- 著者
- Domenico Cerri
- 初版
- 1858年
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BORGIA
OSSIA
ALESSANDRO VI PAPA
E SUOI CONTEMPORAΝΕΙ.
:
BORGIA
OSSIA
ALESSANDRO VI PAPA
E
SUOI CONTEMPORANEI
PER
MONSIGNOR CERRI POMENICO
DA MACELLO
Seconda Edizione
Leggi, poi giudica !
RIVEDUTA ED ACCRESCIUTA DALL'AUTORE
divisa in quattro parti
VOLUME PRIMO
TORINO
TIP. LIT. CAMILLA E BERTOLERO
1873.
EDITORI
BIBLIOTHECA
REGIA
MONAGENSIS
Proprietà Letteraria.
Con permissione della Curia Vescovile d'Ivrea.
DEDICA
A MONSIGNOR DON LUIGI MORENO VESCOVO DELLA DIOCESI D'IVREA.
Eccellenza Veneratissima,
Grande è chi nonsolamente risiede in eminente loco, ma chi si pro
cacciò siffatta elevazione , la decora eziandio colla pratica delle più
peregrine virtù, nemico dichiarato delle apparenze speciose, le quali
se soddisfano il volgo giudicante meramente dalle esteriorità bugiarde,
non appagano poi esse per fermo il filosofo scrutatore del movente
intrinseco del vero merito: chè un personaggio per adequate bene
merenze , il quale conseguì le più alte cariche, ed altresì in esse
esercita quegli atti richiesti dalla grandezza delle medesime può
internamente viziarsene vanagloriandosi , ovvero traguardando con
filautia, non curanza, disprezzo chi giace al basso, desiando, coope
rando, onde rimanga obliato nella sua oscurità, da cui rilevato, po
trebbe ombreggiare le gloriose nullità , ovvero le sommità altere.
Di somiglianti egoisti, studiosi di calcare soltanto i fiori in ogni evo
abbondò di troppo il mondo, e fra il poco, o niun bene fatto cagio
narono de' mali irreparabili agl'individui, alla religione, alle lettere,
come ci accerta l'istoria biblica, ecclesiastica e profana.
Non pertanto s'incontrano certuni i quali si degnano quandochessia
abbassare i guardi loro verso dei supplichevoli anelanti a scuotersi
dalla polve, eppure già a questi debbesi lode, perchè abborriscono
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accomunarsi a quelle grandezze larvate, nè spengono la favilla del
l'intelligenza in chi loro si rivolge, anzi a questi prestano esca, af
finchè fiammante scintilli. I prefati con dirittura , confessa la filo
sofia, godono del titolo di magnanimi , benemeriti delle onorificenze
possedute, e della religione, società, produttori di generosi ingegni
tanto, quanto di vili adulatori a seconda che più o meno si stanca
rono le mediocrità nell'impetrare, ed attendere, facendo poscia cotesti
protetti a loro turno agli altri battere l'istesso cammino disastroso.
Altri e pochissimi si annoverano, che imitatori della divinità cre
atrice spontanea delle anime eccelse senza verun proprio diritto loro,
non iscongiurati dalla vetta delle cattedre di loro s' inchinano com
piacenti a cercare frammezzo i simili loro quegli spiriti, i quali conli
lumi loro ponno riuscir utili al genere umano, e scopertili con intuito
chiaroveggente gl'incoraggiano, aiutano, consigliano quando pure non
si retribuiscano di gratitudine, onde corrano eglino il penevole ar
ringo, e si sforzino a diventar genii. Proclamiamolo, tali dignitarii
sono veramente insigni al cospetto della filosofia, e divinità, e rag
giungono l'apoteosi dovuta ai santi eroi; chè emulatori beneficen
tissimi dell'onnipotente creano per così esprimermi in grazia di loro
valido influsso benignissimo degli uomini, dei funzionarii distintissimi
vantaggiosissimi.
Asiffatto inclito ceto appartenete Voi infulatospecchiatissimo per sa
pienza, virtù contemplative, operative , illustratore caritativo, indefesso
edesimiosopra modo dellaDiocesi d'Ivrea, di cui non solo vi mostrate,
anzi vi rendete davvero Angelo tutelare. Dal primo vostro apparire
sulla scena mondiale, ed ecclesiastica infioraste incessantemente i vo
stri giorni non beandovi delle opulenze , della dignità in cui vi su
blimò la divina Provvidenza guiderdonando la nobilissima bontà di
vostro cuore, e gli elevati sentimenti della mente vostra, per contra vi
reputaste felice attraverso della lunga luminosa episcopal carriera
vostra di servire alla ortodossia con ogni genere d'industriosi sacri
fici i più generosi costantemente, e segretamente cercare chi potesse
giovare alla santa Chiesa Romana, al gregge vostro, alla società, come
apertamente ognuno ha per le mani senza altro scopo salvo quello di
costituirvi a tutti esempio, specchio, luce di ben operare non solo ai
vostri contemporanei, ma ben anche alla futura età, affinchè uscendo
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di questa vita Voi possiatelasciar monumenti tali quali attestino aver
Voi noninvano vissuto per la società, la religione, il cielo , a cui
esclusivamente avete sinora mirato.
Esiccome al vostro dito possenteio tra le altre mie scritture debbo
la pubblicazione della prima edizionedella vita d'Alessandro VI stata
encomiata dalle Accademie italiane, e francesi, dai letterati sacri e
profani, dai diarii, incoronatada un Breve dell'immortale Pio IX, così
parimenti ora videbbo laseconda edizione accresciuta di questo stesso
Gerarca supremo, la quale sarebbe giaciuta nelle tenebre se Voi non
vi foste compiaciuto a riscuoternela e porla in mostra. Beneficio im
portante ad utilità del Papato, di cui si rivendicano perentoriamente
le calunnie abbominevoli colle quali si tento offuscare il triregno
(pronunciarono le accennate autorità)ed a gloriadell'autore che mira
onorate le sue ricerche travagliosissime in questa elucubrazione elo
gistica : quindi se Voi pervostra ammirabile eutimia nonabbisognate
delle espressioni di mia gratitudine immutabile, moltissimo ne neces
sita certamente chi con animo il più riverente si arreca ad onore i
napprezzabile di riproferirsi baciandovi le sacre mani.
Di V. Ecc.za veneratissima
Torino, 29 giugno 1872.
Dev.mo Servitore
C. CERRI DOMENICO
Cameriere segreto di S. S.
:
PARTE PRIΜΑ
AVVERTENZA.
Tu bella verità, che sempre illesa
Serbai per mio sostegno e per mia guida,
Moverai la mia lingua, e folli o rei
Non saran, tua mercè, gli accenti miei.
GIOBBE, cap. VI.
La verità, quella casta figliuola del cielo che poggia il suo trono sul seno
stesso dell'Onnipotente, quantunque sia immutabile quanto l'Iddio stesso,
che le è padre, teoricamente filosofando, tuttavia nella pratica gli uomini a
cagione dell'indole, educazione, delle passioni loro immaginandosi o millan
tandosi di servire devoti ad essa lei l'ecclissano, deturpano e tradiscono
presentando sia pur conscienziosamente od ipocritamente alle persone so
vente la menzogna orpellata dalla maschera della verità. Che meraviglia a
dunque se scrittori nei tempi turbolenti , venali, corrotti d'Alessandro VI
abbianlo giudicato tanto sinistramente, non potevano pensare meglio di lui,
di quello che consideravano negli altri principi peggiori di lui, i quali vin
colavano o in un modo, ovvero in un altro la loro penna servile.
Descartes Memoir de Trevoux, mois de Juillet, et Août, 1701 p. 190,
dubitò se i sensi rappresentano a ciascun uomo gli oggetti precisamente della
medesima maniera. Per fermo è fondato sopra di questo, che i sensi, e le
sensazioni debbono esser tanto differenti, quanto i temperamenti. I nostri
sensi facendo così passare sino verso dell'anima nostra delle impressioni
differentemente modificate, le nostre menti che formano le loro idee sopra
tali impressioni, non conoscono esattamente della stessa maniera le qualità
sensibili. Epperciò vi regna mai sempre qualche differenza oggettiva tra le
idee cui formiamo, sia che quest'idee siano semplici, ovvero composte : dal
che sembra Descartes conchiudere che c'è in questo principio, nel quale fa
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mestieri trovare la ragione, perchè i filosofi non sono quasi mai d'accordo
sopra alcun punto di fisica.
Un altro autore di grido opinò che la diversità della disposizione degli
organi non è la sola causa della differenza delle opinioni degli uomini, e
che era necessario aggiungervene cinque altre. Egli adunque insegna che gli
uomini sovente nutriscono opinioni differenti sopra una medesima cosa :
1. perchè ricevettero un'educazione differente, 2. perchè non sono agitati
dalle medesime passioni, 3. non hanno la medesima dirittura, 4. la mede
sima applicazione, 5. da ultimo il medesimo raziocinio che diversifica negli
uni e negli altri. (Lettres philosophiques sur plusieurs sujets. Lettre 1 a Tre
voux, 1703). Ma perchè queste quattro ultime cose non sono esse le mede
• sime in tutti gli uomini? Non proviene ciò forse principalmente a cagione
della disposizione dei loro organi? La prima causa notata da questo scrit
tore, non sembra giusta. È innegabile che persone alle quali s'inspirò dal
l'infanzia le medesime massime giudicheranno sovente dello stesso oggetto
d'un modo troppo differente, ed altre pel contrario le quali non ricevettero
la medesima educazione simpatizzano tosto nei loro sentimenti, dalle prime
pagine dei libri divinamente inspirati, dalle storie profane antiche e mo
derne, e dalla pratica odierna risplende ad ogni passo questo gran vero,
che niuno sente, crede diversamente da quello che desso stesso è, tranne
prove indubitate, seppur bastano talora, il conducano sulle vie luminose
della verità, cui non curano, non vogliono, anzi temono quandochessia di
conoscere e svelare tanto se riesce utile, glorioso agli avversarii di loro. II
che soventissimamente s'incontra negli scrittori infensi ad Alessandro VI.
Quando si accordasse che l'autorità e la congettura, allorquando trattasi
d'esaminare un fatto storico, producon quasi le impressioni medesime sopra
i sensi nostri, che gli oggetti sensibili ; quando fosse ancora vero, che i
sensi nostri fanno di tal guisa passare sino verso l'anima nostra delle im
pressioni differentemente modificate, e che le menti nostre che formano le
loro idee su di tali impressioni non concepiscono esattamente della maniera
stessa le prove stabilite sulla testimonianza, e sulla congettura, havvi pro
babilità che i critici non confesseranno mai che le differenti opinioni che li
dividono intorno ai fatti storici, siano cagionate dalla diversità della dispo
sizione degli organi. Chè sarebbe ammettere che la critica è meno fondata
sulla regola stabilita sul buon senso, che nella disposizione del corpo ; e
per conseguenza necessaria, bisognerebbe dire, che i critici giudicano dei
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fatti storici pel temperamento, e si attaccano ad un sentimento piuttosto che
ad un altro, perchè hanno gli organi disposti d'una certa maniera. Così i
critici non saranno mai determinati per la forza delle prove cui tirano dalla
testimonianza degli autori, e delle congetture che possono contribuire a farli
propendere da un canto preferibilmente dall'altro.
Dunque, se per giudicare della verità di quest'istoria, e per determinarsi
a riconoscerla come vera o come falsa nonbisogna considerarla nudamente,
ed in se stessa, come farebbesi d'una proposizione di geometria ; nè riguar
darla come una dimostrazione Cartesiana, per ciò che essa ha di meno prin
cipale, negligentando il capitale, oppure attaccandosi al capitale, senza fare
attenzione a ciò che essa ha di meno principale ; ma importa attendere a
tutte le circostanze concomitanti a questa narrazione, sia che siano interiori,
ovvero esteriori.
Denomino circostanze interiori quelle le quali appartengono al fatto me
desimo; e circostanze esteriori quelle le quali riflettono alle persone per la
cui testimonianza noi siamo indotti ad aggiustar credenza a simili avveni
menti. Art. de penser, part. 4, chap. 13, p. 452; queste distinzioni sup
poste, se tutte queste circostanze sono tali, che non avvengono mai, od as
sai raramente che simili circostanze siano accompagnate da falsità, il nostro
spirito si porterà naturalmente a credere che ciò è vero. Ma se per contra
queste circostanze non sono tali, che esse non s'incontrano assai sovente che
con falsità, la ragione esige, o che restano in sospeso, o che teniamo per
falso ciò che si racconta, quando non iscorgiamo niuna probabilità che ciò
sia vero, ancorchè noi non vi vediamo un'intera impossibilità.
Non accade d'un fatto storico rapporto ai critici, che ne debbono giudi
care, come d'una prospettiva, ragguardo a coloro che la rimirano da diffe
renti punti di vista. Si sa, che per poco si muti di luogo, tale prospettiva
rappresenta agli occhi cose troppo diverse, e che si può dire con verità ,
io veggo un uomo, in quella che un altro dirà con la medesima verità io
veggo un leone nello stesso oggetto. Chè non è arbitrario a coloro i quali e
saminano un avvenimento, di prendere il punto di vista che loro piace, nè
di cangiare di luogo secondo la libertà, ma sono costretti di rimanere, per
così esprimerci, nella medesima situazione, e di non speculare tale oggetto
tranne dal lato che loro è indicato dalle regole della critica, che non sono
altre da quelle da noi citate; ovvero almeno esse si riducono quasi sempre
alle stesse. Ora come mai è possibile che tanti dotti critici abbiano ponde
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rato tutte le circostanze interiori ed esteriori della vita d'Alessandro VI,
mentre che si rimarca nel loro giudicio una sì strana divergenza ?
Dunque se non si può giustificare la differenza dei critici sulla narra
zione della vita d'Alessandro, e sopra alcuni altri fatti, per gli esempi della
prospettiva, e della dimostrazione Cartesiana: se non si può neppure rife
rire le differenti opinioni alla disposizione degli organi; e se pretendono che
i pregiudizi, l'inavvertenza, la prevenzione, e somiglianti disposizioni non
hanno parte veruna alla diversità dei loro sentimenti ; non debbono esser
dispiacenti se siamo tentati a credere, che la loro discrepanza intorno ai
medesimi fatti, rivestiti dalle medesime circostanze, non ponno derivare
tranne dall' incostanza, dalla poca solidità delle regole della loro grand'arte,
o da ciò che i critici non ne hanno fatto un uso giusto, e legittimo.
Or accingendoci noi a scrivere l'istoria di PapaAlessandro VI, Borgia, non
ignoriamo che tanti furono gli scrittori, anche ragguardevolissimi, e non
pochi di ottime intenzioni, i quali ne registrarono fino le minutissime azioni,
da parere opera superflua ed inutile affatto il voler ancora discorrerne ai
tempi presenti. E per fermo noi molti e molti ne abbiamo perletti, ma di
nessuno siam rimasti paghi ; in essi abbiamo scorto o plagiarismo senza di
screzione da secernere il dubbioso, il falso dal probabile e dal vero; o acri
monia dilettantesi soltanto d'avventare l'avvilimento e lo sprezzo su di per
sonaggio troppo bruttamenteed ingiustamente conculcato; o menzogna ane
lante unicamente a svisare, prostituire la verità, per denigrare quegl'infelici
contra dei quali scocca i suoi strali avvelenati; od ingannati sicuramente
dal gran ripetio delle mosse accuse, cui la mancanzadi certi documenti non
concedea di veder quanto fossero assurde : non ribattendo gli accusamenti,
gli avvalorarono.
Questo è il risultamento ottenuto dal nostro studio sulla vita e sulle gesta
di questo Pontefice sì mal giudicato, del che fummo amareggiati. Possibile
adunque fia, abbiamo esclamato, che un mostro somigliante abbia potuto
ascendere sovra la cattedra di Pietro, e pacifico conservarvisi, più ancora
essere ammirato dagli scettrati stessi! Mai no, senza che vi fossero in essolui
virtù, le quali scusassero e rimpicciolissero i vizi talmente, che nol rendes
sero inetto ed immeritevole di quella tiara che gli redimiva le tempia. Egli
è su questo aspetto, cui noi consideriamo lavita e le azioni d'Alessandro VI,
e verremo spiegandole con siffatta verità, dirittura e moderazione, da fi
gliuoli affezionati, come ci pregiamo di esser noi della Chiesa cattolica, e
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perciò de'suoi capi visibili, quali costantemente nelle molteplici opere nostre
ci siamo mostrati, onde i lettori rimireranno la stessa materia maneggiata da
mano imparziale e caritatevole, invece formar di esso un vaso d'ignominia
all'esecrazione dannato, ella l'additerà capace e valevole a sostenere un posto
non inonorato nella serie dei 259 Gerarchi, presso che tutti eccellenti, ot
tantatre dei quali sono elevati persino agli onori degli altari, e per mezzo
de' quali la Provvidenza divina ben volle che Alessandro VI sedesse non
tanto inglorioso come da molti si spaccia.
In prima però d'ogni altra cosa non vogliamo trasandare di premettere,
come opportunissime all'intento nostro, le parole, cui nella sua Storia Ec
clesiastica prepose il celebre P. Graveson domenicano alla narrazione, che
doveva fare della vita e delle gesta del Gerarca supremo Alessandro VI.
Dappoichè ebbe adunque riferite le parole di Melchiorre Cano, il quale af
ferma non potersi attribuire il pregio d'uomo onesto, e sincero storico, colui
che nello scrivere la Storia Ecclesiastica si slontana dalla verità, e riporta
cose false : così io (soggiunge il dotto Graveson), nel narrare le principali
azioni d'Alessandro VI « non cadrò in questo vizio, nè fingerò o proferirò
falsità alcuna nello scrivere di lui; ma soltanto, attese le circostanze del
luogo, del tempo, e le leggi della cristiana prudenza, lascierò onninamente
in silenzio i suoi costumi. E di questa maniera Sant'Agostino, nel libro
contra la bugia, scusaAbramo dalla finzione e dalla menzogna dicendo: non
proferì cosa alcuna di falso, matacque qualche cosa di vero. Non discorrerò
impertanto per nulla dei costumi d'Alessandro VI, attenendomi al consiglio
dell'Apostolo, che diè nella prima lettera ai Corinti c. V, 12. Ogni cosa mi
è lecita, ma non ogni cosa è spediente. »
Queste sono le parole del padre Graveson, le quali noi abbiam voluto
portar tradotte nella volgar favella per intelligenza di tutti e comodità d'una
istoria nel nostro stesso linguaggio composta.
Orase certi redattori ecclesiastici, non ostante le ragioni di quel discreto
autore, avessero mai creduto di mancare al dovere di buoni storici, usando
dell'economia prudente cui egli si propose, pareva almeno assai piùdecente
ad annalisti di Chiesa, e a scrittori d'un libro comune a tutti il proporsi da
imitare la saviezza, la moderazione e il contegno dei Rinaldi, degli Spon
dani, dei Ciacconi, i quali pure scrivevano in latino, a preferenza della so
verchia libertà dei Burcardi, dei Guicciardini, dei Gourdon, dei Varchi, dei
Rucellai, dei Muratori e diremo anche dei Leti e dei Gennarelli, i quali dagli
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uomini dabbene non tanto istorici, che satirici pungentissimi vengono ripu
tati. Così di molti altri che più o meno rei, più o meno scusabili, sono piut
tosto da chiamarsi echi di costoro, che non istorici. Nè vi sia perciò chi ci
annoti, se noi scriviamo in volgar favella e teniamo dietro ad Alessandro VI
fino nei suoi recessi: noi scriviamo così, sia perchè convinti siamo d'ap
presso ai documenti che la vita di questo papa non abbisogna neppure di
quel prudente riserbo adoperato dai latini scrittori sullodati, sia perchè vo
gliamo con questo metodo popolare porre il bene a fianco del male.
Ma alcune suscettibilità neghittose grideranno, che è intempestiva questa
nostra difesa, la quale non farà altro che solleticare il prurito dei nemici
del romano pontificato ad insorgere da capo contra la memoria di Ales
sandro VI. Rispondiamo in prima, che contra di questo diffamato Pontefice
nulla avranno da vomitare di più empio ed infame di quello che già sbucò
dalle fauci loro nefande; secondamente, che se valesse una scusa tale, sa
sebbero da biasimare allora quei pochi campioni, i quali piamente e savia
mente si alzarono all'uopo a prenderne la difesa, e per mezzo di essi l'i
stesso Catalani sorto in Roma sotto gli occhi del vicario di Dio, contro al
rinomato Lodovico Muratori, a scolpare il papa Borgia da alcune macchie
con cui questi il deturpava; terzamente senza iattanza, checchè siano certi
insofferenti per rinfacciarci, apertamente pronunciamo, che nella nostra apo
logia ci studiamo raccogliere quanto di più peregrino non solo finora siasi
scritto intorno a ciò, ma portiamo ancora opinione di rimettere in punto di
vista a discolpazione di lui varii documenti e fatti infino ad oggi passati inos
servati. Perciò, in quella che ingenuamente ci gloriamo di questanostra non
prezzolata fatica, di cuore noi aneliamo che altre penne più versate e più
potenti della nostra perfezionino l'abbozzato lavoro, e correndo più valoro
samente il designato cammino ne raccolgano onoratissima palma, cui lungi
noi dall'invidiar loro bassamente, anzi religiosamente gliela invochiamo.
Quando anche si ammettessero tutti i vizi rimproverati al sovrano Pon
tefice Alessandro VI, sarebbe poi assurdo d'opporre la sua vita ai cattolici,
come se il cristianesimo, per essere l'opera di Dio, dovesse distruggere nei
suoi ministri il germe delle passioni umane. Iddio permise, dice uno scrit
tore, che i capi d'una religione santa non fossero sempre uomini scevri di
colpe e di vizi, perchè la conservazione della religione cristiana non dipende
dalle virtù de' suoi pontefici, ma dalla parola di Gesù Cristo, e dall'effetto
immutabile della promessa solenne che fece di conservare col loro infal
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libile oracolo la sua Chiesa fino alla consumazione dei secoli. La sorte dei
governi della terra dipende dalla saviezza e dal contegno de' monarchi ,
sicchè basta un principe debole e vizioso per precipitarli dalla gloria nella
confusione e nel nulla.
I peccati de'principi e de'popoli, dice l'Eccl. X, 28, sovvertono i regni ,
e li trasmettono in possesso di principi stranieri. Se adunque le debolezze,
o l'imprudenza di alcuni Papi non bastarono a scassinare i fondamenti della
vera Chiesa, è chiaro che Iddio gli ha rinforzati, dando loro una consistenza
che gli uomini e il tempo non possono disciogliere. Daniele, II, 44. Tale
conclusione debbe cavarsi da alcuni passi scabrosi della Storia della Chiesa.
Ora distiamo di troppo dal volere assentire alle calunnie contraAlessan
dro VI. Il protestante Roscoë dimostrò come le sanguinose accuse che gli
vengono apposte sono generalmente fondate sulle menzogne del Burcardo,
e sugli epigrammi del Sannazzaro, le cui infamie furono dagli acattolici e
sagerate. Quindi Alessandro VI attende uno storico che lo rivendichi, come
Hurter rivendicò Innocenzo III, Hoock Silvestro II, Voigt Gregorio VII, i
cui nomi saranno mai sempre appo noi benedetti. Noi certo non ci lusin
ghiamo d'esser da tanto, ma ne facciamo uno sperimento : per questo non
preghiamo i leggitori d'usarci sofferenza, perchè se non corrispondiamo al
l'aspettazione loro, non ce ne saranno indulgenti ; se appaghiamo poi le
mire loro, sono troppo giusti per dinegarcela. Pei soverchiamente cen
sori, non abbiamo nè preghiere, nè scuse nè rimproveri, ma caritatevole
condono. Da niuno poi ne aspettiamo mercede, salvo da Dio !
Con ciò abbiamo voluto rendere meramente avvertiti chi ci legge dello
scopo a cui tendiamo, e dei mezzi con li quali confidiamo di giugnervi. Non ci
è ignoto che da noi s'imprende un viaggio disastroso assai, che ci sarà forza
lottare contro a quattro secoli, estirpare vecchie calunnie, combattere in
veterati pregiudizi, smentire autori rinomati di varie nazioni e lingue, di
nanzi ai quali si rinchind troppo bonariamente l'illusa opinione pubblica,
tributando loro i suoi plausi ed omaggi, soventi di essi immeritevoli ed in
degni. Pure ci conforta ad esordir nella malagevole impresa il pensiero che
i veramente dotti e religiosi leggenti, del vero studiosi, e dell'onore della
religione sauta zelanti, troveranno salutifero questo nostro libro.
Nè ci aggiugne minor lena l'assapere, che molte e copiose sono le
fonti a cui possiamo attingere, e tante e si svariate le opere le quali ci
somministreranno i materiali, che noi non avremo tranne che ad imitare
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l'uffizio del giardiniere, a non fare di ogni erba fascio, sibbene d'ogni fiore
intrecciare una ghirlanda. Nè, tale uffizio facendo, con iscegliere il meglio
dagli scrittori più celebrati e solenni, ci tireremo addosso la nota di pla
giarismo, colla quale certe suscettibilità egoistiche, od indolenti, od ignare so
gliono bestialmente regalare i generosi e laboriosi, purchè matura e ragio
nevole ne sia la scelta. Nessuno fino ad ora, dice Bayle, Diction. Histor.
>> Praes , ha spinta la stravaganza al segno di trattar da plagiarii coloro i
>> quali riferiscono gli avvenimenti dagli altri narrati, ma li vanno ad attin
> gere alla sorgente, e non fanno uso nè delle maniere, nè dell' ordine, nè
>> delle espressioni altrui. Nè vi ha apparenza alcuna che per lo innanzi
» sorga chi si avvisi di definir sì follemente il plagio. Una così assurda de
> finizione ci condurrebbe a quest'ultimo segno d'impertinenza, che il più
> eccellente istorico, il quale imprendesse a scrivere la vita di Carlo V, sa
> rebbe necessariamente plagiario del più meschino cronista, che abbia
>>rammassato delle rapsodie intorno alle azioni di questo grande mo
» narca » .
Scrivendo noi questa vita avvertiamo non aver unquemai mirato a com
pilare una semplice biografia d'Alessandro VI, ma una storia compiuta;
epperciò ci fu indispensabile discorrere anche a dilungo de' suoi contem
poranei, quindi abbiamo intitolato l'opera nostra Borgia ossia Alessandro VI
e i suoi contemporanei.
Or siccome non tutti per le cui mani capiterà essa possederanno gli au
tori da noi citati, il perchè ci parve essere cosa ovvia assai l'allegare le te
stimonianze minutamente affinchè eziandio fosse, non giàuna semplice i
storia nuda, ma documentata. L'avere poi inserito nel decorso dei capitoli i
documenti, ovvero sul fine dell'opera ciò non solo non la dilunga, nè la rende
oscura, anzi porge ai leggenti maggiore speditezza a riscontrare, se vogliono,
a proprio luogo le riportate testimonianze .
Daultimo noi intendiamo ancora con questa apologia presentare ai leg.
genti nostri Piemontesi-Liguri-Sardi documenti di gloria nazionale non af
fatto comuni, ragguardanti o le persone, o le cose patrie, per rendere a questi
sotto ogni rapporto estimabile il lavoro.
PROLEGOMENI
Eruite oppressum de manu calumniantis.
GEREM. XXI, 12.
Non si potrà unquemai portar diritto giudizio sulla vita di qualunque
siasi individuo, senza dapprima conoscere i motivi , le opinioni , le pas
sioni, le circostanze, i tempi, le condizioni , la materia in cui versavano
tanto gli scrittori, quanto gli uomini, vieppiù se in alto locati, dei quali
si descrissero le azioni, ovvero si disputarono la materie e il diritto. Il
perchè sovente ne avviene che una sola di queste ragioni trasandata si
misintende, confonde, scambia, impervertisce ogni cosa. Di questo vero,
irrepugnabile ce ne presentano argomenti troppo luttuosi assaissime isto
rie famose, per mezzo dei quali uno deplorabilissimo abbiamo per lemani
somministratoci da quegli autori che narrano la vita e le gesta d'Ales
sandro VI. Perocchè nel compilarla, sopra quali autorità sonosi mai ap
poggiati gli storici? Con qual criterio lo hanno giudicato? Con quale
occhio rimirarono la materia sulla quale raggiravansi gli atti suoi come
pontefice, principe, sovrano degli Stati Romani? Tre punti questi altret
tanto connessi quanto essenziali da disaminarsi partitamente.
I. Gli scrittori che inchiostrarono fogli sulla vita e sulle gesta d'Ales
sandro VI sopra quali autorità mai sonosi appoggiati fino ai giorni no
stri ? Forse sull'autorità di quegli scrittori , i quali nell'atto di vergare
le pagine han calpestato ogni patrio amore, le proprie passioni, con in
comparabile dirittura si considerarono unicamente come cittadini del
mondo intero. Tutto al contrario! Si fondaronoprincipalmente sulle dia
tribe del poeta napoletano Sannazzaro, che aveva come nulla la verità al
lorquando non simpatizzava conlicapricci della sua fantasia ; sulla testi
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monianza non meno sospetta del Guicciardini , che non si piglia nem
meno la briga di coprire il suo odio tutto fiorentino contro ai Borgia;
sugli errori del Mariana che sovente guatava sinistramente i monarchi
quali tiranni; sulla parzialità del Panvinio ; sulle asserzioni svergognate
d'un alemanno, il quale da buon teutonico cerca mai sempre dicogliere
in fallo il meridionale. Tal è il pensamento, e presso a poco il linguag
gio d'un celebre scrittore. E noi nel por mano a rilevare qui le diverse
magagne degli autori infensi ad Alessandro VI, le quali inforseranno
d'assai il credito da sì bella pezza ai medesimi aggiustato , non giudi
chiamo convenir qui l'arrecare quei documenti che gli smentiscono, vo
lendo più appositamente riserbarli negli opportuni capitolidella contro
versa istoria.
Il primo impertanto che ci si para dinanzi è il famoso Sannazzaro.
Costui erasi di buon'ora segnalato pel suo ingegnopoetico e per lo spi
rito mordace cui mostrava. Egli seppe infiltrarsi nella corte di Napoli e
cattivarsi, giovane ancora, la grazia del re Ferdinando, e quella d'Al
fonso e di Federico, figliuoli di questo monarca, ai quali almeno rimase
costantemente affezionato malgrado le loro avversità. Egli accompagnò
eziandio Alfonso in parecchiespedizioni, ed in qualcheduno dei suoi poemi
latini parla delle proprie gesta , colla franchezza di colui i cui servigi
sono conti ad ognuno.
Quando i francesi rivalicarono per la seconda volta i monti , e riap
parvero in Italia, Sannazzaro iscongiurò sovra di essi e sulloro re tutta
lacollera del cielo. Nè di ciò tenendosi pago, volse ancora tutta la sua
bile contra Alessandro VI, allorchè questo Pontefice per evitare mali certi,
maggiori assai e generali , si vide costretto a cedere alle violenze di
Luigi XII e di Ferdinando di Spagna ed accordare ai dueprincipi l'in
vestitura del regno di Napoli ch'essi forzosamente da lui esigettero.
Da quel momentoesordironogli epigrammi delSannazzaro, come anche
la necessità di tenersi in guardia contro alla satira di cotesto scrittore.
Del resto il carattere del poeta non meritava nè ammirazione nè fede.
Egli se la pigliava con tutti, ed in mancanza d'altro , scagliava contro
de' suoi rivali ingiurie e villanie. Amico o nemico non venia da lui un
quemai risparmiato. Le sue opere presentano tali atti d'ostilità che non
si sanno spiegare, e certi passi sono molto più rimarchevoli perpassione
ed indecenza di quello che sienlo per frizzo e verità.
Francesco Guicciardini da Firenze nacque d'una famiglia che esiste
ancora oggigiorno. Gli antenati di lui avevano occupati i posti più di
stinti nella repubblica fiorentina. Daprincipio ei sidiede alforo, edacqui
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stossi in questa carriera tale una riputazione che a ventitrè anni divenne
professore di giurisprudenza. Quantunque non avesse ancoral'età voluta
dalle leggi, fu scelto ad ambasciadore appo Ferdinando il Cattolico , di
cui seppe entrare nelle grazie e guadagnare a protezione per sè è per
la sua terra nativa. Fu anche chiamato a Roma da LeoneX, Adriano VI
eClemente VII. Tuttavolta non vi fe' lunga dimora, essendo stato dal
Papa privato della dignità di cui l'aveva insignito , e tornossene spia
cente a Firenze, dove scrisse la sua Storia d'Italia.
Essa venne partita in venti libri, sedici dei quali sono d'un grandis
simo merito dal lato dellacomposizione. Ma l'amor della patria può tanto
sopra di lui, che se ne risentono non poco ed i suoi giudizi ed il suo
racconto. Egli non cela punto, noi l'abbiamo già detto , confessa anzi
l'odio che porta contra la famiglia Borgia; che vuolsi di più per avere
in sospetto la costui sincerità sul fatto loro ? Tutti i biografi di lui con
vengono unanimi, che desso era troppo attento a notare fino le minuzie
altrui, di piegarsi troppo ai motivi vergognosi ed ingiusti , ed essere
troppo prevenuto pel suo paese.
Sentiamo quello che ne scrive il Corniani (1), non solo spregiudicato,
mapiuttosto al Guicciardini bene affetto, del merito di questo riguardo
alla Storia di lui d'Italia. Lasuacontemporaneità, egli scrive, dovrebbe
allontanare da lui qualunque sospetto di menzogna. Cionondimenonella
sua storia si ravvisano alcuni oggetti di sua particolare avversione. Ei
nondimostra una leale imparzialità istorica ragionando dei Francesi, di
Francesco M. della Rovere, della Corte di Roma, e de' suoi concittadini
addetti a partito diverso dal suo. Non oserei dire che in tali argomenti
abbia assolutamente tradita la verità, ma forse alterata con qualche ca
lore preso ad imprestito dalla passione. Si rende essa in singolar modo
osservabile ove si tratta di biasimare i romani Pontefici , ad onta che
questi stati fossero i suoi più generosi benefattori. ,
•Molti furono
› i beneficii (arroge l'esatto e moderatissimo Zeno) e gli onori che dalla
› Santa Sede ottenne il Guicciardini; maforse non ne ottennetuttiquelli
⚫ che a lui pareva di meritare (Note alla Biblioteca del Fontanini , ecc.
▸ t. II , pag. 122), quindi nacque il suo mal umore. Qual meraviglia
adunque se le stampe eterodosse furono sollecite a farne avida incetta ,
ed apubblicare si famosa istoria tradotta anche in più lingue. Di co
testa slealtà di lui, sovratutto contra d'Alessandro VI, ne rimase sì in
(1) Veggasi il compendio della vita del Guicciardini premesso alla edizione della Storia d'Italia,
del medesimo, conforme la celebrata lezione del professore Giovanni Rosini, con note. Milano 1851
al § II, pag. 7.e seg., desunta dai Secoli della letteratura italiana, del Corniani.
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dispettito l'istesso Voltaire, il corifeo degl'increduli, che in faccia dell'Eu
ropa intera, cui egli tentò d'ingannare, lo taccia di solenne mentitore.
Guicciardini vile assentatore di quel bastardo d'Alessandro de'Medici che
fu un vero mostro, è prodigo poi dei vituperi ad Alessandro VI. Bella
lealtà di storico!!
Panvinio Onufrio, nato a Verona e morto a Palermo nel 1568in etàdi
trentanove anni , religioso Agostiniano. Egli professava pressochè tutte
le scienze, secondo l'impresa da esso stesso presa In utrumque paratus,
conun bue posto tra un aratro ed un altare. Indicando con ciò ch' era
ugualmente prontoasopportarelefatiche delservizio divino, equelle delle
scienze umane. Le moltissime opere e travaglioseda lui scritte in si gio
vane età, benchè siano prove indubitate di vasto ingegno, l'impedirono
appunto a profondarsi in esse scienze. E venne il Panvinio accusato di
inventare delle iscrizioni e dei monumenti antichi per autorizzarele sue
opinioni ; è pur nota la sua audacia in ciò , che impugnò la sua penna,
ed adispetto di tutta la più veneranda antichità, scrisse che S. Pietro
instituì e fondò la Chiesa di Roma in prima di quella d'Antiochia. Opi
nione temeraria, strana, contraria eziandio alla ragione. Lasua vita dei
Papi, in cui include anche quella di Alessandro VI, e dedicata a Pio V,
sente assai di parzialità, e la verità vi è soventemente desiderata: egli
ancora si rendette riprensibile per adulazione pressochè ad ogni pagina
come per mordacità, dietro alla scuola del Sannazzaro edelGuicciardini
suoi modelli. Epperciò non poteva a meno di ricopiarneleacri invettive
e infedeltà.
Mariana Giovanni, nato a Talavera nella diocesi di Toledo, entrò nei
Gesuiti nel 1554 in età di 17 anni. Divenne inquestasaggiaCompagnia
uno dei più dotti uomini del suo secolo. Egli sapeva le belle lettere , il
greco, il latino, l'ebraico, la teologia, l'istoria ecclesiastica e profana, se
condochè ne scrivono i compilatori del famoso Dizionario degli uomini
illustri, stampato in Caen.
Insegnò a Roma, in Sicilia, a Parigi ed in Ispagna con riputazione, e
morì a Toledo nel 1624 in età di 87 anni. Dietro la pittura fattane dagli
stessi suoi correligiosi, desso era un uomo irrequieto ed ardente. Ab
biamo di lui la famigerata istoria di Spagna, scritta prima in latino, poi
volgarizzata in ispagnuolo.
Mariana, paragonabile ai più rinomati storici dell'antichità, è eguale al
presidente di Thou per la nobiltà e per l'eleganza dello stile, ma non è
nè così esatto, nè così giudizioso, nè così imparziale quanto questo ce
lebre storico.... Egli è maestoso ne' suoi racconti , ma serba poca preci
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sione ed ancora meno di filosofia. Si notano in Mariana parecchi errori
di cronologia, geografia ed istoria. Quindi non possiamo noi fidarci gran
fatto di sua narrazione in quello che ragguarda Alessandro VI per le
allegate ragioni, molto meno poi ancora per le seguenti.
Tra le varie opere stampate dal Mariana, di cui nonoccorre ragionare,
egli scrisse ancora quella sua famosa opera: De rege et regis institutione
libri tres ad Philippum III Hispaniae regem catholicum. Lasciamo da
parte la sua dottrina sul tirannicidio che è quella la quale principalmente
ne provocó la condanna in Francia dal Parlamento di Parigi ad essere
bruciata per la mano del carnefice, e fu censurata dalla Sorbona. Questi
Poteri avevano sicuramente dei motivi da mettersi in allarme contra di
simil libro 1), poichè vedean morire ipropri re permano degli assassini,
eleggevano in esso che Mariana osava sostenervi ch'è permesso di dis
farsi di un tiranno, e vi ammira l'azione detestevoledi Giacomo Clemente.
Tuttochè sia certo che Ravaillac non aveva punto attinto in quest'opera
l'abbominevole disegno cui esegul contro alla vita di Enrico IV , come
supposero taluni, nulladimeno cotesto libro nondebbe recaremeno orrore
ai buoni cittadini. Or che può mai ripromettersi da uno scrittore di tal
conio che considerava Alessandro VI qual odioso tiranno? Qual fede pos
siamo non aggiustargli, quando studiasi di mostrarcelo esoso nella sua
persona, in quella dei figli, sopratutto in Cesare Valentino , acciocchè si
concepisca inlui sprezzo ed odio? Egli, scrive il dott. Langletdi Fresnoi
nel suo metodo di studiare l'istoria..., viene accusato di non avere di
mostrata troppa moderazione riguardo ai Francesi ed ai protestanti, e
di aver commesso molti errori di geografia.
Quanto poi a Burcardo, consultiamo l'autoredella Galleria Universale,
art. Alessandro VI, e noi vedremo qual conto sia a farsene Malgrado
i suoi pensieri filosofici, è a vedere come lo scrittore si rida e si burli
saporitamente di quei pranzi di Trimalcione, ai quali l'impudente tede
sco fa con tanta compiacenza assistere il papa Alessandro VI.
Avevamo noi appena finito di scrivere la vita d'Alessandro VI, quando ci
venne perle mani appunto questoDiario delfamigerato Burcardo, recen
(1) Esaminando d'esso libro semplicemente la teoria sul Potere, si trova apertissimamente tanto
popolare e larga, quanto essere possono quelle dei moderni democratici; ed ha il coraggio di met
tere fuori le sue opinioni senza tanti rigiri e misteri. Paragonando per esempio il re col tiranno,
dice: lib. 1, cap. IV, pag 57: " Rex quam a subditis accepit potestatem, singulari modestia e
xercet... Sic fit, ut subditis non tamquam servis dominetur, quod faciuat tyranni ; sed tamquam
» liberis praesit, et qui a populo potestatem accepit, id imprimis curae habet, ut per totam vitam
» volentibus imperet.
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temente pubblicato (e si pretende integralmente!) dal chiarissimo Gen
narelli. I leggenti possono capire con quanta e quale avidità noi vi ab
biamo steso la mano a svolgerne le pagine e perleggerle, sapendone in
molte parti buon grado al laborioso compilatore per le pellegrine note
che a piè di ogni facciata abbondantemente viinnesta; alcune delle quali
non sono certo ingloriose della memoria di Alessandro VI, altre indiffe
renti, molte poi cavillose, invereconde, maligne, false ed alla santa fede
nocenti.
Queste, a nostro avviso, od avrebbe l'illustre scrittore dovuto omettere,
ovveramente colla face della cattolica critica illuminarne quelle partite
nebrose, e mitigarne il rio veleno contra la Chiesa e quel troppo tartas
sato Pontefice. Simile lavoro avrebbe accresciuto di gran lunga più il
pregio della sua elucubrazione in se stessa, arrecato maggior rinomanza
al compilatore, difeso il rappresentante dell'Uomo-Dio in terra dalla sa
tira mordace, dalla calunnia perfida e ribalda, e renduto con siffatta o
pera un importante servigio alla storia, alla Chiesa, alla verità ed agli
studiosi. Era impresa sì degna di lui l'attuarla, come la fu indegna l'a
verla omessa, e tanto più indegna ancora, quanto che la riproduzione
del famigerato Diario di Burcardo, lungi dal coonestare l'intenzione sua
che anzi riconferma il male asserto, e mostra non essere stato diritto il
fine per cui si mosse a divulgarlo.
Noi stavamo peritosi ad emettere cotal giudicamento nostro, sia pel ri
spetto di cui eravamo compresi verso di Gennarelli, sia pel desiderio di
intendere in prima su di ciò l'avviso di personaggi versati nelle catto
liche dottrine, onde non andarne errati. Durante questa esitanza nostra
ci venne fra le mani la dispensa CXLVI della Civiltà Cattolica, anno VII,
terza serie vol. II, nella quale al paragrafo II, pagina 201, ecc., abbiamo
letto il saviissimo giudizio, cui i dotti e pii redattori di questo accredi
tatissimo periodico, danno ; giudizio che dissipando in noi ogni temenza,
ci raffermò nella nostra convinzione talmente, che prescindendo nella ri
vista da qualunque altro commento sfavorevole sul libro menzionato, o
piniamo essere opportunissimo il trascrivere qui per intero la ragionata
censura.
Essa adunque dappoichè ebbe di volo vedute le misere condizioni di
Roma, e diremo di tutta Italia, in sul finire del secolo XV, in cui spesso
la forza soverchiava il diritto, e i sensi aveano sovversa la ragione, ma
pure dimostrando che fra tanti vizi regnavano grandi virtù , scende al
Diario del Burcardo, di che l'avvocato Gennarelli regala Italia e tutta
l' Europa nel 1856, nella più meticolosa critica di studii istorici, e nel
maggior lume della presente civiltà.
--
23
•Cotesto Diario, malaugurosamente famoso per le indegnità e le stra
bocchevoli sozzure , onde l'interpolarono i protestanti , non era ancora
comparso intero ad ammorbare il mondo: udiasene parlare daipiù come
di un lurido spettro , che uscito di frodo dalle nere bolgie dei luterani,
avvolgeasi tenebroso nei più tetri postriboli, nei covi delle società secrete,
e nei trebbii dei nemici di Cristo e dei suoi Vicarii, e per lo più non o
sato mai di mettere in piena mostra , ma adombrato appena a qualche
botta di lutulento pennello, dacchè ci uscì di mano de'luterani insino
all'ultime bestemmie dell'Anacleto diacono, vomitate ieri dallapennadel
Revere nella Rivista Contemporanea di Torino. Era riserbato ad un fuor
uscito romano, rubelle, e sconoscente al pontificato, da cui ricevette si
alta grazia e benefizii, il metter fuori pei tipi di un popolo cattolico un
libro ripudiato siccome calunnioso perfino da un protestante , e pubbli
carlo sopra una copia non potuta riconoscere siccome fedele e legittima,
anzi, per quello che appresso ragioneremo , sospetta palesemente di a
vere con maligne interpolazioni cresciuta la malignità dell'originale.
« I nostri lettori stupiranno in vero nel leggere parole tanto diverse,
con che inzaccherava le colonne dello Spettatore di Firenze il dì
27 gennaio il sig. Cesare Trevisani intorno a sì raro dono, e a si valente
donatore. Il Gennarelli, diss' egli, oltre usare ogni cura nel pubblicare
una preziosa opera inedita, nel supplirla, illustrarla, vi aggiugne tutta
la ponderazione, tutta la serenità propria di uno storico che deve essere
senza passioni, cosicchè non ritrovi nè l'avversario nè il difensore del
papato, nè il propugnatore di alcun partito, ma l'uomo che professa la
verità con tutta la indipendenza. »
« Ora checostui non si professa nè avversario, nè difensore del papato,
di qual religione sarà egli mai? Se ilGennarelli ha una religione, non può
essere indifferente nel parlare del Capo della religione cristiana , peroc
chè o egli non è cristiano, e deve avversare il Pontefice vicario diGesù
Cristo, il quale ha detto colla sua divina bocca
Qui non est mecum,
contra me est.
Se egli è poi cristiano, il Pontefice come padre dei fe
deli è anche padre suo, edeve o difenderlose ingiustamente e falsamente
accusato ; o non potendo farlo, tacere e coprire col mantello della rive
renza le vergogne del padre suo, essendo uffizio dei pii figliuoli il com
portarsi a quel modo.
•Se adunque ilGennarelli pubblica per la prima volta al mondo un
libro (Joannis Burchardi Argentinensis , pronotarii apostolici et episcopi
Hortani, capellae Pontificiae , sacrorum rituum magistri, Diarium Inno
centii VIII, Alexandri VI, Pii III et Iulii II tempora complectens, nunc
primum publici iuris factum, commentariis et monumentisquamplurimis
et arcanis adiectis, ab Achille Gennarelli equite, etc., Florentiae 1854
uscito il 1856), il quale, almeno nei trattichecidiedero iprotestanti, offende
altamente la riputazione del Capo della Chiesa, nella quale esso Genna
relli è nato, e dei sacramenti, delle grazie, delle speranze della quale
ha partecipato, vuol dire , o che egli da questo libro taglia via quelle
turpitudini delle quali è imbrattato , e in quel caso egli apertamente,
nobilmente e francamente difende la memoria del Pontefice; ovvero il
Gennarelli pubblica detto libro con tutte le invereconde note , onde va
infame per le bocche non solo dei cattolici, ma dei savi e protestanti, e
in quel caso egli è manifesto avversario del papato (vedi la Storia di
Leone X, scritta dal Roscoë).
• Il signor Trevisani vuole uscire dalle due tanaglie di questo argo
mento, dicendo
Il Gennarelli pubblica un documento storico di molta
importanza colla serenità propria di uno storico che deve essere senza
passione.
• Primieramente a questo modo il Trevisani trapassa da una proposi
zione in un'altra , e fugge la risposta. Secondariamente noi vorremmo
supporre nel Gennarelli la serenità e l'apatia che gli dona il Trevisani ;
ma noi chiederemo al Gennarelli chi abbia investito lui dell' autorità di
rendere di pubblica ragione un documento, il cui autografo stain mano
della Chiesa? Del quale la Chiesa nella sua sapienza, hafattopubblicare
per mano del Raynaldi e di altri, quei punti che potevano illustrare la
Storia Ecclesiastica di quei tempi, e il resto ha tenuto celato con quel
diritto che ha ogni proprietario di non mostrare senza necessità le cose
particolari che lo riguardano. Terzo, diciamo francamente che eziandio
se cotesto libro fosse puro di ogni macchia, non era punto necessario
che il Gennareli si affaticasse tanto a pubblicarlo , a supplirlo , ad illu
strarlo, perocchè egli nulla ci narra di quanto importa alla storia , che
già narrato non si trovi ampiamente dagli storici contemporanei e suc
cessivi. Il Gennarelli ci crede proprio così digiuni della Storia ecclesia
stica e civile di quei tempi di crisi sociale, da riputar necessaria al mondo
la pubblicazione di quel Diario con tutti isuoi supplementi ed illustra
zioni, e noi gli possiam dire che essendo di quei pochissimi i quali hanno
avuto la pazienza di leggere tutta intiera la prima parte del Diario da
lui pubblicato, non vi abbiamo trovato nulla di ciò cheveramente e so
damente importa alla storia ecclesiastica e civile di quei venli anni, che
già non avessimo letto nei più accreditati storici antichi e moderni.
• Con tutto ciò non creda il signor Gennarelli che noi non abbiamo-24
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ammirato sinceramente la sua diligenza ed erudizione, nel porre quasi
in unquadro sott'occhio ciò ch'è sparso nei diversi autori, e nel pub
blicare alcune cose aneddotiche eziandio tuttora inedite: ma qui lo pre
ghiamo di considerare, che non trattasi del suo valor letterario, sì bene
della veracità e dell'importanza del libro. Circa l'importanza abbiamo
già detto di sopra, che non è tale da doversi rompereper siffattacagione
la pietà e la riverenza dovuta da un cristiano cattolico verso la Chiesa
madre sua, porgendole si forte cagione di scandalo e di dolore.
• Rispetto poi alla veracità, noi ci appelliamo agli uomini savii, chie.
dendo loro se puossi avere perlegittimo eautenticoun libro, che ilGen
narelli non ha potuto riscontrare coll'autografo vaticano: anzi l'ha tolto
in gran parte, o daquanto ne pubblicarono i luterani per astio contro
la Chiesa Cattolica, voluta vituperare dell'onta d'un suo capo e maestro
pontefice massimo, o da altri manoscritti, dei quali non può guarentire
la genuina sorgente.
• E tanto è vero che il Gennarelli non ha potuto riscontrare il suo
libro coll'autentico manoscritto del Diario del Burcardo, che uno scrit
tore della Vaticana ce lo assicurava con asseveranza, dicendo: che ilGen
narelli mandò in Roma a chiedere di collazionare il suo manoscritto , e
minacciava gran cose, ove non gli si fosse aperto l'autografo.- Eh tu
vedi, lettor gentile, che la rocca Vaticana rischia di crollare dalle fon
damenta, perchè il signor Gennarelli non potè ottenere il riscontro del
suo libro coll'autografo del Burcardo !
Ma egli vedea che tutte lesue
fatiche erano indarno senza cotesto confronto, perchè sapea benissimo
che niuno potrà avere laminimafede al suo testo ; e ognuno avrà tutto
il diritto, incappandosi in certe esorbitanze di dirgli- Il tuo libro men
tisce-come si dice dagli uomini assennati, di quelle brutte e sporche
narrazioni del testo prodotto la prima volta dai luterani. Di guisa che,
con tanto affaticare, il Gennarelli non ha mai aggiunto una dramma di
autenticità al suo Diario.
•Ora i lettori ci chiederanno, a ragione, di qual natura libro sia il
Diario del Burcardo. Ecco :
•È antica usanza della Corte Pontificia, che il cerimoniere del Papa
noti tutte le feste ordinarie e straordinarie che hanno luogo inPalazzo,
nella Basilica di s. Pietro, e per tutto ove sia stato il sommo Pontefice
in forma pubblica e solenne. I ceremonieri notano brevemente la festa,
i personaggi che vi assistettero, le cerimonie e i riti che vi si opera
rono; alcuna volta lo fanno di man propria, ma per lo più per mezzo
di un cherico, siccome s'usa anche al dì d'oggi, il quale si trova pre
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sente alle funzioni, o ne riceve nota dal ceremoniere. Per quest' ufficio
il cherico ha un piccolo emolumento , ma si avvia per lo più ad una
specie di alunnato per farsi pratico delle cerimonie.
•Dalle quali cose tu vedi, lettorcortese, che ilDiario diBurcardo è per
sè una lungaenoiosa filatessa di cerimonie edi nomi; di star seduti a di
ritta o a sinistra, di rizzarsi, di sedere, di sberrettarsi, di porre il berretto
in capo, di dare o ricevere incensazioni, come tu vediin piccolo in tutte
le cattedrali, e le collegiate dei canonici. Pergli storici vi è cotesto van
taggio, che si sanno di molte date, si conoscono di molte persone, si
sanno di molti aneddoti pubblici o privati; e a quel tempo d'infinite ce-
rimonie e osservanze d'onore e di riverenza che gli uomini si professa
vano a vicenda, e pel sublime concetto che avevano i monarchi della
propria dignità, il Diario del Burcardo è pieno di competenze, di liti, di
discussioni sopra la preminenza dei posti che doveano tenere gli amba
sciatori delle Corone nelle cappelle pontificie, nei concistori, nelle caval
cate, ecc. L'oratore del re di Francia non volea ceder la mano all' ora
tore del re dei Romani; quelli di Spagna non volean cederla a quelli
d'Inghilterra; quei d'Inghilterra protestarono per le preminenze sopra i
legati del re d'Ungheria ; questi con quelli del re di Boemia: dal che
ne succedean tafferugli, brighe, e protestazioni interminabili.
• In che adunque, direte voi, può egli consistere il grand'interesse che
spaccia il signor Gennarelli, destare al mondo il Diario del Burcardo ?
Consiste in quell'interesse che ha l'umana curiosità di sapere certi
particolari che non si possono porre per li storici. Quell'interesse che
desta nei buoni cristiani Fabio Mutinelli (Storia aneddotica d'Italia) pub
blicando a questi di molti ragguagli inediti circa alcuni atti privati e
domestici di S. Pio V, quello stesso desta negliavversarii dei Papi ilBur
cardo, il quale narra atti privati e domestici, che se fossero veri disono
rerebbero l'augusta persona di Alessandro. Nè qui c'entran punto registri
di cerimonie, ma soltanto mormorazioni e dicerie di corte, di sfaccen
dati e di maligni, alle quali (se il Burcardo scritte le avesse) non era
presente, siccome quegli che non albergava in corte, ma vi andava o
chiamato dal Papa o pel suo ufficio di ceremoniere.
• E qui è il luogo di notare innanzi tratto, che il Burcardo nutriva
astio cordiale controAlessandro VI suo padrone, e dove poteva nonman
cava di fargli dispiacere, come nota più volte Paride Grassi, ceremoniere
pontificio anch'egli, e vissuto qualche anno collo stesso Burcardo. Fra
le altre cose, il Grassi difendendo la condotta d'Alessandro VI per la
messa di requie fatta celebrare da lui adAlfonsoducadiCalabria, dice :
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che il Papa nol fece perchè spagnuolo (sicut latrator ille garriebat), ma
per vero atto di cristiana pietà (capo LIV dei funerali pei sovrani nella
cappella papale). Nota quel latrator, lettor mio, e dove trovi morso A
lessandro, apponlo pure ai denti di quel critico.
•Altrove chiama il Burcardo ghiotto e beone, ediceche allorchè avea
largamente vuotato diverse qualità di vini, cicalava estraparlava a me
raviglia.- Omilto quam visceraliter exultat , si quando ab obsonatore
exploratur , quot vini generes, quotve item fercula, epulasque parare o
porteat. Bone Deus! quid ergo nuper audivi...! (Parte vi, cap. II).
•Rispetto alla fede che si deve al Burcardo come ad uomo savio e
verace, Paride lo ci significa dicendo- Noster ille Burchardus (al prin
cipio della parte III), pleraque, suo more, ludibria, peneque fatu impos
sibilia pro inani quadam ostentationem miscere tentaverit. E al capo xxvII
dice rotondo Burchardus noster ille subdolus ignorantiae doctor ; e al
trove (1) parlando d'una rubrica introdotta nel suo libro, lo impugna
quia falsa est et mendaciosa, suo auctori simillima.
(1) Lib. 11, cap. сахи.
Se poi alcuno volesse trastullarsi un poco a leggere altre allegazioni di Paride sopra il nostro
Burcardo, gliele forniamo assai volentieri.
Nel libro stesso, capo 35, ove tratta dei riti da serbarsi nelle messe di requie, circa un punto
controverso fa notare cosi : " In qua opinione vel potius errore fuit noster Burchardus sui ni
" mium amator ingenii, nec ulli rationi, sed uni tantum suae pertinaciae innitens ».
Nell'appendice De Funeribus nella prefazione : " Profecto dolendum quod tam multa, tamque
>>praeclara de caerimoniis monumenta, non minus temporum injuria, quam Praefectorum incuria
periissent, ut vix unum Johannem Burchardum Argentinensem per annos fere quadraginta sub
»sex summis pontificibus caeremonizantem, nunc collegam meum, ex tanto naufragio superstitem,
vel ex tanto, ut ita dicam, abortu posthumum habeamus; caerimonistam procul dubio vehe
"
"mentem curiosumque, sed scriptorem ita perplenum et varium, ut praeter id quod in multis locis
dubia quae occurrunt non explicat, sed infinita quae desiderantur aut implicat, aut omittit, sic
ut omnis Burchardina traditio non ritus, sed risus, non caerimonia sed quaerimonia verius exi
» stimetur, nempe, (ut multorum opinio est) ex talibus documentis, vel potius nocumentis tam-bonum est quod ipsa qualiacumque sint obliterentur ut non extent quia malum, quod qui ita
scripserit, vel intelligi noluerit, vel nequiverit ».
Nella parte vi, cap. 1, parla del pranzo che si costumava dare agl'inservienti nei funerali :
" Primum libet hoc in loco nostrum Burchardum paulisper appellare, quandoquidem in illius ore
nihil aegre frequens versatur, quam sermo coenaticus, puto quod eius animus totus epularis sit
» et semper in patinis. Nempe quoties is talem epulandi occasionem habet, seipsum ut mandiconem
»invitat ad coenas hujusmodi emortuales, tamquam ad triumphales nuptialesque , ac ita , ut que
madmodum dicere solet, incoenatus ca de causa biduum sustinuerit, quo crapulantius ingurgi
> tetur. Quin et convivas subinde conversus hortatur, tamquam ex epulonibus unus, secum totos
» ventres distendant pro anima, ut bibens inquit, illius cardinalis in cujus, honorem id exequiale
" obsequium, tamquam epulare sacrificium peragitur. Omitto quam visceraliter exultat, si quando
ab obsonatore exploratur, quot vini genera, quotve item fercula, epulasque pro ministris missa
" libus parare oporteat. Bone Deus! Quid ego ab illo nuper audivi ? Equidem non plures visus
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•Eccoti adunque, lettore, il magno viro che ilGennarelli ti cava fuori
dal cassone a felicità del mondo: questa prima partecheforma unbuon
volume di 40 fogli in quarto adue colonne, pubblica il Diario del Bur
cardo dalla morte di Sisto IV nell'agosto 1481 fino al maggio del 1494
regnante Alessandro VI. È scritto con latino barbaro, con circostanze
minute noiose e di niun momento storico, se n'eccettui alcuni tratti, la
maggior parte de'quali eran già fatti di pubblica ragione. Uno dei ca
ratteri che spiccano nel Burcardo si è l'essere d'una religiosa precisione
nel nominare il Papa con sempre gli augusti suoi titoli, i cardinali, i
patriarchi, i vescovi coll'appellazione di reverendissimo in Xto signore
cardinale della santa Romana Chiesa, R.mo in Xto Padre signore pa
triarca di Antiochia ecc., R.mo inXto Padre signor vescovodi Pienza ecc.:
ese ne nominasse lo stesso cardinale, o vescovo, o patriarca dieci volte
alla fila, sempre ripete cotesti aggiunti d'onore e di riverenza. Notiamo
queste cose per mostrare quanto sia assurdo, che quest'uomo (per pro
fano e licenzioso che si voglia supporre) si dilettasse scrivere d'un papa
cose così strabocchevolmente indegne.
• In questa prima parte non vi è nulla di cotali imbratti ; tuttavia e
ziandio questa prima parte riesce di scandalo nonlieve pei supplementi,
e per le illustrazioni che vi suol fare il Gennarelli, allegando per lo più
in nota il Diario dell'Infessura, nome che il Gennarelli stesso confessa
edichiara acerbamente avverso ai Sommi Pontefici. Cotalchè p. e. il Bur
cardo registra nel Diario semplicemente, che il Papa nel concistoro no
mind i tali cardinali, e li scrive coi loro titoli delle chiese , senz'altro.
Che fa il Gennarelli? Eccoti nelle note l'Infessura, che narradi ciascuno
» sum apud Macrobium legisse in pontificum coenis exhiberi solitus, ut illa Metelli coena, quo die
"
» Lentulus Flamen inauguratus, sed illud maximerisum movet, dum barbarus iste de coenis saliaribus,
» aditialibus, pontificalibus, dubiisque et epularibus, nec non sybariticis et syracusanis mensis velut
> grandis orator differere studet. Quae autem verborum prodigia ex illo super haec audivimus, aut
„ quas aniles philaterias ipse non effutivit, versus hoc Horatii subinde, tametsibarbare, memorans :
Nunc est bibendum , nunc pede libero pulsanda tellus, nunc saliaribus ornare pulvinar
" Deorum tempus erit doepibus, sodales. Et haec quidemBurchardus. Ego vere a frugaliore ma
gistro, citra jactantiam loquor, hoc est ab ipso pudore semidoctus censeo, quod hujus modi dictis,
> factisque Burchardinis explosis, paretur prandium etc.
Alla parte viu, cap. xxiv, descrive l'esequie dei defunti nel palazzo apostolico. " Sic noster
„ Burchardus virtutis osor in Falconis Sinibaldi Romani tunc fiscalis thesaurarii intra palatium pon
„ tificale sub Alexandro sexto defuncti funeralibus censuit etc. ".
Qual meraviglia se il crapulone Burcardo nutriva amarezza contra il parco e laborioso Ales
sandro VI ? Ognun sa ch'è abitudine consueta dei viziosi il mordere, e l'incolpare altrui di quelle
macchie di cui sono essi medesimi imbrattati ; e quando si avveggono non potere riuscirvi, per
essere apertamente convinto del contrario il pubblico, carpire tosto altri pretesti e buttar fuori altre
lordure, purchè s'infami, si atterri il nemico ! Odierna nequizia !
29
pèr lo più cosacce, cheli mette in abominazione.V'aggiugne ilVespucci,
oratore di Firenze, che scrive aLorenzode'Medici: essere arrivati aRoma
due gran cardinali, chedichiara cinicamente perdue ribaldi: e così allega
altre volte intorno a fatti, o a persone, che il Burcardo onora, o nomina
appena. Questa è nel Gennarelli la serenità propria di uno storico che
deve essere senza passioni, di che lo commenda il Trevisani !
•Noi diciamo invece, che chi legge spassionatamentequesto libro cosi
condito dal Gennarelli, non può a meno di nonconsiderare ilDiariodel
Burcardo se non come il filundente, sopra il quale il Gennarelli ricama
i vituperii del Papa e del sacro collegio dei Cardinali. I nemicidi santa
Chiesa, che tendono da tanti anni pertinacemente ad iscandalizzare i fe
deli in tutti i modi possibili per distaccarli dalla riverenza del Vicario
di Cristo, videro che avean buon giuoco alle mani col Diario del Bur
cardo; e siccome oggi si briga per ogni via di protestantizzare l'Italia,
così prese il Diario come il canavaccio o il filundente, sul quale si può
ricamare ogni capriccio, e te lo van ricamando abuon grado loro. Ma
cotesti signori hanno bel fare: itempid'Alessandro VInon tornano più;
potranno ben iscandalizzare l'Italia e stomacarla; ma farla protestante
non già, se Dio ci benedica.
•Che noi non calunniam punto l'intendimento del Gennarelli, dob
biamo probarlo ai nostri lettori con altre ragioni, ancorchè ci paia aver
detto non poco asserendo, che oveil Burcardo è innocuo nel testo , il
Gennarelli ce lo rende nocivo coll'allegare annotazioni disonoranti e ma
ligne contro i personaggi più illustri della Chiesa.
•Egli è vero che il Gennarelli difende valorosamente l'autorità dei
Sommi Pontefici pel rimprovero che fa loro ilBrequignyd'avermancato
aungiuramento, che icardinali uniti nel conclave d'Innocenzo VIII
imposero al futuro papa; dicendo giustamente il Gennarelli, che i car
dinali non hanno nessun diritto d'infrenare la potestà del Ponteficecon
cessagli da Cristo nel commettergli le somme chiavi, e però i papi non
hanno debito d'obbedirli. In altro luogo ilGennarelli riprova ad evidenza
con lungoedotto ragionamento la favola della papessa Giovanna, sciocca
invenzione la quale ha pur data ai miscredenti tanta materia d'irrive
renti dileggi.
•Nondimeno abbiamo forte ed evidente argomento a dimostrare , che
noi non lo calunniamo. Imperocchè il Gennarelli allapag.203allegando
in nota un tratto del Brequigny, ci asserisce che Oderico Rainaldi nel
l'undecimo volume della sua continuazione del Baronio, pubblicò degli
ampli estratti del Burcardo tolti dai manoscritti vaticani. Il les tira
--
30
des manuscrits du Vatican; e il Gennarelli stesso l'afferma apag. 18 di
cendo: Quae sequuntur ex Burcardi Diario MS. in tabula 7, Vatic. extant,
sig. n. 37, pag. 75, refet Raynaldus in contin. Ann. Eccl. Card. Baronii
ad anno 1484.
:
•Or dunque, se per confessione del Gennarelli , il Rainaldi , uomo di
quella pietà e dottrina di che tutti il conoscono, pubblico alcuni tratti
del testo Burcardiano, perchè il Gennarelli, che non ha potuto riscon
trare il suo manoscritto coll'autografo vaticano, non seguita la lezione
del Rainaldi, ove trova che la sua non corrisponda a quella? E nol fa
specialmente nel più grave e solenne passodellasuapubblicazione ?Nei
capitolari, apparecchiati dai cardinali in conclave pel futuro Pontefice ,
èdetto: che ilPapa, come prima il potrà commodamente, diaoperad'a
dunare un Concilio ecumenico
ad reformandam universam ec
clesiam circa fidem, vitam et mores etc. etc. Dopo le parole circa fidem,
il Gennarelli nota a pie' di pagina. FIDEM desideratur in Raynaldi. Se il
Rainaldi non pose circa fidem, vuol dire che il testo del Burcardo non
l'ha; o se pur l'ha non doveva averlo, inchiudendosi in quella parola
Adem la più nera bestemmia contro Dio, e il più decisivo pretesto della
Riforma Luterana, e del nascimento di tutte le eresie, che in quel mi
sero tempo sbucaron dall'inferno a lacerare la Sposa di Cristo.
• Fidelis Deus: Iddio è fedele e la sua parola non è soggetta amuta
zione. Il Verbo eterno incarnato per la redenzione del mondo, nel fon
dare la Chiesa, le promise che non mancherebbe mai della sua divina
assistenza, e la sua fede rimarrebbe incorrotta e uscirebbe da tutte le
lotte coll'inferno vincitrice della prova Rogavi, ut non deficiat fides tua.
Lo disse a Pietro, e in Pietro a tutti i suoi successori. Come adunque i
cardinali poteano proporre al futuro papa di riformare la Chiesa circa
la Fede? Nè si tratta qui di qualche superstizione introdotta dall'igno
ranza in alcuna Chiesa particolare di Germania, di Francia, diBretagna
ecc. ecc., ma si tratta di credenze universali.- Universam ecclesiam
Pensiamo! Dato e non concesso, che in quel conclave vi fossero anco di
quei ribaldi che dice si cortesemente il Vespucci. Il Gennarelli non ci
negherà però che v'eran uomini disommadottrina, iqualisapeano il ca
techismo un po' meglio dei Leibnitz, degli Eccarde, dei La Croce: e fra
questi vi erano quattrogran papi, Innocenzo VIII, Alessandro VI, Pio III,
eGiulio II , che Iddio elesse a reggere la sua Chiesa in giorni così
tempestosi e funesti.
•Tutti i rubelli della Chiesa, cominciando dai Luterani e venendo sino
ai Giansenisti, si brigarono di addurre a pretesto di loro fellonia, che la
--
31
Chiesa era venuta meno dall'antica fede degli Apostoli; e se i cardinali
del conclave d'Innocenzo VIII avessero nei capitolari posto ad reforman
dam ecclesiam circa fidem, sarebbero stati gli antecessori di Lutero, di
Calvino, di Zuinglio e consorti.
• Il Gennarelli dirà per difendere la sua buona fede: che così sta
scritto nel suo codice, ed egli ha notatolealmente, che ciò mancava nel
testo del Rainaldi. Va bene; una prova di più per sospettare che il suo
testo è interpolato, enonha nessuna autorità, come non l'ebbe maiquello
dei Luterani. Secondo. Se anche fosse realmente nell'autografo del Bur
cardo, non avrebbe alcuna autorità, poichè ilBurcardo copio i detti ca
pitolari dalle scritture del Lopez, dell'Arrivabene e di Lorenzo da Venezia,
tre conclavisti che li trascrissero in due quaderni ciascuno da presen
tare alla sottoscrizione de' cardinali. Ora cotesti quaderni autentici sot
toscritti di mano propria de' cardinali, sol essi fanno autorità: e il Rai
naldi, se anco avesse trovato quel circa fidem nel Burcardo, avrà con
futato in Vaticano gli atti autentici, e non ve lo trovando, non lo tra
scrisse abuona ragione ne' suoi annali. Terzo. Non saria stato adunque
pel Gennarelli più conforme non solo alla sua buona fede, ma special
mente più conforme alla fede cattolica, il lasciar fuori quel circa
fidem, e al più notar da piede.
Il mio codice aggiunge malamente
CIRCA FIDEM, che non è negli scritti del Rainaldi tratti dai codici vaticani ?
•Il Gennarelli cheha supplementi eillustrazioni per ogni piccol fatto,
eche pone altre varianti del Rainaldi, non ebbe in fatto sì grave che
DESIDE--
quelle due magre parole- fidem, desideratur in Raynaldi.
RATUR invece, che il Gennarelli, il quale ha si dottamente difeso Inno
cenzo VIII contro i rimproveri di fedifrago che gli dava il Brequigny ,
ehadimostrato a tanta evidenza la favola della papessa Giovanna, a
vesse impugnato da buon cattolico quel circa fidem, provandocolla sua
dottrina quanto malamente vi fosse stato intruso. Allora il Gennarelli
avrebbe operato con buona fede e riverito, com'è dovere diogni sincero
cattolico, il sacrosanto concilio di Trento, che fece i sapientissimi ca
noni ad reformandam universam ecclesiam, non CIRCA FIDEM, ma circa
vitam et mores, perchè CIRCA FIDEM non v'eraenonvi saràmaibisogno
di riformare la Chiesa finchè Dio sarà Dio.
•Inunabreve rivista speriamo d'aver detto abbastanza per provare
che il Diario del Burcardo, pubblicato dal Gennarelli non ha nessuna
autorità per se stesso, perchènon fucollazionato coll'autografo vaticano :
nonhaautorità perchè appare manifesto che anche ilsuo fu interpolato
dai protestanti: è inoltre scandaloso, non tanto pel testo del Burcardo,
quanto per le note che vi appone ilGennarelli.
--
32
• Se il Gennarelli fosse stato di buona fede, non avrebbe contaminata
la Sposa di Dio con abbominazioni che piacquero cotanto ai luterani , e
forse in gran parte sono ad essi dovute: non avrebbe recata tant'onta
all'Italia, facendo spargere dal suo grembo a tutte le nazioni cristiane
ecivili tanto puzzo da mover stomaco: non avrebbe vituperata Firenze,
che benigna l'accoglie nel suo esiglio, con sì invereconde pagine uscite
dai suoi torchi. Egli vede che ci mosse a parlare lacausa dellagiustizia,
l'amor della Chiesa, e l'affetto d'Italia; anzi tanto eravam lungi dal vo
lergli recar dispiacere, che avevamo già scritto una lettera da inviargli
in particolare, per avvisarlo di alcuni errori tipografici che trascorsero
nel testo, e ragionare con lui a sicurtà di quelle cose che avevamo no
tato nell'attenta lettura del suo libro: ma considerando che qui trattasi
della causacattolica, eche molti giornali libertini esaltarono codesta opera
con encomii adatti a falsare il giudizio dei giovani inesperti, ci siamo
risoluti di parlarne a vantaggio di molti ›.
Non poteva essere più acconcio siffatto articolo di meritata censura
dirittissima del commendato giornale La Civiltà Cattolica : imperciocchè
siccome il Diario del Burcardo forma l'infame luogo comune, dove cor
rono tutti i detrattori, meglio che scrittori di Alessandro VI, ad attin
gere le putride acque velenose per deturparne la Chiesa santa, ed am
morbarne l'anima dei leggenti, così ragion voleva che noi svelassimo
sovratutto a questi il tosco, le menzogne, le calunnie nerissime in esso
contenute.
Di fatto qua e là nel decorso della nostra narrazione avevamo messo
in mostra la nequiziadel Burcardo, ma sempre dietro ad esemplari an
tecedenti d'assai al Gennarelli. Ora impertanto che questi dalle fogne e
reticali il rimise in luce con pretensione bugiardissima di presentarlo al
mondo per quello che genuinamente venne scritto dalBurcardo, oltrac
ciò straccarico pel peggio di note obbrobriose alla Chiesa cattolica, e le
sive della fede sacrosanta di Gesù Cristo, così ragion richiede che ilGen
narelli, denutato dell'onorata maschera di scrittore spassionato, fedele e
cattolico, si additasse al pubblico qual veramente desso è: ci eravamo
accinti all'opera con peritosa penna, temendo che i leggenti giudicas
sero esser noi mossi in tale censura da amor proprio piuttosto che da
verità, e ci raffermava in tal opinamento l'assapere quanto le merci e
stranee vengono anteposte alle nostrali, specialmente se infiorate sono
di titoli pomposi qual è il libro del Gennarelli, nome che certo ecclissa
il nostro.
Quindi non possiamo dissimulare il contento da noi sentito quando
33
leggevamo l'assennata censura fattagli dalla sullodata Rivista Romana,
approvata dalla Congregazione dell'Indice (1), che proibi tosto l'opera del
Gennarelli ; censura che senza alterarne nemmeno una parola abbiamo
volontierissimamente riprodotta apubblico disinganno sulla fallacia per
niciosa e disonorevole della scrittura del Gennarelli non solo, ma affin
chè sappiano in qual conto tenere il Diario del Burcardo e le note ag
giuntevi ragguardo potissimamente ad Alessandro VI, la cui vita pri
vata e pubblica tanto orrendamente, quanto ingiustamente vi strazia ,
non avendo forse mai suspicato, amiam credere, ilBurcardo checotal suo
libello luridissimo avesse undì eccitato l'uzzolo inestinguibile degli acat
tolici e degli scettici di foiarvi per entro tante brutture orrende.
Discepoli di questa scuola, quali più, quali meno, s'incontrano parecchi
dei meno antichi e moderni. Fra quelli, ciò chel'apostataBaleo ha scritto
intorno ai Papi non solo è pochissimo esatto, ma vi regna il suo spirito
turbolento e frivolo, non dissimula mai la sua asprezza e la sua collera
spinta ad oltranza contra i pontefici, i vescovi ed i sacerdoti, d'unama
niera sì odiosa che spiacque insino alle savie persone calviniste nelle cui
braccia si era gettato; come pure le opere cui hanno pubblicate il Du
chesne ed il Bzovio, poco degno continuatore degli Annali del Baronio,
che senza discernimento alcuno infarci i suoi scritti di fatti veri e falsi :
ragione per cui gli scrittori savi isicroni ad essi, benchè amici dell' or
dine suo domenicano, ne lo biasimarono apertamente , ed i Francescani
ed i Gesuiti non fanno alcun conto delle sue opere.Nè di maggior peso
è l'autorità di Paolo Giovio, a cui papa Paolo III rifiuto di conferire l'e
piscopato di Como: egli scrisse moltissime opere e di vario genere, ma
Bayle ci assicura che lo stile di lui, tuttochè assai vivo, è poco storico,
epperciò gli eruditi non fecero mai gran caso della sua storia, persuasi
che la penna di lui era venale, e che l'odio ed il favore facevanlo scri
vere. Fra questi, il Palazzi ha infinite cose inutili ed assaicomuni (Lan
glet di Fresnoy, Metodo di studiare la storia, tom. I, art. II , ediz. se
conda. Venezia 1736, e il Dizionario degli uomini illustri, stampato in
Caen da una società di letterati) ; e fino lo stesso Lodovico Muratori, che
negli Annali suoi d'Italia punse con soverchio sarcasmo contumelioso
(1) Noi portiamo ferma opinione che i leggenti nostri di buona fede resteranno convinti al par
di noi che non intendiamo unquemai sicuramente di riferire quel decreto della Congregazione del
l'Indice quale conseguenza della censura fatta dall' opera del Gennarelli dal benemerito periodico
La Civiltà Cattolica; ma solo di convalidare la forza di quella censura coll'autorità del Sacro
romano Consesso veneratissimo , il quale alla sua volta, secondo il suo metodo sapientissimo indi
pendentemente da qualunque estranea influenza, disaminato attentissimamente quel libro, profferì pe
rentoriamente la sua sentenza, dinnanzi a cui debbonsi curvare ossequentissimi i cattolici romani.
2
34
Alessandro VI, ed in null'altro si mostrò quel giudizioso scrittore che in
diversa materia si appalesa, salvo nel purgarlo dall'accusa dell' avvele
namento del cardinale Corneto. Venne poi egli imitato dalla colluvie
degli scrittori oltramontani sopratutto, ed in ispecie dall'abbate Berault
Bercastel nella sua Storia del cristianesimo. Questi, temperando lapenna
nel fiele il più amaro, non iscorge in Alessandro VI tranne che turpitu
dini madornali; e come fa le viste , in pochissimi luoghi, di prenderne
la difesa, egli il fa in modo talmente schifoso e stomachevole, che imita
il tigre, il quale lambisce la preda inprima di divorarla, e pareggiaqua
lunque protestante anche il più invelenito contra il pontificato romano
nell'ingiuriarlo ed impudentemente razzolarlo nella bruttura la più schi
fosa. Per niente inferiore, nell'accumulare su quel capo augustomenzo
gnere accuse, al Giannone, all' imbecille Burchard , al Guicciardini , al
Sannazzaro , al Panvinio. Non parliamo dei Tommasi e dei Gordon, per
chè li crediamo inferiori alla critica: il primo è un Gregorio Leti senza
ingegno, senza veridicità (1); il secondo non fa quasi che copiare il
Tommasi.
Chè se vivesse ai nostri di l'oratore greco Demostene, pungerebbe i
denigratori d'Alessandro VI con quella sua sentenza sempremai vera, che
è proprio della calunnia il presentare ovunque delitti, ma nulla provare.
Di troppo costei esercito il suo dente roditore su d'Alessandro VI e fe
celo tenere pressochè da tutti per un vero mostro di scostumatezza, in
sediatosi con frode e simonia sul seggio di Pietro, tenutovisi con vio
lenza e perfidia, ed uscitosene da ultimo per delitto. Ma viva Iddio, che
anche per questo Papa venne il momento di poter mostrare la fronte
tersa di tante macchie, venne il momento di poter dire: Io fui calun
› niato, e la mia memoria non per colpa mia giace inonorata. ,
Conchiudiamo noi impertanto questo primo puntodeiProlegomeni con
alcuni pensieri sulla prefazione premessa dagli editori della breve vita.
di Alessandro VI , volgarizzata in italiano dal francese, del Jorry, Ge
nova 1855, nella quale l'abbate Jorry non fece altro che torre quasi let
teralmente quanto in difesa di lui scrisse il dotto Rohrbacher 2) nella
(1) Langletdi Fresnoy poc'anzi citato al cap. xvm, § 1, sul fine , scrive che " niuno fra gli
» scrittori più di Gregorio Leti, il quale viene accusato che abbia offerta la sua penna a tutti i
>> principi dell'Europa, promettendo loro l'immortalità, purchè il liberassero dalla morte, cheuno
scrittore può difficilmente scansare, quando non ha altro che la sua penna. La lettura delle sue
» opere facilmente c'ingannerebbe, credendo ch'egli seguiti esattamente quella regola, cui egli me
desimo ha data; cioè che uno storico debb'essere senza patria e senza religione. Chi mai
>> crederebbe che un uomo, il quale domanda tanto, possa ritrovar l'arte di comparire sì disin
teressato ? "
2) Dagli Alemanni e dai Francesi si ammira e si då gran vanto al Rohrbacher per la sua
sua Istoria ecclesiastica, e diciamo se questa vita giunga opportuna, non
èd'uopo il ripeterlo. Chi è di voi che non vegga quanto siano accaniti
contro ai Papi oggigiorno eretici e settari ed ogni fatta di scellerati ?
Chi è che non senta ogni poco lanciar contra di essi accuse, ingiurie ,
maledizioni e bestemmie? Se tanto adunque dicono e fanno i cattivi, ri
mestando cose vietissime e altre nuove aggiungendone, non sarà bene
che si levi una voce a rompere loro in bocca almen una parte di tante ,
non so se dirmi sciocchezze od infamie? E chi havvi il quale non vide
nelle cantonate delle nostre vie a grandi caratteri annunziata la vita di
questo stesso pontefice Alessandro VI perAngelo Brofferio?Chi non lesse
l'Almanacco nazionale uscito dalla officina della Gazzetta del Popolo nel
l'anno 1855, nel quale vi si trova una biografia assai lunghetta d'Ales
sandro VI, scritta con quella leziositàpropriadiquegli scrittori?Chi non
intese in giorno di domenica nel 1856 quei gridatori percorrere la capi
tale grida chiando la vita d'Alessandro VI, scritta daquel bistrattore fa
moso dei icarii di Dio in terra, per un soldo? Cartello si infame che la
polizia civ le istessa l'interdisse! Chi non lesse la sozza istoria dei Borgia
del ciarliere romanzista Alessandro Dumas ? Chi non udi, o lesse con or
rore le assurde invettive vociate nei due Parlamenti italiani contra Ales
sandro VI, in quella si trattava delle guarentigie da elargirsi allo spo
destato Pio IX, le quali pungentissime verrine , indecorosissime , erano
tanto estranee all'assunto, quanto mendaci. Eppure chi le gridacchiava
tenevansi in rinomanza per nobiltà, età, sapere e grado ! Figli irrive
renti, imitatori di Cam, rivelavano le turpitudini del proprio padre!
Se altro non fosse che per preparare un antidoto o porgere uncontrav
veleno alle conseguenze funeste ovvie a prevedersi dagli scritti di au
tori tanto atrabiliari contra Roma ed i successori di Pietro, che trat
tano un somigliante argomento, crediamo bene impiegata l'opera nostra!
Atutti i modi, sarà sempre un bene aver cooperato a sollevare dal peso
di tante calunnie la memoria d'un Pontefice, sarà sempre un bene aver
messo nelle mani a chi non può far lunghe indagini e studii profondi ,
Istoria Ecclesiastica : e noi siam ben lontani dal disconoscerne il merito. Ma scema alquanto l'am
mirazione per gl'Italiani ed i Piemontesi in ispecie, che conoscono aver avuto l'esimio Rohrba
cher a guida e maestro in quella sua istoria il dottissimo teologo Gaspare Saccarelli, torinese, fi
lippino in Roma, che sullo spirare dello scorso secolo, scrisse e pubblicò in terza lingua latina ven
tisei grossi volumi in quarto, nei quali dall'inizio dell'era cristiana scende sino all'anno 1197, con
una erudizione, dottrina, critica tale e tanta che nulla lascia a desiderare, tranne il rammarico di
non vederla compita e maggiormente conosciuta, essendo la sua Istoria la migliore che fino atale
epoca siasi divulgata. Devesi perciò a buon diritto questo nostro Autore considerare come una
gloria Italiana.
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tanto da gettare in faccia un mentite a chi ci volesse farvergognare di
essere cattolici, con dirci quella stoltezza: Oh! un Alessandro VI! Ecco
che cosa sono i vostri Papi.....!
Ètempo che si rompa, si smaghi, si annienti una voltaquestarete di
menzogne, travisamenti, maligne interpretazioni, esagerazioni e storpia
ture in cui da un pezzo, per opera specialmente deiprotestanti o di chi
ad essi pendea, è avvolta la storia , e quella in particolar maniera che
riguarda la Chiesa. Beati noi se coll'opera nostra riusciremo asdruscirla
anche alquanto, come sempremai alle nostre molteplici scritture abbiam
mirato : Eruite oppressum de manu calumniantis ; Gerem. xxi, 12.
II. La vita d'Alessandro VI, vita di cui si servono specialmente gli ere
tici per arietare il papato e gettarlo nel fango e nel disprezzo, ai quali,
che troppo si congiunsero e fecero plauso anche scrittori cattolici signo
reggiati da spirito di parte, o agitati da mire private, talmente che non
si adontarono di svisare la verità, invece di ristorare lamemoriadi quel
Pontefice, quando pure avessero voluto lasciargli il marchio di alcuni vizi,
dovevano per lo meno confessare che andavano inluimiste le piùgrandi
qualità ed eccellenti, e così trovare materia per variebelle paginein una
vita troppo atrocemente calunniata.
Non immoreremo noi, no, per ora, a ribattere il malignar di certuni,
ai quali piacque il credere probabile quanto di laido e di nefando spac
ciarono con tanta compiacenza storici e satirici della Lucrezia Borgia;
perocchè appositamente ne tratteremo a suo luogo, adducendo a lei di
scolpa dei fatti non dei fiori rettorici. Presentemente di volo soltanto ac
cenniamo, che la condotta di questa matrona, poichè divenne duchessa
di Ferrara, ci somministra argomento persuadente affatto il contrario.
Unadonna, la quale per parecchi anni seppe inspirare ai duchi di Fer
rara, suocero, sposo e figlio, tanta tenerezza e stima di sè, e destare nel
gentilissimo cardinalePietro Bembo unamoreche, come affermano ilGual
teruzzi, l'Oltrocchi ed il Mazzucchelli, non offese unquemai leleggi del
l'onore, e poi si cangiò in reciproca estimazione ed amicizia; una donna
che fu la protettrice e l'amica del Trissino e d'Aldo Manuzio, chiarissimi
ambedue per dottrina ed onestà di costumi; una donna che fu ottima
moglie d'Alfonso e madre egregia d'Ercole d'Este, da loro amata e ve
nerata fino alla morte, non poteva essere stata una Taide, un'Aspasia, una
Frine, una Glicera, famosissime negli annali greci: di coteste metamor
fosi non si videro giammai nè in Poppea, nè in Messalina, nè inBianca
Cappello, nè in altre di tale conio.
L'età, disse il professore Giovanni Rosini a questo proposito, é un buon
--
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missionario; ma lasciando stare che scarsi, incerti e spregevoli siano
pur sempre i frutti di codesta che Montaigne chiama a ragione virtù
catarrosa e vile, proveniente da sazietà e da troppi anni , anzichè da
pura e migliorata coscienza, Lucrezia, quando sali sul trono di Ferrara,
era ancora giovane, era ancora la più bella principessa del suo tempo.
Chi mai, leggendo quelle sue lettere che ci furono conservate , quelle
che tanti uomini illustri le scrissero da tante parti d'Italia, e le poesie,
e le opere che furonle intitolate, eziandio da chi pur non aveva inte
resse niuno d'adularla; testimonianze tutte de' suoi molti e rari pregi ,
i quali , al dire dei più imparziali scrittori , ne formavano una saggia
ecolta principessa; chi mai indursi può a credere che ella fosse ad un
tempo la figlia, la sposa e la nuora d'Alessandro , e che avesse presie
duto alle orgie dscene descritte da Burcardo?
Considerato impertanto quale sia stata, per confessione d'ogni coscien
ziato storico, la vita di lei nell'epoca di cui parliamo; inoltre che nes
suna delle colpe anteriormente oppostele non fu mai provata in modo
irrefragabile; io non temo di peccare per soverchia simpatia se affermo,
che quelle sono piuttosto da attribuirsi alla tristissima natura de' tempi
suoi, in cui regnavano la menzogna e la calunnia , i quali, per essere
licenziosissimi, rendevano credibili le accusazioni, che in altre età più
costumate sarebbersi tenute per esecrabili libelli infamatori.
Si toccaleggermenteper ora ma sufficientemente la quistione, ragguar
do aLucreziaBorgia, che vuolsi additareper l'obbrobriodel femmineo sesso,
escolpatala daogni bruttura, ragion richiede chescendiamo adiscorrere su
di altri punti nonmenocalunniosi contra d'Alessandro VI e della suaprole,
rallegrandoci che in tanto assunto nostro siamo stati aggradevolissima
mentein alcuneparti prevenutidalleconsiderazioni delchiaro prof.Andrea
Zambelli sul libro del Principe, di N. Macchiavelli, lequali non posssono
perfermo avere leviste d'essere troppo parziali ai Borgia, eper le quali
ancora ne conseguita che, siccome dal timo si può estrarre il mele così
sotto altro aspetto considerate le azioni dei Borgia , perdono queste il
carattere della ferocia, e vestono quello della severità inesorabile puni
trice dei misfatti, qualunque di tal rigidissimo procedere fosse lo scopo :
poco alla società importando qual ne fosse il fine privato, purchè metta
apubblico vantaggio della Chiesa, dello Stato e delle famiglie in gene
rale, di cui queste si compongono. Difatto: CesareBorgia racconcia la
• Romagna, unitala e ridottala in pace e in fede; e il popolo divenne
• affezionato alla sua potenza o confidente di quella dice il Segretario
fiorentino, nel cap. 17del Principe, e il Romagnosi, Dell'indole e dei fau
,
t
38
ori dell' incivilimento, afferma che il passare sotto il duca Valentino
fu per molte cittàun vero guadagno, e solo per certe case potenti
unosterminio..
La biografia d'Alessandro VI dell'officina della Gazzetta del Popolo ri
porta che fu la Romagna nettata dai masnadieri , i quali infestavano
,
le strade, e che era contenta sotto il governo di quellamanorobusta:
▸ tanto vale appresso ai popoli corrotti la forza!.
Roma abbondava di gentiluomini: •di quei gentiluomini che oziosi
vivono dei proventi delle loro possessioni abbondantemente, senza avere
alcunacuraodicoltivare o d'alcuna altra necessaria fatica a vivere; sono
perniziosi in ogni provincia, mapiù perniziosi sono quelli che, oltreallepre
dette fortune, comandano a castelli, edhanno sudditi che ubbidiscono loro.
Di queste due sorta d'uomini era piena terra di Roma, laRomagna: tali
generazioni di uomini sono nemiche d'ogni civiltà, per l'eccessiva loro
ambizione e corruttela, che le leggi non bastano a frenare nel lib. 1,
cap. 55 dei Discorsi.
Ein altro luogo (nel lib. 3, cap. 29 dei Discorsi), egli cosi ragiona :
• LaRomagnainnanzicheinquella fossero spenti da papaAlessandro VI
quei signori che la comandavano, era un esempio d'ogni scelleratissima
vita, che quivi si vedevano per ogni leggiera cagione seguire uccisioni
e rapine grandissime. Il che nasceva dalla tristizia di que' principi, non
dalla natura triste degli uomini, come loro dicevano; perchè, sendo quei
principi poveri e volendo vivere da ricchi, erano forzati volgersi a molte
rapine, e quelle per vari modi usare : e , tra le altre disoneste vie che
tenevano, facevano leggi e proibivano alcuna azione; di poi erano i
primi che davano cagione della inosservaza di esse, nè mai punivano
gl'inosservanti, se non poi quando vedevano essere incorsi assai in si
mile pregiudicio: ed allora si voltavano alla punizione , non per zelo
della legge fatta, ma per cupidità di riscuotere la pena. Donde nasce
vano molti inconvenienti, e sopratutto questo, che i popoli si impoveri
vano, e non si correggevano; e quelli che erano impoveriti s'ingegna
vano contro i meno potenti di loro prevalersi.
I feudatari ed i piccoli principidellaRomagna (diceRoscoë) laceravano
dalungo tempo lo statodella Chiesa; sostenevansi colle rapine, ed erano
il terrore di tutta l'Italia. Le discordie e le contese, che segnalarono
quest'epoca, ponno essere paragonate ai combattimenti delle bestie fe
roci , in cui l'animale più furioso e più forte distrugge gli altri.. I1
quale stato di cose, eccetto forse la signoria assoluta di alcuni feudatari,
non era dissimile da quello in cui trovavansi la Francia e la Spagna
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per cagione di feudalità; ma danni ancor maggiori apportava e al go
verno ed ai popoli la nobiltà feudale della terra di Roma.
I Colonna e gli Orsini coi numerosi aderenti loro, i Savelli, i Conti, i
Santacroce, ecc , potenti pei molti feudi e castelli, potenti altresì, perchè
conduttieri di ventura com'erano, disponevano d'una quantitàdi milizie,
e, come dice il Segretario, avevano in mano tutte le armi d'Italia : quando
solleciti dell'affezione de' soldati, tanto infesti alle campagne, ai villaggi
ed a chi vi abitava: raro era che per l'effetto di continue guerre civili
e della militare licenza non gli mettessero a ruba, e non vi recassero la
morte e la distruzione; sicchè tra questo motivo, e pel continuo timore
delle misere popolazioni, le terre o venivano abbandonate, o rimanevano
pressochè incolte, o diventavano un deserto pienodi paludi pestilenziali.
Cotali effetti, veggasi Sismondi, Storia delle repubbliche italiane del medio
evo, tom. 13, partorivano le fazioni e la prepotenza di quei castellani ,
peggiori al certo di quanti ne avesse qualunque altro paese d'Europa.
Egli era contro ad una tale idra che doveano cozzare i Borgia, onde
salvare la penisola da imminente barbarismo e dissoluzione inevitabile;
essi operarono assaissimo, ma lasciarono ancora molta erba malefica da
sbarbicare ai Giulio II, Clementi, Leoni, e Sisto V, i quali a stento riusci
rono a stremare, non a distruggere il mal seme.
Le arti impiegate dai Borgia non erano dissimili da quelle che ma
neggiavano coi castellani d'Aragona e coi feudatari di Francia, Fer
dinando il cattolico, e Luigi XI, ed anche Arrigo VII re d'Inghilterra :
questi se non uso di perfidia, certo mostrossi assai artifizioso nel pre
concetto disegno di sollevare sulla depressione della nobiltà inglese la
prerogativa reale; questa verità fu assai bene dimostrata daAllam e Ci
brario, com'è da vedersi al cap 5 dell'Europa nel medio evo ; e al lib. 1
dell'Economia politica del medio evo. Dunque, insomma uguali cause in
ducevano per diversi rispetti ad uguali espedienti ; ad esser volpe e leone.
La forza legale non bastava contra inveterate prerogative ed usurpati
poteri : conveniva ricorrere a' mezzi straordinarii e terribili, se già non
si voleva che le piaghe infistolite (espressioni del Macchiavelli) degli stati
s'incancherissero. Finchè i potenti non siano disarmati e posti nell'im
possibilità di sottrarsi alle leggi, dice Romagnosi, nell'opera dei Fautori
dell'incivilimento , quando parla delle signorie italiane dei secoli xiv, xv;
finchè il popolo non sia alimentato e sicuro; finchè l'amministrazione
non forte e moderata, sarà assolutamente impossibile d'evitare orpiù or
meno le orride scene riferite dagli annalisti italiani.
Ecome a giudizio di Sismondi e di Guizot, era necessario al corrot
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tissimo ed invecchiato mondo romano che la barbarie settentrionale il
ringiovanisse, così nel tempo di cui parliamo, per una diversa, ma non
men trista fatalità, era mestieri che un Borgia, un Ferdinando, un Luigi
adoperassero i loro terribili artifici, per liberare il progresso sociale dalle
pastoie in cui trovavasi miseramente condotto , e gli dessero quello
sciolto andamento, che la progressiva natura delle cose imperiosamente
richiedeva.
L'Italia come il resto dell'Europa, dice il prelodato Guizot,
doveva passare per mezzo ad una centralità dispotica che ne avrebbe
fatto un popolo, e l'avrebbe renduta indipendente dallo straniero . Ed
anche il dispotismo è necessario per quelle riforme sociali, che non pos
sono essere secondate da una matura civiltà.....
Per tali principii, la Chiesa, che nel temporale da Alessandro VI in
dietro, i potentati italiani, anzi ogni barone o signore, la stimava poco,
venne a tanta grandezza, che allora un re di Francia ne tremava. Il
Macchiavelli ci avverte : • che i nemici di lei a tenerla bassa servivansi
• dei baroni di Roma, cioè degli Orsini e dei Colonnesi, i quali stando
• colle armi in mano in sugli occhidel Pontefice, tenevano il pontificato
debole ed infermo . E soggiunge : Benchè sorgesse qualche volta
› un Papa animoso, come fu Sisto, pure la fortuna o ilsapere nonlopotè
› mai disobbligare da queste incomodità; ondele forze temporali del
• Papa erano poco stimate in Italia. Sorse di poi Alessandro VI, il quale
coll'istrumento del Duca Valentino fece tutte lecose che io ho discorse
› di sopra: e benchè l'intento suo forse non fossedi fargrande laChiesa,
› ma il Duca; nondimeno ciò che fece tornò a grandezza della Chiesa,
• la quale dopo la sua morte, spento il duca, fu erede dellefatiche sue.
› Venne dipoi Papa Giulio, e trovò la Chiesa grande, avendo tutta la
› Romagna, ed essendo spenti tutti i baroni di Roma, e per lebattiture
› d'Alessandro annullate tutte le fazioni . E seguita a mostrare come
,
quindi ad esso Papa Giulio si aperse la via ad accrescere di denari e
di dominio la potenza ecclesiastica.
E sebbene sia troppo generale la proposizione d'un certo scrittore,
quindi può ai meno cauti divenire pericolosa, tuttavia va presa in con
siderazione : questi adunque dice : Che non vi è guerra più giusta, e
› salutare di quella di raffrenare, ed anche spegnere i tiranni, se non
vi è altra via, inimici dichiarati della società e della religione Il per
› chè Mosè, Giosuè, Giaele, Giuditta, aggiugniamo ancora, comp endo a
› questa missione non solo rassodarono il regno d'Israello, ma se varono
› la società in quelle contrade, e la religione, non tendendo ad altro la
› tirrania che allo scioglimento d'entrambi. La piaga è grave, ilcapite,
--
41
› maappunto perchègrave per risanarla ci vuole il ferro, ed il fuoco
• indivisi dal dolore e dal pianto, così d'Alessandro VI . Non debbono
essere i privati, nè le ribellioni le punitrici della terrania, benchè pos
sano essere ministri della collera divina, come risulta dalle istorie tutte
sacre e profane, ma lasciarsi una tale vendetta agl'inviati da Dio. Non
può arrogarsi una simil missione senza provarne l'autorità almeno col
fatto approvato da Dio. Repubblicani, vantate pur il fatto di Muzio Sce
vola che proditoriamente tentò uccidere Porsena per salvare Roma!
Or io domando, e non pare qui di vedere un altro Luigi XI, il quale,
coll'indebolire i grandi, e poi spegnerli o deprimerli, fece quello che fu
fatto da Papa Alessandro VI? Concediamo pure che questi il facesse per
ingrandire la propria famiglia, anzichè la Chiesa; ma Luigi il faceva
forseunicamentepel bene dellanazione francese, onon piuttosto per la pro
priaambizione? Ammessoche ilfine immediato diambidue fosse l'egoismo;
madi siffatto egoismo sorse a nuovavita il regno di Francia, come prin
cipiò a sorgere lo Stato ecclesiastico, poichè ne furono battuti i baroni,
i quali come dice il Giovio, erano chiamati ceppi dei Pontefici. Perchè
dunque PER MUZIO SCEVOLA, LUIGI XI VI SONO LAUDI, E PER ALESSANDRO VI
BIASIMI ! DOVE LA GIUSTIZIA ?
Se Alessandro VI onde far suo figliuolo Cesare Borgia (Rivista e Bi
bliot. Contemp., tom. 2, fasc. 4, p. 306, anno 1854), duca di Valenza in
Francia e principe della Romagna, favoriva Luigi XII che nel 1499 in
vadeva il Milanese, e nel 1501, con nerissimo tradimento, ilnapolitano ;
non sarà in ciò stata diritta la politica del Papa, ma almeno fu italiana
edinnientedissimileda quella dei Veneziani, alleatisi pure con Luigi XII
pel misero acquisto di Cremona e di Ghiara di Adda; nè infida quanto
l'altra di Ferdinando di Spagna, il quale, fingendosi protettore di Fede
rico III re di Napoli e suo parente, concertava col redi Franciapredetto
che sarebbersi unite le due schiere, non per guerreggiarsi, ma per di
vidersi quel reame.
Se non che, come già si disse, il mal seme non ne fu tolto: le inso
lenze baronesche e le piccole tirannidi ripullularono a guisa dell'idra, le
cui teste non potevano esser tutte recise che dal Principe di Macchia
velli ; il quale, giusta le cose dette, non avrebbe mai potuto mandare
ad effetto l'impresa ideata dal Segretario, se inprima non troncava tutte
queile teste; teste che dovevano essere mozzate per eseguirequella mu.
tazione necessariaal benedello Stato, onde purgarlo di quei tanti tiran
nelli e predoni, che l'infestavano; nè potendolo fare altramente i Borgia,
dovevano impiegare gli artifici, supplendo così allamanchevolezzadelle
leggi.
42
Ma il Valentino nella tragedia di Sinigaglia fu unosleale, mancoalla
data fede, ingannd, aggirò quei capitani che eransi in lui affidati, e brut
tamente li tradì !
So bene, che i moralisti dimostrano ragionevolmente, non poter es
sere un argomento a giustificazione del mancar di fede, la presunzione
che tutti gli uomini sieno sleali; perchè questa sarebbe un'ingiuria all'u
manità, e d'altronde per tal forma ogni promessapotrebbe essere violata;
ma, torno a dirlo, il Segretario in questo luogo non vuol farla da mo
ralista, che si rivolga a tutti gli uomini, egli parlaad un principe nuovo
dei suoi tempi, il quale, come pur dice, è spesso necessitato, per man
• tenere lo Stato, operare contro la fede; e bisogna che abbia un animo
› disposto a volgersi secondo che i venti e le variazioni della fortuna
▸ gli comandano: ed allega gli esempi di papa Alessandro edi Ferdi
nando il Cattolico, anzichè dell'intera umanità : intese adunque parlare
di coloro con li quali ebbero che fareiprincipi nuovi dell'età sua, e i due
ricordati sovrani che in cotesta loro impresa del tor di mezzo o di re
primere la prepotenza baronesca o castellana, facevano al certo unagran
novità nei dominii loro.
I principi del suo secolo, i baroni, i signorotti, e simili altri, erano gli
uomini di cui egli qui evidentemente afferma, che non avrebbero osser
vato la fede; il che si concilia colla descrizione che poi ce ne fece nei
Discorsi, e con quanto io pure osservai di sopra in proposito degli sta
tuali tutti di corrottissima età, in cui gl'inganni e le frodi erano non
solo ordinarii, ma secondo i casi e apprezzati e lodati. Con simile genia,
che io non dubiterei di paragonare ai ladri, agli assassini, dobbiamo
noi meravigliarci se per propria guarentigia si opponeva l'inganno al
l'inganno?
• Lo statista, dicea questo propositoil Martines, Guide diplomatique etc.,
dee regolare lapropria condotta secondo quelladicolorocon li quali egli
entra in un negoziato: se li trova leali e schietti, deve esser tale anche
egli ; ma qualora impieghino l'astuzia, egli è pienamente autorizzato a
valersi delle medesime armi: e a torto si biasimerebbe un negoziatore
che fosse costretto ad operare in tal forma da chi cerca d'ingannarlo,
perchè il conseguire il suo fine è quando vi ha d'essenziale in lui ».
Non dissimulo l'obbiezione di alcuni. Quando, essi dicono, conchiuso
che siasi un patto, un trattato, si abbiano indizii e prove manifeste che
l'altro contraente non sia per osservare la fede, si può avere un giusto
titolo per non attenergliela ; ma non già quando gli indizii siano ante
riori e non posteriori al contratto, come avverrebbe delpirata, del ladro
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43
edi altrettali persone; giacchè, soggiungono: eperchè adunque, non o
stanti quelle antecedenze, patteggiaste con loro? Se non vi foste fidato,
non avreste pattuitocon essi. La loro malvagia vita dee bensì distogliervi
dal venir seco ai patti; ma conchiusi che gli abbiate, se essi non vi
diano cagione di fondato timore, voi non avete il diritto di mancare ad
essi della data parola.
Assai severa è questa morale, nè tutti i trattatisti la spingono tanto
oltre: ma io, lasciando la questione indecisa, voglio considerar le cose
nell'aspetto in cui dovea considerarle ilMacchiavelli. Mi si dica pertanto;
nei tristi tempi che allora correvano, quei gentiluomini castellani della
terra di Roma, della Romagna, di Napoli, e quei grandi fiorentini che
con le sêtte rovinavano lo Stato, quei signori che avevano occupato i
feudi della Chiesa, gente, come dice il segretario fiorentino, eccessiva
mente ambiziosa e 'corrotta, perniciosa in ogni provincia, nemicad'ogni-civiltà, esempio d'ogni scelleratissima vita, che per ogni leggiera ca
gione commetteva uccisioni e rapine grandissime, per cui i popoli si
impoverivano e depravavano; gente per conseguenza che opponeva un
continuo ostacolo alla civile concordia, alla centralità ed alla tranquilla
e soddisfacente convivenza, non eran forse altrettanti pubblici nemici ?
Come già si vide nel testo preallegato di Romagnosi, e come dice il Se
gretario istesso in quel capitolo prementovato dei Discorsi, non vi era
nè poter politico, nè legge che fosse sufficiente a frenare tanta corrut
tela ed a proteggere l'ordine pubblico; non bastando perciò la forza le
gale, non bastando le ordinarie vie della giustizia, conveniva supplirvi
con l'astuzia.
Ciò stesso fu udito dire anche da Leone X, in proposito del Baglioni ,
se dobbiamo credere all'Anonimo padovano citato dal Muratori nei suoi
Annali d'Italia. Quale altro mezzo rimaneva infatti alla Società per la
propria conservazione, che è pure la prima legge di quella? I termini
della ragion distato nondeggiono essi dilatarsi inproporzione di codesta
legge? Non fecero forsedi più EnricoIII redi Francia nel farpugnalare
estragiudicialmente nella sua reggia istessa i due fratellie duchi di Guisa ;
PierGradenigo colla serratadelmaggiorconsiglio; Bonaparte col diciotto
brumale; Napoleone III col due di dicembre? Se fosse lecito mescolare
le cose sacre colle profane, direi pure: che altro feceAod conEglon dei
Moabiti; Giaele con Sisara; Giuditta con Oloferne? Così Giacobbe che
ruba con una gherminella la primogenitura ad Isacco, il quale voleva
darla ad Esaù fratello di lui. Ora se è così, che alla propria ragione pri
vata si debba mandare innanzi una ragione piùuniversale e piùpotente,
chi potrà accusare Alessandro VI d'averla seguita nella sua qualità di
Sovrano? Eppoi chi può affermare che Alessandro VI abbia ordinato od
ordito questi inganni?
Per la necessità evidente del comun bene, per guarentirsi e salvarsi
dalle altrui perfidie e malvagità, non per farne la ragione di stato , è
non solo un diritto, ma si un'obbligazione naturale e indispensabile (1).
Lefrodi e gli inganni, come asserisce Aristotile, hanno talora sovvertiti
gli Stati. Perchè non si ha da impedire e stornare codesti mali e salvar
la società coi mezzi stessi con cui si vorrebbe rovinarla? Il volere con
simil gente operare altrimenti , è talvolta un voler tradire e perdere lo
Stato.
• Sealcuno, dice loStellini (Ethica), cerchi di conseguire ciò cheabuon
diritto se gli debba, e che dall'altrui iniquità gli sia impedito, conven
gono e i giuristi e i più severi filosofi, non essere interdetto l'aiutarsi
della menzogna a quel fine; e di fatto sarebbe in filosofia assurdo ildire
che non sia lecito l'opprimere più sicuramente cogli inganni colui che
non ingiustamente possa essere ucciso da noi conmaggior pericolo, im
perciocchè l'inganno non si oppone più della forza alla ragionnaturale.
qualora tendano entrambi a perturbare i sociali diritti , e, se nel difen
dere e pretender questi, la forza è giudicata onesta, non può essere di
sonesto l'inganno al medesimo fine impiegato..
Tanto asserisce il prefato filosofo che vuole farla da autorevole mora
lista, ed a conferma della sua sentenza allega un passo della Ciropedia,
dove il padre di Ciro dice al figliuolo checosì deve fare il nemico contra
il nemico; ed un altro luogo di Senofonte, di cui non altrimenti consi
glia il filosofo, anzi pare che in tale proposito reputi migliore l'inganno.
Ora codesti occupatori delle ragioni della Chiesa, codesti castellani , ο
grandi, o baroni, di cui parla il Segretario, non eranoessiribelli e mal
vagi, che, postisi colle violenze loro al disopra della legge, toglievano
ai cittadini la personale e reale sicurezza, ed impedivanoallo Statoogni
viver civile ? E questi, che venivano dalla loro iniquità impediti, non e
rano forse i più sacri diritti dell'uomo e della società, la cui conserva
zione non è pure conceduta, ma comandatadalla stessa natura? Se que
sta vuole il fine, deve quindi volerne i mezzi , e giustificare anche
(1) Noti bene il leggente che il raziocinio qui non s'intende che sia condotto d'appresso ai prin
cipii teologici, sebbene unicamente dietro alle opinioni politiche-statuali-filosofiche , conciossiachè
noi non discorriamo di una morale religiosa, ma solamente politica, diremo nel solo senso, in cui
venne e viene inteso dai Macchiavellisti,
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l'astuzia, se altri non ne rimangono a conseguirlo fuorchè la forza o
l'inganno (1).
La società dev'essere dagli estremi pericoli salvata ad ogni costo ed
in ogni modo pronto ed efficace , altrimenti ne nascono due mali : la
mancanza dei beni che non si ottengono, e le pubbliche sventure che si
vanno di di in al accumulando; sicchè, qualoraincosì tristi e imperiose
circostanze, che non ammettono transazione nè ritardo, sorga un astuto
potente che in un modo o nell'altro sia in istato di salvarla, io per me
credo che giuridicamente il possa; egli è un nocchiero che potendo ei
solo salvare la nave da una tempesta, si arroga quell'imperio che gli dà
il pericolo della comune sicurezza.
Il poter sociale ora fu l'effetto della natura, ora della fortuna, ora del
l'arte, ma dove soddisfaccia allo scopo di effettuare una tranquilla e fe
lice convivenza, i cittadini hanno il dovere d'uniformarvi gli interessi e
le opere loro. perchè appunto lo legittima quel conseguito scopo e l'es
senziale socialità, senza di cui gli uomini non potrebbero perfezionarsi,
nè tampoco conservarsi (2); ma per giungere in quei tempi perversi a
codesto stato di cose erano appunto necessarii i terribili artificii con
sigliati da Macchiavelli , giacchè non vi era altra via per uscire da
quell'intricato e infame labirinto in cui i malvagi avevano avviluppata
la società.
• Il Principe, diceil coscienzioso Montaigne(Essais), se mai un'urgente
circostanza ed il bisogno dello Stato lo inducano amancaredi fede, e lo
gettino fuori del suo dovere ordinario, deve attribuire questa necessità
auncolpo della verga divina. Non èquesto un vizio, avendo egli abban
donata la propria ragione ad una più universale epotente ragione; ella
è una sventura di chi si trova astretto fra due estremi; sono rari e pe
ricolosi esempi, eccezioni inferme alle nostre regole naturali, e bisogna
cedervi. Nessuna utilità privata è degna che si faccia una tal forza alla
nostra coscienza, ma sì la pubblica, qualora siaevidentissimaed impor
tantissima....
Ma un'altra taccia è data a Macchiavelli: quel fondarsi e tornar sem
pre sugli esempi dei Borgia. Ora io non gli loderò, nè tampoco gli ap
proverò; nè lo stesso Macchiavelli gli lodò nè gli approvò in ogni suo
scritto, come appare dalla sua Legazione a papa Giulio II e dai Decen
(1) Pensava anche lo stesso Enrico Luden in un suo notabile articolo sulla traduzione di Reh
berg del libro del Principe (Vedi Jenaische Algem. Lillerature Zeitung.; 1810, p. 81 e seg )
2) Su questa verità, che io tocco appena, sono da vedersi le teorie di Romagnosi , di Guizot,
di Ancillon, ecc., есс.
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nali. Pure la severa imparzialità della storia non potrà mainegare, che
o per istudio di parte contro una famiglia che si era innalzata sulla
rovina di tante case potenti e piene di aderenze, o per la naturale pro
pensione a supporre altri delitti in chi ne commise parecchi , o perchè
in quei corrottissimi tempi, incui si teneva possibile anzi probabile quanto
di più atroce e nefando immaginare si potesse, la perfidia dell'età non
iscompagnavasi dagli scrittori; i vizi ed i misfatti di papaAlessandro VI
e del Valentino (ogni dubbio fuora, come evidentemente proveremo) ,
siano stati esagerati dal Pontano, dal Sannazzaro, da Guido Postumo
dal Guicciardini , dal Giovio e dallo infame Burcardo, il quale ultimo
non pertanto (e questovalga contra Guicciardini)tace dei supposti amo i
incestuosi di quel Pontefice, nè accenna ch'egli morisse di veleno prepa
rato per altri.
