ottenere questo intento, gli conveniva avere tale credito appresso le molteplici potenze, che tutte o la maggior parte si rtovassero interes sate a conservargli l'autorità del governo di Milano. Ma gli bisognava potissimamente intrecciare per siffatto modo gl'interessi dei potentati e condurre le cose a segno tale, che la cortediNapoli, dalla qualesola te mere poteva di essere sturbato nella usurpazione sua, fosse costretta di averlo amico. Il giovane duca Gian Galeazzo aveva per moglie la sua cugina Isa bella d'Aragona, figliuola d'Alfonso duca di Calabria, primogenito del re Ferdinando, e d'Ippolita Sforza. Costei , siccome scrive Filippo da Co mines (Memorie, Lib. VIII, Cap. II), era donna valorosa e di gran cuore, così sforzavasi di riporre il marito in credito e dignità; madivero egli era troppo imprudente e di poco cervello , e per giunta rivelava tutto ciò che ella gli diceva. Niuno o operante o ministro diGiovanGaleazzo duca di Milano impedivai progressi ed i fini del signor Lodovico (il quale camminava a farsi assoluto signore di quello Stato (fuorchè lamoglie, la quale era giovine e savia, figliuola di Alfonso suddetto). , Non potendo ella tollerare con buon animo che, invece del suo ma rito (1), il quale oltrepassava i venti anni ed era già padre di due figliuo letti, comandasse un altro sovranamente, forse ancor più l'irritava, come suol essere il naturale delle donne, il vedere che la moglie diLodovico il moro, Beatrice Alfonsina da Este, voleva tenere il primo rango e pre tendesse i primi onori in competenza di lei che era la duchessa enipote di un re. Insomma una era principessa di nome, l'altra di fatto (2). Lodovico vagheggiando l'accennata usurpazione, tenne ognor lontano Galeazzo dall'amministrazione degli affari dello Stato, comunque questi (1) Levati Ambrogio nel suo Dizionario delle Donne illustri , Milano 1831 , ragionando con onorevole menzione d'Isabella d'Aragona , sposa di Gian Galeazzo Sforza , dice che " il dì delle nozze loro, fu il principio delle sventure d'Isabella ; suo marito non aveva che il nome ducale; Lodovico Sforza zio di lui, presane la tutela e con quest'occasione ridotte a poco a poco in po testà propria le fortezze, le genti d'arme, il tesoro, e tutti i fondamenti dello Stato, perseverava nel governo, dice, il Guicciardini , non come tutore o governatore, ma dal titolo di duca di Mi lano in fuori, con tutte le dimostrazioni ed azioni da principe. Si aggiunse per maggior sventura d'Isabella che la moglie di Lodovico il Moro era donna presuntuosa e superba che nulla lasciava per abbassare la nipote. Isabella soffri la persecuzione per lungo tempo con grande mansuetudine e pazienza, e scrisse un libro che ha per titolo della Tranquillità d'animo. Si narra cheOrtensio Lando aveva preso a scrivere intorno allo stesso argomento, e che allorquando lesse il trattato di Isabella, lo trovò cosi dotto ed elegante, che subito, con suo rossore, diè alle fiamme quello che scritto aveva. Finalmente la pazienza d'Isabella venne meno : ella ruppe il silenzio, fe' le più vive rimostranze a Lodovico ; scrisse all'avolo ed al padre eccitandogli a costringere lo zio del duca a deporre il dominio usurpato. Allora Lodovico (noti il leggitore che qui il Levati esclude-Alessan dro VI dall' aver preso parte alla calata di Carlo VIII in Italia) chiamò in Italia Carlo VIII re di Francia. " (2) Le vite delle Donne Celebri d'ogni paese, della duchessa di Abrantes, continuate per cura di letterati italiani, vol. v, Milano, presso Andrea Ubicini, 1839. Apertamente dice l'autore sulla vita d'Isabella d'Aragona, che fu Lodovico che con tutto calore incitò Carlo VIII a torre il regno agli Aragonesi calando in Italia. 159 fosse già pervenuto all'età di ventiquattro anni, ed avesse avuto figliuoli chedoveangli succedere nella signoria. Trattava il nipote assai duramente eper modo, che in poco di tempo il costrinse ad abitare il castello di Pavia in tali ristrettezze di danaro, che mancando d'ogni facoltà di po tere rimunerar chi gli prodigava gentilezza o cortesia, non aveva ab bastanza per provvedere alle bisogna più urgenti di sua famiglia. Se a aquesta crudeltà si aggiunge il fare insultante di Beatrice sua moglie con Isabella , non si può immaginare quadro più doloroso della misera condizione di questi principi infelici. Impaziente di tale umiliazione l'animo altero di Isabella , ne fremeva enon cessava di sollecitare l'avolo ed il padre, perchè si adoperassero a liberare da tanta indegnità se stessa e il marito, costringendo Lodovico adeporre quella reggenza, cui questi s'ingegnava di rendere eterna, mi rando ad involare al nipote il titolo, l'autorità di duca ugualmente che la vita (Guice. lib. I.- Comines 1. v, p. 400, etc. d'Italia, tom. v, 1. xix, cap. 1. Denina Rivoluzioni Muratori Annali d'Italia, an. 1493, ecc). I sudditi mormoravano, Galeazzo soffriva e taceva nell'indole sua mite etutt'amore per la sua famiglia. Isabella a questo scopo diresse a suo padre una lettera, nella quale gli dipinse la deplorabile sua situazione, esprimendosi così : •Io sono certa che voi i quali sempre foste ricordevoli della chiarezza di casa d'Aragona, e della dignità reale, non avreste maritato me, che sono vostra figliuola e nel vostro seno allevata, a Gian Galeazzo, se voi aveste pensato ch'egli il quale era per dover succedere, quando fosse in età, nello stato del padre e dell' avolo, passata la sua fanciullezza ed avuti figliuoli, fosse stato per dover servire all'ambiziosissimo e crude lissimo suo zio. Perciò che Lodovico non più zio, ma crudele e dispie tato nemico, pare ora apertamente quello ache molto innanzi tiratodalla lunga usanza di governare desideratissimamente aspirò sempre; solo possiede lo stato di Milano ed insieme colla moglie governa ogni cosa asuo modo. A lui ubbidiscono i guardiani delle rocche, icapitanidegli eserciti, i maestrati e tutte le città delle provincie. Egli dà udienza agli ambasciatori dei principi, dà le leggi della guerra e della pace, e da ultimo ha suprema autorità della morte e della vita, delle entratee delle rendite tutte. E noi miseri, assediati da lui ed abbandonati da tutti, non avendo altro che l'ornamento del titolo vano, oscuramente viviamo una vita lagrimosa e dolente, e dubbiosi ancora di questa la quale, perduto lo stato e gli onori solacirimane, setosto voi non ci soccorrete, dopo tanti travagli ognidi di peggio aspettiamo. Per amor di Dio liberate lafigliuola eil genero vostro da tanti affanni ; e se le ragioni divineed umane non vi muovono punto, se pure una volta incotesti animi vostri reali si trova alcun pensiero di giustizia, di pietà e d'onore, rimetteteci nella libertà e nello stato nostro. Non ci manca il favore degli ottimi cittadini : in Gian Galeazzo è animo capace di governo e di stato. Gli amici vecchi, i quali ora temono la crudeltà del tiranno, stanno cheti e ci promettono, ve nendo l'occasione, di prontamente e fedelmente servirci dell'opera loro; -- 160 e tutte le città hanno in verso di noi un ottimo volere; le qualicittàda Lodovico con insolita e gravissima stranezza sono taglieggiate. Final mente non ci mancherà del suo aiuto Iddio, il qualeèquegli chepunisce i delitti, se voi, i quali riputate cosa onorata e reale il soccorrere gli stranieri ancora oppressi da misera ed indegna servitù, non mancherete al sangue vostro ed alla giustissima causa. Nè queste voglie della duchessa e dei suoi parenti potevano ignorarsi dal Moro, il quale teneva l'occhio intento principalmente ad ogni movi mento della corte di Napoli, e andava procacciando di mantenere lecose d'Italia nello stato in cui versavano, e di tirare a se stesso quell'arbitrio che si era quasi di comun consenso lasciato a Lorenzo de' Medici. E quantunque il re Ferdinando, che preferiva il sodo ed ilreale, allaboria ed alla vanità, ed amava più la quiete sua e lasicurezza dello stato, che di promuovere le pretensioni, benchè ragionevoli, della nipote Isabella, non essendo punto alieno dal consentire a ciò che Lodovico desiderava, nulladimeno secondo, ci narra Paolo Giovio nella sua istoria, restò com mosso dalla lettera d'Isabella e produsse essa in lui i suoi effetti : •Fernando ed Alfonso i quali già molto tempo innanzi per lettere di molti, e per fama avevano inteso queste cose esser vere, mossi dalla di sonestà del fatto, ordinarono di mandareambasciatori a Lodovico, i quali negoziassero la causa di GianGaleazzo, manonpertanto amichevolmente e umanissimamente trattassero l'affare; parendo loro che in quel tempo nè con minacce, nè con alcuna denunziazione di pericolo non sidovesse sollevare la violenza di quell' uomo nella paura precipitoso e tutto pieno di sospetto. Furono mandati adunque Antonio e Ferrando di Gennaro , uomini gravi, i quali magnificamente ricevuti in Milano, recitarono una bella orazione nel consiglio dei primi ordini in lode di Lodovico; la quale era fatta affinchè l'animoinfermodall'ambizione, dappoichè lealtre arti non fossero valute nulla, si venisse a guarire, udendo ragionare di gloria e di lode. Perciò che Lodovico erabramosod'eternità edesideroso di gloria, ma con perverse ragioni seguitava la vana per la soda. Ora il fin dell' orazione fu questo, che il re Fernando ed Alfonso strettamente lo pregavano che egli oggimai volesse restituire lo stato, che con sin golare virtù e vigilanza aveva molti anni conservato a Gian Galeazzo fanciullo, a lui ch'era già divenuto uomo ed aveva figliuoli : eche s'egli faceva secondo che richiedeva la ragione del mondo, chesiccome prima egli godette del nome di savio, così poi con singolar sua lode si avrebbe acquistata fama d'ottimo uomo; e che i re d'Aragona, i quali, sempre erano stati congiuntissimi coi principi Sforzeschi, ricevuto quel singolar beneficio, gliene avrebbero rendute grazie immortali.... Lodovico che pel lungo esercitare la sovrana autorità, vedeva con do lore giunto il momento di doverla rassegnare in altre mani, diè le più cortesi risposte agli ambasciatori, riportateci dalmedesimo succitato Paolo Giovio: • Quivi rispose (questi scrive) Lodovico, che in tutto iltempo della sua vita con tutti i suoi pensieri aveva posto ogni cura in farsìche lostato 161 di Milano non potesse essere turbato nè da insidie di dentro, nè fattogli alcun danno dai nemici per la comodità del principe fanciullo, e che, con la grazia di Dio, ciò aveva egli onoratamentecompiuto.Che il nome di vero principe fu sempre stato appresso di Gian Galeazzo, ed an che per l'avvenire sarebbe, e che in questo mezzo egli non aveva mai usurpato altro che fatiche e maneggi d'importantissime cose, e ciò con gran travaglio d'animo e perdita della sanità sua, che egli non era stato mai per comportare, avendosi con molti esempi d'equità e di mo destia acquistata onoratissima riputazione presso ognuno, che la gloria della sua vita passata si avesse a macchiare con alcuna poco meno che onesta azione, e che perciò in ispazio di breve tempo, poichè il nipote con la cura e diligenza sua era cresciuto in questa speranza, avrebbe posto giù il grave e molestissimo peso di governar lo Stato, acciocchè nonsolamente i re d'Aragona, i quali pareva che ciò strettamente chie dessero, ma gli altri principi ancora e tutti gli uomini privati conosces sero ch'egli non per ambizione alcuna, ma spinto dalla necessitàdel suo debito si era posto a quella impresa, quando le cose sue non mediocre mente ruinate per la perfidia di alcuni, in dubbiosi tempi ricevevano maggior aiuto per la salute del fanciullo e dello Stato. Eche non do mandava tranne il tempo necessario a congregare gli Statidel milanese per render conto di sua amministrazione. Con tali promesse ed invenie Lodovico astuto appagò gli ambasciatori di casad'Aragona, queto gli animi dei nipoti ediquelli tra i sudditi che parteggiavano per loro.Egli però avea tenacemente prefissodi non dimet tersi punto dal governo; e quindi scorgendo che le parole vane e qua lunque più sottile artificio non sarebbegli più giovato, si rivolse col fa vore d'un tale indugio, pieno di livore e di vendetta, a ruminare le ma niere d'abbattere il re Ferdinando, considerandolo per signor possente, ad ottenere colla forza ciò che non gli volevaconcedereperamore (Corio Istor. di Milano. Ammirati, Istoria di Firenze), eprendendo in prestito del denaro, mise le piazze in istato di difesa, e fece tutti i preparativi necessari per confermare la usurpazione sua in ogni evenienza che gli venisse disputata. Egli era convinto che la maggiorparte dei Principi italiani nonerano punto favorevoli alle sue vedute ; ma con inquietezza maggiore egli te neva lo sguardo rivolto a Firenze, città la cui positura poteva agevolare un attacco contra il Ducato di Milano, ed il cui capo, Pietro de' Medici, giudicava di non aver dalla sua. Questo sospetto non era senza fonda mento, e noi il vedremo tra poco ampiamente giustificato. Il Napoletano non sentendosi abbastanza forte per punire una mala fede tanto palese, ricorreva perciò ad altre potenze italiane. Pietro de' Medici che aveva ereditato la potenza, manon lacapacità del suo padre Lorenzo, rigetto egli sul principio alcune proposizioni che tendevano a fargli contrarre un'alleanza contra Lodovico, col quale egli stesso ne a veva formata una contra de' Veneziani. Però il re di Napoli non si per dette d'animo a simile rifiuto. 11 162 Pietro de' Medici aveva per moglie una delle figlie di Virginio Orsini, il quale teneva di molte obbligazioni al re Ferdinando, edunprodigioso ascendente sullo spirito di suo genero. Riuscì a Virginiodi persuadergli che i suoi impegni con Lodovico non dovevano trattenerlo nelle circo stanze attuali, che quelli i quali venivangli proposti erano infinitamente più vantaggiosi , e del resto questi sarebbero velati con un impenetra bile segreto, almeno fintantochè le truppe di Napoli non si fossero unite con quelle di Fiorenza. Con tutto ciò, Lodovico il più diffidente, il più scaltrito, ed uno degli uomini i più furbi di sua epoca, penetrò fra non molto questo mistero , ed una specie di puerile vanità suscitò le prime scintille di un grandissimo incendio. Disponevansi, come abbiamo riferito, i potentati cristiani, egl' italiani in singolar modo ad andare o mandare in Roma, secondo l'antico co stume, per complimentare il nuovo Papa, e già si erano dallapiù parte delle corti e delle repubbliche deputati i ministri perquest'ufficio. Lodo vico Sforza , che siccome era di fatto persona di molta prudenza ed ac corgimento, così amava di esser stimato tale, e di comparire autore di partiti nuovi enonimmaginatidagli altri, proposealrediNapoli, allasigno ria di Firenze, ed agli altri principi confederati, che invece di mandare ciascuno da sè ambascieria particolare, fosse da inviarne al Papa una sola generale per parte di tutta la lega, i cui ambasciatori facessero nel giorno medesimo entrata solenne in Roma per rendere il loro omaggio al Santo Padre, ed un solo a nome ditutti parlamentasse nelconcistoro, afine di far conoscere a tutti con questo atto la perfetta unione ed ar monia dei principi, e la fermezza della pristina lega, e quanto dovesse perciò Sua Santità andar riguardata e cautaa tentar novità.Piacque il nuovo partito quasi d'unanime consenso ai principi confederati, i quali conoscendo veramente la natura del nuovo Pontefice, ferma, intrapren dente, intollerante dei soprusi cui abbondava quel tempo, furono facil mente persuasi dell'importanza di tenerlo a segno con quella pubblica dimostrazione dell'unione che regnava fra gli Stati italiani. Solamente a Firenze questo modo di ambascieria trovò occulta, ma forte contraddizione, non già presso il pubblico, ma nell'animo di Pietro de' Medici e di Gentile vescovo d'Arezzo, ambidue elettidallarepubblica tra il numero degli ambasciatori a papa Alessandro VI. Il vescovo a cui per rispetto della sua dignità, sarebbe spettato l'uffi rio di portar parola, sperava di far in quell'occasionegrande mostra della sua eloquenza nella qual arte si reputava prestante maestro, e credeva di riportarne la palma sopra il Sannazzaro suo concorrente; laddove po teva di leggieri toccare ad altri quel carico se, presentandosidavantial Papa tutti insieme gli ambasciatori, delle potenze collegate, un solo a vesse dovuto parlare. Andò facilmente d'accordo con lui Pietro de' Medici, come quegli che per somigliante motivo non gradiva che si effettuasse l'ambasciata a nome comune della lega, essendo egli giovane, ricco, vano, e poco in teso delle cose di Stato, già si era apparecchiato di comparire in Roma -- 163 con treno magnifico e quasi regio, e in quel concorso di tanti amba sciatori segnalarsi collo sfoggio delle sue ricchezze; la qual cosa avvi sava che gli sarebbe riuscita meno a disegno, quando avesse dovuto trovarsi confuso fra tanta moltitudine di rappresentanti delle potenze confederate. Non osando però contrapporsi apertamente al partito già quasi uni versalmente, vinto di quella legazione , fece intendere segretamente a Ferdinando re di Napoli, che era uno dei collegati, come il progetto del l'ambasciata comune non gli piaceva, o che gli avrebbe fatto cosagrata ricusandolo o sturbandolo. Ferdinando soddisfece al Medici più dell' ef fetto che del modo.Perciocchè scrivendo allo Sforza in contrario diquello che dapprima aveva approvato intorno a quellasolenne ambascieria, non gli celo che il faceva a richiesta di Pietro de' Medici. Da questo sì leggiero e presso che non considerabile accidente, tras sero principio gli sconvolgimenti ed i mali che percinquant'anni afflis ser l'Italia. Se Lodovico si tenne offeso per una parte, che Ferdinando cercasse di diminuirgli la riputazione, ritrattando una cosa già conve nuta e di cui già si sapeva in Roma e in tutte le corti chi fosse stato l'autore, dall' altro canto questa compiacenza del re verso del Medici gli fece suspicare che passasse tra loro due strettissima intelligenza, volta afargli contrasto quando ei volesse incarnare i suoi disegni. In questo suo pensamento il confermarono altrecose che incontanente seguirono ; laonde il turbolento Lodovico convertiva i suoi sospetti in certezza, ed ordiva la trama che trar doveva il papa nelsuo partito. I re di Napoli si avevano in ogni tempo procacciato dei fidi nell' or dine della nobiltà per farne lor pro quando occorresse. Alla morte d'In nocenzo VIII uno di cotesti signori, Franceschetto Cibo, nipote d'esso Innocenzo VIII, anteponendo un vivere tranquillo in seno della sua pa tria all'onore di regnare sopra piccoli stati inabili per debolezza a di fendersi, vendette quelli d'Anguillara e di Velletri a Virginio Orsini pros simo parente di Pietro de' Medici, di cui aveva sposato lasorella, eamico intrinseco e comandante dell' armata del re di Napoli. La compera era stata fatta per interposizione dello stesso Pietro di queste ragguardevoli terre vicine a Roma istessa, col titolo di principato, senza partecipazione del Pontefice, da cui dipendevano come feudi della Santa Sede, ed il re di Napoli avea somministrato pel pagamento lasommadiquarantamila scudi d'oro la quale non pareggiava neppure la rendita di due anni di quelle ricche signorie. Questa disposizione dispiacque giustamente al Papa per due ragioni : la prima pel poco riguardo avutosi, vendendosi, senza previo avviso, feudi dipendenti dalla Santa Sede; la seconda perchè Virginio Orsini, essendo parente ed intimo amico di Ferdinando, gli pareva pericoloso il lasciare acquistar potere ad un vassallo tanto ligio d'un principe, di cui la condotta ed il carattere facevano chesi dovesse ragionevolmente mol tissimo diffidare. Lodovico senti il partito che poteva trarre da un'esca così lusinghiera 164 per un Papa si geloso di conservare i suoi diritti signorili ; maallorchè fu introdotto all'udienza, si contentò, qual uomo accorto, di prestar l'esca nell'atto di fare i consueti complimenti, e la ornò per anche di colori acconci a dar l'aria di zelo al dispetto del pontefice, da esso lui inasprito contra di Ferdinando. Egli rappresentò i diritti della Santa Sede come essenzialmente offesi dall'attentato di Virginio ; soggiunse esagerando forse, che il re di Na poli il quale avea somministrato a questo signore la pecunia, eraezian dio più reo di lui; che l'odio di quel re per la casa Borgia manifesta vasi in ogni occasione irreconciliabile, e che se per parte di lui venisse tollerata questa prima ingiuria, il Papa, la suafamiglia e tutta laChiesa romana scapiterebbero della loro autorità, correrebbero i maggiori pe ricoli, perchè quando quei castelli fossero posseduti da persone a Ferdi nando aderenti, avrebbe costui potuto dare travaglio ai pontefici, ed acquistare maggiore potere e credito nelle cose d'Italia. Il cardinale Ascanio Sforza, fratello d'esso Lodovico, siccome quegli che sopra ogni altro aveva pronato l'innalzamento d'Alessandro VI, a cui era accettevolissimo ed aveva ceduto il grado di vice-cancelliere molto potendo appo di lui, appoggiava assaissimo quel discorso, e suggeri esser di sommo rilievo l'opporre una contro lega a quella di Ferdinando e dei Fiorentini : lega divenuta necessaria ancora perchè Baiazette sultano dei Turchi si disponeva a far loro guerra: lega l'nnica valevole ad ispirare acostui timore nell' assapere che i più poderosi Stati d'Italia eranocon federati fra di loro. Di maniera che il Santo Padre impegno parola per la lega col duca di Milano, e coi Veneziani dallo Sforza sollecitati quali antichi nemici degli Aragonesi, ed in essa il Moro tratto, da Firenze in fuori, di trarre tutti gli altri potentati d'Italia. Sentiamo quel che ne scrisse un dotto scrittore : • Alessandro VI, riporta l'abate Laugier, accurato descrittoredi questa lega, ascoltava queste insinuazioni susurrategli all'orecchio dal duca di Milano per l'organo del cardinale Ascanio, e pareva irresoluto. Ferdi nando avevagli data una soddisfazione apparente, esortando pubblica mente Virginio Orsini a sciogliere il contratto fattocon FrancescoCibo, mentre consigliavalo in segreto a sostenerlo. Di più il Papa progettava il matrimonio di uno dei suoi figli con una figlianaturale di Ferdinando, che doveva avere in dote un principato nel regno di Napoli; e questo interesse produceva le sue dubbiezze. Lodovico tento distaccare Pietro de' Medici dalla sua particolare unione col re di Napoli : ma l'impegno di Medici era preso, e non fu mai possibile scioglierlo. • Lodovico maneggiavasi presso li Veneziani, li quali nonostante il loro odio contra Ferdinando, ed il grande interesse che avevano di non lasciar predominare il suo partito in uno stato tanto vicino comequello di Milano, incerti delle vere disposizioni del Papa, e timorosi di essere sacrificati al primo pericolo che li minacciasse, e al primo vantaggio che potesse acquistare, differivano a risolvere. Al fine il cardinale Ascanio rappresentò sì vivamente ad Alessandro il poco fondamento che far do --165 veva sulle promesse di Ferdinando, principe falso ed artificioso, chenon cercava che ingannar tutti i suoi vicini per tenerli da sè dipendenti ; gli fece vedere sì chiaramente, che una lega tra la Santa Sede, liVeneziani e lo stato di Milano, era la sola barriera che si potesse opporre alli at tentati della corte di Napoli ; lo assicurò talmente, che dipendeva da lui-il formare questa lega, e che li Veneziani per entrarvi non attendevano che la sicurezza delle sue intenzioni: fu talmente insistente in questi punti, che Alessandro risolse di entrare in questo maneggio, e fece pro porre la lega alli Veneziani ; e tanto più volentieri il Papa vi accondi scese, scrive Carlo de Rosmini nell' Istoria di Milano, intorno a questa lega, quanto sapeva che alcuni individui delle possenti famiglie Orsini e Colonna sue nemiche erano passate agli stipendii dei re di Napoli. •Quando la proposizione fu portata al senato, ilDogeparlò conmolto calore per farla rigettare: ricordo ciò che era accaduto sotto Sisto IV, che dopo aver impegnato li Veneziani a fare la guerra, ed aver preso le armi a loro favore, aveva voluto poi sforzarli a fare la pace a suo capriccio, s'era unito ai loro nemici e li aveva scomunicati (1).Disse che in ogni tempo era stato stile della corte di Roma l'ingannare i suoi al leati, o rendere insopportabile la sua amicizia con dimande esorbitanti ; che gli ultimi Papi non avevano mai cercato che procurare principati ai loro nipoti, tutto sagrificando a questo interesse domestico; e che il Papa attuale, che aveva figli e più ambizione di tutti li suoi predeces sori, non mancherebbe di tutto far cedere al desiderio di stabilire la sua famiglia riccamente (2) Si oppose a queste speciose ragioni uninteresse di stato più solido; ed era d'impedire che il re Ferdinando non iscac ciasse Lodovico da Milano e si rendesse padrone del giovane duca e ne disponesse a piacere. Questa riflessione lavinse e lalega fu sottoscritta. (1) Il fiele col quale il Doge veneto cosparse li suoi accenti contra Roma non era generato da altra cagione tranne da quella infuori che essi avrebbero voluto col loro Leone alato allungare gli unghioni e stendere i vanni sin dove loro avesse piaciuto : è certo che se ne' romani Ponte fici non avessero trovato un possente ostacolo, avrebbero divorato i varii principati italiani non solo, ma ridotta Roma in servaggio ; quindi non poteva il Doge patire che Roma fiorisse nel suo dominio temporale, perchè ciò sempre sarebbe stato a detrimento del Veneto. Sicchè l'istesso Laugier disse esser queste speciose ragioni. (2) Quanto volesse illudere sè e gli altri il Doge, apparve ben chiaro dal seguito, chè niuno di questi principati pose ferma resistenza contro alla convenzione della lega medesima, alla discesa di Carlo VIII in Italia, salvo il Papa col re di Napoli. Furono gli altri tutti, durante questa prima guerra, d'una politica vacillante, incerta, infida ; il solo Alessandro VI tenne fermo, nè cedettese non costretto da forza; ed appena potè riscattarsene, il fece. 166 CAPO DECIMOTTAVO. Promulgazione della Lega Pontificia-Veneta-Lombarda, e condizioni d'essa. Volgeva il giorno ventesimo quinto d'aprile (1493) sacro alla festa di San Marco, Roma era tutta in movimento, lieto il Santo Padre, prece duto, addestrato, seguito da immenso numero di cardinali, arcivescovi, vescovi, cavalieri, prelati e popolo, e soldati di lance, corazze e scudi ar mati, cavalcava vestito de' più preziosi ornamenti pontificali verso la chiesa di San Marco, dovecon apparato straordinario aveasi dacelebrare la santa Messa e le Litanie; le quali essendo finite, sedendo Sua Santità maestosamente sul suo faldisterio, sorse il vescovo di Lutri e Nepi, pro nunciò acconciamente un breve sermone, quindi pubblico, leggendone i capitoli, la confederazione stipulata tra pel Beatissimo Padre, pei Vene ziani e per Lodovico il Moro ducadi Bari ossia Milano, alla qualeacce devano i comuni di Siena, di Mantova, di Ferrara. Il che finito rimbom barono quelle sacrate volte d'un solenne Te Deum laudamus intuonato dal Pontefice medesimo levatosi in piedi, e che miriadi di voci robuste proseguirono sino alla fine per mezzo ai melodiosi concenti, in quella che le campane del Campidoglio e delle altre chiese diRomasuonavano festose (Burchard. in Diarr. Infessura Stephanus, item). Oltre all'abate Laugier, anche Marino Sanuto (Marinus Sanutus. Leo nardi filius, in opera De Origine Urbis Venetae et vita omnium ducum capitula foederis recitat in vita Augustini Barbarigo ducis, quae sunt haec) riporta il sommario de'capitoli della lega tra pel Pontefice, la si gnoria di Venezia e lo stato di Milano, fatta a Roma addi 22aprile del 1493 e propalata nel dì di San Marco, nella quale è nominato il si gnor Lodovico Sforza duca di Bari. Essendo più precisa la relazione del Sanuto, noi ci atteniamo a questa: •Primo (ei dice adunque), si fa lega trale detti parti peranni venti cinque, a conservazioni degli Stati delle parti. • Secondo, che il Papa tenga tremila o quattromila cavalli, e due mila o tre mila pedoni, e le altre due parti tengano cavalli seimila in ottomila, e pedoni quattromila in cinquemila. • Terzo, che niuno dei collegati possa far lega con alcuna potenza d'Italia, se non di comune consenso di tutte e tre le parti. • Quarto , si riserba acadun potentato d'Italia di potere entrare in questa lega colle condizioni di quella. • Quinto, che i collegati in termine di due mesi debbano avere nomi nato i loro aderenti, complici, collegati e raccomandati. • Sesto, che dopo conchiusa la lega, in termine d'un mese sia per le parti ratificata per istrumento ovvero per lettera. 167 • Settimo, se per acasosi venisse, che Iddio nonvoglia, ad alcunaguerra, non si possa venire a pace e concordia se non di volontà di tutti. • Ottavo, se qualcuno dei complici etiam movesse guerra adunadelle parti, gli altri collegati debbano aiutare la parte offesa. •Nono, che se fosse fatta guerra per alcuno ad uno dei collegati, gli altri non gli dieno il transito, ricetto, ovvero vettovaglie, anzi gli nie ghino il passo omni suo conatu. • Decimo, perchè la Chiesa, dopo la morte d'Innocenzo Papa VIII è rimasta povera(1), i due collegati aiutino quella allo stipendio del signor di Rimini (il principe di Rimini era stato scelto a comandare in capo le truppe della chiesa), con certe clausole, come nel capitolo , videlicet la Signoria sola paghi essa, et etiam si conducano 200 uomini d'arme da essere pagati per tutti e tre i collegati . (In Murat. R. I. S. tom. XXII, p. 1250 e 1251. Conf. Guicciardini, Storia d'Italia, 1. 1. Macchiavelli, Fram menti storici. Ammirato, Storia Fiorent., lib. xxvi. Bembo, Storia Vene ziana, lib. I. Navagero, Hist. Ven. Raynaldi, Ann. Eccl. Mausi, Adnot. ad Raynald. Darù, e pressochè tutti gli Storici Veneti, Napoletani, Milanesi, Mantovani, ecc). Tutte queste condizioni sono dignitose al capo della Chiesa, e non le dono nella più lieve maniera al pontifical decoro. Si sgomentarono assai Ferdinando, ed iFiorentini, della diffidenza mo strata dal duca di Milano, quando essi erano in alleanza collo stesso duca; ma il solito di costui era sempredi camminarecon doppiezza, ora avendo egli per sospette le azioni tutte di Ferdinando, diedesi asommo vere cielo e terra contra questo re. E non fidandosi abbastanzadi quella amicizia, cominciò a cercare appoggi fuori d'Italia nel medesimo anno, maneggiandosi con Massimiliano Augusto (Corio, Ist. di Milano) per ot tenere il titolo e l'autorità di duca di Milano ad esclusione del nipote. Eppure insieme trattava, anzi conchiuse il matrimonio di Bianca Maria Sforza, del vivente alloraGian Galeazzo Maria duca di Milano, collo stesso Massimiliano, e lo sposalizio venne nel di primo di dicembre 1493 in essa città solennemente celebrato. Nè questo bastando ancora al Moro, venne ad una risoluzione, di sua natura perniciosissima, che fu di chiamare in Italia eserciti stranieri, come dimostreremo nel capo seguente. CAPO DECIMONONO. Lodovico il Moro chiama Carlo VIII re di Francia in Italia, ad insa puta di Papa Alessandro VI e degli altri principi suoi confederati, per impossessarsi del regno di Napoli : testimonianze autentiche. Quantunque i mezzi adoperati dal duca di Bari per non discendere dal seggio regale appartenente a Gian Galeazzo fossero più che bastevoli a (1) Noti bene il leggente che i nemici del Borgia accusano Alessandro VI d'aver depauperato l'erario pontificio per arricchirne i suoi, e come ciò può esser avvenuto, se il trovò esausto ? e se malgrado le ostinate guerre sostenute da esso Alessandro VI, tuttavia in morte sua il lasciò ripieno d'oro ? O menzogneri, tacete ! 168-- mantenerlo nell'usurpazione, nulladimeno paventando di venire detroniz zato un dì, ardente perciò qual era desso dell'avida sete di regnare, non dubitò più d'appigliarsi all'estremo dei misfatti, a quello cioè di disfarsi del pretendente, facendogli propinare un lento inconoscibile veleno, come farà chiaro l'evento, pel quale ammalò di lungafebbreche ilportò a tor pida ma certa consunzione. In tanto che questa progrediva e che la morte erasi già impadronita dellamiseranda vittima, Lodovico incitò con tutto il calore che l'astuta sua politica gli potè inspirare il re di Francia Carlo VIII a togliere il reame di Napoli agli Aragonesi, con che vendi carsi dell'ambasciata speditagli in sostegno delle ragioni del nipote, al lontanavasi il pericolo che gli potesse muovere altri reclami in pro dei figli che il medesimo lasciava. Sapeva Lodovico il Moro quanta fosse l'inclinazione del giovane mo narca gallo Carlo VIII, di conquistare il reame (1) di Napoli , sopra cui vantava vetusti diritti. Egli sapeva per mezzo di provvisionati che te neva in tutte le parti, quali fossero i suoi più intimiconsiglieri, e di che natura e carattere questi fossero, e non ignoravachedue principi daSan Severino, banditi dal regno napolitano e ricovratisi in Francia, dovenon avevano unquemai cessato di sollecitare quella corte contro gli Arago nesi, cominciavano ad essere ascoltati con orecchio favorevole, dopochè il re aveva ritolto il governo dalle mani della duchessa di Borbone sua sorella. Quindi per mezzo di Carlo da Barbiano conte di Belgioioso edelconte di Caiazzo suoi ambasciatori, che diede voce di avermandati in Francia per altri suoi affari, messe pratiche di amicizia e di lega conquel re, e cercò di animarlo a portar la guerra nel regno diNapoli, come impresa non meno gloriosa ed utile alla sua corona, che agevole e sicura , of frendosi egli stesso pronto a favorirlo con gente e danaro. Ora riguardo a siffatta discesa di Carlo VIII re di Francia nell' Italia per la conquista di Napoli, si dividono gli autori in tre categorie per pronunciare se Alessandro VI concorresse con Lodovico il Moro ad isti garnelo o no. I. Sono quelli i quali per modo niuno non vogliono ch'egli vi pren desse parte, neppure indirettamente, ed è la più equa. II. Altri ammettendo che palesemente non vi abbiacooperato, vogliono non pertanto che occultamente di piana concordia col duca di Milano l'abbia promossa finchè gli tornò utile, poscia siasene ritirato, ed abbiala contraddetta, ed è inesatta. (1) " Carlo VIII non era dotato dalla natura delle qualità che caratterizzare possono un eroe : » era piccolo di statura, con testa grossa, colorito pallido , braccia e gambe esili , ed i piedi cosi » lunghi e larghi, che dicevasi avesse otto o dieci dita ; la debolezza della sua persona corrispon » deva a quella dello spirito; fu educato in una ignoranza di tutto, ed in alcuni casi fece vedere » una quasi incredibile pusillanimità. Non fu che un ambizioso ; alla vigilia di dover abbandonare " Napoli, sognava la conquista di Costantinopoli, ed anche il regno di Davide. " Cronologia universale di Gio. Batt. Rampoldi, Milano 1833, pag. 427, an. 1495. Manualedi -- 169 III. Da ultimo alcuni pochissimi pretendono che Alessandro VI spac ciatamente vi ponesse mano , e si dichiarasse poi contrario allorquando nou vi trovò più l'utile suo, ed è assolutamente falsa. Noi abbiamo abbracciato il primo sentimento riputandolo l'unico ve riore, e che si possa comprovare sino ad una dimostrazione, dietro l'au torità di scrittori contemporanei e spassionati verso d'Alessandro VI, anzi aventi interesse ad accollargli tale impresa se in qualunque maniera avessela consigliata, favorita , approvata. Uno di questi è l'accreditato Filippo Comines , che non solamente non imputa somigliante colpa ad Alessandro VI, ma ci riferisceche fin dai tempi ancorad'Innocenzo VIII, Lodovico Sforza avea già incitato econtinuò poscia ad incitare Carlo VIII ascendere in Italia e pigliarsi il reame di Napoli. Con questoconviene Antonio Frizzi nelle sue Memorie della storia di Ferrara , ed il Corio Bernardino , che ci tramandò l'orazione dell'ambasciatore dello Sforza a Carlo VIII, nella quale ad ogni modo avrebbe dovuto far menzione del l'approvazione ed adesione papale alla famosa impresa , onde maggior mente persuaderne il re ed i magnati francesi restii ad acconsentirvi. Così parimenti l'istesso re Carlo VIII nella sua, tramandataci dallostesso Corio, non pensò mai, onde animare i suoi grandi riluttanti a questa guerra, a communirla dell'autorità del nome del Pontefice, alla quale certo sarebbe ricorso se avesse pure l'apparenza di vero. Altri scrittori posteriori di gran grido sino al giorno d'oggi propugnarono il senti mento nostro, che oltra esser il più consentaneo alla verità istorica, si mostra altresì il più razionale (1). (1) Giovanni Bottero, abbate di S. Michele della Chiusa di Susa, nei suoi detti memorabili de' personaggi illustri. Brescia 1610. Pag. 17. " Ludovico Sforza haveva fatto venire i Francesi in Italia per cacciare gli Aragonesi suoi nemici, fuordi Napoli : onde procedette poi la rovina sua. Dall'altra parte Pietro de' Medici, spaventato per la forza dei Francesi, haveva lor consegnato la fortezza dello Stato di Fiorenza ; per la qual cagione fu poi bandito. Trovandosi poi insieme l'un e l'altro nell'esercito Francese, perchè scusandosi Piero, che sendo andatogli incontro per inonorarlo , l'haver Ludovico fallito la strada, era stato cagione che la sua andata fosse stata vana, rispose molto prontamente Ludovico, vero è, che un di noi ha fallito la strada; ma sarete voi forse stato quello , rimproveran dogli che per non haver prestato fede a consigli suoi, fosse caduto in tanta difficoltà. " Ma i successi seguenti dimostravano haver fallito il camino ciascuno di loro; ma con mag gior infamia ed infelicità di colui, il quale (Lodovico) collocato in maggior grandezza, faceva pro fessione di esser, con la prudenza sua, la guida di tutti gli altri. „ Però non troppo splendido elogio ci pinge Cesare Cantù dicendo nella sua Storia degli Ita liani del carattere di Lodovico il Moro: " Ingegno operosissimo ed animo basso, incompiuto nelle buone come nelle triste qualità, Lodovico, alla guisa dei moderni, credeva che l'abilità fosse tutto, confidava di poter colla politica destrezza dirigere le sorti italiane. יו Filippo Ugolini benchè scrittore infenso ad Alessandro VI, Storia dei Conti e Duchi di Urbino, vol. 1, su d'Alessandro VI, tuttavia egli non l'accagiona della calata di Carlo VIII in Italia , ma ne avventa al solo Lodovico il Moro la colpa, così scrivendone per infame consiglio di Lodovico il Moro, si aprivano a Carlo VIII le porte della misera Italia , e i discendenti di Brenno ritenta rono l'antica prova, sempre però a loro danno, e questa volta anche del perfido consigliatore. Il Nardi nella Storia Fiorentina, lib. II, racconta che Lodovico il Moro avevafatto dipingere 170 Difatto, se la signoria degli estranei in Italia a tutti i re e popoli ita lici è ingrata, ad Alessandro VI poi esserdoveva molestissimaed impor tabile per essere un impedimento ad aumentare la potenza e la dignità della Chiesa, e ad innalzare a dovizie e dominii la propria famiglia, di cui il bucinano cupidissimo quegli stessi scrittori che lo vogliono au tore della calata di Carlo VIII, nulla curandosi d'esser notati d'inconse guenza, purchè avviliscano il triregno. La seconda sentenza è abbracciata da più miti ingegni, studiosi d'in cedere per la via di mezzo, alla quale si sottoscrisse Achille Gennarelli nella citata opera, e ci fa in vero sorpresa che abbia voluto chiudere l'occhio sopra la verità conosciuta, ed impugnarla, quando scrisse (Dia rius Burchard. pag. 265) Omnibus monumentis coacervatis in unum, satis liquet Pontificem primum impedimenta Ludovico Sfortiae nonop ▸ posuisse, ut eum ab incaeptodeterreretsupertractatu cum Carolo VIII, • imo cum eo, quamvis non apertissime, inidem laborasse. Sed id egisse ▸ potius per indurre gli Aragonesi a queste convenzioni, quam pro illis ⚫ de dominatione expellendis, ut Guicciardinius asserit, omnes quasi scri ptores pro certo habent. Ci duole assai che il prefato abbia conver tito la scienza a dannodellaverità, ed abbia seguitato lascuoladelGuic ciardini rimproverata, detestata sino dagli scrittori acattolici.Alessandro VI contra la casa d'Aragona, ostile sempre al papato da bella pezza, e che veniva or ora a ledere i diritti di Santa Chiesa per la compera dei ca stelli fatta da Virginio Orsini, non avevaopposto altroche laparola, che la lega italiana da noi mentovata, non mai le armi francesi. La terza sentenza è di coloro i quali, dietro alGuicciardini, spacciano avere Alessandro VI ad ogni modo eccitato il sovrano francese allacon quista di Napoli : ora cotesta viene contraddetta non solo dai perentorii documenti sostenitori gagliardissimi della nostra , ma fino dai difensori della seconda. Stendiamo la mano ai documenti. Carlo Rosmini nella Storia di Milano, inclinando più a professare la seconda sentenza che non la prima, confuta nettamente la terza così di scorrendo : • Come il duca di Calabria fu informato di questa lega (Pontificia-Ve neta-Lombarda), d'accordo con Pietro de'Medici e coi fuorusciti romani, avrebbe voluto subito con poderoso esercito marciare contro Roma, la qual città non dubitava di poter sorprendere ed occupare; ma di con trario parere fu anche questa volta il re Ferdinando suo padre il quale così era divenuto nemico d'ogni rottura, che palesemente cercò di pla care l'irritato animo del Pontefice con nuoveproposizioni di pace, lequali, comecchè allora non fossero accettate , furono il primo seme dal quale pullularono tutti i mali, che per lungo corso di anni afflissero l'Italia e unItalia tutta piena di galli ed un moro che colla granata pareva cacciarli. Mostrando Lodovico " d questa medaglia a Francesco Gualterotti, ambasciatore fiorentino, echiedendo che gli paresse, l'am 'Italia, basciatore rispose: " Benissimo; ma mi sembra che questo moro volendo spazzare i galli fuori si tiri tutta la spazzatura addosso. -- 171 segnatamente la Lombardia. Perciocchè il duca di Bari, temendo che il Pontefice, vinto dalle offerte del re diNapoli abbandonasse lalega, e che i Veneziani medesimi, icui fini ed interessi erano diversi dai suoi, quando che fosse non vacillassero, ond'egli rimanesse poi vittima di una gene rale confederazione, pensando più ad allontanare il pericolo presente, che ovviare i futuri, si risolvette di chiamar in Italia Carlo VIII re di Fran cia, contro il quale rivolgendosi i suoi nemici, a lui lasciasseroiltempo di respirare e di maturare i suoi segreti consigli. •Sapea egli che quel monarca, ambizioso ed avido estremamente di gloria, quale erede della casa d'Angiò credea di avere un diritto legit timo sul regno di Napoli, la cui conquista tanto più era di tentare ri soluto, quanto essa gli agevolava la via alla spedizione di Terra Santa, che si era proposta in mente, onde stava in attenzione di qualche op portunità per calare in Italia. Approfittando il duca di Bari di queste notizie, si determinò di farlo risolvere. Nondimeno, per procedere cauta mente, e non essere il solo ad accendere tanto fuoco in Italia, riuscì di persuadere anche al Pontefice la necessità di chiamare in Italia l'armi straniere, e ciò col lusingare le passioni in lui dominanti, sdegno ed ambizione, affermando che solo colle armi straniere potea vendicarsi dei superbi rifiuti del duca di Calabria, e procurare a' suoi nipotistabilimenti onorevoli. Piacque allora il partito al Pontefice, e amendue segretamente inviarono (1) persone fedeli in Francia a meglio esplorare l'animodel re e dei suoi ministri, le quali trovarono buone disposizioni in molti, e se gnatamente nel re. Dopo ciò il duca di Bari , colorando il vero motivo con altri, spedi in Francia col titolo di ambasciatore Carlo da Barbiano conte di Belgioioso, accompagnato dal conte di Caiazzo figliuolo di Ro berto Sanseverino, e da Galeazzo Visconti. Il-Belgioioso gunto a Parigi, dopo essersi in particolare udienza assicurato della volontà del re e di molti de' suoi consiglieri, fra i quali, secondo l'ordine avuto, sparse se gretamente splendidi doni e danari, aiutato anche in ciò dal principe di Salerno, e da molti altri fuorusciti del regno di Napoli , ottenne che il re, convocato il consiglio, gli permettesse di esporre i motivi di sua ambasciatar . 