Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica Vol. LXXXIX

著者
Gaetano Moroni
初版
1858年
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DIZIONARIO DI ERUDIZIONE STORICO - ECCLESIASTICA DA S. PIETRO SINO AI NOSTRI GIORNI SPECIALMENTE INTORNO AI PRINCIPALI SANTI, BEATI, MARTIRI, PADRI, AI SOMMI PONTEFICI , CARDINALI E PIU CELEBRI SCRITTORI ECCLESIASTICI , AI VARII GRADI DELLA GERARCHIA DELLA CHIESA CATTOLICA , ALLE CITTA PATRIARCALI , ARCIVESCOVILI E VESCOVILI , AGLI SCISMI, ALLE ERESIE, AI CONCILII, ALLE FESTE PIU SOLENNI, AI RITI , ALLE CERIMONIE SACRE , ALLE CAPPELLE PAPALI , CARDINALIZIE E PRELATIZIE , AGLI ORDINI RELIGIOSI, MILITARI , EQUESTRI ED OSPITALIERI , NON CHE ALLA CORTE E CURIA ROMANA ED ALLA FAMIGLIA PONTIFICIA, EG, EC. EC. COMPILAZIONE DEL CAVALIERE GAETANO MORONI ROΜΑΝΟ SECONDO AIUTANTE DI CAMERA DI SUA SANTITÀ PIO IX. VOL. LXXXIX. Bibliothe Angelica IN VEΝΕΖΙΑ DALLA TIPOGRAFIA EMILIANA MDCCCLVIII. La presente edizione è posta sotto la salvaguardia delle leggi vigenti, per quanto riguarda la proprietà letteraria, di cui l'Autore intende godere il diritto, giusta le Convenzioni relative.

DIZIONARIO DI ERUDIZIONE STORICO - ECCLESIASTICA VEI V VEI VEIO O VEII, Vejus. Antichissima gnaculum, resistette per quasi 3 secoli e città già vescovile, e già forte, potente e ricca, una delle 12 principali dell'Etru- ria o Toscana (V.). L'ampio suo terri torio, detto ampla regio, confinava al- l'oriente col Tevere (V.), a settentrione con quello de' Falisci, de'Capenati ede' Sutrini ; ad occidentecon Ceri ; ed a mezzogiorno con Lorio (fra Bottaccia e Castel di Guido dell'Ospedale di s. Spirito, se- condo Commanville sede vescovile nel V secolo, de'quali luoghi parlai anche nel vol. LI, p. 88, degli altri l'andrò dicendo), Bebiana (fra Lorio, e Alsium oggi Palo, di cui ancora parlai in più luoghi), Fre- gene (ora tenuta di Maccarese de' Rospi- gliosi, confinante con Castel di Guido, poi colonia romana marittima, diversa da Fregella) e forse col mare Mediterraneo. Circa il 4.° miglio da Roma, dice il cav. Coppi, si vedono a destra vestigia d'an- tica strada, che talvolta fu detta Veien- tana. Venne paragonata ad Atene, la più celebre città di Grecia (P.), per la gran. dezza. Quale, Del Tosco impero già Ca- po e Regina, non che Hetruriae Propumezzo a Roma sua rivale, ad onta che non ne fosse distante al più 12 miglia e mezzo circa, poichè nella tavola Peutingeriana è la distanza di Veio da Roma di 12 miglia, e presentemente circa 11 miglia per la via Cassia, alle quali aggiun- te l'una e mezzo della porta antica si avranno 12 miglia e mezzo. Presso il sito ove surse se ne vedono ancora le rovine, ed elevasi sopra una rupe, tagliata all'in- tornoa picco, il castello che dalla sua u- bicazionė romantica ebbe il nome d'Iso. la unito a quello di Farnese, non forse perchè Paolo III Farnese ne diè il pos- sesso alla sua famiglia, il che secondo alcuni si suppone senza potersi accertare ; derivando piuttosto secondo me la più ragionevole congettura dalle vaste pos- sidenze godute nelle vicinanze dalla me- desima famiglia, come rilevai nel vol. XXXIII, p. 201 , mediante lo stato di Ca stro e di Ronciglione (V.) che dominò. Trovo bensì nel p. Eschinardi , Descri- zione di Roma e dell' Agro Romano , a p. 204,che il castello dell'Isola, eragiàde' 4 VEI VEI r duchi di Parma, e perciò detto Farnese, fortezza dell' antico Veio, circondata da un gran fosso ; e di poi parlando dell'opere dotte del Piazza, del cav. Coppi e di mg. " Nicolai, si vedrà che questi l'affer. mano esplicitamente, nou però che tale proprietà derivasse da Paolo III, essen . done l'acquisto posteriore. L'Isola Far- nese è una frazione del distretto e Co. marca di Roma( V.), nella diocesi sub- urbicaria di Porto e s. Ruffina, e nella Statistica dell'anno 1853 è registrata sotto Roma, soltanto essa e Fiumicino, e contenere 19 case, 20 famiglie, 75 abi. tauti, a motivo della cattiva aria nell'estate, nella quale stagione si riducono a quasi 30, e malgrado il sottostante fertile territorio : ma l' Isola Farnese non più figura nella successiva rettificata Sta. tistica numerativa delle popolazioni, del ministero dell'interno, de' 14 novem. bre 1857, perchè le frazioni si compre- sero ne' comuni o appodiati, di cui fan- no parte, per non avere amministrazio- ne separata. Può vedersene il prospetto nell'incisione prodotta dall'Album di Roma, t. 1 , p. 345. Ne'tempi bassi però era molto più popolata e più vasta, co- me apparisce dalla rovina delle case a settentrione ov'è la porta detta Portonaccio. Finchè Veio fu nel suo florido stato ebbe il titolo giustamente di capo e frontiera sopra tutte le città dell' Etru- ria, la vera e unica metropoli della me- desima, mentre dopo la sua distruzione altre città etrusche andarono fregiate del grado di capitale, come Perugia, Cortona, Arezzo ec. Plutarco chiama Veio regina e capo, ossia metropoli della Toscana, d'armi e d' armate non punto inferiore a Roma, s'intende alla Roma di sua epoca. Che Veio fosse la più forte di Toscana e d'Italia ancora, la più capa- ce a far fronte a' romani non tanto per la sua vantaggiosa posizione, che per la sua celebre rocca, in excelsa et prerupta Rupe, come la chiama Dionisio d' Alicarnasso, l'asserisce Tito Livio. Che Veio fosse fra tutte le altre della Toscana e dell'Italia antichissima e ricchissima, l'affermano Eutropio, Cluverio, Alier, Livio e altri. Veio era una città per testi monianza degli stessi romani più bella di Roma per la situazione, per la magnifi . cenza degli edifizi pubblici e privati , de' quali non ne vantava maggiori qualun- que città in Europa, e per tante altre ra- gioni che si ponno rilevare nello stesso romano storico Livio, il quale parlando in persona de' romani che sdegnavano portarsi come relegati a fondar colonie ne' volsci, si contentavano di preferenza d'andare in Veio, benchè allora ridotto da loro medesimi quasi un mucchio di sassi e del tutto disfatto. Non è quindi a meravigliare il gran numero degli scrittori che celebrarono i fasti di Veio e de' veienti , i quali affrontarono i romani va- lorosamente con varia vicenda, or vincitori e or vinti. I veienti più prossimi a Roma di frequente la danneggiarono, e tra' popoli confinanti forse mostrarono maggiore animosità nella vendetta, siccome difesi da una città ben munita, po . tevano ad ogni opportunità invadere saccheggiando il territorio nemico, e ritirar- si sicuri dentro le proprie mura. I romani, biasimando in altri ciò che alla loro volta praticarono, chiamavano questa terribile forma di guerra ladroneccio, ed i veienti predatori, giungendo spesso le loro improvvise scorrerie, a modo di lampo, fino alle porte di Roma. Quindi perpetuo rancore fra' romani e i veienti . Dichiara il ch. Campanari : Sopra una rupe alta e scoscesa, alle cui radici scorrono l' acque del fiume Cremera, e dove sorgono oggi umili avanzi di povere fabbriche,rari casolari e tugurii per vecchiezza cadenti, sorgeva un dì la potente città di Veio, la feroce rivale di Roma, che per lo spazio di più di 3 secoli resisten- do con ostinate e sanguinose battaglie al- la prepotente forza di lei, cedendo poscia al destino che minacciava già le altre città dell' Etruria, alei pure miseramente VEI VEI 5 soggiacque. Era Veio la più forte della gente etrusca, della grandezza di Atene (dice il Zanchi che avea una circonval- lazione di 5 in 6 miglia; e il Nibby, che ne misurò l' estensione, dichiara 7 miglia), e distante non più che 100 stadi da Roma, 12 miglia e mezzo romane; ed è precisamente ad una tale distanza, che nel luogo oggi chiamato Isola Far- nese vuolsi riconoscere l'antica Veio. Quivi si vedono ancora a poca distanza dalla città antichissimi sepolcri scavati da que' primi abitatori nel vivo masso delle roccie, e avanzi di mura colossali, e resti d' antiche strade che accennano ove una volta fu la famosa Veio. Fu già gran disputa fra gli archeologi de'tempi andati, se il luogo di Veio fosse questo, o se altrove fosse situata quella celebre città ; ma dopo le scoperte ivi fatte di la pidi importantissime nel 1810 e negli al- thi successivi anni, non è più questione fra'dotti, che il sito di Veio non sia quello dell'Isola Farnese. Fraʼmolti scrittori e illustratori di Veio e sue antichità, pre- ferisco di scegliere a guida di questo mio cenno il dotto Nibby, Analisi storico- topografico- antiquaria della Carta de' dintorni di Roma, t. 3, p. 38o, non sen- za giovarmi all'opportunità di que' che ricorderò. Chiunque haun'idea della storia romana, al nome di Veii entra nella curiosità di conoscere il sito di sì potente città degli etrusci, rivale di Roma fin da'tempi del suo fondatore, la quale con. tese a palmo a palmo il terreno a quel popolo invasore per 3 secoli e mezzo cir ca, e finì coll'essere deserta. Questabrama poi ha ben altra forza in coloro, che s'occupano della storia antica de'popoli italiani e de'monumenti superstiti ; im. perocchèriconoscere il sito di Veii etrusca e le vestigia che ne rimangono, portadi necessità l'incontrastabile conseguenza, che la storia romana de' primi 3 secoli non è una favola, come da alcuni si pretende con audacia sostenere ; e che trovando concorde lo stato delle cose esistenti