Alessandro VI non solo era un principediverso daglialtri principi del
suo tempo, acclamati da autori coevi, che anzi ildimostriamo migliore (1) ;
e se impiegò, al dire de' suoi nemici l'eminente sua dignità, servendosi
della potenza spirituale per favorire interessi temporali, ma altri Papi
di codesta età nonvennero coartati forse ad operar altrettanto? Giulio II,
Leone X non bastando la temporale potestà contro ai contumaci figli ,
epperchè non dovevano usare la spirituale ancora? Qual misusoin ciò?
Se molto egli sitravagliò per l'elevazione della sua casa, e per far giun
gere suo figlio al grado di principe sovrano in Italia, si può imputare
lo stesso a Clemente VII e a Paolo III; con questo soprappiù, che il ni
pote del primo e il figlio del secondo di questi due papi, se somigliavano
al figlio d'Alessandro VI nei vizi e nella malvagità, e fors'anco il supe
ravano, erano ben lungi dal pareggiarne italenti militari e politici. Chi
ignora, un po'versato che sia nelle istorie , che il nepotismo venisse in
quei di creduto necessario, è come tale iscusato dagli stessi più mode
rati e dotti scrittori protestanti?
In un tempo che con ributtevole perfidia Ferdinando il cattolico e
Luigi XII dividevansi il regno di Napoli, cacciandone unareale famiglia
generalmente amata e rispettata in Italia, e con cui l'uno di essi aveva
una stretta parentela, il Papa potevasi credere autorizzato a far perire
alcuni baroni del suo Stato , perfidi ed insolenti condottieri di truppe
mercenarie, amati da queste perchè ne favorivano la licenza, ma odiati
(1) Come principe Alessandro VI si governo con maggior dirittura dei principi isicroni , come
Pontefice poi si diportò tanto santamente quanto i più grandi Vicari di Dio, al dire di varii scrit
tori sincroni ; il che proveremo nella sua vita.
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dal popolo , che sotto la loro signoria non era, come si vide, giammai
sicuro nè delle sostanze, nè della propria industria , nè delle persone.
•Roma non godette mai di lunga quiete, finchè ilPapa non acquistò
forze bastanti da frenare la violenza di quelle turbolenti fazioni dei Co
lonna e degli Orsini
,
dice a ragione il dottoCibrario (Storia dell'Eco
nomia politica del medio evo).
Que' signori, quei principi di Romagna, ospodestati, o sterminati da lui,
e dal figliuolo, erano anch'essi feudatari e vicarii suoi, che per la mag
gior parte avevano acquistati i loro principati coi mezzi di cui egli si
valse contra di loro, e che, come pure siosservo, con le uccisioni ecolle
rapine vessavano e depravavano i loro sudditi (Vedi Macchiavelli nei Di
scorsi al luogo citato. Veggasi anche il Krantz e il Coqueo, il quale di
mostra come i protestanti aggravarono non poco i falli di CasaBorgia:
Sempre esagera o travede l'amor di setta). E se taluni, i Montefeltro, i
Varano, ecc., protessero le lettere, già non protessero ciò che un Sovrano
deve principalmente proteggere. Secondo che raccolgo dalle memorie
dell'età, il loro mal governo era l'effetto dell' angustia e della povertà
dei dominii loro, e della mancanza di una centralità, da cui nasce ap
punto la ricchezza e la forza degliStati, edallaquale aspiravano iBorgia.
Giàvedemmo che da Alessandro VI in poi i papi cominciarono a fare
una miglior figura nel mondo come principi secolari, al che, ove si ag
giunga che tutti (1) si accordano ad attribuirgli un coraggio superiore
agli avvenimenti ed una mirabile eloquenza e destrezza nel trattare gli
affari ; la scienza di governare il popolo, ristabilire nel suo regno lapub
blica sicurezza, visitando egli stesso più volte le prigioni e facendo pu
nire ben sovente i ladri e gli assassini con tutta la severità delle leggi;
che, per le sueprovvisioni, la carestia, la quale desolava il rimanente d'I
talia, in tutto il tempo del pontificato di lui non si fece sentire ne'suoi
Stati ; e che eziandio le arti, le lettere e l'archiginnasio romano trova
rono in lui un liberale ecostante protettore; finiremo per convincerci che
Alessandro VI, se non fu un santo papa, neanche fu il peggiore dei papi,
com'è lapubblica opinione; e che, se egli con unamanoatterrava ipre
potenti, assicurava con l'altra e beneficava i popoli 2).
(1) Segnatamente Raffaele di Volterra, il Panvinio, il Nauclero e il Monaldeschi. Quest'ultimo
lo chiama magnanimo, generoso e prudente. Può vedersi anche Roscoë: Storia del pontificato
di Leone X.
(2) In Alexandro (ut de Annibale, Livius scribit) aequabant vitia virtutes, scrive il mento
vato Raffaele di Volterra; e il Coqueo asserisce de' suoi nemici : vitia notant , non dignitatem
insectantur.
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In materiadi retoriche indagini, io non inclinerei gran fatto a citare
l'autorità di Voltaire, di cui è nota la parzialità e la pocacoscienza sto
rica; ma sulla bocca d'uno scrittore tanto nemico ai papi, la difesa di
uno di questi mi pare che, per quella stessa parzialità, divenga preziosa
edanon trascurarsi. Ora egli in un ragionamento sulla morte d'En
rico VI re di Francia, venendo per incidenza aparlared'alcuna di quelle
enormità che si appongono a papa Alessandro V1, così apostrofa contra
il Guicciardini : Tu hai ingannata l'Europa, e fosti ingannato tu stesso
›dalla tua passione; odiavi il Papa, e troppocredesti all'odio tuo e agli
› altri vizi e misfatti di lui.
Acoloro poi che chiamano il ducaValentino un mostro, osserverò che
codesto mostro seppe introdurre il primo in Italia l'usanza di armi na
zionali, che certo non sembra confarsi alla naturale diffidenza di un ti
ranno ; seppe colla militare perizia, con un coraggio e con una politica
che tengono del miracolo, fondare uno Stato il qualepoteva essere il pro
pugnacolo, la salvezza degl'Italiani (1), e prevenirne leulteriori sciagure.
Equantunque abbia regnato per breve tempo, pur seppe far gustare in
Romagna i vantaggi del suo governo : talmente che, siccome dovette
confessare lo stesso Guicciardini, nemico del Borgia : Anche dopo la
caduta del Valentino, quella provincia stava quieta ed inclinata alla di
vozione sua, avendo per esperienza conosciuto quanto fosse più tollera
bile stato a quella regione il servire tutta insieme sotto un signore solo
epotente, che quando ciascuna di quelle città stava sotto un principe
particolare, il quale nè per la sua debolezza le poteva difendere, nè per
la povertà beneficare; piuttosto, non gli bastando le sue picciole entrate
asostentarsi, fosse costretto a opprimergli. Ricordavansi ancora gli uo
mini, egli prosegue, che per l'autorità e grandezza sua, e perl'ammini
strazione sincera della giustizia, era stato tranquillo quel paese dai tu
multi delle parti, dai quali prima solea essere vessato continuamente ;
colle quali opere si aveva fatti benevoli gli animi dei popoli, similmente
coi benefizi fatti a molti di loro; onde nè l'esempio degli altri che si ri
bellavano, nè la memoria degli antichi signori gli alienava dal Valen
tino..
Queste lodi, che la forza della verità strappò di bocca a chi avrebbe
desiderato di fare il contrario, sono una prova manifesta di quanto io
già dimostrai: cioè che il governo di questo tipo del Machiavelli era pur
quello che richiedevano i guasti suoi tempi.
(1) Forse, dice Macauley, sarebbe stato il salvatore d'Italia, il solo uomo capace di difendere
l'indipendenza del suo paese.
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Ma odasi un altro scrittore di ben diversa tempra, e che non fu mai
l'apologista dei tiranni : Cesare Borgia, dice Sismondi, ottimamente co
nosceva ciò che poteva formare la felicità de' suoi sudditi(1): manteneva
inviolabile la pubblica sicurezza ; chiunque si segnalasse aveva in lui un
illuminato protettore; gli uomini d'arme trovavano avanzamento negli
eserciti e nelle fortezze, e tante pensioni e beneficii i letterati. Insomma
lo Stato prosperava, e nessun romagnolo poteva senza timore figurarsi
il ritorno dei piccoli signori antichi. »
Non dobbiamo adunque negar fede aMachiavelli quando afferma che
il Borgia avea racconcia la Romagna, unitala e ridottala in pace ed in
fede, e che si guadagnò tutti i popoli per avere incominciato a gustare
il benessere loro. Nè tampoco si vuole quindi ricusar credenza allo
stesso Valentino, allorchè nel suo celebre colloquio con Guidobaldo da
Montefeltro, riportato daBernardino Baldi, dopo molte parole soggiunge :
che io non sia tiranno (come da' miei nemici per tutto si va dicendo) io
non voglio altro testimonio che le città della Romagna, le quali sotto il
mio governo hanno cominciato a conoscere quella tranquillità e quella
pace che non aveano neppur sognata, non che goduta per l'addietro.
Everamente non so se Urbino siasitrovato in miglior condizione sotto
il gran Guidobaldo, cui mancavano gli elementi dipotenza ediricchezza,
ricordati dal Guicciardini. Del resto costui, e i Varano furono buoni e
valorosi principi ; ma gli altri, che inprima del Borgia dominavano la
Romagna, meritavano tutti o quasi tutti l'orrendo fine cui fecero , e al
cuni il confessavano essi medesimi poco innanzi la morte. In breve: le
cose battevano tra l'opprimere e l'essere oppressi ; tra il togliere la vita
aunpugno di ribaldi, e la miseria dell'universale. Tali insidie e da tali
potenti e facinorosi nemici erano tese al Duca da ogni lato, che, indu
giando egli, lo avrebbero finalmente ucciso. Avendo l'animo grande e la
sua intenzione alta, cioè d'occupare l'Italia desolata e sconvolta, nonpo
teva operare altrimenti.
Ben è il vero ancora, ch'egli fu il commettitore di parecchie iniquità,
eche nelle sfrenate sue voglie non perdonava a persona; ma, torno a
dirlo, gli altri principi del suo tempo non furono migliori di lui ; era
egli iniquo, ma un iniqno sotto il cui reggimento prosperava il popolo.
La rigenerazione popolare fu nel suo nascere interrotta dalla caduta di
lui ; quindi nella memoria dei più non ne rimasero che gliniqui prin
(2) Summa aequitate populos regebat, multa subditorum probatione, dice di Cesare Bor gia
Raffaele di Volterra. Anche Muller scrive: che governo con umanità e con giustizia.
4
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cipii scompagnati dal fine che si stava per ottenerne: assai men fortu
nato della ducal casa Medici, la quale col fine ottenuto da Ferdinando I
e da'suoi discendenti, fece dimenticare i principii !
Or conchiudendo dico: Se Luigi XI non fu migliore del Valentino, e
non pertanto si disse di lui, che fu un principe severo, ma fece un gran
bene alla sua nazione; chi sa se forse non sarebbesi detto lo stesso di
Cesare Borgia, dov'egli e la sua casa avessero dominato lungamente in
Romagna? I Romagnoli al certo lo amavano più che i Francesi non
amassero Luigi. Se a preparare il regno di Luigi XII e di Ferdinando I
furono necessarie le arti del principe accennato, secondochè dimostrai
più sopra, dovremo noibiasimarle al tutto? Se altri fuor dei Luigi e dei
Borgia non avrebbero potuto impiegarla, perchè a tale uopo richiedeasi
appunto quella tremenda indole di uomini, non veniva dunque la con
dotta loro ad essere una necessità politica ?
La storia sta aperta a giudicare inesorabilmente i principi contempo
ranei ai Borgia, e ce gli addita per nulla migliori; quindi errano gli
scrittori quando imputano agl'Italiani l'astuzia, l'ipocrisia ela frode come
fosser loro esclusivamente proprie in quell'evo. Le memorie di quei tempi
ne danno ad essi una solenne mentita.
Ferdinando il cattolico, quegli che pose fine al dominio dei Mori in
Ispagna, che la ridusse alla sua prisca unità e promosse lascoperta del
l'America, fu altresì uno dei principi più falsi e più perfidi dell'età sua.
Nella sua gloriosa corte le promesse erano un laccio, un giuoco i giu
ramenti, un nome vano la fede; e così poco v'erano in discredito la
frode e la ipocrisia, ch'egli stesso fu udito gloriarsi d'avere ingannato
più di dieci volte Luigi XII re di Francia.
Il gran Consalvo, educato a questa scuola, non isdegnò d'accoppiare
il suo alto valore alle arti della perfidia: e ben ne dette unsaggioquando
fece partire il duca di Calabria per la Spagna dopo d'avere giurato sul
l'ostia sacra che egli potrebbe ritirarsi dove bene gli paresse; e quando
eziandio abbracciò il Valentino prima di farlo ritener prigioniero.
Noti sono i veneficii di Riccardo III, i fraudolenti intrighi di Luigi XI,
il quale, come ben dice Hallam, se non fu l'inventore , fu certo il colti
vatore più insigne di siffatta insidiosa destrezza. Ed anche Luigi XII non
fece forse un turpe traffico delle alleanze ? Gli stessi Borgia, le cuicolpe
furono però esagerate, eran pure una famiglia spagnuola.
Tant'è : la slealtà di oltremonti uguagliava quella di un Francesco
Sforza, d'un Ludovico il Moro, seppure non lo superava; che anzi, non
che gli Italiani fossero altrui maestri del mancar di fede , potevano ap
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prenderlo dagli stranieri, siccome fece alla corte diAragona il Guicciar
dini ; per sopramercato traditi essi furono ben più che traditori. Ne sono
una chiara prova la casa reale di Napoli tradita da Francia e Spagna
coll'iniquo trattato di Granata; Lodovico il Moro abbandonato dagli Sviz
zeri ; i Bresciani indotti dal cardinale di Sion a congiurarecontra i fran
cesi, e poi da lui derelitti ed esposti al risentimento di Gastonedi Foix.
Tutto ciò mi pare che basti a persuadere, che le crudeltà provocate da
fredde e profonde meditazioni e gl'inganni e i tradimenti erano proprii
così dello spagnuolo, del francese, dello svizzero , come dell'italiano.
•Troppo cuoceva agli stranieri di dover confessare negl'italiani la su
• periorità dell'intelligenza e della dottrina: quindi la rappresentarono
•come unvantaggio necessariamente congiunto alla dissimulazione ed
• alla perfidia; ed arrogandosi la palma del valoree della lealtà, lascia
› vano aquelli con disprezzo il merito dell'accortezza e dell'astuzia » .
Così scrive il Sismondi, e dimostracome la malafededegli stranieri non
fu mai pareggiata in quel tempo dai più diffamatipolitici dell'Italia. Era
questa insomma una tendenza universale dell'età, e la superstizione del
medio evo, come avea inprima santificata la violenza, santificava ora le
perfide macchinazioni.
Mentre adunque con una perfidia non mai abbastanza abbominata ire
di Francia e di Spagna dividevansi il regno di Napoli, doveva al Papa
essere interdetto di vendicarsi giustamente di feudatari ribelli, i quali
da diuturnissimo tempo riempivano l'Italia di sangue? Di piccoli prin
cipi orgogliosi e turbolenti dei quali egli era incontestabilmente signore,
eche si erano levati ad alto stato per mezzo di scelleratezze? (Vedi il
signor Audin, loc. cit).
•Io nonvoglio decidere siffatta questione (conchiude su dei Borgia
le sue riflessioni il succitato professore Andrea Zambelli), ma ben dirò,
che posto da un lato ilgran disordine sociale che quindi fu tolto, e dal
l'altro il mezzo per cui lo si tolse, ne viene assai scemato l'orrore di
quest'ultimo. Deplorabile cosa è al certo che vi si dovesse ricorrere per
la tristissima condizione dei tempi ; ma per le inconcepibili contraddi
zioni dell'umana natura, trovansi nelle storie alcuni problemi sociali sì
difficili ed ardui, che non gli può sciogliere pienamente nè la filosofia,
nè la politica » .
Cesare Borgia avea preso per divisa aut Caesar , aut nihil; quest'im
presa porse l'occasione a Fausto Maddalena poeta di fare il distico se
guente:
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Borgia CAESAR erat, factis et nomine CAESAR;
aut NIHIL, aut CAESAR, dixit: utrumque fuit.
Egli fu CESARE e di fatto e di nome.
Siamo, diss'egli , o Cesare, o niente ; ed il grande uomo fece meglio,
fu l'uno e l'altro : perciocchè fu Cesare e nulla. Forse a danno lungo
d'Italia!
III. Il biasimo turpissimo versato sulla vita esullegestad'Alessandro IV
dagli scrittori, alla romana sede più che a lui ancora infensi, avviene
altresì dal disconoscere essi la giustizia dell'esercitato diritto sovrano
che, come principe delle Romagne, gli competeva.
Sovranità temporale che ad ogni modo ai papi dinegare e torre vor
rebbesi, avendola i predetti per disutile o dannosa al sostenimentodella
spirituale autorità ; quindi ne conseguita quello strepitare ogniqualvolta
sorgono con energia i papi a difenderla e sostenerla, esclamando all'in
giustizia ! all'abuso! all'indegnità ! A loro confusione se maligni, a loro
ammaestramento poi se idioti , noi osserviamo che non vi è unquemai
ingiustizia , abuso , indegnità nel governare , e difendere dalle aggres
sioni interne od esterne il proprio patrimonio. Ora di questo ampio, as
soluto diritto godevano e godono appunto al par d'ogni altro monarca
i Pontefici romani, anzi antecedono in esso tutte le monarchie presenti
per antichità; dunque, siccome niun altro havvene di più legittimo del
loro, così possono al par d'ogni altro propugnarne i dirittinon solo, ma
eziandio devono gli altri principati concorrere alla loro difesa.
Questa dottrina la mireremo sostenuta tanto dai Santi più illuminati
posteriori di poco ad Alessandro VI, quanto dagli eterodossi medesimi
più discreti e savi. Il Papa, scriveva san Francesco di Sales ad una
dama(lett. 48, lib. 7), è il supremo vicariodi Gesù Cristo in terra; quindi
egli gode dell'ordinaria sovrana autorità spirituale sopra tutti icristiani,
imperatori, re, principi ed altri, i quali in siffatta qualità debbono a lui
non pure amore, onore, riverenza e rispetto, ma inoltre aiuto, soccorso
ed assistenza verso di tutti coloro e contra tutti coloro che offendono lui
o la Chiesa , in ordine a questa spirituale autorità, e nell'amministra
zione di essa. Sicchè, in quella maniera in cui per diritto naturale, di
vino ed umano, ognuno può impiegare le sue forze e quelle de'suoi al
leati per sua giusta difesa contra l'iniquo ed ingiusto oppressore edof
fensore; così la Chiesa od il Papa (perchè è tutt'uno) può impiegare le
sue forze e quelle della Chiesa, dei principi cristiani suoi figliuoli spiri
tuali, per la giusta difesa e conservazione dei diritti dellaChiesa contra
tutti coloro che li volessero violare e distruggere.
--
53
• E perchè i cristiani, i principi ed altri non sono collegati al Papa
ed alla Chiesa con unasemplice alleanza, ma conun'alleanzala più pos
sente in obbligazione, la più eccellente in dignità che possa esistervi ;
quindi, siccome il Papa e gli altri prelati della Chiesa sono obbligati a
dar la vita e soggiacere alla morte, per dare l'alimento e pascolo spiri
tuale ai re ed ai regni cristiani; così i re ed i reami sono tenuti e re
sponsabili reciprocamente di sostenere , con pericolo della vita e degli
Stati, il Papa, la Chiesa, il loro pastore e padre spirituale. Grande , ma
reciproca obbligazione tra pel papa e pei re; obbligazione invariabile,
obbligazionechesi estende sino allamorte inclusivamente, e obbligazione
naturale, divina ed umana, per cui il Papa e la Chiesa sono debitori delle
*loro forze spirituali ai re ed ai regni ; e i re delle forze loro temporali
al Papa ed alla Chiesa. Il Papa e la Chiesa sono pei re, onde nodrirli,
conservarli e difenderli verso di tutti ed a frontedi tutto spiritualmente.
I re ed i regni sono per la Chiesa e pel Papa, per nodrirli , conservarli
edifenderli verso di tutti e contra tutti temporalmente; imperciocchè i
padri sono pei figliuoli, ed i figliuoli pei padri » .
L'attuazione di questi principii dal grande Salesio spiegati videsi ai
nostri di applicata da Donoso Cortes al Parlamento spagnuolo nell' oc
casione della discussione di reintegrare l'immortale Pio IX sulla sedia di
Roma: Io mi proposi di parlarfrancamente, ecosì favellerò.Ioafferano
necessario, o che il Sovrano di Roma ritorni a Roma (Pio IX), o che più
non vi rimanga pietra sopra pietra. Il mondo cattolico non può consen
tire giammai alla distruzione virtuale del cristianesimo per unasua città
in balia di pazzi frenetici. L'Europa civile non può consentire e non con
sentirà mai che crolli il culmine della civiltàeuropea. Il mondonon può
consentire e non consentirà mai che nella insensata città di Roma si
compia l'avvenimento al trono di una nuova e strana dinastia, la di
nastia del delitto. E non si dica che qui ci ha due questioni: l'una tem
porale, e spirituale l'altra, chè la quistione è tra il sovrano temporale
e il suo popolo, che il Pontefice fu rispettato, che il Pontefice esiste tut
tavia. Due parole a questo proposito, due sole parole spiegheranno il
tutto. Senza dubbio il potere spirituale è principale nel Papa; il tempo
rale è accessorio, ma accessorio necessario. Il mondo cattolico ha il di.
ritto d'esigere che l'oracolo infallibile de' suoi dommi sia libero ed indi
pendente. Il mondo cattolico non può sapere di certascienza, com'è me
stieri, che questo oracolo sia indipendente e libero, se egli nonè sovrano,
perchè il solo sovrano non dipende. In conseguenza , la questione della
sovranità, che dappertutto è questione politica, in Roma è questione re
-54
ligiosa. Le assemblee costituenti, che si possono trovar dappertutto, non
possono esistere in Roma; a Roma non può esservi poterecostituente in
fuori del potere costituito. Roma e gli Stati pontifici non appartengono
aRoma, non appartengono al Papa: appartengono al mondo cattolico.
Il mondo cattolico ne ha riconosciuto possessore il Papa, perchè fosse
libero ed indipendente, e il Papa stesso non può spogliarsi di questa in
dipendenza, di questa sovranità. »
Che la Sede di Roma possedesse copiosissimi beni, anche nei primi tre
secoli soggetti a crude persecuzioni , ciò si prova dalle ingenti elemo
sine che erogavano di quei dì i papi, e di cui parla sanDionisio di Co
rinto, e dopo lui i santi Basilio eGiovanniClimaco. Perocchè le matrone,
i patrizi romani convertiti alla fede offerivanoai primieri Pontefici pingui
offerte, cui questi impiegavano o a rendere più splendidoil culto divino,
od ameglio assicurare la sussistenza dei sacri ministri, od a sostentare
i poverelli. Dopo la conversione di Costantino Magno è fatto costante,
benchè contrastato dagli scrittori avversi al dominio temporale deipapi,
quasi che non si trovi autore vetusto che abbia mentovato come questo
principe abbia donato a papa S. Silvestro I l'ampio patrimoniodi S. Pietro
conRoma e le sue circostanze, che, quantunque santo, come tale vene
rato da tutta la Chiesa sugli altari, volentieri per gli stessi fini l'accet
tava: nulladimeno noi, mediocri canonisti quali siamo , oltre alla testi
monianza di sant'Agostino, presso che contemporaneo a Costantino , ri
portata da sant'Antonino (Part. III, cap. v, tit. 22) : Puto pro veritate
esse dicendum, quod Papa Vicarius Jesu Christi in toto orbe terrarum
vice Dei viventis spiritualium et temporalium habet universalem juris
dictionem, sed ipsorum temporalium immediatam administrationem non
recipit, nisi in regionibus occidentalis imperii per concessionem factam
Ecclesiae a Constantino, quare autem mediate in partibus Italiae solum
medio imperatore hoc non est proptercarentiam auctoritatis, sed propter
nutriendum in filiis suis viventium pacis, quia ex hoc quod imperium
fuit divisum propter vitanda scandala hoc factum est.
Potremmo da Girolamo Catena cavarne parecchie altre, stiamo paghi
ad arrogere solo che sono più di mille anni dacchè sant' Isidoro lasciò
scritto : Costantino aver dato a papa Silvestro I il regno d'Italia, e fatto
di altri ingenti doni, e concedutogli di grandi preeminenze e privilegi.
Ed il capitolo Fundamenta de electione, al libro vi, fa similmente men
zione della donazione di Costantino; quantunque esso nondicapiù della
città di Roma, e così il capitolo Futuram , che è nella causa XII alla
questione I, tocca eziandio che : Costantino lasciò Roma come seggio e
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55
capo dell'imperio, per sede e trono di Silvestro e dei successori. Altri
principi accordarono ai papi dipoi amplissime possessioni per servizio
della Chiesa. Cenni mostra nel suo esame dei diplomi di Ludovico Pio,
che dal tempo di S. Gregorio il Grande iPonteficipossedevano immense
dovizie, che godevano d'una giurisdizione estesissima e del dirittodi pu
nire i colpevoli coi loro giudici nella Sicilia, Calabria, Puglia , Campa
gna, l'esarcato di Ravenna, il territoriodellaSalina, la Dalmazia, l'Illiria,
la Sardegna, l'isola di Corsica, la Liguria, le Alpi Cozie, ed un piccolo
Stato nelle Gallie. Certune di queste regioni, ovvero Stati, racchiudevano
parecchi vescovati, come si vede insan Gregorio (Lib. VII, cap. 39 , in
dict. II).
Le Alpi Cozie, che appartenevano ai papi , comprendevano Genova ed
il litorale del mare che si stende da questa città fino alle Alpi che se
parano la Francia dall'Italia (1). Paolo Diacono (Lib. VI, c. 43), scrive che
i Lombardi s'impadronirono delle Alpi Cozie che appartenevanoalla Sede
di Roma: Patrimonium Alpium Cottiarum quae quondam ad ius per
tinuerunt apostolicae sedis, sed a Longobardis multo tempore fuerant
ablatae. Il P. Gaetano registra nel suo Isagoge alla storia siciliana i
differenti Stati che la sede di Roma possedeva anticamente in Sicilia. Il
tempo frammezzo l'epoca di Costantino e quella diPipino eCarlo Magno
fu una successiva generazione di questo potere, in quanto, rimosso dal
l'eterna città il trono imperiale senza più ritornarvi mai , ed arricchito
il Pontefice di doviziosissimo patrimonio, la sedia papalecominciò a pri
meggiare in Roma sopra tutti gli ordini quivi esistenti: la tiara si venne
poco a poco circondando di splendori anche terreni; l'influenzacivile dei
lontani e deboli imperatori di Bisanzio, quasi per naturale esinanizione,
si venne di grado ingrado infiacchendo fino a spegnersi del tutto.Ipo
poli di Roma e dei dintorni si trovarono, quasi senza averne coscienza,
sotto la tutela di chi per fatto e per diritto potea e dovea mantenerli
nell'ordine; e così il papa, per naturale e spontaneo svolgimento di cose,
si trovò principe temporale con pienezza di manifestazione appunto nel
tempo in cui, formandosi l'Europa in regni distinti tendenti a sempre
più equilibrarsi per la creazione della nuova civiltà, codesta condizione
del papato oggimai diveniva indispensabile. I due termini del suo avve
nimento sono: le donazioni patrimoniali di Costantino , la ricognizione
pubblica e la sociale ratifica dei dominii papali fatta da Carlo Magno. I
(1) Veggasi Tomassini, lib. 1, De discipl. eccles., c. 27, n. 17 ; e Baronio, sotto l'anno712,
p. 9. Questi prova l'affermazione sua colla testimonianza d'Oldrado, vescovo di Milano.
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punti intermedi partecipano più dell' uno o dell' altro, secondo che più
all'uno o all'altro dei termini si accostano.
Tanto era già al tempo di san Gregorio Magno il peso di questo tem
porale governo, che il santo Papa ne menava lamentireiterati, e lo stesso
astioso nemicodel dominio temporale dei papi, Nicolò Tommaseo, nel famoso
suo opuscolo Roma e il mondo, sez. 5, pag. 263, confessa: che questo
Pontefice aveva conceduto un salvocondotto. Chi non ha autoritàpolitica
non può concedere salvocondotti; e che aveva provveduto aimodie tro
vato il tempo di render salubre la campagna di Roma (pag. 111). , Ma
non dobbiamcene fare le meraviglie; imperocchè questo gran Fontefice
avea già, almen nel fatto, il governo di Roma , e il dominio , pressochè
regale, di molte altre parti d'Italia; egli era poi certamente più cco dei
moderni papi. Basta leggere le lettere che scrisse ai diversi amn nistra
tori dei beni della Chiesa romana , i quali egli designava col : ome di
rettori e difensori, per farsi un'idea delle immense ricchezze d. questo
papa. Ventitrè erano a quel tempo i così detti patrimoni della Chiesa ro
mana sparsi nella terraferma d'Italia, nella Sicilia, Istria, Dalmazia, Illi
ria e Sardegna. Il solo imperatore di Costantinopoli , per alcuni patri
moni papali situati nell'Africa ed Asia, pagava annualmente alla Chiesa
romana la non lieve somma di 400, 000 franchi. (Veggasi intal proposito
Orsi e Rohrbacher). I papi partecipavano assai al governo civile di Roma.
Spettava ad essi, dice san Gregorio il Grande (Lib. v, ep. 40, alias, 1. Iv,
ep. 31, ad Maurit), a provvedere la cittàdi frumento.Toccava parimenti
ad essi, arroge lo stesso ( Lib. v, ep. 32, alias , 1. iv, ep. 45), il vegliare
contra gli artifizi dei nemici , come anche contro ai tradimenti dei ge
nerali e dei governatori romani. Egli stabili (Lib. 11, ep. 11, alias, ep. 7)
il tribuno Costanzo, governatore di Napoli. Anastasio il bibliotecario ri
ferisce che i papi Sisinnio e Gregorio II ristaurarono le mura di Rome,
e la posero in istato di difesa. Tomassini (De benef., part. 111, lib.1, c. 29,
num. 6) arguisce da questi fatti e parecchi altri somiglianti, che i papi
avevano la principale amministrazione in Roma e nell'esarcato; che sti
pulavano trattati di pace , allontanavano le guerre , respingevano i ne
mici e difendeano le città che avevano ricuperate sopra di essi, a somi
glianza del pacifico Abramo che, tolte le armi, incalzò i re vittoriosi, li
debello, e liberò dalle loro ugne Lot, i suoi famigli, le sue sostanze ;
poscia, recatosi a' piè del sommo sacerdote Melchisedecco, fe' volare fino
al cielo gli accenti ossequiosi de'suoi ringraziamenti, accompagnati dagli
odorosi incensi bruciati sull'altare di Dio. Non ostante le invasioni dei
Lombardi, gl'imperatori non mitigarono per niente le imposizioni ecces
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sive che percevevano dai Romani : anzi li abbandonarono ai furori dei
barbari, stentando già essi di troppo a sostenersi in Oriente contro ai Sa
raceni. Durante questi tempi di turbolenze , la confusione invase ogni
cosa. I popoli d'Italia si trascelsero dei capi, e si crearono dei principi
in parecchie parti sul principio dell'ottavo secolo. Non vollero porgere
orecchio al papa Gregorio II, che, dietro la testimonianza d'Anastasio il
bibliotecario, gli esortava a restarsene fedeli all'imperatore. Nedesiste
rent ab amore et fide romani imperii admonebat.
Quantunque i Cesari, Leone Isaurico, ed il suo figliuolo CostantinoCo
pronimo perseguitassero i cattolici, i papi Zaccaria e Stefano II non ri
masero però meno fedeli a rispettarli, e ad ubbidire loro in tutto quello
che concerneva il civile governo. Sulla minaccia fatta da Leone di di
struggere le immagini e profanare le reliquie degli apostoli che serba
vansi in Roma, il popolo diventò furioso, e rovesciò le statue di questo
pritcipe, che erano state dapprima ricevute onorificentemente. Il papa
Sterano II esortò l'imperatore a far cessare la persecuzione, e feceglicon
temporaneamente intendere quanto fosse cosa perigliosa lospingere agli
estremi un popolo irritato , aggiungendo che non rispondeva di quello
che potesse accadere di funesto, sebbene s'ingegnasse d'adoperare ogni
mezzo per prevenire una ribellione. Tunc proiecta laureata tua con
culcaverunt... Aitque: Romam mittam, etimaginem S.Petri confringam...
quoc si quispiam miseris, protestamur tibi, innocentessumus a sanguine
quem fusuri sunt (1). Gl'istorici greci calunniavano che il papaGre
gorio II, per sottrarsi al furore degl'iconoclasti , avesse scosso il giogo
dell'obbedienza dovuta all'imperatore di concordia coll'Italia; ma s' in
gannarono, come dimostrò il P. Tomassini. Sentiamo come si esprime
intorno a ciò il P. Alessandro (Diss. II, sect. VIII ) , parlando di Grego
rio Il: Questo savio Pontefice non ignorava, no, latradizione dei Padri,
dalla quale non si diparti unquemai. Di fatto i Padri insegnarono mai
sempre che i sudditi sono tenuti ad ubbidire ai principi loro, avvegna
chè infedeli od eretici , nelle cose che ragguardano i diritti della so
vranità..
Quando gl'imperatori ricusavano di difendere l'Italia contra dei bar
bari, i papi imploravano i soccorsi di Francia in nome del popolo, che
riguardava i monarchi francesi come i suoi padri, i suoi protettori, e
come i principali capi dello Stato. (Veggasi Tomassini, p. III, De benef. ,
(1) Veggasi nei Bollandisti, sotto il 9 d'agosto, l'istoria dei sacrilegi e delle crudeltà, cui gl'i
conoclasti esercitarono in Oriente.
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lib. 1, c. 29). Il continuatore di Fredegario sembra dire, che ilpapaGre
gorio III di concerto col popolo creò Carlo Martello patrizio di Roma;
titolo che non importava altro, salvo l'obbligazione di proteggere la
Chiesa ed i poveri. Tal è la spiegazione datadalPadrePagi edalsignor
diMarca(de concord. lib. III, c. II, n. 6), dietro l'autorità di Paolo Dia
cono. Il papa Zaccaria conchiuse un trattato di pace con Luitprando re
dei Lombardi; fece di seguito una tregua di venti anni con Rachis, re
dei medesimi popoli. Avendo questo principe indossato lacocolla nell'or
dine di S. Benedetto, la corona passò al suo fratello Astolfo, che violò
il trattato. Il papa Stefano II, succeduto a Zaccaria nel 752, inviò ricchi
doni adAstolfo, pregandolo di non portare laguerra nell'esarcato; inu
tilmente. Il Santo Padre si rivolse allora a Pipino, chemandò ambascia
tori al re dei Lombardi per intimargli di restituire alla Santa Sede ciò
che aveale tolto, e di riparare ai danni che aveva cagionati ai Romani.
Astolfo non ubbidi. Pipino scese in Italia, sconfisse i Lombardi, assedió
eprese in Pavia il re loro.Gli rendette nulladimeno il suo reame, esi
gendo da lui niun'altra condizione tranne vivesse in piena concordia col
Papa. Le promesse di Astolfo furono mendaci; perchè appena uscitoPi
pino d'Italia, che costui, ripigliate le armi, mise tutto a ferro , fuoco e
sangue nello Stato ecclesiastico. Il monarca Franco rivalicò le Alpi, battè
dacapo i Lombardi, e fece prigione eziandio il loro re a Pavia. Per la
seconda fiata gli restituì il regno, minacciando di ucciderlo se per l'in
nanzi oserebbe rivolgere le armi contro al Papa. Gli levò l'esarcato di
Ravenna di cui erasi impossessato, ed il ridonò alla Santa Sede. Questa
restituzione si fece nel 755, secondo Eginhard. Redditam sibi Ravennam
› et Pentapolim, et omnem exarchatum ad Ravennam pertinentem, ad
› sanctum Petrum reddidit ..
Tomassini osserva intorno a ciò, che quello che dava Pipino non po
teva appartenere agl'imperatori di Costantinopoli.Eransi spogliati d'ogni
diritto riguardo al territorio di cui si tratta, lasciandolo parecchi anni
senza soccorsi, e soffrendo che i Lombardi ne facessero la conquista; di
maniera che i paesi cui Pipino eCarlomagnodiederoai papi loroappar
tenevano a titolo di vincitori. I popoli stati dai Cesari Greci abbandonati
alla preda, al furore dei barbari, dovettero perciò ricuperare la libertà
loro ed acquistare il diritto di crearsi una novella forma digoverno. (To
massini, p. III, De benef., 1. 1, c. 29, n. 9). Questa è una massima che Puffen
dorf, Grozio, Fontanini, ecc., dimostrarono, pelconsentimento unanime di
tutti gli autori antichi e moderni, fondatasuldiritto universaledelle genti,
che quegli il qualeacquista una contrada inunaguerra giusta, non in
trapresa maidai primitivi possessori, nè in virtù di un'alleanza contratta
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con essi, non vi è obbligazione veruna di restituire quella contrada che
non avevano o voluto o potuto difendere. Illud extra controversiam
⚫ est, si ius gentium respiciamus, quae hostibus per nos ereptasunt, ea
› non posse vindicari ab his qui ante hostes nostros ea possederant et
• amiserant , (Grotius, De iure belli et pacis, 1. III, c. 6, 38). Ora, i Greci
avevano perduto, per loro dappocaggine, l'esarcato di Ravenna. Se Pi
pino avesse conquistato l'Italia sopra i Goti, ovvero l'Africa sovra i Van
dali, in prima che Giustiniano le avesse riunite all'impero, da cui erano
state disgiunte dai barbari, sarebbe egli stato obbligato a restituirle agli
imperatori ? Se iBretoni avessero respinto i Sassoni dopo che i Romani
gli ebbero abbandonati al furore di questi popoli, avrebbesi loro potuto
contrastare il diritto di guardarsi per l'innanzi qual nazione libera? Ep
perchè irragionevole si reputerebbe adunque che i Papi ed il popolo ro
mano, ai quali iGreci ricusarono qualunque soccorso, ne abbiano ricer
cato altrove? Essi non si rivolsero ai Francesi se non se dappoichè eb
bero per lunga pezza inutilmente sollecitato la protezione degl' impera
tori costantinopolitani ; perciò Anastasio il bibliotecario ci assicura che
il papa Stefano II aveva sovente implorato senza successo il soccorso di
Leone contr' Astolfo :
Utjuxta quod ei saepius scripserat , cum exer
• citu ad tuendas has Italiae partes modis omnibus adveniret ..
Noi leggiamo nel medesimo autore, che quando Cesare fece richiamo
aPipino per la restituzione delle contrade cui aveva in su i Lombardi
conquistate, questi risposegli, che essendosi esso solo esposto ai pericoli
della guerra per la difesa della sede di S. Pietro, e per niun altro fine,
non soffrirebbe però che ne venisse unquemai spogliata la Chiesa Ro
mana di quello che aveale donato. Pipino diede alla Santa Sede lacittà
di Roma col suo territorio, l'esarcato di Ravenna e laPentapoli, che con
teneva Rimini, Pesaro, Fano, Sinigaglia, Ancona, Gubio, ecc.; egli ri
tenne l'ufficio di protettore e difensore della Chiesa Romanacol titolo di
Patrizio. Desiderio, re dei Lombardi, avendo poi saccheggiato le terre
della Chiesa Romana, Carlomagno entrò in Italia con un esercito per
combatterlo ; lo vinse, assedio Pavia che si arrendette, ediè fine al reame
Lombardo nel 773. Facevasi poscia coronare re d'Italia evuolsi chenella
cerimonia si servisse d'una corona di ferro, a somiglianza dei Goti edei
Lombardi che cingevansi le tempia di questo diadema, forse a simboleg
giare la forza ed il potere. Checchè ne sia, Carlomagnoconfermò alpapa
Adriano I ladonazione di Pipino padre suo.Carlo ilCalvo edalcuni altri
principi la ratificarono non solo , ma l'ampliarono maggiormente. Es
sendo stato Carlomagno coronato imperatore d'Occidente nell'800dal papa
Leone III, Irene allora imperatrice di Costantinopoli il riconobbe per Au
60
gusto due anni dopo: in che ella di poi venne imitata dall' imperatore
Niceforo III. I Goti nel medesimo tempo confermarono la divisione cui
egli aveva fatto dell'Italia.
Da ultimo, ancorchè la Chiesa non avesse tenutadonazione daCostan
tino, Pipino, Carlomagno, la quale nonpertanto ècerta, non lemancano
titoli di donazioni valevoli di altri imperatori antichissimi. Leggasi a tal
riguardo la Bolla d'oro ovvero diploma aureo (Petra, in comment. ad
constit. Apost. § I. Proëmial), così detto dal sigillo d'oro con cui esso
era marcato; il cui originale conservasi presentemente non più nell'ar
chivio di Castel Sant'Angelo di Roma, ma nella Biblioteca vaticana, e si
riferisce dal Baronio an. 962, n. 1. Per virtù di questo diploma l'impera
tore Ottone III l'anno 962, indizione V, addì 23 febbraio, e nell'anno XXI
dell' imperio d'esso Ottone, questi conferma alla Santa Sede Romana la
dominazione degli Stati , cui possiede, fattale da Pipino re, e poscia da
Carlomagno imperatore.
Oltracciò nel vol. I dellaVita dei Sommi Pontefici nativiod oriondi degli
Stati Sardi da noi scritta, nella vita di Niccolò II, al n. iv, abbiamo par
lato delle ampie donazioni fatte da S. Leone IX papa ai conti Normandi
del regno di Napoli, invitato da Niccolò II che accordò l'investitura a
Roberto Guiscardo col titolo di duca. Lalegittimitàdi tale atto esercitato
da S. Leone IX e da Niccolò II era in quei dì sì manifesta, che nessuno
scrittore la revocava in dubbio, nè molto meno poi lacontrastava, come
riluce chiaro dal monaco Malaterra, dall'Anonimo dell'Historia Sicula,
dal Carusio Bibl. Hist. P. S. tom. II, pag. 834; ibid. 1, 9, pag. 177, с. 14,
Siffatta investitura fu la primordiale del regno appellato oggidì di Na
poli, e vi aggiunse anche la Sicilia, su cui conservavano il loro gius i
greci imperatori. Certo è che in quei tempi si facevamoltovalerelado
nazione di Costantino, che gli osteggiatori di lei si sbracciavano a vo
lerla inventata nel secolo viu dell'era volgare. Checchè ne sia, desso è
un fatto autentico che, oltre alle autorità già da noi allegate superior
mente in favore di questa, S. Leone IX papa santissimo, nellasua lunga
epistola scritta a Michele Cerulario patriarca di Costantinopoli nell'anno
1053, epist. 1, t. Ix concil. Labbè, cioè pochi anni prima di Niccolo II
papa, la produsse presso che tutta, e massimamente quelle parole: Tam
› palatium nostrum, quam romanam urbem, et omnes Italiae, seu occi
› dentalium regionum, provincias, loca, et civitates saepe fato beatissimo,
⚫ et patri nostro Silvestro I universali papae contradentes, atque relin
› quentes, ei vel successoribus ipsius, Pontificibus potestatem constitutum
› decernimus disponendo, atque juri Sanctae Romanae Ecclesiae conce
61--
▸dimus permansura. Ora un Papa si santo, si savio e dotto avrebbe
egli mai osato scrivere ad un imperatore greco in termini tali, appog
giato ad apocrifi o suppositizi documenti ? E quando tali fossero stati,
la suscettibilità greca avrebbe ella taciuto ? No! Eppure tacque! Perchè
aveva contra di sè la credenza pubblica ed universale. Fece anchegran
caso di tali donazioni alcuni anni dopo San Pier Damiano inun suo dia
logo Opuscul. c. IV. Oltracció Ermanno Contratto Opusculc. IVći rende
conto che Arrigo II imperatore avea conceduto al santoPapa LeoneIX:
• Pleraque in ultra romanis partibus ad suumjus pertinentia pro Cisal
› pinis in concambium datis.
Questa sovranità temporale non fu adunque dai papi cercata, o con
quistata a sfoggio di loro ambizione, comedamolti fu scritto, mafu loro
lasciata dai sovrani medesimi, i quali venivano persino dal fondo della
Russia (Epist. Gregor. VII, lib. II, pag. 74), a porre la corona loro sotto
la salvaguardia dell'unica autorità allora rispettata, essendo la sola ri
masta degna di rispetto. In questo convennero gli elettori, igrandi vas
salli ed i popoli, vittime d'un'orribile ed universale oppressione.Era sta
bilito dal diritto pubblico allor vigente, diritto anteriore aGregorio VII
ead Innocenzo III, diritto riconosciuto dai monarchi, che perciò presta
vano giuramento, diritto stampato a chiare lettere nelle costituzioni fon
damentali della maggior parte degli Stati, nelle quali era stabilito, che
il principe violando l'unità della fede, o se scomunicato, avesse rifiutato
di farsi assolvere dalle censure sarebbedecaduto.(Introduzione alla storia
di Gregorio VII e d'Innocenzo III per Jager e J. Vial: Potere dei Papi
sui sovrani del medio evo).
Dal che ne conseguita, che se non fu necessario a sostegnodell'auto
rità spirituale del Papa l'assegnargli uno Stato temporale, è indubitato
non pertanto che ciò che non è necessario, diviene soventemente cosa
convenevolissima, epperciò convenevolissimo era che i Pontefici romani,
giacchè fu loro dato un impero temporale, il custodissero edifendessero
con tutte learmi loro. Dopo la divisione della cristianità in differenti
Stati, è spediente assai che il Padre comune dei fedeli non sia soggetto
aniunmonarca. Un Papa, cittadino di Londra, ovvero di Parigi, non
sarebbeugualmente rispettatodalle due nazioni. IlVoltaireosserva (Annal.
de l'Emp. t. 1, p. 397, 398), che i Papi d'Avignone erano troppo dipen
denti dalle volontà dei re di Francia, e non godevano della libertà ne
cessaria al buon impiego della loro autorità. Il Papa, dice ilpresidente
► Hanault (Abrégé chronol. de l'hist. de France. Remarque part. sur la
›deuxième race, edit. 1768), non è più come sulprincipio, il sudditodel
--
62
› l'imperatore; dacchè la Chiesa si è diffusa nell'universo, egli debbe ri
• spondere a tutti coloro che vicomandano, eperconseguenza, nondeb
•begli niuno comandare. La religione non basta per imporre a tanti
› sovrani; e Iddio ha giustamente permesso che il S. Padre comunedei
› fedeli mantenga per la sua indipendenza il rispetto che gli è dovuto.
►Così adunque è ottima cosa che il papa abbia la proprietà d'uno Stato
› temporale, insiememente alla podestà spirituale: ma purchè non pos
› segga la primiera tranne appo sè, e che non eserciti l'altra salvo entro
› quei limiti che sonogli prescritti. L'unione di tutte le Chiese occiden
› tali sotto un Pontefice sovrano, arroge un autore (M. Hume, Hist. de
• laMaison de Tudor, t. III, p. 9.) protestante e filosofo, facilitava il com
› mercio delle nazioni, e tendeva afare dell'Europaunavasta repubblica;
› la pompa e lo splendore del culto che apparteneva ad una istituzione
›sì ricca, contribuiva in qualche maniera ad incoraggiare le belle arti,
›ecominciava a spandere un'eleganza generale di gusto, conciliandola
• colla religione. ,
Anzi Fleury (Hist. Eccl., t. 16, dis. 40, n. 10) osserva, che l'autorità se
colare del Papa, come monarca di Roma, è divenuta necessaria per-im
pedire gli scisma, e tenere i vescovi a dovere. Nella Chiesa Romana si
› può trovare una ragione particolare d'unire le due podestà. Finchè
• l'impero romano sussistette, egli rinchiudeva nella sua vasta estensione
• pressochè l'intera cristianità: ma dacchè l'Europa venne spartita in
› parecchi principati indipendenti gli uni dagli altri, se il Papa fosse
› stato soggetto d'uno di essi, sarebbe stato da temere che gli altri a
• vrebbero penato a riconoscerlo per Padre comune, e che gli scisma
› sarebbero stati frequenti; si può adunque credere che è per disposizione
›della Provvidenza che il Papa si trovò indipendente e padrone d'una
› dizione sufficientemente potente per non divenire di leggieri oppresso
› dagli altri scettrati, affinchè fosse più libero nell'esercizio della sua au
• torità spirituale, e che potesse più agevolmente contenere gli altri ve
› scovi nel dovere. Tal era il pensiero d'un grande vescovo del nostro
• tempo..
Napoleone I, il quale, allorchè lo smisurato orgoglio non faceva velo
alla sua vasta intelligenza, era miglior canonista che il signor Dupin ,
e i moderni gallicani, diceva: Il Papa, custode dell'unità cattolica, è
›una mirabile istituzione. Rimproverasi (fuor d'Italia) a questo Capo di
▸ essere un sovrano straniero. Egli è straniero, ma bisogna ringraziare
• il cielo ch'egli sia tale. Sarebbe mai sì forte la sua autorità, in paese
•non suo e davanti al potere dello Stato? Il Papa è fuori di Parigi; e
63
questo è unbene.Noi neveneriamo l'autorità spirituale, appunto perchè
› egli non è nè a Madrid, nè a Vienna. A Vienna e a Madrid si dice lo
› stesso. È un bene universale ch'egli non risieda pressodi noi nè presso
› i nostri rivali, ma nell'antica Roma, lungi dalle mani degl'imperatori
•alemanni, lungi da quelle dei re di Francia edei redi Spagnatenendo
• la bilancia fra i sovrani cattolici, inclinando un poco verso il più forte,
› e rialzandosi contra d'esso quando egli diventa oppressore. Questa è
›opera dei secoli, ed i secoli l'hanno fatta bene. Questa è istituzione la
• più savia e benefica che sipossaimmaginare nelgoverno delle anime.
(Thiers Hist. du Consul. et de l'Empire, liv. du Concordat). Felice Napo
leone, se questa sua grave e verace sentenza l'avesse confermata colla
sua condotta verso di Pio VII !
Laècosa troppo provata, che se il Papa stesse suddito d'una deter
minata Potenza, nascerebbe un'universale gelosia fra tutti i governi cat
tolici, ciascuno dei quali vorrebbe per sè la prerogativa d'avere il Papa
sotto la propria giurisdizione. Non potendosi contentare che un solo, tutti
gli altri a poco a poco si sdegnerebbero di veder un suddito di potenza
straniera influire sulla coscienza dei propri sudditi, massime in caso di
politici dissapori. Così comincierebbesi dal sopravvegliarlo, si passerebbe
quindi a impedire del tutto lecomunicazioni fra i propri sudditi e il Papa
suddito di una potenza straniera; e finirebbesi coll'eleggere un patriarca
indipendente, che faccia le veci d'esso Papa. In talmodo vedrebbesi rin
novata in più vaste proporzioni per tutta la cristianità la triste epоса
pel grande scisma d'Occidente, quando tre pretesi Papi inuntempo, uno
in Francia, uno in Ispagna, un terzo in Italia, laceravano in tre ubbi
dienze diverse la cattolica unità. Il divario sarebbe in ciò, che ciascuno
di questi governi vorrebbe avere il suo; e sotto colore d'assistere e pro
teggere un pupillo da essi loro considerato per dipendente, gli porreb
bero apoco apoco le mani addosso per guisa da rivocare al sovrano la
suprema direzione degli affari ecclesiastici, aquel modo che fa lo Czar
nella Chiesa greco-russa-scismatica. Ond'è che lo stesso Sismondi, sebben
protestante e ai Papi avversissimo, pure confessa non potere essi godere
d'una veralibertà nell'esercizio del loro ministero, se non francheggiando
l'autorità spirituale coll'indipendenza politica, e quindi col possesso del
civil principato. Perciò con li canonisti pontifici , i quali credono che
Roma moderna, per essere stata non solo salvata, ma creata dai Papi,
sia quasi per natural pertinenza possesso loro, ricordiamo la conforme
sentenza di Giovanni Muller, istorico protestante, nell'opera sua Viaggi
dei Papi: Se la natural giustizia deve decidere, iPapi sono di diritto
--
64
› signori e padroni di Roma, perchè senza i Papi Roma più non esiste
› rebbe. Gregorio, Alessandro, Innocenzo opposero una diga al torrente
› che minacciava tutta la terra. Le loro mani paterne elevarono la ge
› rarchia, ed a lato d'essa la libertà di tutti gli stati. » Osserviamo noi
altresì che l'allontanamento dei Papi riuscirebbe a suprema sventura di
Roma, edotti dall'esperienza che se n'ebbe nei sette anni che i Papi re
siedettero in Avignone, assimilati dai Romani ai settant'annidellacattività
babilonica. La popolazione di Roma quando i Papi fissarono laresidenza
in Avignone si ridusse a diciasettemila abitanti, scrive il dotto Coppi :
(Discorsi sull'agro Romano), leggasi ciò che hanno operato i Papi da
S. Gregorio fino ai tempi di Carlo Magno, sia per riparare le rovine di
Roma e ristabilirvi non solamente le chiese e gli spedali, ma le strade
egli acquedotti, per guarentire l'Italia dal furore dei Lombardi, e dal
l'avarizia dei Greci, e si vedrà ciò che loro debbe Roma, e l'Italia ,
Fleury, dei costumi dei crisi ini, p. 4, c. 3.
Noi sentiamo ancora oggidì l'influenza dei beni immensi ed inestima
bili, che il mondo intero deve alla corte di Roma; essa avea idee di le
gislazione, di diritto pubblico: essa conosceva le belle arti, le scienze, la
civiltà quando tutto era inabissato nelle tenebre di gotiche istituzioni ;
nè apro suo teneva esclusivamente laluce; ma laspandevaa tutti: essa
faceva cadere le barriere che ipregiudizi mettono fra le nazioni: cercava
d'addolcire i nostri costumi, di trarci dalla nostra ignoranza , di strap
parci dalle nostre pratiche grossolane, e feroci. I Papi presso inostri an
tenati furono missionari delle arti, inviati di civiltà fra i barbari, furono
legislatori fra i popoli selvaggi. Il solo regno di Carlo Magno , scrive
Voltaire, è un'aurora di civiltà, che fu probabilmente il frutto del viaggio
dalui fatto a Roma. È adunque cosageneralmente riconosciutache alla
santa sede l'Europa va debitrice della propriacivilizzazione, che ad essa
debbe porzione delle migliori sue leggi , e di tutte quasi le scienze, le
arti. Chateaubriand Genio del Cristianesimo, p. 4, 1. 6, c. 6. Veggasi la
lettera pastorale di Monsignor Vescovo d'Ivrea dell'anno 1849 Del Magi
stero della Chiesa già citata nella prefazione di quest'opera.
• I Ghibellini (scrive il Cantù, vol. III della sua opera I cento anni),
Neoguelfi, consoni nel bene a Dante, a Macchiavello e ai Giacobini, ve
deano la necessità di governi robusti, qualunque si fossero. E rammen
tando come Napoleone colla spada troncasse tanti gruppi italici, sicchè
stette da lui il farci nazione, fissavansi su qualcuno dei regoli d'Italia
per metterlo in capo di tutta, fosse Carlo Alberto di Savoia, oFrancesco
di Modena, o fino l'Imperatore d'Austria. Primo bisogno di una nazione
--
65
(dicevano) è l'essere, è l'unità; il resto verrà dietro. Gli altri zelavanó
innanzi tutto la libertà; e nella storia leggevano che questa fu sempre
tutelata dai Papi, i quali coll'opporre la Chiesa universale all'universale
impero, avevano creata anche politicamente la vasta unitàcattolica; essi
salvata l'Italia dall'eccidio totale della civiltà; essi impedito nessun bar
baro qui prevalesse; che se a tal uopo avevano chiamato uno straniero
per opporlo all'altro, in nome di essi però si erano fatti i tentativi d'in
dipendenza e di federazione italica, sia nella lega lombarda e nella to
scana, sia in quella contro Ezelino, poi sotto Giulio II e fin sotto Pio VI,
(vedi vol. 1, p. 488). In Italia l'avversione ai Papi è volgare, sia perchè
qui sono anche principi, sia perchè gli scrittori primi li bersagliarono ,
e i seguenti sogliono imitare. Pure, negli ultimi tempi , diverso occhio
vi portarono i migliorati studii storici e l'annobilito sentimento religioso.
Del neoguelfismo in Italia i primi segni sono a rintracciare(chi 'l crede
rebbe?) in Ugo Foscolo. Durante il Regno d'Italia, egli potè, malgrado
mille ostacoli, pubblicare un articolo in lode di Gregorio VII, e sta fra
le opere sue. Il 1815 preparava un discorso a Pio VII per mostrare la
necessità che il Pontefice rimanga in Italia difeso dagli italiani. E nel
discorso II SULLA SERVITÙ DELL'ITALIA: Noi Italiani vogliamo, e dobbiamo
volere, volerlo fino all'ultimo sangue, che il Papa sovrano, supremo tu
tore della religione d'Europa, principe elettivo e italiano, non solo sus
sista e regni, ma regni sempre in Italia e difeso dagl'Italiani. E nel III
si lagnano che si fossero obliate la sovrumana fortezza e la sapienza poli
tica di quel grande Pontefice (Gregorio VII), che vedeva consistere la tem
porale dignità della Chiesa nella indipendenza delle nostre città, e quindi
nella loro confederazione la più fidata difesa dei suoi Pastori.
Or ripigliamo quel sentimento suddetto religioso , che se in taluni
degenerò in ascetismo monacale o in gergo teosofistico, nei migliori di
veniva ispiratore di opportunissime beneficenze; e negli scrittori aveva
prodotto (a tacer altri) i due libri che, quasi soli , divennero popolari
anche oltre Alpi, e dove alle nequizie degli uomini e alle sofferenze della
vita s'opponevano quellemiti virtù che trionfano del mondo. Pareva adun
que che ancora, ad elevare le plebi, il miglior modo fosse elevare i pa
stori; rinfiancavasi la primazia spirituale, comeadatta a ristabilire il con
cetto dell'autorità, così necessario pei reggimenti liberi, cioè frenati solo
dalla morale; temerne gli abusi come potevasi, quando i governi tene
vano la forza, e gli scrittori l'opinione? Ricorrendo alla storia , si divi
sava dunque una lega di popoli italiani, a cui capo il Papa, che così
facesse rivivere Italia nell'unità, non già del principato, ma degl'inte
5
--
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ressi e dei sentimenti, della bandiera, di pesi, misure, dogane, di mili
tari esercizi, di palestre dottrinali, di diplomazia. Ma l'Austria vorrebbe
entrare in una lega che isolerebbe le sue provincie italiche dalle tran
salpine? E la sua potenza non ve la farebbe preponderare ascapito del
l'indipendenza? Gravissima difficoltà! ma, come troppe si suole, crede
vasi eluderla col non tenerne conto. Queste idee guelfe erano derise dai
molti, che riguardano come unico impaccio delle fortune italiane i Pon
tefici , mal discernendo gli accidenti dalla sostanza , le persone dai prin
cipii, il Papa dal papato. Ma con pazienza le coltivavano buoni ingegni
e retti cuori: l'esempio e la voce dei quali professò seguire l'abate Gio
berti nel Primato degl'Italiani. Suo assunto politico è che la redenzione
› d'Italia è impossibile a ottenere senza il concorsodelle idee religiose :
▸ che la penisola non può essere una, libera, forte, se Roma, suo centro
› e capo morale, non risorge civilmente; che finora i tentativi politici
> non riuscirono perchènon si fece alcun caso, nel porvi mano, della
⚫ classe clericale e delle comuni credenze; che la religione è la base del
› genio nazionale ; che Roma è la nostra morale e civile metropoli; che
• il solo riordinamento d'Italia possibile al dì d'oggi risiede in una con
▸ federazionede' suoi principi, capitanatadal Pontefice (Gesuita moderno,
• tom. V, p. 113). Queste idee giobertiane consegnate nel suo libro Il
Primato, Cesare Balbo le ridusse in un altro suo libro più pratico, più
semplice più breve. E poi nell' opere nostre , tra le altre consacrate ai
Papi , O Papa, o irreligione, anarchia e morte ! ed Il trionfo di S. Pietro
sopra di Roma Pagana , abbiamo con indissolubile nesso logico-storico
dimostrato che se Roma (amor) fu fondata e chiamata per aspirazione
ed intuizione superna città eterna fin di sua culla, la ragione n'è per
chè fu creata pei Papi , e durerà fino a che in essa lei si manterrà il
Papato.
Or questo regno per cagione degli scismi suscitati dagli Enrichi , dai
Federici imperatori, prolungati dallo scandalo di tre antipapi, rinforzati
dalla residenza dei Papi in Avignone, e dallo imperversaredel concilia
bolo di Basilea, era stato scosso infino da'suoi cardini e diviso in varii
principati, i cui signori, come abbiamo di volo accennato, e discorreremo
appositamente a suo luogo, a loro beneplacito angariavano, infastidivano
i romani Pontefici che di monarchi appena ritenevano il nome;quindi se
non fosse venutauna mano robusta talequal fu quelladiAlessandro VI,
a rialzarlo, riunirlo e difenderlo, egli sarebbesi in breve sfasciato, са
dendo sotto i colpi dell'eresia; chè i novatori già facevanocapolino eRoma
dovette ad Alessandro VI la sua grandezza temporale , e questi pose i
67
suoi successori in istato di tenere quandochessia le bilance d'Italia, come
ebbe a confessare l'istessa Enciclopedia universale di Diderot e d'Alem
bert, PAROLA Valence.
La divina Provvidenza che richiedeva un petto forte a reggere il do
minio temporale in quei procellosi tempi, fe' che l'eletta cadde sopra di lui
rapidamente ed unanime, che fosse temutada'monarchi pelsostegno che
riceveva da Ferdinando di Spagna, essagli tenne affezionati i popoli in
tante ribellioni dei baroni romani , il preservò da certa morte in quella
che il fulmine sul Vaticano ruinava sull'augusto suo capo le sovrastanti
volte, perchè troppo sconquassate ancora erano le cose di Romagna ,
protrasse i suoi dì alla più tarda vigorosa vecchiezza , malgrado gli
affanni travagliosi e le peripezie acerbissime a cui andò soggetto ; e
parve che anche dopo la morte di esso , Iddio approvasse il suo go
verno , imperocchè avendo i cardinali eletto a suo successore Pio III ,
personaggio santissimo, ma troppo mite per quei tempi duri e feroci, il
Signore, dopo averne ricompensate le virtù con innalzarlo alla tiara pon
tificia, come se fosse, qual monarca temporale, poco atto a reprimere la
impudente baldanza e cupidigia di quei baroni romani a rapinare e ti
ranneggiare rotti, fra lo spazio di ventisei giorni il chiamò asè, lasciando
che il sacro Conclave eleggessein suaveceunanimamente l'emulo, l'av
versario di Alessandro VI, Giulio II, il quale prosegul tuttavia con ar
dore il piano di lui, e pose ogni studio onde liberar l'Italia e renderle
la sua nazionalità.
Questa nostra digressione sembrerà a taluni troppo lunga ed estranea
ad Alessandro VI, l'abbiamo nondimeno creduta necessaria per rischia
rare un punto istorico che alcuni moderni hanno molto intricato, forse
più per malignità che per ignoranza (1). Ed abbiamo voluto via via,
come per mano, condurre il leggente dall'origine del temporale dominio
dei Papi fino ai tempi presenti, acciocchè il fatto fosse appoggiato dalla
autorità, e perentoria ne riuscisse la risposta.
Ache adunque sivacon ristucchevole sazietà compiacendosidi ripetere
che vi fu abuso nell'esercizio di questa autorità, quando questo esercizio
si diè in Pontefici che la mano laica violentemente pose a sedere sulla
cattedra di Pietro, in Pontefici viventi intempi depravatissimi, e che erano
pur essi ancora i migliori principi: quando Gesù Cristo istesso espres
samente ci avvertisce, che i capi della religione non sono punto impec
(1) Veggansi i Monumenta dominationis Pontificiae di Cenni , stampati in Roma nel 1760;
una dissertazione di Orsi sul medesimo soggetto: Cenni, Esame di diploma, ecc.; Giuseppe As
semani, Hist. ital. scriptor, t. III, c. 8.
cabili, e che le personali colpeloro non debbono scemare ilrispetto che
ad essi Pontefici è dovuto. Matt. XIII: Super cathedram Moysi sede
• runt Scribae et Phasaei. Omnia ergo quaecumque dixerint vobis, ser
⚫vate et facite: secundum opera vero eorum nolite facere (1).
I secoli d'ignoranza unitamente alle passioni umane hanno indotto
grandi disordini in tutte le sociali istituzioni, come corti, tribunali, ac
cademie , società di uomini sulla terra, e quando questi tempi di cala
mità sonoseneiti, bisogna gettare un velo sulle piagheche cagionarono
all'umanità ed alla religione. Tale è l'avviso innestato in alcuni bei versi
del mediocre poeta Stazio :
•Excidat illa dies aevo: nec postera credant
• Saecula; nos certe taceamus, et obruta multa
•Nocte tegi nostrae patiamur crimina gentis. ,
Tali sono le riflessioni cui premettiamo in prima di scrivere la vita
di Papa Alessandro VI, Borgia, e suoi contemporanei, del qualeuna mol
titudine pressochè innumerevole di scrittori di tutti i paesi ebbe lapre
tensione di tessere l'istoria , ed in cambio gli uni composero romanzi ,
libelli , altri gli hanno servilmente copiati. Ed è cosa dispiacevole lo scon
trarsi in uomini celebri che divennero organi dell'impostura e dellacre
dulità.
Uomini non consentanei mai a sè, i quali sempre struggendosi d'un
bulimo matto di mordere il Papa: se questi in vigore delle due spade
affidategli dal Re dei regi colpisce i rei, tatamellano che le mani di lui
non debbono alzarsi salvo per benedire e pel perdonare, perchè padre
comune; se poi per mitezza egli è indulgente verso dei felloni , ranto
lano ch'è impotente il braccio di lui a sostenere il peso d'un governo
temporale ! Insomma ad ogni modo si aggavignano i rivoluzionari a
carpire pretesti bugiardi, onde avvilire il potere spirituale delle Somme
Chiavi !
(1) Noi abbiamo di ciò abbondantemente ragionato nell'opera nostra L'Eccellenza della santa
Fede cattolica, apostolica e romana, ecc., sopra la sedicente religione maomettana, luterana,
calvinista in tutta la parte III , come anche nell' opuscolo I vizi del clero non sono d'ostacolo
al trionfo della religione cattolica, apostolica e romana.- Torino, tipografia Ribotta, 1855.
68
CAPO PRIMO.
Mortedi Nicolò Vpapa.AlfonsoBorgia gli succede colnome di Callisto III.
Lasacra tiara redimiva le tempia onorate del magnanimo pontefice
Nicolò V, da Sarzana, dinanzi al quale col più ossequioso rispetto s'in
chinavano i più dotti personaggi dell' Oriente e dell' Occidente, il cui
nome venerato sempremai si pronunciava con un misto piacevolissimo
d'ammirazione edi gratitudine. I popoli rimiravano attoniti sedersi splen
didamente sul soglio pontificio un Gerarca onninamente di sèdimentico,
il quale tutta la sua vasta mente, ed il suo gran cuore con sapientis
simamoderazione, infino dai primissimi istanti del suo pontificato, volgeva
a ristabilire l'unione nella Chiesa, già da lunga stagione lacerataper uno
scisma lagrimevole (1).
Nell'anno 1448 conchiuse un concordatocon l'Allemagna. Qualche tempo
dopo sedò le turbolenze suscitatesi nella Spagna all'occasione d'una nuova
legge , la quale escludeva da tutti gl' impieghi civili ed ecclesiastici i
giudei novellamente convertiti.
Nell'anno 1450 si celebrava l'universale giubileo. Nicolò V l'apri la vi
gilia del santo Natale. Poca pezza dopo canonizzò san Bernardino da
Siena, morto ad Aquila nel 1444. Trasferì a Venezia il patriarcato d'A
quileia, unito infino allora alla chiesa di Grado, e rivesti della dignità
patriarcale il santo vescovo Lorenzo Giustiniani, le cui virtù facevano
l'ammirazione di tutta Venezia.
(1) V. vita e gesta de Romani Pontefici nati od oriundi degli Stati Sardi, da noi composta, vol. 1.
Ivi scrivendo la vita di Felice V, di Nicolò Ve d'Alessandro V, diffusamente abbiam ragionato di
cotesto scisma e delle virtù di Nicolò V.
Un grave pensiero tenea occupati in quell'epoca i Pontefici Romani.
I Turchi dovunque minacciavano le province europee senza che dai
,
principi cristiani si potesse sperare il più leggiero soccorso contra dell'in
vasione. I soli papi, con una mano di privati crociatisi, e la devozione
dei cavalieri di Rodi e dei due generosi principi Scanderberg, e Giovanni
Uniade, dovevano pel momento cozzare e far testa contro ai conati di
cotesti nemici formidabili.
Nicolò V fu preso dal dolore di veder cadere tra le ugne degl'infedeli
la capitale dell'impero greco, e tanta fu l'afflizione che provò in cuor
suo, che da quel punto le forze e la sanità di lui diedero giù con una
sorprendente rapidità. Alle sue pene sforzossi egli di cercare un sollievo
nelle opere sante di beneficenza e della pietà cristiana. Si compiaceva
del pari di conversare coi greci letterati, i quali la presa di Costantino
poli aveva costretti a rifugiarsi nelle diversi parti d'Europa. Egl'inco
raggio le arti, adornò la città di Roma di parecchi monumenti degni
d'osservazione; sopratutto arricchi le chiese di vasi d'oro, d'argento e di
arredi preziosi.
La sua ultima malattia fu dolorosissima; ma il santo Pontefice lungi
dal darsi in pianto, lodava e benediceva continuamenteil Signore. Sguar
dando il suo amico, il vescovo di Arras, che in lagrime scioglievasi ac
canto al letto : Non piangete, gli disse, ma cangiate il vostro lutto in
▸ preghiere, che m'impetrinouna morte santa .Egli spirò addi24marzo
dell'anno 1455. Non muoiono sì ilari gl'infensi al Papato !
Nel giorno ottavo dell'aprile successivo, i cardinali radunatisi in con
clave, stavano per nominare papa il cardinale Bessarione, dalla cui ele
zione Alano cardinale d'Avignone gli stornò colle seguenti parole cal
dissime:
Latinae Ecclesiae Papam graecum dabimus? etin capite libri
▸ neophytum collocabimus? nondum barbam rasit Bessarion, et nostrum
▸ caput erit? quae indigentia Ecclesiae latinae, quae virum non reperit
▸ diguum, nisi ad graecos recurrat, assumatque eum quiheri et nudius
tertius fidem romanam impugnavit? et quoniam hodie conversus est,
› magister noster erit, et christiani ductor exercitus ? en paupertas Ec
,
clesiae latinae, quae virum non reperit summo apostolatu dignum, nisi
ad graecos recurrat! Sed agite, patres, quod libet; ego, et qui mihi
> credent, in graecum praesulem nunquam consentiemus . Siffatti ac
centi mossero talmente gli animi dei padri del collegio, che più niuno
vi fu che si accostasse al Bessarione. Laonde elessero Alfonso Borgia,
Cardinal prete del titolo dei Quattro Coronati, il quale assunse il nome
di Callisto III, in memoria di Callisto II benemerito assai della Spagna.
Questi era un buon vecchio di 78 anni, virtuoso, disinteressato al sommo.
Narra Guglielmo Burio in Callist. III, che altro non aveva inmira tranne
la gloria di Dio, ed il trionfo della Chiesa. Egli aveva predetto ai car
dinali l'elezione sua, sopra l'assicurazione che ne aveva ricevuta da
san Vincenzo Ferreri suo compatriota. Non essendovi molta apparenza
di suo esaltamento, fu perciò trattato da visionario. Ma nutriva egli una
fidanza tale nel vaticinio di S. Vincenzo, che avanti la sua elezione giunse
70
71
aformolare un voto sotto il nome pontificale che prese dappoi.Era esso
cosi conceputo, il che conferma il giudizio che di questo pontefice da
remo or ora. Io Callisto, papa, prometto egiuro a Dio e alla santa in
⚫ divisibile Trinità, di perseguitare i Turchi nemici crudelissimi del nome
• cristiano, colla guerra, colle maledizioni, cogli anatemi, colle esecrazioni
⚫econ tutti i mezzi i quali saranno in mio potere . Ed il suo operare
fu immutabilmente conforme al giuramento.
Egli è nell'ordine naturale delle cose che un personaggio innalzato ad
alta carica, specialmente se vecchio, e stipato si vegga da nemici interni
ed esterni, il pensare a raffermarsi in essa coll'aiuto dei valorosi parenti
suoi, cui il sangue gli detta essere più schietti consiglieri e fidati esecutori
delle sue volontà; tanto più se scorge gli antecessori suoi essersi appigliati
aduntalpartito, punto non esita ad abbracciarlo. Ora Callisto III versava
appuntoin somiglianti circostanze, epperciò volleavereai fianchi un qual
che membro della famiglia sua illustre. Computavansi fra gli altri due
giovani d'animo svegliato e prestante, uno di essi specialmente sovrastava
per alta levatura d'ingegno e vigoriadi pensamento: questi eraRodrigo
Lenzuoli, del quale imprendiamo a narrare l'istoria, divenuta troppo
famosa.
CAPO SECONDO.
Natali di Rodrigo Lenzuoli, poi Alessandro VI.
Suoi studii, impieghi, azioni giovanili.
Quantunque della fanciullezza di Rodrigo Lenzuoli non accada il rac
contare, non essendo ancora egli papa, perciò non venne impetita anche
dai più inveleniti scrittori contra di esso; nulladimeno deggiam noi al
cunchè narrarne permaggior chiarezza dell'istoria sua discussa, contrad
detta, contestata.
Illustrava adunque gloriosamente la cattedra romana il pontefice Cal
listo III, il quale aveva in Ispagna due sorelle nobilmente maritate, cia
scuna di queste teneva un figliuolo. Piegandosi Callisto di leggieri spe
cialmente per le allegate ragioni all'andazzo di quei secoli, per cui i
papi creavano cardinali iconsanguinei loro, promosse al grado di cardi
nali i suoi due nepoti, i quali se non n'erano gran fatto degni, meno
ancora certamente vi aspiravano (Rhorbacher, Istoria eccl., in Alessan
dro VI).
Uno di questi due (1) era Rodrigo Lenzuoli, o Lenzoli (come il nomi
(1) L'altro nipote di Callisto III promosso congiuntamente a Rodrigo al cardinalato era, secondo
il Volaterrano (MS. arch. Vat. sign. n. III in Diario feriae V. majoris hebdomadac anni 1481),
Lodovico cugino di Rodrigo, creato cardinale dei santi Quattro Coronati, che da quattro anni ed
oltre sedeva quietamente nel suo presulato Ilerdese , dal giorno in cui scrivea il Volaterrano suc
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nano alcune medaglie coniate nel tempo del ponteficato istesso d'Ales
sandro VI), nato a Valenza, una delle città regie di Spagna, l'anno 1431
da Gioffredo Lenzoli distintissimo cavaliere per nobiltà e ricchezza, e da
Isabella Borgia sorella del suddetto Callisto III, d'antichissima e molto
rinomata famiglia, feconda di grandi uomini e di santi insigni. Se poi
si vuole che Alessandro VI avesse 74 anniquando morì, allora fad'uopo
convenire che nascesse due anni innanzi , cioè il 1° gennaio 1429 come
affermano molti scrittori.
Nicolò Tigrino oratore di Lucca ad Alessandro VI disse, cheRoderigo
Lenzoli traeva l'origine sua da C. Giulio Cesare questore delle Spagne:
d'onde abbia mai tolto egli questa notizia curiosa , Andrea Vittorello
( Vitae et res gestae SS. PP. RR., in Alexand. VI) soggiunge di non a
verlo potuto sapere.
Trapelavano sino dalla sua fanciullezza in lui disposizioni sovra il co
mune, egli faceva maravigliare ognuno per la vivacità del suo spirito
eper la copia dei suoi talenti; ma altresì, eildobbiamo pur confessare,
Rodrigo recava seco il germe delle ardentipassioni, le quali influire do
vevano poi sur i primi anni di sua gioventù.
Fino all'età di diciotto anni Rodrigo si applicò alle scienze ed alle let
tere con un senno rimarchevole, dando segno di buon giudizio nello
studio delle medesime, e tali furono i progressi in esse fatti da lui in
pochissimo tempo, che il suo genitore il quale aveva successivamente
conseguito le cariche più eminenti nella sua patria, fin d'allora credette
potergli affidare la cura di più d'un affare di non leggiera importanza.
Il giovane gli strigò e condusse a finimento con una saggezza rara
(questi erano specialmente de' processi difficili), ed i suoi sforzi vennero
coronati d'un esito ancora più preclaro. Inanimato da siffatti splendidi
principii, egli nutri per un istante ilpensiero di continuare una carriera,
che gli si apriva dinanzi così bella e gloriosa. Se non che a cagione
della leggerezza si propria di quell'età, inopinatamente Rodrigo abbracció
la carriera del padre suo, la professione delle armi, meno per vocazione,
sembra, che per bramosia d'indipendenza.
Noi non terrem dietro ai primi suoi passi nella professione militare.
Anima bollente, tal quale dessa era, non andò molto a segnalarsi. Somi
glianti ingegni non possono giacersi lungamente nell'oscurità, diventa
loro quasi necessità il galleggiare sopra il comune, e qualsiasi il posto
cui occupano, è forza che si distinguano tra tutti coloro i quali li cir
condano : fortuna, se ciò avviene dal lato del bene; ma troppo sovente
accade il contrario.
L'ozio è il padre di molti falli; e Rodrigo ne fece esperienzanelle in
citato contemporaneo ad Alessandro VI. E ciò vogliamo osservato , perchè altri scrittori meno e
satti e posteriori al Volaterrano erroneamente dissero che si chiamasse Giovanni il Seniore , ni
pote d'Alessandro VI e da questo fatto cardinale. Altri autori poi i quali non perscrutarono abba
stanza l'istoria, sciolgono la difficoltà col pronunciare, che non seppero conoscere nè distinguere
chi fosse questo nipote di Calisto III, cuginodi Rodrigo.
73
tramesse che gli lasciavano gli esercizii della milizia. In questo stato
adunque egli conobbe una vedova romana, ch'erasi ricoverata aBarcel
lona nella Spagna, con due figliuole, ed arse in breve d'amore d'una di
queste denominata Rosa Catterina Vannozza, o Zanoggia (non Lucrezia,
come scrive il Berault-Bercastel con altri). Di costei ebbe poi cinque fi.
gliuoli, dei quali si mena tanto scalpore. Il primo di essi, l'abate Berault
Bercastel dietro ad altri (Storia Eccl., in Aless. VI) chiama Pietro Lodo
vico; il secondo, a questo sottentrato per la sua morte senza prole , fu
Gian-Francesco, che divenne poi ducadi Candia; il terzo, Cesare, che
Luigi XII creò duca di Valenza in Francia; il quarto , Lucrezia , che
morìduchessa di Ferrara; il quinto, Gioffredo, principe di Squillacio.
Non concordano però gli scrittori nel numero della prole di Roderigo
Lenzuoli : alcuni gli assegnano soltanto quattro figliuoli, per mezzo dei
quali una femmina. Altri cinque, ma dicono che s'ignora il nome e la
sorte d'uno di essi, epperciò il vogliono morto nella sua infanzia o pue
rizia. Chi poi chiama il primogenito Pietro Lodovico, il dice da pezza
premorto all'assunzione di Rodrigo al pontificato, a cui succedette il
secondogenito Gian-Francesco. Per contro alcuni opinano con maggior
probabilità, che abbia generato soltanto tre figliuoli maschi, Gian-Fran
cesco, Cesare, Gioffredo; e due figliuole: di queste una fu la celebre
Lucrezia, l'altra di cui s'ignora il nome, per essere stata la primogenita
di tutti, morì in Ispagna nanti che Rodrigo venisse in Roma, ed in sì
immatura età da non essersene fatta menzione nella storia (Vitae et res
gestae SS. RR. PP. etc. auctoribus M. Alphonso Ciaconio. Francisco Ca
brera Morali; et Andrae Victorello Ferdinando Ughello, HieronymoAle
xandro.Romaetypis vaticanis, ann. MDCXxx, tom. II, pag. 132ad 1392, in Ale
xandrum VI: con vari altri autori). E somigliante opinione, dietro le più
minute e coscienziose ricerche, pare a noi la più veridica e soddisfacente.
tanto più che simpatizza colla giudiziosa annotazione del traduttore del
Jorry citato, il quale osservando appositamente che presso gli storici
non si trova conformità intorno aquesti nomi(tranne Cesare e Lucrezia),
esclama: sarebbe mai che i figli di Rodrigo avessero avuto più nomi ad
un tempo, e che gli autori incurosi un po' l'uno , un po' l'altro ado
perassero ? Nulla d'improbabile!
Ma seppe Rodrigo si artificiosamente tenere recondita questa congiun
zione illegale, chenon siconobbese non lunghi anni dappoi. Ilperchè con
alta dirittura scrissero i più assennati autori non essersi legata la Rosa
in connubio col Domenico d'Arimano o Arignani, se non posteriormente
al nascimento di quei figliuoli e verso il tempo in cui Rodrigo da car
dinale diacono fu assunto da Sisto IV , sulla metà del suo pontificato ,
al sacerdozio ed all'episcopato, nella gestione del quale, rinunciate egli
tutte le illecebre secolari, si consacrò onninamente alla Chiesa, alla Re
ligione, a Dio (veggasi il protestante Schrocckh, tom. 32, p. 382 e 383 ).
Del resto nè la prole di Rodrigo potrebbesi spacciare per sua, nè per sì
bella pezza sarebbe stata occulta quell'amicizia, sopratutto ad un marito
spagnuolo, o romano, secondo altrivoglionocon più ragione.Quindi emerge
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irrepugnabile che contra ogni diritto aggravano di troppo lamemoria di
Rodrigo coloro i quali affermano positivamente , che la sua tresca fosse
con donna coniugata, quando risulta chiaramente che era con persona
libera, la quale come passò a legittime nozze, non più venne frequentata
dal Borgia, sopra cui pesavano troppo più gravi cure affannose, profondi
studi, rilevantissime legazioni remote, che soventissimamente e diutur
namente tenevanlo lontano non solo di Roma, ma d'Italia.
Pertanto, di chi sono, esclamiamo qui opportunamente col savio Rohr
bacher (Istoria Eccl , in Alessandro VI), quei grandi scandali, notori, fa
mosi e certi d'Alessandro VI? Codesti scandali sono essi delvescovo, del
papa, ovveramente dell'uomo privato? Noi vedemmo che sono del gio
vane militare, dell'uffiziale ispano, dello studente di diritto civile e ca
nonico, a cui si applicò Rodrigo in Bologna quando, abbandonatalami
lizia in Ispagna per ordine dello zio Callisto III, arrivò in Italia; da ul
timo si ammetta pur anche del cardinal chierico, non ancora sacerdote:
perocchè è mentre era occupato in tali carriere , che Rodrigo ebbe di
quella matrona romana quei fanciulli, non adulterini, sibbene naturali ;
manon mai del vescovo nè del papa (1).
(1) Questions sur l'Encyclopédie, 5 vol. 1774, pag. 166. Gfi scrittori d'Alessandro VI il ren
dono colpevole degli errori nei quali essi stessi precipitarono.- Costoro, ibid. pag. 173 si fanno
scudo della massima di Cicerone ragguardo all'istoria; che l'istoria non osi dire una falsità, nè ce
lare una verità. La prima parte di questo precetto è innegabile : bisogna esaminare la seconda.
Se una verità può essere di qualche utilità allo Stato, il vostro silenzio è riprovevole; ma sup
pongo che voi scriviate l'istoria d'un principe che vi avrà confidato un segreto, dovete voi mani
festarlo ? Dovete voi dire alla posterità ciò che sarete incapace di rivelare secretamente ad un solo
uomo? Il dovere d'uno storico la vincerà sopra un dovere più grande?
Suppongo ancora che voi siate stato testimonio d'una debolezza che per nulla influi sugli affari
pubblici, dovete voi propalare simile debolezza ? In tal caso l'istoria diventa una satira.
Fa mestieri confessare che la più parte degli scrittori d'aneddoti sono più indisereti , che utili.
Ma che dire di quei compilatori insolenti, che attribuendosi a merito il maledire, stampano e ven
dono degli scandali come Lavoisier vendeva i veleni !
Se Plutarco morse Erodoto di non aver sufficientemente rialzato la gloria di alcune città greche,
e. d'aver omesso parecchi fatti conosciuti degni di memoria, troppo più sono oggidì riprensibili quelli
i quali senza aver niuno dei meriti d'Erodoto , imputano ai principi , alle nazioni , azioni odievoli ,
senza niuna apparenza di prova ; anzi col marchio di spudorata menzogna ! Questo non èscrivere
l'istoria, anzi è una sfacciata azione meritevole della gogna.
Ibid. tom. 1, pag. 194 e seg. Du Haillan pretende in uno de'suoi opuscoli, che Carlo VIII non
era figliuolo di Luigi XI. Questo forse è il motivo secreto per cui Luigi XI negligentò l'educa
zione di lui, e l tenne sempre da sè lontano. Carlo VIII non rassomigliava a Luigi XI nè per lo
spirito, nè pel corpo. Da ultimo la tradizione poteva servire d'accusa a Du Hallian; ma quella era
troppo incerta, come quasi tutte. La dissomiglianza tra pel padre e pel figlio è ancora meno una
prova d'illegittimità, di quella che la rassomiglianza il diventi del contrario. Che Luigi XI abbia
odiato Carlo VIII, ciò a nulla conchiude. Un figlio si cattivo poteva facilmente diventare un cattivo
padre. Quando pure dodici Du Hallian ci accertassero che Carlo VIII era nato d'un altro che non
da Luigi XI, noi non dovremmo crederli ciecamente. Un leggitore savio debbe , ci sembra , pro
nunciare come i legisti : pater est is, quem nuptiae demonstrant !
Nella Spagna i bastardi hanno sempre ereditato. Il re Enrico di Transtamare non fu mai con
--
75
Il padre di costoro, che spirò in età di settantadue anni , ovvero set
tantaquattro, ne numerava impertanto almeno sessantuno quando si cinse
le tempia della tiara pontificale: questa non è più certamente l'età delle
follie scandalose; per credervi sono necessarie ben altre malleverie da
quelle dei racconti e delle satire dei malevoli; ci vogliono prove e ve
ridici documenti !
Vogliamo noi conchiudere che Alessandro VI non siapuntocolpevole?
Per fermo non mai! Desso è colpevole, il confessiamo senza peritanza ,
ma assai meno di quello che si bucina, perchè di quei dì nella società
non solo si teneva in tanto sconcio come presentemente la prole natu
rale, ma per poco avevasi inferiore alla legittima: dei figliuoli naturali,
scriveva (Memorie, lib. VII, cap. 2) Filippo Comines , autore accreditatis
simo ed isicrono : in Ilalia non si fa grande differenza dai naturali ai
legittimi. Quindi se noi vogliamo giudicare Rodrigo secondo l'andazzo
dei tempi e dei luoghi, nanti agli uomini non erapoi desso quel reo che
tanto ai giorni nostri declamasi. Perocchè, oltre che gli uomini debbonsi
unicamente sentenziare secondo i luoghi ed i tempi, si ha ancorada di
stinguere tra il giudicamento umano ed il divino: e quello che davanti
a Dio è delitto, avvenne spessamente che per la infermitànostrafu cre
duto quandochessia quaggiù tollerabile , scusevole. Laonde conseguita
che se Rodrigo fu al cospetto di Dio peccatore, pur avanti al mondo di
allora comportabile e scusevole appariva la sua condotta.
Si, ripigliamo, non vogliamo noi purgare da qualunque labe il Borgia:
desso è colpevole, non fosse per altro che per essersi invischiato nella
lutulenta pania della libidine. Desso è colpevole sopratutto, che dopo una
somigliante giovinezza, con simili antecedenti pose il piè nel santuario
di Dio; ma queste colpe, senza manifesta ingiustizia ed irragionevolezza
non deggionsi imputare ad Alessandro VI come papa. Noi ammettiamo
altresì che sarebbe stato più colpevole di lui chi diè mano a tale sacro
ingresso, se avuto contezza de'suoi disordini, l'avesse intromesso , senza
che ne porgesse pegni o promessa almeno d'emendamento. Noi possiamo
avantaggio ed onore di Rodrigo arguire con assai fondamento l'uno e
l'altro, e la sua condotta palesemente tenuta durante il pontificato di suo
siderato come re illegittimo, quantunque fosse figliuolo illegittimo ; e questa razza di bastardi, trasfusa
nella casa d'Austria, regnò nella Spagna fino a Filippo V. La stirpe d'Aragona che regnava a
Napoli al tempodi Luigi XII, era bastarda. Il conte di Dunois sottoscrivea il bastardo di Orleans;
e si conservarono per bella pezza alcune lettere del Duca di Normandia re d'Inghilterra sottoscritte
Guglielmo il bastardo. Carlo Quinto avea dormito colla sua sorella Margarita governatrice dei
Paesi Bassi, da cui nacque Don Giovanni d'Austria fratello intrepido del prudente Filippo II. Di
questo non abbiamo maggior prova di quello che ne possediamo dei secreti del talamo di Carlo
magno che dormi, narrasi dai garruli impudenti scrittori, senza niun profitto, edificazione della
società , con tutte le sue figliuole : epperchè adunque affermare simili cose infande? Se la Santa
Scrittura, per fini altissimi , non mi assicurasse che le figliuole di Lot concepirono figliuoli dal
loro proprio padre , e Tamar dal suo suocero , io esiterei molto ad accusarlene. Importa esser
discreti. E che! uno scrittore nella sua stanzetta potrà pronunciare una diffamazione che i giudici
più illuminati del regno tremerebbero d'ascoltare sedenti sul loro tribunale !
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zio e de'suoi successori, che prodigarongli onori , addossarongli onorifi
centissimi uffici difficili, dei quali egli colla più accorta, sollecita dirit
tura seppe dirigere, governare , condurre a soddisfacente compimento ,
somministrerà argomenti luminosi di sua alta levatura, integrità ed esti
mazione pubblica , da esser giudicato meritevole di venir coronato col
triregno.
CAPO TERZO.
Rodrigo Lenzuoli rinuncia alle armi.
vescovo e cardinale diacono.
suoi uffici.
Si reca in Roma, viene eletto
Sua premura nel retto disimpegno dei
I disordini surriferiti di Rodrigo, avvegnachè deplorabili, nulladimeno
non erano poi eccessivi per un militare ed un legista di quei tempi , e
sarebbe pur imperdonabile utopia e stranezza stupida quella di voler mi
surare gli abusi dei travalicati secoli colla stregua della presente età più
costumata!
Orå, essendo lo zio suo divenuto Papa, come abbiam detto, col nome
di Callisto III, l'anno 1455, nulla certamente sapendo esso dei falli cui
moderni o vecchi istorici troppo irruginiti si compiacciono a rimprove
rare al suo nipote (altrimenti l'avrebbe lasciato in Ispagna a continuare,
come avrebbe fatto, la carriera che aveva impresa), l'invito a valicare i
Pirenei per recarsi a Roma, affine di pigliare parte ai più eletti favori.
Rodrigo, che si trovava ingolfato con seducente lusinga nel seno dell'o
pulenza e delle voluttà nella Spagna, non si curò d'aderire ad un tale
invito, più volte ripetuto, per cui dovette finalmente lo zio inviare colà
un prelato per condurlo alla corte pontificia. Quando venne egli era già
padre di tre bimbucci, della figlia primogenita morta in Ispagna, del se
condogenito Gian Francesco, poi duca di Candia e di CesareBorgia. Chè
coloro i quali sono impegnati a protrarne il di lui nascimento onde farlo
figlio non del militare Rodrigo, ma di Rodrigo Borgia cardinale, tutto al
più il ritardano senza precisione sin verso al 1457, che sarebbe sul fine
del 1456, epoca appunto in cui abbandonò la Spagna il Lenzoli Rodrigo
suo padre, ed il lasciò affatto bambino nelle braccia della Vanozza , che
venne poi a raggiungere Rodrigo in Roma, di qua a Bologna. In Roma
ricevette squisite accoglienze dal Gerarca supremo, che colmatolo di be
nefizi considerevoli, il mandò tosto a Bologna, dove, postolo sotto disci
plina di valorosi dottori e maestri nelle lettere , volle che incombesse
appo i medesimi allo studio del diritto civile e canonico, nel quale fece
egregi progressi. (Vitae et res gestae SS. PP. RR., cit. loc). Volgeva al
lora Rodrigo l'anno ventesimo quinto della sua età , ma se fosse nato
nel 1429 avrebbe avuto 27 anni, ed altri dicono 28. ABolognaimpertanto,
dove Rodrigo studiava il diritto, il raggiunse Vanozza, ed il fece padre
77
di Lucrezia; poscia un poco più tardi dell'ultimo figlio Gioffredo. Stando
sui trent'anni Rodrigo diventa assai naturale che avesse generato già
quei quattro figliuoli.
Pago il Santo Padre di siffatta riuscita, lo aggregò alla carriera pre
latizia, per laquale non faceva mestieri sopratutto in quei dìd'essere iniziato
negli ordini sacri, ed il designò verso il fine del1456, addì 21 settembre, ve
scovo ( veggansi le Vite dei Pontefici, diBartolomeo Platina, parte II, da
SistoVfino a Benedetto XIV, descritteda Onofrio Panvinio, inAlessandro VI)
di Valenza in Ispagna; erane solo titolare senza essere insignito d'or
dine sacro, e rimanendosemplice chierico, teneva, secondo usavasi a quei
tempi, come in commenda il vescovado, che amministrato veniva da un
vicario, o vescovo residente , e che poi salito egli al soglio Pontificio ,
eresse in arcivescovado; oltrecció Callisto III lo cred cardinal-diacono col
titolo di san Nicola in carcere Tulliano, il quale titolo poteva altresì
ritenere senza prendere ordini sacri, e poco dopo lo innalzò ancora alla
dignità di vice-cancelliere di santa Chiesa romana : nei quali uffici Ro
derigo si mostrò d'alta capacità, d'intrepido coraggio e sottile prudenza
dotato. Cominciò da questo punto a riformare il suo tenore di vita sino
allora troppo leggiero e dissipato.
Callisto III (che Platina chiama pontefice di grand'animo e mente, ed
integerrimo in tutta la sua vita), applaudendosi della sua scelta , volle
perfino che Roderigo deponesse il nome di suo padre Lenzuoli, e si ap
propriasse quello di sua madre , Borgia, ch' era eziandio quello d'esso
papa, unitamente allo stemma dei Borgia, il quale aveva un bue nel suo
campo: Bos Albanus in portu : il Bue d'Alba in porto. Così disponevasi
soavemente Rodrigo all'avveramento in sè del vaticinio del santo vescovo
d'Armack, Malachia, che sotto tal simbolo avealo preconizzato pontefice.
Noi abbiamo discorso a lungo dell'origine ed autenticità di questa pro
fezia nell'operetta nostra Ifuturi destini, ecc , e sopratutto nella settima
edizione della medesima. (Veggasi eziandio il nostro opuscolo l'Oracolo,
ecc., stampato posteriormente dall'istessa tipografia editricedi F. Marti
nengo e Comp. Torino, 1856). Bisogna pur arguire con sano criterio che
Callisto III pensasse che questo nome, il quale era il suo proprio, non
verrebbe disonorato da colui che volle ne andasse adorno.
Coloro i quali si dilettano di vociferare , che di soppiatto egli conti
nuasse le sue relazioni colla Vanozza, la quale trovandosi nella Spagna
priva del suo braccio sostenitore, rimpatriava nella romulea città poco
dopola partenzadiRodrigo, dovevanoad onore della verità confessare inge
nuamente nonsolo cheeral'unico commercio condannevole che tratto tratto
avesse tenuto, ma anche ad encomio di lui meritato propalare, che pub
blicamente Rodrigo si diportava da prelato pio, frequentava le chiese e
gli ospedali, era liberale a pro' dei poveri , ed adempieva ogni dovere ,
non solo del cristiano, ma del religioso; in breve egli si procacció, dietro
la confessione di tutti coloro che ne scrissero la vita , una fama gene
ralmente favorevolissima.
Perchè mai non hanno altro voluto qui vedere alcuni se non ipocri
--
78
sia ? Autori di peso hanno apertamente proclamato quest'accusa. Orasopra
di che si sono essi appoggiati per condannarlo intal guisa?Sopra qual
che maligna supposizione, poichè dal canto nostro noi non abbiamo tro
vato nulla a sostegno di questa gargagliata.-Unoscrittoreprotestante.
Schrocckh (Tom. 32, p. 382 e 383), fu il primo a metter fuori questaodiosa
interpretazione. Ma a noi sembra che in siffatto argomento uno spirito
saggio, prudente ha delle ragioni non disprezzabili per tenersi in guardia
contra degli storici ecclesiastici della setta protestante, sempre ostili, in
fensi (tranne qualche onorevole eccezione) alla ChiesaRomana e ai Papi.
Per ciò che spetta a noi, se nel decorso di questa biografia abbiamo so
vente consultato l'anglicano Roscoë, del quale è nota l'imparziale buona
fede , non è già che noi ci tenessimo paghi soltanto della sua privata
autorità, quanto di quella dei contemporanei d'Alessandro VI, dei quali
la suaopera contiene preziose ed incontestabili testimonianze.-Delresto,
in nessun luogo, salvo in certe pagine giustamente sospette, venne rap
presentato il Pontefice, di cui parliamo, come falso e dissimulato. Al suo
carattere ardente non si poteva unquemai confare la finzione.
In grazia adunque del regolato vivere non solo , ma edificante , del
nostro cardinale Rodrigo Borgia, venne egli sempre più a rendersi ag
gradevole allo zio, ed a meritarsi maggiori distinzioni ed onorificenze.
Asiffatte promozioni diè occasione la morte del conte di Tagliacozzo,
che avea l'anno avanti Callisto III creato governatore di Roma; subito
nacquero dissensioni tra pel conte Averso e per Napoleone Orsino , per
avere il conte occupato Monticello, terra non lungi da Tivoli, la quale
diceva essere sua, e per ragione ereditaria medesimamente , per essere
stato quel conte della famiglia Orsina. Dalla contesa di questi due ba
roni , che colle armi sulle ragioni ereditarie discettavano, il popolo di
Roma sofferse gravi danni; ma essendo questa contesa sopita perun or
dine rigoroso che loro ingiungeva di deporre le armi , Callisto III pon
tefice prepose Roderigo Borgia suo nipote in luogo del morto conte, go
vernatore di Roma, ed il fece generale e confaloniere della Chiesa, pre
fetto sulle liti ecclesiastiche , per tener più agevolmente i turbolenti
baroni romani a freno (Vitae et res gestae SS. RR. PP., etc. cit. loc.;
Platina, in Callist. III). Il che operò questi con sagacesolerzia ed energia.
Dove sono adunque gli scandali d'Alessandro VI !.... Nonsarebbero forse
i maldicenti, i quali avrebbero accagionati colle penne loro cotali scan
dali nei tabernacoli di Dio, mettendo a giorno quello che stava celatis
simo, o quelio che fu esagerato di soverchio, o che era falso? e per un
uzzolo cocentissimo confondere epoche, costumi, condizione, affine d' in
famare con colpo più sicuro il triregno !
Se Rosa Vanozza, alla partenza di Spagna di Roderigo per Roma, fe'
ritorno in questa città, quale meraviglia di ciò, che una giovane in estra
nea contrada, orbata del suo braccio difensore, soletta rimasta, compiute
le bisogna per cui colà erasi portata la defunta genitrice sua, pensi di
ripatriare al suo suolo natio? Quale cosa di più naturale? Eperchè va
lersi dell'ingresso di costei nella città dei sette colli per cavillare sur i
costumi di entrambi? Non sappiamo noi cheRoderigo Lenzuoli, divenuto
Borgia, frequentemente si assentava per tempo diuturnissimo dall'Italia
onde attendere ai negozi di Stato affidati alla sua saviezza dai Gerarchi
supremi ? E pur ridicolo il leggere appo certi scrittori , i quali, per de
nigrare ambidue, danno l'ubiquazione al Borgia ed alla Vanozza; ovvero
fanno da Roderigo trascinarsi dietro cotesta donna di Spagna in Roma,
di Roma a Bologna, da Bologna nelle Legazioni, e da capo da Roma in
Ispagna, quando consta certo che egli non l'ebbe unquemai compagna
nei viaggi : quando è certo ch'egli vegghiava riguardosissimamente dal
non far suspicare di sè; quando è palese che , ritornata la Vanozza in
Roma, più non ritornò nella Spagna, dove era ito legato il Borgia ;
quando, giusta la più indubitata sentenza, ella venne maritata in Roma
col ragguardevole e nobile cavaliere Domenico d'Arignani verso la metà
del pontificato di Sisto IV, quando il Borgia fu promosso acardinal
vescovo. Un'infame, una cortigiana spudorata, tal qual vorrebbesi da certi
pilucconi dipingere la Vanozza, non avrebbe giammai potuto contrarre
un sì illustre imeneo !
CAPO QUARTO.
Morte di Callisto III e de' suoi successori Pio II, Paolo II.
d' Innocenzo VIII successore di Sisto.
Elezione
Gesta del cardinale Rodrigo
Borgia durante questi pontificati.
In quella che il cardinale Rodrigo Borgia continuava nelle importanti
cariche affidategli a far mostra delle doti necessarie per addivenire glo
rioso papa (afferma Henrion in Alessandro VI), e gli avvenimenti, i quali
nell'alternarsi rapidamente, si spiegavano in singolar modo a lui favo
revoli, Callisto III, dappoichè ebbe tenuto la Santa Sede appena tre anni
e quattro mesi, pagò il debito alla natura, ed alla sua morte la cattedra
di S. Pietro vacò per dodici giorni.
Il conclave in sulle prime pensava d'eleggere il cardinale di Rouen
Guglielmo d'Estouteville ; ma gli italiani tementi non riconducesse in
Francia la corte pontificia, cosa che riguardavano come la rovina d'I
talia, unanimamente si opposero. Tutti i voti gli ottenne il cardinale di
Siena, Enea Silvio, che prese il nome di Pio II. Desso era nativo di Cor
sini, in su quel di Siena, ed era del nobil sangue dei Piccolomini. La sua
scienza, la sua facondia, la sua abilità negli affari, la sua prudenza fu
rono i gradini che il portarono al sommo pontificato.
L'elezione di lui avvenne il giorno decimonono d'agosto 1458, e l'inco
ronazione il dì decimoterzo di settembre. Roma mostrò la sua gioia con
festeggiamenti, e quest'allegrezza si comunicò ben presto a tutta la
cristianità.
Appena rivestito della suprema dignità, egli convocò nella città di Man
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tova i diversi sovrani d'Europa, nell'intendimento di concertarsi con essi
sulle disposizioni a prendere per mettere un argine insormontabile ai
progressi sempre crescenti dei settatori di Maometto.
Ma i suoi sforzi andarono vani. I principi si separarono dopo alcuni
giorni di discussione, nè andò guari che a cagione dei loro peculiari li
tigii posero in dimenticanza la grande causa del nome cristiano e della
religione di Gesù Cristo minacciata dal fanatismo vittorioso dei turchi.
Ciò nulla ostante il Pontefice non si perdè d'animo. Dopo un ultimo ten
tativo credendosi securo dell'appoggio di Filippo duca diBorgogna, uno
dei più possenti principi europei, di quello di presso che tutti gli stati
italiani e sopratutto della repubblica di Venezia, risolvette d'esporre la
sua persona e comparire, invece di dondolarsi come gli altri neghittosi
scettrati nelle delizie , in mezzo alle schiere crociate alla testa delle
proprie milizie.
Comunicato questo progetto ai cardinali, il sacro collegio fe' plauso alla
risoluzione del coraggioso Pontefice, il quale verso la metà di luglio
andò al porto d'Ancona per isferrare di colà contra degli infedeli. Ma
qui il colse d'improvviso una febbre violenta, e questa malattia aggiunta
alle altre infermità, privollo di vita ilgiorno decimoquarto d'agosto 1464,
facendo così svanire le liete speranze cui il suo ardor guerriero avea
fatto concepire per la gloria e gli interessi del nome cristiano.
Il dì trentesimoprimo dello stesso mese i poporati gli diedero per suc
cessore Pietro Barbo veneziano, cardinale del titolo di S.Marco, il quale
prese il nome di Paolo II. Sull'esempio degli antecessori suoi, ei lavorò
di forza e senza tregua a rovesciare la potenza degli Ottomani, od al
meno a rallentare i progressi formidabili della lor marcia usurpatrice.
Nel tempo medesimo ei perseguitava con vigore quegli spiriti sediziosi
che odiavano lapurità della dottrina cattolica. Ed è per questo che con
dannò qual reo d'eresia Podiebrad re di Boemia, dichiarandolo decaduto
dagli stati suoi, cui avea d'altronde ingiustamente invaso , ed ammini
strato ancora più iniquamente.
Nel 1471 egli mandò al monarca d'UngheriaMattia, figliuolo d'Uniade.
una spada ed un berretto d'onore, come al più intrepido soldato della
fede. Lo stesso anno raccomandò ai cavalieri di Rodi di fortificare le loro
città affine di potere all'occasione validamente ribattere gli attacchi dei
mulsulmani. Egli morì improvvisamente il ventotto luglio, dopo sei anni,
dieci mesi, ventisei giorni di pontificato.
Il suo posto fu occupato il 9º giorno d'agosto 1471 da Francesco dellaRo
vere, d'Albissola piemontese, cardinale (v. vol. II della vita e gestadei Papi
degli Stati Sardi, da noi scritta) prete di S. Pietro in Vincoli, che volle
esser chiamato Sisto IV. Il nuovo Pontefice consacro le sue prime cure
per formare una lega potente contra dei nemici eternidel cristianesimo.
Atutta prima per trattar questo grande affare pensava convocare un
concilio a Roma; ma avendo incontrato nei diversi sovrani un' opposi
zione inaspettata, risolse di negoziare la cosa per mezzo dei legati, e
scelse il cardinale d'Acquileia per l'Allemagna, l'Ungheria e la Polonia;
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il cardinale Bessarione per la Francia, ed il cardinale Borgia Rodrigo
per la Spagna (1). Questi accolti dappertutto onorevolmente, non otten
nero però nei loro negoziati quel frutto che si potevano aspettare.
Sotto il pontificato di Sisto IV avvenne il celebre assedio di Rodi.
Sisto ebbe a successore il 29 agosto 1484, Giovanni Battista Cibo, detto
il cardinale di Melfi, illustre genovese (V. vol. sopracitato. Noi abbiamo
diffusamente ivi parlato sì di Sisto IV, che d'Innocenzo VIII). Fu coro
nato il 12 settembre, e si chiamò Innocenzo VIII in memoria di papa
Innocenzo IV, egualmente nativo di Genova.
La guerra contra ai Turchi formava da molti anni l'oggetto costante
dello zelo dei Pontefici , primarii salvatori dell'Europa. Innocenzo VIII
raddoppiò gli sforzi, specialmente alla voce corsa che Baiazet, alla testa
d'un'armata tremenda veniva a gittarsi sull'Italia..
Il Sultano Maometto II aveva tra gli altri avuto tre figliuoli, Mustafa,
Baiazet e Zizim. Egli strozzò il primo pergelosiadel suo valore militare
indi morì senza designare quale dei due superstiti dovesse succedergli
al trono. Il perchè sorse una guerra civile nell'impero. Ma Zizim fu di
sfatto e rifuggiossi in Europa, presso i Cavalieri di Rodi. Innocenzo VIII
ottenne da Pietro d'Aubusson di loro gran maestro , che questi gli ri
mandassero libero Zizimo fratello del Sultano Baiazet. Questo principe
fece il suo ingresso in Roma addì 10 marzo dell'anno seguente 1489 ac
compagnato dal principe Cibo, figliuolo d'Innocenzo, e condotto il giorno
appresso al Concistoro; benchè fosse stato avvertito di piegar le ginoc
chia entrandovi, e di baciare i piedi delPontefice, si avanzò diritto verso
il trono pontificale e si accontentò d'appoggiare la bocca ad una delle
spalle di S. Santità; condotto poi in un appartamento del palazzo pa
pale, ivi si fermo sotto buona custodia. L'ambasciatore del Sultano d'E
gitto, ninacciato d'una guerra con li Turchi, trovandosi aRomaprodigò
le più belle promesse affinchè Zizimo venisse posto in suo potere , ma
invano; ove trascinò una vita, come vedremo tra poco, molle e disordi
nata.
Allora Baiazet parve obbliare pienamente i suoi progetti contra
dei principi cristiani.
La sollecitudine pastoraled'Innocenzo si estendeva a tutto e dovunque.
Nel 1485 pregó lo czar Basilio III, a non portare la guerra in Livonia,
per essere questa provincia posta sotto la protezione di Roma; fermò la
pace tra pel re di Scozia e per li sudditi suoi: inviò a Liegi un inter
nunzio per sedarvi le turbolenze civili. L'anno appresso pose fine alle di
scordie sanguinose dell'Inghilterra, unendo con una alleanza i due rami
(1) Sisto IV vien lodato dagli scrittori per molte virtù, per la purezza dei costumi, per una
scienza straordinaria, per rari talenti, per somma applicazione agli affari (Artaud, Storia dei Rom.
Pont., vol. 1, p. 471). Questa legazione dopo altre anteriori si compi dal cardinale Borgia tra gli
anni 1471-72: multas tam subeo, quam sub aliis pontificibus et maximas legationes obivit Ciac
con., vitae R. PP.; fu eziandio Sisto IV, che il promosse dall'ordine dei Diaconi a quello dei
Vescovi, nominandolo in prima Cardinale, Vescovo d'Albano, poi di Porto nell'anno 1476 epoca
in cui dovette entrare negli ordini sacri. Ciò avvertasi diligentemente.
6
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82
rivali dei Plantageneti. In più riprese lavorò alla conversione degli us
siti, e ne fece rientrare un gran numero nel grembodellaChiesa santa.
Nell'anno 1478 creò il vescovo di Revel suo legato nel Norte, per ri
conciliare il re di Danimarca col popol suo, e vegliare alla direzione di
tutte le Chiese del settentrione. Nel 1491 il Vangelo si predicò per lacura
sua nella Nigrizia e nel Congo. L'anno seguente ilmedesimo Papa scuo
pre a Roma il titolo dellaCroce del Salvatore nella basilica di questo
nome. Da ultimo egli approva laconfraternitadella Misericordiainstituita
sotto il patrocinio di S. Giovanni Battista decollato da Erode, e l'arric
chisce di privilegii ed indulgenze copiose.
Or dappoichè abbiamo toccato per sommi capi le cose operate durante
il breve pontificato dei quattroGerarchi supremi Pio II, Paolo II, Sisto IV,
Innocenzo VIII, che la Provvidenza divina interpose dalla mortedi Cal
listo III all'innalzamento del cardinale Rodrigo Borgia suo nipote alla
cattedra di Pietro col nome d'Alessandro VI, importa che dietro il pre
fissoci metodo diciamo alcun che delle azioni e delle cariche dal Borgia
sostenute.
Ad ognuno è conto che i papi Pio II e Paolo II non furono mai in
nessun tempo avari al Rodrigo di pubblici pegni di onorificenzaed esti
mazione, anzi se gliene mostrarono più fiateprodighi. Ma illoro successore
Sisto IV li sorpasso entrambi, chè, invaghito della dirittura del Borgia,
da diacono il fece vescovo cardinale d'Albano ( veggansi le vite dei
Romani Pontefici del Platina, da noi citate in Alessandro IV), e poco ap
presso di Porto; così sempre piùsi disponeva al pieno adempimento del
vaticinio di Malachia santo, Bos Albanus in Portu. Or quando mai si
vide un Pontefice avente essostessonipoti virtuosi e di elevato ingegno
proteggere i nipoti viziosi dell'antecessor suo, e largheggiare con essi ?
Le istorie ci narrano invece il contrario.
Dunque , se il Borgia, non solo da Pio II, Paolo II, Sisto IV fu pro
mosso a novelle onorificenze (Vitae et res gestae SS. PP. RR. , cit. loc.),
anzi dal successore di questo ancora ed emulo di esso Borgia , Inno
cenzo VIII, fu favoreggiato ed avuto in altissimo conto, fa mestieri con
chiudere che non fosse Rodrigo quell'uomo licenzioso, effrene, di perduta
fama, come si spaccia.
Di fatti è indubitato che , sotto il pontificato di Sisto IV e di Inno
cenzoVIII, venne ilBorgia mandatopiù volte legatopernegozii di rilevante
importanza, massimamente quando, sull'inizio del Pontificato di Sisto IV
andò in Ispagna con pontificia potestà (Volat.MS.Arch.Vat. sign. T. III,
in Diario Feriae V maioris hebdomadae, anni 1481), perquietare il redi
Portogallo e quello di Aragona, i quali stavano colle armi in mano per
cagione del regno di Castiglia, a cui entrambi pretendevano. Il Borgia
venne da essi magnificamente ricevuto.