1) Filippo di Comines consigliere di Carlo VIII, e che intervenne a tutti i consigli nei quali si trattò della guerra italiana , non solo non fa parola di ciò, che anzi positivamente assiucra , che insino da quando regnava ancora Innocenzo VIII papa, avea Lodovico Sforza mandato a Parigi da Carlo VIII per sollecitarlo a calare nella nostra penisola. Se ciò fossesi replicato daAlessandro VI, egli non l'avrebbe taciuto. L'oratore milanese l'avrebbe posto innanzi per dar forza ai suoi detti, e Carlo VIII indubitatamente n'avrebbe fatto cenno nel suo discorso. Antonio Frizzi ugualmente al Comines ben versato in questa bisogna, ci accerta che la prima missione di Lodovico fu ad insa puta del Papa. Così pure attesta il grave abbate succitato Bottero. Langlet di Fresnoy nella citata sua opera cap. xvII § 5, egli dice : “ Benchè il Jonville e Fi lippo di Comines non abbiano avuto altra scuola che la Corte del loro principe, si rispetta » però più la loro testimonianza che quella degli altri storici contemporanei. Non si esamina se ab » biano studiate le antiche storie per formarsi uno stile e una maniera ; vi si ritrova la verità e >spressa altresi con un gran giudizio. Ciò basta, perchè altro in loro non si ricerchi. » 172 Presentò il Legato milanese quest' epistola di Lodovico duca suo signore, da Bernardino Corio riportata nella parte settima delle sue istorie : • Sfortiade domus proprium semper fuit Gallicis rebus adesse , a qui bus innumera beneficia retulerunt. Genuensium ditionem Lodovicus pa ter tuus Francisco Sfortia genitori meo donum dedit; hanc tu mihifir masti. Pro tantis meritis Franciscus genitor filium eius Galeatium fratrem meum cum militaribus copiis inGalliam misit, compescendo te trarcharum furorem , qui adversus patrem tuum arma moverant , foedus cum Francisco Britanniae duce percutientes, ut illum aut regno eiicerent, aut perpetuis curis victum haberent. Utile genitoris mei auxi lium fuit, salubrius consilium attulit, ut conditiones quascumque hosti bus daret, a quibus frustratus, sui iuris compos erat, dum regis titulum tantum retineret, sed observata in posterum occasione singulos oppri meret: haud enim facile futurum principum numerum in unum conspi rare, et cum armorum vim, quam tunc habebant, singulis iuvandis congerere. Sic brevi lucupletatus, et subiectorum suspicione factus liber, Lodovicus pater tuus, regnum haud alias maius , et ditius pro arbitrio summa omnium in eum reverentia exercuit. Illum proceres tetrarcha rum, populi, urbes, finitimi duces, reges, et provinciarum potentes ve rebantur, ab omnibus colebatur, ab omnibus respiciebatur. Ego nihil tantae tuae me munificentiae adiisse potui, nisi desiderium incredibile , tibi in aliquo prodesse; et dum animo mecum revolverem, quidnam po tissimum pro tuae gloriae amplitudine efficerem , nihil demum in im perii huius tenuitate occurrit praeter consilium , quod olim pater meus genitori tuo obtulit ad augendum eius imperium, et Galliarum dedecus amovendum , quod obiicere videbantur Parthenopaei reges , qui nullo iure, nullis legibus inducti, regnum illud tibi debitum, tibi a maioribus haereditario iure, et per testamentum relictum ac Gallicae coronae ad ditum, temere. et irriverenter occupant, populos lacerant, et per inho nesta vectigalia exhauriunt. • At meministi , Carole, magni progenitoris , qui Turcas , devicturus nihil satis ad comparandam classem, et exercitum augendum quam re gnum illud duxit, ubi armari classes, et instrui exercitus , recreari , et stare possunt ? Quo usque patieris Gallicum nomen abiici , haereditates regias ab exteris occupari, populos velut in praedam haberi ? Tibi om nes favent, et unicum principem exposcunt, tuum libentes iugum sub stinere cupiunt , dummodo illud faedum, et tyrannicum eiiciant. Ego quantum potero praestabo armis, pecunia, equis, viris iuvabo , si modo viriliter agere ne dedecori dedecus addatur. Non est quid verearis ar duam expeditionem esse in regno per diuturna tempora possesso; ade runt enim universi pene Italiae potentates, Deus ipse iustam causam amplexabitur et favebit, populorum odium illum eiiciet, ut te ducat , si modo praesentia tua arma viderit, idem caeteri factitabunt. Accingere ergo, et omnem pone moram; semper nocuit differre paratis: ingentem ex hac expeditione gloriam reportabis, quae maius tibi , et posteris lu menpariet. -- 173 •Hinc enim, haud difficulter traiecto Ponto, Turcas invades , invasos opprimes, oppressos christianae religioni coniuges, Hierosolimam, et quae olim maiores tui armis, et virtute devicere, tuo imperio submittes. Quid gloriosius geri a quoquam potest, quam religionem cuius princeps sit, non modo ab hostibus defendere, sed conculcatos ipsos nobis aggregare, etnon solum inimicorum iniurias propulsare , sed ultro inferre, et per universum terrarum orbem maria etiam, et superos glorioso nomine complere? His praesertim haec fienda omnibus, quibus Parthenopaei in numeri proceres patria sede ob iniuriam aFerdinando regni occupatore expulsi, tuum auxilium , tuam opem, suam ab inferis redemptionem , suam in patriam restitutionem eo affectu expectant, quo olim damnati parentes nostri Christi resurrectionem operiebant. Adsunt illis factiones, adsunt cives honestissimi , qui te praesentem venerabuntur, absentem dissimulant, supplicii metu ; civitates , et populi, nullo in eos conflictu tibi deditae, tua vexilla erigent , est Antonellus Salernitanus princeps apud te, homo acris ingenii, regni illius contrarius, et qui multos se cum trahet ob omnium in eum benevolentiam et miserationem, tumva lidissimarum partium propinquitate adiutus. PraetereaTurcus in Illirico copias movit adversus christianam religionem, pannonios evertere sum mis conatibus nititur , in dehonestatem dedecusque fidei et religionis nostrae omnia ferro, igne, ruinis, confundit. Patiemur a communi hoste pessundari, et in contumeliam haberi, Christum sperni, templa pollui , divina omnia prophanari, humanaque cuncta confundi ? Hoc tempus i doneum vindictae, cum tu, moto per Brundusium exercitu , et superato circa Valonam mari, incautos eos opprimes, et prius tuum sentient vul nus quam se pati intelligant; hinc diversio armorum ex Illirico ut ag gressa defendant. Non tibi Romanorum imperator Maximilianus , non religiosissimi Hispaniarum reges, non potensAngliae rex, nonDaci, non Sarmatae, non universa Italia defuerit; gloria , decus tuum erit , labor cum omnibus aequans. Noli occasionem temporum deserere, necum re sumere neglecta volueris frustra labores. Est tibi solida domi et fons quies, ut nihil formidabile post tergum relinquas. Si quid te retinet , mone; quantum in me erit, praestabo, ut cuncta tibi pareant, te se quantur, te respiciant.. L'ambasciatore Lombardo oltre a quest'epistola, con esortazioni tali e tante si sforzò di persuadere, indurre e determinare Carlo VIII all'usto lata spedizione napoletana, che questo re non solo vi presto favorevo lissimo orecchio, ma anzi con animo prontissimo e lietissimo in sè de termino di effettuare quanto e la propria ambizione gli suggeriva , e le caldissime istanze del duca di Milano richiedevano. Tenne egli un lungo discorso, nel quale fecepompadi molta facondia, la cui sostanza era di mostrare al re la necessità in che si trovava (vo lendo mantener la sua gloria, d'effettuare la meditata spedizione contra il Turco), d'assaltare il regno di Napoli : la giustizia di tale assalto, la facilità di compierlo con esito fortunato, perciocchè , oltra che le forze degli Aragonesi sarebbono a gran pezza e in numeroed in valore infe -- 174 riori alle sue, gli aderenti al partito angioino in quel regno eran molti, e moltissimi quelli che odiavano il re Ferdinando ed ilducadi Calabria, per le crudeltà da essi esercitate sulle persone di tanti loro congiunti ed amici barbaramente periti sotto la scure. Dopo ciò il Belgioioso aggiunse, che il duca di Milano offriva al re soccorso di uomini e di denari, e tutto il credito di cui egli godea, non solamente ad accrescere il numero dei suoi alleati, ma a persuadere an che le potenze neutrali non tanto a non porre ostacoli allasua impresa, quanto a segretamente agevolargliela cogli aiuti. Pronunziato ch'ebbe il Belgioioso il suo discorso, il re mostrò palese mente l'assoluta sua volontà di aderirvi; se non che gli usi rispettando e le costituzionidel regno, ricercò il parerede'suoi ministri e consiglieri. Bernardino Corio, il quale da fonti autentiche estrasse soventissima mente le notizie sue, narra che Carlo re convoco i primari del reame e della Chiesa, e dinanzi ai medesimi così orasse: • Se i nostri maggiori nel tempo passato hanno combattuto per ac crescere la dignità dell' imperio, e per conseguire appresso di tutte le genti gloria immortale, quanto più anoi è necessario usare l'armi acciò ricuperiamo quel che iniquamente n'è tolto! Dehvogliamo avver tire al nostro onore, del che ne averà a succedere grandissima gloria, e più che gli altri saremo clarissimi. Ferdinando d'Aragona, procreato di gente ispana, occupa il reame napolitano a noi dovutoper ragione ere ditaria, et anche per ultima volontà. Veramente alla nostra corona, e non manco a voi altri Prencipi, Signori, e d'ogni altro stato si può at tribuire a grandissima ignavia, se per avanti lascieremo in mano del nostro inimico questa eredità, il novissimo reame, leopulente città, ca stelli , e terre, dalle quali affluisce, fertile di vittuaglie, enumerosagente; e di presente la necessità ne priva dell' escusatione; come da primo fu morto Lodovico mio padre essendo fanciullo, sempre un'intestina guerra me ha conturbato, et ha continuato fino aquestitempi. Parendomi, che il dubitare fosse grandissima ignavia et vituperio, vorria avanti avere ricuperato la ragione , che gli anni persi: ma in questo luogo peggio è, che l'inimicopensa che presso di noi non sia alcuna ragione, e per la lunga dimora dispreggia le nostre forze, e che il nome gallico quasi per mollitia esercita la vergogna, nè disprezzi le ricchezze, le quali con ogni inganno, e sceleraggine tirannicamente ha cavato dalle viscere di quei popoli. Et il veterano milite Alfonso suo figliuolo , prestante nel l'arme, ha costituito imperatore de gli eserciti contra del Pontefice (1) et altri finitimi. Ma noi principalmente per la egual ragione, perlapos sanza del nostro esercito interno et esterno, i soldati assueti perlecon tinue guerre nelle gran fatiche, i capitani egregii, all'ampio reame, fi (1) Sebbene non ispecifichi qui Carlo VIII qual fosse questo Pontefice, risulta nulladimeno dal Comines, che era Innocenzo VIII, e non Alessandro VI, a cui Carlo VIH mandò il suo legato. D'altronde dalle istorie è chiaro, essere contro ad Innocenzo che Ferdinando ed il suo figlio Al fonso rivolsero le armi loro, per cui vennero piu fiate scomunicati. -- 175 datissimi popoli, le ricche provincieet in ogni parte in pace, lievemente esenza alcuno esterno soccorso potremo superare il nostro nemico. Ma che questo più facilmente ne abbia a succedere, sarà per noi Lodovico Sforza principe dei Milanesi, prudentissimo sopra tutti gli altri uomini, il quale , di quanto sarà possibile, ne darà indubitato aiuto; il duca di Savoia, i marchesi di Saluzzo e Monferrato saranno al nostro voto, e ne concederanno le necessarie vettovaglie (1), e mentre ne mancherà, molto addito ne sarà ancora la florentissima et uberrima Italia, nella qual re gione potranno ricreare i nostri soldati, e stanchi per il montuoso cam mino ne riceverà nel suo amplesso. •Contra di Ferdinando gli è l'odio, e la profonda simultà, che gran dissima vittoria ne concederà: et occupato il reame sarete vindicati della vostra vergogna. Iltuttoho voluto partecipare convoi, acciocchè quando havesti inteso la famadi questaguerra, nonhavesti riputatocosa iniqua, che io senza vostra intelligentia contra d'alcuno avesse pigliato le arme per la comune gloria etonore, arimoverlavergogna francese, ela mol litie della gente aragonese esprobata verso di noi , e della nostra rive rentia, la quale per forza e contumelia è dilacerata , considerato che, qualunque sanno, abbia in venerazione il nostro nome, toltogli ogni so stanza per augmentare l'erario, sono obtruncati, riservato se la forza non gli presta salute.E traquesti Antonelloprincipe di Salerno, il conte di Chiaramonte et il prencipe di Bisignano inquel reamenostri fautori, molti proceri ancora disperati della salute, si sono ritirati a noi , e con lacrime ne pregano, che vogliamo porgere aiuto alla sua miseria , e da tutti è desiderato il nostro nome; il perchè ancora non saremo perve nuti a i confini d'Abruzzo, che tutti i popoli e città del nimico, lacerate per tirannia, si daranno in nostra divotione. Ma il più arduo e perico loso che sia in questo bene, è che loro troppo presto verso di noi non mostrino l'animo suo; onde non accelerandosi il nostro aiuto, da Ferdi nando resteranno oppressi , il che questo Lodovico Sforza afferma per le sue lettere , al quale espertissimo prencipe grandemente prestiamo fede(2). •Soggiunse dopo il re: superato Ferdinando, et ivi instrutto l'eser cito et instaurata la classe, voglio passare contro i turchi, e soggiogarli; imperocchè i miei maggiori altre volte per aversuperatoquegli infedeli hanno conseguito il titolo di christianissimi : non manco io mi vedo in feriore a loro. O quanto adunque ne sarà glorioso ricuperare l'occupato (1) Se il Pontefice avesse col Moro iniziato ed ordito la trama della discesa dei Franchi in I talia, qui Carlo VIII numerando i principi anche piccioli a sè favorevoli , indubitatamente non a vrebbe taciuto il Romano Pontefice che teneva primario luogo in Italia è come sovrano, e come capo della cristianità. Niuno argomento sarebbe stato più opportuno al monarca francese per coo nestare l'impresa sua quanto il communirla di tanto nome. Nol fece, perchè ne era affatto ignaro il Papa. (2) Qui pure sarebbe stata all'assunto di Carlo VIII assai acconcia cosa l'aggiugnere, che in questo conveniva anche il romano Gerarca. Ma ciò non essendo vero nol disse, nè poteva dirlo. -176 reame napolitano dalle mani del potentissimo nemico efavoreggiandone Iddio mediante le nostre forze, et il nostro conseglio , superare i turchi fortissimi fra le genti dell'universo, e questa santissima, echristiana re ligione con ogni contumelia sprezzata da loro, constituire nel mezzo delle sue basiliche, onorarla nei tempi , prolatarla fra quelle genti, et i suoi sacrificii, et idoli, in conspetto di ognuno rovinare , come cosa vana, e superstiziosa. Grandemente siamo debiti a Dio Ottimo Massimo, il quale ne ha concesso tanto imperio, e maestà, il quale se saremo diligenti, in tal modo l'averemo ad augmentare che il primo luogo otteniràfra tutti i christiani. Non è adunque di rifiutare l'utile consiglio, e pigliar l'arme per la christiana religione, la quale sta in sommo pericolo, e con tutte le nostre forze augmentarla, e questa santissima impresa in tal modo sarà grata al Creatore del tutto, che in ogni nostro successo ne sarà fa vorevole . Francesco Guicciardini pure nella sua istoria italiana inscrisse l'ora zione del sovrano di Francia, ma con altra forma oratoria ordinata, in cui l'autore fiorentino mira più alle cose che alle parole. Il Corio rife risce che i primati della nazione ricevessero con applauso incredibile i detti del principe loro; eGiovio parimenti il conferma nelle sue istorie. Però Guicciardini il nega, scrivendo : • Non fu udita, con allegro animo questa proposta dai signori grandi di Francia, e specialmente da coloro che per nobiltà e opinione dipru denza erano di maggiore autorità, i quali giudicavano questa nonpoter essere altro che guerra piena di molte difficoltà ecc. Giovanni Gio vano Pontano concorda col Guicciardini, asserendo nel libro V de Pru dentia: •Declaravit id modo Ludovici Sfortiae Mediolanensis dynastae, honoris appetitio insatiabilis, ambitioque maxime insolens, ne de vitae ejus actio nibus aliis moribusque non omnino temperatis dicam. Is, ob insolentiam animi, moresque, perversissimos, non sese ipsum modo in ruinam , car cerem, proximumque immersit miseriam, verum Italiam universam pene in servitutem conjecit, dum IohannemGaleatium fratris filium, innocen tissimum adolescentem, veneno effert ob dominandi libidinem, Carolum que VIII Gallorum regem, ingenti conductum pecunia quamvis dissi dentibus Galliae primaribus ferme omnibus, maximus cum copiis in I taliam trahit .. I popoli italiani d'allora, concordi nell'amore della propria nazione, e solo sventuratamente discordi fra loro per ambizione, per invidia ed in sensato studio di parte, non sapeano persuadersi che un monarca stra niero, sul più bel fiore degli anni , il regno proprio abbandonasse e a tanti pericoli andasse incontro, e a tante spese, al solo fine, come eipro testavasi (nell'atto che rivendicava i proprii diritti), di accrescere la loro potenza e la loro felicità. Per la qual cosa , come venne a luce la con venzione stipulatasi in Francia fra quel re e il duca di Milano ( inten dasi sempre il duca di Bari), tutti a gara condannarono quest'ultimo dell'empio e forsennato consiglio di chiamare in Italia l'armi straniere , 177 equanto era in loro, si adoperarono per persuaderlo ad abbandonare quella insidiatrice alleanza, e ad unirsi con essi, nel tempo stesso che l'assicuravano che tutti concorsi sarebbono alla difesa dello Stato di Mi lano, quando questo minacciato fosse dalle armi del re di Napoli. Ciò gli fecero intendere, fra gli altri , i Veneziani, i Fiorentini, e Giovanni Bentivoglio signor di Bologna. Eil re stesso diNapoli, che volea, quanto era in lui, allontanare dal suo regno la guerra, facendo cedere all'amor della pace e al proprio quello de'nipoti , già disposto mostravasi ad ac consentire che il ducadiBari si mantenesse perpetuamente in quel grado d'autorità che esercitava allora in Lombardia, purchè all'alleanza ri nunciasse col re di Francia. Ma il fato d'Italia volea che il duca di Bari, il quale ad altro non mi rava tranne all'assoluta sovranitàdi Lombardia, gran mastro di finzione tal qualera, dessea tutti vaghe risposte e ambigue promesse, al solo fine di addormentarli, e per non essere da essi assalito, prima che le forze del re passassero le Alpi. Anzi per meglio munirsi, e non aver tampoco a temere dal medesimo re di Francia (timori che molti si studiavano di ingerirgli nell'animo, e cui nutriva in parte egli stesso), s'era procurata una possente alleanza nella persona di Massimiliano d' Austria , re dei Romani, cui diede in moglie Bianca sua nipote, sorella del duca di Mi lano, con dote di quattrocento mila ducati in danaro, da pagarsi in tempi determinati, e altri quattro mila in gioie : e , per dare qualche ombra di giustizia alla violenza che meditava, ottenne da quel re, nel l'animo del quale questa volta l'utile prevalse all'onesto, la promessa di concedergli, si tosto che pagata avesse l'ultima rata della dote , l'inve stitura del ducato di Milano per sè e i suoi discendenti , in pregiudizio del duca Gian Galeazzo e dei suoi successori. Giacomo Diego senatore di Venezia , nella sua Storia di questa città, scritta due secoli avanti che Rosmini compilasse quella di Milano , di scorrendo egli dei maneggi di Lodovico il Moro per indurre il re franco all'acquisto del regno napolitano , orpellatamente pure propende a dare ad intendere ai suoi leggenti, senza allegare veruna autorità a conferma, che Alessandro VI non fosse estraneo a quelli , nè ci reca meraviglia , sapendolo noi avere sposato in gran parte i principiidel suo maestro il Guicciardini : A fronte però, egli scrive, delle mendicate apparenze, e della dissimulazione dei principi italiani , cominciò ad iscoprirsi l'odio, che tra loro si nutriva, e il desiderio di stabilire soprale rovine dell'al tro il fondamento alla particolare grandezza. Temeva Lodovico, usurpa tore dello Stato di Milano, in di cui mani erano ridotte le fortezze , le munizioni, l'erario (per la debolezza di Giovanni Galeazzo legittimo e rede), che cercasse il re di Napoli , e specialmente Alfonso, strettamente congiunto aGaleazzo per la moglie Isabella, di sciogliere il nipote di servitù, al qual fine spargeva voce Lodovico, che anelasse il re di Na poli ad occupar quello Stato per le ragioni che vantava sopra il Mila nese invigore del testamento di Filippo Maria Visconte , che avea isti tuito erede Alfonso padre di Ferdinando; ma nota essendo l'indole di 12 178 lui, e le pessime arti, valevano i pretesti mendicati a renderlo più odioso ai popoli. Cercando perciò egli appoggi bastanti a sostenerlo , faceva poco fondamento nella dubbia (1) fede del Pontefice, poco negli aiuti dei Veneziani, quali credeva non si sarebbero imbrogliati negli affari altrui senza evidente vantaggio proprio, molto meno nei Fiorentini, inclinati a secondare i consigli del re di Napoli, e perciò getto lo sguardo sopra la potenza del re di Francia, a cui non mancavano forze emezzi pronti per accingersi a grandi imprese. • Per rendere più accreditato il maneggio, indusse il Pontefice, con speranze di larghi profitti, a farsi compagno dei sinistri uffizi 2) , col mezzo de'quali per sagaci persone fu fatto rappresentare alla corte di Francia la facilità di occupare ilregno diNapoli, ipremi amplissimi che sarebbero derivati dall'acquisto, il concorso dei principi italiani asecon dare la gloria delle armi francesi, per essere odioso ai confinanti ed ai sudditi il nome, non che il governo del re di Napoli, e il largo campo che si offriva alla fortuna ed alla potenza della Francia, dopo occupato quel regno, di estendere la conquista sopra il paese Ottomano, e di sta bilire fondamenti assai sodi per una vasta monarchia. Non erano meno efficaci le insinuazioni d'Ercole d'Este duca di Ferrara, suocero di Lodo vico, che ansioso di ricuperare il Polesine di Rovigo(3) occupato da' Ve neziani nella guerra dieci anni prima avuta con loro, non poteva sperare in altra maniera di riaverlo, che allora quando fosseturbata l'Italia tutta da gravi movimenti. • Da tali pestiferi semi, e dalle istigazioni de' principali ministri cor rotti co' doni da Lodovico, lasciò indursi Carlo Ottavo allora regnante a mirare all'acquisto del regno di Napoli, presso del quale, perchè imbevuto da vaste idee di dominio e di gloria, non aveano vigore iconsigli de' più sensati del regno, che aborrivano di veder impegnate le armi ed il nome della nazione in una guerra difficile, in paese lontano, e dove finalmente sarebbero stati contrari per gelosia di sè medesimi i principi tutti d'I talia. Maneggiandosi l'affare con grande segretezza allacorte di Francia, non potè tuttavia non trapelare a Ferdinando re di Napoli, principe di maturità distinta , che concepito il pericolo a cui era esposta la salute propria e de'suoi, allorchè passasse le Alpi labellicosa nazione francese, si affaticava di far comprendere ai principi italiani il comune pericolo, (1) Non potevasi ancora chiamare dubbia la fede del Pontefice, se intende parlare d'Ales sandro VI, come quegli che sino allora nel suo governo non aveva porto altro che esempi di lodevole giustizia e dirittura. (2) Egli è qui appunto che sta la fallacia: bisognerebbe provare l'asserzione con documenti dl scrittori contemporanei, e non asserire cosi avventatamente una cosa. Noi sì che cammineremo per siffatta via e nulla diremo senza che isicroni scrittori autorevoli ci siano mallevadori della verità, non aver mai Alessandro VI compartecipato alle mene colpevoli dello Sforza. (3) Per altro dal documento d'Antonio Frizzi : Memorie per la Storia di Ferrara, che alle gheremo più sotto, pare che non fossero poi tanto efficaci le insinuazioni d'Ercole duca di Ferrara. -- 179 e le catene che dovevano stringere l'universale libertà, se fossero stati spettatori della funesta tragedia del regno di Napoli. ■ S'industriava particolarmente di render quieto il Pontefice, che sa peva essere irritato per leggieri motivi. Proponeva di dare in isposa ad uno de'suoi figliuoli, pur troppo noti, e da lui medesimo pubblicati, ma dama Sances figliuola naturale diAlfonso, assegnandogli indoteil prin cipato di Squillaci; e rivolgendosi nel tempo medesimo alla corte di Francia, col mezzo di persone scaltre faceva maneggiare gli animi dei ministri con ricchi doni , e finalmente vedendo il re fisso nel disegno, per ultima prova esibi di corrispondere alla corona di Francia un annuo censo, e di riconoscere il dominio dall'autorità di quel sovrano. Ebbero felice fine i trattati di Ferdinando col Pontefice, poichè preferendo l'esal tazione(1) de' figliuoli alla stabilita confederazione, abbraccio le propo sizioni del re di Napoli, e, licenziate le genti d'arme spedite a difesa dello Stato ecclesiasiastico dai Veneziani , e dal duca di Milano, si impegnò con speciale Breve di concorrere a preservazione del regno di Napoli, qualora fosse attaccato dalle armi del re di Francia. • Passando tuttavia le cose in Italiacon profonda dissimulazione, tutto spirava tranquillità e perfetta intelligenza tra i principi italiani , giun gendo a Venezia per solo diporto Eleonora figliuola di Ferdinando re di Napoli , moglie d'Ercole d'Este con due figliuole, maritata l'una con Lodovico, l'altra con Francesco Gonzaga, ed Alfonso colla moglie Anna, sorella di Giovanni Galeazzo, ecol figliuolo, quali nel tempo tutto in cui si fermarono a Venezia, furono trattati con regi onori, e ricreati con spettacoli che sono particolari della città. •Mentre però in Italia non appariva che gioia e tranquillità, si di sponevano in Francia le cose a cambiare le di lei allegrezze in amaro pianto, veggendosi infervorato il re Carlo alla divisata impresa con ca lore sì grande, che percomporre le differenze con Ferdinando e Isabella, re e regina di Spagna, aveva loro restituito (sebbene con dolore di tutti i buoni francesi), Perpignano colla contea di Ronciglione, paese situato alle radici de'monti Pirenei, e che impediva agli eserciti spagnuoli l'in gresso nel regno di Francia: al qual oggetto aveva Carlo fatto pace con Massimiliano re de'Romani, e con Filippo duca d'Austria, ponendo in di menticanza lepassate amarezze, e restituendo a Filippo lasorella Marghe rita, trattenuta sino a que'giorni in Francia, insieme alle terre del con tado d'Artois, a riserva delle fortezze. Era facile comprendere qual fosse l'impegno del re per l'acquisto del regno di Napoli, e facile eziandio a rilevarsi la scena lugubre che si preparava all'Italia, che nella devasta zione delle sue più doviziose contrade, nella caduta e sovversione delle città, ne'cambiamenti de'naturali suoi principi, e nell'effusione del sangue per l'ingresso di gentebellicosissima, veniva ad esser esposta a que'mali, da'quali, per gli occulti giudizii di Dio o per le scelleratezze degli uo (1) Il leggitore che avrà in memoria le condizioni della lega Veneta-Pontificia-Lombarda, si av viserà di leggieri che Alessandro VI non offendeva la confederazione suddetta, sibbene Lodovico. 180 mini , sogliono essere afflitti gli Stati, ed abbattute le grandezze dei principi. • Prima di dar movimento all'esercito, spedì il re persona espressa a Venezia (1) per ricercare al senato se voleva prender parte nelle vicine turbolenze, o almeno continuare la buona amicizia colla corona di Francia; alla quale richiesta fu di ordine pubblico fatto intendere al re: Essere istituto radicato della repubblica preferire la pace alla guerra, che per tale oggetto desiderava il senato quiete alla Francia egualmente che ai principi dell'Italia; ma che, se fosse ferma deliberazione del re di portar le armi nella penisola, non sarebbe stata la repubblica diversa da se medesima, continuando nell'amicizia colla corona di Francia (2) , . Carlo VIII agitato da una specie di frenesia, per dir così, di conqui stare il regno di Napoli, compose a casaccio tutte le sue divergenze coi re d'Europa ; pertanto anche col monarca spagnuolo: In questo anno (così Antonelli Coniger in Chronico) el re di Francia rendio lo Stato de Perpignano, e Rossiglione al re de Spagna, et renonciolli l'accione del regno di Napoli (in raccolta di varie croniche, diari, ed altri opuscoli così italiani come latini appartenenti alla storia del regno di Napoli. Napoli, 1782. Berger, vol. 5, pag.28, opera il cui titolo: Cronache di An tonello Coniger). Ma il re di Spagna non serbò la fede al Gallo, sebbene avesse conseguito quello che non avrebbe mai potuto sperare, come ri ferisce il Guicciardini : • fu espresso nella capitolazione fermata molto solennemente è con giuramenti prestati in pubblicodauna parte, edal l'altra ne'tempi sacri, che Ferdinando e Isabella nè direttamente, nè in direttamente gli Aragonesi aiutassero , parentado nuovo con loro non contraessero , nè in modo alcuno per difesa di Napoli a Carlo si oppo nessero ; le quali obbligazioni egli per ottenere, cominciando dalla per dita certa per speranza di guadagno incerto, restitui senzaalcun paga mento Perpignano con tutta la contea di Rossiglione , impegnato molti anni innanzi a Luigi suo padre Giovanni re d'Aragona, padre di Ferdi nando ; cosa molestissima a tutto il regno di Francia, perchè quellacontea, situata alle radici de'monti Pirenei , e però, secondo l'antica divisione, parte della Gallia, impediva agli Spagnuoli d'entrare inFranciada quella parte . Ma il monarca di Spagna non solamente si tenne pago d'esortare con li suoi oratori Alessandro VI a non partecipare all'impresa di Carlo VIII, ma ad ogni modo procurò di coadiuvare gli Aragonesi nella difesa con (1) Avrebbe dovuto aggiugnere col Comines, che non solo ai veneziani, ma anche al Sommo Pontefice Innocenzo VIII, che ancora vivea, mandò Carlo VIII i suoi ambasciatori : di questo modo avrebbe recisamente provato esser Alessandro VI scevro dall'incolpazione affibbiatagli ; e ciò è quello che non voleva Diego. (2) Diego fu presto un po' sopra ad accusare Alessandro VI d'operare contra la confederazione italica, quando promise di difendere un principe italiano dalle armi franche : ma ora i veneziani non ne sono violatori, che promettono di prestar mano a Carlo VIII ? Cosi sono gli uomini do minati da spirito di parte. Per essi svisare la verità è sagacia, dovere. 181 tra di lui, come risulta dai documenti da Godefroy aggiunti alle Me morie di Filippo di Comines (vol. 5, pag. 505, edit. an. 1720, degni d'es sere riportati : Droits des Roys de France aux comtez de Roussillon et de Cerdagne. •Ces comtez furent engagez en l'an 1462 au roy Louys XI parJean II roy d'Arragon, pour la somme de trois cens mille escus: et par le traicté de confédération entre le roy Charles VIII, et Ferdinand et Isabelle à Barcellone en janvier l'an 1493: il fut convenu que le roy Charles dé laisseroit au roy Ferdinand la possession des dits comtez à la charge que les dits Ferdinand et Isabelle ne s'allieroient avec les ennemis du roy Charles, et observeroient les anciennes confédérations entre les roys de France et d'Espagne. Qu'ils ne marieroient leur filles avec les roys des Romains et d'Angleterre, ou avec leurs fils , et autres ennemis dé clarez du roy de France; qu'ils n'auroient intelligence avec quelque prince que ce fust, au préjudice les uns des autre. Et que tant le roy Charles que ses successeurs roys de France pourroient faire voir et exa miner leur droit sur les comtez, à cause d'engagement , ou autrement , dont les deux Roys se soubmettroient à arbitres de part et d'autre ; et en cas que le roy Ferdinand n'accomplist le contenu au traicté, il re nonçoit à tout droict de propriété, de seigneurie et de possession qu'il pouvoit prétendre esditz comtez. Or lesdits Ferdinand et Isabelle contre vindrent à ce traicté, ayans marié leurs filles à des princes des maisons d'Austriche et d'Angleterre; de plus assisté le roy de Naples contre le roy Charles. (Vide Corium, Ioviani). Frattanto Carlo VIII, Lodovico Sforza, Ferdinando e gli altri principi, in quella che preparavansi alle evenienze della guerra , e con alleanze , amicizie studiavansi communirsi, e rimuovere le cause di novelli nemici, Carlo, segnate le convenzioni coi monarchi spagnuoli, trattò eziandio di pace con Massimiliano re dei Romani (Traité de paix entre le roy Char les VIII et Maximilien roy des Romains, et fils Philippes archiduc d'Au striche, à Senlis l'an 1493, — il ventitre di maggio- Article séparé ajouté au traicté de Senlis, par lequel les ambassadeurs de Maximilien roy des Romains renoncent pur luy au titre de duc de Bretagne, qu'il avoit pris dans le pouvoir qu'il leur avoit donné. A Senlis le dernier may 1493. Ext. in Godefroy, Mem. de Comines édit. 1720 tom. v. p.426, 451) : Inviò ancora il sire di Francia a tutti i principi e repubbliche d'I talia i suoi legati per accrescere le alleanze, od almeno per islontanare dei novelli avversarii, come abbiamo detto ed accenneremo ancora ove l'uopo dell'ordine cronologico il richiegga. Ora sì riferite le sentenze altrui, le quali chiaramente appaiono ripu gnare alla verità, noi proponiamo e propugniamo con validissimi monu menti, non solo rispondenti a quegli stessissimi giorni , ma scritti da personaggi, che per essere della medesima nazione ove le narrate cose avvennero, e per avervi partecipato direttamente e per lunga durata, ne aveano piena contezza, e proveremo che : I. Lodovico il Moro invito Carlo VIII re di Francia a scendere in I -- 182 talia contra Ferdinando, in quella che vivea per anche Innocenzo VIII: epperciò prima che il cardinale Borgia ascendesse sul soglio pontificio ; quindi che ignaro affatto fosse Alessandro VI di quel maneggio inde coroso limpidamente si comprova collirrepugnabile testimonianza di Fi lippo de Comines signored'Argentone, consigliere dello stesso Carlo VIII, che accuratissimamente descrissene i principii, il progresso, e il fine di questa guerra sconsigliata, senza che mai neppure pensasse di farne compartecipe Alessandro VI, anzi ci assicura essersi determinata ad e sclusiva istigazione di Lodovico il Moro sin dai tempineiquali regnava ancora Innocenzo. Noi in questa allegazionedisue memorie, ci serviamo dell'edizione dell'anno 1720 da Godefroy illustrata, tom.2, pag.13 eseg., per avere il preciso vetusto testo francese, che tuttavia, per essere cer tissimi della verità, abbiamo diligentemente confrontato coll'edizione di Venezia più antica d'un secolo, presso Bertani , 1640 , assaissimo accre ditata. Il prefato adunque così scrive: •Nul serviteur , ni parent du duc Jehan Galeas de Milan donnoit empeschement au seigneur Ludovic à prendre leduché pourluy, que la femme dudit duc, qui estoit jeune et sage, et fille du duc Alphonse de Calabre, que par devant ay nommé, fils aisné du roy Ferrand de Naples; et en l'an mil quatre cens qua tre-vingts et treize(1493) commençaledit seigneur Ludovicà envoyerdevers le roy Charles VIII de présent regnant, pour pratiquer de venir et Italie à conquerir ledit royaume de Naples, pour destruire et affoler ceux qui le possedoient , que j'ay nommez. Car estans ceux-là en force et vertu, ledit Ludovic n'eut osé entreprendre ce qu'il fit dépuis. Car en ce temp-là estoient forts et riches ledit Ferrand roy de Cecile, et son fils Alphonse, et fort experimentez au mestier de la guerre, et estimez de grand cœur, combien que le contraire se veit depuis; etledit seigneur Ludovic estoit homme très-sage, mais fort craintifetbien souple, quand il avoit peur (j'en parle comme de celuy que j'ay cognu , et beaucoup de choses traicté avecques luy) et homme sans foy, s'il voyoit son profit pour la rompre. •Et ainsi, comme dit est, l'an mil quatre cens quatre-vingts et treize (1493), commença à faire sentir à cejeune roi Charles VIII de vingt deux ans, de fumées et gloires d'Italie, luy remontrant, comme dit est , le droict qu'il avoit en ce beau royaume de Naples, qu'illuy savoit bien blasonner et loüer; et s'adressoit de toutes choses à cet Estienne de Vers (devenu seneschal de Beaucaire et enrichy, mais non point encore à son gré) et au général Brisonnet, homme riche et bien entendu en finances, grandamy lors du Seneschal de Beaucaire, par lequelil faisoit conseiller audit Brisonnet de se faire prestre, et qu'il le feroit cardinal, à l'autre corchoit d'un duché. . Etpour commencer à conduire toutes ces choses, leditseigneur Lu dovic envoya une grande ambassade devers le roy à Paris, audit an , dont estoit chef le comte de Caiazze, fils aisné dudit Robert de Sainct Sévérin, dont j'ay parlé, lequel trouva à Paris le prince de Salerne, dont -- 183 il estoit cousin; car celuy-là estoit chefde la maison de Sainct Sécérin comme dessusj'ay dit, et estoit en France, chassé dudit roi Ferrand, comme avez entendu paravant, et pourchassoit ladite entreprise de Na ples. Avec ledit comte de Caiasse estoit le comteCharles de Bellejoyeuse et messire Galeas vicomte milanois; tous deux estoient fort bien accou strez et accompagnez. Leurs paroles en public n'estoient que visitations et paroles assez générales, et estoit la première ambassade grande qu'il eut envoyé devers ledit Seigneur. • Il avoit bien envoyé paravant un sécrétaire, pour traicté que le duc de Milan, son neveu, fust receu à hommage de Gennes, par procureur, ce qu'il futet contre raison: mais bien luy pouvoit le roy faire cette grâce que de commettre qu'un à le recevoir: car luy estaut en la tu telle de sa mère, je l'ay receu en son chasteau de Milan , moy estant ambassadeur de part le feu roy Louys XI de ce nom, ayant la charge expresse de ce faire: mais lors Gennes estoit hors de leurs mains, et la tenoit messire Baptiste de Campefourgouse, et maintenant que je dis, le seigneur Ludovic l'avoit recouvrée , et donna à aucuns chambélans du roy huict mille ducats, pour avoir ladite investiture , lesquels firent grand tort à leur maistre: car ils eussent pu paravant avoir Gennes pour le roy s'ils eussent voulu. Si argent devoit prendrepour ladite in vestiture, ils en devoient demander plus: car le duc Galeas en paya une fois au roy Louys mon maistre cinquante milleducats, desquels j'en eus trente mille escus contant, en don, dudit roy Louys, à qui Dieu fasse pardon; toutesfois ils disoient avoir pris lesdit huict mille ducats du consentement du roy; ledit Estienne de Vers , seneschal de Beaucaire, estoit l'un de ceux qui en prit, et croy bien qu'il le faisoit pour mieux entretenir ledit seigneur Ludovic pour cette entreprise où il tendoit. •Estans à Paris les ambassadeurs, dont j'ai parlé en ce chapitre , et ayans parlé en général, parla à part avec le roy ledit comte de Caiazze, qui estoit en grand crédit à Milan , et encores plus son frère messire Galeas de Sainct Sévérin, et par espécial sur le faict des gens d'armes, et commença à offrir au roy grands services et aides, tant de gens que d'argent: car ja pouvoit sûr maistre disposer de l'estat de Milan, comme s'il eut esté sien, et faisoit la chose aisée à conduire, et peu de jours a près prit congé du roy, et messire Galeas vicomte, et s'en allèrent, et le comte Charles de Bellejoyeuse demeura pour avancerl'œuvre; lequel in continent se vestit à la mode françoise, et fit de très-grandes diligences, et commencèrent plusieurs à entendre cette matière. Le roy envoya en Italie un nommé Péron de Basche , nourry en la maison d'Anjou , du duc Jehan de Calabre , affectionné à ladite entreprise, qui fut vers le Pape Innocent (avverta il leggitore, che adunqueAlessandro VI non era per anche Pontefice allora, ma vi regnava ancora Innocenzo VIII , e la spedizione per la conquista del regno di Napoli era già determinata), Venitiens et Florentins. Ces pratiqués allées et venues durèrent sept ou huit mois, ou environ, et se parloit de ladite entreprise entre ceux qui sçavoient, en plusieurs façons , mais nul ne croyoit que le roy y duest aller en personne. -- 184 Potrebbero essere più perentorie le parole delComines per provare che la spedizione fu stabilita fin dal vivente d'Innocenzo VIII, epperciò sce vra esserne deve la memoria d'Alessandro VI d'ogni complicità? La sto ria sta li maestra della verità. II. Con non meno di facilità proveremo ora, che Lodovico ilMoro solo incitò i francesi a questa calata quattro o cinque mesi in prima che proponesse ad Alessandro VI la lega pontificia-veneta-lombarda , che è quanto a dire contemporaneamente almeno alla esaltazione di questo Papa, eppercio n'è questi incolpevole: perchè soltanto dopo la conclu sione d'essa lega vogliono gli scrittori allo stesso infensi , che vi sia stato invischiato dallo Sforza nella sua pania riguardo Francia, del che è dichiarato assolutamente innocente, provandosi il contrario. Restringiamoci non pertanto a confermare la prima parte del nostro asserto, e affermiamo che dalle Memorie per la Storia di Ferrara rac colte da Antonio Frizzi, tom. IV, pagina 155, risulta che Lodovico Sforza nel mese di gennaio dell'anno 1493, cioè sull'inizio medesimo del ponti ficato di Alessandro VI, aveva già invitato il re gallo all' occupazione del regno napoletano ad insaputa delle potenze pontificia e veneta, le quali secolui trattavano della confederazione quattro o cinque mesi dopo. Riferiamone le precise parole del Frizzi, per nulla impegnato a demen tire la storia. • L'occulta trama di Lodovico il Moro per tirare in Italia i francesi contro il re di Napoli fu scoperta dalla nostra duchessa Eleonora nell'oc casione che in gennaio del 1493 si portò col principe Alfonso ed Anna moglie di lui a Milano ad assistere al parto della figliuola Beatrice. Ne avvisò il marito, ed egli spedì a Napoli Aldobrandino Turchi a preve nire il re, ed impegno Pietro de'Medici a far maneggio secoa findi sal vare l'Italia da quell'infortunio. Lodovico diede buone parole; ma d'im provviso si pubblicò una sua lega coi veneziani, e con Alessandro VI, che la sua esaltazione riconosceva in gran parte dalcardinale Ascanio Sforza fratello di Lodovico. I fiorentini ed il re diNapoli ne furono esclusi. Er cole senza saperlo vi fu compreso, ma come lo seppe se nescuso. Il Moro, afin di trarne il consenso, venne a Ferrara in persona, a'18 di maggio colla moglie, il loro figliuolino di 4 mesi ed Erms loro nipote. Soprag giunsero dopo il marchese di Mantova con la moglie e molti ambascia tori. Si fece una gita a Bel Riguardo, e la duchessa condusse le due fi glie, cioè la Sforza e la Gonzaga con le nuore edAlfonso, econ brillante compagnia fino a Venezia. Il Senato lor fece, incontro nel gran Bucin toro con 130 matrone, e li diverti con danze nella sala del gran consi glio, tornei, giochi, e corse di barchette per man di donne. Rimase Lo dovico a trattar con Ercole, e la spunto. Questi entrò nella lega, con animo però, cosi consigliatovi dai veneziani, di prendervi laminor parte possibile. Ottenutovi l'intento, e passato dodici giorni, il Moro ritornò a Milano . Tale è il linguaggio della storia irrepugnabile , che consentaneo alla verità, in qualunque evenienza addita dove stia la ragione, doveil torto, -- 185 atrionfo di chi scrive con penna temperata nella carità, ed a vitupero di chi la intinge nell'inchiostro dell'antipatia e dell'odio. Proseguiamo. III. Risulta ancora evidente la falsità dell'asserzione di coloro i quali spacciano avere Alessandro VI, dopola stipulazionedella legapontificia veneta lombarda, incitato concordemente colMoro lacalata di Carlo VIII al conquisto del reame napolitano, dalle deliberazioni dello stesso mo narca francese, che decreto la sua discesa appena alcuni mesidappoichè Alessandro VI era salito sul trono, per conseguenza anche vari mesi in nanzi la suddettalega del 25 aprile 1493: imperciocchè consta dalla con venzione pattuita tra per esso Carlo VIII e pei sovrani della Spagna Ferdinando ed Isabella a Barcellona nel gennaio dell'anno 1493, per la quale, come giàriferimmo, Carlo cedeva a questi principi alcuni contadi eprovince con patto espresso che non aiutassero il re di Napoli nella guerra cui stava per intraprendere contra di esso. Questi monarchi pro misero tutto, e nulla osservarono. In prima di tutto avvisarono il Pon tefice con un inviato espressamente e con premura speditogli, il quale giunse contemporaneamente alla stipulazione della lega italiana , el'e sortarono caldamente ad attraversare i disegnidel principe franco, come scrisse l'accreditato Rinaldi appresso il Surita, le cuiparole noi riportate abbiamo, ed avendolo il Papa accolto con lieto animo e con molta ono rificenza, aderi alle sollecitazioni di lui, secondo comprovò col fatto. Rassicuratosi di tale maniera dallaparte di Spagna, si volseCarlo VIII incontanente a rafforzarsi di altra lega con Massimiliano I re dei romani, e col figlio Filippo arciduca d'Austria, per via d'un trattato di pace fir mato a Senlis il 23 maggio 1493, del quale pure noi abbiamo fatto men zione. Il perchè resta chiarito che l'iniziativa di questa trattazione do vette incominciare assai dapprimadella legaitaliana, se venne stipulata pressochè nel medesimo periodo; quindi resta falsissimo quel buccinarsi, che siasi il monarca gallo determinato dopo la lega italiana ad incita mento d'Alessandro VI all'aggressione di Napoli. Concludiamo queste sti pulazioni di paci trai regnanti finitimi allaGallia colle parole istesse del Comines summentovato, le quali lungi dall'infirmare la nostra afferma zione, che anzi le arrecano novella autenticità: • Pour revenir, egli soggiugne, à notre matière principale, vous avez entendu comme le comte de Caiazze, et autres ambassadeurs sont partis d'avec le roy, de Paris, et comment plusieurs pratiques se menoient par Italie, et comment notre roy, toutjeune qu'il estoit, l'avoit fort àcoeur, mais à nul ne s'en descouvroit encores, fors a ces deux. Aux venitiens fut requis de part le roy, qu'ils lui voulussent donner aide, et conseil en ladite entreprise , lesquels firent response qu'il fut très-bien venu, mais qu'ils ne lui pourroient faire aide , pour la suspicion du Ture (combien qu'ils fussent en paix avec luy); et que de conseiller à un si sage roy, et qui avoit si bon conseil , ce seroit trop grande présomption à eux, mais que plustost luy aideroient, que de luy faire ennuy. Or notez qu'ils cuidoient bien sagement parler, et aussi faisoient ils. Car pour ajourd'huy je croy leurs affaires plus sagement conseillez , que de prince ni com munauté qui soit au monde: mais Dieu veut toujours que l'oncognoisse, que les jugemens, ni le sens des hommes , ne servent de rien là où il luy plaist mettre la main. Il disposa l'affaire autrement qu'ils ne uci doient. Car ils ne croyoient point que le roy y allast en personne , si n'avoient nulle peur du Turc, quelque chose qu'ils dissent: car le Ture, qui regnoit estoit de petite valeur: mais illeur sembloit qu'ils se venge raient de cette maison d' Arragon , qu'ils avoient en grande haine, tant le père que le fils, disans qu'ils avoient fait venir le Turc a Scutary. J'entends le père de celuy Ture qui conquit Constantinople, appelléMa humet Ottoman, et qui fit plusieurs autres grands dommages ausdits venitiens. Du duc de Calabre, Alphons, ildisoient plusieurs autres choses, et entre les autres, qu'il avoit esté cause de la guerre que esmeut contre, eux le duc deFerrara, qui merveilleusement leurcousta, eten cuiderent estre destruits (de ladite guerre jay dit quelque mot) et disoient aussi que le duc de Calabre avoit envoyé hommes exprès à Venise pour em poisonner les cisternes, au moins celles où il pourroient joindre, carplu sieurs sont fermées a clef (et audit lieu n'usent d'autre eau: car ils sont de tous points assis en la mer; et est l'eau très-bonne, et enaybeuhuit mois pour un voyage seul, et y ay esté une autre fois depuis la saison dont je parles); mais leur principale raison ne venoit point de là, ains pour ceque les dessusdits , les gardoient de accroistre à leur pouvoir , tant en Italie comme en Grèce. Car des deux costez avoient les yeux ouverts , toutesfois ils avoient nouvellement conqueté le royaume de Chipre, et sans nul titre. Pour toutes ces haines sembloit ausdits veni tiens , que c'estoit leur profit que la guerre fut entre le roy et ladite maison d'Arragon, esperans qu'elle ne prendroit si prompte conclusion qu'elle prit, et que ce ne feroit qu'affoiblir leurs ennemis, et non point les destruire, et qu'au pis venir, l'une partye ou l'autre, leur donneroit quelques villes en Pouille (qui estdu costé de leur goufre) pour les avoir à leur aide, et ainsi en est advenu: mais il a peu failly qu'ils ne se so yent mescontez, et puy leur sembloit que on ne les pourroit charger d'avoir fait venir le roy en Italie, vu qu'ils ne luy en avoient donné conseil, ni aide, comme apparoissait par la response qu'ils avoient faite à Péron de Basche » . Ora, se non ci fa velo l'amore per la propugnazione di nostra causa, portiamo ferma opinione d'aver bastantemente risposto e provato , che Carlo VIII si mosse alla guerra napoletana nanti ancora si formasse quel l'italiana confederazione, e visi mosse non ispinto da Alessandro VI, sib bene per incitamento di sua ambizione fomentata daLodovico ilMoro. IV. Se il Papa avesse temperato anche per poco in cotale fazione, pri mamente non avrebbe, per fermo, unquemai mancato il duca di Milano di farne menzione nella sua lettera data al proprio ambasciatore di Pa rigi (1) , come non si omise di nominare formalmente gli altri principi che consentirono alla spedizione contra Ferdinando, per farla risolvere e (1) Tale lettera noi abbiamo più sopra fedelmente riportata. 