con quello che narrano Dionisio, Livio e al- tri scrittori autorevoli, ragion vuole che si concluda essere questi scrittori veridici ancora ne' fatti che più non esisto no. Ora essendo il soggetto di tanta im. portanza da potersi dedurre conseguen . za di tanto peso, non deve recar meraviglia , se i dotti de' secoli passati , come quelli del presente, s'affaticarono in rin- tracciar il sito della città con que' mezzi ch' erano in loro potere, e convien di re a gloria di Veii , che niuna città antica dopo Roma abbia avuto tanti ingegni che ne abbiano indagato il sito, i monu. menti e la storia. Nel vol. XIII, p. 296, parlando di Civita Castellana, registrai ad hoc l'opere di Cesarò, Corso, Maria- ni, Mazzocchi con 3 opere, Castiglione, Famiano Nardini, Perazzi, Zanchi, Morelli, oltre quelli ricordati negli articoli NEPIE SUTRI, e di altre città vescovili e- trusche, nelle quali non poco ragionai di Veio e de'veienti. Si devono pure tenere presenti gli articoli Toscana, nella par- te che ragiono dell'antica Etruria ; e ViTERBO,siccome capitale dell'Etruria o Toscana pontificia, nella descrizione ezian. dio de'luoghi che compongonola sua vasta r provincia e delegazione. Zanchi in tale provincia, detta pure Patrimonio di s. Pietro, vi riconosce il dominiodi Veio ; e aggiunge che nel dominio veientano si comprendeva ancora il Campo Vaticano, dipoi divenuto tanto celebre. E osserva mg. Nicolai che il tratto di campagna che chiamasi Campo Vaticano, comprendendo i colli Vaticani, ov'è oggi la basilica di s. Pietro, insieme alle colline da ponte Molle al Gianicolo, tut to era territorio veientano e denomina. to Settepagio forse perchè comprendeva 7 castelli o ville de' veienti (di essi riparlai nel vol. LIV, p. 206, e ne parecchi artico- li che vi hanno relazione). Loda anch'e- gli la bellezza e fecondità delle vistose campagne veienti, che invogliarono i ro- mani a conquistarle, eccellenti pel grano e altri usi, ma nongia pel vinonon gra 6 VEI VEI dito da' romani, forse perchè feccioso e grosso. Dall'altro canto, essendo Veio la città etrusca più vicina a Roma, fu tra le prime a concepirgelosia della suanascen- te e quindi sempre crescente grandezza, e perciò fu la sua principale nemica. Ma parte de'summentovati e altri scrittori, per mancanza di que' lumi, che fornisce la critica archeologicad'oggidì; parte per un soverchio amore di predilezione mu- nicipale, tutti volendo tirar Veio alle pro- prie patrie; parte per una specie di gara intemperante e urto personale, si allon. tanarono dal sito in modo che non vi è quasi luogo fra Martignano, l'Isola Farnese, Ponzano (di cui nel vol. LVIII, p. 124), Civita Castellana (distante menodi 38 miglia da Roma per l'odierna strada postale), Gallese, Baccano (di cui nel vol. LVIII, p. 117), che non sia stato cre- duto il sito di Veio, cioè nel pretendere di volerlo stabilire si andò vagando entro una circonferenza di sopra 60 miglia . Le ricerche fatte espressamente in proposito, cominciarono nel secolo XV, e continuarono fino ad oggi.Il Nibby ripor. ta semplicemente le principali seguenti opinioni, senza confutarle, e poi dichiara la sua autorevole. Biondo seguendo quelladel poeta Francesco Fiano, collocò Veii a Ponzano; Volaterrano seguito dal Fulvio, alla Meana, presso la terra di Fiano (presso di essa, di cui parlai nel vol. L, p. p. 71, e nel luogo denominato Lago Puz- zo, a' 28 ottobre 1856 dopo forte detonazione si manifestò un' eruzione vulca- nica, e quindi si formò nel centro un cra- tere e nuovo lago d'acqua sulfurea; pare riproduzione di preesistente vulcano, attesa la denominazione del vocabolo,seb- benea memoria d'uomini non si conosca. Ne parlal' Album di Roma, t. 23,p.332); Giovanni Annio, Cesare Niccolini e Lean- dro Alberti , a Martignano; Cluverio, ne' dintorni di Scrofano(e seguito dal moder. no Calindri, come rilevai nel descriverlo nel vol. LVIII, p. 128); il Castiglione e il Mico, sostenuti poi dal Mazzocchi , e più recentemente dal Morelli, a Civita Castellana (per cui fu scolpito nel fron- tespizio del palazzo pubblico : Qui ste- terunt Vejos , nunc renovare licet); ed il Degli Effetti a Belmonte (monte dirupato di tufa vulcanica fra Castel Nuovo e Scrofano, nel territorio di questo, ma più vicino a quello, a sinistra della via Flaminia, nella cui sommità fu già il castello omonimo con sua chiesa della diocesi di Porto ). Tutti questi scrittori sostennero la loro opinione in modo che fa pietà (sic) vedere sopra quali frivole circostanze si appoggiassero, quanto po- co conoscessero il criterio archeologico, ecome trascurassero, travolgessero, e mu- tilassero ancora l'autoritàde' classici. Fa- miano Nardini con quell'acutezza d'in- gegno che lo distingue, e riconobbe l'emulo Mazzocchi , malgrado la scarsezza de' lumi che a suo tempo si aveano su que sta materia, ne dimostrò vittoriosamente il sito all'Isola Farnese (con Discorso investigativo, stampato nel 1647 in Ro- ma con figure) e ne' dintorni, appoggia- tostrettamente all'autorità de' classici ed alle ispezioni locali, e fu seguito da Lu- ca Olstenio e dal Fabretti : l'osservazio. ni e le scoperte fatte in questo nostro secolo, hanno dimostrato con quantogiu- dizio e criterio avesse colto nel segno. La sua opera, che modestamente intitolò : L'antico Veio, andò esposta a 3 insolen- ti repliche del Mazzocchi. Il Perazzi ni- pote del Nardini nel 1654 rispose all'osservazioni, ossia alla Lettera ed apolo- gia, ch'èlar." produzione nel 1653 pub. blicata dal Mazzocchi, da Nibby qualifi cato inetto scrittore, coll' operetta intito lata : La Scopetta. Nel secolo seguente, cioè nel 1768, l'avv. Zanchi con un'altra opinione (che rimarcai nel vol. LVIII, p . 116 e 117, parlando di Formello e di Baccano, e rilevando il meraviglioso spa- zio di pianura distinto in liste diritte a guisa di scanaluture cui sono divisi i campi, da Formello all'Isola Farnese e da questa versoRoma, com'era formato pre VEI VEI 7 cisamente il territorio Veiente), che Veii fu nel Monte Lupoli, nel suolo e territo- rio di sua patria Campagnano, parte del ciglio orientale del cratere e del bosco di Baccano, 18 miglia lungi da Roma, appoggiandosi principalmente a' cuni- coli antichi e moderni fatti pel disec- camento del cratere, ch'egli prese ba. lordamente (sic) pel cunicolo celebre di M. Furio Camillo. Lasciando da canto tutti i raziocini de' moderni , il Nibby seguendo strettamente a ciò che gli scrittori antichi ci hanno lasciato di positivo sulla situazione di questa città, colla scor- ta di questi ne indagò il sito ; e siccome questo per la distanza da Roma, le cir- costanze topografiche, l'estensionedel pe- rimetro, e gli avanzi esistenti corrispon- deva a ciò che si legge di Veii etrusca presso gli antichi scrittori, concluse che ivi fu quella città. Dopo avere osservato che ingiustamente gli scrittori moderni di sovente tacciarono in globo quegli an- tichi di trascuranza nel determinare le distanze de' luoghi, per le varianti che alle volte s'incontrano fra uno scrittore e l'altro; ricorda che la critica insegna doversi accordare maggior credito ad uno scrittore, piuttosto che ad un altro, secondo la qualità del soggetto che trat. tano, l'epoca in cui fiorirono e lo scopo ch'ebbero nello scrivere. Quindi in una questione, come questa, del sito d'una città, i geografi e gli storici debbonsi pre- ferire agli oratori e a' poeti ; e fra gli storici que' che vissero in epoche anteriori, a quelli che scrissero quando le traccie ele tradizioni si erano o dileguate oal meno illanguidite. Così Dionisio, che visse 22 anni in Roma e lasciò una storia tanto accurata, che visitò i luoghi che descrive, che fiori sotto Augusto, quan- do Veii non solo non era stata dimenticata, ma era risorta come municipio romano, devesi per ogni riguardo, trat- tandosi di Veii, anteporre ad Eutropio, sofista e trascurato compendiatore della storia romana da lui dedicata a Valeute, che visse sempre in oriente, ed ebbe inoltre la disgrazia d'essere stato il suo lavoro stranamente interpolato con ag- giunte da Paolo Diacono nel secolo IX. Atuttociò deve aggiungersi che le cifre de' numeri sono andate soggette ad alte- razioni per l'ignoranza de' copisti, onde tali varianti piuttosto che attribuirle al- la trascuratezza degli scrittori, debbon. si riconoscere per negligenze degli amanuensi. Dionisio descrive Veii nella gia- citura, nella distanza e nella grandezza, come dissi in principio, dichiaran- dola la città etrusca più potente e più vicina a Roma. Nell'epitome pubblica- ta dal cardinale Mai si legge: » Essere la città de' veienti per nulla inferiore a Roma, ond' essere abitata, possedendo un territorio vasto e fertile , in parte montuoso, in parte piano, di aria purissima ed ottima per la salute degli uomini, come quella che non aveva pa- ludi vicino, donde si alzassero esalazioni gravi, nè alcun fiume che tramandasse aure fredde di buon mattino, nè scarseggiante d'acque e queste non condotte, ma sorgenti , copiose e ottime a bersi ". Dionisio pertanto positivamente porta a 100 stadi incirca la distanza fra Roma e Veii, i quali calcolati 8 a miglio, ne segue che Veii era 12 miglia e mezzo di- stante da Roma ; e con lui s'accorda la carta Peutingeriana, la quale indicando le stazioni della via Cassia, ed ommetten- do per sistema le frazioni, pone Veii 12 miglia lontano da Roma. Questi due do- cumenti sono precisi. Ma coloro che non vollero veder chiaro in una cosada per se stessa chiarissima, ricorsero a Livio, il quale pone in bocca ad Appio Claudio, nell'orazione per eccitar il popolo alla guerra contro Veii, esser distante vicesimumlapidem, in conspectu prope Urbis nostrae annuam oppugnationem perfer- repiget. Per cui conclusero i sostenitori dell'altre opinioni contra il Nardini e i seguaci suoi, che Veii fu circa 20 miglia lungi daRoma. L'espressione di Livio fu 8 VEI VEI vaga e il suo sensonon fu compreso. Egli non parlò della distanza di Veii, ma de' combattimenti , che intorno a quella cit. tà avvenivano fra' i vari corpi dell'eser- cito romano attendati ad una certa distanza, ed i veienti ; ed alcuni di essi erano certamente 3 e più miglia di là daVeii , onde tenere in soggezione gli etrusci espe- cialmentei capenati ed i falisci. D'altronde Veii stando quasi a vista di Roma, e dentro il raggio di 20 miglia, la proposizione di Appio regge sempre, senza che ne segua che Veii dovesse intendersi situato alla distanza di circa 20 miglia. Soggiungono però che Eutropio la collo. ca18 miglia distante ; ma Eutropio non deve preferirsi a Dionisio, pegli errori dal 1.