Non avendo egli però costàpotuto eseguire tutto quello che divisato a
veva, rlfece tosto vela per glitalici lidi; nel ritorno suo sopra le galee dei
Veneziani, perunaviolentatempestasortainmare, perdette pressochè tutta
la sua guardaroba ricchissima, e manco poco che affondasseesso stesso
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nei lidi di Pisa; perciocchè un'altra galea, sulla quale erano saliti molti
de'suoi, essendo stata durante l'intera notte e grande partedeldi vegnente
tormentata e scossa dalle onde infuriate, in ultimo vi si sommerse, e vi
perirono da cento ottanta uomini, per mezzo dei quali numeravansi tre
vescovi ed alcuni dottori di legge (1). Di tal modo laProvvidenza si di
chiarava singolarmente propizia al nipote di Callisto III, che doveva in
breve divenir papa sotto il nome di Alessandro VI.
Or come mai l'ambizioso Borgia, quell'uomo così cauto, poteva essere
tanto improvvido da ingolfarsi talmente in colpevolissime tresche , che,
compromettendone la riputazione, avrebbero troncata sulla metàla bril
(1) Panvinio in Alex. VI.
Di questa legazione scrissero il Cardinale di Pavia, epistola 534,
e Garimberto, lib. VI, cap. 6, nonchè lib. 2: i quali , per essere scrittori contemporanei, e di
grande probità, si meritano tutta la fede. Alleghiamo le parole loro precise:
" Rodericus ex civitate Valentiae, tit. S. Nic. ad carcerem Tullianum. Is admodum juvenis a
Callisto III eius avunculo cardinalis factus, Picenam legationem constantissime gessit; moxque vice
cancellarius R. E. est dictus).
רו
listum III .
Vide vitae et res gestae SS. RR. Pont., in Alex. VI et Cal
" Divite suppellectile, auro argentoque affluebat Rodericus (ibid.; vide eumdem cardinalem Pa
piensem epistola 539, et Garimbertum, lib. vi, cap. 6, ubi de supervacaneis delitiis) Hispanicam
etiam legationem desideratam diu a pontifice sua industria creato adeptus Valentiam et ulteriorem
Hispaniam petit: hic et ibi vanitatis, luxusque documenta edidit ; nullaque re exiis, quae legationis
nomina perficiendae erant, absoluta ; Romam marino itinere cum rediret, non exiguam calamitatem
est expertus, cardinali Papiensi, teste epistola 534, ann. 1473, ad FranciscumdecanumToletanum,
scribit: Ante ostium Anserici fluminis, octobris die 10, ingenti tempestate conflictatis quatriremibus
duabus, in quibus ipse et familia, cum omni praeda Hispanica vehebatur, altera... ante oculos eius
depressa est; altera, quae sua erat, disfracta iam puppe, cum haud procul ab exilio esset... aegre
in portum Liburnium lacera... protruditur, praeter caeteram turbam, quinque et septuaginta ex fa
milia periere; in his episcopis tres.., iurisconsultis amplius 12, equestris ordinis sex (nonnulli pro
notarii, ait Ciaconius, etiam mortui sunt in mare) ; iactura autem rerum amplius 30 millium au
reorum est aestimata... Eidem (Roderico) apud Hispanos legatione fungenti scripsit cardinalis Papienssi
epistolam 513, 27 aprilis 1473, hortans ad reditum in urbem, affirmansque eum inulteriorem Hi
spaniam transgressum honores, caeteris legationibus ampliores tulisse, nihilque ab eo praetermissum
in quo prudentia, studium, aut integritas eius desiderari posset ; epistola autem 514, 20 octobris
1473, eumdem Romam invitat, ubi auctoritatem eius multam, gratiam apud omnes non mediocrem
fuisse fatetur (eas literas scripsit C. Papiensis, 19 iunii anno eodem).
" Papa Sixtus IV ante fores Basilicae principis apostolorum in gradibus suae coronationis insignia
suscepit per Rodericum Borgiam Valentinum, Hispanum, S. R. E. archidiaconum et vice cancella
rium, Sixtus IV patrum consensu inter alios, Rodericum Borgiam legatum summa potestate inHi
spania creavit et misit, in qua ut in prima legatione magnis ubique triumphis exceptus fuit. Sixtus
vero IV creavit Rodericum ex diacono cardinali sancti Nicolai in carcere Tulliano, Callisti III, е
piscopum card. Albanum, post Portuensis et S. Rufinae... multas tam sub eo, quam sub aliis Pon
tificibus, et maximas legationes obivit, et praecipue Hispanam Sixti IV pontificatus initio (Sic!)
•Hispania praebuit Italiae, quem ad amplissimum sacerdotis gradum promoveret, et qui locum
Innocentii VIII recens mortui, consequeretur doctores ei, ac vitae magistros Callistus adhibuit, quo
rum opera Bononiae civili, ac pontificio iuri operam egregiam navavit.
" Romae iam ab annis septem et triginta; postquam ad cardinalatus apicem fuerat evectus, cum
in maximum, ut videbatur virum evasisset , Innocentio VIII pontifici mortuo 3 idus augusti suffe
ctus est, anno 1492, ac tunc magnum desiderium Sixti in populo romano fuit.
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lante di lui carriera? Come avrebbe mai frammezzo atante e sì dispari
cure e viaggi, potuto tanto intensamente innescarvisi ? Come mai, mal
grado queste, avrebbe egli potuto attendere ai severi studii ecclesiastici,
dei quali era affatto dapprima ignaro ? Eppure, comediremo a suo luogo,
ne porse colle sue dotte scritture molteplici argomenti luminosi. La sola
malignità, la sola calunnia può considerare per leggiere queste riflessioni
e siffatti dati istorici, i quali, dinanzi ad un pensante direttamente, di
ventano atti a coonestare il procedere del Borgia , o per lo meno a mi
norarne la colpa.
* CAPO QUINTO.
Morte di Papa Innocenzo VIII.
Enumerazione dei cardinali componenti il Sacro Collegio in detto tempo
Loro indole e qualità d'animo.
Dopo due anni disofferenze, od almeno di una sanità cagionevolissima,
Innocenzo VIII s'infermo gravemente (Gennarelli Diar. Burchardi , pa
gina 208, not. col. 1, versus finem et init. secundae), e vedendosi ridotto
agli estremi di sua vita, raccomandò ai cardinali l'eletta di un santo e
dotto pastore. Cominciarono i cardinali (scrivono coloro che si affannano
rendere non lo Spirito Santo, ma la cabala il movente principale d'ogni
elezione de' pontefici di Dio) in questa infermità atrattare la nuova scelta.
Tra loro vi furono varii discorsi sopra li soggetti papabili; la fazione di
Innocenzo era più numerosa, ma il capod'essa erapocoaccorto e meno
invogliato di fare un papa che potesse proteggere la sua casa. I cardi
nali soli Ascanio Sforza, Riario, e Lorenzo Cibo, aveanogranmaneggio
e potere, e da questi poteva dipendere la elezione del papa.
Il cardinal Rodrigo Borgia praticava assai quello dello Sforza, perchè
sapeva che non era riuscibile per più capi ; ma lo Sforza aveva in mente
solo il cardinal Borgia; questi dissimulava, e quegli operavacon effetto
colle pratiche di altri cardinali. Lorenzo Cibo si sarebbe contentato d'un
francese , perchè aveva grande obbligazione alla Francia , e questi era
don Lodovico di Spina. Li trattati per questo furon molti, ma senza fon
damento, per non essere stati approvati dai capi fazionari e da'cardinali
che avevano il traffico delle creature. In questi tanti trattati e discorsi
il Papa toccava il suo giorno estremo : dappoichè fu confortato da tutti
i sacramenti di Santa Chiesa, con sentimenti di pietà e disprezzo per le
fragili grandezze del secolo , valicava con viso sereno le temute soglie
dell'eternità il di ventesimo quinto di luglio dell'anno 1492, lasciando di
sè la più grata memoria. Aveva egli compiuto il duodecimo lustro di
sua età, e retto con saviezza la nave di Cristo per otto anni.
Al trapasso adunque del capo dell' universo cattolicismo numerava il
Panvinio ventotto cardinali (in Chron. et in Elogio); ma poco dopo lo
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stesso non ne annovera che ventisette viventi all'anno 1492, dei quali
confessa egli che quattro non intervennero all'elezione di Alessandro VI.
Laonde osservano gli autori citati dell'accreditata opera (Vitae et res
gestae S. R. Pont.) doversi conchiudere, che sia una svista dei tipografi
l'asserzione che ventotto cardinali siano entrati in conclave, mentre è
cosa certa che soli ventitre condotti dallo spirito di Dio eranvisicongre
gati, i quali furono :
Di Callisto III e Sisto IV, cardinali vescovi sei.
1. Roderigo Borgia, da Valenza, spagnuolo, adottato dal Papa in casa
Borgia; cardinale vescovo di Porto e di santa Rufina, decano del collegio
dei cardinali e vice-cancelliere; eletto papa col nome diAlessandro VI,
di cui appunto scriviamo la vita.
Di Paolo II e Sisto IV.
2. Oliverio Caraffa, cittadino ed arcivescovo napolitano, vescovo car
dinale Sabino, era stato creato da Paolo II, qui fuit vir integerrima
vita, plenus strenuitate, et religione, qui in legationibus a Paulo II, Sixto IV
missus nonfuit otiosus, in ecclesiis fuitfructuosus, Senatus S. ornamentum
(ex Nomencl. p. 187). Garimbertus et Ciaconius, scriptores meritoet epi
taphiauno ore fatentur fuissevirum nobilitate generis, pietate, religione,
munificentia, prudentia, humanitate , usuque rerum illustrem, laudibus
augent et praedicant; clero, populo divitibus et regibus , ob singularis
simas eius virtutes perdilectum (cardinalis Papiensis epist.451, cardi
nalis S. Marci epist. 449 in Infideles, Panvinius in Paulo IV, Andreas
Victorellus, Floravantes Martinellus, Caes. Engen in sua Neapol. p. 276).
Di Sisto IV pαρα.
3. Giuliano della Rovere, nipote di Sisto IV, oriundo di Torino, vescovo
cardinale di Ostia e Velletri, penitenziere maggiore. Quegli era di tanta
virtù che fu poi papa GiulioII, ed oltracciò era emuload Alessandro VI;
quindi non diè il voto a lui, se non per intima convinzione di operare
dirittamente.
Di Paolo II e Sisto IV.
4. Battista Zeno , creato cardinale da Paolo II, vescovo cardinale Tu
scolano;
vir, (ait Garimbertus lib. 4, c. 16. Ciac. in fine vitae Alexan
dri VI) qui nobilem familiam aluit, et nobilissimus ipse, dives, liberali
tatem etmunificentiam coluit, iustus, sincerusque existimatus, libertatem
loquendi amavit, et singularem pietatem (Bembus 1. 6, ep. 91. Petrus
Delphinus, Andreas Victorellus et alii).
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Di Paolo II ed Innocenzo VIII.
5. Giovanni Michaelio , veneto, vescovo di Verona, vescovo cardinale
Prenestino , stato creato da Paolo II; ⚫vir cui (cardinalis Papiensis e
pist. 206, 220, 221) nihil deesse fatetur ad constituendum perfectum, ma
gnumque, pium cardinalem , nec non doctorem, et patrem pauperum ,
uti appellabatur teste Hieronymo Curt. in hist. Veronensi: item inquit
D. Ferdinandus Ughellus mon. Cist.
Di Sisto IV e d'Innocenzo VIII.
6. Giorgio Costa, vescovo cardinale Albano, Portoghese , arcivescovo
di Lisbona, col titolo de'santi Marcellino e Pietro.
Di Callisto III, dodici cardinali preti.
* 7. Lodovico Milano, Valentino, spagnuolo , prete cardinale del titolo
de'santi Quattro Coronati. Priore de'preti. Questi, che era affine di Rode
rigo Borgia, e che avrebbe potuto favorir l'elezione di lui, era assente
dal conclave. Ciò importa assai osservare.
Alcuni scrittori, tratti in errore, invece di questo Lodovico, dicono che
era stato creato cardinale da Callisto III Giovanni il Seniore; quando
dalla testimonianza degli autori isocroni si sa che Giovanni il Seniore
fu fatto cardinale da Alessandro VI, di cui era nipote, come annoteremo
a suo luogo parlando d'esso e dell'altro Giovanni il juniore, pronipote
del medesimo Alessandro VI. Vedi cap. II, nota 1, si parla di esso Lo
dovico.
Di Sisto IV.
* 8. Pietro Gondisalvo, di Mendozza, spagnuolo, arcivescovo di Toledo,
prete-cardinale del titolo di Santa Croce in Gerusalemme (che da Ga
rimberto vien colmato di laudi ed annoverato tra i cardinali dotti), che
pure, come compaesano di Roderigo Borgia, avrebbe potuto essergli fa
vorevole, era assente dal conclave; d'altronde l'animo di lui non soffriva
corruzione certo, come diremo nel capo della sua morte.
9. Girolamo Basso della Rovere, di Savona, vescovo di Recanati, e car
dinale-prete del titolo de'santi Grisogono, detto Illerdese. Questi non pa
trocinava sicuro, come Giuliano, gl'interessi di Roderigo Borgia, se non
per convinzione.
10. Paolo Fregosi, cittadino ed arcivescovo di Genova, prete-cardinale
del titolo di san Sisto; esso era avverso ad Alessandro VI, perchè ap
pena finito il conclave si diparti da lui, quindi non gli concedette il voto
tranne riguardo al merito.
11. Domenico Della Rovere, torinese, arcivescovo di Tarantasia, prete
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cardinale del titolo di san Clemente, col suo voto per Rodrigo Borgia,
essendo egli della fazione di Giuliano, ne confesso la degnevolezza.
12. Giovanni dei Conti, feudatario romano, arcivescovo Consano, prete
cardinale di san Vitale, del titolo di Vestina. Virum huncmagnae exi
› stimationis Roma in senectute purpurascentem vidit. Interfuit senex
▸ decrepitus Innocentii VIII et Alex. VI electioni. Excessit Romae, anno
1493. V. Garimbertum, ib. 5, c. 3.
13. Giovanni Giacomo Sclafetano, milanese, vescovo di Parma, prete
cardinale del titoto di santo Stefano in Celio Monte. Sixtus IV hunc
› virum humanum, comem, affabilem amavit, magni aestimavit aula: is
› in publicis privatisque rebus pertractandis singulari praestabat dexte
• ritate; moriens Romae, et Parmae sui desiderium reliquit; cuis epita
› phium commemorat fidem, solertiam, modestiam incomparabilem, for
▸ tudinem perpetuam .Andreas Victorellus.
D'Innocenzo VIII.
14. Lorenzo Cibo, genovese, arcivescovo di Benevento, prete-cardinale
del titolo di santaCecilia. Vir praeditus miro ingenio, suavitate morum,
› ac doctrina, et pietate insigni, incardinalatu ita vixit, quum esset ma
› ximaeprobitatis, ut ab omnibus summecommendaretur . VideUbertum
Folieta, lib. 3, c. 3. Garimbertum, 1. c., lib. 3. Andream Victorellum , et
ejus epitaphium (1).
15. Ardicino della Porta, di Novara, vescovo Albiese, prete-cardinale
de'santi Giovanni e Paolo, del titolo di Pammachio : Vir tam magnus
▸ animo, et humili ut excusaverit se se apud Innocentium VIII epistola
• non ineleganti, se non posse ferre honorem, et onus sacrae purpurae,
• cui tantum se humilitatis gratia submisit. De ipso Ardicino peraras
• laudes canunt scriptores ipsi coevi (2). Lo stesso Infessura Stefano ,
avverso al collegio apostolico, nel suo Diario commendo l'alta probità e
la volontaria povertà di questo cardinale.
16. Antoniotto Pallavicino, genovese, vescovo Auriese , prete-cardinale
del titolo di sant' Anastasia appo santa Prassede : Vir coruscans tam
› sacra purpura quam omnibus dotibus, principibusecclesiasticis, dignis,
(1) Laurentius Cibo, genuensis, Innocentii VIII ex fratre nepos. Utpote maximae probitatis vir ab
omnibus commendatus, ejus ad cardinalatum assumptio fuit universaliter probata.
(2) Ardicinus de la Porta, novariensis, episcopus Aleriensis , vix adolescentiam excedens , pu
blicis civium novariensium votis expetitus, pontificatum patriae adeptus est. Cum Florentiae vicarii
vices impleret, spreto capitis periculo, ceteris omnibus, ob primorum civitatis potentiam mandatum
declinantibus, interdictum in Florentinos mirabili audacia promulgavit. Sixti IV beneficio , suppli
cibus libellis referendis praefuit, et non vulgares legationes obivit ; Nursinos, Interamnatos , Peru
sinos, Tiphernatos, atque Tudertes tumultuantes vel placavit, vel compressit. Legatus in Panno
niam ad Mathiam Ungarorum regem, et in Germaniam ad Maximilianum Caesarem, atrox diutur
numque bellum inter eos extinxit. Reversus ad Urbem, datarii munere functus est sub Sixto IV;
et sub Innocentio VIII delectus ad negotia cum nationum exterarum oratoribus componenda, Haec
Ciaconius aliique cardinalium biographi. Reliqua de ipso cardinali dicam, ubi ago de illius interitu.
88--
› etsubInnocentio VIII, Alexandro VI, Julio II, amplissimis legationibus,
› maximisque reipublicae muneribus summa cum laudeprobitatisatque
• prudentia perfunctus est . Garimbertus, lib. c. 3, lib. c. 2. Folieta e
logium Pallavicini, Ciaconius ex c. 1, lib. 4. Andreas Victorellus (1).
• 17. Lodovico Andrea Spinay, prete-cardinale di SanMartinoai monti,
del titolo d' Equizio. Questi era assente dal conclave d'Alessandro VI.
Quand'anche fosse stato presente, l'integrità di sua anima salvato l'a
vrebbe da qualunque simonia, come diremo parlandodella sua morte(2).
18. Frate Maffeo Girardo, patriarca di Venezia, veneziano, prete-car
dinale del titolo de'santi Nereo ed Achille: Hic vir erat praestantibus
▸ moribus, et sanctimonia dives, ut testatur Petrus Delphinus , scriptor
› doctus, pius et verax, universi Camaldulensium ordinis moderator, qui
▸ cum Maphaeo in cenobio multis annis vixit, et morientem conspexit
(1) Antoniottus Pallavicinus, et Hieronymus atque Ciprianus fratres , quum Gentilium cogno
mine, non Pallavicinorum aliquando vocarentur, credidere nonnulli Antoniottum Pallavicinum car
dinalem et Pallavicinorum domo non esse, sed Gentilium. Erroris causam (sic Ciaconius) , hine
fluxisse ajunt , quod Pallavicini, Calvi et Talamoniaci, quum olim per pauci essent, nec initio
possent (qui mos est nobilium genuensium) obviam progredi principibus aut oratoribus principum
Genuam petentibus nec alias nobiles familias numero ampliores aequare, Gentilibus, qui tunc et
virtute et numero praestabant, jure viciniae, atque paroeciae S. Pancratii sese adjunxerunt. An
toniottus vero, ubi per aetatem licerit, re cognita, ne veram defraudaret familiam, majorum suorum
cognomento recepto, Pallavicinus tantum appellari voluit. Sed, si vera sunt narrata, evidens est
tempore assumptionis suae in cardinalium collegium, cognomen non dimississe, cum Burcardus eum
Gentilem, non Pallavicinum appellet. In sepulchro quod vivens sibi fecit, inscribere fecit Anto
niottus card. S. Praxedis absque cognomine : post saeculum tantum, disturbata veteris monu
menti sede in templo Vaticano, nepotes epitaphium novo monumento in templo S. Mariaede Po
pulo, Antoniotto Pallavicino, Genuensi, inscripserunt, uti suo loco videbimus. Haec de familia.
De Antoniotto vero testimonium desiderabile scriptores una voce reddunt. In familiam cardi
nalis Cibo adscitus, a Sixto IV episcopus Intimiliensis dictus , ab Innocentio VIII , supplicibus li
bellis gestis subscribendis praepositus, suavis, et praeeminentis ingenii vir sese ostendit. " Erat in
eo (sic Ciaconius aliique testantur) ad promerendas hominum voluntates , mirabilis ingenii lenitas,
morumque suavitas , expedita in deliberando sententia , modestia , et personae quam gerebat apta
gravitas, tantaque in tractandis hominum ingeniis dexteritas, ut cum aliquando Innocentius VIIIma
gistratus quosdam (quos Sixtus IV creaverat stratiotosque cognominaverat) pecunia emptoribus non
restituta, penitus antiquasset , atque illi , officiis privati, querelis omnia replerent, cardinalesque el
pontificem adirent, ad Antoniottum a Pontifice remissi , dulcissimis ab eo verbis deliniti , post
modum placati et quieti discedebant. Ob idque eum vocitare solebant incantatorem ; quod ejus
suavitate disertoque sermone, tamquam sacro quodam carmine et incantatione coacti quiescerent ».
Ad episcopatus Pampilonensem et Auriensem electus, tandem in cardinalium numerum cooptatus,
plurima egit, de quibus loco suo dicendum.
(2) Panvinius et Ciaconius, Ludovicum d'Espinay Armoricensem appellant hunc cardinalem, et
plurimi alii cum eis. Sed Ferdinandus Ughellus, errorem animadvertens scribebat : " Male Ludo
vicus ab Onuphrio, et Ciaconio dicitur, nisi forte esset binominis : Andreas enim ab omnibus,
quos vidi, auctoribus vocatur, monachus et Prior S. Martinide Campis, ordinis S. Benedicti: ar
chiepiscopus Burdegalensis, inde Lugdunensis. Videndus Arnoldus Vuion, Franciscus Belforestius et
Claudius. Jacobus Breltius, Theatr. Antiq. Parisien. eum gubernatorem Parisiensem vocat : sed
et improprie a nonnullis dicitur Bituricensis archiepiscopus ». Burchardus verba Ughellii per omnia
confirmat. Gennarelli, cit. loc., pag. 110, nota 2.
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› sanctissime; utpote qui Mapheus remotus semper fuit ab omni terre
narum rerum cogitatione, animo tantum coelo intentus , doctrinae et
▸ pietati; ex ore ejus ne verbum quidem ociosum prodiit, mundi oble
› ctamenta prorsus abhorruit. Hinc Cacionius et Garimbertus (1) qui
›minus recte de illo senserunt, versantur in errore, ut constat ex Petro
• Delphino . Ita Andreas Victorellus.
Di Pio II, diaconi cardinali nove.
19. Francesco Piccolomini, cittadino ed arcivescovo di Siena, diacono
cardinale di sant'Eustachio, arcidiacono di santa romana Chiesa : Vir
▸ tanti nominis, tantae dignitatis tantaeque virtutis , et sanctitatis , et
▸ doctrinae, ut omnes illum dilaudabant et venerabantur, qui dignus fuit
⚫ sedere super cathedram S. Petri , sub nomine Pii III , post Alexan
drum VI . Vide Garimbertum, lib. 1, c. 3, 5; lib. 4, c. 16, 18. Card.
Papien., lib. 2. Com. Franciscum Philelphum, epist. ad Alexandrum 0
livam, card.; Andream Victorellum.
Di Sisto IV.
20. Raffaele Riario , savonese , diacono-cardinale di san Gregorio in
Velo , di santa romana Chiesa camerlengo ; egli assecondava il partito
diGiuliano.
21. Giovanni Battista Savelli, romano, diacono-cardinale di san Nicolò
in carcere Tulliano: Qui quasi aurum ob suas virtutes et constantiam,
• prudentiam, dexteritatem , amorem in sedem Apostolicam emicuit ut
▸ in igne . Garimbertus, lib. 4, c. 2. Epitaph. ejus Andreas Victorellus.
22. Giovanni Colonna, barone romano, cardinal-diacono di santa Maria
in Aquino, avverso ad Alessandro VI.
23. Giovanni Battista Orsino, romano, cardinal-diacono di santa Maria
Nuova, avverso ad Alessandro VI.
24. Ascanio Maria Sforza, di Milano, diacono-cardinale del titolo dei
santi martiri Vito e Modesto in Macello: • Quem Julius II laudavit, et
› tumulum ejus sepulchrali inscriptione illustravit, dicensque Ascanium
• fuisse in secundis rebus moderatum, in adversis summum virum , et
› honestissimarum virtutum praeditum, licet locupletissimum virum ..
Garimb., lib. 4, c. ult. Epitaph. Ascanii Sfortiae: Andreas Victorellus.
Questa lode datagli dal piemontese papa Giulio, che, quando era car
dinale, ebbe sempre l'Ascanio a sè avverso, sebbene provi la magnani
mità Giuliana, tuttavia per niente indebolisce il merito del lodato.
(1) Non quod probitatem, sed electionem. " De Gerardo ait ipseGennarelli, loc. cit., pag. 112,
nota 3, contra Ciaconium, qui asseruit eum diplomata pontificis de cardinalatu amisisse, ait Victo
rellus, clam ab Innocentio creatum, post Papae mortem acceptum a collegio utpote socium, et
Delphinus his verbis confirmat: Ante annos aliquot ad cardinalatum promotus SECRETO di
gnitatem, post mortem Pontificis, cardinalis publice declaratus est ".
--
90
D'Innocenzo VIII.
25. Giovanni de'Medici, fiorentino, cardinal-diacono di santa Maria in
Domenica: Vir ditissimus, et aufugiens aRoderico Borgia, generosis
simus animi, qui post Julium II, fuit electus Papa sub nomine Leo
nis X. ,
* 26. Frate Pietro d'Aubusson, francese, Gran Mastro di Rodi, cardi
nal-diacono del titolo d'Adriano. Era assente dal conclave.
• Fr. Petrus d'Aubusson, magnus magister Hospitalis Hierosolymitani,
inter patres cardinales cooptatus fuit, ob insulam Rhodon, antiquum or
dinis sui domicilium, a legionum Maometis terribili et maximainvasione
servatam. Ludovicus XI Francorum rex pileum rubrum pro illo petebat
etiam ex eo quod Zizimum Bajazethis fratrem ex adversa pugna in fra
trem ipsum ad se confugientem, regedeposcente, traduxisset inGalliam:
et postea captivum illustrem ad Innocentium VIII miserit. Sed de hoc
subter est dicendum. (Vitae et res gestae SS. RR. PP. in Alexandr. VI).
27. Francesco Sanseverino, cardinal-diacono di san Teodoro, che non
era persona da lasciarsi corrompere da nessuna ingente copiadi danaro.
• Fridericus Sanseverinus , Roberti ducis, et belli rectoris pro Inno
centio VIII contra regem neapolitanum, filius, in patris gratiam inter
cardinales adscitus, sed non publicatus fuit. Innocentio VIII vita functo,
Ascanius Sfortia Visconti, cardinalis secreto creati, apud patres sic cau
sam peroravit, ut Fridericus, confirmato sibi honore, dignitate cardina
litia potiretur, et comitiis pro novo Pontifice eligendo interesset. (Vitae
et res gestae, etc.)
Ora dei nominati 27 cardinali, soltanto 23 intervennero al conclave: i
quattro notati coll'asterisco furono assenti.
Di questo picciol numero di 23 che vi assistettero, abbiamo veduto che
erano ragguardevolissimi tutti per pietà, sapienza , santità, dovizie; op
pure sfavorevoli a Roderico Borgia per mire private : ciò nulla ostante
tutti concorsero a votare in favor suo. Che significa ciò ?
Di questo esiguo numero, che divenne poscia esiguissimodopolamorte
d'esso Alessandro VI, uscirono tre papi insigni , Pio III , Giulio II ,
Leone X; avranno essi smentita la loro fama, ponendo su quella fulgente
sede, a cui essi aspirar potevano, una persona spregevole ?
Fra questi pochi parecchi ve n'erano che per l'avanzata età già sen
tivano schiudersi sotto de'piedi la tomba: avranno essi anteposto legran
dezze terrene con vili mezzi comperate, alle eterne, da se stessi con lunghi
travagli procacciate, per acconsentire alla nomina del Borgia a Papa?
Da tante virtù adunque, da tanta prudenza, da tanto distacco dalle
umane cose , da tanta elevatezza d'anima e di spirito di quei porporati
si poteva ben aspettare che eleggessero un Pontefice che inqueiturbo
lentissimi tempi valesse con mano robusta e petto fermo a frenare l'au
dacissima petulanza e licenziosità sfrenata dei grandi; nè poteasi sce
glierne uno migliore di Roderigo Borgia, d'animo vigoroso, di forte tem
pra, d'eletta dottrina ed esperienza,
--
91
Attendiamo impertanto la deliberazione di questi non venderecci , ma
santissimi e sapientissimi principi della santa romana Chiesa , i quali
corrono a chiudersi in conclave.
Questi cardinali quando occorse il transito di Innocenzo VIII trova
vansi in quella calda stagione a villeggiare: conosciuta appena la per
dita deplorabile fattane, rientrarono in Roma per addivenire all'eletta di
un novello Pontefice, vantaggioso alla Chiesa e società.
CAPO SESTO.
Disordini, torbidi, ammazzamenti avvenuti in Roma
dopo la morte d'Innocenzo VIII.
Frettolosi i sacri porporati si recarono in Roma (Le Fabre, continuat.
dell'abbate Fleury, Stor. eccles., ann. 1492, lib. 117, nº 30 e seg. per tutto
il libro) per intervenire all'elezione d'un papa novello , e videro la città
secondo il vieto andazzo al decesso d'ogni pontefice , abbandonata alla
discrezione della canaglia, che espilava, saccheggiava le case, e riempiva
le strade di carnificine e di sangue; il quale barbarissimo abuso per
durò fino al secolo decimosettimo. (Muratori, Rer. Italic. script., tom. xxIII,
p. 200: Populus romanus fere semper, mortuo quolibetpontifice, usque
ad saeculum decimum septimum, in tumultus prorupit; et hincquod per
saecula evenerat, iterum accidit in obitu Sixti IV.... Innocentii VIII). ,
Non osavano i giudici comparire inpubblicopertemenzad'essereesposti
al furore del fecioso pattume del popolo, il quale si accaniva ad impre
care all'estinto Gerarca , adusandosi in Roma adularli vivi e straziarli
morti, come con li vecchi imperatori romani ; invece di pregare per lui,
adesso rinfacciavano il non avere sentita niuna compassione dei poveri.
Solite gargagliate di codesto popolo romano , sì manesco di mano e di
lingua, come volubile di pensiero.
Per le vie di Roma bulicavano imperversanti ladri, predoni, assassini,
banditi, talmente che furono i cardinali costretti a far entrare delle in
tere compagnie di moschettieri nei loro palagi , e di porre dei cannoni
nei vicoli e nelle piazze per impedirne il saccheggiamento. Somiglianti
precauzioni li salvarono dagl'insulti. Le vie delborgo di S. Pietro furono
serrate con grosse travi, dietro alle quali si appostarono dei soldati , in
quella che i cavalli leggieri della guardia rondavano incessantemente
intorno al palagio pontificio.
Affine di comprimere poi interamente questi disordini chiassosi e pesti
feri, diedero ancora i cardinali la custodia d'esso palagio a Garcilaffo ,
arcivescovo di Tarragona, personaggio illustre di nascita e di saviezza
consumata. Questi aveva conchiuso l'aggiustamento d'Innocenzo VIII col
re di Napoli, ed aveva qualche tempo innanzi calmata una sedizione in
Ascoli. Scelta giudiziosa, e confermata quindi dal successore del defunto
pontefice che lo costitui prefetto di Roma,
--
92
Che in questa descrizione nostra, tolta da vari autori, nulla siavi di
esagerato, ce ne rende perentoria malleveria la narrazione fattane da
diligente scrittore, che, vicinissimo a' tempi d'Alessandro VI, la raccolse
da autori contemporanei, la quale noi riferiamo integralmente :
• Roma, egli scrive, tutta era sollevata (Conclavi dei Pontefici Romani,
quali si sono potuto trovare fino al presente giorno. Colonia. 1601. Haec
de sede vacante Innocentii VIIl et de assumptione Alexandri Vl, vol. 1,
narrat, auctor operis istius apud Gennarelli, pag. 207, col. 2, in not), e
le squadriglie degli huomini di mal affare scorrevano in ogni luogo , e
molti erano uccisi, perchè nei tribunali non si rendeva ragione, essendo
li giudici racchiusi per paura delle vite loro; per il che, icardinali, ac
ciò non nascesse tumulto, deputarono uno che custodisse il palazzo et
un altro che havesse cura della città. Fu governatore del palazzoGran
dislao, arcivescovo di Tarracona, spagnuolo nobilissimo e savissimo, per
la cui opera era stata conclusa la pace tra papa Innocentio et il re di
Napoli, dopo quietato il tumulto d'Ascoli: il quale poi fu fatto governa
tore di RomadapapaAlessandro. Ildìseguente (la morte d'Innocenzo VIII)
si cominciarono le esequie, le quali essendo finite , alli otto d'agosto fu
cantata la messa dello Spirito Santo, alla quale furono presenti tutti i
cardinali.
•Finita la messa, Bernardino Caravaglia , vescovo di Cartagena, ora
tore del re di Spagna, fece il sermone, il quale fu dottissimo et elegan
tissimo, e fu tenuto per un certo augurio, che allora molti spagnuoli
erano adoperati alle cose pubbliche, quasi che dovesse essere ancora un
papa spagnuolo, per la cui elettione si avviarono verso al conclavepro
cessionalmente ventitre cardinali, et tra questi, Maffeo Girardo, cardinale,
patriarca di Venetia, dell'ordine deCamaldoli, già decrepito. Egli, intesa
la morte d'Innocentio, venne a Roma a ricevere il cappello, et volle en
trare in conclave, benchè a fatica si potesse muovere etreggere in piedi.
•Il conclave fu fatto nella cappella di Sisto et nelle sale vicine, alla
guardia del quale erano gli oratori dei principi.
•Per Roma scorrevano a schiera li ladroni, gli homicidiarii, ibanditi,
et ogni pessima sorta d'huomini ; et i palazzi de' cardinali havevano le
guardie de'schioppettieri e delle bombarde perchè non fossero saccheg
giati. Ma benchè tutta Roma fosse in arme, non nacque però tumulto
notabile, solamente furono ammazzati molti per inimicitie. Le strade di
Borgo erano sbarrate con li travi , et erano guardate da soldati , et le
compagnie dei cavalli leggieri facevano la ronda del continuo avanti il
palazzo. ›
Era vecchio cotale andazzo, come accennammo, al decessod'ogni pon
tefice, e la Civiltà Cattolica (anno VII, numero 146, terza serie, volume 11,
pag. 201) cosi al vivo il descrive, esordendo l'articolo della censura sul
libro del Gennarelli, che servirà anche a schiarimento della severa con
dotta da Alessandro VI tenuta verso dei baroni romani:
• Prima d'entrare nella rivista di questa prima parte d'un libro che
tratta degli avvenimenti di Roma negli ultimi 20 anni del secoloxv, non
--
93
sarà discaro, anzi sarà utile assai ai nostri lettori di vedere in iscorcio
la scompiglia e misera condizione di que'tempi; il che faremo mettendo
in mostra i fatti occorsi in pochi giorni per la mortedi Sisto IV, sommo
pontefice, che fu addì 12 agosto dell'anno 1484.
• Saputasi la morte del Papa, Roma fu tutta in arme e andò a rumore,
assaltando le case dei cardinali e signori di parte avversa; perocchè
Roma era tutta divisa in fazioni, e chi parteggiava pei Colonna, e chi
per gli Orsini, pe'Riarii , pe'Savelli, pe Crescenzii, pe' Conti, pe' Gaetani ,
pe'Santacroce, per gli Anguillara, pei Della Valle, pei Margana, ecc.
•Ad ogni morte di papa sorgea tumultuante il popolo, ecorrea Roma
per sua. I cardinali si trinceravano ne'palazzi, muravano usci e finestre,
facevano abbarrare le vie intorno ; i soldati rondavano a difesa, le ber
tesche erano piene d'arcieri; i piombatoi eran presti a versare sugli as
salitori olio e acqua bollente. In tanto scompiglio la plebe rubava, e
guastava magazzini pubblici e privati.
• Due giorni dopo la morte di papa Sisto IV, cioè il 14 agosto (nar
rano l'Infessura e il notaio dell'Antiporto), molti giovani corsero armati
alla casa del conte Girolamo, stimando ch'ei vi fosse, e, non trovandolo,
e la casa essendo già per la maggior parte sgombra e vacua, gridando
Colonna ! Colonna ! l'assalirono, la rubarono in tutto e distrussero , de
vastando con mazze di ferro porte, finestre ed ogni cosa. Quel giorno
stesso corsero in Trastevere, ruppero due magazzini de'Genovesi pieni
di mercatanzie, e li rapinarono; saltarono sopra due navi genovesi che
erano a ripa piene di vino, vuotaronle e miserle a saccomano. Que' cit
tadini che, per porre le loro robe a salvamento, trafugavanle in case
più sicure, se venivano colti per via erano rubati. I Trasteverini si as
seragliarono ; la moglie del conte Girolamo rifuggì in Castel Sant'An
gelo. Vi fu gran buglia in piazza Giudia fra gli uomini deSavelli e dei
Santa Croce, e in piazza della Rotonda fra la gente deCrescenzi e dei
Colonnesi.
•Verso Monte Giordano, nella casa degli Orsini, era gran pressa, a
cagione che i Colonna con Antonello Savelli erano entrati in Roma con
due mila fanti e cavalli, laonde le strade della cittàs'abbarrarono in pa
recchi luoghi. Paolo Orsino con le genti di Monte Giordano era fiera
mente in guardia; Mariano suo padre andava per Ponte gridando , che
tutti si levassero in arme , perocchè i Colonnesi volevano assaltare il
Rione; due squadre di cavalli, armati di elmetto e lancia, girarono tutta
la notte, gridando: Orso e Chiesa; e però si poteva cominciare il con
clave. Finalmente i Conservatori di Roma tanto si maneggiarono coi
cardinali, che i Colonna, i quali erano contro la Chiesa, e gli Orsini che
erano in favore di lei, vennero a concordia di uscire colle loro masnade
daRoma per un mese; che Castel Sant'Angelo fosse in mano dei car
dinali eGiacopo dei Conti uscisse dal palazzo Vaticano, e dal giorno
dell'incoronazione del futuro Pontefice fosse tregua e convegno per due
mesi.
•Inmezzo atanto conquassoperò i popoli eran pieni di fede, e in
94
mezzo a tanto furore di parti, e rusticità e crudezza di costumi, fiorivano
virtù grandi, e dottrina e sapienza e magnanimità incredibile ai nostri
giorni di civiltà molle, artifiziata e scredente. Tutta l'Europa era catto
lica, e tanta era la riverenza in che s'avea la Chiesa di Dio , la Sede a
postolica e la persona dei Successori di San Pietro, che ad ogni nuova
elezione di Papa tutto il mondo era in movimento per onorarlo e pro
fessargli sommessione ed obbedienza.
• Indi si vedepelDiariodel Burcardo che, dopolamorte di Sisto IV, es
sendo statoeletto a sommo Pontefice Innocenzo VIII, vennero, come diceasi
allora, all'obbedienza gli ambasciatori dell'imperatore, dei re di Spagna,
di Portogallo , di Francia, d'Inghilterra, d'Ungheria, di Boemia, di Po
lonia, di Svezia, di Danimarca, delle Città libere , dei Principati eccle
siastici e secolari di Germania, delle Repubbliche e dei Principati Ita
liani; e questi ambasciatori venivano accompagnati da tanta grandezza
e tanto sfarzo che fa stupire il nostro secolo gretto e pitocco.
•Allora dir Papa e dire il Vice-Dio in terra sonava lo stesso, e tanto
era profondo e sincero l'ossequio che gli si prestava dalle umane podestà,
che il Papa era avuto inconto del Padre universale della cristianitàtutta,
pendendo dal suo cenno imonarchi più sublimi e potenti, che lo facean
arbitro delle loro più gravi differenze, a tal segno che, scopertosi pei
Portoghesi il passaggio alle Indie orientali, ed avendo Cristoforo Co
lombo scoperto l'America pei re di Spagna, i due monarchi nelle loro
controversie ricorsero al Papa, il quale, tirato colla penna un graffio
sull'Oceano, divise le conquiste dei due regni, e le due corone vi s'ac
chetarono, come vedremo nel pontificato d'Alessandro VI. In quella sta
gione era tanta la riverenza in che era tenuto il successore di Pietro ,
che i regnanti, deposte le corone ai pie' del Papa, si reputavano ad onor
grande il tenergli la staffa e addestrare il palafreno quando cavalcava
dal Laterano a San Pietro , poichè allora i monarchi si teneano re per
grazia di Dio, e nel Papa riveriano il suo Vicario in terra.
• Pochi mesi innanzi la morte di Sisto IV, ciò fu addì 29 maggio 1484,
infierendo la casa Colonna contro la Chiesa , e Lorenzo Colonna proto
notario apostolico, essendosi fortificato nelle case del cardinale a' santi
Apostoli, Virginio, Paolo e Girolamo Orsini, coi Riarii e coi Santa Croce,
gridando per le vie Chiesa e Orso, andarono ad assalirlo con tremila ar
mati. Vi fu aspro combattimento per due ore; finalmente le case dei
Colonna furono prese d'assalto, messe a ruba ed incese, pigliato vivo il
Protonotario che non avea potuto fuggire. Virginio Orsino il condusse
al Papa e poi a Castello. Ivi, secondo l'universale procedura criminale
di quei tempi, Lorenzo fu posto alla tortura, acciocchè confessasse i suoi
delitti di lesa maestà; e fu sì crudele il martiro , che ne avea gonfi i
piedi , stravolte le dita delle mani, e sollevata la cotica dal capo, con
quelli spasimi che ognuno può immaginare.
• Quattro giorni appresso, lettagli la condanna di morte econdotto al
supplizio per essere decollato, un connestabile gli disse (così l'Infessura):
• Signore, abbisogna che gli leghiamo le mani di dietro. Er egli disse:
--
95
A che fare? Io son ben CONTENTO di morire , poichè così PIACE ALLA
› SANTITÀ DI NOSTRO SIGNORE. Prego Dio e la Beata Vergine Maria che
› abbiano per raccomandata l'anima mia. E così colle sue mani si
colcò sopra un tripetto, dove stava lo ceppo e la mannaia; et addiman
dogli uno di coloro, che era lo manigoldo, che gli perdonasse , et egli
gli perdono, e disse poi:
Raccomandatemi alla santità di Nostro Si
gnore , e pregatelo da mia parte che gli sia raccomandato. E coloro
• dissero: In che? Et egli rispose: L'ANIMA MIA. E così disse: In manus
tuas , Domine , ecc., e chiamando tre volte il nome di Gesù Cristo,
l'ultima volta col Gesù in bocca, gli saltò il capo dalle spalle.
•Ecco un ritratto vivo della fede e della magnanimità di quei rozzi
tempi. Lorenzo Colonna era rubello del Papa per ispirito ed iradi parte;
ma egli venerava in lui il Vicario di Cristo, che ricevette l'autorità di
sciogliere e di legare: e però, benchè martoriato sì crudelmente alla
tortura , benchè condannato alla morte , dice che è contento di morire
perchè cosi vuole il Papa, e le ultime sue parole sono che raccomandino
al Papa l'anima sua, e muore invocando il nome di Cesù.
•Gli eroi de' giorni nostri invece sono felloni al Papa, non per essere
Ghibellini, ma perchè odiano il papato in sè, come vegnente da Cristo,
il cui nome vorrebbero radere dalla terra. Lamaggior parte d'essi, come
si vede fra quelli del 1848 , e poi nella congiura del 16 agosto 1853 , е
successivi furono altamente beneficati dal Pontefice, vivevano dei grassi
emolumenti dello Stato Pontificio, essi e le loro famiglie e i loroparenti;
non torturati, ma condannati a morte dai giudici , e perdonata loro la
vita dal Papa; pure, per guiderdone, l'odiano e lo imprecano ; e se, per
altri delitti devono morir decollati, muoiono colla bestemmia in bocca.
Si cessi ora dallo irridere il Borgia , confondendo le epoche dei suoi
traviamenti, ed occultando le sue posteriori virtù, per cui si rendette a
cinque Pontefici estimabilissimo; quel Borgia che da' suoi collega pre
stantissimi a lui non benevoli, fu trovato l'unico, il più eccellente e ca
pace ad insedere sulla cattedra Pontificia, a regolare la Chiesae lo Stato,
e vi divenne un vero papa in fede ed in politica, un nuovo Luigi XIV,
a ragione celebrato per talenti, giustizia, politica, fermezza, che più col
pevolmente di lui perdurò ad amorazzar colle donne. I censori poi del
Borgia inetti a poggiare col basso animo loro all'alto eroismo del loro
capro emissario, che si sprigionò dalle reti diVenere, e se non imparan
dalui adetestare quelle colpe, nellequali giacciono ingolfati essi stessi,
almeno siano giusti a confessare in luiquello che encomiano negli altri.
FINE DELLA PRIMA PARTE.
PARTE SECONDA
CAPO SETTIMO.
Ingresso dei cardinali in conclave.
Elezione del Borgia alpapato e sua allocuzione ai medesimi.
In somigliante guisa disposte ed assicuratele cose in Roma, si celebra
rono le esequie d'Innocenzo VIII, l'ottavo giorno d'agosto; per mezzo di
esse si offrì l'augusto sacrifizio dell'altare in presenza deicardinali, i quali,
in numero di ventitre, il giorno undecimo d'agosto dell'anno 1492, en
trarono processionalmente in conclave, e si raccolsero nella cappella
Sistina, la cui custodia fu affidata agli ambasciadori delle corone. Egli
è vero che i cardinali componenti il sacro collegio erano ventisette, od
al più ventotto; ma quattro di essi non intervennero al conclave, così
rimaservi ventitre solamente ( Vitae et res gestae SS. PP. RR., cit. loc.,
in Alex. VI ). Gli assenti furono Pietro Lodovico Milano, Pietro Gondi
salvo, Lodovico Spinay, Pietro d'Aubusson.
Monsignor Leonelli, Vescovo di Concordia, in pieno concistoro recitò
l'orazione funebre d'Innocenzo VIII in presenza dei conclavisti e dell'u
niversa Corte romana; e dappoichè ebbe esposto lo stremo in cui dura
mente versava la Chiesa, esortò quei porporati ad eleggere unPapa che
fosse vissuto senza macchia, che al par di Leone I avesse tradotta la
vita sua nella pratica delle virtù , che meritasse la sua esaltazione per
motivo delle sue fatiche e per l'integrità de' suoi costumi , che fosse
senza ambizione, dotto, santo, e tal qual esser debbe un Vicario di Gesù
Cristo. Ma affrettatevi (egli calorosamente insisteva ad arringarli) di farne
l'eletta; perocchè Roma è in ciascun ora del giorno il teatro d'omicidi
e di rapine; ed avvertite che il soggetto SOVRATUTTO sia capace a dar
sicuranza ai cittadini romani , esterminando i facimali ed i grassatori
(Rec Masson. in Innoc. VIII.- Duchesne, Hist. des Papes.-Rohrbacher, Ist. Eccl., in Alex. VI).
Henrion.
97--
Quegli elettori abbracciarono siffatto consiglio, e l'undecimo giorno
d'agosto, malgrado cheGiovanni de' Medici si accostasse col suo suffragio
al Piccolomini ed al Caraffa, prestantissimi per integrità e purezza di
costumi , ma credendoli d'animo non abbastanza forte e risoluto, essi a
derirono ad Ascanio Sforza, e salutarono (Infessura, Diar., p. 11, t. 3.
Rer. Italic.
Panvin.-Marianaet alii ) persuccessoredi Innocenzo VIII
Rodrigo Borgia, cardinal-vescovo Portuense e di santa Ruffina , decano
del sacro collegio, e vice-cancelliere della santa romana Chiesa , il
quale aveva all'apertura del conclave cantata la messa dello Spirito
Santo, ed era già stato proposto (notisi attentamente) nell'anno 1484 per
succedere a Sisto IV dal medesimo cardinale Ascanio Sforza e da quello
d'Aragona ; ma perorando altri per Giovanni cardinale di Molfetta, l'im
portò questi su del Borgia, e fu papa col nome d'Innocenzo VIII (Guido
Antonio Vespucci, oratore fiorentino, residente in quei dì a Roma: appo
il Gennarelli, citato luogo).
Prese il Borgia il nome d'Alessandro VI. Egli era vantaggioso della
persona, di maestosa presenza, talmente che Maino Giasone, giurecon
sulto di grande estimazione, ci assicura (Vitae et Res gestae SS. PP. RR.,
cit. loc.) che : in Alexandro VI fuisse formae elegantiam, quae virtuti
suffragium adderet, latam frontem, regium supercilium, faciem liberalem
et majestatis plenam, ingenium et heroicum totius corporis decorem ..
Asiffatte qualità peregrine egli accoppiava moltissmo spirito, era fa
cile ed eloquente al dire, letterato, sagace, di assaissime dependenze an
che appo i più possenti sovrani, ed abilissimo a trattare gli affari della
Chiesa, dotato oltracciò ancora d'un coraggio poco comune (Petr. Mar
tyr., epist. 118). Prerogative queste che gli amicarono que' Padri, i quali,
dal suo senno, dalla sua esperienza e vigoriadi pensiero ripromettevansi
assai in quei dì sì travagliosi : falte (Vedi l'opera Conclavi dei Pontefici
romani, quali si son potuti trovare fino al presente giorno. Colonia, 1691 ;
vol. 1) le pratiche con grandissima diligenza, il secondo giorno andarono
tutti di buona voglia ad adorare Roderigo Borgia, vice-cancelliere. Pon
deri il leggente queste parole, che per sè sono gravissime e valevoli a
purgare l'elezione di lui da ogni sospetto di simoniaca elezione.
Risulta impertanto chiaramente che se, nonostante i giovanili trascorsi
di Rodrigo Lenzuoli, e la sua prole vivente, testimonio palmare di sua
voluttuosa vita quand'era militare e giovane studente, pure trasandati
tanti altri personaggi specchiatissimi al conclave presenti, e fino l'A
scanio, il quale aveva in suo favore lo splendore del suo nome e l'auto
rità di sua famiglia che impugnava in Italia un illustre scettro, il sacro
collegio elesse unanimemente il Borgia. A tale quasi repentina elezione
vennero certamente indotti dalle virtù, dal valore da esso lui mostrato
in modo più che distinto, nello zelo per lareligione, nellasapienza delle
dottrine sacre, nella dirittura d'una politica accorta e risoluta.
Difatto, oltre a'suoi decreti, alle sue scritture, delle quali a suo luogo
debitamente discorreremo, bisogna convenire che questo Papa, trattando
con gli universi principi cattolici dell'Europa, venne a capo di cattivar
7
98
seli tutti, e che collasuadestrezza nel governo tenne posciaun eminente
posto fra i sovrani temporali, ed ebbeunaforzaepreponderanza decisiva
negl'interessi dei diversi potentati.
Nè meno preziosa esser debbe ladescrizione minuta fattacenedal Corio
nella sua storia di Milano, come quegli che niuno per fermo il dirà a
(mico d'Alessandro VI, eppure scevra si legge da quelle villane dicerie
Corius, in Hist. Mediolanense, inter omnes magis accurate coronationem
Alexandri VI, ex litteris oratorum mediolanensium facile depromptam ,
iis verbis describit) di cui son lorde le carte dei nemici di questo Papa
(tranne la puerile e falsa supposizione del danaro dal Borgia profferto ad
Ascanio). Diffatto il Corio, poche linee sotto, corregge l'espressione sua,
confessando che il Borgia non fu usurpatoredelpontificato ; e nelcapo X,
discorrendo dell'elezione d'Alessandro VI, la dice elezione di un ottimo
Papa.
•Il collegio dei cardinali entrati in conclave, furono fatte diverse e
frequenti pratiche per l'elezione d'un nuovo Pontefice. Di voce quasi di
paro contendeva Ascanio Sforza, ed il vice-cancelliere, per generazione
ispano. Fu costui nepote di papa Callisto, che l'orno del galero, edel ti
tolo della vice-cancelleria apostolica, il cui ufficio avendo esercitato sotto
del memorato, similmente con Pio, Paolo, Sisto, ed Innocenzo, era oltra
modo divenuto uomo callido e astuto. Onde finalmente ebbe la viadi far
proferire ad Ascanio grandissima quantità di denari, tutte le suppellet
tili sue e la vice-cancelleria. Questa partita ad Ascanio parendo gran
cosa, cominciò a considerare, che d'esserlui pontefice, nongli sortirebbe.
Mabene per la pecunia, quale indubitamente era per cumulare, il mo
bile grandissimo, grandi e numerosi beneficii e ufficio di vice-cancelliere,
riccamente e in più parte trasferendogli ad altri cardinali, in processo
di tempo era per ascendere alla dignità pontificale: e nonconsidero, che
l'Ispano, come uomo pratico e saputo, presa la somma dignità, sempre
ricercherebbe con diversi modi di avere quanto gli avevadato, con l'ul
timo suo sterminio.
•Ma essendo necessario, quello che da Dio era provvisto fosse adem
pito, e la fortuna essendogli favorevole, permise che Ascanio invitò il
Vincola, quale ancor lui contendea di voce, e gli altri colleghi che mal
volentieri vedeano la Chiesa di Cristo dovesse essere nelle suemani, non
perchè sperassero dovesse essere un usurpatore del nome, nè della Chiesa
di Dio, ma solo desideravano, che la pontificia diguità non fosse sotto
posta ad altro nome che di italiano.
•Niente di menotanta fu la sollecitudine, che finalmente conducendosi
una sera da Ascanio, non manco sino alla propria cattedra, dov'era al
beneficio corporale, inchinarsi e deprecarlo con infinite promesse lo vo
lesse aiutare nella creazione del nuovo Pontificato, considerato in lui
tutto il pondo essere della elezione. Concludendosi adunque col suo fa
vore, fu creato Pontefice e nominato Alessandro VI ..
Inteso dal Borgia, dicono altri due scrittori, che le voci furono tutte
asuo favore, pronuncio egli: Papa ego sum, Pontifex. Christi vicarius.
--
99-Papa son io, Pontefice, vicario di Cristo adunque ! Rispose il cardi
nale Sforza: Padre santo, tanto speriamo dare gran gloria a Dio in
questa sua elezione, maggior riposo al popolo, e gran contentezza al
mondo tutto, per essere Vostra Santità scelta da Dio, maggiore fra tutti
noi (1) ..
Al che soggiunse il Papa: Così è, Dio ci assisterà, esperiamo che Dio
ci darà forza e vigore, tuttochè siano deboli e fiacchi i nostri talenti ;
ma pare che già siano rinvigoriti ed illuminati, pronti a seguire le voci
dello Spirito Santo, e intrepidi a mostrare al favor del suo santo Spirito
quelle leggi che sono già stabilite in cielo e che sono già destinate da
Dio. È un gran peso, fratelli carissimi, questo del Papato. Non dubitiamo
però di cosa alcuna; abbiamo l'autorità di sciogliere e legare, aprire e
serrare le porte del cielo. Altre cose porta seco, fratelli miei, questo gran
carico, da quello di prima; pare che Iddio voglia che noi ci mutiamo in
un punto da quello chepensavamo da stabilirci per noi; sarebbe deforme
peccato d'abbandonare il gregge , lasciare il bene dell'apostolato ; Iddio
noi vuole, Dio nel comanda. Dio dice a noi, come disse a san Pietro,
quando gli diè le chiavi del cielo , quasichè S. Pietro disperasse di po
tere reggere la sua gran nave da sì gran peso, carica di tante varia
zioni, difficile di poterla sostenere; e pure Iddiogli promise che egli non
mancherebbe, e gli spirarebbe a suo luogo tutte le sue operazioni ed in
tutte le sue deliberazioni : Deliberavit Dominus in coelo deliberationes
esse in terram. Chi sarà quello che tanto presumerà di volere, non chia
mato da Dio, ardire di pigliare il nostro peso? Chi avrà tale temerità di
preferirsi a noi, quando che conosciuti fossimo inabili a questo gran ca
rico ? Speriamo che ciascheduno mostrerà l'obbedienza, ad imitazione. di
quella dei principi degli apostoli .
Ciò detto, senza frapporre indugi: Era l'alba, fu messala croce fuori
d'una finestra, e fu pubblicato che era fatto Papa il Borgia , col nome
d'Alessandro VI; (Conclavi dei Pontefici romani, quali si sono potuti tro
vare fino al presente giorno. Colonia, 1691; vol. I, cit. loc ), e S. Pietro
fu subito pieno di innumerabile moltitudine di popolo, concorso a ve
derlo mentre veniva in chiesa; io era vicino all'altare maggiore, al quale,
poi che giunse il Papa, fu pigliato in braccio dal cardinale di Sanseve
rino, e messo a seder sopra; e quivi li cardinali gli diedero pubblica
mente l'ubbidienza, et i prelati gli baciarono li piedi.
• Il Papa, innanzi che scendesse dall'altare, cred vice-cancelliere A
scanio Maria Sforza, perchè così gli aveva promesso in conclave. Fu poi
cantata la messa al solito, et i cardinali andarono alle case loro, restando
(1) Lo Sforza, nell'annunciare segretamente al Borgia che stava per essere nominato Papa, gli disse :
" Signor cardinale, conosco veramente la volontà di Dio, che voglia far palese e pubblica la vostra
gran virtù ed il vostro buon zelo di carità e santità, con darvi il peso di essere suo Vicario e reg
gere il mondo tutto con la vostra gran forza e valore : quando poi vi concorreranno le voci, che
non abbiamo ancora sicure, ma solo di parole, con alcuni cardinali in numero di 24, che tanti
sono li nostri dipendenti ».
--
100
adesinare col Papa il cardinale Sforza et alcuni altri pochi; si fecero
grandissimi fuochi per Roma, et il Senatore, che era Ambrioso Mirabili,
fece in Campidoglio inusitati segni di allegrezza, perchè fu riconfermato
in quella dignità dal Papa; e, dopo, il vescovato di Perugia fu dato a
don Giovanni Lopez, già scrittore del Papa, a cui di prima era stata data
la Dataria, e dietro lui fu fatto datario Bernardino Luna, pavese, col fa
vore del cardinale Ascanio Sforza.
• Passato il primo giorno della creatione del Papa, verso le due hore
di notte il Senatore , i Conservatori et i capi delli Priori di Roma, con
moltissimi giovani della nobiltà romana, fatta una incamosciata, anda
rono al palazzo del Pontefice con bellissimo ordine a cavallo, con le torcie
accese in mano, e nella piazza di S. Pietro fecero una giostra con di
versi intrecciamenti, aggirando intorno quelle fiaccole. Il medesimo fe
cero ancora nel cortile del palazzo di Sua Santità, con molta soddisfa
zione del Papa, il quale dalla camera gli diede la beneditione » .
CAPO OTTAVO.
L'elezione del cardinal Borgia in sovrano Pontefice
è pura da ogni trasognata simonia.
Noi non ignoriamo esservi a ribocco scrittori inviperiti contra d'Ales
sandro VI, i quali spacciano arditamente essere l'elezione sua al sovrano
pontificato frutto di combriccole e di corruzione; e in questa loro asser
zione si appoggiano ad alcuni autori al par di essi cupidi di detrarre
alla fama diquesto troppo biasimato pontefice; vanno spargendo avere il
Borgia comperato con blandizie e promissioni i voti dei cardinali. La
calunnia, la malignità non si assume mai per l'ordinario l'incarico di
provare; ad essa lei basta l'affermare o gettare ildubbio, per poscia con
vertirlo in certezza.
Come è mai possibile, noi rispondiamo, chepersonaggi si integerrimi,
illuminati, gelosi del proprio decoro e di quello della santa Sede, secondo
il detto al capo III , si siano lasciati corrompere dal danaro? Avendo
molti di essi assai dovizie e la tomba, per l'avanzata etàloro, socchiusa
già sotto dei piedi altri poi, per emulazione, essendo contrarii alBorgia,
come avrebbero mai permesso ed accettato tal compra delle somme chiavi
di Pietro? Lo stesso Rodrigo come vi avrebbe mai egli osato aspirare,
adoperando così sacrileghi mezzi ? Com'egli sarebbesi fiduciato di gua
stare coll'oro quegl'intemerati cuori, senza temad'inacerbire gli ubbiosi
avversarii suoi, e di tal maniera chiudersi ogni via onde pervenire al pa
pato? Era troppo cauto, previdente il nipote di Callisto III per appigliarsi
a somiglianti ripieghi , cui sapeva essergl' infallibilmente per tornare
perniciosissimi al conseguimento di suo scopo.
Come mai avrebbe egli potuto maneggiare idifferenti rigiri necessarii
101
atantabisogna , anche l'avesse voluto , in brevissimo spazio di tempo,
anzi di ore? perocchè ad ognuno è conto che i cardinali erano in quei
dì alle villeggiature loro lungi da Roma, e che nel secondo giorno del
subitaneo conclave , il quale era l'undecimo d'agosto 1492, tutti i con
clavisti, meno forse uno, diedero il voto loro a Rodrigo Borgia. Per altra
parte, resta dall'esperienza dimostrato che quei conclavi, in cui furonvi
cabale e brighe, cagionarono sempre un maggior ritardo alla elezione
del Pontefice. Questa, per contro, di combriccole scevra, fu pronta ed u
nanime.
Il perchè, chi, perito dell'istoria, potrà aggiustare credenza alla diceria
che il Borgia abbia circonvenuto quei porporati si antiveggenti , disin
teressati, rispettabili, e da esso loro abbia simoniacamente conseguito il
sacro camauro ? Dove esistono le prove d'imparziali autori? Nessune se
ne allegano, tranne incerti rumori contrarii al buon senso, alla suaele
zione rapidissima, ed alla magnanima religione e pietà degli elettori ?
Ora, se in cortissimo deliberare l'elessero ventidue cardinali, ciò avvenne
perchè lo si conosceva capace di coprire onoratamente tal posto subli
missimo, il che eziandio dimostrano gli applausi e le onorificenze inso
lite tributategli dai popoli e dai principi, di cui più sotto ragioneremo.
In questo nostro divisamento ragionato concorre persino il famoso au
tore anonimo delle vile dei Papi, stampate in Amsterdam nel 1776, il
quale, tuttochè si diletti assaissimo in denigrare il papato, in arzigogo
lare macchie, brutture sui pontefici, per entro i quali non risparmia certo
Alessandro VI, nulladimeno, scrivendo di questo e del modo con cui ot
tenne il pontificato, recisamente confessa che l'elezione non fu punto ri
tardata da cabale, perocchè, insino dal secondo giorno (del conclave), il
cardinale Borgia ebbe in suo favore tutte le voci, e venne eletto ponte
fice. Ingenua confessione d'un nemico mordace !
Qual credenza impertanto si merita un cotale autore, il quale asserisce
che Rodrigo si fece strada al trono pontificale coll'oro, e reca a questo
proposito delle particolarità veramente spettacolose ! Egli dice, fra le altre
cose, che il cardinale invio quattro mule cariche d'argento a casa d'A
scanio , e che regalo ad un altro prelato la somma di cinquemila co
rone d'oro.
Altri storici al contrario pretendono ch'ei fosse d'un'estrema avarizia,
che amasse il danaro sopra ogni altra cosa, che l'onore e le dignità fos
sero agli occhi suoi , già vecchio , un bel nulla in comparazione d'un
fiorino. Andate ad accordare queste contraddizioni !
Da ultimo leggiamo nel primo narratore: Di 20 cardinali che en
trarono in conclave, non ve ne ebbero salvo cinque, si dice, i quali non
vendessero i loro voti .È vero che qui l'espressione è assai più vaga,
e non senza ragione; perchè, senza cercar più in là, noi domanderemo
(prescindendo dalle addotte ragioni superiormente) a chi vergò queste
linee, se ciaschedun cardinale, avanti o dopo l'elezione, inmateriasi te
nebrosa, è andato a riportare a lui il suo voto. Che se sopra un sem.
plice ho inteso a dire! ha egli lanciataunacotantograve accusa contro
--
102
al corpo il più rispettabile che vi esista al mondo, non è egli, per non
dire di più, estremamente riprensibile? Egli sapeva al paridi noi il conto
che un uomo di senno, e sopratutto uno storico debbe fare d'un vano
rumore, il quale non posa su d'altro fondamento, tranne che sulla ma
lignità. Del resto noi avremo sovente occasione di segnalare questo modo
di giudicare nei tanti detrattori di questo pontefice.
Egli è vero che, creato pontefice , il Borgia incontanente distribui e
donò ai poveri i suoi beni. (Vedi il Diario del Burcardo appo il Genna
relli citato). Sparti ancora per mezzo dei cardinali le dovizie e i benefizii
cui dapprima possedeva, come afferma ilBurcardo, che certo niuno avrà
per sospetto di parzialità verso del Papa ; ma se tolgonsi siffatte libera
lità generose d'Alessandro VI usate ai cardinalidopo la fattane elezione,
qual mercimonio, nulla di più irragionevole ed ingiusto! imperocchè, nè
solamente Alessandro VI sarebbe da condannarsi allora, ma anche i più
santi suoi predecessori e successori che di tale maniera si comportarono.
D'altronde il capo seguente diluciderà maggiormente quanto finora ab
biamo discorso, ed accerterà i leggenti che l'elezionedelcardinal Borgia
in sovrano pontefice fu pura da ogni trasognata labe simoniaca.
CAPO NONO.
Gioia e festeggiamenti di tutti gli ordini del popolo romano
per l'assunzione al pontificato d'Alessandro VI, ed atti di questo.
Ora quest'elezione, che vuolsi incolpare di simonia , noi la veggiamo
appena appena annunciata, che colla rapidità del lampo si divulga dal
clero, dai nobili cittadini, dal popolo, dai militi, in una parola da ogni
ceto di persone; accolta con istraordinarii ed insoliti clamori di gioia
cordialissima, e tutti tutti con quell'umanità solo dettata dall'intima approvazione di presente, secondo lor dettava l'ingegno e permettevano le
forze, impegnarsi totalmente a solennizzarla festosissimi, in quella che la
nobile schiera dei letterati si distillava la quintessenza del cervello per
dettare certe iscrizioni, nelle quali l'uguagliavano ad Alessandro magno
ed al divino Giove, dicendo non pertanto che questi erano stati uomini,
ma lui, Alessandro VI, essere proprio un Dio, e Roma dover andare superba d'aver di bel nuovo il suo Giove.Encomii, che miriadidi bocche con
tripudio aprivansi a ripetere, inneggiando gloria ed onore all'invittissimo,
al sapientissimo, al magnificentissimo, al massimo Alessandro VI. E n'aveva ben ragione, chè da secoli non eravi più stata incoronazione sì solenne e pacifica d'alcun romano pontefice quanto quella del Borgia (veggasi il Gennarelli citato Sull'incoronazione d' Innocenzo VIII, pag. 48,
not: 2 e 3, quel che dice di cotali disordini, d'appresso veriori scrittori).
Questo straordinario apparato festosissimo e spontaneo colpi talmente
lo spirito del Burcardo istesso, che nel suo famoso Diario non potè a
meno di scrivere: « Die
27 augusti ejusdem anni 1492 coronatus fuit Alexander in Sancto Petro. Deinde, pro ut de more, accessit ad ecclesiam
Sancti Johannis Lateranensis, cui per urbem factus fuit honor, multi
arcus triumphales, et magis quam nunquam alii Pontifici factum fuerit
per romanum populum potissime » .
Manon lasciamoci trascinare ancora da tali clamori giulivi d'un popolo intero ebbro di letizia per l'elezione del suo Pastore; chè noi, dappoichè con ragionamenti tirati da vera logica cristiana abbiam provato
la futilità e malignità dell' incriminazione affibbiata ad Alessandro VI ,
d'essersi procacciato il triregno simoniacamente , acciocchè pienamente
vittoriosa risulti la confutazione nostra, non deggiamo usciredalla lizza
in cui siamo entrati senza prima corroborare la disputazione nostra con
quei passi istorici, i quali manifestamente propugnano il contrario , lasciatici a perenne ricordanza da autori sincroni ad essa elezione ed incoronazione. Testimonianze che pure vorrebbero soppresse in perpetuo i
nemici del Borgia, e da noi spigolate dall'opera del Gennarelli, ilquale,
facendo le viste d'essere imparziale, in quella che allega alcune di queste,
infarcisce il suo scritto d'intemerate virulenti talmente , che dileguato
di leggieri dalla mente dei leggitori ogni favorevole concetto , non vi
resti impresso tranne il sinistro.
Proviamoci adunque (dietro l'autoritàd'uno scrittore coevo proprio all'elezione ed esaltazione d'Alessandro VI, il quale ne ragiona con criterio
ben diverso, ed altrettanto più diritto, quanto gli altri stortamente) d'effettuare il propostoci compito santissimo; e se i permalosi e gli astiosi
del romano pontificato, per dilacerare questo, vanno cupidamente razzolando negli antiquari le sozzure del cardinale Rodrigo Borgia, niuno dovrebbe poi muovere lamento se noi, per amore del vero, caritatevolmente rinverghiamo queste vetustissime testimonianze negli stessi contemporanei, amiche e non ingloriose al suddetto. Ora sentiamo quanto
uno di questi narra esser avvenuto nell'assunzione famosa del cardinale
Borgia al papato.
« A tutti è palese ( Johannis Burchardi, etc. Diarium, etc., Alexandri VI
etc., ab Achille Gennarelli, equite ablecto , Florentiae, 1854, pag. 205 ,
not. 1, col. 1, etc., etc.) che cosa sia conclave per li doi capitoli dei canoni pontificj, ma nondimeno, come in quel luogo ciascuno si ritira, diremo così brevemente quello che havemo veduto.
« Nell'apostolico palazzo Vaticano dove si è fatto il conclave vi è una
cappella chiamata di Sisto IV, fondatore di quella; in questa, dall'una e
dall'altra banda furono scompartite tutte le celle, quanti erano i cardinali allora presenti in Roma, nè ciascuno prese quellache volse, maquella
che dalla sorte gli fu concessa. In questa cella si riducevano di notte a
dormire, di giorno passeggiavano in altri luoghi serrati. Gli ambasciatori residenti de' principi erano stati proposti alla custodia delle porte
del conclave, e come fedeli portinari facevano sicura guardia al sacro
conclave. Era intanto tutta la città in arme, e tutti quelli che avevano
bando, gl'indebitati, gl'incendiarj, turba inimicissima e perniciosa, s'era
tutta insieme radunata per tumultuare. Erano li capi delle strade guardate da buoni soldati, e li principali baroni avevano buon numero di
gente armata per custodia delle lore case, avanti delle quali, a guisa di
bastioni, erano state drizzate gran macchine di legno a torri con gran
travi ferrati sino al cielo, intessute con pertiche e cespugli , ed erano
preparate alle finestre balestre ed altri strumenti da lanciar dardi, e si
facevano mine per forza alle vicine case e nelli luoghi più sicuri e meglio fortificati.
« Si vedevano per tutte le strade ammazzamenti e latrocinii, ma nondimeno tanta fu la cura ediligenza degli illustriss.cardinali, avanti che
si serrassero in conclave , di provvedere alle cose della città, e la vigilanza delli tribuni della plebe nel far le guardie dove apparivamaggior
bisogno, che tra li molti pericoli di così gran cose non fu fatto alcun
rubamento, o soverchieria spettante al pubblico. Ma solo seguirono alcune poche ferite ed uccisioni d'uomini popolari , che per private loro
inimicizie , presa l'occasione della sede vacante , si volsero vendicare di
qualche ricevuto oltraggio.
« Al palazzo apostolico era stata fatta una trinciera di tavolati d'alti,
grossissimi , e di lunghi travi in forma di terra piena; si erano inoltre
radunate alcune compagnie di cavalli, e li principali signori della città
stavano armati alla guardia della piazza del Vaticano; e li luoghi vicini
al Castel S. Angelo erano assicurati da ogni subito tumultodalli signori
li quali in questo affare erano vigilantissimi.
« Alli
10 di agosto, su la prima ora della notte ( era questo il giorno festivo di S. Lorenzo), essendo concordi tutti gli illust. cardinali nell'illust. Roderigo Borgia, quasi da contrarii voti (si noti la grave confessione),
a favor suo rivoltati , lo crearono Sommo Pontefice; onde sulla mezzanotte dall' impeto e furor della plebe gli fu mandato a sacco tutto il
palazzo suo. La
mattina seguente, cavata fuori dalla finestrella la croce,
fu data voce per tutta la città che Roderigo Borgia card. cancelliere
di natione spagnuolo, di patria Valentiano era stato fatto Papa.
« Concorsi a tal avviso tutti li signori romani meschiati con la plebe
all'altar maggiore di S. Pietro, e con allegro e risonante grido, salutarono Alessandro Sesto, perciocchè tal nome si era posto, e la frequenza
del popolo fu di tanta meraviglia a tutti, quanta ad alcuno fosse giamai.
Erasi già condotto vicino l'altare, quando l'illust. cardinale S. Severino,
di forza e robustezza sopra ogni altro gagliardo, di membra egrossezza
di corpo assai grande, e grave, avendo abbracciato lo stanco ed affaticato Pontefice, lo sollevè sopra il detto altare. Felice veramente e beato
tu, S. Severino , che prendendo con le tue gagliarde braccia un gratissimo e felicissimo peso, tu prima degli altri presentasti al Sommo Dio
un suo unico Vicario. Tu fosti il primo sostenendo il corpo poco fa venerabile Padre della romanagloriadeponendolo poco dapoi. Tu primo fosti
ministro, ajutatore e partecipe della felicità di sì gran principe.
« Avendo di poi ammesso S. Santità gl' illust. cardinali al bacio, era
cosa incredibile il vedere con quanta allegrezza e festa il Papa ciascun
di loro ricevesse. Gli altri prelati e signori gli baciarono il piede, nè fu
interposta dilatione alcuna in pigliar la corona di tant'impero essendoli
assistenti d'avanti con gl'illust. card , Ascanio Maria Sforza , il quale fu
sostituito cancelliere di S. Chiesa, et era persona di gran autorità, virtù
eprudenza. Di novo rendute gratie al Sommo Iddio , se ne ritornarono
li cardinali nelle loro abitationi , eccetto Ascanio Sforza e quelli che abitavano a Palazzo. S'acquetarono in un subito li tumulti erumori della
città , e furono statuite et ordinate molte cose , e la turba d'assassini e
malfattori da per se stessa si mise in fuga.
« Pareva che tutta Roma fosse fiamma e fuoco, e che n'andassero le
faville sino al cielo , tanta fu commune et inesplicabile l'allegrezza et
applauso in onore di tanto Pontefice. Ambrosio Mirabili, cavaliereAurento,
milanese, persona illustre per aver ottenuti et amministrati magnificamente li più segnalati governi d'Italia, col nome di Pretore, fu la prima
volta da S. Santità, e con universal consenso approvato et eletto Pretore,
il quale nome da' posteri fu detto Senatore; cosa, cheper avanti a pochi
onessuno era accaduta, sì per la bontà e giustizia sua per l'addietro
conosciuta, sì anco perchè con somma fede e prudenza avea ben custodita e fortificata la rocca, et era stato diligentissimo e vigilantissimo in
quello che potea per pacificar la plebe, e perchè in quel principio del
pontificato vi era gran bisogno d'un tal uomo pratico et esperto in quel
offitio: furono poi stabilite le stanze nell'Apostolico palazzo , e furonvi
intromessi alli desiderati onori quelli che fin allora in lunga angustia
erano vissuti, e si fece una maravigliosa mutatione di cose.
« Eran scacciati dalle dignità, gloriosa lode, quelli che al tempo d'Innoocentio Cibo avevano atteso ad empire il ventre. Alcuni ancora, contenti
della parsimonia, se ne ritornarono a miglior vita, e quelli prima intenti
custodi aveano accompagnato il bue a pascolarsi. Era segretario di S. Santità Gio., prosapia Lopez, di natione Spagnuolo, uomo famoso e celebre, di
piccola statura, ma di vivace ingegno, e dotato di gran dottrina , e sopratutto in ogni negotio fidelissimo. Questo fu fatto subito da Sua Beatitudine Datario, l'offitio del quale sappiamo non esserdi poca importanza;
di poi, meritando egli per la sua gran bontà , il Papa lo fece Vescovo
di Perugia. Non bisogna che siano pigri et otiosi quelli chehanno sopra
di sè tal carica. Ma Sua Santità sapea benissimo con qual sollecitudine
e prudenza egli fusse consueto a trattare li maneggi. Tu puoi ben vedere, o lettore, a che impresa io mi sia messo se voglio ad una ad una
esprimere le mutationi di ciascuno. Poichè io fo mentione di Datario,
ecco che mi si rammenta quel nostro Bernardino Luna da Pavia, di famiglia nobilissima, il quale con integrità de' suoi costumi e con l'onor
della virtù seguendo le vestigie dell' illustrissimo sig. card. Sforza, con
somma lode si è guadagnato appresso di quella somma gratia, e molto
bene se la sa conservare. Perchè l'illust. cardinale confida in lui se stesso
e tutte le sue cose; onde merita esser ajutato et innalzato da S. Santità
ad ogni grande e sublime onore; per il che gli ha dato stanza in palazzo, et abita in questo dove soleva stare il Ragusino, datario di papa
Innocentio. Poco dopo è stato fatto protonotario, indi segretario; intanto
dalla propria virtù sollevato, si crede senza dubbio sia per riuscire cardinale. Grandissima destrezza ha egli nel trattare inegotj, cortesia, gravità e prudenza maravigliosa.
« Mentre queste cose si facevano in palazzo, il senatore, tribuni, triumviri, e gli altri primarj del popolo romano con un segnalato splendore
di lumi accesi di notte, fecero manifesto quale e quanta fosse la loro
allegrezza, poichè con torcie accese, tutti a cavallo, su le due ore se ne
andarono dal Campidoglio al Sacro Palazzo: per lo spatio di un miglio
intiero risplendevano le strade e le piazze, di maniera che pareva fusse
mezzo giorno , ne quanto a me credo mai che quella famosa Cleopatra ricevesse Marc' Antonio con tanto numero e splendore di facelle:
attorniarono il palazzo Vaticano , e andando in giro si rivolgevano in
sieme avanti le porte di quello, parendo che fussero tutte le stesse ,
che vi si aggirasse la macchina del cielo , perchè era tanto grande il
numero delle torcie, che fu tenuto per spettacolo tra li rari bellissimo.
Dalla cima del palazzo dava S. Santità loro la beneditione: aperte le
porte et intromessi nel gran cortile, di nuovo et in giro volgendosi con
varie maniere, rappresentavano l'imagine d'un laberinto, e con lieto applauso e con alta voce e gridi facevano d'ogni intorno risonare il nome
d'Alessandro. Non potei fare di non intervenire ancor io a tante gran
cose, e proprio parevami di vedere i notturni sacrifici che facevano gli
antichi, o le baccanti feste, che con facelle si andavano facendo al Dio Bacco.
« Acquietaronsi un poco le cose: si pensava da poi alla coronatione del nuovo pontefice, e questa fu fatta alli
26 d'agosto, con tanta pompa e splendidezza, con quanta sia mai alcun altro trionfo degli antichi romani.
Perciò diciamo alcune cose ormai di questa coronatione. Sogliono
li S. Pontefici romani, poichè hanno presa lacoronanon civile, non mirtale, non castrense, non murale, ma quella che triregno si domanda,
trasferendosi subito dalla basilica di S. Pietro all'antica chiesa di S. Giovanni Laterano, come loro proprio vescovato , dove sono le stanze episcopali , e dove si suole fare l'esperienza dell'uomo. O Dio buono! qual
pompa, quale splendidezza accompagnò il Pontefice, mentre esso cavalcava al Laterano, e con larga e copiosa mano andava spargendo al minuto popolo. Rilucevano per tutto le candide vesti e le belle mitre de'
cardinali e dei vescovi, essendo parato ciascuno di quell'abito sacro al
quale era ordinato. Tralascio li cavalieri Gerosolimitani con le due insegne, e gli altri Confalonieri della S. Romana Chiesa , e del popolo romano con le loro candidissime vesti da capo a piedi, ed abbigliamenti
dei cavalli con li palafrenieri vestiti superbamente con gli abiti diversi
di tutte le sorti. Gli uomini di arme erano divisi a tutti li capi delle
strade per guardia e sicurezza in ogni occasione. Gli archi trionfali , le
tappezzerie d'oro, d'argento e di seta, li, vasi di fiori pendenti dalle finestre allo scoverto, quali ghirlande, quali fiori e fronde odorifere erano
per le strade, in ogni luogo si vedeva splendore e s'udiva strepito d'orpello: tutte le fonti scaturivano limpidissime acque , s'udivano canti e
suoni d'ogni sorta, trombe et altri strumenti d'allegrezza, che sonavano
dapertutto da Palazzo sino a S. Giovanni Laterano per lo spazioquasi di
due miglia; che tutti facevano maravigliosamente vista e udito a quelli
che trapassavano. Porgeva mirabil spettacolo Castel S. Angelo , il quale
in tempo di notte alzava sin al cielo una croce di fuoco che prima era
stata nascosta quasi nelle tenebre: ed una gran corona d'armati soldati
fecero una gran salva mentre passava il pontefice Borgia con gran ribombo d'artiglieria e schiopetti, che d'ogni intorno fortemente rituonava.
« Qui furono fatte le cerimonie della Caldea legge (1) e l'oblationi della
legge mosaica ; come cosa da non sprezzarsi, così da non imitarsi.
(1) Giudichiamo che torni acconcio lo spiegare cosa sia questa cerimonia che si opera il giorno
medesimo dell'incoronazione di ogni Papa.
Allorquando il Santo Padre è giunto al piede del monte Giordano, i giudei vengono a porgergli
omaggio, inginocchiati per terra, e nel medesimo tempo gli presentano la legge loro scritta in lingua
ebraica, ne intessono grandi elogi, ed esortano il Pontefice a venerarla. Sua Santità loro risponde
che è compreso di rispetto per la legge che le presentano; ma che riprova e condanna tutte le
vane loro osservanze e le false interpretazioni cui essi danno ai libri santi. Loro dichiara di seguito
che inutilmente stanno ancora aspettando il già venuto Messia, e che dovrebbero riconoscerlo nella
persona del Nostro Signore Gesù Cristo. Riportiamo le stesse parole del Supremo Gerarca :
" Sanctam legem, viri hebraei, et laudamus et veneramur, atpoteab omnipotenti Deo per manus
Moysi patribus vestris tradita est; observantiam vero vestram et vanam interpretationem damnamus
atque reprobamus, quia Salvatorem, quem adhuc frustra expectatis, apostolica fides, jam pridem
advenisse docet et praedicat Dominum Nostrum Jesum-Christum, qui cum Patre et Spiritu Sancto
vivit et regnat Deus per omnia saecula saeculorum. "
Vantinsi pure gli antichi delli loro rostri, dei loro circoli e dei loro teatri,
aquila, chiavi, tribù, carri, trofei, ovazioni, delle corone di quercie, di
olivo, di gramigna, di mirto, le collane, et i monili dei loro trionfali
allori. Riguardino un poco intorno la nostra Roma, e considerino quanto
e quale sia, mediante questo nostro augustissimo Pontefice, et il
sacratissimo Collegio de' cardinali, Roma: oh Roma! dico, già padrona del
mondo, in per certe etadi della umana vita sei cresciuta, come dicono le
memorie lasciatici da scrittori, et alle volte, come se tocca di contagioso
male, languida sei in terra caduta, e con scambievole mutatione di
fortuna, or ti sei abbassata, ora levata in alto; ma or non contenta
d'avanzar li antichi onori, avendo un tal Pontefice, diffondi iraggidel tuo
splendore sino alli estremi lidi dell'immenso Oceano, e credendosi che sii
una volta per uguagliarsi alla vecchia età, è fermo giuditio e costante
opinione degli uomini che sia ciò per avvenire nel nome enella felicità
di questo sacratissimo Pontefice.
« Essendo adunque state le suddette cose tutte maravigliose, fu
maravigliosissima che ora li differenti desideri ed affetti delli mortali e tanta
felicità, senza violenza alcuna così fortunato principe, nato d'eroi, di
provincia generosa, nipote di papa Callisto, pocoprima passatoamiglior vita,
cardinale vecchio, cancelliere di S. R. Chiesa potentissimo, in cosl breve
spatio di tempo, cioè nel corsod'unmese, siastato elettopapa, approvato e
coronato, e con tanta magnificenza e gloria. Qual cosa, osservi il leggente,
può dichiararci lacagione di questo, se non il suograndeingegno, la
destrezza e sincerità dell'animo suo, dalle quali virtù tanti illust. cardinali
quasi sono stati forzati a darli il voto loro, che già mai di quei regi et
imperatori antichi, quali noi tanto onoriamo e celebriamo, senza sfoderar
spada o effusion di sangue ottenne lo scettro et impero, chi, non avendo
prima ammazzato il fratello o scannato il pupillo parente, cinto ed
ottorniato d'armata gente fra le fiamme ed uccisioni civili, potè mai
arrivare all'altezza del dominare? Ma a questo nostro Pontefice la solita
virtù ha aperti li sentieri, e l'inaccessibili strade, e la sola sua sapienza
l'ha posto a sedere nel trono di Pietro.
« Di poi nel primo concistoro, che si fece
all'ultimo d'agosto, avendo
sua Beatitudine ordinato molte cose saviamente, fece ancor quello che
già tempo prima avea tramato;poichè fece cardinale del titolo di S. Susanna Gio. Borgia suo nipote, arcivescovo di Monreale; con ilqual fatto
Sua Santità ha dichiarato benissimo di qual animodebba essere ciascuno
verso de'suoi quando giunge a tale altezza; col medesimo consensodel
Sacro Collegio fece suoi legati il cardinale Savelli, di nobilissima
famiglia di Spoleti, l'illust. card. di Genova in Terra di Lavoro, e diede la
legatione di Bologna al cancelliere della Santa Chiesa, cioè al cardinale Sforza, al cardinale di S. Pietro in Vincola quella d'Avignone, etal
cardinale Medici quella del Patrimonio. Rivoltando poi Sua Santità l'animo
ad altre cose, confermò l'uffitio delle suppliche e delle gratie (così lo
chiamano) all'illust. cardinale di santa Anastasia, et essendo alquanto
indisposto il cardinale Alerien gli aggiunse anco la signatura di giustitia.
Di poi, pure di parere de'cardinali, elesse quattro suoi referendari di
gratia e di giustitia, quelli che giudicò avanzar gli altri di dottrina, di
ingegno e di fede, e furono l'infrascritti l'arciv. di Ragusa, il vescovo Alessandrino, il vescovo Concordiense e il Volterrano, uomini
famosissimi ; e fece S. Santità molte altre cose, che a lui parevano appartenenti
al buon stato, riputatione e grandezza della Santa Apostolica Chiesa. »
CAPO DECIMO.
Incoronazione solennissima d'Alessandro VI.
Sebbene (per non dimezzare i passi allegati degli scrittori) siasi già
toccato alcun che di questa incoronazione d'Alessandro VI, pure, essendo
essa stata solennissima sopra ogni altra mai, ragione troppo richiede che
ne discorriamo di proposito, affatto sempre dietro ai citati autori con
temporanei.
• Fu poi incoronato Alessandro alli 26 agosto, con grandissime ceri
monie; ma l'andata sua a S. Giov. Laterano per pigliare il possesso del
sommovescovado, avanzò di gran pezza di splendore e di magnificenza
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quella di tutti gli altri papi suoi antecessori, essendo le strade tutte a
dornate d'arazzi e fiori, e fatti molti archi trionfali, a similitudine delli
trionfi antichi. (Vedi superiormente al capo ix la citata opera Conclave
dei Pontefici Romani, ecc ).
• Per la elezione (seguita il Corio, citato luogo) d'uno si ottimo Papa,
ne fu celebrato per lo insciente della sua rovina (d'Ascanio Sforza) (1) ed
altri, grandissimi spettacoli ; imperciocchè, in capo di trenta giorni da
che Innocenzio fu spinto dalnumerodei viventi, il sopradetto Alessandro,
nuovo pontefice, fu accompagnato in San Pietro intorno alle undici ore,
una domenica, che fu ai ventisei del mese di agosto, e i cardinali di
Siena e Sangiorgio teneano il manto a due parti, e con la mitria epi
scopale in testa giunse alla scala che discende al portico del tempio di
San Pietro, e quelli sacerdoti gli andarono a baciare il piede in segno di
obedienza. D'indi, entrato nel tempio, monto sopra uno sgabello coperto
di drappo d'argento, e similmente era il baldacchino; e quivi si mise
adorare quello nel quale ognuno debbe credere, poi andò all'altare di
Sant'Andrea, dove si vesti per celebrare lamessa, e dopo un certo ufficio,
detto per i cardinali, da quelli si fece fare la obedienza, con essi entrò
nella cappella di San Pietro, e vi intervenne una tanta turba di prelati,
che fu cosa ammiranda, ed erano in pontificale con le mitrie in testa,
eciascheduno ornato secondo la sua dignità, e fu posto all'altare il palio
con lacroce nera a modo solito, e, fatto l'introito, ascese nella pontifical
cattedra, la quale era coperta di panno d'oro. Ed ivi un'altra volta i car
dinali gli andarono a baciare il piede, la mano e la bocca, e così suc
cessivo fecero gli altri prelati, e ad un tempo, con le solite cerimonie,
si celebrava la messa.
•Erano su la piazza del tempio venti squadre di gente d'arme con la
lanza, sopra la coscia; il loro capitano era Nicolò Orsino. E questi sta
vano, dopo la coronazione fatta in San Pietro, per accompagnarlo a San
Giovanni Laterano, suo primo vescovato. V'erano ancora molti provigio
nati e balestrieri. Forniti che furono i solenni e i divini ufficii, venirono
i cardinali e baroni magnificamente ornati , sopra un certo palco edifi
cato alle scale del Santo, dove intervenne la Rota tutta apparata, e lo
circondarono di tredici confaloni dei Rioni di Roma; e dato alle trombe
ed altri infiniti strumenti, cosa stupenda pareva: ed ancora per il tirar
dei tormenti fu tanta caligine, che quasi non si vedea l'aere, in forma
che tutti pareano essere divenuti ciechi e storni , e così ciecamente fe
cero la santissima coronazione.
• Dopo, i cardinali cominciarono avviarsi con diverse foggie. Ilprimo
fu colui che male il suo male scorse, cioè Ascanio Sforza, che aveva do
dici scudieri, con ruppetti di raso cremesino , e sopraveste di raso pao
(1) Il cardinale Ascanio Sforza imputi a sè ed al suo fratello Lodovico il Moro la propria loro
rovina, non già al Papa, come vedremo nel decorso dell'istoria nostra.
Noti qui chi legge, come il Corio chiami Alessandro VI ottimo Рара: sarebbe оттімо chi com
pera le chiavi di Pietro Santo col danaro? Come si contraddice apertamente da sè il Corio !
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nazzo, le fodre ganzante, e ibastoni dipinti all'arme de'Visconti o Sfor
zeschi. Poi seguitava Sangiorgio, con altrettanti vestiti di rasocremesino,
eparimente la sopraveste. Dopo veniva Parma coi suoi, vestiticon zup
poni di raso cremesino, gabanello d'argentino, e fodere di zendalo verde
cinte, ed alle brazze avevano certi manili ed armille.Veniva poi l'Orsino,
che aveva i suoiconcalze di rosado e zornee di velludo verde, confrange
bianche e rosse. Il Sanseverino, con altri dodici , vestiti di raso sambu
gato, in gabanelle lunghe. Poi Santa Maria in Portico, coi suoi, vestiti
di velludo negro. Napoli, con velludo pelo di leone. Sant'Anastasia, con
gabanelle di damasco verde. Alera, di rosato, e similmente procedeano
gli altri con diverse foggie di seta, e i suoi staffieri coibastoni in mano.
• I cardinali aveano in testa le mitrie, e l'abito secondo ladignità loro,
e tutti a cavallo coperti di beccassino bianco. Gli erano dopo due ora
tori ispani con otto scudieri per ciascheduno, ornati di velludo negro e
l'altro di damasco vede e paonazzo. L'arcivescovo di Tertona, come go
vernatore, aveva dieci vestiti di raso nero, con le partegiane in mano.
Il vicario papale similmente procedeva.
•D'indi Alessandro pontefice era posto sopra una barra ornata con la
triplice corona, e dietro seguitavano i sette protonotariipartecipanti, ve
stiti da cardinali', riservato il cappello che aveano negro. Veniva dopo
Domenico Auria, capitano della piazza, ed a canto Giovanni Gierona
della Camera che gettava carlini allo stampo del Papa, edin alcuniluo
ghi gettò ducati d'oro; davanti erano ite le genti d'arme, e pigliarono
i luoghi per la via di San Giovanni a custodia delPontefice, e ibaroni,
che l'accompagnavano , similmente come gli altri avevano i suoi ornati
con diverse foggie. Tra questi v'intervenia il conte Antonio della Miran
dola, il quale portava lo stendardo del Papa, cioè unoscudomezzo d'oro
con un bove rosso che pasceva l'erba, e l'altra parte trebande nere che
traversavano il campo aureato, e disopra le chiavi con lamitria; la sua
foggia era di zendalo cremesino. Il signor Corezzo l'avea bianca, e por
tava il confalone ecclesiastico, cioè le chiavi, ed ambidue erano armati,
sopra possenti cavalli. Poi venivano due cavalieri , con le sue bandiere
della milizia. L'uno della prima milizia d'Alemagna con la sopravesta
bianca e le croce negre. L'altro della seconda milizia le avea rosse, con
le croce bianche. Gli era dopo il signor Gabriello Cesarino, romano, con-confalone S. P. Q. R., e duce dei Rioni, con dodeci alla staffa.
•Giunti che furono al ponte di Sant'Angelo, iGiudei aveano(Vedi la
nota al cap. IX) , sopra un alto pulpito la sua legge con molti cilostei
accesi, e domandarono che lalegge sua si dovesse confermare; dismonto
da cavallo Napoli e Siena , e quivi fu eseguito quel che si suole fare
della legge giudaica , che il Papa la riprende , chè non la intendono.
Onde non la approva, anzi la improba; nondimeno gli dà licenza che
vivano secondo essa legge data da Dio, e conferma i capitoli che hanno
con laChiesa di poter abitare tra cristiani. Allora molte artelarie tira
rono dal castello, percadun merlo del quale era un uomo d'arme; sopra
la torre dell'Angelo era lo stendardo del Papa. All'altra più bassa due
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bandiere con le chiave, alledue verso il ponte disoprail mosaico un'arma
del Papa scolpita in marmo. All'entrata del ponte molti fioroni e feste
antiche. Similmente era apparata in Banco Fiorentino insino aSan Gio
vanni, e coperto di panno azzurro, riservato dal Campidoglio sino al Cu
liseo, perchè non si poteva per la latitudine; ma alle mura erano posti
finissimi drappi di razza, e le porte de' palagi stavano ornate all'antica
foggia; per terra erbe e fiori in gran copia; v'erano edificati alcuni su
perbissimi archi trionfali. I principali furono due dei Banchi, l'uno alla
entratadove comincia la chiesa di san Celso, e l'altro al finedel tempio;
il primo era a similitudine di quello di Ottaviano appresso al Culiseo,
con quattro colonne di gran grossezza, e alte a due parti, sopra i capi
telli quattro uomini armati a modo diantichi baroni, conle spade nude
in mano sopra l'arco, e al capo degli uomini era la corona dell'arcocon
l'arma del Pontefice e lechiavi, eallato corni di dovizia e mirabili festoni
con le sue cornici. Dall'altra parte lavori d'oro perfilati con grande ar
tificio.
•Nei tre angoli erano dipinte figure antiche, quali parevano che vo
lassero con le lanze in mano, mitria e crosette papali, e moltealtre cose
aproposto moderno; nel cornisone largo della volta insino al sopra cor
nicie dove stavano le arme, era uno spacio grandissimo azzurrocon let
tere d'oro in mezzo, che facilmente si leggevano da lontano, edicevano
ALEX. VI PONTIF. MAX., e da un'altra parte sotto la volta al piano era
dipinto un atto di vaticinio, e sotto era una tavola al modo antico pen
dente, con lettere che dicevano VATICINIUM VATICANI IMPERII. All' altro
canto era una simile volta con la coronazione, e queste lettere DIVI A
LEXANDRI MAGNI CORONATIO. Ed a canto una gran tavola mezza azzurro
con lettere d'oro: QUI SUIS IN ACTIONIBUS MODERATUR , FACILE AC PARVO
CUM LABORE AD OMNIA PERVENIT. Vi erano molti altri ornamenti, che a
pieno volendoli scrivere sarebbe lungo. L'altezza sua era aguardard'oc
chio, e molti tetti furono rovinati per la edificazione di quello.
• Il secondo arco era di simile altitudine , ed arme sì diligentemente
fatte, che pareva dovessero essere perpetue. La sotto-volta era fatta a
quadri con fioroni d'oro rilevati.In mezzo certe cave a modo di chiocciole
marine, e sopra le cornisature erano certe fanciulle le quali recitavano
versi latini e in materna lingua alla venutadel Papa; e di fuori all'arco
aman destra una cella, dove era scritto ORIENS : e v'era una fanciulla
mora vestita alla foggia orientale. Alla sinistra OCCIDENS: e similmente
una al modo occidentale. Sotto l'arco a mano diritta era LIBERALITAS.
ROMA. JUSTITIA. E ciascheduna celletta avea la sua ninfa. Roma era in
mezzo, e aveva il mondo ai piedi e una mitria papale in mano, ed un
bue che pasceva. A mano stancaera PUDICITIA, FLORENTIA, CHARITAS ET
FLORENTIA. Era poi nel mezzo un fiorone di diversi colori con un ornato
di ninfe. Di fuori , all'altra banda dell'arcol, a man destra AETERNITAS ;
alla manca VICTORIA. Sopra l'arco ad unaparte era EUROPA, all'altra Re
LIGIO. E tutti cantarono sei versi al Pontefice.
•Passati questi due archi , avanti che si giugnesse dove si parte la
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strada, cioè In via Pontificum et in via Florae, era edificato uno stu
pendisssimo ornato, e prima alla cantonata che partisce le due strade vi
era dipinta un'arma ponteficale, con fanciulli in colore azzurro , feste e
molti fiorioni, con letterechedicevano ALEX. VI PONTIF.MAX. Poi v'erano
posti alcuni travi doppi che traversavano le contrade con molti orna
menti e panni azzurri , con l'arma del Pontefice, fioroni di legno inta
gliati a cornisoni antichi. Nel tondo sopra le strade in campo azzurro
lettere d'oro, cioè D. A. VI. P. M. E. H., con tanti ritorti edornamenti tra
l'una e l'altra lettera, ch'era cosa maravigliosa, e quivi i murierano co
perti di drappi d'oro e d'argento.
• D'indi , passata la casa dove stava il signor Franceschetto, ad un
tirar di mano, vi era fabbricato un altro arco trionfale molto ingegno
samente ornato; poi seguitando al palagio di Napoli, sigliera un altro
mirabile , diviso dagli altri primi, lavorato con erbe, ed avanti l'arco
tanti capitelli, feste, pitture ed altrecose, che lasuabellezza difficile sa
rebbe a descriverla. Sopra la porta dell'arco era l'arma del Papa, con
molti fanciulli e feste in campo azzurro eoro.All'incontro il protonotario
Agnello sopra la casa fece cosa stupenda, e sotto la volta in finissimo
azzurro due versi d'oro, quai diceano:
Caesare magna fuit, nunc Roma est maxima , Sextus
Regnat Alexander, ille vir, iste Deus.
• Questo palagio era ornato con feste tonde, ed in campo azzurro let
tere d'oro, nello scuro lettere d'oro, nello scudo lettere bianche conque
sti motti :
I.
Liberalitatis rerum, copiae aequitas, et pacis pater.
II . Alexandro invictissimo, Alexandro pientissimo, Alexandro magnificentissimo,
Alexandro in omnibus maximo, honor et gloria.
III. Sancta fuit nullo maior pax tempore, tuta
Omnia sunt, Agnus sub Bove, et Angue jacet.
IV. Viventibus aeternitatem laetam danti, gloriam aeternam.
V. Prisca novis caedant, rerum nunc aureus ordo est.
Invictoque Jovi est cura primus honor.
VI. Libertas, pia justitia, et pax aurea, opes, quae
Lucet ibi, Roma, novus fert Deus iste tibi.
•Ancora in una tavoletta all'antica, pendente, avea messo questi quat
tro versi :
Ambrosia, nectar violae, rosae, lilia, amomum,
Turaque sint aris tibia cantus honos.
Accumulent fora letitiam testantia flamma,
Scit venisse suum patria grata Jovem.
• Passato quest'arco sin alla casa de' Massimi, v'era un altro apparato
con alcune colonne che sostentavano certe cornici e feste. Nel piè delle
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colonne gli era pinto un Bue rosso , e l'arma papale con questo motto :
Laeta Ceres. All'altro canto D. Alex. magno, majori, max., ed all'altro
unatavolacomeusavano gli antichi, qual'avea sopra un Bue dimetallo
dorato, conquesti versi sotto :
Est piger in coelo, sunt et tua pigra boote
Signa quod emerito pacis ad usque bove.
Terge piger, tardoq. magis rege tremite currunt
Tardus ut in terris bos quoque noster est
Reddidit Europea, Bos est non Taurus in illo,
Trux amat, in nostro fertile sidus arat.
Roma Bovem invenit tunc, cum fundatur aratro,
Et nune lapsa suo est ecce renata Bove,
Fertilitatis habet signum bos Roma repertus,
Mella favi amissa hoc, et vereantur apes.
Pastor Aristaeus suffoso mella juvenco,
Reddidit effosso nunc mea Roma Bove.
Urse Leo Aquila alta simul, simul alta columna,
Etmeahabes dominum cumBoveRoma Bovem.
•Dopo, procedendo più oltre alla casa del vescovo di Spoleto, gli era
unaltro arco trionfale, con arme, festoni, mostri marini ed altre magni
fiche cose. S. Marco ne aveva due, ed ad uno gli era una fonte con un
Bove che gettava acqua dalle corna, bocca, occhi, nari, e dalle orecchie,
dal fronte delicatissimo vino, e continuava più avanti alla viache passa
Post Capitolium. All'entrata era un altro arco molto sfoggiato, e in fin
qui le vie continuavano coperte di panni e drappi, che parea impossi
bile che Roma avesse tanta cosa.
•Passato il Campidoglio , v'era un altro ornato; similmente a Santa
MariaNuova, oltre al Coliseo, insino all'Acquedotto, uno mediocre. Mada
ivi per fino a San Giovanni, non si potrebbe narrare i grandissimi ap.
parati di panni, di razzi. Archi trionfali in diverse foggie, e feste mira
bili. Il tempio di San Giovanni era serrato , e quivi stavano le genti
d'arme in modo che, aprendosi, non lasciarono entrare dietro al Ponte
fice se non i prelati ed il signor Virginio Orsino, che era alla custodia
della porta.
• Finalmente, essendo fornite le solite solennità in Sancta Sanctorum.....
data labenedizione, ritornò al palagio. Entrò nel pontificato Alessandro VI,
mansueto come bue, e l'ha amministrato come leone per forza e gene
rosità.
Non si può intesser più sincera narrazione!
Nè possiam meglio conchiudere questa descrizione che colle parole di
PietroDelfino, il quale trovavasi presente all'incoronazioned'Alessandro VI;
riepilogando egli tutto l'anzidetto, arroge alcuni fatti e riflessioni utilis
sime omesse dagli altri, cui noi dallatino volgarizzati riproduciamo.
•Se volessi io ordinatamente rinarrarti e descriverti con quale cele
brità, onorificenza, pompa jeri sia stato incoronato il sommo Pontefice,
non mi basterebbe il giorno. Fu certamente uno spettacolo bello e di
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lettevole a mirarsi, nè affatto infruttuoso, se le cose temporali noi ap
plichiamo allo spirito; imperciocchè il vario ornatodelle persone distinte
e delle dignità, l'incedere de' superni cittadini, e le molte e diverse man
sioni de' beati mi rammentava, e il decoro di cotesta Chiesa militante
assai sovente invitò l'animo a considerare lo stato e lo splendore della
Chiesa trionfante.
•Era diffusa per l'universale città una turba ingente di uomini edonne,
che lungo le vie e sulle finestre stavano aspettanti, finchè da San Pietro,
dopo celebrata la messadello Spirito Santo dal Pontefice medesimo, siamo
pervenuti a San Lorenzo. Tutta la strada per la quale abbiamo caval
cato era coperta di panni ed ornata con varj simboli di trionfi, penzo
lando di qua e di là alle pareti delle magioni, addobbi , fregi, tappeti,
appeso vedendosi in parecchi luoghi il pinto ritratto del Papa, con mol
teplici distici edepigrammi in scritto; dei quali questo solo ti trascrivo,
che ho imparato perleggendolo durante il tragitto, e cheda molti gravi
personaggi ho inteso non poco commendarsi.
• Ai tempi di Cesare Roma fu grande , ma ora è grandissima, chè il
Sesto Alessandro vi regna; quegli fu uomo, questi Dio.
• Ma quello che al Pontefice avvenne nel tempio Lateranese , trovan
domi io presente, ed assai vicino standogli, e rimirando con altri prelati
frammezzo a queste delizie del vertice supremo, mi eccitò a pensare sul
l'infermità della condizione umana, e a sprezzare la gloriadella potenza
e della grandezza terrena; perchè forse dalle soverchiamente prolisse ce
rimonie defatigato Alessandro VI appo San Pietro, e stancopel cammino,
essendo egli colla mitra, cui chiamano regno e dei paramenti sacerdo
tali vestito, fervendo sopra il sole , sen venne a Laterano : Certo , cosa
siagli succeduta nol so, attendendolo noi nel tempio; da ultimo vi en
trò talmente sfinito ed estuante. In prima piegate le ginocchia, orò al
l'altare in cui sono riposti i capi degli Apostoli, e prendendo, secondo
l'usanza, possessione della Chiesa, benedisse al popolo. Quindi si portò
all'altare maggiore del tempio nel Santodei Santi, dove era il faldistorio
preparato in luogo più eminente, affine di ricevervi l'ubbidienza dai ca
nonici e dai sacerdoti Lateranesi.
•A stento ascendendone i gradini, due cardinali diaconi da entrambi
i lati l'aiutavano. Voltosi al popolo il Gerarca dove si assise, anzi dove
rifinito di vigoria sopra il faldistoro cadde, di presentesoprailcollo del
cardinale di S. Gregorio reclinò la testa. Ildicono colpito da sincope: e
di tal maniera esanimato rimase immobile per tanta pezza, finchè por
tata dell'acqua, di cui spruzzatogli il viso, ricoverò lo spirito.E tanto e
stimasi il pontificato, che costa tanto, si comperacon tanto pericolo ! A
che gli giovano le innumere falangi di armati poste per tutta la città
per sua custodia? Voglia ora il Signore, e che possa di leggieri mo
strò ecc. Addio, da Roma nel giorno XXVII d'agosto 1492 , .
Si sfarzosa magnificenza e pomposi apparati parvero ad alcuni fetire
d'orgoglio Borgiano, e l'attribuiscono all'ambizione d'Alessandro VI smo
data, che profuse a larga mano i tesori, onde soverchiare colle feste ed
115--
ecclissare in isplendore nell'incoronazione i suoi predecessori, e stordire
il popolo Romano. La costanzanon è l'appannaggiodella bugia! Gli stessi
scrittori che affibbiano la più sordida avarizia al Borgia, ora l'incolpano
di spensierata prodigalità ! Obliando essi , che quando si annunciò al
popolo romano la sua esaltazione al papato, questo farnetico corse al pa
lazzo del Borgia e tutto il sacheggio! Poi con tutto l'oro del mondo in sì
ristretti giorni non avrebbe mai il Papapotuto eccitare ne'figli di Romolo
quell'entusiasmo insolito, universale, giulivo pei grandi e pei piccini, se
non fosse stato spontaneo, e se la devozione, l'amore, la contentezza una
nime di loro non avesse ai medesimi somministrato ali, ingegno da at
tuaresi vaghi, sorprendenti apparecchi svariati. Questo popolo sì versatile
ed intrepido nel comporreedaffiggere epigrammi, libellimordenti, sangui
nosi, infami in ogni evenienza e contra qualunque, all'incoronazione di
Alessandro VI cangiata, direi natura, dimenticata la satira, la maldi
cenza, che appunto dall'oro trae vita infesta, non seppe inscrivere, can
tare tranne laudi, inneggiamenti. Nemici dell'innalzamento del Borgia
confondetevi alla verità!
Verità che apparisce vostro malgradodalle pagine del velenoso Diario
del Burcardo, tanto sottilissimo scopritore delle magagne d'Alessandro,
quanto dissimulatore industre e malevole di sue virtù. A noi ora tocca
di mettere in mostra la sua moderazione e modestia, dietro la stessa te
stimonianza del Burcardo :
•Nella domenica seconda d'Avvento celebrandosi con pompalamessa
solenne al cospetto del Papa, a cui fra gli altri personaggi eminenti in
tervenire dovea don Federico d'Aragona, figliuolo del re di Napoli. I can
tori ad esortazione del cardinale vice-cancelliere vollero cantare dopo
l'offertorio una certa lode in onore di Sua Santità, recentemente com
posta : esploratone dal cerimoniere imprima la volontà del sommo Pon
tefice, egli il divieto, permettendo solo che in un altro giorno gliela of
frissero in sua camera senza accompagnamento però di cantori . Così
se la modestia prescrive d'evitare in pubblico i propri encomii, si può
nulladimeno senza offesa della medesima assecondare in privato gli o
nesti desiderii dei sudditi devoti ; a siffatta massima si conformò Sua San
tità ricevendo quell' epigramma di Giovanni Tintore, dottore di legge e
musico, in lode, e gloria di N. S. Alessandro VI Papa, conceputo in
queste parolegloriosissime per esso lui :
Gaude Roma vetus magnis celebrata triumphis
Cui Deus aeternum contulit imperium.
Claris Caesaribus quondam regnata fuisti,
Multo Clarior es subdita Praesulibus
Qui virtute licet nituerunt tempore prisco ,
Haud vincunt aetas quem modo nostra videt.
Sextus Alexander Hispanus origine celsa
Regnat et ufficio fungitur aethereo ;
Qui prudens, justus, constans, pius atque modestus (notisi modestus !)
Pro meritis tanto culmine dignus erat ;
--
116
Eya Christicole Domino persolvite gratas
Quilibet et vestrum mente pia resonet :
Vivat Alexander celebrandus imagine Magni
Fastigio major non probitate minor.
Amen.
Queste iscrizioni bastano per dar un'idea delle altre.
Or questo Pontefice che ascende in mezzo all'eccheggiamento di tanti
etali clamori giulivi sulla cattedra del principe degli Apostoli, oltra i
duecento cinquanta Papi i quali si computano da San Pietro in poi, vo
glion i più degli scrittori che fosse uno, i cui costumi non erano più
castigati di quelli della maggior parte dei sovrani temporali e della più
parte degli uomini del suo tempo: gli s'imputano crimini non già co
munali, come il tradimento, l'incesto, l'avvelenamento, oltre a quello
della simonia, di cui crediamo averlo abbondevolmente sopra purgato.
Gli eretici, gl'increduli con altri scrittori irreligiosi, impudenti o per
lo meno ignoranti, con ghigno satanico, e beffardo pretendono, con esso
lui sia salito sul seggio del grande Pietro un disonore tale, che la san
tità degli altri Borgia, e le virtù eminentissime degli altri successori di
lui non possano scancellare mai più. Il che appare falso da quanto e
sposto abbiamo, e da quello, che verremo refutando, emergerà ancora che
Alessandro VI non fu quell'infame, come, o con maligna compiacenza,
od irreflessione colpevole, o stolta vociferano a piena gola gli avversari,
anche ecclesiastici, della Santa Sede di Roma.
Vi ha certo dell'esagerazione nelle laudi tributategli, ammettiamolo
pure, e noi sappiamo benissimo che le espressioni dei poeti, in simili
contingenze, non debbonsi mai intendere alla lettera. Ma supponendolo
bruttato dalle turpitudini appostegli, noi domanderemo agli avversari
suoi passionati, se il Borgiaperdurò in esse fino all'epoca dell'esaltazione
sua ? E nel caso affermativo lor chiederemo: come va che il popolo gli
prodigò tanti e sì inusitati omaggi e trionfi ? Si può egli immaginare
siasi unanime prestato alla più vergognosa adulazione , onorando così
un uomo cui esso avrebbe conosciuto come un mostro di depravazione e
di scelleratezza ?
Finita l'intronizzazione, avendo il papa ricevuto la pienezza del potere,
benedisse al popolo, secondo il consueto, indi il corteggio rientrò nel
palazzo.
--
117
APPENDICE I.
Oratores, obedientiae et venerationis pensum reddentes, Alexandrum VI,
non vulgaribus laudibus extulerunt, quos comiter ille excepit.