186 -- 187 decretare; perocchè l'autorità del Pontefice, in simile affare, e come ree come capo della Chiesa era rilevantissima all'uopo per indurre e tirare i francesi nel suo partito. Non fecene parola Lodovico, sia perchè Ales sandro VI non era per anco assunto al trono, sia perchè si tenne affatto alieno dopo l'assunzione sua da si rovinosa deliberazione per l'Italia. Secondamente, lo stesso sovrano francese Carlo VIII nell'allegata ora zione sua recitata ai restii primari (1) delle Gallie onde persuaderli della razionalità, licità ed utilità della progettata conquista, non avrebbe mai taciuto ilnome autorevoledel supremo Gerarca dei fedeli, che l'invitava, anzi lo spingeva alla famosa impresa, come autorità la più giustificativa econcludente di essa: eppure, non ostante sì stretta convenienza, egli assolutamente zitti della pontificia compartecipazione, e ciò sempre per (1) " Alcuni fra i più assennati trovavano pericolosa l'impresa e d'esito incerto, come coloro che temevano il re Ferdinando, uomo di grande prudenza, il ducadi Calabria di gran valore , amendue abbondanti di ricchezze estorte dalla confisca dei beni di tanti baroni , o messi a morte, o esigliati : opponevano la scarsità di danari, che pure necessari erano in grande quantità per isti pendiare un esercito da condursi in paese lontano, e il pericolo che qualche potentato italiano, ora disposto a far causa comune col re, posciachè questi impadronito si fosse del regno di Napoli, te mendo quindi per sè medesimo, non gli si convertisse in nemico. "Ma all' opinione dei saggi prevalse quella del maggior numero , di coloro che o corrotti dal l'oro del duca di Bari, o mossi erano dallo spirito di conquista, o che nell'assenza del re spera vano di avanzare e in potenza e in onori, e la conquista del regno di Napoli fu risoluta. Allora il re Carlo fece segretamente cogli oratori milanesi una convenzione, l'importanza della quale era, che il duca di Milano concedesse libero il passo nei suoi Stati all'esercito del re, il fornisse di cin quecento uomini d'arme pagati, gli promettesse d'armare a Genova quel numero di legni che fosse necessario, e gli prestasse prima della sua partenza da Francia 200, 000 ducati. D'altra parte il re obbligavasi a difendere il ducato di Milano da qualunque nemico, a conservare l'autorità al duca di Bari, e a tenere in Asti, città soggetta al ducadi Orleans, durante la guerra, dugento lancedi sposte ad impiegarsi per la sicurezza del Milanese. Finalmente il re prometteva al duca di Bari, fatta la conquista del regno di Napoli, la sovranità del principato di Taranto. " Cosi stabilite le cose, acciocchè, mentre attendeva ad assaltare un regnodi altri, non soste nesse danno nel proprio, compose Carlo, non senza qualche sacrifizio, alcune sue differenze col re di Spagna, con Massimiliano re dei Romani, con Filippo arciduca d'Austria, e col re d'Inghilterra, cedendo il certo per l'incerto: tanto acceso era dall'amor della gloria e della conquista ". " Mentre Carlo apparecchiava tutte le cose per la sua spedizione da effettuarsi all'anno pros simo, volle, come aveva assicurato da ogni sorpresa l'antico suo regno, rimuovere, quanto era in lui, tutti gli ostacoli che gl'impedissero o tardassero la conquista del nuovo, e sicuro tenendosi del duca di Milano e del Pontefice (*), spedi ambasciatori ai veneziani, ai fiorentini, ai sanesi, cer cando o che con lui si unissero in lega, o almeno gli concedessero libero il passo, e si mante nessero neutrali ; aggiugnendo, ove al suo desiderio accondiscendessero, molte ricche promesse. Ma egli non ottenne di tutto in risposta che vaghe espressioni di rispetto, di stima e di desiderio di rimanere in pace con lui, ma niuna promessa di aiuto, o indizio di consentimento alla suaspe dizione. „ Cosi narra uno scrittore amico di Carlo VIII, più che del Romano Pontefice, già da noi citato. (*) Non è vero che si tenesse sicuro del Pontefice, se intende parlare d'Alessandro VI, perchè gl'invio altresì un ambasciatore per pregarlo di favorire la sua impresa : al quale il papa rispose in quei termini negativi cui esporremo. -- 188 le istesse ragioni che questo affare si tratto in prima dell'innalzamento di Alessandro VI, e dopo l'elezione sua si maneggio nascostamente ad insaputa di lui, di continuo temendo che per essere spagnuolo, non so lamente non assecondasse il divisamento conceputo, ma anzi l'incagliasse, e tentasse ad isventarlo, come davvero poscia avvenne. Ecco come la ve rità, non temente ladisamina, più s'investiga nei suoi riposti recessi, mag giormente ella apparisce raggiante di beltà novella. V. Da ultimo, è talmente contra la ragione e la verità istorica che il Santo Padre abbia congiurato contro al re di Napoli, che molti scrittori inglesi, francesi, anche protestanti , travagliaronsi assai di purgare da cotale macchia Alessandro VI, che tentò tutto per istornare ed opporsi ai disegni di Carlo VIII; ma non fu corrisposto dagli altri potentati diGer mania , Spagna e d'Italia (1), e Carlo Botta nella sua Istoria d' Italia , libro I, an. 1534 non avrebbe ommesso didarne carico ad Alessandro VI se soltanto avesse il fatto colore di verità; ma egli non solo tacque su quest' appunto, anzi nudamente ne incolpa il duca milanese scrivendo ⚫che Lodovico il Moro, duca di Milano, con infaustissimo consiglio per ▸ l'Italia, e perlui, chiamò il re di Francia a mescolarsi nelle dissenzioni • dei principi d'Italia..... costui iniquo contra al nipote, rimasto con ogni › altro , avrebbe partorito tempi meno infelici per la Lombardia, se il › cielo , destando in lui un'ambizione sfrenata, non l'avesse destinato › quale strumento delle miserie d'Italia. Per lui udissi di nuovo il suono › delle armi esterne nell'infelice provincia, per lui soldati venuti d'oltre • monti e d'oltremare di nuovo l'allagarono, funesto frutto dell'avere › chiamate a parte delle guerre italiche Germania, Francia, Spagna, e • persino, come si vedrà, la lontana e feroce Turchia . Per verità non possiamo darci pace come abbondino certi scrittori, i più premiati, i quali per l'abito cui vestono, dovrebbero o più cauta mente o più riverentemente ragionare del Pontefice loro, e nasalmente affermino avere Alessandro VI temperato nella combriccola del Moro, ed avere anch'esso incitato Carlo VIII a scendere in Italia. Ci muove davvero a stupore, che così alla cieca, sprezzando gli alle gati documenti irrefragabili, abbiano calcato dietro in ciò e fattoplauso a simile accusa spacciata dai censori avversi ad Alessandro VI, gli stessi Muratori, Fabre, Denina, Bossi (Storia d'Italia, c. 29), Berault-Bercastel, per averposciapretestod'incriminarlodi sfedato, di capricciosa politicaperfida; quandoper contra sappiamo che il Tacito della Francia, Filippo Comines, quello che ci lasciò la piùbella, savia istoria diquel tempo, nellaquale esso sostenne una nobil parte, e si mostrò con dirittura assai rara, e benchè francese, imparziale nei racconti suoi, avendo più in mira la veridicità (1) L'egregia opera da noi parecchie fiate già citata, Vitae et res gestae Pontif. ecc. loc. c. in Alex. VI, recisamente afferma lo stesso, essere stato Lodovico Ducadi Milano quel sussurrone ed incitatore di Carlo VIII per la conquista del regno di Napoli , al che si dichiarò avverso il S. Padre, e fece di tutto per isventare ed opporsi ai disegni di questo re, ma non fu corrisposto dagli altri potentati di Germania, Spagna ed Italia. -- 189 storica, che non la gloria patria; quando per contra, replicando, sap piamo che questi al par di altri autori veraci, rovescia sul dorso del solo Lodovico la fellonia esecrandad'aver fatto travalicare le armi franche in Italia. : Nicolò Montemerlo, tortonese, suddito del ducato di Milano, nella sua Istoria della città di Tortona, stampata nell' anno 1618, formalmente di chiara al libro IV della medesima, pagina 189 e seguenti, che Lodovico Sforza il Moro fu quegli che per bramosia di comandare invito, incitò Carlo VIII a scendere in Italia , e che il Papa Alessandro VI non con venne con questo tranne che per necessità, contro sua voglia, stando già Carlo col suo esercito vittorioso in Roma nel 1495. Il quale Ales sandro VI poi, dice, che si und colle altre potenze d'Italia: ma non ac cenna per niente che i Turchi abbiano partecipato a siffatta lega, per abbassare il soverchiante potere del monarca francese, il quale abusava di sua vittoria a ruinadegl' italiani. Sentiamo come intorno a questo fatto ed incolpazione si esprime la Rivista e Biblioteca Contemporanea già citata , superiormente con criterio il più logico. Ci voleva che uno straniero e un protestante venisse a dire agli scrittori italiani, a Guicciardini, e a Rucellai : voi mentite quando sulle prime fate Alessandro VI autore della discesa di Carlo VIII in Italia, per dimostrarlo poi traditore quandogli fu avverso. Voi non avete un documento da ciò, ed ilcontrarioattestano e il silenzio del Comines, che ne riferisce di proposito le cagioni, e le lettere del Moro a Carlo, che non avrebbe senza fallo tra i principi alui favorevoli taciuto il nome d'Alessandro, ned omesso d'accusarlo di perfidia, se fos sesi ritirato dalla lega da sè stata promossa (1), ed il Breve stesso del Papa, che fortemente esorta il re di Francia ad unire lesuearmi contra il Saraceno, comune nemico della cristianità, ed a sottoporre lesue pre tese sul reame di Napoli ad un pacifico giudicato. Il Guicciardini con chiude Guglielmo Roscoe, trascinato dall'odio contro Alessandro VI, non trattò imparzialmente la grande questione, dallaquales'iniziala sua storia diffusissima: alleghiamone la precisa testimonianza. •Per conoscere (scrive il Roscoe, Vita e Pontificato diLeoneX, tom.I, pag. 116, anche come la pensasse Alessandro VI a questo riguardo, Carlo VIII inviò a Roma una seconda ambasceria, a capo della quale avea posto d'Aubigny suo generale, in cui avevamolta fiducia. Lo scopo primario di questa andata era d'ottenere da Sua Santità con promesse o con minaccie l'investitura degli Stati oggetto della guerra. Se, come molti storici hanno preteso, il Papa avesse spinto il re di Francia alla sua spedizione, bisogna convenire che eglinon si sarebbe così fattoscru (1) Lo stesso Dizionario degli uomini illustri, stampato da una società di letterati a Caen, non assolve il Comines da certe parzialità nella sua storia favorevoli ai Francesi : veggasi l'articolodel marchese Olivier ; la qual cosa mostra, che se l'incitamento dato a Carlo VIII da Alessandro VI per calare in Italia avesse avuto l'apparenza del vero, il Comines non avrebbe trasandato questa circostanza favorevole al suo re. 190 polo di cangiar parere. La sua risposta non fu per niente favorevole a Carlo VIII ; essa importava che la corona di Napoli era stata conferita ben tre volte dalla Santa Sede alla casa d'Aragona; chel'investituraac cordata a Ferdinando rendeva salda quella del suo figliuoloAlfonso ; che queste concessioni non poteano essere annullate, tolto il caso in cui Carlo VIII avesse un titolo più valevole, e si fosse stipulato che questi atti d'investitura non potessero portar pregiudizio apersona; che il regno essendo sotto la protezione immediata della Santa Sede, il Papa non si potea far capace che Sua Maestà cristianissima volesse così contrastare i diritti della Chiesa ed avventurare, malgrado isuoi avvisi, un'impresa ingiusta ; che sarebbe più dicevole alla dignità del re di Francia ed alla sua moderazione conosciuta di far valere i suoi diritti legalmente; ch'era appartenenza del Papa il pronunziare su questa grande causa, eche Sua Santità era pronta a sentire le parti. Queste rimostranzefurono inseguito rappresentate con più forza mediante un breve apostolico, in cui ilPon tefice esortava Carlo VIII ad accoppiare piuttosto le sue armi a quelle degli altri principi dell' Europa per agire contro al nemico comune della cristianità, ed a sottomettere le sue presenti pretensioni alla decisione d'un giudice pacifico. Così scrivea d'appresso ai documenti da noi ri portati e che riporteremo, quel dotto protestante. Il che confermasi per anche dal Continuatore della Storia universale di M. Bossuet, il quale affin di coonestare l'impresa delsuo reCarlo VIII, non avrebbe certo taciuto, che Alessandro VI ne l'avesse esortato, seciò fosse stato vero ; epperciò si restringe a farne motore unicola cupidigia del re, e la scellerata ambizione del Moro. Alleghiamone le parole pre cise: La Francia godendo d'una calma felice, Carlo VIII rivolse i suoi pensieri verso il regno di Napoli, che pretendeva appartenergli, come in possesso dei diritti della casa d'Angiò. Lodovico Sforza non cessava d'ani marlo aquella conquista : perchè non poteva altramente venire a capo d'opprimere Giovanni Galeazzo duca di Milano suo nipote, ch'eragenero d'Alfonso figlio di Ferdinando re di Napoli. >> L'autore delle Vite dei Papi stampate in Amsterdam, 1776, così oculato nello scoprire i difetti dei Romani Gerarchi, e perfino a trasognarne, ra gionando della calata di Carlo VIII in Italia dice che fu a questa in dotto dagl'intrighi di Lodovico il Moro, cupidissimo di spogliare il suo nipote del ducato di Milano, e Ferdinando re di Napoli, dei suoi Stati : e se Alessandro VI in prima aderiva allo Sforza, composte le sue diver genze con Napoli, fe' tentamenti per trattenere Carlo VIII a non iscen. dere nella nostra Penisola, sino a riunire tutta l'Italia contra il re di Francia. Nè avendo potuto riuscire si volse fino a Bajazet (favola)! im peratore dei Turchi, per ottenere soccorso di uomini e di pecunia: ma troppo tardi ! Perchè Carlo era già entrato in Italia, e la sua armata si accampò bèn tosto nelle vicinanze di Roma. Noi avvertiamo il leggente, quantunquesianvi varie inesattezzestoriche in questo sunto allegato, nulla ostantenoi apprendiamochequandoAles sandro VI prese a dissuadere Carlo VIII di non volgere le sue armi a danno di Napoli, questi non erasi ancora mosso dalle Gallie. -- 191 G. Leboucher di Richemontnella sua notizia storica Sui viaggidei Papi nella Francia, Parigi 1805, nei cenni da esso donatici della discesa di Carlo VIII in Italia, tuttochè scrittore francese, ed affatto ligio a Fran cia, pure non pensa menomamente adaccagionar ilPapadi questagita, anzi piuttosto n'incolpa l'irriflessione dello stesso Carlo VIII, e la costui ambizione, dicendo che sarebbe stato a desiderare che Carlo VIIInon si fosse occupato che del miglioramento dell'interiore ; ma l'idea della conquista del regno di Napoli gli fece nel 1494 intraprendere la spedi zione d'Italia. Non avrebbe il Leboucher, studioso qual fu della patria gloria, omesso d'incolparne il Papa per giustificazione di Carlo VIII, se fosse stata consentanea al vero questa diceria; come anche tace egli tutte le altre odiose imputazioni fatte ad Alessandro VI, sia durante il regno di Carlo VIII, che di Luigi XII; moderazione ignota alla più parte de gli scrittori gallicani, e chiaramente mostra con siffatto lodevole silenzio il poco conto in cui egli teneva cotali ingiuriose gargagliate. Sentiamo ora da ultimo come ne ragiona un celebre recente scrittore francese, Artaud de Montor (Vie d'Alexandre VI), a discolpa diAlessan dro VI. •Il consiglio di Carlo VIII, che avea impetrato, come abbiam • riferito, l'approvazione della Corte romana nella quistione relativaalla › successionediNapoli, continuavaneiformidabili apparecchidella guerra. › Alessandro VI temette di siffatto vicino, e per impedire il re d'intra • prendere cotale marcia in Italia, egli si collegò coi Veneziani e col ▸ duca di Milano, •Non sidiscorrevain Franciachedell'occupazionedi Napoli;Alessandro ► invió a Carlo, in qualità di legato, il cardinale Piccolomini, per dissua • dereil re da simigliante spedizione. Il principe rispose, che unagrande ⚫ quantità di signori napolitani, compromessi per aver difeso preceden › temente gli interessi della Santa Sede, chiamavano la Francia a Na › poli. Alessandro persisteva nelle sue ripugnanze : il monarca affermò ⚫ chese ne appellerebbe al futuro concilio. Alessandro minacciò il prin • cipe di una formale scomunica e delle censure ecclesiastiche, secondo • un decreto di Pio II. , L'autore anonimo d'Amsterdam succitato conviene eziandio della sco munica comminata da Alessandro VI a Carlo VIII, madiscorda riguardo al tempo. Egli la fa pronunciare quando il sovrano delleGallie, tornante di Napoli nel suo reame, già si trovava a Torino. Manco male, non po tendo negare questo documento, si studio di attribuirlo ad epoca diversa, per deriderne il Papa, come intempestivo e sconsigliato nello scagliare i suoi fulmini! Il perchè conchiudiamo noi, che uno scrittore non affetto da spirito di parte, scevro da ogni astio, diligente investigatore del vero, non sola mente avrebbe dovuto scolpare Alessandro VI dicotal pecca, ma avrebbe ancora potuto torre motivo plausibile d'encomiare la sua moderazione d'animo ; chè, provocato da Ferdinando, sempre mai avverso alla romana monarchia, e con quella impertinente compera lesiva dei suoi regali di ritti, e come Pontefice, e come sovrano delle Romagne, nulla ostante, re -- 192 sistendo alle incitazioni del duca di Milano e dei suoi aderenti, si tenne pago Alessandro VI di stipular una lega con alcuni principi italiani, ed armarsi, per non essere in qualunque evenienza sorpreso dal volpone na poletano. In quella che il Turco si struggeva della voglia di invadere l'Italia, Carlo VIII , dimentico della nobilissima missione dei re franchi, lungi dall'apparecchiarsi a fiaccargli le corna audaci , si accingeva ad atterrarne il baluardo più valido, scindendo (ad istigazione d'uno dei più ribaldi di essi) fra loro i principi italiani , la politica dei quali tutti era o napoletana, o fiorentina, o lombarda, o ligure, o veneta, o pisana, ma non mai italiana, che unicamente si ricettava nel petto intrepido del mi glior principeche in Italia ed Europa si avesse in queidi, inAlessandro VI, nel Pontefice, sovrano della Romagna. Dunque Lodovico Sforza per rite nere il male usurpato dominio del milanese ducato. I. Chiamò il monarca francese in Italia, in prima dell'assunzione di Alessandro VI. II. Strinse alleanza col Papa , coi Veneti , e con liduchi di Mantova e Ferrara. III. Diede in matrimonio a Massimiliano re dei Romani Bianca Maria sua nipote, sorella di Gian Galeazzo vero duca di Milano , con ingente dote, per amicarselo, e strappargli di mano poi il diploma d'investitura della signoria lombarda, in pregiudizio d'esso Giovanni Galeazzo. Riepiloghiamo: Orcome mai Guicciardini, Rucellai ed altri autori con essi potevano pretendere che Alessandro VI abbia indotto Carlo VIII a passare in Italia per intraprendere la conquista del regno di Napoli?Ecome mai gli sto rici che sono venuti dopo hanno adottata questa supposizione? Ma sia che a disegno o no, essi hanno dato tutti in falso. Diffatti Comines , il quale riferisce molto alla distesa i motivi di Carlo VIII, non ha parola in verun luogo che dica aver il supremo Gerarca eccitato questo principe ad entrare in Italia; anzi attribuisce la risoluzione del re unicamente alle sollecitazioni di Lodovico Sforza. In secondoluogo, nellalettera del principemilanese citatasuperiormente dal Corio, non è fatta menzione neppur una volta sola del Papa, esi gli altri principi, che consentirono alla famosa spedizione vi sono formal mente nominati. Terzo, nel breve apostolico emanato da Alessandro VI, il quale sicon tiene del pari nella storia del Corio , non vi ha nulla che provi avere avuto dapprima questo Pontefice una intenzione diversadaquella la quale quivi è da lui espressa, e ch'è assolutamente opposta all'intervento del Re di Francia negli affari di cui parliamo. Così, lunge dalchiamar nelle contrade d'Italia la guerra , ed i mali che inevitabilmente le tengono dietro, il Papa fece ogni sforzo per divertire da questo infelice paese la procella la quale si abbuiava oltre monti contra di esso. Operaron lostesso il duca di Savoia, la repubblica di Venezia e gli altri governi. Tutti spac ciaron protesta in termini generali di rispettare il monarca francese; ma diedero anche a divedere con forza nonpuntominorelaloro ripugnanza 193 in una contestazione così dannosa. Non vi ebbe tranne il duca di Fer rara, il quale , nella speranza per certo d'avere il soccorso dei Francesi contra i suoi potenti nemici i Veneziani, non temette, quantunque si a vesse inisposauna figlia del re diNapoli, d'invitar pubblicamente Carlo VIII atener fermo nelle sue pretese. Per ultimo ciò risulta ancora evidentissimamente dagli altri scrittori cui fedelissimamente abbiamo citati , e da quanto staremo per narrare nei susseguenti capitoli. CAPO VENTESIMO. Disamina dei diritti di Carlo VIII sul regno di Napoli. Matrimonio di D.Lucreziacol principe di Pesaro e lodi dilei. Inquietudini di Ferdinando re di Napoli ; suoi sforzi per acquietare il Moro, e cattivarsi l'amicizia d'Alessandro VI verso cui ripara l'ingiuria recatagli per la compera fatla da Orsino , fa tentamenti per distorre il re di Francia dalla con quista di Napoli. Si rabbonaccia col Papa, e dona a Gioffredo, figliuolo dello stesso Alessandro , in isposa la figliuola di Alfonso suo primo genito. Carlo VIII re di Francia, per la tranquillitàdi cui fruivano i suoi Stati in grazia dei trattati di pace coi re d'Inghilterra, di Spagna e dei Ro mani, ruminava già da pezza in mente sua i modi di far rivivere i suoi diritti sul principato napoletano, provenienti da Carlo d' Angiò debella tore di Federico II, bastardo di Manfredi re di Napoli. Era egli fratello di San Luigi, il quale, da Papa Clemente VI ne era stato investito col l'attribuire il gius di successione ai suoi eredi maschi , ed alle fem mine in linea diretta, ed in mancanza di questi ad uno dei figliuoli del re di Francia, che regnasse allora. Così i principi della casa d'Angiò , Roberto figliuolo di Carlo, ed altri possedettero questo Stato fino alla re gina Giovanna II, ch'era figlia d'un Carlo d'Angiò, e che fu confermata nel possesso del suo Stato da Clemente VI. Mori costei nel 1435 senza prole. Sdegnata essa contra Martino V, che avesse dato l'investitura del suo regno a Luigi III duca d'Angiò, adotto Alfonso V di tal nome , re d'A ragona. Ma l'ingratitudine, la vanità, e i mali trattamentidi questo prin cipe, costrinsero la regina a rivocare la sua adozione, ed ad istituire per suoerede lo stesso Luigid'Angiò. Ma essendo questo principe morto prima di lei , dichiarò erede suo Renato d'Angiò, fratello di Luigi, il medesimo giorno della morte sua, e gli lasciò i suoi Stati per testamento. Era al lora Renato prigioniero a Dijon, dopo la sua sconfitta vicino aNeuchâtel in Lorena data dall'esercito d'Antonio di Vandemont, chegli contrastava il ducato lorenese. Appena ricoverata lalibertà andò Renato verso Napoli; ma non fu for 13 -- 194 tunato in questa spedizione, e neppure lo fu Giovanni duca di Calabria suo figliuolo, il quale inutilmente ne intraprese la conquista (Mém. de Comines, tom. v, edit. del 1723, pag. 339). La casa d'Aragona, che all'e poca di Carlo I d'Angiò ne occupava una buona parte, fondata nei di ritti di Manfredi, la cui figliuola era stata da Pietro d'Aragona sposata, se ne impadroni interamente, e si mantenne inquestopossedimento fino aFerdinando, quando Carlo VIII di Francia appunto voleva intrapren derne la conquista. Così il diritto del re gallo era fondato in questo, che Renato morendo avea lasciato Carlo d'Angiò conte del Maine suo nipote erede della contea di Provenza, e delle sue pretensioni sopra i regnidi Napoli e di Sicilia; e questo Carlo, trapassando senza prole, diede la Provenza e tutti i suoi diritti sopra i medesimi regni a Luigi XI, del qualeCarlo VIII erasuc cessore, ed in conseguenza erede dei diritti di suo padre sopra i regni di Napoli e di Sicilia. Questo diritto al re di Francia pareva incontrastabile: tuttavia l'im presa sua non andava agenio di tutti i grandi. Si era già provato per mala esperienza il successo cattivo delle armi franche in Italia da du gento anni pei qualidurava questa contesa. Avevasi dafareconprincipi, che si dimenticavano spessodellabuona fede, quando si trattava del loro interesse, e che non potendo soffrire il dominio della Francia, si sareb bero legati insieme contra d'essa per attraversare le sue conquiste. Non ostante questo parere contrario dei più antichi, e più savi baroni ed uffiziali del regno, Carlo VIII guadagnato dai due suoi favoriti Ste fano di Vesca, e Guglielmo Brissonetto, l'uno siniscalco e ciamberlano, e l'altro sopraintendente generale delle finanze, ambidue subornati con doni e promesse da Lodovico, risolveva la guerra nel segreto consiglio, edavaordini incontanente perchè se ne facessero i preparamenti (De nina, Rivol. d'Italia, tom. v, lib. xix, сар. 11). In quella che pendevano cotali deliberazioni in Francia, e studiavasi il modo d'attuarle , Alessandro col denaro prestatogli da Lodovico an dava, con gelosia estrema del re Ferdinando, allestendo non solo ed in grossando le sue soldatesche, maporgevavieppiù indubitate proved'esser ligio agli Sforza cogli sponsali contratti tra per Giovanni Sforza (non già con Alessandro , come contra l'Infessura dice il Muratori) e per la sua figliuola Lucrezia, da esso lui avuta da bella pezza prima del suo pontificato da Rosa Vannozza. •Non vi ha donna (scrive Michele Sartorio) di cui tanto si parli nella storia del cinquecento, e inbene e inmale, quantodi Lucrezia Lenzuoli, comunemente notasotto il cognome diBorgia. Passa costeigeneralmente per un mostro di depravazione. Il suo nome solo risvegliain troppe im maginazioni l'idea di crimini nefandi. Ed è appuntoperchè le avventure di questa donna ebbero un' appariscenza romanzesca, che gli storici si dilettarono di svisarle sempre più, ed accrescerle a loro talento; onde riesce difficile lo sceverare a questo proposito il vero dal falso. Ma do vremo forse per ciò abbandonare l'arringo, e lasciar la verità sepolta nel -- 195 fango e Lucrezia Borgia carica di tutte le abbominazioni onde siasi mai sporcata vilissima femmina ? •Non mai, no ! Un esame accurato, dietro a documenti certi, convin cerà ognuno, che sia assennato ed imparziale, dell'insussistenza di cosi fatte accuse, e ne risulterà, che lungidall'essere quella la prostituta del fiore dei personaggi dell'età in che ella visse, fu invece mai sempre ci tata qual modello di virtù ; allora forse avverrà che si persuada il leg gente essersi ben potuto ingannare sulla vita e sulla condottadi questa principessa , o poter ben essere stato tratto in inganno dall'altrui giu dizio ». Rivendicando così il nome di lei , rivendicheremo pur quello d'Alessandro VI intorno a questo punto; ripareremo l'ingiuria fatta alla natura edalla virtù da scrittori infami ; e dassezzo renderemo noi qualche servizio alla santa causa della verità. È vero che non sono cose piace voli, ma non iscriviamo, come Vittore Ugo, Dumas, Gregorio Leti e loro consorti un poema, nè romanzo , ed al libro nostro si convengono let tori gravi ed attenti. Esordiamo adunque. I contemporanei non pertanto alle accuse frammischiano anche le lodi, dacchè la vediamo encomiata da molti che ebbero a scrivere di lei. Il Libanori la chiama bellissima e virtuosissima principessa , fornita delle più pregevoli doti dell'animo e squisite qualità di spirito, tenuta la delizia di quel secolo, e il tesoro di quell'età. Aldo le dedicò i versi dei due poeti Tito ed Ercole Strozzi, stampati nel 1514; e l'Ariosto non arrossi cantar di lei .....Lucrezia Borgia noma, La cui bellezza ed onestà preporre Deve all'antica, la sua patria Roma. Eppure ai nostri di più d'uno è d'avviso, cheseLucrezianell'anticaRoma ha formato la gloriadelsuosesso, un'altra Lucrezia nella modernaRoma ne formò l'obbrobrio. Oggidì Lucrezia è vituperata siccome figliuola incestuosa, siccome l'a mante del padre e di due fratelli, uno dei quali si suppone essere stato l'assassino dell'altro per gelosia nel vedere la preferenza che la sorella pareva all'altro concedere. La licenza estrema delsecolo in cui Lucrezia ha vissuto dà a siffatte accuse una specie di probabilità, che forse non avrebbero se ci fossero riferite in altri tempi ; ma tra i vizi che detur pavano quella sgraziata età, la menzogna e la calunnia non sono dei meno obbrobriosi. Del resto la stima degli scrittori ugualmente isicroni in molto mag gior numero, cui seppe Lucrezia cattivarsi nella maniera più onorevole, gli ultimi anni d'una vita consumata nella mortificazione e nella pietà, le ripetute larghissime lodi tributatele da uomini sommi stanno a favore di lei, i quali la rappresentano come una matrona compiuta, non sola mente ragguardo allo spirito ed alla bellezza, ma ancora, quel che più importa, rapporto alla virtù. 196 Fa maraviglia che ai dì nostri il primo a spargere qualche mite in terpretazione sur i casi diquesta donna, da tante odiose imputazioni ag gravata , sia stato un protestante, perocchè molti degli stessi scrittori cattolici ci offrono le colpe della Borgia siccome incontrastabili , e sin golarmente i poeti napoletani pei primi , i quali politicamente furibondi contra d'Alessandro VI di lei padre, perchè sembravach'ei avesse favo rito i re di Francia e di Spagna contra quello di Napoli e contro alla casa d'Aragona, non misero alcun freno alla loro indignazione. Uno di essi poeti, il famoso Pontano compilò in questo senso un epitaffio sati rico di Lucrezia, venti anni dapprima della morte di lei. Perfidia bru tale! L'istorico Guicciardini parla pure di quelle incriminazioni d'incesto, ma solamente come d'un romore che correva, e forse sulla solaautorità di quegli autori per noi già citati. A ciò solo si riduce il detto o sup posto degli accusatori coevi a Lucrezia. Il professore Giovanni Rosini, che a' nostri giorni pensava di pun tellar le accuse viete col semplice detto : L'età crescente per le donne è un gran missionario (Pref. al Guicciardini), dimostra come nelle fazioni s'infiammino i contemporanei ed i successori loro a vedere o a fingere quel che loro aggrada nei segreti recessi delle famiglie, fosse pure il più enorme delitto fra padre, fratello e figlia. Esecrabile intemperanza, della quale non risaneranno agevolmente le penne italiane, avendo e sempi e classici fomenti nelle storie dei maggiori. Certi storici venuti dopo, hanno giudicato queste testimonianze sufficienti per accusare Lu crezia Borgia in termini i più positivi, e gli scrittori cattolici medesimi non hanno esitato a dichiararnela colpevole. In conseguenza, tutte le raccolte storiche, tutte le compilazioni danno lacosa per incontrastabile. Svanisce impertanto qualunque sorpresa se autori eterodossi, i più di essi nemici dichiarati del principio e del nome cattolico, hanno raggruz zolato con piacere coteste infamie, si sono sforzati di propalarle e d'ac creditarle a più non posso, le hanno svolte con un ingegno tutto loro proprio, si sono diffusi vergognosamente sopra un subbietto che si pre stava a meraviglia all'immaginazion loro , dassezzo, hanno presentata sotto tutti gli aspetti possibili una vita cui potevano considerare come la più adatta a coprire d'ignominia Roma cattolica, i romaniGerarchi e la vera Chiesa di Gesù Cristo, contra della quale essi avevano levata la bandiera d'una cieca ribellione. Tali sono le prove che han fatto prestar fede sinqui agli atroci delitti dei quali si accusa Lucrezia Borgia. Asbu iare alquanto un soggetto di tanta importanza, riportiamo in poche pa role i principali avvenimenti della vita di lei, sulle traccie di scrittori di quel tempo veramente meritevoli di fede; e raffrontiamo il nostro rac conto colle imputazioni da noi rammentate poc'anzi. E ciò eseguiremo precipuamente colla scorta del Roscoe acattolico, il quale tanta luce dif fuse su questo intralciato argomento (Roscoe, Hist. deLéon X, tom. 1 ; dissertation sur le caractère de Lucrèce Borgia), esponendo brevemente con diritta sintesi secondo l'ordine de'tempi, i fatti principali della vita di Lucrezia, quali celi narrano i coetanei, e paragonando quanto della 197 condotta di lei dissero quegli scrittori, che avendola conosciuta da presso, n'ebbero a tessere altissimi encomii, con quanto ebbero ad asserire coloro iquali o inventarono, o si compiacquero ripetere le odiose imputazioni chefurono ad essa apposte, verremo ad offrire, speriamo, un criterio di verità possibilmente equo per poterneprofferire uno spassionato giudizio. Prima dell'elevazione di Rodrigo Lenzuoli, o Borgia, al pontificato, Lucrezia sua figliuola in giovanissima età non per anche nubile era stata fidanzata, trovandosi egli in legazioni, ad un gentiluomo spagnuolo, o come altri vuole, napoletano. Ma Alessandro appena salito altronopon tificio, ruppe col consenso di lui questo impegno giudicato invalido, per chè contratto nanti che Lucrezia avesse toccato gli anni prescritti dai sacri canoni; nè saravvi, noi giudichiamo, chi esiti in ciò a prestar cre denza al cavilloso Palaggi autore d'una vita dei Papi, che da invelenito napoletano, non la perdona mai adAlessandro VI ogni qualvolta se gli presenta il destro, di morderlo: eppure da veritàcostretto, confessa, che nell'annullare i pristini sponsali, nonoperò ilPapacontra il diritto. (Vedi ivi in Alessandro VI). Il che certocostituiva un impedimento dirimente e rendeva libera Lucrezia a contrarre una parentela più illustre. In fatto, nel primo annodelpontificato di lui, Lucrezia sposò, il dodice simo giorno di giugno 1493, Giovanni Sforzasignore di Pesaro, ed ultimo figliuolo del fratello del gran Francesco Sforza duca di Milano. Le nozze vennero celebrate con grandiosa solennità nell'istesso palazzo pontificio : unione questa che durò poco più di quattro anni, incapode' quali, cioè nel 1497, venne il matrimonio disciolto dal Romano Pontefice, per mo tivi, ben s'intende, più gravi che non è una semplice discordia, come si può vedere appo lo stesso Macchiavelli (Estratto di lettere ai Dieci di balia), quantunque questa discordia sia forse stata quella che desse la spinta a mettergli in campo. Tra i quali si appalesò quello dell'impo tenza del principe Giovanni, per cagione di cui durante i quattro anni Lucrezia non aveva per anche potutoconcepire prole. Nèsolo questo prin cipe perdette la sposa, ma per aver irritato il Pontefice, fu in procinto di vedersi cacciato da' suoi dominii, cui egli conservò soltanto, mercè dei soccorsi prestatigli dai Veneziani. Se fossero state vere le supposi zioni tanto calunniose addotte dal Guicciardini, che riescono perfino as surde, di quello scioglimento, attribuendolo egli a mire gelose d'Ales sandro, questi ben presto, contra il suo procedere tenace, avrebbe can giato di parere, nè avrebbe dietro quel divorzio trattato subito dopo al cuni mesi il connubio di Lucrezia con Alfonso duca di Biseglia, e figli uolo naturale d'Alfonso II re di Napoli, di cui nel primissimo anno del l'imeneo concepi un figliuolo, come a suo luogo diremo, necessitati al presente, per tener dietro alla cronologia, di rivolgerci a Ferdinando re di Napoli. Lanciando costui al di là degli Apennini e delle Alpi la sua pupilla d'Argo, antivide quai neri nuvoloni si alzassero ed addensassero sul suo regno, quindi a tutto potere si studiò di placare, anzi guadagnarsi Papa Alessandro e Lodovico il Moro, e cattivarsi l'amicizia del senato di Ve 198 nezia e dei regnanti cattolici. Fu adoperato Ercole duca di Ferrara per rimuovere il reggente di Milano dalla sua risoluzione pazza di tirar le armi francesi in Italia, e gli si fece un vivissimo ritrattodelledisgrazie che riunirebbero su di lui stesso pel primo, fino a promettergli di la sciarlo pacifico possessore del ducato di Milano. Ma costui, pien di pre sunzione, mostrò ben nelle apparenze di cedere, con tutto ciò di fatto ei rimase ostinatissimo nella sua caparbietà, e tanto più perchè nel dì un decimo d'ottobre moriva Leonora duchessa di Ferrara, figliuola del re Ferdinando, la quale aveva non poca autorità sul cuored'esso Lodovico, siccome suocera sua. Ma sentiamo dallo stesso Guicciardini la maniera callidissima con cui Lodovico il Moro si è governato, dappoichè ebbe col re francese segnata la parziale confederazione segreta coi principi d'Italia, che da questa narrazione s'intenderà come costui continuò a corbellare e papa e sovrani d'Italia: Nè cominciò, scrive quegli, Fer dinando con minore speranza di felice successo a trattare con Lodovico Sforza, il quale con artegrandissima, mostrandosi malcontentodell'incli nazione del re di Francia alle cose d'Italia, come pericolose atutti gli italiani ; ora scusandosi per la necessità, la quale pel feudo di Genova eper laconfederazione antica con la casa di Francia, l'aveva costretto audire le richieste fattegli, secondo diceva, daquel re; orapromettendo qualche volta a Ferdinando, qualche volta separatamente al Pontefice e a Pietro de' Medici d'affaticarsi quanto potesse per raffreddare l'ardire di Carlo, si sforzava di tenerli addormentati in questa speranza, acciocchè innanzi che le cose di Francia fossero bene ordinate e stabilite, contro a lui qualche movimento non si facesse. Egli era creduto più facilmente, perchè la deliberazione di far passare il re di Francia in Italia, eragiu dicata sì mal sicura ancora per lui, che non pareva possibile che final mente nonse n'avesse (considerato il pericolo) a ritirare. Consumossi tutta la state in queste pratiche, procedendo Lodovicoin modo che, senza dare ombra al re di Francia, nè Ferdinando, nè il Pontefice, nè i Fiorentini delle sne parole si disperavano, nè totalmente vi confidavano . Gli altri potentati italici benchè tutti, salvo pochissimi, detestassero Lodovico di si iniquo sforzo, e di sì enorme attentato, ed aborrissero dalle catene e stranee, nulladimeno non ascoltarono le riclamazioni di Ferdinando così favorevolmente com'egli, e l bene d'Italia avrebbe desiderato. Però Ferdinando non allibi, nè disperò (Continuatore delFleury, Hist. Eccl. ann. 1493, N. xxxix e seg) di dirimere col Papa ogni differenza, e disperdere il procellosooragano che sovrastava minaccevole sull'orizzonte napoletano, escogito quindi il mezzo di tor via gli ostacoli principali, e riparare l'ingiuria alla regia maestà di Alessandro VI portata col disto gliere gli Orsini dal suo partito, accomodarli col Pontefice , e per age volare quest'accordo, perdette i quaranta mila scudi d'oro, cui avea im prestati a Virginio per essere sborsati al Cibo.Ottenne da lui cherimettesse al Papa i medesimi principati, cui il Cibo gli aveva venduti, dandogliene in ugual porzione nella provincia di Puglia per compensarnelo. E frat tanto che assoldava nuove truppe, visitava le piazze migliori, rinforzava 199 i presidii, distribuiva le milizie per custodia delle costiere, e facevasforzi per riempiere l'erario ed incoraggiare i regnicoli a resistere all'invasione, egli sovratutto si studio di riconciliarsi l'affetto dei sudditi ebaroni suoi da' quali sapeva d'essere grandemente odiato (Denina, cit. loc ). Accrescevangli il timore molte predizioni infelici alla casa sua, venu tegli a notizia in diversi tempi, scrive il Guicciardini, lib. 1, anno 1493, parte per iscritture antiche ritrovate di nuovo, parte perparole di uomini incerti spesso delpresente, ma che si arrogano qualche certezza del fu turo; cose nelle prosperità credute poco, come cominciano ad apparire le avversità, credute troppo. In contingenze tanto fatali , parve perciò a Ferdinando essere il più sano partito di tutti d'imbonire i Francesi. Federico d'Aragona, suo se condogenito, avea sposata una principessa di Savoia, sorella della madre di Carlo VIII. Non aveva egli che una figliuola, la quale laduchessa di Borbone sua Germana aveva allevata alla corte di Francia, col disegno di maritarla al re di Scozia, da cui era ricercata, e la convenienza vo leva che il contratto nuziale fosse stipulato alla corte di Francia , dove ella risedeva. Ferdinando si valse di questo spediente per maneggiare qualche acco modamento, edindurre il reCarlo VIII acessare della sua impresa.Mandò a Parigi alcuni ambasciatori , alla testa de' quali era Camillo Pandone , molto caro al monarca, dal quale era conosciuto. Le loro lettere creden ziali altro non contenevano fuorchè il regolamento degli articoli delma trimoniodellapronipotedi Ferdinando.Ma aveano essi degliordini segreti, cui nondovevano comunicare ad altri, tranne a Brissonetto, ed al sini scalco di Beaucaria. •Offeriva Ferdinando a sua maestà Cristianissima un tributo di cin quanta mila scudi all'anno, a tutte quelle condizioni cui volesse ella esi gere, purchè accordasse la pace; ma temendosi in Franciadi darqualche sospetto al beatissimo Padre, essendo il regno di Napoli feudo pontificio il quale avea proceduto allora in modo, che parea mostrare un formale disegno (noti il leggente queste parole del Continuatore di Fleury , da cui risulta altresì che il Papa nè aveva incitato i francesi a discendere, nè avea con essoloroper anche stretta quella pretesa lega) d'unirsi con la Francia più tenacemente. › Il consiglio del re, al quale fu proposto l'affare, rappresentò agli am basciatori napoletani, che non si poteva eseguir quello che domandavano. Nè altro vollero determinare seco loro salvo l'affare della Scozia, non volendo per l'avvenire, come dichiararono avere la Francia niunaalleanza con Ferdinando, e mostrarono gli apparecchi che si facevano per la guerra. Informato il re di Napoli di queste risoluzioni del consiglio aulico di Francia, s'indirizzo da capo al Papa. Il santo Padrechebenignamente e volentieri avea porto orecchio alle esortazioni (Rainald. ex-Surita 1493) di Ferdinando ed Isabella presentategli dai loro oratori fin dapprima della lega italica, e confermate dal legato mandatogli espressamente verso il -- 200 medesimo tempo, di non aderire ai pensamenti di conquista delsovrano francese su di Napoli, ad essi ben noti pel trattato con questo stipulato il 1403 in gennaio nella città di Barcellona. Nonera quindi egli certo a lieno dal piegarsi alle preghiere dei regi ispani ed opporsi a Carlo VIII, quando avesse prove sicure che Ferdinando redi Napoliriparasse in modo soddisfacente l'ingiuria fatta alla Santa Sede. Ora rimirando egli, che costui supplichevole direttamente a sè rivolgevasi, finalmente, dopo varie difficoltà, procedute (confessa l'istesso Guicciardini) più da Virginio Or sini che dal Pontefice , per mezzo del principe don Federico mandato a questo effetto dal genitore in Roma, la differenza delle castella si compo neva, convenendosi che Virginio le ritenesse , ma pagasse al Pontefice tanta quantità di danari per quanti l'avea in prima comperateda Fran ceschetto Cibo. Conchiusesi insieme lo sposalizio di madonna Sances, fi gliuola naturale d'Alfonso duca di Calabria, con don Gioffredo figliuolo iuniore d'Alessandro. Oltrepassava questi di poco il terzo lustro, e la fi danzata stava sul decimo terzo quando si strinse il coniugal nodo. Fal lanoadunquequelli che colGuicciardini (1)e coll'Allegretti (Istor. di Siena, tom. 23; Il Continuatore del Fleury, Istor. Ecclesiast.lib.117, ann. 1493), cianciano esser invalido l'imeneo per difetto d'età; come pur coloro che col Muratori (Rer. Ital) vogliono che per ambizione siasi il Papa ado perato per un tal matrimonio. Le condizioni furono, che don Gioffredo andasse fra pochi mesi a stare a Napoli, ricevesse in dote il principato di Squillaci con l'entrata di ducati diecimila l'anno, e una compagnia di cento uomini d'arme agli stipendi di Ferdinando (Infessura, Diar. tom. eodem). Può essere che questo trattato si conchiudesse solamente nel l'anno seguente 1494, come induce a credere il citato Allegretti. Il Santo Padre disacerbato per la riparazione dell'offesa fattaglidaVir ginio Orsino, e sensibile all'aggrandimento di sua figliuolanza , accetto la parentela ed il principato cui gli offriva; ma tentando di più Ferdi nando di confederarsi con lui adifesa comune, il Pontefice, da prudente tal qual era, ricusò entrare nella lega propostagli, ed interponendo molte difficoltà, esibiva a Ferdinando tutti i servigi possibili, purchè non si parlasse di confederazione, e solo gli rilasciava con un Breve promessa occultissima (promessa che Alessandro VI serbò inviolabile) di aiutarlo a difendere il regno di Napoli, in caso che Ferdinando promettesse a lui di fare il medesimo nello Stato della Chiesa.Le quali cose spedite, si par tiva, licenziando il Papa dal dominio ecclesiastico le genti d'arme che i Veneziani e il duca di Milano gli aveano mandate in aiuto. (1) Per discreditare sempre più Alessandro VI, alcuni scrittori spacciano che i due sposi per l'età erano inabili al matrimonio, e fanno che Alessandro istesso domandato avesse tal couiugio in fino dal 1492 in cui fu innalzato al pontificato, non avendo allora Gioffredo che 13 anni, e donna Sancia 11; ma non avvertono, che dalla domanda alla conclusione vi trascorse il fine del 1492, tutto il 1493 in cui furon soltanto pattuiti gli sponsali , e parte del 1494 in cui fu celebrata il matrimonio, epperciò lo sposo aveva travalicato i quindici anni, e la sposa i dodici, età canonica per l'imeneo legittimo e valido. Oltracciò il sentimento suddetto è tenuto in nessun conto dagli scrittori isicroni, che per merito di veridicità superano il Guicciardini. 201 Di fatto quando Carlo VIII mandò Giovanni Perrone di Braschi per tentare di accaparrarsi gli animi dei principi italiani , e quando a sua volta si presentò da Alessandro VI offrendogli da prima, scrive il Conti nuatore di Fleury (Ist. Eccl , lib. 117, ann. 1493, N. LXV) alcuni bene fizi in Francia per quello dei suoi figliuoli che avesse voluto innalzare alla dignità di cardinale e delle terre per gli altri due, il Santo Padre non diede, tranne alcune risposte generali: dichiarò, che non ambiva altro che starsene assolutamente neutrale fra le due parti, quantunque fosse stato egli in parte cagione della guerra, suo disegno era di riscuotere da Ferdinando molto più che non gli offeriva la Francia, e questo era ciò che disturbava il re di Napoli, il quale vedea che malgrado tutte le sue condiscendenze non poteva assicurarsi di averlo in suo favore. Ep perciò per guadagnarselo tutto , dopo le usate compiacenze di buonifi carlo delle terre comperate dagli Orsini, aveva convenuto dare a Giof fredo in isposa la figliuola del suo primogenito medesimo, comeabbiam narrato. Il che fini di mitigare l'esasperato animo di Alessandro. APPENDICE III. Lettere di varii PRINCIPI e CARDINALI riguardo alla calata di Carlo VIII in Italia. Testimonianze del COMINES e di PIETRO MESSIA, scrittori contemporanei, per cui risulta essere a quella stato estraneo Alessandro VI. I. Quantunque la discussione per noi fatta nel capo XIX, comprovi abbondantemente essersi non solo Alessandro VI mai sempre tenuto estraneo all'impresa di Carlo VIII re di Francia contra il regno di Napoli, ma di averla inoltre lo stesso disapprovata; nulladimeno portiamo opinione riuscire cosa utile all'istoria il divulgare alcuni documenti, i quali metteranno vieppiù in pieno giorno che l'amore per la nostra tesi non ci fe' velo in modo alcuno adanno della verità; la quale essendo una, può essere per un tempo oscurata, confusa, contraddetta sì , ma alla perfine non può ameno di sfolgorare adorna di tutto la sua vaghezza. Per poco che il Papa fossesi intricato in cotale combriccola, il verboso Burcardo, solertissimo annotatore d'ogni atto del suo padrone, con proprio ed altrui vilipendio, tace onninamente, contro al suo andazzo, su di simile imputazione , restringendosi unicamente a dire che il XIII marzo 1494 venne in Roma don Lodovico con altri personaggi, per trattare su negozi particolari del re di Napoli, e che nel ricevimento fattogli dalla Corte romana non v'intervennero gli ambasciatori di Francia. Riportiamone le precise parole : Feria sexta, XIII martii (1494), hora xx vel circa, per portam Lateranensem, Asinariam nuncupatam, Ill. D.don Ludovicus de Aragonia marchio Giraci, R. dom. Alexander Carafa archiepiscopus neapolitanus, frater germanus rev.domini Cardinalisneapolitani, magni -202 ficus dom. Iohannes Antonius de Ghinara, comes Potentiae, etpraestantissimus utriusque iuris doctor dom. Antonius de Alexandro Serenmi Alphonsi Siciliae etc., et Hierusalem regis Neapolitani oratores pro particularibus negociis praefati regis, et etiam ad praestandam obedientiam, quatenus SS. D. N. placeat, et ad eum missi, qui a familia Cardinalium et SS. D. N. Papae recepti sunt , et more solito associati ad palatium Montisiordani Ursinorum, in quo marchio, comes et doctorhospitati sunt; archiepiscopus vero post omnium familiarum recessum equitavit ad domum Cardinalis neapolitani fratris sui, in quo ipse hospicio receptus est. Equitavimus per Eliseum, Marforium, sanctum Marcum, domum Dominici de Maximis, Campum Florae via recta , usque ad stratam qua per Parionem revertitur, inde ad palatium praedictum: marchio equitavit medius inter d. Pisauri a dextris, et gubernatorem urbis a sinixtris, archiepiscopus inter archiepiscopos Nicosiensem et Ragusinum, comesinter Concordiensem et Segorbiensem episcopos praelatos palatii, d. Antonius inter praelatum palatii a dextris, et episcopum Pacensem oratorem regis et reginae Hispaniarum a sinistris. Deinde antiqui oratores cum praelatis palatii, tum alii praelati more solito. Cardinalis sancti Dionysii non misit familiam suam, nec oratores regis Franciae venerunt his advenientibus obviam. Alia sunt observata more consueto. » Carlo Rosmini nella vita del magno Trivulzi, pubblicò i seguenti pe regrini documenti, coi quali venne ad apportare una luce immensa su di questa quistione, cui gli scrittori ostili al Borgia si sforzarono ren dere tenebrosa. Nè si abbia per parziale il Rosmini, chè mostrò questi piuttosto inclinazione ad avversare Alessandro VI a preferenza di favo rirne la causa ; quindi se nella sua solerzia instancabile di scrutare nelle polverose biblioteche, e nei tarlati squallidi scritti avesse potuto rinvan gare una sola testimonianza che facesse detto Pontefice correo di Lodo vico il Moro del progetto insano ed improbo di far calare Carlo VIII in Italia non avrebbe egli esitato un istante di produrlo tanto per isgra varne in parte il suo duca, e mitigarne la colpa dividendola col capo sovrano della Chiesa, quanto ancora per appagare il suo prurito di scal fire i Borgia. Rechiamo adunque in mezzo i prefati documenti. 1. DUCI BARI. •Illus. etc. Nostro Signore..... mi ha parlato in questa sententia, che essendo sempre stato el desinerio suo de conservare la quiete, è conti nuamente stato di parere che la unione del re de Napoli cum la Ессе lentia Vostra conjuncta cum la Beatitudine Sua havesse aportarequesti effetti... et però la Beatitudine Sua voleva ne scrivessi a la Eccellentia Vostra, et da sua parte la confortassi strettamente a questa unione et a considerare le provvisioni opportune per impedire lavenuta de' Francesi in Italia etc. • Romae 29 jan. 1494. • Frater et filius Ascanius Maria cardinalis Sfortia vice-comes, S. R. E. vice-cancellarius » . -- 203 2. LUDOVICO MARLE SFORTIE ETC. •El signor principe (il doge di Venezia) primaringratiò la Excellentia Vostra de la comunicatione delle littere de Francia, et circa li prepa ramenti dei Francesi disse, che questa signoria non haveva mai visto voluntera venire simile gente in Italia, et anchora adesso non li piaceva avederli venire; et che tutte le actione de questa signoria tendono ad conservare el comune presente stato, et riposo italico etc. etc. • Venetiis, 5 aprilis 1494. • Taddeus Vimercatus » . 3. •PETRUS DE MEDICIS. •Domino Petro de Alamannis oratoriFlorentino , •Mediolani. ........Quanto alla sicurtà che di novo ha toccho el signor Lodovico (Sforza) voi sapete quanto mi scrisse con la copia datami, che ogni volta che il signor Lodovico obviarà alla impresa di Francia, non li siadene gata la sicurtà etc. • Florentiae, die 1 maii 1494 ». 4. • LUDOVICO MARLESFORTLE. .........El magnifico messer Johanne Bentivoglio mi ha subiunto che io recordi da sua parte a Vostra Excellentia ad considerarebenequesta venuta dei Franzesi in Italia, quello potrà apportare di bene o male; et che gli pareria se dovesse cercare migliore occasione di vendicarse con tra li adversarii, et tra nui Italiani non dovere mischiare l'altra gente etc. etc. •Ex Bononia ultimo martii 1494. 5. • Franciscus Franchedinus.. • DUXBARI ERASMO BRESCHE. •Doppo quello che heri te scrivessimo è arrivato una cavalcata de Francia con multe littere, l'effecto de le quale contene comme el chri stianissimo re è giunto a Lione, et li tuttavia attende a le preparatione necessarie per la impresa del reame de Napoli, cosìperterracomme per acqua, cum fermo proposito de passare in Italia etc. etc. • Vigevani 14 martii 1494. , -204 6. • DUCI BARI. • Illus. etc...... Essendo li di passati la prefata christianissima Maestà per fare alchune presentatione pertinente a le cose della impresa.... in la quale era necessario che assumesse el titolo de re de Sicilia et de Hierusalem, lo accepto cum tanta demonstratione et piacere che a me saria impossibile exprimerlo, dicenno che questo li era uno optimo au gurio ad essere appellato re de Hierusalem, etc. • Lugduni, 14 martii 1494. • Carolus Balbianus. 7. • DUX BARI Mediolani primo aprilis 1494. • DOMINO ERASMO BRESCHE. ......... Nuy tuttavia attendemo alla expeditione de le nostregentedarme, per essere apparecchiate ad omne bisogno etc. , 8. • DUCI BARI. • Illus. etc. La Reale Maestà ha facto tenere li giorni passati un gran conseglio, nel quale erano la più parte de li Signoridel sangue, et volse me li trovasse anche io, et fece declarare per alchuni signori de par lamento et altri doctori, el re Alphonso non havere alcuno diritto in lo reame de Napoli, ma apartenere de bono et dritto titulo a la Maestà Sua etc. • Ex Lugduno, 26 martii 1494. DUCI BARI. • Carolus Balbianus. 9. • Illus. etc...... Appresso, questa illus. Signoria de Venetiami comandò che declarassi a Vostra Excellentia, che quando pur el caso occorresse non erno per mancare de omne soccorso opportuno verso epsoStato de Milano, et la persona in spetie de la Excellentia Vostra, la qualehanno sempre amato et amano come bon fiolo etc. • Venetiis die 5 aprilis 1494. 10. • DUCI BARI. • Taddeus Vimercatus. • Illus. etc........ Mi sono ritrovato cum il magnifico M. Ioanne Benti voglio per intendere quando per il duca de Calabria o altri con numero 205 de gente darme venir volesse per resistere ad Franzesi, se questo reg gimento gli concederà passo et victualie a requisitione del prefato re et duca; a questa parte mi ha resposto, che quando Franzesi venissero 4 come da sè, potria essere che non se denegaria achi li volesse obsistere de farseli al incontro per essere ultramontani alla più parte de Italia ; ma se dicte gente regie se intentesse che volessero venire ad molestare el Stato de V. E. et passare di qua prima che Franzesi comparesso , la Excellentia Vostra sia certissima che non se li darà nè transito , nè vi ctualia, et che se li obviarà et farà tutta quella resistentia, quale vorrà la Signoria Vostra etc. etc. •ExBononia ultimo martii 1494. 11. • Franciscus Franchedinus .. • Vigevani 24 aprilis 1494. DUX BARI DOMINO GALEATIO SFORTIAE. ...... Ve laudamo del fare bene intendere a quello christianissimo re le commissione vostre de ricordare le cose necessarie a la impresa desiderata, deinde per solicitare et vedere che gli ricordi, senza li quali saria vano sperare honore della impresa, siano posti in effecto .. 