º fatti nel descrivere altre distanze, ed enumerati dal critico Nibby, e perciò non doversene far conto. Dionisio non indica soltanto la distanza, ma descrive minutamente il sito di Veii; e la carta Peutin. geriana, oltre la distanza, la direzione rispetto a Roma, cioè la via Cassia; quin- di se seguendo tale antica Strada di Ro- ma(V.), alla distanza da Roma di circa 120 13 miglia esiste un luogo, che corrisponde alla descrizione di Dionisio; se oltre questo vi rimangono avanzi visibi- lı di sepolcri, recinto di mura, e nodo di molte vie che ivi mettono da varie dire zioni , crede il dotto Nibby che basterebLe per dimostrare che ivi fu la città di Vein. Acompimento poi di questa dimo. strazione, si aggiungano le memoratesco- perte fatte nel 1810 presso l'Isola Farne. se, cioè 1 2 miglia e mezzo lontano da Ro- ma sulla via Cassia, di lapidi importan- tissime, nelle quali di altro non si parla che di Veii e de' Veienti ; quindi oggi è un fatto dimostrato che ivi fu quella fa- migerata città, e dalla descrizione dello stato presente de'luoghi, che toccherò poi, si vedrà quanto esatta sia la descrizione diDionisio, e per conseguenza quanto cre. dito egli meriti in queste ricerche a preferenza di qualunque altro. L'etimologia del nome di questa cit. tà deve rintracciarsi nella lingua etrusca, e non nella voce Veia di Festo o Paolo suo compendiatore, poichè questi forse con allusione agli eccellenti veienti arti- sti di cocchi ed a'valenti loro conduttori de'medesimi, dice tutt'altro : Veia apud Oscos (o tuscos) dicebatur plaustrum, undeveiarii stipites in plaustro et vectu ra, veitura (o veiatura. ) Così è ignoto il suo fondatore, che alcuni suppongono Properzio, il quale fu certamente re de' veienti, secondo Servio, scoliaste o com- mentatore di Virgilio, che dice il luco e famoso tempio di Feronia presso Capena(della quale feci cenno nel vol. LVIII, p.121e seg. , dicendo di Civitella, Leprignano e Morlupo, ed altrove con Galletti ancora),fu edificato coll'aiuto de' veienti da' figli del re Properzio mandati a Capena, non però che fondassero questa, la quale puòessere stata fondata da' veienti a misura che estesero il loro dominio fino alla riva del Tevere. Delle città etrusche vicine a tal fiume, Capena non fu certamente delle più oscure, quantunque non si contasse mai come una lucu . monia particolare (cioè una delle principali città etrusche, e il cui principe o capo particolare si disse lucumone), e si riguardò piuttosto come una dipendenza di Veii, colla quale fu sempre stretta- mente unita (nella carta topografica di Capena e sue adiacenze, che osservo nel Galletti, nel suo Discorso di Capena municipio de' romani e del castello di Civitucula, i territorii de'capenati e de' veienti sono separati dalla via Flaminia). Il medesimo Servio, chiosando le paro- le dell'Encide : Tum Salii ad cantus; ci ha conservata la tradizione, che alcu- ni credevano essere stati i salii istituiti da Morrio re de' veienti, perchè venisse co' loro canti lodato Aleso figlio di Net- tuno, stipite della famiglia di quel re. I due re Properzio e Morrio appartengono all'epoca primitiva della storia di Veii, in qual tempo però particolarmente fio- rissero non è noto al Nibby, nè chỉ dị VEI VEI 9 loro fosse il più antico. Ma il nome di Morrio o Morio pare identico a quel di Mamurio, che secondo la tradizione più comune era stato il fabbro degli anci- li o scudi sagri, de' quali i salii servivan- si nelle loro danze sagre, di cui il nome era sovente ripetuto nel carmen saliare. De' sacerdoti salii parlai ne' vol. LX, p. 130, LXXXIII, p. 314 e altrove. Nel Ve- io illustrato dal Zanchi, parlando egli sull'origine della città, secondo l'insinuazione del Theuli, Teatro historico diPelletri, non trovo i nominati re veienti, ma bensì un re Ocho o Veio figlio di Gomero o Comero re d'Italia, nato da Jafet e perciò nipote di Noè, al quale Veiodà 50 anni di regno. Crede quindi che Veio fu fondata da Gomero e le diè il nomedel figlio Veio , ovvero che questi stesso ne fu il fondatore e le diè il proprio nome, dicendolo fiorito 2106 anni avanti Ja nostra era, e che dal padre di lui tras- se la denominazione il piccolo fiume di Cremera, che nasce nella vallé di Bacca- no, dove prima era un piccolo lago di seccato dal principe di Campagnano Agostino Chigi , essendo già stato diminuito per mezzo di emissari particolari, i quali furono presi dal Zanchi pe' cunicoli fo- rati da' romani per espugnar Veii. Nel- l'ultimo diseccamento, eseguito verso il 1738, to scolo si scaricò nel Cremera oggi Valca o Varca. Quanto all'etimologia, riporta il parere dell'Alberti, che seguen- do Beroso, narra essere costumedegli sci. ti di fabbricar le città con de' Vejo carri , così chiamati forse da Vehendo, comeat ti al trasporto delle cose. Tali Vejuniti insieme sembravano mura , e servivano a'cittadini non meno di fortificazioni che d'abitazioni.Laonde da'carri co'quali formossi la città, questa si disse Veio. Il Bon- di nelle Memorie storiche del laga Sab- batino, di Trevignano, Sutriec. , seguen do l'opinioni del Zanchi, ignorando quel- ledel Nibby, conclude che perciò la città di Veio vanta per la sua origine una pri- mazia su tutte l'altre città etrusche che le stavano per dir così alle spalle. All'e- poca della fondazione di Roma, 753 anni innanzi l'era corrente, Veii certamente esisteva e il suo territorio era vasto ; imperocchè escludendo quello de'capena- ti , de' nepesini e de' sutrini, che sicuramente un tempo furono dipendenze di Veii , occupava tutto il tratto sulla riva destra del Tevere, fra il confluente del ri- vo oggi detto di Procoio nuovo, e la foce sinistra del Tevere nel mare. E dentro terra risalendo il corso di detto rivo edi là in linea retta pe'cappuccini di Riano, e Belmonte e Campagnano chiudeva dentro il cratere di Baccano , i laghi di Stracciacappe già Papirano, e quello di Martignano già Alsietino, e così andava a raggiungere la riva del gran lago Sab- batino oggi di Bracciano fino al suo emis- sario naturale, ossia al corso dell'Arrone, il quale da quel punto fino al mare ser- viva di confine fra' veienti eCerioggi Cer- veteri (V.), di cui anche nel vol. XLI, p. 189 ergo e altrove. Il Tevere lungo tut- to il tratto sopraindicato era il confine naturale fra'veienti e il Lazio ( V.), confinechefu sanzionato dopo la morte d'Enea. Quindi il Monte Gianicolo ed il Vaticano ( I.), sebbene al presente in parte sianochiusi entro le Mura di Roma (V.), all'epoca della sua fondazione non solo non facevano parte della città, ma nep- pure del suo territorio, comenarrai in ta- li articoli. La prima volta che i veienti compariscono nella storia è sotto Romo- lor. re e fondatore di Roma, quando cioè dopola morte di Tazio re di Sabina(V.), avendo gli abitanti della città sabina di Fidene (V.), consanguinei de' veienti, pre- date alcune barche cariche di viveri, che Crustumeri colonia di Roma (la qualeco: lonia avea due agri ubertosi, uno di qua dal Tevere ne'possedimenti latini , uno di là ne'possedimenti etruschi) a questa in- viava pel fiume per la carestia che l'af. fliggeva; perciò attirarono contro di loro lo sdegno di Romolo, il quale corse ad as- salirli, li vinse e s'impadroni della loro 10 VEI VEI città, che multò d'una parte del territo- rio, e fece presidiare da 300 soldati. I veienti non potevano vedere di buon animo e senza gelosia questo posto avanzato de' romani, posto importantissimo riguardo a loro , poichè dirimpetto a Fidene è la valledi Cremera, per la quale dopo 6 mi- glia circa di cammino si giunge a Veii, senz'alcun ostacolo naturale. Quindi intimarono a Romolo di ritirare il presidio da Fidene e di restituire a'fidenati leter re. Il bellicoso re di Roma nondiè peso a tali domande , e perciò essi passato il Tevere presso Fidene s'accamparono con esercito poderoso in luogo appartato. Ro- molo si recò tosto a porre