Horum ergo oratorum principum ad Alexandrum VI orationes causas
videre omnes possunt, Angeli Politiani, pro Senensium (1) oratoribus ;
Antonii GaleaciiBentivolii, pro Bononiensibus; Benevenuti de S.Georgio,
pro marchione Montisferrati ; Erasmi Vitelii, pro Alexandro magno Li
tuaniae duce; Gentilis episcopi Aretini, Florentinorum nomine ; Jacobi
Spinolae I. C. pro Genuensibus; Jasonis Maini I. C. pro principe Medio
(1) Ciaconius in Vitis Pontificum, inter legationes ad Alexandrum VI missas et de quibus au
ctor noster non loquitur, illam Senensium recenset his verbis : " Legatos principum, salutandi sui
causa, Romam missos, comiter excepit et inter ceteros, duos praeclaros viros, Angelum Politianum
qui senensium nomine ad eum orationem habuit etc. " Ad confirmandum Ciaconii dictum oratio
Politiani stat, quae legitur in ejusdem clarissimi scriptoris operibus tom. II, pag. 135, Lug
duni 1537. Griphius : Orationem Procerum Europae, eorumdemque Legatorum ac Mini
strorum. Lipsiae 1713, ubi inscribitur : Oratio Angelo Politiani senensium oratoris ad Alexan
drum VI pontificem maximum, cui nomine reipubblicae suae felix faustumque Romanae Ecclesiae
gratulatur regimen, anno 1492, part. 1, p. 132 : Orationes clarorum hominum vel honoris of
ficiique causa ad principes, vel funere de virtutibus eorum habitae. Coloniae 1560, p. 99,
quo inscribitur ». Ad Alexandrum VI Pont. Max. Angeli Politiani pro senensium oratoribus.
Sed contra Ciaconium (ait Gennarelli, cit. loc. p. 267), aliorumque testimonia stant senensium mo
numenta publica. Johannes Antonius Pecci in opere cui titulus : Memorie storico-critiche della
città di Siena, Ciaconium aliosque contradicit iis notitiis in medium allatis. . Ad Alessandro VI
mandavano i Sanesi secondo il costume pei suoi oratori M. Alessandro Borghesi cavaliere, Leo
nardo Bellanti (che fu dal Papa creato cavaliere) Bartolomeo Sozzini, Giacomo Tolomei, Fran
cesco Severini e Mariano Chiesi, i quali, ai 9 di ottobre, accompagnati da 100 cavalli, andarono
a rendere la solita obbedienza ".
Sbaglia dunque il Ciaconio, perchè negli atti pubblici si veggono registrati gli oratori qui nella
storia descritti ; e se pure è vero che Angelo Poliziano fosse dai Senesi spedito, sarà ciò seguito
in altra occasione, perchè molte si presentarono ai Senesi in quel pontificato, e con tutto che da
quelli che fecero al suddetto scrittore le addizioni venga asserito d'aver veduto l'orazione con la
stampa impressa, non s'accorda nondimeno, perchè nella occasione dell'innalzamento d'Alessandro,
furono gli indicati soggetti e non altri spediti ambasciatori.
Sed ego, prosequitur Gennarelli, disputationi et contradictioni finem imponam aliquibus verbis
Petri Criniti (De honesta disciplina, lib. v, cap. 1). " Viri aliquot et doctrina, et in rebus gerendis
prudentia non vulgari, inter orandum exciderunt : sicuti ex populo Senensi Bartholomaeus nuper
Sothinus juris cum civilis tum pontificii consultissimus, qui Alexandro Pontifici Maximo suae civi
tatis nomine gratulaturus in media pro oratione excidit, Quam illi Angelus Politianus dicta
verat ". Norbertus Bonafous in opere suo De Angeli Politiani vita et operibus disquisitiones,
auctore Norberto Alexandro Bonafous. Parisiis 1843.- ne verbum quidem disputationi dedicat,
sed haec tantum in medium adducit : " Ut absolutam tibi Politiani operum offeramusseriem, qua
tuor orationes tantum memorabimus, primam pro Oratoribus Senensium ad Alexandrum VI , etc ,
--
118
lani ; Joannis Lucidi Catanei pro marchione Mantuae ; Marci Montani ar
chiepiscopi Rhodiorum pro magno magistro Rhodi ; Nicolai estensis epi
scopi Adriae, pro Hercule Ferrariae duce; Nicolai Tigrini I. C. pro Lu
censibus ; Petri Carrae, pro Sabaudiae duce; Rutilii Zenonis episcopi
S. Marci, pro Ferdinando rege Italo; Sebastiani Baduarii, pro repub.
Veneta. (V. Vitae et res gestae Summ. Pontificum, in Alex. VI).
Cardinalis Ægidius, qui illis diebus vivebat (In Hist. 20. Saec. M. S.)
haec de illo: Inerat Alexandro VI acerrimum ingenium, inerat solertia,
prudentia, diligentia, et multae efficaciae facundia naturalis, nemo egit
accuratius, persuasit vehementius, defendit pertinacius, cogitando, lo
quendo, agendo, sustinendo... ut ad imperium natus videretur, cibi fuit,
somnique parcissimus... nunquam publica munera obire, numquam ac
cedentes admittere, nunquam cuique pro officio, vel adesse, vel respon
dere recusavit. ,
Adiecit Nonnullos cardinales ab eo creatos insigni
eruditione, magno ingenio, multa virtute praeditos; qui vel momo pla
cere potuissent . (Un vizioso non s'incorona di uomini virtuosi !).
Laudatur etiam a Panvinio in elogio a Nauclero : vir magni animi,
magnae prudentiae, Callistique aemulator appellatur. Ea Janus Vitalis.
• Nomine magnus erat, sed majorBorgia factis,
Cuius dextera enses strinxerit una duos » .
Erasmus Vitellius. Te (magnus Lithuaniaedux) unicum Jesu Christi
vicarium, romanae Ecclesiae et totius christianae religionis Pontificem
maximum recognoscit, cui firmam fidem, etveram obedientiam praestat,
ac perpetuo pollicetur ..
Joannes Lucidus Cataneus. Te (ait Mantuani Marc. orator) coelestis
aulae janitorem, aeternae vitae clavigerum, indubitatum Petri succes
sorem, Domini nostri Jesu Christi vicarium, patrem universorum fidelium,
et Ecclesiae totius magistrumcognoscimus... Tibi supremi rerum omnium
opificis potestas in terris concessa est, te supra mortalem conditionem
honoribus merito prosequuntur, non solum reges et principes, colla sub
mittentes, verum etiam imperatores augusti › .
Nicolaus Tigrinus, lucensium ad Alexandrum orator, a C. Julio Cae
sare Ispaniae quaestore eidem Alexandro VI originem fuissetestatus est,
Andreas Victorellus haec affert.
Et de Alexandro VI Tigrinus orat,
et inter alia dixit : Quis iste tuus divinus, et majestate plenus aspectus?
quid vultus et facies venerabilis ? etc.
Sed inter hos missos legatos principum duos praeclaros viros excepit
Alexander V1, nempe Angelum Politianum, qui senensium nomine, ad
eum orationem habuit, ex qua haec verba sustulimus :
• In Alexandro... formae elegantiam. Sapientia singularis, praestans a
nimi magnitudo, qua mortales crederes omnes antecellere, et aetas ipsa
pariter auctoritati retinendae, laboribusque ferendis idonea, et vigor iste
tuus oculorum, ac vultus , plenaque dignitatis , plana majestatis facies ,
ac totius corporis vivida quaedam vis, et solidum robur; tum istud ipsum
Alexandri nomen omnibus orientis populis formidabile; quod tibi credo
-119
non frustra, sed divinitus adoptasti, magna quedam de te nobis rara,
ardua singularia, incredibilia, inaudita pollicentur. ,
Jasonemque Mainum magnae aestimationis jurisconsultum; ex cujus
verbis discimus in Alexandro VI fuisse formae elegantiam, quae virtuti
suffragium adderet, latam frontem, regium supercilium, faciem liberalem,
etmajestati plaenam, ingenium et haeroicum totius corporis decorem..
Nicolaus autem episcopus Adriae: Alexandri VI faciem venerandam,
ethumana longe augustiorem vocavit.
Petrus Carra jurisconsultus, oratione pereleganti, nomine Caroli ducis
Sabaudiae, Alexandro VI obedientiam praestitit solemni ritu, aliis orato
ribus adstantibus. Cum in Burchardi codicibus desiderentur quae auctor
scripsit a mense junio ad finem hujus anni, non inutile erit hic ex aliis
monumentis aliqua subjungere, ait Gennarelli citato loco , aliis pro ap
pendice adservatis. Plura orator disserens de Apostolicae sedismajestate,
de Sabaudis principibus, nec non de Pontificibus qui Alexandri nomine
appellati, haec addidit, ex testimonio Raynaldi , qui ex oratione typis
edita selegit.
• Pulchrius tibi erit et gloriosus, si (quod omnes autumant) in Turcos
molitus fueris, tequae alterum Alexandrum magnum in orientales illos
reges, et populos Christi hostes ostenderis , ut ( quod maxime omnium
optandum est, futurumque speramus) orientalem cum occidentali ecclesia
conjungas, et te tandem verum Alexandrum magnum, Ponteficem ma
ximum terrarum mundique Regem, et Christi Vicarium omnem omnes
salutent, et adorent. Gentilis ille tuus gloriosae memoriae Pontifex ma
ximus Callistus III, ut primum ad apostolatum assumptus fuit, id mente
concepit, vovitque se perpetuo totis conatibus Turcos et infideles perse
cuturum. Ad eam rem perficiendam ex omni Europa multa mari, terra
que paravit, nonnullas barbarorum insulas vi expugnatas cepit, ingentes
clades hostibus intulit.....
Et infra: Dummajorem molitur victoriam, in ipsius primitiis Sanctis
simus Pontifex ad coelos revocatur, cujus morte sicut interrupta sunt
omnia, ita Turci et barbari maximo metu liberati. Tibi uni nunc hic
honos, haec palma debetur, ut quod patronus Callistus incoeperat, nepos
Alexander felicibus auspiciis prosequendo perficias. Oblata est tibi hoc
tempore insignis occasio rei bene gerendae, quae te magis atquemagis
incendereinflammarequedebet. Celeberrimus Ferdinandus RexHispaniae,
unde tibi nobilissima origo est, postquam barbaros Christiani nominis
hostes bis atque saepius ingenti clade percussit, et trophea saepe nu
mero de ipsis statuit, superiore anno victricibus signis universum Be
thicae regnum illis eripuit, chistianisque restituit. O felicem, divinumque
principem! O clarissimum , et praestantissimum regem cunctis saeculis
literis ac monumentis celebrandum! Hac una Ferdinandi victoria latro
nes illi spurcissimi trepidant, pertimescunt, latebras quaerunt. Proinde si
Redemptoris nostri vexilla te duce moveri, et Alexandri VI signa prae
senserint, tantus eos tui nominis terror invadet, ut facile tibi eventurum
credamus, quod Alexandro magno contigit, cui ab ultimis etiam mundi
--
120
littoribus legationes undique nuntiabantur, quibus cunctae gentes velut
destinat sibi Regi obsequerentur.
• Dum igitur trepidant , tolle moras: nocuit semper differre paratis.
Habes quoque domi, et in his excelsis tectis veluti captivum Zizimun
Sultanum magni Turcorum regis fratrem , maximum certae fortunae
tuae victoriae momentum: is non parvo adjumento tibi exercitibusque
tuis multis rationibus est futurus. Non deerunt, ut opinor, in tamprae
claro divinoque opere christiani principes, potentatus, respublicae: om
nes omnibns viribus, omnibus copiis te sequentur: nihil certa ad eam
rem de futurum tibi video, modo velis, velle autem debes: nec te, mihi
crede, hujus consilii unquam poenitebit. Parata est tibi immortalitatis
gloria, Alexander , modo tu Christi gloriam; a quo tua omnis emanat,
diligenter, ut sperant omnes , inquiras ; nec enim ad cibum, ad potum,
ad titillantem prurientemque corporis voluptatem nati sumus , verum,
ut soles dicere, ad decus, ad dignitatem, ad labores, adjustitiam, ad ae
rumnas etiam pro justitia perferendos: at quae major justitia dici exco
gitarique potest, quam injurias Christo Redemptori nostro illatas ulcisci:
gregem suum a barbaris oppressum , christianum populum Terrasancta
spoliatum, ludibriis et contumeliis affectum, defendere? Cogita, Pater
sancte, quot urbes, quot provincias, quot regna, quot imperia , et supe
rioribus et nostris saeculis barbari christianis eripuere. Nam ut Jeroso
lymam terram sanctam Christi domicilium, et ea omnia loca, in qui
bus salutis nostrae mysteria sunt tractata silentio praetereamus, ut Sy
riam, Phoeniciam, Egiptum, Achajamnostrorum olim Sabaudiaeprincipum
provinciam, ut GraeciametAsiam Minorem, ac innumeras fere provincias
omittamus, horret animus meminisse quas clades nostris etiam tempo
ribus Mahometana rabies populis christianis inflixerit: recens est adhuc
Costantinopolitana calamitas, recentia Euboriae clades, quae sine lacry
mis a christianis audiri vel censeri non possunt.....
Et infra: Age itaque, Alexander, exurge, te ipsum excita , te hor
tare, te verum Alexandrum in orientales illos infideles ostende, nam
Christo duce non minoracerte gesturus est quam Alexanderille magnus,
qui cum nullo unquam hoste, ut legitur, est congressus , quem non vi
cerit, nullam urbem obsedit, quam non expugnaverit, nullam gentem
adiit, quam non calcaverit; sed de his satis. ,
Bernardinus Carthaginensis , et Johannes Pacensis episcopi fuerunt
oratores regis, et reginae Hispaniarum, quibus adjecerunt hi reges ter
tium oratorem extraordinarium Magn. D. Didacum Lopez de Hare licet
desiderentur quid de hac legatione Romae actum sit in Burchardo , ta
men ex Surita aliisque historicis tum hispanis, tum italis , noscitur rex
Hispanus suspectam habuisse fidem Caroli Gallorum regis pro requisi
tione Neapolitani regni; ideo hac, aliisque multis de causis, super juri
bus in novo orbe adipiscendis, legationem hujusmodi misisse (sed istae
causae non fuere pro certo illae a calamo improbo enumerate Stephani
Infessura).
• Hispanus vero (sic Raynaldus ex Surita) metuens ne Carolus Gallo
--
121
rum rex parto, Neapolitano regno, Siciliae insulamveteri jure affectaret,
cumjam se Siciliae et Jerosolymarum regem incardinalium senatu ora
toris Aubiniis voce se appellasset, tum etiam Johannis Aragoniae regis,
qui , Alphonso seniore extinto, ad regnum vocatus fuerat successionis
jure, tum quod ab aliquibus magnatibusinspemNeapolitani imperiivo
caretur, amplissimum oratorem ad Alexandrum misit, utaGallicaillum
amicitia divelleret, contenditque ab eo ne nova in Italia bella concitari
sineret, quia potius dissipatis omnibus intestinis christianorum discordiis
arma sacra in Turcas jungerentur. ,
Hinc si super juribus in orbe novo adipiscendis omniaregibus Hispanis
successerint in votis. Non autem eamdem fortunam legatio eorum obti
nuit quoad res italice, ad declinandam gallicam invasionem a regno
Neapolitano, uti ex historia patet.
Gentilis, episcopus Aretinus, orator Florentinorum edidit orationem ha
bitam nomine Florentinorum ad Alexandrum VI romanum Pontificem
(Parisiis, apud Hieronimum de Marnet 1577 in 16).
Georgius Blandrata, ex Hypporedia, Italus, Bonifacii marchionis Mon
tisferrati, orator Romanus, scripsit orationem, quam habuit Romae. no
mine Bonifacii marchionis Montisferrati ad Alexandrum VI Summum
Pontificem. Sub quo vixisse in dubium revocari nequit.
CAPO UNDECIMO.
Magnanima parlata d'Alessandro VI,
fatta in presenza di varii cardinali a Cesare,
detto poi Valentino.
Quantunque probabilissimo sia che quest'allocuzione d'Alessandro VI,
aCesare suo figliuolo, sia stata fatta fra il tempo che trascorse dall'ele
zione sua al papato alla sua incoronazione; nulladimeno , per non di
sgiungere i capi della creazione ed incoronazione d'esso Alessandro , ci
accomodiamo volentieri il trascriverla dopo questa; tuttochè sia di pro
venienza un poco sospetta, e senta essa della penna d'un Burcardo, d'un
Gordon, d'un Gregorio Leti e simile consorteria, i quali infallantemente
non risparmiarono d'inventare favole indecorose, maligne sottoogni verso,
affine d'abbassare, avvilire il Borgia. Ma come l'ape che dall'amarissimo
timo estrae il dolcissimo mele, così proviamoci altresì noi di torre da
questa parlata alcune riflessioni non ingloriose ad esso Papa.
Cesare, figliuolo di Alessandro VI, giovane ancora, in sur i ventidue
anni circa, stava nello studio pisano con altri giovani nobili , vescovi e
cardinali, secondo l'uso di quel tempo: saputa l'elevazionedel padre suo
al pontificato, volò per le poste a baciargli il sacro piede; e gli scrittori
(Diarium Burchardi, ab Achille Gennarelli aequite, etc., etc., ablecto, etc.
Florentiae, ann. 1855, pag. 211, not. column. 1, vers. medium et seq.) ci
--
122
riportano la parlata fattadaAlessandro VI pubblicamente aCesareBorgia
in presenza di molti prelati insigni, in quella che gli stavaginocchione
innanzi. Parlata memorabile, che ci dipinge quale fosse e volesse essere
Alessandro, e ci porge un'idea delle sue alte mire, alle qualisenonpotè
poi con tutta purezza pervenire, abbiamo fondato argomentoche debba
sene accagionare assai più la tristizia dei tempi, che non il suo cuore ,
per quanto ne schiamazzino in contrario i nemici suoi.
•Ben ci persuadiamo, Cesare , dicevagli il Santo Padre, che vi siate
singolarmente rallegrato per questo grado sovrano, a cui la bontàdi
vina è rimasta contenta di farci ascendere oltra ogni nostromerito. Ve
n'è dovuta la contentezza per nostro rispetto , come in contraccambio
dell'amore che vi abbiamo portato e vi portiamo. Vi è dovuta per vo
stro interesse, poichè potete promettervidi riceveredalla nostra mano quei
benefizi, di cui le vostre buone parole vi renderanno meritevole; il che
a' giorni d'oggi non è poca, nè ordinaria fortuna. Ma se le vostre con
tentezze (l'istesso diciamo ai vostri fratelli) si sono innalzate con più va
sti e meno regolari disegni, vi hannoingannato, e ve ne troverete deluso.
•Abbiamo aspirato, il confessiamo, forse con smoderatezza alla sovra
nità del pontificato, ed abbiamo tenuto per arrivarvi tutte quelle strade
che à saputo rintracciare l'umana industria (1), solo perchè ci siamo fi
gurati, giunti che noi vi fossimo, di camminar così direttamente per le
vie che conducono al miglior servizio di Dio e allamaggior esaltazione
di questa Santa Sede, che in una gloriosa memoriadei nostri giusti an
damenti, cacciata ogni nota degli errori passati, e venisse esposto ai no
stri successori un sentiero per cui, non volendo dietro le vestigie degli
antichi procedere da santi, potessero almenosopra le nostre pedate cam
minar da Pontefici.
• Iddio che ci à secondati neimezzi, richiededa noi l'adempimentodel
fine ; e noi siamo pronti asoddisfare aquesto gran debito, perchè non vo
gliamo necessitarlo ai rigori della giustizia con le nostre fraudi. Un solo
impedimento potrebbe attraversarsi a questabuona intenzione, il troppo
interessarci ne' nostri interessi , ma questo siccome siamo risoluti di te
nere lontano dal cuore edi schivarloalpossibile, così preghiamo Dio che
ci tenga la mano sopra acciocchè non v'inciampiamo, giacchè non vi
può inciampare un Pontefice senza cadere, nè cadere senza un grande
danno di questa Santa Sede.
• Piangeremo fin che avremo vita le colpe che ci fanno aver espe
rienza di cotal verità, e piaccia a Dio che la felice memoria di Callisto
nostro zio non porti ancor oggi più di quelle, che delleproprie, le pene
nei cruciati del purgatorio. Egli era ornato di ogni virtù e colmo di
santissime intenzioni , ma amatore dei suoi e di noi sopra ogni altro ,
(1) Vie ed industrie di un ordine estraneo a Simonia, come dichiara il medesimo Pontefice A
lessandro VI dicendo più sotto che Iddio ci ha secondati ne' mezzi per conseguire il Papato,
certo che intende che quelle strade cui ha saputo rintracciare l'umana industria non sono si
moniache e viziose, perchè non da Dio, ma dal demonio sarebbero state suggerite.
--
123
onde, lasciandosi reggere ciecamente da questo affetto , anzi da quelli
dei congiunti, che erano pur troppo divenuti suoi proprii , accumulò in
poche teste e forse men degne, quei benefizi che dovevano rimunerare
il merito di molti; pose nella nostracasa que' tesori cheononbisognava
congregare adispendio dei poveri , o faceva mestieri di convertire in
miglior uso.
•Smembrò dallo Stato ecclesiastico il ducato di Spoleto ed altri ric
chi dominii, per concederli anoi in feudo, ed appoggio sopra lanostra
debolezza la vice-cancelleria, la prefettura di Roma, il generalato della
Chiesa, e tutti gli altri incarichi più autorevoli; i quali doveano essere
conferiti giustamente a quelli che per meriti rilevanti ne erano resi più
capaci; vennero dalui promossi a nostra contemplazione alle dignità
supreme certi tali che non possedevano altra condizione per ascendervi
cheil nonpoter riconoscere lalorofortuna da principiopiùdegno della
nostra beneficenza, e tenuti addietro gli altri , ne' quali i molti e pre
clari meriti ci rendeano sospetta la dipendenza.
•Per ispogliare Ferdinando d'Aragona del regno di Napoli, si accinse
ad una arduissima guerra , di cui un esito fortunato non era per risul
tare che a nostra grandezza, ed un evento infelice non poteva arrecare
che scorno e detrimento notabilissimo alla Santa Sede. Insomma lascian
dosi egli governare da chi con ordine pervertito ordinava il pubblico
governo al proprio privato interesse, pregiudicò non poco aquesta Sede,
allasua fama, e, quel che più è rilevante, alla propria coscienza.
•E pure (ogiustissimi giudizi di Dio ) perquanto egli vi si adoprasse,
non potè stabilire in guisa la nostra fortuna, che in aver lasciato vuota
la sede pontificia , questa non desse volta, e non ci lasciasse in abban
dono ad una indiscreta furia di popolo ed agli sdegnivendicativi di quei
baroni romani che si chiamavano offesi da alcune nostre particolarità
alla fazione avversa. Onde non solo ci convenne cader precipitosamente
dalla più rilevata parte delle grandezze e degli Stati a noi donati, ma,
per non perdere con quelli la vita, sottrarci per qualche tempo con un
volontario esilio, e di noi e degli amici, dall'impeto di quella commossa
burrasca. (Dove adunque le sfondate ricchezze dei Borgia !).
•Daquesta prova fummo resi accorti che, sapendo Iddio deludere gli
umani disegni quando sono meno che giusti, è grande errore dei Pon
tefici lo studiare più al bene di una casa che può durare pochi anni ,
che aquello della Chiesa che deve essereeterna; ed ègran follia di quei
politici che avendo il maneggio di un dominio che non à da essere e
reditario per essi e pe' successori loro , ergono gli edifizi della propria
grandezza sopra altri fondamenti, che di eroiche virtù esercitate a pro'
di tutti, e si promettono altronde la durevolezza della loro fortuna , che
dal non far nascere dalla calma i turbini che possono loro muovertem
pesta, cioè a dire i nemici ; il solo oprare da senno d'uno dei quali più
danneggia di quel che giovino le dimostrazioni fallaci di cento amici.
Se voi e i vostri fratelli v'incamminerete per questo lodevole cam
mino di cui vi additiamo la scorta, non desidererete aiuto dalla nostra
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manoche non vi venga prontamente prestato, maseprocedendopervie
meno che virtuose, penserete che la nostra affezione abbiada farsi mi
nistra dei vostri disordinati interessi, la prima vi renderà accorti che
siamo Pontefice per la Chiesa, e non per la casa, e che, come vicario di
Cristo, vogliamo oprar ciò che Egli dispose a pro de' cristiani, non quel
che disporrete voi a pro di voi.
Questa magnanimaparlata pubblica ed ingenuadi Alessandro VI, non
dacircostanze imperiose dettata, ma spontanea uscendo di suo labbro
pontificale, bisogna confessare che fossefiglia di un cuore nobile, schietto
egeneroso, che umile rivela i proprii falli, e palesemente li riprova, se
condo il celestial dettame registrato nel libro divino dei Proverbi , сар.
XVIII, 17, Justus prior est accusator sui: Il giusto è il primo ad ac
cusar se stesso. Atto questo sol degno di un'anima sublime, la quale
dichiara solennemente che i sentimenti cui davvero allora nutriva, sa
rebbero per l'innanzi di continuo tali quali li manifestava candidamente
in quel punto ; gl'ipocriti schifosi non sarebbero unquemai capaci di so
miglianti confessioni eroiche ! Quindi, se i propositi d'Alessandro VI non
vennero attuati pienamente, secondo prometteva, ragguardo al politico
governo (poichè quanto alla Fede fu lodevolissima la sua reggenza) , fa
d'uopo conchiudere aver fallito a'suoi disegni le circostanze, i tempi, gli
uomini, e forse più di tutto il breve suo pontificato ; chè , del resto, un
risultamento ancora assai più prospero pel dominio temporale della
Chiesa non solamente , ma dell' Italia intera sarebbesi conseguito. Ma
stava scritto ne'cieli a caratteri indelebili che non sorgesse libera Italia !
Fa d'uopo parimente conchiudere che, se scrittori ostili aiBorgianon
avessero male interpretato le intenzioni d'Alessandro VI, stravoltele ed
esplicatele in pravo senso, ben lungi dal ravvisare in essolui un fedi
frago, un tiranno, un vizioso, ammireremmo anzi un santopontefice, un
principe assennato e d'animo veramente italiano, superiore in eccellenza
aquanti allora si annoveravano. E se apparve talvolta rigido e severo,
egli è perchè così richiedea altamente il salvamento di parecchie pro
vince di Romagna: non fu più aspro di quello che si mostra la mano
d'Ippocrate, che inesorabilmente col ferro ecol fuoco tronca od ammorta
il cancro per salvar la vita. Quanto verremo di mano in mano nei sin
goli capi esponendo, appianerà questo nostro pensamento.
CAPO DUODECIMO.
Elezione di Giovanni Borgia il Seniore in cardinale,
fatta da Alessandro VI.
Dappoichè ebbero i nemici d'Alessandro VI malignato sulla elezione di
lui , senza frapporre indugio, alla taccia di simonia fanno tener dietro
quella di fredifrago, perchè contra la convenzione fatta egiurata incon
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clave, di non promuovere niuno dei suoi consanguinei alle prelature,
avesse subitamente nominato cardinale-prete col titolo di santa Susanna,
il 30 agosto 1492, Giovanni Borgia il Seniore, Valentino, di Spagna, ar
civescovo di Monreale, protonotario apostolico e correttore delle lettere
apostoliche, ecc , ch'era figlio d'una sua sorella, epperciò nipote. Ma di
questa costituzione, nel conclave formulata, il Burcardo, attento annota
tore di quanto possa essere indecoroso ai Borgia, non ne faparolaasso
lutamente; e se veramente avesse esistito, avrebbela questo critico sfre
nato passata sotto silenzio? Mai no!
Pure soggiugnesi: essa va girando per le pagine di parecchi autori :
èvero, nol neghiamo; ma dissimilmenteconceputa, secondo lorotalenta,
il che induce grave sospetto di supposizione fraudolenta. D'altronde il
Gennarelli, che ne arricchisce pure il suo Diario burcardiano, pag. 215, е
cita in altre cose minutamente gli autori e le opere d'onde trasse i suoi
documenti, si accontenta d'allegarla senza citazione di sorta; nella quale
bisogna manca egli certamente, perchè volendo esso, coi precedenti, muo
vere di siffatta creazione colpa di spergiuro , avrebbe dovuto fulcire la
Bolla di tutte le consuete e debite citazioni ed autenzie , acciocchè essa
non appaia suppositizia.
Riportiamola per intero tale quale la trascrisse egli, ed anche ammessa
quella costituzione firmata da voto e giuramento, non obbligatoria pel
Papa, rileveremo dallalettura di essa che AlessandroVInon fu fedifrago,
nè spergiuro; perchè da quella risulta che i medesimi cardinali, i quali
aveanlo a ciò obbligato, furono dessi che neloassolvettero, esortandolo,
almeno lamaggior parte, alla nomina in cardinale di quel suo nipote
Johanni tit. S. Susannae presbytero cardinali.
•Auctoritate apostolica tenore praesentium attestamur, et fidem faci
mus, ac declaramus nos sic promittendo, jurando et vovendo menteges
sisse contenta in promissione, juramento et voto praemissis firmiter ob
servare et adimplere, nisi nobis de eorundem fratrum, seu majoris partis
eorum consilio videretur ad tui etiam sic qualificati in cardinalem as
sumptionem fore procedendum, nosque ad ejusdem voti, promissionis et
juramentis observationem sub dicta conditione, et non alias obligasse ac
teneri voluisse, licereque nobis ad tui in cardinalem assumptionem pro
cedere, voto, promissione et juramento praedictis minime refragantibus,
et pro potiori cautela ad obstruendum ora sic asserentium , qui de hu
jusmodi declarationis nostrae in his viribus et sufficentia adhuc haesi
tarent, nos ipsos de simili consilio et assensu, et apostolicae potestatis
plenitudine, quo ad tui assumptionem praedictam dumtaxat, a voto, pro
missione et juramento praedictis, si et quatenus expediat, absolvimus, ac
decernimus ad probandum plene hujusmodi nostram et eorundem fra
trum nostrorum in sic vovendo, promittendo, ac jurando necessitatem et
intentionem praesentes literas sufficere, et alterius probationis admini
culumnonrequiri, etc.Dat.Romae, apudSanctumPetrum, anno Mccccxcи,
kal. septembris. ›
Daquestabolla impertanto emerge chiaro in prima: che quei porpo
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rati, i quali aveanlo spinto acotal giuramento, poscia lo persuasero del
contrario; secondamente: che il voto e il giuramento fu pronunciato
colla precisa eccezione di procedere all'innalzamento del suddetto nipote;
terzo: che in prova della liceità e validità della nominazione, gli spe
diva somigliante Bolla, che per se sola era valevolissima a chiudere la
bocca ai chiosatori mordaci.
Aquesta risposta, noi mediocri canonisti, soggiugniamo all'istesso Gen
narelli quanto egli saviamente già riferì adiscolpad'InnocenzoVIII in con
simile accusa(Diar. Burch , p.34, n.1)nonmenocheatutti quelli i qualian
faneggiansi per iscreditare la promozione d'Alessandro VI fatta: Che
immeritamente si lagnano essere stata dal Papa commessa una frode,
perocchè debbesi por mente, secondo il Rinaldi, che non sarebbe quella
stata una legge, ma una corruttela indotta a rovinarelaponteficale po
testà; che non è unquemai permesso nè ai monarchi, nè aicesari, molto
meno agli urbani magistrati, imporre al sommo gerarca, che sta per
impugnare le redini della Chiesa, delle leggi sur i sacerdozi daconfe
rirsi. La sarebbe per fermo cosa strana che i cardinali avessero voluto
con leggi legare il Pontefice futuro, quando èconto che dallaBollad'In
nocenzo VI e dal diritto pontificio non si può coartare l'autorità del
Pontefice, e che i cardinali, essendo di pastore vedova laChiesa, nongo
dono d'altra autorità salvo quella di dare un novello Antiste all'orbe; e
sarebbe cosa presso che inesplicabile, se il collegio di quei porporati, sì
eminenti per pietà e dottrina, come abbiamo provato, avesse cospirato
contra le bolle e le costituzioni dei Pontefici. ,
Ragioni queste le quali il discolpano anche per lepromozioni ulterior
mente fatte di altri suoi agnati.
Di tale maniera impertanto Alessandro VI, negli stessi primordiidi suo
pontificato, il giorno trentesimo d'agosto 1492, iniziò il suo primo con
cistoro colla creazione di quest'unico cardinale, suo nipote per parte di
sorella, Giovanni Borgia. Del merito e delle azioni di lui parleremo ap
positamente in altro capitolo, unitamente a tutti gli altri cardinali no
minati da questo Gerarca.
CAPO DECIMOTERZO.
Atti lodevoli e salutevolissimi d'Alessandro VI, sul principio del suo pon
tificato, pel buon governo di Roma.
Lacondotta che aveva tenuta in prima d'esser papa il Borgia , e che
mantenne ancora sul principio del suo pontificato (scrive il continua
tore del Fleury, noto per la sua antipatia contro ad Alessandro VI) , la
dolcezza, la moderazione, le ordinanze sagge da lui stabilite per l'ammi
nistrazione della giustizia e pel sollievo dei popoli , facevano concepire
grandi speranze.
-127
Quindi, quasi pentitosi il buon Fabre di siffatto elogio meritevolmente
dato ad Alessandro VI, abbandonandosi egli al Mariana, alGuicciardini,
tira giù alcune pennellate ad esso assai svantaggiose, non solo garga
gliando che cambiò egli presto di linguaggio e di sentimento nella sua
condotta, ma che si brutto in colpe tali, che invero durerà fatica lapo
sterità a credere che un uomo, il quale aveva sostenute le più onorevoli
cariche della Chiesa avanti la sua promozione , e che aveva dall'altro
canto tante eccellenti qualità, abbia potuto oscurarle con tanti vizi, da
far ispargere lacrime per questa elezione a Ferdinando re di Napoli,
principe che aveva molta esperienza, e che sin d'allora prevedeva tutto
quello che si doveva temere nell'avvenire !
Innanzi tutto rispondiamo, che se Alessandro VI deposé la dolcezza e
lamoderazione, fu perchè antivide, da accorto qual desso era, che tor
nava questa disutile e perniciosa al buon regime dello Stato. Quegli ol
tracotanti feudatari suoi, sitibondi di rapine e di stragi, dovevanoadunque
lasciarsi sempremai liberi a soverchiare ideboli, acorrere sfrenatamente
di scelleratezza in più immane scelleratezza ? Continuando costoro ad
imperversare, doveva il Pontefice con riprovevolissima connivente dab
benaggine assecondarli? E dove mai si legge, fidentemente noi pronun
ciamo, che Alessandro VI sia stato immisericorde verso del povero e del
l'afflitto ? Dove, che non abbia costantemente governato la Chiesa con
saviezza e pietà somma? Era Papa-Re, doppio compito da attuare!
Ètanto conto che, asceso il Borgia sulla cattedra di Pietro, converti.
ogni suo pensiero alla gloria di Dio ed alle bisogna della città, pubbli
cando incontanente i più saggi editti per l'amministrazione della giu
stizia e pel sollevamento de' popoli, che l'istessa lurida biografia d'esso
Alessandro VI, uscita nel 1853 dall'officina della Gazzetta del Popolo, in
Torino , dall'evidenza sopraffatta, fu costretta a confessare che : diè
provvedimenti per l'annona, e forni Romadi tanto pane e vettovaglie,
che i vecchi non si ricordavano altrettanto.
•Mise buon ordine nelle limosine, cui fece erogare copiose ai poveri
dei diversi rioni della città. Curò la giustizia con mano sì ferma, che a
nessuno operaio venisse la sua mercede negata o ritardata, e pose a so
praintendere alla giustizia quattro dottoroni di grande fama, di senno e
d'integrità, i quali conoscessero di qualsivoglia causa criminale. E sic
come sotto papa Innocenzo VIII erano corsi assai disordini, e durante la
sua ultima infermità erano state ammazzate in Romameglio di 220 per
sone, così, per incutere un salutare timore, volle che inavvenire la pu
nizione seguitasse pronta il misfatto.
•Onde, avendo un certo Salvatore (narra il Burcardo nel suoDiario),
figliuolo di Tuzio dello Rosso, il di terzo di settembre 1492, in mezzo del
campo diFlora, insultato Domenico Benavveduto, nemico d'esso, col quale
nulladimeno viveva sotto la malleveria di cinquecento ducati , con due
botte il percosse e sì létalmente ferì, che n'ebbe a basire. Nel giorno im
mediatamente seguente il Papa ingiunse ai Conservatori di Roma ed al
popolo il diroccare e spianare la casadel micida fuggiasco, e nell'istesso
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128
dì il complice Girolamo, fratello di cotesto Salvatore, ad istanza dell'as
sassinato Domenico, venne impiccato. Così nel quarto giorno di lui fu
presa vendetta, il che (conchiude il Burcardo) hassi da credere non sia
avvenuto senza disposizione di Dio. Il Papa cassò dai fideiussori la pena.
• Nè però trascurò le carceri, dove soventi volte l'innocenzapiange, e
nominò parecchi visitatori, i quali dovessero continuamente udire i giusti
lamenti de'carcerati, e render loro ragione.
•Oltracció spalancò le porte del palazzo a tutti, ed a ciascun martedi
della settimana accoglieva uomini e donne con maestà benigna, o com
ponendone speditamente i piati, o dando sentenza d'assennato giudice.
Se ne cominciò pertanto ad amministrarsi nella città la giustizia rigo
rosissimamente ed in ammirabil modo, e fecesi estimarepontefice severo
dai grandi, ed affabile abbastanza dagl'infimi.
•Ed ataluno che il pregava di sostare dal gran travaglio per cura
della sanità, rispose, che era papa per governare e non per governarsi;
e per essere quello imperio elettivo, poco importare ch'egli mancasse.
Giusto estimatore degli uomini valorosi (fosse pure imitato ) li cercava e
manteneva con grande onore a spese dell' erario pubblico ; e Roma di
ventò inbreve onorato ricetto dei personaggi più virtuosi della cristianità.
• Questi suoi modi, se da un lato gli guadagnavano l'affetto del po
polo, dall'altro gli suscitavano contra le inimicizie pepotentibaroni, av
vezzi in Roma a fare del libito la legge loro. Ond'egli uscì talora per
dir messa e cantare le litanie in mezzo ad una folla di cavalieri armati
di lancia, di scudo e di corazza. Afforzò il Castel Sant'Angelo e quella
parte delle mura che guardano il palazzo papale (ed una porta è tut
tora insignita Alexander VI Papa fecit), esoldando cavalli e fanti, trat
teneva intorno a Roma più di quaranta squadre di soldatesche, le quali
cagionavano assai timore ».
Se pianse il caparbio Ferdinando re di Napoli, ne ebbe ben d'onde ;
perocchè questo volpone canuto prevedeva in Alessandro VI un pontefice
atto a fargli scontare le sue ingratitudini verso dei sovrani gerarchi
commesse, e a rintuzzare quella sua fiera oltracotanza si ostile allaChiesa.
Da ultimo, gli autori dei quali si valse il Fabre per dare quelle atre
pennellate sulla fama del Borgia, sono non solamente sospetti di mala
fede, chè anzi vennero in grido di maligni detrattori.
Del resto, ben lungi dallo sprezzare Ferdinando il novello Pontefice,
egli fu il primo de'monarchi europei cattolici che inviassegli per so
lenne ambasciatore a complimentarlo di sua esaltazione il proprio fi
gliuolo, il principe Federico, secondo ciò che ci narra l'istesso Burcardo
nel suo diario, di che noi dovremo più sotto appositamente toccare.
Non si tenne pago Alessandro VI di mostrarsi sollecito amministra
tore di giustizia, e provveditore attento sur i bisogni de' sudditi suoi,
ma volle altresi porgere argomento indubitato all'alma città di Roma
ed all'orbe cattolico quanto apprezzasse egli la pietà e la santità.
Sentiva cordoglio amarola Chiesa pel trapasso da questa all'altra vita
avvenuto in Terni il giorno decimoquarto di settembre 1492 del cardi
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129
nale MatteoGerardo, patriarcadi Venezia, inquellache ritornavadal con
clave alla sua sede; perdita grave! la quale stavasi addoppiando per la
deliberazione ferma del cardinale Ardicino della Porta di svestirsi della
porpora sacra, giusta l'impetrata facoltà da Innocenzo VIII, e nascon
dersi fino alla morte nell'eremo di Camaldoli: ma accortisene i cardinali,
ed avvertitone Alessandro VI, nell'atto istesso in cui usciva travestito ed
incognito dalla città di Roma, con senno il più lodevole il rattenne, ed
irremovibile perquanto pianto spargesse, il costrinse a rimanervisi, dove
seguito ad essere l'esempio de' buoni ecclesiastici fino alla morte sua, la
quale l'incolse l'anno seguente.
Ora l'avere il Papa voluto tenere colla sua volontà energica un mo
nitore si santo e rigido al fianco suo, mostra ad evidenza quanto esti
masse la virtù, e non ne temesse lo splendore: contatto che fuggono mai
sempre i permalosi ed i facimali.
Non dissimuliamo, no, che il Panvinio scrisse non esservi mancati nel
conclave alcuni cardinali, i quali, conoscendo quanto fosse Alessandro VI
nel segreto simulatore eccellente, abbiano predetto essere stato molto
alla cieca eletto Pontefice, e dover essere una grande rovina di tutti ; e che
difatto taluni di coloro, i quali promossero quest'elezione, abbiano sen
tito non guari dopo varie calamità, altri d'esiglio, altri di crudel pri
gione, altri condannati a violente morti. Ma quale fede si merita mai il
Panvinio, scrittore napoletano ed astioso ragguardo ad Alessandro VI ?
Non vi sarebbe paradosso in questa sua affermazione? Come mai i car
dinali, subitamente, spontanei, in numero di ventidue, secondo lo stesso,
cioè unanimi, meno forse il soloGiovanni de' Medici, abbiano dato il voto
al loro carnefice ? Ciò è improbabilissimo ! Tanto più apparisce falsa la
asserzione di lui, quanto che quei fatti suddetti di sevizie si spiegano, si
mitigano, si rigettano, si dimostrano inconsentanei al vero. Il che ver
remo man mano operando coscienziosamente.
Siamo pure indulgenti verso degli avversari che (Rivista e Biblioteca
contemporanea. Torino, 1854, anno I, fasc. 4, cap. 6, pag. 298 e 299) : il
forte ingegno e la simulazione profonda succeduta alle giovanili intem
peranze del Borgia, abbiano adunque allucinato, in parte sedotto l'animo
degli elettori : ma di lui, pontefice, rumori troppo vaghi sul principio, si
tradussero in fatti sotto la penna, ed il lungo ripetersi delle fazioni po
litiche, alle quali appartenea il parzialissimo Guicciardini, che esordiva
la sua Storia dall'anno 1493 appunto.
• Noi deploriamo i vizi ovunque siano, ma ricordiamo i tempi corrot
tissimi, le atroci politiche, e più di tutto il divino consiglio di non al
terare le condizioni della personale e privata libertà nelle individuali
azioni dei Papi, frenandola tuttavia con perenne assistenza a non dover
mai corrompere l'autentico magistero delle anime; dandoci a venerare,
non l'uomo che pecca, ma il Vicario che Iddio tiene nella destra sua ; e
con ciò fortificando il merito della fede, cui l'Onnipotente regge dall'alto,
quando le tempeste minacciano d'affondarla. Ricordiamo le azioni del
9
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130
principe doversi separare dalle azioni del pontefice, in quell'età special
mente che univa il decimoquinto al decimosesto secolo.
•In quel vigoreggiare delle monarchie circondanti l'italica penisola,
già divenute centri e leve possenti alle grandi opere della politica, ed
all'incontro, in quel battagliare e infievolirsi delle potenze italiane per
divenire pasto più facile alla straniera ingordigia; se giusto è il preten
dere più retto ed elevato senno nel principe romano, non veggo però
che la qualità del Pontefice debba rendere infallibile lapoliticadel prin
cipe temporale, nè che a questo disconvenga l'usare nel tempiola stola,
e sul trono la spada. Anzi, a danni dell'Italia concorrendo allora le fa
zioni interne colle esterne aggressioni, e involgendo quelturbine lo stato
pontificale, era pure necessario che maggiore estensione e intensità pi
gliasse allora la politica dei papi; come ci faranno intendere il rispetto
civile del papato e le parti sue nelle sorti, o prospere od avverse, delle
cose italiane .
La è cosa indubitata, che la nuova di questa elezione essendosi sparsa
per tutta l'Italia, fu dai differenti principi sentita diversamente, per es
sere allora la penisola nostra già da lunga pezza che troppo in preda
alle più violenti commozioni, figliuole d'intrighi e di dispute tra pei pic
coli sovrani dei numerosi stati in cui era divisa! Il carattere dell'eletto
Pontefice era conosciuto, ed era sicuro ch'egli avrebbe saputo mantenere
i diritti inalienabili della Santa Sede, far rispettare la sua autorità, ed
indurre al dovere i ribelli.
Tutti, scrive Guicciardini, avevano in alta stima la prudenza diBorgia,
la sua perspicacia rara, il suo vedere profondo, la sua eloquenza grande
quanto esser potea, la sua incredibile perseveranza, la sua attività, la sua
infinita destrezza in ogni sua intrapresa. Dopo di che lo storico asserisce
ciò che quasi tutti hanno ricantato dopo di lui, cioè che queste belle
doti venivano oscurate in Alessandro VI da vizi troppo più grandi. Non
è questo il luogo di esaminare una tale affermazione: noi la cribreremo
in appresso, con quella filosofia propria della vera storia.
CAPO DECIMOQUARTO.
Dissidii tra per papa Alessandro VI e per Giuliano della Rovere, cardi
nale di San Pietro, accagionali da Don Federico, figlio di Ferdinando
re di Napoli.
Non erano ancora trascorsi due mesi dall'innalzamento di Alessandro VI
alla cattedra del Principe degli Apostoli, che Giuliano della Rovere, car
dinale di San Pietro in Vincoli (poi papa Giulio II), si scartò da Ales
sandro VI per alcuni dissidii in apparenza di niuna importanza; ma che
produssero col tempo conseguenze spiacenti; a coteste divergenze ag
giunsero gravità le viete già avute tra il Borgia quand'era ancora car
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131
dinale, etra l'istesso Giuliano, le quali stettero per un pezzo assopite, ed
ora s'inasprirono talmente queste contestazioni, da non potersi più ac
quetare nè sbarbare. Due animi inflessibili si urtavano!
Questa disunione clamorosa tra siffatti animi alteri fu accagionata
dalla venuta in Roma dell'ambasciatore del re napoletano per compli
mentare il Pontefice, come ci racconta il ciarliere Burcardo, al quale noi
possiam dar credenza senza peritare, trattandosi d'Alessandro VI, per cui
non ha presso che mai miti parole.
•Nell'anno 1492 (costui adunque scrive), nel mese di dicembre, alcuni
giorni avanti il Natale del Signore, Don Federico, figliuolo del re Fer
dinando, in qualità d'ambasciatore del padre, sen venne a Roma per pre
stare l'obbedienza, e vi si portò molto sontuosamente e ben ornato. Egli
fu con grande onorificenza ricevuto dal cardinale di San Pietro in Vin
coli, il quale l'accolse con tanto onore e magnificenza, e il sostenne per
alquanti giorni, che appenasi può ripetere (il Santo Padre usò pure verso
di questo principe i più dilicati riguardi).
•Narrasi, che il suddetto Federico tra le altre cose avesse domandato
nel concistoro al papa Alessandro d'astenersi dalla dispensa del matri
monio, cui avea richiesta il re di Ungheria, il quale voleva far divorzio
con Leonora sua consorte, e figliuola del re Fernando, perchè non otte
nesse da costei prole, e voleva sposare la figliuola del duca di Milano,
e sorella d'Ascanio cardinale milanese; il perchè, affin di conseguire so
migliante dispensa, si offerivano molte migliaia di ducati.
•Divisando Sua Santità d'accordare una talefacoltà, sorsero molte al
tercazioni fra di essi; talmenteche, come si dice, Federico se ne parti irato,
epermare si recò ad Ostia. Il cardinale di S.Pietro in Vincoli veleggiò
seco lui, che, come si vocifera, per averfavorito detto re, diventò nemicó
al Papa per siffatta maniera, che non volle più ritornare in Roma , ma
si stanziò nella rocca della città di Ostia, bene armato e munito , quasi
che aspettasse contra sè un accampamento , e si astenne di ricomparire
inRoma .
Bisogna pure che questi rancori si accendessero gravemente in quei
petti di bronzo, poichè il medesimo Burcardo subito prosegue : Avendo
quandochessia il Papa Alessandro destinato d'andare a pranzare nel pa
lazzo di San Giovanni della Magliana, già edificato ed ornato da Inno
cenzo, ed avvicinatosi al luogo, quelli che vi si trovavano per allestire
il desinare , avendolo veduto appressarvisi, per giubilo spararono una
grossa bombarda; al cui rombo intimorito incontanente il Pontefice, seb
ben digiuno, retrocedè , e ritornò nel palazzo di San Pietro, perocchè,
come egli stesso manifesto, temette che quella bombarda fosse un segno
dato al cardinale di San Pietro in Vincoli per sorprenderlo in detto sito.
Enon volle entrarvi, ma senza frapporre indugi, contutta la sua comi
tiva, non senza grave incomodo d'essa per essere ancora ognundigiuno,
rientrarono in Roma .
Or giova osservare: se Alessandro avesse porto a Giuliano altri motivi
di dissapore, il Burcardo , non avrebbe per certo omesso di scriverli e
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132
chiosarli & modo suo; quest'è il primo chesiasipresentato. Dobbiam noi
imputare al Santo Padre la colpa della diserzione di quell'anima belli
cosa di Giuliano? Maino! Anzi, per contro, dobbiamo incolparne la forte
animosità d'esso Giuliano, se vogliamo essere imparziali. Alessandro era
Pontefice, non doveva in concistoro sentirsi impor legge, in cose rag
guardanti esclusivamente la Chiesa, dal superbo sovrano di Napoli, che
già fin sotto d'Innocenzo VIII e Sisto IV avrebbe voluto disporre a proprio
talento dello Stato Romano e delle istituzioni ecclesiastiche. Quindi si go
vernò da pontefice, e reputò essere di sua dignità il resistere all'oltra
cotanza napoletana, indecisioni di suo pien diritto.
Giuliano era uomo : epperciò parteggiò da uomo per chi altercava col
Pastore supremo; ebbe egli torto a far scissura , e tanto più torto per
aver seguito il principe aragonese , e per essersi fortificato nel suo ve
scovato d'Ostia contro al suo Gerarca, il quale che non disse , che non
operò per indurlo a restituirsi alla pontificia Corte, desiderando somma
mente che andasse a Roma, offerendogli per sicurtà la fede del collegio
dei cardinali, di Ferdinando re diNapoli, edei Veneziani ? Inutilmente !
(Guicciardini, Storia d'Italia, lib. 1, cap.11). Ma egli, invece d'ubbidire alla
voce del suo Pastore primario, rispondeva : Giuliano, Giuliano, non fidarti
delMarrano ; contaleappellazione ingiuriosa soleva definireAlessandro VI,
epaventandonesempre più la crescente indignazione, trasmigrò in Francia,
pauroso d'essere attrappolato dalle melliflue parole e minacce di lui ; vi
domicilio fino alla morte del Papa (Guicciardini, Storia d' Italia). Giu
liano, divenuto Papa, avrebbecerto operato quel che disapprovava inAles
sandro VI; ma Giuliano cardinale operava, come dicemmo, da uomo.
Quel matrimonio stretto con la figliuola di Ferdinando era stato invali
damente contratto , come più sotto ammette poi l'istesso Burcardo (1) ;
epperciò dirittamente operava Alessandro VI.
Nè dissimilmente dicasi di Raffaele Riario, il quale stettesene in vo
lontario esiglio dieci anni, solamente perchè era divenuto sospetto al
Papa per cagione di Forli e d'Imola, cui il Pontefice avea giustamente
tolto ai figliuoli del conte Girolamo Riario, stretti parenti ad esso Raf
faele. Questo suo bando fu spontaneo, e spiacevole al Santo Padre.
(1) Burchardus in Diario : Feria tertia, VIII januarii 1493, hora vigesima, fuit congregatio sive
convocatio omnium cardinalium ab ea usque ad tertiam horam noctis, in qua in pontificis prae
sentia fuit disceptatum super dispensatione quam serenissimus Wladislaus Ungariae et Bohemiae rex
(qui alias ad regnum Bohemiae, quod tune nondum fuerat assecutus, aspirans, ut illud facilius as
sequeretur, cum illus. D. Barbara filia quondam Alberti Marchionis Brandeburgensis relicta quon
dam ducis Schelesiae (Schlesiach)..... per legitimum procuratorem contraxit matrimonium, per verba
legitime de praesenti in facie Ecclesiae solemnizatum , ac deinde dicto regno Bohemiae assecuto,
vacante regno Ungariae per obitum piae memorie Mathiae regis Ungariae, ut et ad illud per prin
cipes regni eligeretur, matrimonium cum illus. Domina serenissimi Ferdinandi neapolitani ac Siciliae
regis, filia relicta dicti Mathiae regis Ungariae, per se ipsum, per verba de praesenti contraxit, ac
illud carnali copula subsequuta consumavit) secum fieri postulabat, ut praemissis non obstantibus
cum jam esset etiam dictum regnum Ungariae pacifice assecutus, posset matrimonium cum illus.
Domina filia serenissimi Ferdinandi regis... rescindere uti diximus superius.
133
Giovanni de'Medici, il quale, guidato piuttosto da politici avvenimenti,
odiato e temuto meno degli altri, tornò in Firenze, e vi dimorò finoal
l'esiglio della sua famiglia illustre : egli parimente si governo a capriccio
suo in tale sbandeggiamento. Così dicasi di Giovanni Colonna, che ve
leggiò per la Sicilia : perocchè, se fossero stati concordi e sommessi al
fianco del loro sovrano, l'animo di questo non sarebbesi tanto inasprito
con esso loro, e non sarebbesi porto lo scandalo funesto di quelle scissure
deplorabili tra per Sua Santità epei cardinali primarii. Tocca al sovrano
umiliarsi ai sudditi, ovvero questi al loro Signore? Quando si spingono
le cose agli estremi, si trasmoda sempredaentrambe le parti ! Una piaga,
anche leggiera, se si esacerba, infistolisce.
Noi veggiamo in Alessandro VI, circa questo affare, l'uomo, Rodrigo
Lenzuoli, il Borgia, ma non già il Pontefice infame. Egli fino ad ora
stette mirabilmente integro, e tale si conserverà; chè, cinto dall'aureola
sfolgorante del cattolicesimo, non errerà unquemai , nè potrà aberrare
riguardo alla santa fede, essendone il centro, ilcuore, la vita della fede
stessa.
CAPO DECIMOQUINTO.
Oratori mandati dai Principi e dalle Repubbliche cristiane
acomplimentare Alessandro VI.
Il Burcardo, qualora si tratta di discorrere di squisiti vini , non ripu
gna esso di scendere col suo Diario fino nelle più profonde ed oscure
caverne, e gongola tutto di gioia nello assaporargli e distinguerli gli uni
dagli altri. Se poi si ha da parlare di conviti, egli parimenti come un
gradasso discende sul suo terreno, e degl'intingoli e dei manicaretti e
dell'uccellame disputa con una scienza talmente culinaria e ghiotta, che
pare essere nato, cresciuto, educato non fra gli odorosi sacri incensi, ma
per mezzo le imbandite mense e la crapula. Ma se debbesi riportare in
quella sua scrittura un brano onorevole dei molteplici oratori distintis
simi mandati dai principi e dalle repubblicbe cristiane a complimentare
Alessandro VI pel suo elevamento al vertice degli onori, egli ammuto
lisce per siffatta materia, egli ha si tarpata la sua penna, che appena
fa grazia di citarne il nome, numerarne le persone, ricordarne i titoli,
infilzarne gl'inchini, fissarne i dì d'ammissione all'udienza. Noi pel con
trario, curandoci poco di queste ristucchevoli notizie, desidereremmo che
avessevi piuttosto innestato le belle parlate onorifiche da quelli fatte al
Beatissimo Padre; ma se tale non è l'economia Burcardiana, questa sarà
bensì la nostra. E dappoichè abbiamo precedentemente nell'apposita ap
pendice arrecato (Vedi capo x , e seguente Appendice 1*) gli aurei detti
loro, non dobbiamo ometterne il sintetico catalogo.
I primi oratori impertanto partirono da Genova per ossequiare il Pontefice; questi furono Giacomo Spinola, dottore in ambe leggi, Giovanni Battista Adorno, Paolo de Flisco e Silvestro Inurea , cittadini genovesi,
ed entrarono in Roma, con grandiosa festa accoltivi, il giorno
secondo di dicembre dell'anno 1492, in cui ricorreva la prima domenica d'avvento.
Il giorno
quinto di dicembre 1492 si presentarono con molto apparato
al Papa gli oratori di Giovanni Galeazzo duca di Milano, e di Lodovico, duca di Bari, che furono Ermete Maria Sforza, accompagnato da quattro
altri oratori, e per tutti questi recitò l'orazione Giasone Maino, il quale
formava il quinto di essi.
Il giorno
sesto di dicembre 1492 Roma vide altresi i cinque oratori
della Repubblica veneziana, cioè Marino Leone, Cristoforo Driodo, Paolo
Barbo, Sebastiano Budaurio, Andrea Cappello.
Il giorno
decimo di dicembre 1492 D. Federico, figliuolo secondogenito
del re Ferdinando di Sicilia venne a presentare ad Alessandro VI gli
omaggi di ubbidienza del padre suo, come antecedentemente abbiamo
notato, la cui venuta cagiono quella rottura funesta tra pel Papa e pel
cardinale Giuliano, sebbene il Papa fossegli stato prodigo di onorificenze
singolari.
Il giorno ventesimo di dicembre 1492 il vescovo Balneotense e don
Giovanni Gili da Lucca, oratori di Enrico re d'Inghillerra, già stanziati
fin prima del trapasso d'Innocenzo VIII, in vigore delle lettere lor date
sino dal giorno sesto di settembre dal re medesimo, si presentarono alla
Santità Sua per prestarle l'ubbidienza in nome di quel sovrano; l'orazione elegantemente fu pronunciata dal Vescovo succitato.
D. Giovanni de la Serra, affine del Papa, fu l'oratore deputato dalla
Francia.
Il giorno sesto di febbraio 1493 entrarono parimente in Roma i tre oratori di Bonifacio Marchese di Monferrato, cioè il sacerdote Andrea Stovelli vescovo d'Alba, e Benvenuto di Santo Giorgio dei conti di Biendrate,
e Lodovico de' Ticioni, che presentarono al Papa l'ubbidienza del loro
signore Bonifacio.
Il giorno venti di febbraio 1493 Wilielmo, arcivescovo di Sant'Andrea,
oratore del re di Scozia, prese a contendere nella stessa cappella maggiore alla presenza del Papa e dei cardinali, col vescovo Nitriese, oratore
del re d'Ungheria, per la precedenza a complimentare il Pontefice , la
quale fu aggiudicata al re d'Ungheria, come erasi già praticato in consimile contingenza tra gli oratori di questi monarchi al tempo d'Innocenzo VIII.
Nel giorno 27 febbraio 1493 sorse eziandio disputazione sul diritto di
preeminenza tra per gli oratori del marchese di Monferrato e per quello
dei Sanesi D. Sacio Benassali, che da ultimo cedette il luogo ai suddetti,
i quali tutti concordi si presero poscia in mezzo D. Filippo Valorio , oratore fiorentino.
Nel giorno 31 marzo1493elevossi pure altercazione tra Lorenzo de'Bibra
canonico di Magonza, oratore dell'arcivescovo di Colonia, con D. Antonio
de Clappis, prevosto di Worms, oratore dell'arcivescovo di Magonza, per
la precedenza.
Nel giorno 21 maggio 1493 vennero pure nell'eterna città quattro oratori, mandati dal principe Carlo Giovanni Amedeo duca di Savoia, il P.
Bartolomeo vescovo di Nizza, il capitano Filippo Vagnone mastro di casa
di esso duca, Pietro Carra consigliere e collaterale del medesimo duca ,
eil P. Giovanni Orioli; il Carra recitò l'eloquentissima sua orazione.
Il 25 maggio 1493 D. Didaco Lopez de Haro, capitano, senvenne con altri
personaggi in Roma mandato da Ferdinando ed Isabella re di Spagna ad
offrirgli l'obbedienza loro, incontro al quale, oltre a varii prelati romani,
andarono due altri vescovi spagnuoli, oratori di quei monarchi, già da
pezza prima domiciliati in essa città, per trattare i negozi dei loro signori prefati. Furono dal Santo Padre accolti tre giorni dopo con distinzione singolare.
Il giorno decimo di marzo 1494 il gran Mastro di Rodi presentò parimente con grande apparato al sovrano Pontefice i suoi tre oratori, personaggi ragguardevolissimi per età, dignità, scienza ed integritàdi vita,
ai quali fecero corona nobilissima tuttiicavalieri dell'ordine Gerosolimitano i quali si trovavano allora in Roma, e ciò per comando di Sua Santità, la quale ricevette solennemente questi tre oratori , onorolli assaissimo, e dignitosissimamente gli accomiato.
Nel giorno 15 di maggio 1497 giunse eziandio Lodovico Bruno, segretario ed oratore del Redei Romani, l'Imperatore Massimiliano; si stette
anche sopra pensiero per la precedenza da darglisi sul vescovo di Lombez oratore del re di Francia; da ultimo la preeminenza fu data a Lodovico Bruno.
Ora, tanta premura dei principi, tanto gareggiare fra loro de' più co
spicui ambasciatori per la primazia ad ossequiare il Santo Padre in nome
dei loro padroni , le umilissime , ed ossequentissime loro espressioni in
onore del Borgia, sarebbero state indubitatamente una indegnaservilità,
ed una derisione mordacissima quelle loro innumere felicitazioni fattegli
pel suo meritato innalzamento , o per lo meno una buffoneria ridicolis
sima ! Bisognerebbe essere acefali non solamente per prestarvi credenza,
ma al puro idearselo. Il che resterà sempre più dimostrato nei seguenti
capi, riflettendo come i monarchi italiani fecero una altissima quistione
di stato , cosa da secoli inaudita! sul modo di regolare il più solenne
mente possibile quest'ambascieria a Sua Santità, affine di presentarle con
cordi le congratulazioni loro ossequiosissime.
Ma basti il dettone, perchè in breve dobbiamo ritornarvi sopra.
Alessandro VI, dappoichè ebbe ricevuto colla massima cortesia questi
ambasciatori dei sovrani cattolici, egli caldamente gli esortò tutti a per
suadere ai loro signori che intendessero unicamente a conservare in casa
ed infra essi la pace, non volgendo i pensamenti ad altra guerra salvo
aquella contro alla ferocissima nazione dei Turchi, ingorda e fiera delle
spoglie cristiane (V. Vitae et res gestae SS. RR. PP., in Alex. VI, cit. loc ).
--
136
CAPO DECIMOSESTO.
Morte di Federico III imperatore, a cui succede Massimiliano , che ad
istanza di Alessandro VI marcia contro ai Turchi.
dinando in Ispagna sopra i Mori.--
Vittorie di Fer
Colombo scopre il Nuovo Mondo
Bolle del Papa intorno a questo continente in favore dei Redi Spa
gna e di Portogallo.- Confermazione fatta da Alessandro VI di al
cuni ordini religiosi.
Aprivasi il novello anno 1493 con tremore di quegli antichi o signori,
o possessori , o tiranni insolenti delle città appartenenti alla Chiesa , i
quali rimiravano incrollabile sedersi sul soglio pontificale il più terribile
loro domatore, percussore e sterminatore irreconciliabile, che strugge
vasi di voglia d'incontrare occasione propizia per abbatterli totalmente
gli uni dopo gli altri. Alcuni avvenimenti dolorosi e straordinarii stor
narono bensì per alquanti mesi laprocella, e sospese o il sonante flagello
che dovevali colpire in giusta vendetta di protratte ribalderie; ma dis
sipar quella, e spezzar questo non già. Era giunta l'epoca avventurosa
per la Chiesa che scuotere doveva il giogo , rompere i ceppi ne' quali
tenevanla serrata que' suoi figliuoli rubelli e petulanti. Alessandro VI ne
era il rivendicatore inesorabile tanto quanto costoro eransi indurati nei
maleficii. Esso erasi già occupato a riordinare le interne cose, ora vol
gevasi a provvedere a quelle di fuori, e per conseguire l'intendimento
suo, più di leggieri attese a contrarre varie leghe.
Il pacifico Federico III, dappoichè ebbe posseduta per più di otto lustri
l'imperial corona, senza che egli giovasse o nocesse all'Italia (Trithemius,
Cuspinian. et alii , vide Vitae et res gestae SS. Pontificum., loco cit. in
Alexandro VI. Paolo Giovio e Francesco Guicciardini, in quest'anno 1493
cominciarono a scrivere le istorie loro), avendo unicamente atteso a de
bolmente guerreggiare in Ungheria , Boemia ed in altri luoghi oltra
montani, disse l'ultimo addio alla vita presente nel giorno decimonono,
venendo il dì ventesimo d'agosto 1493, in età di ottant'anni; longevità
rara in quei tempi fra i principi.
Il suo figliuolo Massimiliano I, già da alcuni anni re dei Romani, suc
cedette a lui nell'amministrazione dell'imperio. Fu egliil primo ad inti
tolarsi imperatore eletto de' Romani , con tutto ciò l'aggiunto d'eletto
cadde poi in disuso nei tempi susseguenti.
In questo Cesare intese ch'erano anche stati icristiani disfatti dai Turchi
per colpa di Bernardino Frangipane, ilquale vi lasciò la vita, senza pen
sare alle circostanze in cui egli medesimo versava, volle andare col suo
esercito scelto a vendicare la religione di quella perdita ; ma avendo sa
puto che gl'infedeli si erano ritirati vergognosamente, sospese la esecu
zione del suo disegno generoso,
-137
Avendo sopra ogni altrosofferto gli Unghari in quella vittoria de' Mus
sulmani, Uladislao loro re attese a riparare lasconfitta. Fece leva di nuove
truppe, e il Papa promise molte indulgenze a quelli che impugnassero
le armi : procacciò da prima a ristabilire la pace e l'unione per mezzo
dei signori d'Ungheria, affinchè ladiscordia loro non fosse d'ostacolo alla
guerra che voleva intraprendere, e minacciò con le censure ecclesiastiche
quelli che vi si opponessero (Bonfin. dec.5, lib.3. Naucler.tom.3, geneal.
5°, pag. 506. Cromer. L. 30).
Ne diede la commissione al vescovo di Trani suo legato, il qualenello
stesso tempo ebbe l'incumbenza d'adoperare il suo zelo per ricondurre
alla Chiesa coloro di Praga, che eranodagli errori degli Ussiti infettati ;
nella quale impresa riusci ottimamente. (Raynald., Ann., hoc anno 1493,
n. 6).
Uladislao ne informò il Sommo Pontefice, che indirizzo diversi Brevi
aquel prelato, al re d'Ungheria ead Alberto re di Polonia per esortargli
anon istancarsi mai nei loro buoni disegni. Fa ne'suoi Brevi una de
scrizione assai viva dei tormenti, cui i cristiani sopportavano dagl'infe
deli, e dice che le discordie dei principi ad altro non servivano salvo a
renderli più crudeli. Palesa la sua consolazione che fossero iboemi ussiti
ritornati nel grembo della Chiesa. Nomina il vescovo di Trani suo in
ternuncio. L'incarica d'affaticarsi a ristabilire un'unione perfetta tra i si
gnori, affin di soggettare più facilmente il comune nemico della cristia
nità. Ma tutte le esortazioni del S. Padre non arrestarono i procedimenti
de'maomettani; tutti i principi se ne prendevano pochissimo pensiero ;
enon mettevano attenzione, tranneallaspedizionedel monarcadi Francia
progettata contro al reame diNapoli.
Dopo otto anni di guerra , Ferdinando re di Castiglia e d'Aragona si
rendette da ultimo signore del regno di Granata. Questa conquista fu
tanto più gloriosa a questo principe, quanto che con essa l'antico im
pero de'Mori in Ispagna fu affatto distrutto, e terminò di liberare il suo
paese da una barbara potenza che da ottocento anni lateneva oppressa.
Dopo la conquista di Granata Ferdinando aveva cacciato dalla Spagna
ottocento mila ebrei, e saraceni, e per conseguire una simile espulsione,
gli spagnuoli erano stati costretti a dare pressochè cinque mila battaglie
nello spazio di circa nove secoli.
Del resto la penisola non fu libera da questi nemici fuorchè sotto Fi
lippo III, nel 1610. Esso fu astretto ad espellerne intorno a novecento
mila uomini. E se i giudei, ed i saraceni non fossero stati risospinti in
Mauritania , avrebbero costoro sicuramente conquistata l'intera Spagna,
assoggettato i prodi ed altieri spagnuoli , e distrutto il cristianesimo in
questa bella regione.
Si disse che verso quest'epoca l'Inquisizione sia stata stabilita nelle
Spagne, per punire coloro, i quali avessero abbracciato per politica la
religione cristiana, e la profanassero con un orribile miscuglio di giu
daismo e di maomettismo. Ma consta che questo tribunale venne stabi
lito in quel regno sotto Sisto IV. Potrebbesi avanzarecheAlessandroVI
138
non infirmo punto la Bolla del suo predecessore. (V. Artaud de Montor.
Vie de Sixte IV, et de Alexand. VI).
Appena aveva Ferdinando eseguito queste grandi imprese, che Cristó
foro Colombo, genovese, più probabilmente di Monferrato, sciolse le vele
da Cadice onde portare la gloria del suo nome in un nuovo mondo, e
per istabilirvi nel tempo stesso il dominio di quel re.
Avendo questo pilota eccellente giudicato da un discorso dedotto dalla
rotondità del globo della terra , che vi fossero dei paesi abitabili nella
parte opposta a quella cui noi abitiamo , ottenne tre vascelli da quel
principe , e tanto navigò che trovò le isole della Florida , nominate
dagli spagnuoli Indie Occidentali , dalle quali ritornò in Ispagna nel
mese di marzo dell'anno seguente 1493, portando dei certi contras
segni della sua scoperta, e delle immense dovizie diquelle contrade. Ad
un dipresso versoi medesimi giorni Bartolomeo Diaz, portoghese, scuopri
il capo di Buona Speranza, ed aperse con siffatto ritrovamento ai na
zionali suoi il cammino delle Indie Orientali.
Il S. Padre ch'era aragonese di nascita, lietissimo di questi avvení
menti grandiosi per la religione, nel mese d'aprile dell'anno medesimo
non pose indugi ad indirizzare anche un'altra Bolla al vescovo d'Avila
in Ispagna in proposito della conquista cui Ferdinando avea allora fatta
del regno di Granata. (Bullar. L. p. 230.- Raynald. ut sup. n. 7). Per
la quale Sua Santità commette a questo prelato di restaurare le chiese
antiche, e di stabilire quattro cattedrali coi loro vescovi, cioè una aGra
nata, la quale fossene la metropolitana, a Malaga, a Cadice, e ad Almeria,
che furono dichiarate suffraganee di questa capitale: assegnando i limiti
convenevoli a ciascuna di queste diocesi.
Inoltre Ferdinando ed Isabella ottennero per sè e loro eredi da Ales
sandro VI le grandi maestrie coi loro redditidegli Ordini diS.Jacopo ed'Al
cantara. Innocenzo VIII aveva loro di già conceduta quella diCalatrava,
sua vita durante, dopo la morte di Garzia Pardilla, che possedevala. Ve
nuto a morte Alfonso Cardenas nel 1493, loro venne eziandio accordata
la grande maestria diS. Jacopo, e nell'anno seguente, essendo stato con
ferito il vescovado di Siviglia a Giovanni Strenica gran-maestro diAl
cantara, fu ceduto il governo di quest'ordine a Ferdinando, dopo la cui
morte doveva goderne Isabella, sopravvivendo ad esso.
Intesa dal Beatissimo Padre la scoperta del Nuovo Mondo, si affretto
di farne cessione ai re di Spagna colla seguente Bolla(Bullar. t. 1. Alex. VI,
Constit. 2, n. 78, p. 42.
1493, n. 19.
Barros de Asia, dec. 1, L. 3, 11.
Raynald,
Noi allegheremo altre Bolle ancora testualmente sul fine
dell'Appendice 11), la quale era espressa nelli seguenti termini:
• Noi per la pienezza del potere apostolico, per l'autorità cui Iddio ci
ha comunicata nella persona di San Pietro, e nella nostra qualità di Vi
cario di Gesù Cristo, del quale sosteniamo le funzioni sulla terra, Noi
vi diamo, accordiamo, ed assegniamo per le presenti, per sempre, edai
vostri eredi e successori, sovrani di Castiglia e Leone, tutte le isole e le
terre ferme, scoperte e da scoprirsi dai vostri legati e capitani , verso
139
l'occidente ed il mezzodi, tirando una linea da un polo all'altro acento
leghe dalle isole Azzorre, dalla parte del mezzo giorno e dell'occaso. Non
intendiamo nonpertanto pregiudicare al possedimento dei monarchi e
principi cristiani, in ciò ch'essi ne avranno scoperto avanti Natale ul
timo. A condizione ancora, che in virtù della santa ubbidienza ai nostri
ordini, e secondo le promesse che voi ci deste, e chenoi nondubitiamo
non esser voi per non recare a compimento, voi abbiate massima solle
citudine d'inviare in queste contrade continentali ed isole, personaggi
savi, sperimentati e virtuosi , per ammaestrarne gli abitanti nella fede
cattolica, e nei buoni costumi › .
Portava la data tal Bolla del quattro maggio 1493. La condizione in
essa stabilita fu assai male effettuata; perchè si nutriva più ardore per
l'oro di quegli abitanti, che per la salvezza delle anime loro, come gli
effetti bastevolmente lo dimostrarono, a vergogna di quei superbi ed a
vari conquistatori del novello emisfero, i quali se avessero abbracciata
la moderazione sublime del magnanimo Colombo avrebberolasciata me
moria di sè venerata.
Per siffatta cessione restavano sotto la dizione di Ferdinando V le isole
scoperte e tutti i paesi che sarebbero per iscoprirsi in appresso. Ales
sandro VI tirò una linea che cominciasse dal meridiano, e distasse cento
leghe dalle Azzorre e dalle isole delle Esperidi a ponente e a mezzo
giorno.
Di qui nacque discordia tra pel detto Ferdinando e per Giovanni re
di Portogallo. Pretendeva questi che tutta la scoperta del nuovo emisfero
gli appartenesse per concessione de romani pontefici, e segnatamente di
Eugenio IV ; quegli poi si prevaleva dellaconcessione di papaAlessandro
per sostenere la sua causa. Entrambi questi monarchi si rimisero come
ad arbitrio di lui, nè falli Alessandro VI all'aspettazione di ambidue.
Questi pose ogni studio salutare ad impedire che la lite non andasse a
terminare in una lunga guerra fatale all'Europa ; epperciò ne rifece la
divisione in modo talmente sagace, che contentò quei due principi.
Condusse Sua Santità un circolo dal settentrione al mezzogiorno, che
deviasse dal precedente, e si stendesse oltre alle isole delle Esperidi in
torno a trecentosettanta leghe, divise in due parti eguali tutta la terra.
Giovanni prese quella parte ch'era rivolta a levante, spettando a lui la
scelta per l'antichità del diritto; l'altra rimase a Ferdinando.
Mirabile esempio d'equità e di giustizia da un canto, e di grande fi
ducia nell'altro, verso della persona augusta del Pontefice Sommo ! Il
quale esempio, se fosse stato in altri tempi, e più spesso ripetuto, avrebbe
impedito che impunemente si fosse versato a torrenti l'umano sangue,
e l'umanità non sarebbe stata così avvilita e tormentata.
Ma progrediamo, giacchè abbiamo per le mani quest'argomento, a ri
portare altri Brevi o Bolle del medesimo Pontefice, zelante dell'aggran
dimento della fede sacrosanta, pei quali favorisce, incoraggia, protegge
i disegni de'prefati monarchi delle Spagne; conciossiachè , in prima di
chiudere il presente capitolo, possiamocome ragion richiede, aggiugnere
--
140
intorno al procedere diritto d'Alessandro alcune altre riflessioni critiche
opportunissime, ed a questo gloriose.
Alessandro VI conosceva tutte le vie per farsi apprezzare; egli rivolse
ancora un altro Breve a Ferdinando e ad Isabella, con cui, dietro al
l'antica massima la quale in allora da nessuno era contrastata e posta
in dubbio, che potesse un Papa disporre degli stati temporali, gl'investe
del diritto d'assaliree di conquistare l' Africa, per aggregarla ai loro Stati
dopo che l'avessero soggiogata, ed'aggiungere a'loro titoli quello d'Afri
cano ; a condizione tuttavia che avessero il pensiero di ristabilirvi la re
ligione cattolica. (Reynald, ad hunc ann. 1494, lib. 3, Bullar. secret (p.
240). Questo breve porta la data del giorno tredicesimo di febbraio 1494.
E perchè fossero i regnanti Cattolici sostenuti in questa impresa mala
gevole, il supremo Gerarca con una Bolla del giorno dodicesimo di no
vembre 1494 elargisce molte indulgenze, a richiesta dei medesimi mo
narchi, a chi prendesse le armi o contribuisse co'suoi averi all'esecuzione
di quel progetto magnanimo.
Eper non operare contra il diritto, cui aveva il re di Portogallo alla
medesima conquista per una concessione di papa Pio II, Alessandro VI
restrinse quello di Ferdinando e d'Isabella ai soli regni d'Algeri e di Tu
nisi, lasciando al sovrano di Portogallo il regno di Fez, Mequinez, Ma
rocco, e le sue vicinanze.
Con una seconda Bolla il Beato Padre indulge poi a Ferdinando la
terza parte delle decime, affinchè potesse rinforzare i presidii delle for
tezze del regno di Granata contro agli assalti de'Mori, se mai ustolas
sero ritornarvi. In sequela del primo Breve, i regnanti Cattolici allesti
rono una flotta considerabile per discendere in sur i lidi africani.
Quella Bolla d'Alessandro VI, inter caetera, che divide le terre recen
temente scoperte tra pei regnanti di Spagna e perquelli delPortogallo,
diede luogo a declamazioni sinistre sulla podestà temporale dei Papi ;
ma oltrachè siffatto potere a quel tempo era sanzionatodall'opinione (1),
(1) Non soltanto era al tempo d'Alessandro VI sanzionato siffatto potere del Papa sul temporale
della pubbica opinione, ma molto tempo innanzi di lui prese inizio, e perseverò anche dopo dello
stesso per moltissimi anni, di che fecene uso il santissimo Pontefice Pio V quando incoronò per
gran duca della Toscana Cosimo I, che aveva offerto al supremo Gerarca non solo armate di
uomini in difesa della Santa Sede, ma se medesimo. Il perchè alzate Pio V le mani al cielo, e
rivolto con occhio lagrimevole al crocifisso, il supplicò di donare a sè tanto di vita, fino a che ri
munerar potesse l'oblazione del duca.
Fu esaudito il Papa dal Cielo, imperocchè gli diè tempo di chiamar Cosimo a Roma, il quale
giuntovi, fu nella sala reale ricevuto ; e poscia nella cappella, mentre solennemente sacrificava, lo
fregio della corona, in cui erano le seguenti parole incise :
Pius V. Pont. Maximus
Ob eximiam dilectionem,
Ac Catholicae Religionis
Zelum praecipuumque
Justitiae studium donavit.
--
141
laBollasuddetta non contiene forse, sotto l'apparenzadi unaconcessioné
formale, unadivisioneconciliatoria propria ad impedire questioni e guerre
per mezzo dei due principi potenti ? Sorpassando alla forma, nonè forse
essa il linguaggio d'un arbitrio che pronunzia in un contrasto, e che
stabilisce leggi ai contrastanti ?
Oh! era pure giocondo spettacolo quello di duepopoli che sottomette
vano cosi, mediante l'accettazione cui facevano della Bolla surriferita, le
loro dissensioni presenti, ed anche le possibili, al giudizio disinteressato
del Padre comune dei fedeli, e mettevano sempre l'arbitramento più de
coroso in luogo di truculenti guerre interminabili"
Non sarebbe forse un bene per l'umanità se il papato avesse ancora
bastevoli forze per ottenere questo grande consenso? Dopo tutto ciò, non
che biasimare la Bolla d'Alessandro VI, dovremmo piuttosto rimpiangere
Protesto contro tale atto l'imperatore Massimiliano II, dicendo che a sè e non al Papa si ap
parteneva l'incoronazione di Cosimo, per non essere nel temporale, suddito, vassallo della Santa
Sede; ma le sue pretensioni annullò il Pontefice con informarlo, che le translazioni dell'imperio nel
l'occidente colla creazione degli elettori si effettuarono per opera ed autorità della Santa Sede di
Pietro.
InGirolamo Catena s'incontrano moltitudini di casi che salvano al Papa l'autorità suddetta ; ed
odirò solo con sant'Antonino ( I. p., cap. v, tit. 22), come il Papa nel temporale, ancora si
deve riconoscere giustissimo dominatore delle monarchie del mondo, e per conseguenza può tito
lare i personaggi. A' piè di questo apporta il dottore una sentenza fortissima di Agostino, qual
dice: " Puto pro veritate esse dicendum, quod Papa vicarius Jesu Christi in toto orbe terrarum
vice-Dei viventis spiritualium et temporalium habet universalem jurisdictionem, sed ipsorum tein
poralium immediatam administrationem non recipit, nisi in regionibus occidentalis imperii per con
cessionem factam Ecclesiae a Constantino, quare autem mediate in partibus Italiae solum medio im
peratore hoc non est propter carentiam auctoritatis, sed propter nutriendum in filiis suis vinculum
pacis, quia ex hoc, quod imperium fuit divisum, propter vitanda scandala hoc factum est ".
Che però, se alcuni teologi, i quali professano di stare all'orecchio dei principi, volessero con
traddire, sappiamo (segue a dire Antonino, I Reg.) che sono simili ai consiglieri del re della
Siria, i quali sussuravangli : " Dii montium sunt Dii eorum, et ideo superaverunt nos, sed pu
gnemus contra eos in campestribus et in vallibus, in quibus Diis eorum dominium non habent, et
obtinebimus contra eos victoriam ". Ma qual sentenza incoronò poi gl'infelici: " Quia dixerunt
Syrii Deus montium est Deus eorum, et non Deus vallium, dabo omnem hanc multitudinem in
manu vestra, et scietis, quia ego Dominus ١٦٠
Giacchè abbiam fatto cenno della donazione di Costantino Magno fatta al romano Pontefice, e
tanto contrastata dagli scrittori infensi al dominio temporale de'Papi, quasichè non si trovi autore
vetusto che abbiane fatto menzione, come gargagliano i suddetti con tanta compiacenza, noi me
diocri canonisti quali siamo, oltre alla testimonianza di sant' Agostino, pressochè contemporaneo a
Costantino, riportata da sant'Antonino, aggiugniamo che sono più di mille anni dacchè sant'Isidoro
lasciò scritto : Costantino aver dato a papa Silvestro il regno d'Italia, e fatto di altri in
genti doni, e concedutogli di grandi preminenze e privilegi. Ed il capitolo Fundamenta, de
electione, al libro sesto, fa similmente menzione della donazione di Costantino ; quantunque esso
non dica più della città di Roma; e così il capitolo Futuram, ch'è nellacausa xr, alla quistione 1,
tocca eziandio, che Costantino lasciò Roma come seggio e capo dell'imperio, per sede e trono
di Silvestro e de'successori.
Da ultimo , ancorchè la Chiesa non avesse tenuta donazione da Costantino , non le mancano
titoli di donazioni di altri imperatori antichissimi. Leggasi a tal riguardo la Bolla d'Oro, ossia di
--
142
il tempo nel quale i gerarchi romani con una parola saldavano lacon
cordia degli scettrati. in cui alla voce delPastore universale soffocavansi
senza resistenza e senza rumore i germi delle più lunghe e sanguinose
contestazioni !
Così noi la ragioniamo colla turba degli scrittori ecclesiastici, sì laici
che religiosi , ma non vogliamo occultare ai lettori , che per mezzo di
quelli sorse il celebre conte De-Maistre, il quale, nella sua opera accre
ditata Du Pape, si espresse a un dipresso nello stesso modo; eper mezzo
di questi si elevò il non men celebre monsignor arcivescovo Giovanni
Marchetti, che appunto vari falli al lodato De-Maestri, epperciò anche a
tutti coloro che precedentemente a questo abbracciarono il medesimo o
pinamento.
La questione è troppo rilevante per essere trascurata; noi impertanto
arrecheremo innanzi la nota dell'insigne De-Maestri e la contronota del
ploma aureo (Petra, in comment. ad constit. apost., § 1, proemial ), così detto dal sigillo d'oro
con cui esso era marcato; il cui originale conservavasi nell' archivio del Castel Sant' Angelo di
Roma, e si riferisce dal Baronio (anno 962 , numero 3). Per virtù di questo diploma, l'impera
tore Ottone III l'anno 962, indizione v, addi 13 febbraio, e nell'anno xxı dell'impero d'esso Ol
tone, questi conferma alla Santa Sede romana la donazione degli Stati che possiede, fattale da Pi
pino re, e poscia da Carlo Magno imperatore.
Del resto, nel volume I della Vita dei Sommi Pontefici, nativiod oriundi degli Stati Sardi,
da noi scritta, nella vita di Nicolò II, al num. iv, abbiamo parlato delle ampie donazioni fatte da
san Leone IX papa ai conti Normanni nel regno di Napoli , imitato da Nicolò II, che diè l' inve
stitura a Roberto Guiscardo col titolo di duca. La legittimità di tale atto esercitatoda san Leone IX
e da Nicolò II era di quei dì si manifesta, che nessuno scrittore la revocava in dubbio, nė molto
meno poi la contrastava, come riluce chiaro dal monaco Malaterra, dall' Anonimo dell' Historia
sicula, dal Caruso (Bibl. hist. R. S., tom. 1, pag. 834; ibid, lib 1, pag. 167, c. 14).
Siffatta investitura fu la primordiale del regno appellato oggidì di Napoli, e vi aggiunse anche
la Sicilia, su cui conservavano il loro gius i greci imperatori. Certo è che in quei tempi si faceva
molto valere la donazione di Costantino, che gli osteggiatori di lui si sbracciarono a volerla nata
nel secolo vi dell'era volgare. Checchè ne sia, egli è un fatto autentico che san Leone IX, nella
sua lunga epistola scritta a Michele Cerulario patriarca di Costantinopoli, nell'anno 1053 (Epist. 1,
t. IX, Concil. Labbé), cioè pochi anni prima di papa Nicolò II, la produsse pressochè tutta, emas
simamente quelle parole : " Tam palatium nostrum, quam romanam urbem, et omnes Italiae, scu
occidentalium regionum, provincias, loca et civitates saepe fato Beatissimo et Patri nostro Silvestro
universali Papae contradentes, atque relinquentes, ei vel successoribus ipsius pontificibus potestatem
et ditionem firmam imperiali censura per hanc divalem jussionem et pragmaticam constitutumde
cernimus disponendo, atque juri Sanctae Romanae Ecclesiae concedimus permansura ".
Ora, un Papa si santo, si savio e dotto avrebbe egli mai osato scrivere ad un imperatore greco
in termini tali, appoggiato ad apocrifi e suppositizi argomenti ? E quando tali fossero stati, la su
scettibilità greca avrebbe ella taciuto ? No! Eppure tacque, perchè avea contra di sè la credenza
pubblica ed universale ! Fece anche gran caso di tale donazione, alcuni anni dopo, san Pier Da
miano, in un suo Dialogo (Opuscul., c. iv). Oltracciò Ermanno Contratto (Opuscul., c. rv) ci
rende conto che Arrigo II imperatore aveva accordato al santo papa Leone IX : " Pleraque in
ultra romanis partibus ad suum jus pertinentia pro Cisalpinis in concambium datis ".
Ci siamo forse un po' troppo allungati intorno a ciò , ma la discussione non è estranea alla
nostra istoria, come percepirà il leggente via via che s'inoltra in essa. Abbiamo voluto che all'au
torità si accoppiasse il fatto, affinchè perentoria fosse la risposta.
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chiarissimo arcivescovo, la quale, sebbene discordi dalla sentenza danoi
esposta, nulladimeno, vaghi quali siamo della verità, produciamo lietis
simi tutti quegli argomenti che l'onorano e la pongono in bellissima
mostra. (V. Appendice 11).
Il vigile guardo d'Alessandro VI, in quella che adocchiava da padre
amoroso la Germania, l'Ungheria, l' America, la Spagna, il Portogallo,
spingendolo acuto fino nei penetrali delle reggie, eccitando le teste co
ronate a proteggere, tutelare la promulgazione e conservazione del Van
gelo, egli lo abbassava pure con eguale amorevolezza e sollecitudine
sulle umili istituzioni religiose, le quali, avvegnachè non sieno essenziali
all'esistenza della fede santa, nulladimeno assaissimo concorrono a ren
derla speciosa ed amabile.
Fu sotto gli auspici di Alessandro VI che prese origine l'ordine delle
Convertite, cioè delle giovani penitenti, istituito da Giovanni Tisserand,
religioso cordigliere di Parigi, in onore di Santa Maria Maddalena, ap.
provato da Sua Santità nel 1494. I sermoni di lui, vivi e penetranti, eb
bero la forza di convertire molte persone del sesso femmineo, le quali
ruzzavano nella dissolutezza, e di farle rientrare sul diritto calle della
virtù, e libare a' piè del crocifisso Gesù inconcepibili dolcezze, e rimirare
in lui non già uno sposo crudele, sibbene un Dio d'amore e di pietà.
Alle preghiere di Massimiliano I imperatore, con Bolla del giorno de
cimoterzo d'aprile 1494 non solo Alessandro VI riconfermò la confrater.
nita, ossia l'ordine militare dei cavalieri di S. Giorgio, che anzi volle
esso stesso esservi inscritto, mostrando con simil atto palesemente quanto
gli stessero a cuore e quale stima avesse per somiglianti pie istituzioni.
La regola dell'ordine degli eremiti di San Francesco, compilata da
San Francesco da Paola ed approvata da Alessandro VI sino dal 1493,
questi, per accrescerle maggior credito e rinomanza, la riconfermava
ora, cangiando il nome di eremiti, cui portavano quei religiosi, in mi
nimi. Parve che la sua pontificale benedizione mirificamente giovasse a
questo santo istituto, poichè rapidamente si estese tosto per le Spagne e
per le Gallie, protetto, incoraggiato e venerato dai monarchi Ferdinando,
Isabella e Carlo VIII. E quasi che fosse troppo angusta la sua dizione,
tantera ardente l'affetto che il sovrano francese nutriva verso di S. Fran
cesco da Paola, che, ritrovandosi in Roma nel 1495per ricevere la corona
di Costantinopoli dalle mani del Papa, vi fece innalzare una chiesa sul
monte Pincio sotto il nome della Santissima Trinità, ed impetro da Sua
Santità che fosse uffiziata sempre dai religiosi minimi della nazione fran
cese.
Dove sono ora le avarizie, le libidini e i tradimenti di lui, i quali si
spacciano con tanta malignità, fraudolenza od imperizia ? « Se(Rivista
e Biblioteca contemporanea, cit. capo VII, pag. 301 e 302) Alessandro VI
fosse stato quel Nerone sotto la tiara che ci rappresentano gli scrittori
di quell'età superlativamente faziosi nelle storie come nella politica, a
vrebbe inai la sua persona, la sua famiglia ed il suo governo conseguita
sulle Corti quella possente influenza? Forse ad un vile pontefice o so
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vrano(che che fosse della sua vita privata) avrebbero appellato i poten
tissimi sovrani di Spagna e di Portogallo pel dominio delle terre novel
lamente conquistate? Ed egli, colla Bolla Inter caetera, come padre co
mune, come giudice di pace, evitava la guerra e finiva la controversia.
•Certamente Alessandro VI non falliall'alto reggimento della Chiesa;
e parrebbe miracolo, quando si tenessero per vere tutte le narrate in
famie. Che se nel governo temporale, come al Giove della favola, gli fu
dato l'emblema del fulmine e dell'aquila, non ripugneremo noialla sen
tenza. Messe da parte le onte fatte alla stola pontificale, non fu più tristo
de' suoi coetanei, e tutti li superò nelle qualità dell'animo grande e sa
gace: In Alexandro, ut de Annibale Livius scribit, aequabant vitia vir
tutes. Inerat nempe ingenium, ratio, cognitio, memoria, diligentia, elo
quentia vero quaedam naturalis, et ad persuadendum apta, utnemo rem
cautius proponeret aut acrius defensitaret (Raph. Volater., Anthropol.,
lib. xxii, p. 683). Egli fu magnanimo, generoso e prudente; se non che
si lasciò vincere dall'amore de' figliuoli che aveva e da troppa cupidità
(Monaldeschi, Comm. Histor., p. 148), del che pure in gran parte si giu
stificherà.
• In forza di simili testimonianze, non ci appariscono troppo nobili, nè
giusti, nè ingenui i poeti e i narratori trafelanti per cumular fango e
sozzure sulla persona d'Alessandro VI, senza uno sguardo nè allecondi
zioni dei tempi, nè all'eminente ingegno del sovrano » .
I capitoli seguenti arrecheranno maggior lume a quanto in iscusa e
difesa di lui abbiamo esposto.
APPENDICE II.
Osservazioni del conte DE-MAISTRE sulla Bolla d'Alessandro VIInter cae
tera
e contro Osservazioni di Monsignor GIOVANNI MARCHETTI.
Bolle relative di questo Pontefice.
Un secolo precedente a quello che vide il famoso trattato di Westfalia,
un papa (Alessandro VI) promulgò quella celebre bolla che tra per gli
spagnuoli e pei portoghesi divideva i paesi che l'ardito genio delle sco
perte avea dati, o poteva dare alle due nazioni nell'Indo e nell'America.
Il dito del Pontefice segnava sul globo una linea, e le due nazioni con
sentivano a riconoscerla come un limite sacro, che l'ambizione rispet
tava da una parte e dall'altra.
Era certamente uno spettacolo magnifico quello didue nazioniche ac
consentono a sottoporre le loro dissensioni attuali, e le possibili eziandio,
al disinteressato giudizio del comun padre di tutti i fedeli, a sostituire
alle guerre interminabili il più autorevole arbitrato.
Grande ventura si era per l'umanitàche il potere pontificale avesse an
cora vigor sufficiente per ottenere questo gran consentimento, eil nobile
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arbitrato era cosi degno di un verace successore di San Pietro, quanto
laBolla Inter caetera appartener doveva ad un altro Pontefice.
Qui almeno sembra che il secol nostro dovrebbe applaudire; ma no:
Marmontel ha deciso in termini proprii , che di tulli i delitti di Borgia
questa Bolla fu il più grande (Si veggano gl'Incas, tom.1, pag. 12). Que
sto incomprensibile giudizio non deve recar sorpresa, perchè pronunciato
da un allievo di Voltaire ; ma vediamo inoltrecome un senatorefrancese
non haaddimostrato nè più di ragionevolezza, nè più d'indulgenza. Ri
peterò in tutta l'estensione il rimarchevolissimo giudizio di lui, preci
puainente sotto il punto di veduta astronomico. Roma, dic'egli, laquale
› da più secoli aveva preteso di dare sul suo continente scettri e regni,
› non volle più alla propria autorità porre altri confini che quelli del
› mondo. L'equatore medesimo fu sottomesso al chimerico potere delle
› sue concessioni (Lettere sull'istoria, tom. III lett. LVII, pag. 157. »
Essendo la pacifica linea segnata sul globo dal Pontefice romano un
meridiano (fabricando et construendo lineam a polo arctico ad polum
antarcticum (Bolla Inter caetera d'Alessandro VI, 1493), ed avendo siffatti
circoli, che ognun sa, la irremovibile pretensione di andare da un polo
all'altro, se egli avvenga che per via s'incontrino con l'equatore, lo che
puòagevolmenteaccadere, lo taglieranno certamente ad angoli retti, senza
il menomo inconveniente nè per la Chiesa, nè per lo stato.Malci avvi
seremmo poi opinando cheAlessandro VI siasi fermatoall'equatore, e che
lo abbia preso per lo confine del mondo. Questo Papa, il qualefosse pure,
da ciò che maldicesi, un catlivo soggetto, ma che aveva molto ingegno e
studiato, e che avea letto il suo Sacro Bosco, non era uomo da ingannarsi
in questo rapporto. Confesso di più essere per me inconcepibile com'ei po
tesse essere con giustizia incolpato d'avere attentato all'equatore mede
simo coll'essersi interposto premurosamente quale arbitro fra due prin
cipi, i possidenti dei quali erano odovevano essere da questo gran circolo
intersecati. (Non troppo bene conoscevasi in quel tempo la teoria della
terra per prevedere che gli spagnuoli spingendo le scoperte loro all'oc
cidente, ed i portoghesi all' oriente, erano necessariamente nelcaso d'in
contrarsi. Magellano lo provò ventun'anni dopo). Così nel suo Manuale
di Cronologia Universale discorre Gio. Battista Rampoldi non favorevole
al Borgia, a pag. 431 an. 1500
Conchiudiamo: Se, dietro al Marmontel, di tutti i delitti di Borgia que
sta Bolla fu il più grande ! forza è conchiudere che Alessandro VI non
solo sarebbe senza delitto, ma anzi degno di lode!
Si cessi adunque dallo spacciare che questo atto del Pontefice abbia
fornito a certuni l'occasione di sollevarsi con violenza contro all' inter
vento dei Papi negli affari temporali dei principi. Checchè nesiadi que
st'atto, lasciato eziandio stare che questo diritto era ammesso e ricono
sciuto da lunghissima pezza, come abbiam provato, avanti l'epoca d'Ales
sandro VI, si può egli nella Bolla or ora citata scorgere altro che una
decisione conciliatrice della prima autorità che regni sulla terra ? Deci
sione sola capace a prevenireledisputeele guerre chepotrebbero nascere
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per mezzo i popoli aquesto riguardo ? Ciò che sembra aver l'ariad'una
vera concessione, non è altro che il linguaggio puro e semplice d'un
arbitro che parla in una contesa, e determina la porzione dei conten
denti. Non che biasimare un tal decreto, non sarebbero, come dicemmo
altrove, non sarebbero da rimpiangerequesti tempipassati, quando i Pon
tefici con una solaparola teneano fermalaconcordia fra iprincipi, quando
alla voce del padre comune dei cristiani si dileguavano senzaresistenza
esenza rumore, i semi delle più lunghe e sanguinose contese ? Tempi
felici, in cui i popoli angariati dai sovrani volgevano aRoma losguardo
fiducioso, e vedeano tosto la calma succedere alla tempesta, la quiete
alle agitazioni della guerra, la felicità pubblica ai disastri, che sono la
inevitabile conseguenza delle discordie politiche !
Contro-Osservazioni di Monsignor MARCHETTI.
Un equivoco rancido, risponde al signor conte De-Maistre monsignor
Giovanni Marchetti, che dopo elucidati a sole di meriggio tutti imonu
menti, le epoche fin dei giorni, le linee, non che i gradi, e noverati gli
scogli non che le isole e le baie di quei primi viaggi dei portoghesi e
degli spagnuoli, che manovravano per l'Oceano a tastoni, onde fareuna
scavalcata al commercio dei veneziani, e trovare una rotta per le Indie
orientali (senza aver mai allora potuto pensare nemmeno in sogno al
l'America) senza toccare il mar rosso, e passare l'istmo di Suez; quest'equi
voco da veccchiarella, e di cui dovrebbe vergognarsi un lacchè, sta an
cora sulle penne dei critici illuminati dal bel giuoco che vi fa un Papa,
che fece la schiavitù e l'oppressione dell'America con una Bolla. Essa è
la famosa: De insulis novi orbis : che non è scritta in arabo, nèinsan
scrito, ma in un piano latinobollario, nè può essere mai controversanella
sua data, perchè si lega a citazione precisa con li primi viaggi del Co
lombo, dei quali in oggi son ragguagliate, si può dir fin le battutedel
l'orgoglio, nonchè le giornate, e Alessandro VI e la stessa regina Isa
bella eran fra i più quando in Europa si cominciò a dire, che esistesse
un continente antipodo, al quale dopo diversi anni diede il suo nome
Vespucci per far dispetto al Colombo immortale.
Non ostante, su la fede del mitologico Solerzano edegliammiragli del
re Ferdinando, che dopo tre o quattro lustri portarono al Messico la Bolla
Inter caetera:
per dare ad intendere a quei selvaggi che con essa il
Papa aveva data l'America alla Spagna (il Solerzano dimostramatemati
camente, che la Spagna vi aveva però quel diritto da già più di mille
anni prima di G. C.) eche bisognava ubbidirlo. Perciò cotesto(di disporre
dell' America) dice da buon scolaro di Voltaire, il signor Marmontel(In
cas, t. 1, pag. 12) su tutti i delitti di Borgia fu il maggiore la sua Bolla
sull' America. E anche fino a questa gran luce del giorno che spiega la
vasta letteratura dei senatori di Francia a suonare contra quella Roma
che da più secoli aveva preteso di dare gli scettri e i regni sulsuocon
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tinente, scese per ultimo con questa sua chimerica possanza finoall'Ame
rica (Lettres sur l'hist. t. III, 1, 57). Noi poveri ricercatori dei fatti, quando
debbon fare argomento, possiamo alzare appenalatesta per dire diquesta
politica sublimiore : imposture di vento.
Mi dispiace ch'ella con pochi tratti al suo solito la dileguabenissimo,
ma infondo suppone, e appoggiasi sulla chimera comune, e che fa im
pazienza a vederla reggersi sopra una Bolla di circostanze sì lampanti
ed incontroverse.
Il famoso contratto di Santa Fè per la spedizione del Colombo a cer
careuna rotta per le Indie fu stipulato con lareginaIsabellae perconto
del solo regno di Castiglia, addi 17 aprile 1492 (V. Hist. gen. des voyag.
t. XLV. pag. 17). Vedasi il Fleury lib. 116, n. xvIII an. 1485disua storia
ecclesiastica, egli suppone che probabilmente questo sia stato già un se
condo viaggio di Colombo nell'America e ciò dietro all'autorità di Ferd.
Colombo, Hist. dell' ammir. Chist. Colombo, Pizzaro de Loz illustres Va
rones del Nuovo mondo. Foglietta in elog.
In sequela di questo contratto, Colombo allesti lasua piccola flottiglia
della S.ta Maria, la Pinta e la Nignia, e con essa escì dalPorto di Palos
addi 3 d'agosto dello stesso anno 1492 (ivi), quasi smarriti, dopo avertra
passato addì 6 di settembre le Canarie, per circa 800 leghe di quell'im
menso Oceano, non videro per tre settimane alcun segno diterra, finchè
scoprirono la piccola isola di S. Salvatore, una delle Lucaie, verso la
metà d'ottobre. Il resto di questo primo viaggio, e iltrattenimento fatto
aS. Domingo, non è a dirlo qui.
Cristoforo, senza avere per allora veduto altro in quei mari, ne riparti
certamente per ritornare in Ispagna il dì 4 gennaio 1493, a prendere
dei rinforzi : e rientrò a Palos su la sua S.ta Maria il dì 15 marzo se
guente, e la sera medesima vi entrò anche l'altra fregata la Pinta, se
gnando la precisa epoca di sette mesi e undici giorni dacchè il dì 3 del
precedente agosto eran partiti.
Cose grandi, speranze immense di nuovi acquisti, come suol sempre
chi viene da molto lungi, portarono inEuropa i nuovi Argonauti ; e Co
lombo stesso ne aveva interesse per animare lacorte a somministrargli
que' rinforzi, che, come avevalasciate le cosedi sanDomingo, avea somma
fretta di ripartire da Spagna. Ma la regina Isabella, che aveva gran
mente e coscienza, non volle entrare in impegno di acquisti stranieri
senza consultare il Capo della Chiesa e sentirne la regola morale, giac
chè gli si faceva gran fondamento sul bene da fare ai popoli delle isole
scoperte, che si erano trovati ignari di proprietà ordinata, nudi ince
dentes, unum Deum colentes, e docili ai lumi della vera religione. Ed
ecco l'occasione e la causa per cui fu consultato allora Alessandro VI.
Qui non entro nel dritto. Ne darò soddisfazione altra volta. Per ora
siamo ai fatti dal di 4gennaio 1493 in poi; e questi nonhannodubbio.
La Bolla stessa d' Alessandro VI fa vedere che a Colombo premeva
di ripartire ; imperocchè ella è data IV, nonas maii, anni 1493 (senza va
rianti, nè controversia), col titolo : DE INsulis novi orbis; in tutte le e
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dizioni. Cristoforo l'aveva già a bordo pubblicato in tutta laSpagna,
quando provveduto di nuova flotta nel porto di Cadice, ne riparti addi
25 settembre dell'anno stesso per tornare in un secondo viaggio alle sue
scoperte, che fin d'allora diceva nuovo mondo.
Vennero adunque in quel frattempo (dal 13 marzo chetorno Colombo,
a' primi di maggio che è data la Bolla) a Roma gli ambasciatori della
regina, e in quel mezzo fecero il viaggio, riferirono quanto sapevano di
quelle cose, negoziarono, ed ebbero bella estesa la Bolla da recar seco.
Se la portò diffatti addi 25 di settembre che parti da Cadice, otto mesi e
venti giorni da che era arrivato a Palos Cristoforo, e senza che fosse ve
nuto in questo tempo alcun angelo a rivelare ad Alessandro od a Co
lombo che potessero esservi Americani.
Edèbella, ch'egli dovè anche dopo questa secondagitaritornare un'altra
volta in Ispagna, e trattenersi quasi due anni per le bisognadella sua
colonia di San Domingo (che continuò a creder sempre il Giappone di
Marco Polo), alla quale di nuovo si volse nel 1495. Fu in questo terzo
viaggio che, passate le isole di Capo-Verde e le Canarie, fece il gran
tentativo di staccarsi verso il mezzogiorno, fino a cinque gradi della
linea, ove il dì 1 d'agosto ebbe la sorte di scoprire l'ampia isola che
chiamò la Trinidad ; e quivi, in quell'anno, in quel mese, XXVII dopo
la Bolla Inter cætera, quivi fu che dall'immenso sbocco dell'Crenoco con
gettur à l'esistenza d'un gran continente, volle tentarne l'accesso, e si
salvò appena per quel piccolo passaggio che ancora ritiene il nome che
diedegli dello Stretto del Dragone.
Si trovò così alla Gujana, che a lui non fu dato che di vedere, ed ove
per altra parte il Gryalva sbarcò il primo nel 1518 (dopo le avventure
del 1497 di Vespucci) una flotta spagnuola alle coste del Messico, e nel
1520 vi arrivò pure Ferdinando Cortez, altro famoso ammiraglio, che
cominciarono a propalare in America che Alessandro VI, morto 25 anni
innanzi a tutte queste faccende, aveva dato alla SpagnalaGujana, ilMes
sico, ogni cosa.
Compatirò l'ignoranza di quei selvaggi, la prepotenza di Cortez, le chi
sciotterie del Solerzano, lignavia de' copisti seguenti: ma che fino al se
colo, che chiama critica la miscredenza e l'odio del Papa, si continui ad
assaporare il maligno, dentro la tanta dose di sciocco (v. Raynald. Stor.
d'Americ. T. IX, p. 7, 33, ecc., Hist. gén. des voyag. T. XLV, p. 93, есс.
lettres cit. ecc.), questo non mi sa entrare in capo; mi perdoni, signor
De-Maistre, benchè sia sfuggito anche a lei.
Non posso trattenermi (e ne avrei cento altre da dire), che la stessa
famosa linea tracciata dalla Bolla, dal polo artico all'antartico, eda essa
centum leucis versus occidentem, et meridiem, a qualibet Insularum,
quæ a vulgo nuncupantur DE LOS AZORES Y CABO VERDE , detectæ et de
legendæ; questa linea anche sola basterebbe a svergognare l'ignoranza,
l'impostura, l'odio, la balordaggine, la mala o troppo buona fede di chi
ha sognato, o permesso che sognisi disposto dell'America da Alessan
dro VI. Basta a vederlo un ragazzo, che getti l'occhio su un mappa
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mondo e su le tracce della Bolla, fissi un meridiano all'ultima delle Az
zorre. Eccolo qui....... Scorrete ora versus meridiem et occidentem, le cento
leghe sino alla linea d'Alessandro VI, guardate, che vi è ? Un tratto di
di cinque leghe ed un quinto di longitudine; che per curiosissima com
binazione, non abbraccia che una pura e nuda striscia di mare, parte
dell'Atlantico verso tramontana, e parte dell'Etiopico verso mezzogiorno.
Ne restano tagliate fuori persino le Lucaje, che ilColombo avea giàsco
perte sin dal primo viaggio, non che l'America, che hache far qui come
il monte Ararat sulle fasi lunari.
Ora mi dica ella, che ha più scienza e più pazienza di me, venerato
signore, se nell'atto che ellase ne sta qui col compasso sul mappamondo,
le venissero innanzi anche dieci Marmontel e venti senatori di Francia
adirle in tuono dittatorio, e grandiloquo che fra i delitti d' Alessan
dro VI, questa sua linea è il maggiore, poichè decide della sorte d'Ame
rica, e volle perfin l'Equatore sottoposto alla chimerica sua possanza.....
Dica di grazia: a risentire in fragranti queste rancide fanfaluche, che
farebbe ella di quel mappamondo che ha per le mani?
Intanto si può conchiudere, che per le imputazioni contra Alessan
dro VI è falso tutto.
1º Falso, che allora vi fossecontesafra i Portoghesi egli Spagnuoli,
onde la Bolla fosse data per pacificare queste nazioni.
2º Falso che nemmeno si cercasse allora del continente opposto.
3º Falso che ne sapesse nulla il Colombo.
4° Falso molto più che potesse saperne il Papa.
5º Falso che ne disponesse con la sua Bolla.
6° Falsissimo che l'abbracciasse con la sua linea e chedisponesse di
occupazioni fuor solamente che per intento di religione. Si leggala bella
lettera con cui accompagnò la sua Bolla a Ferdinando e Isabella, che il
Revinaldi ha inserita al N. 19 di quello stesso anno 11493.
Ma..... manum de tabula. Il suo libro per ora scuoterà molti e le ve
ritàdel suo libro, non può andar molto, che non restino riconosciute da
tutti, se non perderanno il cervello. Le sono pieno di stima.
Roma, 20 novembre 1821.
GIO. ARCIVESCOVO D'ANCIRA.
Aquattro italiani, Colombo, Vespucci, Cabot, e Verazzani principal
mente è dovuta la scoperta del nuovo continente , ma non poterono essi
dare impulso ai loro connazionali di profittarne, perchè fra di loro di
visi, e rivali.
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BULLE ALEXANDRI VI
Quoad inventionem Novi Orbis,
Regibus Hispaniarum et Lusitaniae datis.
1. Simul ac de noviter inventis imperiis nuntium Christofori Columbi
Oceanae classis prefectus advenit, pro legitimanda rerum acquisitarum
possessione ad Pontificem sese verterunt, legatis Romae residentibus pro
eis diplomata investiturae implorantibus. Nam post Christofori Columbi
reditum, de novi orbis imperio acriter certabatur inter Castellanum et
Lusitanum reges. Hic enim insulas a Columbo inventas ad se spectare
contendebat, diplomatibus pontificiis in medium allatis, quibus, conces
sionibus apostolicis, ei donabantur indiscriminatim terrae et insulae in
ventae et inventurae in partibus Africae, Guineae, ac Minerae auri, et
alibi : negabat rex Castellanus, sed ad novas dominationes melius fir
mandas, auctoritate pontificia fulciri nitebatur. Quapropter oratoribus in
Urbe manentibus novum extra ordinem legatum adiicere statueruntpro
hac aliisque rebus. Interim Alexander pontifex, priusquam legatus Hi
spanus Urbem solemniter intraret (die XXVIII maii 1493 evenit hic in
gressus solemnis), hoc diplomate inter duos reges litemdiremit.
Charissimo in Christo filio Ferdinando regi, et charissimae in Christo
filiae Elisabeth reginae Castellae, Legionis, Aragonum, etGranatae illu
stribus, salutem, etc...
Eximiae devotionis, sinceritas et integra fides, quibus nos et Ro
manam reveremini Ecclesiam non indigne merentur, ut illa vobis fa
vorabiliter concedamus, per quae sanctum, et laudabile propositum ve
strum et opus incaeptum in quaerendis terris et insulis remotis ac in
cognitis in dies meliuset facilius ad honorem Omnipotentis Dei, et im
perii christiani propagationem, ac fidei catholicae exaltationem prosequi
valeatis. Hodie siquidem omnes et singulas terras firmas et insulas re
motas et incognitas versus partes occidentales et mare Oceanum consi
stentes per vos, seu nuntios vestros, ad id propterea non sine magnis
laboribus, periculis, et impensis destinatos repertas et reperiendas in po
sterum, quae sub actuali dominio temporali aliquorum dominorumchri
stianorum constitutae non essent, cum omnibus illarum dominiis, civi
tatibus, castris, locis, villis, juribus, et jurisdictionibus universis, vobis,
heredibusque, et successoribus vestris Castellae et Legionis regibus in
perpetuum motu proprio, et ex certa scientia, ac de apostolicae potestatis
plenitudine donavimus, concessimus et assignavimus, prout in nostris
inde confectis literis plenius continetur.