12. • DUCI BARI. • Illus. etc..... Quello che de presente posso significare, è comme questa Maestà regia et lo illus.sig. Ducase preparano alla defesa contra Francesi etc. Il sig. Duca ha el peso de le provisione se hanno a fare per terra, et Don Federico de quelle per acqua. •Neapoli, 2 decembris 1493. • Antonius Stangha . Or a distruggere, noi pronunciamo fidenti nella vittoria nostra , sif fatti documenti autenticissimi, ci vuol altro che lapenna e mala lingua di Stefano Infessura, e di tutti i suoi consorti; Alessandro VI non s'im mischiò unquemai, no, nella turpe fellonia esecranda del duca di Bari , cioè di Lodovico il Moro, affine di tirare nella nostra Penisola i distrug gitori della nazionalità italiana ! Infino allora Italia , sebben divisa in vari principati italiani, era una; per essere governata da soli principi italiani; dopo cotale discesa delle armi franche per cagione del principe lombardo, fu divisa, e la Lombardia perdette essa da quel tempo in poi per sempre il suo governo italiano, e soggiacque a dominazione stra niera , scontando il peccato abbominevole del suo signore d'avere un tal male attirato sull'italico suolo. In quella guisa che gli atleti del circo si ungevano d'olio inprima di scendere sull'arena, così gli scrittori cattolici deggiono parimenti invo care dal Cielo l'unzione della carità ; nè provammo unquemai tanta dif -- 206 ficoltà alla mansuetudine quanto nel leggere gl'ignobili scritti dei ne mici d'Alessandro VI. Noi sovvenendoci la santa collera del N. S. G. C., in vista dei profanatori d'nn tempio di legno e di pietre, ci siam detto: non sarebbe ella scusabile l'indignazione nostra contro ai profanatori del santuario della verità istorica , detrattori buffoni , orgogliosamente maligni, del Vicario di Dio in terra ? II. Filippo di Comines cavaliere e signore d'Argentone (nelle sue Me mosie, edizione di Venezia 1640 da noi confrontata coll'edizione fran cese del 1720 daGodefroy illustrata, tom 11, v, nei passi in cui ragionaegli delle cagioni si remote, che prossime, le quali determinaronoCarlo VIII re di Francia a scendere in Italia per la conquista del regnodi Napoli, dal libro VII, capo 1, 11) non ne fa mai eccitatore Papa Alessandro VI, il che non avrebbe per fermo taciuto , sia per corrispondere alla sua missione di storico accurato qual era, sia pel decoro di suo sovrano, onde giustificarne la conquista, sia per rovesciare di quest' impresa la mala riuscita del fedifrago Borgia, a cui non perdono l'imputazione di alcuna appena probabile macchia, che anzi designa egli diligentissima mente esserne stati i caldi promotori alcuni provenzali, lib. vii, cap. 1, Stefano de Vers appoggiato da varii grandi di corte, il principe di Sa lerno co' suoi tre nipoti, figliuoli del principe di Bisignano, ibid.cap. и, il sig. Galeazzo, ed il conte di Caiazzo figliuoli di Roberto Sanseverino, e Lodovico il Moro duca di Milano, e ciò in prima ancorache Roderigo Borgia elevato fosse al pontificato. Così narra il fatto : •Ora nel 1493, Ludovico mandò i suoi huomini a reCarlo VII, chedi presente regna, esortandolo al venire in Italia all'impresa del regno di Napoli, e ciò faceva per deprimere la potenza di quel re (Ferdinando di Napoli) et del figliuolo (Alfonso duca di Calabria) sapendo bene, che mentre erano in istato e grandi, non gli saria riuscito di farsi duca di Milano, come fece poco appresso; essendo l'uno e l'altro potentissimi , e molto sperimentati nel mestiero della guerra, e da ciascuno riputati va lorosi edi grande animo (ancorchè poi apparisse il contrario).Ilsig. Lu dovico era savissimo, ma timido oltre misura, e nei pericoli vile e pu sillamino (et io ne parlo, havendolo conosciuto a pieno, e trattato seco molte bisogne): oltració huomo senza fede, sempre ch'egli rompendola ne poteva ricevere qualche utilità. • Cominciò adunque nel sudetto anno a procurarecon tuttol'ingegno et industria, che il giovanetto re di Francia in età di ventidue anni, si accendesse di voglia di passare in Italia, facendogli proporre da suoi a genti la gloria, gli honori e la certissima vittoria ch'egli riporteria di quello nobilissimo regno di Napoli, nel quale i redi Franciahannogiu stissime pretenzioni. • Conferivano tutte le cose, prima che dirle al re, con lo Stefano di Vers (divenuto senesciale di Beauchera, et già fatto molto ricco, ma non quanto egli avrebbe voluto) et col generale Brissonetto, huomo anch'esso ricchissimo e molto intendente delle cose che appartengono a tesori e -- 207 depositari, al quale il Vers, come ad amico grande, ma pure a persua sione di Ludovico, consigliava che si facesse prete, con speranza di es sère innalzato al cardinalato, ed egli conseguirne unducato.Con questi apparecchi et machine, havendo Ludovico primieramente espugnati gli animi di coloro che potevano il tutto appresso il re, gli mandò poi una horrevolissima ambasciaria a Parigi, in detto anno 1493, della quale era capo il conte di Caiazzo, primogenito del sopranominato Roberto di San Severino. Trovò in Parigi il principe di Salerno suo cugino, primo si gnore della famiglia, cacciato dal re Ferdinando (come io dissi), il quale anche esso stimolava il re all'impresa del regno. Co'l conte di Caiazzo erano in corte Carlo di Belgioioso ed il signor Galeazzo Visconte, a mendue pomposamente vestiti, e bene accompagnati. Le parole loro in pubblico non furono se non complimenticontermini generalidi creanza e d'affettione. •Questa fu la prima ambasciaria grande, ch'egli ancorahavesse man dataal re, oome chegià vifosse stato un suo segretario a trattare, che il duca di Milano suo nipote potesse per procuratore fargli homaggio di Genova, e fugli consentito contra ogni dovere...... Essendo gli ambascia tori in Parigi, dopo d'essere stati pubblicamente ascoltati, parlò a parte co'l re il conte di Caiazzo (il quale era in grandissimo credito nello Stato di Milano, et anco più di lui il signor Galeazzo suo fratello, mas simamente nel fatto della militia) ; costui offerse al re molti aiuti e sus sidi, tanto di gente, come di danari, perchè già esso Ludovico poteva a suo grado disporre di tutto lo Stato, come se suo fosse, proponendogli l'impresa del regno agevolissima a riuscire. Quindi a pochi dì, egli et il signor Galeazzo Visconte preso commiato dal re si partirono, essendo restato il Conte Carlo di Belgioioso per instare la risolutione e la par tenza, il quale subito si vesti alla francese, e con molta destrezza an davapersuadendo, etirando innanzi lecose trattate, le qualiamolti comin ciarono a piacere. Il re mandò in Italia Perrone di Baschie, nodrito nella casa d'Angiou, di Giovanni duca diCalabria, aPapa Innocentio, (avverta il leggente, che Alessandro VI adunque non era ancor Pontefice), a Ve netiani et a Fiorentini. Cotali maneggi durarono lo spatio di sette o otto mesi, variamente ragionandosi di quest'impresa fra coloro che la sape vano, come che niuno si credesse mai che il re vi dovesse gire in per sona, come fece.. Per tutto il capitolo III diffondendosi il Comines a discorrere di cose estranee all'argomento nostro, noi perciò omettiamo d'intrattenere i leg genti su di esse per passare immantinenti al capitolo seguente, e così via di seguito, dai quali chiaramente risulta che Alessandro VI non ebbe per nulla a temperare nei disegni di Carlo VIII; perocchè a quell'acuto eminuzioso annotatore, il d'Argentone, nè sarebbe ciò sfuggito, ned a vrebbe tralasciato di mentovarlo. Seguitiamolo adunque fedeli: • Ritornando alla principal nostra materia, voi inteso avete (egli scrive), come il conte di Caiazzo, et altri ambasciatori si partirono da Parigi, e come si facevano molte pratiche per lo viaggio d'Italia, il quale essendo -- 208 molto a cuore al nostro re, così giovane com'egli era, non lo scopriva perciò ad altri, fuorchè ai due, ch'io dissi di sopra (cioè a Stefano del Vers et al generale Brissonet). • Fu richiesto a Venetiani che volessero dargli aiuto e conseglio in quell'impresa. Risposero ch'egli saria sempre il ben venuto in Italia, ma non potere al presente prestargli alcun soccorso, per la sospettione che avevano dell'arme del Turco (tutto che allhora fossero in pace con esso lui), e che il dar conseglio a sì savio re, appresso a cui assistevano con tinuamente persone prudentissime, saria un mostrare grandissima pre suntione ; ma che in ogni evento poteva promettersi di loro più tosto gratissime dimostrationi et affetto, che il contrario. •Qui fa mestiero di considerare, come Iddio vuole sempre che chia ramente si conosca il giudicio e la prudenza humananon servire anulla, quando a lui piace di mettervi sue sante mani. Perciocchè li Venetiani si pensarono di havere ottimamente e con grande accortezza risposto, e veramente così era. Conciossiachè le faccende loro pubbliche , come io credo, siano meglio e più saviamente governate, che di altro principe o republica che sia al mondo; ma le cose succedettero altrimenti di quello , ch'essi s'havevano persuaso. Imperocchè non credendosi mai, che il re dovesse passare in persona, nè havendo alcuna paura del Turco (che si dicessero, perchè egli era da poco), parevaloro, che standosi a sedere, si vendicherebbero della casa d'Aragona, odiando mortalmente Alfonso re di Napoli, et il figliuolo Ferdinando..... Onde stimavano esser loro som mamente utile che si facesse guerra contra il re di Napoli et i figliuoli, sperando ch'ella non dovesse così presto prender fine, come fece ; la quale havrebbe indebolite le forze degl'Aragonesi senza però ruinarli af fatto. Ma che al peggio andare o gli uni o gli altri, per avere degli a iuti da essi, daria loro nelle mani qualche città di Puglia, la qual pro vincia risponde nel golfo di Venetia: e così appunto è avvenuto. Pare vagli simllmente che niuno potria imputarli d'aver fatto venire il re in Italia, atteso che non gli avevano voluto dare nè soccorso, ne conseglio, come appareva dalla loro risposta fatta a Perrone di Baschie..... •Nell'anno 1494, il re andossene a Lione per esser presente a tutto ciò che si trattava, ma non già con pensiero di passare in Italia inper sona. Arrivò qui il signor Galeazzo fratello del conte di Caiazzo di San Severino (del quale parlai di sopra) molto bene accompagnato, a nome del signor Ludovico, di cui egli era luogotenente, et il maggior huomo ch'egli si havesse. Condusse seco gran numero di bellissimi ebuoni ca valli, con molte ricche armature per giostrare, e correre alla lancia, il che fece egli fra tutti eccellentemente, essendo giovane e gentilissimo cavalliero. Fu accolto dal re, et accarezzato horrevolissimamente, cui diede il suo ordine di San Michele. Tornossene poi in Italia, restando appresso il re per ambasciatore il conte di Belgioioso per affrettare l'im presa del regno...... (alla quale si diè mano con tutta attività). • Ora il re, che da principio non credeva di farquesta impresain per sona, mutò pensiero a requisitione del signor Ludovico, il quale per let -- 209 tere e per lo conte Carlo di Belgioioso suo ambasciatore, gliene faceva somma instanza, valendosi sopra tutto del mezzo dei duesopranominati; benchè il generale Brissonetto , vedendo che tutti gli uomini più inten denti per molte ragioni biasimavano cotal viaggio, cominciasse a temere et apentirsi; perseverando il compagno ostinatamente nel suo parere. Il re havendo per tre o quattro giorni fatto brusco viso al generale , si pose in camino. Mori apunto all'hora un servitor del Vers di peste , onde non osavano di accostarsi al re, si stava di mala voglia sapendo bene , che niun altro era per sollecitare la partenza. Monsignor et ma dama di Borbone, con ogni lor potere procurarono d'impedirgliela, aiu tati a ciò dal generale, sì che trovandosi il re in questa perplessità d'a nimo, l'un giorno era la partita rotta, l'altro rinovellata. In fine si risol vette a partire , et io fui de'primi a montare a cavallo, sperando di passare i monti comodamente con poca compagnia; nondimeno io fui richiamato in corte, dicendosi che tutto era ito in fumo. Quel dì furono presi in prestanza da un mercatante milanese cinquanta mila ducati senza interesse, con promessa di molti; ma nel vero il signor Ludovico fu quegli che li sborso sotto mano; iovi entrai per sei mila, etaltri per lo rimanente. S'erano già avanti presi dalla bancha de Saoli cento mila ducati , de'quali in quattro mesi n'ebbe quattordici mila d'interesse (a ragione di 42 per cento solamente). Fu detto, che alcuni de' nominati di sopra havessero parte nel capitale et negli utili ancora » . Finora impertanto noi non abbiamo per anche scorto che Carlo VIII venisse animato da Papa Alessandro VI all'invasione degli Stati napo letani, anzi appare limpidamente il contrario. Nè unquemai contraddice ase stesso il Comines nei seguenti capi; al capo V del medesimo libro narra egli come Finalmente partitosi il re da Vienna ai ventitrè d'a gosto del 1494, tirò diritto verso Asti, e che Galeazzo San Severino venne per la posta a ritrovarlo a Susa. Quindi andò esso re aTurino, dove fe cesi imprestare le gioie della duchessa di Savoia, figliuola già di Gu glielmo marchese del Monferrato e vedova di Carlo duca di Savoia, le quali egli impegnò per dodici mila ducati . (Filippo II duca di Savoia, detto Senza terra, quinto figlio delduca Luigi, fu d'un grande soccorso a Carlo VIII nella sua spedizione in Italia. Chiamato al trono ducale inetà di 58 anni, dopo la morte di Carlo II suo nipote, non regnò due anni, e morì nel 1497). • Pochi giorni dopo Carlo VIII fu a Casale con la vedova marchesana di Monferrato, donna giovane e valorosa. Costei similmente accommodò al re le sue gioie , che pure furono impegnate per altri dodici mila. Da qui potete vedere che bel principio di guerra fu quello, se Iddio non havesse guidato cotanta mole. Stette il re alquanti giorni in Aste, e perchè quell'anno tutti i vini italiani erano fieramente bruschi , et i caldi grandi, la gente nostra sentiva dell'una cosa e dell'altra gran di saggio. Venne a visitarlo il signor Ludovico horrevolmente accompa gnato, quivi fermatosi due giorni, si ritirò aNom, castellodel ducato di 14 210 Milano discosto tre miglia daAste, dove il conseglio andava ogni dì a ritrovarlo . Dopo queste notizie, il Comines passa a discorrere delle sconfitte che l'armata d'Alfonso, si terrestre che navale, ebbe a toccare dai Francesi, e loro confederati Italiani, edell'ondeggiante politica travagliosa de' Fio rentini , tra pel partito degli Aragonesi e per quello de' Francesi, appi gliandosi da ultimo aquesto, ecacciando di Firenze laMediceafamiglia. Indi prosegue nel capo VI a raccontare i prosperi successi delle armi francesi nell'Italia , e la ferma risoluzione di Carlo VIII di marciare su Napoli ad istigazione di Ludovico, così scrivendo : . Il nostro essercito era nella Romagna, e tutto che ei fusse più debole, nondimeno faceva di bellissime fattioni, sì che D. Ferdinandoduca diCalabria cominciò apoco apoco a ritirarsi, la qual cosa mosse il re a passare oltra sollecitato dal signor Ludovico e dagli altri sopranominati; il quale Ludovico in arri vando disse al re: Sire, non temete di questa impresa. In Italia ci sono tre potentati che noi stimiamo grandi; voi ne havete l'uno che è a Mi lano : l'altro si sta neutrale, cioè i Venetiani; onde non havele a contra stare se non co'l regno di Napoli; ma ricordatevi, che molti dei nostri predecessori hanno rapportate bellissime vittorie da tutti tre insieme , non che da unosolo. Se voi mi prestate fede, aiuterovi afarvi maggiore, che non fu mai Carlo Magno; perchè tosto che haverete in poter vostro il regno di Napoli , cacciaremo il Turco fuori dell'imperio di Costanti nopoli. Et diceva il vero, pur chedal nostro lato fussero state fatte tutte le cose ben ordinate. •Ora il re si lasciò in tutto governare dai consegli del signor Ludo vico: di che alcuni dei nostri ne hebbero invidia, e sopra tutti il gene rale Brissonetto, per compiacerne a monsignor d'Orleans, il qualepreten deva nel ducato di Milano; ma nel vero , non si poteva a meno di esso signor Ludovico. Esso generale, insuperbito fuor di modo, era già ve nuto in qualche emulazione co 'l senescial suo compagno, eparevagli di poter dire ogni cosa. Queste mormorationi pervenute a notizia delsignor Ludovico, ne fece qualche motto al re, et all'istesso generale, perchè si rimanesse; ma costui faceva peggio, dicendo apertamente ch'esso Ludo vico ci ingannerebbe tutti ; come che meglio fatto haverebbe a tacersi. Perocchè essendo ignorante delle cose di Stato, egli non ne venne mai in alcun credito, oltre all' essere leggerissimo nelle parole; ma tuttavia buonoet affettionato ministro del suo re. •Fu deliberato di mandare ambasciatori a Venetia, dei quali io ne fui l'uno..... Il re si amalò di varole con pericolo di morte, essendogli sopra venuta la febre, la quale nondimeno fra sei o sette di cesso in tutto. Io mi posi in viaggio lasciando il re in Aste, e quanto a me non credetti già ch'egli dovesse passare inanzi..... Ma nostro Signore Iddio altramente ordinato ne haveva. Andossene a Pavia, ma essendo passato per Casale s'abbocò con la marchesa , donna gentilissima et amica nostra, ma ne mica mortale del signor Ludovico, et egli di lei. Dopo che il re fu gionto aPavia, cominciossi qualche poco a sospettare, perciò che gli si voleva -- 211 dare alloggiamento nella città, e non nel castello, et egli pur vi volle albergare. Quella notte furono rinforzate le guardie, et alcuni cheerano con la personadel re mi dissero poi che vi era pericolo: di che mara vigliandosi il signor Ludovico, ne parlò al re, dimandandogli se temeva di lui. Basta, che si stette quella notte con molta sospensione di animi d'amendue le parti; benchè noi parlassimo più liberamente, che non fa cevano gl'Italiani : non già il re, ma quei ch'erano suoi stretti parenti. • In quel castello di Pavia vi era Giovan Galeazzo duca di Milano, e la sua moglie, figliuola del re Alfonso, molto afflitta e dolorosa. Per ciocchè il marito stava qui non solo amalato, ma come prigioniero. V'e rano ancor due figliuoli, uno maschio, di età intorno ai cinque anni, et una femina. Niuno vide ilduca, ma sìbene il figliuolo di esso. Io passai di là tre giorni avanti del re, e benchè io procurassi di veder il duca, nonmi venne fatto, dicendosi ch'egli giaceva aletto gravemente infermo. Nulladimeno il re lo vide e gli favello, perciocchè egli era suo cugino germano; il qual re narrò, che le parole che seguirono fra loro, furono generali, non volendo esso re far dispiacere in cosa veruna a Ludovico. Mi disse bene, che volentieri lo havrebbe avvertito di molti particolari. In quello che ragionavano insieme, la duchessa in presenza di Ludovico si gittò a' piedi del re supplicandolo ad havere pietà del padre e del fra tello. Risposele, che ciò non si poteva fare. Haveva questa signora mag gior bisogno di pregare per lo marito, e per se medesima, la quale era ancora bella e giovane. • Partitosi il re da Pavia, gionse in Piacenza, dove Ludovico havuto novelle, che il duca di Milano suo nipote si moriva prese commiato per andarvi. Pregollo il re, che tornasse tosto, et egli così gli promise. Ma prima che giugnesse a Pavia morì il duca, et Ludovico volando andò a Milano. Io lo seppi per le lettere dell'ambasciatore venetiano, che era con esso lui, il quale lo scriveva alla sua repubblica; avisandola che egli si voleva farduca; cosasommamente odiosa a quella signoria, laquale mi dimandò se il re prenderia laprotezione del fanciullo: etavenga che ciò fusse molto ragionevole, io il posi iu dubbio, atteso il bisogno che il re haveva del signor Ludovico. •In breve, egli si fece ricevere per signore: e questo fu il fine (come molti dicevano) per lo quale ci haveva fatti passare i monti: imputan dolo della morte del nipote i parenti et amici del quale si erano messi in arme e venuti in Romagna(come io dissi), per torre il governo a Lu dovico, et agevolmente saria loro succeduto, se il re non fosse stato in Italia. Ma avendo egli incontra il conte di Caiazzo con gl'Italiani, e mon signor d'Aubigni con ducento huomini d'arme francesi et un numero di svizzeri, don Ferdinando fu costretto a ritirarsi verso Forlì, di che era signora una bastarda degli Sforza di Milano, vedova delconte Gerolamo, che fu nipote di Papa Sisto IV. Dicevasi costei essere amica d'Aragonesi, ma havendole i nostri preso d'assalto una sua picciola terra, battuta so lamente due giorni, essa signora si accosto volentieri a noi, mostrandoci grande inclinazione. Cominciarono allhora i popoli d'Italia, desiderosi di -- 212 novità, a prender animo, vedendo cosa non più veduta alor tempi, e questo era il condurre et maneggiare con tanta facilità grandissimo nu mero d'artiglieria, il cui essercito non era mai per l'addietro stato così ben inteso nella Francia come allhora; Ferdinando avvicinandosi al regno si ridusse a Sezena, buona città della Chiesa, nella marcad'Ancona; ma havendo questasua ritirata più sembiante difuga, che di altro, ciascuno dovunque trovava in disparte i somieri e le bagaglie , senza alcun ri spetto le saccheggiavano. Nè vi ha dubbio che si sarebbono quasi tutti ribellati, se i nostri, lasciando le rubberie e le violenze, si fusseroportati moderatamente e con buon ordine , ma facevano tutto in contrario; di che io n'hebbi grandissimo dispiacere, perla gloriaet famache sipoteva acquistare in quel viaggio la natione francese. Conciossiachè dal prin cipio i popoli ci riverivano come al pari d'huomini santi, dandosi acre dere che in noi fusse ogni fede e bontà; ma cotal opinione non durò loro gran fatto, sì per nostra propria colpa, come anco perchè i nemici publicavano inogni contrada noi essere pessima generatione di gente, la quale da per tutto rubava le donne, i danari et i beni altrui. E nel vero non ci poteva essere attribuita maggior infamia, et dicevanoin parte la verità . Quanto bella candidezza in un francese scrittore ! Nel capo VII del medesimo libro il Comines ragiona solo come Pietro de' Medici mise nelle mani di Carlo VIII quattro delle principali fortezze de' Fiorentini, delle quali il re pose una, che fu Pisa, in libertà, con ram marico di Ludovico novello duca di Milano, il quale avrebbe voluto per sè questa città; quindi cominciò a mostrare un certo alienamento dal l'impresa di Carlo VIII, ed avrebbe ilduca diMilano, conchiude ilCo › mines, volentieri veduto , che il re fusse uscito d'Italia, dissegnando › tuttavia di cavargli di mano alcuna delle sopranominate fortezze, e fra • le altre gli dimando Serezzana, Pietrasanta, come appartenenti ageno • vesi. Prestò al re sopra tale speranza trenta mila ducati; et dissemi, et •ad altri ancora, che gli furono promesse; onde maravigliosamentemal •contento, per non esserle state date, sotto pretesto d'essere richiamato • aMilano per sue bisogna, si parti dal re, il quale mai più egli non • vide per l'avvenire: lasciando incorte ilsignor Galeazzo San Severino, • con intentione ch'egli dovesse intervenire co 'l conte Carlo di Belgio •ioso a tutti i consegli, e tenesserne indettato esso Ludovico . In tutto questo capo come anche nel seguente, neppure una parola del Papa il Comines dice, sempre lasciando tutto l'aggravio della discesadi Carlo VIII alle ambiziose mire d'esso Ludovico. Nel capo ix, dappoichè ebbe descritto l'ingresso di Carlo VIII in Fi renze, e 'l transito suo per diverse città, conchiude dicendo: ⚫passò il re aViterbo, doveinemici (essendosi don Ferdinando ritirato verso Roma) havevano intentione d'alloggiare et fortificarsi, et con buona occasione di combattere, come mi disse l'ambasciatore del re Alfonso et il nuntio del Papa, ch'erano a Venetia: et in vero io aspettava che esso Alfonso, lasciato il figliuolo nel regno, dovesse andarvi in persona, essendo ripu tato huomo valoroso e di grand'animo; parendomi quella città luogo -- 213 molto opportuno et avantaggiato per lui. Perciocchè egli havrebbe havuto alle spalle il suo regno, lo Stato della Chiesa amico et quello degli Or sini ; onde restai stupefatto quando il re mi scrisse ch'egli era in Viterbo, dove un commendatore gli diede subito la fortezza; et tutto ciò avenne per mezo et industria del cardinal di San Pietro ad Vincula, il quale ne haveva il governo insieme con i Colonnesi. Estimai ben allhora, che Id dio volesse imporre buon fine alle cose del re, et pentimmi d'havergli scritto et consigliato, che egli accettando alcuno de' migliori partiti che gli erano offerti, si accordasse. Aquapendente, et Montefiascone, et tutte le terre all'intorno gli s'arrenderono avanti che Viterbo, come io fui av vertito per lettere del re e da quelle de' signori Venetiani, che di di in di sapevano da' suoi ambasciatori tutto quello che si faceva; le quali lettere, o mi erano da essi mostrate, o me lo mandavano adire per uno de' loro segretari. •Il re andò poi a Roma passando per le terre degli Orsini, che tutte gli furono date in potere dal signor Carlo Orsino per ordine, come di ceva, di suo padre, il quale essendo a soldo del re Alfonso si lasciava intendere che servirebbe Ferdinando, tanto solamente ch'egli, o si riti rasse o stesse nello Statodella Chiesa, e non più. Così vivono in Italia i signori, et i capitani, havendo sempre pratiche et intelligenze co'ne mici, e paura grandissima di essere i più deboli. Fu poi esso re accet tato in Bracciano, castello principale del signor Virginio Orsino, bello et forte, e ben guernito di vettovaglie; et io ho inteso dal re medesimo lodare sommamente quel luogo, e le accoglienze che gli furono fatte; conciossiachè il suo essercito fusse ridotto in così estrema necessità di viveri, che più oltre non poteva sostenere la fame. E chiunque consi derasse quante volte quell' essercito, da che arrivò aVienna in Delfinato, fu vicino a dissolversi, et come, et da che parte sirifaceva, sarà sforzato aconfessare, che Iddio specialmente ne fusse egli il condottiero e con servatore . Quindi nel capo x trapassa il Comines a narrare come Carlo VIII si disponesse a marciare su di Roma, e come vi entrasse, così dicendo : •Mandò il re da Bracciano il cardinal di San Pietro ad Vincula in Ostia, dove egli era vescovo, cittàdi grande importanza, occupata allhoradai Colonnesi, la quale poco innanzi le genti del Papa havevano tolta ad esso cardinale. La fortezza era debolissima, ma dappoi che il cardinale vi fu, ella teneva Roma in molta soggettione, il quale era amico gran dissimo de' Colonnesi, e questi erano dei nostri, per lo mezo del cardi nale Ascanio fratello del duca di Milano et vice-cancelliero. •Gli Orsini et Colonnesi, principalissime famiglie romane, et capi de fattioni contrarie, stanno in continue gare, di che le terre della Chiesa sono fieramente travagliate..... ( noti il leggitore) e se ciò non fusse , lo Stato del Papa saria per li sudditi la più felice habitatione di tutto ii mondo; perciocchèessi non pagano ordinariamente taglie, nè son sotto posti a molte altre gravezze; oltraché, essendo per lo più i sommi Pon tefici persone prudenti e ben consigliate, ilgoverno loro non può essere -- 214 se nonottimo e desiderabile.Madalle sudette partialità nascono sovente crudelissime uccisioni e rubberie , come da quattro anni in qua chiara mente si è veduto. •Ora i Colonnesi ci diventaronodapoicontrari, con molto lorbiasimo et ingratitudine ; perciocchè havevano per gratia del re, più di ventimila ducati d'entrata nel regno di Napoli in belle signorie, come del contado di Tagliacozzo et altre, le quali furono dianzi degli Orsini, e quante al tre cose seppero dimandare al re di Francia tutte loro furonoconcedute, tanto in condotta di gente da guerra, quanto inpensione. Nè vi hadub bio alcuno che si passarono da veri disleali, senza alcuna occasione ; come quelli che per ogni tempo erano stati partigiani della casad'Ara gona e degli altri nemici di Francia, essendo eglino Ghibellini, dove gli Orsini sono Guelfi et amici alla Francia, come sono anco i Fiorentini. •Co 'l cardinal San Pietro ad Vincula fu mandato in Ostia Perone delle Baschie, maestro di casa del re, il quale tre giorni avanti venuto per mare e sceso a Piombino, gli recò venti mila ducati presi in pre stanza dal duca di Milano: nell'armata di mare, ch'era molto piccola, restò il prencipe di Salerno, et uno chiamato il signor di Sernondi Pro venza, la quale armata essendo corsa tutta conquassata per tristi tem porali in Corsica, stette tantoa racconciarsi, che fu inutile a quellaimpresa. havendo trovato il re dentro di Napoli. •Erano in Ostia co 'l cardinale intorno a cinquecento homini d'arme e due mila Svizzeri, il conte di Lignì (cugino germano, da cantodi ma dre, del re), il signor de Allegre et altri, con dissegno di passare il Te vere per rinchiudere in Roma Ferdinando, che l favore et aiuto dei Co lonnesi, dei quali erano capi allhora Prospero, et Fabritio, etilcardinale Colonna, a' quali il re per mano di sudettoBaschie, pagò due mila fanti, ch'essi medesimi havevano fatti e ragunati a Sannesone terra loro. • Ma perchè cadono varie cose in proposito dellapresente materia, mi abbisogna perciò di ciascuna di esse alquanto favellare. Inanzi che il re havesse Viterbo, mandò a Roma il signor della Trimoglia, suogran ca meriero, il presidente di Guennai, il qual teneva il suo sigillo, et il ge nerale Bidaut, per trattare col Papa, il quale haveva sempre, come si costuma in Italia trattenute vive con esso seco alcune pratiche. •Essendo adunque costoro in Roma, il Papa v'introdusse di notteFer dinando con tutta la sua gente, etalcuni dei nostri furono arrestati. Quel dì medesimo furonli mandati dal re, licenziati dal Papa, ritenendo pris gioniero il cardinal Ascanio fratello del duca di Milano, etProspero Co lonna (dicesi di lor consentimento), et di tutte queste facende io n'hebbi subito lettere dal re; come anco più partitamente la signoriadi Venetia da loro ambasciatori ; et tutto ciò segui prima che il re entrasse in Vi terbo, perciocchè egli in qualunque luogo si fusse, non si fermava più di due giorni, succedendogli tutte le cose meglio ch'egli non sapeva desiderare; ma che ? il Supremo padrone dei signori vi haveva lamano, et ciascuno manifestamente lo conosceva. • L'armata ch' era in Ostia non serviva di niente per rispetto deicat -- 215 tivi tempi, massimamente che lagentecondottada monsignor d'Aubigni se n'era ritornata addietro, et egli ancora, comeche non fosse più aquel carico : eransi parimenti licenziati et ben pagati cinquecento Italiani, che furono seco nella Romagna, venutivi sotto la condotta del signor Ridolfo di Mantova, e del signor Galeotto della Mirandola, e di Fracasso fratello del signor Galeazzo San Severino. Al partir da Viterbo andò il re aNepi, che teneva il signor Ascanio. Cosa niuna è più vera, diquella ch'io dirò, cioè che quando i nostri erano dentro ad Ostia, caderono a terra più di venti braccia di muro della città di Roma, in quella parte appunto dove si haveva ad entrare. Il Papa vedendo venire con tanta prestezza e buona fortuna quel giovanetto re, consenti ch'egli entrasse in Roma (nè volendo, havrebbe potuto impedirlo), dimandandogli salvo condotto per Ferdinando ducadi Calabria, et unico figliuolo al re Alfonso, e concessegliele volentieri il re. Onde esso duca, accompagnato del car dinale Ascanio insino alla porta, si ridusse a Napoli. Et il re entrò ar mato in Roma, come padrone et arbitro di tutte le cose. Fu incoronato da parecchi cardinali et da' senatori romani, alloggio nel palazzo di San Marco, posto nel quartiero de' Colonnesi (allhora suoi amici et servitori), et il Papa si ritirò nel castello di Sant'Angelo , . Dopo ciò il Comines, nel capo ix, riporta che il re Alfonso, fatto co ronare il suddetto Ferdinando suo figliuolo, si fuggì in Sicilia, e vi di scorre della malvagia vita menata da Ferdinando il vecchio suo padre, edi lui ancora, i quali per punizione terribile di Dio vennero privati del regno, e della vita in mezzo ad amaritudini cocentissime. Cosìesor disce: Si saria egli potuto credere giammai, che il reAlfonso, huomo altiero e nodrito nelle guerre, insieme co l figliuolo, e con tutti gli Or sini, che hanno tanta parte in Roma, non havessero havuto ardimento di rimanere in quella città, massimamente in tempo che sapevano molto bene il duca di Milano, et Venetiani starsi perplessi et irresoluti, trat tandosi tuttavia una lega la quale senza fallo (come io ben sapeva) sa rebbesi conchiusa, se si fusse fatta qualche poca resistenza a Viterbo o aRoma, per ritenere pochissimi giorni solamente il corso et impeto del re?Era veramente necessario, che mostrasse Iddio, che tutti quelli suc cessi et attioni, trascendevano il sapere et intendimento de' mortali. Cosa notabile è, che si come il muro della città poco inanzi era caduto, così venne giù a terra da quindici braccia dell' antemuro del castello San t'Angelo, come mi riferirono molte persone, e fra gli altri due cardinali che v'erano dentro..... Accordo di Papa Alessandro VI con Carlo VIII. Nel capitolo XII, appena ebbe il Comines in brevi detti renduti conti i preparativi di Ferdinando II, novello re di Napoli, perdifendere questa città dall'invasione francese, che ritorna sul fatto di Roma: Re Carlo era ancora in Roma, dove soggiorno intorno a venti giorni, trattandosi continuamente molte cose. Erano seco da diciotto cardinali et alcunial -- 216 tri andavano et venivano da diverse bande. Eranvi monsignor Ascanio vice-cancelliero, et fratello del duca di Milano, et ilcardinale San Pietro ad Vincula (nemici capitali del Papa, ma amicissimi l'un dell'altro), il Carcense, San Dionisio, Santa Severina, Savello, Colonna et altri i quali volevano fare novella elezione d'un Pontefice, e che Alessandro fussepro essato, il quale s'era fuggito in castello S. Angelo. Per due volte, come m'hanno riferito alcuni gran personaggi, fu apparecchiata l'artiglieria per batterlo, ma per bontà del re si mancò. Quella fortezza non è da far difesa, perchè ell'è piccola, e tutta fatta di mano d'uomo. Io son bene d'opinione, che l'un e l'altro haverebbono volontieri consentito, che si fusse venuto a nuova creatione a piacimento del re, et forse ancora di farne un francese ; nè so se il re facesse bene o male; tuttaviasotto so pra fu bene ch'egli s'accordasse, essendo giovane, malaccompagnatoper condurre una si gran macchina, qual è di riformar la Chiesa. Le forze e lapotenza haveva egli bene, se ci fusse stato conseglio, e prudenza. Et pensomi, che tutte le persone di intendimento e di giudicio, havreb bono ciò riputata una singolarissima et santissima operatione. Maquesto è un gran misterio; ancorchè la volontà del ré vi fusse buona, come vi è ancora adesso, se fusse aiutato. • Il re fece un accordo co'l Papa, il quale non poteva durare; per ciocchè in certi capi gli era troppo violento: benchè fusse cagione di far una lega di cui si parlerà appresso. •Dicevasi per quel trattato, che si facesse pace fra il Papa e quelli cardinali che gli erano allhora nemici. Che tanto gli assenti come ipre senti fossero pagati del diritto de' loro capelli. Che il Papa imprestasse quattro piazze al re: Terracina, Civitavecchia, Viterbo (ch'era già inpo tere del re), e Spoleto (ma questa no l consegnò mai, tutto che l'avesse promesso). Le quali dovevansi restituire subito che il re si partisse da Napoli, come pur fece, benchè il Papa l'havesse già ingannato. Oltraciò diede al re il fratello del Turco, dal quale egli n'aveva ciascun anno sessanta mila ducati, per lo sospetto ch'esso Turco ne haveva. Promet tevadi non mettere nessun legato in luogo o città della Chiesa senza il consentimento del re. V'eran eziandio altri articoli spettanti al conci storo; per l'osservazione delle quali cose donogli per ostaggio il cardinal di Valenza suo figliuolo, il quale l'accompagnò comelegato. Fecegli poi esso re una figliale ubbidienza, con quanta humiliatione si sapesse fare qualunque re. Creò il Papa a sua richiesta due cardinali, cioè il Brisso netto , ch'era vescovo di San Malò, nominato spesso da noi, generale : l'altro fu il vescovo di Mans, della casa di Lucemburgo, il qualesi tro vava allhora in Francia . Prosegue , cit. lib. capo XIII : • Fornite tutte le sopradette cose , par tissi il re da Roma, amico assai nelle apparenze esteriori del Sommo Pon tefice. Si partirono ancora otto cardinali mal sodisfatti dell' accordo se guito , dei quali i sei erano a divozione del vice-cancelliero , e di San Pietro ad Vincula. Fu detto per alcuni, che ilcardinale Ascanio s'infin gesse mal contento; se ben nell'intrinsecoapprovavaciò che aveva fatto -217 il Papa. Egli è vero, che il ducasuo fratello non s'eraancoradichiarato contra noi (Francesi). Andò il re a Sannessone, e quindi a Veletri, d'onde il cardinale di Valenza si fuggì da lui... Indi seguita a descrivere il viaggio di Carlo verso Napoli , e la venuta di lui in questa città, dove ricevette l'incoronazione reale (capo xiv), e confessa gli errori, cuicom mise Carlo VIII nel volersi ritenere questo regno, il perchè per giusto giudizio di Dio venne poscia a perderlo. Continuiamo ad allegarne le sue parole: •Fu preso con batteria il castello dell' Uovo, che fu il compimento della gloria e delle vittorie di Carlo. Dal che si può chiaramente com prendere, che chi haveva recato a fine sì grancose, no l fece da sè, ma fu vera attione di Dio. Come in contrario i manifestissimi errori com messi dai nostri, erano pure attioni d'huomini avviluppati nelle tenebre di soverchio orgoglio, il quale non gli permetteva di saper discernere d'onde cotanti beni et honori procedessero, operando essi conforme alle nature loro et allasperienza. Per il che non fu maravigliase la fortuna si cangiò con tantaprestezza, et così visibilmente, come si vede il giorno in Ostlanda et in Norvegia , dove i giorni di state sono più lunghi che altrove, e tanto che quando mancano la sera, quasi nel medesimo mo mento, o poco appresso, come d'un quarto d'hora, si scorge di nuovo rinascere l'aurora del seguentegiorno; perciocchè ogni huomo prudente vide in brevissimo spatio mutarsi quella singolare e gloriosa sorte, della quale poteva ricevere tantecomodità ethonori tutta lacristianità ;quando fusse stata riconosciuta daColui, dal qualeveramente ella nasceva ; per ciocchè così agevolmente si saria potuto ruinar il Turco, come si fece il re Alfonso, non essendo lui huomo di alcun valore, oltra che Carlo VIII haveva nelle mani il fratello suo, temuto da lui sopra tutte le cose del mondo; benchèdopo la fugadel cardinale di Valenza, egli vivesse poco; e fucredutoche il Papa loconsignasse avelenato . Non sarebbe adunque vero, come pretendono alcuni scrittori, che premorto sia il principe mu sulmano Zisimo alla fugadel cardinale Cesare Borgia ! Ma teniamo dietro al Comines, il quale purga onninamente il Santo Padre d'aver rivelato al Sultano una congiura de'cristiani ordita contra di lui, che anzi ne dà egli il carico ai Veneziani. •Eranvi, egli continua, similmente infinite migliaradi christiani pronti a rivolgimento. Da Otranto alla Vallona vi sono da sessanta miglia, e quindi in Costantinopoli intorno adiciotto giornatedi mercatante(come mi hanno riferito coloro che sovente fanno il viaggio), senza che vi sia di mezzo alcuna fortezza, fuorchè due o tre, perchè le altre si veggono abbattute. Tutte quelle contrade sono Albanesi , abitate da Schiavoni e Greci, i quali havevano novelledei successidel re, perviadei loro amici che erano in Venetiaetin Puglia, et acui essi ancora scrivevanospesso, non aspettando se non d'essere chiamati alla ribellione. • Il re vi mandò un arcivescovo di Durazzo , albanese, il quale parlò agran numero di persone apparecchiate a prender l'arme , tutti i fi gliuoli e nipoti di molti signori, et huomini principali in quei paesi , 218 come adiredi Scanderberg, d'un figliuolo dell' imperatore di Costanti nopoli , et dei nipoti del signor Costantino (che di presente governa il Monferrato), cugini ancora del re di Servia. In Thessaglia si sariano sol levati più di cinque mila. Sarebbesi anco preso Scutari (il che io sapeva) per intelligenza , co'l mezzo di esso signor Costantino , il quale stette meco a Venetia molti giorni nascoso. A costui appartiene la Macedonia e la Thessaglia (patrimonio d'Alessandro il Grande) e la Vallona. Scu tari e Croia vi sono appresso, e non haveva guari che il suo padre l'ha veva impegnate a' Venetiani , i quali avendo perduto Croia, dietro poi Scutari, facendo pace al Turco. « Il signor Costantino v'ando vicino nove miglia, et eseguivasi l'im presa, se l'arcivescovo Durazzo non si fusse fermato alcuni giorni a Ve netia, bench'io lo stimolassi ogni dì a gir via, parendomi tuttavia nelle parole huomo leggiero, ch'egli era per farcosa, di cui si saria favellato. Hora per mala ventura, il giorno che i Venetiani intesero la morte del fratello del Turco (dato dal Papa in potere del re), deliberarono per un dei loro segretari darne notizia ad esso Turco, et perciò ordinarono che niun legno passasse la notte fra le due castella che guardano l'entrata del golfo di Venetia, facendovi fare buona guardia, non temendo salvo di qualche picciolo navicello, come sono iGreppi, dei quali ve n'ha molti nel porto d'Albania, e nelle loro isole di Grecia. • Usarono queste diligenze per essere i primieri adargli questabuona novella , per la quale egli havrebbe largamente premiato il portatore. Hora il buon arcivescovo, quell'istessa notte volle partire per accompa gnarsi co 'l signor Costantino, che l'aspettava; portò seco gran numero di spade, scudi e corsesche, per darle in mano di coloro, co'quali havevano intelligenza, perchè essi nonne hanno : ma in passando fra le duecastella, egli fu preso e posto nell'una di esse castella, così gli huomini che egli haveva seco, et il legno licentiato andò innanzi. Furongli trovate molte lettere , le quali scuoprivano il trattato e dissemi il signor Costantino, che i Venetiani mandarono nei luoghi vicini ad avvisare la gente del Turco , et il Turco medesimo, et se la navicella che passò oltra, della quale il padrone era albanese, non avvertiva Costantino, egli saria stato preso; ma si fugi subitamente per mare in Puglia » . Or noi non sappiamo come sianvi scrittori moderni, o di molto poste riori al tempo in cui succedettero questi avvenimenti, cotanto temerari da incolpare Alessandro VI di aver rilevato al Turco quella trama, quando il Comines che era stanziato a Venezia, e qual ambasciatore di Carlo VIII vegghiava attentamente su d'ogni cosa, ese ne mostravaben informato, né discolpa interamente il Pontefice , tuttochè egli avverso si manifesti ad esso sempre mai quando se glie ne porge il destro, come gl' inspi rava l'amore, se pure non vogliasi dire parzialità, versodel suo signore edella sua nazione: di maniera che, tranne d'essere appoggiati a do cumenti (il che è difficilissimo) di maggior peso, fa d'uopo prestargli credenza se non si vuole sragionare. Oltraciò si arroge , che l'edizione delle sue Memorie, della quale noi ci serviamo, fu stampata ed appro 219 vata con privilegio dei superiori, non in Roma, non aParigi, ma nell'i stessa sospettosissima Venezia l'anno 1640; e se la cosa narrata dal Co mines non fosse stata pubblica costa, ed affatto consentanea al vero , o non avrebbe unquemai quella oculatissima censura della repubblicaper messo siffatta pubblicazione , ovvero avrebbe soppresso cotali linee , od almeno appostavi una rettificazione. Inoltriamoci al capo xv, nel quale l'autore premette una digressione, ossia discorso, in qualche parte fuora della materia principale, e vi ra giona assai ampiamente dello stato e del governo dei Veneziani , e di quello ch'egli ne vide e seppe nel tempo durante il quale vi stette am basciatore per Carlo VIII. Noi, omettendo le narrative estranee al nostro scopo, trascegliamo puramente quelle che vi hanno relazione. •Egli è hora il tempo, scrive adunque, ch'io dica alcuna cosa de'Ve netiani, e la cagione perchè io vi fussi mandato ambasciatore residente, poscia che il re adesso è in Napoli vincitore e trionfante. Feci la mia partita d'Aste per ringratiarli della buona risposta, ch'essi havevano fatta ai due ambasciatori del re, e per conservarli, s'io poteva, suoi amici e benevolenti ; perciocchè attesa la loro potenza, il conseglio e buon go verno, soli in Italia potevano impedire il corso de'suoi fini e speranze.... Venne ricevuto il Comines in Venezia dal senato, edall'ambasciatore del duca di Milano con moltaonorificenza..... e vi stette otto mesi, spesato di tutte le cose, come altresì erano gli ambasciatori dei prencipi. Io co nobbi quei nobili tanto prudenti, et inclinati ad accrescere il dominio loro, che se non vi si provvede di buon'hora, tutti i loro vicini si trove ranno mal contenti. Nel tempo che il re si fermò in Italia, etda poi an cora seppero guardarsi meglio e difendersi, che s'abbiano fatto mai ; per ciocchè, non ostante che non siano ancora in guerra con esso lui, non dimeno hanno avuto ardire di allargarsi, prendendo nella Puglia sette o otto città in pegno (le quali io non so già quando lesi renderanno)... •Fabisogno adesso ch'io raconti qual carico fusse il mio appresso ai Venetiani. Io vi fui mandato dal re con l'occasione di ringratiarli della buona risposta, et parole date da loro a due suoi huomini spediti là nel tempo che egli volle passare in Italia: perciocchè dissero che, quanto a loro, poteva sicuramente far l'impresa: et ciò seguì prima ch'esso re si portasse dalla città d'Aste. Giunto che io fui a Venetia, et fatti i dovuti ringratiamenti, proposi anco loro l'antiche et lunghe confederationi, che erano state fra i re di Francia et essi; et offersi loroBrindisi, et la città d'Otranto, con questa conditione, che donandogli nella Grecia cose mi gliori , ce le restituissero. Mi risposero dolcissime parole del re et delle sue bisogne (non pensandosi però, ch'egli dovesse passare molto innanzi). In quanto all'offerta ch'io feci loro, mi fecero dire: esser amici et ser vitori del re, e perciò non volere ch'egli comperasse l'affetione loro (e nel vero il re non haveva ancora quelle terre in suo potere) et che non volevano entrar in guerra volontaria, benchè fussero appresso loro am basciatori del Re di Napoli, che di ciò fare li pregavano efficacemente, offerendo loro tutto quello, che sapessono dimandare: il quale Alfonso 220 confessava essersi mal diportato con essoloro, et insieme gli proponeva quanto dovessero temere l'arme del re, quando rimanesse superior nel regno di Napoli. Il Turco ancor esso mandò loro un ambasciatore (da me più volte veduto), il quale a richiesta del Papa, gli minacciava, se non si dichiaravano contra il re di Francia. Aciascuno facevano gratiose risposte, come da principio non temessero punto del fatto nostro; anzi pure se ne ridevano, tanto più che il duca di Milano faceva loro dire dal suo ambasciatore, che non si dessero pensiero di cosa alcuna, che ben sapeva la maniera di rimandar via il re, senza che egli occupasse luogo nessuno in Italia. Il medesimo mandò a far intendere a Pietro de'Me dici , dal quale io l'intesi » . I leggenti potranno di nuovo qui scorgere che il Comines rovescia tutta sul solo Ludovico signor di Milano laca gione per cui discese Carlo VIII in Italia: se il Papa v'avesse avuto parte, cotesto scrittore , a cui eran conte tutte le mene d'un tal negozio , non avrebbe risparmiato ad Alessandro VI un tal rimprovero. •Ma quando eglino et esso duca s'avidero che il re aveva nelle mani le fortezze dei Fiorentini , et spetialmente Pisa, cominciarono tardi ad aver paura, et a considerare, come potessero impedirgli il passar più oltre ; e mentre stavano sopra a consigli et deliberationi, il re vittorioso caminò innanzi. Temeva solamente il re di Spagna per conto delle isole di Sicilia e di Sardegna;et il Re dei Romani anch'egli ebbe non solo invidia alla sua felicità, ma gelosia e dubbio che il re non pretendesse alla corona imperiale; dicendo, che il Papan'era già stato richiesto (che non fu vero): per il che quei due re, mentre io viero, mandavanosopra ciò gravi ambascierie a Venetia. • Fu il primiero il re dei Romani, per essere men lontano. Erane capo il vescovo di Trento , accompagnato da due cavallieri , et un dottore , i quali furono molto honorati et riveriti, et data loro una magnifica casa nobilmente ornata, et dieci ducati il giorno per le spese, et proveduto a'cavalli loro restati a Trevisi. Venne poida assai tosto ungentilissimo cavalliero di Spagna con banda di gentilhuomini, anch'esso molto acca rezzato et spesato. Il duca di Milano, oltre all'ambasciatore suo residente vi mandò il vescovo di Como, emessereFrancesco Bernardino Visconte. Tutti costoro si raunavano di notte tempo, da principio isegretari loro, non osando per ancora pubblicamente scoprirsi , contra il re, massima mente il duca di Milano, et i Venetiani, i quali non eranoben chiari se la lega trattata fra loro si conchiuderia o no. • I Milanesi mi visitarono, e mi diedero lettera del padrone loro, di cendomi essere causata lavenuta loro, perchè i Venetiani havevano man dati due ambasciatori nella città di Milano , contra il costume solito di non tenervene se non uno, come fecero alla fine; ma tutto ciò era bu gia, inganno e malitia grande, essendo realmente accozzati insieme per far lega contro il buon re, come che tanti violoni non si potessero in breve spatio di tempo accordare. Mi dimandarono, s'iosapevaquello, che fosse venuto a trattare l'ambasciatore di Spagna, edel rede'Romani, af fine che ne potessero avvisare i prencipi loro. Hora io era giàstatoben -- 221-avvertito da molte bande, et anco da medesimi servitori degli ambascia tori. che quel di Spagna passò travestitoper Milano, etchegliAlemanni si lasciavano guidare dal duca. Sapevo etiandio, che a tutte l'hore l'am basciator di Napoli presentava pieghi di lettere, questo e quello. Tutte le sopradette bisogne seguirono prima il re si partisse da Fiorenza, delle quali per esserne partitamente informato lo spendeva e donava larga mente. Era giàvenuta amia notizia la sostanza di alcuni articoli della lega, già posti in carta, ma non accordati, essendo Venetiani molto cir cospetti e tardissimi a così fatte risoluzioni. •Io adunque conoscendo la lega doversi tosto fornire , non volli più oltre dissimulare, nè infingermi ignorante delle pratiche, che si facevano tutto il giorno; perciò risposi all'ambasciatore di Milano, che benchè essi usassero così fatti termini contra il re, io nondimeno gli farei toccare con manoche esso re per quanto era in lui, non voleva perdere l'ami ciziadel duca di Milano; offerendomi come suo ministro, di dargliene sodisfattione et discarico per conto delle cattive relationi, che potriano essere state fatte al duca suo signore, il quale io stimava essere mal informato; et che doveva andare molto considerato, prima che perdere la gratitudine e riconoscimento di un si segnalato servitio , come era quello , che egli haveva fatto al re. Dissigli i nostri re di Francia non essere stati giamai ingrati; non doversi per false parole raportate sciogliere, non che rompere, l'amore d'ambedue; atteso che cotanta con giuntione metteva tanto bene all'uno et l'altro. Pregailo, poichè gli pia cesse scoprirmi le loro lamentanze per farle note al re, avanti che con chiudessero alcuna cosa. Tutti mi affermavano con solenne giuramento, non havere pensato giamai a lega, nè ad altro contra il re: nulladimeno mentivano , non essendo ad altro fine venuti, che per trattare la sud dettalega. • Il giorno seguente io andai in signoria a parlardi questa lega; dissi quanto mi pareva che servisse al fatto mio, e fra le altre cose che nella confederatione ch'essi havevano co'l re, e già con Ludovico XI suo padre non potevano difendere, o protegere i nemici l'un dell'altro, let perciò essere impossibile di formare la lega che si trattava, senza contravenire alle promesse loro. Sopra ciò mi fecero ritirare in disparte; et poi essendo richiamato, mi disse il doge: che io non doveva dar credenza a tutto › ciò che si diceva per la città, dove ciascuno era in libertàdi favellare › asuo senno; non haver pensato