i suoi allog. giamenti inFidene stessa. Venuti alle maui, la 1. battaglia restò indecisa; però nelJa 2. per un'imboscata i veienti furono disfatti, e sebbene nel combattimento pochi perissero, isuperstiti nel passare il Te . vere a nuoto si annegarono nella più par. te. Ardendo i veienti di vendetta, torna- rono in campo e furono di nuovo sconfitti , perdendo inoltre il campo e tutte le bagaglie. I veienti perciò costretti a domandar la pace, l'ottennero con tregua per 100 anni, a condizione di cedere a'ro- mani tutta quella parte del territorio pros- sina a Roma sulla riva destra del Teve . se, che designavasi col nome di Sette Pagi, probabilmente per 7 villaggi e forse muniti ch'erano sparsi nella contrada, e d'astenersi dalle Saline ( V.) che aveano alla foce del fiume, e dessero 50 ostaggi per sicurezza. Questo trattato fu scolpito a perenne memoria sulle colonne. I pri- gionieri vennero restituiti ; e quelli che preferirono di rimanere in Roma ebbero da Romolo la cittadinanza, e terre sulla riva sinistra del fiume. Tutto narrano Li- vio e Dionisio. Paolo poi compendiatore di Festo racconta, che le terre da Romo- lo in quella circostanza acquistate sulla sponda destra del Tevere, cioè principal- mente la catena de'monti Gianicolensi e Vaticani, nella quale erano quelle 7 bor. gate (dette ancora lacinie o estremità Gianicolensi), costituirono il patrimonio della tribù perciò appellata Rumulia o Ro- milia, e questa fu lar . " delle romane Tri- bù rustiche. Il ch. cav. A. Coppi lesse due Dissertazioni nell'accademia romana di Archeologia, che le pubblicò nel t. 5delle Dissertazioni della medesima, cioè a p. 285 quella su Vejo, ed a p. 313 l'altra de'Settepagi. Parlando de'confinidel suo territorio, dice che avea un'estensione di circa 300 miglia quadrate, ossia di circa 36,000 rubbia. Conviene che presso le rovine di Veio si costrusse ne' tempi di mezzo un castellodetto Isola, il quale nella decadenza della famiglia Orsini che lo possedeva, sembra che sia passato nel do- minio della Farnese , dalla quale prese nuova denominazione.Quanto a Sette Pagi, egli dice ignorarsi precisamente dove fossero tali regioni de' veienti; ma siccome erano contigui al Tevere, con qualche probabilità gli assegnò in territorio le seguenti tenute, che sono appunto sul- la destra del fiume nell'antico territorio de'veienti, e di tutto ne fece l'illustrazione storica ed erudita,co'rispettivi proprie- tari, fra'quali diverse spettano al capito- lo Vaticano. Torricella , Prati di Tor di Quinto, Tor di Quinto (ove si crede fosse il baluardo meridionale veientano), Grescenza, Inviolata, Inviolatella, Muratella, Valca e Valchetta, Prima Porta e Frassineto, Pietra Pertusa, Malborghetto, Ca- sal delle Grotte, Procojo nuovo, Procojo vecchio. Sommano le medesime a rubbia 342. La regione è attraversata dall'anti- ca via Flaminia, e neʼtempi di mezzo fu talvolta detta Collina . Avverte poi nella Dissertazione di Vejo, che del territorio veiente una porzione è fuori dell'odierno Agro Romano, e che in quello erano per avventura compresi i territorii di Riano, di Castel Nuovo di Porto , di Scrofano, diFormello, di Cesano, di Campagnano e di Anguillara, luoghi tutti esistenti nel- la Comarca di Roma, perciò in quest'ar- ticolo brevemente li descrissi . Egli trattò quindi della porzione che probabilmen- VEI VEI 11 。 te era compresa nell' attuale Agro Ro- mano, cioè: 1.º Dell'Isola Farnese e delle tenute ad essa più vicine sino alle vigne di Roma , che enumera e descrive, so- pra un territorio di rubbia 5195;giun- ge sino alla via Cassia, e comprende tra' suoi confini l'albergo e la posta della Stor- ta, della quale parlai nel vol. LVIII, p. 117.2 . ° De'Sette Pagi . 3.º Di Galera. 4.º Di s. Ruffina. Delt. e del 2.º trattò nel tomo citato, del 3.° e del 4.° nel t. 7, p. 347 e 387. Di tutte le tenute comprese in tali territorii egualmente il dotto cav. Coppi ne fece l'illustrazione storica ed e- rudita. Şi può anche vedere mg. " Nicolai, Memorie sulle Campagne di Roma, il quale nel t, 1 principalmente ne ragiona , in uno all'ubicazione di Veio nell'odiernatenuta dell'Isola Farnese, già proprie tà dell'antica e chiara famiglia de' Farnesi duchi di Parma , e perciò ne prese il nome, opiuttosto ella lo prese dal luo- go chiamato così da' boschi di Fargne (Fargna lo stesso che Faruia , Quercus latifolia, sorte d'albero che non dà frut- to, il cui legno è moltoduro e leggiero. E una specie di quercia a foglie larghe. Di. cesi Farneto il luogo piantato di Farnie. Altre notizie analoghe riporterò parlan. do nell'articolo VITERBO, del comune di Farnese, detto già anche Farneto, altra antichissima proprietà dell'illustre fami- glia, dalla quale essa più probabilmente assunse il cognome, e non dall'Isola Far. nese, il cui acquisto lo fece quando già lo portava, per cui dal suo cognome derivò all'Isola l'aggiunto di Farnese); non che del territorio Veientano,quale fosse edel- la qualità delle sue terre. Ritorno alla storia de' veienti col Nibby. La pace tra essi e i romani durò quasi 70 anni; poi chè l'anno 88 di Roma sotto il suo 3.° re Tullo Ostilio si ruppe nuovamente a ca- gione de'fidenati. Aquesti avendo quel re intimato di rendergli conto della con. dotta tenuta da loro durantela differenza insorta fra'romani e gli albani, i fidenati invece di discolparsi , chiusero le porte della città, ed armatisi introdussero trup- pe ausiliarie per parte de'veienti , rispon dendo agli ambasciatori,che dopo la mor te di Romolo nulla aveano da fare co'romani, essendosi a quell'epoca sciolto qua- lunque impegno contratto. Tullo quindi preparossi alla guerra e chiamò in aiuto glialbani, secondo il trattato conclusodo- po il famoso combattimento degli Orazi e de'Curiazi . Fu da' fidenati invocato il soccorso de'veienti, etquesti passato il Tevere presso Fidene si unirono con loro. Usciti in campo si schierarono nella de- stra, ed i fidenati nella sinistra; dall' al- tro canto Tullo co' romani si oppose a' veienti, e Mezio Suffezio cogli albani a' fidenati. Seguì la battaglia fra l' Aniene e Fidene; il re di Roma malgrado il tradimento di Mezio e degli albani riportò una segnalata vittoria, prima rovescian- do i fidenati e poi i veienti , come si ha da Livio e da Dionisio. La morte di Tul- lo seguita circa 12 anni dopo non mise fine a questa guerra fra' romani e i ve- ienti, poichè si riaccese sotto il suo successore AncoMarzio, il quale dopo aver raccolto un esercito poderoso di romani e d'alleati uscì in campagna e cominciò dal mettere a guasto le terre de'veienti, on. de vendicar i danni ch'essi aveano recato nell'anno precedente alle terre de'romani. I veienti passato il Tevere s'accamparono sotto le muradiFidene: Anco, co- me superiore in cavalleria, tronco a' ve- ienti la ritirata, e poi li forzò a combat- tere e li sconfisse, Concluse con loro una tregua, che ben presto fu rotta da'veien- ti coll'animo di ricuperare i Sette Pagi perduti sotto di Romolo: la battaglia fu data presso le Saline, e finì colla sconfitta totale de'veienti, che perderono allo- ra la Selva Mesia (leggo in mg." Nicolai, parlando delle tenute Salsare o Campo Salino, coufinanti col territorio di Porto e altre tenute, che in questi luoghi dovea continuare la Selva Mesia e parte erano le Saline che Anco tolse a' veients , con altreinvicinanza d'Ostia; e leggouel r 12 VEI VEI cav. Coppi , ragionando della Selva Me- sia e di Selva Candida, che non si conosceprecisamente ove fosse, sapersi ben sì che una porzione dell'antico territorio etrusco, e probabilmente veiente, ne'tem. pidell'imperofu detto Selva Nera e quindi Candida, pel da me narrato a PORTO. In questa contrada nel secolo XII trovasi una selva detta Magia, che forse ha analogia col vocabolo Mesia. Indi il Coppi passa a trattare d'alcune tenute, cominciando da s. Ruffina, che sono presso la via Cornelia alla destra dell' Aurelia , e ad occidente delle vigne di Roma. Il no- medi s. Ruffina lo prese dal sepolcrodel. la martire, fu sede vescovile e col nome pure di Selva Candida , indi riunita a quella di Porto), e tutto il tratto di ter- reno, che avevano fra'Sette Pagi e il mare. Fu allora che Anco per conservare le sue conquiste sulla riva destra del Tevere, dominare la navigazione diquesto fiume e difendere la spiaggia, non che to- gliere a'veienti ogni speranza di mai più posseder le saline, edificò la colonia romana'd' Ostia alla foce del Tevere nel Mediterraneo sulla riva sinistra, ed aprì in quella parte nuove saline (indi divenne sede vescovile e la r.