Cum autem alias non nullis Portugaliae regibus , qui in partibus
Africae, Guineae, et Minerae auri, ac alias insulas etiam in similibus con
cessione , et donatione apostolica eis facta repererunt , et acquisiverunt
per Sedem Apostolicamdiversa privilegia, gratiae, libertates, immunitates,
exemptiones, facultates, literae, et indulta concessa fuerint, nos volentes
--
151
etiam, prout dignumet conveniens existit, vosheredesque et successores
vestros praedictos non minoribus gratiis, praerogativis, et favoribus pro
sequi , motu simili , non ad vestram vel alterius pro vobis nobis super
hoc oblatae petitionis instantiam, sed de nostra mera liberalitate, ac eis
dem scientia et apostolicae potestatis plenitudine, vobis ac heredibus, et
successoribus vestris praedictis, ut in insulis et terris pervos seu nomine
vestro actenus repertis hujusmodi et reperiendis in posterum , omnibus
et singulis gratiis, privilegiis, exemptionibus, libertatibus, facultatibus, im
munitatibus, literis, et indultis regibus Portugaliae concessis hujusmodi,
quarumomniumtenoresacsideverbo adverbumpraesentibusinsererentur,
haberi volumus pro sufficienter expressis et insertis, uti, potiri, et gaudere
libere, et licite possitis et debeatis in omnibus et per omnia perinde, ac
si illa omnia vobis ac heredibus et successoribus vestris praefatis specia
liter concessa fuissent, auctoritate apostolica tenore praesentium de spe
cialis dono gratiae indulgemus, itaque in omnibus et per omnia ad vos
heredesque ac successores vestros praedictos pariter et ampliamus , ac
eisdem modo, et forma perpetuo concedimus, non obstantibus constitu
tionibus, et ordinationibus apostolicis, nec non omnibus illis, quae in li
teris Portugaliae regibus concessis hujusmodi concessa sunt: non obstan
tibus, etc. Dat. Romae apud S. Petrum, anno1493 non. maii, pontificatus
nostri anno I.
II. Eodem die(sicRaynaldus)aliuddiploma(esx. inlib.4Bull.sign.n.78,
p. 12, quo novi orbis imperium regibus Hispaniarum confirmabatur edi
tumest, quo aeedem praerogativae atque immunitates collataesunt, quibus
reges Lusitani in Africa et occidua Ethiopia donati erant.
Tertio diplomate Alexander ad controversias quae inter Castellanos ac
Lusitanos aboriri possent, dum classibus Oceanum sulcabant, dirimendas
Indias Orientales, Occidentalesque discrevit diplomate hisce verbis con
cepto:
Alexander episcopus , servus servorum Dei , charissimo in Christo
filio Ferdinando regi, et charissimae in Christo filiae Elisabeth reginae
Castellae, Legionis, Aragonum, Siciliae, et Granatae illustribus, salutem
et apostolicam benedictionem.
•Inter caetera divinae majestatis beneplacita opera, et cordis nostri
desiderabilia, illudprofecto potissimum existit, ut fides catholica et chri
stiana religio nostris praesertim temporibus exaltetur ac ubilibet am.
plietur et dilatetur, animarumque salusprocuretur, ac barbaricae nationes
deprimantur et ad fidem reducantur. Unde cum ad hanc sacram Petri
sede divina favente clementia meritis licet imparibus, evecti fuerimus,
cognoscentes vos tamquam veros catholicos reges, et principes , quales
semper fuisse novimus et a vobis praeclaregesta totipene jam orbi no
tissima demonstrant, nedum id exoptare, sed omni conatu, studioet dili
gentia nullis laboribus, nullis impensis nullisque parcendo periculis etiam
proprium sanguinem effundendo efficere ac omnem animam vestram,
omnesque conatus ad hoc jamdudum dedicasse, quemadmodum recupe
ratio regni Granatae atyrannide saracenorum hodiernis temporibus per
--
152
vos cum tantadivini nominis gloria facta testatur, duximus non immerito
et debemus illa vobis etiam sponte et favorabiliter concedere, per quae
hujusmodi sanctum, et laudabile ac immortali Deo acceptum propositum
in dies ferventiori animo ad ipsius Dei honorem et imperii christiani pro
pagationem prosequi valeatis.
• Sane accepimus quod vos dudum animoproposueratis aliquas insulas
et terras firmas remotas et incognitas ac per alios hactenus non repertas
quaerere et invenire, ut illarum incolas et habitatores ad colendum Re
demptorem nostrum et fidem catholicam profitendam reduceretis, sed
hactenus in expugnatione et recuperatione ipsius regni Granatae pluri
mum occupati hujusmodi factum et laudabile propositum vestrum ad
optatum finem perducere nequivistis; sed tandem, sicutDomino placuit,
regno praedicto recuperato, volentes desiderium adimpleri vestrum, di
lectum filium Christophorum Columbum, virum utique dignum et plu
rimum commendandum, ac tanto negotio aptum, cum navigiis ethomi
nibus ad similia instructis non sine maximis laboribus et periculis ac
expensis destinatis, ut terras firmas et insulas remotas et incognitas hu
jusmodi per mare, ubi hactenus navigatum non fuerat diligenter inqui
reret.
• Qui tandem, divino auxilio, facta extrema diligentia, in mari Oceano
navigantes, certas insulas remotissimas et etiam terras firmas quae per
alios hactenus repertae non fuerant, invenerunt: in quibus quamplurimae
gentes pacifice viventes, et, ut asseritur, nudae incedentes, nec carnibus
vescentes inhabitant, et utpraefati Nuncii vestri possunt opinari, gentes
ipsae in insulis et terris praedictis habitantes credunt unum Deum et
Creatorem in coelis esse, ad fidem catholicam amplexandum et bonis
moribus imbuendum satis apti videntur, spesque habetur, quod si eru
dientur, nomen Salvatoris Domini nostri Jesu Christi in terris et insulis
praedictis faterentur(in aliis editionibus facile inducerentur pro faterentur),
ac praefatus Christophorus in una ex principalibus insulis praedictisjam
unam turrim satismunitam in qua certos christianos, qui secum iverant
in custodiam, ut alias insulas et terras firmas remotas et incognitas in
quirerent, posuit, construi et aedificari fecit. In quibus quidem insulis et
terris jam repertis aurum, aromata et aliae quamplurimae res pretiosae
diversi generis et diversae qualitatis reperientur.
•Unde omnibus diligenter et praesertim fidei catholicae exaltatione
et dilatatione ( prout decet catholicos reges et principes) consideratis,
more progenitorum vestrorum clarae memoriae regum, terras firmas et
insulas praedictas, illarumque incolas et habitatores vobis, divina favente
clementia, subjicere et ad fidem catholicam reducere proposuistis.
• Nos igitur hujusmodi vestrum sanctum et laudabile propositum plu
rimum in Dominocommendantes, ac cupientes ut illud addebitum finem
perducatur, et ipsum nomen Salvatoris nostri inpartibus illis inducatur,
hortamur vos quamplurimum in Dominoet persacri lavacri susceptionem,
qua mandatis apostolicis obligati estis, et viscera misericordiae Domini
Jesu Christi, attente requirimus, ut cum expeditionem hujusmodi omnino
--
153
prosequi, et assumere plena mente orthodoxae fidei zelo intendatis, po
pulos inhujusmodi insulis et terris degentes ad christianam religionem
suscipiendam inducere velitis et debeatis , nec pericula, nec labores ullo
unquam tempore vos deterreant , firma spe fiduciaque conceptis quod
Deus omnipotens conatus vestros feliciter prosequetur.
•Etut tanti negotii provinciam apostolicae gratiae largitate donati
liberius et audacius assumatis, motu proprio, non ad vestram vel alterius
pro vobis super hoc nobis oblatae petitionis instantiam, sed de nostra
mera liberalitate, et ex certa scientia, ac de apostolicae potestatis pleni
tudine, omnes insulas et terras firmas inventas et inveniendas, detectas
et detegendas versus occidentem et meridiem, fabricando etconstruendo
unam lineam a polo arctico, scilicet septentrione, ad polum antarcticum,
scilicet meridiem (sive terrae firmae et insulae inventae et inveniendae
sint versus Indiam aut versus aliam quamcumque partem), quae linea
distet a qualibet insularum, quae vulgariter nuncupantur de los Azores
y Cabo Verde, centum leucis versus occidentem, et meridiem , ita quod
omnes insulae et terrae firmae repertae et reperiendae, detectae et de
tegendaeapraefatalineaversus occidentem et meridiem peraliumregém
aut principemchristianum nonfuerint actualiter possessae usque ad diem
Nativitatis Domini nostri Jesu Christi proxime praeteritum, aquo incipit
annuspraesens(1493)millesimus quadringentesimus nonagesimus tertius ;
quando fuerint per nuncios et capitanos vestros inventae aliqua praedi
ctarum insularum auctoritate omnipotentis Dei nobis inbeato Petro con
cessa ac Vicariatus Jesu Christi, qua fungimur in terris, cum omnibus
illarum dominiis, civitatibus, castris, locis, juribusque et jurisdictionibus
ac pertinentiis universis , vobis haeredibusque et successoribus vestris
Castellaeet Legionis regibus in perpetuum tenore praesentium donamus,
concedimus, assignamus, vosque et haeredes ac successores praefatos il
larum dominos cum plena, libera et commoda potestate , auctoritate et
jurisditione facimus, constituimus etdeputamus.
•Decernentes nihilominus per hujusmodi donationem, concessionem et
assignationem nostram nulli christiano principi, qui actualiter praefatas
insulas et terras firmas possederit, usque ad dictum diem Nativitatis Do
mini Jesu Christi jus quaesitum sublatum intelligi posse aut auferri de
bere. Et insuper mandamus vobis in virtute sanctae obedientiae ( sicut
pollicemini, etnon dubitamus pro vestra maxima devotione et regiama
gnanimitate vos esse facturos) ut ad terras firmas et insulas praedictas
viros probos et Deum timentes, doctos, peritos et expertos ad instruendum
incolas et habitatores praefatos in fide catholica, et bonis moribus im
buendum destinare debeatis, omnem debitam diligentiam in praemissis
adhibentes. Ac quibuscumque personis cujuscumque dignitatis, etiam
imperialis et regalis, status, gradus, ordinis vel conditionis sub excom
municationis latae sententiae poena, quam ex ipso, si satisfecerint, incur
rant , districtius inhibemus , ne ad insulas et terras firmas inventas et
inveniendas, detectas et detegendas versus occidentem et meridiem, fa
bricando et construendo lineam a a polo arctico ad polum antarcticum,
154--
sive terrae firmae etinsulae inventae et inveniendaesint versus Indiam,
aut versus aliam quamcumque partem, quae linea distet a qualibet in
sularum, quae vulgariter nuncupantur de los Azores y Cabo Verde centum
leucis versus occidentem et meridiem, ut praefertur, pro mercibus ha
bendis vel quavis alia de causa accedere praesumant, absque vestra ac
haeredum et successorum vestrorum praedictorum licentia speciali. Non
obstantibus constitutionibus et ordinationibus apostolicis caeterisque con
trariis quibuscumque, in illo, a quo imperia et dominationes , ac bona
cuncta procedunt, confidentes, quod, dirigente Domino actus vestros, si
hujusmodi sanctum etlaudabile propositum prosequamini, brevi tempore
cum felicitate et gloria totius populi christiani vestri labores et conatus
exitum felicissimum consequentur.
,
Verum quia difficile foret praesentes litteras ad singula quoque loca,
in quibus expediens fuerit deferri, volumus ac motu et scientia similibus
decernimus, quod illarum transumptis manu publici notarii rogati suis
scriptis et sigillo alicuius personae in ecclesiastica dignitate constitutae,
seu curiae ecclesiasticae munitis, ea prorsus fides in iudicio et extra, ac
alias ubilibet adhibeatur, quae praesentibus adhiberetur, si essent exhi
bitae vel ostensae.
• Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam nostrae commen
dationis, hortationis, requisitionis, donationis, concessionis, assignationis,
constitutionis , deputationis , decreti , mandati , inhibitionis et voluntatis
infringere, vel ei ausu temerario contraire. Si quis etc.... Datum Romae
apud Sanctum Petrum anno Incarnationis dominicae millesimo quadri
gentesimo nonagesimo tertio, IV nonas mai , Pontificatus nostri anno
primo..
III. Post breve tempus Pontifex rebus religionis in Orbe Novo consu
luit directe, utpote patet ex hac Bulla.
Dilecto filio Bernardo Boil (forsan pedemontano) fratris ordinis Mino
rum, vicario dicti ordinis in Hispaniarum regnis, salutem etc.
• Tibi, qui presbyter es, ad insulas et partes praedictas etiam cum a
liquibus sociis tuis, vel alterius ordinis per te aut eosdem regemet re
ginam, nempe Ferdinandi et Elisabethae, eligendis, superiorum vestrorum
vel cuiusvis alterius super hac licentia minime requisita , accedenti , et
inibi, quamdiu volueritis, commorandi , ac per te, vel alium , seu alios
ad id idoneos presbyteros saeculares vel religiosos ordinum quorumcum
que, verbum Dei praedicandi et seminandi, dictosque incolas et habita
tores ad fidem catholicam reducendi. eosque baptizandi et in fide ipsa
instruendi, et ecclesiastica sacramenta, quoties opus fuerit , ipsis mini
strandi , ipsosque et eorum quemlibet per te, vel alium, seu alios pre
sbyteros saeculares vel religiosos, in eorum confessionibus et quoties
opus fuerit , audiendi , illisque diligenter auditis pro commissis per
eos criminibus , excessibus et delictis , etiamsi talia fuerint , propter
quae sedes apostolica quovis modo fuerit consulenda , de absolutionis
debito providendi, eisque poenitentiam salutarem iniungendi , nec
nonvota quaecumque per eos pro tempore emissa, Jerosolymitani , li
--
155
minum apostolorum Petri et Pauli, ac S. Jacobi in Compostella, et reli
gionis votis dumtaxat exceptis, in alia pietatis opera commutandi , ac
quascumque ecclesias, cappellas , monasteria , domos ordinum quorum
cumque etiam mendicantium, tam virorum quam mulierum, et locapia
cum campanilibus, campanis, claustris , dormitoriis , refectoriis , hortis ,
hortalitiis et aliis necessariis officinis sine alicuius praeiudicio erigendi,
construendi et aedificandi, ac ordinum mendicantium professorias domos,
quas pro eis construxeris et aedificaveris recipiendi , et ad perpetuo in
habitandum licentiam concedendi , dictasque ecclesias benedicendi , et
quoties illas earumque coemiteria per effusionem sanguinis vel seminis,
aut alias violari contigerit, a qua prius per aliquem catholicum mini
strum , ut moris est , benedicendi , reconciliandi, et etiam necessitatis
tempore, super quo conscientias vestras oneramus, carnibus et aliis cibis
tibi, et sociis tuis praedictis, iuxta regularia dictorum ordinum instituta,
prohibitis, libere et licite vescendi, omniaque alia et singula in praemis
sis, et circa ea necessaria, exequendi et disponendi, plenam, liberam et
omnimodam auctoritate apostolica et ex certa scientia tenore praesen
tiumfacultatem, licentiam, potestatem et auctoritatem concedimus pariter
et elargimur.
•Et insuper ut Christi fideles eo libentius devotionis causa ad dictas
terras et insulas confluant, quo suarum se speraverint salutem animarum
adepturos, omnibus et singulis utriusque sexus Christi fidelibus praedi
ctis, qui ad praedictas terras et insulas se personaliter de mandato tamen
et voluntate regis et reginae praedictorum, contulerint, ut ipsi, et qui
libet eorum confessorum idoneum saecularem, vel regularem eligere
possint, qui eos et eorum quemlibet modo praemisso , ab eorum crimi
nibus, peccatis et delictis etiam dictae sedi reservatis absolvat, ac eorum
vota etiam commutet, nec nonomnium peccatorum suorum, de quibus
corde contriti, et ore confessi fuerint, indulgentiam et remissionem ipsis
in sinceritate fidei, unitatae sanctae Romanae Ecclesiae, ac obedientia et
devotione nostra , et successorum nostrorum romanorum Pontificum
canonice intrantium persistentibus semel in vita et semel in mortis ar
ticulo auctoritate praefata concedere valeant, nec non monasteriis, locis
et domibus erigendis et aedificandis, et monachis et fratribus, et illis
pro tempore degentibus, ut omnibus et singulis gratiis, privilegiis, liber
tatibus, exemptionibus : immunitatibus, indulgentiis et indultis aliis, mo
nasteriis, locis, domibus, monachis et fratribus ordinum, quorum illa et
illi fuerint in genere concessis, et concedendis in posterum , uti , potiri
et gaudere libere et licite valeant auctoritate praefata de specialis
dono gratiae indulgemus, non obstantibus felicis recordationis Bonifacii
Papae VIII praedecessoris nostri literis , ne quivis ordinum mendican
tium fratres nova loca recipere praesumant absque dictae sedis speciali
licentia, etc. Datum Romae apud S. Petrum ann. MCDXCIII, VII kalend.
iulii ; pontificatus nostri ann. I.
Diplomatibus Pontificiis relatis , Raynaldus haec subdit non pre
tereunda,
--
156
• Cum porro Pontificis sacras indulgentias proponerent Hispanis , qui
subsidium aurum Ferdinando et Elisabethae regibus pro amplificanda
christiana religione conferrent, quibus auxiliis fulti et Mauricam super
stitionem in Granata exciderant. Africamque subiicere meditabantur ,
nonnulli praeclarum hoc licitationis genus et emungendae pecuniae ido
neam artem rati, plures corruptelas in iis promulgandis admisere , tum
etiam adulterina diplomata finxere , quos Alexander a praesulibus com
primi iussit (l. 3, Bull. secr. pagina 136). Adiecta est eius literis , haec
temporis nota. Datum Romae apud S. Petrum anno Incarnationis domi
nicae 1494, VI kalend. augusti, pontificatus nostri anno I. ,
AVVERTENZA.
Nel libro Storia del Santuario di Nostra Signora d'Oropa nei monti
di Biella, dell'abate Gustavo Avogadro di Valdengo, Torino, Stamperia
Reale 1846, a pag. 184, 185, 186, 187, Ν. ⅩⅠ, si riporta altresì una preziosa
Bolla d'Alessandro VI Papa ragguardo a detto Santuario, ricavata dall'Ar
chivio capitolare di Biella, di cui manca il Bollario Romano. Questa
Bolla fu emanata nell'anno 1501 .
CAPO DECIMOSETTIMO.
Conati di Lodovico il Moro per usurpare il ducato di Milano.- Lega
zione dei Principi italiani al Papa; disaccordo perciò tra per questi
e per Lodovico il Moro ; maneggi di costui ostili a Ferdinando re di
Napoli, al quale inimica Alessandro VI.
Trattato di una lega fra i
Principi italiani, il Papa, i Veneziani e il Duca di Milano, dalla quale
vengono esclusi il re di Napoli ed i Fiorentini.
Stia dunque fermo in prima di tutto , altra cosa in ogni Papa essere
l'uomo, il sacerdote ed il sovrano ; nè all'uno di questi rispetti essere
imputabili i trascorsi dell'altro. E questa è dialettica lucida e possente ,
la quale tutte le sette, fuori del cattolicismo, hanno obbrobriosamente
confusa e dimenticata. Sospendiamo noi qui di esaminare l'intangibile
pontefice per riflettere sul sovrano.
Essendo frutto d'umana e civile saviezza l'uso della temporale sovra
nità, sarà più o meno felice nei papi, come negli altri sovrani; e pianta
non è sì buona e feconda, che non soggiaccia mai al difetto della sua
contingente natura. Perciò distinguendo l'uso dall'abuso sulla pontificia
sovranità, bene avvertiva un oratore del concilio di Basilea : La mia
• opinione fu altra volta che il potere temporale si disgiungesse dallo
• spirituale; ma appresi che ridicola è l'autorità senza la forza, e che il
› Papa senza il patrimonio della Chiesa, altro non sarebbe che l'illustre
› schiavo di qualche potentato Schroeckh, vol. xxII, pag. 90
Quindi nei tempi più burrascosi l'eleggersi, come Alessandro VI, i più
valenti a mantenere la sovrana indipendenza, ed il prefato oratore, che
--
157
del suo voto favoreggiava l'elezione di Felice V principe di Savoia, mal
nonvedeva che uomini stati già nel secolo si elevassero al pontificato
per difenderlo più agevolmente dai tiranni coll'opera dei figliuoli e delle
aderenze famigliari; e forse tutto amor di famiglia non era il nepotismo
di alcuni papi, ma aiuto pure e rincalzo del gradoloro. Allaqualemon
dana prudenza ripugniamo ora fermamente, volendo nel successore di
Pietro vedere dapprima il pontefice che il sovrano; ed essendo per fon
damentale costituzione il concistoro dei cardinali, e non i figliuoli o i
nipoti, il legittimo consiglio e le braccia del papato. Ma pure è indubi
tato che molto debbesi comportare in grazia del tempo e dei pregiudizi
dell'età in cui vissero gli uomini, come si tollerano le mode ed i vieti
gerghi.
Qui, senza considerare l'andazzo de' secoli , vuolsi urtasse e rompesse
il sesto Alessandro. Ai figliuoli bene o male acquistati (innanzi al sacer
dozio, al pontificato) preparava una reggia nel Vaticano , onori , gradi ,
principati, benefizi ecclesiastici, la porpora e parentele colle case regnanti.
Forse più lento stato sarebbe lo svolgimento di questo suo disegno am
bizioso, o fors'anche sventato, se i precipui cardinali Giuliano della Ro
vese, Giovanni Colonna, Raffaele Riario, Giovanni de'Medici, sacrificando
il loro amor personale, come richiedeva il proprio dovere, fossersi seduti
irremovibili in sur i gradini del soglio di Alessandro VI, quali utili con
siglieri o monitori intrepidi; ma la dispersione loro ingloriosa lascian
dolo cinto da pochi, che non sentivano molto innanzi, sospinto qual era
da sua indole altera, dall'oltracotanza degli effreni baroni romani, e della
prole cupida di stato, quale meraviglia, se in cotale abbandono cedendo
egli , siasi talvolta mostrato più sovrano che pontefice , e vie maggior
mente quando le circostanze e la malvagità dei tempi glielo rappresen
tavano utile, onesto, necessario. Siacene maestra l'istoria fedele.
Era Alessandro VI succeduto ad Innocenzo VIII, morto pochissimi mesi
dopo Lorenzo de' Medici , principe il più savio d'Italia. Il primo effetto
cattivo , cui il trapasso di questo stato cagiono allo stato universale di
nostra penisola, fu l'ambiziosa voglia di sottentrargli inquella riputazione
generale che venne in cuore a Lodovico Sforza, detto per sopranome
il Moro , o per cagione del suo color bruno , o per aver introdotto pel
primo il moro ossia gelso in Italia.
Non pago costui di amministrare con autorità assoluta le cose di Mi
lano sotto nome del Duca Gian Galeazzo Sforza suo nipote di cui era
tutore o piuttosto oppressore, anelava ad essere stimato l'arbitro equasi
l'oracolo dell'universa Italia, dettando norma e consiglio ai diversi prin
cipi e regolando le cose comuni e gl'interessi delle varie potenze. Il
vero è che questa suaambizionenon procedeva direttamente da unvano
desiderio di comparire più sottile ed intendente degli altri in politica; ma
aveva un altro più sostanziale principio, avvegnachè non più lodevole,
ch'era di conservarsi l'autorità principale esovranacuiaveva al giovane
duca Gian Galeazzo usurpato (veggasi anche Pietro Messia. Vita degli
imperatori Romani, alla vita di Massimiliano, 114imp. Pietro Messia era
presso che coetaneo a Gian Galeazzo, ecc.).
--
158
Per ottenere questo intento, gli conveniva avere tale credito appresso
le molteplici potenze, che tutte o la maggior parte si rtovassero interes
sate a conservargli l'autorità del governo di Milano. Ma gli bisognava
potissimamente intrecciare per siffatto modo gl'interessi dei potentati e
condurre le cose a segno tale, che la cortediNapoli, dalla qualesola te
mere poteva di essere sturbato nella usurpazione sua, fosse costretta di
averlo amico.
Il giovane duca Gian Galeazzo aveva per moglie la sua cugina Isa
bella d'Aragona, figliuola d'Alfonso duca di Calabria, primogenito del re
Ferdinando, e d'Ippolita Sforza. Costei , siccome scrive Filippo da Co
mines (Memorie, Lib. VIII, Cap. II), era donna valorosa e di gran cuore,
così sforzavasi di riporre il marito in credito e dignità; madivero egli
era troppo imprudente e di poco cervello , e per giunta rivelava tutto
ciò che ella gli diceva. Niuno o operante o ministro diGiovanGaleazzo
duca di Milano impedivai progressi ed i fini del signor Lodovico (il quale
camminava a farsi assoluto signore di quello Stato (fuorchè lamoglie, la
quale era giovine e savia, figliuola di Alfonso suddetto). ,
Non potendo ella tollerare con buon animo che, invece del suo ma
rito (1), il quale oltrepassava i venti anni ed era già padre di due figliuo
letti, comandasse un altro sovranamente, forse ancor più l'irritava, come
suol essere il naturale delle donne, il vedere che la moglie diLodovico
il moro, Beatrice Alfonsina da Este, voleva tenere il primo rango e pre
tendesse i primi onori in competenza di lei che era la duchessa enipote
di un re. Insomma una era principessa di nome, l'altra di fatto (2).
Lodovico vagheggiando l'accennata usurpazione, tenne ognor lontano
Galeazzo dall'amministrazione degli affari dello Stato, comunque questi
(1) Levati Ambrogio nel suo Dizionario delle Donne illustri , Milano 1831 , ragionando con
onorevole menzione d'Isabella d'Aragona , sposa di Gian Galeazzo Sforza , dice che " il dì delle
nozze loro, fu il principio delle sventure d'Isabella ; suo marito non aveva che il nome ducale;
Lodovico Sforza zio di lui, presane la tutela e con quest'occasione ridotte a poco a poco in po
testà propria le fortezze, le genti d'arme, il tesoro, e tutti i fondamenti dello Stato, perseverava
nel governo, dice, il Guicciardini , non come tutore o governatore, ma dal titolo di duca di Mi
lano in fuori, con tutte le dimostrazioni ed azioni da principe. Si aggiunse per maggior sventura
d'Isabella che la moglie di Lodovico il Moro era donna presuntuosa e superba che nulla lasciava
per abbassare la nipote. Isabella soffri la persecuzione per lungo tempo con grande mansuetudine
e pazienza, e scrisse un libro che ha per titolo della Tranquillità d'animo. Si narra cheOrtensio
Lando aveva preso a scrivere intorno allo stesso argomento, e che allorquando lesse il trattato di
Isabella, lo trovò cosi dotto ed elegante, che subito, con suo rossore, diè alle fiamme quello che
scritto aveva. Finalmente la pazienza d'Isabella venne meno : ella ruppe il silenzio, fe' le più vive
rimostranze a Lodovico ; scrisse all'avolo ed al padre eccitandogli a costringere lo zio del duca a
deporre il dominio usurpato. Allora Lodovico (noti il leggitore che qui il Levati esclude-Alessan
dro VI dall' aver preso parte alla calata di Carlo VIII in Italia) chiamò in Italia Carlo VIII re di
Francia. "
(2) Le vite delle Donne Celebri d'ogni paese, della duchessa di Abrantes, continuate per
cura di letterati italiani, vol. v, Milano, presso Andrea Ubicini, 1839. Apertamente dice l'autore
sulla vita d'Isabella d'Aragona, che fu Lodovico che con tutto calore incitò Carlo VIII a torre il
regno agli Aragonesi calando in Italia.
159
fosse già pervenuto all'età di ventiquattro anni, ed avesse avuto figliuoli
chedoveangli succedere nella signoria. Trattava il nipote assai duramente
eper modo, che in poco di tempo il costrinse ad abitare il castello di
Pavia in tali ristrettezze di danaro, che mancando d'ogni facoltà di po
tere rimunerar chi gli prodigava gentilezza o cortesia, non aveva ab
bastanza per provvedere alle bisogna più urgenti di sua famiglia. Se a
aquesta crudeltà si aggiunge il fare insultante di Beatrice sua moglie
con Isabella , non si può immaginare quadro più doloroso della misera
condizione di questi principi infelici.
Impaziente di tale umiliazione l'animo altero di Isabella , ne fremeva
enon cessava di sollecitare l'avolo ed il padre, perchè si adoperassero a
liberare da tanta indegnità se stessa e il marito, costringendo Lodovico
adeporre quella reggenza, cui questi s'ingegnava di rendere eterna, mi
rando ad involare al nipote il titolo, l'autorità di duca ugualmente che
la vita (Guice. lib. I.- Comines 1. v, p. 400, etc.
d'Italia, tom. v, 1. xix, cap. 1.
Denina Rivoluzioni
Muratori Annali d'Italia, an. 1493, ecc).
I sudditi mormoravano, Galeazzo soffriva e taceva nell'indole sua mite
etutt'amore per la sua famiglia. Isabella a questo scopo diresse a suo
padre una lettera, nella quale gli dipinse la deplorabile sua situazione,
esprimendosi così :
•Io sono certa che voi i quali sempre foste ricordevoli della chiarezza
di casa d'Aragona, e della dignità reale, non avreste maritato me, che
sono vostra figliuola e nel vostro seno allevata, a Gian Galeazzo, se voi
aveste pensato ch'egli il quale era per dover succedere, quando fosse in
età, nello stato del padre e dell' avolo, passata la sua fanciullezza ed
avuti figliuoli, fosse stato per dover servire all'ambiziosissimo e crude
lissimo suo zio. Perciò che Lodovico non più zio, ma crudele e dispie
tato nemico, pare ora apertamente quello ache molto innanzi tiratodalla
lunga usanza di governare desideratissimamente aspirò sempre; solo
possiede lo stato di Milano ed insieme colla moglie governa ogni cosa
asuo modo. A lui ubbidiscono i guardiani delle rocche, icapitanidegli
eserciti, i maestrati e tutte le città delle provincie. Egli dà udienza agli
ambasciatori dei principi, dà le leggi della guerra e della pace, e da
ultimo ha suprema autorità della morte e della vita, delle entratee delle
rendite tutte. E noi miseri, assediati da lui ed abbandonati da tutti, non
avendo altro che l'ornamento del titolo vano, oscuramente viviamo una
vita lagrimosa e dolente, e dubbiosi ancora di questa la quale, perduto
lo stato e gli onori solacirimane, setosto voi non ci soccorrete, dopo tanti
travagli ognidi di peggio aspettiamo. Per amor di Dio liberate lafigliuola
eil genero vostro da tanti affanni ; e se le ragioni divineed umane non
vi muovono punto, se pure una volta incotesti animi vostri reali si trova
alcun pensiero di giustizia, di pietà e d'onore, rimetteteci nella libertà e
nello stato nostro. Non ci manca il favore degli ottimi cittadini : in Gian
Galeazzo è animo capace di governo e di stato. Gli amici vecchi, i quali
ora temono la crudeltà del tiranno, stanno cheti e ci promettono, ve
nendo l'occasione, di prontamente e fedelmente servirci dell'opera loro;
--
160
e tutte le città hanno in verso di noi un ottimo volere; le qualicittàda
Lodovico con insolita e gravissima stranezza sono taglieggiate. Final
mente non ci mancherà del suo aiuto Iddio, il qualeèquegli chepunisce
i delitti, se voi, i quali riputate cosa onorata e reale il soccorrere gli
stranieri ancora oppressi da misera ed indegna servitù, non mancherete
al sangue vostro ed alla giustissima causa.
Nè queste voglie della duchessa e dei suoi parenti potevano ignorarsi
dal Moro, il quale teneva l'occhio intento principalmente ad ogni movi
mento della corte di Napoli, e andava procacciando di mantenere lecose
d'Italia nello stato in cui versavano, e di tirare a se stesso quell'arbitrio
che si era quasi di comun consenso lasciato a Lorenzo de' Medici. E
quantunque il re Ferdinando, che preferiva il sodo ed ilreale, allaboria
ed alla vanità, ed amava più la quiete sua e lasicurezza dello stato, che
di promuovere le pretensioni, benchè ragionevoli, della nipote Isabella,
non essendo punto alieno dal consentire a ciò che Lodovico desiderava,
nulladimeno secondo, ci narra Paolo Giovio nella sua istoria, restò com
mosso dalla lettera d'Isabella e produsse essa in lui i suoi effetti :
•Fernando ed Alfonso i quali già molto tempo innanzi per lettere di
molti, e per fama avevano inteso queste cose esser vere, mossi dalla di
sonestà del fatto, ordinarono di mandareambasciatori a Lodovico, i quali
negoziassero la causa di GianGaleazzo, manonpertanto amichevolmente
e umanissimamente trattassero l'affare; parendo loro che in quel tempo
nè con minacce, nè con alcuna denunziazione di pericolo non sidovesse
sollevare la violenza di quell' uomo nella paura precipitoso e tutto pieno
di sospetto. Furono mandati adunque Antonio e Ferrando di Gennaro ,
uomini gravi, i quali magnificamente ricevuti in Milano, recitarono una
bella orazione nel consiglio dei primi ordini in lode di Lodovico; la
quale era fatta affinchè l'animoinfermodall'ambizione, dappoichè lealtre
arti non fossero valute nulla, si venisse a guarire, udendo ragionare di
gloria e di lode. Perciò che Lodovico erabramosod'eternità edesideroso
di gloria, ma con perverse ragioni seguitava la vana per la soda. Ora il
fin dell' orazione fu questo, che il re Fernando ed Alfonso strettamente
lo pregavano che egli oggimai volesse restituire lo stato, che con sin
golare virtù e vigilanza aveva molti anni conservato a Gian Galeazzo
fanciullo, a lui ch'era già divenuto uomo ed aveva figliuoli : eche s'egli
faceva secondo che richiedeva la ragione del mondo, chesiccome prima
egli godette del nome di savio, così poi con singolar sua lode si avrebbe
acquistata fama d'ottimo uomo; e che i re d'Aragona, i quali, sempre
erano stati congiuntissimi coi principi Sforzeschi, ricevuto quel singolar
beneficio, gliene avrebbero rendute grazie immortali....
Lodovico che pel lungo esercitare la sovrana autorità, vedeva con do
lore giunto il momento di doverla rassegnare in altre mani, diè le più
cortesi risposte agli ambasciatori, riportateci dalmedesimo succitato Paolo
Giovio:
• Quivi rispose (questi scrive) Lodovico, che in tutto iltempo della sua
vita con tutti i suoi pensieri aveva posto ogni cura in farsìche lostato
161
di Milano non potesse essere turbato nè da insidie di dentro, nè fattogli
alcun danno dai nemici per la comodità del principe fanciullo, e che,
con la grazia di Dio, ciò aveva egli onoratamentecompiuto.Che il nome
di vero principe fu sempre stato appresso di Gian Galeazzo, ed an
che per l'avvenire sarebbe, e che in questo mezzo egli non aveva mai
usurpato altro che fatiche e maneggi d'importantissime cose, e ciò
con gran travaglio d'animo e perdita della sanità sua, che egli non era
stato mai per comportare, avendosi con molti esempi d'equità e di mo
destia acquistata onoratissima riputazione presso ognuno, che la gloria
della sua vita passata si avesse a macchiare con alcuna poco meno che
onesta azione, e che perciò in ispazio di breve tempo, poichè il nipote
con la cura e diligenza sua era cresciuto in questa speranza, avrebbe
posto giù il grave e molestissimo peso di governar lo Stato, acciocchè
nonsolamente i re d'Aragona, i quali pareva che ciò strettamente chie
dessero, ma gli altri principi ancora e tutti gli uomini privati conosces
sero ch'egli non per ambizione alcuna, ma spinto dalla necessitàdel suo
debito si era posto a quella impresa, quando le cose sue non mediocre
mente ruinate per la perfidia di alcuni, in dubbiosi tempi ricevevano
maggior aiuto per la salute del fanciullo e dello Stato. Eche non do
mandava tranne il tempo necessario a congregare gli Statidel milanese
per render conto di sua amministrazione.
Con tali promesse ed invenie Lodovico astuto appagò gli ambasciatori
di casad'Aragona, queto gli animi dei nipoti ediquelli tra i sudditi che
parteggiavano per loro.Egli però avea tenacemente prefissodi non dimet
tersi punto dal governo; e quindi scorgendo che le parole vane e qua
lunque più sottile artificio non sarebbegli più giovato, si rivolse col fa
vore d'un tale indugio, pieno di livore e di vendetta, a ruminare le ma
niere d'abbattere il re Ferdinando, considerandolo per signor possente,
ad ottenere colla forza ciò che non gli volevaconcedereperamore (Corio
Istor. di Milano.
Ammirati, Istoria di Firenze), eprendendo in prestito
del denaro, mise le piazze in istato di difesa, e fece tutti i preparativi
necessari per confermare la usurpazione sua in ogni evenienza che gli
venisse disputata.
Egli era convinto che la maggiorparte dei Principi italiani nonerano
punto favorevoli alle sue vedute ; ma con inquietezza maggiore egli te
neva lo sguardo rivolto a Firenze, città la cui positura poteva agevolare
un attacco contra il Ducato di Milano, ed il cui capo, Pietro de' Medici,
giudicava di non aver dalla sua. Questo sospetto non era senza fonda
mento, e noi il vedremo tra poco ampiamente giustificato.
Il Napoletano non sentendosi abbastanza forte per punire una mala
fede tanto palese, ricorreva perciò ad altre potenze italiane. Pietro de'
Medici che aveva ereditato la potenza, manon lacapacità del suo padre
Lorenzo, rigetto egli sul principio alcune proposizioni che tendevano a
fargli contrarre un'alleanza contra Lodovico, col quale egli stesso ne a
veva formata una contra de' Veneziani. Però il re di Napoli non si per
dette d'animo a simile rifiuto.
11
162
Pietro de' Medici aveva per moglie una delle figlie di Virginio Orsini,
il quale teneva di molte obbligazioni al re Ferdinando, edunprodigioso
ascendente sullo spirito di suo genero. Riuscì a Virginiodi persuadergli
che i suoi impegni con Lodovico non dovevano trattenerlo nelle circo
stanze attuali, che quelli i quali venivangli proposti erano infinitamente
più vantaggiosi , e del resto questi sarebbero velati con un impenetra
bile segreto, almeno fintantochè le truppe di Napoli non si fossero unite
con quelle di Fiorenza. Con tutto ciò, Lodovico il più diffidente, il più
scaltrito, ed uno degli uomini i più furbi di sua epoca, penetrò fra non
molto questo mistero , ed una specie di puerile vanità suscitò le prime
scintille di un grandissimo incendio.
Disponevansi, come abbiamo riferito, i potentati cristiani, egl' italiani
in singolar modo ad andare o mandare in Roma, secondo l'antico co
stume, per complimentare il nuovo Papa, e già si erano dallapiù parte
delle corti e delle repubbliche deputati i ministri perquest'ufficio. Lodo
vico Sforza , che siccome era di fatto persona di molta prudenza ed ac
corgimento, così amava di esser stimato tale, e di comparire autore di
partiti nuovi enonimmaginatidagli altri, proposealrediNapoli, allasigno
ria di Firenze, ed agli altri principi confederati, che invece di mandare
ciascuno da sè ambascieria particolare, fosse da inviarne al Papa una
sola generale per parte di tutta la lega, i cui ambasciatori facessero nel
giorno medesimo entrata solenne in Roma per rendere il loro omaggio
al Santo Padre, ed un solo a nome ditutti parlamentasse nelconcistoro,
afine di far conoscere a tutti con questo atto la perfetta unione ed ar
monia dei principi, e la fermezza della pristina lega, e quanto dovesse
perciò Sua Santità andar riguardata e cautaa tentar novità.Piacque il
nuovo partito quasi d'unanime consenso ai principi confederati, i quali
conoscendo veramente la natura del nuovo Pontefice, ferma, intrapren
dente, intollerante dei soprusi cui abbondava quel tempo, furono facil
mente persuasi dell'importanza di tenerlo a segno con quella pubblica
dimostrazione dell'unione che regnava fra gli Stati italiani.
Solamente a Firenze questo modo di ambascieria trovò occulta, ma
forte contraddizione, non già presso il pubblico, ma nell'animo di Pietro
de' Medici e di Gentile vescovo d'Arezzo, ambidue elettidallarepubblica
tra il numero degli ambasciatori a papa Alessandro VI.
Il vescovo a cui per rispetto della sua dignità, sarebbe spettato l'uffi
rio di portar parola, sperava di far in quell'occasionegrande mostra della
sua eloquenza nella qual arte si reputava prestante maestro, e credeva
di riportarne la palma sopra il Sannazzaro suo concorrente; laddove po
teva di leggieri toccare ad altri quel carico se, presentandosidavantial
Papa tutti insieme gli ambasciatori, delle potenze collegate, un solo a
vesse dovuto parlare.
Andò facilmente d'accordo con lui Pietro de' Medici, come quegli che
per somigliante motivo non gradiva che si effettuasse l'ambasciata a
nome comune della lega, essendo egli giovane, ricco, vano, e poco in
teso delle cose di Stato, già si era apparecchiato di comparire in Roma
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163
con treno magnifico e quasi regio, e in quel concorso di tanti amba
sciatori segnalarsi collo sfoggio delle sue ricchezze; la qual cosa avvi
sava che gli sarebbe riuscita meno a disegno, quando avesse dovuto
trovarsi confuso fra tanta moltitudine di rappresentanti delle potenze
confederate.
Non osando però contrapporsi apertamente al partito già quasi uni
versalmente, vinto di quella legazione , fece intendere segretamente a
Ferdinando re di Napoli, che era uno dei collegati, come il progetto del
l'ambasciata comune non gli piaceva, o che gli avrebbe fatto cosagrata
ricusandolo o sturbandolo. Ferdinando soddisfece al Medici più dell' ef
fetto che del modo.Perciocchè scrivendo allo Sforza in contrario diquello
che dapprima aveva approvato intorno a quellasolenne ambascieria, non
gli celo che il faceva a richiesta di Pietro de' Medici.
Da questo sì leggiero e presso che non considerabile accidente, tras
sero principio gli sconvolgimenti ed i mali che percinquant'anni afflis
ser l'Italia. Se Lodovico si tenne offeso per una parte, che Ferdinando
cercasse di diminuirgli la riputazione, ritrattando una cosa già conve
nuta e di cui già si sapeva in Roma e in tutte le corti chi fosse stato
l'autore, dall' altro canto questa compiacenza del re verso del Medici gli
fece suspicare che passasse tra loro due strettissima intelligenza, volta
afargli contrasto quando ei volesse incarnare i suoi disegni.
In questo suo pensamento il confermarono altrecose che incontanente
seguirono ; laonde il turbolento Lodovico convertiva i suoi sospetti in
certezza, ed ordiva la trama che trar doveva il papa nelsuo partito.
I re di Napoli si avevano in ogni tempo procacciato dei fidi nell' or
dine della nobiltà per farne lor pro quando occorresse. Alla morte d'In
nocenzo VIII uno di cotesti signori, Franceschetto Cibo, nipote d'esso
Innocenzo VIII, anteponendo un vivere tranquillo in seno della sua pa
tria all'onore di regnare sopra piccoli stati inabili per debolezza a di
fendersi, vendette quelli d'Anguillara e di Velletri a Virginio Orsini pros
simo parente di Pietro de' Medici, di cui aveva sposato lasorella, eamico
intrinseco e comandante dell' armata del re di Napoli. La compera era
stata fatta per interposizione dello stesso Pietro di queste ragguardevoli
terre vicine a Roma istessa, col titolo di principato, senza partecipazione
del Pontefice, da cui dipendevano come feudi della Santa Sede, ed il re
di Napoli avea somministrato pel pagamento lasommadiquarantamila
scudi d'oro la quale non pareggiava neppure la rendita di due anni di
quelle ricche signorie.
Questa disposizione dispiacque giustamente al Papa per due ragioni :
la prima pel poco riguardo avutosi, vendendosi, senza previo avviso,
feudi dipendenti dalla Santa Sede; la seconda perchè Virginio Orsini,
essendo parente ed intimo amico di Ferdinando, gli pareva pericoloso il
lasciare acquistar potere ad un vassallo tanto ligio d'un principe, di cui
la condotta ed il carattere facevano chesi dovesse ragionevolmente mol
tissimo diffidare.
Lodovico senti il partito che poteva trarre da un'esca così lusinghiera
164
per un Papa si geloso di conservare i suoi diritti signorili ; maallorchè
fu introdotto all'udienza, si contentò, qual uomo accorto, di prestar
l'esca nell'atto di fare i consueti complimenti, e la ornò per anche di
colori acconci a dar l'aria di zelo al dispetto del pontefice, da esso lui
inasprito contra di Ferdinando.
Egli rappresentò i diritti della Santa Sede come essenzialmente offesi
dall'attentato di Virginio ; soggiunse esagerando forse, che il re di Na
poli il quale avea somministrato a questo signore la pecunia, eraezian
dio più reo di lui; che l'odio di quel re per la casa Borgia manifesta
vasi in ogni occasione irreconciliabile, e che se per parte di lui venisse
tollerata questa prima ingiuria, il Papa, la suafamiglia e tutta laChiesa
romana scapiterebbero della loro autorità, correrebbero i maggiori pe
ricoli, perchè quando quei castelli fossero posseduti da persone a Ferdi
nando aderenti, avrebbe costui potuto dare travaglio ai pontefici, ed
acquistare maggiore potere e credito nelle cose d'Italia.
Il cardinale Ascanio Sforza, fratello d'esso Lodovico, siccome quegli
che sopra ogni altro aveva pronato l'innalzamento d'Alessandro VI, a cui
era accettevolissimo ed aveva ceduto il grado di vice-cancelliere molto
potendo appo di lui, appoggiava assaissimo quel discorso, e suggeri esser
di sommo rilievo l'opporre una contro lega a quella di Ferdinando e dei
Fiorentini : lega divenuta necessaria ancora perchè Baiazette sultano dei
Turchi si disponeva a far loro guerra: lega l'nnica valevole ad ispirare
acostui timore nell' assapere che i più poderosi Stati d'Italia eranocon
federati fra di loro. Di maniera che il Santo Padre impegno parola per
la lega col duca di Milano, e coi Veneziani dallo Sforza sollecitati quali
antichi nemici degli Aragonesi, ed in essa il Moro tratto, da Firenze in
fuori, di trarre tutti gli altri potentati d'Italia. Sentiamo quel che ne
scrisse un dotto scrittore :
• Alessandro VI, riporta l'abate Laugier, accurato descrittoredi questa
lega, ascoltava queste insinuazioni susurrategli all'orecchio dal duca di
Milano per l'organo del cardinale Ascanio, e pareva irresoluto. Ferdi
nando avevagli data una soddisfazione apparente, esortando pubblica
mente Virginio Orsini a sciogliere il contratto fattocon FrancescoCibo,
mentre consigliavalo in segreto a sostenerlo. Di più il Papa progettava
il matrimonio di uno dei suoi figli con una figlianaturale di Ferdinando,
che doveva avere in dote un principato nel regno di Napoli; e questo
interesse produceva le sue dubbiezze. Lodovico tento distaccare Pietro
de' Medici dalla sua particolare unione col re di Napoli : ma l'impegno
di Medici era preso, e non fu mai possibile scioglierlo.
• Lodovico maneggiavasi presso li Veneziani, li quali nonostante il
loro odio contra Ferdinando, ed il grande interesse che avevano di non
lasciar predominare il suo partito in uno stato tanto vicino comequello
di Milano, incerti delle vere disposizioni del Papa, e timorosi di essere
sacrificati al primo pericolo che li minacciasse, e al primo vantaggio
che potesse acquistare, differivano a risolvere. Al fine il cardinale Ascanio
rappresentò sì vivamente ad Alessandro il poco fondamento che far do
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veva sulle promesse di Ferdinando, principe falso ed artificioso, chenon
cercava che ingannar tutti i suoi vicini per tenerli da sè dipendenti ; gli
fece vedere sì chiaramente, che una lega tra la Santa Sede, liVeneziani
e lo stato di Milano, era la sola barriera che si potesse opporre alli at
tentati della corte di Napoli ; lo assicurò talmente, che dipendeva da lui-il formare questa lega, e che li Veneziani per entrarvi non attendevano
che la sicurezza delle sue intenzioni: fu talmente insistente in questi
punti, che Alessandro risolse di entrare in questo maneggio, e fece pro
porre la lega alli Veneziani ; e tanto più volentieri il Papa vi accondi
scese, scrive Carlo de Rosmini nell' Istoria di Milano, intorno a questa
lega, quanto sapeva che alcuni individui delle possenti famiglie Orsini e
Colonna sue nemiche erano passate agli stipendii dei re di Napoli.
•Quando la proposizione fu portata al senato, ilDogeparlò conmolto
calore per farla rigettare: ricordo ciò che era accaduto sotto Sisto IV,
che dopo aver impegnato li Veneziani a fare la guerra, ed aver preso
le armi a loro favore, aveva voluto poi sforzarli a fare la pace a suo
capriccio, s'era unito ai loro nemici e li aveva scomunicati (1).Disse che
in ogni tempo era stato stile della corte di Roma l'ingannare i suoi al
leati, o rendere insopportabile la sua amicizia con dimande esorbitanti ;
che gli ultimi Papi non avevano mai cercato che procurare principati
ai loro nipoti, tutto sagrificando a questo interesse domestico; e che il
Papa attuale, che aveva figli e più ambizione di tutti li suoi predeces
sori, non mancherebbe di tutto far cedere al desiderio di stabilire la sua
famiglia riccamente (2) Si oppose a queste speciose ragioni uninteresse
di stato più solido; ed era d'impedire che il re Ferdinando non iscac
ciasse Lodovico da Milano e si rendesse padrone del giovane duca e ne
disponesse a piacere. Questa riflessione lavinse e lalega fu sottoscritta.
(1) Il fiele col quale il Doge veneto cosparse li suoi accenti contra Roma non era generato da
altra cagione tranne da quella infuori che essi avrebbero voluto col loro Leone alato allungare
gli unghioni e stendere i vanni sin dove loro avesse piaciuto : è certo che se ne' romani Ponte
fici non avessero trovato un possente ostacolo, avrebbero divorato i varii principati italiani non
solo, ma ridotta Roma in servaggio ; quindi non poteva il Doge patire che Roma fiorisse nel suo
dominio temporale, perchè ciò sempre sarebbe stato a detrimento del Veneto. Sicchè l'istesso
Laugier disse esser queste speciose ragioni.
(2) Quanto volesse illudere sè e gli altri il Doge, apparve ben chiaro dal seguito, chè niuno di
questi principati pose ferma resistenza contro alla convenzione della lega medesima, alla discesa di
Carlo VIII in Italia, salvo il Papa col re di Napoli. Furono gli altri tutti, durante questa prima
guerra, d'una politica vacillante, incerta, infida ; il solo Alessandro VI tenne fermo, nè cedettese
non costretto da forza; ed appena potè riscattarsene, il fece.
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CAPO DECIMOTTAVO.
Promulgazione della Lega Pontificia-Veneta-Lombarda,
e condizioni d'essa.
Volgeva il giorno ventesimo quinto d'aprile (1493) sacro alla festa di
San Marco, Roma era tutta in movimento, lieto il Santo Padre, prece
duto, addestrato, seguito da immenso numero di cardinali, arcivescovi,
vescovi, cavalieri, prelati e popolo, e soldati di lance, corazze e scudi ar
mati, cavalcava vestito de' più preziosi ornamenti pontificali verso la
chiesa di San Marco, dovecon apparato straordinario aveasi dacelebrare
la santa Messa e le Litanie; le quali essendo finite, sedendo Sua Santità
maestosamente sul suo faldisterio, sorse il vescovo di Lutri e Nepi, pro
nunciò acconciamente un breve sermone, quindi pubblico, leggendone i
capitoli, la confederazione stipulata tra pel Beatissimo Padre, pei Vene
ziani e per Lodovico il Moro ducadi Bari ossia Milano, alla qualeacce
devano i comuni di Siena, di Mantova, di Ferrara. Il che finito rimbom
barono quelle sacrate volte d'un solenne Te Deum laudamus intuonato
dal Pontefice medesimo levatosi in piedi, e che miriadi di voci robuste
proseguirono sino alla fine per mezzo ai melodiosi concenti, in quella
che le campane del Campidoglio e delle altre chiese diRomasuonavano
festose (Burchard. in Diarr.
Infessura Stephanus, item).
Oltre all'abate Laugier, anche Marino Sanuto (Marinus Sanutus. Leo
nardi filius, in opera De Origine Urbis Venetae et vita omnium ducum
capitula foederis recitat in vita Augustini Barbarigo ducis, quae sunt
haec) riporta il sommario de'capitoli della lega tra pel Pontefice, la si
gnoria di Venezia e lo stato di Milano, fatta a Roma addi 22aprile
del 1493 e propalata nel dì di San Marco, nella quale è nominato il si
gnor Lodovico Sforza duca di Bari. Essendo più precisa la relazione del
Sanuto, noi ci atteniamo a questa:
•Primo (ei dice adunque), si fa lega trale detti parti peranni venti
cinque, a conservazioni degli Stati delle parti.
• Secondo, che il Papa tenga tremila o quattromila cavalli, e due
mila o tre mila pedoni, e le altre due parti tengano cavalli seimila in
ottomila, e pedoni quattromila in cinquemila.
• Terzo, che niuno dei collegati possa far lega con alcuna potenza
d'Italia, se non di comune consenso di tutte e tre le parti.
• Quarto , si riserba acadun potentato d'Italia di potere entrare in
questa lega colle condizioni di quella.
• Quinto, che i collegati in termine di due mesi debbano avere nomi
nato i loro aderenti, complici, collegati e raccomandati.
• Sesto, che dopo conchiusa la lega, in termine d'un mese sia per le
parti ratificata per istrumento ovvero per lettera.
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• Settimo, se per acasosi venisse, che Iddio nonvoglia, ad alcunaguerra,
non si possa venire a pace e concordia se non di volontà di tutti.
• Ottavo, se qualcuno dei complici etiam movesse guerra adunadelle
parti, gli altri collegati debbano aiutare la parte offesa.
•Nono, che se fosse fatta guerra per alcuno ad uno dei collegati, gli
altri non gli dieno il transito, ricetto, ovvero vettovaglie, anzi gli nie
ghino il passo omni suo conatu.
• Decimo, perchè la Chiesa, dopo la morte d'Innocenzo Papa VIII è
rimasta povera(1), i due collegati aiutino quella allo stipendio del signor
di Rimini (il principe di Rimini era stato scelto a comandare in capo le
truppe della chiesa), con certe clausole, come nel capitolo , videlicet la
Signoria sola paghi essa, et etiam si conducano 200 uomini d'arme da
essere pagati per tutti e tre i collegati . (In Murat. R. I. S. tom. XXII,
p. 1250 e 1251. Conf. Guicciardini, Storia d'Italia, 1. 1. Macchiavelli, Fram
menti storici. Ammirato, Storia Fiorent., lib. xxvi. Bembo, Storia Vene
ziana, lib. I. Navagero, Hist. Ven. Raynaldi, Ann. Eccl. Mausi, Adnot. ad
Raynald. Darù, e pressochè tutti gli Storici Veneti, Napoletani, Milanesi,
Mantovani, ecc).
Tutte queste condizioni sono dignitose al capo della Chiesa, e non le
dono nella più lieve maniera al pontifical decoro.
Si sgomentarono assai Ferdinando, ed iFiorentini, della diffidenza mo
strata dal duca di Milano, quando essi erano in alleanza collo stesso
duca; ma il solito di costui era sempredi camminarecon doppiezza, ora
avendo egli per sospette le azioni tutte di Ferdinando, diedesi asommo
vere cielo e terra contra questo re. E non fidandosi abbastanzadi quella
amicizia, cominciò a cercare appoggi fuori d'Italia nel medesimo anno,
maneggiandosi con Massimiliano Augusto (Corio, Ist. di Milano) per ot
tenere il titolo e l'autorità di duca di Milano ad esclusione del nipote.
Eppure insieme trattava, anzi conchiuse il matrimonio di Bianca Maria
Sforza, del vivente alloraGian Galeazzo Maria duca di Milano, collo stesso
Massimiliano, e lo sposalizio venne nel di primo di dicembre 1493 in essa
città solennemente celebrato. Nè questo bastando ancora al Moro, venne
ad una risoluzione, di sua natura perniciosissima, che fu di chiamare in
Italia eserciti stranieri, come dimostreremo nel capo seguente.
CAPO DECIMONONO.
Lodovico il Moro chiama Carlo VIII re di Francia in Italia, ad insa
puta di Papa Alessandro VI e degli altri principi suoi confederati,
per impossessarsi del regno di Napoli : testimonianze autentiche.
Quantunque i mezzi adoperati dal duca di Bari per non discendere dal
seggio regale appartenente a Gian Galeazzo fossero più che bastevoli a
(1) Noti bene il leggente che i nemici del Borgia accusano Alessandro VI d'aver depauperato
l'erario pontificio per arricchirne i suoi, e come ciò può esser avvenuto, se il trovò esausto ? e
se malgrado le ostinate guerre sostenute da esso Alessandro VI, tuttavia in morte sua il lasciò
ripieno d'oro ? O menzogneri, tacete !
168--
mantenerlo nell'usurpazione, nulladimeno paventando di venire detroniz
zato un dì, ardente perciò qual era desso dell'avida sete di regnare, non
dubitò più d'appigliarsi all'estremo dei misfatti, a quello cioè di disfarsi
del pretendente, facendogli propinare un lento inconoscibile veleno, come
farà chiaro l'evento, pel quale ammalò di lungafebbreche ilportò a tor
pida ma certa consunzione. In tanto che questa progrediva e che la
morte erasi già impadronita dellamiseranda vittima, Lodovico incitò con
tutto il calore che l'astuta sua politica gli potè inspirare il re di Francia
Carlo VIII a togliere il reame di Napoli agli Aragonesi, con che vendi
carsi dell'ambasciata speditagli in sostegno delle ragioni del nipote, al
lontanavasi il pericolo che gli potesse muovere altri reclami in pro dei
figli che il medesimo lasciava.
Sapeva Lodovico il Moro quanta fosse l'inclinazione del giovane mo
narca gallo Carlo VIII, di conquistare il reame (1) di Napoli , sopra cui
vantava vetusti diritti. Egli sapeva per mezzo di provvisionati che te
neva in tutte le parti, quali fossero i suoi più intimiconsiglieri, e di che
natura e carattere questi fossero, e non ignoravachedue principi daSan
Severino, banditi dal regno napolitano e ricovratisi in Francia, dovenon
avevano unquemai cessato di sollecitare quella corte contro gli Arago
nesi, cominciavano ad essere ascoltati con orecchio favorevole, dopochè
il re aveva ritolto il governo dalle mani della duchessa di Borbone sua
sorella.
Quindi per mezzo di Carlo da Barbiano conte di Belgioioso edelconte
di Caiazzo suoi ambasciatori, che diede voce di avermandati in Francia
per altri suoi affari, messe pratiche di amicizia e di lega conquel re, e
cercò di animarlo a portar la guerra nel regno diNapoli, come impresa
non meno gloriosa ed utile alla sua corona, che agevole e sicura , of
frendosi egli stesso pronto a favorirlo con gente e danaro.
Ora riguardo a siffatta discesa di Carlo VIII re di Francia nell' Italia
per la conquista di Napoli, si dividono gli autori in tre categorie per
pronunciare se Alessandro VI concorresse con Lodovico il Moro ad isti
garnelo o no.
I. Sono quelli i quali per modo niuno non vogliono ch'egli vi pren
desse parte, neppure indirettamente, ed è la più equa.
II. Altri ammettendo che palesemente non vi abbiacooperato, vogliono
non pertanto che occultamente di piana concordia col duca di Milano
l'abbia promossa finchè gli tornò utile, poscia siasene ritirato, ed abbiala
contraddetta, ed è inesatta.
(1) " Carlo VIII non era dotato dalla natura delle qualità che caratterizzare possono un eroe :
» era piccolo di statura, con testa grossa, colorito pallido , braccia e gambe esili , ed i piedi cosi
» lunghi e larghi, che dicevasi avesse otto o dieci dita ; la debolezza della sua persona corrispon
» deva a quella dello spirito; fu educato in una ignoranza di tutto, ed in alcuni casi fece vedere
» una quasi incredibile pusillanimità. Non fu che un ambizioso ; alla vigilia di dover abbandonare
" Napoli, sognava la conquista di Costantinopoli, ed anche il regno di Davide.
"
Cronologia universale di Gio. Batt. Rampoldi, Milano 1833, pag. 427, an. 1495.
Manualedi
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169
III. Da ultimo alcuni pochissimi pretendono che Alessandro VI spac
ciatamente vi ponesse mano , e si dichiarasse poi contrario allorquando
nou vi trovò più l'utile suo, ed è assolutamente falsa.
Noi abbiamo abbracciato il primo sentimento riputandolo l'unico ve
riore, e che si possa comprovare sino ad una dimostrazione, dietro l'au
torità di scrittori contemporanei e spassionati verso d'Alessandro VI,
anzi aventi interesse ad accollargli tale impresa se in qualunque maniera
avessela consigliata, favorita , approvata. Uno di questi è l'accreditato
Filippo Comines , che non solamente non imputa somigliante colpa ad
Alessandro VI, ma ci riferisceche fin dai tempi ancorad'Innocenzo VIII,
Lodovico Sforza avea già incitato econtinuò poscia ad incitare Carlo VIII
ascendere in Italia e pigliarsi il reame di Napoli. Con questoconviene
Antonio Frizzi nelle sue Memorie della storia di Ferrara , ed il Corio
Bernardino , che ci tramandò l'orazione dell'ambasciatore dello Sforza a
Carlo VIII, nella quale ad ogni modo avrebbe dovuto far menzione del
l'approvazione ed adesione papale alla famosa impresa , onde maggior
mente persuaderne il re ed i magnati francesi restii ad acconsentirvi.
Così parimenti l'istesso re Carlo VIII nella sua, tramandataci dallostesso
Corio, non pensò mai, onde animare i suoi grandi riluttanti a questa
guerra, a communirla dell'autorità del nome del Pontefice, alla quale
certo sarebbe ricorso se avesse pure l'apparenza di vero. Altri scrittori
posteriori di gran grido sino al giorno d'oggi propugnarono il senti
mento nostro, che oltra esser il più consentaneo alla verità istorica, si
mostra altresì il più razionale (1).
(1) Giovanni Bottero, abbate di S. Michele della Chiusa di Susa, nei suoi detti memorabili de'
personaggi illustri. Brescia 1610.
Pag. 17. " Ludovico Sforza haveva fatto venire i Francesi in Italia per cacciare gli Aragonesi
suoi nemici, fuordi Napoli : onde procedette poi la rovina sua. Dall'altra parte Pietro de' Medici,
spaventato per la forza dei Francesi, haveva lor consegnato la fortezza dello Stato di Fiorenza ;
per la qual cagione fu poi bandito. Trovandosi poi insieme l'un e l'altro nell'esercito Francese,
perchè scusandosi Piero, che sendo andatogli incontro per inonorarlo , l'haver Ludovico fallito la
strada, era stato cagione che la sua andata fosse stata vana, rispose molto prontamente Ludovico,
vero è, che un di noi ha fallito la strada; ma sarete voi forse stato quello , rimproveran
dogli che per non haver prestato fede a consigli suoi, fosse caduto in tanta difficoltà.
" Ma i successi seguenti dimostravano haver fallito il camino ciascuno di loro; ma con mag
gior infamia ed infelicità di colui, il quale (Lodovico) collocato in maggior grandezza, faceva pro
fessione di esser, con la prudenza sua, la guida di tutti gli altri. „
Però non troppo splendido elogio ci pinge Cesare Cantù dicendo nella sua Storia degli Ita
liani del carattere di Lodovico il Moro: " Ingegno operosissimo ed animo basso, incompiuto nelle
buone come nelle triste qualità, Lodovico, alla guisa dei moderni, credeva che l'abilità fosse tutto,
confidava di poter colla politica destrezza dirigere le sorti italiane. יו
Filippo Ugolini benchè scrittore infenso ad Alessandro VI, Storia dei Conti e Duchi di Urbino,
vol. 1, su d'Alessandro VI, tuttavia egli non l'accagiona della calata di Carlo VIII in Italia , ma
ne avventa al solo Lodovico il Moro la colpa, così scrivendone per infame consiglio di Lodovico
il Moro, si aprivano a Carlo VIII le porte della misera Italia , e i discendenti di Brenno ritenta
rono l'antica prova, sempre però a loro danno, e questa volta anche del perfido consigliatore.
Il Nardi nella Storia Fiorentina, lib. II, racconta che Lodovico il Moro avevafatto dipingere
170
Difatto, se la signoria degli estranei in Italia a tutti i re e popoli ita
lici è ingrata, ad Alessandro VI poi esserdoveva molestissimaed impor
tabile per essere un impedimento ad aumentare la potenza e la dignità
della Chiesa, e ad innalzare a dovizie e dominii la propria famiglia, di
cui il bucinano cupidissimo quegli stessi scrittori che lo vogliono au
tore della calata di Carlo VIII, nulla curandosi d'esser notati d'inconse
guenza, purchè avviliscano il triregno.
La seconda sentenza è abbracciata da più miti ingegni, studiosi d'in
cedere per la via di mezzo, alla quale si sottoscrisse Achille Gennarelli
nella citata opera, e ci fa in vero sorpresa che abbia voluto chiudere
l'occhio sopra la verità conosciuta, ed impugnarla, quando scrisse (Dia
rius Burchard. pag. 265) Omnibus monumentis coacervatis in unum,
satis liquet Pontificem primum impedimenta Ludovico Sfortiae nonop
▸ posuisse, ut eum ab incaeptodeterreretsupertractatu cum Carolo VIII,
• imo cum eo, quamvis non apertissime, inidem laborasse. Sed id egisse
▸ potius per indurre gli Aragonesi a queste convenzioni, quam pro illis
⚫ de dominatione expellendis, ut Guicciardinius asserit, omnes quasi scri
ptores pro certo habent. Ci duole assai che il prefato abbia conver
tito la scienza a dannodellaverità, ed abbia seguitato lascuoladelGuic
ciardini rimproverata, detestata sino dagli scrittori acattolici.Alessandro VI
contra la casa d'Aragona, ostile sempre al papato da bella pezza, e che
veniva or ora a ledere i diritti di Santa Chiesa per la compera dei ca
stelli fatta da Virginio Orsini, non avevaopposto altroche laparola, che
la lega italiana da noi mentovata, non mai le armi francesi.
La terza sentenza è di coloro i quali, dietro alGuicciardini, spacciano
avere Alessandro VI ad ogni modo eccitato il sovrano francese allacon
quista di Napoli : ora cotesta viene contraddetta non solo dai perentorii
documenti sostenitori gagliardissimi della nostra , ma fino dai difensori
della seconda. Stendiamo la mano ai documenti.
Carlo Rosmini nella Storia di Milano, inclinando più a professare la
seconda sentenza che non la prima, confuta nettamente la terza così di
scorrendo :
• Come il duca di Calabria fu informato di questa lega (Pontificia-Ve
neta-Lombarda), d'accordo con Pietro de'Medici e coi fuorusciti romani,
avrebbe voluto subito con poderoso esercito marciare contro Roma, la
qual città non dubitava di poter sorprendere ed occupare; ma di con
trario parere fu anche questa volta il re Ferdinando suo padre il quale
così era divenuto nemico d'ogni rottura, che palesemente cercò di pla
care l'irritato animo del Pontefice con nuoveproposizioni di pace, lequali,
comecchè allora non fossero accettate , furono il primo seme dal quale
pullularono tutti i mali, che per lungo corso di anni afflissero l'Italia e
unItalia tutta piena di galli ed un moro che colla granata pareva cacciarli. Mostrando Lodovico
"
d
questa medaglia a Francesco Gualterotti, ambasciatore fiorentino, echiedendo che gli paresse, l'am
'Italia,
basciatore rispose: " Benissimo; ma mi sembra che questo moro volendo spazzare i galli fuori
si tiri tutta la spazzatura addosso.
--
171
segnatamente la Lombardia. Perciocchè il duca di Bari, temendo che il
Pontefice, vinto dalle offerte del re diNapoli abbandonasse lalega, e che
i Veneziani medesimi, icui fini ed interessi erano diversi dai suoi, quando
che fosse non vacillassero, ond'egli rimanesse poi vittima di una gene
rale confederazione, pensando più ad allontanare il pericolo presente, che
ovviare i futuri, si risolvette di chiamar in Italia Carlo VIII re di Fran
cia, contro il quale rivolgendosi i suoi nemici, a lui lasciasseroiltempo
di respirare e di maturare i suoi segreti consigli.
•Sapea egli che quel monarca, ambizioso ed avido estremamente di
gloria, quale erede della casa d'Angiò credea di avere un diritto legit
timo sul regno di Napoli, la cui conquista tanto più era di tentare ri
soluto, quanto essa gli agevolava la via alla spedizione di Terra Santa,
che si era proposta in mente, onde stava in attenzione di qualche op
portunità per calare in Italia. Approfittando il duca di Bari di queste
notizie, si determinò di farlo risolvere. Nondimeno, per procedere cauta
mente, e non essere il solo ad accendere tanto fuoco in Italia, riuscì di
persuadere anche al Pontefice la necessità di chiamare in Italia l'armi
straniere, e ciò col lusingare le passioni in lui dominanti, sdegno ed
ambizione, affermando che solo colle armi straniere potea vendicarsi dei
superbi rifiuti del duca di Calabria, e procurare a' suoi nipotistabilimenti
onorevoli. Piacque allora il partito al Pontefice, e amendue segretamente
inviarono (1) persone fedeli in Francia a meglio esplorare l'animodel re
e dei suoi ministri, le quali trovarono buone disposizioni in molti, e se
gnatamente nel re. Dopo ciò il duca di Bari , colorando il vero motivo
con altri, spedi in Francia col titolo di ambasciatore Carlo da Barbiano
conte di Belgioioso, accompagnato dal conte di Caiazzo figliuolo di Ro
berto Sanseverino, e da Galeazzo Visconti. Il-Belgioioso gunto a Parigi,
dopo essersi in particolare udienza assicurato della volontà del re e di
molti de' suoi consiglieri, fra i quali, secondo l'ordine avuto, sparse se
gretamente splendidi doni e danari, aiutato anche in ciò dal principe di
Salerno, e da molti altri fuorusciti del regno di Napoli , ottenne che il
re, convocato il consiglio, gli permettesse di esporre i motivi di sua
ambasciatar .
1) Filippo di Comines consigliere di Carlo VIII, e che intervenne a tutti i consigli nei quali si
trattò della guerra italiana , non solo non fa parola di ciò, che anzi positivamente assiucra , che
insino da quando regnava ancora Innocenzo VIII papa, avea Lodovico Sforza mandato a Parigi da
Carlo VIII per sollecitarlo a calare nella nostra penisola. Se ciò fossesi replicato daAlessandro VI,
egli non l'avrebbe taciuto. L'oratore milanese l'avrebbe posto innanzi per dar forza ai suoi detti,
e Carlo VIII indubitatamente n'avrebbe fatto cenno nel suo discorso. Antonio Frizzi ugualmente al
Comines ben versato in questa bisogna, ci accerta che la prima missione di Lodovico fu ad insa
puta del Papa. Così pure attesta il grave abbate succitato Bottero.
Langlet di Fresnoy nella citata sua opera cap. xvII § 5, egli dice : “ Benchè il Jonville e Fi
lippo di Comines non abbiano avuto altra scuola che la Corte del loro principe, si rispetta
» però più la loro testimonianza che quella degli altri storici contemporanei. Non si esamina se ab
» biano studiate le antiche storie per formarsi uno stile e una maniera ; vi si ritrova la verità e
>spressa altresi con un gran giudizio. Ciò basta, perchè altro in loro non si ricerchi. »
172
Presentò il Legato milanese quest' epistola di Lodovico duca suo
signore, da Bernardino Corio riportata nella parte settima delle sue
istorie :
• Sfortiade domus proprium semper fuit Gallicis rebus adesse , a qui
bus innumera beneficia retulerunt. Genuensium ditionem Lodovicus pa
ter tuus Francisco Sfortia genitori meo donum dedit; hanc tu mihifir
masti. Pro tantis meritis Franciscus genitor filium eius Galeatium
fratrem meum cum militaribus copiis inGalliam misit, compescendo te
trarcharum furorem , qui adversus patrem tuum arma moverant ,
foedus cum Francisco Britanniae duce percutientes, ut illum aut regno
eiicerent, aut perpetuis curis victum haberent. Utile genitoris mei auxi
lium fuit, salubrius consilium attulit, ut conditiones quascumque hosti
bus daret, a quibus frustratus, sui iuris compos erat, dum regis titulum
tantum retineret, sed observata in posterum occasione singulos oppri
meret: haud enim facile futurum principum numerum in unum conspi
rare, et cum armorum vim, quam tunc habebant, singulis iuvandis
congerere. Sic brevi lucupletatus, et subiectorum suspicione factus liber,
Lodovicus pater tuus, regnum haud alias maius , et ditius pro arbitrio
summa omnium in eum reverentia exercuit. Illum proceres tetrarcha
rum, populi, urbes, finitimi duces, reges, et provinciarum potentes ve
rebantur, ab omnibus colebatur, ab omnibus respiciebatur. Ego nihil
tantae tuae me munificentiae adiisse potui, nisi desiderium incredibile ,
tibi in aliquo prodesse; et dum animo mecum revolverem, quidnam po
tissimum pro tuae gloriae amplitudine efficerem , nihil demum in im
perii huius tenuitate occurrit praeter consilium , quod olim pater meus
genitori tuo obtulit ad augendum eius imperium, et Galliarum dedecus
amovendum , quod obiicere videbantur Parthenopaei reges , qui nullo
iure, nullis legibus inducti, regnum illud tibi debitum, tibi a maioribus
haereditario iure, et per testamentum relictum ac Gallicae coronae ad
ditum, temere. et irriverenter occupant, populos lacerant, et per inho
nesta vectigalia exhauriunt.
• At meministi , Carole, magni progenitoris , qui Turcas , devicturus
nihil satis ad comparandam classem, et exercitum augendum quam re
gnum illud duxit, ubi armari classes, et instrui exercitus , recreari , et
stare possunt ? Quo usque patieris Gallicum nomen abiici , haereditates
regias ab exteris occupari, populos velut in praedam haberi ? Tibi om
nes favent, et unicum principem exposcunt, tuum libentes iugum sub
stinere cupiunt , dummodo illud faedum, et tyrannicum eiiciant. Ego
quantum potero praestabo armis, pecunia, equis, viris iuvabo , si modo
viriliter agere ne dedecori dedecus addatur. Non est quid verearis ar
duam expeditionem esse in regno per diuturna tempora possesso; ade
runt enim universi pene Italiae potentates, Deus ipse iustam causam
amplexabitur et favebit, populorum odium illum eiiciet, ut te ducat , si
modo praesentia tua arma viderit, idem caeteri factitabunt. Accingere
ergo, et omnem pone moram; semper nocuit differre paratis: ingentem
ex hac expeditione gloriam reportabis, quae maius tibi , et posteris lu
menpariet.
--
173
•Hinc enim, haud difficulter traiecto Ponto, Turcas invades , invasos
opprimes, oppressos christianae religioni coniuges, Hierosolimam, et quae
olim maiores tui armis, et virtute devicere, tuo imperio submittes. Quid
gloriosius geri a quoquam potest, quam religionem cuius princeps sit,
non modo ab hostibus defendere, sed conculcatos ipsos nobis aggregare,
etnon solum inimicorum iniurias propulsare , sed ultro inferre, et per
universum terrarum orbem maria etiam, et superos glorioso nomine
complere? His praesertim haec fienda omnibus, quibus Parthenopaei in
numeri proceres patria sede ob iniuriam aFerdinando regni occupatore
expulsi, tuum auxilium , tuam opem, suam ab inferis redemptionem ,
suam in patriam restitutionem eo affectu expectant, quo olim damnati
parentes nostri Christi resurrectionem operiebant. Adsunt illis factiones,
adsunt cives honestissimi , qui te praesentem venerabuntur, absentem
dissimulant, supplicii metu ; civitates , et populi, nullo in eos conflictu
tibi deditae, tua vexilla erigent , est Antonellus Salernitanus princeps
apud te, homo acris ingenii, regni illius contrarius, et qui multos se
cum trahet ob omnium in eum benevolentiam et miserationem, tumva
lidissimarum partium propinquitate adiutus. PraetereaTurcus in Illirico
copias movit adversus christianam religionem, pannonios evertere sum
mis conatibus nititur , in dehonestatem dedecusque fidei et religionis
nostrae omnia ferro, igne, ruinis, confundit. Patiemur a communi hoste
pessundari, et in contumeliam haberi, Christum sperni, templa pollui ,
divina omnia prophanari, humanaque cuncta confundi ? Hoc tempus i
doneum vindictae, cum tu, moto per Brundusium exercitu , et superato
circa Valonam mari, incautos eos opprimes, et prius tuum sentient vul
nus quam se pati intelligant; hinc diversio armorum ex Illirico ut ag
gressa defendant. Non tibi Romanorum imperator Maximilianus , non
religiosissimi Hispaniarum reges, non potensAngliae rex, nonDaci, non
Sarmatae, non universa Italia defuerit; gloria , decus tuum erit , labor
cum omnibus aequans. Noli occasionem temporum deserere, necum re
sumere neglecta volueris frustra labores. Est tibi solida domi et fons
quies, ut nihil formidabile post tergum relinquas. Si quid te retinet ,
mone; quantum in me erit, praestabo, ut cuncta tibi pareant, te se
quantur, te respiciant..
L'ambasciatore Lombardo oltre a quest'epistola, con esortazioni tali e
tante si sforzò di persuadere, indurre e determinare Carlo VIII all'usto
lata spedizione napoletana, che questo re non solo vi presto favorevo
lissimo orecchio, ma anzi con animo prontissimo e lietissimo in sè de
termino di effettuare quanto e la propria ambizione gli suggeriva , e le
caldissime istanze del duca di Milano richiedevano.
Tenne egli un lungo discorso, nel quale fecepompadi molta facondia,
la cui sostanza era di mostrare al re la necessità in che si trovava (vo
lendo mantener la sua gloria, d'effettuare la meditata spedizione contra
il Turco), d'assaltare il regno di Napoli : la giustizia di tale assalto, la
facilità di compierlo con esito fortunato, perciocchè , oltra che le forze
degli Aragonesi sarebbono a gran pezza e in numeroed in valore infe
--
174
riori alle sue, gli aderenti al partito angioino in quel regno eran molti,
e moltissimi quelli che odiavano il re Ferdinando ed ilducadi Calabria,
per le crudeltà da essi esercitate sulle persone di tanti loro congiunti
ed amici barbaramente periti sotto la scure.
Dopo ciò il Belgioioso aggiunse, che il duca di Milano offriva al re
soccorso di uomini e di denari, e tutto il credito di cui egli godea, non
solamente ad accrescere il numero dei suoi alleati, ma a persuadere an
che le potenze neutrali non tanto a non porre ostacoli allasua impresa,
quanto a segretamente agevolargliela cogli aiuti.
Pronunziato ch'ebbe il Belgioioso il suo discorso, il re mostrò palese
mente l'assoluta sua volontà di aderirvi; se non che gli usi rispettando
e le costituzionidel regno, ricercò il parerede'suoi ministri e consiglieri.
Bernardino Corio, il quale da fonti autentiche estrasse soventissima
mente le notizie sue, narra che Carlo re convoco i primari del reame e
della Chiesa, e dinanzi ai medesimi così orasse:
• Se i nostri maggiori nel tempo passato hanno combattuto per ac
crescere la dignità dell' imperio, e per conseguire appresso di tutte le
genti gloria immortale, quanto più anoi è necessario usare l'armi
acciò ricuperiamo quel che iniquamente n'è tolto! Dehvogliamo avver
tire al nostro onore, del che ne averà a succedere grandissima gloria, e
più che gli altri saremo clarissimi. Ferdinando d'Aragona, procreato di
gente ispana, occupa il reame napolitano a noi dovutoper ragione ere
ditaria, et anche per ultima volontà. Veramente alla nostra corona, e
non manco a voi altri Prencipi, Signori, e d'ogni altro stato si può at
tribuire a grandissima ignavia, se per avanti lascieremo in mano del
nostro inimico questa eredità, il novissimo reame, leopulente città, ca
stelli , e terre, dalle quali affluisce, fertile di vittuaglie, enumerosagente;
e di presente la necessità ne priva dell' escusatione; come da primo fu
morto Lodovico mio padre essendo fanciullo, sempre un'intestina guerra
me ha conturbato, et ha continuato fino aquestitempi. Parendomi, che
il dubitare fosse grandissima ignavia et vituperio, vorria avanti avere
ricuperato la ragione , che gli anni persi: ma in questo luogo peggio
è, che l'inimicopensa che presso di noi non sia alcuna ragione, e per la
lunga dimora dispreggia le nostre forze, e che il nome gallico quasi
per mollitia esercita la vergogna, nè disprezzi le ricchezze, le quali con
ogni inganno, e sceleraggine tirannicamente ha cavato dalle viscere di
quei popoli. Et il veterano milite Alfonso suo figliuolo , prestante nel
l'arme, ha costituito imperatore de gli eserciti contra del Pontefice (1)
et altri finitimi. Ma noi principalmente per la egual ragione, perlapos
sanza del nostro esercito interno et esterno, i soldati assueti perlecon
tinue guerre nelle gran fatiche, i capitani egregii, all'ampio reame, fi
(1) Sebbene non ispecifichi qui Carlo VIII qual fosse questo Pontefice, risulta nulladimeno dal
Comines, che era Innocenzo VIII, e non Alessandro VI, a cui Carlo VIH mandò il suo legato.
D'altronde dalle istorie è chiaro, essere contro ad Innocenzo che Ferdinando ed il suo figlio Al
fonso rivolsero le armi loro, per cui vennero piu fiate scomunicati.
--
175
datissimi popoli, le ricche provincieet in ogni parte in pace, lievemente
esenza alcuno esterno soccorso potremo superare il nostro nemico. Ma
che questo più facilmente ne abbia a succedere, sarà per noi Lodovico
Sforza principe dei Milanesi, prudentissimo sopra tutti gli altri uomini,
il quale , di quanto sarà possibile, ne darà indubitato aiuto; il duca di
Savoia, i marchesi di Saluzzo e Monferrato saranno al nostro voto, e ne
concederanno le necessarie vettovaglie (1), e mentre ne mancherà, molto
addito ne sarà ancora la florentissima et uberrima Italia, nella qual re
gione potranno ricreare i nostri soldati, e stanchi per il montuoso cam
mino ne riceverà nel suo amplesso.
•Contra di Ferdinando gli è l'odio, e la profonda simultà, che gran
dissima vittoria ne concederà: et occupato il reame sarete vindicati della
vostra vergogna. Iltuttoho voluto partecipare convoi, acciocchè quando
havesti inteso la famadi questaguerra, nonhavesti riputatocosa iniqua,
che io senza vostra intelligentia contra d'alcuno avesse pigliato le arme
per la comune gloria etonore, arimoverlavergogna francese, ela mol
litie della gente aragonese esprobata verso di noi , e della nostra rive
rentia, la quale per forza e contumelia è dilacerata , considerato che,
qualunque sanno, abbia in venerazione il nostro nome, toltogli ogni so
stanza per augmentare l'erario, sono obtruncati, riservato se la forza
non gli presta salute.E traquesti Antonelloprincipe di Salerno, il conte
di Chiaramonte et il prencipe di Bisignano inquel reamenostri fautori,
molti proceri ancora disperati della salute, si sono ritirati a noi , e con
lacrime ne pregano, che vogliamo porgere aiuto alla sua miseria , e da
tutti è desiderato il nostro nome; il perchè ancora non saremo perve
nuti a i confini d'Abruzzo, che tutti i popoli e città del nimico, lacerate
per tirannia, si daranno in nostra divotione. Ma il più arduo e perico
loso che sia in questo bene, è che loro troppo presto verso di noi non
mostrino l'animo suo; onde non accelerandosi il nostro aiuto, da Ferdi
nando resteranno oppressi , il che questo Lodovico Sforza afferma per
le sue lettere , al quale espertissimo prencipe grandemente prestiamo
fede(2).
•Soggiunse dopo il re: superato Ferdinando, et ivi instrutto l'eser
cito et instaurata la classe, voglio passare contro i turchi, e soggiogarli;
imperocchè i miei maggiori altre volte per aversuperatoquegli infedeli
hanno conseguito il titolo di christianissimi : non manco io mi vedo in
feriore a loro. O quanto adunque ne sarà glorioso ricuperare l'occupato
(1) Se il Pontefice avesse col Moro iniziato ed ordito la trama della discesa dei Franchi in I
talia, qui Carlo VIII numerando i principi anche piccioli a sè favorevoli , indubitatamente non a
vrebbe taciuto il Romano Pontefice che teneva primario luogo in Italia è come sovrano, e come
capo della cristianità. Niuno argomento sarebbe stato più opportuno al monarca francese per coo
nestare l'impresa sua quanto il communirla di tanto nome. Nol fece, perchè ne era affatto ignaro
il Papa.
(2) Qui pure sarebbe stata all'assunto di Carlo VIII assai acconcia cosa l'aggiugnere, che in
questo conveniva anche il romano Gerarca. Ma ciò non essendo vero nol disse, nè poteva dirlo.
-176
reame napolitano dalle mani del potentissimo nemico efavoreggiandone
Iddio mediante le nostre forze, et il nostro conseglio , superare i turchi
fortissimi fra le genti dell'universo, e questa santissima, echristiana re
ligione con ogni contumelia sprezzata da loro, constituire nel mezzo delle
sue basiliche, onorarla nei tempi , prolatarla fra quelle genti, et i suoi
sacrificii, et idoli, in conspetto di ognuno rovinare , come cosa vana, e
superstiziosa. Grandemente siamo debiti a Dio Ottimo Massimo, il quale
ne ha concesso tanto imperio, e maestà, il quale se saremo diligenti, in
tal modo l'averemo ad augmentare che il primo luogo otteniràfra tutti
i christiani. Non è adunque di rifiutare l'utile consiglio, e pigliar l'arme
per la christiana religione, la quale sta in sommo pericolo, e con tutte
le nostre forze augmentarla, e questa santissima impresa in tal modo
sarà grata al Creatore del tutto, che in ogni nostro successo ne sarà fa
vorevole .
Francesco Guicciardini pure nella sua istoria italiana inscrisse l'ora
zione del sovrano di Francia, ma con altra forma oratoria ordinata, in
cui l'autore fiorentino mira più alle cose che alle parole. Il Corio rife
risce che i primati della nazione ricevessero con applauso incredibile i
detti del principe loro; eGiovio parimenti il conferma nelle sue istorie.
Però Guicciardini il nega, scrivendo :
• Non fu udita, con allegro animo questa proposta dai signori grandi
di Francia, e specialmente da coloro che per nobiltà e opinione dipru
denza erano di maggiore autorità, i quali giudicavano questa nonpoter
essere altro che guerra piena di molte difficoltà ecc. Giovanni Gio
vano Pontano concorda col Guicciardini, asserendo nel libro V de Pru
dentia:
•Declaravit id modo Ludovici Sfortiae Mediolanensis dynastae, honoris
appetitio insatiabilis, ambitioque maxime insolens, ne de vitae ejus actio
nibus aliis moribusque non omnino temperatis dicam. Is, ob insolentiam
animi, moresque, perversissimos, non sese ipsum modo in ruinam , car
cerem, proximumque immersit miseriam, verum Italiam universam pene
in servitutem conjecit, dum IohannemGaleatium fratris filium, innocen
tissimum adolescentem, veneno effert ob dominandi libidinem, Carolum
que VIII Gallorum regem, ingenti conductum pecunia quamvis dissi
dentibus Galliae primaribus ferme omnibus, maximus cum copiis in I
taliam trahit ..
I popoli italiani d'allora, concordi nell'amore della propria nazione, e
solo sventuratamente discordi fra loro per ambizione, per invidia ed in
sensato studio di parte, non sapeano persuadersi che un monarca stra
niero, sul più bel fiore degli anni , il regno proprio abbandonasse e a
tanti pericoli andasse incontro, e a tante spese, al solo fine, come eipro
testavasi (nell'atto che rivendicava i proprii diritti), di accrescere la loro
potenza e la loro felicità. Per la qual cosa , come venne a luce la con
venzione stipulatasi in Francia fra quel re e il duca di Milano ( inten
dasi sempre il duca di Bari), tutti a gara condannarono quest'ultimo
dell'empio e forsennato consiglio di chiamare in Italia l'armi straniere ,
177
equanto era in loro, si adoperarono per persuaderlo ad abbandonare
quella insidiatrice alleanza, e ad unirsi con essi, nel tempo stesso che
l'assicuravano che tutti concorsi sarebbono alla difesa dello Stato di Mi
lano, quando questo minacciato fosse dalle armi del re di Napoli. Ciò
gli fecero intendere, fra gli altri , i Veneziani, i Fiorentini, e Giovanni
Bentivoglio signor di Bologna. Eil re stesso diNapoli, che volea, quanto
era in lui, allontanare dal suo regno la guerra, facendo cedere all'amor
della pace e al proprio quello de'nipoti , già disposto mostravasi ad ac
consentire che il ducadiBari si mantenesse perpetuamente in quel grado
d'autorità che esercitava allora in Lombardia, purchè all'alleanza ri
nunciasse col re di Francia.
Ma il fato d'Italia volea che il duca di Bari, il quale ad altro non mi
rava tranne all'assoluta sovranitàdi Lombardia, gran mastro di finzione
tal qualera, dessea tutti vaghe risposte e ambigue promesse, al solo fine
di addormentarli, e per non essere da essi assalito, prima che le forze
del re passassero le Alpi. Anzi per meglio munirsi, e non aver tampoco
a temere dal medesimo re di Francia (timori che molti si studiavano di
ingerirgli nell'animo, e cui nutriva in parte egli stesso), s'era procurata
una possente alleanza nella persona di Massimiliano d' Austria , re dei
Romani, cui diede in moglie Bianca sua nipote, sorella del duca di Mi
lano, con dote di quattrocento mila ducati in danaro, da pagarsi in
tempi determinati, e altri quattro mila in gioie : e , per dare qualche
ombra di giustizia alla violenza che meditava, ottenne da quel re, nel
l'animo del quale questa volta l'utile prevalse all'onesto, la promessa di
concedergli, si tosto che pagata avesse l'ultima rata della dote , l'inve
stitura del ducato di Milano per sè e i suoi discendenti , in pregiudizio
del duca Gian Galeazzo e dei suoi successori.
Giacomo Diego senatore di Venezia , nella sua Storia di questa città,
scritta due secoli avanti che Rosmini compilasse quella di Milano , di
scorrendo egli dei maneggi di Lodovico il Moro per indurre il re franco
all'acquisto del regno napolitano , orpellatamente pure propende a dare
ad intendere ai suoi leggenti, senza allegare veruna autorità a conferma,
che Alessandro VI non fosse estraneo a quelli , nè ci reca meraviglia ,
sapendolo noi avere sposato in gran parte i principiidel suo maestro il
Guicciardini : A fronte però, egli scrive, delle mendicate apparenze, e
della dissimulazione dei principi italiani , cominciò ad iscoprirsi l'odio,
che tra loro si nutriva, e il desiderio di stabilire soprale rovine dell'al
tro il fondamento alla particolare grandezza. Temeva Lodovico, usurpa
tore dello Stato di Milano, in di cui mani erano ridotte le fortezze , le
munizioni, l'erario (per la debolezza di Giovanni Galeazzo legittimo e
rede), che cercasse il re di Napoli , e specialmente Alfonso, strettamente
congiunto aGaleazzo per la moglie Isabella, di sciogliere il nipote di
servitù, al qual fine spargeva voce Lodovico, che anelasse il re di Na
poli ad occupar quello Stato per le ragioni che vantava sopra il Mila
nese invigore del testamento di Filippo Maria Visconte , che avea isti
tuito erede Alfonso padre di Ferdinando; ma nota essendo l'indole di
12
178
lui, e le pessime arti, valevano i pretesti mendicati a renderlo più odioso
ai popoli. Cercando perciò egli appoggi bastanti a sostenerlo , faceva
poco fondamento nella dubbia (1) fede del Pontefice, poco negli aiuti dei
Veneziani, quali credeva non si sarebbero imbrogliati negli affari altrui
senza evidente vantaggio proprio, molto meno nei Fiorentini, inclinati
a secondare i consigli del re di Napoli, e perciò getto lo sguardo sopra
la potenza del re di Francia, a cui non mancavano forze emezzi pronti
per accingersi a grandi imprese.
• Per rendere più accreditato il maneggio, indusse il Pontefice, con
speranze di larghi profitti, a farsi compagno dei sinistri uffizi 2) , col
mezzo de'quali per sagaci persone fu fatto rappresentare alla corte di
Francia la facilità di occupare ilregno diNapoli, ipremi amplissimi che
sarebbero derivati dall'acquisto, il concorso dei principi italiani asecon
dare la gloria delle armi francesi, per essere odioso ai confinanti ed ai
sudditi il nome, non che il governo del re di Napoli, e il largo campo
che si offriva alla fortuna ed alla potenza della Francia, dopo occupato
quel regno, di estendere la conquista sopra il paese Ottomano, e di sta
bilire fondamenti assai sodi per una vasta monarchia. Non erano meno
efficaci le insinuazioni d'Ercole d'Este duca di Ferrara, suocero di Lodo
vico, che ansioso di ricuperare il Polesine di Rovigo(3) occupato da' Ve
neziani nella guerra dieci anni prima avuta con loro, non poteva sperare
in altra maniera di riaverlo, che allora quando fosseturbata l'Italia tutta
da gravi movimenti.
• Da tali pestiferi semi, e dalle istigazioni de' principali ministri cor
rotti co' doni da Lodovico, lasciò indursi Carlo Ottavo allora regnante a
mirare all'acquisto del regno di Napoli, presso del quale, perchè imbevuto
da vaste idee di dominio e di gloria, non aveano vigore iconsigli de' più
sensati del regno, che aborrivano di veder impegnate le armi ed il nome
della nazione in una guerra difficile, in paese lontano, e dove finalmente
sarebbero stati contrari per gelosia di sè medesimi i principi tutti d'I
talia. Maneggiandosi l'affare con grande segretezza allacorte di Francia,
non potè tuttavia non trapelare a Ferdinando re di Napoli, principe di
maturità distinta , che concepito il pericolo a cui era esposta la salute
propria e de'suoi, allorchè passasse le Alpi labellicosa nazione francese,
si affaticava di far comprendere ai principi italiani il comune pericolo,
(1) Non potevasi ancora chiamare dubbia la fede del Pontefice, se intende parlare d'Ales
sandro VI, come quegli che sino allora nel suo governo non aveva porto altro che esempi di
lodevole giustizia e dirittura.
(2) Egli è qui appunto che sta la fallacia: bisognerebbe provare l'asserzione con documenti dl
scrittori contemporanei, e non asserire cosi avventatamente una cosa. Noi sì che cammineremo per
siffatta via e nulla diremo senza che isicroni scrittori autorevoli ci siano mallevadori della verità,
non aver mai Alessandro VI compartecipato alle mene colpevoli dello Sforza.
(3) Per altro dal documento d'Antonio Frizzi : Memorie per la Storia di Ferrara, che alle
gheremo più sotto, pare che non fossero poi tanto efficaci le insinuazioni d'Ercole duca di
Ferrara.
--
179
e le catene che dovevano stringere l'universale libertà, se fossero stati
spettatori della funesta tragedia del regno di Napoli.
■ S'industriava particolarmente di render quieto il Pontefice, che sa
peva essere irritato per leggieri motivi. Proponeva di dare in isposa ad
uno de'suoi figliuoli, pur troppo noti, e da lui medesimo pubblicati, ma
dama Sances figliuola naturale diAlfonso, assegnandogli indoteil prin
cipato di Squillaci; e rivolgendosi nel tempo medesimo alla corte di
Francia, col mezzo di persone scaltre faceva maneggiare gli animi dei
ministri con ricchi doni , e finalmente vedendo il re fisso nel disegno,
per ultima prova esibi di corrispondere alla corona di Francia un annuo
censo, e di riconoscere il dominio dall'autorità di quel sovrano. Ebbero
felice fine i trattati di Ferdinando col Pontefice, poichè preferendo l'esal
tazione(1) de' figliuoli alla stabilita confederazione, abbraccio le propo
sizioni del re di Napoli, e, licenziate le genti d'arme spedite a difesa dello
Stato ecclesiasiastico dai Veneziani , e dal duca di Milano, si impegnò
con speciale Breve di concorrere a preservazione del regno di Napoli,
qualora fosse attaccato dalle armi del re di Francia.
• Passando tuttavia le cose in Italiacon profonda dissimulazione, tutto
spirava tranquillità e perfetta intelligenza tra i principi italiani , giun
gendo a Venezia per solo diporto Eleonora figliuola di Ferdinando re
di Napoli , moglie d'Ercole d'Este con due figliuole, maritata l'una
con Lodovico, l'altra con Francesco Gonzaga, ed Alfonso colla moglie
Anna, sorella di Giovanni Galeazzo, ecol figliuolo, quali nel tempo tutto
in cui si fermarono a Venezia, furono trattati con regi onori, e ricreati
con spettacoli che sono particolari della città.
•Mentre però in Italia non appariva che gioia e tranquillità, si di
sponevano in Francia le cose a cambiare le di lei allegrezze in amaro
pianto, veggendosi infervorato il re Carlo alla divisata impresa con ca
lore sì grande, che percomporre le differenze con Ferdinando e Isabella,
re e regina di Spagna, aveva loro restituito (sebbene con dolore di tutti
i buoni francesi), Perpignano colla contea di Ronciglione, paese situato
alle radici de'monti Pirenei, e che impediva agli eserciti spagnuoli l'in
gresso nel regno di Francia: al qual oggetto aveva Carlo fatto pace con
Massimiliano re de'Romani, e con Filippo duca d'Austria, ponendo in di
menticanza lepassate amarezze, e restituendo a Filippo lasorella Marghe
rita, trattenuta sino a que'giorni in Francia, insieme alle terre del con
tado d'Artois, a riserva delle fortezze. Era facile comprendere qual fosse
l'impegno del re per l'acquisto del regno di Napoli, e facile eziandio a
rilevarsi la scena lugubre che si preparava all'Italia, che nella devasta
zione delle sue più doviziose contrade, nella caduta e sovversione delle
città, ne'cambiamenti de'naturali suoi principi, e nell'effusione del sangue
per l'ingresso di gentebellicosissima, veniva ad esser esposta a que'mali,
da'quali, per gli occulti giudizii di Dio o per le scelleratezze degli uo
(1) Il leggitore che avrà in memoria le condizioni della lega Veneta-Pontificia-Lombarda, si av
viserà di leggieri che Alessandro VI non offendeva la confederazione suddetta, sibbene Lodovico.
180
mini , sogliono essere afflitti gli Stati, ed abbattute le grandezze dei
principi.
• Prima di dar movimento all'esercito, spedì il re persona espressa a
Venezia (1) per ricercare al senato se voleva prender parte nelle vicine
turbolenze, o almeno continuare la buona amicizia colla corona di Francia;
alla quale richiesta fu di ordine pubblico fatto intendere al re: Essere
istituto radicato della repubblica preferire la pace alla guerra, che per
tale oggetto desiderava il senato quiete alla Francia egualmente che ai
principi dell'Italia; ma che, se fosse ferma deliberazione del re di portar
le armi nella penisola, non sarebbe stata la repubblica diversa da se
medesima, continuando nell'amicizia colla corona di Francia (2) , .
Carlo VIII agitato da una specie di frenesia, per dir così, di conqui
stare il regno di Napoli, compose a casaccio tutte le sue divergenze coi
re d'Europa ; pertanto anche col monarca spagnuolo: In questo anno
(così Antonelli Coniger in Chronico) el re di Francia rendio lo Stato de
Perpignano, e Rossiglione al re de Spagna, et renonciolli l'accione del
regno di Napoli (in raccolta di varie croniche, diari, ed altri opuscoli
così italiani come latini appartenenti alla storia del regno di Napoli.
Napoli, 1782. Berger, vol. 5, pag.28, opera il cui titolo: Cronache di An
tonello Coniger). Ma il re di Spagna non serbò la fede al Gallo, sebbene
avesse conseguito quello che non avrebbe mai potuto sperare, come ri
ferisce il Guicciardini : • fu espresso nella capitolazione fermata molto
solennemente è con giuramenti prestati in pubblicodauna parte, edal
l'altra ne'tempi sacri, che Ferdinando e Isabella nè direttamente, nè in
direttamente gli Aragonesi aiutassero , parentado nuovo con loro non
contraessero , nè in modo alcuno per difesa di Napoli a Carlo si oppo
nessero ; le quali obbligazioni egli per ottenere, cominciando dalla per
dita certa per speranza di guadagno incerto, restitui senzaalcun paga
mento Perpignano con tutta la contea di Rossiglione , impegnato molti
anni innanzi a Luigi suo padre Giovanni re d'Aragona, padre di Ferdi
nando ; cosa molestissima a tutto il regno di Francia, perchè quellacontea,
situata alle radici de'monti Pirenei , e però, secondo l'antica divisione,
parte della Gallia, impediva agli Spagnuoli d'entrare inFranciada quella
parte .
Ma il monarca di Spagna non solamente si tenne pago d'esortare con
li suoi oratori Alessandro VI a non partecipare all'impresa di Carlo VIII,
ma ad ogni modo procurò di coadiuvare gli Aragonesi nella difesa con
(1) Avrebbe dovuto aggiugnere col Comines, che non solo ai veneziani, ma anche al Sommo
Pontefice Innocenzo VIII, che ancora vivea, mandò Carlo VIII i suoi ambasciatori : di questo modo
avrebbe recisamente provato esser Alessandro VI scevro dall'incolpazione affibbiatagli ; e ciò è
quello che non voleva Diego.
(2) Diego fu presto un po' sopra ad accusare Alessandro VI d'operare contra la confederazione
italica, quando promise di difendere un principe italiano dalle armi franche : ma ora i veneziani
non ne sono violatori, che promettono di prestar mano a Carlo VIII ? Cosi sono gli uomini do
minati da spirito di parte. Per essi svisare la verità è sagacia, dovere.
181
tra di lui, come risulta dai documenti da Godefroy aggiunti alle Me
morie di Filippo di Comines (vol. 5, pag. 505, edit. an. 1720, degni d'es
sere riportati : Droits des Roys de France aux comtez de Roussillon
et de Cerdagne.
•Ces comtez furent engagez en l'an 1462 au roy Louys XI parJean II
roy d'Arragon, pour la somme de trois cens mille escus: et par le traicté
de confédération entre le roy Charles VIII, et Ferdinand et Isabelle à
Barcellone en janvier l'an 1493: il fut convenu que le roy Charles dé
laisseroit au roy Ferdinand la possession des dits comtez à la charge
que les dits Ferdinand et Isabelle ne s'allieroient avec les ennemis du
roy Charles, et observeroient les anciennes confédérations entre les roys
de France et d'Espagne. Qu'ils ne marieroient leur filles avec les roys
des Romains et d'Angleterre, ou avec leurs fils , et autres ennemis dé
clarez du roy de France; qu'ils n'auroient intelligence avec quelque
prince que ce fust, au préjudice les uns des autre. Et que tant le roy
Charles que ses successeurs roys de France pourroient faire voir et exa
miner leur droit sur les comtez, à cause d'engagement , ou autrement ,
dont les deux Roys se soubmettroient à arbitres de part et d'autre ; et
en cas que le roy Ferdinand n'accomplist le contenu au traicté, il re
nonçoit à tout droict de propriété, de seigneurie et de possession qu'il
pouvoit prétendre esditz comtez. Or lesdits Ferdinand et Isabelle contre
vindrent à ce traicté, ayans marié leurs filles à des princes des maisons
d'Austriche et d'Angleterre; de plus assisté le roy de Naples contre le
roy Charles. (Vide Corium, Ioviani).
Frattanto Carlo VIII, Lodovico Sforza, Ferdinando e gli altri principi,
in quella che preparavansi alle evenienze della guerra , e con alleanze ,
amicizie studiavansi communirsi, e rimuovere le cause di novelli nemici,
Carlo, segnate le convenzioni coi monarchi spagnuoli, trattò eziandio di
pace con Massimiliano re dei Romani (Traité de paix entre le roy Char
les VIII et Maximilien roy des Romains, et fils Philippes archiduc d'Au
striche, à Senlis l'an 1493, — il ventitre di maggio- Article séparé
ajouté au traicté de Senlis, par lequel les ambassadeurs de Maximilien
roy des Romains renoncent pur luy au titre de duc de Bretagne, qu'il
avoit pris dans le pouvoir qu'il leur avoit donné. A Senlis le dernier
may 1493. Ext. in Godefroy, Mem. de Comines édit. 1720 tom. v. p.426,
451) : Inviò ancora il sire di Francia a tutti i principi e repubbliche d'I
talia i suoi legati per accrescere le alleanze, od almeno per islontanare
dei novelli avversarii, come abbiamo detto ed accenneremo ancora ove
l'uopo dell'ordine cronologico il richiegga.
Ora sì riferite le sentenze altrui, le quali chiaramente appaiono ripu
gnare alla verità, noi proponiamo e propugniamo con validissimi monu
menti, non solo rispondenti a quegli stessissimi giorni , ma scritti da
personaggi, che per essere della medesima nazione ove le narrate cose
avvennero, e per avervi partecipato direttamente e per lunga durata, ne
aveano piena contezza, e proveremo che :
I. Lodovico il Moro invito Carlo VIII re di Francia a scendere in I
--
182
talia contra Ferdinando, in quella che vivea per anche Innocenzo VIII:
epperciò prima che il cardinale Borgia ascendesse sul soglio pontificio ;
quindi che ignaro affatto fosse Alessandro VI di quel maneggio inde
coroso limpidamente si comprova collirrepugnabile testimonianza di Fi
lippo de Comines signored'Argentone, consigliere dello stesso Carlo VIII,
che accuratissimamente descrissene i principii, il progresso, e il fine di
questa guerra sconsigliata, senza che mai neppure pensasse di farne
compartecipe Alessandro VI, anzi ci assicura essersi determinata ad e
sclusiva istigazione di Lodovico il Moro sin dai tempineiquali regnava
ancora Innocenzo. Noi in questa allegazionedisue memorie, ci serviamo
dell'edizione dell'anno 1720 da Godefroy illustrata, tom.2, pag.13 eseg.,
per avere il preciso vetusto testo francese, che tuttavia, per essere cer
tissimi della verità, abbiamo diligentemente confrontato coll'edizione di
Venezia più antica d'un secolo, presso Bertani , 1640 , assaissimo accre
ditata.
Il prefato adunque così scrive: •Nul serviteur , ni parent du duc
Jehan Galeas de Milan donnoit empeschement au seigneur Ludovic à
prendre leduché pourluy, que la femme dudit duc, qui estoit jeune et
sage, et fille du duc Alphonse de Calabre, que par devant ay nommé,
fils aisné du roy Ferrand de Naples; et en l'an mil quatre cens qua
tre-vingts et treize(1493) commençaledit seigneur Ludovicà envoyerdevers
le roy Charles VIII de présent regnant, pour pratiquer de venir et
Italie à conquerir ledit royaume de Naples, pour destruire et affoler ceux
qui le possedoient , que j'ay nommez. Car estans ceux-là en force et
vertu, ledit Ludovic n'eut osé entreprendre ce qu'il fit dépuis. Car en ce
temp-là estoient forts et riches ledit Ferrand roy de Cecile, et son fils
Alphonse, et fort experimentez au mestier de la guerre, et estimez de
grand cœur, combien que le contraire se veit depuis; etledit seigneur
Ludovic estoit homme très-sage, mais fort craintifetbien souple, quand
il avoit peur (j'en parle comme de celuy que j'ay cognu , et beaucoup
de choses traicté avecques luy) et homme sans foy, s'il voyoit son profit
pour la rompre.
•Et ainsi, comme dit est, l'an mil quatre cens quatre-vingts et treize
(1493), commença à faire sentir à cejeune roi Charles VIII de vingt
deux ans, de fumées et gloires d'Italie, luy remontrant, comme dit est ,
le droict qu'il avoit en ce beau royaume de Naples, qu'illuy savoit bien
blasonner et loüer; et s'adressoit de toutes choses à cet Estienne de Vers
(devenu seneschal de Beaucaire et enrichy, mais non point encore à son
gré) et au général Brisonnet, homme riche et bien entendu en finances,
grandamy lors du Seneschal de Beaucaire, par lequelil faisoit conseiller
audit Brisonnet de se faire prestre, et qu'il le feroit cardinal, à l'autre
corchoit d'un duché.
. Etpour commencer à conduire toutes ces choses, leditseigneur Lu
dovic envoya une grande ambassade devers le roy à Paris, audit an ,
dont estoit chef le comte de Caiazze, fils aisné dudit Robert de Sainct
Sévérin, dont j'ay parlé, lequel trouva à Paris le prince de Salerne, dont
--
183
il estoit cousin; car celuy-là estoit chefde la maison de Sainct Sécérin
comme dessusj'ay dit, et estoit en France, chassé dudit roi Ferrand,
comme avez entendu paravant, et pourchassoit ladite entreprise de Na
ples. Avec ledit comte de Caiasse estoit le comteCharles de Bellejoyeuse
et messire Galeas vicomte milanois; tous deux estoient fort bien accou
strez et accompagnez. Leurs paroles en public n'estoient que visitations
et paroles assez générales, et estoit la première ambassade grande qu'il
eut envoyé devers ledit Seigneur.
• Il avoit bien envoyé paravant un sécrétaire, pour traicté que le duc
de Milan, son neveu, fust receu à hommage de Gennes, par procureur,
ce qu'il futet contre raison: mais bien luy pouvoit le roy faire cette
grâce que de commettre qu'un à le recevoir: car luy estaut en la tu
telle de sa mère, je l'ay receu en son chasteau de Milan , moy estant
ambassadeur de part le feu roy Louys XI de ce nom, ayant la charge
expresse de ce faire: mais lors Gennes estoit hors de leurs mains, et la
tenoit messire Baptiste de Campefourgouse, et maintenant que je dis, le
seigneur Ludovic l'avoit recouvrée , et donna à aucuns chambélans du
roy huict mille ducats, pour avoir ladite investiture , lesquels firent
grand tort à leur maistre: car ils eussent pu paravant avoir Gennes
pour le roy s'ils eussent voulu. Si argent devoit prendrepour ladite in
vestiture, ils en devoient demander plus: car le duc Galeas en paya une
fois au roy Louys mon maistre cinquante milleducats, desquels j'en eus
trente mille escus contant, en don, dudit roy Louys, à qui Dieu fasse
pardon; toutesfois ils disoient avoir pris lesdit huict mille ducats du
consentement du roy; ledit Estienne de Vers , seneschal de Beaucaire,
estoit l'un de ceux qui en prit, et croy bien qu'il le faisoit pour mieux
entretenir ledit seigneur Ludovic pour cette entreprise où il tendoit.
•Estans à Paris les ambassadeurs, dont j'ai parlé en ce chapitre , et
ayans parlé en général, parla à part avec le roy ledit comte de Caiazze,
qui estoit en grand crédit à Milan , et encores plus son frère messire
Galeas de Sainct Sévérin, et par espécial sur le faict des gens d'armes,
et commença à offrir au roy grands services et aides, tant de gens que
d'argent: car ja pouvoit sûr maistre disposer de l'estat de Milan, comme
s'il eut esté sien, et faisoit la chose aisée à conduire, et peu de jours a
près prit congé du roy, et messire Galeas vicomte, et s'en allèrent, et le
comte Charles de Bellejoyeuse demeura pour avancerl'œuvre; lequel in
continent se vestit à la mode françoise, et fit de très-grandes diligences,
et commencèrent plusieurs à entendre cette matière. Le roy envoya en
Italie un nommé Péron de Basche , nourry en la maison d'Anjou , du
duc Jehan de Calabre , affectionné à ladite entreprise, qui fut vers le
Pape Innocent (avverta il leggitore, che adunqueAlessandro VI non era
per anche Pontefice allora, ma vi regnava ancora Innocenzo VIII , e la
spedizione per la conquista del regno di Napoli era già determinata),
Venitiens et Florentins. Ces pratiqués allées et venues durèrent sept ou
huit mois, ou environ, et se parloit de ladite entreprise entre ceux qui
sçavoient, en plusieurs façons , mais nul ne croyoit que le roy y duest
aller en personne.
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184
Potrebbero essere più perentorie le parole delComines per provare che
la spedizione fu stabilita fin dal vivente d'Innocenzo VIII, epperciò sce
vra esserne deve la memoria d'Alessandro VI d'ogni complicità? La sto
ria sta li maestra della verità.
II. Con non meno di facilità proveremo ora, che Lodovico ilMoro solo
incitò i francesi a questa calata quattro o cinque mesi in prima che
proponesse ad Alessandro VI la lega pontificia-veneta-lombarda , che è
quanto a dire contemporaneamente almeno alla esaltazione di questo
Papa, eppercio n'è questi incolpevole: perchè soltanto dopo la conclu
sione d'essa lega vogliono gli scrittori allo stesso infensi , che vi sia
stato invischiato dallo Sforza nella sua pania riguardo Francia, del che
è dichiarato assolutamente innocente, provandosi il contrario.
Restringiamoci non pertanto a confermare la prima parte del nostro
asserto, e affermiamo che dalle Memorie per la Storia di Ferrara rac
colte da Antonio Frizzi, tom. IV, pagina 155, risulta che Lodovico Sforza
nel mese di gennaio dell'anno 1493, cioè sull'inizio medesimo del ponti
ficato di Alessandro VI, aveva già invitato il re gallo all' occupazione
del regno napoletano ad insaputa delle potenze pontificia e veneta, le
quali secolui trattavano della confederazione quattro o cinque mesi dopo.
Riferiamone le precise parole del Frizzi, per nulla impegnato a demen
tire la storia.