mai di far lega contra il re, nè pur ▸ sentitone ragionare. Ma bene il contrario, di farne una fra il re , et ⚫ gli altri dui re sopranominati con tutti i potentati d'Italia contra il • Turco, nella quale ciascuno proportionatamente portarebbe il carico ⚫ della spesa; che se alcuno in Italia non volesse concorrere allo sborso, il re, et essi glieli costringeriano; et intorno a ciò intendevano che vi • fosse un articolo, il quale dicesse , ch'essi sborsassero una somma di › danari contanti al re, in pegno della quale terrebbono le città della › Puglia (come fanno adesso), et il regno di Napoli co 'l consentimento › del Papa, riconoscesse Carlo per superiore , con certa quantità di da -- , 222 nari l'anno; et che per maggior sua cautione sarebbono date tre for tezze del regno in suo potere, Piacesse a Dio, che il re vi havesse all'hora dato l'orecchio! • Risposi, ch'io da me non ardirei d'entrare in cotal trattato, paren dogli tuttavia a non affrettarsi di chiudere e stabilire la lega sudetta, avanti che io ne dessi notitia al re. Et fra tanto se credevano d'havere cagione da lamentarsi di lui, no 'l mi tacessero, come havevano fatto i Milanesi. Al che mi risposero : Dolersi ch'egli ritenesse le terre del Papa, ⚫ e più ancora quelle dei Fiorentini, et particolarmente Pisa; e tanto • maggiormente perchè avea scritto in molti luoghi, et a lor medesimi, ▸ ch'egli fuor del regno di Napoli, edi fare l'impresa contra il Turco, • non voleva altro in Italia; et hora mostrava di volervi occupare ciò • ch'egli poteva, senza pensare altrimenti alle cose di esso Turco. Sog • giungevano, che monsignor d'Orleans (che restò in Aste) dava di sè ▸ grandissimo sospetto alduca diMilano, et chei suoi ministrilominac , ▸ ciavano; nondimeno ch'essi non erano per innovare cosa alcuna, sin ch'io non havessi risposta dal re, o che il tempo d'haverla non fosse ▸ passato. Facendomi nell'apparenza maggiori honori, cheagli amba sciatori di Milano. Io ne scrissi subitamente alre, dalquale n'ebbi magra risposta. • Venetiani fra tanto, e gli altri, vedute scoperte le pratiche, si ragu navano ogni giorno, nel qual tempo il re era in Fiorenza; nè v'ha dubio alcuno, s'egli trovava resistenza in Viterbo, come pensavano, et era ve risimile, havrebbono Venetiani mandata gente a Roma. Il medesimo fa cevano se il re Ferdinando si fusse fermato dentro di essa Roma; per chè non credettero mai, ch'egli dovesse pazzamente abbandonarla, come pur fece, e quando lo intesero cominciarono ad haver paura. Gli amba sciatori delli dui re sudetti instavano forte perla conclusionedella lega, altrimenti dicevano di partirsi, essendo già stati per ciò quattro mesi in Venetia, et quasi ognidi comparuti in signoria. Fraquestomezzo iom'a doperava in contrario il meglio che potevo. • Vedendo Venetiani non solo abbandonato Viterbo et Roma, ma che l re era entrato vittorioso in Napoli, mi mandaronoa chiamare, e me ne diedero novella mostrandone grande allegrezza. Mi dissero, che ilcastello non era preso, il quale era fortissimo et fornito di tutte le cose; onde io m'accorgeva , ch'essi speravano che si dovesse tener lungamente. Con sentirono che l'ambasciatore diNapoli facesse soldati a Venetia per man dare a Brindisi. Hora essendo per conchiudere la lega contro il re, gli ambasciatori loro gli scrissero essersi arreso il castello: diche stupefatti e smarriti , mandarono per me una mattina. Io li trovai congregati in maggior numero del solito, cioè da cinquanta in sessanta nella camera del prencipe, aggravato all'hora da dolori colici, il quale con riso gio condo mi narrò li successi del re , come che niun altro di quella com. pagnia sapesse sì ben dissimulare come egli faceva. Gli uni sedevano sopra un calcapiede di banco con la testa appoggiata fra le mani ; gli altri in altre guise si stavano, tutti dimostranti grandissima tristezza nell'anima. १ 223 •Veramente io sono d'opinione, chequando vennero in Roma le nuove della giornata perduta a Canne contra Annibale, i senatori non rima nessero niente più storditi e spaventati; perciocchè un solo d'essi non mi guardò mai in faccia, nè fece motto, salvo il doge, et quasi anch'io attonito li riguardava con meraviglia. Il doge mi dimando se il re os servarebbe cio, che gli haveva lor premesso, et ch'io ancora loro dissi gli assicurai di sì, e proposi alcuna forma per stabilire una buona pace, offerendomi che il re l'accettarebbe, onde potriano uscir d'ogni sospetto et tema; dapoi io mi partì. •Lalega non era ancor fornita nè rotta; gli ambasciatori del re dei Romani, mal contenti si volevano partire. Ilduca di Milano si faceva tut tavia pregare di non so che articolo , pure egli ordinò ai suoi che pas sassero le conditioni, e così fu conchiuso. Fra tanto ch'ella si andava trattando, io continuamente avertiva il re di tutto , e facevagli istanza, o ch'egli si fermasse nel regno di Napoli, e provvedessesi di maggior numero di fanterie e di danari: o prima che icollegati fussero uniti in sieme, si mettesse in istrada per ritirarsi, lasciando le principali fortezze ben guardate. Avisai similmente monsignor d'Orleans, ch'era in Aste con le genti di sua casa solamente (perchè le sue bande erano ite co l re) , che mettesse soldati in quella città, certificandolo ch'egli saria il pri miero ad essere assalito dai nemici. Scrissi anche a monsignor di Bor bone (restando luogotenente per il re nella Francia), che mandasse con prestezza gente inAste per guardarla, perchè si perdeva, non potevano venir soccorsi in Francia al re. Persuasi alla marchesa di Monferrato, devotissima del nome francese, e nemica al duca di Milano , ad aiutare monsignor d'Orleans, in tutto ciò che ella poteva; perchè perduta Aste, i marchesati di Monferrato e di Saluzzo erano giti. •Una sera ben tardi si fermò la lega: la mattina seguente di buon ora più di costume, mi fece chiamare lasignoria.Arrivato che fui e se dutomi, il doge mi disse : che nel nome della santa Trinità havevano conchiusa una lega co l nostro santo padre il Papa, co l re de'Romani, e di Castiglia, et il duca di Milano, per tre fini: « primieramente per • difesa della christianità contra il Turco; secondo per quella d'Italia ; › terzo per la conservatione delli stati proprii, et ch'io ne dessi notitia › al re . Erano in quellaassemblea in numero di cento e più, e mostra vansi tutti gonfi et alteri, molto dissimili da quella contenenza che fa cevano il giorno che mi avisarono della presa del castello diNapoli. Mi dissero ancora di aver scritto agli ambasciatori loro che erano appresso il re, che preso comiato da lui, si ritornassero a casa, de i quali uno si nominavamessere Dominico Loredano, l'altro messere Dominico Treivisano. • Io sentii gran passione di cuore, temendo fortemente della persona del re, et di tutti coloro che erano in sua compagnia, credendomi le cose della lega essere più pronte ed apparecchiate che non erano. Il medesimo si pensavano i Venetiani, perciochè io credetti , c'havessero de Tedeschi presti e in ordine, che se ciò fusse stato , non usciva mai il re d'Italia. Io mi deliberai in quel mio affanno di mente di non rispon 224 dere molte parole, se bene me ne diedero larga occasione; dissi dunque che infino della sera precedente io haveva scritto d'essa tregua conchiusa al mio re; et molte volte prima, et ch'egli ancora lo mi haveva scritto, come quello che n'era avisato da Roma et da Milano. • Subito ch'io dissi d'haverne avisato il re la sera inanzi, tutti mi fe cero un viso fiero, perciochè non v'ha natione al mondo tanto sospet tosa, ne che tenga i consegli si segreti come fanno essi, e talvolta per conto d'una semplice sospettione confinano delle persone. Et a questo fine io glielo dissi volontieri, soggiunsi poi d'haver anco spedito a mon signor d'Orleans, et a monsignor Borbone, che fornissero bene Aste : et ciò feci io sperando, che non si tosto vi anderiano per espugnarla, per chè se avessero havute delle genti pronte senza alcun rimedio la pren devano, essendo sproveduta di tutte le cose, et stettevi così lungo tempo appresso. Dissemi all'hora, che non c'era nulla contra il re, che tutto si faceva per guardarsi da lui ; ma però non poter sofferire, ch'egli sotto colore di non voler altro che il regno di Napoli, e di far guerra contro l Turco, pascesse vanamente il mondo di parole contrarie a' fatti , ha vendo lui in animo (per quanto si poteva vedere) di distruggere il duca di Milano e Fiorentini, et ritenersi le terre della Chiesa. • Risposi di nuovo : i re di Francia haver sempre aumentatalaChiesa, accresciutala e difesa, essere al presente per far più tosto il medesimo, che torle cosa veruna. Non esser questo lo stimolo, che glipungeva, ma sì bene il desiderio di conturbare l'Italia, e quindi cavarne l'utile e co modo loro, et ch'io credeva che gli riuscirebbe. Questo s'hebbero eglino alquanto per male, come mi fu riferito, ma per quanto si vededa quello che hanno nella Puglia in pegno da Ferdinando perdargli aiuto contra noi, io dissi pur troppo il vero. Essendomi dirizzato in piede per andar via, di nuovo mi fecero sedere, e dimandommi il doge se io volevapro porre qualche partito per fare una pace? atteso che il giorno avanti gliene haveva fatto qualche motto ; ma io dissi d'aver ciò detto, perchè indugiasseao ancora quindici di a conchiuder la tregua, e fratanto io ne potessi scrivere al re, et haverne risposta : non replicai altro. Dopo que sto mi ritirai al mio alloggiamento; la signoria mandò poi a chiamar tutti gli ambasciatori l'un appresso l'altro. Nell' uscir di senato m' in contrai con quello di Napoli, il quale haveva indosso una bellissima ve ste nuova, molto allegro e baldanzoso, e veramente ne haveva ragione, essendo grandi et ottime novelle per lui. •Dopo desinar tutti gli ambasciatori della lega si trovarono insieme in gondole (questo è lo spasso ordinario di Venetia), le quali erano d'in torno a quaranta, e ciascuna haveva banderole con l'arme de'loro pren cipi. Io gli vidi passare sotto le mie finestre con musiche e suoni. I Mi lanesi, almeno uno di essi, che più volte mi aveva accompagnato, fece vista di non conoscermi più. Io stetti con tutta lamia famiglia tre giorni senza uscir di casa; è vero, che nè a me, nèad alcunode'miei fudetta mai per la città una sola mal gratiosa parola. La sera fecero maravi gliosa festa di fuochi sopra i campanili et case degliambasciatori, spa 225 rando gran numero d'artiglieria. Andai io circa le due hore di notte sopra una gondola coperta, lungo le rive , e spetialmente inanzi le case degli ambasciatori , dove si fecero quella sera splendidissima cena et solazzi. •Quel dì non seguì già la publicatione della tregua, nè lagran festa, perchè il Papa haveva richiesto che si aspettassero ancoraalcuni giorni per farla con maggior solennità nella domenica delle Palme, o siaolive, et perciò egli ordino che i prencipi, nel dominio dei quali ella saria gri data, et gli ambasciatori degli altri potentati, portassero un ramo d'olivo in mano(come segno di pace et di confederatione) e che nel medesimo giorno fusse publicato in Ispagna et Alemagna. A Venetia fu fatta una strada di legno, levata alquanto da terra, come sogliono far il giorno del Corpus Domini, coperta e fasciata tutta: la quale cominciando dal palazzo giungeva sin all'estremo della piazza di S. Marco. Fornita la messa, cantata dal nuntio del Papa (il quale diede a chiunque fu pre sente assolutione di pena e di colpa), andarono la signoria et gli amba sciatori in processione nella sopradetta strada riccamente vestiti, havendo alcuni di essi ambasciatori molte robbe di veluto cremisino donategli dalla signoria, almeno gli Alemanni, et tutti i servitori vesti di nuovo. Al ritorno della processione mostrarono molti ritratti e misteri: primie ramente l'Italia, dapoi tutti i suoi re e prencipi, et la regina di Spagna. • Publicossi appresso sopra una pietra di porfido (posta a cotal effetto) la lega, presente un ambasciatore del Turco, ma nascoso a una finestra, il quale essendo già spedito, vollero nondimeno che vedesse quelle so lennità. Costui la notte co 'l mezo d'un greco vennemi a parlare et i stette da quattro hore nella mia stanza, mostrando gran desiderio che il suo signore fusse nostro amico. Io fui invitato per due volte a tutte le feste ; ma mi scusai sempre, ancorchè io mi fermassi ancora nella città un mese, così ben trattato et honorato come avanti. Dapoi per or dine del re mi parti , accompagnato per mia sicurezza. e d'ordine della signoria, et a spese sue, infino a Ferrara. Il duca mi venne ad incon trare, e per due giorni mi regalo. Altrettanto fecemi inBologna messer Giovanni Bentivoglio, dove mandarono iFiorentini buona compagnia per condurmi a Fiorenza, nella quale città io voleva aspettare il re, di cui io hora ritornerò a favellare . In queste parole il Comines dà fine al capo xv edal libro vII delle sue Memorie , senza rivelare unquemai nè animosità in Alessandro VI, nè colpa in esso di sorta alcuna: il che egli non avrebbe certamente oc cultato, sì per lo zelo e fedeltà cui nutriva al suo sovrano Carlo VIII , onde difenderlo, sì per dovere di storico imparziale di narrare in sua piena verità le cose da lui conosciute od avvenute sotto degli occhi suoi: laude che non si può negare in modo niuno alComines che avuto avea parte principalissima in tutta l'impresa di Carlo VIII in questa Pe nisola. Arreca stupore come scrittori non contemporanei , o, se isicroni, stanziati ben lungi dagli avvenimenti di questa guerra, abbiano osato 45 226 arrogarsi il diritto di trarre in inganno i posteri colle loro istorie fal laci, bugiarde.- Riepiloghiamo. Dunque dal Comines appare falso che Alessandro VI abbia chiamato Carlo VIII in Italia; falso che vi chiamasse i Turchi per iscacciarnelo ; falso che abbia avvisato il gran Sultano della congiura dai cristiani tra mata a danno di lui negli Stati suoi, epperciò vi abbia cagionato im mane carnificina; falso ch'egli spacci positivamente essere stato Zizimo avvelenato dal Papa, che anzi soggiugne essere solo una diceria. Nè mostra minor lealtà l'Argentone nel libro VIII ed ultimo di queste sue Memorie, come dall'accurata rivista che ne facciamo si rende noto. Nel capo i d'esso libro parla della partenza di Carlo VIII da Napoli per la Francia, imputando all'incondotta, immoralità e rapacità di lui e de'suoi, la perdita di quel regno. Nel capo II discorre del viaggio d'esso re di Francia, che prese la strada verso Roma, d'onde il Papa haveva da principio deliberato di partirsi , et andarsi a Padova in potere dei Venetiani, dove giàgli havevano apparecchiato alloggiamento: ma can giatisi d'opinione, gli mandarono alcune bande di soldati , come anco fece il duca di Milano: benchè il re non gli havrebbe fatto se non ho nore et servitio, havendogli prima mandato ambasciatore, pregandolo che l'aspettasse. Ma egli si ritirò in Orvieto e quindi in Perugia , ha vendo lasciati i cardinali a Roma per riceverlo, come che non vi si ar restasse punto , nè facesse dispiacere a niuno....... Quindi al cаро ш scrive che proseguì il re sua marcia, ritenendo la cittàdi Pisa ed altri luoghi dei Fiorentini , mentre monsignor d'Orleans entrò in Novara nello stato di Milano . Al capo iv discorre come passò il re Carlo molti pericolosi passi fra Pisa e Sarzana , e venisse a Pontremoli abbracciato da'suoi Tedeschi, e quello che operasse il duca d'Orleans a Novara. Nel quinto capo dice, che la grossa artiglieria del re con l'aiuto dei Tede schi passò i monti Apennini , e giunse Carlo VIII a Fornovo, dove si fece quella famosa giornata, nella quale (capo vi) i Francesi perdettero i bagagli tutti quanti, e non ebbero di salvo fuorchè l'onore; dopo que sto fatto d'arme sanguinosissimo, nel quale il conte di Pitigliano , fug gito dalle prigioni del re, corse frammezzo agl'Italiani animandogli alla vittoria, contribui assaissimo al loro felice esito; il re riparò il settimo dì dopo la battaglia a Nizza della Paglia, poscia ad Alessandria, da ul timo in Asti sano e salvo, dove intese la distretta del ducad'Orleans in Novara. Il re, d'Asti venuto in Torino , allestisce invano un'armata di mare per soccorrere Napoli ( capo VIII ) e vi passa molte pratiche col duca di Milano, maneggiate in grande parte dalla duchessa di Savoia , avuta per eccellente negoziatrice. Ma rafforzandosi i nemici, nè con chiudendosi accordo (capo ix) alcuno onorevole per sè, fu Carlo VIII consigliato di ritirarsi a Vercelli per avvisare al modo di salvare il duca d'Orleans e la sua gente angustiati in Novara , fino a morirne ogni dì per fame. Da ultimo fu conchiusa una tregua, la quale undi dopo l'al tro durò fino alla conclusione della pace per cui monsignor d'Orleans et i suoi furono liberati (capo x) dalla calamità di Novara , dove tra la 227 fame et infermità morirono più di due mila huomini , senza annoverare quei 300 e più che morirono tosto dopo usciti di Novara per le patite miserie; gli altri tanto estenuati e magri , che più a' morti che ai vivi somigliavano, perchè tardi giunsero le bande svizzere assoldate per conto di Carlo VIII ». Nel capo XI dice come la pace fu stipulata fra il re et il duca d'Orleans da una parte, et i nemici dall'altra, della condi tione, ed articoli contenuti in essa, ai quali l'infedele duca di Milano venne mancare gravemente . Al capo XII ragiona il d'Argentone della sua nuova missione a Venezia per conto delle condizioni della pace , che per mezzo del doge ritornò ad offrirgli , le quali non furono accettate dalla repubblica: che re Ferdinando di consentimento del Papa, faria homaggio del regno di Napoli al nostro re, et pagherebbe di censo ogni anno cinquanta mila ducati; una parte di contanti , la quale essi gli darebbono in prestanza (havevano per inteso con tale prestito , di rite nersi le terre di Puglia ch'erano in poter loro, come Brindisi, Otranto , Troni et altri). Oltra di questo, ch'esso Ferdinando lascerebbe al re per maggior cautione qualche città in quei contorni della Puglia: inten deano Taranto, che pur era in mano del re, et una o due altre offeri vanle in quelle parti, perchè rimanevano più lontane da noi, se ben co privano ciò sotto colore d'esser poste in luoco opportuno per servirsene noi contra il Turco, le quali quando il re scese in Italiaconvoce di fare l'impresa contro esso Turco haveva ricercate, come più commode e più vicine. La qual'inventione e pretesto del re fu veramente pessimo, non essendo vero, et sapevalo Iddio, cui non possono essere celati i pensieri degli uomini . Pongano di grazia attenzione i leggenti a queste solenni parole dello scrittore francese ; poichè abbondano gliautori, che per vo glia insana di mordere Alessandro VI d'essere stato avverso a Carlo VIII, imperversano a spacciare avere il Papa incagliato il divisamento di questo re, che era d'abbattere per siffatta via il Turco: quando Filippo di Comines, sottilissimo disaminatore e conoscitore intimo d' ogni regia intenzione, confessa apertamente il contrario. Proseguiamo. •Similmente esso doge mi disse et m'assicuro , che se l re facesse quella impresa, tutta Italia concorrerebbe alle spese et aiuti ; che il re de' Romani dal suo lato gli faria guerra, che essi et il re nostro dispo rebbono di tutta Italia, alle cui ordinationi niuno osarebbe di contradire et che in lor parte, et a spese loro servirebbono il re con cento galee et cinquemila cavalli per terra. , Il Comines raccontò ogni cosa al re , e lo stimolo in Lione, dove il raggiunse, ad abbracciare questo utile partito; ma egli dissuaso da'suoi consiglieri , non ne fece niuna stima , standogli più a cuore ipiaceri, i diletti , che non il mantenimento della conquista d' Italia, la quale per le fraudi, gli artificii e gl'inganni del duca di Milano peggiorava di giorno in giorno. Nel capo XIII favella del ritorno in Francia, dove pose in oblio quei che restarono a Napoli; della mortedi monsignor Delfino, con gravis simo rammarico del re e della regina. Nel capo xiv , del rovesciamento 228 di tutte le cose d'Italia. In tutti questi capi nonproferisce neppure una parola del Papa, accagionando del mal esito dell'impresa i cattivi con. siglieri d'esso re, e la mala fede di Ludovico duca diMilano.Questo co stante silenzio di lui nel tenere estraneo il Santo Padre alle faccende, agl'intrighi di Carlo VIII per l'Italia sarebbe inesplicabile, se Alessan dro VI vi avesse dapprincipio partecipato anche inmenoma parte. Egli non avrebbe lasciato unquemai di biasimarnelo o in unmodo od in un altro. E di ciò parve chegliene si porgessespecialissimo motivo nel capoxv, dove a lungo riporta pratiche alcune molto calde e grandi , trattate in Italia a favore del reda molti signori italiani per conto di Napoli, eper torre di stato il duca di Milano, i principali motori delle quali vengono dili gentemente da esso menzionati, e sono il duca di Ferrara, il marchese di Mantova, il signor Giovanni Bentivoglio di Bologna, i Fiorentini, gli Orsini ed il prefetto di Roma, fratello del cardinaledi S. Pietro in Vin cula, i quali tutti impromettevano, ed aveano largamente speso danari eassoldati uomini, per cui agevolmente avrebbe potuto riacquistare Na poli, ed avere il ducato di Milano, e raccorciare le ugne grifagne dei Veneziani. Qui pure non proferisce neanche una parola del Papa; non già che il Comines non penetrasse l'arcano; perocchè egli fu sempre nembro del consiglio congregato da Carlo VIII per pronunciare sulla progettata discesa, la quale fu poi risoluta a pieni voti, tuttochè vi fos sero undici o dodici in consiglio; ma certo, perchè il Santo Padre fu avverso alla medesima, locchè ilComines, parziale qual desso era pel suo signore, non voleva propalare, onde mostrare la giustizia della causa. Da qui si arguisce il rancore d'Alessandro VI contra que' suoi feudatarii gli Orsini, i Bentivogli, i Riarii, i Roveri, ecc. che favorivano Francia. Tale impresa andò in fumo per non averil duca d'Orleans voluto capitanarla, con rincrescimento dei suddetti. Al capo xv, XVI, XVII, discorre delle differenze del re Carlo VIII con Fer dinando re di Castiglia, il qualedimal occhio guatava l'impresa d'Italia del monarca francese, ed apertamente dava soccorso al re diNapoli, quan tunque avessegli promesso di non impedirne la conquista; Ferdinando però non era alieno alasciare che Carlo conquistasse ilNapoletano, pur chè restasse a lui la Calabria, e n'è prova la trattazione innoltratasi da entrambe le parti, quando funeste morti in quellecase reali sturbarono ogni cosa, e quella finalmente del medesimo Carlo VIII, le cui partico larità narra nel capo XIII d'esso libro VIII, che conchiude col capo XIX, ed ultimo in cui ne descrive i funerali. In tutti questi capi , serbando la economia dei precedenti, non un rimprovero, non una imputazione muove in Alessandro VI, tranne quella del capo xvII, in cui dice, che esso voleva togliere il titolo di re Christianissimo ai re di Francia, per darlo ai re di Castiglia, ai quali sopra brevi parecchie volte scrivendo loro aveva già dato tal titolo : ma perchè molti cardinali si opposero a ciò, gliene diede un altro, chiamandoli cattolici. Or se fino di queste mi nutezze tenne conto il Comines, e le registrò accuratamente, acciocchè trapassassero ai posteri: conchiudiamo noi , cos'altro non avrebbe egli 229 scritto , se fra le millanta vociferazioni assurde, indegne del Pontefice, solo alcune fossero state vere? Non possiamo perciò a meno di muover alte lagnanze contro al rinomato annalista Ludovico Muratori , che pur dilauda queste Memorie del Comines, contra l'abateBerault di Berchastel, ed il continuatore del Fleury, il P. Fabre, i quali scrissero e ricantarono contantacompiacenza palinodie ingiuriose ad Alessandro VI, affatto op poste, inverosimili e discordanti da quello che ne afferma il coscienzioso e savio Filippo signore d'Argentone, quando che sopratutto pel loro ca rattere avrebbono dovuto essere più rispettosi al Supremo Gerarca. Non sempre, no, la verità, la dignità, il benefizio ricevuto servono di regola alla penna di chi scrive! III. PIETRO MESSIA, spagnuolo , che vivea pochissimi anni dopo Ales sandro VI, celebre cronografo dell'imperatore Carlo V, figlio dell'impe ratore Massimiliano, imparzialissimo e giudizioso scrittore, nella vita da esso scritta di Massimiliano imperatore 114, tocca accuratamente della discesa di Carlo VIII re di Francia in Italia, che imputa alle sole mene dello sleale Lodovico il Moro, verso di cui tuttavia si mostra mite assai. E siccome riepiloga il prefato Pietro in questa vita presso che tutto quello da noi giànarrato ragguardo ai principi secolari e ad Alessandro VI, che presero tanta parte nelle cose d'Italia, così io stimo di riportare dallo spagnuolo siffatta testimonianza volgarizzata in italiano, acciocchè serva di documento contemporaneo, ed i leggenti abbiano per le mani autori di tutte le nazioni , i quali smentiscono le imputazioni calunniose but tate sulla fronte pontificale. • Al pacifico Federico successe nell'imperio l'invittissimo Massimiliano suo figliuolo, che già vivendo egli era stato eletto e coronato redei Ro mani. Dei fatti di questo fortissimo principe non ne potremo scrivere apieno, ma solamantesi farà memoriadelle cose più segnalate; percioc chè la guerra cui egli fece, e le battaglie che gli occorse furono tante, che se di tutte si avesse a render conto , quantunque breve, non potrei essere se non più lungo di quello chesarebbe convenevole, ancorchè così grandi prodezze non sono state raccontate dagli scrittori nellaguisa che si richiede. •L'anno medesimo adunque, in cui morì Federico suo padre, fecero i Turchi una violentissima incursione nella Crovazia , provincia dell' Un gheria, la quale confina colla Dalmazia. Al quale impeto il nuovo im peratore volendo opporsi , con molta celerità raunò nell' Austria il più scelto e maggiore esercito che potè fare, ed andò a combattere coglin fedeli : ma costoro intesa la venuta di lui, non ardirono d'aspettarlo ; anzi fuggirono vergognosamente. Onde veggendo l'imperatore non aver ne mici, licenziò l'esercito , e si diede ad attendere alle altre cose di pace. La quale egli non lasciò di desiderare , e procurando sempre , e contra coloro che accettar non la vollero, fece guerra animosissimamente. •Era già buona pezza, che l'imperator Massimiliano si trovava vedovo, laonde tosto che morì il padre suo, si tratto didargliper moglie Bianca figliuola di Galeazzo, e nipote di Lodovico Sforza , duca di Milano , il -- 230 quale essendo zio e governatore di Giovan Galeazzo suo nipote, a cui toccava il ducato, egli si avea usurpato lo stato ed il possedeva. Era questa Bianca la più bella e valorosa donna di quell'età, e ricercata da molti principi. Con costei adunque ebbero effetto le nozze dell'imperatore. •Ed in questo medesimo tempo, che era l'anno 1494, Carlo re di Fran cia, sopranominato Testa grossa , cominciò a prepararsi per passare in Italia, il qual passaggio avea pubblicato poco innanzi, e la fama era di voler andare al conquisto del regno di Napoli, il quale diceva che gli aspettava per testamento e successione di Renato signor di Provenza e de' suoi passati duchi d'Andegavia. •Al che scrivono gl'istorici ch'era stato in prima invitato ed indotto da Lodovico duca di Milano , zio di Giovanni, vero e legittimo duca. Perciocchè Ferdinando re di Napoli, ed Alfonso suo figliuolo, aveano da lui ricercato, ch'egli lasciasse il governo libero a Giovanni Galeazzo, che avea per moglie una nipote di Ferdinando, e per questa ragione deter minarono di fargli guerra. •Onde il duca per tutte le vie che potè tenere, si affatico di muovere Carlo re di Francia a venire contra di essi in Italia, e ve lo condusse sovvenendogli a questo effetto d'una grande somma di danari; ed affine che in ciò l'imperatore Massimiliano non gii fosse nemico, procurò Lo dovico Sforza di dargli, come ei fece, per moglie la nipote. Ed essendo egli trattenuto dalla fama e speranza di questa venuta, avvenne la morte di Ferdinando re di Napoli, e gli succedè Alfonso duca di Calabria suo figlio, ed in questo tempo medesimo fu condotta l'imperatrice Bianca in Lamagna, e si celebrarono le nozze di lei e di Massimiliano, trovandosi Lamagna in pace ed in concordia , e l'imperatore tenendo tuttavia il pensiero fermo nella difesa contra i Turchi. • Con tutto ciò il re di Francia ardendo nel desiderio giàdetto, prese il cammino in Italia; per farlo con più sicurezza, avea in questi giorni dato al re Cattolico don Fernando il contado di Rossiglione e di Cer dania, che il re don Giovanni suo padre aveva impegnato al re Lodo vico. A me non appartiene di scrivere questo passaggio di Carlo , ma toccherò solamente i capi, per essere quest'impresa stata molto famosa e temuta dal Papa e da tutti i principi e potentatid'Italia, ed anche pa rimente , perchè ciò fa utile per intelligenza delle cose che seguiranno. • Venne adunque Carlo in Lombardia con cinquantamila fanti e ca valli, il mese di settembre del sovradetto anno; ove da Lodovico fu ono ratamente con grandissima festa ricevuto , e provveduto all'esercito di lui di tutto quello che fu necessario , ed il medesimo re Carlo andò a visitare il vero duca Giovanni Galeazzo, il quale si stava in Pavia ag gravato da malattia, della quale fra pochi giorni uscì di vita, lasciando un piccolo figliuolo chiamato Francesco ; e seguitando il viaggio, nel quale avvennero di molte cose che io intralascio, venne a Pisa, e di poi fu ricevuto a Firenze , e di Firenze andò a Roma ; non osando alcuno di fargli resistenza nel cammino, nè meno nell'entrare di quella città. E papa Alessandro non osò aspettarlo nel suo passaggio, anzi si ri 231-- dusse nel castello di Sant'Angelo, tante erano le paure ed i sospetti che avevano infra di loro. Ma di poi tra per l'uno e perl'altro, misersi certi partiti di pace , sebbene non si abboccassero ; ma poscia datasi insieme la sicurtà , si viddero e favellarono. Ed ivi a pochi giorni il re con maggior numero di gente di quello che avea menato di Francia, prese la via verso il regno di Napoli, ilmesedigennaio, l'anno 1495. Nel quale il re Alfonso non ardi aspettarlo, sì per lo grande esercito che il recon duceva seco, come perchè per cagione dei suoi vizi e della sua dissoluta vita, egli era mal voluto nel regno. Laonde nel tempo in cui Carlo entrò in Roma, non essendo ancora un anno intero, dacchè egli regnava , ri nunzio il regno a Fernando suo figliuolo, e valicò in Sicilia, nella quale si fece monaco, e morì ivi a pochi giorni. • Per la qual cosa il nuovo re Ferdinando suo figliuolo mise insieme con molta fretta la più gente e la migliore che potè avere, ed affermasi che già aveva cinque mila uomini di arme, e cinquecento cavalli leg geri. ed un gran numero di fanti. Ma nondimeno ai Francesi succede vano le cose così bene, ed il re Ferdinando trovò ne'suoi tanto spavento e sipoca fermezza, che dopo alcuni accidenti egli venne a Napoli , e se ne fuggì con certe galee, veggendo non avere forze da potersi difen dere, e si ricoverò ad Ischia e di poi passò in Sicilia, ed il re di Francia s'impadronì in due mesi di tutto il regno, salvo di alcuni piccoliluoghi marittimi, i quali rimasero pel re Fernando. •Avendo adunque papa Alessandro veduta la prosperità e la possanza di re Carlo, conoscendo quale era il suo desiderio, e temendo di perdere il suo Stato , mentre ch'egli era occupato nell'acquisto di Napoli , pro curò di far lega coi Veneziani e coll'imperatore Massimiliano, a cui mandò a chiedere ch'egli venisse in Italia in soccorso della Chiesa. • Entrò in questa lega eziandio Lodovico duca di Milano, il qualeera stato cagione della venuta del re Carlo in Italia, rincrescendogli che le cose gli successero troppo felicemente, e cominciò a temere del suo proprio Stato, al quale sempre i re di Francia tenevano l'occhio : come poi mostrò diffatti Lodovico duca d'Orleans, che dipoi fu re, dicendo che quel ducato a lui aspettava per esser sè nipote dell'altro Lodovico duca parimente d'Orleans fratello di Carlo VI re di Francia, e di sua moglie Valentina che fu sorella di Filippo duca di Milano, ultimo dei Visconti, la cui figliuola bastarda avea presa per moglieil ducaFrancesco Sforza, quando ei s'impadroni di quello Stato. •Onde Lodovico duca di Milano per maggior confermazione del suo Stato impetrò da Massimiliano, come supremo signore della Lombardia, ch'egli desse a sè l'investizione del ducato di Milano, il che a giudizio mio , e di coloro che scrivono sanamente, fu la sua vera approvazione, egiusto titolo ; perciocchè dopo la morte delduca Filippo nominato, nè l'imperatore Federico, nè egli non aveva dato titolo , nè investitura del detto ducato, nè a lui, nè a suo padre, nè al nipote: nè a loro per via della linea delle femmine poteva essere pervenuto, come anche meno a Lodovico duca d'Orleans, che lo ricercava, e di poi se ne impadroni es 232 sendo re di Francia, tanto più che i discendenti di questo Sforza veni vano da una femmina, e bastarda; onde eglino avevano posseduto così fatto Stato (per vero dire) indebitamente, e contra ogni ragione. Avuta egli dall'imperatore cotale investitura , prese le insegne ducali con so lennità e festa. • Avendo adunque intesa il reCarlola lega nuovamente fattadi questi principi, determinò di lasciare nel regno diNapoli unaquantitàdi genti bastassero per la sua difesa, e tornarsi col rimanente del suo esercito in Francia , e marciando alla volta di Roma, nella quale avea mandato a fare intendere al Papa, ch'egli vi andava per far riverenza a Sua Santità. •Papa Alessandro dopo alcune ambascierie ed altre cose che occor rono, si parti da Roma, e non oso aspettarlo; nella quale, e nelle altre terre della Chiesa, le sue genti fecero di gran male, rubando e saccheg giando qualunque cosa; ed il Papa non si tenendo ancora sicuro in Ci vitavecchia , se ne andò a Perugia , con intenzione, quando si vedesse astretto, di passare in Ancona ed ivi imbarcarsi per Venezia. • Il re di Francia si parti da Roma, continuando il suo cammino alla volta di Francia, quantunque egli sapesse che in Lombardia vi era eser cito dei Veneziani e del duca di Milano contra di lui; ed in Lombardia Lodovico duca d'Orleans avea presa la cittàdi Novara, colla pretensione e titolo che si è detto, onde il duca diMilano andò subito ad assediarlo. Evenendo il re Carlo appresso di Parma, nel passare del fiume Taro trovò il campo dei nemici molto grande enumeroso, il cui principal ca pitano era Francesco Gonzaga marchese di Mantova , con cui vicino al fiume venne a battaglia, nella quale vi avvennero di notabili successi ; ma in ciò son molto differenti coloro che la scrivono. Perciocchè i Fran cesi vogliono dar la vittoria al re loro , e gl' Italiani la danno ai Vene ziani e Milanesi. Il vero è che niuno degli eserciti fu del tutto rotto, nè vinto; ma gl'Italiani rimasero quei giorni assai più signori del campo: ed apparisce questo che io dico da ciò, ch'ei presero molti Francesi , e dalla parte francese di essi non fu fatto prigione alcuno, e costrinsero il re di Francia a sceglier altro cammino daquello ch'egliaveva preso, di maniera che essi furono riputati vittoriosi. Morirono in questa gior nata (che fu addì 6 di luglio 1495) mille uomini daambe le parti e dopo alcuni trattati finti o volontarii fra l'un campo e l'altro, il re si parti una notte, ed andò verso Asti, ove stette alcuni giorni, e si compose la pace fra lui ed il duca di Milano, e Lodovico duca d'Orleans rendette Novara, ed il re Carlo tornò in Francia. « E frapochi giorni Ferdinando re diNapoli forni di riacquistare tutto il regno, benchè ebbe molto da fare coi Francesi, che erano rimasti in sua difesa, e con quelli che di poi vi mando, essendo guidate ed ammi nistrate le più importanti cose in servizio di Ferdinando dal fortissimo ed invittissimo capitano Gonzale Fernandez di Cordova gran capitano di Spagna, mandato a difendere quel regno da don Fernando re cattolico, la prima volta ch'egli colà passò. E così di tutta questa impresa , Carlo re di Francia (avvegnachè egli abbia fatto di grandi danni , e messo -- 233 grande tema in tutta Italia, e lasua riputazione e la forza con che venne fusse grandissima), niuna cosa gli rimase nelle mani, se non l'aver fatto un passaggio di grande ardimento, e con questo se ne riparti ! •Mentre che le raccontate cose nell'Italia seguivano , l'imperatore il medesimo anno 1495 fece dieta nella città di Vermens , nella quale si trattò di andare a soccorrere le cose della Chiesa contra il re di Francia, che allora le molestava, e di far guerra contra i Turchi; e fu il parere dei principi tanto vario, che non si risolse allora cosa alcuna, in far la guerra per nome di tutto l'impero , come era cosa conveniente. Diede l'imperatore in questa dieta ai conti di Vitemberga titolo di duchi , il quale tengono oggidì, e di qui mandò le insegne, e le investizioni che io dissi, a Lodovico duca di Milano, e vi si deliberarono altre cose, che appartenevano al giusto governo, ed alla pace di Lamagna ; e ciascun giorno era chiamato Massimiliano alla venuta in Italia dal duca di Mi lano, il che allora non ebbe effetto. •Avvenne appresso quello che si è detto, che avendo Fernando re di Napoli fornito di ricoverare il suo regno, gli sopravvenne un'infermità, della quale si morì; e per non rimanere a lui figliuoli, ebbe il regno Federico suo zio, fratello del redonAlfonso suopadre, il quale rinunzio il regno. E successore nell'Italia di molte altre cose, che io non ho spazio di raccontare, e l'imperatore teneva Lamagna in buonissima amministra zione e pace con Carlo re di Francia, il quale ivi a poco tempo, l'anno 1497, morì subitamente, e causò grandi mutamenti nelle cose, perchè per non lasciare figliuolo erede, gli successe nel regno ilduca Lodovico d'Or leans suo stretto parente sudetto. Il quale subito che fu ricevuto per re, fecesi chiamar duca di Milano, il che diede ad intendere che egli avesse nell'animo quello, che di seguito mise in opera. E subito eziandio fece divorzio con Giovanna sua moglie, la quale era sorella del re Carlo suo precessore , adducendo ch' ella non era atta a procrear prole , che per forza l'avea sposata, e si ammogliò colla vedova reina, laquale fu moglie del re Carlo, chiamata Anna , per averecom'egli ebbe, insieme con lei lo Stato di Borgogna. •Intesa dall'imperatore la mortedel reCarlo, procacciando d'acquistar per Filippo suo figlio , che fu poi re di Spagna, lo Stato di Borgogna, entrò in lui con armata mano, e prese alcuni luoghi, e 'l nuovo re Luigi mandò un grandissimo esercito per la difesa di quelle terre , e vi ebbe alcuni successi molto notabili. Ma ivi ad alquanti giorni fecero però al cune tregue e paci a profitto dell' imperatore , alle quali venne il re di Francia, siccome quegli che era molto desideroso, ed avea determinato di far l'impresa di Milano per la ragione accennata, e perchè l'impera tore aveva proposto di andare contra il duca di Gueldre; il ducadi Mi lano non lasciava d'intendere e temere i disegni del re di Francia, si aveva proveduto per sua difesa di quanto era possibile, principalmente della lega ed amistà dell'imperatore, che era bastante adifenderlo, e così era in pensiero di dover fare. Ma nondimeno occorrendogli in questo medesimo tempo la guerra grande che gli Svizzeri cominciarono a fare 234-- nelle terre d'Austria, la quale, e la cagione chela mosse, e scrivono fra gli altri copiosamente Enrico Acuzio e Nanclero, ai quali rimetto il let tore, essendo che io non mi trovo luogo di scriverla, lasciata l'impera tore l'impresa di Gueldre , andò a questa guerra; perchè gli Svizzeri, chiamati anticamente Elvezii, sì per la qualità delle terre loro cinte da montagne, e luoghi asprissimi, come il grandissimo animo e forza loro, sempre furono e sono oggidì in grandissima stima , valenti nelle cose della guerra. Essendo dunque venuto contradiloro Massimiliano, benchè contra il suo volere si era cominciatala guerra, lacontinuò in tal guisa, che in diverse zuffe e fatti d'arme che seguirono infra di loro , furono tagliati a pezzi trenta mila uomini da ambedue le parti. Il maggior numero di essi fu dalla parte degli Svizzeri, variando la vittoria alcune volte ad una ed alcune ad altra parte: nelle quali fece egli collapropria persona maravigliosissimi fatti; infino a tanto, che ai prieghi del duca di Milano e di altri principi, che a ciò si interposero, l'imperatore con cedè loro la pace, la quale si conchiuse con suo molto vantaggio ed onore. •Ma imprima che ella si terminasse, Luigi redi Francia che aveva procurato e mossa questa guerra, per non perdere così buona occasione, fece il maggiore esercito ch'egli potè mettere insieme , e il mese d'ot tobre del detto anno passò in Lombardia, assediando e prendendo le terre del duca di Milano, il quale perchè era mal voluto in quel tempo dai sudditi suoi, e per mancargli il soccorso dell'imperatore, per quello che già si è detto, e per essere iVeneziani in lega col re, determinò di dare luogo alla furia francese, ed abbandonare la città, mandando innanzi Ascanio Sforsa suo fratello, coi suoi figliuoli Massimiliano e Francesco in Lamagna, eglicolla maggior e miglior parte dei suoi tesori ivi a pochi giorni fece il medesimo. •Ora essendo in tal guisa partito il duca Ludovico, il redi Francia con niuna o poca resistenza fu ricevuto in Milano, e nelle altre cittàdi questo Stato, ed i Veneziani secondo l'accordo che si avevano fatto, ri tennero Cremona ed altri luoghi di quegli Stati. • Essendosi adunque in cotal modo il re Luigi impadronito della Lom bardia , lasciò in lei i governi e le genti che gli parvero necessarie , e ritornò alla volta del suo regno, trionfante e vittorioso. Il duca essendo pervenuto innanzi all'imperatore, da cui era molto amato, fu da lui con molta amorevolezza ed onore ricevuto, e raunati insieme fra pochi giorni alcuni, o la maggior parte dei principi dell'imperio, deliberò di dargli aita e favore a quello, che per avere da lui la investizione, avea il miglior titolo di quello Stato, e così si fece: con più prestezza di quella chesi po teva credere, si mise in un punto un buon esercito, e la maggior parte di genti svizzere, in che fu grande l'industria e la diligenza del cardi nale Ascanio suo fratello. • Con questa gente, e con quella ch'ei potè raunar d'Italia, il duca tornò in Lombardia nel mese di febbraio dell'anno 1500, ed essendo an dato innanzi il cardinale suo fratello, fu ricevuto in Milano ed in altre -- 235 città, e subito vi condusse il duca suo fratello. Di che avendo avuto nuova il re di Francia, colla maggiore frettadel mondo mandò quel nu mero di gente eletta, ch'ei potè mettere insieme, la più parte delle quali erano altresì Svizzeri , in Lombardia; e'l duca a cui non mancava nè ardire, nè gente pel fatto di arme, aspetto in campo l'esercito francese : ed essendo l'uno esercito e l'altro per combattere, gli Svizzeri che col duca erano, non vollero attaccare la battaglia, come si dice, per essere eglino stati corrotti per denari ; e non solamente ricusarono la battaglia, ma diedero il povero duca ai Francesi , e così egli fu menato prigione in Francia, e dipoi anche il cardinal suo fratello, che d'altra parte per mala aventura fu preso, ed in pochissimi giorni il re di Francia tornò ad impadronirsi dello Stato di Milano, e Lodovico poi mori in prigione, povero, afflitto e privo del ducato, essendo egli stato uno dei più temuti, edei più valorosi e forti uomini del mondo...... CAPO VENTESIMO PRIMO. Creazione di dodici cardinali, fra i quali si annovera Cesare Borgia. Fra il rombo chiassoso di questo scompiglio di cose, non omise Ales sandro VI di provvedere al vuoto del sacro collegio, promovendo dodici distinti personaggi alla sacra porpora nel di ventesimo di settembre 1493, del cui merito egregio noi ragioneremo, come santa ragion richiede, in capo apposito sul fine dell'opera. Quegli scrittori i quali ad ogni modo voglion fare di questo Pontefice il capro emissario onusto d'ogni impro bità, ed impetiscono tutte le azioni e i detti di lui, strepitano su l'anzi detta elezione, sovratutto per quelladi Cesare Borgia, tacciandola d'in tempestiva, imprudente, dettata da fini meramente umani: in prova di cotesto loro opinare allegano, che il mordace Infessura nel suo Diario afferma che appena sette soli cardinali aderirono al Santo Padre in tal creazione dissentendone gli altri. Ad atterrare questa loro prova a noi servirebbe bastantemente l'auto rità del Mariana, la quale indubitatamente non si ha persospetta, nè fa vorevole ad Alessandro: ora costui ci assicura nella sua Storia di Spagna, lib. XXVI , che niuno dei cardinali apri la bocca a contraddire al Papa. Manoi non ci stiamo paghi a questa risposta; scrutatori della storia conscienziosi, diciamo, che se anche soli sette cardinali avessero accon sentito all'elezione di quei degni soggetti, conchiudiamo che tutti, o la maggior parte dei cardinali congregati avrebbero accolto cotale eletta con lieto animo: imperciocchè abbiamo mostrato che in morte d'Inno cenzo VIII non vi erano se non se ventisette cardinali , dei quali soli ventidue od al più ventitrè poterono intervenire al Conclave per la crea zione d'Alessandro VI. Or di questi ventitrè abbiamo veduto che alcuni -- 236 si disgregarono da Alessandro per ire private e ripararono in estranei regni; varii fecero ritorno alle sedi loro; altri poi eran morti, comepro veremo favellando de'cardinali trapassati durante il pontificato diAles sandro VI, nel mentre che certuni per decrepitezza erano in quello stesso tempo giacenti in casaloro vicini a morire, e passarono da liapoco agli eterni riposi: cosicchè il sacro collegio ridotto essendo a quell'esiguo nu mero, meritamente, pel decoro di santa Chiesa e di sè, secondo i canoni dovea riempierne le vacanti sedi, come ei fece. Rispondano aqueste ri flessioni veridiche. Ma per entro questo numero, inclamano con una specie di trionfo e di satanico compiacimento, incluse Alessandro VI quel suo famigerato figlio Cesare Borgia, uomo pessimo, noto sotto il nome di duca Valentino, il quale per fierezza dell'animo suo tutta agito Italia e scompose. La è pur compassionevole cosa il vedere gli scrittori diAlessandro VI, che si piccano di seguire scrupolosi le regole dellalogica, eppoi ad ogni tratto inconseguenti abbandonano e la logica e laverità. Perchè Cesare divenne condottiero di eserciti, e spiegò quell'immite carattere contrario alla sacra porpora che vestiva, ed alla quale spontaneamente poi rinunciò, dunque era uno scellerato all'epoca del suo innalzamento? Che stravolto ragionare è mai questo! Si biasimi adunque levoah, perchè elesse Saulle a re d'Israello, il quale divenne poscia un empio; si censuri perchè pre pose al dominio dell'istesso popolo Davidde, che di poi fu adultero, omi cida, ambizioso; si riprovi il divin Nazareno che chiamò all'apostolato Pietro che il nego, Giuda che lo tradì, che ammise tra i suoi discepoli alcuni, i quali in seguito diventaronocorifei di scisma e d'eresia; si con dannino gli apostoli che lavarono coll'onda battesimale e conferirono lo Spirito Santo a certi neofiti, i quali apostatarono non solo, ma diventa rono acerbissimi nemici del nome di Cristo! Cesare secondogenito al tempo della sua elevazione al sacro galero eranonquell'iniquo che si vocifera. Egli allora incumbeva agli studii nel l'Università di Pisa (non di Perugia), con somma laude, e facevavi mera vigliosi progressi ; era d'indole generosissima, sicchè imprometteva assais simo, come ebbe aconfessare Paolo Pompilio nella dedicazione d'una sua opera del 1488, fatta allo stesso Cesare, tuttochè giovane, per consiglio (1) (1) Riportiamo dietro allo stesso Gennarelli , non amico certo di Cesare e dei Borgia , questa dedica: " Cum inter caeteramonumenta habeamus nuncupatoriam Pauli Pompilii, qui librum silla bicorum Caesari Borgiae protonotario dedicavit, quam hic rescribere ex editione romana anni 1488 non erit inutile. " Caesari Borgiae protonotario sedis apostolicae " Paulus Pompilius salutem. " Quas tibi divitias affero, clarissime Caesar Borgia. Festus, agatur hic tam felix dies: quo tui unius gratia toti posteritati utilissimum opus : siquid judicio valemus: editum est. Docemus in hoc libro quemadmodum carmen fieri possit: omnibus angulis rei sillabicae exploratis et patefactis. Quod esse tibi jucundissimum me profecto non fugit; cum apud divum Hieronymum legeris sa crarum etiam literarum bonam partem carmine esse conscriptam; et cum in divinis cerimoniis quo 237 dell'ottimo e nobile personaggio Spannolio di Majorica. Che persone vol gari, e mediocri scrittorelli adulino nelle loro dediche, il concediamo; ma che scrittori autorevoli, e di gran grido per integrità e valore, s'inqui nino in tal pece, a ragione ildineghiamo. In siffatta nostra persuasione, anzi convinzione, ci rafferma vieppiù l'istesso Burcardo. Costui nel suo Diario, in cui manescamente sempre rivela le pretese colpe de'suoi padroni iBorgia, scrisse: Che nell'anno 1491 addi dodici settembre , giorno anniversario della consacrazione d'Inno cenzo VIII Papa, trovandosi questi infermo, chiese a sè i cardinali Ro drigo Borgia, il Napoletano, il Conti, il Savelli, l' Alariese, quelli di Li sbona e di Sant'Anastasia, ed alla presenza di essi sette volle provvedere di pastore lachiesa di Pamplona orbata per lamorte d'Alfonso Carrillio, e vi prepose Cesare Borgia protonotario apostolico, che versava nel de cimo settimo anno (2) di sua età, ed attendeva allo studio in Perugia tidie et in sacris aedibus multiplicium generum versus plaudantur. Accedit studium illud tuum (notino i leggenti) et perquam fertile bonarum literarum : in quo hac in aetate seris : quod more: ut ex tua generosissima indole clarissima patet coniectura; cumulatissime multipli catum metes: frugeque quam felicissime frueris. Non deerit surgenti tuae virtuti commodus aliquando, et idoneus praeco. Nam: ut ex tam laetis initiis prospicere licet: quem tua di gnitas ? quem antiquae nobilitatis Borgius splendor? qui longe lateque et olim et nunc per Italiam, Gallias , Hispanias , omnemque Europam coruscavit : non ad scribendum excitabit profecto omnes. Verum de tuis rebus haec satis at tu Caesar profecto non parum laudandus es ; qui in