ª suburbicaria unita poi a quella di Velletri, nel quale articolo riferiròle recenti e importanti sue notizie). Così,diceLivio: Usque adMareImperium prolatum, et in ore Tyberis Ostia Urbs condita. Osserva Dionisio, che costruendo Anco tal città : Efficit ut Roma non Mediterraneis tantum sed etiam mari. nis patens Transmarina quoque bona degustaret. Nuova guerra si accese fra' romani e i veienti sotto Tarquinio Prisco etrusco tarquiniese e re di Roma, che come capitano della cavalleria erasi princi- palmentedistinto nella battaglia delle Sa. Line, regnando il predecessore. Di questa guerra Livio non fa menzione, sibbene Dionisio. In essa al sohto i veienti furono sconfitti (perciò vanno corretti Zanchi ed altri illustratori di Veio, che francamente asserirono: Veiq mantenne la guerra contro i romani per go anni; ha più date, che ricevute sconfitte da' romani) in modo da non osar più d'uscire dalla cit. tà, ed essere costretti a rimanere spettatori de'guasti enormi, che i romani face. vano alle loro terre. Quella guerra finì colla battaglia d' Ereto (di cui nel vol . LXXVI, p. 47 e seg. ), la quale pose Tar- quinio in gradod'essere riconosciuto come signore di tutte le città dell'Etruria, lasciando nel resto ad esse'la libertà digovernarsi a modo loro, e non ritenendo che una specie d'alto dominio. Gli etruschi in riconoscimento dell'alto dominio gli por- tarono in dono l'insegne colle quali sole. vano ornare i loro re, cioè la corona d'oro, il trono d'avorio, lo scettro sovrastato dall'aquila, la tunica di porpora ricama- ta d'oro, il manto di porpora variato. E siccome ogni re delle XII città etrusche eraaccompagnato da un littore con fascio di verghe e scure, perciò a Tarquinio Pri- sco fu concesso di farsi accompagnareda 12 di detti littori , già istituiti da Romo- lo. Pare che gli etruschi si assoggettarono a questo re come loro connazionale, per cui dopo la sua morte non vollero ri . conoscere il successore. Livio parla di un'altra guerra, ch' ebbero a sostenere i veienti contro re Servio Tullio, successore di Tarquinio Prisco, che nella battaglia d'Ereto avea dato prove di gran valore; guerra che però sembra essere stata quel- la stessa che Dionisio attribuisce al detto Tarquinio. Questa fu l'ultima guerra fra Veio e Roma durante il governo de' 7 suoi re. Tuttavolta Servio Tullio volen- do ingrandire il territorio di Roma, tol- se una parte del veiente , e vi stabili la nuova Tribu rustica Veientina, come notai in quell'articolo. Io qui devo ricorda. re, quanto in più luoghi narrai. La Qua. driga di creta de' veienti fu stimata una delle 7 cose fatali di Roma antica , alla di cui conservazione nella medesima era attaccata la salute e la gloria dell' eterna città; argomento svolto eruditissimamentedaCancellieri.Avendo Tarquinioil Su. VEI VEI 13 perbo, ultimo re di Roma, intrapreso il compimento del Tempio di Giove Capi- tolino ( V.), per ornarne il fastigio ordinò a un vasaiodi Veio (oa più artefici , come dissi nel vol. LXXVIII, p. 88), una qua- driga di creta rappresentante il carro di quel Nume. La quadriga posta nella fornace a cuocersi meravigliosamente s' in. grandì tanto, che convenne romperla per cavarla fuori. Con superstizione i veienti riguardarono questo portento, come un evidente presagio della futura grandezza del popolo, che sarebbe rimasto possessore del carro, e perciò ricusarono di con . segnarlo a'romani, i quali però colla for- za se ne impadronirono e lo collocarono suldetto tempio. Tutto il fatto viene narrato da Festo parlando della romana For. ta Ratumena, dicendo che un auriga di Veio, stando gareggiando nella corsa de' carri , fù dall' indomita fuga de' corsieri rapito fino ad essa, e ivi venne rovesciato. Altrettanto raccontano Plutarco e Solino, Giuseppe Lorenzi, Varia sacra Genti- lium, nel t. 7 del Thes. di Gronovio, p. 150, lesse il passo di Servio in questomo. do, sulle7 cose fatali di Roma. Acus Ma- tris Deum; Quadrigafictilis; Vejentorum cineres; Orestissceptrum, sive Pria- mi; Ilionei; Palladium; Ancilia. Onde avendolo malamente interpunto (poichè non sono nominate da Servio le ceneri de'veienti, masolo Quadrigafictilis Ve- jorum), erroneamente attribuisce al Pon. tefice Massimo l'uso di questa quadrigadi creta, che mai non ebbe. Frattanto spen- ta in Romada L. Giunio Bruto la tirannia di Tarquinio il Superbo, gli etrusci a cui ricorse, condotti da Porsenna lucumone o re di Chiusi, lo vollero riporre sul trono. I primi ad entrare in quella lega e ad uscire in campagna, secondo Dionisio e Livio, furono i veienti e que'di Tarqui- nia ( V.). La battaglia si diè presso la sel. va Arsia (pare ov'è al presente la tenuta Insugherata presso la via Cassia, circa 3 miglia fuori dell'odierna Porta del Popo. lo, poichè ebbe luogo prima che i colle gati traversassero il fiume): essa fu acca- nita, sanguinosa e indecisa (dice Livio che nella notte seguente si udì una gran vo• ce dalla selva Arsia, che si credette quel- la dello stesso nume Silvano , che nella battaglia era morto un etrusco di più, e che perciò la vittoria era de' romani) , e vi perironodal canto de'romani ilt.console stesso L. Giunio Bruto, da quello degli etruschi Arunte Tarquinio figlio del re Tarquinio. Superbo cacciatoda Roma. L'esercito de'veienti e de tarquiniesi ritirossi nelle loro terre rispettive. Nella pace fatta fra Roma e Porsenna , fu restituito a'veienti tutto il territorio, ch' era stato conquistato da Romolo e da Anco Marzio; ma dopo la rotta avuta da Arunte figlio di Porsenna sotto la città d'Aricia, oggi Riccia (V.), che il re avea mandato a occupare colla metà dell'esercito (il quale in gran parte perì con Arunte sepolto nel monumento che si vede in Al- bano, e invece dicesi degli Orazi e Curia-- zi), e l'ospitalità accordata daʼromani agli avanzi dell' esercito etrusco (e per quegli episodi famosi d'ardire e di valore ripetu- tamente narrati altrove), Porsenua restituì a'romani questo stesso territorio, per testimonianza di Dionisio e Livio.Finchè durò l'influenza di Porsenna e della sua famiglia sullecose della confederazione e . trusca, i veienti rimasero tranquilli; mor- to lui gli affari cambiarono aspetto. I ve- ienti non potevano dimenticar la perdita della parte più ricca del loro territorio, che mentre erano sul punto di ricupera- re era stata di nuovo ceduta a' romani da Porsenna con atto arbitrario e di puro potere, giacchè sebbene egliavesse po- tuto allegare il diritto di conquista sopra quella terra, i veienti nondimeno aveano contribuito con tutte le loro forze alla guerra contro Roma. Durò la tregua 25 anni; finalmente nell'anno 27 1 di Roma, profittando delle turbolenze intestine de' romani , i veienti si mossero. Fu contro loro spedito il console Cornelio Cosso, che ricuperò la preda, che aveano fattanel- 14 VEI VEI le terre romane; ed avendo i veienti mandata un'ambasceria, restituì loro i prigioni, mediante un riscatto, accordando lo- ro un anno di tregua. Tuttavolta i veienti tornarono a fare scorrerie nell'agroromano3 anni dopo: il senato mandò loro ambasciatori a ripeter le cose tolte; essi schermironsi dicendo non essere veienti i saccheggiatori, ma etrusci d'altri cantoni;in- tanto uel tornare a Romagli ambasciato- ri, s'imbatterono in altri veienti che por- tavano via la preda dell'agro romano. U- dendo questo il senato decretò sdegnato la guerra contro i veienti, e ordinò a'due consoli d'uscir in campagna. Malgrado l'opposizione de'tribuni,i due consoli mar. ciarono, e posero il campo separatamente un dall' altro non lungi da Veii. Non osando i veienti d' uscire , essi diedero il guasto alle terre quauto più poterono, e tornarono a Roma pe'quartieri d'inver- no. Nell'anno seguente 275 essendo con- soli Cesone Fabio e Spurio Furio, gli etrusci si posero in movimento e tennero un congresso generale per decidere se do vessero muoversi contro Roma; i veienti implorarono caldamente l'aiuto di tutta la nazione contro di Roma, e finalmente si decise, che a ciascuno fosse lecito d'arrolarsi volontariamente in aiuto de' veienti, e si presentò una buona mano di vo- lontari. In Roma dopo vivi dibattimenti e opposizioni per parte d' Icilio tribuno della plebe , fu deciso che Cesone Fabio assumesse il comando dell'esercito contio i veienti. Questo console odiato da'soldati per la parte avuta nella morte di Spu- rio Cassio, si vide lo scandalo d'un'insu- bordinazione militare, poichè abbandona- rono il campo circa la mezzanotte e tornarono in Roma. I veienti conosciuta la partenza de' romani spogliarono il cam- po, e si portarono a depredare le terre li- mitrofe del territorio nemico. Nell'anno seguente in Roma i nuovi consoli Caio Manlic e Marco Fabio per senatus-con- sultolevarono un nuovo esercito composto ciascuno di due legioni romane e di altrettante truppe richieste alle colonie e alle città soggette: i latini e gli ernici somministrarono il doppio di gente di quella a loro richiesta ; ma i romani rendendo grazie alla loro buona volontà, accettarono soltanto la metà de'soccorsi . Per riserva dinanzi la città e a guardia delle loro terre levarono due altre legioni di gio- vani, onde potessero opporsi a qualche scorreria nemica improvvisa. Di più, que' che aveano oltrepassato gli anni dell' età militare, ma che potevano ancora portar l'arıni, furono lasciati in Roma a difesa delle mura e della fortezza. I due consoli condussero l'esercito presso Veii, e si attendarono separatamente sopra due colli non molto distanti fra loro. I veienti eransi accampati fuori della città, con un eser. cito forte e valoroso formato cogli aiuti giunti da tutta l'Etruria, dove i più ric- chiaveanoassoldato ipoveri, onde era più numeroso di molto del romano esercito. Pertanto i consoli giudicarono non esser opportuno venire alle mani, e più pru- dente il temporeggiare; onde si conten . tarono rimaner chiusi nel campo edi far scaramuccie. Gli etrusci mal soffrendo trarre a