• L'occulta trama di Lodovico il Moro per tirare in Italia i francesi
contro il re di Napoli fu scoperta dalla nostra duchessa Eleonora nell'oc
casione che in gennaio del 1493 si portò col principe Alfonso ed Anna
moglie di lui a Milano ad assistere al parto della figliuola Beatrice. Ne
avvisò il marito, ed egli spedì a Napoli Aldobrandino Turchi a preve
nire il re, ed impegno Pietro de'Medici a far maneggio secoa findi sal
vare l'Italia da quell'infortunio. Lodovico diede buone parole; ma d'im
provviso si pubblicò una sua lega coi veneziani, e con Alessandro VI, che
la sua esaltazione riconosceva in gran parte dalcardinale Ascanio Sforza
fratello di Lodovico. I fiorentini ed il re diNapoli ne furono esclusi. Er
cole senza saperlo vi fu compreso, ma come lo seppe se nescuso. Il Moro,
afin di trarne il consenso, venne a Ferrara in persona, a'18 di maggio
colla moglie, il loro figliuolino di 4 mesi ed Erms loro nipote. Soprag
giunsero dopo il marchese di Mantova con la moglie e molti ambascia
tori. Si fece una gita a Bel Riguardo, e la duchessa condusse le due fi
glie, cioè la Sforza e la Gonzaga con le nuore edAlfonso, econ brillante
compagnia fino a Venezia. Il Senato lor fece, incontro nel gran Bucin
toro con 130 matrone, e li diverti con danze nella sala del gran consi
glio, tornei, giochi, e corse di barchette per man di donne. Rimase Lo
dovico a trattar con Ercole, e la spunto. Questi entrò nella lega, con
animo però, cosi consigliatovi dai veneziani, di prendervi laminor parte
possibile. Ottenutovi l'intento, e passato dodici giorni, il Moro ritornò a
Milano .
Tale è il linguaggio della storia irrepugnabile , che consentaneo alla
verità, in qualunque evenienza addita dove stia la ragione, doveil torto,
--
185
atrionfo di chi scrive con penna temperata nella carità, ed a vitupero
di chi la intinge nell'inchiostro dell'antipatia e dell'odio. Proseguiamo.
III. Risulta ancora evidente la falsità dell'asserzione di coloro i quali
spacciano avere Alessandro VI, dopola stipulazionedella legapontificia
veneta lombarda, incitato concordemente colMoro lacalata di Carlo VIII
al conquisto del reame napolitano, dalle deliberazioni dello stesso mo
narca francese, che decreto la sua discesa appena alcuni mesidappoichè
Alessandro VI era salito sul trono, per conseguenza anche vari mesi in
nanzi la suddettalega del 25 aprile 1493: imperciocchè consta dalla con
venzione pattuita tra per esso Carlo VIII e pei sovrani della Spagna
Ferdinando ed Isabella a Barcellona nel gennaio dell'anno 1493, per la
quale, come giàriferimmo, Carlo cedeva a questi principi alcuni contadi
eprovince con patto espresso che non aiutassero il re di Napoli nella
guerra cui stava per intraprendere contra di esso. Questi monarchi pro
misero tutto, e nulla osservarono. In prima di tutto avvisarono il Pon
tefice con un inviato espressamente e con premura speditogli, il quale
giunse contemporaneamente alla stipulazione della lega italiana , el'e
sortarono caldamente ad attraversare i disegnidel principe franco, come
scrisse l'accreditato Rinaldi appresso il Surita, le cuiparole noi riportate
abbiamo, ed avendolo il Papa accolto con lieto animo e con molta ono
rificenza, aderi alle sollecitazioni di lui, secondo comprovò col fatto.
Rassicuratosi di tale maniera dallaparte di Spagna, si volseCarlo VIII
incontanente a rafforzarsi di altra lega con Massimiliano I re dei romani,
e col figlio Filippo arciduca d'Austria, per via d'un trattato di pace fir
mato a Senlis il 23 maggio 1493, del quale pure noi abbiamo fatto men
zione. Il perchè resta chiarito che l'iniziativa di questa trattazione do
vette incominciare assai dapprimadella legaitaliana, se venne stipulata
pressochè nel medesimo periodo; quindi resta falsissimo quel buccinarsi,
che siasi il monarca gallo determinato dopo la lega italiana ad incita
mento d'Alessandro VI all'aggressione di Napoli. Concludiamo queste sti
pulazioni di paci trai regnanti finitimi allaGallia colle parole istesse del
Comines summentovato, le quali lungi dall'infirmare la nostra afferma
zione, che anzi le arrecano novella autenticità:
• Pour revenir, egli soggiugne, à notre matière principale, vous avez
entendu comme le comte de Caiazze, et autres ambassadeurs sont partis
d'avec le roy, de Paris, et comment plusieurs pratiques se menoient par
Italie, et comment notre roy, toutjeune qu'il estoit, l'avoit fort àcoeur,
mais à nul ne s'en descouvroit encores, fors a ces deux. Aux venitiens
fut requis de part le roy, qu'ils lui voulussent donner aide, et conseil en
ladite entreprise , lesquels firent response qu'il fut très-bien venu, mais
qu'ils ne lui pourroient faire aide , pour la suspicion du Ture (combien
qu'ils fussent en paix avec luy); et que de conseiller à un si sage roy,
et qui avoit si bon conseil , ce seroit trop grande présomption à eux,
mais que plustost luy aideroient, que de luy faire ennuy. Or notez qu'ils
cuidoient bien sagement parler, et aussi faisoient ils. Car pour ajourd'huy
je croy leurs affaires plus sagement conseillez , que de prince ni com
munauté qui soit au monde: mais Dieu veut toujours que l'oncognoisse,
que les jugemens, ni le sens des hommes , ne servent de rien là où il
luy plaist mettre la main. Il disposa l'affaire autrement qu'ils ne uci
doient. Car ils ne croyoient point que le roy y allast en personne , si
n'avoient nulle peur du Turc, quelque chose qu'ils dissent: car le Ture,
qui regnoit estoit de petite valeur: mais illeur sembloit qu'ils se venge
raient de cette maison d' Arragon , qu'ils avoient en grande haine, tant
le père que le fils, disans qu'ils avoient fait venir le Turc a Scutary.
J'entends le père de celuy Ture qui conquit Constantinople, appelléMa
humet Ottoman, et qui fit plusieurs autres grands dommages ausdits
venitiens. Du duc de Calabre, Alphons, ildisoient plusieurs autres choses,
et entre les autres, qu'il avoit esté cause de la guerre que esmeut contre,
eux le duc deFerrara, qui merveilleusement leurcousta, eten cuiderent
estre destruits (de ladite guerre jay dit quelque mot) et disoient aussi
que le duc de Calabre avoit envoyé hommes exprès à Venise pour em
poisonner les cisternes, au moins celles où il pourroient joindre, carplu
sieurs sont fermées a clef (et audit lieu n'usent d'autre eau: car ils sont
de tous points assis en la mer; et est l'eau très-bonne, et enaybeuhuit
mois pour un voyage seul, et y ay esté une autre fois depuis la saison
dont je parles); mais leur principale raison ne venoit point de là, ains
pour ceque les dessusdits , les gardoient de accroistre à leur pouvoir ,
tant en Italie comme en Grèce. Car des deux costez avoient les yeux
ouverts , toutesfois ils avoient nouvellement conqueté le royaume de
Chipre, et sans nul titre. Pour toutes ces haines sembloit ausdits veni
tiens , que c'estoit leur profit que la guerre fut entre le roy et ladite
maison d'Arragon, esperans qu'elle ne prendroit si prompte conclusion
qu'elle prit, et que ce ne feroit qu'affoiblir leurs ennemis, et non point
les destruire, et qu'au pis venir, l'une partye ou l'autre, leur donneroit
quelques villes en Pouille (qui estdu costé de leur goufre) pour les avoir
à leur aide, et ainsi en est advenu: mais il a peu failly qu'ils ne se so
yent mescontez, et puy leur sembloit que on ne les pourroit charger
d'avoir fait venir le roy en Italie, vu qu'ils ne luy en avoient donné
conseil, ni aide, comme apparoissait par la response qu'ils avoient faite
à Péron de Basche » .
Ora, se non ci fa velo l'amore per la propugnazione di nostra causa,
portiamo ferma opinione d'aver bastantemente risposto e provato , che
Carlo VIII si mosse alla guerra napoletana nanti ancora si formasse quel
l'italiana confederazione, e visi mosse non ispinto da Alessandro VI, sib
bene per incitamento di sua ambizione fomentata daLodovico ilMoro.
IV. Se il Papa avesse temperato anche per poco in cotale fazione, pri
mamente non avrebbe, per fermo, unquemai mancato il duca di Milano
di farne menzione nella sua lettera data al proprio ambasciatore di Pa
rigi (1) , come non si omise di nominare formalmente gli altri principi
che consentirono alla spedizione contra Ferdinando, per farla risolvere e
(1) Tale lettera noi abbiamo più sopra fedelmente riportata.
186
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187
decretare; perocchè l'autorità del Pontefice, in simile affare, e come ree
come capo della Chiesa era rilevantissima all'uopo per indurre e tirare i
francesi nel suo partito. Non fecene parola Lodovico, sia perchè Ales
sandro VI non era per anco assunto al trono, sia perchè si tenne affatto
alieno dopo l'assunzione sua da si rovinosa deliberazione per l'Italia.
Secondamente, lo stesso sovrano francese Carlo VIII nell'allegata ora
zione sua recitata ai restii primari (1) delle Gallie onde persuaderli della
razionalità, licità ed utilità della progettata conquista, non avrebbe mai
taciuto ilnome autorevoledel supremo Gerarca dei fedeli, che l'invitava,
anzi lo spingeva alla famosa impresa, come autorità la più giustificativa
econcludente di essa: eppure, non ostante sì stretta convenienza, egli
assolutamente zitti della pontificia compartecipazione, e ciò sempre per
(1) " Alcuni fra i più assennati trovavano pericolosa l'impresa e d'esito incerto, come coloro
che temevano il re Ferdinando, uomo di grande prudenza, il ducadi Calabria di gran valore ,
amendue abbondanti di ricchezze estorte dalla confisca dei beni di tanti baroni , o messi a morte,
o esigliati : opponevano la scarsità di danari, che pure necessari erano in grande quantità per isti
pendiare un esercito da condursi in paese lontano, e il pericolo che qualche potentato italiano, ora
disposto a far causa comune col re, posciachè questi impadronito si fosse del regno di Napoli, te
mendo quindi per sè medesimo, non gli si convertisse in nemico.
"Ma all' opinione dei saggi prevalse quella del maggior numero , di coloro che o corrotti dal
l'oro del duca di Bari, o mossi erano dallo spirito di conquista, o che nell'assenza del re spera
vano di avanzare e in potenza e in onori, e la conquista del regno di Napoli fu risoluta. Allora
il re Carlo fece segretamente cogli oratori milanesi una convenzione, l'importanza della quale era,
che il duca di Milano concedesse libero il passo nei suoi Stati all'esercito del re, il fornisse di cin
quecento uomini d'arme pagati, gli promettesse d'armare a Genova quel numero di legni che fosse
necessario, e gli prestasse prima della sua partenza da Francia 200, 000 ducati. D'altra parte il re
obbligavasi a difendere il ducato di Milano da qualunque nemico, a conservare l'autorità al duca di
Bari, e a tenere in Asti, città soggetta al ducadi Orleans, durante la guerra, dugento lancedi
sposte ad impiegarsi per la sicurezza del Milanese. Finalmente il re prometteva al duca di Bari,
fatta la conquista del regno di Napoli, la sovranità del principato di Taranto.
" Cosi stabilite le cose, acciocchè, mentre attendeva ad assaltare un regnodi altri, non soste
nesse danno nel proprio, compose Carlo, non senza qualche sacrifizio, alcune sue differenze col re
di Spagna, con Massimiliano re dei Romani, con Filippo arciduca d'Austria, e col re d'Inghilterra,
cedendo il certo per l'incerto: tanto acceso era dall'amor della gloria e della conquista ".
" Mentre Carlo apparecchiava tutte le cose per la sua spedizione da effettuarsi all'anno pros
simo, volle, come aveva assicurato da ogni sorpresa l'antico suo regno, rimuovere, quanto era
in lui, tutti gli ostacoli che gl'impedissero o tardassero la conquista del nuovo, e sicuro tenendosi
del duca di Milano e del Pontefice (*), spedi ambasciatori ai veneziani, ai fiorentini, ai sanesi, cer
cando o che con lui si unissero in lega, o almeno gli concedessero libero il passo, e si mante
nessero neutrali ; aggiugnendo, ove al suo desiderio accondiscendessero, molte ricche promesse.
Ma egli non ottenne di tutto in risposta che vaghe espressioni di rispetto, di stima e di desiderio
di rimanere in pace con lui, ma niuna promessa di aiuto, o indizio di consentimento alla suaspe
dizione. „ Cosi narra uno scrittore amico di Carlo VIII, più che del Romano Pontefice, già da
noi citato.
(*) Non è vero che si tenesse sicuro del Pontefice, se intende parlare d'Alessandro VI, perchè
gl'invio altresì un ambasciatore per pregarlo di favorire la sua impresa : al quale il papa rispose
in quei termini negativi cui esporremo.
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le istesse ragioni che questo affare si tratto in prima dell'innalzamento
di Alessandro VI, e dopo l'elezione sua si maneggio nascostamente ad
insaputa di lui, di continuo temendo che per essere spagnuolo, non so
lamente non assecondasse il divisamento conceputo, ma anzi l'incagliasse,
e tentasse ad isventarlo, come davvero poscia avvenne. Ecco come la ve
rità, non temente ladisamina, più s'investiga nei suoi riposti recessi, mag
giormente ella apparisce raggiante di beltà novella.
V. Da ultimo, è talmente contra la ragione e la verità istorica che il
Santo Padre abbia congiurato contro al re di Napoli, che molti scrittori
inglesi, francesi, anche protestanti , travagliaronsi assai di purgare da
cotale macchia Alessandro VI, che tentò tutto per istornare ed opporsi ai
disegni di Carlo VIII; ma non fu corrisposto dagli altri potentati diGer
mania , Spagna e d'Italia (1), e Carlo Botta nella sua Istoria d' Italia ,
libro I, an. 1534 non avrebbe ommesso didarne carico ad Alessandro VI
se soltanto avesse il fatto colore di verità; ma egli non solo tacque su
quest' appunto, anzi nudamente ne incolpa il duca milanese scrivendo
⚫che Lodovico il Moro, duca di Milano, con infaustissimo consiglio per
▸ l'Italia, e perlui, chiamò il re di Francia a mescolarsi nelle dissenzioni
• dei principi d'Italia..... costui iniquo contra al nipote, rimasto con ogni
› altro , avrebbe partorito tempi meno infelici per la Lombardia, se il
› cielo , destando in lui un'ambizione sfrenata, non l'avesse destinato
› quale strumento delle miserie d'Italia. Per lui udissi di nuovo il suono
› delle armi esterne nell'infelice provincia, per lui soldati venuti d'oltre
• monti e d'oltremare di nuovo l'allagarono, funesto frutto dell'avere
› chiamate a parte delle guerre italiche Germania, Francia, Spagna, e
• persino, come si vedrà, la lontana e feroce Turchia .
Per verità non possiamo darci pace come abbondino certi scrittori, i
più premiati, i quali per l'abito cui vestono, dovrebbero o più cauta
mente o più riverentemente ragionare del Pontefice loro, e nasalmente
affermino avere Alessandro VI temperato nella combriccola del Moro, ed
avere anch'esso incitato Carlo VIII a scendere in Italia.
Ci muove davvero a stupore, che così alla cieca, sprezzando gli alle
gati documenti irrefragabili, abbiano calcato dietro in ciò e fattoplauso
a simile accusa spacciata dai censori avversi ad Alessandro VI, gli stessi
Muratori, Fabre, Denina, Bossi (Storia d'Italia, c. 29), Berault-Bercastel, per
averposciapretestod'incriminarlodi sfedato, di capricciosa politicaperfida;
quandoper contra sappiamo che il Tacito della Francia, Filippo Comines,
quello che ci lasciò la piùbella, savia istoria diquel tempo, nellaquale esso
sostenne una nobil parte, e si mostrò con dirittura assai rara, e benchè
francese, imparziale nei racconti suoi, avendo più in mira la veridicità
(1) L'egregia opera da noi parecchie fiate già citata, Vitae et res gestae Pontif. ecc. loc. c.
in Alex. VI, recisamente afferma lo stesso, essere stato Lodovico Ducadi Milano quel sussurrone
ed incitatore di Carlo VIII per la conquista del regno di Napoli , al che si dichiarò avverso il
S. Padre, e fece di tutto per isventare ed opporsi ai disegni di questo re, ma non fu corrisposto
dagli altri potentati di Germania, Spagna ed Italia.
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189
storica, che non la gloria patria; quando per contra, replicando, sap
piamo che questi al par di altri autori veraci, rovescia sul dorso del
solo Lodovico la fellonia esecrandad'aver fatto travalicare le armi franche
in Italia.
:
Nicolò Montemerlo, tortonese, suddito del ducato di Milano, nella sua
Istoria della città di Tortona, stampata nell' anno 1618, formalmente di
chiara al libro IV della medesima, pagina 189 e seguenti, che Lodovico
Sforza il Moro fu quegli che per bramosia di comandare invito, incitò
Carlo VIII a scendere in Italia , e che il Papa Alessandro VI non con
venne con questo tranne che per necessità, contro sua voglia, stando
già Carlo col suo esercito vittorioso in Roma nel 1495. Il quale Ales
sandro VI poi, dice, che si und colle altre potenze d'Italia: ma non ac
cenna per niente che i Turchi abbiano partecipato a siffatta lega, per
abbassare il soverchiante potere del monarca francese, il quale abusava
di sua vittoria a ruinadegl' italiani.
Sentiamo come intorno a questo fatto ed incolpazione si esprime
la Rivista e Biblioteca Contemporanea già citata , superiormente con
criterio il più logico. Ci voleva che uno straniero e un protestante
venisse a dire agli scrittori italiani, a Guicciardini, e a Rucellai : voi
mentite quando sulle prime fate Alessandro VI autore della discesa di
Carlo VIII in Italia, per dimostrarlo poi traditore quandogli fu avverso.
Voi non avete un documento da ciò, ed ilcontrarioattestano e il silenzio
del Comines, che ne riferisce di proposito le cagioni, e le lettere del
Moro a Carlo, che non avrebbe senza fallo tra i principi alui favorevoli
taciuto il nome d'Alessandro, ned omesso d'accusarlo di perfidia, se fos
sesi ritirato dalla lega da sè stata promossa (1), ed il Breve stesso del
Papa, che fortemente esorta il re di Francia ad unire lesuearmi contra
il Saraceno, comune nemico della cristianità, ed a sottoporre lesue pre
tese sul reame di Napoli ad un pacifico giudicato. Il Guicciardini con
chiude Guglielmo Roscoe, trascinato dall'odio contro Alessandro VI,
non trattò imparzialmente la grande questione, dallaquales'iniziala sua
storia diffusissima: alleghiamone la precisa testimonianza.
•Per conoscere (scrive il Roscoe, Vita e Pontificato diLeoneX, tom.I,
pag. 116, anche come la pensasse Alessandro VI a questo riguardo,
Carlo VIII inviò a Roma una seconda ambasceria, a capo della quale
avea posto d'Aubigny suo generale, in cui avevamolta fiducia. Lo scopo
primario di questa andata era d'ottenere da Sua Santità con promesse
o con minaccie l'investitura degli Stati oggetto della guerra. Se, come
molti storici hanno preteso, il Papa avesse spinto il re di Francia alla
sua spedizione, bisogna convenire che eglinon si sarebbe così fattoscru
(1) Lo stesso Dizionario degli uomini illustri, stampato da una società di letterati a Caen, non
assolve il Comines da certe parzialità nella sua storia favorevoli ai Francesi : veggasi l'articolodel
marchese Olivier ; la qual cosa mostra, che se l'incitamento dato a Carlo VIII da Alessandro VI
per calare in Italia avesse avuto l'apparenza del vero, il Comines non avrebbe trasandato questa
circostanza favorevole al suo re.
190
polo di cangiar parere. La sua risposta non fu per niente favorevole a
Carlo VIII ; essa importava che la corona di Napoli era stata conferita
ben tre volte dalla Santa Sede alla casa d'Aragona; chel'investituraac
cordata a Ferdinando rendeva salda quella del suo figliuoloAlfonso ; che
queste concessioni non poteano essere annullate, tolto il caso in cui
Carlo VIII avesse un titolo più valevole, e si fosse stipulato che questi
atti d'investitura non potessero portar pregiudizio apersona; che il regno
essendo sotto la protezione immediata della Santa Sede, il Papa non si
potea far capace che Sua Maestà cristianissima volesse così contrastare
i diritti della Chiesa ed avventurare, malgrado isuoi avvisi, un'impresa
ingiusta ; che sarebbe più dicevole alla dignità del re di Francia ed alla
sua moderazione conosciuta di far valere i suoi diritti legalmente; ch'era
appartenenza del Papa il pronunziare su questa grande causa, eche Sua
Santità era pronta a sentire le parti. Queste rimostranzefurono inseguito
rappresentate con più forza mediante un breve apostolico, in cui ilPon
tefice esortava Carlo VIII ad accoppiare piuttosto le sue armi a quelle
degli altri principi dell' Europa per agire contro al nemico comune della
cristianità, ed a sottomettere le sue presenti pretensioni alla decisione
d'un giudice pacifico. Così scrivea d'appresso ai documenti da noi ri
portati e che riporteremo, quel dotto protestante.
Il che confermasi per anche dal Continuatore della Storia universale
di M. Bossuet, il quale affin di coonestare l'impresa delsuo reCarlo VIII,
non avrebbe certo taciuto, che Alessandro VI ne l'avesse esortato, seciò
fosse stato vero ; epperciò si restringe a farne motore unicola cupidigia
del re, e la scellerata ambizione del Moro. Alleghiamone le parole pre
cise:
La Francia godendo d'una calma felice, Carlo VIII rivolse i suoi
pensieri verso il regno di Napoli, che pretendeva appartenergli, come in
possesso dei diritti della casa d'Angiò. Lodovico Sforza non cessava d'ani
marlo aquella conquista : perchè non poteva altramente venire a capo
d'opprimere Giovanni Galeazzo duca di Milano suo nipote, ch'eragenero
d'Alfonso figlio di Ferdinando re di Napoli. >>
L'autore delle Vite dei Papi stampate in Amsterdam, 1776, così oculato
nello scoprire i difetti dei Romani Gerarchi, e perfino a trasognarne, ra
gionando della calata di Carlo VIII in Italia dice che fu a questa in
dotto dagl'intrighi di Lodovico il Moro, cupidissimo di spogliare il suo
nipote del ducato di Milano, e Ferdinando re di Napoli, dei suoi Stati :
e se Alessandro VI in prima aderiva allo Sforza, composte le sue diver
genze con Napoli, fe' tentamenti per trattenere Carlo VIII a non iscen.
dere nella nostra Penisola, sino a riunire tutta l'Italia contra il re di
Francia. Nè avendo potuto riuscire si volse fino a Bajazet (favola)! im
peratore dei Turchi, per ottenere soccorso di uomini e di pecunia: ma
troppo tardi ! Perchè Carlo era già entrato in Italia, e la sua armata si
accampò bèn tosto nelle vicinanze di Roma.
Noi avvertiamo il leggente, quantunquesianvi varie inesattezzestoriche
in questo sunto allegato, nulla ostantenoi apprendiamochequandoAles
sandro VI prese a dissuadere Carlo VIII di non volgere le sue armi a
danno di Napoli, questi non erasi ancora mosso dalle Gallie.
--
191
G. Leboucher di Richemontnella sua notizia storica Sui viaggidei Papi
nella Francia, Parigi 1805, nei cenni da esso donatici della discesa di
Carlo VIII in Italia, tuttochè scrittore francese, ed affatto ligio a Fran
cia, pure non pensa menomamente adaccagionar ilPapadi questagita,
anzi piuttosto n'incolpa l'irriflessione dello stesso Carlo VIII, e la costui
ambizione, dicendo che sarebbe stato a desiderare che Carlo VIIInon
si fosse occupato che del miglioramento dell'interiore ; ma l'idea della
conquista del regno di Napoli gli fece nel 1494 intraprendere la spedi
zione d'Italia. Non avrebbe il Leboucher, studioso qual fu della patria
gloria, omesso d'incolparne il Papa per giustificazione di Carlo VIII, se
fosse stata consentanea al vero questa diceria; come anche tace egli tutte
le altre odiose imputazioni fatte ad Alessandro VI, sia durante il regno
di Carlo VIII, che di Luigi XII; moderazione ignota alla più parte de
gli scrittori gallicani, e chiaramente mostra con siffatto lodevole silenzio
il poco conto in cui egli teneva cotali ingiuriose gargagliate.
Sentiamo ora da ultimo come ne ragiona un celebre recente scrittore
francese, Artaud de Montor (Vie d'Alexandre VI), a discolpa diAlessan
dro VI.
•Il consiglio di Carlo VIII, che avea impetrato, come abbiam
• riferito, l'approvazione della Corte romana nella quistione relativaalla
› successionediNapoli, continuavaneiformidabili apparecchidella guerra.
› Alessandro VI temette di siffatto vicino, e per impedire il re d'intra
• prendere cotale marcia in Italia, egli si collegò coi Veneziani e col
▸ duca di Milano,
•Non sidiscorrevain Franciachedell'occupazionedi Napoli;Alessandro
► invió a Carlo, in qualità di legato, il cardinale Piccolomini, per dissua
• dereil re da simigliante spedizione. Il principe rispose, che unagrande
⚫ quantità di signori napolitani, compromessi per aver difeso preceden
› temente gli interessi della Santa Sede, chiamavano la Francia a Na
› poli. Alessandro persisteva nelle sue ripugnanze : il monarca affermò
⚫ chese ne appellerebbe al futuro concilio. Alessandro minacciò il prin
• cipe di una formale scomunica e delle censure ecclesiastiche, secondo
• un decreto di Pio II. ,
L'autore anonimo d'Amsterdam succitato conviene eziandio della sco
munica comminata da Alessandro VI a Carlo VIII, madiscorda riguardo
al tempo. Egli la fa pronunciare quando il sovrano delleGallie, tornante
di Napoli nel suo reame, già si trovava a Torino. Manco male, non po
tendo negare questo documento, si studio di attribuirlo ad epoca diversa,
per deriderne il Papa, come intempestivo e sconsigliato nello scagliare
i suoi fulmini!
Il perchè conchiudiamo noi, che uno scrittore non affetto da spirito di
parte, scevro da ogni astio, diligente investigatore del vero, non sola
mente avrebbe dovuto scolpare Alessandro VI dicotal pecca, ma avrebbe
ancora potuto torre motivo plausibile d'encomiare la sua moderazione
d'animo ; chè, provocato da Ferdinando, sempre mai avverso alla romana
monarchia, e con quella impertinente compera lesiva dei suoi regali di
ritti, e come Pontefice, e come sovrano delle Romagne, nulla ostante, re
--
192
sistendo alle incitazioni del duca di Milano e dei suoi aderenti, si tenne
pago Alessandro VI di stipular una lega con alcuni principi italiani, ed
armarsi, per non essere in qualunque evenienza sorpreso dal volpone na
poletano. In quella che il Turco si struggeva della voglia di invadere
l'Italia, Carlo VIII , dimentico della nobilissima missione dei re franchi,
lungi dall'apparecchiarsi a fiaccargli le corna audaci , si accingeva ad
atterrarne il baluardo più valido, scindendo (ad istigazione d'uno dei più
ribaldi di essi) fra loro i principi italiani , la politica dei quali tutti era
o napoletana, o fiorentina, o lombarda, o ligure, o veneta, o pisana, ma
non mai italiana, che unicamente si ricettava nel petto intrepido del mi
glior principeche in Italia ed Europa si avesse in queidi, inAlessandro VI,
nel Pontefice, sovrano della Romagna. Dunque Lodovico Sforza per rite
nere il male usurpato dominio del milanese ducato.
I. Chiamò il monarca francese in Italia, in prima dell'assunzione di
Alessandro VI.
II. Strinse alleanza col Papa , coi Veneti , e con liduchi di Mantova
e Ferrara.
III. Diede in matrimonio a Massimiliano re dei Romani Bianca Maria
sua nipote, sorella di Gian Galeazzo vero duca di Milano , con ingente
dote, per amicarselo, e strappargli di mano poi il diploma d'investitura
della signoria lombarda, in pregiudizio d'esso Giovanni Galeazzo.
Riepiloghiamo:
Orcome mai Guicciardini, Rucellai ed altri autori con essi potevano
pretendere che Alessandro VI abbia indotto Carlo VIII a passare in Italia
per intraprendere la conquista del regno di Napoli?Ecome mai gli sto
rici che sono venuti dopo hanno adottata questa supposizione? Ma sia
che a disegno o no, essi hanno dato tutti in falso. Diffatti Comines , il
quale riferisce molto alla distesa i motivi di Carlo VIII, non ha parola in
verun luogo che dica aver il supremo Gerarca eccitato questo principe
ad entrare in Italia; anzi attribuisce la risoluzione del re unicamente alle
sollecitazioni di Lodovico Sforza.
In secondoluogo, nellalettera del principemilanese citatasuperiormente
dal Corio, non è fatta menzione neppur una volta sola del Papa, esi
gli altri principi, che consentirono alla famosa spedizione vi sono formal
mente nominati.
Terzo, nel breve apostolico emanato da Alessandro VI, il quale sicon
tiene del pari nella storia del Corio , non vi ha nulla che provi avere
avuto dapprima questo Pontefice una intenzione diversadaquella la quale
quivi è da lui espressa, e ch'è assolutamente opposta all'intervento del
Re di Francia negli affari di cui parliamo. Così, lunge dalchiamar nelle
contrade d'Italia la guerra , ed i mali che inevitabilmente le tengono
dietro, il Papa fece ogni sforzo per divertire da questo infelice paese la
procella la quale si abbuiava oltre monti contra di esso. Operaron lostesso
il duca di Savoia, la repubblica di Venezia e gli altri governi. Tutti spac
ciaron protesta in termini generali di rispettare il monarca francese; ma
diedero anche a divedere con forza nonpuntominorelaloro ripugnanza
193
in una contestazione così dannosa. Non vi ebbe tranne il duca di Fer
rara, il quale , nella speranza per certo d'avere il soccorso dei Francesi
contra i suoi potenti nemici i Veneziani, non temette, quantunque si a
vesse inisposauna figlia del re diNapoli, d'invitar pubblicamente Carlo VIII
atener fermo nelle sue pretese.
Per ultimo ciò risulta ancora evidentissimamente dagli altri scrittori
cui fedelissimamente abbiamo citati , e da quanto staremo per narrare
nei susseguenti capitoli.
CAPO VENTESIMO.
Disamina dei diritti di Carlo VIII sul regno di Napoli. Matrimonio di
D.Lucreziacol principe di Pesaro e lodi dilei. Inquietudini di Ferdinando
re di Napoli ; suoi sforzi per acquietare il Moro, e cattivarsi l'amicizia
d'Alessandro VI verso cui ripara l'ingiuria recatagli per la compera
fatla da Orsino , fa tentamenti per distorre il re di Francia dalla con
quista di Napoli. Si rabbonaccia col Papa, e dona a Gioffredo, figliuolo
dello stesso Alessandro , in isposa la figliuola di Alfonso suo primo
genito.
Carlo VIII re di Francia, per la tranquillitàdi cui fruivano i suoi Stati
in grazia dei trattati di pace coi re d'Inghilterra, di Spagna e dei Ro
mani, ruminava già da pezza in mente sua i modi di far rivivere i suoi
diritti sul principato napoletano, provenienti da Carlo d' Angiò debella
tore di Federico II, bastardo di Manfredi re di Napoli. Era egli fratello
di San Luigi, il quale, da Papa Clemente VI ne era stato investito col
l'attribuire il gius di successione ai suoi eredi maschi , ed alle fem
mine in linea diretta, ed in mancanza di questi ad uno dei figliuoli del
re di Francia, che regnasse allora. Così i principi della casa d'Angiò ,
Roberto figliuolo di Carlo, ed altri possedettero questo Stato fino alla re
gina Giovanna II, ch'era figlia d'un Carlo d'Angiò, e che fu confermata
nel possesso del suo Stato da Clemente VI. Mori costei nel 1435 senza
prole.
Sdegnata essa contra Martino V, che avesse dato l'investitura del suo
regno a Luigi III duca d'Angiò, adotto Alfonso V di tal nome , re d'A
ragona. Ma l'ingratitudine, la vanità, e i mali trattamentidi questo prin
cipe, costrinsero la regina a rivocare la sua adozione, ed ad istituire per
suoerede lo stesso Luigid'Angiò. Ma essendo questo principe morto prima
di lei , dichiarò erede suo Renato d'Angiò, fratello di Luigi, il medesimo
giorno della morte sua, e gli lasciò i suoi Stati per testamento. Era al
lora Renato prigioniero a Dijon, dopo la sua sconfitta vicino aNeuchâtel
in Lorena data dall'esercito d'Antonio di Vandemont, chegli contrastava
il ducato lorenese.
Appena ricoverata lalibertà andò Renato verso Napoli; ma non fu for
13
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194
tunato in questa spedizione, e neppure lo fu Giovanni duca di Calabria
suo figliuolo, il quale inutilmente ne intraprese la conquista (Mém. de
Comines, tom. v, edit. del 1723, pag. 339). La casa d'Aragona, che all'e
poca di Carlo I d'Angiò ne occupava una buona parte, fondata nei di
ritti di Manfredi, la cui figliuola era stata da Pietro d'Aragona sposata,
se ne impadroni interamente, e si mantenne inquestopossedimento fino
aFerdinando, quando Carlo VIII di Francia appunto voleva intrapren
derne la conquista.
Così il diritto del re gallo era fondato in questo, che Renato morendo
avea lasciato Carlo d'Angiò conte del Maine suo nipote erede della contea
di Provenza, e delle sue pretensioni sopra i regnidi Napoli e di Sicilia;
e questo Carlo, trapassando senza prole, diede la Provenza e tutti i suoi
diritti sopra i medesimi regni a Luigi XI, del qualeCarlo VIII erasuc
cessore, ed in conseguenza erede dei diritti di suo padre sopra i regni
di Napoli e di Sicilia.
Questo diritto al re di Francia pareva incontrastabile: tuttavia l'im
presa sua non andava agenio di tutti i grandi. Si era già provato per
mala esperienza il successo cattivo delle armi franche in Italia da du
gento anni pei qualidurava questa contesa. Avevasi dafareconprincipi,
che si dimenticavano spessodellabuona fede, quando si trattava del loro
interesse, e che non potendo soffrire il dominio della Francia, si sareb
bero legati insieme contra d'essa per attraversare le sue conquiste.
Non ostante questo parere contrario dei più antichi, e più savi baroni
ed uffiziali del regno, Carlo VIII guadagnato dai due suoi favoriti Ste
fano di Vesca, e Guglielmo Brissonetto, l'uno siniscalco e ciamberlano,
e l'altro sopraintendente generale delle finanze, ambidue subornati con
doni e promesse da Lodovico, risolveva la guerra nel segreto consiglio,
edavaordini incontanente perchè se ne facessero i preparamenti (De
nina, Rivol. d'Italia, tom. v, lib. xix, сар. 11).
In quella che pendevano cotali deliberazioni in Francia, e studiavasi
il modo d'attuarle , Alessandro col denaro prestatogli da Lodovico an
dava, con gelosia estrema del re Ferdinando, allestendo non solo ed in
grossando le sue soldatesche, maporgevavieppiù indubitate proved'esser
ligio agli Sforza cogli sponsali contratti tra per Giovanni Sforza (non
già con Alessandro , come contra l'Infessura dice il Muratori) e per la
sua figliuola Lucrezia, da esso lui avuta da bella pezza prima del suo
pontificato da Rosa Vannozza.
•Non vi ha donna (scrive Michele Sartorio) di cui tanto si parli nella
storia del cinquecento, e inbene e inmale, quantodi Lucrezia Lenzuoli,
comunemente notasotto il cognome diBorgia. Passa costeigeneralmente
per un mostro di depravazione. Il suo nome solo risvegliain troppe im
maginazioni l'idea di crimini nefandi. Ed è appuntoperchè le avventure
di questa donna ebbero un' appariscenza romanzesca, che gli storici si
dilettarono di svisarle sempre più, ed accrescerle a loro talento; onde
riesce difficile lo sceverare a questo proposito il vero dal falso. Ma do
vremo forse per ciò abbandonare l'arringo, e lasciar la verità sepolta nel
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195
fango e Lucrezia Borgia carica di tutte le abbominazioni onde siasi mai
sporcata vilissima femmina ?
•Non mai, no ! Un esame accurato, dietro a documenti certi, convin
cerà ognuno, che sia assennato ed imparziale, dell'insussistenza di cosi
fatte accuse, e ne risulterà, che lungidall'essere quella la prostituta del
fiore dei personaggi dell'età in che ella visse, fu invece mai sempre ci
tata qual modello di virtù ; allora forse avverrà che si persuada il leg
gente essersi ben potuto ingannare sulla vita e sulla condottadi questa
principessa , o poter ben essere stato tratto in inganno dall'altrui giu
dizio ».
Rivendicando così il nome di lei , rivendicheremo pur quello
d'Alessandro VI intorno a questo punto; ripareremo l'ingiuria fatta alla
natura edalla virtù da scrittori infami ; e dassezzo renderemo noi qualche
servizio alla santa causa della verità. È vero che non sono cose piace
voli, ma non iscriviamo, come Vittore Ugo, Dumas, Gregorio Leti e loro
consorti un poema, nè romanzo , ed al libro nostro si convengono let
tori gravi ed attenti.
Esordiamo adunque.
I contemporanei non pertanto alle accuse frammischiano anche le lodi,
dacchè la vediamo encomiata da molti che ebbero a scrivere di lei. Il
Libanori la chiama bellissima e virtuosissima principessa , fornita delle
più pregevoli doti dell'animo e squisite qualità di spirito, tenuta la delizia
di quel secolo, e il tesoro di quell'età. Aldo le dedicò i versi dei due poeti
Tito ed Ercole Strozzi, stampati nel 1514; e l'Ariosto non arrossi cantar
di lei
.....Lucrezia Borgia noma,
La cui bellezza ed onestà preporre
Deve all'antica, la sua patria Roma.
Eppure ai nostri di più d'uno è d'avviso, cheseLucrezianell'anticaRoma
ha formato la gloriadelsuosesso, un'altra Lucrezia nella modernaRoma
ne formò l'obbrobrio.
Oggidì Lucrezia è vituperata siccome figliuola incestuosa, siccome l'a
mante del padre e di due fratelli, uno dei quali si suppone essere stato
l'assassino dell'altro per gelosia nel vedere la preferenza che la sorella
pareva all'altro concedere. La licenza estrema delsecolo in cui Lucrezia
ha vissuto dà a siffatte accuse una specie di probabilità, che forse non
avrebbero se ci fossero riferite in altri tempi ; ma tra i vizi che detur
pavano quella sgraziata età, la menzogna e la calunnia non sono dei
meno obbrobriosi.
Del resto la stima degli scrittori ugualmente isicroni in molto mag
gior numero, cui seppe Lucrezia cattivarsi nella maniera più onorevole,
gli ultimi anni d'una vita consumata nella mortificazione e nella pietà,
le ripetute larghissime lodi tributatele da uomini sommi stanno a favore
di lei, i quali la rappresentano come una matrona compiuta, non sola
mente ragguardo allo spirito ed alla bellezza, ma ancora, quel che più
importa, rapporto alla virtù.
196
Fa maraviglia che ai dì nostri il primo a spargere qualche mite in
terpretazione sur i casi diquesta donna, da tante odiose imputazioni ag
gravata , sia stato un protestante, perocchè molti degli stessi scrittori
cattolici ci offrono le colpe della Borgia siccome incontrastabili , e sin
golarmente i poeti napoletani pei primi , i quali politicamente furibondi
contra d'Alessandro VI di lei padre, perchè sembravach'ei avesse favo
rito i re di Francia e di Spagna contra quello di Napoli e contro alla
casa d'Aragona, non misero alcun freno alla loro indignazione. Uno di
essi poeti, il famoso Pontano compilò in questo senso un epitaffio sati
rico di Lucrezia, venti anni dapprima della morte di lei. Perfidia bru
tale! L'istorico Guicciardini parla pure di quelle incriminazioni d'incesto,
ma solamente come d'un romore che correva, e forse sulla solaautorità
di quegli autori per noi già citati. A ciò solo si riduce il detto o sup
posto degli accusatori coevi a Lucrezia.
Il professore Giovanni Rosini, che a' nostri giorni pensava di pun
tellar le accuse viete col semplice detto : L'età crescente per le donne è
un gran missionario (Pref. al Guicciardini), dimostra come nelle fazioni
s'infiammino i contemporanei ed i successori loro a vedere o a fingere
quel che loro aggrada nei segreti recessi delle famiglie, fosse pure il
più enorme delitto fra padre, fratello e figlia. Esecrabile intemperanza,
della quale non risaneranno agevolmente le penne italiane, avendo e
sempi e classici fomenti nelle storie dei maggiori. Certi storici venuti
dopo, hanno giudicato queste testimonianze sufficienti per accusare Lu
crezia Borgia in termini i più positivi, e gli scrittori cattolici medesimi
non hanno esitato a dichiararnela colpevole. In conseguenza, tutte le
raccolte storiche, tutte le compilazioni danno lacosa per incontrastabile.
Svanisce impertanto qualunque sorpresa se autori eterodossi, i più di
essi nemici dichiarati del principio e del nome cattolico, hanno raggruz
zolato con piacere coteste infamie, si sono sforzati di propalarle e d'ac
creditarle a più non posso, le hanno svolte con un ingegno tutto loro
proprio, si sono diffusi vergognosamente sopra un subbietto che si pre
stava a meraviglia all'immaginazion loro , dassezzo, hanno presentata
sotto tutti gli aspetti possibili una vita cui potevano considerare come
la più adatta a coprire d'ignominia Roma cattolica, i romaniGerarchi e
la vera Chiesa di Gesù Cristo, contra della quale essi avevano levata la
bandiera d'una cieca ribellione. Tali sono le prove che han fatto prestar
fede sinqui agli atroci delitti dei quali si accusa Lucrezia Borgia. Asbu
iare alquanto un soggetto di tanta importanza, riportiamo in poche pa
role i principali avvenimenti della vita di lei, sulle traccie di scrittori
di quel tempo veramente meritevoli di fede; e raffrontiamo il nostro rac
conto colle imputazioni da noi rammentate poc'anzi. E ciò eseguiremo
precipuamente colla scorta del Roscoe acattolico, il quale tanta luce dif
fuse su questo intralciato argomento (Roscoe, Hist. deLéon X, tom. 1 ;
dissertation sur le caractère de Lucrèce Borgia), esponendo brevemente
con diritta sintesi secondo l'ordine de'tempi, i fatti principali della vita
di Lucrezia, quali celi narrano i coetanei, e paragonando quanto della
197
condotta di lei dissero quegli scrittori, che avendola conosciuta da presso,
n'ebbero a tessere altissimi encomii, con quanto ebbero ad asserire coloro
iquali o inventarono, o si compiacquero ripetere le odiose imputazioni
chefurono ad essa apposte, verremo ad offrire, speriamo, un criterio di
verità possibilmente equo per poterneprofferire uno spassionato giudizio.
Prima dell'elevazione di Rodrigo Lenzuoli, o Borgia, al pontificato,
Lucrezia sua figliuola in giovanissima età non per anche nubile era stata
fidanzata, trovandosi egli in legazioni, ad un gentiluomo spagnuolo, o
come altri vuole, napoletano. Ma Alessandro appena salito altronopon
tificio, ruppe col consenso di lui questo impegno giudicato invalido, per
chè contratto nanti che Lucrezia avesse toccato gli anni prescritti dai
sacri canoni; nè saravvi, noi giudichiamo, chi esiti in ciò a prestar cre
denza al cavilloso Palaggi autore d'una vita dei Papi, che da invelenito
napoletano, non la perdona mai adAlessandro VI ogni qualvolta se gli
presenta il destro, di morderlo: eppure da veritàcostretto, confessa, che
nell'annullare i pristini sponsali, nonoperò ilPapacontra il diritto. (Vedi
ivi in Alessandro VI). Il che certocostituiva un impedimento dirimente
e rendeva libera Lucrezia a contrarre una parentela più illustre.
In fatto, nel primo annodelpontificato di lui, Lucrezia sposò, il dodice
simo giorno di giugno 1493, Giovanni Sforzasignore di Pesaro, ed ultimo
figliuolo del fratello del gran Francesco Sforza duca di Milano. Le nozze
vennero celebrate con grandiosa solennità nell'istesso palazzo pontificio :
unione questa che durò poco più di quattro anni, incapode' quali, cioè
nel 1497, venne il matrimonio disciolto dal Romano Pontefice, per mo
tivi, ben s'intende, più gravi che non è una semplice discordia, come si
può vedere appo lo stesso Macchiavelli (Estratto di lettere ai Dieci di
balia), quantunque questa discordia sia forse stata quella che desse la
spinta a mettergli in campo. Tra i quali si appalesò quello dell'impo
tenza del principe Giovanni, per cagione di cui durante i quattro anni
Lucrezia non aveva per anche potutoconcepire prole. Nèsolo questo prin
cipe perdette la sposa, ma per aver irritato il Pontefice, fu in procinto
di vedersi cacciato da' suoi dominii, cui egli conservò soltanto, mercè
dei soccorsi prestatigli dai Veneziani. Se fossero state vere le supposi
zioni tanto calunniose addotte dal Guicciardini, che riescono perfino as
surde, di quello scioglimento, attribuendolo egli a mire gelose d'Ales
sandro, questi ben presto, contra il suo procedere tenace, avrebbe can
giato di parere, nè avrebbe dietro quel divorzio trattato subito dopo al
cuni mesi il connubio di Lucrezia con Alfonso duca di Biseglia, e figli
uolo naturale d'Alfonso II re di Napoli, di cui nel primissimo anno del
l'imeneo concepi un figliuolo, come a suo luogo diremo, necessitati al
presente, per tener dietro alla cronologia, di rivolgerci a Ferdinando re
di Napoli.
Lanciando costui al di là degli Apennini e delle Alpi la sua pupilla
d'Argo, antivide quai neri nuvoloni si alzassero ed addensassero sul suo
regno, quindi a tutto potere si studiò di placare, anzi guadagnarsi Papa
Alessandro e Lodovico il Moro, e cattivarsi l'amicizia del senato di Ve
198
nezia e dei regnanti cattolici. Fu adoperato Ercole duca di Ferrara per
rimuovere il reggente di Milano dalla sua risoluzione pazza di tirar le
armi francesi in Italia, e gli si fece un vivissimo ritrattodelledisgrazie
che riunirebbero su di lui stesso pel primo, fino a promettergli di la
sciarlo pacifico possessore del ducato di Milano. Ma costui, pien di pre
sunzione, mostrò ben nelle apparenze di cedere, con tutto ciò di fatto ei
rimase ostinatissimo nella sua caparbietà, e tanto più perchè nel dì un
decimo d'ottobre moriva Leonora duchessa di Ferrara, figliuola del re
Ferdinando, la quale aveva non poca autorità sul cuored'esso Lodovico,
siccome suocera sua. Ma sentiamo dallo stesso Guicciardini la maniera
callidissima con cui Lodovico il Moro si è governato, dappoichè ebbe
col re francese segnata la parziale confederazione segreta coi principi
d'Italia, che da questa narrazione s'intenderà come costui continuò a
corbellare e papa e sovrani d'Italia: Nè cominciò, scrive quegli, Fer
dinando con minore speranza di felice successo a trattare con Lodovico
Sforza, il quale con artegrandissima, mostrandosi malcontentodell'incli
nazione del re di Francia alle cose d'Italia, come pericolose atutti gli
italiani ; ora scusandosi per la necessità, la quale pel feudo di Genova
eper laconfederazione antica con la casa di Francia, l'aveva costretto
audire le richieste fattegli, secondo diceva, daquel re; orapromettendo
qualche volta a Ferdinando, qualche volta separatamente al Pontefice e
a Pietro de' Medici d'affaticarsi quanto potesse per raffreddare l'ardire di
Carlo, si sforzava di tenerli addormentati in questa speranza, acciocchè
innanzi che le cose di Francia fossero bene ordinate e stabilite, contro a
lui qualche movimento non si facesse. Egli era creduto più facilmente,
perchè la deliberazione di far passare il re di Francia in Italia, eragiu
dicata sì mal sicura ancora per lui, che non pareva possibile che final
mente nonse n'avesse (considerato il pericolo) a ritirare. Consumossi tutta
la state in queste pratiche, procedendo Lodovicoin modo che, senza dare
ombra al re di Francia, nè Ferdinando, nè il Pontefice, nè i Fiorentini
delle sne parole si disperavano, nè totalmente vi confidavano . Gli altri
potentati italici benchè tutti, salvo pochissimi, detestassero Lodovico di
si iniquo sforzo, e di sì enorme attentato, ed aborrissero dalle catene e
stranee, nulladimeno non ascoltarono le riclamazioni di Ferdinando così
favorevolmente com'egli, e l bene d'Italia avrebbe desiderato.
Però Ferdinando non allibi, nè disperò (Continuatore delFleury, Hist.
Eccl. ann. 1493, N. xxxix e seg) di dirimere col Papa ogni differenza, e
disperdere il procellosooragano che sovrastava minaccevole sull'orizzonte
napoletano, escogito quindi il mezzo di tor via gli ostacoli principali, e
riparare l'ingiuria alla regia maestà di Alessandro VI portata col disto
gliere gli Orsini dal suo partito, accomodarli col Pontefice , e per age
volare quest'accordo, perdette i quaranta mila scudi d'oro, cui avea im
prestati a Virginio per essere sborsati al Cibo.Ottenne da lui cherimettesse
al Papa i medesimi principati, cui il Cibo gli aveva venduti, dandogliene
in ugual porzione nella provincia di Puglia per compensarnelo. E frat
tanto che assoldava nuove truppe, visitava le piazze migliori, rinforzava
199
i presidii, distribuiva le milizie per custodia delle costiere, e facevasforzi
per riempiere l'erario ed incoraggiare i regnicoli a resistere all'invasione,
egli sovratutto si studio di riconciliarsi l'affetto dei sudditi ebaroni suoi
da' quali sapeva d'essere grandemente odiato (Denina, cit. loc ).
Accrescevangli il timore molte predizioni infelici alla casa sua, venu
tegli a notizia in diversi tempi, scrive il Guicciardini, lib. 1, anno 1493,
parte per iscritture antiche ritrovate di nuovo, parte perparole di uomini
incerti spesso delpresente, ma che si arrogano qualche certezza del fu
turo; cose nelle prosperità credute poco, come cominciano ad apparire
le avversità, credute troppo.
In contingenze tanto fatali , parve perciò a Ferdinando essere il più
sano partito di tutti d'imbonire i Francesi. Federico d'Aragona, suo se
condogenito, avea sposata una principessa di Savoia, sorella della madre
di Carlo VIII. Non aveva egli che una figliuola, la quale laduchessa di
Borbone sua Germana aveva allevata alla corte di Francia, col disegno
di maritarla al re di Scozia, da cui era ricercata, e la convenienza vo
leva che il contratto nuziale fosse stipulato alla corte di Francia , dove
ella risedeva.
Ferdinando si valse di questo spediente per maneggiare qualche acco
modamento, edindurre il reCarlo VIII acessare della sua impresa.Mandò
a Parigi alcuni ambasciatori , alla testa de' quali era Camillo Pandone ,
molto caro al monarca, dal quale era conosciuto. Le loro lettere creden
ziali altro non contenevano fuorchè il regolamento degli articoli delma
trimoniodellapronipotedi Ferdinando.Ma aveano essi degliordini segreti,
cui nondovevano comunicare ad altri, tranne a Brissonetto, ed al sini
scalco di Beaucaria.
•Offeriva Ferdinando a sua maestà Cristianissima un tributo di cin
quanta mila scudi all'anno, a tutte quelle condizioni cui volesse ella esi
gere, purchè accordasse la pace; ma temendosi in Franciadi darqualche
sospetto al beatissimo Padre, essendo il regno di Napoli feudo pontificio
il quale avea proceduto allora in modo, che parea mostrare un formale
disegno (noti il leggente queste parole del Continuatore di Fleury , da
cui risulta altresì che il Papa nè aveva incitato i francesi a discendere,
nè avea con essoloroper anche stretta quella pretesa lega) d'unirsi con
la Francia più tenacemente. ›
Il consiglio del re, al quale fu proposto l'affare, rappresentò agli am
basciatori napoletani, che non si poteva eseguir quello che domandavano.
Nè altro vollero determinare seco loro salvo l'affare della Scozia, non
volendo per l'avvenire, come dichiararono avere la Francia niunaalleanza
con Ferdinando, e mostrarono gli apparecchi che si facevano per la
guerra.
Informato il re di Napoli di queste risoluzioni del consiglio aulico di
Francia, s'indirizzo da capo al Papa. Il santo Padrechebenignamente e
volentieri avea porto orecchio alle esortazioni (Rainald. ex-Surita 1493) di
Ferdinando ed Isabella presentategli dai loro oratori fin dapprima della
lega italica, e confermate dal legato mandatogli espressamente verso il
--
200
medesimo tempo, di non aderire ai pensamenti di conquista delsovrano
francese su di Napoli, ad essi ben noti pel trattato con questo stipulato
il 1403 in gennaio nella città di Barcellona. Nonera quindi egli certo a
lieno dal piegarsi alle preghiere dei regi ispani ed opporsi a Carlo VIII,
quando avesse prove sicure che Ferdinando redi Napoliriparasse in modo
soddisfacente l'ingiuria fatta alla Santa Sede. Ora rimirando egli, che
costui supplichevole direttamente a sè rivolgevasi, finalmente, dopo varie
difficoltà, procedute (confessa l'istesso Guicciardini) più da Virginio Or
sini che dal Pontefice , per mezzo del principe don Federico mandato a
questo effetto dal genitore in Roma, la differenza delle castella si compo
neva, convenendosi che Virginio le ritenesse , ma pagasse al Pontefice
tanta quantità di danari per quanti l'avea in prima comperateda Fran
ceschetto Cibo. Conchiusesi insieme lo sposalizio di madonna Sances, fi
gliuola naturale d'Alfonso duca di Calabria, con don Gioffredo figliuolo
iuniore d'Alessandro. Oltrepassava questi di poco il terzo lustro, e la fi
danzata stava sul decimo terzo quando si strinse il coniugal nodo. Fal
lanoadunquequelli che colGuicciardini (1)e coll'Allegretti (Istor. di Siena,
tom. 23; Il Continuatore del Fleury, Istor. Ecclesiast.lib.117, ann. 1493),
cianciano esser invalido l'imeneo per difetto d'età; come pur coloro che
col Muratori (Rer. Ital) vogliono che per ambizione siasi il Papa ado
perato per un tal matrimonio. Le condizioni furono, che don Gioffredo
andasse fra pochi mesi a stare a Napoli, ricevesse in dote il principato
di Squillaci con l'entrata di ducati diecimila l'anno, e una compagnia
di cento uomini d'arme agli stipendi di Ferdinando (Infessura, Diar. tom.
eodem). Può essere che questo trattato si conchiudesse solamente nel
l'anno seguente 1494, come induce a credere il citato Allegretti.
Il Santo Padre disacerbato per la riparazione dell'offesa fattaglidaVir
ginio Orsino, e sensibile all'aggrandimento di sua figliuolanza , accetto
la parentela ed il principato cui gli offriva; ma tentando di più Ferdi
nando di confederarsi con lui adifesa comune, il Pontefice, da prudente
tal qual era, ricusò entrare nella lega propostagli, ed interponendo molte
difficoltà, esibiva a Ferdinando tutti i servigi possibili, purchè non si
parlasse di confederazione, e solo gli rilasciava con un Breve promessa
occultissima (promessa che Alessandro VI serbò inviolabile) di aiutarlo
a difendere il regno di Napoli, in caso che Ferdinando promettesse a lui
di fare il medesimo nello Stato della Chiesa.Le quali cose spedite, si par
tiva, licenziando il Papa dal dominio ecclesiastico le genti d'arme che i
Veneziani e il duca di Milano gli aveano mandate in aiuto.
(1) Per discreditare sempre più Alessandro VI, alcuni scrittori spacciano che i due sposi per
l'età erano inabili al matrimonio, e fanno che Alessandro istesso domandato avesse tal couiugio in
fino dal 1492 in cui fu innalzato al pontificato, non avendo allora Gioffredo che 13 anni, e donna
Sancia 11; ma non avvertono, che dalla domanda alla conclusione vi trascorse il fine del 1492,
tutto il 1493 in cui furon soltanto pattuiti gli sponsali , e parte del 1494 in cui fu celebrata il
matrimonio, epperciò lo sposo aveva travalicato i quindici anni, e la sposa i dodici, età canonica
per l'imeneo legittimo e valido. Oltracciò il sentimento suddetto è tenuto in nessun conto dagli
scrittori isicroni, che per merito di veridicità superano il Guicciardini.
201
Di fatto quando Carlo VIII mandò Giovanni Perrone di Braschi per
tentare di accaparrarsi gli animi dei principi italiani , e quando a sua
volta si presentò da Alessandro VI offrendogli da prima, scrive il Conti
nuatore di Fleury (Ist. Eccl , lib. 117, ann. 1493, N. LXV) alcuni bene
fizi in Francia per quello dei suoi figliuoli che avesse voluto innalzare
alla dignità di cardinale e delle terre per gli altri due, il Santo Padre
non diede, tranne alcune risposte generali: dichiarò, che non ambiva altro
che starsene assolutamente neutrale fra le due parti, quantunque fosse
stato egli in parte cagione della guerra, suo disegno era di riscuotere
da Ferdinando molto più che non gli offeriva la Francia, e questo era
ciò che disturbava il re di Napoli, il quale vedea che malgrado tutte le
sue condiscendenze non poteva assicurarsi di averlo in suo favore. Ep
perciò per guadagnarselo tutto , dopo le usate compiacenze di buonifi
carlo delle terre comperate dagli Orsini, aveva convenuto dare a Giof
fredo in isposa la figliuola del suo primogenito medesimo, comeabbiam
narrato. Il che fini di mitigare l'esasperato animo di Alessandro.
APPENDICE III.
Lettere di varii PRINCIPI e CARDINALI riguardo alla calata di Carlo VIII
in Italia.
Testimonianze del COMINES e di PIETRO MESSIA, scrittori
contemporanei, per cui risulta essere a quella stato estraneo Alessandro VI.
I. Quantunque la discussione per noi fatta nel capo XIX, comprovi abbondantemente essersi non solo Alessandro VI mai sempre tenuto estraneo
all'impresa di Carlo VIII re di Francia contra il regno di Napoli, ma di
averla inoltre lo stesso disapprovata; nulladimeno portiamo opinione riuscire cosa utile all'istoria il divulgare alcuni documenti, i quali metteranno vieppiù in pieno giorno che l'amore per la nostra tesi non ci fe'
velo in modo alcuno adanno della verità; la quale essendo una, può essere per un tempo oscurata, confusa, contraddetta sì , ma alla perfine
non può ameno di sfolgorare adorna di tutto la sua vaghezza.
Per poco che il Papa fossesi intricato in cotale combriccola, il verboso
Burcardo, solertissimo annotatore d'ogni atto del suo padrone, con proprio ed altrui vilipendio, tace onninamente, contro al suo andazzo, su di
simile imputazione , restringendosi unicamente a dire che il XIII marzo
1494 venne in Roma don Lodovico con altri personaggi, per trattare su
negozi particolari del re di Napoli, e che nel ricevimento fattogli dalla
Corte romana non v'intervennero gli ambasciatori di Francia. Riportiamone le precise parole : Feria sexta, XIII martii (1494), hora xx vel circa,
per portam Lateranensem, Asinariam nuncupatam, Ill. D.don Ludovicus
de Aragonia marchio Giraci, R. dom. Alexander Carafa archiepiscopus
neapolitanus, frater germanus rev.domini Cardinalisneapolitani, magni
-202
ficus dom. Iohannes Antonius de Ghinara, comes Potentiae, etpraestantissimus utriusque iuris doctor dom. Antonius de Alexandro Serenmi Alphonsi Siciliae etc., et Hierusalem regis Neapolitani oratores pro particularibus negociis praefati regis, et etiam ad praestandam obedientiam,
quatenus SS. D. N. placeat, et ad eum missi, qui a familia Cardinalium
et SS. D. N. Papae recepti sunt , et more solito associati ad palatium
Montisiordani Ursinorum, in quo marchio, comes et doctorhospitati sunt;
archiepiscopus vero post omnium familiarum recessum equitavit ad domum Cardinalis neapolitani fratris sui, in quo ipse hospicio receptus est.
Equitavimus per Eliseum, Marforium, sanctum Marcum, domum Dominici de Maximis, Campum Florae via recta , usque ad stratam qua per
Parionem revertitur, inde ad palatium praedictum: marchio equitavit
medius inter d. Pisauri a dextris, et gubernatorem urbis a sinixtris, archiepiscopus inter archiepiscopos Nicosiensem et Ragusinum, comesinter
Concordiensem et Segorbiensem episcopos praelatos palatii, d. Antonius
inter praelatum palatii a dextris, et episcopum Pacensem oratorem regis
et reginae Hispaniarum a sinistris. Deinde antiqui oratores cum praelatis
palatii, tum alii praelati more solito. Cardinalis sancti Dionysii non misit
familiam suam, nec oratores regis Franciae venerunt his advenientibus
obviam. Alia sunt observata more consueto. »
Carlo Rosmini nella vita del magno Trivulzi, pubblicò i seguenti pe
regrini documenti, coi quali venne ad apportare una luce immensa su
di questa quistione, cui gli scrittori ostili al Borgia si sforzarono ren
dere tenebrosa. Nè si abbia per parziale il Rosmini, chè mostrò questi
piuttosto inclinazione ad avversare Alessandro VI a preferenza di favo
rirne la causa ; quindi se nella sua solerzia instancabile di scrutare nelle
polverose biblioteche, e nei tarlati squallidi scritti avesse potuto rinvan
gare una sola testimonianza che facesse detto Pontefice correo di Lodo
vico il Moro del progetto insano ed improbo di far calare Carlo VIII in
Italia non avrebbe egli esitato un istante di produrlo tanto per isgra
varne in parte il suo duca, e mitigarne la colpa dividendola col capo
sovrano della Chiesa, quanto ancora per appagare il suo prurito di scal
fire i Borgia. Rechiamo adunque in mezzo i prefati documenti.
1.
DUCI BARI.
•Illus. etc. Nostro Signore..... mi ha parlato in questa sententia, che
essendo sempre stato el desinerio suo de conservare la quiete, è conti
nuamente stato di parere che la unione del re de Napoli cum la Ессе
lentia Vostra conjuncta cum la Beatitudine Sua havesse aportarequesti
effetti... et però la Beatitudine Sua voleva ne scrivessi a la Eccellentia
Vostra, et da sua parte la confortassi strettamente a questa unione et a
considerare le provvisioni opportune per impedire lavenuta de' Francesi
in Italia etc.
• Romae 29 jan. 1494.
• Frater et filius
Ascanius Maria cardinalis Sfortia
vice-comes, S. R. E. vice-cancellarius » .
--
203
2.
LUDOVICO MARLE SFORTIE ETC.
•El signor principe (il doge di Venezia) primaringratiò la Excellentia
Vostra de la comunicatione delle littere de Francia, et circa li prepa
ramenti dei Francesi disse, che questa signoria non haveva mai visto
voluntera venire simile gente in Italia, et anchora adesso non li piaceva
avederli venire; et che tutte le actione de questa signoria tendono ad
conservare el comune presente stato, et riposo italico etc. etc.
• Venetiis, 5 aprilis 1494.
• Taddeus Vimercatus » .
3.
•PETRUS DE MEDICIS.
•Domino Petro de Alamannis oratoriFlorentino ,
•Mediolani.
........Quanto alla sicurtà che di novo ha toccho el signor Lodovico
(Sforza) voi sapete quanto mi scrisse con la copia datami, che ogni volta
che il signor Lodovico obviarà alla impresa di Francia, non li siadene
gata la sicurtà etc.
• Florentiae, die 1 maii 1494 ».
4.
• LUDOVICO MARLESFORTLE.
.........El magnifico messer Johanne Bentivoglio mi ha subiunto che
io recordi da sua parte a Vostra Excellentia ad considerarebenequesta
venuta dei Franzesi in Italia, quello potrà apportare di bene o male; et
che gli pareria se dovesse cercare migliore occasione di vendicarse con
tra li adversarii, et tra nui Italiani non dovere mischiare l'altra gente
etc. etc.
•Ex Bononia ultimo martii 1494.
5.
• Franciscus Franchedinus..
• DUXBARI ERASMO BRESCHE.
•Doppo quello che heri te scrivessimo è arrivato una cavalcata de
Francia con multe littere, l'effecto de le quale contene comme el chri
stianissimo re è giunto a Lione, et li tuttavia attende a le preparatione
necessarie per la impresa del reame de Napoli, cosìperterracomme per
acqua, cum fermo proposito de passare in Italia etc. etc.
• Vigevani 14 martii 1494. ,
-204
6.
• DUCI BARI.
• Illus. etc...... Essendo li di passati la prefata christianissima Maestà
per fare alchune presentatione pertinente a le cose della impresa.... in
la quale era necessario che assumesse el titolo de re de Sicilia et de
Hierusalem, lo accepto cum tanta demonstratione et piacere che a me
saria impossibile exprimerlo, dicenno che questo li era uno optimo au
gurio ad essere appellato re de Hierusalem, etc.
• Lugduni, 14 martii 1494.
• Carolus Balbianus.
7.
• DUX BARI
Mediolani primo aprilis 1494.
• DOMINO ERASMO BRESCHE.
......... Nuy tuttavia attendemo alla expeditione de le nostregentedarme,
per essere apparecchiate ad omne bisogno etc. ,
8.
• DUCI BARI.
• Illus. etc. La Reale Maestà ha facto tenere li giorni passati un gran
conseglio, nel quale erano la più parte de li Signoridel sangue, et volse
me li trovasse anche io, et fece declarare per alchuni signori de par
lamento et altri doctori, el re Alphonso non havere alcuno diritto in lo
reame de Napoli, ma apartenere de bono et dritto titulo a la Maestà
Sua etc.
• Ex Lugduno, 26 martii 1494.
DUCI BARI.
• Carolus Balbianus.
9.
• Illus. etc...... Appresso, questa illus. Signoria de Venetiami comandò
che declarassi a Vostra Excellentia, che quando pur el caso occorresse
non erno per mancare de omne soccorso opportuno verso epsoStato de
Milano, et la persona in spetie de la Excellentia Vostra, la qualehanno
sempre amato et amano come bon fiolo etc.
• Venetiis die 5 aprilis 1494.
10.
• DUCI BARI.
• Taddeus Vimercatus.
• Illus. etc........ Mi sono ritrovato cum il magnifico M. Ioanne Benti
voglio per intendere quando per il duca de Calabria o altri con numero
205
de gente darme venir volesse per resistere ad Franzesi, se questo reg
gimento gli concederà passo et victualie a requisitione del prefato re et
duca; a questa parte mi ha resposto, che quando Franzesi venissero
4
come da sè, potria essere che non se denegaria achi li volesse obsistere
de farseli al incontro per essere ultramontani alla più parte de Italia ;
ma se dicte gente regie se intentesse che volessero venire ad molestare
el Stato de V. E. et passare di qua prima che Franzesi comparesso , la
Excellentia Vostra sia certissima che non se li darà nè transito , nè vi
ctualia, et che se li obviarà et farà tutta quella resistentia, quale vorrà
la Signoria Vostra etc. etc.
•ExBononia ultimo martii 1494.
11.
• Franciscus Franchedinus ..
• Vigevani 24 aprilis 1494.
DUX BARI DOMINO GALEATIO SFORTIAE.
......
Ve laudamo del fare bene intendere a quello christianissimo
re le commissione vostre de ricordare le cose necessarie a la impresa
desiderata, deinde per solicitare et vedere che gli ricordi, senza li quali
saria vano sperare honore della impresa, siano posti in effecto ..
12.
• DUCI BARI.
• Illus. etc.....
Quello che de presente posso significare, è comme
questa Maestà regia et lo illus.sig. Ducase preparano alla defesa contra
Francesi etc. Il sig. Duca ha el peso de le provisione se hanno a fare
per terra, et Don Federico de quelle per acqua.
•Neapoli, 2 decembris 1493.
• Antonius Stangha .
Or a distruggere, noi pronunciamo fidenti nella vittoria nostra , sif
fatti documenti autenticissimi, ci vuol altro che lapenna e mala lingua
di Stefano Infessura, e di tutti i suoi consorti; Alessandro VI non s'im
mischiò unquemai, no, nella turpe fellonia esecranda del duca di Bari ,
cioè di Lodovico il Moro, affine di tirare nella nostra Penisola i distrug
gitori della nazionalità italiana ! Infino allora Italia , sebben divisa in
vari principati italiani, era una; per essere governata da soli principi
italiani; dopo cotale discesa delle armi franche per cagione del principe
lombardo, fu divisa, e la Lombardia perdette essa da quel tempo in poi
per sempre il suo governo italiano, e soggiacque a dominazione stra
niera , scontando il peccato abbominevole del suo signore d'avere un
tal male attirato sull'italico suolo.
In quella guisa che gli atleti del circo si ungevano d'olio inprima di
scendere sull'arena, così gli scrittori cattolici deggiono parimenti invo
care dal Cielo l'unzione della carità ; nè provammo unquemai tanta dif
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206
ficoltà alla mansuetudine quanto nel leggere gl'ignobili scritti dei ne
mici d'Alessandro VI. Noi sovvenendoci la santa collera del N. S. G. C.,
in vista dei profanatori d'nn tempio di legno e di pietre, ci siam detto:
non sarebbe ella scusabile l'indignazione nostra contro ai profanatori
del santuario della verità istorica , detrattori buffoni , orgogliosamente
maligni, del Vicario di Dio in terra ?
II. Filippo di Comines cavaliere e signore d'Argentone (nelle sue Me
mosie, edizione di Venezia 1640 da noi confrontata coll'edizione fran
cese del 1720 daGodefroy illustrata, tom 11, v, nei passi in cui ragionaegli
delle cagioni si remote, che prossime, le quali determinaronoCarlo VIII
re di Francia a scendere in Italia per la conquista del regnodi Napoli,
dal libro VII, capo 1, 11) non ne fa mai eccitatore Papa Alessandro VI,
il che non avrebbe per fermo taciuto , sia per corrispondere alla sua
missione di storico accurato qual era, sia pel decoro di suo sovrano,
onde giustificarne la conquista, sia per rovesciare di quest' impresa la
mala riuscita del fedifrago Borgia, a cui non perdono l'imputazione di
alcuna appena probabile macchia, che anzi designa egli diligentissima
mente esserne stati i caldi promotori alcuni provenzali, lib. vii, cap. 1,
Stefano de Vers appoggiato da varii grandi di corte, il principe di Sa
lerno co' suoi tre nipoti, figliuoli del principe di Bisignano, ibid.cap. и,
il sig. Galeazzo, ed il conte di Caiazzo figliuoli di Roberto Sanseverino,
e Lodovico il Moro duca di Milano, e ciò in prima ancorache Roderigo
Borgia elevato fosse al pontificato. Così narra il fatto :
•Ora nel 1493, Ludovico mandò i suoi huomini a reCarlo VII, chedi
presente regna, esortandolo al venire in Italia all'impresa del regno di
Napoli, e ciò faceva per deprimere la potenza di quel re (Ferdinando
di Napoli) et del figliuolo (Alfonso duca di Calabria) sapendo bene, che
mentre erano in istato e grandi, non gli saria riuscito di farsi duca di
Milano, come fece poco appresso; essendo l'uno e l'altro potentissimi , e
molto sperimentati nel mestiero della guerra, e da ciascuno riputati va
lorosi edi grande animo (ancorchè poi apparisse il contrario).Ilsig. Lu
dovico era savissimo, ma timido oltre misura, e nei pericoli vile e pu
sillamino (et io ne parlo, havendolo conosciuto a pieno, e trattato seco
molte bisogne): oltració huomo senza fede, sempre ch'egli rompendola
ne poteva ricevere qualche utilità.
• Cominciò adunque nel sudetto anno a procurarecon tuttol'ingegno
et industria, che il giovanetto re di Francia in età di ventidue anni, si
accendesse di voglia di passare in Italia, facendogli proporre da suoi a
genti la gloria, gli honori e la certissima vittoria ch'egli riporteria di
quello nobilissimo regno di Napoli, nel quale i redi Franciahannogiu
stissime pretenzioni.
• Conferivano tutte le cose, prima che dirle al re, con lo Stefano di
Vers (divenuto senesciale di Beauchera, et già fatto molto ricco, ma non
quanto egli avrebbe voluto) et col generale Brissonetto, huomo anch'esso
ricchissimo e molto intendente delle cose che appartengono a tesori e
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207
depositari, al quale il Vers, come ad amico grande, ma pure a persua
sione di Ludovico, consigliava che si facesse prete, con speranza di es
sère innalzato al cardinalato, ed egli conseguirne unducato.Con questi
apparecchi et machine, havendo Ludovico primieramente espugnati gli
animi di coloro che potevano il tutto appresso il re, gli mandò poi una
horrevolissima ambasciaria a Parigi, in detto anno 1493, della quale era
capo il conte di Caiazzo, primogenito del sopranominato Roberto di San
Severino. Trovò in Parigi il principe di Salerno suo cugino, primo si
gnore della famiglia, cacciato dal re Ferdinando (come io dissi), il quale
anche esso stimolava il re all'impresa del regno. Co'l conte di Caiazzo
erano in corte Carlo di Belgioioso ed il signor Galeazzo Visconte, a
mendue pomposamente vestiti, e bene accompagnati. Le parole loro in
pubblico non furono se non complimenticontermini generalidi creanza
e d'affettione.
•Questa fu la prima ambasciaria grande, ch'egli ancorahavesse man
dataal re, oome chegià vifosse stato un suo segretario a trattare, che il
duca di Milano suo nipote potesse per procuratore fargli homaggio di
Genova, e fugli consentito contra ogni dovere...... Essendo gli ambascia
tori in Parigi, dopo d'essere stati pubblicamente ascoltati, parlò a parte
co'l re il conte di Caiazzo (il quale era in grandissimo credito nello
Stato di Milano, et anco più di lui il signor Galeazzo suo fratello, mas
simamente nel fatto della militia) ; costui offerse al re molti aiuti e sus
sidi, tanto di gente, come di danari, perchè già esso Ludovico poteva a
suo grado disporre di tutto lo Stato, come se suo fosse, proponendogli
l'impresa del regno agevolissima a riuscire. Quindi a pochi dì, egli et il
signor Galeazzo Visconte preso commiato dal re si partirono, essendo
restato il Conte Carlo di Belgioioso per instare la risolutione e la par
tenza, il quale subito si vesti alla francese, e con molta destrezza an
davapersuadendo, etirando innanzi lecose trattate, le qualiamolti comin
ciarono a piacere. Il re mandò in Italia Perrone di Baschie, nodrito nella
casa d'Angiou, di Giovanni duca diCalabria, aPapa Innocentio, (avverta
il leggente, che Alessandro VI adunque non era ancor Pontefice), a Ve
netiani et a Fiorentini. Cotali maneggi durarono lo spatio di sette o otto
mesi, variamente ragionandosi di quest'impresa fra coloro che la sape
vano, come che niuno si credesse mai che il re vi dovesse gire in per
sona, come fece..
Per tutto il capitolo III diffondendosi il Comines a discorrere di cose
estranee all'argomento nostro, noi perciò omettiamo d'intrattenere i leg
genti su di esse per passare immantinenti al capitolo seguente, e così
via di seguito, dai quali chiaramente risulta che Alessandro VI non ebbe
per nulla a temperare nei disegni di Carlo VIII; perocchè a quell'acuto
eminuzioso annotatore, il d'Argentone, nè sarebbe ciò sfuggito, ned a
vrebbe tralasciato di mentovarlo. Seguitiamolo adunque fedeli:
• Ritornando alla principal nostra materia, voi inteso avete (egli scrive),
come il conte di Caiazzo, et altri ambasciatori si partirono da Parigi, e
come si facevano molte pratiche per lo viaggio d'Italia, il quale essendo
--
208
molto a cuore al nostro re, così giovane com'egli era, non lo scopriva
perciò ad altri, fuorchè ai due, ch'io dissi di sopra (cioè a Stefano del
Vers et al generale Brissonet).
• Fu richiesto a Venetiani che volessero dargli aiuto e conseglio in
quell'impresa. Risposero ch'egli saria sempre il ben venuto in Italia, ma
non potere al presente prestargli alcun soccorso, per la sospettione che
avevano dell'arme del Turco (tutto che allhora fossero in pace con esso
lui), e che il dar conseglio a sì savio re, appresso a cui assistevano con
tinuamente persone prudentissime, saria un mostrare grandissima pre
suntione ; ma che in ogni evento poteva promettersi di loro più tosto
gratissime dimostrationi et affetto, che il contrario.
•Qui fa mestiero di considerare, come Iddio vuole sempre che chia
ramente si conosca il giudicio e la prudenza humananon servire anulla,
quando a lui piace di mettervi sue sante mani. Perciocchè li Venetiani
si pensarono di havere ottimamente e con grande accortezza risposto, e
veramente così era. Conciossiachè le faccende loro pubbliche , come io
credo, siano meglio e più saviamente governate, che di altro principe o
republica che sia al mondo; ma le cose succedettero altrimenti di quello ,
ch'essi s'havevano persuaso. Imperocchè non credendosi mai, che il re
dovesse passare in persona, nè havendo alcuna paura del Turco (che
si dicessero, perchè egli era da poco), parevaloro, che standosi a sedere,
si vendicherebbero della casa d'Aragona, odiando mortalmente Alfonso
re di Napoli, et il figliuolo Ferdinando..... Onde stimavano esser loro som
mamente utile che si facesse guerra contra il re di Napoli et i figliuoli,
sperando ch'ella non dovesse così presto prender fine, come fece ; la
quale havrebbe indebolite le forze degl'Aragonesi senza però ruinarli af
fatto. Ma che al peggio andare o gli uni o gli altri, per avere degli a
iuti da essi, daria loro nelle mani qualche città di Puglia, la qual pro
vincia risponde nel golfo di Venetia: e così appunto è avvenuto. Pare
vagli simllmente che niuno potria imputarli d'aver fatto venire il re in
Italia, atteso che non gli avevano voluto dare nè soccorso, ne conseglio,
come appareva dalla loro risposta fatta a Perrone di Baschie.....
•Nell'anno 1494, il re andossene a Lione per esser presente a tutto
ciò che si trattava, ma non già con pensiero di passare in Italia inper
sona. Arrivò qui il signor Galeazzo fratello del conte di Caiazzo di San
Severino (del quale parlai di sopra) molto bene accompagnato, a nome
del signor Ludovico, di cui egli era luogotenente, et il maggior huomo
ch'egli si havesse. Condusse seco gran numero di bellissimi ebuoni ca
valli, con molte ricche armature per giostrare, e correre alla lancia, il
che fece egli fra tutti eccellentemente, essendo giovane e gentilissimo
cavalliero. Fu accolto dal re, et accarezzato horrevolissimamente, cui
diede il suo ordine di San Michele. Tornossene poi in Italia, restando
appresso il re per ambasciatore il conte di Belgioioso per affrettare l'im
presa del regno...... (alla quale si diè mano con tutta attività).
• Ora il re, che da principio non credeva di farquesta impresain per
sona, mutò pensiero a requisitione del signor Ludovico, il quale per let
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209
tere e per lo conte Carlo di Belgioioso suo ambasciatore, gliene faceva
somma instanza, valendosi sopra tutto del mezzo dei duesopranominati;
benchè il generale Brissonetto , vedendo che tutti gli uomini più inten
denti per molte ragioni biasimavano cotal viaggio, cominciasse a temere
et apentirsi; perseverando il compagno ostinatamente nel suo parere.
Il re havendo per tre o quattro giorni fatto brusco viso al generale ,
si pose in camino. Mori apunto all'hora un servitor del Vers di peste ,
onde non osavano di accostarsi al re, si stava di mala voglia sapendo
bene , che niun altro era per sollecitare la partenza. Monsignor et ma
dama di Borbone, con ogni lor potere procurarono d'impedirgliela, aiu
tati a ciò dal generale, sì che trovandosi il re in questa perplessità d'a
nimo, l'un giorno era la partita rotta, l'altro rinovellata. In fine si risol
vette a partire , et io fui de'primi a montare a cavallo, sperando di
passare i monti comodamente con poca compagnia; nondimeno io fui
richiamato in corte, dicendosi che tutto era ito in fumo. Quel dì furono
presi in prestanza da un mercatante milanese cinquanta mila ducati
senza interesse, con promessa di molti; ma nel vero il signor Ludovico
fu quegli che li sborso sotto mano; iovi entrai per sei mila, etaltri per
lo rimanente. S'erano già avanti presi dalla bancha de Saoli cento mila
ducati , de'quali in quattro mesi n'ebbe quattordici mila d'interesse (a
ragione di 42 per cento solamente). Fu detto, che alcuni de' nominati di
sopra havessero parte nel capitale et negli utili ancora » .
Finora impertanto noi non abbiamo per anche scorto che Carlo VIII
venisse animato da Papa Alessandro VI all'invasione degli Stati napo
letani, anzi appare limpidamente il contrario. Nè unquemai contraddice
ase stesso il Comines nei seguenti capi; al capo V del medesimo libro
narra egli come Finalmente partitosi il re da Vienna ai ventitrè d'a
gosto del 1494, tirò diritto verso Asti, e che Galeazzo San Severino venne
per la posta a ritrovarlo a Susa. Quindi andò esso re aTurino, dove fe
cesi imprestare le gioie della duchessa di Savoia, figliuola già di Gu
glielmo marchese del Monferrato e vedova di Carlo duca di Savoia, le
quali egli impegnò per dodici mila ducati . (Filippo II duca di Savoia,
detto Senza terra, quinto figlio delduca Luigi, fu d'un grande soccorso a
Carlo VIII nella sua spedizione in Italia. Chiamato al trono ducale inetà
di 58 anni, dopo la morte di Carlo II suo nipote, non regnò due anni, e
morì nel 1497).
• Pochi giorni dopo Carlo VIII fu a Casale con la vedova marchesana
di Monferrato, donna giovane e valorosa. Costei similmente accommodò
al re le sue gioie , che pure furono impegnate per altri dodici mila.
Da qui potete vedere che bel principio di guerra fu quello, se Iddio
non havesse guidato cotanta mole. Stette il re alquanti giorni in Aste,
e perchè quell'anno tutti i vini italiani erano fieramente bruschi , et i
caldi grandi, la gente nostra sentiva dell'una cosa e dell'altra gran di
saggio. Venne a visitarlo il signor Ludovico horrevolmente accompa
gnato, quivi fermatosi due giorni, si ritirò aNom, castellodel ducato di
14
210
Milano discosto tre miglia daAste, dove il conseglio andava ogni dì a
ritrovarlo .
Dopo queste notizie, il Comines passa a discorrere delle sconfitte che
l'armata d'Alfonso, si terrestre che navale, ebbe a toccare dai Francesi,
e loro confederati Italiani, edell'ondeggiante politica travagliosa de' Fio
rentini , tra pel partito degli Aragonesi e per quello de' Francesi, appi
gliandosi da ultimo aquesto, ecacciando di Firenze laMediceafamiglia.
Indi prosegue nel capo VI a raccontare i prosperi successi delle armi
francesi nell'Italia , e la ferma risoluzione di Carlo VIII di marciare su
Napoli ad istigazione di Ludovico, così scrivendo :
.
Il nostro essercito
era nella Romagna, e tutto che ei fusse più debole, nondimeno faceva di
bellissime fattioni, sì che D. Ferdinandoduca diCalabria cominciò apoco
apoco a ritirarsi, la qual cosa mosse il re a passare oltra sollecitato dal
signor Ludovico e dagli altri sopranominati; il quale Ludovico in arri
vando disse al re: Sire, non temete di questa impresa. In Italia ci sono
tre potentati che noi stimiamo grandi; voi ne havete l'uno che è a Mi
lano : l'altro si sta neutrale, cioè i Venetiani; onde non havele a contra
stare se non co'l regno di Napoli; ma ricordatevi, che molti dei nostri
predecessori hanno rapportate bellissime vittorie da tutti tre insieme ,
non che da unosolo. Se voi mi prestate fede, aiuterovi afarvi maggiore,
che non fu mai Carlo Magno; perchè tosto che haverete in poter vostro
il regno di Napoli , cacciaremo il Turco fuori dell'imperio di Costanti
nopoli. Et diceva il vero, pur chedal nostro lato fussero state fatte tutte
le cose ben ordinate.
•Ora il re si lasciò in tutto governare dai consegli del signor Ludo
vico: di che alcuni dei nostri ne hebbero invidia, e sopra tutti il gene
rale Brissonetto, per compiacerne a monsignor d'Orleans, il qualepreten
deva nel ducato di Milano; ma nel vero , non si poteva a meno di esso
signor Ludovico. Esso generale, insuperbito fuor di modo, era già ve
nuto in qualche emulazione co 'l senescial suo compagno, eparevagli di
poter dire ogni cosa. Queste mormorationi pervenute a notizia delsignor
Ludovico, ne fece qualche motto al re, et all'istesso generale, perchè si
rimanesse; ma costui faceva peggio, dicendo apertamente ch'esso Ludo
vico ci ingannerebbe tutti ; come che meglio fatto haverebbe a tacersi.
Perocchè essendo ignorante delle cose di Stato, egli non ne venne mai
in alcun credito, oltre all' essere leggerissimo nelle parole; ma tuttavia
buonoet affettionato ministro del suo re.
•Fu deliberato di mandare ambasciatori a Venetia, dei quali io ne fui
l'uno..... Il re si amalò di varole con pericolo di morte, essendogli sopra
venuta la febre, la quale nondimeno fra sei o sette di cesso in tutto. Io
mi posi in viaggio lasciando il re in Aste, e quanto a me non credetti
già ch'egli dovesse passare inanzi..... Ma nostro Signore Iddio altramente
ordinato ne haveva. Andossene a Pavia, ma essendo passato per Casale
s'abbocò con la marchesa , donna gentilissima et amica nostra, ma ne
mica mortale del signor Ludovico, et egli di lei. Dopo che il re fu gionto
aPavia, cominciossi qualche poco a sospettare, perciò che gli si voleva
--
211
dare alloggiamento nella città, e non nel castello, et egli pur vi volle
albergare. Quella notte furono rinforzate le guardie, et alcuni cheerano
con la personadel re mi dissero poi che vi era pericolo: di che mara
vigliandosi il signor Ludovico, ne parlò al re, dimandandogli se temeva
di lui. Basta, che si stette quella notte con molta sospensione di animi
d'amendue le parti; benchè noi parlassimo più liberamente, che non fa
cevano gl'Italiani : non già il re, ma quei ch'erano suoi stretti parenti.
• In quel castello di Pavia vi era Giovan Galeazzo duca di Milano, e
la sua moglie, figliuola del re Alfonso, molto afflitta e dolorosa. Per
ciocchè il marito stava qui non solo amalato, ma come prigioniero. V'e
rano ancor due figliuoli, uno maschio, di età intorno ai cinque anni, et
una femina. Niuno vide ilduca, ma sìbene il figliuolo di esso. Io passai
di là tre giorni avanti del re, e benchè io procurassi di veder il duca,
nonmi venne fatto, dicendosi ch'egli giaceva aletto gravemente infermo.
Nulladimeno il re lo vide e gli favello, perciocchè egli era suo cugino
germano; il qual re narrò, che le parole che seguirono fra loro, furono
generali, non volendo esso re far dispiacere in cosa veruna a Ludovico.
Mi disse bene, che volentieri lo havrebbe avvertito di molti particolari.
In quello che ragionavano insieme, la duchessa in presenza di Ludovico
si gittò a' piedi del re supplicandolo ad havere pietà del padre e del fra
tello. Risposele, che ciò non si poteva fare. Haveva questa signora mag
gior bisogno di pregare per lo marito, e per se medesima, la quale era
ancora bella e giovane.
• Partitosi il re da Pavia, gionse in Piacenza, dove Ludovico havuto
novelle, che il duca di Milano suo nipote si moriva prese commiato per
andarvi. Pregollo il re, che tornasse tosto, et egli così gli promise. Ma
prima che giugnesse a Pavia morì il duca, et Ludovico volando andò a
Milano. Io lo seppi per le lettere dell'ambasciatore venetiano, che era con
esso lui, il quale lo scriveva alla sua repubblica; avisandola che egli si
voleva farduca; cosasommamente odiosa a quella signoria, laquale mi
dimandò se il re prenderia laprotezione del fanciullo: etavenga che ciò
fusse molto ragionevole, io il posi iu dubbio, atteso il bisogno che il re
haveva del signor Ludovico.
•In breve, egli si fece ricevere per signore: e questo fu il fine (come
molti dicevano) per lo quale ci haveva fatti passare i monti: imputan
dolo della morte del nipote i parenti et amici del quale si erano messi
in arme e venuti in Romagna(come io dissi), per torre il governo a Lu
dovico, et agevolmente saria loro succeduto, se il re non fosse stato in
Italia. Ma avendo egli incontra il conte di Caiazzo con gl'Italiani, e mon
signor d'Aubigni con ducento huomini d'arme francesi et un numero
di svizzeri, don Ferdinando fu costretto a ritirarsi verso Forlì, di che era
signora una bastarda degli Sforza di Milano, vedova delconte Gerolamo,
che fu nipote di Papa Sisto IV. Dicevasi costei essere amica d'Aragonesi,
ma havendole i nostri preso d'assalto una sua picciola terra, battuta so
lamente due giorni, essa signora si accosto volentieri a noi, mostrandoci
grande inclinazione. Cominciarono allhora i popoli d'Italia, desiderosi di
--
212
novità, a prender animo, vedendo cosa non più veduta alor tempi, e
questo era il condurre et maneggiare con tanta facilità grandissimo nu
mero d'artiglieria, il cui essercito non era mai per l'addietro stato così
ben inteso nella Francia come allhora; Ferdinando avvicinandosi al regno
si ridusse a Sezena, buona città della Chiesa, nella marcad'Ancona; ma
havendo questasua ritirata più sembiante difuga, che di altro, ciascuno
dovunque trovava in disparte i somieri e le bagaglie , senza alcun ri
spetto le saccheggiavano. Nè vi ha dubbio che si sarebbono quasi tutti
ribellati, se i nostri, lasciando le rubberie e le violenze, si fusseroportati
moderatamente e con buon ordine , ma facevano tutto in contrario; di
che io n'hebbi grandissimo dispiacere, perla gloriaet famache sipoteva
acquistare in quel viaggio la natione francese. Conciossiachè dal prin
cipio i popoli ci riverivano come al pari d'huomini santi, dandosi acre
dere che in noi fusse ogni fede e bontà; ma cotal opinione non durò
loro gran fatto, sì per nostra propria colpa, come anco perchè i nemici
publicavano inogni contrada noi essere pessima generatione di gente, la
quale da per tutto rubava le donne, i danari et i beni altrui. E nel vero
non ci poteva essere attribuita maggior infamia, et dicevanoin parte la
verità . Quanto bella candidezza in un francese scrittore !
Nel capo VII del medesimo libro il Comines ragiona solo come Pietro
de' Medici mise nelle mani di Carlo VIII quattro delle principali fortezze
de' Fiorentini, delle quali il re pose una, che fu Pisa, in libertà, con ram
marico di Ludovico novello duca di Milano, il quale avrebbe voluto per
sè questa città; quindi cominciò a mostrare un certo alienamento dal
l'impresa di Carlo VIII, ed avrebbe ilduca diMilano, conchiude ilCo
› mines, volentieri veduto , che il re fusse uscito d'Italia, dissegnando
› tuttavia di cavargli di mano alcuna delle sopranominate fortezze, e fra
• le altre gli dimando Serezzana, Pietrasanta, come appartenenti ageno
• vesi. Prestò al re sopra tale speranza trenta mila ducati; et dissemi, et
•ad altri ancora, che gli furono promesse; onde maravigliosamentemal
•contento, per non esserle state date, sotto pretesto d'essere richiamato
• aMilano per sue bisogna, si parti dal re, il quale mai più egli non
• vide per l'avvenire: lasciando incorte ilsignor Galeazzo San Severino,
• con intentione ch'egli dovesse intervenire co 'l conte Carlo di Belgio
•ioso a tutti i consegli, e tenesserne indettato esso Ludovico . In tutto
questo capo come anche nel seguente, neppure una parola del Papa il
Comines dice, sempre lasciando tutto l'aggravio della discesadi Carlo VIII
alle ambiziose mire d'esso Ludovico.
Nel capo ix, dappoichè ebbe descritto l'ingresso di Carlo VIII in Fi
renze, e 'l transito suo per diverse città, conchiude dicendo: ⚫passò il
re aViterbo, doveinemici (essendosi don Ferdinando ritirato verso Roma)
havevano intentione d'alloggiare et fortificarsi, et con buona occasione
di combattere, come mi disse l'ambasciatore del re Alfonso et il nuntio
del Papa, ch'erano a Venetia: et in vero io aspettava che esso Alfonso,
lasciato il figliuolo nel regno, dovesse andarvi in persona, essendo ripu
tato huomo valoroso e di grand'animo; parendomi quella città luogo
--
213
molto opportuno et avantaggiato per lui. Perciocchè egli havrebbe havuto
alle spalle il suo regno, lo Stato della Chiesa amico et quello degli Or
sini ; onde restai stupefatto quando il re mi scrisse ch'egli era in Viterbo,
dove un commendatore gli diede subito la fortezza; et tutto ciò avenne
per mezo et industria del cardinal di San Pietro ad Vincula, il quale ne
haveva il governo insieme con i Colonnesi. Estimai ben allhora, che Id
dio volesse imporre buon fine alle cose del re, et pentimmi d'havergli
scritto et consigliato, che egli accettando alcuno de' migliori partiti che
gli erano offerti, si accordasse. Aquapendente, et Montefiascone, et tutte
le terre all'intorno gli s'arrenderono avanti che Viterbo, come io fui av
vertito per lettere del re e da quelle de' signori Venetiani, che di di in
di sapevano da' suoi ambasciatori tutto quello che si faceva; le quali
lettere, o mi erano da essi mostrate, o me lo mandavano adire per uno
de' loro segretari.
•Il re andò poi a Roma passando per le terre degli Orsini, che tutte
gli furono date in potere dal signor Carlo Orsino per ordine, come di
ceva, di suo padre, il quale essendo a soldo del re Alfonso si lasciava
intendere che servirebbe Ferdinando, tanto solamente ch'egli, o si riti
rasse o stesse nello Statodella Chiesa, e non più. Così vivono in Italia
i signori, et i capitani, havendo sempre pratiche et intelligenze co'ne
mici, e paura grandissima di essere i più deboli. Fu poi esso re accet
tato in Bracciano, castello principale del signor Virginio Orsino, bello
et forte, e ben guernito di vettovaglie; et io ho inteso dal re medesimo
lodare sommamente quel luogo, e le accoglienze che gli furono fatte;
conciossiachè il suo essercito fusse ridotto in così estrema necessità di
viveri, che più oltre non poteva sostenere la fame. E chiunque consi
derasse quante volte quell' essercito, da che arrivò aVienna in Delfinato,
fu vicino a dissolversi, et come, et da che parte sirifaceva, sarà sforzato
aconfessare, che Iddio specialmente ne fusse egli il condottiero e con
servatore .
Quindi nel capo x trapassa il Comines a narrare come Carlo VIII si
disponesse a marciare su di Roma, e come vi entrasse, così dicendo :
•Mandò il re da Bracciano il cardinal di San Pietro ad Vincula in Ostia,
dove egli era vescovo, cittàdi grande importanza, occupata allhoradai
Colonnesi, la quale poco innanzi le genti del Papa havevano tolta ad
esso cardinale. La fortezza era debolissima, ma dappoi che il cardinale
vi fu, ella teneva Roma in molta soggettione, il quale era amico gran
dissimo de' Colonnesi, e questi erano dei nostri, per lo mezo del cardi
nale Ascanio fratello del duca di Milano et vice-cancelliero.
•Gli Orsini et Colonnesi, principalissime famiglie romane, et capi de
fattioni contrarie, stanno in continue gare, di che le terre della Chiesa
sono fieramente travagliate..... ( noti il leggitore) e se ciò non fusse , lo
Stato del Papa saria per li sudditi la più felice habitatione di tutto ii
mondo; perciocchèessi non pagano ordinariamente taglie, nè son sotto
posti a molte altre gravezze; oltraché, essendo per lo più i sommi Pon
tefici persone prudenti e ben consigliate, ilgoverno loro non può essere
--
214
se nonottimo e desiderabile.Madalle sudette partialità nascono sovente
crudelissime uccisioni e rubberie , come da quattro anni in qua chiara
mente si è veduto.
•Ora i Colonnesi ci diventaronodapoicontrari, con molto lorbiasimo et
ingratitudine ; perciocchè havevano per gratia del re, più di ventimila
ducati d'entrata nel regno di Napoli in belle signorie, come del contado
di Tagliacozzo et altre, le quali furono dianzi degli Orsini, e quante al
tre cose seppero dimandare al re di Francia tutte loro furonoconcedute,
tanto in condotta di gente da guerra, quanto inpensione. Nè vi hadub
bio alcuno che si passarono da veri disleali, senza alcuna occasione ;
come quelli che per ogni tempo erano stati partigiani della casad'Ara
gona e degli altri nemici di Francia, essendo eglino Ghibellini, dove gli
Orsini sono Guelfi et amici alla Francia, come sono anco i Fiorentini.
•Co 'l cardinal San Pietro ad Vincula fu mandato in Ostia Perone
delle Baschie, maestro di casa del re, il quale tre giorni avanti venuto
per mare e sceso a Piombino, gli recò venti mila ducati presi in pre
stanza dal duca di Milano: nell'armata di mare, ch'era molto piccola,
restò il prencipe di Salerno, et uno chiamato il signor di Sernondi Pro
venza, la quale armata essendo corsa tutta conquassata per tristi tem
porali in Corsica, stette tantoa racconciarsi, che fu inutile a quellaimpresa.
havendo trovato il re dentro di Napoli.
•Erano in Ostia co 'l cardinale intorno a cinquecento homini d'arme
e due mila Svizzeri, il conte di Lignì (cugino germano, da cantodi ma
dre, del re), il signor de Allegre et altri, con dissegno di passare il Te
vere per rinchiudere in Roma Ferdinando, che l favore et aiuto dei Co
lonnesi, dei quali erano capi allhora Prospero, et Fabritio, etilcardinale
Colonna, a' quali il re per mano di sudettoBaschie, pagò due mila fanti,
ch'essi medesimi havevano fatti e ragunati a Sannesone terra loro.
• Ma perchè cadono varie cose in proposito dellapresente materia, mi
abbisogna perciò di ciascuna di esse alquanto favellare. Inanzi che il re
havesse Viterbo, mandò a Roma il signor della Trimoglia, suogran ca
meriero, il presidente di Guennai, il qual teneva il suo sigillo, et il ge
nerale Bidaut, per trattare col Papa, il quale haveva sempre, come si
costuma in Italia trattenute vive con esso seco alcune pratiche.
•Essendo adunque costoro in Roma, il Papa v'introdusse di notteFer
dinando con tutta la sua gente, etalcuni dei nostri furono arrestati. Quel
dì medesimo furonli mandati dal re, licenziati dal Papa, ritenendo pris
gioniero il cardinal Ascanio fratello del duca di Milano, etProspero Co
lonna (dicesi di lor consentimento), et di tutte queste facende io n'hebbi
subito lettere dal re; come anco più partitamente la signoriadi Venetia
da loro ambasciatori ; et tutto ciò segui prima che il re entrasse in Vi
terbo, perciocchè egli in qualunque luogo si fusse, non si fermava più
di due giorni, succedendogli tutte le cose meglio ch'egli non sapeva
desiderare; ma che ? il Supremo padrone dei signori vi haveva lamano,
et ciascuno manifestamente lo conosceva.
• L'armata ch' era in Ostia non serviva di niente per rispetto deicat
--
215
tivi tempi, massimamente che lagentecondottada monsignor d'Aubigni
se n'era ritornata addietro, et egli ancora, comeche non fosse più aquel
carico : eransi parimenti licenziati et ben pagati cinquecento Italiani,
che furono seco nella Romagna, venutivi sotto la condotta del signor
Ridolfo di Mantova, e del signor Galeotto della Mirandola, e di Fracasso
fratello del signor Galeazzo San Severino. Al partir da Viterbo andò il
re aNepi, che teneva il signor Ascanio. Cosa niuna è più vera, diquella
ch'io dirò, cioè che quando i nostri erano dentro ad Ostia, caderono a
terra più di venti braccia di muro della città di Roma, in quella parte
appunto dove si haveva ad entrare. Il Papa vedendo venire con tanta
prestezza e buona fortuna quel giovanetto re, consenti ch'egli entrasse
in Roma (nè volendo, havrebbe potuto impedirlo), dimandandogli salvo
condotto per Ferdinando ducadi Calabria, et unico figliuolo al re Alfonso,
e concessegliele volentieri il re. Onde esso duca, accompagnato del car
dinale Ascanio insino alla porta, si ridusse a Napoli. Et il re entrò ar
mato in Roma, come padrone et arbitro di tutte le cose. Fu incoronato
da parecchi cardinali et da' senatori romani, alloggio nel palazzo di San
Marco, posto nel quartiero de' Colonnesi (allhora suoi amici et servitori),
et il Papa si ritirò nel castello di Sant'Angelo , .
Dopo ciò il Comines, nel capo ix, riporta che il re Alfonso, fatto co
ronare il suddetto Ferdinando suo figliuolo, si fuggì in Sicilia, e vi di
scorre della malvagia vita menata da Ferdinando il vecchio suo padre,
edi lui ancora, i quali per punizione terribile di Dio vennero privati
del regno, e della vita in mezzo ad amaritudini cocentissime. Cosìesor
disce: Si saria egli potuto credere giammai, che il reAlfonso, huomo
altiero e nodrito nelle guerre, insieme co l figliuolo, e con tutti gli Or
sini, che hanno tanta parte in Roma, non havessero havuto ardimento
di rimanere in quella città, massimamente in tempo che sapevano molto
bene il duca di Milano, et Venetiani starsi perplessi et irresoluti, trat
tandosi tuttavia una lega la quale senza fallo (come io ben sapeva) sa
rebbesi conchiusa, se si fusse fatta qualche poca resistenza a Viterbo o
aRoma, per ritenere pochissimi giorni solamente il corso et impeto del
re?Era veramente necessario, che mostrasse Iddio, che tutti quelli suc
cessi et attioni, trascendevano il sapere et intendimento de' mortali. Cosa
notabile è, che si come il muro della città poco inanzi era caduto, così
venne giù a terra da quindici braccia dell' antemuro del castello San
t'Angelo, come mi riferirono molte persone, e fra gli altri due cardinali
che v'erano dentro.....
Accordo di Papa Alessandro VI con Carlo VIII.
Nel capitolo XII, appena ebbe il Comines in brevi detti renduti conti
i preparativi di Ferdinando II, novello re di Napoli, perdifendere questa
città dall'invasione francese, che ritorna sul fatto di Roma: Re Carlo
era ancora in Roma, dove soggiorno intorno a venti giorni, trattandosi
continuamente molte cose. Erano seco da diciotto cardinali et alcunial
--
216
tri andavano et venivano da diverse bande. Eranvi monsignor Ascanio
vice-cancelliero, et fratello del duca di Milano, et ilcardinale San Pietro
ad Vincula (nemici capitali del Papa, ma amicissimi l'un dell'altro), il
Carcense, San Dionisio, Santa Severina, Savello, Colonna et altri i quali
volevano fare novella elezione d'un Pontefice, e che Alessandro fussepro
essato, il quale s'era fuggito in castello S. Angelo. Per due volte, come
m'hanno riferito alcuni gran personaggi, fu apparecchiata l'artiglieria
per batterlo, ma per bontà del re si mancò. Quella fortezza non è da far
difesa, perchè ell'è piccola, e tutta fatta di mano d'uomo. Io son bene
d'opinione, che l'un e l'altro haverebbono volontieri consentito, che si
fusse venuto a nuova creatione a piacimento del re, et forse ancora di
farne un francese ; nè so se il re facesse bene o male; tuttaviasotto so
pra fu bene ch'egli s'accordasse, essendo giovane, malaccompagnatoper
condurre una si gran macchina, qual è di riformar la Chiesa. Le forze
e lapotenza haveva egli bene, se ci fusse stato conseglio, e prudenza.
Et pensomi, che tutte le persone di intendimento e di giudicio, havreb
bono ciò riputata una singolarissima et santissima operatione. Maquesto
è un gran misterio; ancorchè la volontà del ré vi fusse buona, come vi
è ancora adesso, se fusse aiutato.
• Il re fece un accordo co'l Papa, il quale non poteva durare; per
ciocchè in certi capi gli era troppo violento: benchè fusse cagione di
far una lega di cui si parlerà appresso.
•Dicevasi per quel trattato, che si facesse pace fra il Papa e quelli
cardinali che gli erano allhora nemici. Che tanto gli assenti come ipre
senti fossero pagati del diritto de' loro capelli. Che il Papa imprestasse
quattro piazze al re: Terracina, Civitavecchia, Viterbo (ch'era già inpo
tere del re), e Spoleto (ma questa no l consegnò mai, tutto che l'avesse
promesso). Le quali dovevansi restituire subito che il re si partisse da
Napoli, come pur fece, benchè il Papa l'havesse già ingannato. Oltraciò
diede al re il fratello del Turco, dal quale egli n'aveva ciascun anno
sessanta mila ducati, per lo sospetto ch'esso Turco ne haveva. Promet
tevadi non mettere nessun legato in luogo o città della Chiesa senza
il consentimento del re. V'eran eziandio altri articoli spettanti al conci
storo; per l'osservazione delle quali cose donogli per ostaggio il cardinal
di Valenza suo figliuolo, il quale l'accompagnò comelegato. Fecegli poi
esso re una figliale ubbidienza, con quanta humiliatione si sapesse fare
qualunque re. Creò il Papa a sua richiesta due cardinali, cioè il Brisso
netto , ch'era vescovo di San Malò, nominato spesso da noi, generale :
l'altro fu il vescovo di Mans, della casa di Lucemburgo, il qualesi tro
vava allhora in Francia .
Prosegue , cit. lib. capo XIII : • Fornite tutte le sopradette cose , par
tissi il re da Roma, amico assai nelle apparenze esteriori del Sommo Pon
tefice. Si partirono ancora otto cardinali mal sodisfatti dell' accordo se
guito , dei quali i sei erano a divozione del vice-cancelliero , e di San
Pietro ad Vincula. Fu detto per alcuni, che ilcardinale Ascanio s'infin
gesse mal contento; se ben nell'intrinsecoapprovavaciò che aveva fatto
-217
il Papa. Egli è vero, che il ducasuo fratello non s'eraancoradichiarato
contra noi (Francesi). Andò il re a Sannessone, e quindi a Veletri, d'onde
il cardinale di Valenza si fuggì da lui... Indi seguita a descrivere il
viaggio di Carlo verso Napoli , e la venuta di lui in questa città, dove
ricevette l'incoronazione reale (capo xiv), e confessa gli errori, cuicom
mise Carlo VIII nel volersi ritenere questo regno, il perchè per giusto
giudizio di Dio venne poscia a perderlo. Continuiamo ad allegarne le
sue parole:
•Fu preso con batteria il castello dell' Uovo, che fu il compimento
della gloria e delle vittorie di Carlo. Dal che si può chiaramente com
prendere, che chi haveva recato a fine sì grancose, no l fece da sè, ma
fu vera attione di Dio. Come in contrario i manifestissimi errori com
messi dai nostri, erano pure attioni d'huomini avviluppati nelle tenebre
di soverchio orgoglio, il quale non gli permetteva di saper discernere
d'onde cotanti beni et honori procedessero, operando essi conforme alle
nature loro et allasperienza. Per il che non fu maravigliase la fortuna
si cangiò con tantaprestezza, et così visibilmente, come si vede il giorno
in Ostlanda et in Norvegia , dove i giorni di state sono più lunghi che
altrove, e tanto che quando mancano la sera, quasi nel medesimo mo
mento, o poco appresso, come d'un quarto d'hora, si scorge di nuovo
rinascere l'aurora del seguentegiorno; perciocchè ogni huomo prudente
vide in brevissimo spatio mutarsi quella singolare e gloriosa sorte, della
quale poteva ricevere tantecomodità ethonori tutta lacristianità ;quando
fusse stata riconosciuta daColui, dal qualeveramente ella nasceva ; per
ciocchè così agevolmente si saria potuto ruinar il Turco, come si fece il
re Alfonso, non essendo lui huomo di alcun valore, oltra che Carlo VIII
haveva nelle mani il fratello suo, temuto da lui sopra tutte le cose del
mondo; benchèdopo la fugadel cardinale di Valenza, egli vivesse poco;
e fucredutoche il Papa loconsignasse avelenato . Non sarebbe adunque
vero, come pretendono alcuni scrittori, che premorto sia il principe mu
sulmano Zisimo alla fugadel cardinale Cesare Borgia ! Ma teniamo dietro
al Comines, il quale purga onninamente il Santo Padre d'aver rivelato
al Sultano una congiura de'cristiani ordita contra di lui, che anzi ne dà
egli il carico ai Veneziani.
•Eranvi, egli continua, similmente infinite migliaradi christiani pronti
a rivolgimento. Da Otranto alla Vallona vi sono da sessanta miglia, e
quindi in Costantinopoli intorno adiciotto giornatedi mercatante(come
mi hanno riferito coloro che sovente fanno il viaggio), senza che vi sia
di mezzo alcuna fortezza, fuorchè due o tre, perchè le altre si veggono
abbattute. Tutte quelle contrade sono Albanesi , abitate da Schiavoni e
Greci, i quali havevano novelledei successidel re, perviadei loro amici
che erano in Venetiaetin Puglia, et acui essi ancora scrivevanospesso,
non aspettando se non d'essere chiamati alla ribellione.
• Il re vi mandò un arcivescovo di Durazzo , albanese, il quale parlò
agran numero di persone apparecchiate a prender l'arme , tutti i fi
gliuoli e nipoti di molti signori, et huomini principali in quei paesi ,
218
come adiredi Scanderberg, d'un figliuolo dell' imperatore di Costanti
nopoli , et dei nipoti del signor Costantino (che di presente governa il
Monferrato), cugini ancora del re di Servia. In Thessaglia si sariano sol
levati più di cinque mila. Sarebbesi anco preso Scutari (il che io sapeva)
per intelligenza , co'l mezzo di esso signor Costantino , il quale stette
meco a Venetia molti giorni nascoso. A costui appartiene la Macedonia
e la Thessaglia (patrimonio d'Alessandro il Grande) e la Vallona. Scu
tari e Croia vi sono appresso, e non haveva guari che il suo padre l'ha
veva impegnate a' Venetiani , i quali avendo perduto Croia, dietro poi
Scutari, facendo pace al Turco.
« Il signor Costantino v'ando vicino nove miglia, et eseguivasi l'im
presa, se l'arcivescovo Durazzo non si fusse fermato alcuni giorni a Ve
netia, bench'io lo stimolassi ogni dì a gir via, parendomi tuttavia nelle
parole huomo leggiero, ch'egli era per farcosa, di cui si saria favellato.
Hora per mala ventura, il giorno che i Venetiani intesero la morte del
fratello del Turco (dato dal Papa in potere del re), deliberarono per un
dei loro segretari darne notizia ad esso Turco, et perciò ordinarono che
niun legno passasse la notte fra le due castella che guardano l'entrata
del golfo di Venetia, facendovi fare buona guardia, non temendo salvo
di qualche picciolo navicello, come sono iGreppi, dei quali ve n'ha molti
nel porto d'Albania, e nelle loro isole di Grecia.
• Usarono queste diligenze per essere i primieri adargli questabuona
novella , per la quale egli havrebbe largamente premiato il portatore.
Hora il buon arcivescovo, quell'istessa notte volle partire per accompa
gnarsi co 'l signor Costantino, che l'aspettava; portò seco gran numero di
spade, scudi e corsesche, per darle in mano di coloro, co'quali havevano
intelligenza, perchè essi nonne hanno : ma in passando fra le duecastella,
egli fu preso e posto nell'una di esse castella, così gli huomini che egli
haveva seco, et il legno licentiato andò innanzi. Furongli trovate molte
lettere , le quali scuoprivano il trattato e dissemi il signor Costantino,
che i Venetiani mandarono nei luoghi vicini ad avvisare la gente del
Turco , et il Turco medesimo, et se la navicella che passò oltra, della
quale il padrone era albanese, non avvertiva Costantino, egli saria stato
preso; ma si fugi subitamente per mare in Puglia » .