hac actate tam facile senem agis. Perge nostri temporis Borgiae fa miliae spes et decus : libentique animo syllabas nostras cape amicissimi clientis munus. Sic enim arbitror: tui : tuorumque omnium per quam aeterno nomini meum adherens: et orna bitur : et durabit. Nam: ut amicissimus noster et tui devotissimus Spannolius Majoricensis vir no bilis et optimus: et qui me maxime: ut haec ederem: gloriaeque tuae dedicarem impulit; dicere solet. Etiam vitrum in auro helectrove pro gemma oculos tenet et delectat. Bene vale ». (2) Erra il Burcardo dicendo che avesse solo allora diecisette anni. Il Burcardo istesso scrisse nel suo Diario, che fu Cesare Borgia ordinato suddiacono il 26 di marzo del 1494, dal cardinale Alessandrino per ordine del Papa : poi diacono immediatamente. Ora richiedendosi pel diaconato 21 anno compiuto, nè parlandosi di dispensa pontificia, ragion vuole che corresse almeno Cesare Borgia, quando Innocenzo VIII il 2 settembre 1491 il creò arcivescovo eletto di Pamplona, il ven tesimo primo anno di sua età. Ora per modo niuno possiamo noi sottoscriverci all'affermazione del Burcardo , perocchè se Cesare addi 12 settembre 1491 non computava che 17 anni d'età, ne conseguita che quando morì nel 1507 al più tardi , non avrebbe avuto salvo trentatrè anni , e trenta soltanto alla morte di Papa Alessandro VI : perciò domandiamo, come mai avrebbe potuto Cesare, intanta giovanile età, intento a' studii ben lontani dall'arte della guerra e della politica, dare quei pegni si famosi di pe rizia e scaltrezza consumata in entrambe le arti ? Perizia, scaltrezza intelligentissima, che nei più scabrosi maneggi non gli venne unquemai meno , ed unicamente propria d'un uomo maturo e di potente ingegno dotato, si che i suoi detrattori medesimi non possono a meno di chiamarlo pro fondssimo politico, attivissimo, e prode soldato, intelligente oltremodo di poesia, belle arti e pro tettore di esse. Il perchè risulta che di molto maggiore età fosse Cesare quando venne assunto al diaconato. Anzi probabilmente egli aveva varcato l'anno trentesimo secondo del viver suo quando si consacrò per siffatta ordinazione: poichè scrittori niente amici di lui , e per mezzo di questi, Charles-Saint-Laurent nel suo Dizionario Enciclopedico , edizione parigina, 1845, alla pa rola CESARE BORGIA, scrive: " essere esso nato verso l'anno 1457, ed essere stato ucciso in età -- 238 (ovvero in Pisa), figliuolo di quel cardinale Borgia, e il costitul ammini stratore di essa fino all'anno ventesimo settimo di sua età, poscia venisse assunto a vescovo e pastore della medesima ». Or arguiamo: se il pio, il giusto Innocenzo VIII , che già presentiva doversi in breve presentare sulle soglie dell' eternità a render conto del suo agire a Cristo giudice, stimò di fare una buona elezione in Cesare Borgia diciassettenne o ventenne, anzi trentenne; chè la terzogenita Lu crezia, sorella di lui , oltrepassava allora i ventun anno, come si prova dalla nota precedente. Fa d'uopo conchiudere, porgesse questi argomenti di lieta fiducia, che fosse per degnamente corrispondervi; altrimenti, in quel tremendo punto in cui spariscono le illusioni, ed ammutoliscono negli uomini probi gl'interessi e gli amori di parte, non l'avrebbe pro mosso a tanta dignità. Per conseguenza resta giustificato Alessandro VI , se presso che due anni dopo, nutrendo mai sempre la stessa speranza, il fregiava delsacro galero, non curando le ciancie degl'invidi emuli. Non cerchiamo noi qui di liberare totalmente il Pontefice dai rimproveri che gli appuntano di nepotismo per cotale innalzamento di Cesare , come abbiamo di già ac cennato; ma possono iscusarnelo il motivo d'avere in quei tempi burra per lo meno di 50 anni verso l'anno 1507 d'un colpo di fuoco all' assedio di Viana ७. Ecco come la verità si fa giorno da per sè. Se Cesare nacque verso il 1457, fu conceputo in Ispagna nel 1456, epoca in cui il suo padre Rodrigo Lenzuoli , allora militare, di colà partiva per venire a Roma, chiamatovi dallo zio Callisto III Papa. Ma agli astiosi avversarii dei Borgia conviene assai tacere , confundere le epoche per far cre dere ai leggenti che la sua figliuolanza discende da Alessandro VI qaando era già Vescovo-Car dinale. Noi al capo 20, pag. 200, n. 1, abbiamo gia ribattuto le accuse che Alessandro VI am mogliasse l'ultimo suo figlio Gioffredo in età impube , ed ora giova che rifutiamo l'istessa incri minazione più appositamente ancora ; chè , secondo il computo diligente dello stesso protestante Schroeck, tom. 32, p. 382, 383, il nascimento di Gioffredo , ultimogenito d'Alessandro VI , av venne inprima della metà del Pontificatodi Sisto IV , creato il 9 agosto 1471 , morto il 13 a gosto 1484, fa d'uopo conchiudere che quel Gioffredo sia nato al più tardi verso il 1475, epperciò stesse sur i vent'anni appunto quando si ammogliò con Donna Sancia; chè com'è mai probabile che Alessandro VI, si prudente tal qual era, volesse suggellare un trattato coll'astuto e fedfrago Ferdinando per mezzo d'un matrimonio nullo per difetto d' età, da cui a suo disdoro avrebbe sempre potuto recedere il regnante napoletano ? Lux in tenebris lucet ! La verità sollevasi sulle rovine della bugia, e coll'aiuto salutem ex inimicis nostris del sullodato eruditissimo eterodosso, dimostriamolo più lucidamente col calcolo aritmetico. , Rodrigo , creato Cardinale Diacono da Callisto III , venne mandato nel 1171-72 da Sisto IV Papa in legazione nella Spagna , al cui ritorno ebbe Lucrezia terzogenita nel 1072 all' intorno; chè addi 11 agosto 1492 sur i venti anni di sua età sposò il primo marito, mori ella di parto a Ferrara nel 1519 il 23 giugno in età di 51 anno. Una prostituta effrene con molteplice prole in Italia sopratutto non muore più di parto in tale età ! Gioffredo, ultimo genito di Rodrigo. nacque nel 1475, e non più tardi, chè Sisto IV fu quegli il quale il promosse dall'Ordine dei Diaconi a quello dei Vescovi, dopo quelle legazioni nominan dolo in prima Cardinale Vescovo d'Albano, poi di Porto nell'anno 1476, epoca in cui dovette en trare negli ordini sacri, avendo abbandonato assolutamente Vanozza, e maritatala col cavaliere Do menico d'Arimano. Chi ignora che eranvi cardinali in quei dì non in sacris ? -- 239 seosi un valido appoggio nel sacro collegio; ragione che pure scrittori sfavorevoli al papato tanto ortodossi, quanto eterodossi , non solo non isprezzarono, anzi l'ebbero sovente per commendevole, talmente che ciò consigliarono infino talora come mezzo spedientissimo al mantenimento dell'equilibrio e dell'ordine. La speranza ancora cui nutriva Alessandro VI , che Cesare fosse per corrispondere alla dignità di cui veniva insignito, tanto più dopo l'allo cuzione severa da esso fattagli sull'esordio stessissimodel suo pontificato, ne lo indusse a siffatto passo. E Cesare ben avea in sè qualità tali da rendersi eccellente, delle quali infino allora non constando che avessene abusato, poteva a ragione argomentare vantaggiose tornar dovessero per la Chiesa. Dappoichè hanno gl'infensi ad Alessandro VI piluccato sull'elezione di Cesare, scendono a morderlo per quella d'Alessandro Farnese, che nel medesimo tempo assunse all'istessa dignità a requisizione di Giulia la bella, sorella, oppure parente d'esso Papa, la quale in quei dì era molto considerata in Roma. Noi non immoreremo qui in troppe parole a giu stificarnelo , dovendone discorrere nel capo in cui renderemo ragione della creazione di tutti i cardinali fatti da Alessandro VI. Basti per ora al leggitore il sapere, che questo candidato onorò assaissimo la porpora, e chi 'l decorò di questa dignità sì splendida e venerata; perchè fu me ritevole un giorno d'essere innalzato al vertice delle onorificenze, e di cingersi le tempia illustri col triregno, assumendo il nome di Paolo III. Dove sono impertanto le infamie di Alessandro VI? Finora noi il consi derammo savio pontefice, sovrano giusto e prudente! Forse che la storia seguente smentirà il concetto nostro? Questo è appunto quello che chia meremo a disamina, svolgendo le istorie con mano discreta , pietosa e conscienziosa; e se talvolta ne scopriremo le piaghe, non sarà per irri tarle, ma per soffundervi il balsamo ed il rimedio. CAPO VENTESIMO SECONDO. Morte e carallere di Ferdinando re di Napoli. Gli succede Alfonso suo figlio che eseguisce le promesse di suo padre verso del Papa, e con questo stringe trattato di pace. Il Pontefice dissuade Carlo VIII dallo scendere in Italia ; risposta libera di questo al legato pontificio. Movi mento di alcune squadre francesi in Italia ; ribellione di varii baroni romani contro al Papa, ed in favore de Francesi. Abboccamento d' A lessandro VI con Alfonso re di Napoli , fatti d'armi pria favorevoli ai Napoletani, poscia dannosi. Vittoria de Francesi capitanali da Lo dovico duca d'Orleans su dei Napoletani ; incentramento di questi nel loro regno. Le pattuite leghe, i combinati artifizii, i progettati provvedimenti per nulla ritardavano od isventavano i guai dell'Italia, i quali sull'esordire stesso del 1494 si affacciavano di gran lunga più fieri e duraturi, e mag 240-- giori di tutti gli altri degli anni addietro; perchè laddove tra di loro ne'trapassati tempi aveano i principi italiani guerreggiato, ora si sca tenavano tutte, per così esprimersi , le armi oltramontane capitanate dallo stesso loro bellicoso monarca, per venire a piantare nella nostra Penisola una danza funestissima. Di che travagliatissimo il settuagenario Ferdinando re di Napoli, il quale sentiva imminente la scrosciante tem pesta, risolsesi da ultimo al partito estremo d'andare esso medesimo ad umiliarsi a Lodovico il Moro, e confessargli, che desso era quel solo da cui riconoscerebbe la sua salvezza. Stava sul punto d'imbarcarsi per questo viaggio, quando seppe che ai suoi ambasciatori era stato ingiunto d'uscire incontanente di Francia. Questa notizia lo trafisse con acerbità tanta, che nell'istante stesso fu colpito da un tocco di apoplessia e ne morì in pochissimi giorni , un sabbato nel ventesimo quinto giorno di gennaio dell'anno 1494 (1), dap poichè n'ebbe regnato trenta sei (Infessur. Diar. parte 2, tom. 3 Italic. Rer. Ammir. Istor di Firenze. Raynald. Annal. eccl., et alii). Succe dendogli nel regno Alfonso duca di Calabria suo primogenito , audace di spirito, ed a grandi cose aspirante (2). Tutti gli autori che parlarono di quel principe riportano, ch' era egli in esecrazione del popolo per li suoi monopolii e per le sue crudeltà quantunque gli diano il vanto d'una profonda saviezza e di politica raf finata, onde fu compianto meno di tutti i sovrani i quali avevano re gnato da Nerone in poi; e a dire il vero non avea trattato in modo i Napoletani, da doversi affliggere della sua perdita. Pareva che affettasse di regnare da tiranno, e non da re; e quel che raddoppiò l'odio de'sud diti suoi, fu che Alfonso d'Aragona suo primogenito, duca di Calabria, (1) Il Burcardo nel suo Diario, sempre uguale a se stesso, laconicamente non meno che sar donicamente cosi riferisce la morte d'esso Ferdinando : " venerunt novae ad urbem , quod die sabbati xxv mensis ianuarii ann. 1494 (quae fuit festum conversionis Sancti Pauli) , serenissimus Ferdinandus Neapolitauus ac Siciliae etc. rex, diem clausisset extremum qui obiit sine lux , sine crux, et sine Deus; et successit in regno Alphonsus filius suus ». " Essendosi (scrive il Summonte col Giovio, Istor. della città e del regno di Napoli-Na poli 1675 tom. m, pag. 539, il re Ferdinando molto affaticato di corpo, scaldando e raffred dando, non senza passioni di animo , li sopraggiunse un gran catarro, al quale sopraggiunta febbre, con molti sintomi , al fine , al xiv giorno di quella , uscì di vita , che fu a xxv gennaio 1494, alle ore 16, di età d'anni 70, dieci mesi e 28 giorni, avendo regnato anni 35, mesi cinque e giorni 25. Mori il re Ferrante di una morte (conforme lui la desiderava) presta, perciocchè nelli suddetti giorni dell'infermità non fu molto da quella travagliato, et il fine ancora fu molto celere, perciocchè essendo a quello vicino, non credendosi esservi giunto. si fe'accomodare i capelli, e le mascelle che pareano che cascar gli dovessero, e formando alcune poche parolecon don Federigo che gli stava appresso, delle cose della città, sentendosi affatto venir meno, disse tremando queste parole : figliuoli siate bencdetti! e voltandosi ad un crocifisso disse: Deus, propitius esto mihi peccatori, e subito si parti da questa vita ». (2) Aggiunge il Giovio , che non avendo Alfonso voluto che suo padre in età di 70 anni si fosse messo a gravissimi travagli , esso per divertire la guerra , mandò al re di Francia Camillo Pandone ad offerirgli di rimettere il regno di Napoli nell'arbitrio del Papa, che sentenziasse a chi di ragion dovesse pervenire. -- 241 l'imitava in ogni suo vizio, e non aveano quindi luogo da sperare una migliore condizione sotto il suo regno. Avevano entrambi fatto perire un gran numero di prelati, di persone qualificate con ferro, con lunghe prigionie e veleno. Niuna donna, per grande che fosse, era sicura dalla violenza loro se giungeva mai all'in felicità d'esserne amata. Le maggiori ricchezze delle chiese non erano sicure dall'avarizia loro; le famiglie più comode pericolavano a per dere tutto, se non offerivano ad essi la miglior parte dei loro averi con la sola mira di serbarsi il resto. Facevano dessi il maggior traffico del regno loro; comperavano il frumento , l'olio a vil prezzo, e costringe vano poi le stesse persone che avevanli venduti, a ricomperargli a prezzo carissimo. Ingenera orrore la descrizione fatta dal lodato Comines delle avanie e dei tirannici soprusi esercitati da cotesti coronati. Il perchè non poteva sortire miglior finimento il regno di quel Fer dinando, che per soprappiù contumace irrisoredei fulmini del Vaticano, i quali avendolo le tante volte percosso, non restaronoda ultimo di pro durre l'effetto loro. Il suo successore Alfonso intese colla massima premura di dar l'ul tima mano ai trattati di pace con Sua Santità , iniziati e convenuti da suo augusto genitore l'anno antecedente, per ottenere da lei l'investitura del regno, ed insieme quegli aiuti altamente richiesti dalle sue strin genti presentanee bisogna. Promise al beatissimo Padre d' effettuare speditamente il concertato matrimonio tra Gioffredo e sua figlia Sancia, e dargli due dei feudi principali del regno di Napoli, con trenta mila scudi di pensione, e due compagnie spesate , ciascuna di cento uomini d'arme, pel primigenio Gian-Francesco e per l'ultimogenito Gioffredo Borgia, entrambi figliuoli di lui, con dei ricchi benefizii per Cesare secondogenito ch'era cardinale. Sua Santità accetto queste proferte, commise al suo nipote Giovanni Borgia, cardinale di Monreale, di girsene a Napoli colle bolle dell'inve stitura, e colla facoltà di coronare Alfonso re di Napoli; benchèCarlo VIII ne lo pregasse di sospendere, finchè le armi avessero pronunciato a chi toccasse questo regno. (Mém. de Comines, tom. 5, pag.410, dove si legge diffusamente questa investitura). Il Pontefice risposegli, che aveva egli seguito in ciò l'esempio de'suoi predecessori, dai quali il padre e l'avo d'Alfonso aveano ricevuto l'inve stitura del medesimo reame ; che d'altronde non avrebbe potuto ricu sarla ad Alfonso, senza esporre i suoi proprii stati ad essere saccheg giati da questo principe, e da'confederati suoi, i quali ilcircuivano colle terre loro. Quest'incoronazione d'Alfonso venne eseguita colla più son tuosa magnificenza. Nel giorno settimo di maggio, essendo già il cardinale legato perve nuto costà, si celebrarono le nozze di Sancia figliuola naturale di esso re Alfonso , la quale era sulla metà del terzo lustro di sua età, con Gioffredo figliuolo del Papa ( Vedi capo xx, pagina 200, nota 1 e 2). Giostre, tornei, ed altri festeggiamenti accompagnarono e rallegrarono 16 -- 242 la solennità, sin troppo minutamente descritta nel suo Diario dal ma stro di cerimonie sacre, il Burcardo. Alessandro VI per testimoniare al novello re quanto gli fosse caro il recente parentado, l'esentò dall' annuo censo del regno sua vita natural durante (Summonte, istor.di Napoli). Il regalo fatto alla sposa da Giof fredo in gioie, drapperie ed altre robe, fu creduto che ascendesse al va lore di duecento mila ducati d'oro. Il re assegnò per dote alla figliuola il principato di Squillaci. Nel Diario del Burcardo, citato dal Rinaldi, sta scritto avere il monarca Alfonso II creato Gioffredo principe di Tri carico, e conte di Chiaramonte, Laurio e Carinola. Ciò fatto, Alessandro VI, ond'evitare la ruinad'Alfonso, per quantogli era possibile, indirizzo un breve(Infessura Diar , parte 2, tom. 3. Rer. Ital.- Corio, Istor. di Milano), dato dal 15d'ottobre 1494, al cardinale di San t'Eustachio, col quale lo costituiva legato a latere appresso Carlo VIII, affinchè dappertutto dove potesse andare questo principe, l'esortasse vi vamente adesistere dalla sua impresa contra il regno di Napoli, rap presentandogli che la peste disertava il paese, e che si doveva temere che il suo arrivo non cagionasse delle guerre civili, che iviveri nondive nissero rari, per conseguenza salissero a caro prezzo alla venuta di cosi numerosa armata; che Alfonso risolutissimo di difendere i suoi Stati, tirerebbe i Turchi in Italia per sostenere i suoi affari : e ciò produrrebbe immensi danni alla religione cristiana (Infessura, Diar , parte 2, tom. 3. Rer. Italic. Corio, Istor. di Milano.- Surita, tom.5, lib. 1, cap. 30). Ma il re di Francia non ebbe riguardo alcuno a queste rimostranzedel Papa; non volle ammettere il legato alla sua udienza, perchè l'aveva per sospetto (1), e fece rispondere a Sua Santità, che non paventava egli nè il contagio, che traendolo a morte, terminerebbe le sue fatiche ; nè la carestia per aver preparato abbondanti provvisioni ; nè del Turco, contra cui darebbe a conoscere quello zelo dal quale fin dalla sua fan ciullezza era animato, desideroso pure se gliene parasse quanto prima l'occasione (Continuat. di Fleury, an. 1494, lib. 117, n. xcII). Laonde questo giovane monarca franco dappoichè morì il reFerdinando, il solo che col suo senno provato, avrebbe potuto difficultare idisegni di lui, si era maggiormente invogliato dell'impresa del reame di Napoli, nulla badando agli allegati motivi dal Santo Padre, avidissimo com'era di gloria militare, anelava a tirare innanzi. Allora per mezzo di Guglielmo Brissonetto primo ministro, a cuipro mise il cappello cardinalizio, procurò il Papa di ritardare imovimenti di Carlo VIII; ma al fianco di questo, oltre al cardinale Giuliano della Ro vere, sdegnato forte contra d'Alessandro VI, vi stavano ilprincipe di Sa lerno, Bernardino di Bisignano, ed altri signori napoletani esigliati ri fugiatisi in Francia: seppero tutti così ben perorare appo il re, ed ac (1) Arroge il Giovio ancora, ch'ei non fu udito, nè ricevuto in campo, essendo in odio al re ed ai baroni, per la fresca memoria di Papa Pio II suo zio, fautor degli Aragonesi contro agli Angioini. -- 243 cendergli l'animo di quella conquista al quale ancora dava continuiim pulsi Lodovico il Moro, che si affrettò più che mai al preparamento delle armi. Frattanto nanzi tutto spedì Carlo VIII alcuni suoi uffiziali in Italia, per mezzo de'quali l'istesso Filippo di Comines signore d'Argentone (2) affin di scandagliare i pensamenti de'principi d'Italia. Salvo Lodovicoil Moro, il quale fu l'unico che paresse voler assistere con calore a' Franchi, gli altri si mostrarono più o meno avversi, od anche forzatamente soltanto inchinevoli a loro. Con breve, ma saggia risposta, la quale nulla con cludeva, si sbrigarono da tale ambasciata i Veneziani, e i Sanesi. IFio rentini si mostrarono contrari. Ercole duca di Ferrara e Giovanni Ben tivoglio esibirono buon trattamento alle milizie del re, null' altro. Non rimaneva più altri tranne il Santo Padre, di cui premeva d'assi curarsi. Il d'Aubigny che non era informato dell' ultimo accomodamento d'Alessandro IV con Alfonso, assai lo stimolo ad aderire alla lega già contratta col reggente di Milano, sulla cui fiducia il re di Francia erasi parato a travalicare le Alpi. Ma Sua Santità nulla (Il Continuatore del Fleury, Istor. eccles., lib. 117, an 1494, num. LXXxv) accordo agli am basciatori, senza per altro togliere loro la speranza di conseguire quanto richiedevano. Replicò loro solamente, che il diritto della Santa Sede so pra il regno di Napoli era indubitato; che il re Carlo VIII come primo genito della Chiesa non sarebbe per contrastarlo ; che avendone egli dato l'investitura ad Alfonso, non aveva fatto altro che seguire l'esempio dei suoi predecessori, i quali ne aveano investito il genitore e l'avo suo; che non gli conveniva distruggere la sua propria opera, se non quando gli venisse provata la nullità di quelle tre investiture; di più che la Santa Sede non potea fare altrimenti, perchè essendosi i Fiorentini dichiarati per Alfonso, resterebbe lo Stato ecclesiastico esposto all' invasione degli uni, o dell' altro. Che.insomma, la qualità di padre comune costringe valo ad essere neutrale, per essere sempre in caso di procurare lapace. Questa risposta degna d'un sovrano antiveggente e d'un Ponteficeprov vido, non piacque agli ambasciatori, iquali ne dimostrarono apertamente il loro rammarico, e la rimandarono alla corte, perchè prendesse le ne cessarie misure. (2) Mém. de Comines, lib. 7, cap. 4. Scrivono il Giovio e l Corio, che gli ambasciatori man dati dal re di Francia in Italia per tirare i potentati italiani all'amicizia sua, furono Filippo Ar gentone a Venezia, ed Eberardo Obignino, scozzese, a papa Alessandro VI, il quale per la via fu a Ferrara ed a Bologna, ed acquistò al suo re l'amicizia dell' Estense e del Bentivoglio; indi a Fiorenza, dove Piero de' Medici per niun annunzio di pericolo volle romper l'accordo con gli Ara gonesi. Ma il Corio discorda nelle cose di Fiorenza dagli altri, siccome il Giovio è anche diverso da questo autore, il quale di sotto, nel capo 1 della Storia d'Italia del Guicciardini, mette l'Obi gnino nellaseconda ambasceria, andando altri contro ai Papa, venisse a tentar Piero de' Medici in Fiorenza, ed a stimolare quel senato all' amicizia della corona di Francia : ed il Corio, nella se conda ambasceria, pone che Perone di Baccio, uomo non imperito delle cose nostre in Italia, solo fosse dal redi Francia mandato al Papa a minacciarlo, e a dirgli villania. Bell'armonia di scrittori !! 244 E Carlo pigliò la determinazione la più evidente d'affrettare la suaca lata in Italia. Pertanto diè ordine al primo de' suoi capitani, Edoardo d'Aubigny, scozzese d'origine, leale guerriero e consigliere assennato (scrivono gli annalisti italiani di quel tempo), dopo il suo abboccamento col Papa, di rimanersi in Italia, e porsi tosto tosto alla testa d'un corpo di soldati francesi assai considerevole. Inoltre per le cure di Lodovico Sforza, e del fratello di lui il cardinale Ascanio, parecchi signori e con dottieri della nazione, senza darsi il minimo pensiero del quanto crimi nosa fosse una simile condotta, aveano preso sopra di sè il fornire alre di Fraucia un certo numero di soldati acavallo. Fra questi venali, si con tavano alcuni deiprincipali baroni degli stati ecclesiastici, specialmente i Colonna, gli Orsini, ed i Savelli(Corio, Storia di Milano, parte vit, pag.923). Questo quasi tradimento fu unaterribile stoccata al cuor d'Alessandro VI; non è più adunque a maravigliare se nel corsodel suo regno egli tratto la nobillà romana con una rigorosa, ma giustaseverità. Bisogna studiar la storia a fondo, per capire e sentenziare sulla condotta degli uomini ! Per insieme accordarsi in sur i mezzi di difesa il Papa ed il redi Na poli fissarono un abboccamento a Vico città posta a un venti migliada Roma. Alessandro VI vi andò accompagnato da alquanti cardinali, dagli ambasciatori di Venezia e Firenze, e da una mano di circa cinquecento cavalli. Alfonso dichiarò ch'egli era pronto a rimettere il giudizio della sua causa nell'arbitrio del Papa, del sacro collegio e degli ambasciatori inviati dalle nazioni neutrali. In questo frattempo a Roma lanobiltàbri gava e si agitava, e giunse persino ad impugnare apertamente le armi e dopo d'allora non si dissimulò più come essa pendesse alla parte di Francia ; la quale cosa sollecito Alessandro VI a ritornare alla sua capi tale. Ecco altro motivo troppo palese della giusta indignazione del Pon tefice contra questi magnati infedeli ! E poi si grida alla tirannia del Borgia ? Quanto al re di Napoli, egli scelse di porsi in persona alla testa dei suoi soldati. Federico suo fratello doveva comandare la flotta, ed in quella che il re si avanzerebbe dalla parte della Romagna per romperla col Moro e vendicarsi di sua tristizia, l'ammiraglio spiegherebbe le vele in verso Genova (Senarega, De Reb. Genuens , tom. 24. Rer. Italic. Sanuto, Istor. di Venez , tom. 22. Rer. Italic. Ammirati, Ist. di Fi renze.- Corio, Ist. di Milano) per porgere a questarepubblica ildestro di scuotere il giogo degli Sforza. Il duca d'Orleans Lodovico aveva preceduto Carlo VIII in Italia, e tro vavasi in Asti con Lodovico Sforza, quando intese novella dell'armata napoletana. Senza dar indugio, egli si mise alla testa d'un corpodi due mila uomini, il fiore de' suoi fanti, e di cinquecento di cavalleria leg giera, e corse verso Genova cui minacciavano le galeenemiche. Avendo i Napoletani tentato d'impadronirsi di Porto-Venere, furono respinti con perdita, e costretti di ripiegare sopra Livorno per ripararvi i vascelli loro. Nello stesso mentre il duca d'Orleans postosi a capo della flotta genovese, rinforzata di quattro grandi navigli francesi, e d'un corpo di -- 245 mille Svizzeri, si portò verso colà. I napoletani ebbero dapprima qualche vantaggio ; ma, dopo sette ore di pugna, con perdita loro considerevole, furono obbligati a retrocedere vergognosamente verso Napoli. I nemici, ed in ispecie gli Svizzeri, macchiarono la gloria del loro trionfo con delle orrende crudeltà. Avendo espugnato d'assalto, e sac cheggiato la terra di Rapallo, quando la loro cupidigia insaziabile non trovò più di che sbramarsi, se la presero contro chi loro venne alle mani : donne, fanciulli, vecchi, tutto dovette sperimentare la loro rabbia. Essi entrarono negli spedali, e non arrossirono di lordarsi del sangue degli ammalati che non avevano potuto sottrarsi colla fuga allabarbarie loro. D'Aubigny, che comandava le truppe di terra, avea posto piede nella Romagna, e si avanzava a grandi giornate verso il regno di Napoli. Alfonso gli oppose il suo figliuolo Ferdinando duca di Calabria, il quale da principio resistette con tanta fortuna, che il generale francese furi dotto a tenersi sulle difese, e non ardi intraprendere cosa alcuna. Se il duca di Calabria avesse saputo, trar guadagno da questo primo successo, forse ch'egli avrebbe battuto gl'invasori , ed ottenuto dei grandi van taggi : ma non si potè determinare ad arrischiaruna battaglia, elasua irresolutezza diede tempo all'armata francese di fortificarsi con dei nuovi rinforzi. Ferdinando dovette alla sua volta indietreggiare, sbaragliato compiutamente alla perfine dalle armi franche, le quali colle copiosis sime loro artiglierie atterrando quanto ad esse si opponeva, dispersero i Napoletani, che portarono dovunque si rimbucavano la costernazione e lo spavento. Si accorse Ferdinando qualche giorno dopo del fallo cui avea com messo, e conobbe irreparabile la sua rovina, ritirandosi sotto le mura di Faenza, sempre dal nemico incalzato. CAPO VENTESIMO TERZO. Carlo VIII scende in Italia; entra in Pavia, accoltovi dal Moro, a Piacenza, a Pisa, a Firenze; occupa gli Stati della Chiesa. Il giorno ventesimo secondo d'agosto dell'anno 1494, Carlo VIII par tendo da Vienna nel Delfinato, dirizzava la sua marcia a Grenoble, va licò le Alpi, e giunse da Susa nella capitale del Piemonte, nella vaga, deliziosa Torino, dove fu accolto da Bianca di Monferrato duchessa di Savoia, vedova di Carlo I, e reggente degli Stati, dal marchese di Mon ferrato, e da tutto il Piemonte con molto onore. Il sei settembre abban donò Torino, passò per Chieri, e discese in Asti il nono giorno dello stesso mese. Lodovico Sforza e la sua sposa la duchessa Beatrice d'Este erano alui venuti incontro sino a quest'ultima città, ed il duca aveva fatto qui raccogliere un gran numero de' suoi cortigiani, cui ilmonarca fran cese onoro de'suoi sguardi, e ricolmo de'doni suoi. Se non che la spe dizione di Carlo pendette da un pelo che non finisse qui. La malattia, 246 del vaiuolo l'incolse all'improvviso assai dolorosa e tanto violenta sul cominciare, che dicesi per parecchi giorni mettesse la vita di lui in pe ricolo. Durante cotal morbo venne da capo visitato dal Moro e dalla sua consorte, i quali si trattennero seco lui per due giorni. Risanato, con tinuossi alla sua via, e si portò a Casale, capitale del Monferrato, dove fu accolto come l'era stato poco prima a Torino. Di là venne a Pavia, quivi magnificentissimamente lo ricevette il duca di Milano, e ad esso lasciò in ostaggio quel castello, nel quale giaceva infermo il giovane Gian Galeazzo Maria Sforza vero duca di Milano, per quel veleno, se condo l'opinione universale, propinatogli dal suo zio medesimo Lodovico, per cui lo traeva a lenta e certa morte (1). Le voci dell'avvelenamento (1) Il Levati nel citato Dizionario delle Donne illustri, cosi conchiude l'articolo d' Elisabetta di Aragona sposa di Gian Galeazzo ed Isabella. " Giunto a Pavia, Carlo VIII visitò Gian Galeazzo ed Isabella. Giaceva nel castello di Pavia, dice il Guicciardini, oppresso da gravissima infermità Giovan Galeazzo duca di Milano suo fratello cugino (erano il re ed egli nati di due sorelle figliuole di Lodovico II duca di Savoia) il quale, il re passando per quella città, ed alloggiato nel medesimo castello, andò benegnissimamente a visitare. Le parole furono generali per la presenza di Lodo vico, dimostrando molestia del suo male, e confortandolo ad attendere con buona speranza la ri cuperazione della sanità. Ma l'effetto dell'animo non fu senza molia compassione così del re, come di tutti coloro che erano con lui, tenendo ciascuno per certo la vita dell' infelice giovane dovere per l'insidie dello zio essere brevissima : e s'accrebbe molto più per la presenza d'Isabella sua moglie, la quale ansia non solo della salute del marito, e d'un picciolo figliuolo che aveva di lui; ma mestissima oltra questo pel pericolo del padre e degli altri suoi, si gittò molto miserabilmente nel cospetto di tutti ai piedi del re, raccomandandogli con infinite lacrime il padre, e la casa sua d'Aragona: alla quale il re, benchè mosso dall'età e dalla bellezza sua dimostrasse averne com passione, nondimeno non si potendo per cagione si leggiera fermare un movimento si grande, ri spose, che essendo condotta l'impresa tanto innanzi, era necessitato a continuarla. " Questa patetica scena di Gian Galeazzo moribondo visitato da Carlo VIII, cui si raccomanda l'infelice Isabella cinta dai suoi figliuoletti, fu dipinta dal pennello animatore del sig. Palagi con tanta maestria, con tanta evidenza, e con tale espressione di affetti , che tutti gli spettatori ne fu rono commossi, allorquando rimirarono il suo quadro, esposto ad esser vagheggiato nelle sale del l'Accademia di Brera ١٦٠ Gian Galeazzo spirò nel castello di Pavia alli 22 d'ottobre del 1494, e tutti concordemente at tribuirono l'immatura sua morte a veleno propinatogli da Lodovico il Moro. Spirato il marito, Isabella coi figti rimase in tanta angoscia, che, come ci vien dipinta dal Verri : " Stavasene in Pavia rinchiusa entro una stanza ricusando la luce del giorno, giacendo per tristezza sulla nuda terra in mezzo a lugubri abbigliamenti ». Si ritirò la desolata Isabella dapprima in Milano coi suoi figli, e colla duchessa Bona sua suocera ; indi si rifugiò nella casa paterna, dopo aver consegnato l'unico suo figlio Francesco, che non aveva che cinque anni, a Carlo VIII; il quale al suo ritorno in Francia seco lo condusse, e lo fece educare nella badia di Noirmoutier (Altri dicono che fu condotto in Francia da Lodovico XII ; e contro al Levati, noi teniamo siffatta sentenza per la più vera). Il padre di Isabella le diede il castello di Capuana, ed il ducatodi Bari ; ma dessa, dopo aver ve duta la morte dell'avolo e del padre, fu spettatrice della morte d'Ippolita, secondogenita, morta in Pavia ancor bambina, e della ruina estrema della sua famiglia miseramente balzata dall'avito trono. Senti la morte di suo figlio Francesco ultimo degli Sforza, avvenuta in Francia, per essere caduto malamente di cavallo, avendo 20 anni. Cessò finalmente di soffrire addi 11 di febbraio del 1524, dappoichè ebbe data la sua figlia in isposa a Sigismondo re di Polonia. Una medaglia fu coniata in onore di Isabella, la quale ha nel diritto il ritratto suo, e nel rovescio queste parole : Castilati virtutique invictae: elogio inferiore alla di lei virtù ! 247 si sparsero con gran rumore: nè dalla potenza, nè dagli intrighi di Lo dovico si son potute sopire. S'inventarono altre cause, ma queste non poterono acquistar fede. E Teodoro di Pavia, celebre medico che era al seguito del re di Francia, il quale aveva visitato Gian Galeazzo al letto, dichiarò apertamente che quel principe era ammalato e basito di veleno: circostanza che al Bossi fe' nascere meraviglia, come non la sia stata dall'eruditissimo Muratori osservata. Il Pontano, al principio dellibro Iv De prudentia scrive, che ciascun ordine di persone teneva la morte di Gian Galeazzo esser succeduta per opera di Lodovico, che il fece avve lenare; e quivi perciò biasima, detesta efortemente lacera esso Lodovico, il che ripete al fine anche del v libro. Difatto appena pervenuto il re a Piacenza, ovvero a Parma, intese es sere quell' infelice duca trapassato il ventesimo secondo giorno d'ot tobre 1494, in età d'anni 25. Sforza conseguiva il compimento de' suoi desideri. Carlo fecegl'in Piacenza celebrare solenni esequie, alle quali volle intervenisse una torma di poveri, vestiti in gramaglia a sue spese. Nè pose indugi, con ispeciose ragioni, lo scellerato zio a chiedere ed ot tenere diploma dai primari di Milano e da Massimiliano, per essere in. vestito di questo ducato, invece di Francesco Sforza primogenito di quella vita innocente e compianta. E quando mancarono mai, o mancheranno pretesti all'ambizione e cupidità umana per usurpare l'altrui, se con essi il potere si congiunge ? All'imperatore rappresentava il regicida Lodovico, ch'egli aveva diritto d'essere duca di Milano, per la strana ragione che dovea lui venir an teposto al duca Galeazzo Maria già suo fratello defunto, ed ai figliuoli di questo, perchè Galeazzo Maria era nato da Francesco Sforza non pe ranche duca di Milano; laddove esso Lodovico nacque dal padre già creato duca. Leggesi che ildiplomafu spedito da Massimiliano in Anversa nel giorno quinto di settembre di quest'anno 1494 (Corio, Istor. di Milano). Il si gnor Du-Mont dà lo stesso diploma addi venticinque di novembre del l'anno seguente 1495. Comunque sia, la è cosa certa che senzaaspettare il beneplacito cesareo (1), Lodovico il Moro venne a Milano, non ancora (1) Guicciard., Istor., lib. 1.-Godefroy, op. cit. tom. 5, p. 410. Investiture du duché de Milan, audit Louis Sforce par l'empereur Maximilien I. Di questo atto venendo Massimiliano da tutti ripreso, procurò di nettarsi da ogni taccia con la seguente dichiarazione, oltre alle cose da lui espresse nel diploma: " Quum illustris dominus Ludovicus Sfortia vicecomes etc., qui per multos annos ducatum Mediolani summa cum laude et gloria gubernavit et administravit, saepius et cummagna instantia a serenissimo prae mortuo genitore nostro, et a nobis humillimis precibus requisierit, ut privilegium huiusmodi ducatus Mediolani et Lombardiae, et comitatus Papiae Joannes Caleaz, eius nepoti concedere vellemus : tamen justis pluribus rationibus, et causis, et maxime quod praefatus Jo. Galeaz ipsum ducatum ac comitatum a populo Mediolanensi recognovit : quod quidem fuit in maxiwum imperii praeiudicium : et quia est de consuetudine sacri romani imperii neminem unquam investire de aliquo statu sibi subiectu, si eum de facto sibi usurpaverit, vel a liquo recognoverit : genitor noster perpetuae memoriae imperator serenissimus, neque electores consentire voluerunt, neque consentirent quod talis ducatus et comitatus in eum conferretur: -- 248 terminato il funerale del nipote, ivi convocati i primori della città per la creazione d'un duca novello, ed avendo egli accortamente indettati i suoi partigiani, costoro mostrarono altamente richiedere il benpubblico che in tempi sì pericolosi non un fanciullo, ma un uomo assennato pi gliasse le redini del governo, e fosse duca. Però, senza che veruno osasse reclamare, Lodovico, proclamato duca dallo sciame de' suoi venali adu latori, e dalla vile plebaglia cui egli aveva indegnamente corrotta, im pugnò l'usurpato scettro, e framezzo le grida festose del popolo sconsi gliato cavaleò per Milano. La sua sposa Beatrice, figlia d'Ercole duca di Ferrara, la quale da pa recchi anni contendeva con un'audacia non più intesa la precedenza ad Isabella moglie del legittimo duca, raccolse finalmente i frutti della rea sua ostinazione ; la sfortunata principessa di cui s'era fatta l'implaca bile rivale fu ridotta a chiudersi co' suoi pargoletti in un'oscura camera e malsana del castello di Pavia, nonostante ogni raccomandazione di Carlo VIII. Isabella (scrive il Corio, Ist. Milano, parte vII, p. 936) coi ▸ poveri figliuoletti, vestiti di lugubri vestimenti, come prigioniera si rinchiuse in una camera, e gran tempo stette giacente sopra la dura • terra che non vide aere. Lagrimevole esempio dell' incostanza delle umane grandezze ! Quest'orribile misfatto fece una viva impressione sopra di Carlo VIII. Egli aveva già più d'un motivo di non fidarsi dello sleale, che l'aveva chiamato in Italia; or tra per questo, e pel sapere che il Papa ed i Ve neziani praticavano dei maneggi per istaccare Lodovico da lui, e che costui trattava proditoriamente coi Fiorentini a danno di Francia: quindi poco mancò che non desistesse dall'impegno assunto contra il regno di Napoli. Questi timori veniano anche confermati dalle relazionide' suoi, i quali ogni giorno il supplicavano a tenersi bene in guardia contro alla scel leraggine de' pretesi suoi amici. Ciò non pertanto avvenne l'opposto; e si conobbe che se Iddio leva talvolta il retto giudizio e la forza ai prin cipi cui vuol punire, toglie anche il sentimento di vendetta aquelli che ha destinati per flagellare gli altri. Lodovico con le più lusinghiere pa role del mondo trovò modo a difendersi con apparenza di lealtà sì, che Carlo ne rimase pago. E chi mai ha più melati accenti de'furbi e fedi fraghi ? Alle ciance del Moro diedero peso alcuni avvisi segreti giunti ut illustris Sfortianae familiae rationem habuisse videretur, cuius egregia facinora et celebres vi ctoriae per universum pene orbem celebrantur, et quia idem illustris dominus Lodovicus in eo gu bernandum admodum sapiens est, et valde idoneus est habitus, in maximum commodum subditorum, et non parvam sacri imperii commoditatem, utilitatem et ornamentum, et obtulimus privilegium in personam suam, ac filiorum et successorum suorum, et excedentem electorum consensu. Et tam quam bene merito contulimus privilegium et investituram ducatus Mediolanensis, et Lombardiae, et comitatus Papiae etc. pro ut publico diplomate a nobis sibi concesso continetur. In quorum testi monium praesentes fieri jussimus, et nostri sigilli pendente muniri, et nostra etiam propria manu subscripsimus. Datae in terra nostra Andverpiae, die octavo octobris Mccccxciv, regnorum nostrorum, scilicet Romani, vn, Hungariae, vero v. ». 249 ad esso Carlo VIII da Firenze, dove il chiamavano i nemici ed emuli di Pietro de' Medici, e dove lo spingevano da ultimo eziandio le instanze dei due esiliati fiorentini Lorenzo e Giovanni de'Medici, che finirono di sventare ogni suo dubbio. Daquello adunque blandito il re, e da questi ringagliardito, abban donò Piacenza sullo scorcio d'ottobre, ripigliando la marcia sua verso Toscana, durante la quale fugava le milizie avversarie, espugnava ca stelli, e spargeva il terrore e l'orrore per l'universa Italia, anche fra gli amici, di che impauriti i popoli a lui aprivano le porte delle città loro. I Fiorentini da che seppero l'approssimarsi dell'armata francese, non avevano cessato d'eccitarsi l'un l'altro contra Pietro de' Medici, cui ave vano per primario autore delle calamità nelle quali si vedeano si presso acadere. Pietro per attutire i mal contenti, avea preso di buon'ora tutte le disposizioni suggeritegli dalla prudenza. Ma questi sforzi suoi non sor tirono altro effetto fuorchè accrescere il male. In sì strema agitazione e spavento, egli, abbandonata la causa degli Aragonesi, risolse d'andar personalmente a trovare Carlo VIII e d'amicarlosi, concedendogli ciò che le emergenze esigerebbono. Usci di Firenze, andossene a Empoli, che è poche miglia lontano, e di costà scrisse ai magistrati della città la se guente lettera (Ex monument. Aug. Fabronii, in vita Leon X, apud Ro scoe, Vita e pontificato di Leone X, t. 1, p. 193, 194): •Magnifici ed Onoratissimi fratelli, •Io non piglierò a giustificare la mia sollecita partenza; perchè pe nerei a credermi reo per aver fatto quel passo che al mio debol vedere mi sembra il più acconcio a rendere la pace al mio paese, e che non debbe portare, eccetto che a me, nè al pubblico, nè a'privati il menomo sconcio. Del resto, io penso a presentarmi a S. M. cristianissima il re di Francia, nella ferma fiducia di placare il risentimento che questo prin cipe ha conceputo contra la repubblica di Firenze a cagione della con dotta ch'essa si è veduta costretta a tenere conformemente a' suoi im pegni inverso degli altri Stati. Egli sembra che suamaesta altro non desideri se non uncangiamento. In quanto a meche sono stato accagionato di tutto il male, o mi purgherò presso del principe, o subirò una pena, la quale anzichè sul corpo della repubblica, amo meglio si riversi sopra il mio capo. La mia famiglia ha già per lo passato dato prove di con simile attaccamento. Ma io credo aver contratto più grandi obbligazioni d'assai che verun altro de' miei predecessori, conciossiachè io sono stato onorato molto più di essi oltra ogni mio merito! e quanto più mi sento indegno dell'onore che ho ricevuto, tanto più mi credo tenuto a non perdonare nè a spese, nè a travagli, nè alla medesima miavita. Per cia scuno di voi in particolare io volentieri la sacrificherei, ma specialmente poi a servigio della repubblica. Io darò prova di ciò probabilmente in quest'occasione ; poichè o io morrò nell'esperimento, o io otterro quanto potete voi desiderare. Nello stesso tempo io vi scongiuro per la memoria -- 250 di mio padre a voi così cara, e per la bontà cheaveste per me, anon istar sopra pensiero e ansietà, più di quello il faccia io medesimo, e di non dimenticarmi nelle vostre preghiere. Permettetemi altresì che io vi raccomandi i miei figli ed i miei fratelli, che io interamente affido alle vostre cure, caso che Dio non volesse che io ritornassi a Firenze. Io met terommi in viaggio domani mattina. • Empoli, li 26 ottobre 1494. • PIETRO DE' MEDICI.. Pietro andò poi a Pisa, e presentossi poco dopoconunpiccolo seguito agli avamposti del campo francese. Due ufficiali del re furono delegati a trattare con lui. Essi la prima cosa esigettero che fosse consegnataal principe la piazza di Sarzana; Pietro la cedette.Egli cedè ancorala città di Pisa, di Livorno e di Pietra-Santa per tutto il tempodellaspedizione. Questa condiscendenza inconcepibile fece strabiliare persino i soldati di Carlo VIII, i quali non si poterono temperare, che non riprendessero nel capo della repubblica fiorentina una tale pusillanimità. I cittadini di Firenze non ne furono meno irritati, giudicando ch'egli avesse follemente sacrificati gl' interessi loro , benchè per opporsi all'invasione avessero negato a Pietro de' Medici ogni soccorso. Tuttavolta non era questo il vero motivo del risentimento loro.Già da qualche anno sopportavano essi con fastidio e con impazienza l'autorità di casa de' Medici, e subornati dalle declamazioni del troppo famoso Sa vonarola, non aspettavano tranne il tempo da scuoterne il giogo. Una deputazione di cinque fiorentini, tra'quali era il frate demagogo, fu in viata a Carlo VIII, pregandolo a voler mitigare alquanto le durecondi zioni. Ma il principe stette saldo al no. Da sua parte Pietro, vedendo ogni giorno più ingrossare la sedizione a Firenze, risolvette di rientrare in città perprevenire il male, se ciò era ancora possibile, ed impegnò Paolo degli Orsini suo parente prossimo ad essergli di scorta con un corpo di truppache a lui obbediva. Egli vi fu ricevuto con insulti e ferite, e non dovette la sua salvezza ad altro che ad una pronta fuga. Fu nulla che il cardinale, cui i Fiorentiniamavano ancora, si sforzasse di calmare l'effervescenza popolare: quel quasi in cantesimo che aveasi a lungo accompagnato il nome glorioso deMedici non era più. Si suono a stormo, si apersero le porte alle prigioni, una ressa innumerevole si addensò nelle vie, i proiettili volavano dai balconi e dai tetti ; Pietro se la svigno precipitoso di Firenze e si avviò verso Bologna, dove il cardinale il raggiunse dappoichè ebbe un'ultima fiata tentato inutilmente di sedare l'agitazione del popolo. Carlo VIII era giunto a Pisa fin dal cadered'ottobre. Ei lasciò questa addi undici novembre, marciò sopra Firenze, e vi entrò il giorno decimo settimo del mese medesimo pacificamente col suoesercito. Al suo arrivo, imagistrati e i maggiorenti gli vennero incontro e l'accompagnarono alla chiesa di Santa Maria del Fiore, dov'egli pregò dinanzi l'altar mag giore. Poscia andò al palazzo de'Medici, ch'era splendidamente adornato, -- 251 eposto in ordine per la sua residenza. Dopo alquanti giorni, Lorenzo e Giovanni, figli di Pier Francesco de' Medici, rientrarono in Firenze , e furono reintegrati in tutti i diritti loro, in quella che Pietro e il cardi nale, fuggiaschi ed erranti, cercavano di città in città un ricovero, che nonveniva loro accordato senonchè a stento e come per carità. Maallora si scopri meglio fin dove possa giugnere la non mai sazia ambizione de'potenti: dure ed indiscrete condizioni cominciò imperiosa mente a pretendere il re dai Fiorentini, cioè somme immense didanaro, la restituzione di Pietro Medici nella sua supremazia, e in ultimo il do minio d'essa città; perocchè si voleva far esercitare l'autorità sovrana da uomini scelti da lui. I magistrati dichiaravano in termini chiari e ricisi che non apporrebbero giammai la propria firma a disposizioni pri vanti i loro concittadini dei propri diritti, e porgenti ai re di Francia un pretesto a considerare i Fiorentini altrettanti sudditi loro.Cose tutte che movevano a rabbiachi trattava di tali affari per parte dei Toscani. L'armata unissi ai magistrati; si giurò di morire anzichè soggettarsi alla schiavitù. Sovrastava vicinissimo un qualche brutto spettacolo , se non fosse stato Pietro Capponi (il Camillo fiorentino) uno dei deputati, il quale adiratosi al vedere che dai ministri regi si dava cartad'accordo come a'medesimi talentava, senza voler tenereconto alcuno delle ragioni dei Fiorentini, arditamente in faccia dello stesso sovrano laceró quella carta (Ammirati, Ist. di Firenze, e Guicciard., Ist. d'Italia), ed a quei mi nistri, i quali avevano con alte minacce accompagnato lo scritto, ani mosamente rispose: Poichè si domandano cose si disoneste , voi darete nelle vostre trombe, e noi soneremo lenostre campane. Il che detto evase issofatto dalla camera, seguito da'suoi compagni.