lungo la guerra , stimolavano i romani contutti i modi e rampognava- no la loro viltà, per non uscir a combat- tere: essi dall' altro canto vedendosi pa- droni dell'aperto salivano ogni dì più in orgoglio. Avvenne frattanto, che un ful- mine caduto sulla tenda di Manlio, spez- zolla , rovesciò i lari e il focolare , mac. chiò, arse e consumò l'armi, uccise il più bello de' cavalli, che il console montava nelle battaglie , ed alcuni servi. Questo fattoriguardato come un prodigio infau- sto, mosse il console a consultar gli auguri, i quali dichiararono, che ciò annun- ziava la presa del campo, e la morte de' capitani principali. Manlio a evitare le conseguenze dell'avvenimento di questa predizione,o l'effetto morale prodotto ne' soldati , sulla mezzanotte abbandonò il campo, e condusse l'esercito a quello del collega Fabio. Nel dì seguente gli etru VEI VEI 15 sci appresero da alcuni prigionieri l'ac- caduto, e confortati da'loro aruspici mon- tarono in grandi speranze,giudicando che i numi eran per loro. Essi perciò anda- rono a occupare il campo abbandonato da'romani, e se ne servirono come d'un puntod'attacco contro il campo superstite , ponendo tutto in opera per fare risolvere i romani a un'azione decisiva. Ma i consoli quantunque fossero pieni di co- raggio, poca fiducia aveano ne'soldati che di malavoglia eransi armati , come mal- contenti della condotta de' patrizi nelle leggi agrarie. Laonde risolsero di restar chiusi nel campo, acciò i nemici divenis- sero vieppiù insolenti e pungessero l'a- mor propriode'soldati, perchè questi in- sorgessero in massa e domandasserod'an- dar contro il nemico; e così appunto av. venne. Imperocchè gli etrusci non con- tenti di provocar audacemente i romani con ogni sorta di contumelie, chiamandoli vigliacchi e codardi, che tenevansi rin- chiusi e non osavano mostrarsi, comiucia- rono a formar una specie di controvalla. zione per cingerli e quindi forzarli alla resa. Allora i soldati romani corsero con alte grida alle tende de'consoli, per esser condotti alla battaglia. Fabio li chiamò a concione, e co'rimproveri e colle promesse gl'infiammò in modo che giuraronodi non tornar a Roma, se non dopo vinto il nemico. Uscirono pertanto dal campo, e gli etrusci fecero altrettanto; giunti in luogo opportuno si schierarono in ordi- ne di battaglia: l'ala destra era comandata dal console Manlio, la sinistra da Quinto Fabio giàdue volte console, e al lora legato consolare e pro-pretore; il cen- tro dal console M. Fabio. L' urto fu ter- ribile, l'ala destra fece piegar gli etrusci; la sinistra fu sul puntod'esser circonda- ta, e perdè il suo capitano Q. Fabio, che cadde coperto di ferite. A soccorso di que- st' ala corse il console Fabio colle coorti scelte del centro e respinse i nemici. Men- tre così di nuovo si equilibrava la pugna, il console Manlio fu mortalmente ferito e trasportato al campo, onde venneloscom- piglio ne' suoi : a frenarlo corse il collega Fabio, e gli etrusci desistettero dall'assa - lire quest' ala; concentratisi però continuarono a combattere con gran furore, e molti perdettero de'loro, ma molti anco- ra uccisero de'romani. Gli etrusci che aveano occupato il campo abbandonato da Manlio, erano fino allora rimasti sempli- ci spettatoridella pugna; peròaquel pun- to uscirono, e credendo che il presidio la- sciato nel campo romano da Fabio fosse debole, andarono ad assalirlo. Essi non s'ingannarono: il campo non era guarda- to che da pochi soldati prodi, il rimanen- te consisteva in mercanti, vivandieri, fabbri ec.,gente poco atta a combattere. I ro- mani nondimeno fecero una resistenza ostinata; ma allorchèil console Manlioben. chèferito gravemente,volle accorrerecolla cavalleria a soccorso de'suoi, cadde da cavallo e per l'acerbità delle ferite non potè rialzarsi e morì, ed insieme con lui pe- rirono i più valorosi, onde gli etrusci li- beramente penetrarono nel campo. An- nunziata a Fabio tale sciagura, volò a li- berare il campo e vi pervenne pel valore di Tito Siccio legato e pro-pretore; quin- di instancabile tornò di nuovo a combattere, finchè il tramontardel sole pose ter- minea quella terribile giornata. Osserva Dionisio, a cui devonsi tutti questi parti- colari, che l'esercito romano era composto di 20,000 legionari e di 1200 cavalli; e che le truppe degli alleati ammontava- no ad altrettanti soldati, cosicchè in tutti ascendevanoa42,400uomini; chelabattaglia ebbe principio poco prima di mez- zodì e si prolungò fino al tramontar del sole; che vi perirono dal canto de'roma- ni i detti console e pro-pretore, e molti tri- buni e centurioni, quanti mai forse non erano periti in altri grandi combattimen- ti . Tuttavia la battaglia restò indecisa, e i romani cantarono vittoria , perchè la notte seguentegli etrusci si ritirarono ab- bandonando il campo: l'indomani questo fu saccheggiato da' romani, e dopo aver 16 VEI VEI nistrar soldati e da spese. A queste magnanime offerte, il senato rese loro grazie insigni, ed accettò con un senatus- consulto l'offerta generosa: i Fabii ebbero l'or- dine di trovarsi pronti l'indomani coll'ar- minel vestibolo della casa del console. In- fatti ivi si raccolsero, e in numero di 306 scorrendo la città col console alla testa, accompagnati da una gran turba di co- noscenze e d' amici, edal popolo, e pas- sando dinanzi il Campidoglio fecero voti a'Numi per la felicità della loro impresa. Uscirono di Roma per l'arco destro della porta Carmentale, e si portarono al Cre- mera, dove parve loro opportuno il sito peresser munito, e di servir da castello al presidio. Il Cremera, oggi Valca, in quel punto separava il territorio romano dal veiente: il luogo dicesi da Dionisio taglia- to a picco, quindi sembra a Nibby doversi riconoscere in quel monte dirupato a sinistra della via Flaminia, dove questa è attraversata dal Cremera circa 6miglia lungi da Roma sulla ripa destra di quel rivo, e precisamente dominante l'osteria della Valchetta. Essi non potevano sce- gliere luogo più acconcio per tener a fre- no i veientí , per dominar tutta la valle del Cremera fino a Veii, per guardare tutto il trattodell'agro romano, ch'essen- do il più vicino alveiente era il più espo- sto alle loro scorrerie, e finalmente perchèposto ad egual distanza fra Veii e Ro- ma, e prossimo al Tevere. Vi fabbricaro- no un castello, che prese il nome di Gremera. Da quel momento iveienti trova- ronsi paralizzati nelle loro scorrerie; i Fadato sepoltura a loro morti tornaronoal propriocampo, dove Fabio chiamo a con. cione l'esercito, e rese le lodi dovute a' prodi. Dopo qualche giorno ritornò col l'esercito in Roma, ricusò il trionfo e abdi- còilconsolato, non potendo più agire per la gravità delle ferite riportate. L'anno seguente che fu il 277 dell'era di Varro- ne, furono eletti consoli Cesone Fabio per la 3.ª volta, e Tito Virginio Tricosto : al 2.° toccò in sorte la guerracontro i veien- ti . La campagnasi aprì al solito collescor- rerie; maqueste costarono careaʼromani, i quali furono colti all'improvviso, e sen- za il valore di Tito Siccio sarebbero stati tutti spenti . I soldati sparpagliati si riu- nirono insieme sul far della sera sopra un colle, dove passarono la notte. I veienti ve li assediarono. In tal frangente il console non trovò altro scampo, che quello di chiamare in soccorso il collega. Questi giunse in tempo: i veienti posti in rotta sì ritirarono a Veii, dove furono insegui- ti da' romani, che posero il campo sopra un luogo forte vicino alla città: Di là sac- cheggiarono le terre veientane, e carichi di spoglie tornarono in Roma. Da quell'epoca cominciò per parte de'veienti un si- stema di guerra ladroneccià incomodis . sima per Roma : uscivano le legioni ro. mane in campagna, essi chiudevansi nella città: partivano le legioni, essi scorre- vano e saccheggiavano le campagne fino alle porte di Roma. Questo mise in ansie- tà il senato, dalla qualel'amor patriodel- la gente Fabia lo tolse. Dappoichè nel- l'anno 276 di Roma presentatisi i Fabii al senato, per organo di Cesone Fabiodi- bii però aveano sotto gli occhi la parte chiararono: Aver la guerra veiente biso- gno piuttosto d' un presidio permanente che d'uno grande; quindi che il senato prendesse pur cura dell'altre guerre, la- sciasse i veienti a'Fabii: ch'essi avrebbero mantenuta sicura la maestà del nome romano; essere questa una guerra per lo- ro, comedi famiglia, ed aver intenzione di farla a spese proprie; che la repubbli- ca andasse per questa esente da sommipiù ubertosa del territorio veiente che scorrevano e depredavano da ogni lato, massime gli armenti. I veienti procura- rono di snidarli , ma non potendo riuscir- vi colle.sole loro forze, invocarono il soccorso degli altri etrusci, e li assafirono : i Fabii furono soccorsi da Roma pel con. sole Emiljo, e pervennero a mettere in rotta gli etrusci a' Sassi Rossi, luogo co- sì detto dalle rupi di tufa rossa, stazione VEI VEI 17 oggi detta Prima Porta. Questa vittoria rese i Fabii più baldauzosi: dopo esser dimorati due anni in quel loro castello, ed aver fatto scorrerie ad una determinata distanza, cominciarono ogni giorno più ad allontanarsi, e i veienti dal canto lorocercaronodi attirarli, finchèungior- no, fingendo di fuggire, li attirarono in un'imboscata e li trucidarono tutti l'anno 279 di Roma a' 13 di febbraio (secondo Ovidio, e nel mese di giugno al riferire di Plutarco). Sembra inverosimile che tutti i 306 Fabii fossero spenti in un punto e in luogo ov'eransi recati per un sagrifizio, comealtri vogliono, avendolasciato indi- feso il castello di Cremera. Sembra che il racconto più veridico sia, che gli etrusci avendo di nascosto preparato un numeroso esercito, allettati i Fabii a inoltrarsi lontani dal presidio per inseguire e pre- dare greggi di pecore, ed aimenti di bovi e cavalli appositamente mandati da' veienti fuori de' castelli spesse volte; in una notte collocarono in luoghi opportuni le insidie per piombare sui romani, e in- viando a scorta di molto bestiame alcu- ni armati . Scopertosi il bestiame da' Fa- bii, lasciato al castello un presidio sufficiente, si gettarono su' custodi del bestiame che finsero fuggire. Ma mentre i Fa- biisenza sospetti riconducevanoil bestia me,d'ogni parte furono circondati da' nemici, e comechè sbandati ne restaronofacili vittime.Indi i veienti corsero adassali re il castello, e dopo valorosa difesa con. venue a' Fabii cedere al numero e tutti perirono, vendendo care le loro vite, per avere i veienti perduto un 3.