Or noi non sappiamo come sianvi scrittori moderni, o di molto poste
riori al tempo in cui succedettero questi avvenimenti, cotanto temerari
da incolpare Alessandro VI di aver rilevato al Turco quella trama, quando
il Comines che era stanziato a Venezia, e qual ambasciatore di Carlo VIII
vegghiava attentamente su d'ogni cosa, ese ne mostravaben informato,
né discolpa interamente il Pontefice , tuttochè egli avverso si manifesti
ad esso sempre mai quando se glie ne porge il destro, come gl' inspi
rava l'amore, se pure non vogliasi dire parzialità, versodel suo signore
edella sua nazione: di maniera che, tranne d'essere appoggiati a do
cumenti (il che è difficilissimo) di maggior peso, fa d'uopo prestargli
credenza se non si vuole sragionare. Oltraciò si arroge , che l'edizione
delle sue Memorie, della quale noi ci serviamo, fu stampata ed appro
219
vata con privilegio dei superiori, non in Roma, non aParigi, ma nell'i
stessa sospettosissima Venezia l'anno 1640; e se la cosa narrata dal Co
mines non fosse stata pubblica costa, ed affatto consentanea al vero , o
non avrebbe unquemai quella oculatissima censura della repubblicaper
messo siffatta pubblicazione , ovvero avrebbe soppresso cotali linee , od
almeno appostavi una rettificazione.
Inoltriamoci al capo xv, nel quale l'autore premette una digressione,
ossia discorso, in qualche parte fuora della materia principale, e vi ra
giona assai ampiamente dello stato e del governo dei Veneziani , e di
quello ch'egli ne vide e seppe nel tempo durante il quale vi stette am
basciatore per Carlo VIII. Noi, omettendo le narrative estranee al nostro
scopo, trascegliamo puramente quelle che vi hanno relazione.
•Egli è hora il tempo, scrive adunque, ch'io dica alcuna cosa de'Ve
netiani, e la cagione perchè io vi fussi mandato ambasciatore residente,
poscia che il re adesso è in Napoli vincitore e trionfante. Feci la mia
partita d'Aste per ringratiarli della buona risposta, ch'essi havevano fatta
ai due ambasciatori del re, e per conservarli, s'io poteva, suoi amici e
benevolenti ; perciocchè attesa la loro potenza, il conseglio e buon go
verno, soli in Italia potevano impedire il corso de'suoi fini e speranze....
Venne ricevuto il Comines in Venezia dal senato, edall'ambasciatore del
duca di Milano con moltaonorificenza..... e vi stette otto mesi, spesato
di tutte le cose, come altresì erano gli ambasciatori dei prencipi. Io co
nobbi quei nobili tanto prudenti, et inclinati ad accrescere il dominio
loro, che se non vi si provvede di buon'hora, tutti i loro vicini si trove
ranno mal contenti. Nel tempo che il re si fermò in Italia, etda poi an
cora seppero guardarsi meglio e difendersi, che s'abbiano fatto mai ; per
ciocchè, non ostante che non siano ancora in guerra con esso lui, non
dimeno hanno avuto ardire di allargarsi, prendendo nella Puglia sette
o otto città in pegno (le quali io non so già quando lesi renderanno)...
•Fabisogno adesso ch'io raconti qual carico fusse il mio appresso ai
Venetiani. Io vi fui mandato dal re con l'occasione di ringratiarli della
buona risposta, et parole date da loro a due suoi huomini spediti là nel
tempo che egli volle passare in Italia: perciocchè dissero che, quanto a
loro, poteva sicuramente far l'impresa: et ciò seguì prima ch'esso re si
portasse dalla città d'Aste. Giunto che io fui a Venetia, et fatti i dovuti
ringratiamenti, proposi anco loro l'antiche et lunghe confederationi, che
erano state fra i re di Francia et essi; et offersi loroBrindisi, et la città
d'Otranto, con questa conditione, che donandogli nella Grecia cose mi
gliori , ce le restituissero. Mi risposero dolcissime parole del re et delle
sue bisogne (non pensandosi però, ch'egli dovesse passare molto innanzi).
In quanto all'offerta ch'io feci loro, mi fecero dire: esser amici et ser
vitori del re, e perciò non volere ch'egli comperasse l'affetione loro (e
nel vero il re non haveva ancora quelle terre in suo potere) et che non
volevano entrar in guerra volontaria, benchè fussero appresso loro am
basciatori del Re di Napoli, che di ciò fare li pregavano efficacemente,
offerendo loro tutto quello, che sapessono dimandare: il quale Alfonso
220
confessava essersi mal diportato con essoloro, et insieme gli proponeva
quanto dovessero temere l'arme del re, quando rimanesse superior nel
regno di Napoli. Il Turco ancor esso mandò loro un ambasciatore (da
me più volte veduto), il quale a richiesta del Papa, gli minacciava, se
non si dichiaravano contra il re di Francia. Aciascuno facevano gratiose
risposte, come da principio non temessero punto del fatto nostro; anzi
pure se ne ridevano, tanto più che il duca di Milano faceva loro dire
dal suo ambasciatore, che non si dessero pensiero di cosa alcuna, che ben
sapeva la maniera di rimandar via il re, senza che egli occupasse luogo
nessuno in Italia. Il medesimo mandò a far intendere a Pietro de'Me
dici , dal quale io l'intesi » . I leggenti potranno di nuovo qui scorgere
che il Comines rovescia tutta sul solo Ludovico signor di Milano laca
gione per cui discese Carlo VIII in Italia: se il Papa v'avesse avuto parte,
cotesto scrittore , a cui eran conte tutte le mene d'un tal negozio , non
avrebbe risparmiato ad Alessandro VI un tal rimprovero.
•Ma quando eglino et esso duca s'avidero che il re aveva nelle mani
le fortezze dei Fiorentini , et spetialmente Pisa, cominciarono tardi ad
aver paura, et a considerare, come potessero impedirgli il passar più
oltre ; e mentre stavano sopra a consigli et deliberationi, il re vittorioso
caminò innanzi. Temeva solamente il re di Spagna per conto delle isole
di Sicilia e di Sardegna;et il Re dei Romani anch'egli ebbe non solo
invidia alla sua felicità, ma gelosia e dubbio che il re non pretendesse
alla corona imperiale; dicendo, che il Papan'era già stato richiesto (che
non fu vero): per il che quei due re, mentre io viero, mandavanosopra
ciò gravi ambascierie a Venetia.
• Fu il primiero il re dei Romani, per essere men lontano. Erane capo
il vescovo di Trento , accompagnato da due cavallieri , et un dottore , i
quali furono molto honorati et riveriti, et data loro una magnifica casa
nobilmente ornata, et dieci ducati il giorno per le spese, et proveduto
a'cavalli loro restati a Trevisi. Venne poida assai tosto ungentilissimo
cavalliero di Spagna con banda di gentilhuomini, anch'esso molto acca
rezzato et spesato. Il duca di Milano, oltre all'ambasciatore suo residente
vi mandò il vescovo di Como, emessereFrancesco Bernardino Visconte.
Tutti costoro si raunavano di notte tempo, da principio isegretari loro,
non osando per ancora pubblicamente scoprirsi , contra il re, massima
mente il duca di Milano, et i Venetiani, i quali non eranoben chiari se
la lega trattata fra loro si conchiuderia o no.
• I Milanesi mi visitarono, e mi diedero lettera del padrone loro, di
cendomi essere causata lavenuta loro, perchè i Venetiani havevano man
dati due ambasciatori nella città di Milano , contra il costume solito di
non tenervene se non uno, come fecero alla fine; ma tutto ciò era bu
gia, inganno e malitia grande, essendo realmente accozzati insieme per
far lega contro il buon re, come che tanti violoni non si potessero in
breve spatio di tempo accordare. Mi dimandarono, s'iosapevaquello, che
fosse venuto a trattare l'ambasciatore di Spagna, edel rede'Romani, af
fine che ne potessero avvisare i prencipi loro. Hora io era giàstatoben
--
221-avvertito da molte bande, et anco da medesimi servitori degli ambascia
tori. che quel di Spagna passò travestitoper Milano, etchegliAlemanni
si lasciavano guidare dal duca. Sapevo etiandio, che a tutte l'hore l'am
basciator di Napoli presentava pieghi di lettere, questo e quello. Tutte
le sopradette bisogne seguirono prima il re si partisse da Fiorenza, delle
quali per esserne partitamente informato lo spendeva e donava larga
mente. Era giàvenuta amia notizia la sostanza di alcuni articoli della
lega, già posti in carta, ma non accordati, essendo Venetiani molto cir
cospetti e tardissimi a così fatte risoluzioni.
•Io adunque conoscendo la lega doversi tosto fornire , non volli più
oltre dissimulare, nè infingermi ignorante delle pratiche, che si facevano
tutto il giorno; perciò risposi all'ambasciatore di Milano, che benchè essi
usassero così fatti termini contra il re, io nondimeno gli farei toccare
con manoche esso re per quanto era in lui, non voleva perdere l'ami
ciziadel duca di Milano; offerendomi come suo ministro, di dargliene
sodisfattione et discarico per conto delle cattive relationi, che potriano
essere state fatte al duca suo signore, il quale io stimava essere mal
informato; et che doveva andare molto considerato, prima che perdere
la gratitudine e riconoscimento di un si segnalato servitio , come era
quello , che egli haveva fatto al re. Dissigli i nostri re di Francia
non essere stati giamai ingrati; non doversi per false parole raportate
sciogliere, non che rompere, l'amore d'ambedue; atteso che cotanta con
giuntione metteva tanto bene all'uno et l'altro. Pregailo, poichè gli pia
cesse scoprirmi le loro lamentanze per farle note al re, avanti che con
chiudessero alcuna cosa. Tutti mi affermavano con solenne giuramento,
non havere pensato giamai a lega, nè ad altro contra il re: nulladimeno
mentivano , non essendo ad altro fine venuti, che per trattare la sud
dettalega.
• Il giorno seguente io andai in signoria a parlardi questa lega; dissi
quanto mi pareva che servisse al fatto mio, e fra le altre cose che nella
confederatione ch'essi havevano co'l re, e già con Ludovico XI suo padre
non potevano difendere, o protegere i nemici l'un dell'altro, let perciò
essere impossibile di formare la lega che si trattava, senza contravenire
alle promesse loro. Sopra ciò mi fecero ritirare in disparte; et poi essendo
richiamato, mi disse il doge: che io non doveva dar credenza a tutto
› ciò che si diceva per la città, dove ciascuno era in libertàdi favellare
› asuo senno; non haver pensato mai di far lega contra il re, nè pur
▸ sentitone ragionare. Ma bene il contrario, di farne una fra il re , et
⚫ gli altri dui re sopranominati con tutti i potentati d'Italia contra il
• Turco, nella quale ciascuno proportionatamente portarebbe il carico
⚫ della spesa; che se alcuno in Italia non volesse concorrere allo sborso,
il re, et essi glieli costringeriano; et intorno a ciò intendevano che vi
• fosse un articolo, il quale dicesse , ch'essi sborsassero una somma di
› danari contanti al re, in pegno della quale terrebbono le città della
› Puglia (come fanno adesso), et il regno di Napoli co 'l consentimento
› del Papa, riconoscesse Carlo per superiore , con certa quantità di da
--
,
222
nari l'anno; et che per maggior sua cautione sarebbono date tre for
tezze del regno in suo potere, Piacesse a Dio, che il re vi havesse
all'hora dato l'orecchio!
• Risposi, ch'io da me non ardirei d'entrare in cotal trattato, paren
dogli tuttavia a non affrettarsi di chiudere e stabilire la lega sudetta,
avanti che io ne dessi notitia al re. Et fra tanto se credevano d'havere
cagione da lamentarsi di lui, no 'l mi tacessero, come havevano fatto i
Milanesi. Al che mi risposero : Dolersi ch'egli ritenesse le terre del Papa,
⚫ e più ancora quelle dei Fiorentini, et particolarmente Pisa; e tanto
• maggiormente perchè avea scritto in molti luoghi, et a lor medesimi,
▸ ch'egli fuor del regno di Napoli, edi fare l'impresa contra il Turco,
• non voleva altro in Italia; et hora mostrava di volervi occupare ciò
• ch'egli poteva, senza pensare altrimenti alle cose di esso Turco. Sog
• giungevano, che monsignor d'Orleans (che restò in Aste) dava di sè
▸ grandissimo sospetto alduca diMilano, et chei suoi ministrilominac
,
▸ ciavano; nondimeno ch'essi non erano per innovare cosa alcuna, sin
ch'io non havessi risposta dal re, o che il tempo d'haverla non fosse
▸ passato. Facendomi nell'apparenza maggiori honori, cheagli amba
sciatori di Milano. Io ne scrissi subitamente alre, dalquale n'ebbi magra
risposta.
• Venetiani fra tanto, e gli altri, vedute scoperte le pratiche, si ragu
navano ogni giorno, nel qual tempo il re era in Fiorenza; nè v'ha dubio
alcuno, s'egli trovava resistenza in Viterbo, come pensavano, et era ve
risimile, havrebbono Venetiani mandata gente a Roma. Il medesimo fa
cevano se il re Ferdinando si fusse fermato dentro di essa Roma; per
chè non credettero mai, ch'egli dovesse pazzamente abbandonarla, come
pur fece, e quando lo intesero cominciarono ad haver paura. Gli amba
sciatori delli dui re sudetti instavano forte perla conclusionedella lega,
altrimenti dicevano di partirsi, essendo già stati per ciò quattro mesi in
Venetia, et quasi ognidi comparuti in signoria. Fraquestomezzo iom'a
doperava in contrario il meglio che potevo.
• Vedendo Venetiani non solo abbandonato Viterbo et Roma, ma che
l re era entrato vittorioso in Napoli, mi mandaronoa chiamare, e me ne
diedero novella mostrandone grande allegrezza. Mi dissero, che ilcastello
non era preso, il quale era fortissimo et fornito di tutte le cose; onde io
m'accorgeva , ch'essi speravano che si dovesse tener lungamente. Con
sentirono che l'ambasciatore diNapoli facesse soldati a Venetia per man
dare a Brindisi. Hora essendo per conchiudere la lega contro il re, gli
ambasciatori loro gli scrissero essersi arreso il castello: diche stupefatti
e smarriti , mandarono per me una mattina. Io li trovai congregati in
maggior numero del solito, cioè da cinquanta in sessanta nella camera
del prencipe, aggravato all'hora da dolori colici, il quale con riso gio
condo mi narrò li successi del re , come che niun altro di quella com.
pagnia sapesse sì ben dissimulare come egli faceva. Gli uni sedevano
sopra un calcapiede di banco con la testa appoggiata fra le mani ; gli
altri in altre guise si stavano, tutti dimostranti grandissima tristezza
nell'anima.
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•Veramente io sono d'opinione, chequando vennero in Roma le nuove
della giornata perduta a Canne contra Annibale, i senatori non rima
nessero niente più storditi e spaventati; perciocchè un solo d'essi non
mi guardò mai in faccia, nè fece motto, salvo il doge, et quasi anch'io
attonito li riguardava con meraviglia. Il doge mi dimando se il re os
servarebbe cio, che gli haveva lor premesso, et ch'io ancora loro dissi
gli assicurai di sì, e proposi alcuna forma per stabilire una buona pace,
offerendomi che il re l'accettarebbe, onde potriano uscir d'ogni sospetto
et tema; dapoi io mi partì.
•Lalega non era ancor fornita nè rotta; gli ambasciatori del re dei
Romani, mal contenti si volevano partire. Ilduca di Milano si faceva tut
tavia pregare di non so che articolo , pure egli ordinò ai suoi che pas
sassero le conditioni, e così fu conchiuso. Fra tanto ch'ella si andava
trattando, io continuamente avertiva il re di tutto , e facevagli istanza,
o ch'egli si fermasse nel regno di Napoli, e provvedessesi di maggior
numero di fanterie e di danari: o prima che icollegati fussero uniti in
sieme, si mettesse in istrada per ritirarsi, lasciando le principali fortezze
ben guardate. Avisai similmente monsignor d'Orleans, ch'era in Aste con
le genti di sua casa solamente (perchè le sue bande erano ite co l re) ,
che mettesse soldati in quella città, certificandolo ch'egli saria il pri
miero ad essere assalito dai nemici. Scrissi anche a monsignor di Bor
bone (restando luogotenente per il re nella Francia), che mandasse con
prestezza gente inAste per guardarla, perchè si perdeva, non potevano
venir soccorsi in Francia al re. Persuasi alla marchesa di Monferrato,
devotissima del nome francese, e nemica al duca di Milano , ad aiutare
monsignor d'Orleans, in tutto ciò che ella poteva; perchè perduta Aste,
i marchesati di Monferrato e di Saluzzo erano giti.
•Una sera ben tardi si fermò la lega: la mattina seguente di buon
ora più di costume, mi fece chiamare lasignoria.Arrivato che fui e se
dutomi, il doge mi disse : che nel nome della santa Trinità havevano
conchiusa una lega co l nostro santo padre il Papa, co l re de'Romani,
e di Castiglia, et il duca di Milano, per tre fini: « primieramente per
• difesa della christianità contra il Turco; secondo per quella d'Italia ;
› terzo per la conservatione delli stati proprii, et ch'io ne dessi notitia
› al re . Erano in quellaassemblea in numero di cento e più, e mostra
vansi tutti gonfi et alteri, molto dissimili da quella contenenza che fa
cevano il giorno che mi avisarono della presa del castello diNapoli. Mi
dissero ancora di aver scritto agli ambasciatori loro che erano appresso
il re, che preso comiato da lui, si ritornassero a casa, de i quali uno si
nominavamessere Dominico Loredano, l'altro messere Dominico Treivisano.
• Io sentii gran passione di cuore, temendo fortemente della persona
del re, et di tutti coloro che erano in sua compagnia, credendomi le
cose della lega essere più pronte ed apparecchiate che non erano. Il
medesimo si pensavano i Venetiani, perciochè io credetti , c'havessero
de Tedeschi presti e in ordine, che se ciò fusse stato , non usciva mai il
re d'Italia. Io mi deliberai in quel mio affanno di mente di non rispon
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dere molte parole, se bene me ne diedero larga occasione; dissi dunque
che infino della sera precedente io haveva scritto d'essa tregua conchiusa
al mio re; et molte volte prima, et ch'egli ancora lo mi haveva scritto,
come quello che n'era avisato da Roma et da Milano.
• Subito ch'io dissi d'haverne avisato il re la sera inanzi, tutti mi fe
cero un viso fiero, perciochè non v'ha natione al mondo tanto sospet
tosa, ne che tenga i consegli si segreti come fanno essi, e talvolta per
conto d'una semplice sospettione confinano delle persone. Et a questo
fine io glielo dissi volontieri, soggiunsi poi d'haver anco spedito a mon
signor d'Orleans, et a monsignor Borbone, che fornissero bene Aste : et
ciò feci io sperando, che non si tosto vi anderiano per espugnarla, per
chè se avessero havute delle genti pronte senza alcun rimedio la pren
devano, essendo sproveduta di tutte le cose, et stettevi così lungo tempo
appresso. Dissemi all'hora, che non c'era nulla contra il re, che tutto si
faceva per guardarsi da lui ; ma però non poter sofferire, ch'egli sotto
colore di non voler altro che il regno di Napoli, e di far guerra contro
l Turco, pascesse vanamente il mondo di parole contrarie a' fatti , ha
vendo lui in animo (per quanto si poteva vedere) di distruggere il duca
di Milano e Fiorentini, et ritenersi le terre della Chiesa.
• Risposi di nuovo : i re di Francia haver sempre aumentatalaChiesa,
accresciutala e difesa, essere al presente per far più tosto il medesimo,
che torle cosa veruna. Non esser questo lo stimolo, che glipungeva, ma
sì bene il desiderio di conturbare l'Italia, e quindi cavarne l'utile e co
modo loro, et ch'io credeva che gli riuscirebbe. Questo s'hebbero eglino
alquanto per male, come mi fu riferito, ma per quanto si vededa quello
che hanno nella Puglia in pegno da Ferdinando perdargli aiuto contra
noi, io dissi pur troppo il vero. Essendomi dirizzato in piede per andar
via, di nuovo mi fecero sedere, e dimandommi il doge se io volevapro
porre qualche partito per fare una pace? atteso che il giorno avanti
gliene haveva fatto qualche motto ; ma io dissi d'aver ciò detto, perchè
indugiasseao ancora quindici di a conchiuder la tregua, e fratanto io ne
potessi scrivere al re, et haverne risposta : non replicai altro. Dopo que
sto mi ritirai al mio alloggiamento; la signoria mandò poi a chiamar
tutti gli ambasciatori l'un appresso l'altro. Nell' uscir di senato m' in
contrai con quello di Napoli, il quale haveva indosso una bellissima ve
ste nuova, molto allegro e baldanzoso, e veramente ne haveva ragione,
essendo grandi et ottime novelle per lui.
•Dopo desinar tutti gli ambasciatori della lega si trovarono insieme
in gondole (questo è lo spasso ordinario di Venetia), le quali erano d'in
torno a quaranta, e ciascuna haveva banderole con l'arme de'loro pren
cipi. Io gli vidi passare sotto le mie finestre con musiche e suoni. I Mi
lanesi, almeno uno di essi, che più volte mi aveva accompagnato, fece
vista di non conoscermi più. Io stetti con tutta lamia famiglia tre giorni
senza uscir di casa; è vero, che nè a me, nèad alcunode'miei fudetta
mai per la città una sola mal gratiosa parola. La sera fecero maravi
gliosa festa di fuochi sopra i campanili et case degliambasciatori, spa
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rando gran numero d'artiglieria. Andai io circa le due hore di notte
sopra una gondola coperta, lungo le rive , e spetialmente inanzi le case
degli ambasciatori , dove si fecero quella sera splendidissima cena et
solazzi.
•Quel dì non seguì già la publicatione della tregua, nè lagran festa,
perchè il Papa haveva richiesto che si aspettassero ancoraalcuni giorni
per farla con maggior solennità nella domenica delle Palme, o siaolive,
et perciò egli ordino che i prencipi, nel dominio dei quali ella saria gri
data, et gli ambasciatori degli altri potentati, portassero un ramo d'olivo
in mano(come segno di pace et di confederatione) e che nel medesimo
giorno fusse publicato in Ispagna et Alemagna. A Venetia fu fatta una
strada di legno, levata alquanto da terra, come sogliono far il giorno
del Corpus Domini, coperta e fasciata tutta: la quale cominciando dal
palazzo giungeva sin all'estremo della piazza di S. Marco. Fornita la
messa, cantata dal nuntio del Papa (il quale diede a chiunque fu pre
sente assolutione di pena e di colpa), andarono la signoria et gli amba
sciatori in processione nella sopradetta strada riccamente vestiti, havendo
alcuni di essi ambasciatori molte robbe di veluto cremisino donategli
dalla signoria, almeno gli Alemanni, et tutti i servitori vesti di nuovo.
Al ritorno della processione mostrarono molti ritratti e misteri: primie
ramente l'Italia, dapoi tutti i suoi re e prencipi, et la regina di Spagna.
• Publicossi appresso sopra una pietra di porfido (posta a cotal effetto)
la lega, presente un ambasciatore del Turco, ma nascoso a una finestra,
il quale essendo già spedito, vollero nondimeno che vedesse quelle so
lennità. Costui la notte co 'l mezo d'un greco vennemi a parlare et i
stette da quattro hore nella mia stanza, mostrando gran desiderio che
il suo signore fusse nostro amico. Io fui invitato per due volte a tutte
le feste ; ma mi scusai sempre, ancorchè io mi fermassi ancora nella
città un mese, così ben trattato et honorato come avanti. Dapoi per or
dine del re mi parti , accompagnato per mia sicurezza. e d'ordine della
signoria, et a spese sue, infino a Ferrara. Il duca mi venne ad incon
trare, e per due giorni mi regalo. Altrettanto fecemi inBologna messer
Giovanni Bentivoglio, dove mandarono iFiorentini buona compagnia per
condurmi a Fiorenza, nella quale città io voleva aspettare il re, di cui
io hora ritornerò a favellare .
In queste parole il Comines dà fine al capo xv edal libro vII delle sue
Memorie , senza rivelare unquemai nè animosità in Alessandro VI, nè
colpa in esso di sorta alcuna: il che egli non avrebbe certamente oc
cultato, sì per lo zelo e fedeltà cui nutriva al suo sovrano Carlo VIII ,
onde difenderlo, sì per dovere di storico imparziale di narrare in sua
piena verità le cose da lui conosciute od avvenute sotto degli occhi
suoi: laude che non si può negare in modo niuno alComines che avuto
avea parte principalissima in tutta l'impresa di Carlo VIII in questa Pe
nisola. Arreca stupore come scrittori non contemporanei , o, se isicroni,
stanziati ben lungi dagli avvenimenti di questa guerra, abbiano osato
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arrogarsi il diritto di trarre in inganno i posteri colle loro istorie fal
laci, bugiarde.- Riepiloghiamo.
Dunque dal Comines appare falso che Alessandro VI abbia chiamato
Carlo VIII in Italia; falso che vi chiamasse i Turchi per iscacciarnelo ;
falso che abbia avvisato il gran Sultano della congiura dai cristiani tra
mata a danno di lui negli Stati suoi, epperciò vi abbia cagionato im
mane carnificina; falso ch'egli spacci positivamente essere stato Zizimo
avvelenato dal Papa, che anzi soggiugne essere solo una diceria. Nè
mostra minor lealtà l'Argentone nel libro VIII ed ultimo di queste sue
Memorie, come dall'accurata rivista che ne facciamo si rende noto.
Nel capo i d'esso libro parla della partenza di Carlo VIII da Napoli
per la Francia, imputando all'incondotta, immoralità e rapacità di lui e
de'suoi, la perdita di quel regno. Nel capo II discorre del viaggio d'esso
re di Francia, che prese la strada verso Roma, d'onde il Papa haveva
da principio deliberato di partirsi , et andarsi a Padova in potere dei
Venetiani, dove giàgli havevano apparecchiato alloggiamento: ma can
giatisi d'opinione, gli mandarono alcune bande di soldati , come anco
fece il duca di Milano: benchè il re non gli havrebbe fatto se non ho
nore et servitio, havendogli prima mandato ambasciatore, pregandolo
che l'aspettasse. Ma egli si ritirò in Orvieto e quindi in Perugia , ha
vendo lasciati i cardinali a Roma per riceverlo, come che non vi si ar
restasse punto , nè facesse dispiacere a niuno....... Quindi al cаро ш
scrive che proseguì il re sua marcia, ritenendo la cittàdi Pisa ed altri
luoghi dei Fiorentini , mentre monsignor d'Orleans entrò in Novara
nello stato di Milano . Al capo iv discorre come passò il re Carlo molti
pericolosi passi fra Pisa e Sarzana , e venisse a Pontremoli abbracciato
da'suoi Tedeschi, e quello che operasse il duca d'Orleans a Novara. Nel
quinto capo dice, che la grossa artiglieria del re con l'aiuto dei Tede
schi passò i monti Apennini , e giunse Carlo VIII a Fornovo, dove si
fece quella famosa giornata, nella quale (capo vi) i Francesi perdettero
i bagagli tutti quanti, e non ebbero di salvo fuorchè l'onore; dopo que
sto fatto d'arme sanguinosissimo, nel quale il conte di Pitigliano , fug
gito dalle prigioni del re, corse frammezzo agl'Italiani animandogli alla
vittoria, contribui assaissimo al loro felice esito; il re riparò il settimo
dì dopo la battaglia a Nizza della Paglia, poscia ad Alessandria, da ul
timo in Asti sano e salvo, dove intese la distretta del ducad'Orleans in
Novara. Il re, d'Asti venuto in Torino , allestisce invano un'armata di
mare per soccorrere Napoli ( capo VIII ) e vi passa molte pratiche col
duca di Milano, maneggiate in grande parte dalla duchessa di Savoia ,
avuta per eccellente negoziatrice. Ma rafforzandosi i nemici, nè con
chiudendosi accordo (capo ix) alcuno onorevole per sè, fu Carlo VIII
consigliato di ritirarsi a Vercelli per avvisare al modo di salvare il duca
d'Orleans e la sua gente angustiati in Novara , fino a morirne ogni dì
per fame. Da ultimo fu conchiusa una tregua, la quale undi dopo l'al
tro durò fino alla conclusione della pace per cui monsignor d'Orleans
et i suoi furono liberati (capo x) dalla calamità di Novara , dove tra la
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fame et infermità morirono più di due mila huomini , senza annoverare
quei 300 e più che morirono tosto dopo usciti di Novara per le patite
miserie; gli altri tanto estenuati e magri , che più a' morti che ai vivi
somigliavano, perchè tardi giunsero le bande svizzere assoldate per conto
di Carlo VIII ». Nel capo XI dice come la pace fu stipulata fra il re
et il duca d'Orleans da una parte, et i nemici dall'altra, della condi
tione, ed articoli contenuti in essa, ai quali l'infedele duca di Milano
venne mancare gravemente . Al capo XII ragiona il d'Argentone della
sua nuova missione a Venezia per conto delle condizioni della pace , che
per mezzo del doge ritornò ad offrirgli , le quali non furono accettate
dalla repubblica: che re Ferdinando di consentimento del Papa, faria
homaggio del regno di Napoli al nostro re, et pagherebbe di censo ogni
anno cinquanta mila ducati; una parte di contanti , la quale essi gli
darebbono in prestanza (havevano per inteso con tale prestito , di rite
nersi le terre di Puglia ch'erano in poter loro, come Brindisi, Otranto ,
Troni et altri). Oltra di questo, ch'esso Ferdinando lascerebbe al re per
maggior cautione qualche città in quei contorni della Puglia: inten
deano Taranto, che pur era in mano del re, et una o due altre offeri
vanle in quelle parti, perchè rimanevano più lontane da noi, se ben co
privano ciò sotto colore d'esser poste in luoco opportuno per servirsene
noi contra il Turco, le quali quando il re scese in Italiaconvoce di fare
l'impresa contro esso Turco haveva ricercate, come più commode e più
vicine. La qual'inventione e pretesto del re fu veramente pessimo, non
essendo vero, et sapevalo Iddio, cui non possono essere celati i pensieri
degli uomini . Pongano di grazia attenzione i leggenti a queste solenni
parole dello scrittore francese ; poichè abbondano gliautori, che per vo
glia insana di mordere Alessandro VI d'essere stato avverso a Carlo VIII,
imperversano a spacciare avere il Papa incagliato il divisamento di
questo re, che era d'abbattere per siffatta via il Turco: quando Filippo
di Comines, sottilissimo disaminatore e conoscitore intimo d' ogni regia
intenzione, confessa apertamente il contrario.
Proseguiamo.
•Similmente esso doge mi disse et m'assicuro , che se l re facesse
quella impresa, tutta Italia concorrerebbe alle spese et aiuti ; che il re
de' Romani dal suo lato gli faria guerra, che essi et il re nostro dispo
rebbono di tutta Italia, alle cui ordinationi niuno osarebbe di contradire
et che in lor parte, et a spese loro servirebbono il re con cento galee
et cinquemila cavalli per terra. ,
Il Comines raccontò ogni cosa al re , e lo stimolo in Lione, dove il
raggiunse, ad abbracciare questo utile partito; ma egli dissuaso da'suoi
consiglieri , non ne fece niuna stima , standogli più a cuore ipiaceri, i
diletti , che non il mantenimento della conquista d' Italia, la quale per
le fraudi, gli artificii e gl'inganni del duca di Milano peggiorava di giorno
in giorno.
Nel capo XIII favella del ritorno in Francia, dove pose in oblio quei
che restarono a Napoli; della mortedi monsignor Delfino, con gravis
simo rammarico del re e della regina. Nel capo xiv , del rovesciamento
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di tutte le cose d'Italia. In tutti questi capi nonproferisce neppure una
parola del Papa, accagionando del mal esito dell'impresa i cattivi con.
siglieri d'esso re, e la mala fede di Ludovico duca diMilano.Questo co
stante silenzio di lui nel tenere estraneo il Santo Padre alle faccende,
agl'intrighi di Carlo VIII per l'Italia sarebbe inesplicabile, se Alessan
dro VI vi avesse dapprincipio partecipato anche inmenoma parte. Egli
non avrebbe lasciato unquemai di biasimarnelo o in unmodo od in un
altro. E di ciò parve chegliene si porgessespecialissimo motivo nel capoxv,
dove a lungo riporta pratiche alcune molto calde e grandi , trattate in
Italia a favore del reda molti signori italiani per conto di Napoli, eper torre
di stato il duca di Milano, i principali motori delle quali vengono dili
gentemente da esso menzionati, e sono il duca di Ferrara, il marchese
di Mantova, il signor Giovanni Bentivoglio di Bologna, i Fiorentini, gli
Orsini ed il prefetto di Roma, fratello del cardinaledi S. Pietro in Vin
cula, i quali tutti impromettevano, ed aveano largamente speso danari
eassoldati uomini, per cui agevolmente avrebbe potuto riacquistare Na
poli, ed avere il ducato di Milano, e raccorciare le ugne grifagne dei
Veneziani. Qui pure non proferisce neanche una parola del Papa; non
già che il Comines non penetrasse l'arcano; perocchè egli fu sempre
nembro del consiglio congregato da Carlo VIII per pronunciare sulla
progettata discesa, la quale fu poi risoluta a pieni voti, tuttochè vi fos
sero undici o dodici in consiglio; ma certo, perchè il Santo Padre fu
avverso alla medesima, locchè ilComines, parziale qual desso era pel suo
signore, non voleva propalare, onde mostrare la giustizia della causa. Da
qui si arguisce il rancore d'Alessandro VI contra que' suoi feudatarii gli
Orsini, i Bentivogli, i Riarii, i Roveri, ecc. che favorivano Francia. Tale
impresa andò in fumo per non averil duca d'Orleans voluto capitanarla,
con rincrescimento dei suddetti.
Al capo xv, XVI, XVII, discorre delle differenze del re Carlo VIII con Fer
dinando re di Castiglia, il qualedimal occhio guatava l'impresa d'Italia
del monarca francese, ed apertamente dava soccorso al re diNapoli, quan
tunque avessegli promesso di non impedirne la conquista; Ferdinando
però non era alieno alasciare che Carlo conquistasse ilNapoletano, pur
chè restasse a lui la Calabria, e n'è prova la trattazione innoltratasi da
entrambe le parti, quando funeste morti in quellecase reali sturbarono
ogni cosa, e quella finalmente del medesimo Carlo VIII, le cui partico
larità narra nel capo XIII d'esso libro VIII, che conchiude col capo XIX,
ed ultimo in cui ne descrive i funerali. In tutti questi capi , serbando
la economia dei precedenti, non un rimprovero, non una imputazione
muove in Alessandro VI, tranne quella del capo xvII, in cui dice, che
esso voleva togliere il titolo di re Christianissimo ai re di Francia, per
darlo ai re di Castiglia, ai quali sopra brevi parecchie volte scrivendo
loro aveva già dato tal titolo : ma perchè molti cardinali si opposero a
ciò, gliene diede un altro, chiamandoli cattolici. Or se fino di queste mi
nutezze tenne conto il Comines, e le registrò accuratamente, acciocchè
trapassassero ai posteri: conchiudiamo noi , cos'altro non avrebbe egli
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scritto , se fra le millanta vociferazioni assurde, indegne del Pontefice,
solo alcune fossero state vere? Non possiamo perciò a meno di muover
alte lagnanze contro al rinomato annalista Ludovico Muratori , che pur
dilauda queste Memorie del Comines, contra l'abateBerault di Berchastel,
ed il continuatore del Fleury, il P. Fabre, i quali scrissero e ricantarono
contantacompiacenza palinodie ingiuriose ad Alessandro VI, affatto op
poste, inverosimili e discordanti da quello che ne afferma il coscienzioso
e savio Filippo signore d'Argentone, quando che sopratutto pel loro ca
rattere avrebbono dovuto essere più rispettosi al Supremo Gerarca. Non
sempre, no, la verità, la dignità, il benefizio ricevuto servono di regola
alla penna di chi scrive!
III. PIETRO MESSIA, spagnuolo , che vivea pochissimi anni dopo Ales
sandro VI, celebre cronografo dell'imperatore Carlo V, figlio dell'impe
ratore Massimiliano, imparzialissimo e giudizioso scrittore, nella vita da
esso scritta di Massimiliano imperatore 114, tocca accuratamente della
discesa di Carlo VIII re di Francia in Italia, che imputa alle sole mene
dello sleale Lodovico il Moro, verso di cui tuttavia si mostra mite assai.
E siccome riepiloga il prefato Pietro in questa vita presso che tutto quello
da noi giànarrato ragguardo ai principi secolari e ad Alessandro VI, che
presero tanta parte nelle cose d'Italia, così io stimo di riportare dallo
spagnuolo siffatta testimonianza volgarizzata in italiano, acciocchè serva
di documento contemporaneo, ed i leggenti abbiano per le mani autori
di tutte le nazioni , i quali smentiscono le imputazioni calunniose but
tate sulla fronte pontificale.
• Al pacifico Federico successe nell'imperio l'invittissimo Massimiliano
suo figliuolo, che già vivendo egli era stato eletto e coronato redei Ro
mani. Dei fatti di questo fortissimo principe non ne potremo scrivere
apieno, ma solamantesi farà memoriadelle cose più segnalate; percioc
chè la guerra cui egli fece, e le battaglie che gli occorse furono tante,
che se di tutte si avesse a render conto , quantunque breve, non potrei
essere se non più lungo di quello chesarebbe convenevole, ancorchè così
grandi prodezze non sono state raccontate dagli scrittori nellaguisa che
si richiede.
•L'anno medesimo adunque, in cui morì Federico suo padre, fecero i
Turchi una violentissima incursione nella Crovazia , provincia dell' Un
gheria, la quale confina colla Dalmazia. Al quale impeto il nuovo im
peratore volendo opporsi , con molta celerità raunò nell' Austria il più
scelto e maggiore esercito che potè fare, ed andò a combattere coglin
fedeli : ma costoro intesa la venuta di lui, non ardirono d'aspettarlo ; anzi
fuggirono vergognosamente. Onde veggendo l'imperatore non aver ne
mici, licenziò l'esercito , e si diede ad attendere alle altre cose di pace.
La quale egli non lasciò di desiderare , e procurando sempre , e contra
coloro che accettar non la vollero, fece guerra animosissimamente.
•Era già buona pezza, che l'imperator Massimiliano si trovava vedovo,
laonde tosto che morì il padre suo, si tratto didargliper moglie Bianca
figliuola di Galeazzo, e nipote di Lodovico Sforza , duca di Milano , il
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quale essendo zio e governatore di Giovan Galeazzo suo nipote, a cui
toccava il ducato, egli si avea usurpato lo stato ed il possedeva. Era
questa Bianca la più bella e valorosa donna di quell'età, e ricercata da
molti principi. Con costei adunque ebbero effetto le nozze dell'imperatore.
•Ed in questo medesimo tempo, che era l'anno 1494, Carlo re di Fran
cia, sopranominato Testa grossa , cominciò a prepararsi per passare in
Italia, il qual passaggio avea pubblicato poco innanzi, e la fama era di
voler andare al conquisto del regno di Napoli, il quale diceva che gli
aspettava per testamento e successione di Renato signor di Provenza e
de' suoi passati duchi d'Andegavia.
•Al che scrivono gl'istorici ch'era stato in prima invitato ed indotto
da Lodovico duca di Milano , zio di Giovanni, vero e legittimo duca.
Perciocchè Ferdinando re di Napoli, ed Alfonso suo figliuolo, aveano da
lui ricercato, ch'egli lasciasse il governo libero a Giovanni Galeazzo, che
avea per moglie una nipote di Ferdinando, e per questa ragione deter
minarono di fargli guerra.
•Onde il duca per tutte le vie che potè tenere, si affatico di muovere
Carlo re di Francia a venire contra di essi in Italia, e ve lo condusse
sovvenendogli a questo effetto d'una grande somma di danari; ed affine
che in ciò l'imperatore Massimiliano non gii fosse nemico, procurò Lo
dovico Sforza di dargli, come ei fece, per moglie la nipote. Ed essendo
egli trattenuto dalla fama e speranza di questa venuta, avvenne la morte
di Ferdinando re di Napoli, e gli succedè Alfonso duca di Calabria suo
figlio, ed in questo tempo medesimo fu condotta l'imperatrice Bianca in
Lamagna, e si celebrarono le nozze di lei e di Massimiliano, trovandosi
Lamagna in pace ed in concordia , e l'imperatore tenendo tuttavia il
pensiero fermo nella difesa contra i Turchi.
• Con tutto ciò il re di Francia ardendo nel desiderio giàdetto, prese
il cammino in Italia; per farlo con più sicurezza, avea in questi giorni
dato al re Cattolico don Fernando il contado di Rossiglione e di Cer
dania, che il re don Giovanni suo padre aveva impegnato al re Lodo
vico. A me non appartiene di scrivere questo passaggio di Carlo , ma
toccherò solamente i capi, per essere quest'impresa stata molto famosa
e temuta dal Papa e da tutti i principi e potentatid'Italia, ed anche pa
rimente , perchè ciò fa utile per intelligenza delle cose che seguiranno.
• Venne adunque Carlo in Lombardia con cinquantamila fanti e ca
valli, il mese di settembre del sovradetto anno; ove da Lodovico fu ono
ratamente con grandissima festa ricevuto , e provveduto all'esercito di
lui di tutto quello che fu necessario , ed il medesimo re Carlo andò a
visitare il vero duca Giovanni Galeazzo, il quale si stava in Pavia ag
gravato da malattia, della quale fra pochi giorni uscì di vita, lasciando
un piccolo figliuolo chiamato Francesco ; e seguitando il viaggio, nel
quale avvennero di molte cose che io intralascio, venne a Pisa, e di poi
fu ricevuto a Firenze , e di Firenze andò a Roma ; non osando alcuno
di fargli resistenza nel cammino, nè meno nell'entrare di quella città.
E papa Alessandro non osò aspettarlo nel suo passaggio, anzi si ri
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dusse nel castello di Sant'Angelo, tante erano le paure ed i sospetti che
avevano infra di loro. Ma di poi tra per l'uno e perl'altro, misersi certi
partiti di pace , sebbene non si abboccassero ; ma poscia datasi insieme
la sicurtà , si viddero e favellarono. Ed ivi a pochi giorni il re con
maggior numero di gente di quello che avea menato di Francia, prese
la via verso il regno di Napoli, ilmesedigennaio, l'anno 1495. Nel quale
il re Alfonso non ardi aspettarlo, sì per lo grande esercito che il recon
duceva seco, come perchè per cagione dei suoi vizi e della sua dissoluta
vita, egli era mal voluto nel regno. Laonde nel tempo in cui Carlo entrò
in Roma, non essendo ancora un anno intero, dacchè egli regnava , ri
nunzio il regno a Fernando suo figliuolo, e valicò in Sicilia, nella quale
si fece monaco, e morì ivi a pochi giorni.
• Per la qual cosa il nuovo re Ferdinando suo figliuolo mise insieme
con molta fretta la più gente e la migliore che potè avere, ed affermasi
che già aveva cinque mila uomini di arme, e cinquecento cavalli leg
geri. ed un gran numero di fanti. Ma nondimeno ai Francesi succede
vano le cose così bene, ed il re Ferdinando trovò ne'suoi tanto spavento
e sipoca fermezza, che dopo alcuni accidenti egli venne a Napoli , e se
ne fuggì con certe galee, veggendo non avere forze da potersi difen
dere, e si ricoverò ad Ischia e di poi passò in Sicilia, ed il re di Francia
s'impadronì in due mesi di tutto il regno, salvo di alcuni piccoliluoghi
marittimi, i quali rimasero pel re Fernando.
•Avendo adunque papa Alessandro veduta la prosperità e la possanza
di re Carlo, conoscendo quale era il suo desiderio, e temendo di perdere
il suo Stato , mentre ch'egli era occupato nell'acquisto di Napoli , pro
curò di far lega coi Veneziani e coll'imperatore Massimiliano, a cui mandò
a chiedere ch'egli venisse in Italia in soccorso della Chiesa.
• Entrò in questa lega eziandio Lodovico duca di Milano, il qualeera
stato cagione della venuta del re Carlo in Italia, rincrescendogli che le
cose gli successero troppo felicemente, e cominciò a temere del suo
proprio Stato, al quale sempre i re di Francia tenevano l'occhio : come
poi mostrò diffatti Lodovico duca d'Orleans, che dipoi fu re, dicendo che
quel ducato a lui aspettava per esser sè nipote dell'altro Lodovico duca
parimente d'Orleans fratello di Carlo VI re di Francia, e di sua moglie
Valentina che fu sorella di Filippo duca di Milano, ultimo dei Visconti,
la cui figliuola bastarda avea presa per moglieil ducaFrancesco Sforza,
quando ei s'impadroni di quello Stato.
•Onde Lodovico duca di Milano per maggior confermazione del suo
Stato impetrò da Massimiliano, come supremo signore della Lombardia,
ch'egli desse a sè l'investizione del ducato di Milano, il che a giudizio
mio , e di coloro che scrivono sanamente, fu la sua vera approvazione,
egiusto titolo ; perciocchè dopo la morte delduca Filippo nominato, nè
l'imperatore Federico, nè egli non aveva dato titolo , nè investitura del
detto ducato, nè a lui, nè a suo padre, nè al nipote: nè a loro per via
della linea delle femmine poteva essere pervenuto, come anche meno a
Lodovico duca d'Orleans, che lo ricercava, e di poi se ne impadroni es
232
sendo re di Francia, tanto più che i discendenti di questo Sforza veni
vano da una femmina, e bastarda; onde eglino avevano posseduto così
fatto Stato (per vero dire) indebitamente, e contra ogni ragione. Avuta
egli dall'imperatore cotale investitura , prese le insegne ducali con so
lennità e festa.
• Avendo adunque intesa il reCarlola lega nuovamente fattadi questi
principi, determinò di lasciare nel regno diNapoli unaquantitàdi genti
bastassero per la sua difesa, e tornarsi col rimanente del suo esercito in
Francia , e marciando alla volta di Roma, nella quale avea mandato a
fare intendere al Papa, ch'egli vi andava per far riverenza a Sua Santità.
•Papa Alessandro dopo alcune ambascierie ed altre cose che occor
rono, si parti da Roma, e non oso aspettarlo; nella quale, e nelle altre
terre della Chiesa, le sue genti fecero di gran male, rubando e saccheg
giando qualunque cosa; ed il Papa non si tenendo ancora sicuro in Ci
vitavecchia , se ne andò a Perugia , con intenzione, quando si vedesse
astretto, di passare in Ancona ed ivi imbarcarsi per Venezia.
• Il re di Francia si parti da Roma, continuando il suo cammino alla
volta di Francia, quantunque egli sapesse che in Lombardia vi era eser
cito dei Veneziani e del duca di Milano contra di lui; ed in Lombardia
Lodovico duca d'Orleans avea presa la cittàdi Novara, colla pretensione
e titolo che si è detto, onde il duca diMilano andò subito ad assediarlo.
Evenendo il re Carlo appresso di Parma, nel passare del fiume Taro
trovò il campo dei nemici molto grande enumeroso, il cui principal ca
pitano era Francesco Gonzaga marchese di Mantova , con cui vicino al
fiume venne a battaglia, nella quale vi avvennero di notabili successi ;
ma in ciò son molto differenti coloro che la scrivono. Perciocchè i Fran
cesi vogliono dar la vittoria al re loro , e gl' Italiani la danno ai Vene
ziani e Milanesi. Il vero è che niuno degli eserciti fu del tutto rotto, nè
vinto; ma gl'Italiani rimasero quei giorni assai più signori del campo:
ed apparisce questo che io dico da ciò, ch'ei presero molti Francesi , e
dalla parte francese di essi non fu fatto prigione alcuno, e costrinsero
il re di Francia a sceglier altro cammino daquello ch'egliaveva preso,
di maniera che essi furono riputati vittoriosi. Morirono in questa gior
nata (che fu addì 6 di luglio 1495) mille uomini daambe le parti e dopo
alcuni trattati finti o volontarii fra l'un campo e l'altro, il re si parti
una notte, ed andò verso Asti, ove stette alcuni giorni, e si compose la
pace fra lui ed il duca di Milano, e Lodovico duca d'Orleans rendette
Novara, ed il re Carlo tornò in Francia.
« E frapochi giorni Ferdinando re diNapoli forni di riacquistare tutto
il regno, benchè ebbe molto da fare coi Francesi, che erano rimasti in
sua difesa, e con quelli che di poi vi mando, essendo guidate ed ammi
nistrate le più importanti cose in servizio di Ferdinando dal fortissimo
ed invittissimo capitano Gonzale Fernandez di Cordova gran capitano di
Spagna, mandato a difendere quel regno da don Fernando re cattolico,
la prima volta ch'egli colà passò. E così di tutta questa impresa , Carlo
re di Francia (avvegnachè egli abbia fatto di grandi danni , e messo
--
233
grande tema in tutta Italia, e lasua riputazione e la forza con che venne
fusse grandissima), niuna cosa gli rimase nelle mani, se non l'aver fatto
un passaggio di grande ardimento, e con questo se ne riparti !
•Mentre che le raccontate cose nell'Italia seguivano , l'imperatore il
medesimo anno 1495 fece dieta nella città di Vermens , nella quale si
trattò di andare a soccorrere le cose della Chiesa contra il re di Francia,
che allora le molestava, e di far guerra contra i Turchi; e fu il parere
dei principi tanto vario, che non si risolse allora cosa alcuna, in far la
guerra per nome di tutto l'impero , come era cosa conveniente. Diede
l'imperatore in questa dieta ai conti di Vitemberga titolo di duchi , il
quale tengono oggidì, e di qui mandò le insegne, e le investizioni che
io dissi, a Lodovico duca di Milano, e vi si deliberarono altre cose, che
appartenevano al giusto governo, ed alla pace di Lamagna ; e ciascun
giorno era chiamato Massimiliano alla venuta in Italia dal duca di Mi
lano, il che allora non ebbe effetto.
•Avvenne appresso quello che si è detto, che avendo Fernando re di
Napoli fornito di ricoverare il suo regno, gli sopravvenne un'infermità,
della quale si morì; e per non rimanere a lui figliuoli, ebbe il regno
Federico suo zio, fratello del redonAlfonso suopadre, il quale rinunzio
il regno. E successore nell'Italia di molte altre cose, che io non ho spazio
di raccontare, e l'imperatore teneva Lamagna in buonissima amministra
zione e pace con Carlo re di Francia, il quale ivi a poco tempo, l'anno
1497, morì subitamente, e causò grandi mutamenti nelle cose, perchè per
non lasciare figliuolo erede, gli successe nel regno ilduca Lodovico d'Or
leans suo stretto parente sudetto. Il quale subito che fu ricevuto per re,
fecesi chiamar duca di Milano, il che diede ad intendere che egli avesse
nell'animo quello, che di seguito mise in opera. E subito eziandio fece
divorzio con Giovanna sua moglie, la quale era sorella del re Carlo suo
precessore , adducendo ch' ella non era atta a procrear prole , che per
forza l'avea sposata, e si ammogliò colla vedova reina, laquale fu moglie
del re Carlo, chiamata Anna , per averecom'egli ebbe, insieme con lei
lo Stato di Borgogna.
•Intesa dall'imperatore la mortedel reCarlo, procacciando d'acquistar
per Filippo suo figlio , che fu poi re di Spagna, lo Stato di Borgogna,
entrò in lui con armata mano, e prese alcuni luoghi, e 'l nuovo re Luigi
mandò un grandissimo esercito per la difesa di quelle terre , e vi ebbe
alcuni successi molto notabili. Ma ivi ad alquanti giorni fecero però al
cune tregue e paci a profitto dell' imperatore , alle quali venne il re di
Francia, siccome quegli che era molto desideroso, ed avea determinato
di far l'impresa di Milano per la ragione accennata, e perchè l'impera
tore aveva proposto di andare contra il duca di Gueldre; il ducadi Mi
lano non lasciava d'intendere e temere i disegni del re di Francia, si
aveva proveduto per sua difesa di quanto era possibile, principalmente
della lega ed amistà dell'imperatore, che era bastante adifenderlo, e così
era in pensiero di dover fare. Ma nondimeno occorrendogli in questo
medesimo tempo la guerra grande che gli Svizzeri cominciarono a fare
234--
nelle terre d'Austria, la quale, e la cagione chela mosse, e scrivono fra
gli altri copiosamente Enrico Acuzio e Nanclero, ai quali rimetto il let
tore, essendo che io non mi trovo luogo di scriverla, lasciata l'impera
tore l'impresa di Gueldre , andò a questa guerra; perchè gli Svizzeri,
chiamati anticamente Elvezii, sì per la qualità delle terre loro cinte da
montagne, e luoghi asprissimi, come il grandissimo animo e forza loro,
sempre furono e sono oggidì in grandissima stima , valenti nelle cose
della guerra. Essendo dunque venuto contradiloro Massimiliano, benchè
contra il suo volere si era cominciatala guerra, lacontinuò in tal guisa,
che in diverse zuffe e fatti d'arme che seguirono infra di loro , furono
tagliati a pezzi trenta mila uomini da ambedue le parti. Il maggior
numero di essi fu dalla parte degli Svizzeri, variando la vittoria alcune
volte ad una ed alcune ad altra parte: nelle quali fece egli collapropria
persona maravigliosissimi fatti; infino a tanto, che ai prieghi del duca
di Milano e di altri principi, che a ciò si interposero, l'imperatore con
cedè loro la pace, la quale si conchiuse con suo molto vantaggio ed
onore.
•Ma imprima che ella si terminasse, Luigi redi Francia che aveva
procurato e mossa questa guerra, per non perdere così buona occasione,
fece il maggiore esercito ch'egli potè mettere insieme , e il mese d'ot
tobre del detto anno passò in Lombardia, assediando e prendendo le terre
del duca di Milano, il quale perchè era mal voluto in quel tempo dai
sudditi suoi, e per mancargli il soccorso dell'imperatore, per quello che
già si è detto, e per essere iVeneziani in lega col re, determinò di dare
luogo alla furia francese, ed abbandonare la città, mandando innanzi
Ascanio Sforsa suo fratello, coi suoi figliuoli Massimiliano e Francesco
in Lamagna, eglicolla maggior e miglior parte dei suoi tesori ivi a pochi
giorni fece il medesimo.
•Ora essendo in tal guisa partito il duca Ludovico, il redi Francia
con niuna o poca resistenza fu ricevuto in Milano, e nelle altre cittàdi
questo Stato, ed i Veneziani secondo l'accordo che si avevano fatto, ri
tennero Cremona ed altri luoghi di quegli Stati.
• Essendosi adunque in cotal modo il re Luigi impadronito della Lom
bardia , lasciò in lei i governi e le genti che gli parvero necessarie , e
ritornò alla volta del suo regno, trionfante e vittorioso. Il duca essendo
pervenuto innanzi all'imperatore, da cui era molto amato, fu da lui con
molta amorevolezza ed onore ricevuto, e raunati insieme fra pochi giorni
alcuni, o la maggior parte dei principi dell'imperio, deliberò di dargli
aita e favore a quello, che per avere da lui la investizione, avea il miglior
titolo di quello Stato, e così si fece: con più prestezza di quella chesi po
teva credere, si mise in un punto un buon esercito, e la maggior parte
di genti svizzere, in che fu grande l'industria e la diligenza del cardi
nale Ascanio suo fratello.
• Con questa gente, e con quella ch'ei potè raunar d'Italia, il duca
tornò in Lombardia nel mese di febbraio dell'anno 1500, ed essendo an
dato innanzi il cardinale suo fratello, fu ricevuto in Milano ed in altre
--
235
città, e subito vi condusse il duca suo fratello. Di che avendo avuto
nuova il re di Francia, colla maggiore frettadel mondo mandò quel nu
mero di gente eletta, ch'ei potè mettere insieme, la più parte delle quali
erano altresì Svizzeri , in Lombardia; e'l duca a cui non mancava nè
ardire, nè gente pel fatto di arme, aspetto in campo l'esercito francese :
ed essendo l'uno esercito e l'altro per combattere, gli Svizzeri che col
duca erano, non vollero attaccare la battaglia, come si dice, per essere
eglino stati corrotti per denari ; e non solamente ricusarono la battaglia,
ma diedero il povero duca ai Francesi , e così egli fu menato prigione
in Francia, e dipoi anche il cardinal suo fratello, che d'altra parte per
mala aventura fu preso, ed in pochissimi giorni il re di Francia tornò
ad impadronirsi dello Stato di Milano, e Lodovico poi mori in prigione,
povero, afflitto e privo del ducato, essendo egli stato uno dei più temuti,
edei più valorosi e forti uomini del mondo......
CAPO VENTESIMO PRIMO.
Creazione di dodici cardinali, fra i quali si annovera
Cesare Borgia.
Fra il rombo chiassoso di questo scompiglio di cose, non omise Ales
sandro VI di provvedere al vuoto del sacro collegio, promovendo dodici
distinti personaggi alla sacra porpora nel di ventesimo di settembre 1493,
del cui merito egregio noi ragioneremo, come santa ragion richiede, in
capo apposito sul fine dell'opera. Quegli scrittori i quali ad ogni modo
voglion fare di questo Pontefice il capro emissario onusto d'ogni impro
bità, ed impetiscono tutte le azioni e i detti di lui, strepitano su l'anzi
detta elezione, sovratutto per quelladi Cesare Borgia, tacciandola d'in
tempestiva, imprudente, dettata da fini meramente umani: in prova di
cotesto loro opinare allegano, che il mordace Infessura nel suo Diario
afferma che appena sette soli cardinali aderirono al Santo Padre in tal
creazione dissentendone gli altri.
Ad atterrare questa loro prova a noi servirebbe bastantemente l'auto
rità del Mariana, la quale indubitatamente non si ha persospetta, nè fa
vorevole ad Alessandro: ora costui ci assicura nella sua Storia di Spagna,
lib. XXVI , che niuno dei cardinali apri la bocca a contraddire al Papa.
Manoi non ci stiamo paghi a questa risposta; scrutatori della storia
conscienziosi, diciamo, che se anche soli sette cardinali avessero accon
sentito all'elezione di quei degni soggetti, conchiudiamo che tutti, o la
maggior parte dei cardinali congregati avrebbero accolto cotale eletta
con lieto animo: imperciocchè abbiamo mostrato che in morte d'Inno
cenzo VIII non vi erano se non se ventisette cardinali , dei quali soli
ventidue od al più ventitrè poterono intervenire al Conclave per la crea
zione d'Alessandro VI. Or di questi ventitrè abbiamo veduto che alcuni
--
236
si disgregarono da Alessandro per ire private e ripararono in estranei
regni; varii fecero ritorno alle sedi loro; altri poi eran morti, comepro
veremo favellando de'cardinali trapassati durante il pontificato diAles
sandro VI, nel mentre che certuni per decrepitezza erano in quello stesso
tempo giacenti in casaloro vicini a morire, e passarono da liapoco agli
eterni riposi: cosicchè il sacro collegio ridotto essendo a quell'esiguo nu
mero, meritamente, pel decoro di santa Chiesa e di sè, secondo i canoni
dovea riempierne le vacanti sedi, come ei fece. Rispondano aqueste ri
flessioni veridiche.
Ma per entro questo numero, inclamano con una specie di trionfo e di
satanico compiacimento, incluse Alessandro VI quel suo famigerato figlio
Cesare Borgia, uomo pessimo, noto sotto il nome di duca Valentino, il
quale per fierezza dell'animo suo tutta agito Italia e scompose.
La è pur compassionevole cosa il vedere gli scrittori diAlessandro VI,
che si piccano di seguire scrupolosi le regole dellalogica, eppoi ad ogni
tratto inconseguenti abbandonano e la logica e laverità. Perchè Cesare
divenne condottiero di eserciti, e spiegò quell'immite carattere contrario
alla sacra porpora che vestiva, ed alla quale spontaneamente poi rinunciò,
dunque era uno scellerato all'epoca del suo innalzamento? Che stravolto
ragionare è mai questo! Si biasimi adunque levoah, perchè elesse Saulle
a re d'Israello, il quale divenne poscia un empio; si censuri perchè pre
pose al dominio dell'istesso popolo Davidde, che di poi fu adultero, omi
cida, ambizioso; si riprovi il divin Nazareno che chiamò all'apostolato
Pietro che il nego, Giuda che lo tradì, che ammise tra i suoi discepoli
alcuni, i quali in seguito diventaronocorifei di scisma e d'eresia; si con
dannino gli apostoli che lavarono coll'onda battesimale e conferirono lo
Spirito Santo a certi neofiti, i quali apostatarono non solo, ma diventa
rono acerbissimi nemici del nome di Cristo!
Cesare secondogenito al tempo della sua elevazione al sacro galero
eranonquell'iniquo che si vocifera. Egli allora incumbeva agli studii nel
l'Università di Pisa (non di Perugia), con somma laude, e facevavi mera
vigliosi progressi ; era d'indole generosissima, sicchè imprometteva assais
simo, come ebbe aconfessare Paolo Pompilio nella dedicazione d'una sua
opera del 1488, fatta allo stesso Cesare, tuttochè giovane, per consiglio (1)
(1) Riportiamo dietro allo stesso Gennarelli , non amico certo di Cesare e dei Borgia , questa
dedica: " Cum inter caeteramonumenta habeamus nuncupatoriam Pauli Pompilii, qui librum silla
bicorum Caesari Borgiae protonotario dedicavit, quam hic rescribere ex editione romana anni 1488
non erit inutile.
" Caesari Borgiae protonotario sedis apostolicae
" Paulus Pompilius salutem.
" Quas tibi divitias affero, clarissime Caesar Borgia. Festus, agatur hic tam felix dies: quo tui
unius gratia toti posteritati utilissimum opus : siquid judicio valemus: editum est. Docemus in hoc
libro quemadmodum carmen fieri possit: omnibus angulis rei sillabicae exploratis et patefactis.
Quod esse tibi jucundissimum me profecto non fugit; cum apud divum Hieronymum legeris sa
crarum etiam literarum bonam partem carmine esse conscriptam; et cum in divinis cerimoniis quo
237
dell'ottimo e nobile personaggio Spannolio di Majorica. Che persone vol
gari, e mediocri scrittorelli adulino nelle loro dediche, il concediamo; ma
che scrittori autorevoli, e di gran grido per integrità e valore, s'inqui
nino in tal pece, a ragione ildineghiamo.
In siffatta nostra persuasione, anzi convinzione, ci rafferma vieppiù
l'istesso Burcardo. Costui nel suo Diario, in cui manescamente sempre
rivela le pretese colpe de'suoi padroni iBorgia, scrisse: Che nell'anno 1491
addi dodici settembre , giorno anniversario della consacrazione d'Inno
cenzo VIII Papa, trovandosi questi infermo, chiese a sè i cardinali Ro
drigo Borgia, il Napoletano, il Conti, il Savelli, l' Alariese, quelli di Li
sbona e di Sant'Anastasia, ed alla presenza di essi sette volle provvedere
di pastore lachiesa di Pamplona orbata per lamorte d'Alfonso Carrillio,
e vi prepose Cesare Borgia protonotario apostolico, che versava nel de
cimo settimo anno (2) di sua età, ed attendeva allo studio in Perugia
tidie et in sacris aedibus multiplicium generum versus plaudantur. Accedit studium illud tuum
(notino i leggenti) et perquam fertile bonarum literarum : in quo hac in aetate seris : quod
more: ut ex tua generosissima indole clarissima patet coniectura; cumulatissime multipli
catum metes: frugeque quam felicissime frueris. Non deerit surgenti tuae virtuti commodus
aliquando, et idoneus praeco. Nam: ut ex tam laetis initiis prospicere licet: quem tua di
gnitas ? quem antiquae nobilitatis Borgius splendor? qui longe lateque et olim et nunc per
Italiam, Gallias , Hispanias , omnemque Europam coruscavit : non ad scribendum excitabit
profecto omnes. Verum de tuis rebus haec satis
at tu Caesar profecto non parum
laudandus es ; qui in hac actate tam facile senem agis. Perge nostri temporis Borgiae fa
miliae spes et decus : libentique animo syllabas nostras cape amicissimi clientis munus. Sic
enim arbitror: tui : tuorumque omnium per quam aeterno nomini meum adherens: et orna
bitur : et durabit. Nam: ut amicissimus noster et tui devotissimus Spannolius Majoricensis vir no
bilis et optimus: et qui me maxime: ut haec ederem: gloriaeque tuae dedicarem impulit; dicere
solet. Etiam vitrum in auro helectrove pro gemma oculos tenet et delectat. Bene vale ».
(2) Erra il Burcardo dicendo che avesse solo allora diecisette anni. Il Burcardo istesso scrisse
nel suo Diario, che fu Cesare Borgia ordinato suddiacono il 26 di marzo del 1494, dal cardinale Alessandrino per ordine del Papa : poi diacono immediatamente. Ora richiedendosi pel diaconato
21 anno compiuto, nè parlandosi di dispensa pontificia, ragion vuole che corresse almeno Cesare
Borgia, quando Innocenzo VIII il 2 settembre 1491 il creò arcivescovo eletto di Pamplona, il ven
tesimo primo anno di sua età.
Ora per modo niuno possiamo noi sottoscriverci all'affermazione del Burcardo , perocchè se
Cesare addi 12 settembre 1491 non computava che 17 anni d'età, ne conseguita che quando morì
nel 1507 al più tardi , non avrebbe avuto salvo trentatrè anni , e trenta soltanto alla morte di
Papa Alessandro VI : perciò domandiamo, come mai avrebbe potuto Cesare, intanta giovanile età,
intento a' studii ben lontani dall'arte della guerra e della politica, dare quei pegni si famosi di pe
rizia e scaltrezza consumata in entrambe le arti ? Perizia, scaltrezza intelligentissima, che nei più
scabrosi maneggi non gli venne unquemai meno , ed unicamente propria d'un uomo maturo e di
potente ingegno dotato, si che i suoi detrattori medesimi non possono a meno di chiamarlo pro
fondssimo politico, attivissimo, e prode soldato, intelligente oltremodo di poesia, belle arti e pro
tettore di esse. Il perchè risulta che di molto maggiore età fosse Cesare quando venne assunto
al diaconato.
Anzi probabilmente egli aveva varcato l'anno trentesimo secondo del viver suo
quando si consacrò per siffatta ordinazione: poichè scrittori niente amici di lui , e per mezzo di
questi, Charles-Saint-Laurent nel suo Dizionario Enciclopedico , edizione parigina, 1845, alla pa
rola CESARE BORGIA, scrive: " essere esso nato verso l'anno 1457, ed essere stato ucciso in età
--
238
(ovvero in Pisa), figliuolo di quel cardinale Borgia, e il costitul ammini
stratore di essa fino all'anno ventesimo settimo di sua età, poscia venisse
assunto a vescovo e pastore della medesima ».
Or arguiamo: se il pio, il giusto Innocenzo VIII , che già presentiva
doversi in breve presentare sulle soglie dell' eternità a render conto del
suo agire a Cristo giudice, stimò di fare una buona elezione in Cesare
Borgia diciassettenne o ventenne, anzi trentenne; chè la terzogenita Lu
crezia, sorella di lui , oltrepassava allora i ventun anno, come si prova
dalla nota precedente. Fa d'uopo conchiudere, porgesse questi argomenti
di lieta fiducia, che fosse per degnamente corrispondervi; altrimenti, in
quel tremendo punto in cui spariscono le illusioni, ed ammutoliscono
negli uomini probi gl'interessi e gli amori di parte, non l'avrebbe pro
mosso a tanta dignità.
Per conseguenza resta giustificato Alessandro VI , se presso che due
anni dopo, nutrendo mai sempre la stessa speranza, il fregiava delsacro
galero, non curando le ciancie degl'invidi emuli. Non cerchiamo noi qui
di liberare totalmente il Pontefice dai rimproveri che gli appuntano di
nepotismo per cotale innalzamento di Cesare , come abbiamo di già ac
cennato; ma possono iscusarnelo il motivo d'avere in quei tempi burra
per lo meno di 50 anni verso l'anno 1507 d'un colpo di fuoco all' assedio di Viana
७.
Ecco
come la verità si fa giorno da per sè. Se Cesare nacque verso il 1457, fu conceputo in Ispagna
nel 1456, epoca in cui il suo padre Rodrigo Lenzuoli , allora militare, di colà partiva per venire
a Roma, chiamatovi dallo zio Callisto III Papa.
Ma agli astiosi avversarii dei Borgia conviene assai tacere , confundere le epoche per far cre
dere ai leggenti che la sua figliuolanza discende da Alessandro VI qaando era già Vescovo-Car
dinale. Noi al capo 20, pag. 200, n. 1, abbiamo gia ribattuto le accuse che Alessandro VI am
mogliasse l'ultimo suo figlio Gioffredo in età impube , ed ora giova che rifutiamo l'istessa incri
minazione più appositamente ancora ; chè , secondo il computo diligente dello stesso protestante
Schroeck, tom. 32, p. 382, 383, il nascimento di Gioffredo , ultimogenito d'Alessandro VI , av
venne inprima della metà del Pontificatodi Sisto IV , creato il 9 agosto 1471 , morto il 13 a
gosto 1484, fa d'uopo conchiudere che quel Gioffredo sia nato al più tardi verso il 1475, epperciò
stesse sur i vent'anni appunto quando si ammogliò con Donna Sancia; chè com'è mai probabile
che Alessandro VI, si prudente tal qual era, volesse suggellare un trattato coll'astuto e fedfrago
Ferdinando per mezzo d'un matrimonio nullo per difetto d' età, da cui a suo disdoro avrebbe
sempre potuto recedere il regnante napoletano ? Lux in tenebris lucet ! La verità sollevasi sulle
rovine della bugia, e coll'aiuto salutem ex inimicis nostris del sullodato eruditissimo eterodosso,
dimostriamolo più lucidamente col calcolo aritmetico.
,
Rodrigo , creato Cardinale Diacono da Callisto III , venne mandato nel 1171-72 da Sisto IV
Papa in legazione nella Spagna , al cui ritorno ebbe Lucrezia terzogenita nel 1072 all' intorno;
chè addi 11 agosto 1492 sur i venti anni di sua età sposò il primo marito, mori ella di parto a
Ferrara nel 1519 il 23 giugno in età di 51 anno. Una prostituta effrene con molteplice prole in
Italia sopratutto non muore più di parto in tale età !
Gioffredo, ultimo genito di Rodrigo. nacque nel 1475, e non più tardi, chè Sisto IV fu quegli
il quale il promosse dall'Ordine dei Diaconi a quello dei Vescovi, dopo quelle legazioni nominan
dolo in prima Cardinale Vescovo d'Albano, poi di Porto nell'anno 1476, epoca in cui dovette en
trare negli ordini sacri, avendo abbandonato assolutamente Vanozza, e maritatala col cavaliere Do
menico d'Arimano. Chi ignora che eranvi cardinali in quei dì non in sacris ?
--
239
seosi un valido appoggio nel sacro collegio; ragione che pure scrittori
sfavorevoli al papato tanto ortodossi, quanto eterodossi , non solo non
isprezzarono, anzi l'ebbero sovente per commendevole, talmente che ciò
consigliarono infino talora come mezzo spedientissimo al mantenimento
dell'equilibrio e dell'ordine.
La speranza ancora cui nutriva Alessandro VI , che Cesare fosse per
corrispondere alla dignità di cui veniva insignito, tanto più dopo l'allo
cuzione severa da esso fattagli sull'esordio stessissimodel suo pontificato,
ne lo indusse a siffatto passo. E Cesare ben avea in sè qualità tali da
rendersi eccellente, delle quali infino allora non constando che avessene
abusato, poteva a ragione argomentare vantaggiose tornar dovessero per
la Chiesa.
Dappoichè hanno gl'infensi ad Alessandro VI piluccato sull'elezione di
Cesare, scendono a morderlo per quella d'Alessandro Farnese, che nel
medesimo tempo assunse all'istessa dignità a requisizione di Giulia la
bella, sorella, oppure parente d'esso Papa, la quale in quei dì era molto
considerata in Roma. Noi non immoreremo qui in troppe parole a giu
stificarnelo , dovendone discorrere nel capo in cui renderemo ragione
della creazione di tutti i cardinali fatti da Alessandro VI. Basti per ora
al leggitore il sapere, che questo candidato onorò assaissimo la porpora,
e chi 'l decorò di questa dignità sì splendida e venerata; perchè fu me
ritevole un giorno d'essere innalzato al vertice delle onorificenze, e di
cingersi le tempia illustri col triregno, assumendo il nome di Paolo III.
Dove sono impertanto le infamie di Alessandro VI? Finora noi il consi
derammo savio pontefice, sovrano giusto e prudente! Forse che la storia
seguente smentirà il concetto nostro? Questo è appunto quello che chia
meremo a disamina, svolgendo le istorie con mano discreta , pietosa e
conscienziosa; e se talvolta ne scopriremo le piaghe, non sarà per irri
tarle, ma per soffundervi il balsamo ed il rimedio.
CAPO VENTESIMO SECONDO.
Morte e carallere di Ferdinando re di Napoli. Gli succede Alfonso suo
figlio che eseguisce le promesse di suo padre verso del Papa, e con
questo stringe trattato di pace. Il Pontefice dissuade Carlo VIII dallo
scendere in Italia ; risposta libera di questo al legato pontificio. Movi
mento di alcune squadre francesi in Italia ; ribellione di varii baroni
romani contro al Papa, ed in favore de Francesi. Abboccamento d' A
lessandro VI con Alfonso re di Napoli , fatti d'armi pria favorevoli
ai Napoletani, poscia dannosi. Vittoria de Francesi capitanali da Lo
dovico duca d'Orleans su dei Napoletani ; incentramento di questi nel
loro regno.
Le pattuite leghe, i combinati artifizii, i progettati provvedimenti per
nulla ritardavano od isventavano i guai dell'Italia, i quali sull'esordire
stesso del 1494 si affacciavano di gran lunga più fieri e duraturi, e mag
240--
giori di tutti gli altri degli anni addietro; perchè laddove tra di loro
ne'trapassati tempi aveano i principi italiani guerreggiato, ora si sca
tenavano tutte, per così esprimersi , le armi oltramontane capitanate
dallo stesso loro bellicoso monarca, per venire a piantare nella nostra
Penisola una danza funestissima. Di che travagliatissimo il settuagenario
Ferdinando re di Napoli, il quale sentiva imminente la scrosciante tem
pesta, risolsesi da ultimo al partito estremo d'andare esso medesimo ad
umiliarsi a Lodovico il Moro, e confessargli, che desso era quel solo da
cui riconoscerebbe la sua salvezza.
Stava sul punto d'imbarcarsi per questo viaggio, quando seppe che ai
suoi ambasciatori era stato ingiunto d'uscire incontanente di Francia.
Questa notizia lo trafisse con acerbità tanta, che nell'istante stesso fu
colpito da un tocco di apoplessia e ne morì in pochissimi giorni , un
sabbato nel ventesimo quinto giorno di gennaio dell'anno 1494 (1), dap
poichè n'ebbe regnato trenta sei (Infessur. Diar. parte 2, tom. 3
Italic.
Rer.
Ammir. Istor di Firenze. Raynald. Annal. eccl., et alii). Succe
dendogli nel regno Alfonso duca di Calabria suo primogenito , audace
di spirito, ed a grandi cose aspirante (2).
Tutti gli autori che parlarono di quel principe riportano, ch' era egli
in esecrazione del popolo per li suoi monopolii e per le sue crudeltà
quantunque gli diano il vanto d'una profonda saviezza e di politica raf
finata, onde fu compianto meno di tutti i sovrani i quali avevano re
gnato da Nerone in poi; e a dire il vero non avea trattato in modo i
Napoletani, da doversi affliggere della sua perdita. Pareva che affettasse
di regnare da tiranno, e non da re; e quel che raddoppiò l'odio de'sud
diti suoi, fu che Alfonso d'Aragona suo primogenito, duca di Calabria,
(1) Il Burcardo nel suo Diario, sempre uguale a se stesso, laconicamente non meno che sar
donicamente cosi riferisce la morte d'esso Ferdinando : " venerunt novae ad urbem , quod die
sabbati xxv mensis ianuarii ann. 1494 (quae fuit festum conversionis Sancti Pauli) , serenissimus
Ferdinandus Neapolitauus ac Siciliae etc. rex, diem clausisset extremum qui obiit sine lux , sine
crux, et sine Deus; et successit in regno Alphonsus filius suus ».
" Essendosi (scrive il Summonte col Giovio, Istor. della città e del regno di Napoli-Na
poli 1675
tom. m, pag. 539, il re Ferdinando molto affaticato di corpo, scaldando e raffred
dando, non senza passioni di animo , li sopraggiunse un gran catarro, al quale sopraggiunta
febbre, con molti sintomi , al fine , al xiv giorno di quella , uscì di vita , che fu a xxv gennaio
1494, alle ore 16, di età d'anni 70, dieci mesi e 28 giorni, avendo regnato anni 35, mesi cinque
e giorni 25. Mori il re Ferrante di una morte (conforme lui la desiderava) presta, perciocchè nelli
suddetti giorni dell'infermità non fu molto da quella travagliato, et il fine ancora fu molto celere,
perciocchè essendo a quello vicino, non credendosi esservi giunto. si fe'accomodare i capelli, e le
mascelle che pareano che cascar gli dovessero, e formando alcune poche parolecon don Federigo
che gli stava appresso, delle cose della città, sentendosi affatto venir meno, disse tremando queste
parole : figliuoli siate bencdetti! e voltandosi ad un crocifisso disse: Deus, propitius esto mihi
peccatori, e subito si parti da questa vita ».
(2) Aggiunge il Giovio , che non avendo Alfonso voluto che suo padre in età di 70 anni si
fosse messo a gravissimi travagli , esso per divertire la guerra , mandò al re di Francia Camillo
Pandone ad offerirgli di rimettere il regno di Napoli nell'arbitrio del Papa, che sentenziasse a chi
di ragion dovesse pervenire.
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241
l'imitava in ogni suo vizio, e non aveano quindi luogo da sperare una
migliore condizione sotto il suo regno.
Avevano entrambi fatto perire un gran numero di prelati, di persone
qualificate con ferro, con lunghe prigionie e veleno. Niuna donna, per
grande che fosse, era sicura dalla violenza loro se giungeva mai all'in
felicità d'esserne amata. Le maggiori ricchezze delle chiese non erano
sicure dall'avarizia loro; le famiglie più comode pericolavano a per
dere tutto, se non offerivano ad essi la miglior parte dei loro averi con
la sola mira di serbarsi il resto. Facevano dessi il maggior traffico del
regno loro; comperavano il frumento , l'olio a vil prezzo, e costringe
vano poi le stesse persone che avevanli venduti, a ricomperargli a prezzo
carissimo. Ingenera orrore la descrizione fatta dal lodato Comines delle
avanie e dei tirannici soprusi esercitati da cotesti coronati.
Il perchè non poteva sortire miglior finimento il regno di quel Fer
dinando, che per soprappiù contumace irrisoredei fulmini del Vaticano,
i quali avendolo le tante volte percosso, non restaronoda ultimo di pro
durre l'effetto loro.
Il suo successore Alfonso intese colla massima premura di dar l'ul
tima mano ai trattati di pace con Sua Santità , iniziati e convenuti da
suo augusto genitore l'anno antecedente, per ottenere da lei l'investitura
del regno, ed insieme quegli aiuti altamente richiesti dalle sue strin
genti presentanee bisogna.
Promise al beatissimo Padre d' effettuare speditamente il concertato
matrimonio tra Gioffredo e sua figlia Sancia, e dargli due dei feudi
principali del regno di Napoli, con trenta mila scudi di pensione, e due
compagnie spesate , ciascuna di cento uomini d'arme, pel primigenio
Gian-Francesco e per l'ultimogenito Gioffredo Borgia, entrambi figliuoli
di lui, con dei ricchi benefizii per Cesare secondogenito ch'era cardinale.
Sua Santità accetto queste proferte, commise al suo nipote Giovanni
Borgia, cardinale di Monreale, di girsene a Napoli colle bolle dell'inve
stitura, e colla facoltà di coronare Alfonso re di Napoli; benchèCarlo VIII
ne lo pregasse di sospendere, finchè le armi avessero pronunciato a chi
toccasse questo regno. (Mém. de Comines, tom. 5, pag.410, dove si legge
diffusamente questa investitura).
Il Pontefice risposegli, che aveva egli seguito in ciò l'esempio de'suoi
predecessori, dai quali il padre e l'avo d'Alfonso aveano ricevuto l'inve
stitura del medesimo reame ; che d'altronde non avrebbe potuto ricu
sarla ad Alfonso, senza esporre i suoi proprii stati ad essere saccheg
giati da questo principe, e da'confederati suoi, i quali ilcircuivano colle
terre loro. Quest'incoronazione d'Alfonso venne eseguita colla più son
tuosa magnificenza.
Nel giorno settimo di maggio, essendo già il cardinale legato perve
nuto costà, si celebrarono le nozze di Sancia figliuola naturale di esso
re Alfonso , la quale era sulla metà del terzo lustro di sua età, con
Gioffredo figliuolo del Papa ( Vedi capo xx, pagina 200, nota 1 e 2).
Giostre, tornei, ed altri festeggiamenti accompagnarono e rallegrarono
16
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la solennità, sin troppo minutamente descritta nel suo Diario dal ma
stro di cerimonie sacre, il Burcardo.
Alessandro VI per testimoniare al novello re quanto gli fosse caro il
recente parentado, l'esentò dall' annuo censo del regno sua vita natural
durante (Summonte, istor.di Napoli). Il regalo fatto alla sposa da Giof
fredo in gioie, drapperie ed altre robe, fu creduto che ascendesse al va
lore di duecento mila ducati d'oro. Il re assegnò per dote alla figliuola
il principato di Squillaci. Nel Diario del Burcardo, citato dal Rinaldi,
sta scritto avere il monarca Alfonso II creato Gioffredo principe di Tri
carico, e conte di Chiaramonte, Laurio e Carinola.
Ciò fatto, Alessandro VI, ond'evitare la ruinad'Alfonso, per quantogli
era possibile, indirizzo un breve(Infessura Diar , parte 2, tom. 3. Rer. Ital.- Corio, Istor. di Milano), dato dal 15d'ottobre 1494, al cardinale di San
t'Eustachio, col quale lo costituiva legato a latere appresso Carlo VIII,
affinchè dappertutto dove potesse andare questo principe, l'esortasse vi
vamente adesistere dalla sua impresa contra il regno di Napoli, rap
presentandogli che la peste disertava il paese, e che si doveva temere
che il suo arrivo non cagionasse delle guerre civili, che iviveri nondive
nissero rari, per conseguenza salissero a caro prezzo alla venuta di cosi
numerosa armata; che Alfonso risolutissimo di difendere i suoi Stati,
tirerebbe i Turchi in Italia per sostenere i suoi affari : e ciò produrrebbe
immensi danni alla religione cristiana (Infessura, Diar , parte 2, tom. 3.
Rer. Italic.
Corio, Istor. di Milano.- Surita, tom.5, lib. 1, cap. 30).
Ma il re di Francia non ebbe riguardo alcuno a queste rimostranzedel
Papa; non volle ammettere il legato alla sua udienza, perchè l'aveva
per sospetto (1), e fece rispondere a Sua Santità, che non paventava egli
nè il contagio, che traendolo a morte, terminerebbe le sue fatiche ; nè
la carestia per aver preparato abbondanti provvisioni ; nè del Turco,
contra cui darebbe a conoscere quello zelo dal quale fin dalla sua fan
ciullezza era animato, desideroso pure se gliene parasse quanto prima
l'occasione (Continuat. di Fleury, an. 1494, lib. 117, n. xcII).
Laonde questo giovane monarca franco dappoichè morì il reFerdinando,
il solo che col suo senno provato, avrebbe potuto difficultare idisegni di
lui, si era maggiormente invogliato dell'impresa del reame di Napoli,
nulla badando agli allegati motivi dal Santo Padre, avidissimo com'era
di gloria militare, anelava a tirare innanzi.
Allora per mezzo di Guglielmo Brissonetto primo ministro, a cuipro
mise il cappello cardinalizio, procurò il Papa di ritardare imovimenti di
Carlo VIII; ma al fianco di questo, oltre al cardinale Giuliano della Ro
vere, sdegnato forte contra d'Alessandro VI, vi stavano ilprincipe di Sa
lerno, Bernardino di Bisignano, ed altri signori napoletani esigliati ri
fugiatisi in Francia: seppero tutti così ben perorare appo il re, ed ac
(1) Arroge il Giovio ancora, ch'ei non fu udito, nè ricevuto in campo, essendo in odio al re
ed ai baroni, per la fresca memoria di Papa Pio II suo zio, fautor degli Aragonesi contro agli
Angioini.
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cendergli l'animo di quella conquista al quale ancora dava continuiim
pulsi Lodovico il Moro, che si affrettò più che mai al preparamento delle
armi.
Frattanto nanzi tutto spedì Carlo VIII alcuni suoi uffiziali in Italia, per
mezzo de'quali l'istesso Filippo di Comines signore d'Argentone (2) affin
di scandagliare i pensamenti de'principi d'Italia. Salvo Lodovicoil Moro,
il quale fu l'unico che paresse voler assistere con calore a' Franchi, gli
altri si mostrarono più o meno avversi, od anche forzatamente soltanto
inchinevoli a loro. Con breve, ma saggia risposta, la quale nulla con
cludeva, si sbrigarono da tale ambasciata i Veneziani, e i Sanesi. IFio
rentini si mostrarono contrari. Ercole duca di Ferrara e Giovanni Ben
tivoglio esibirono buon trattamento alle milizie del re, null' altro.
Non rimaneva più altri tranne il Santo Padre, di cui premeva d'assi
curarsi. Il d'Aubigny che non era informato dell' ultimo accomodamento
d'Alessandro IV con Alfonso, assai lo stimolo ad aderire alla lega già
contratta col reggente di Milano, sulla cui fiducia il re di Francia erasi
parato a travalicare le Alpi. Ma Sua Santità nulla (Il Continuatore
del Fleury, Istor. eccles., lib. 117, an 1494, num. LXXxv) accordo agli am
basciatori, senza per altro togliere loro la speranza di conseguire quanto
richiedevano. Replicò loro solamente, che il diritto della Santa Sede so
pra il regno di Napoli era indubitato; che il re Carlo VIII come primo
genito della Chiesa non sarebbe per contrastarlo ; che avendone egli dato
l'investitura ad Alfonso, non aveva fatto altro che seguire l'esempio dei
suoi predecessori, i quali ne aveano investito il genitore e l'avo suo; che
non gli conveniva distruggere la sua propria opera, se non quando gli
venisse provata la nullità di quelle tre investiture; di più che la Santa
Sede non potea fare altrimenti, perchè essendosi i Fiorentini dichiarati
per Alfonso, resterebbe lo Stato ecclesiastico esposto all' invasione degli
uni, o dell' altro. Che.insomma, la qualità di padre comune costringe
valo ad essere neutrale, per essere sempre in caso di procurare lapace.
Questa risposta degna d'un sovrano antiveggente e d'un Ponteficeprov
vido, non piacque agli ambasciatori, iquali ne dimostrarono apertamente
il loro rammarico, e la rimandarono alla corte, perchè prendesse le ne
cessarie misure.
(2) Mém. de Comines, lib. 7, cap. 4. Scrivono il Giovio e l Corio, che gli ambasciatori man
dati dal re di Francia in Italia per tirare i potentati italiani all'amicizia sua, furono Filippo Ar
gentone a Venezia, ed Eberardo Obignino, scozzese, a papa Alessandro VI, il quale per la via fu
a Ferrara ed a Bologna, ed acquistò al suo re l'amicizia dell' Estense e del Bentivoglio; indi a
Fiorenza, dove Piero de' Medici per niun annunzio di pericolo volle romper l'accordo con gli Ara
gonesi. Ma il Corio discorda nelle cose di Fiorenza dagli altri, siccome il Giovio è anche diverso
da questo autore, il quale di sotto, nel capo 1 della Storia d'Italia del Guicciardini, mette l'Obi
gnino nellaseconda ambasceria, andando altri contro ai Papa, venisse a tentar Piero de' Medici in
Fiorenza, ed a stimolare quel senato all' amicizia della corona di Francia : ed il Corio, nella se
conda ambasceria, pone che Perone di Baccio, uomo non imperito delle cose nostre in Italia, solo
fosse dal redi Francia mandato al Papa a minacciarlo, e a dirgli villania. Bell'armonia di scrittori !!
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E Carlo pigliò la determinazione la più evidente d'affrettare la suaca
lata in Italia. Pertanto diè ordine al primo de' suoi capitani, Edoardo
d'Aubigny, scozzese d'origine, leale guerriero e consigliere assennato
(scrivono gli annalisti italiani di quel tempo), dopo il suo abboccamento
col Papa, di rimanersi in Italia, e porsi tosto tosto alla testa d'un corpo
di soldati francesi assai considerevole. Inoltre per le cure di Lodovico
Sforza, e del fratello di lui il cardinale Ascanio, parecchi signori e con
dottieri della nazione, senza darsi il minimo pensiero del quanto crimi
nosa fosse una simile condotta, aveano preso sopra di sè il fornire alre
di Fraucia un certo numero di soldati acavallo. Fra questi venali, si con
tavano alcuni deiprincipali baroni degli stati ecclesiastici, specialmente
i Colonna, gli Orsini, ed i Savelli(Corio, Storia di Milano, parte vit, pag.923).
Questo quasi tradimento fu unaterribile stoccata al cuor d'Alessandro VI;
non è più adunque a maravigliare se nel corsodel suo regno egli tratto
la nobillà romana con una rigorosa, ma giustaseverità. Bisogna studiar
la storia a fondo, per capire e sentenziare sulla condotta degli uomini !
Per insieme accordarsi in sur i mezzi di difesa il Papa ed il redi Na
poli fissarono un abboccamento a Vico città posta a un venti migliada
Roma. Alessandro VI vi andò accompagnato da alquanti cardinali, dagli
ambasciatori di Venezia e Firenze, e da una mano di circa cinquecento
cavalli. Alfonso dichiarò ch'egli era pronto a rimettere il giudizio della
sua causa nell'arbitrio del Papa, del sacro collegio e degli ambasciatori
inviati dalle nazioni neutrali. In questo frattempo a Roma lanobiltàbri
gava e si agitava, e giunse persino ad impugnare apertamente le armi
e dopo d'allora non si dissimulò più come essa pendesse alla parte di
Francia ; la quale cosa sollecito Alessandro VI a ritornare alla sua capi
tale. Ecco altro motivo troppo palese della giusta indignazione del Pon
tefice contra questi magnati infedeli ! E poi si grida alla tirannia del
Borgia ?
Quanto al re di Napoli, egli scelse di porsi in persona alla testa dei
suoi soldati. Federico suo fratello doveva comandare la flotta, ed in quella
che il re si avanzerebbe dalla parte della Romagna per romperla col
Moro e vendicarsi di sua tristizia, l'ammiraglio spiegherebbe le vele in
verso Genova (Senarega, De Reb. Genuens , tom. 24. Rer. Italic.
Sanuto, Istor. di Venez , tom. 22.
Rer. Italic.
Ammirati, Ist. di Fi
renze.- Corio, Ist. di Milano) per porgere a questarepubblica ildestro
di scuotere il giogo degli Sforza.
Il duca d'Orleans Lodovico aveva preceduto Carlo VIII in Italia, e tro
vavasi in Asti con Lodovico Sforza, quando intese novella dell'armata
napoletana. Senza dar indugio, egli si mise alla testa d'un corpodi due
mila uomini, il fiore de' suoi fanti, e di cinquecento di cavalleria leg
giera, e corse verso Genova cui minacciavano le galeenemiche. Avendo
i Napoletani tentato d'impadronirsi di Porto-Venere, furono respinti con
perdita, e costretti di ripiegare sopra Livorno per ripararvi i vascelli
loro. Nello stesso mentre il duca d'Orleans postosi a capo della flotta
genovese, rinforzata di quattro grandi navigli francesi, e d'un corpo di
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mille Svizzeri, si portò verso colà. I napoletani ebbero dapprima qualche
vantaggio ; ma, dopo sette ore di pugna, con perdita loro considerevole,
furono obbligati a retrocedere vergognosamente verso Napoli.
I nemici, ed in ispecie gli Svizzeri, macchiarono la gloria del loro
trionfo con delle orrende crudeltà. Avendo espugnato d'assalto, e sac
cheggiato la terra di Rapallo, quando la loro cupidigia insaziabile non
trovò più di che sbramarsi, se la presero contro chi loro venne alle mani :
donne, fanciulli, vecchi, tutto dovette sperimentare la loro rabbia. Essi
entrarono negli spedali, e non arrossirono di lordarsi del sangue degli
ammalati che non avevano potuto sottrarsi colla fuga allabarbarie loro.
D'Aubigny, che comandava le truppe di terra, avea posto piede nella
Romagna, e si avanzava a grandi giornate verso il regno di Napoli.
Alfonso gli oppose il suo figliuolo Ferdinando duca di Calabria, il quale
da principio resistette con tanta fortuna, che il generale francese furi
dotto a tenersi sulle difese, e non ardi intraprendere cosa alcuna. Se il
duca di Calabria avesse saputo, trar guadagno da questo primo successo,
forse ch'egli avrebbe battuto gl'invasori , ed ottenuto dei grandi van
taggi : ma non si potè determinare ad arrischiaruna battaglia, elasua
irresolutezza diede tempo all'armata francese di fortificarsi con dei nuovi
rinforzi. Ferdinando dovette alla sua volta indietreggiare, sbaragliato
compiutamente alla perfine dalle armi franche, le quali colle copiosis
sime loro artiglierie atterrando quanto ad esse si opponeva, dispersero i
Napoletani, che portarono dovunque si rimbucavano la costernazione e
lo spavento.
Si accorse Ferdinando qualche giorno dopo del fallo cui avea com
messo, e conobbe irreparabile la sua rovina, ritirandosi sotto le mura di
Faenza, sempre dal nemico incalzato.
CAPO VENTESIMO TERZO.
Carlo VIII scende in Italia; entra in Pavia, accoltovi dal Moro,
a Piacenza, a Pisa, a Firenze; occupa gli Stati della Chiesa.
Il giorno ventesimo secondo d'agosto dell'anno 1494, Carlo VIII par
tendo da Vienna nel Delfinato, dirizzava la sua marcia a Grenoble, va
licò le Alpi, e giunse da Susa nella capitale del Piemonte, nella vaga,
deliziosa Torino, dove fu accolto da Bianca di Monferrato duchessa di
Savoia, vedova di Carlo I, e reggente degli Stati, dal marchese di Mon
ferrato, e da tutto il Piemonte con molto onore. Il sei settembre abban
donò Torino, passò per Chieri, e discese in Asti il nono giorno dello stesso
mese. Lodovico Sforza e la sua sposa la duchessa Beatrice d'Este erano
alui venuti incontro sino a quest'ultima città, ed il duca aveva fatto
qui raccogliere un gran numero de' suoi cortigiani, cui ilmonarca fran
cese onoro de'suoi sguardi, e ricolmo de'doni suoi. Se non che la spe
dizione di Carlo pendette da un pelo che non finisse qui. La malattia,
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del vaiuolo l'incolse all'improvviso assai dolorosa e tanto violenta sul
cominciare, che dicesi per parecchi giorni mettesse la vita di lui in pe
ricolo. Durante cotal morbo venne da capo visitato dal Moro e dalla sua
consorte, i quali si trattennero seco lui per due giorni. Risanato, con
tinuossi alla sua via, e si portò a Casale, capitale del Monferrato, dove
fu accolto come l'era stato poco prima a Torino. Di là venne a Pavia,
quivi magnificentissimamente lo ricevette il duca di Milano, e ad esso
lasciò in ostaggio quel castello, nel quale giaceva infermo il giovane
Gian Galeazzo Maria Sforza vero duca di Milano, per quel veleno, se
condo l'opinione universale, propinatogli dal suo zio medesimo Lodovico,
per cui lo traeva a lenta e certa morte (1). Le voci dell'avvelenamento
(1) Il Levati nel citato Dizionario delle Donne illustri, cosi conchiude l'articolo d' Elisabetta di
Aragona sposa di Gian Galeazzo ed Isabella. " Giunto a Pavia, Carlo VIII visitò Gian Galeazzo
ed Isabella. Giaceva nel castello di Pavia, dice il Guicciardini, oppresso da gravissima infermità
Giovan Galeazzo duca di Milano suo fratello cugino (erano il re ed egli nati di due sorelle figliuole
di Lodovico II duca di Savoia) il quale, il re passando per quella città, ed alloggiato nel medesimo
castello, andò benegnissimamente a visitare. Le parole furono generali per la presenza di Lodo
vico, dimostrando molestia del suo male, e confortandolo ad attendere con buona speranza la ri
cuperazione della sanità. Ma l'effetto dell'animo non fu senza molia compassione così del re, come
di tutti coloro che erano con lui, tenendo ciascuno per certo la vita dell' infelice giovane dovere
per l'insidie dello zio essere brevissima : e s'accrebbe molto più per la presenza d'Isabella sua
moglie, la quale ansia non solo della salute del marito, e d'un picciolo figliuolo che aveva di lui;
ma mestissima oltra questo pel pericolo del padre e degli altri suoi, si gittò molto miserabilmente
nel cospetto di tutti ai piedi del re, raccomandandogli con infinite lacrime il padre, e la casa sua
d'Aragona: alla quale il re, benchè mosso dall'età e dalla bellezza sua dimostrasse averne com
passione, nondimeno non si potendo per cagione si leggiera fermare un movimento si grande, ri
spose, che essendo condotta l'impresa tanto innanzi, era necessitato a continuarla.
" Questa patetica scena di Gian Galeazzo moribondo visitato da Carlo VIII, cui si raccomanda
l'infelice Isabella cinta dai suoi figliuoletti, fu dipinta dal pennello animatore del sig. Palagi con
tanta maestria, con tanta evidenza, e con tale espressione di affetti , che tutti gli spettatori ne fu
rono commossi, allorquando rimirarono il suo quadro, esposto ad esser vagheggiato nelle sale del
l'Accademia di Brera ١٦٠
Gian Galeazzo spirò nel castello di Pavia alli 22 d'ottobre del 1494, e tutti concordemente at
tribuirono l'immatura sua morte a veleno propinatogli da Lodovico il Moro. Spirato il marito,
Isabella coi figti rimase in tanta angoscia, che, come ci vien dipinta dal Verri : " Stavasene in Pavia
rinchiusa entro una stanza ricusando la luce del giorno, giacendo per tristezza sulla nuda terra in
mezzo a lugubri abbigliamenti ». Si ritirò la desolata Isabella dapprima in Milano coi suoi figli, e
colla duchessa Bona sua suocera ; indi si rifugiò nella casa paterna, dopo aver consegnato l'unico
suo figlio Francesco, che non aveva che cinque anni, a Carlo VIII; il quale al suo ritorno in Francia
seco lo condusse, e lo fece educare nella badia di Noirmoutier (Altri dicono che fu condotto in
Francia da Lodovico XII ; e contro al Levati, noi teniamo siffatta sentenza per la più vera). Il
padre di Isabella le diede il castello di Capuana, ed il ducatodi Bari ; ma dessa, dopo aver ve
duta la morte dell'avolo e del padre, fu spettatrice della morte d'Ippolita, secondogenita, morta in
Pavia ancor bambina, e della ruina estrema della sua famiglia miseramente balzata dall'avito trono.
Senti la morte di suo figlio Francesco ultimo degli Sforza, avvenuta in Francia, per essere caduto
malamente di cavallo, avendo 20 anni. Cessò finalmente di soffrire addi 11 di febbraio del 1524,
dappoichè ebbe data la sua figlia in isposa a Sigismondo re di Polonia. Una medaglia fu coniata
in onore di Isabella, la quale ha nel diritto il ritratto suo, e nel rovescio queste parole : Castilati
virtutique invictae: elogio inferiore alla di lei virtù !
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si sparsero con gran rumore: nè dalla potenza, nè dagli intrighi di Lo
dovico si son potute sopire. S'inventarono altre cause, ma queste non
poterono acquistar fede. E Teodoro di Pavia, celebre medico che era al
seguito del re di Francia, il quale aveva visitato Gian Galeazzo al letto,
dichiarò apertamente che quel principe era ammalato e basito di veleno:
circostanza che al Bossi fe' nascere meraviglia, come non la sia stata
dall'eruditissimo Muratori osservata. Il Pontano, al principio dellibro Iv
De prudentia scrive, che ciascun ordine di persone teneva la morte di
Gian Galeazzo esser succeduta per opera di Lodovico, che il fece avve
lenare; e quivi perciò biasima, detesta efortemente lacera esso Lodovico,
il che ripete al fine anche del v libro.
Difatto appena pervenuto il re a Piacenza, ovvero a Parma, intese es
sere quell' infelice duca trapassato il ventesimo secondo giorno d'ot
tobre 1494, in età d'anni 25. Sforza conseguiva il compimento de' suoi
desideri. Carlo fecegl'in Piacenza celebrare solenni esequie, alle quali
volle intervenisse una torma di poveri, vestiti in gramaglia a sue spese.
Nè pose indugi, con ispeciose ragioni, lo scellerato zio a chiedere ed ot
tenere diploma dai primari di Milano e da Massimiliano, per essere in.
vestito di questo ducato, invece di Francesco Sforza primogenito di quella
vita innocente e compianta. E quando mancarono mai, o mancheranno
pretesti all'ambizione e cupidità umana per usurpare l'altrui, se con essi
il potere si congiunge ?
All'imperatore rappresentava il regicida Lodovico, ch'egli aveva diritto
d'essere duca di Milano, per la strana ragione che dovea lui venir an
teposto al duca Galeazzo Maria già suo fratello defunto, ed ai figliuoli
di questo, perchè Galeazzo Maria era nato da Francesco Sforza non pe
ranche duca di Milano; laddove esso Lodovico nacque dal padre già
creato duca.
Leggesi che ildiplomafu spedito da Massimiliano in Anversa nel giorno
quinto di settembre di quest'anno 1494 (Corio, Istor. di Milano). Il si
gnor Du-Mont dà lo stesso diploma addi venticinque di novembre del
l'anno seguente 1495. Comunque sia, la è cosa certa che senzaaspettare
il beneplacito cesareo (1), Lodovico il Moro venne a Milano, non ancora
(1) Guicciard., Istor., lib. 1.-Godefroy, op. cit. tom. 5, p. 410. Investiture du duché de
Milan, audit Louis Sforce par l'empereur Maximilien I. Di questo atto venendo Massimiliano
da tutti ripreso, procurò di nettarsi da ogni taccia con la seguente dichiarazione, oltre alle cose
da lui espresse nel diploma: " Quum illustris dominus Ludovicus Sfortia vicecomes etc., qui per
multos annos ducatum Mediolani summa cum laude et gloria gubernavit et administravit, saepius
et cummagna instantia a serenissimo prae mortuo genitore nostro, et a nobis humillimis precibus
requisierit, ut privilegium huiusmodi ducatus Mediolani et Lombardiae, et comitatus Papiae Joannes
Caleaz, eius nepoti concedere vellemus : tamen justis pluribus rationibus, et causis, et maxime
quod praefatus Jo. Galeaz ipsum ducatum ac comitatum a populo Mediolanensi recognovit : quod
quidem fuit in maxiwum imperii praeiudicium : et quia est de consuetudine sacri romani imperii
neminem unquam investire de aliquo statu sibi subiectu, si eum de facto sibi usurpaverit, vel a
liquo recognoverit : genitor noster perpetuae memoriae imperator serenissimus, neque electores
consentire voluerunt, neque consentirent quod talis ducatus et comitatus in eum conferretur:
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terminato il funerale del nipote, ivi convocati i primori della città per
la creazione d'un duca novello, ed avendo egli accortamente indettati i
suoi partigiani, costoro mostrarono altamente richiedere il benpubblico
che in tempi sì pericolosi non un fanciullo, ma un uomo assennato pi
gliasse le redini del governo, e fosse duca. Però, senza che veruno osasse
reclamare, Lodovico, proclamato duca dallo sciame de' suoi venali adu
latori, e dalla vile plebaglia cui egli aveva indegnamente corrotta, im
pugnò l'usurpato scettro, e framezzo le grida festose del popolo sconsi
gliato cavaleò per Milano.
La sua sposa Beatrice, figlia d'Ercole duca di Ferrara, la quale da pa
recchi anni contendeva con un'audacia non più intesa la precedenza ad
Isabella moglie del legittimo duca, raccolse finalmente i frutti della rea
sua ostinazione ; la sfortunata principessa di cui s'era fatta l'implaca
bile rivale fu ridotta a chiudersi co' suoi pargoletti in un'oscura camera
e malsana del castello di Pavia, nonostante ogni raccomandazione di
Carlo VIII. Isabella (scrive il Corio, Ist. Milano, parte vII, p. 936) coi
▸ poveri figliuoletti, vestiti di lugubri vestimenti, come prigioniera si
rinchiuse in una camera, e gran tempo stette giacente sopra la dura
• terra che non vide aere. Lagrimevole esempio dell' incostanza delle
umane grandezze !
Quest'orribile misfatto fece una viva impressione sopra di Carlo VIII.
Egli aveva già più d'un motivo di non fidarsi dello sleale, che l'aveva
chiamato in Italia; or tra per questo, e pel sapere che il Papa ed i Ve
neziani praticavano dei maneggi per istaccare Lodovico da lui, e che
costui trattava proditoriamente coi Fiorentini a danno di Francia: quindi
poco mancò che non desistesse dall'impegno assunto contra il regno di
Napoli.
Questi timori veniano anche confermati dalle relazionide' suoi, i quali
ogni giorno il supplicavano a tenersi bene in guardia contro alla scel
leraggine de' pretesi suoi amici. Ciò non pertanto avvenne l'opposto; e
si conobbe che se Iddio leva talvolta il retto giudizio e la forza ai prin
cipi cui vuol punire, toglie anche il sentimento di vendetta aquelli che
ha destinati per flagellare gli altri. Lodovico con le più lusinghiere pa
role del mondo trovò modo a difendersi con apparenza di lealtà sì, che
Carlo ne rimase pago. E chi mai ha più melati accenti de'furbi e fedi
fraghi ? Alle ciance del Moro diedero peso alcuni avvisi segreti giunti
ut illustris Sfortianae familiae rationem habuisse videretur, cuius egregia facinora et celebres vi
ctoriae per universum pene orbem celebrantur, et quia idem illustris dominus Lodovicus in eo gu
bernandum admodum sapiens est, et valde idoneus est habitus, in maximum commodum subditorum,
et non parvam sacri imperii commoditatem, utilitatem et ornamentum, et obtulimus privilegium in
personam suam, ac filiorum et successorum suorum, et excedentem electorum consensu. Et tam
quam bene merito contulimus privilegium et investituram ducatus Mediolanensis, et Lombardiae, et
comitatus Papiae etc. pro ut publico diplomate a nobis sibi concesso continetur. In quorum testi
monium praesentes fieri jussimus, et nostri sigilli pendente muniri, et nostra etiam propria manu
subscripsimus. Datae in terra nostra Andverpiae, die octavo octobris Mccccxciv, regnorum nostrorum,
scilicet Romani, vn, Hungariae, vero v. ».
249
ad esso Carlo VIII da Firenze, dove il chiamavano i nemici ed emuli di
Pietro de' Medici, e dove lo spingevano da ultimo eziandio le instanze
dei due esiliati fiorentini Lorenzo e Giovanni de'Medici, che finirono di
sventare ogni suo dubbio.
Daquello adunque blandito il re, e da questi ringagliardito, abban
donò Piacenza sullo scorcio d'ottobre, ripigliando la marcia sua verso
Toscana, durante la quale fugava le milizie avversarie, espugnava ca
stelli, e spargeva il terrore e l'orrore per l'universa Italia, anche fra gli
amici, di che impauriti i popoli a lui aprivano le porte delle città loro.
I Fiorentini da che seppero l'approssimarsi dell'armata francese, non
avevano cessato d'eccitarsi l'un l'altro contra Pietro de' Medici, cui ave
vano per primario autore delle calamità nelle quali si vedeano si presso
acadere. Pietro per attutire i mal contenti, avea preso di buon'ora tutte
le disposizioni suggeritegli dalla prudenza. Ma questi sforzi suoi non sor
tirono altro effetto fuorchè accrescere il male. In sì strema agitazione
e spavento, egli, abbandonata la causa degli Aragonesi, risolse d'andar
personalmente a trovare Carlo VIII e d'amicarlosi, concedendogli ciò che
le emergenze esigerebbono. Usci di Firenze, andossene a Empoli, che è
poche miglia lontano, e di costà scrisse ai magistrati della città la se
guente lettera (Ex monument. Aug. Fabronii, in vita Leon X, apud Ro
scoe, Vita e pontificato di Leone X, t. 1, p. 193, 194):
•Magnifici ed Onoratissimi fratelli,
•Io non piglierò a giustificare la mia sollecita partenza; perchè pe
nerei a credermi reo per aver fatto quel passo che al mio debol vedere
mi sembra il più acconcio a rendere la pace al mio paese, e che non
debbe portare, eccetto che a me, nè al pubblico, nè a'privati il menomo
sconcio. Del resto, io penso a presentarmi a S. M. cristianissima il re di
Francia, nella ferma fiducia di placare il risentimento che questo prin
cipe ha conceputo contra la repubblica di Firenze a cagione della con
dotta ch'essa si è veduta costretta a tenere conformemente a' suoi im
pegni inverso degli altri Stati. Egli sembra che suamaesta altro non
desideri se non uncangiamento. In quanto a meche sono stato accagionato
di tutto il male, o mi purgherò presso del principe, o subirò una pena,
la quale anzichè sul corpo della repubblica, amo meglio si riversi sopra
il mio capo. La mia famiglia ha già per lo passato dato prove di con
simile attaccamento. Ma io credo aver contratto più grandi obbligazioni
d'assai che verun altro de' miei predecessori, conciossiachè io sono stato
onorato molto più di essi oltra ogni mio merito! e quanto più mi sento
indegno dell'onore che ho ricevuto, tanto più mi credo tenuto a non
perdonare nè a spese, nè a travagli, nè alla medesima miavita. Per cia
scuno di voi in particolare io volentieri la sacrificherei, ma specialmente
poi a servigio della repubblica. Io darò prova di ciò probabilmente in
quest'occasione ; poichè o io morrò nell'esperimento, o io otterro quanto
potete voi desiderare. Nello stesso tempo io vi scongiuro per la memoria
--
250
di mio padre a voi così cara, e per la bontà cheaveste per me, anon
istar sopra pensiero e ansietà, più di quello il faccia io medesimo, e di
non dimenticarmi nelle vostre preghiere. Permettetemi altresì che io vi
raccomandi i miei figli ed i miei fratelli, che io interamente affido alle
vostre cure, caso che Dio non volesse che io ritornassi a Firenze. Io met
terommi in viaggio domani mattina.
• Empoli, li 26 ottobre 1494.
• PIETRO DE' MEDICI..
Pietro andò poi a Pisa, e presentossi poco dopoconunpiccolo seguito
agli avamposti del campo francese. Due ufficiali del re furono delegati
a trattare con lui. Essi la prima cosa esigettero che fosse consegnataal
principe la piazza di Sarzana; Pietro la cedette.Egli cedè ancorala città
di Pisa, di Livorno e di Pietra-Santa per tutto il tempodellaspedizione.
Questa condiscendenza inconcepibile fece strabiliare persino i soldati di
Carlo VIII, i quali non si poterono temperare, che non riprendessero nel
capo della repubblica fiorentina una tale pusillanimità. I cittadini di
Firenze non ne furono meno irritati, giudicando ch'egli avesse follemente
sacrificati gl' interessi loro , benchè per opporsi all'invasione avessero
negato a Pietro de' Medici ogni soccorso.
Tuttavolta non era questo il vero motivo del risentimento loro.Già da
qualche anno sopportavano essi con fastidio e con impazienza l'autorità
di casa de' Medici, e subornati dalle declamazioni del troppo famoso Sa
vonarola, non aspettavano tranne il tempo da scuoterne il giogo. Una
deputazione di cinque fiorentini, tra'quali era il frate demagogo, fu in
viata a Carlo VIII, pregandolo a voler mitigare alquanto le durecondi
zioni. Ma il principe stette saldo al no.
Da sua parte Pietro, vedendo ogni giorno più ingrossare la sedizione
a Firenze, risolvette di rientrare in città perprevenire il male, se ciò era
ancora possibile, ed impegnò Paolo degli Orsini suo parente prossimo ad
essergli di scorta con un corpo di truppache a lui obbediva. Egli vi fu
ricevuto con insulti e ferite, e non dovette la sua salvezza ad altro che
ad una pronta fuga. Fu nulla che il cardinale, cui i Fiorentiniamavano
ancora, si sforzasse di calmare l'effervescenza popolare: quel quasi in
cantesimo che aveasi a lungo accompagnato il nome glorioso deMedici
non era più. Si suono a stormo, si apersero le porte alle prigioni, una
ressa innumerevole si addensò nelle vie, i proiettili volavano dai balconi
e dai tetti ; Pietro se la svigno precipitoso di Firenze e si avviò verso
Bologna, dove il cardinale il raggiunse dappoichè ebbe un'ultima fiata
tentato inutilmente di sedare l'agitazione del popolo.
Carlo VIII era giunto a Pisa fin dal cadered'ottobre. Ei lasciò questa
addi undici novembre, marciò sopra Firenze, e vi entrò il giorno decimo
settimo del mese medesimo pacificamente col suoesercito. Al suo arrivo,
imagistrati e i maggiorenti gli vennero incontro e l'accompagnarono
alla chiesa di Santa Maria del Fiore, dov'egli pregò dinanzi l'altar mag
giore. Poscia andò al palazzo de'Medici, ch'era splendidamente adornato,
--
251
eposto in ordine per la sua residenza. Dopo alquanti giorni, Lorenzo e
Giovanni, figli di Pier Francesco de' Medici, rientrarono in Firenze , e
furono reintegrati in tutti i diritti loro, in quella che Pietro e il cardi
nale, fuggiaschi ed erranti, cercavano di città in città un ricovero, che
nonveniva loro accordato senonchè a stento e come per carità.