(Vedi il Giovo al prin cipio del libro 2). Di qui, disse il Segretario fiorentino: " Lo strepito dell'armi e de'cavalli • Non potè far si che non fosse udita " La voce d'un Cappon fra tanti Galli ». Questa manifestazione imponente, e franco parlare, che potea di leg gieri partorire sconcerti gravissimi, volle Iddio che terminasse in bene. Ammansò Carlo VIII, e i suoi ministri si ridussero a condizioni più di screte, e fu solamente preso di comune accordo, che i cittadini di en trambi gli Stati godrebberodegli stessi privilegi, gli uni nel paesedegli altri ; che al suo titolo di re di Francia, Carlo VIII giugnerebbe quello di ristoratore e protettore delle franchigie di Firenze; chela repubblica offrirebbe al re in segno di riconoscenza, un regalo di centoventi mila fiorini, cioè cinquanta mila fra lo spazio di quindici giorni , ed in altre rate il resto; che le fortezze e le piazze lasciate ai Francesi sarebbero restituite ai Fiorentini, sotto condizioni, le quali furono chiarite; che i cittadini di Pisa, tornerebbero sotto la dominazione di Firenze, e che una amnistia piena ed intera sarebbe loro accordata; che il sequestro posto sopra i beni del cardinale de'Medici , e dei fratelli di lui Pietro e Giu 252 liano, sarebbe tolto, ma che gli averidei due minori servirebbero d'ipo teca pei debiti del maggior nato; che i tre Medici non potrebbero acco starsi a Firenze, senonchè ad una certa distanza, la quale sarebbe per Pietro, di duecento miglia, e pel cardinale eGiulianodi cento; in ultimo che Alfonsino degli Orsini godrebbe di sua pensione. Questo trattato fu firmato il dì 25 novembre, e ratificato all'indomani nella chiesadi Santa Maria del Fiore, dopo una messa solenne, e Carlo diede la sua parola di re d'osservarne fedelmente le condizioni sub verbo regis (1). I Fiorentini speravano che conchiuso appenail trattato, il redi Francia uscisse della loro città. Ma continuando egli ad inspirare ai medesimi vive apprensioni, essi deputarono a lui Savonarola. Le parole dell'ardente domenicano produssero sullo spirito di Carlo l'effetto aspettato. Oltre a ciò le istanze del fedele d'Aubigny, il quale fecelo capace che un tanto andar per le lunghe, dava ai nemici l'agio e il tempo d'accordarsi in torno ai loro mezzi didifesa, lo spronarono potentemente. Diede adunque il monarca l'ordine della partenza, ed il ventotto novembre lasciò Firenze con molto piacere degli abitanti. Il giorno 2 di dicembre entrò in Siena, dove ancora l'inflessibile Giuliano della Rovere cardinale di San Pietro in Vincula, seguendo il re, giunse il giorno dopo. Dalla Toscana l'armata francese mise piè senza colpo ferire negli Stati della Chiesa, e s'impa droni d'Acquapendente, di Viterbo, e d'altre rocche, che furono abban donate al saccheggio. Pietro de'Medici, eludendo la vigilanza dei Veneziani, fuggissi dal lor territorio, traversò rapidamente la Marcad'Ancona e la Romagna, ed ap parve tutto ad un tratto nel campo dei Francesi , dove il re l'accolse colla più grande benignità. CAPO VENTESIMO QUARTO. Falsilà dell'accusa gettata in volto ad Alessandro VI, d'avere implorato da Baiazette soccorso contro a Carlo VIII. Entrata di questo in Roma. Il Papa si ritira in Castel Sant' Angelo. Accordo tra pel Pontefice e pel re Carlo. Certi scrittori, non sappiam con qual documento, affermano che papa Alessandro ed il re Alfonso, da che si avvidero di non avere forze ba stanti ad impedire il progresso dell'armata francese, la quale unita col l'altra di Romagna, alcuni facevano ascendere sino a sessanta mila uo (1) Nardi, Histor. Fior., lib. 1, p. 16. L'originale di questo trattato si conserva a Venezia sotto il titolo di: " Capitula et conventiones inter Carolum VIII regem Francorum populum Flo rentinum. Florentiae die xxvi novembris Mccccxciv, iurato in Ecclesia cathedrali, per ipsum regem et priores dictae civitatis , apud altare maius , post missae celebrationem Bib. Nanianae, p. 125. Ven. 1776. ٦٦٠ Vid. Morelli ms. lat. -- 253 mini, ma probabilmente sarà stata inferiore d'assai, abbiano ricorso per aiuto al Turco, affinchè spedisse un poderoso corpo di sua gente alla difesa del regno di Napoli. Il continuatore del Fleury, mirando ad al leggerire quest'aggravio imputato ad Alessandro VI, dice, dietro all'au. torità di Filippo de Comines, ch'egli avea ciò operato in qualità di so vrano temporale (Mem.di Comines, lib. 7, cap. 14. Guicc., Istor. Ital. lib. 2), non già di Papa, affin di provvedere al salvamento degli Stati suoi. Lodovico Muratori per contra, il quale tuttochè si mostri del con tinuo severissimo censore d'Alessandro VI, ragguardo a cotale incol pazione egli assevera , che sono verisimilmente coteste dicerie di belli o maligni ingegni; siffatta sentenza in bocca di questo scrittore diventa meritevolissima d'ogni considerazione, ed infievolisce assaissimo quel l'accusa. Del resto, è conto ad ogni mediocre scrittore, cheBaiazette, per essere uomo dappoco e vile, non amava la guerra, ed era in tanto odio appo la sua gente, che niente si sarebbero mossi perdifenderlo, se fosse stato assalito. Si ricordavano ancora i Greci della libertà, cui Maometto II suo genitore avea loro tolta, e sitivano di ricuperarla. Aveano mandato a Carlo VIII dei deputati secreti, i quali promettevano una ribellione ge nerale dell'intera Grecia, subito che sua maestà vi avesse fatto passare delle truppe; e per questo maneggio il Comines si ritrovava in Venezia, dove allestiva una piccola flotta, che dovea essere comandata da Costan tino principe d'Acaia, interessato nel buon avvenimento per le sue pre tensioni sopra la Tessaglia e la Tracia. E Zizim fratello di Baiazette cui si dovea dal Papa rimettere nelle mani del re di Francia, servirebbe di pretesto per armare contra i Turchi ; ma la morte diquesto principe ot tonano fece svanire il progetto fondato in così belle speranze (1). Or come mai avrebbesi potuto muovere Baiazette a cimentarsi in una guerra in favore de' cristiani , sopratutto del Papa suo capital nemico ? Egli sì timido, come sarebbe mai venuto alle mani per proteggere un di lui avversario contra un re sì potente e vittorioso ? Egli a cui era nota la progettata ribellione nel suo ancora vacillante impero, come mai sarebbesi privato delle più prodi sue soldatesche per inviarle alla Vallona adifendere il napoletano, ed in tal guisa scuoprire l'inerme suo fianco al doppio nemico interno ed esterno? Come mai il Papa, che meglio di ogni altro sapeva quanto fossero difficili le circostanze in cui versava Baiazette , da politico cauto, prudente, qual unanimemente si confessa, avrebbe egli prestatoquesto raccorso, dellacui nullità era dapprima più che sicuro? Dicerie di belli o maligni ingegni verisimilmente furon co teste, conchiude saviamente il succitato Muratori. Non sarebbesi forse la temenza d'Alessandro VI fatta a Carlo VIII, che Alfonso colto da dispe razione tentar potesse un sì periglioso esperimento fatale d'invocare le (1) Veggasi il detto vittoriosamente da noi nell' Appendice m, § 1, dove si narra il modo con cui fu ordita la congiura contra Baiazette dai Greci, come sia stata soppressa, e come dai Venezian manifestata al Turco, e non già dal Papa. 254 armi saracinesche, presaper una realtà? Certochesì daquanto appare! Se la cosa stesse come la suppongono idetrattoridi lui, sarebbe di me. stieri conchiudere, che ben lungi d'essere stato Alessandro VI quell'ac cortissimo politico, avrebbe anzi porto argomentodi sciocchezza mador nale. Continuiamo. Allorchè SuaSantità vide, che entrato contante forze re Carlo in Italia era sfilato fino in Toscana, nè vi eracittà o fortezza, che invasadal ter rore delle sue armi non vacillasse, e per propiziarselo non gli portasse le chiavi, cominciò a provare affanni e sbigottimenti gravissimi, perchè considerato era come aperto nemico d'un monarca al cui cospetto nulla resisteva (Burchardus, Diar. apud Raynald). In questa sua affannosa pe ritanza veniva vieppiù afflitto al sapere che l'esercito napoletano trince rato sulla sponda del Tevere presso la capitale del mondo cristiano, stava di molto al disotto al gallicano per numero, forza e coraggio.Per laqual cosa, addì 9dicembre 1494, aveaegli previdentemente fatto mettere in de cente prigione icardinaliAscanio Sforza e Sanseverino, parzialiaiFrancesi emandati incastello Sant'Angelo Prospero Colonna eGirolamo Tuttavilla. Iniziò poi col sovrano Carlo, in lontananza, alcune trattative d'una tregua da parte del re di Napoli, e sua , cui il principe dichiarò altamente ri gettare ; ma cedendo a miglior consiglio, ed all'ardente desiderio di cui si struggeva d'entrare presto nel regno di Napoli, gli fece anche aver caro qualunque patto col Santo Padre, per non dover indugiare nella Romagna, nella quale provincia nulladimeno già tutte le città ed i si gnori si affrettavano di passare alla divozione di Francia (Denina, Rivo luzioni d'Italia, vol. v, lib. xiv, cap. 11), con solenne infedeltà ad Ales sandro VI loro signore. Il regnante franco inviò al Santo Padre il duca di Tremouille, ed il presidente Sannay con altri, i quali fecero istanza ne'preliminari, che si liberassero i due cardinali, ed aggiunsero che avendo ilPontefice lasciato entrare in Roma Ferdinando duca di Calabria colle genti sue nemiche , anche il loro revolevapenetrarvi ; sapendo in essa ritrovarsi grande copia di vettovaglie e rinfrescamenti, con cui l'esercito stanco pel lungo mar ciare e pei disagi passati si potesse ristorare. Pel suo canto eglipromet teva di non far sentire ai Romani pur un minimo danno, se gli si dava aperto e facile il passo e comodità di viveri; altramente minacciava di porre il tutto in rovina(Panvin , in Alex. VI; Vitae et res gestaeSS. Pont. in Alex. VI). Che per altro egli era pronto alla concordia. Nel giorno diciannovesimo del suddetto dicembre , il Papa, spaventato dalle forze che giungevanoda fuori, e dalle fazioni che brulicavano dentro, spedì al re il cardinale Sanseverino a rinnovare i negoziati , e nell'impossibilità in cui versava d'arrestare la marcia dei Francesi, ad evitare mali mag giori, consenti a ricevere in Roma Carlo VIII, il quale, salvo l'onore della maestà ed autorità pontificia, facesse il suo ingresso pacifico. Travolgendo la notte dell'ultimo giorno dicembre del 1494, sullo spun tare degli albori del primo giorno dell'anno 1495, arrivò il re di Francia dinanzi a Roma, la quale spalancò a lui le sue porte, ed egli, in quella 255 che Ferdinando ne sortiva dal lato opposto per ripiegarsi sopradiNapoli col suo potentissimo esercito di venti mila fanti e cinque mila cavalli (Panvin. in Alexandro VI), vi entrò per Porta Flaminia che fu poi chia mata la Porta di Santa Maria del Popolo, tenendo tutte le sue genti di armi la lancia sulla coscia, come erasi fatto a Firenze, e gli arcieri l'arco in mano, gli Svizzeri armati di alabarde o di scuri, come se do vessersi disporre per unabattaglia, ne custodivano tutte le vie, le piazze e il palazzo destinato pel re. I magistrati concorsero a piegare innanzi alui il capo, epresentargli le chiavi d'essa città. Ricevuta ch'ebbe questa dimostrazione riverenziale, andò ad alloggiare nel palazzo bene ammobi gliato di San Marco. Stanziatosi adunque di tal maniera Carlo VIII in Roma, comandò ai soldati di guardarsi dal nuocere a qualunque, e fe' severamente passare per le armi alcuni inobbedienti (Panvin. in Alex.). MaAlessandro VI travagliato, ad onta dellepromesse e dei protesti del re di Francia, da dubbietà, nè sapendo quanto si potesse promettere de' baldanzosi e sdegnati Francesi , specialmente per istare a fianco del re Giuliano della Rovere suo nemico irrequietissimo, il quale non dubitava che fosse per consigliare a Carlo ogni fiera risoluzione contrala sua per sona, avea preso lo spediente che in simile contingenza consigliava pru denza, di lasciar il suo palagio e ritirarsi in castellocoi cardinali Battista Orsini e Olivieri Caraffa, avendo la maggior parte degli altri pigliato la fuga , per trattar quivi con più sicurezza della concordia e del suo de coro (Guicciard., Istor., Comines. Raynald., Annal. Eccles). Questa ritirata fu a un pelo non gli divenisse funesta, perchè i suoi nemici se ne servirono per ingegnarsi di perderlo appo il principe. Ma non si la sciò atterrire il Beatissimo Padre dagli apparecchi delle armi, nè dagli assalti, nè dalle minacce finte o vere; ma intrepido, dignitoso se ne stette anon cedere, nè ad uscirne finchè il re per mezzo di ministri scendesse aconchiudere un soddisfacente concordato per entrambe le parti (Mém. deComines, 47 c. 12.-Spondan., ad ann. 1495, n. 1). Non mancarono in quel frangente dei porporati, ed altri seminatori di discordia, che da privati rancori agitati susurrarono al re presentarsi propizia l'occasione d'intentare un processo contra di papa Alessandro , perprovarecheegli simoniacamente aveaacquistata lasedia di San Pietro, emenava una vita troppo scandalosa con evidentedanno della religione cattolica. Ma e la pietà del sovrano verso la Santa Sede, e l'insussistenza delle incriminazioni , e più credibilmente le persuasioni contrarie di Gugliemo Brissonetto vescovo di S. Mald, suo principal ministro, a cui il papa aveva già promesso il cappello cardinalizio , che seppe maneg giare in modo l'animo di sua maestà, alla quale dall'altro canto pareano quei consigli troppo esagerati, ei dissipò idisegni dei cardinali o riottosi o deboli, e dispose quel principe ad astenersi dall'indurre questo scon certo dannevole e scisma perniciosissimo nella Chiesa di Dio, in tempi già di troppo calamitosi per la religione, ed a trattare Alessandro VI suo vicario molto più favorevolmente, del cui appoggio egli troppo ab 256 bisognava tuttochè possente monarca e vincitore. Annui il re a questo consiglio pieno di saviezza , ed inviò per deputati al Santo Padre i si gnori di Foix, di Bresse, di Ligny, di Giè e Giovanni diRoli confessore dello stesso Carlo VIII, eletto vescovo d'Augers, da ultimo, dopo molte lunghe conferenze fu conchiuso il trattato d'alleanza e d'amicizia, e si provvide agli interessi ed alla dignità di entrambe leparti. Noi non ignoriamo che alcuni scrittori, o mal prevenutidalla loro an tipatia contro ad Alessandro, od abbagliatidal nome di certi autori, tra i quali si computa per anche Novaes , biasimano questo trattato tra il Santo Padre ed il monarca francese, come lesivo per alcune condizioni alla pontifical maestà. • Se al numero, riflette il riguardoso e savio Artaud de Montor in A lessandro VI) , di queste condizioni indegne Novaes pone il pagamento d'una contribuzione in oro: noi dobbiamo osservare, ch'esso non fu troppo forte, e che il re ebbe la generosità di rimetterla immediatamente alla disposizione di Francesco da Paola, di poi canonizzato sotto Leone X, e che comperò colla predetta somma il terreno sul quale è fabbricato o diernamente il convento francese della Trinità del Monte, uffiziato per lunga pezza dai Minimi della nostra nazione, e che appartiene al pre sente alle rispettabili dame francesi del Sacro Cuore. Per altro noi riportando nel capo seguente queste condizioni con esat tezza istorica, non troviamo onerosa questa multa di danaro dal re franco imposta al Papa. In tutti questi fatti, avvenimenti trattati ingenuamente, danoi esposti e narrati, dove mai da essi trapela in Alessandro VI unacapricciosa po litica ? Non l'abbiamo noi veduto accostarsi a Lodovico il Moro per l'af fronto fattogli da Ferdinando re di Napoli nellacompera illegale di quei feudi della Santa Sede , senza però nè minacciarlo di guerra, nè chia mare le armi forestiere a fare le sue difese, ma starsene solo in uncon tegno tale che dimostrava sentire tutta la gravità dell'offesa ? Qual altro monarca sarebbesi governato con maggior temperanza? Non abbiamo veduto il Papa rimettere al suddetto Ferdinando l'ingiuria, quando questi la riparò? restringere con lui confederazione fedele? Sì, fedele, perocchè non abbiamo noi sentito le proposizioni larghe, cui i legati del sovrano delle Gallie prodigavangli per sè e per la sua prole, le quali Alessan dro VI rigettò generosamente per serbar fede aFerdinando, ad Alfonso, sino ad esporsi al pericolo di soggiacere sè e lo Stato suo all'indigna zione del vittorioso conquistatore? Non abbiamo mirato con quanta di gnità scese il Santo Padre al concordato soltanto quando diventava as solutamente necessario per la pubblica salvezza? Quale altro monarca secolare sarebbesi regolato con egual prudenza, dignità e moderazione! Nessuno certo dei suoi contemporanei; l'istoria n'è giudice. Eppure si vocifera essere stato Alessandro VI di politica capricciosa ed infedele! Qui ci entra o ingiustizia, o malignità, o ignoranza, o tutto insieme ! -257 CAPO VENTESIMO QUINTO. Concordato tra pel Papa e per Carlo VIII; atto di figliale ubbidienza da questo renduto al Pontefice; partenza del re da Roma per Napoli; refutazione di alcune inesatte affermazioni del Guicciardini e di altri scrittori riguardo ad Alessandro VI. Essendo adunque di piana concordia, e con soddisfacente dignità e si curezza del Pontefice composte le cose, venne firmato da entrambe le parti il concordato alle seguenti condizioni : I. Che il Papa per sei mesi concederebbe al reche ilfarebbe guardare aTerracina, la persona di Zizim (Bosio, Istoria dell'ordine di San Gio vanni di Gerusalemme) fratello di Baiazetto, ch'era in podestàdel Papa, conpromessa di restituirglielo. Ma lasommadi quarantamiladucati, che il sultano pagava annualmente al Pontefice, fu a lui espressamente ri servata. Alessandro VI, il quale non poteva negarglielo, ad esso il con segnò con atto solenne, e in una pubblica cerimonia, nellaquale il gio vane principe turco baciò al re la mano, poscia la spalla destra. II. Che Sua Santità darebbe a Carlo VIII la investitura del regno di Napoli, e che rimetterebbe in sua grazia i cardinali ed isignori romani aderenti alla Francia. III. Che lascerebbe nelle mani di esso re Terracina, Civitavecchia e Viterbo e Spoleti, finchè egli ritornasse da Napoli; spedizione che non era più possibile arrestare, ed accorderebbe per ostaggio di sua fede Ce sare cardinal Valentino di lui nipote ( osservisi non si dice figlio ) , che frattanto per onorificenza verrebbe considerato nella corte di Carlo come legato pontificio. IV. Che per ultimo sua maestà renderebbe al Beatissimo Padre l'ubbi dienza figliale ed il sosterrebbe. In vigore di tal concordato, uscito di castello S. Angelo nel giorno decimo sesto di gennaio del 1495, il Vicario di Gesù Cristopassò nelgiar dino del palazzo Vaticano, dove, inginocchiato dinanzi a non so qual sacro simulacro, stavasene attentamente orando, edaspettando Carlo VIII questi, sebbene d'animoirrugginito versodelPontefice fosse, per lecalun nie in lui susurrategli, nulladimeno appena il rimirò da lungi in tal u mile postura, che mutato ad un tratto d'avviso, esso e i grandi suoi , i quali l'accompagnavano, si tennero per ingannati, quindi deposto ogni rancore, con altrettanto e più di venerazione devota e sincera l'abbor darono e l'inchinarono, checchè ne dicano e blaterino in contrario ine mici d'Alessandro VI , bramosi di sempre più ravvoltolarlo nel fango dello sprezzo e della contumelia. Il gravissimo ed eruditissimo scrittore isicrono al santo Padre , e da Leone X creato poi cardinale, Egidio , ci serva di irrepugnabile testimonianza e malleveria la più fedele di quanto 17 -- 258 asseriamo (Egidius cardin. , in Hist. 20, sec. MS.). Carolus VIII com ▸ moto in Alexandrum animo urbem ingreditur, cum multa audisset › agi, quae minus pastoris sancti officio convenirent; ducitur in hortum • Rex ad Pontificem, quae cum positis humi genibus orantem invenis ⚫ set, ipse, cum proceribus quibusstipatus ibat, attoniti facti, quem prius › oderant , statim amare , observare et venerari coepere, falsis in eum • calumniis se deceptis rati. In questo avvicinarsi al Papa il principe piego due volteilginocchio: maAlessandro VI non volendo che gli rendesse i soliti onori, si alzò, si affrettò a fermarlo e l'abbraccio, non lasciandosi baciare nè lamano, nè il piede. Abbracciatisi, e fattisi adunque i loro complimenti, il re senza perdere tempo fece istanza del cappello cardinalizio pel suo primo mi nistro Guglielmo Brissonetto vescovo di San Malò: cosachefu con subita puntualità concessa. La cerimonia si fece nellacamera diSua Santità, che sali sopra il suo soglio, e a lato di lui si pose il re in una sedia un po' più avanzata. Il maestro di cerimonie fece entrare Brissonetto, il quale baciò le piante e labocca del Papa, da cui ricevette il cappello.Sidice che quando il nuovo cardinale volle ringraziarlo, il SantoPadre rispon desse, che doveva renderne grazie al re; e che allora Brissonetto andò subito a gittarsi ai piedi di sua maestà cristianissima. Dopo ciò corte.. sissimamente si accomiatarono, e ciascheduno redì alle proprie stanze. Frattanto(Contin.delFleury, lib. 118, n. ix, anno 1495) volendo Carlo VIII mostrare al Vicario di Dio, che era disposto a rendergli la sua ubbi dienza figliale, si convenne di prestar quest'atto nel giornodecimo nono di gennaio 1495. Venuto dunque questo dì, fu mandato il maestrodi ce rimonie dal re, a dirgli quello che doveva eseguire in cotale incontro (Raynald, hoc anno, n. iv.- Albinus, De bello gallico, lib. 6). Quando egli ebbe inteso il cerimoniale, cui dovea osservare, ascoltò la messa, e andò a pranzo. Il supremo Gerarca intanto tenne un concistoro, dove andò molto ornato; ed al postutto invio due cardinalicon molti vescovi ad avvertire il regnante. Parti questi per girsene al concistoro in mezzo ad essi, seguito dai principi e dagli ottimati della sua corte. All'arrivo del monarca, il sommo Pastore prese una ricchissima mitra, ed il re fece tre profondissime riverenze, la prima entrando in concistoro, la se conda avanti il soglio del Pontefice, la terza ai piedi medesimi di lui, baciandogli i piè, le ginocchia, e poi lamano.Indi fu sollevatodal Papa, ed ammesso al bacio della bocca. Stando Carlo VIII in piedi alla sinistra del Santo Padre, Giovanni di Ganny, primo presidente del Parlamento di Parigi, si presentò ad Ales sandro VI, e postosi ginocchioni, gli disse, che il re era personalmente ito a rendere ubbidienza a Sua Santità; ma che avanti gli domandava tre grazie. La prima, che confermasse tutti i privilegi, i quali erano stati conceduti al re cristianissimo, a sua moglie, e al Delfino, e tutti gli altri privilegi contenuti in un libro, di cui riferì il titolo.La seconda, che dessegli l'ottata investitura del regno di Napoli. La terza, che si annullasse e abolisse tutto quello che s'era fatto ilgiorno prima intorno -- 259 alle sicurezze ed agli ostaggi, che si erano richiesti trattandosidella re stituzione di Zizim (1). Rispose il Papa, senza smarrirsi punto, alla prima domanda:che con fermava tutti i privilegi, come gli si chiedea, se erano in uso. Alla se conda, che trattandosi del pregiudizio di un terzo, gli conveniva consul tare maturamente coi cardinali; ma che farebbe tutto il possibile per soddisfare all'inchiesta del re, salvo ogni ingiustizia. Alla terza, che non dubitava punto che, conferendo col re medesimo, e coi cardinali, non si accordassero incontanente. Dopo questa risposta il sovrano sog giunse : Beatissimo Padre, io son venuto per render ubbidienza, e far riverenza alla Santità vostra, come accostumarono di fare i miei pre decessori, i re di Francia. Pronunciate queste parole, il primo presi dente, ch'era sempre stato inginocchiato, si levo, ed amplificò quel che aveva detto il re, confermandolo. Alessandro VI rispose ad entrambi in poche parole, e diede al re il ti tolo di suo primogenito. Indi il Ganny, cheerasi ringinocchiato, si alzò, edil Pontefice prendendo Carlo VIII per la mano manca, lo condusse nella camera dei Papi, dove Sua Santità dappoichè si fu spogliatadegli ornamenti suoi, fece mostra di volere accompagnarlo ; ma questo prin cipe nel ringraziò, e ritornò al suo albergo senza essere acccompagnato da niun cardinale. Guicciardini nondimeno pretende che le cose nonandassero di questa maniera; e che desse il Pontefice a Carlo VIII l'investitura del reame di Napoli, malgrado la fede data, e i suoi giuramenti. Cioè scrive egli al capitolo 4º Convennero..... investisselo il Pontefice del regno di Na poli ecc.. Ma questo storico ha preso abbaglio. Una sola osservazione basterà a convincercene. La pretesa investitura, di cui egliparla, portala (1) Nella biblioteca della R. Università di Torino, ricca di preziosi volumi, uno se ne trova degno di moltissima osservazione, che prova l'erudizione di Zizim ed il suo gusto per le materie geografiche, e contiene una lettera manoscritta, e probabilmente autografa di Francesco Berlingheri fiorentino. L'esemplare magnifico di Torino, diversamente dagli altri, porta invece sul fine del ti tolo stampate le parole: Allo illustrissimo Gemma sultan. Qual sia la via per la quale ebbe la Pingoniana quest'esemplare, dalla quale passò alla biblioteca dei duchi di Savoia, non si sa di certo. Ma non cade altronde alcun dubbio sulla genuinità di questo libro, de' suoi accessorii e della let tera riferita, giacchè sul volume medesimo trovasi in una iscrizione nobilissima e di carattere non recente, il passo seguente : Ptolomeus italicus Bysantio advectus e principum bibliothecis ad Pingonianam tandem ex empto pervenit. Forse questo libro restò fra noi quando nel 1489 im barcatosi Zizim in Rodi veleggiando verso Nizza con molti. Turchi del suo seguito per andarsene in Francia, dove giunto, o che si fosse invogliato di portarsi dal duca medesimo di Savoia, che era in procinto per passare i monti, e di Piemonte andare a Ciamberi, o che la peste la quale durava in alcuni luoghi di Provenza, non permettesse di tenere la strada marittima di Marsiglia, fu a dirittura nel principio di quest'anno condotto da Nizza in Piemonte, di dove poi andò in Francia, come dice la cronica manoscritta di Cuveo, che lo chiama Sultano Giaume con queste prole : " Nel principio di quest'anno fu in Cuneo Sultan Giaume, figliodel fu Mahomet II, Gran Signore, " accompagnato da 4) cavalli de' suoi Turchi e da cavalieri Gerosolimitani, dai quali aveva sal vacondotto, ed in Nizza era stato regalato. D'indi si parti per Savigliano per andare dal re di » Francia, o dal duca di Savoia ». (Pietro Goffredo, istoria delle Alpi marittime, lib. xxvi.) 4 260 datadel giorno ottavo di settembre 1494; orciò non fu fuorchè quattro mesi più tardi dell'entrata di Carlo in Roma. Il giorno ventesimo dello stesso mesedi gennaio, festadi S. Sebastiano, risolvette il Papa di celebrare la messa pontificalmente in grazia di sua Maestà. Questo principe, avanti che v'intervenisse, volle pranzare, e il Papa l'attese un quarto d'ora. Andò finalmente con la suanobiltà, senza armi, e le sue guardie restarono fuori della cappella. Il Pontefice fece sedere il re sopra un nudo sedile, sul quale vi era solo un cuscino di broccato. Egli si arrecò ad onore d'assistere il VicariodiDio allamessa; ed egli stesso vi verso l'acqua sulle mani. Era accompagnato in questa cerimoniadai signori di Foix, di Mompensieri e di Bresse. Il signoredi Ligny che dormiva ogni notte nella sua camera, portava unbacino, ed un altro portò un tovagliolino. Questi restò a' piè del soglio del Papa, e consegnò il tovagliolino al re, poi gli presentò il bacile, che fu preso dal re parimente; essendo questo principe salito dov'era il Pontefice, gli versò dell'acqua sulle mani, e fece lo stesso dopo la comunione. Il Suc cessore di San Pietro per lasciare alla posterità la ricordanza di queste due azioni, le quali dinotavano la sommissione d'uno dei primi re della terra verso la Santa Sede, le fecedipingere nellagalleriadi Sant'Angelo, dove ancora presentemente si ammirano. Si legge in un'opera di Giovanni del Tillet, citata dallo Spondano, un fatto che non debbe omettersi inconfutato, di cui niuno degli scrittori coevi fanno menzione veruna; ed è, che il re sia stato dichiarato im peratore di Costantinopoli dal Papa, senza che se ne alleghi laragione. Soggiunge lo Spondano, che avea nelle sue mani una copia dell'atto pubblico, che si trova negli archivi del Campidoglio, in data del sesto giorno di settembre del precedente anno, in prima che il re fosse arri vato a Roma (Jean du Tillet in chronic. Spond. ad anno 1495, n. 2, col quale Andrea Paleologo afferma, lui essere il legittimo successore al trono di Costantinopoli, come primogenito di Tommaso fratello di Co stantino ultimo imperatore, ucciso nell'assedio di quella città e morto senza figliuoli; il quale avendo inteso, aver Carlo VIII redi Francia de signato d'assalire ilTurco, per facilitargli una cosi gloriosa impresa, ce dette per irrevocabile donazione inter vivos l'impero di Costantinopoli con tutte le sue dipendenze, e quello di Trebisonda, aCarlo edai regali suoi successori ; non riservandosi altro che il principato della Morea, o del Peloponneso, cui Andrea suo fratello avea posseduto un tempo par ticolarmente. Orasu questadonazione favolosa vorrebbesi appunto fondare unano vella accusa grossolana contra Sua Santità, che non solamente avesse dato a Carlo VIII l'investitura del reamenapolitano, ma ancoraavesselo proclamato imperatore d'Oriente. Utopia! perocchè quest' affermazione è più marchiana ancora di quella succitata del Guicciardini, e confutata da noi, quantunque il medesimo scrittore s'ingegni ad ogni modo per provare che il Papa non pure si piegò alle esigenze del monarca fran cese, ma che giunse egli persino adichiararlo imperatore di Costanti -- 261 nopoli , quando gli consegnò Zizim. Ed a rincalzo di questa asserzione la quale non si rinviene in veruno storico contemporaneo, egli mette fuori quel documento che consiste in un atto rogatodadue pubblici no tari, ed in forza di cui Andrea Paleologo trasferisce a Carlo VIII l'im pero d'Oriente. Questo brano, dic'egli è stato scoperto dalducadi Saint Aignan, ambasciatore di Francia a Roma nel XVII secolo, ed inviatodal Papa a Luigi XIV. Tuttavia non è meritevole dicredenza alcuna, poichè sappiamo che l'atto di cui si tratta, diligentemente esaminato , è stato riconosciuto apocrifo e falso. Oltre a ciò , sei anni dopo che si sarebbe stipulato questo contratto, Paleologo fece il suo testamento, e legò i suoi diritti a Ferdinando ed Isabella, sovrani di Spagna. Ora è egli da cre dere che avrebbe fatto cotesto, quando avesse inprimad'allora disposto del suo impero? Questa nuova disposizione non avrebbeeccitato riclami per parte dei gelosi sovrani di Francia , e la storia così minutamente seritta dalle suscettibili penne francesi , in quello che ragguarda la na zione loro , non ne avrebbe parlato? Così ragioniamo col savio abbate Jorry in Alessandro VI , e quanto più ci pare un'anomalia la supposta dichiarazione, altrettanto più diritta ci avvisiamo che siane la refutazione. Ma ritorniamo in sentiero. Sorridendo all'impresa di Carlo VIII lusinghevolmente presso che l'u niversa Italia, ed ultimate avendo le sue bisogna col Santo Padre, egli lasciò l'eterna città, dopo avervi stanziato presso che un mese, edurante questo tempo eivisitenne come sovranod'essa, rendendo giustizia e casti gando icolpevoli di sua propria autorità. Cosa che non era conforme alle sue promesse. Il giorno adunque ventesimo ottavo di gennaio 1495, partissene alla volta del regno di Napoli , e parve che il cielo assecon dasse altresì tutti i suoi passi, perchè quel verno fu così dolce, quieto , e sereno, che sembrava una primavera ridente, in guisa che alle falangi franche non riusciva d'incomodo o danno il fare viaggio in quella sta gione. Noi non per anfratti abbiamo condotto il leggente , o con artificiose parole o istudiati pensieri, o rettorici fiori non abbiamo cercatodi allu cinarlo, e di celargli la vita del pontefice Alessandro VI. No , ma con semplice affatto e diritta narrazione gli abbiamo espostanudamente tutta la sua condotta, e attingendo ai fonti stessi non troppo ad esso lui fa vorevoli, eppure ne risulta che l'agire d'Alessandro VI e come pontefice e come sovrano, fu equo e dignitoso verso di Carlo VIII , verso Alfonso di Napoli e degli altri principi italiani. Pertanto non sappiam noi com prendere nè spiegare come autori anche di rinomanzaabbiano taciutoo svisato, confuso quei documenti i quali avrebbero potuto mondare non solo d'ogni pecca lamemoriadel Pontefice romano, mache anzi, riferen doli tali quali sono, nel naturale e semplice loro aspetto, le cose in essi narrate apparirebbero consentanee al vero ed alle dignità del Capo su premo della Chiesa, poichè se ignoranti, doveano erudirsi sulle materie che imprendevano a trattare; se maligni falsari, sfuggir non possono l'onta che eternamente ricadrà sulla fronte loro obbrobriosa. -- 262 CAPO VENTESIMO SESTO. Alfonso re di Napoli abdica a Ferdinando , e muore. Zizim muore nel campo di Carlo VIII; si purga Alessandro VI dall' accusa datagli di averlo avvelenato; Opere di Ferdinando re di Napoli; ingresso trion fale di Carlo VIII in questa città ; Lega dei principi italict onde pre munirsi dalla soverchiante fortuna delle armi francesi; il Papa nega formalmente a Carlo VIII l'investitura del regno di Napoli. Frattanto a Napoli compievasi un avvenimento che dovea aver per lo regno conseguenze molto funeste. Essendo alle orecchie d'Alfonso pervenuti gli accordi pattuiti tra pel Pontefice e per Carlo VIII, ed intimorito dei sintomi di malcontento che si manifestavano palesemente in mezzo a'suoi sudditi; è fama eziandio (se però è lecito tali cose nondel tutto disprezzare) che lo spirito di Fer dinando appari tre volte in diverse notti a Jacopo, primo cerusico della corte, e che prima con mansuete parole, di poi con molti minacci gl'im pose, dicesse ad Alfonso in suo nome che non isperassedi poter resistere al re di Francia, perchè era destinato che la progenie sua, travagliata da infiniti casi, e privata finalmentedi sìpreclaro regno, si estinguesse ; esserne cagione molte enormitàusate da loro, masopra tutte quellache per le persuasioni fattegli da lui , quando tornava da Pozzuolo , nella chiesa di San Lionardo in Chiaia appresso Napoli aveva commessa. Ciò da Alfonso inteso, disperando non meno della fede de'suoi popoli e dei suoi baroni, ai quali era divenuto esoso, che d'ogni altro soccorso, giacchè nè in Lombardia, nè in Toscana, nè in Romagna non aveano le armi francesi trovato impedimento, conobbe che in sì pericolose contingenze tornavagli impossibile il conservare il regno; quindi per poter rimediare in qualche parte ai mali imminenti piegò (Summonte, Istoria di Napoli), come riporta il Summonte , alle esortazioni del Papa e del cardinale Ascanio suo cognato, risolvendosi di rassegnare la corona a Ferdinando suo figliuolo primogenito, e di cercare la propria sicurezza nella fuga. Per questo fece a sè venire il suo segretario Pontano, ed alla presenza di Federico di lui fratello, ed alquanti de'suoi conti e baroni, dettogli, il giorno 23 giugno 1495, un atto di formale abdicazione. Speravasi as saissimo (Guicciard , Istor. d'Ital. Ammirati, Istor. di Firenze) che es sendo questi universalmente amato dai nobili e dalla plebe per le sue lodevoli doti, ben diverse dalle paterne, alla difesa di lui, e del regno tutti concorrebbero. Difatto il riconobbero presto per loro sovrano. In questo Alfonso, abbandonato il trono, improvvisamente se ne uscì da Napoli, tenendo molto segreta la sua evasione, si recò con alcune persone di confidenza al porto, e trovate qui quattro galere, onuste delle sue masserizie di maggiorpregio, vi montò prontamente e fuggissenein -263 Sicilia. Credeva egli continuamented'avere i nemici alle spalle, elanotte svegliavasi gridando ch'essi l'arrestavano. Un soffio d'aria, il romordelle frondi, le pietre stesse, e gli oggetti medesimi i più insensibili , accre scevano ad ogni istante il panico terror suo. Ei guadagnò Messina di Sicilia, ed andò a seppellirsi in un monastero di Monte Oliveto, in cui èfama che vivesse in una maniera edificante, e riparasse alla meglio gli scandali della sua vita passata. Felice se vi conservò quel grado di fede cristiana, essenziale ad ogni virtù, e senza cui tutta l'edificazione che si dà, non giova tranne a quelli che la ricevono! Vi morì il di ciannove di novembre 1495, in età di quarantasette anni. Inteso dal Santo Padre l'interito d'Alfonso, si affrettò fargli celebrare in Roma onorate esequie, non meramente perchè fosse il duca di Cala bria spagnuolo, come il mordace Burcardo gracidava, ma per vero atto di cristiana pietà, ci assicura il veridico Paride Grassi contemporaneo delBurcardo, e cerimoniere anch'esso di Sua Santità, evollesi cantasse nella cappella papale in suffragio dell'anima di quell' infelice monarca una solenne messa da requie (Capo LIV, Dei funerali pei sovrani nella cappella papale). MentreNapoliammirava il suo re deporre ildiademaper coprirsi della cuculla fratesca; e dal soglio al chiostro, dal chiostro alla tomba rapi damente trapassare, contemplava pure nel suo grembo Ferdinando II, il qualenulla ritraendo delle ingiustizie e delle crudeltàdi suo padre, tutto intento lo vedeva a felicitare i suoi sudditi. Appena asceso sull'avito trono, ei mise in libertà tutti i nobili che Alfonso aveva fatto imprigionare, ren dette ai legittimi padroni gli averi che loro erano stati tolti, e rimedió agl' ingiustamente, od arbitrariamente angariati, ed accordo ai Napole tani magnifici privilegi, copiose grazie. Per mala ventura queste savie misure venivano ad effettuarsi troppo tardi. I partigiani dei Francesi si erano di troppo assai innoltrati, perchè indietreggiassero, e nelle file loro si ritrovavano i principali ufficiali dello Stato. Il timore inoltre potè sugli animi assai più che non l'esempio e la generosità del principe. Tuttavia Ferdinando pervenne a raggranel lare uncorpo di sei mila uomini all'intorno, cui pose sotto gli ordini di Gian-Giacomo Trivulzio. segnalatissimo guerriero, e di Nicolò degli Orsini conte di Pitigliano. Poscia condusse la sua picoola armata a San Germano, piazza forte e considerata in allora come una delle chiavidel regno. Nel medesimo tempo egli annunció pubblicamente la risoluzione in cui era di difendere i suoi diritti sino all'ultimo estremo; ed è anche apresumere che se non fosse stata la perfidiae lavigliaccheriade' suoi uffiziali, egli avrebbe fatto una resistenza, se non vittoriosa, almeno ono revolissima. Carlo VIII intese l'abdicazione d'Alfonso inquellache usciva di Roma per marciare sopra Napoli a grandi giornate. Quando quel Zi zim fratello di Baiazette il gran sultano de' Turchi, col mezzo del quale opinavano i Francesi di poter operare maravigliose imprese contra deí Maomettani, e impromettevansi d'impadronirsi di Costantinopoli, venne sorpresoda fiero malore che in brevissimo tempo il trasseal terminedel viver suo infelice. 264 Questa ventura sorprese tutti (Contin. di Fleury, Istor. eccl., an. 1495, lib. 118, n. vi), e divenne il soggetto di troppi commenti, e di piùd'una calunnia: quantunque fosse naturalissimo il pensare che ildisagioavesse abbreviati i giorni suoi. Alcuni dissero, che i Veneziani corrotti per da naro dai Turchi, e intimoriti dalla spedizione dei francesi, gli avessero segretamente fatto propinare il veleno. Altri han sostenuto che cagione d'una così precoce fine del principe ottomano sia stata la trascuratezza di coloro ai quali era stato affidato. Nelle Memorie istoriche dei monarchi ottomani, Sagredo riferisce che Zizim morì aTerracina tre giorni dopo d'essere stato consegnato a Carlo VIII, per veleno propinatogli da Alessandro VI, al quale il sultano Ba iazette aveva promesso a mercede di questo delittouna somma ingente. Guicciardini pretende altresì essere stato Zizim avvelenato ad istiga zione del Papa, e secondo lui, fu a Napoll dovebasìil principe sgraziato. L'opinione più comune (volle anche scrivere il buon Muratori, senza troppo onore al suo gran nome) era, che il Papa l'avesse consegnato a Carlo VIII già col veleno in corpo, perchè la Francia non ne ritraesse vantaggio alcuno, e che Alessandro VI avesse per questo ricevutadaBa iazette una somma smisurata di danaro (Raynald., ad hunc ann. 1495, n. 12); e così dicasi del Giannone. Per contra Corio, d'accordo con Sa gredo sopracitato intorno al luogo ove morì Zizim, dice che la morte dilui fu effetto della poca cura la quale si prese il monarca francese del suo captivo. Ed il Berchastel riporta, leggersi negli annali turchi (Leun clav., lib. 16. Berchastel, ann. 1495, Istor. eccl), che Zizimo fu avvele nato da un ufficiale dei giannizzeri per nome Mustafa, spedito a questo effetto da Baiazette, sotto pretesto dell'annuo pagamento della pensione, eche corse fama ch'ei non l'avesse fatto salvo col consenso delprincipe d'Italia col qual nome il Papa è chiamato fra i Turchi. Ora chi amator del vero oserebbe spacciatamente incriminare il Papa di tale avvelena mento, quando il Fabre anteriore al Muratori d'assai ed attento a mor dere la riputazione di lui, assevera che Zizimo peri di disagio, o che se fu avvelenato, questo maleficio si operò dai Veneziani (1)? Lo stessoBer chastel, acerrimo rivelatore delle magagne d'Alessandro VI, riferisce che gli annali turcheschi accagionano di ciò Baiazetto medesimo, e si limi tano col dire, per legittimare l'azione iniqua, correr fama aver in ciò ottenuto l'assenso del Papa. Domanderemo noi al Muratori si diligente annotatore in altre minuzie; epperchè occulto quelle sentenze cui certo (1) Il lettore si compiaccia di rileggere quello che scrisse il Comines, Appendice 1, numero 11, intorno alla morte di Zizimo , e di leggieri rileverà con quanta premura i Veneziani vigilassero su di questo principe turco, e con quali sforzi e mezzi biasimevoli siansi adoperati per essere i primi ad arrecare a Baiazet la notizia della morte di lui , affine di percepire l'ingente somma promessa. Auri sacra fames ! L'autore dell' Enciclopedia usuale Charles Saint-Laurent troisieme édition, Paris 1845, il quale cérto non è parziale al Papa Alessandro VI, egli alla parola Zizim riporta che corse voce essere stato Zizim avvelenato dal suo barbiere. Non avrebbe mancato questo scrittore imputare al papa la morte di Zizim se l'avesse consegnato al re, avvelenato. -- 265 avea perlemani, giovando questeassaissimo adiscolparneAlessandroVI? Noi non l'intendiamo! ma se non l'intendiamo, sappiamo contuttoció positivamente da Panvinio medesimo, il quale distava pochissimo da Alessandro VI, e per essere napoletano erane accusatore solertissimo, che Zizimo è morto di dissenteria in Capoa (Panvin., in vita Alexandr. VI). Dappoichè noi abbiamo riferito esattamente quanto a difesa d'Alessan dro VI scrissero sulla morte di Zizim autori contemporanei, o vicini aquei dì, ragion vuole che arrechiamo altresì in mezzo quello che a discolpa del medesimo ne riporta Artaud de Montor dappresso alla coscienziosa autorità di Desportes, nella Biografia universale I, 525, il quale si esprime così intorno al nostro soggetto :- •Questo principe infelice morì per › cagione d'una dissenteria, malattia comunissima, e presso che inevi , tabile in un esercito assai numeroso, sotto un clima che eragli estra ▸ neo....; di tutte le accuse risulta un'oscurità che avrebbe dovuto ren ▸ derei copisti più diffidenti, e far osservare a ognun di loro lacautela ▸ del presidente Hénault, che racconta cotal avvenimento come un ru ▸ more pubblico, e non lo dona punto come un fatto positivo. , • La vita di Zizim diveniva preziosa per chiunque doveva temere i Turchi. Alessandro, più d'ogni altro, sapeva che era utile alla Santa Sede ed alla Francia il conservare un tale ostaggio. Chi poteva mai ignorare che questo ostaggio venendo a morte, Baiazetto, nonostante tutte le sue promesse, non sarebbe ad esse fedele, poichè la sua religionetoglievagli quasi onninamente qualunque scrupolo per l'esecuzione de' trattati coi cristiani ? Noi non cercheremo, no, ad iscusare Alessandro in altre cir costanze: ma in questa egli debbe esser difeso. Carlo marciava sovra Napoli, e ad ogni modo dovea egli ripassare per Roma, e ritrovare il Papa. Carlo il lasciò ad Orvieto, perchè non giudicò decente l'inseguirlo. S'esso avesse voluto impadronirsi della persona del Beato Padre poteva riuscirvi. Emergerebbe in questa consegna di Zizim avvelenato, unacom plicazione offensiva, un insulto di più, un mancamento formale ad uno de' più importanti articoli del trattato. Non venne, no, Zizim avvelenato: questi morì di fatiche, di dolore, di cruccio, di collera, vedendosi trasci nare dietro ad un'armata che, alla fin fine, se la espedizione di Napoli avesse riuscito, doveva poi marciare contra di Costantinopoli ; un'armata nella quale ciascheduno di leggieri comandava a suo libito, benchèavesse le viste d'esser diretta da un solo capo, il re di Francia, principe gio vane, e governato da ambiziosi dei quali uno aspirava fino alla tiara. Questi era un personaggio di grande saviezza; ma il più savio talora non può evitare i falli. • Da ultimo , Baiazet era liberato dalla paura che gl'inspirava il suo fratello e dichiarava la guerra ai Veneziani. Alessandro (e questa è una prova di sua innocenza in questo affare) prese la difesa dei Veneziani, e minacciò Baiazet di una guerra generale dei cristiani contra l'impero turco. • Si cicalerà, che vi regnava intelligenza tra pel Turco e pei ministri di Roma? Sorgonvi impossibilità, e nonbisognamaicrearsi de' fantasmi, 266 altrimenti si sdrucciola negli assurdi. Baiazet sospese i suoi preparativi della guerra , e si contentò di gioire della morte d'un suo rivale, che d'altronde, dall'istesso diritto pubblico degli effendi, non avea niuna ra gione di rivendicare la corona, perocchè i Turchi vittoriosi colla scimi tarra in pugno, certo che nè favorivano, nè partecipavano alle idee dei Greci abbattuti. •Checchè nesia, Baiazet aveva potuto interrompere i suoi preparativi; ma il genio di sua nazione non permetteva punto al lei capo un lungo riposo. Le congiure locali , e sopratutto quelle delle milizie, esigevano imperiosamente che il principe facesse la guerra. Baiazet si decise ad aggredire i cristiani , ed espugnò a danno dei Veneziani Modon , città della Morea. •Alessandro eccitò da capo i cattolici a mostrare più d'unione e più di zelo per la religione. Egli si avanzò infino a dichiarare, che se il re di Francia, od il monarca di Spagna si poneva alla testa della crociata, il Pontefice ne farebbe parte esso medesimo . Così Artaud deMontor. Or perchè mai tutti cotesti scrittori sono così divisi intornoad unav venimento , il quale pure dovette fare assai impressione quand'esso av venne? Non saremmo quasi tentati a dire che ognuno di essi abbiavo luto coniare la storia a suo talento? Per non dipartirci dal vero, noi conchiuderemo che la fine di Zizim non debbe essere attribuita nè a ve leno, nè a cattiva volontà del re di Francia. Se noi crediamo alle cro nache del tempo, le quali ci sembrano essere ben più degne difede che non i racconti del Guicciardini, del Muratori, delGiannone, del Sagredo, del Corio e dello sfrontato giornalista Burchard , Zizim era un principe vile, corrotto, che passava igiorni e le notti nelle tresche e nei bagordi. Consunto dal vizio, non conservava più che un debole soffio di vita. Allorchè fu dato nelle manidi Carlo VIII, lasua sanità già logora, prese ungrande tracollo per lo mutamento di luogo, per lo strapazzo del viaggio e per li dispiaceri della solitudine e della cattività. In questo stato, ei fu colto all'improvviso da una crudele dissenteria, cheaggiunta alle cause or ora da noi accennate, portosselo in pochi giorni. Del rima. nente si possono consultare sopra questo fatto le sagge ricerche pubbli cate novellamente dal dotto de Matthias celebre critico romano, dove si trova solidamente provato il quidetto da noi, esmascherata interamente la menzogna di Giannone, che fa il Papa autore dell'attossicamento di Zizimo (Audin, Hist.de Leon X, tom. 1, pag. 299). Sappiamo ancora da una lettera di Baiazet volgarizzata) (lib. 2, Epistolarum principum), che costui avea promesso 300 mila talentid'oro a chi avesse sbarcato suqua lunque spiaggia di sua dizione il cadavere di Zizimo, e che in essa per nulla s'incolpa il Papa di similnequizia, di che non avrebbero trascurato di notare gli autori dell'opera citata Vita e gesta dei S. R. Pontefici , in Alessandro VI (1). (1) Vedi l'Appendice iv, in fine di questo capitolo. Il Fleury, lib. 116, n. cxix, an. 1490, rac conta come Baiazette col mezzo d'un certo Cristoforo Macrin al quale aveva promesso ingenti ric -- 267 Il tempo non avea per anche mitigato questapiaga nel cuore delmo narca gallo, che altro avvenimento disgustoso venne ad esacerbarla. Ap pena era egli giunto a Velletri si accorse , scrive qui il Muratori , che Cesarecardinal Valentino figliuolo d'Alessandro VI, alui dato perostaggio, improvvisamente se ne fuggì e ritornossene a Roma (1). Dal che tanto più rimase accertato il re dell'astuzia e della poca fede del Papa. Pare proprio che il Muratori imprenda a pungere il Pontefice tutte le fiate che bene o male se gliene presenta il destro, senza assumersi l'incarico che nell'accusare od aggravare svantaggiosamente un fatto, gli incumbe. Il Continuatore del Fleury (Contin.del Fleury, lib.118, ann. 1495, n. 1), sebbene sia travagliato dal prurito in quei di comune a tutti gli oltra montani, di lacerare la fama d'Alessandro VI, nulladimeno si appagadi moderatamente insinuare: che forse non avea dispiacere di vedersi in quel modo liberato dall'osservare o no , il trattato che avea conchiuso con Carlo VIII . Certo che se ciò fosse avvenuto per mala fede d'Ales sandro VI, questo scrittore non avrebbe mancato di rilevarlo per anne rire la fama del Papa, e gliautori cui teneva apposè, ilComines (Mém. de Comines, lib. 7, c. 12) e La Vigne (LaVigne, Journal des voyages de Charles VIII), essendo coetanei a questo monarca e suoi caldi partigiani, oltre all'essere ben istruiti del vero , non avrebbero mancato di biasi marne SuaSantità. Ora non avendo il Continuatore delFleury avventato cotale sfregio sulle guancie d'Alessandro, il che certo non avrebbe om messo, se fossegli constata la certezza della connivenza del Papa nella fuga di Cesare; sarà egli degno di scusa il Muratori che toglie così oc casione per raumiliare il Santo Padre imputandogli senza prove un'a zione personale del Valentino? Noi saremmo stati più riguardosi! Pro seguiamo. La marcia dei Francesi verso la capitale del regno di Napoli fu im prontata da eccessi d'ogni ragione. Le piazze di Montefortino e di Monte San Giovanni furono prese di viva forza dopo alcuni giorni d'assedio. Il re temendo non forse il nemico gli tagliasse la strada alla capitale, lasciò tutto ad un tratto il campo di San Germano, e ritirossi verso il meriggio. L'armata gallicana avanzò sì rapidamente, che Ferdinando II facendo la sua ritirata, fu costretto ad abbandonarle una parte di sua artiglieria. Giunto a Capoa, egl'intese che Napoli era teatro di discordie. che richiedevano tosto la sua presenza. Rimesso adunque il comando delle sue soldatesche a Trivulzio , vi si recò in tutta fretta, sperando di arrestare la sedizione, e di tosto ricomparire alla testa della sua piccola armata; ma avea egli a mala pena lasciato il campo, che il suo gene chezze ed onori maravigliosi , aveva tentato d'avvelenare il Papa Innocenzo VIII e Zizimo; ma costui appena giunto in Roma essendo stato scoperto con li suoi numerosissimi complici , convinto econfesso, fu condannato a morte. (1) Noi nell'Appendicem, numero 11, abbiamo rimarcato dietro all'autorità del Comines , che Zizimo premori alla fuga del Valentino : perciò anche in ciò cogliamo in fallo il Muratori. ۱ -268 rale, venendo a patti con Carlo VIII, consegnò in mano a questo prin cipelapiazza, e si acconciò sotto le bandiere di lui. Questo vile ed indegno tradimento decise della sorte del regno. I Napoletani, che parteggiavano giàdagrande pezza pel redi Francia, non dissimularono più le loro intenzioni. Ogni resistere da parte di Fer dinando II diventava oggimai impossibile. Il principe andossene a Ca stelnuovo, e raunati quelli tra li suoi sudditi che non aveanlo abbando nato, spiegò loro i motivi dai quali erasi lasciato condurre al trono, espresse loro qual vivo dolore sentiva di non averpotuto riparare imali cagionati dall'amministrazione dei suoi predecessori, sciolse isuoi popoli dal giuramento di fedeltà cui gli avevano da così pochi mesi prestato, e permise ad essi di venire a trattati col monarca francese per la sicurezza loro particolare, e per la conservazione dei privilegi loro. Sentimenti tanto generosi mossero tutti i cuori; ma la speranzad'ar restare il torrente che ingrossava era svanita. Il re temendo chegl'insorti napoletani non si impadronisserodi lui perdarlo nelle mani di Carlo VIII, abbandonò la città accompagnatoda Federico suo zio, dalla regina usu fruttuaria di Napoli , vedova di Ferdinando I, e da Giovanna figlia di costei. E' s'imbarcò per Ischia, piccola isoletta situata a trenta miglia dalla spiaggia, e rassegnandosi alla volontàdel cielo, fu inteso con santa filosofia ripetere col salmista : Se il Signore non custodisce egli la città, invano fanno gli uomini i loro sforzi per difenderla › . Ma quanto più infelice fu l'impresa di Ferdinando II, altrettanto più arrise a Carlo VIII la sua.Non immoreremo noi qui a descrivere questi fortunati successi del monarca francese nellaconquistadi Napoli, il quale attraversata grandissima parte d'Italia pressochè senza ostacolo e senza trar la spada, giunse fino alle porte di quella città. Niuna impresa di guerra ebbe mai con sì poca virtù di chi la fece, esitosì rapido e sì fe lice, infino da parere favoloso. Perciocchè essendo il Re Carlo partito di Lione sulla fine dell'estate del 1494, entrò il 21 o 22 febbraio 1495 del seguente anno, prima che l'inverno finisse, in Napoli, frammezzo alle grida di gioia d'una moltitudine accecata, cavalcando un corsiero bianco, vestito degli abiti imperiali, colla corona in capo, col globo d'oro nella destra, e collo scettro nella sinistra, sotto unbaldacchino portatoda' più grandi signori della contrada, e gridando il popolo: viva l'imperatore augusto. Coloro medesimi i quali furono dai principidella casa decaduta ricolmi di più benefizi, furono i primi aporgere segni d'adesione al no vello imperante. Ma che altro si può aspettare da anime venali e da piaggiatori, se non seingratitudine? DappoichèCarlo ebbe rendute grazie aDio innanzi all'altare della cattedrale, fu condotto a Castel-Capuano, antica residenza dei principi Angioini, attesochè Castelnuovo affidato da Ferdinando alla guardia del marchese di Pescara, Alfonso d'Avales, non era per nulla disposto ad arrendersi. I baroni napoletani vennero a sa lutare il re. In nome delle province edelle città più discoste!, a riserva di pochissime piazze, le quali si tennero per gli Aragonesi (Mém. de Co-- mines , lib. 7. La Vigne, Journal des voyages de Charles VIII. Ap. Daniel , Hist. de France. 