º dell'eser. cito. Della gente Fabia vuolsi che restasse un sol fanciullo lasciato in Roma, dal quale provenne Fabio Massimo(che van- ta a stipite l'odierna nobilissima famiglia de' Massimo, come notai ne' vol. L, p. 309, LXXVI, p.12, ealtrove) ; ma cre- desi ch'esistessero altri Fabii, anco pel riflesso, che le leggi romane astringevano ogni pubere al matrimonio. La stra ge de'Fabii rese il luogo e il piccolo ſiuVOL. LXXΧΙΧ. me Cremera famosi. Tale giorno della sconfitta de' Fabii fu da' romani annoverato tra' nefasti, e la porta per la qua. le erano usciti da Roma i Fabii fu chia mata scellerata. I veienti uniti agli altri etrusci, ebbri per tal vittoria, andarono in massa alla volta di Roma, e posero il campo sul Gianicolo, 16 stadi distante dalla città, cioè in quella parte de' colli Gianicolensi oggidi denominati colli Vaticani. Di là passando il Tevere si portarono fino al tempio della Speranza vecchia, ch'era nelle vicinanze dell'odierna Porta Maggiore, ed ivi si venne alle ma- ni con esito dubbio: si combattè nuovamente presso la porta Collina, quasi col- lo stesso risultato. Finalmente due batta. glie più decisive si diedero, l'ultima delle quali sul Gianicolo stesso ; allora i ve ienti e gli etrusci dopo gravi perdite dovettero ritirarsi. L'anno seguente i veien- ti si collegarono co' sabini, ma furono interamente disfatti sotto le mura di Veii dal console Publio Valerio. Questa guer- ra ebbe fine nell'anno appresso, essendo console C. Manlio: questi concluse con loro una tregua di 40 anni, mediante un tributoin grano e in denaro. Tale tregua non durò tanto tempo, poichèfin dal 3 11 i veienti commisero depredazioni nell'estremità dell'agro romano : la guerra pe- rò non cominciò formalmente che 7 anni dopo. I veienti erano allora governati da un re, denominato lars Tolumnius (sulla voce Lars si può vedere il vol. LXXVIII, p. 85), cioè il re Tolumnio. Questi fece ribellar la colonia romana di Fidene,e per comprometterla interamen- te ordinò loro d'ucciderei legati romani, ch'erano stati spediti per chiedere ragionedi tal novità. Dopo questo misfatto, i veienti e i fidenati prevedendo le conse- guenzenonaspettarono iromani, mapas- sarono l'Antene. Si venne ad una zuffa ostinata, nella quale sebbene i romani ri- manessero vincitori perderono nondime- no molta gente. Quindi i romani deter- minarono d'eleggere un dittatore, e la 2 18 VEI VEI scelta cadde su Mamerco Emilio. Sua prima cura fu di liberare il territorio ro- mano dalle devastazioni nemiche, e per- ciò respinse i collegati di là dall'Aniene. Egli stesso passò quel fiume, ed accampossi in quella specie di penisola, chetro- vasi al confluente di questo fiume col Te- vere. Frattanto un nuovo soccorso era giunto a' collegati , cioè i falisci . Tenuto consiglio, i veienti e i fidenati erano di parere di trarre in lungo la guerra: i fa lisci però, essendo più lontani, espressero il desiderio di venir prontamente ad una battaglia decisiva; onde Tolumnio per non disgustarli l'intimò pel dì seguente. Questa si diè sotto le mura di Fidene : l'ala destra fu occupata da' veienti , la si- nistra da' falisci , ed il centro da' fidenati; inoltre essendo i veienti più numerosi, spedirono dietro i colli che aveano sulla sinistra, un corpo di trappe che dovea attaccar il campo romano durante la mischia e far così una potente diversione. Ma ben altrimenti andò la faccenda : la battaglia fu decisa all'istante; l'infanteria etrusca non potè sostener l'urto del. le legioni romane; non così la cavalleria, ch'era comandata da Tolumnio stesso ; essa resisteva ancora, quando Aulo Cornelio Cosso tribuno militare, o secondo altri console, vedendo che i romani cedevano dovunque portavasi il re diVeii, corse ad investirlo e l'uccise (onde le sue spoglie opime depose nel tempio di Gio. ve Feretrio, come notai nel vol. LVIII, p.184). Questo fatto terminò la sconfit- ta dell'esercito collegato. Cosso passato il Tevere colla cavalleria diè il guasto al territorio veiente, e l'esercito romano al suo ritorno nel campo apprese che il corpo veiente spedito per assalirlo era stato eziandio compiutamente disfatto. Malgrado questa rotta i veienti, invitati di nuovo da' loro costanti alleati i fideuati, passarono 3 anni dopo l'Aniene e si accamparono dinanzi la porta Collina di Roma, profittando della circostanza d'u- na fiera pestilenza che affliggeva la città. I romani per nulla sgomentati, crearono dittatore Aulo Servilio, il quale ordinò di star pronti sul far del giorno ad uscir in campo, e tutti quelli ch'erano in ista- to di portar l'armi le presero. I collega- ti non li aspettarono, ma ritiraronsi sul- l'alture verso Nomento (P. ), dove il dittatore li raggiunse e sconfisse. Di ritor- no si volse a Fidene; non potendo prenderla d'assalto, se ne impadronì scavando un cunicolo. Dopo la presa di Fidene i veienti ottennero una tregua, ma cominciando a temer seriamente per loro stessi spedirono ambasciatori agli al- tri popoli dell'Etruria, perchè si convo- casse una dieta nazionale al fano di Voltumna (secondo il costume degli etru- sci che notai nel vol. LXXVIII, p. 92: Voltumna o Volumna era la dea della benevolenza deglietrusci. Alcuni dicono che il tempio di Volturna, Volumnae Forum, era situato nel medesimo luogo ove presentemente trovasi Viterbo. L'Amati nella Storia diVolseno, 1.1, p. 112 , riferisce che gli antichi etrusci per promulgar leggi e trattar gli affari più ar- dui e rilevanti della repubblica, si adu- navano in Volseno, centro della vecchia Toscana, e per essere stato il suo lucumone anticamente il più ragguardevole della nazione ; ma quando la potenza de' falisci e de' veienti grandemente si aumentò, sicchè potevano contendere cogli etrusci trascimini, cioè dopo la fon- dazione di Roma, non volleto più recar- si a Volseno ora Bolsena, scelsero un luogoindifferente, qual fu il fano di Volturna o Volcurna, posto nel bosco Cimi- no tra' confini de' volsenesi e di Monte Fiascone, e quivi in ogni nuova luna per molto tempo si tenne la dieta gene- rale degli stati di Toscana). Si tenne questo congresso, nel quale gli altri po- poli dichiararono formalmente di non . voler prender parte in una guerra ch'e- ra stata mossa da' veienti di lor capriccio senza consultare il voto della nazio- ne. Istigati però da alcuni fidenati, pri . VEI 19 VEI ma ancora che spirasse la convenuta tre- gua, depredarono le romane terre. I romani non potendo ottenerne riparazio- ne, spedirono 3 tribuni militari contro Veii, che per le loro dissensioni furono disfatti . Dopo questa vittoria i veienti tentarono di nuovo l'animo degli altri popoli etruschi, ma non poterono muo. vere alcun comune ad unirsi con loro, e solo ottennero che i volontari potessero accorrere in loro aiuto, e molti ne attrassero colla speranza di bottino. Trovaro- no però corrispondenza negli alleati fi- denati, che massacrarono tutti i coloni romani , e strinsero vieppiù gli antichi legami con loro. La rotta di recente riportata, e la nuova ribellione di Fide ne mise i romani in forti apprensioni di veder ad ogni istante iduepopoli collegati alle porte di Roma; onde si accam. parono alla porta Collina, posero la cit. tà in istato d'assedio, disposero le truppesulle mura e chiuserole botteghe. Era stato scelto di nuovo a dittatore Mamerco Emilio: questi fece avanzar lelegio- ni fino ad un miglio e mezzo di distanza da Fidene, cioè di là dall'Aniene nella suddetta penisola, come avea fatto la 1." volta. La battaglia seguì fra questo luo. go e Fidene : i fidenati usarono lo stra- tagemma di comparire all'improvviso quali furie, armati di faci; maindarno. Il dittatore spedi un corpo contro Fidene, dietro i colli , che verso oriente coronava . no il campodi battaglia. La città fu presa, messa a sacco e distrutta, ed i cittadini furono come schiavi venduti. A' veienti fu accordata una tregua di 20 anni. Non n'erano scorsito, che di nuovo gl'irrequieti veienti si disponevano ad attac- car la guerra, ma