Maallora si scopri meglio fin dove possa giugnere la non mai sazia
ambizione de'potenti: dure ed indiscrete condizioni cominciò imperiosa
mente a pretendere il re dai Fiorentini, cioè somme immense didanaro,
la restituzione di Pietro Medici nella sua supremazia, e in ultimo il do
minio d'essa città; perocchè si voleva far esercitare l'autorità sovrana
da uomini scelti da lui. I magistrati dichiaravano in termini chiari e
ricisi che non apporrebbero giammai la propria firma a disposizioni pri
vanti i loro concittadini dei propri diritti, e porgenti ai re di Francia
un pretesto a considerare i Fiorentini altrettanti sudditi loro.Cose tutte
che movevano a rabbiachi trattava di tali affari per parte dei Toscani.
L'armata unissi ai magistrati; si giurò di morire anzichè soggettarsi
alla schiavitù. Sovrastava vicinissimo un qualche brutto spettacolo , se
non fosse stato Pietro Capponi (il Camillo fiorentino) uno dei deputati,
il quale adiratosi al vedere che dai ministri regi si dava cartad'accordo
come a'medesimi talentava, senza voler tenereconto alcuno delle ragioni
dei Fiorentini, arditamente in faccia dello stesso sovrano laceró quella
carta (Ammirati, Ist. di Firenze, e Guicciard., Ist. d'Italia), ed a quei mi
nistri, i quali avevano con alte minacce accompagnato lo scritto, ani
mosamente rispose: Poichè si domandano cose si disoneste , voi darete
nelle vostre trombe, e noi soneremo lenostre campane. Il che detto evase
issofatto dalla camera, seguito da'suoi compagni.(Vedi il Giovo al prin
cipio del libro 2). Di qui, disse il Segretario fiorentino:
" Lo strepito dell'armi e de'cavalli
• Non potè far si che non fosse udita
" La voce d'un Cappon fra tanti Galli ».
Questa manifestazione imponente, e franco parlare, che potea di leg
gieri partorire sconcerti gravissimi, volle Iddio che terminasse in bene.
Ammansò Carlo VIII, e i suoi ministri si ridussero a condizioni più di
screte, e fu solamente preso di comune accordo, che i cittadini di en
trambi gli Stati godrebberodegli stessi privilegi, gli uni nel paesedegli
altri ; che al suo titolo di re di Francia, Carlo VIII giugnerebbe quello
di ristoratore e protettore delle franchigie di Firenze; chela repubblica
offrirebbe al re in segno di riconoscenza, un regalo di centoventi mila
fiorini, cioè cinquanta mila fra lo spazio di quindici giorni , ed in altre
rate il resto; che le fortezze e le piazze lasciate ai Francesi sarebbero
restituite ai Fiorentini, sotto condizioni, le quali furono chiarite; che i
cittadini di Pisa, tornerebbero sotto la dominazione di Firenze, e che una
amnistia piena ed intera sarebbe loro accordata; che il sequestro posto
sopra i beni del cardinale de'Medici , e dei fratelli di lui Pietro e Giu
252
liano, sarebbe tolto, ma che gli averidei due minori servirebbero d'ipo
teca pei debiti del maggior nato; che i tre Medici non potrebbero acco
starsi a Firenze, senonchè ad una certa distanza, la quale sarebbe per
Pietro, di duecento miglia, e pel cardinale eGiulianodi cento; in ultimo
che Alfonsino degli Orsini godrebbe di sua pensione. Questo trattato fu
firmato il dì 25 novembre, e ratificato all'indomani nella chiesadi Santa
Maria del Fiore, dopo una messa solenne, e Carlo diede la sua parola di
re d'osservarne fedelmente le condizioni sub verbo regis (1).
I Fiorentini speravano che conchiuso appenail trattato, il redi Francia
uscisse della loro città. Ma continuando egli ad inspirare ai medesimi
vive apprensioni, essi deputarono a lui Savonarola. Le parole dell'ardente
domenicano produssero sullo spirito di Carlo l'effetto aspettato. Oltre a
ciò le istanze del fedele d'Aubigny, il quale fecelo capace che un tanto
andar per le lunghe, dava ai nemici l'agio e il tempo d'accordarsi in
torno ai loro mezzi didifesa, lo spronarono potentemente. Diede adunque
il monarca l'ordine della partenza, ed il ventotto novembre lasciò Firenze
con molto piacere degli abitanti. Il giorno 2 di dicembre entrò in Siena,
dove ancora l'inflessibile Giuliano della Rovere cardinale di San Pietro
in Vincula, seguendo il re, giunse il giorno dopo. Dalla Toscana l'armata
francese mise piè senza colpo ferire negli Stati della Chiesa, e s'impa
droni d'Acquapendente, di Viterbo, e d'altre rocche, che furono abban
donate al saccheggio.
Pietro de'Medici, eludendo la vigilanza dei Veneziani, fuggissi dal lor
territorio, traversò rapidamente la Marcad'Ancona e la Romagna, ed ap
parve tutto ad un tratto nel campo dei Francesi , dove il re l'accolse
colla più grande benignità.
CAPO VENTESIMO QUARTO.
Falsilà dell'accusa gettata in volto ad Alessandro VI, d'avere implorato
da Baiazette soccorso contro a Carlo VIII. Entrata di questo in Roma.
Il Papa si ritira in Castel Sant' Angelo. Accordo tra pel Pontefice e
pel re Carlo.
Certi scrittori, non sappiam con qual documento, affermano che papa
Alessandro ed il re Alfonso, da che si avvidero di non avere forze ba
stanti ad impedire il progresso dell'armata francese, la quale unita col
l'altra di Romagna, alcuni facevano ascendere sino a sessanta mila uo
(1) Nardi, Histor. Fior., lib. 1, p. 16. L'originale di questo trattato si conserva a Venezia
sotto il titolo di: " Capitula et conventiones inter Carolum VIII regem Francorum populum Flo
rentinum. Florentiae die xxvi novembris Mccccxciv, iurato in Ecclesia cathedrali, per ipsum regem
et priores dictae civitatis , apud altare maius , post missae celebrationem
Bib. Nanianae, p. 125. Ven. 1776.
٦٦٠
Vid. Morelli ms. lat.
--
253
mini, ma probabilmente sarà stata inferiore d'assai, abbiano ricorso per
aiuto al Turco, affinchè spedisse un poderoso corpo di sua gente alla
difesa del regno di Napoli. Il continuatore del Fleury, mirando ad al
leggerire quest'aggravio imputato ad Alessandro VI, dice, dietro all'au.
torità di Filippo de Comines, ch'egli avea ciò operato in qualità di so
vrano temporale (Mem.di Comines, lib. 7, cap. 14. Guicc., Istor. Ital.
lib. 2), non già di Papa, affin di provvedere al salvamento degli Stati
suoi. Lodovico Muratori per contra, il quale tuttochè si mostri del con
tinuo severissimo censore d'Alessandro VI, ragguardo a cotale incol
pazione egli assevera , che sono verisimilmente coteste dicerie di belli
o maligni ingegni; siffatta sentenza in bocca di questo scrittore diventa
meritevolissima d'ogni considerazione, ed infievolisce assaissimo quel
l'accusa.
Del resto, è conto ad ogni mediocre scrittore, cheBaiazette, per essere
uomo dappoco e vile, non amava la guerra, ed era in tanto odio appo
la sua gente, che niente si sarebbero mossi perdifenderlo, se fosse stato
assalito. Si ricordavano ancora i Greci della libertà, cui Maometto II suo
genitore avea loro tolta, e sitivano di ricuperarla. Aveano mandato a
Carlo VIII dei deputati secreti, i quali promettevano una ribellione ge
nerale dell'intera Grecia, subito che sua maestà vi avesse fatto passare
delle truppe; e per questo maneggio il Comines si ritrovava in Venezia,
dove allestiva una piccola flotta, che dovea essere comandata da Costan
tino principe d'Acaia, interessato nel buon avvenimento per le sue pre
tensioni sopra la Tessaglia e la Tracia. E Zizim fratello di Baiazette cui
si dovea dal Papa rimettere nelle mani del re di Francia, servirebbe di
pretesto per armare contra i Turchi ; ma la morte diquesto principe ot
tonano fece svanire il progetto fondato in così belle speranze (1).
Or come mai avrebbesi potuto muovere Baiazette a cimentarsi in una
guerra in favore de' cristiani , sopratutto del Papa suo capital nemico ?
Egli sì timido, come sarebbe mai venuto alle mani per proteggere un
di lui avversario contra un re sì potente e vittorioso ? Egli a cui era
nota la progettata ribellione nel suo ancora vacillante impero, come mai
sarebbesi privato delle più prodi sue soldatesche per inviarle alla Vallona
adifendere il napoletano, ed in tal guisa scuoprire l'inerme suo fianco
al doppio nemico interno ed esterno? Come mai il Papa, che meglio di
ogni altro sapeva quanto fossero difficili le circostanze in cui versava
Baiazette , da politico cauto, prudente, qual unanimemente si confessa,
avrebbe egli prestatoquesto raccorso, dellacui nullità era dapprima più
che sicuro? Dicerie di belli o maligni ingegni verisimilmente furon co
teste, conchiude saviamente il succitato Muratori. Non sarebbesi forse la
temenza d'Alessandro VI fatta a Carlo VIII, che Alfonso colto da dispe
razione tentar potesse un sì periglioso esperimento fatale d'invocare le
(1) Veggasi il detto vittoriosamente da noi nell' Appendice m, § 1, dove si narra il modo con
cui fu ordita la congiura contra Baiazette dai Greci, come sia stata soppressa, e come dai Venezian
manifestata al Turco, e non già dal Papa.
254
armi saracinesche, presaper una realtà? Certochesì daquanto appare!
Se la cosa stesse come la suppongono idetrattoridi lui, sarebbe di me.
stieri conchiudere, che ben lungi d'essere stato Alessandro VI quell'ac
cortissimo politico, avrebbe anzi porto argomentodi sciocchezza mador
nale. Continuiamo.
Allorchè SuaSantità vide, che entrato contante forze re Carlo in Italia
era sfilato fino in Toscana, nè vi eracittà o fortezza, che invasadal ter
rore delle sue armi non vacillasse, e per propiziarselo non gli portasse
le chiavi, cominciò a provare affanni e sbigottimenti gravissimi, perchè
considerato era come aperto nemico d'un monarca al cui cospetto nulla
resisteva (Burchardus, Diar. apud Raynald). In questa sua affannosa pe
ritanza veniva vieppiù afflitto al sapere che l'esercito napoletano trince
rato sulla sponda del Tevere presso la capitale del mondo cristiano, stava
di molto al disotto al gallicano per numero, forza e coraggio.Per laqual
cosa, addì 9dicembre 1494, aveaegli previdentemente fatto mettere in de
cente prigione icardinaliAscanio Sforza e Sanseverino, parzialiaiFrancesi
emandati incastello Sant'Angelo Prospero Colonna eGirolamo Tuttavilla.
Iniziò poi col sovrano Carlo, in lontananza, alcune trattative d'una tregua
da parte del re di Napoli, e sua , cui il principe dichiarò altamente ri
gettare ; ma cedendo a miglior consiglio, ed all'ardente desiderio di cui
si struggeva d'entrare presto nel regno di Napoli, gli fece anche aver
caro qualunque patto col Santo Padre, per non dover indugiare nella
Romagna, nella quale provincia nulladimeno già tutte le città ed i si
gnori si affrettavano di passare alla divozione di Francia (Denina, Rivo
luzioni d'Italia, vol. v, lib. xiv, cap. 11), con solenne infedeltà ad Ales
sandro VI loro signore.
Il regnante franco inviò al Santo Padre il duca di Tremouille, ed il
presidente Sannay con altri, i quali fecero istanza ne'preliminari, che si
liberassero i due cardinali, ed aggiunsero che avendo ilPontefice lasciato
entrare in Roma Ferdinando duca di Calabria colle genti sue nemiche ,
anche il loro revolevapenetrarvi ; sapendo in essa ritrovarsi grande copia
di vettovaglie e rinfrescamenti, con cui l'esercito stanco pel lungo mar
ciare e pei disagi passati si potesse ristorare. Pel suo canto eglipromet
teva di non far sentire ai Romani pur un minimo danno, se gli si dava
aperto e facile il passo e comodità di viveri; altramente minacciava di
porre il tutto in rovina(Panvin , in Alex. VI; Vitae et res gestaeSS. Pont.
in Alex. VI). Che per altro egli era pronto alla concordia. Nel giorno
diciannovesimo del suddetto dicembre , il Papa, spaventato dalle forze
che giungevanoda fuori, e dalle fazioni che brulicavano dentro, spedì al
re il cardinale Sanseverino a rinnovare i negoziati , e nell'impossibilità
in cui versava d'arrestare la marcia dei Francesi, ad evitare mali mag
giori, consenti a ricevere in Roma Carlo VIII, il quale, salvo l'onore della
maestà ed autorità pontificia, facesse il suo ingresso pacifico.
Travolgendo la notte dell'ultimo giorno dicembre del 1494, sullo spun
tare degli albori del primo giorno dell'anno 1495, arrivò il re di Francia
dinanzi a Roma, la quale spalancò a lui le sue porte, ed egli, in quella
255
che Ferdinando ne sortiva dal lato opposto per ripiegarsi sopradiNapoli
col suo potentissimo esercito di venti mila fanti e cinque mila cavalli
(Panvin. in Alexandro VI), vi entrò per Porta Flaminia che fu poi chia
mata la Porta di Santa Maria del Popolo, tenendo tutte le sue genti di
armi la lancia sulla coscia, come erasi fatto a Firenze, e gli arcieri
l'arco in mano, gli Svizzeri armati di alabarde o di scuri, come se do
vessersi disporre per unabattaglia, ne custodivano tutte le vie, le piazze
e il palazzo destinato pel re. I magistrati concorsero a piegare innanzi
alui il capo, epresentargli le chiavi d'essa città. Ricevuta ch'ebbe questa
dimostrazione riverenziale, andò ad alloggiare nel palazzo bene ammobi
gliato di San Marco.
Stanziatosi adunque di tal maniera Carlo VIII in Roma, comandò ai
soldati di guardarsi dal nuocere a qualunque, e fe' severamente passare
per le armi alcuni inobbedienti (Panvin. in Alex.).
MaAlessandro VI travagliato, ad onta dellepromesse e dei protesti del
re di Francia, da dubbietà, nè sapendo quanto si potesse promettere de'
baldanzosi e sdegnati Francesi , specialmente per istare a fianco del re
Giuliano della Rovere suo nemico irrequietissimo, il quale non dubitava
che fosse per consigliare a Carlo ogni fiera risoluzione contrala sua per
sona, avea preso lo spediente che in simile contingenza consigliava pru
denza, di lasciar il suo palagio e ritirarsi in castellocoi cardinali Battista
Orsini e Olivieri Caraffa, avendo la maggior parte degli altri pigliato la
fuga , per trattar quivi con più sicurezza della concordia e del suo de
coro (Guicciard., Istor.,
Comines.
Raynald., Annal. Eccles). Questa
ritirata fu a un pelo non gli divenisse funesta, perchè i suoi nemici se
ne servirono per ingegnarsi di perderlo appo il principe. Ma non si la
sciò atterrire il Beatissimo Padre dagli apparecchi delle armi, nè dagli
assalti, nè dalle minacce finte o vere; ma intrepido, dignitoso se ne stette
anon cedere, nè ad uscirne finchè il re per mezzo di ministri scendesse
aconchiudere un soddisfacente concordato per entrambe le parti (Mém.
deComines, 47 c. 12.-Spondan., ad ann. 1495, n. 1).
Non mancarono in quel frangente dei porporati, ed altri seminatori di
discordia, che da privati rancori agitati susurrarono al re presentarsi
propizia l'occasione d'intentare un processo contra di papa Alessandro ,
perprovarecheegli simoniacamente aveaacquistata lasedia di San Pietro,
emenava una vita troppo scandalosa con evidentedanno della religione
cattolica. Ma e la pietà del sovrano verso la Santa Sede, e l'insussistenza
delle incriminazioni , e più credibilmente le persuasioni contrarie di
Gugliemo Brissonetto vescovo di S. Mald, suo principal ministro, a cui
il papa aveva già promesso il cappello cardinalizio , che seppe maneg
giare in modo l'animo di sua maestà, alla quale dall'altro canto pareano
quei consigli troppo esagerati, ei dissipò idisegni dei cardinali o riottosi
o deboli, e dispose quel principe ad astenersi dall'indurre questo scon
certo dannevole e scisma perniciosissimo nella Chiesa di Dio, in tempi
già di troppo calamitosi per la religione, ed a trattare Alessandro VI
suo vicario molto più favorevolmente, del cui appoggio egli troppo ab
256
bisognava tuttochè possente monarca e vincitore. Annui il re a questo
consiglio pieno di saviezza , ed inviò per deputati al Santo Padre i si
gnori di Foix, di Bresse, di Ligny, di Giè e Giovanni diRoli confessore
dello stesso Carlo VIII, eletto vescovo d'Augers, da ultimo, dopo molte
lunghe conferenze fu conchiuso il trattato d'alleanza e d'amicizia, e si
provvide agli interessi ed alla dignità di entrambe leparti.
Noi non ignoriamo che alcuni scrittori, o mal prevenutidalla loro an
tipatia contro ad Alessandro, od abbagliatidal nome di certi autori, tra
i quali si computa per anche Novaes , biasimano questo trattato tra il
Santo Padre ed il monarca francese, come lesivo per alcune condizioni
alla pontifical maestà.
• Se al numero, riflette il riguardoso e savio Artaud de Montor in A
lessandro VI) , di queste condizioni indegne Novaes pone il pagamento
d'una contribuzione in oro: noi dobbiamo osservare, ch'esso non fu troppo
forte, e che il re ebbe la generosità di rimetterla immediatamente alla
disposizione di Francesco da Paola, di poi canonizzato sotto Leone X, e
che comperò colla predetta somma il terreno sul quale è fabbricato o
diernamente il convento francese della Trinità del Monte, uffiziato per
lunga pezza dai Minimi della nostra nazione, e che appartiene al pre
sente alle rispettabili dame francesi del Sacro Cuore.
Per altro noi riportando nel capo seguente queste condizioni con esat
tezza istorica, non troviamo onerosa questa multa di danaro dal re franco
imposta al Papa.
In tutti questi fatti, avvenimenti trattati ingenuamente, danoi esposti
e narrati, dove mai da essi trapela in Alessandro VI unacapricciosa po
litica ? Non l'abbiamo noi veduto accostarsi a Lodovico il Moro per l'af
fronto fattogli da Ferdinando re di Napoli nellacompera illegale di quei
feudi della Santa Sede , senza però nè minacciarlo di guerra, nè chia
mare le armi forestiere a fare le sue difese, ma starsene solo in uncon
tegno tale che dimostrava sentire tutta la gravità dell'offesa ? Qual altro
monarca sarebbesi governato con maggior temperanza? Non abbiamo
veduto il Papa rimettere al suddetto Ferdinando l'ingiuria, quando questi
la riparò? restringere con lui confederazione fedele? Sì, fedele, perocchè
non abbiamo noi sentito le proposizioni larghe, cui i legati del sovrano
delle Gallie prodigavangli per sè e per la sua prole, le quali Alessan
dro VI rigettò generosamente per serbar fede aFerdinando, ad Alfonso,
sino ad esporsi al pericolo di soggiacere sè e lo Stato suo all'indigna
zione del vittorioso conquistatore? Non abbiamo mirato con quanta di
gnità scese il Santo Padre al concordato soltanto quando diventava as
solutamente necessario per la pubblica salvezza? Quale altro monarca
secolare sarebbesi regolato con egual prudenza, dignità e moderazione!
Nessuno certo dei suoi contemporanei; l'istoria n'è giudice. Eppure si
vocifera essere stato Alessandro VI di politica capricciosa ed infedele! Qui
ci entra o ingiustizia, o malignità, o ignoranza, o tutto insieme !
-257
CAPO VENTESIMO QUINTO.
Concordato tra pel Papa e per Carlo VIII; atto di figliale ubbidienza
da questo renduto al Pontefice; partenza del re da Roma per Napoli;
refutazione di alcune inesatte affermazioni del Guicciardini e di altri
scrittori riguardo ad Alessandro VI.
Essendo adunque di piana concordia, e con soddisfacente dignità e si
curezza del Pontefice composte le cose, venne firmato da entrambe le
parti il concordato alle seguenti condizioni :
I. Che il Papa per sei mesi concederebbe al reche ilfarebbe guardare
aTerracina, la persona di Zizim (Bosio, Istoria dell'ordine di San Gio
vanni di Gerusalemme) fratello di Baiazetto, ch'era in podestàdel Papa,
conpromessa di restituirglielo. Ma lasommadi quarantamiladucati, che
il sultano pagava annualmente al Pontefice, fu a lui espressamente ri
servata. Alessandro VI, il quale non poteva negarglielo, ad esso il con
segnò con atto solenne, e in una pubblica cerimonia, nellaquale il gio
vane principe turco baciò al re la mano, poscia la spalla destra.
II. Che Sua Santità darebbe a Carlo VIII la investitura del regno di
Napoli, e che rimetterebbe in sua grazia i cardinali ed isignori romani
aderenti alla Francia.
III. Che lascerebbe nelle mani di esso re Terracina, Civitavecchia e
Viterbo e Spoleti, finchè egli ritornasse da Napoli; spedizione che non
era più possibile arrestare, ed accorderebbe per ostaggio di sua fede Ce
sare cardinal Valentino di lui nipote ( osservisi non si dice figlio ) , che
frattanto per onorificenza verrebbe considerato nella corte di Carlo come
legato pontificio.
IV. Che per ultimo sua maestà renderebbe al Beatissimo Padre l'ubbi
dienza figliale ed il sosterrebbe.
In vigore di tal concordato, uscito di castello S. Angelo nel giorno
decimo sesto di gennaio del 1495, il Vicario di Gesù Cristopassò nelgiar
dino del palazzo Vaticano, dove, inginocchiato dinanzi a non so qual
sacro simulacro, stavasene attentamente orando, edaspettando Carlo VIII
questi, sebbene d'animoirrugginito versodelPontefice fosse, per lecalun
nie in lui susurrategli, nulladimeno appena il rimirò da lungi in tal u
mile postura, che mutato ad un tratto d'avviso, esso e i grandi suoi , i
quali l'accompagnavano, si tennero per ingannati, quindi deposto ogni
rancore, con altrettanto e più di venerazione devota e sincera l'abbor
darono e l'inchinarono, checchè ne dicano e blaterino in contrario ine
mici d'Alessandro VI , bramosi di sempre più ravvoltolarlo nel fango
dello sprezzo e della contumelia. Il gravissimo ed eruditissimo scrittore
isicrono al santo Padre , e da Leone X creato poi cardinale, Egidio , ci
serva di irrepugnabile testimonianza e malleveria la più fedele di quanto
17
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258
asseriamo (Egidius cardin. , in Hist. 20, sec. MS.). Carolus VIII com
▸ moto in Alexandrum animo urbem ingreditur, cum multa audisset
› agi, quae minus pastoris sancti officio convenirent; ducitur in hortum
• Rex ad Pontificem, quae cum positis humi genibus orantem invenis
⚫ set, ipse, cum proceribus quibusstipatus ibat, attoniti facti, quem prius
› oderant , statim amare , observare et venerari coepere, falsis in eum
• calumniis se deceptis rati.
In questo avvicinarsi al Papa il principe piego due volteilginocchio:
maAlessandro VI non volendo che gli rendesse i soliti onori, si alzò, si
affrettò a fermarlo e l'abbraccio, non lasciandosi baciare nè lamano, nè
il piede. Abbracciatisi, e fattisi adunque i loro complimenti, il re senza
perdere tempo fece istanza del cappello cardinalizio pel suo primo mi
nistro Guglielmo Brissonetto vescovo di San Malò: cosachefu con subita
puntualità concessa. La cerimonia si fece nellacamera diSua Santità, che
sali sopra il suo soglio, e a lato di lui si pose il re in una sedia un po'
più avanzata. Il maestro di cerimonie fece entrare Brissonetto, il quale
baciò le piante e labocca del Papa, da cui ricevette il cappello.Sidice
che quando il nuovo cardinale volle ringraziarlo, il SantoPadre rispon
desse, che doveva renderne grazie al re; e che allora Brissonetto andò
subito a gittarsi ai piedi di sua maestà cristianissima. Dopo ciò corte..
sissimamente si accomiatarono, e ciascheduno redì alle proprie stanze.
Frattanto(Contin.delFleury, lib. 118, n. ix, anno 1495) volendo Carlo VIII
mostrare al Vicario di Dio, che era disposto a rendergli la sua ubbi
dienza figliale, si convenne di prestar quest'atto nel giornodecimo nono
di gennaio 1495. Venuto dunque questo dì, fu mandato il maestrodi ce
rimonie dal re, a dirgli quello che doveva eseguire in cotale incontro
(Raynald, hoc anno, n. iv.- Albinus, De bello gallico, lib. 6). Quando
egli ebbe inteso il cerimoniale, cui dovea osservare, ascoltò la messa, e
andò a pranzo. Il supremo Gerarca intanto tenne un concistoro, dove
andò molto ornato; ed al postutto invio due cardinalicon molti vescovi
ad avvertire il regnante. Parti questi per girsene al concistoro in mezzo
ad essi, seguito dai principi e dagli ottimati della sua corte. All'arrivo
del monarca, il sommo Pastore prese una ricchissima mitra, ed il re
fece tre profondissime riverenze, la prima entrando in concistoro, la se
conda avanti il soglio del Pontefice, la terza ai piedi medesimi di lui,
baciandogli i piè, le ginocchia, e poi lamano.Indi fu sollevatodal Papa,
ed ammesso al bacio della bocca.
Stando Carlo VIII in piedi alla sinistra del Santo Padre, Giovanni di
Ganny, primo presidente del Parlamento di Parigi, si presentò ad Ales
sandro VI, e postosi ginocchioni, gli disse, che il re era personalmente
ito a rendere ubbidienza a Sua Santità; ma che avanti gli domandava
tre grazie. La prima, che confermasse tutti i privilegi, i quali erano
stati conceduti al re cristianissimo, a sua moglie, e al Delfino, e tutti
gli altri privilegi contenuti in un libro, di cui riferì il titolo.La seconda,
che dessegli l'ottata investitura del regno di Napoli. La terza, che si
annullasse e abolisse tutto quello che s'era fatto ilgiorno prima intorno
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259
alle sicurezze ed agli ostaggi, che si erano richiesti trattandosidella re
stituzione di Zizim (1).
Rispose il Papa, senza smarrirsi punto, alla prima domanda:che con
fermava tutti i privilegi, come gli si chiedea, se erano in uso. Alla se
conda, che trattandosi del pregiudizio di un terzo, gli conveniva consul
tare maturamente coi cardinali; ma che farebbe tutto il possibile per
soddisfare all'inchiesta del re, salvo ogni ingiustizia. Alla terza, che
non dubitava punto che, conferendo col re medesimo, e coi cardinali,
non si accordassero incontanente. Dopo questa risposta il sovrano sog
giunse : Beatissimo Padre, io son venuto per render ubbidienza, e far
riverenza alla Santità vostra, come accostumarono di fare i miei pre
decessori, i re di Francia. Pronunciate queste parole, il primo presi
dente, ch'era sempre stato inginocchiato, si levo, ed amplificò quel che
aveva detto il re, confermandolo.
Alessandro VI rispose ad entrambi in poche parole, e diede al re il ti
tolo di suo primogenito. Indi il Ganny, cheerasi ringinocchiato, si alzò,
edil Pontefice prendendo Carlo VIII per la mano manca, lo condusse
nella camera dei Papi, dove Sua Santità dappoichè si fu spogliatadegli
ornamenti suoi, fece mostra di volere accompagnarlo ; ma questo prin
cipe nel ringraziò, e ritornò al suo albergo senza essere acccompagnato
da niun cardinale.
Guicciardini nondimeno pretende che le cose nonandassero di questa
maniera; e che desse il Pontefice a Carlo VIII l'investitura del reame
di Napoli, malgrado la fede data, e i suoi giuramenti. Cioè scrive egli
al capitolo 4º Convennero..... investisselo il Pontefice del regno di Na
poli ecc.. Ma questo storico ha preso abbaglio. Una sola osservazione
basterà a convincercene. La pretesa investitura, di cui egliparla, portala
(1) Nella biblioteca della R. Università di Torino, ricca di preziosi volumi, uno se ne trova
degno di moltissima osservazione, che prova l'erudizione di Zizim ed il suo gusto per le materie
geografiche, e contiene una lettera manoscritta, e probabilmente autografa di Francesco Berlingheri
fiorentino. L'esemplare magnifico di Torino, diversamente dagli altri, porta invece sul fine del ti
tolo stampate le parole: Allo illustrissimo Gemma sultan. Qual sia la via per la quale ebbe la
Pingoniana quest'esemplare, dalla quale passò alla biblioteca dei duchi di Savoia, non si sa di certo.
Ma non cade altronde alcun dubbio sulla genuinità di questo libro, de' suoi accessorii e della let
tera riferita, giacchè sul volume medesimo trovasi in una iscrizione nobilissima e di carattere non
recente, il passo seguente : Ptolomeus italicus Bysantio advectus e principum bibliothecis ad
Pingonianam tandem ex empto pervenit. Forse questo libro restò fra noi quando nel 1489 im
barcatosi Zizim in Rodi veleggiando verso Nizza con molti. Turchi del suo seguito per andarsene
in Francia, dove giunto, o che si fosse invogliato di portarsi dal duca medesimo di Savoia, che
era in procinto per passare i monti, e di Piemonte andare a Ciamberi, o che la peste la quale
durava in alcuni luoghi di Provenza, non permettesse di tenere la strada marittima di Marsiglia,
fu a dirittura nel principio di quest'anno condotto da Nizza in Piemonte, di dove poi andò in Francia,
come dice la cronica manoscritta di Cuveo, che lo chiama Sultano Giaume con queste prole :
" Nel principio di quest'anno fu in Cuneo Sultan Giaume, figliodel fu Mahomet II, Gran Signore,
" accompagnato da 4) cavalli de' suoi Turchi e da cavalieri Gerosolimitani, dai quali aveva sal
vacondotto, ed in Nizza era stato regalato. D'indi si parti per Savigliano per andare dal re di
» Francia, o dal duca di Savoia ». (Pietro Goffredo, istoria delle Alpi marittime, lib. xxvi.)
4
260
datadel giorno ottavo di settembre 1494; orciò non fu fuorchè quattro
mesi più tardi dell'entrata di Carlo in Roma.
Il giorno ventesimo dello stesso mesedi gennaio, festadi S. Sebastiano,
risolvette il Papa di celebrare la messa pontificalmente in grazia di sua
Maestà. Questo principe, avanti che v'intervenisse, volle pranzare, e il
Papa l'attese un quarto d'ora. Andò finalmente con la suanobiltà, senza
armi, e le sue guardie restarono fuori della cappella. Il Pontefice fece
sedere il re sopra un nudo sedile, sul quale vi era solo un cuscino di
broccato. Egli si arrecò ad onore d'assistere il VicariodiDio allamessa;
ed egli stesso vi verso l'acqua sulle mani. Era accompagnato in questa
cerimoniadai signori di Foix, di Mompensieri e di Bresse. Il signoredi
Ligny che dormiva ogni notte nella sua camera, portava unbacino, ed
un altro portò un tovagliolino. Questi restò a' piè del soglio del Papa,
e consegnò il tovagliolino al re, poi gli presentò il bacile, che fu preso
dal re parimente; essendo questo principe salito dov'era il Pontefice, gli
versò dell'acqua sulle mani, e fece lo stesso dopo la comunione. Il Suc
cessore di San Pietro per lasciare alla posterità la ricordanza di queste
due azioni, le quali dinotavano la sommissione d'uno dei primi re della
terra verso la Santa Sede, le fecedipingere nellagalleriadi Sant'Angelo,
dove ancora presentemente si ammirano.
Si legge in un'opera di Giovanni del Tillet, citata dallo Spondano, un
fatto che non debbe omettersi inconfutato, di cui niuno degli scrittori
coevi fanno menzione veruna; ed è, che il re sia stato dichiarato im
peratore di Costantinopoli dal Papa, senza che se ne alleghi laragione.
Soggiunge lo Spondano, che avea nelle sue mani una copia dell'atto
pubblico, che si trova negli archivi del Campidoglio, in data del sesto
giorno di settembre del precedente anno, in prima che il re fosse arri
vato a Roma (Jean du Tillet in chronic.
Spond. ad anno 1495, n. 2,
col quale Andrea Paleologo afferma, lui essere il legittimo successore al
trono di Costantinopoli, come primogenito di Tommaso fratello di Co
stantino ultimo imperatore, ucciso nell'assedio di quella città e morto
senza figliuoli; il quale avendo inteso, aver Carlo VIII redi Francia de
signato d'assalire ilTurco, per facilitargli una cosi gloriosa impresa, ce
dette per irrevocabile donazione inter vivos l'impero di Costantinopoli
con tutte le sue dipendenze, e quello di Trebisonda, aCarlo edai regali
suoi successori ; non riservandosi altro che il principato della Morea, o
del Peloponneso, cui Andrea suo fratello avea posseduto un tempo par
ticolarmente.
Orasu questadonazione favolosa vorrebbesi appunto fondare unano
vella accusa grossolana contra Sua Santità, che non solamente avesse
dato a Carlo VIII l'investitura del reamenapolitano, ma ancoraavesselo
proclamato imperatore d'Oriente. Utopia! perocchè quest' affermazione è
più marchiana ancora di quella succitata del Guicciardini, e confutata
da noi, quantunque il medesimo scrittore s'ingegni ad ogni modo per
provare che il Papa non pure si piegò alle esigenze del monarca fran
cese, ma che giunse egli persino adichiararlo imperatore di Costanti
--
261
nopoli , quando gli consegnò Zizim. Ed a rincalzo di questa asserzione
la quale non si rinviene in veruno storico contemporaneo, egli mette
fuori quel documento che consiste in un atto rogatodadue pubblici no
tari, ed in forza di cui Andrea Paleologo trasferisce a Carlo VIII l'im
pero d'Oriente. Questo brano, dic'egli è stato scoperto dalducadi Saint
Aignan, ambasciatore di Francia a Roma nel XVII secolo, ed inviatodal
Papa a Luigi XIV. Tuttavia non è meritevole dicredenza alcuna, poichè
sappiamo che l'atto di cui si tratta, diligentemente esaminato , è stato
riconosciuto apocrifo e falso. Oltre a ciò , sei anni dopo che si sarebbe
stipulato questo contratto, Paleologo fece il suo testamento, e legò i suoi
diritti a Ferdinando ed Isabella, sovrani di Spagna. Ora è egli da cre
dere che avrebbe fatto cotesto, quando avesse inprimad'allora disposto
del suo impero? Questa nuova disposizione non avrebbeeccitato riclami
per parte dei gelosi sovrani di Francia , e la storia così minutamente
seritta dalle suscettibili penne francesi , in quello che ragguarda la na
zione loro , non ne avrebbe parlato? Così ragioniamo col savio abbate
Jorry in Alessandro VI , e quanto più ci pare un'anomalia la supposta
dichiarazione, altrettanto più diritta ci avvisiamo che siane la refutazione.
Ma ritorniamo in sentiero.
Sorridendo all'impresa di Carlo VIII lusinghevolmente presso che l'u
niversa Italia, ed ultimate avendo le sue bisogna col Santo Padre, egli
lasciò l'eterna città, dopo avervi stanziato presso che un mese, edurante
questo tempo eivisitenne come sovranod'essa, rendendo giustizia e casti
gando icolpevoli di sua propria autorità. Cosa che non era conforme
alle sue promesse. Il giorno adunque ventesimo ottavo di gennaio 1495,
partissene alla volta del regno di Napoli , e parve che il cielo assecon
dasse altresì tutti i suoi passi, perchè quel verno fu così dolce, quieto ,
e sereno, che sembrava una primavera ridente, in guisa che alle falangi
franche non riusciva d'incomodo o danno il fare viaggio in quella sta
gione.
Noi non per anfratti abbiamo condotto il leggente , o con artificiose
parole o istudiati pensieri, o rettorici fiori non abbiamo cercatodi allu
cinarlo, e di celargli la vita del pontefice Alessandro VI. No , ma con
semplice affatto e diritta narrazione gli abbiamo espostanudamente tutta
la sua condotta, e attingendo ai fonti stessi non troppo ad esso lui fa
vorevoli, eppure ne risulta che l'agire d'Alessandro VI e come pontefice
e come sovrano, fu equo e dignitoso verso di Carlo VIII , verso Alfonso
di Napoli e degli altri principi italiani. Pertanto non sappiam noi com
prendere nè spiegare come autori anche di rinomanzaabbiano taciutoo
svisato, confuso quei documenti i quali avrebbero potuto mondare non
solo d'ogni pecca lamemoriadel Pontefice romano, mache anzi, riferen
doli tali quali sono, nel naturale e semplice loro aspetto, le cose in essi
narrate apparirebbero consentanee al vero ed alle dignità del Capo su
premo della Chiesa, poichè se ignoranti, doveano erudirsi sulle materie
che imprendevano a trattare; se maligni falsari, sfuggir non possono
l'onta che eternamente ricadrà sulla fronte loro obbrobriosa.
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262
CAPO VENTESIMO SESTO.
Alfonso re di Napoli abdica a Ferdinando , e muore. Zizim muore nel
campo di Carlo VIII; si purga Alessandro VI dall' accusa datagli di
averlo avvelenato; Opere di Ferdinando re di Napoli; ingresso trion
fale di Carlo VIII in questa città ; Lega dei principi italict onde pre
munirsi dalla soverchiante fortuna delle armi francesi; il Papa nega
formalmente a Carlo VIII l'investitura del regno di Napoli.
Frattanto a Napoli compievasi un avvenimento che dovea aver per lo
regno conseguenze molto funeste.
Essendo alle orecchie d'Alfonso pervenuti gli accordi pattuiti tra pel
Pontefice e per Carlo VIII, ed intimorito dei sintomi di malcontento che
si manifestavano palesemente in mezzo a'suoi sudditi; è fama eziandio
(se però è lecito tali cose nondel tutto disprezzare) che lo spirito di Fer
dinando appari tre volte in diverse notti a Jacopo, primo cerusico della
corte, e che prima con mansuete parole, di poi con molti minacci gl'im
pose, dicesse ad Alfonso in suo nome che non isperassedi poter resistere
al re di Francia, perchè era destinato che la progenie sua, travagliata
da infiniti casi, e privata finalmentedi sìpreclaro regno, si estinguesse ;
esserne cagione molte enormitàusate da loro, masopra tutte quellache
per le persuasioni fattegli da lui , quando tornava da Pozzuolo , nella
chiesa di San Lionardo in Chiaia appresso Napoli aveva commessa. Ciò
da Alfonso inteso, disperando non meno della fede de'suoi popoli e dei
suoi baroni, ai quali era divenuto esoso, che d'ogni altro soccorso, giacchè
nè in Lombardia, nè in Toscana, nè in Romagna non aveano le armi
francesi trovato impedimento, conobbe che in sì pericolose contingenze
tornavagli impossibile il conservare il regno; quindi per poter rimediare
in qualche parte ai mali imminenti piegò (Summonte, Istoria di Napoli),
come riporta il Summonte , alle esortazioni del Papa e del cardinale
Ascanio suo cognato, risolvendosi di rassegnare la corona a Ferdinando
suo figliuolo primogenito, e di cercare la propria sicurezza nella fuga.
Per questo fece a sè venire il suo segretario Pontano, ed alla presenza
di Federico di lui fratello, ed alquanti de'suoi conti e baroni, dettogli,
il giorno 23 giugno 1495, un atto di formale abdicazione. Speravasi as
saissimo (Guicciard , Istor. d'Ital.
Ammirati, Istor. di Firenze) che es
sendo questi universalmente amato dai nobili e dalla plebe per le sue
lodevoli doti, ben diverse dalle paterne, alla difesa di lui, e del regno
tutti concorrebbero. Difatto il riconobbero presto per loro sovrano.
In questo Alfonso, abbandonato il trono, improvvisamente se ne uscì
da Napoli, tenendo molto segreta la sua evasione, si recò con alcune
persone di confidenza al porto, e trovate qui quattro galere, onuste delle
sue masserizie di maggiorpregio, vi montò prontamente e fuggissenein
-263
Sicilia. Credeva egli continuamented'avere i nemici alle spalle, elanotte
svegliavasi gridando ch'essi l'arrestavano. Un soffio d'aria, il romordelle
frondi, le pietre stesse, e gli oggetti medesimi i più insensibili , accre
scevano ad ogni istante il panico terror suo. Ei guadagnò Messina di
Sicilia, ed andò a seppellirsi in un monastero di Monte Oliveto, in cui
èfama che vivesse in una maniera edificante, e riparasse alla meglio
gli scandali della sua vita passata. Felice se vi conservò quel grado di
fede cristiana, essenziale ad ogni virtù, e senza cui tutta l'edificazione
che si dà, non giova tranne a quelli che la ricevono! Vi morì il di
ciannove di novembre 1495, in età di quarantasette anni.
Inteso dal Santo Padre l'interito d'Alfonso, si affrettò fargli celebrare
in Roma onorate esequie, non meramente perchè fosse il duca di Cala
bria spagnuolo, come il mordace Burcardo gracidava, ma per vero atto
di cristiana pietà, ci assicura il veridico Paride Grassi contemporaneo
delBurcardo, e cerimoniere anch'esso di Sua Santità, evollesi cantasse
nella cappella papale in suffragio dell'anima di quell' infelice monarca
una solenne messa da requie (Capo LIV, Dei funerali pei sovrani nella
cappella papale).
MentreNapoliammirava il suo re deporre ildiademaper coprirsi della
cuculla fratesca; e dal soglio al chiostro, dal chiostro alla tomba rapi
damente trapassare, contemplava pure nel suo grembo Ferdinando II, il
qualenulla ritraendo delle ingiustizie e delle crudeltàdi suo padre, tutto
intento lo vedeva a felicitare i suoi sudditi. Appena asceso sull'avito trono,
ei mise in libertà tutti i nobili che Alfonso aveva fatto imprigionare, ren
dette ai legittimi padroni gli averi che loro erano stati tolti, e rimedió
agl' ingiustamente, od arbitrariamente angariati, ed accordo ai Napole
tani magnifici privilegi, copiose grazie.
Per mala ventura queste savie misure venivano ad effettuarsi troppo
tardi. I partigiani dei Francesi si erano di troppo assai innoltrati, perchè
indietreggiassero, e nelle file loro si ritrovavano i principali ufficiali dello
Stato. Il timore inoltre potè sugli animi assai più che non l'esempio e
la generosità del principe. Tuttavia Ferdinando pervenne a raggranel
lare uncorpo di sei mila uomini all'intorno, cui pose sotto gli ordini
di Gian-Giacomo Trivulzio. segnalatissimo guerriero, e di Nicolò degli
Orsini conte di Pitigliano. Poscia condusse la sua picoola armata a San
Germano, piazza forte e considerata in allora come una delle chiavidel
regno. Nel medesimo tempo egli annunció pubblicamente la risoluzione
in cui era di difendere i suoi diritti sino all'ultimo estremo; ed è anche
apresumere che se non fosse stata la perfidiae lavigliaccheriade' suoi
uffiziali, egli avrebbe fatto una resistenza, se non vittoriosa, almeno ono
revolissima. Carlo VIII intese l'abdicazione d'Alfonso inquellache usciva
di Roma per marciare sopra Napoli a grandi giornate. Quando quel Zi
zim fratello di Baiazette il gran sultano de' Turchi, col mezzo del quale
opinavano i Francesi di poter operare maravigliose imprese contra deí
Maomettani, e impromettevansi d'impadronirsi di Costantinopoli, venne
sorpresoda fiero malore che in brevissimo tempo il trasseal terminedel
viver suo infelice.
264
Questa ventura sorprese tutti (Contin. di Fleury, Istor. eccl., an. 1495,
lib. 118, n. vi), e divenne il soggetto di troppi commenti, e di piùd'una
calunnia: quantunque fosse naturalissimo il pensare che ildisagioavesse
abbreviati i giorni suoi. Alcuni dissero, che i Veneziani corrotti per da
naro dai Turchi, e intimoriti dalla spedizione dei francesi, gli avessero
segretamente fatto propinare il veleno. Altri han sostenuto che cagione
d'una così precoce fine del principe ottomano sia stata la trascuratezza
di coloro ai quali era stato affidato.
Nelle Memorie istoriche dei monarchi ottomani, Sagredo riferisce che
Zizim morì aTerracina tre giorni dopo d'essere stato consegnato a Carlo
VIII, per veleno propinatogli da Alessandro VI, al quale il sultano Ba
iazette aveva promesso a mercede di questo delittouna somma ingente.
Guicciardini pretende altresì essere stato Zizim avvelenato ad istiga
zione del Papa, e secondo lui, fu a Napoll dovebasìil principe sgraziato.
L'opinione più comune (volle anche scrivere il buon Muratori, senza
troppo onore al suo gran nome) era, che il Papa l'avesse consegnato a
Carlo VIII già col veleno in corpo, perchè la Francia non ne ritraesse
vantaggio alcuno, e che Alessandro VI avesse per questo ricevutadaBa
iazette una somma smisurata di danaro (Raynald., ad hunc ann. 1495,
n. 12); e così dicasi del Giannone. Per contra Corio, d'accordo con Sa
gredo sopracitato intorno al luogo ove morì Zizim, dice che la morte
dilui fu effetto della poca cura la quale si prese il monarca francese del
suo captivo. Ed il Berchastel riporta, leggersi negli annali turchi (Leun
clav., lib. 16. Berchastel, ann. 1495, Istor. eccl), che Zizimo fu avvele
nato da un ufficiale dei giannizzeri per nome Mustafa, spedito a questo
effetto da Baiazette, sotto pretesto dell'annuo pagamento della pensione,
eche corse fama ch'ei non l'avesse fatto salvo col consenso delprincipe
d'Italia col qual nome il Papa è chiamato fra i Turchi. Ora chi amator
del vero oserebbe spacciatamente incriminare il Papa di tale avvelena
mento, quando il Fabre anteriore al Muratori d'assai ed attento a mor
dere la riputazione di lui, assevera che Zizimo peri di disagio, o che se
fu avvelenato, questo maleficio si operò dai Veneziani (1)? Lo stessoBer
chastel, acerrimo rivelatore delle magagne d'Alessandro VI, riferisce che
gli annali turcheschi accagionano di ciò Baiazetto medesimo, e si limi
tano col dire, per legittimare l'azione iniqua, correr fama aver in ciò
ottenuto l'assenso del Papa. Domanderemo noi al Muratori si diligente
annotatore in altre minuzie; epperchè occulto quelle sentenze cui certo
(1) Il lettore si compiaccia di rileggere quello che scrisse il Comines, Appendice 1, numero 11,
intorno alla morte di Zizimo , e di leggieri rileverà con quanta premura i Veneziani vigilassero
su di questo principe turco, e con quali sforzi e mezzi biasimevoli siansi adoperati per essere i
primi ad arrecare a Baiazet la notizia della morte di lui , affine di percepire l'ingente somma
promessa. Auri sacra fames !
L'autore dell' Enciclopedia usuale Charles Saint-Laurent troisieme édition, Paris 1845, il quale
cérto non è parziale al Papa Alessandro VI, egli alla parola Zizim riporta che corse voce essere
stato Zizim avvelenato dal suo barbiere. Non avrebbe mancato questo scrittore imputare al papa
la morte di Zizim se l'avesse consegnato al re, avvelenato.
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265
avea perlemani, giovando questeassaissimo adiscolparneAlessandroVI?
Noi non l'intendiamo! ma se non l'intendiamo, sappiamo contuttoció
positivamente da Panvinio medesimo, il quale distava pochissimo da
Alessandro VI, e per essere napoletano erane accusatore solertissimo, che
Zizimo è morto di dissenteria in Capoa (Panvin., in vita Alexandr. VI).
Dappoichè noi abbiamo riferito esattamente quanto a difesa d'Alessan
dro VI scrissero sulla morte di Zizim autori contemporanei, o vicini aquei
dì, ragion vuole che arrechiamo altresì in mezzo quello che a discolpa
del medesimo ne riporta Artaud de Montor dappresso alla coscienziosa
autorità di Desportes, nella Biografia universale I, 525, il quale si esprime
così intorno al nostro soggetto :- •Questo principe infelice morì per
› cagione d'una dissenteria, malattia comunissima, e presso che inevi
, tabile in un esercito assai numeroso, sotto un clima che eragli estra
▸ neo....; di tutte le accuse risulta un'oscurità che avrebbe dovuto ren
▸ derei copisti più diffidenti, e far osservare a ognun di loro lacautela
▸ del presidente Hénault, che racconta cotal avvenimento come un ru
▸ more pubblico, e non lo dona punto come un fatto positivo. ,
• La vita di Zizim diveniva preziosa per chiunque doveva temere i
Turchi. Alessandro, più d'ogni altro, sapeva che era utile alla Santa Sede
ed alla Francia il conservare un tale ostaggio. Chi poteva mai ignorare
che questo ostaggio venendo a morte, Baiazetto, nonostante tutte le sue
promesse, non sarebbe ad esse fedele, poichè la sua religionetoglievagli
quasi onninamente qualunque scrupolo per l'esecuzione de' trattati coi
cristiani ? Noi non cercheremo, no, ad iscusare Alessandro in altre cir
costanze: ma in questa egli debbe esser difeso. Carlo marciava sovra
Napoli, e ad ogni modo dovea egli ripassare per Roma, e ritrovare il
Papa. Carlo il lasciò ad Orvieto, perchè non giudicò decente l'inseguirlo.
S'esso avesse voluto impadronirsi della persona del Beato Padre poteva
riuscirvi. Emergerebbe in questa consegna di Zizim avvelenato, unacom
plicazione offensiva, un insulto di più, un mancamento formale ad uno
de' più importanti articoli del trattato. Non venne, no, Zizim avvelenato:
questi morì di fatiche, di dolore, di cruccio, di collera, vedendosi trasci
nare dietro ad un'armata che, alla fin fine, se la espedizione di Napoli
avesse riuscito, doveva poi marciare contra di Costantinopoli ; un'armata
nella quale ciascheduno di leggieri comandava a suo libito, benchèavesse
le viste d'esser diretta da un solo capo, il re di Francia, principe gio
vane, e governato da ambiziosi dei quali uno aspirava fino alla tiara.
Questi era un personaggio di grande saviezza; ma il più savio talora
non può evitare i falli.
• Da ultimo , Baiazet era liberato dalla paura che gl'inspirava il suo
fratello e dichiarava la guerra ai Veneziani. Alessandro (e questa è una
prova di sua innocenza in questo affare) prese la difesa dei Veneziani,
e minacciò Baiazet di una guerra generale dei cristiani contra l'impero
turco.
• Si cicalerà, che vi regnava intelligenza tra pel Turco e pei ministri
di Roma? Sorgonvi impossibilità, e nonbisognamaicrearsi de' fantasmi,
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altrimenti si sdrucciola negli assurdi. Baiazet sospese i suoi preparativi
della guerra , e si contentò di gioire della morte d'un suo rivale, che
d'altronde, dall'istesso diritto pubblico degli effendi, non avea niuna ra
gione di rivendicare la corona, perocchè i Turchi vittoriosi colla scimi
tarra in pugno, certo che nè favorivano, nè partecipavano alle idee dei
Greci abbattuti.
•Checchè nesia, Baiazet aveva potuto interrompere i suoi preparativi;
ma il genio di sua nazione non permetteva punto al lei capo un lungo
riposo. Le congiure locali , e sopratutto quelle delle milizie, esigevano
imperiosamente che il principe facesse la guerra. Baiazet si decise ad
aggredire i cristiani , ed espugnò a danno dei Veneziani Modon , città
della Morea.
•Alessandro eccitò da capo i cattolici a mostrare più d'unione e più
di zelo per la religione. Egli si avanzò infino a dichiarare, che se il re
di Francia, od il monarca di Spagna si poneva alla testa della crociata,
il Pontefice ne farebbe parte esso medesimo . Così Artaud deMontor.
Or perchè mai tutti cotesti scrittori sono così divisi intornoad unav
venimento , il quale pure dovette fare assai impressione quand'esso av
venne? Non saremmo quasi tentati a dire che ognuno di essi abbiavo
luto coniare la storia a suo talento? Per non dipartirci dal vero, noi
conchiuderemo che la fine di Zizim non debbe essere attribuita nè a ve
leno, nè a cattiva volontà del re di Francia. Se noi crediamo alle cro
nache del tempo, le quali ci sembrano essere ben più degne difede che
non i racconti del Guicciardini, del Muratori, delGiannone, del Sagredo,
del Corio e dello sfrontato giornalista Burchard , Zizim era un principe
vile, corrotto, che passava igiorni e le notti nelle tresche e nei bagordi.
Consunto dal vizio, non conservava più che un debole soffio di vita.
Allorchè fu dato nelle manidi Carlo VIII, lasua sanità già logora, prese
ungrande tracollo per lo mutamento di luogo, per lo strapazzo del
viaggio e per li dispiaceri della solitudine e della cattività. In questo
stato, ei fu colto all'improvviso da una crudele dissenteria, cheaggiunta
alle cause or ora da noi accennate, portosselo in pochi giorni. Del rima.
nente si possono consultare sopra questo fatto le sagge ricerche pubbli
cate novellamente dal dotto de Matthias celebre critico romano, dove si
trova solidamente provato il quidetto da noi, esmascherata interamente
la menzogna di Giannone, che fa il Papa autore dell'attossicamento di
Zizimo (Audin, Hist.de Leon X, tom. 1, pag. 299). Sappiamo ancora da
una lettera di Baiazet volgarizzata) (lib. 2, Epistolarum principum), che
costui avea promesso 300 mila talentid'oro a chi avesse sbarcato suqua
lunque spiaggia di sua dizione il cadavere di Zizimo, e che in essa per
nulla s'incolpa il Papa di similnequizia, di che non avrebbero trascurato
di notare gli autori dell'opera citata Vita e gesta dei S. R. Pontefici , in
Alessandro VI (1).
(1) Vedi l'Appendice iv, in fine di questo capitolo. Il Fleury, lib. 116, n. cxix, an. 1490, rac
conta come Baiazette col mezzo d'un certo Cristoforo Macrin al quale aveva promesso ingenti ric
--
267
Il tempo non avea per anche mitigato questapiaga nel cuore delmo
narca gallo, che altro avvenimento disgustoso venne ad esacerbarla. Ap
pena era egli giunto a Velletri si accorse , scrive qui il Muratori , che
Cesarecardinal Valentino figliuolo d'Alessandro VI, alui dato perostaggio,
improvvisamente se ne fuggì e ritornossene a Roma (1). Dal che tanto
più rimase accertato il re dell'astuzia e della poca fede del Papa. Pare
proprio che il Muratori imprenda a pungere il Pontefice tutte le fiate
che bene o male se gliene presenta il destro, senza assumersi l'incarico
che nell'accusare od aggravare svantaggiosamente un fatto, gli incumbe.
Il Continuatore del Fleury (Contin.del Fleury, lib.118, ann. 1495, n. 1),
sebbene sia travagliato dal prurito in quei di comune a tutti gli oltra
montani, di lacerare la fama d'Alessandro VI, nulladimeno si appagadi
moderatamente insinuare: che forse non avea dispiacere di vedersi in
quel modo liberato dall'osservare o no , il trattato che avea conchiuso
con Carlo VIII . Certo che se ciò fosse avvenuto per mala fede d'Ales
sandro VI, questo scrittore non avrebbe mancato di rilevarlo per anne
rire la fama del Papa, e gliautori cui teneva apposè, ilComines (Mém.
de Comines, lib. 7, c. 12) e La Vigne (LaVigne, Journal des voyages de
Charles VIII), essendo coetanei a questo monarca e suoi caldi partigiani,
oltre all'essere ben istruiti del vero , non avrebbero mancato di biasi
marne SuaSantità. Ora non avendo il Continuatore delFleury avventato
cotale sfregio sulle guancie d'Alessandro, il che certo non avrebbe om
messo, se fossegli constata la certezza della connivenza del Papa nella
fuga di Cesare; sarà egli degno di scusa il Muratori che toglie così oc
casione per raumiliare il Santo Padre imputandogli senza prove un'a
zione personale del Valentino? Noi saremmo stati più riguardosi! Pro
seguiamo.
La marcia dei Francesi verso la capitale del regno di Napoli fu im
prontata da eccessi d'ogni ragione. Le piazze di Montefortino e di Monte
San Giovanni furono prese di viva forza dopo alcuni giorni d'assedio.
Il re temendo non forse il nemico gli tagliasse la strada alla capitale,
lasciò tutto ad un tratto il campo di San Germano, e ritirossi verso il
meriggio. L'armata gallicana avanzò sì rapidamente, che Ferdinando II
facendo la sua ritirata, fu costretto ad abbandonarle una parte di sua
artiglieria. Giunto a Capoa, egl'intese che Napoli era teatro di discordie.
che richiedevano tosto la sua presenza. Rimesso adunque il comando
delle sue soldatesche a Trivulzio , vi si recò in tutta fretta, sperando di
arrestare la sedizione, e di tosto ricomparire alla testa della sua piccola
armata; ma avea egli a mala pena lasciato il campo, che il suo gene
chezze ed onori maravigliosi , aveva tentato d'avvelenare il Papa Innocenzo VIII e Zizimo; ma
costui appena giunto in Roma essendo stato scoperto con li suoi numerosissimi complici , convinto
econfesso, fu condannato a morte.
(1) Noi nell'Appendicem, numero 11, abbiamo rimarcato dietro all'autorità del Comines , che
Zizimo premori alla fuga del Valentino : perciò anche in ciò cogliamo in fallo il Muratori.
۱
-268
rale, venendo a patti con Carlo VIII, consegnò in mano a questo prin
cipelapiazza, e si acconciò sotto le bandiere di lui. Questo vile ed indegno
tradimento decise della sorte del regno.
I Napoletani, che parteggiavano giàdagrande pezza pel redi Francia,
non dissimularono più le loro intenzioni. Ogni resistere da parte di Fer
dinando II diventava oggimai impossibile. Il principe andossene a Ca
stelnuovo, e raunati quelli tra li suoi sudditi che non aveanlo abbando
nato, spiegò loro i motivi dai quali erasi lasciato condurre al trono,
espresse loro qual vivo dolore sentiva di non averpotuto riparare imali
cagionati dall'amministrazione dei suoi predecessori, sciolse isuoi popoli
dal giuramento di fedeltà cui gli avevano da così pochi mesi prestato, e
permise ad essi di venire a trattati col monarca francese per la sicurezza
loro particolare, e per la conservazione dei privilegi loro.
Sentimenti tanto generosi mossero tutti i cuori; ma la speranzad'ar
restare il torrente che ingrossava era svanita. Il re temendo chegl'insorti
napoletani non si impadronisserodi lui perdarlo nelle mani di Carlo VIII,
abbandonò la città accompagnatoda Federico suo zio, dalla regina usu
fruttuaria di Napoli , vedova di Ferdinando I, e da Giovanna figlia di
costei. E' s'imbarcò per Ischia, piccola isoletta situata a trenta miglia
dalla spiaggia, e rassegnandosi alla volontàdel cielo, fu inteso con santa
filosofia ripetere col salmista : Se il Signore non custodisce egli la città,
invano fanno gli uomini i loro sforzi per difenderla › .
Ma quanto più infelice fu l'impresa di Ferdinando II, altrettanto più
arrise a Carlo VIII la sua.Non immoreremo noi qui a descrivere questi
fortunati successi del monarca francese nellaconquistadi Napoli, il quale
attraversata grandissima parte d'Italia pressochè senza ostacolo e senza
trar la spada, giunse fino alle porte di quella città. Niuna impresa di
guerra ebbe mai con sì poca virtù di chi la fece, esitosì rapido e sì fe
lice, infino da parere favoloso. Perciocchè essendo il Re Carlo partito di
Lione sulla fine dell'estate del 1494, entrò il 21 o 22 febbraio 1495 del
seguente anno, prima che l'inverno finisse, in Napoli, frammezzo alle
grida di gioia d'una moltitudine accecata, cavalcando un corsiero bianco,
vestito degli abiti imperiali, colla corona in capo, col globo d'oro nella
destra, e collo scettro nella sinistra, sotto unbaldacchino portatoda' più
grandi signori della contrada, e gridando il popolo: viva l'imperatore
augusto. Coloro medesimi i quali furono dai principidella casa decaduta
ricolmi di più benefizi, furono i primi aporgere segni d'adesione al no
vello imperante. Ma che altro si può aspettare da anime venali e da
piaggiatori, se non seingratitudine? DappoichèCarlo ebbe rendute grazie
aDio innanzi all'altare della cattedrale, fu condotto a Castel-Capuano,
antica residenza dei principi Angioini, attesochè Castelnuovo affidato da
Ferdinando alla guardia del marchese di Pescara, Alfonso d'Avales, non
era per nulla disposto ad arrendersi. I baroni napoletani vennero a sa
lutare il re. In nome delle province edelle città più discoste!, a riserva
di pochissime piazze, le quali si tennero per gli Aragonesi (Mém. de Co--
mines , lib. 7.
La Vigne, Journal des voyages de Charles VIII. Ap.
Daniel , Hist. de France.
269
Guicciardini , cap. 36, e Porcacchi pag. 5),
giunsero deputati portandogli a gara le chiavi della città e fortezze, per
sottomettersi all'autorità di lui. Da ultimo, in capo a soli tredici giorni
dopo la partenza di Roma, Carlo VIII veniva riconosciuto e proclamato
re di Napoli.
Così per le discordie domestiche, veniva meno la saviezza tanto famosa
di molti dei nostri principi , si alieno con sommo vitupero e derisione
della milizia italiana , e con grandissimo pericolo ed ignominia di tutti,
una preclara ed importante parte d'Italia dall'impero degli italiani, pas
satasotto il dominio di gente oltramontana; poichè Ferdinando il vecchio,
sebbene nato in Ispagna, nondimeno infino alla prima sua gioventù era
stato o qual figliuolo di re o come sovrano continuamente in Italia, e i
figliuoli e nipoti di lui tutti nati e cresciuti a Napoli, il cui unico regno
essendo indipendente, erano a ragione riputati italiani.
Questa nuova fu da diversi principi d' Italia variamente sentita. Ales
sandro VI sopra untale avvenimento che il riguardava per nulla, tenne
silenzio. Appena, appena così per facezia disse quandochessia : i Fran
cesi hanno corsa l'Italia quant'ella è lunga con isperoni di legno, e ne
fecero il conquisto con del gesso . Alludendo al costume degli ufficiali
di questa nazione, i quali, nelle loro scorrerie acavallo, si servivanoper
isperoni di pezzi di legno aguzzati , ed all'uso del gesso che facevano i
marescialli d'alloggio dell'esercito per segnare le case, ove si dovevano
ridurre i soldati.
Rimaneva a sottomettere le due più forti rocche della città; il Castel
Nuovoed il Castello dell'Ovo. Il primo si arrendette dopo tre giorni di
assedio, ma l'altro fece più lunga resistenza. I Francesi furono obbligati
abatterlo in breccia per più giorni, ed a condurresotto le murad'esso
tutta la loro artiglieria. Finalmente dopo un cannoneggiamentonon in
terrotto di tre giorni e tre notti, durante i quali, fu lanciata nella for
tezza una quantità spaventevole di palle, la guarnigione capitolò il 13
di marzo, e si arrese a condizione di potersi ritirare dove meglio giu
dicherebbe. In mezzo a questi trionfi il re vittorioso non era però tran
quillo. Ferdinando II, tuttochè avesse guatatodal propugnacolo d'Ischia
la sua regale città darsi ai Francesi, e sulle altere di lei torri svento
larvi l'inalberato francese vessillo, avea dato prove tali di coraggio e di
risolutezza, ond'era ben a credere che la prima occasione gli si presen
tasse di ricuperare gli Stati suoi, non l'avrebbe certo lasciata sfuggire.
Carlo adunque fece chiedere a Federico, zio del giovane re, un abboc
camento a Napoli, e gli propose per lo nipote eper tutta la famigliadi
lui dei magnifici dominii in Francia, se Ferdinando consentiva a cedergli
i suoi diritti al regno di Napoli. Federico rispose: sè conoscere assai
bene il pensare del principe intorno a cotesto, e poterlo assicurare che
nondarebbe giammai il consenso ad un baratto di tale natura. E dopo
una seconda conferenza niente più conchiudente della prima , Federico
uscì della città, e si ridusse da capo presso l'esule illustre, il quale l'at
tendevaad Ischia, impaziente d'assapere l'oggetto, ed il risultato di questo
convegno,
--270
Ferdinando, come si era preveduto, da quel punto tutto si volse con
un'ammirabile attività ad avvisare e studiar i mezzi da rientrare ne'suoi
Stati. Lasciando il suo ritiro, fece vela per la Sicilia. A Messina trovò
suo padre, ed insieme si consultarono intorno alle disposizioni da pren
dersi più acconce a rilevare la fortuna loro decaduta. E fu stabilito di
mettere in opera ogni cosa per impegnare il re di Spagna a pigliare a
cuore lacausa loro, e di questa missione fu incaricato Bernardo Bernaudo
segretario della corona.
Il re di Spagna avea sopra il regno conquistato dai Francesi dei di
ritti per lo meno tanto valevoli quanto quellidi Ferdinando e suacasa,
poichè desso era legittimo erede d'Alfonso I re d'Aragona, di Napoli e
di Sicilia, attesochè Ferdinando I, avolo d'Alfonso II e primo re diNapoli,
non ne era che il figliuolo naturale. È ben vero che quest'ultimo ne
avea ottenuta dasuo padre l'investitura, e che ilre di Spagna si era da
bella pezza adattato a questo smembramento. Ma quanto lapotenza del
ramo di Napoli era in basso caduta, altrettanto erano cresciute le forze
e le ricchezze di quello di Spagna, il perchè poteasi temere non si de
stasse il principe ispano, che n'era capo a quei giorni, a rivendicare di
ritti cui egli avea infino alloranegletti. Comunque ella sia, la negozia
zione portò l'effetto bramato da Fernando II e da suo padre.
Impertanto Ferdinando il cattolico, re d'Aragona e di Sicilia, non solo
non si tenne pago d'avere mandati a Carlo VIII ambasciatori con pro
teste di guerra, ogniqualvolta intendesse egli molestare il re di Napoli,
maancoraspedì appresso in Sicilia Consalvo Fernandez di Cordova, chia
mato il gran capitano, con sei mila fanti e seicento cavalli, ingiungen
dogli di vegliare agli andamenti de'Francesi, e di opporsi loro : chè non
potea unquemai piacere al sovrano aragonese d'avere un sì potentene
mico confinante al suo regno di Sicilia.
La rapida prosperità del monarca gallo impensieri parimente e sba
lordi i principi itali, generando nel cuor loro non lievisospetti, che quel
regnante venuto in Italia sotto pretesto di portare le armi contra il Mu
sulmano, aspirasse unicamente ad imporre il giogo a tutti gl' Italiani.
Per rintuzzarlo adunque validamente, nell'Italia settentrionale si ideò una
lega imponente tra diversi Stati della Penisola, de' quali furono i più
possenti i Veneziani, Massimiliano I imperatore, Ferdinando ed Isabella
re di Spagna, e Lodovico il Moro più d'ogni altro istigatore principale
della spedizione francese (Comines, lib. 7, сар. 15.
Daniel, pag. 159),
fu ora il primo autoredi questa unione, a cui iprincipi confederatidie
dero il nomepiù o meno legittimo di lega santa. Lodovico Sforza il quale
non avea avuto altro fine nel condurre in Italia il re Carlo VIII con
tanto apparato, salvo che d'occupar in mezzo a questo incendio ilducato
di Milano colla depressione e morte del nipote , ottenuto appena il suo
intento, non che pensasse a facilitare ed assicurare ai Francesi il con
quisto di Napoli, egli avrebbe voluto che in Toscana e Romagna tro
vassero impedimento all'impresa (dunque il Papa non avea concorso
secolui a sollecitare Carlo VIII alla calata in Italia), e che fra loro e gli
-271
Aragonesi durasse con incerto esito lungo contrasto (Denina, Rivol. d'I
talia, tom. v, lib. xix, cap. I).
Soleva ancora vantarsi per mezzo dei suoi ambasciatori (Guicciardini,
pag. 46), presso il senato di Venezia, ed altri principi italiani, che in sua
mano stava il rimandaroltre monti i Francesi, qualunque volta gli fosse
agrado. Ora vedendo con quanta facilità si fosse Carlo insignorito del
regno colla fugadegli Aragonesi , i quali per gelosia del nipote impa
rentato con loro avrebbe voluto abbassati, ma non esterminatidel tutto,
un nuovo motivo sottentrò alla prima paura; e cominciò a pensare se
riamente aquanto pericolo sarebbe egli ridotto, se i Francesi divenuti
in breve tempo si potenti in Italia, avessero suscitato le ragioni della
Casa d'Orleans sopra lo StatodiMilano, comediffatto Lodovico duca d'Or
leanspadrone d'Asti già leelevava; cotalpensiero avrebbedovuto ritenerlo
fin da principio dal chiamare in Italia quella nazione, come arroge il
Muratori (Muratori, Annali d'Italia, quest'anno).
Non era però l'esercito francese ancora uscito dalla Toscana , nè pas
sato aRoma, che già lo scaltro e tristo Lodovico ravvedutosi di suaba
lordaggine , ed accortosi di essere stato beffato dai Francesi (nè si me
ritava costui altro guiderdone) (Muratori, ibid.), ruminò tra sè sul modo
di tagliare al re la ritirata dal lato di Francia, quindi find'allora aveva
cominciato a sollecitare i Veneziani a prendere le armi, e provvedere
alla salvezzacomunedegli Italiani. Nè quel prudentissimo senato, il quale
consommaed esquisita diligenza avea mostrato di star neutrale fra le
potenze guerreggianti, potea veder con lieto animo tanto ingrandimento
della corona di Francia, massimamente allorchè inteseche ilre riteneva
in poter suo le fortezze di Toscana tolte a'Fiorentini, ed aveva lasciato
presidio in Siena e in molti altri luoghi della Chiesa, trapeltradimento
deibaroni romanicontrad'Alessandro VI, eperla coartazioneda Carlo VIII
usata colle armi in manoallo stesso Papa.
Il chedavaacrederech'egli non fosse per restar contento al solo acquisto
del reame di Napoli. L'evidenza adunque del pericolo fece essere assai
diligenti a stringersi in lega que potentati italiani. EdAlessandro VI, in
degnato della cattiva fededi Carlo, il quale di tante promesse fattea lui
neppure una ne mantenne, non osto a quest'alleanza. Ma sebbene i Fio
rentini per la speranza di riavere più presto le fortezze consegnate ai
Francesi, il duca di Savoia per esser stata la duchessareggente costan
temente di genio francese, non avessero voluto entrare nella lega, ed
aderire alla convenzione, ancorchè ne siano stati instantemente ricercati;
tuttavia questa confederazione fu la più formidabile che fossesi unquemai
veduta fino a quell'evo in Europa, ed il nome della Chiesa serviva a
molti di pretesto anegare gli aiuti promessi ai Francesi, od a seguitar
la parte contraria.
Siffatta alleanza trattatain Venezia ilgiorno trentesimo primodimarzo
del 1495, venne pubblicata alcuni di dopo, nellaquale si proponevano tre
fini; primo di difendere la religione contra i Turchi, perciò fu detta
santa; secondo di mantenere la libertà d'Italia; terzo d'impedire che la
--
272
Francia intraprendesse cosaalcuna contra gli stati de'principi confede
rati. Diedesi per conseguenza ognuno degli alleati ad accrescere le sue
genti di armi, che il Panvinio (Panvin., in vit. Alex. VI) fa ascendere
aquaranta mila uomini nel suo totale, di cui Francesco Gonzaga si
gnore di Mantova fu dichiarato capitano generale dai Veneziani.
D'altra parte i Napolitani cominciavano a stancarsi del soggiorno dei
Francesi nella loro città. I principali signori del regno, invece di otte
nere quei favori che aveano sperato in ricompensa dellapronta loro sot
•tomissione, furono cassi d'ufficio, e spogliati delle loro tenute, le quali,
tranne poche eccezioni, divennero la porzione dei generali e dei corti
giani del redi Francia. I soldati dispersi nelle diverse province si met
teano sotto dei piè e decenza e onore ed umanità. Dovunque, sussurri
e mormorazioni ; gli animi bollivano. Pergiunta, la formazione della lega
santa era ben tale, da mettere in pensieri il principe. Egli comprese
come tra breve non aveva più a fare assegnamento alcuno sopra i suoi
alleati, che la ritirata era necessaria , e che altro più non gli rimaneva
salvo aprirsi un varco apunta dispadaattraverso l'Italia. Tuttavolta, per
quanto dolorosa fosse la situazione sua, ei non volle partire, senzadap
prima farsi incoronare solennemente re di Napoli.
Egli tentò adunque e con promesse e con danaro disvelleredallacon
federazione formatasi contra di lui il papaAlessandro VI, egli fecechie
dere ancora una volta l'investitura e la corona.
Ma potea forse il Pontefice accordare a Carlo VIII, mentre oggimai il
vedeva vicinvicino adiventarfuggiasco, quello che aquestoprincipe avea
dinegato mentre era trionfante? Benedetto nel suo Fatto d'arme del Taro
scrive che il Papa ricusò assolutamente di accondiscenderealladomanda
del re di Francia, il quale in conseguenza minacciollo di mettere asoq
quadro l'Italia e gli Stati della Chiesa. Le relazioni degli annalisti fran
cesi confermano quelle degli autori italiani.
Andrea De la Vigne che ha compilato di giorno in giorno tutti i par
ticolari della spedizione francese, non parla nè d'investitura , nè d'inco
ronazione. Al postutto la ritirata di Alessandro VI , quando Carlo VIII
entrò la seconda volta in Roma, non diventa un ultimo argomento che
il Pontefice non si arrendette menomamente al desiderio del monarca.
Oranon possiam noirendercicapacicomesorgano certi scrittori italiani
abiasimare Alessandro VI per avere acceduto a questa lega italiana,
coll'unico scopo di tutelare e salvare l'Italia, la quale certo non avrebbe
sì di leggieri potuto risorgere dal suo abbattimento senza che vicon
corresse il sovrano di Roma piùcollasua forza morale, che colla fisica.
Se fossesi Alessandro VI mai sempre mostrato ligio al re francese, se
l'avesse invitato a scendere, se spontaneamente avesse a questo aderito
quando in Roma entrò Carlo VIII, se avessegli dato l'investitura del
reame napolitano ripetutamente e caldamente da questo a lui richiesta,
avrebbero quegli uno specioso appiglio di pungere il Papa; ma avendo
noi recisamente mostrato, come consta dalla chiara narrativa che Ales
sandro VI nè invitò iGalli, nè si diè ligio per essi, che anzi dissuase
--
273
Carlo VIII di venire nella nostra Penisola, si dichiarò alui contrario a
pertamente, nè convenne seco lui se non quando si vide forzato pel tra
dimento de' suoi feudatari, per le comminazioni del monarca francese, a
cui non volle acconsentire unquemaid'investirlo di quella corona adanno
degli Aragonesi; non veggiamo la ragione delle acri censure mossegli
contra, invece d'attestargli gratitudine pel suo zelo coraggioso e prov
vido al nostro salvamento. Si lascino cotali quereleagli scrittori di oltre
monti la cui suscettibilità venne scalfita; ma noi appalesiamoci giusti
e riconoscenti al genio d'Alessandro VI, che di spagnuolo seppe diven
tare veramente italico.
APPENDICE IV.
Nella curiosa raccolta delle Lettere di principi , le quali si scrivono o
da principi o ai principi, o ragionano di principi, formante tre volumi
divisi in libri tre, di copiosissime paginecaduno: raccolta fatta dai Fran
cesco, e Giordano, eGirolamo Ruscelli, e Ziletti, e stampata in Venezia
nel 1575 daGiordano Ziletti con massima diligenza, dadivenirne un do
cumento preziosissimo agli studiosi della storia: libri dedicati distinta
mento a tre più illustri pirncipi o per pietà, o potenza, o valore di quel
tempo. Or in quest'opera diventata rarissima , e da noi con solerzia at
tenta disaminata, abbiamo trovata la lettera riferita per autentica, scritta
dal sultano Baisait, ovvero Baiazet a Papa Alessandro VI (lib. II, pag. 3),
la quale riportiamo fedelmente; in questa adunque così si legge:
• A PAPA ALESSANDRO SESTO.
• Sultan Baiasit, figliuolo di quattro sultani di Latheath Cham, per la
Dio gratia imperatore, et signore dell'Asia, etdella Europa, etdelle loro
marine, al Padre nostro , signore di tutti i christiani , papa Alessandro
Sesto, per la Dio gratia della Romana Chiesa degno Pontefice , dopo la
debita et humana salutatione, di buono animo et puro cuore, signifi
chiamo alla Vostra grandezza , come per Giorgio Bozzardo servitore et
nuntio di Vostra potenza, havemo inteso della buona convalescenza di
quella, et così quello , che ne ha riferito da parte di Vostra grandezza.
Del tutto me ne sono allegrato, et presone gran consolatione.
•Fra le altre cose mi ha riferito, come il re di Francia è inanimato
di prender Gem nostro fratello delle mani di Vostra potenza: che saria
molto contralavolontànostra: etVostra grandezzane haveriagrandissimo
danno etmancamento, et tutti i vostri christiani ne patiriano detrimento.
• Però insiemecol sopradettoGiorgio habbiamo pensato, che per riposo
et utile di Vostra potenza, et per mia gran satisfattione, saria bene che
detto Gem nostro fratello, il quale ogni modo è soggetto alla morte, et
sta in pericolo d'esser tratto dalle mani di Vostra grandezza, li fosse
48
--
274
fatta accelerare la morte: la quale a lui saria lavita, et a Vostra potenza
utile et riposo, et a noi di gran contento. Etper questo si contenterà la
Vostra grandezza di compiacerne, che detto Gem sia levato di travaglio
in quel miglior modo che parerà alla Vostra grandezza, et traslatata l'a
nima sua nell'altro mondo, dove havrà miglior quiete.
• Il che facendo adempiere Vostra potenza, ci mandi il corpo suo in
qualunque luogo delle marine nostre di quà: chè promettiamo, sotto la
fede di sultan Baiasit Cham , di mandarvi in qualunque luogo piacerà
alla Vostra grandezza ducati trecento mila d'oro, acciocchè la Vostra
potenza di essi ne faccia comprare qualche podere ai suoi figliuoli. Il
qual danaro farò consegnare a quella persona che ordinerà la Vostra
grandezza, avanti ne sia dato: poi alli nostri debba essere consegnato.
•Ancoraprometto allapotenza Vostrabuona etgrande amicizia, senza
alcuna fraude et a quella fare tutte quelle gratie et piaceri, che ne sarà
possibile. Ancora prometto alla potenzaVostra, cheper noi, nè per alcuno
del nostro paese, non sarà dato impedimento, nè fatto altro danno ai
christiani, di qual sorte o conditione si siano, nè per terra, nè per mare:
eccetto se non fosse alcuno che dannificasse noi, o altri del paese nostro.
« Et per più satisfattione della grandezza Vostra, acciocchè quella ne
sia ben sicura , et senza alcuna dubitatione di quello tutto che disopra
le promettiamo, habbiamo giurato et tuttofermato inpresentia del sopra
detto Giorgio, et per lo vero Iddio, il quale adoriamo, et sopra li nostri
veri evangelii, di osservare alla potenza Vostra, nè in alcuna cosa man
carle, senza alcun fallo, nè inganno quanto gli promettiamo.
• Et ancora per più assicurare Vostra grandezza, acciò nell'animo di
quella non resti alcuna dubitatione, ma sia certissima, et così di nuovo,
io sopradetto sultano Baiasit Cham, giuro per lo vero Iddio che ha creato
il cielo, et la terra, et ogni altra cosa, et nel quale crediamo et l'ado
riamo, che facendo fare la potenza Vostra, quanto di sopra lehabbiamo
richiesto, prometto per tutto il giuramento di osservare tutto quello, che
di sopra si contiene, et in altre cose mai noncontrafare, nè contravenire
aVostra grandezza.
• Scritta in Costantinopoli nel Claro palazzo.
•Adì 12 di settembre мсссссии.
• Sultan BAIASIT .
Questa lettera è l'unica che noi nei tre succitati volumi abbiamo in
contrato diretta ad Alessandro VI, nè pure abbiamo trovato niuna epi
stola di questo, rivolta a qualche sovrano, o principe, o scritta in nome
suo da qualche suo ministro, il che certo non avrebbe tacciuto l'accu
rato editore di riprodurre. Le ragioni che l'indussero a divulgare questa,
spinto altresì l'avrebbero a pubblicare le altre se pure avessero esistito.
Perciò dirittamente arguiamo, se Alessandro VI avesse operato il preteso
avvelenamento di Gem, o trattato col Turco di venire in suo soccorso
contro al re di Francia, sicuramente sarebbesi tra loro carteggiato , e
questo carteggio d'entrambe le parti sarebbesi rinvenuto e renduto coi
275
tipi di pubblica ragione. L'assoluto difetto di esso, nonostante lagravità
del negozio, ed il prurito acre di divulgare quanto torna ad infamiadei
Borgia, provano abbastanza chiaro che gli avversarii, sebbene si man
gino il cuore, non ponno in verun modo saziarela foia loro diprodurre
argomenti contemporanei e perentori, da render probabile l'opinione loro.
Questa lettera del sultano Baiazet, in data del 1494 addi 12 settembre,
lungi dal provare che abbia Alessandro VI aderito ai desiderii di costui,
anzi le stragrandi offerte e lusinghiere promesse cui fecegli lo stesso per
indurlo a torre di vita Gem, dichiarano che da ciò era alienissimo l'a
nimo del Pontefice, e se vi avesse dato ascolto non ne avrebbero fatto si
lenzio le istorie isicrone, come abbiamo superiormente osservato, e sopra
tutto gli annali maomettani a caratteri indelebili avrebbero registrato
questa compiacenza crudele e debolissima del capo del cristianesimo a
favore del loro sultano.(Veggasi avanti, capo xxvi).
CAPO VENTESIMO SETTIMO.
Partenza di Carlo VIII da Napoli ; Alessandro VI si ritira da Roma;
battaglia di Fornovo ; dubbia la vittoria per entrambe le parti; pace
stipulata da Carlo VIII coi confederati ; rientra in Francia in quella
che Ferrante riacquista Napoli pei soccorsi datigli da papaAlessandro.
Carlo VIII, ebbro d'una fortuna fin allora non interrotta mai, che non
avea governato, scrive Artaud di Montor, con saviezza il reame conqui
stato , invece d'attendere ai mezzi di conservarselo, come Annibale, si
abbandonò alle feste ed alla gioia. I falli cominciano sovente all'indo
mani d'un trionfo. Egli in quella che logorava i suoi dì in lascivie, ba
gordi, festini, viziando (Comines, Mem., lib. VII, VIII) con sè i suoi cava
lieri e soldati, aggravava di balzelli, ed opprimeva di contribuzioni gli
abitanti. Intese le novelle dellalega italiana, e degli apparecchi che con
seguentemente facevansi in Lombardia, ne senti inquietudine smoderata,
ed arse in lui e ne' suoi baroni il desiderio cui già avevano cocentissimo
di redire in Francia. In prima nulladimeno di partirsene egli aveva con
calore e con minacce invocato l'investitura dell'acquistato regno dal su
premo Gerarca; ma deluso nel suo tentativo, risolvette allora far senza
d'una formalità che non gli era dato ottenere.
Pertanto il giorno dodicesimo del mese di maggio rifece nella città di
Napoli la sua entrata pubblica e solenne in qualità di re di Francia, di
Sicilia e di Gerusalemme, accompagnato dai più ragguardevoli signori
francesi e napoletani, e da parecchi baroni di diversi Stati d'Italia. La
corona in capo: alle spalle l'imperiale paludamento: nella destra una
palla d'oro, orgoglioso emblema della sovranità universale, e nella manca
lo scettro da re. Così incedeva egli sotto un prezioso baldacchino sor
retto da alquanti ottimati napoletani, mentre che alcuni adulatori salu
--
276
tavanlo col nome di Cesare Augusto (Idem, ibid.- Albinus , De bello
gallico, lib. 6, pag. 135. Mariano, Hist. Hisp., lib. 26, c. 7 et9); ilduca di
Montpensier innanzi , come luogotenente generale e vicerè degli Stati
conquistati recentemente. Il monarca scavalcò allacattedrale, appressossi
all'altare , e giurò di guardare intatti i diritti ed i privilegi dei novelli
suoi sudditi, i quali per loro canto gli prestarono giuramento difedeltà.
Quest' ovazione così trionfante e lusinghiera , che non era mai stata
conceduta a Carlo I fratello di San Luigi, incitò contra Carlo VIII l'odio
irreconciliabile dell'imperatore Massimiliano, il quale da indi in poi du
bitò che il monarca francese escogitasse a levargli la corona imperiale;
perciò di leggieri venne ad accostarsi alla lega che erasegli proposta nel
tempo in cui Carlo transitava per Firenze, della quale Lodovico il Moro
ed i Veneziani erano stati gli autori principali.
Il giovine conquistatore giunto tanto celeramente all'apogeo della sua
gloriola, senza riflettere che presto avrebbe potuto declinare al perigeo,
distribul precipitosamente gl'impieghi, le dignità, gli uffizi, gli ordini,
che gli parvero indispensabili per la conservazione del regno, lasciando
ivi una porzione delle sue truppe sotto il comando dei più abili di lui
generali. Mille promesse fece loro di provvederli di quanto abbisognas
sero, e di ritornare il più presto possibile egli medesimo alla testa d'un
esercito più numeroso. Il duca di Montpensier fatto governatore della
capitale; d'Aubigny nominato gran connestabile del regno ecomandante
di tutta la Calabria; la difesa delle piazze forti confidata ai generali più
esperti. Ciò fatto il re abbandonò il dì diciannove o venti del mese di
maggio 1495 Napoli, coi piaceri, colle danze, colle giostre, coi tornea
menti, e si pose alla testadei suoisquadroni, i quali in tutto riducevansi
anove milauomini, rivolgendosi direttamente a Roma (LaVigne, Journ.
des voyages de Charles VIII.
Mém. de Comines, lib.8, с. 2.-Albinus,
De bello gallico, lib. 6). Erano appena tre mesi dacchè avea preso stanza in
Napoli.
Aquesta determinazione accortisi i napoletani , che la loro capitale
non avrebbe più una corte, il suo lusso e le sue spese, ma che diver
rebbe prestamente una città di provincia della Francia, non poterono a
meno alla partenza di lui di sentirne amaritudine somma.
Questo sì subitaneo ritorno rovinò in due maniere gli affari dei Fran
cesi, e fece loro perdere il regno con facilità uguale a quella onde l'a
veano acquistato. Era difficile che nella precipitosa risoluzioneo, per dir
così, nella furia con cui Carlo VIII riprese il cammino di Francia, i re
gnicoli non ravvisassero o instabilità di consiglio, o debolezza e timore:
e tanto bastava al popolo , naturalmente incostante e cupido di novità,
per ribellarsi.
Il Papa se l'aspettava, aveva domandato soccorso ai suoi confederati,
i quali gli avevano mandato cinquecento cavalli e due mila fanti. Ma
non essendo queste truppe bastanti ad assicurarlo, per non aver a so
scrivere altri trattati meno decorosi, da prima si ritirò ad Orvieto, poi
a Perugia, scortato da alcuni soldati Veneziani, e risoluto di passare di
277
là a Padova, ed anche in Venezia, se si vedeva inseguito da qualche
staccamento francese.
I nemici d'Alessandro VI cupidi d'abbassarlo ad ogni evenienza, non
trascurano di valersi dellapartenza di luidaRomaper attribuirla a paura
ed aviltà d'animo : quando che piuttosto avrebbero dovuto lodarne la
prudenza, per cui si studiava di risparmiare al monarca francese sacri
leghe violenze; conciossiachè non ignorasse Sua Santità esser precorsa
diceria rumorosa, che Carlo VIII aveva ordinato nel suo secondo in
⚫gresso in Roma, che si uccidessero tutti gli spagnuoli, i quali si po
⚫ tessero ritrovare in essa, e che tutti gli averi e sostanze loro venissero
› via trasportate . Carolus VIII secundo urbem ingressus, jussit oc
▸ cidi omnes hispanos qui reperiri in civitate potuerunt, et omnia eorum
bona et facultates diripi ( Vitae et res gestae S. R. Pontif. in Alex. VI). »
Ed il Corio taccia il re che per forza volesse farsi temere dal Papa, e
menarlo anche suo prigione inFrancia. Fu dunque una savia previdenza
quella d'Alessandro VI, e non pusillanimità.
Carlo VIII il di primo di giugno tocco Roma, dove si trattenne per
tre giorni, alloggiato, scrive il Giovio, in Trastevere; il che ha del ve
risimile, stando il supposto detto da questo autore, di sfuggire il Castello
Sant'Angelo; spirato quel breve triduo, egli fatta la sua preghiera di
nanzi all'altare maggiore della Chiesa di San Pietro, si affretto a conti
nuare la sua marcia.Giuntochefu aViterbo il5giugno, fecetentamenti
d'avere uncolloquio col Papa, cui non potè conseguire, inviandogli perciò
Andrea arcivescovo di Lione. Le genti di Carlo vi si comportarono con
moderazione, e nonlasciarono veruncontrassegno dellalicenza loro nello
Stato ecclesiastico, se crediamo agli scrittori di Francia (Continuat. del
Fleury, ibid. lib. 118, n. xxxII), trattone Toscanello, le cui mura furono
scalate dai Francesi, presa (Allegretti, Diar. Sanese, tom. 23.-Rer. Ital.)
e saccheggiata, narra il Giovio ; perciocchè, morto di sassata in un al
terco un francese, i compagni adirati, essendo capitano il bastardo di
Borbone, si voltarono contro la terra, e tagliarono a pezzi una grande
parte degli abitatori. IlBembo aggiunge chesaccheggiarono ancheMonte
Fiascone perchè ricusavano gli abitanti di riceverli, se non mostravano
un ordine delPapa.Ilche ad evidenzaprovaquanto iRomani ubbidissero
di buon cuore, anche con grave loro discapito, al Santo Padre, tuttochè
fuggiasco.
Di quivi Carlo VIII rapidamente mirava a riparare in Novara, ribella
tasi a Lodovico e datasi al duca d'Orleans (Corio, Istor. di Milano), per
la via di Siena (Mém. de Comines- Sanuto, Istor. di Venez., tom. 12.
Rer. Ital.-Guicciard, Ist. d'Italia.- Corio, Istor. di Milano.
Questa città gli invio incontro una deputazione de' più onorati citta
dini, che addestrandolo l'accompagnarono fin in essa città. Qui fu egli
ricolmo d'onori, e vi passò alcuni giorni. Fu anche qui che ricevette
novelle della lega formatasi contra di lui. Giungeva da Venezia il rino
mato Filippo di Comines, ed il re così in vista scherzevolmente il do
mandò dei preparativi che si facevano per attraversare il suo ritorno ;
18*
278
Filippo risposegli in modo per nulla acconcio a dissipare i timori del
suo sovrano. Disse avergl'il senato fatto sapere che le forze unite pote
vano ascendere ad un quaranta mila uomini, i quali a dir vero si ter
rebbero in sulle difese, pronte nullaostante a varcare l'Oglio nel caso in
cui il principe attaccasse il Milanese.
Da Siena Carlo VIII pensava piegarsi sopra Firenze, maledisposizioni
dei Fiorentini ferongli mutare avviso, ed andò verso Pisa. Dappoichè vi
ebbe qui soggiornato sei in sette giorni, egli avanzò attraverso il Luc
chese e quel di Pietra Santa verso Sarzana, dove intese che iGenovesi
erano disposti a francarsi dal dominio del duca di Milano, e tosto inviando
egli loro per terra e per mare aiuto, pensò di sottrarla alladominazione
dello Sforza. L'avanguardia dei Francesi condotta dal maresciallo di Giè
che aveva a luogotenente Trivulzio, credeva d'incontrare qualche resi
stenza a Pontremoli, piazza situata vantaggiosamente alle falde dell'A
pennino, e difesa da una assai forte guarnigione. Ma questa città si ar
rendette senza che fosse d'uopo attaccarla. Il grosso dell'esercito seguia
dappresso , allorchè Carlo con tutte le sue truppe giunse alle pianure
della Lombardia. Dovunque l'armata francese aveva commesse immani
crudeltà, e rapinato ingenti ricchezze. Dalla Lombardia disegnava Carlo
trapassare in Asti per ristorarvi le milizie, e poscia ratto ratto continuare
la via d'oltremonti; ma appena postovi il piede, ecco a poche miglia le
tende ed i padiglioni dei numerosi alleati riuniti affine di troncargli la
ritirata.
Questi eransi radunati presso la collina, occupandone lealture, in nu
mero di quaranta mila , fortificandosi sopratutto sulla sponda del Taro,
uno dei molti fiumi che discendono dagli Apennini e vanno a metter
foce nel Po tra Parma e Piacenza. Qui aspettavano di piè fermo che
Carlo VIII calasse a grandi giornate col suo fiorito esercito nellapianura
del Parmigiano per la valle di Fornuovo. Francesco Gonzaga marchese
di Mantova comandava le armi venete, ch'erano il maggior nerbo del
l'esercito collegato, nel quale oltre a molti valenti condottieri, permezzo
dei quali si distingueva il luogotenente Adolfo, guerriero ragguardevole
pel suo onorato sentire e per consumata esperienza, tutti ben animati
erano alla battaglia fino all'infimo soldato, sulla speranza di fare un
grosso bottino , perchè di troppe dovizie straricco difatto ne veniva il
campo francese. Era di lunga mano superiore all'esercito nemico quello
degli Italiani , ed a manifesto pericolo si esponeva il re venendo alla
pugna. Tuttavia se questi non voleva lasciar perire di fame i suoi , da
che si trovava in mezzo alle montagne , gli conveniva eleggere la via
delle armi per sortire di quelle angustie. I Francesi si trincerarono a
Fornuovo, piccola città a poca distanza dal campo nemico. Di là il ma
resciallo di Giè fece richiesta agli alleati del passo, e il re al suo soprag
giugnere rinnovò ladomanda, che fu assolutamente respinta: adducendo
che non si poteva nulla concedere se non a condizione che il re abbas
sasse le armi, e consentisse di restituire al duca diMilano lacittàdi No
vara, ed al Papa le diverse piazze degli Stati ecclesiastici , ove teneva
--
279
guarnigione francese. Ilcombattimento si faceva inevitabile, e le due ar
mate, ciascuna per la sua parte, vi si disposero. Pertanto il sesto giorno
di luglio 1495, ordinate le sue schiere l'animoso Carlo , montato sur un
bel cavallo di color nero, non avente che un occhio solo, dono fattogli
da Carlo duca di Savoia nel suo passaggio a Torino, scese al piano, e
colle artiglierie di varie sorta ben disposte, venne ad un fatto d'armi
crudissimo e famoso, sebbene durasse solamente due ore. Diversa ne fu
la descrizione, secondo l'usata parzialità degli storici , avendo l'una e
l'altra parte cantato la vittoria. Quel ch'è certo, combatterono da lioni i
Francesi , perchè la presenza del re, e la disperazione al loro nativo co
raggio ne aggiunse del nuovo (Mém. de Comines, lib. 8, c. 6, p. 112).
Questi incalzato fortemente dal marchese di Mantova , più d'una volta
pensò di cadere nelle mani degl' Italiani. Il bastardo di Borbone suo
stretto parente, a venti passi da lui fu fatto prigione. Gonzaga fece un
orribile massacro, e se gli alleati avessero posto mente ai consigli ch'egli
dava loro , avrebbero per sempre distrutto l'influenza che i Francesi
aveano fino allora esercitato in Italia. Ma una parte di questi , tra per
una mala intelligenza non partecipò alla mischia, e pel bulimo di botti
nare gli Albanesi si sbrancarono dalle schiere pugnanti (Giustin., Istor.
di Genova.
Sanuto, Istor. di Venezia, tom. XXII.
Se
narega, deReb. Genuens , tom. 24, Rer. italic ), e sì perdendosi a predare,
Rer. italic.
trassero ancora coll'esempio loro altri soldati a sbandarsi per fare lo
stesso , e così agevolarono agli avversari l'insanguinare le spade loro
contro a predoni piuttostochè gente di armi , i quali asseguito il sac
cheggio, non si davan più altro pensiero tranne il mettersi in salvo colla
fuga, tuttochè non cedessero per nulla al nemico in valore. La verità è
adunque , che sul campo vi restarono forse più Italiani che Francesi, e
vi perirono di molti bravi capitani; siccome eziandio certo è che il re
Carlo colla spada alla mano, vestito da soldato, e valorosamente batten
dosi, corse gran pericolo d'esser fatto prigioniero: pure felicemente passò
oltra e seguito speditamente col più de' suoi il viaggio verso Piacenza, e
con perdita dei principali ch'egli aveva seco si ricondusse da ultimo in
Asti, e quindi a Torino.
Grande quantità di cariaggi, di artiglierie, di tende e robe preziose ri
masero in balia degl' Italiani, ai quali perciò parve di potersi attribuire
la vittoria, non tale però quale la speravano dapprima; ma nondimeno
l'istesso dubbioso esito della giornata, e non aver poi potuto soccorrere
Novara, mostra abbastanza chiaro stare pei Francesi il peggio, i quali
soffrirono non solo la perdita d'un immenso bottino, sibbene per anche
vennero prostrate le forze loro grandemente. Scrisse il Benedetti , che
l'anno 1494, predicando la quaresima un religioso in Novara, annunzió
certissimamente, che quei cittadini avrebbono udito intorno alle mura
loro Spagnoli, Franzesi, Svizzeri, Tedeschi, ed altre nazioni assai: il che
avvenne appuntino; dove il duca d'Orleans , che l'avea occupata , fu
stretto d'assedio dalle armi confederate costà concorse, che la ridussero
--
280
a strane miserie talmente, per cui scesero i Francesi a condizioni poco
onorate di pace pelconcordato deldieci d'ottobre1495, stipulato in Vercelli.
Novara fu restituita adunque al duca di Milano , ed il Castelletto di
Genova consegnato ad Ercole duca di Ferrara per l'esecuzione dei patti,
il quale poi lo restitul parimenti al Moro nel 1497. In questo Carlo VIII
travalicate le Alpi ricalcò il francese suolo , lasciando voce di ridiscen
dervi nell'anno seguente, e l'opinione d'aver fatto in Italia maggior per
dita che guadagno (1).
Nè finirono qui le percosse date ai Francesi nell'andante anno (Mura
tori, Annali d'Italia, anno 1495) chè il soccorso mandato da Carlo VIII,
il quale aveva abbandonato Napoli, di centoventi cavalli e cinquecento
fanti capitanati dal duca di Brescia, e la flotta francese uscita dal porto
di quella città per ispalleggiare l'impresa di Genova, di cui si lusingava
di impadronirsi quel monarca contro allo Sforza, non sortirono l'esito va
gheggiato. Essendo stata la flotta battuta, e riparatasi aRapallo, ebbero
incontro i valorosi Genovesi, i quali espugnando quelborgo, diedero ad
dosso con tal bravura ai Francesi, che tutti li sottomisero, con farviun
ricco bottino pei grandi spogli dei Napoletani , i quali sopra le galee
francesi si trovavano. Il medesimo duca di Brescia non iscampò salvo a
grande pena dalla cattività, e forse anche dalla morte. A cagione di
questo sinistro colpo si ritirò con somma fretta di sotto a Genova l'eser
citogallo.
Peggiormente ancora travolsero le cose di Napoli dopo la partenza di
Carlo VIII; conciossiachè intesasi la battaglia del Taro, per cui le forze
francesi restarono rifinite, rinvigoritosi il re Ferdinando coll'aiuto dell'ac
corto Gonsalvo, si accinse a ricuperare il regno, si pose spacciatamente
alla testa di sei mila uomini, in quel torno reclutati con tutta forza in
Sicilia , e sostenuto da un distaccamento di truppe spagnuole sotto gli
ordini del medesimo Gonsalvo di Cordova, fece uno sbarco in Calabria,
ripigliandone Reggio colla sua rocca. Ma il bravo d'Aubigny aveapreso
i suoi riguardi , e Ferdinando fu costretto a battere la ritirata. Lieve
vantaggio! Ogni vittoria pei Franchi diventava una perdita. E quelle
genti, le quali eransi immaginato di godere sotto iFranchi l'etàdell'oro,
vana immaginazione di molti popoli inclinati alla mutazione di governo,
gli ebbero ben tosto in uggia come li videro mancanti di quella disci
plina e moderazione per cui oggi si distinguono, e cadere del continuo
in eccessi di crudeltà, lussuria e cupidigia di trasricchire insino a dila
pidare le chiese (scandali stati autorizzati dalla condotta colpevole del re
Carlo), epperciò d'ogni parte presero a tumultuare contra, ed abbracciare
da capo le parti di Ferdinando II, che invitato dagli stessi Napoletani
segretamente, tosto tosto con piccola flottiglia vi si recò, sperando che i
(1) Quando Carlo VIII ritornava da Napoli per rientrare in Francia , nel passare per Asti al
loggiò nel palazzo del nobile Solari signor di Moncucco, di Moriondo e di altri castelli: la cui fi
gliuola Margarita, in età di undici anni, dottissima in belle lettere e nelle scienze, recitò un'ora
zione in lode di Carlo, al suo regal cospetto, con moltissimo applauso.
--
281
suoi vassalli antichi, de' quali aveaguadagnato l'affetto, facessero qualche
movimento in suo favore; nè fu vana lusinga. Perocchè al suo avvicinarsi
aNapoli , essendo sortito il duca di Montpensier fuori della città per
marciare contra del re, gli abitanti mostrarono leali la loro buona vo
lontà per Ferdinando, che di presente abbrancate le armi e gridando :
Aragona, Aragona, chiusero ai Francesi le porte, spalancarono le pri
gioni, e si scagliarono contra qualunque francese, in cui per essa s'im
battevano, e gli respinsero fin dentro le fortezze: e l'avventuroso Ferdi
nando II fra acclamazioni giulive rientrò padrone in mezzo alle ovazioni
più vive in quella città medesima, donde pochi mesi prima era uscito
qual fuggitivo.
Ciò nonostante i Francesi erano ancora padroni di due fortezze di Na
poli, il Castello Nuovo e il Castello dell'Ovo. Stettero non pertanto poco
a perderli , ed il luogotenente generale costretto a lasciare i dintorni
della città, corse a rinforzarsi a Salerno. Se non che essendosi la sua ar
mata ingrossata delle bande di molti partigiani, egli tornò addietro, sba
ragliò un corpo di truppe aragonesi , e riempi la capitale di tale uno
spavento, che il re si vide da capo al punto di cercare nella fuga lasua
sicurezza.
Per buona ventura il Papa inviogl'in questi medesimi giorni un rin
forzo, e giugnendo in questa i due Colonna, Prospero eFabrizio, riprese
coraggio. Capua, Aversa, Nola ed altri luoghi vicini, malgrado i conati
dei Galli per ritenergli o ricuperarli , rientrarono sotto la sua obbe
dienza. Il ducadi Montpensier trincerossi nella cittadellad'Atella, ed'Au
bigny, contando sempre sopra i soccorsi cui Carlo VIII avea promesso
di fargli pervenire, rimase nella Calabria. Ma il principe, rientrato una
volta ne' suoi Stati , ebbe ben presto dimenticati i fedeli suoi servi che
avea abbandonati in Italia. Egli non era anche giunto a Lione, che già
avea inteso come Ferdinando II era tornato nel regno, ricevuto festosa
mentedai popoli, e tolte ai Francesi, che negligentemente le guardavano,
la maggior parte delle fortezze.
I Francesi, le cui falangi omai di troppo sottili ed indebolitedapotersi
ancor sostenere, si videro all'estremo forzati a segnare una vergognosa
capitolazione, e posero giù le armi. Montpensier morì a Pozzuolo, d'Au
bigny più fortunato, giunse a riguadagnare la Francia. Di seimila uo
mini di truppe, appenaduemila rientraronosecolui in patria; le malattie,
la carestia, la peste se ne portarono il rimanente.
Tal fu l'esito di questa spedizione famosa, sobillata da una nera per
fidia ambiziosa, intrapresa da un orgoglio puerile, e condotta d'una ma
niera insensata. I Francesi perdettero il loro conquisto in minor tempo
ancora di quello con cui l'ebbero fatto, e laFrancia non che guadagnarvi,
dissipovvi il danaro, e vi perdette i migliori soldati suoi. Non lasciando
altra memoria di sè da quella in fuori delle reliquie infami di quel pe
stifero morbo dai medesimi denominatosi francese, punizione severadella
sozza libidine (Muratori, Annali d'Italia.- Summonte, Istoria di Napoli.
Guicciardini, Istoria d'Italia.- Corio, Istoria di Milano.
Sanuto,
--
282
Istoria di Venezia, tom. 22). Sotto altro aspetto contuttociò, questa im
presa rovesciò le barriere cui la natura aveva innalzate tra idiversi Stati
dell'Europa per assicurarne la tranquillità, nel medesimo tempo in cui
aprì uncampo più vasto all'ambizione dei principi, ed alledisavventure
ch'essa non lascia mai di produrre.
Chè questa spedizione di Carlo VIII sviluppò una politica del tutto
nuovain Europa, e fu il principio del dominio che alternativamentegli
Austriaci, i Francesi e gli Spagnuoli ebbero in Italia, e delle gare loro
sanguinose, come ad ogni conoscitore dell' italica storia è noto.
Non si potrebbe spiegar con parole (Denina, Rivol, d'Ital , tom.v, lib.xix,
cap. Iv), quanto per questa ritirata del re Carlo VIII andasse alteroLo
dovico Sforza, il quale altrettanto vano e glorioso, quanto era accorto e
prudente, si vantava d'aver il destino d'Italia posto in sua mano, come
colui che aveva tolto e ridonato il regno agli Aragonesi, e CHIAMATO E
RIMANDATO, si noti bene, addietro con poco onore di quella nazione un
re potentissimo, ed un esercito de'più numerosi e fioriti che da molti
secoli si fossero veduti in Italia. Disastro e sfregio che Carlo VIII avrebbe
potuto evitare, se dato avesse retta alle ragioni ed agli avvisi del Sommo
Pontefice. Per fermo in tutto questo capitolo, noi non abbiamo saputo
rinvergare argomento valevole a denigrare la fama d'Alessandro VI, chè
infino a questo punto è ancora il migliore dei re suoi contemporanei.
FINE DELLA SECONDA PARTE E DEL PRIMO VOLUME.
INDICE DEL PRIMO VOLUME
Dedica a S. E. Monsignor Don Luigi Moreno vescovo della diocesi d'Ivrea .
PARTE PRIMA
Avvertenza
:
Prolegomeni
I. Morte di Nicolò V papa. Alfonso Borgia gli succede col nome di Callisto III
II. Natali di Rodrigo Lenzuoli, poi Alessandro VI. Suoi studii, impieghi, azioni giovanili
III. Rodrigo Lenzuoli rinuncia alle armi.
pag. 3
.
Si reca in Roma, viene eletto vescovo e cardinale
Sua premura nel retto disimpegno dei suoi uffici
diacono.
IV. Morte di Callisto III e de'suoi successori Pio II, Paolo II.
cessore di Sisto.
Elezione d' Innocenzo VIII suc
Gesta del cardinale Rodrigo Borgia durante questi pontificati
V. Morte di Papa Innocenzo VIII.
Enumerazione dei cardinali componenti il Sacro Collegio
in detto tempo. Loro indole e qualità d'animo
VI. Disordini, torbidi, ammazzamenti avvenuti in Roma dopo la morte d'Innocenzo VIII
PARTE SECONDA
VII. Ingresso dei cardinali in conclave.
medesimi
Elezione del Borgia al papato e sua allocuzione ai
VIII. L'elezione del cardinal Borgia in sovrano Pontefice è pura da ogni trasognata simonia.
IX. Gioia e festeggiamenti di tutti gli ordini del popolo romano per l'assunzione al pontificato
d'Alessandro VI, ed atti di questo.
X. Incoronazione solennissima d' Alessandro VI .
.
XI . Magnanima parlata d'Alessandro VI , fatta in presenza di varii cardinali a Cesare , detto poi
Valentino
.
XII. Elezione di Giovanni Borgia il Seniore in cardinale, fatta da Alessandro VI.
XIII. Atti lodevoli e salutevolissimi d'Alessandro VI, sul principio del suo pontificato, pel buon
governo di Roma.
9
XIV. Dissidii tra per papa Alessandro VI e per Giuliano della Rovere , cardinaledi San Pietro ,
accagionati da Don Federico, figlio di Ferdinando re di Napoli
.
9
17
69
71
76
79
84
91
96
100
102
108
121
124
126
130
XV. Oratori mandati dai Principi e dalle Repubbliche cristiane a complimentare Alessandro VI.. 133
284--
XVI. Morte di Federico III imperatore, a cui succede Massimiliano, che ad istanza di AlessandroVI
marcia contro i Turchi.-Vittorie di Ferdinando in Ispagna sopra i Mori. Colombo scopre
il Nuovo Mondo.
edi Portogallo.
Bolle del Papa intorno a questo continente in favore del Re di Spagna
Confermazione fatta da Alessandro VI di alcuni ordini religiosi .pag. 136
XVII. Conati di Lodovico il Moro per usurpare il ducato di Milano.
Legazione dei Principi
italiani al Papa ; disaccordo perciò tra per questi e per Lodovico il Moro ; maneggidi costui
ostili a Ferdinando re di Napoli , al quale inimica Alessandro VI.
Trattato di una lega
fra i Principi italiani, il Papa, i Veneziani e il Duca di Milano, dalla quale vengono esclusi
il re di Napoli ed i Fiorentini .
.
XVIII. Promulgazione della Lega Pontificia-Veneta-Lombarda, e condizioni d'essa.
XIX. Lodovico il Moro chiama Carlo VIII re di Francia in Italia, ad insaputadel Papa Alessandro VI
e degli altri principi suoi confederati, per impossessarsi del regno di Napoli : testimonianze
.
autentiche
XX. Disamina dei diritti di Carlo VIIl sul regno di Napoli. Matrimonio di D. Lucrezia col prin
cipe di Pesaro e lodi di lei. Inquietudini di Ferdinando re di Napoli ; suoi sforzi per acquie
tare il Moro, e cattivarsi l'amicizia d'Alessandro VI verso cui ripara l'ingiuria recatagli per
la compera fatta da Orsino , fa tentamenti per distorre il re di Francia dalla conquista di
Napoli. Si rabbonaccia col Papa , e dona a Gioffredo , figliuolo dello stesso Alessandro , in
isposa la figliuola di Alfonso suo primogenito
XXI. Creazione di dodici cardinali, fra i quali si annovera Cesare Borgia
XXII. Morte e carattere di Ferdinando re di Napoli. Gli succede Alfonso suo figlio che eseguisce
le promesse di suo padre verso del Papa, e con questo stringe trattato di pace. Il Pontefice
dissuade Carlo VIII dallo scendere in Italia ; risposta libera di questo al legato pontificio.
Movimento di alcune squadre francesi in Italia: ribellione di varii baroni romani contro al
Papa, ed in favore de'Francesi. Abboccamento d' Alessandro VI con Alfonso re di Napoli ,
fatti d'armi pria favorevoli ai Napoletani, poscia dannosi. Vittoria dei Francesi capitanali da
Lodovico duca d'Orleans su dei Napoletani ; incentramento di questi nel loro regno
XXIII. Carlo VIII scende in Italia ; entra in Pavia, accoltovi dal Moro, a Piacenza, a Pisa, a Fi
renze ; occupa gli Stati della Chiesa
XXIV. Falsità dell'accusa gettata in volto ad Alessandro VI , d'avere implorato da Baiazette soc
corso coniro a Carlo VIII. Entrata di questo in Roma. Il Papa si ritira in Castel Sant'Angelo.
Accordo tra pel Pontefice e pel re Carlo
XXV. Concordato tra pel Papa e per Carlo Vill ; atto di figliale ubbidienza da questo renduto al
Pontefice ; partenza del re da Roma per Napoli ; refutazione di alcune inesatte affermazioni
156
166
167
193
235
539
245
252
del Guicciardini e di altri scrittori riguardo ad Alessandro VI
XXVI. Alfonso re di Napoli abdica a Ferdinando, e muore. Zizim muore nel campodi Carlo Vill;
si purga Alessandro VI dall'accusa datagli di averlo avvelenato ; Opere di Ferdinando re di
Napoli ; ingresso trionfale di Carlo Vlll in questa città ; Lega dei principi italici onde pre
munirsi dalla soverchiante fortuna delle armi francesi ; il Papa nega formalmente a Carlo Vill
l'investitura del regno di Napoli.
XXVII. Partenza di Carlo VIIl da Napoli ; Alessandro Vl si ritira, da Roma; battaglia di Fornovo;
dubbiala vittoria per entrambe le parti ; pace stipulata da Carlo VIII coi confederati;
rientra in Francia in quella che Ferrante riacquista Napoli pei soccorsi datigli da papa
Alessandro 2
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a
Prezzo L. 6
Prezzo L. 6
記載日
2025年6月12日