269 Guicciardini , cap. 36, e Porcacchi pag. 5), giunsero deputati portandogli a gara le chiavi della città e fortezze, per sottomettersi all'autorità di lui. Da ultimo, in capo a soli tredici giorni dopo la partenza di Roma, Carlo VIII veniva riconosciuto e proclamato re di Napoli. Così per le discordie domestiche, veniva meno la saviezza tanto famosa di molti dei nostri principi , si alieno con sommo vitupero e derisione della milizia italiana , e con grandissimo pericolo ed ignominia di tutti, una preclara ed importante parte d'Italia dall'impero degli italiani, pas satasotto il dominio di gente oltramontana; poichè Ferdinando il vecchio, sebbene nato in Ispagna, nondimeno infino alla prima sua gioventù era stato o qual figliuolo di re o come sovrano continuamente in Italia, e i figliuoli e nipoti di lui tutti nati e cresciuti a Napoli, il cui unico regno essendo indipendente, erano a ragione riputati italiani. Questa nuova fu da diversi principi d' Italia variamente sentita. Ales sandro VI sopra untale avvenimento che il riguardava per nulla, tenne silenzio. Appena, appena così per facezia disse quandochessia : i Fran cesi hanno corsa l'Italia quant'ella è lunga con isperoni di legno, e ne fecero il conquisto con del gesso . Alludendo al costume degli ufficiali di questa nazione, i quali, nelle loro scorrerie acavallo, si servivanoper isperoni di pezzi di legno aguzzati , ed all'uso del gesso che facevano i marescialli d'alloggio dell'esercito per segnare le case, ove si dovevano ridurre i soldati. Rimaneva a sottomettere le due più forti rocche della città; il Castel Nuovoed il Castello dell'Ovo. Il primo si arrendette dopo tre giorni di assedio, ma l'altro fece più lunga resistenza. I Francesi furono obbligati abatterlo in breccia per più giorni, ed a condurresotto le murad'esso tutta la loro artiglieria. Finalmente dopo un cannoneggiamentonon in terrotto di tre giorni e tre notti, durante i quali, fu lanciata nella for tezza una quantità spaventevole di palle, la guarnigione capitolò il 13 di marzo, e si arrese a condizione di potersi ritirare dove meglio giu dicherebbe. In mezzo a questi trionfi il re vittorioso non era però tran quillo. Ferdinando II, tuttochè avesse guatatodal propugnacolo d'Ischia la sua regale città darsi ai Francesi, e sulle altere di lei torri svento larvi l'inalberato francese vessillo, avea dato prove tali di coraggio e di risolutezza, ond'era ben a credere che la prima occasione gli si presen tasse di ricuperare gli Stati suoi, non l'avrebbe certo lasciata sfuggire. Carlo adunque fece chiedere a Federico, zio del giovane re, un abboc camento a Napoli, e gli propose per lo nipote eper tutta la famigliadi lui dei magnifici dominii in Francia, se Ferdinando consentiva a cedergli i suoi diritti al regno di Napoli. Federico rispose: sè conoscere assai bene il pensare del principe intorno a cotesto, e poterlo assicurare che nondarebbe giammai il consenso ad un baratto di tale natura. E dopo una seconda conferenza niente più conchiudente della prima , Federico uscì della città, e si ridusse da capo presso l'esule illustre, il quale l'at tendevaad Ischia, impaziente d'assapere l'oggetto, ed il risultato di questo convegno, --270 Ferdinando, come si era preveduto, da quel punto tutto si volse con un'ammirabile attività ad avvisare e studiar i mezzi da rientrare ne'suoi Stati. Lasciando il suo ritiro, fece vela per la Sicilia. A Messina trovò suo padre, ed insieme si consultarono intorno alle disposizioni da pren dersi più acconce a rilevare la fortuna loro decaduta. E fu stabilito di mettere in opera ogni cosa per impegnare il re di Spagna a pigliare a cuore lacausa loro, e di questa missione fu incaricato Bernardo Bernaudo segretario della corona. Il re di Spagna avea sopra il regno conquistato dai Francesi dei di ritti per lo meno tanto valevoli quanto quellidi Ferdinando e suacasa, poichè desso era legittimo erede d'Alfonso I re d'Aragona, di Napoli e di Sicilia, attesochè Ferdinando I, avolo d'Alfonso II e primo re diNapoli, non ne era che il figliuolo naturale. È ben vero che quest'ultimo ne avea ottenuta dasuo padre l'investitura, e che ilre di Spagna si era da bella pezza adattato a questo smembramento. Ma quanto lapotenza del ramo di Napoli era in basso caduta, altrettanto erano cresciute le forze e le ricchezze di quello di Spagna, il perchè poteasi temere non si de stasse il principe ispano, che n'era capo a quei giorni, a rivendicare di ritti cui egli avea infino alloranegletti. Comunque ella sia, la negozia zione portò l'effetto bramato da Fernando II e da suo padre. Impertanto Ferdinando il cattolico, re d'Aragona e di Sicilia, non solo non si tenne pago d'avere mandati a Carlo VIII ambasciatori con pro teste di guerra, ogniqualvolta intendesse egli molestare il re di Napoli, maancoraspedì appresso in Sicilia Consalvo Fernandez di Cordova, chia mato il gran capitano, con sei mila fanti e seicento cavalli, ingiungen dogli di vegliare agli andamenti de'Francesi, e di opporsi loro : chè non potea unquemai piacere al sovrano aragonese d'avere un sì potentene mico confinante al suo regno di Sicilia. La rapida prosperità del monarca gallo impensieri parimente e sba lordi i principi itali, generando nel cuor loro non lievisospetti, che quel regnante venuto in Italia sotto pretesto di portare le armi contra il Mu sulmano, aspirasse unicamente ad imporre il giogo a tutti gl' Italiani. Per rintuzzarlo adunque validamente, nell'Italia settentrionale si ideò una lega imponente tra diversi Stati della Penisola, de' quali furono i più possenti i Veneziani, Massimiliano I imperatore, Ferdinando ed Isabella re di Spagna, e Lodovico il Moro più d'ogni altro istigatore principale della spedizione francese (Comines, lib. 7, сар. 15. Daniel, pag. 159), fu ora il primo autoredi questa unione, a cui iprincipi confederatidie dero il nomepiù o meno legittimo di lega santa. Lodovico Sforza il quale non avea avuto altro fine nel condurre in Italia il re Carlo VIII con tanto apparato, salvo che d'occupar in mezzo a questo incendio ilducato di Milano colla depressione e morte del nipote , ottenuto appena il suo intento, non che pensasse a facilitare ed assicurare ai Francesi il con quisto di Napoli, egli avrebbe voluto che in Toscana e Romagna tro vassero impedimento all'impresa (dunque il Papa non avea concorso secolui a sollecitare Carlo VIII alla calata in Italia), e che fra loro e gli -271 Aragonesi durasse con incerto esito lungo contrasto (Denina, Rivol. d'I talia, tom. v, lib. xix, cap. I). Soleva ancora vantarsi per mezzo dei suoi ambasciatori (Guicciardini, pag. 46), presso il senato di Venezia, ed altri principi italiani, che in sua mano stava il rimandaroltre monti i Francesi, qualunque volta gli fosse agrado. Ora vedendo con quanta facilità si fosse Carlo insignorito del regno colla fugadegli Aragonesi , i quali per gelosia del nipote impa rentato con loro avrebbe voluto abbassati, ma non esterminatidel tutto, un nuovo motivo sottentrò alla prima paura; e cominciò a pensare se riamente aquanto pericolo sarebbe egli ridotto, se i Francesi divenuti in breve tempo si potenti in Italia, avessero suscitato le ragioni della Casa d'Orleans sopra lo StatodiMilano, comediffatto Lodovico duca d'Or leanspadrone d'Asti già leelevava; cotalpensiero avrebbedovuto ritenerlo fin da principio dal chiamare in Italia quella nazione, come arroge il Muratori (Muratori, Annali d'Italia, quest'anno). Non era però l'esercito francese ancora uscito dalla Toscana , nè pas sato aRoma, che già lo scaltro e tristo Lodovico ravvedutosi di suaba lordaggine , ed accortosi di essere stato beffato dai Francesi (nè si me ritava costui altro guiderdone) (Muratori, ibid.), ruminò tra sè sul modo di tagliare al re la ritirata dal lato di Francia, quindi find'allora aveva cominciato a sollecitare i Veneziani a prendere le armi, e provvedere alla salvezzacomunedegli Italiani. Nè quel prudentissimo senato, il quale consommaed esquisita diligenza avea mostrato di star neutrale fra le potenze guerreggianti, potea veder con lieto animo tanto ingrandimento della corona di Francia, massimamente allorchè inteseche ilre riteneva in poter suo le fortezze di Toscana tolte a'Fiorentini, ed aveva lasciato presidio in Siena e in molti altri luoghi della Chiesa, trapeltradimento deibaroni romanicontrad'Alessandro VI, eperla coartazioneda Carlo VIII usata colle armi in manoallo stesso Papa. Il chedavaacrederech'egli non fosse per restar contento al solo acquisto del reame di Napoli. L'evidenza adunque del pericolo fece essere assai diligenti a stringersi in lega que potentati italiani. EdAlessandro VI, in degnato della cattiva fededi Carlo, il quale di tante promesse fattea lui neppure una ne mantenne, non osto a quest'alleanza. Ma sebbene i Fio rentini per la speranza di riavere più presto le fortezze consegnate ai Francesi, il duca di Savoia per esser stata la duchessareggente costan temente di genio francese, non avessero voluto entrare nella lega, ed aderire alla convenzione, ancorchè ne siano stati instantemente ricercati; tuttavia questa confederazione fu la più formidabile che fossesi unquemai veduta fino a quell'evo in Europa, ed il nome della Chiesa serviva a molti di pretesto anegare gli aiuti promessi ai Francesi, od a seguitar la parte contraria. Siffatta alleanza trattatain Venezia ilgiorno trentesimo primodimarzo del 1495, venne pubblicata alcuni di dopo, nellaquale si proponevano tre fini; primo di difendere la religione contra i Turchi, perciò fu detta santa; secondo di mantenere la libertà d'Italia; terzo d'impedire che la -- 272 Francia intraprendesse cosaalcuna contra gli stati de'principi confede rati. Diedesi per conseguenza ognuno degli alleati ad accrescere le sue genti di armi, che il Panvinio (Panvin., in vit. Alex. VI) fa ascendere aquaranta mila uomini nel suo totale, di cui Francesco Gonzaga si gnore di Mantova fu dichiarato capitano generale dai Veneziani. D'altra parte i Napolitani cominciavano a stancarsi del soggiorno dei Francesi nella loro città. I principali signori del regno, invece di otte nere quei favori che aveano sperato in ricompensa dellapronta loro sot •tomissione, furono cassi d'ufficio, e spogliati delle loro tenute, le quali, tranne poche eccezioni, divennero la porzione dei generali e dei corti giani del redi Francia. I soldati dispersi nelle diverse province si met teano sotto dei piè e decenza e onore ed umanità. Dovunque, sussurri e mormorazioni ; gli animi bollivano. Pergiunta, la formazione della lega santa era ben tale, da mettere in pensieri il principe. Egli comprese come tra breve non aveva più a fare assegnamento alcuno sopra i suoi alleati, che la ritirata era necessaria , e che altro più non gli rimaneva salvo aprirsi un varco apunta dispadaattraverso l'Italia. Tuttavolta, per quanto dolorosa fosse la situazione sua, ei non volle partire, senzadap prima farsi incoronare solennemente re di Napoli. Egli tentò adunque e con promesse e con danaro disvelleredallacon federazione formatasi contra di lui il papaAlessandro VI, egli fecechie dere ancora una volta l'investitura e la corona. Ma potea forse il Pontefice accordare a Carlo VIII, mentre oggimai il vedeva vicinvicino adiventarfuggiasco, quello che aquestoprincipe avea dinegato mentre era trionfante? Benedetto nel suo Fatto d'arme del Taro scrive che il Papa ricusò assolutamente di accondiscenderealladomanda del re di Francia, il quale in conseguenza minacciollo di mettere asoq quadro l'Italia e gli Stati della Chiesa. Le relazioni degli annalisti fran cesi confermano quelle degli autori italiani. Andrea De la Vigne che ha compilato di giorno in giorno tutti i par ticolari della spedizione francese, non parla nè d'investitura , nè d'inco ronazione. Al postutto la ritirata di Alessandro VI , quando Carlo VIII entrò la seconda volta in Roma, non diventa un ultimo argomento che il Pontefice non si arrendette menomamente al desiderio del monarca. Oranon possiam noirendercicapacicomesorgano certi scrittori italiani abiasimare Alessandro VI per avere acceduto a questa lega italiana, coll'unico scopo di tutelare e salvare l'Italia, la quale certo non avrebbe sì di leggieri potuto risorgere dal suo abbattimento senza che vicon corresse il sovrano di Roma piùcollasua forza morale, che colla fisica. Se fossesi Alessandro VI mai sempre mostrato ligio al re francese, se l'avesse invitato a scendere, se spontaneamente avesse a questo aderito quando in Roma entrò Carlo VIII, se avessegli dato l'investitura del reame napolitano ripetutamente e caldamente da questo a lui richiesta, avrebbero quegli uno specioso appiglio di pungere il Papa; ma avendo noi recisamente mostrato, come consta dalla chiara narrativa che Ales sandro VI nè invitò iGalli, nè si diè ligio per essi, che anzi dissuase -- 273 Carlo VIII di venire nella nostra Penisola, si dichiarò alui contrario a pertamente, nè convenne seco lui se non quando si vide forzato pel tra dimento de' suoi feudatari, per le comminazioni del monarca francese, a cui non volle acconsentire unquemaid'investirlo di quella corona adanno degli Aragonesi; non veggiamo la ragione delle acri censure mossegli contra, invece d'attestargli gratitudine pel suo zelo coraggioso e prov vido al nostro salvamento. Si lascino cotali quereleagli scrittori di oltre monti la cui suscettibilità venne scalfita; ma noi appalesiamoci giusti e riconoscenti al genio d'Alessandro VI, che di spagnuolo seppe diven tare veramente italico. APPENDICE IV. Nella curiosa raccolta delle Lettere di principi , le quali si scrivono o da principi o ai principi, o ragionano di principi, formante tre volumi divisi in libri tre, di copiosissime paginecaduno: raccolta fatta dai Fran cesco, e Giordano, eGirolamo Ruscelli, e Ziletti, e stampata in Venezia nel 1575 daGiordano Ziletti con massima diligenza, dadivenirne un do cumento preziosissimo agli studiosi della storia: libri dedicati distinta mento a tre più illustri pirncipi o per pietà, o potenza, o valore di quel tempo. Or in quest'opera diventata rarissima , e da noi con solerzia at tenta disaminata, abbiamo trovata la lettera riferita per autentica, scritta dal sultano Baisait, ovvero Baiazet a Papa Alessandro VI (lib. II, pag. 3), la quale riportiamo fedelmente; in questa adunque così si legge: • A PAPA ALESSANDRO SESTO. • Sultan Baiasit, figliuolo di quattro sultani di Latheath Cham, per la Dio gratia imperatore, et signore dell'Asia, etdella Europa, etdelle loro marine, al Padre nostro , signore di tutti i christiani , papa Alessandro Sesto, per la Dio gratia della Romana Chiesa degno Pontefice , dopo la debita et humana salutatione, di buono animo et puro cuore, signifi chiamo alla Vostra grandezza , come per Giorgio Bozzardo servitore et nuntio di Vostra potenza, havemo inteso della buona convalescenza di quella, et così quello , che ne ha riferito da parte di Vostra grandezza. Del tutto me ne sono allegrato, et presone gran consolatione. •Fra le altre cose mi ha riferito, come il re di Francia è inanimato di prender Gem nostro fratello delle mani di Vostra potenza: che saria molto contralavolontànostra: etVostra grandezzane haveriagrandissimo danno etmancamento, et tutti i vostri christiani ne patiriano detrimento. • Però insiemecol sopradettoGiorgio habbiamo pensato, che per riposo et utile di Vostra potenza, et per mia gran satisfattione, saria bene che detto Gem nostro fratello, il quale ogni modo è soggetto alla morte, et sta in pericolo d'esser tratto dalle mani di Vostra grandezza, li fosse 48 -- 274 fatta accelerare la morte: la quale a lui saria lavita, et a Vostra potenza utile et riposo, et a noi di gran contento. Etper questo si contenterà la Vostra grandezza di compiacerne, che detto Gem sia levato di travaglio in quel miglior modo che parerà alla Vostra grandezza, et traslatata l'a nima sua nell'altro mondo, dove havrà miglior quiete. • Il che facendo adempiere Vostra potenza, ci mandi il corpo suo in qualunque luogo delle marine nostre di quà: chè promettiamo, sotto la fede di sultan Baiasit Cham , di mandarvi in qualunque luogo piacerà alla Vostra grandezza ducati trecento mila d'oro, acciocchè la Vostra potenza di essi ne faccia comprare qualche podere ai suoi figliuoli. Il qual danaro farò consegnare a quella persona che ordinerà la Vostra grandezza, avanti ne sia dato: poi alli nostri debba essere consegnato. •Ancoraprometto allapotenza Vostrabuona etgrande amicizia, senza alcuna fraude et a quella fare tutte quelle gratie et piaceri, che ne sarà possibile. Ancora prometto alla potenzaVostra, cheper noi, nè per alcuno del nostro paese, non sarà dato impedimento, nè fatto altro danno ai christiani, di qual sorte o conditione si siano, nè per terra, nè per mare: eccetto se non fosse alcuno che dannificasse noi, o altri del paese nostro. « Et per più satisfattione della grandezza Vostra, acciocchè quella ne sia ben sicura , et senza alcuna dubitatione di quello tutto che disopra le promettiamo, habbiamo giurato et tuttofermato inpresentia del sopra detto Giorgio, et per lo vero Iddio, il quale adoriamo, et sopra li nostri veri evangelii, di osservare alla potenza Vostra, nè in alcuna cosa man carle, senza alcun fallo, nè inganno quanto gli promettiamo. • Et ancora per più assicurare Vostra grandezza, acciò nell'animo di quella non resti alcuna dubitatione, ma sia certissima, et così di nuovo, io sopradetto sultano Baiasit Cham, giuro per lo vero Iddio che ha creato il cielo, et la terra, et ogni altra cosa, et nel quale crediamo et l'ado riamo, che facendo fare la potenza Vostra, quanto di sopra lehabbiamo richiesto, prometto per tutto il giuramento di osservare tutto quello, che di sopra si contiene, et in altre cose mai noncontrafare, nè contravenire aVostra grandezza. • Scritta in Costantinopoli nel Claro palazzo. •Adì 12 di settembre мсссссии. • Sultan BAIASIT . Questa lettera è l'unica che noi nei tre succitati volumi abbiamo in contrato diretta ad Alessandro VI, nè pure abbiamo trovato niuna epi stola di questo, rivolta a qualche sovrano, o principe, o scritta in nome suo da qualche suo ministro, il che certo non avrebbe tacciuto l'accu rato editore di riprodurre. Le ragioni che l'indussero a divulgare questa, spinto altresì l'avrebbero a pubblicare le altre se pure avessero esistito. Perciò dirittamente arguiamo, se Alessandro VI avesse operato il preteso avvelenamento di Gem, o trattato col Turco di venire in suo soccorso contro al re di Francia, sicuramente sarebbesi tra loro carteggiato , e questo carteggio d'entrambe le parti sarebbesi rinvenuto e renduto coi 275 tipi di pubblica ragione. L'assoluto difetto di esso, nonostante lagravità del negozio, ed il prurito acre di divulgare quanto torna ad infamiadei Borgia, provano abbastanza chiaro che gli avversarii, sebbene si man gino il cuore, non ponno in verun modo saziarela foia loro diprodurre argomenti contemporanei e perentori, da render probabile l'opinione loro. Questa lettera del sultano Baiazet, in data del 1494 addi 12 settembre, lungi dal provare che abbia Alessandro VI aderito ai desiderii di costui, anzi le stragrandi offerte e lusinghiere promesse cui fecegli lo stesso per indurlo a torre di vita Gem, dichiarano che da ciò era alienissimo l'a nimo del Pontefice, e se vi avesse dato ascolto non ne avrebbero fatto si lenzio le istorie isicrone, come abbiamo superiormente osservato, e sopra tutto gli annali maomettani a caratteri indelebili avrebbero registrato questa compiacenza crudele e debolissima del capo del cristianesimo a favore del loro sultano.(Veggasi avanti, capo xxvi). CAPO VENTESIMO SETTIMO. Partenza di Carlo VIII da Napoli ; Alessandro VI si ritira da Roma; battaglia di Fornovo ; dubbia la vittoria per entrambe le parti; pace stipulata da Carlo VIII coi confederati ; rientra in Francia in quella che Ferrante riacquista Napoli pei soccorsi datigli da papaAlessandro. Carlo VIII, ebbro d'una fortuna fin allora non interrotta mai, che non avea governato, scrive Artaud di Montor, con saviezza il reame conqui stato , invece d'attendere ai mezzi di conservarselo, come Annibale, si abbandonò alle feste ed alla gioia. I falli cominciano sovente all'indo mani d'un trionfo. Egli in quella che logorava i suoi dì in lascivie, ba gordi, festini, viziando (Comines, Mem., lib. VII, VIII) con sè i suoi cava lieri e soldati, aggravava di balzelli, ed opprimeva di contribuzioni gli abitanti. Intese le novelle dellalega italiana, e degli apparecchi che con seguentemente facevansi in Lombardia, ne senti inquietudine smoderata, ed arse in lui e ne' suoi baroni il desiderio cui già avevano cocentissimo di redire in Francia. In prima nulladimeno di partirsene egli aveva con calore e con minacce invocato l'investitura dell'acquistato regno dal su premo Gerarca; ma deluso nel suo tentativo, risolvette allora far senza d'una formalità che non gli era dato ottenere. Pertanto il giorno dodicesimo del mese di maggio rifece nella città di Napoli la sua entrata pubblica e solenne in qualità di re di Francia, di Sicilia e di Gerusalemme, accompagnato dai più ragguardevoli signori francesi e napoletani, e da parecchi baroni di diversi Stati d'Italia. La corona in capo: alle spalle l'imperiale paludamento: nella destra una palla d'oro, orgoglioso emblema della sovranità universale, e nella manca lo scettro da re. Così incedeva egli sotto un prezioso baldacchino sor retto da alquanti ottimati napoletani, mentre che alcuni adulatori salu -- 276 tavanlo col nome di Cesare Augusto (Idem, ibid.- Albinus , De bello gallico, lib. 6, pag. 135. Mariano, Hist. Hisp., lib. 26, c. 7 et9); ilduca di Montpensier innanzi , come luogotenente generale e vicerè degli Stati conquistati recentemente. Il monarca scavalcò allacattedrale, appressossi all'altare , e giurò di guardare intatti i diritti ed i privilegi dei novelli suoi sudditi, i quali per loro canto gli prestarono giuramento difedeltà. Quest' ovazione così trionfante e lusinghiera , che non era mai stata conceduta a Carlo I fratello di San Luigi, incitò contra Carlo VIII l'odio irreconciliabile dell'imperatore Massimiliano, il quale da indi in poi du bitò che il monarca francese escogitasse a levargli la corona imperiale; perciò di leggieri venne ad accostarsi alla lega che erasegli proposta nel tempo in cui Carlo transitava per Firenze, della quale Lodovico il Moro ed i Veneziani erano stati gli autori principali. Il giovine conquistatore giunto tanto celeramente all'apogeo della sua gloriola, senza riflettere che presto avrebbe potuto declinare al perigeo, distribul precipitosamente gl'impieghi, le dignità, gli uffizi, gli ordini, che gli parvero indispensabili per la conservazione del regno, lasciando ivi una porzione delle sue truppe sotto il comando dei più abili di lui generali. Mille promesse fece loro di provvederli di quanto abbisognas sero, e di ritornare il più presto possibile egli medesimo alla testa d'un esercito più numeroso. Il duca di Montpensier fatto governatore della capitale; d'Aubigny nominato gran connestabile del regno ecomandante di tutta la Calabria; la difesa delle piazze forti confidata ai generali più esperti. Ciò fatto il re abbandonò il dì diciannove o venti del mese di maggio 1495 Napoli, coi piaceri, colle danze, colle giostre, coi tornea menti, e si pose alla testadei suoisquadroni, i quali in tutto riducevansi anove milauomini, rivolgendosi direttamente a Roma (LaVigne, Journ. des voyages de Charles VIII. Mém. de Comines, lib.8, с. 2.-Albinus, De bello gallico, lib. 6). Erano appena tre mesi dacchè avea preso stanza in Napoli. Aquesta determinazione accortisi i napoletani , che la loro capitale non avrebbe più una corte, il suo lusso e le sue spese, ma che diver rebbe prestamente una città di provincia della Francia, non poterono a meno alla partenza di lui di sentirne amaritudine somma. Questo sì subitaneo ritorno rovinò in due maniere gli affari dei Fran cesi, e fece loro perdere il regno con facilità uguale a quella onde l'a veano acquistato. Era difficile che nella precipitosa risoluzioneo, per dir così, nella furia con cui Carlo VIII riprese il cammino di Francia, i re gnicoli non ravvisassero o instabilità di consiglio, o debolezza e timore: e tanto bastava al popolo , naturalmente incostante e cupido di novità, per ribellarsi. Il Papa se l'aspettava, aveva domandato soccorso ai suoi confederati, i quali gli avevano mandato cinquecento cavalli e due mila fanti. Ma non essendo queste truppe bastanti ad assicurarlo, per non aver a so scrivere altri trattati meno decorosi, da prima si ritirò ad Orvieto, poi a Perugia, scortato da alcuni soldati Veneziani, e risoluto di passare di 277 là a Padova, ed anche in Venezia, se si vedeva inseguito da qualche staccamento francese. I nemici d'Alessandro VI cupidi d'abbassarlo ad ogni evenienza, non trascurano di valersi dellapartenza di luidaRomaper attribuirla a paura ed aviltà d'animo : quando che piuttosto avrebbero dovuto lodarne la prudenza, per cui si studiava di risparmiare al monarca francese sacri leghe violenze; conciossiachè non ignorasse Sua Santità esser precorsa diceria rumorosa, che Carlo VIII aveva ordinato nel suo secondo in ⚫gresso in Roma, che si uccidessero tutti gli spagnuoli, i quali si po ⚫ tessero ritrovare in essa, e che tutti gli averi e sostanze loro venissero › via trasportate . Carolus VIII secundo urbem ingressus, jussit oc ▸ cidi omnes hispanos qui reperiri in civitate potuerunt, et omnia eorum bona et facultates diripi ( Vitae et res gestae S. R. Pontif. in Alex. VI). » Ed il Corio taccia il re che per forza volesse farsi temere dal Papa, e menarlo anche suo prigione inFrancia. Fu dunque una savia previdenza quella d'Alessandro VI, e non pusillanimità. Carlo VIII il di primo di giugno tocco Roma, dove si trattenne per tre giorni, alloggiato, scrive il Giovio, in Trastevere; il che ha del ve risimile, stando il supposto detto da questo autore, di sfuggire il Castello Sant'Angelo; spirato quel breve triduo, egli fatta la sua preghiera di nanzi all'altare maggiore della Chiesa di San Pietro, si affretto a conti nuare la sua marcia.Giuntochefu aViterbo il5giugno, fecetentamenti d'avere uncolloquio col Papa, cui non potè conseguire, inviandogli perciò Andrea arcivescovo di Lione. Le genti di Carlo vi si comportarono con moderazione, e nonlasciarono veruncontrassegno dellalicenza loro nello Stato ecclesiastico, se crediamo agli scrittori di Francia (Continuat. del Fleury, ibid. lib. 118, n. xxxII), trattone Toscanello, le cui mura furono scalate dai Francesi, presa (Allegretti, Diar. Sanese, tom. 23.-Rer. Ital.) e saccheggiata, narra il Giovio ; perciocchè, morto di sassata in un al terco un francese, i compagni adirati, essendo capitano il bastardo di Borbone, si voltarono contro la terra, e tagliarono a pezzi una grande parte degli abitatori. IlBembo aggiunge chesaccheggiarono ancheMonte Fiascone perchè ricusavano gli abitanti di riceverli, se non mostravano un ordine delPapa.Ilche ad evidenzaprovaquanto iRomani ubbidissero di buon cuore, anche con grave loro discapito, al Santo Padre, tuttochè fuggiasco. Di quivi Carlo VIII rapidamente mirava a riparare in Novara, ribella tasi a Lodovico e datasi al duca d'Orleans (Corio, Istor. di Milano), per la via di Siena (Mém. de Comines- Sanuto, Istor. di Venez., tom. 12. Rer. Ital.-Guicciard, Ist. d'Italia.- Corio, Istor. di Milano. Questa città gli invio incontro una deputazione de' più onorati citta dini, che addestrandolo l'accompagnarono fin in essa città. Qui fu egli ricolmo d'onori, e vi passò alcuni giorni. Fu anche qui che ricevette novelle della lega formatasi contra di lui. Giungeva da Venezia il rino mato Filippo di Comines, ed il re così in vista scherzevolmente il do mandò dei preparativi che si facevano per attraversare il suo ritorno ; 18* 278 Filippo risposegli in modo per nulla acconcio a dissipare i timori del suo sovrano. Disse avergl'il senato fatto sapere che le forze unite pote vano ascendere ad un quaranta mila uomini, i quali a dir vero si ter rebbero in sulle difese, pronte nullaostante a varcare l'Oglio nel caso in cui il principe attaccasse il Milanese. Da Siena Carlo VIII pensava piegarsi sopra Firenze, maledisposizioni dei Fiorentini ferongli mutare avviso, ed andò verso Pisa. Dappoichè vi ebbe qui soggiornato sei in sette giorni, egli avanzò attraverso il Luc chese e quel di Pietra Santa verso Sarzana, dove intese che iGenovesi erano disposti a francarsi dal dominio del duca di Milano, e tosto inviando egli loro per terra e per mare aiuto, pensò di sottrarla alladominazione dello Sforza. L'avanguardia dei Francesi condotta dal maresciallo di Giè che aveva a luogotenente Trivulzio, credeva d'incontrare qualche resi stenza a Pontremoli, piazza situata vantaggiosamente alle falde dell'A pennino, e difesa da una assai forte guarnigione. Ma questa città si ar rendette senza che fosse d'uopo attaccarla. Il grosso dell'esercito seguia dappresso , allorchè Carlo con tutte le sue truppe giunse alle pianure della Lombardia. Dovunque l'armata francese aveva commesse immani crudeltà, e rapinato ingenti ricchezze. Dalla Lombardia disegnava Carlo trapassare in Asti per ristorarvi le milizie, e poscia ratto ratto continuare la via d'oltremonti; ma appena postovi il piede, ecco a poche miglia le tende ed i padiglioni dei numerosi alleati riuniti affine di troncargli la ritirata. Questi eransi radunati presso la collina, occupandone lealture, in nu mero di quaranta mila , fortificandosi sopratutto sulla sponda del Taro, uno dei molti fiumi che discendono dagli Apennini e vanno a metter foce nel Po tra Parma e Piacenza. Qui aspettavano di piè fermo che Carlo VIII calasse a grandi giornate col suo fiorito esercito nellapianura del Parmigiano per la valle di Fornuovo. Francesco Gonzaga marchese di Mantova comandava le armi venete, ch'erano il maggior nerbo del l'esercito collegato, nel quale oltre a molti valenti condottieri, permezzo dei quali si distingueva il luogotenente Adolfo, guerriero ragguardevole pel suo onorato sentire e per consumata esperienza, tutti ben animati erano alla battaglia fino all'infimo soldato, sulla speranza di fare un grosso bottino , perchè di troppe dovizie straricco difatto ne veniva il campo francese. Era di lunga mano superiore all'esercito nemico quello degli Italiani , ed a manifesto pericolo si esponeva il re venendo alla pugna. Tuttavia se questi non voleva lasciar perire di fame i suoi , da che si trovava in mezzo alle montagne , gli conveniva eleggere la via delle armi per sortire di quelle angustie. I Francesi si trincerarono a Fornuovo, piccola città a poca distanza dal campo nemico. Di là il ma resciallo di Giè fece richiesta agli alleati del passo, e il re al suo soprag giugnere rinnovò ladomanda, che fu assolutamente respinta: adducendo che non si poteva nulla concedere se non a condizione che il re abbas sasse le armi, e consentisse di restituire al duca diMilano lacittàdi No vara, ed al Papa le diverse piazze degli Stati ecclesiastici , ove teneva -- 279 guarnigione francese. Ilcombattimento si faceva inevitabile, e le due ar mate, ciascuna per la sua parte, vi si disposero. Pertanto il sesto giorno di luglio 1495, ordinate le sue schiere l'animoso Carlo , montato sur un bel cavallo di color nero, non avente che un occhio solo, dono fattogli da Carlo duca di Savoia nel suo passaggio a Torino, scese al piano, e colle artiglierie di varie sorta ben disposte, venne ad un fatto d'armi crudissimo e famoso, sebbene durasse solamente due ore. Diversa ne fu la descrizione, secondo l'usata parzialità degli storici , avendo l'una e l'altra parte cantato la vittoria. Quel ch'è certo, combatterono da lioni i Francesi , perchè la presenza del re, e la disperazione al loro nativo co raggio ne aggiunse del nuovo (Mém. de Comines, lib. 8, c. 6, p. 112). Questi incalzato fortemente dal marchese di Mantova , più d'una volta pensò di cadere nelle mani degl' Italiani. Il bastardo di Borbone suo stretto parente, a venti passi da lui fu fatto prigione. Gonzaga fece un orribile massacro, e se gli alleati avessero posto mente ai consigli ch'egli dava loro , avrebbero per sempre distrutto l'influenza che i Francesi aveano fino allora esercitato in Italia. Ma una parte di questi , tra per una mala intelligenza non partecipò alla mischia, e pel bulimo di botti nare gli Albanesi si sbrancarono dalle schiere pugnanti (Giustin., Istor. di Genova. Sanuto, Istor. di Venezia, tom. XXII. Se narega, deReb. Genuens , tom. 24, Rer. italic ), e sì perdendosi a predare, Rer. italic. trassero ancora coll'esempio loro altri soldati a sbandarsi per fare lo stesso , e così agevolarono agli avversari l'insanguinare le spade loro contro a predoni piuttostochè gente di armi , i quali asseguito il sac cheggio, non si davan più altro pensiero tranne il mettersi in salvo colla fuga, tuttochè non cedessero per nulla al nemico in valore. La verità è adunque , che sul campo vi restarono forse più Italiani che Francesi, e vi perirono di molti bravi capitani; siccome eziandio certo è che il re Carlo colla spada alla mano, vestito da soldato, e valorosamente batten dosi, corse gran pericolo d'esser fatto prigioniero: pure felicemente passò oltra e seguito speditamente col più de' suoi il viaggio verso Piacenza, e con perdita dei principali ch'egli aveva seco si ricondusse da ultimo in Asti, e quindi a Torino. Grande quantità di cariaggi, di artiglierie, di tende e robe preziose ri masero in balia degl' Italiani, ai quali perciò parve di potersi attribuire la vittoria, non tale però quale la speravano dapprima; ma nondimeno l'istesso dubbioso esito della giornata, e non aver poi potuto soccorrere Novara, mostra abbastanza chiaro stare pei Francesi il peggio, i quali soffrirono non solo la perdita d'un immenso bottino, sibbene per anche vennero prostrate le forze loro grandemente. Scrisse il Benedetti , che l'anno 1494, predicando la quaresima un religioso in Novara, annunzió certissimamente, che quei cittadini avrebbono udito intorno alle mura loro Spagnoli, Franzesi, Svizzeri, Tedeschi, ed altre nazioni assai: il che avvenne appuntino; dove il duca d'Orleans , che l'avea occupata , fu stretto d'assedio dalle armi confederate costà concorse, che la ridussero -- 280 a strane miserie talmente, per cui scesero i Francesi a condizioni poco onorate di pace pelconcordato deldieci d'ottobre1495, stipulato in Vercelli. Novara fu restituita adunque al duca di Milano , ed il Castelletto di Genova consegnato ad Ercole duca di Ferrara per l'esecuzione dei patti, il quale poi lo restitul parimenti al Moro nel 1497. In questo Carlo VIII travalicate le Alpi ricalcò il francese suolo , lasciando voce di ridiscen dervi nell'anno seguente, e l'opinione d'aver fatto in Italia maggior per dita che guadagno (1). Nè finirono qui le percosse date ai Francesi nell'andante anno (Mura tori, Annali d'Italia, anno 1495) chè il soccorso mandato da Carlo VIII, il quale aveva abbandonato Napoli, di centoventi cavalli e cinquecento fanti capitanati dal duca di Brescia, e la flotta francese uscita dal porto di quella città per ispalleggiare l'impresa di Genova, di cui si lusingava di impadronirsi quel monarca contro allo Sforza, non sortirono l'esito va gheggiato. Essendo stata la flotta battuta, e riparatasi aRapallo, ebbero incontro i valorosi Genovesi, i quali espugnando quelborgo, diedero ad dosso con tal bravura ai Francesi, che tutti li sottomisero, con farviun ricco bottino pei grandi spogli dei Napoletani , i quali sopra le galee francesi si trovavano. Il medesimo duca di Brescia non iscampò salvo a grande pena dalla cattività, e forse anche dalla morte. A cagione di questo sinistro colpo si ritirò con somma fretta di sotto a Genova l'eser citogallo. Peggiormente ancora travolsero le cose di Napoli dopo la partenza di Carlo VIII; conciossiachè intesasi la battaglia del Taro, per cui le forze francesi restarono rifinite, rinvigoritosi il re Ferdinando coll'aiuto dell'ac corto Gonsalvo, si accinse a ricuperare il regno, si pose spacciatamente alla testa di sei mila uomini, in quel torno reclutati con tutta forza in Sicilia , e sostenuto da un distaccamento di truppe spagnuole sotto gli ordini del medesimo Gonsalvo di Cordova, fece uno sbarco in Calabria, ripigliandone Reggio colla sua rocca. Ma il bravo d'Aubigny aveapreso i suoi riguardi , e Ferdinando fu costretto a battere la ritirata. Lieve vantaggio! Ogni vittoria pei Franchi diventava una perdita. E quelle genti, le quali eransi immaginato di godere sotto iFranchi l'etàdell'oro, vana immaginazione di molti popoli inclinati alla mutazione di governo, gli ebbero ben tosto in uggia come li videro mancanti di quella disci plina e moderazione per cui oggi si distinguono, e cadere del continuo in eccessi di crudeltà, lussuria e cupidigia di trasricchire insino a dila pidare le chiese (scandali stati autorizzati dalla condotta colpevole del re Carlo), epperciò d'ogni parte presero a tumultuare contra, ed abbracciare da capo le parti di Ferdinando II, che invitato dagli stessi Napoletani segretamente, tosto tosto con piccola flottiglia vi si recò, sperando che i (1) Quando Carlo VIII ritornava da Napoli per rientrare in Francia , nel passare per Asti al loggiò nel palazzo del nobile Solari signor di Moncucco, di Moriondo e di altri castelli: la cui fi gliuola Margarita, in età di undici anni, dottissima in belle lettere e nelle scienze, recitò un'ora zione in lode di Carlo, al suo regal cospetto, con moltissimo applauso. -- 281 suoi vassalli antichi, de' quali aveaguadagnato l'affetto, facessero qualche movimento in suo favore; nè fu vana lusinga. Perocchè al suo avvicinarsi aNapoli , essendo sortito il duca di Montpensier fuori della città per marciare contra del re, gli abitanti mostrarono leali la loro buona vo lontà per Ferdinando, che di presente abbrancate le armi e gridando : Aragona, Aragona, chiusero ai Francesi le porte, spalancarono le pri gioni, e si scagliarono contra qualunque francese, in cui per essa s'im battevano, e gli respinsero fin dentro le fortezze: e l'avventuroso Ferdi nando II fra acclamazioni giulive rientrò padrone in mezzo alle ovazioni più vive in quella città medesima, donde pochi mesi prima era uscito qual fuggitivo. Ciò nonostante i Francesi erano ancora padroni di due fortezze di Na poli, il Castello Nuovo e il Castello dell'Ovo. Stettero non pertanto poco a perderli , ed il luogotenente generale costretto a lasciare i dintorni della città, corse a rinforzarsi a Salerno. Se non che essendosi la sua ar mata ingrossata delle bande di molti partigiani, egli tornò addietro, sba ragliò un corpo di truppe aragonesi , e riempi la capitale di tale uno spavento, che il re si vide da capo al punto di cercare nella fuga lasua sicurezza. Per buona ventura il Papa inviogl'in questi medesimi giorni un rin forzo, e giugnendo in questa i due Colonna, Prospero eFabrizio, riprese coraggio. Capua, Aversa, Nola ed altri luoghi vicini, malgrado i conati dei Galli per ritenergli o ricuperarli , rientrarono sotto la sua obbe dienza. Il ducadi Montpensier trincerossi nella cittadellad'Atella, ed'Au bigny, contando sempre sopra i soccorsi cui Carlo VIII avea promesso di fargli pervenire, rimase nella Calabria. Ma il principe, rientrato una volta ne' suoi Stati , ebbe ben presto dimenticati i fedeli suoi servi che avea abbandonati in Italia. Egli non era anche giunto a Lione, che già avea inteso come Ferdinando II era tornato nel regno, ricevuto festosa mentedai popoli, e tolte ai Francesi, che negligentemente le guardavano, la maggior parte delle fortezze. I Francesi, le cui falangi omai di troppo sottili ed indebolitedapotersi ancor sostenere, si videro all'estremo forzati a segnare una vergognosa capitolazione, e posero giù le armi. Montpensier morì a Pozzuolo, d'Au bigny più fortunato, giunse a riguadagnare la Francia. Di seimila uo mini di truppe, appenaduemila rientraronosecolui in patria; le malattie, la carestia, la peste se ne portarono il rimanente. Tal fu l'esito di questa spedizione famosa, sobillata da una nera per fidia ambiziosa, intrapresa da un orgoglio puerile, e condotta d'una ma niera insensata. I Francesi perdettero il loro conquisto in minor tempo ancora di quello con cui l'ebbero fatto, e laFrancia non che guadagnarvi, dissipovvi il danaro, e vi perdette i migliori soldati suoi. Non lasciando altra memoria di sè da quella in fuori delle reliquie infami di quel pe stifero morbo dai medesimi denominatosi francese, punizione severadella sozza libidine (Muratori, Annali d'Italia.- Summonte, Istoria di Napoli. Guicciardini, Istoria d'Italia.- Corio, Istoria di Milano. Sanuto, -- 282 Istoria di Venezia, tom. 22). Sotto altro aspetto contuttociò, questa im presa rovesciò le barriere cui la natura aveva innalzate tra idiversi Stati dell'Europa per assicurarne la tranquillità, nel medesimo tempo in cui aprì uncampo più vasto all'ambizione dei principi, ed alledisavventure ch'essa non lascia mai di produrre. Chè questa spedizione di Carlo VIII sviluppò una politica del tutto nuovain Europa, e fu il principio del dominio che alternativamentegli Austriaci, i Francesi e gli Spagnuoli ebbero in Italia, e delle gare loro sanguinose, come ad ogni conoscitore dell' italica storia è noto. Non si potrebbe spiegar con parole (Denina, Rivol, d'Ital , tom.v, lib.xix, cap. Iv), quanto per questa ritirata del re Carlo VIII andasse alteroLo dovico Sforza, il quale altrettanto vano e glorioso, quanto era accorto e prudente, si vantava d'aver il destino d'Italia posto in sua mano, come colui che aveva tolto e ridonato il regno agli Aragonesi, e CHIAMATO E RIMANDATO, si noti bene, addietro con poco onore di quella nazione un re potentissimo, ed un esercito de'più numerosi e fioriti che da molti secoli si fossero veduti in Italia. Disastro e sfregio che Carlo VIII avrebbe potuto evitare, se dato avesse retta alle ragioni ed agli avvisi del Sommo Pontefice. Per fermo in tutto questo capitolo, noi non abbiamo saputo rinvergare argomento valevole a denigrare la fama d'Alessandro VI, chè infino a questo punto è ancora il migliore dei re suoi contemporanei. FINE DELLA SECONDA PARTE E DEL PRIMO VOLUME. INDICE DEL PRIMO VOLUME Dedica a S. E. Monsignor Don Luigi Moreno vescovo della diocesi d'Ivrea . PARTE PRIMA Avvertenza : Prolegomeni I. Morte di Nicolò V papa. Alfonso Borgia gli succede col nome di Callisto III II. Natali di Rodrigo Lenzuoli, poi Alessandro VI. Suoi studii, impieghi, azioni giovanili III. Rodrigo Lenzuoli rinuncia alle armi. pag. 3 . Si reca in Roma, viene eletto vescovo e cardinale Sua premura nel retto disimpegno dei suoi uffici diacono. IV. Morte di Callisto III e de'suoi successori Pio II, Paolo II. cessore di Sisto. Elezione d' Innocenzo VIII suc Gesta del cardinale Rodrigo Borgia durante questi pontificati V. Morte di Papa Innocenzo VIII. Enumerazione dei cardinali componenti il Sacro Collegio in detto tempo. Loro indole e qualità d'animo VI. Disordini, torbidi, ammazzamenti avvenuti in Roma dopo la morte d'Innocenzo VIII PARTE SECONDA VII. Ingresso dei cardinali in conclave. medesimi Elezione del Borgia al papato e sua allocuzione ai VIII. L'elezione del cardinal Borgia in sovrano Pontefice è pura da ogni trasognata simonia. IX. Gioia e festeggiamenti di tutti gli ordini del popolo romano per l'assunzione al pontificato d'Alessandro VI, ed atti di questo. X. Incoronazione solennissima d' Alessandro VI . . XI . Magnanima parlata d'Alessandro VI , fatta in presenza di varii cardinali a Cesare , detto poi Valentino . XII. Elezione di Giovanni Borgia il Seniore in cardinale, fatta da Alessandro VI. XIII. Atti lodevoli e salutevolissimi d'Alessandro VI, sul principio del suo pontificato, pel buon governo di Roma. 9 XIV. Dissidii tra per papa Alessandro VI e per Giuliano della Rovere , cardinaledi San Pietro , accagionati da Don Federico, figlio di Ferdinando re di Napoli . 9 17 69 71 76 79 84 91 96 100 102 108 121 124 126 130 XV. Oratori mandati dai Principi e dalle Repubbliche cristiane a complimentare Alessandro VI.. 133 284-- XVI. Morte di Federico III imperatore, a cui succede Massimiliano, che ad istanza di AlessandroVI marcia contro i Turchi.-Vittorie di Ferdinando in Ispagna sopra i Mori. Colombo scopre il Nuovo Mondo. edi Portogallo. Bolle del Papa intorno a questo continente in favore del Re di Spagna Confermazione fatta da Alessandro VI di alcuni ordini religiosi .pag. 136 XVII. Conati di Lodovico il Moro per usurpare il ducato di Milano. Legazione dei Principi italiani al Papa ; disaccordo perciò tra per questi e per Lodovico il Moro ; maneggidi costui ostili a Ferdinando re di Napoli , al quale inimica Alessandro VI. Trattato di una lega fra i Principi italiani, il Papa, i Veneziani e il Duca di Milano, dalla quale vengono esclusi il re di Napoli ed i Fiorentini . . XVIII. Promulgazione della Lega Pontificia-Veneta-Lombarda, e condizioni d'essa. XIX. Lodovico il Moro chiama Carlo VIII re di Francia in Italia, ad insaputadel Papa Alessandro VI e degli altri principi suoi confederati, per impossessarsi del regno di Napoli : testimonianze . autentiche XX. Disamina dei diritti di Carlo VIIl sul regno di Napoli. Matrimonio di D. Lucrezia col prin cipe di Pesaro e lodi di lei. Inquietudini di Ferdinando re di Napoli ; suoi sforzi per acquie tare il Moro, e cattivarsi l'amicizia d'Alessandro VI verso cui ripara l'ingiuria recatagli per la compera fatta da Orsino , fa tentamenti per distorre il re di Francia dalla conquista di Napoli. Si rabbonaccia col Papa , e dona a Gioffredo , figliuolo dello stesso Alessandro , in isposa la figliuola di Alfonso suo primogenito XXI. Creazione di dodici cardinali, fra i quali si annovera Cesare Borgia XXII. Morte e carattere di Ferdinando re di Napoli. Gli succede Alfonso suo figlio che eseguisce le promesse di suo padre verso del Papa, e con questo stringe trattato di pace. Il Pontefice dissuade Carlo VIII dallo scendere in Italia ; risposta libera di questo al legato pontificio. Movimento di alcune squadre francesi in Italia: ribellione di varii baroni romani contro al Papa, ed in favore de'Francesi. Abboccamento d' Alessandro VI con Alfonso re di Napoli , fatti d'armi pria favorevoli ai Napoletani, poscia dannosi. Vittoria dei Francesi capitanali da Lodovico duca d'Orleans su dei Napoletani ; incentramento di questi nel loro regno XXIII. Carlo VIII scende in Italia ; entra in Pavia, accoltovi dal Moro, a Piacenza, a Pisa, a Fi renze ; occupa gli Stati della Chiesa XXIV. Falsità dell'accusa gettata in volto ad Alessandro VI , d'avere implorato da Baiazette soc corso coniro a Carlo VIII. Entrata di questo in Roma. Il Papa si ritira in Castel Sant'Angelo. Accordo tra pel Pontefice e pel re Carlo XXV. Concordato tra pel Papa e per Carlo Vill ; atto di figliale ubbidienza da questo renduto al Pontefice ; partenza del re da Roma per Napoli ; refutazione di alcune inesatte affermazioni 156 166 167 193 235 539 245 252 del Guicciardini e di altri scrittori riguardo ad Alessandro VI XXVI. Alfonso re di Napoli abdica a Ferdinando, e muore. Zizim muore nel campodi Carlo Vill; si purga Alessandro VI dall'accusa datagli di averlo avvelenato ; Opere di Ferdinando re di Napoli ; ingresso trionfale di Carlo Vlll in questa città ; Lega dei principi italici onde pre munirsi dalla soverchiante fortuna delle armi francesi ; il Papa nega formalmente a Carlo Vill l'investitura del regno di Napoli. XXVII. Partenza di Carlo VIIl da Napoli ; Alessandro Vl si ritira, da Roma; battaglia di Fornovo; dubbiala vittoria per entrambe le parti ; pace stipulata da Carlo VIII coi confederati; rientra in Francia in quella che Ferrante riacquista Napoli pei soccorsi datigli da papa Alessandro 2 257 262 275 a Prezzo L. 6 Prezzo L. 6

記載日

 2025年6月12日