ne furonodistolti da' magnati che videro le loro ville devastate da una grande inondazione del Teve- re. Allo spirar di quella tregua i roma- ni decisero di domar Veii loro implaca- bile nemica col suo esterminio, come aveano fatto di Fidene, e per levarsi una volta per sempre quello stecco dagli occhi, sopra frivoli pretesti dichiararono la guerra a'veienti , i quali ormai datisi a una vita eccessivamente tutta molle e oziosa, si esercitavano in continue ruberie, onde Livio non dubitò qualificarli, praedonem Vejentem. I tribuni milita- ri, a'quali fu affidata quest'impresa, leva. rono un esercito numeroso, composto in gran parte di volontari romani, latini ed ernici, peregrina juventus. Essi furono : Tito Quinzio Capitolino, Quinto Quinzio Cincinnato, Caio Giulio Iulo, Aulo Manlio, Lucio Furio Medullino, e Manio Emilio Mamercino; e pe' primi cinsero Veiidi blocco ed'assedio regolare. All'an- nunzio di questo gli etrusci si adunarono in gran numero alla dieta di Voltumna, onde provvedere all'urgenza. I veienti dopola morte di Tolumnio aveano adot- tato una forma di governo nuova, ed e- letto un magistrato annuale: questi avea suscitato discordie civili, onde a rimediarvi scelsero di nuovo un re. La persona su cui cadde la scelta era ricca, ma odiata datutta quanta la nazione etrusca, pe' suoi modi imperiosi e per le sue soper. chierie, e soprattutto abbominata per aver impedito certi giuochi sagri. Quest'elezione fu causa della rovina di Veii ; dappoichè essendo gli etrusci un popolo sommamente religioso, dichiararono di non voler affatto accordar soccorsi a'veienti, se prima non deponevano il re. Questa risoluzione fu soppressa in Veii per timore del re medesimo, il quale a- vrebbe fatto morire chi l'avesse propagata, come motore di sedizioni. Così i ve- ienti si trovarono abbandonati a loro stes si . L'assedio durò 10 anni, e fu il più glorioso pe'veienti; durante questo periodo i romani riportarono parecchie sconfitte, a segno, che una legge ordinò che i nubilidovessero sposarele vedove degli ucci- si. Fu allora che per la 1. volta, edopo se- ri dibattimenti fra il senato e i tribuni, i soldati romani riceverono finalmente uno stipendio fisso, e svernarono fuori di Roma; e dando mirabile saggiodi costante 20 VEI VEI sofferenza, persuasi di non poter soggio- gare l'inespugnabile città per la sua vantaggiosa situazione colla forza, si lusin gavano di sottometterla colla fame ecol la sete. Nella ferma risoluzione di non mai sciogliere l'assedio fino alla riduzio- ne di Veii ubbidiente a Roma , sofferen ti i romani nell'intemperie delle stagio. ni, formarono stabili alloggiamenti, non mai praticati prima, e nè dopo, secondo alcuni. I capenati e i falisci si mossero indarno in favore di Veii : i tarquiniesi tentarono una diversione in suo favore, ma restarono sconfitti. L'assedio traen- do tanto in lungo cominciava a stancare i romani , quando l'accrescimento im. provviso del lago Albano, ora di Castel Gandolfo (V.), diè luogo a consultar l'oracolo di Apollo in Delfo, il quale rispo. se: Che Veii sarebbe stato preso, quando l'acqua del lago Albano fosse stata fatta uscire, senza farla scorrere direttamente al mare, ma dissiparla nelle campagne con rivi per la loro fecondazione. Questa risposta trovossi d'accordo con quella che nell'intervallo dell'ambasceria a Delfo avea rivelato un aruspice veiente. Allora dunque si cominciò il lavoro dell'emis- sario del lago, che può riguardarsi come un ammaestramento del modo con cui avrebbero potuto i romani prendere la città, cioè per mezzo d'un cunicolo sot. terraneo, come in fatti fu presa.Si osserva ancora, che la consulta dell'oracolo diDel- fo fu eziandio per lo straripamento por- tentosodel lagoAlbano,di cui riparlai ne' vol.L, p.211 , LII, p.221 ealtrove,il quale cagionò la Pestilenza (V.), del 355, e ne fu attaccato lo stesso camporomano solto le muradi Veio. E che si fece dire all'ora- colo Delfico, che mai i romani avrebbe- ro soggiogato i veienti, se prima non avessero compito il grandioso traforo. Si dice, che così sagacemente si ottenne la deviazione dell'acqua, per la campagna che ne aveabisogno, e determinato i romani risolutamente alla meravigliosa impresa, e così pure rimuovere i pericoli dell'inondazione e peste; operazione ardua, che altrimenti forse si sarebbe ritardata o non fatta,e in vece tantafu l'ala- crità dell'esecuzione, che cominciata nel 356fu compita nel 357 in un anno.Stringendosi intanto sempre più l'assedio di Veii , moltiplicavansi i congressi nazionali degli etrusci al fano di Voltunna, dove i capenati ed i falisci peroravano la causa de' veienti, e forse sarebbero pervenuti a stringere una lega generale per liberarli, se l'improvvisa irruzione de' galli cisalpini non avesse distolto le cure degli etrusci , siccome il congresso dichia- rò a' deputati de' mentovati due popoli . I romani avendo già terminato il lavoro laborioso e celere imposto dall' oracolo al lago Albano, e scelto a dittatore Marco Furio Camillo, si posero con più calore aspingere oltre l'assedio. Nel 358 di Ro- ma i falisci , uniti a' capenati e a'veienti, osarono di dare un assalto al campo ro- mano; ma furono respinti con grave per- dita. Due anni dopo Camillo sorprese i falisci e i capenati nelle campagnedi Nepi, li mise in rotta, e s'impadroni del campo, dove trovò un bottino immenso, che consegnò per la massima parte al questore, e il rimanente distribuì a' soldati. Camillo disfatti dunque tali popoli, ch'erano venuti a soccorrere gli assediati , cinse più strettamente la città fabbricandocastelli intorno in modo da recarsi vi . ceudevolmente soccorso, ed impedire ogni comunicazione a'nemici. Quindi Camillo fece emanare un decreto dal senato, col quale si promise tutta la preda da farsi nella città di Veio alla sua espugnazione, atutti i soldati che vi avessero contribui . to, tranne la 10.ª parte che votò ad Apol- lo, per cui notabilmente aumentò l'eser cito assediante. Frattanto impiegò gen- te a scavare il celebratissimo e mirabile cunicolo (benchè la pietra venne riconosciuta fragile e perciò facile l'apertura, e appunto per la sua fragilità il cunicolo si scoscese poi da se stesso, e probabilmen- tediè luogo alla strada che conduce al VEI VEI 21 l'Isola Farnese), che conducesse diretta. mente alla cittadella o fortezza, che sorgeva nella parte più eminente di Veio ; rocca assai vasta, poichèoltre quelle par- ti che costituiscono una buona fortezza, nel suo centro era situato l'ampio e superbissimo tempiodi Giunone, il cui cul- to era in grau venerazione ne' veienti. Allorchè il cunicolo fu presso alla fine, Camilloprevenne il senatodella prossimi- tà della presa di Veii per assalto, scelse i più valorosi per penetrare nella cittadel- la per mezzo del cunicolo, ed egli con un finto attacco attrasse l'attenzione degli abitanti da un'altra parte. I romani aprirono il cunicolo e sboccarono nel tempio di Giunone; tanto bene era stata presa la direzione da minatori. In tal guisa i soldati che guardavano le mura furono presi alle spalle, le porte furono aperte, e la città fu tosto inondata da' romani. La strage de' veienti fu grande, e non cessò se non che quando il ditta- tore ordinò di perdonare agl'inermi. L'o- pulentissima e già formidabile Veio fu data in preda al saccheggio, ed i feroci veienti che sopravvissero furono vendu- ti come schiavi. Il simulacro di Giunone, dea tutelaredella città, fu trasportato in Roma e collocato con pompa sul mon- te Aventino, dove Camillo gl'innalzò il magnifico Tempio di Giunone Regina (1.), cui successe la sussistente Chiesa di s. Sabina ( V.), ed il busto è nel Mu- seo Vaticano, donato da Gregorio XVI , come dissi nel vol. XLVII, p. 99. Così Camillo ebbe la gloria nel 359o nel 360 di Roma di prendere il famoso Veio, do- poro anni di perseverante ememorabi- le assedio per parte de' romani, e d'osti- nata e valorosa difesa per parte de' ve- ienti, come i troiaui perto anni sosten- nero l'assedio di Troia. Insorse quindi un gran dibattimento fra il senato e il popolo, se Veii dovesse ripopolarsi di romani e fare così due capitali dello stes- so popolo; ma per le persuasioni diCamil- lo questo progetto venne abbandonato. Pare che la città non sia rimasta del tutto deserta, altrimenti per la vicinanza di Ca- pena, Nepi, Sutri ed altre città etrusche avrebbesi potuto ripopolarla, profittan- do del luogo per la sua postura natura- le inespugnabile, e sembra probabile, se- condo alcuno, il congetturare che i romani vi ponessero un presidio. Però Li- vio dice recisamente, la città rimase de- serta. Nondimeno molti edifizi non fu- rono abbattuti, e solo restarono abbar- donati. Livio tratta a lungo di questi fatti. Dirò solamente, che formando Ve- io il più orrendo spettacolo, in cui neppure itempli andarono esenti dal furo- re militare, portatosi Camillo sull'alto del colle, ov' era la rocca, al vedere co' propri occhi il risultato dell'espugnazio- ne, i superbi edifizi in parte diroccati e in parte consumati dal fuoco , il sangue umano scorrere in gran copia per ogni lato della città, fra tanti cadaveri, la pre- ziosità incredibile delle prede fatte da' soldati, e al vedere lo stato lagrimevole de' superstiti veienti oppressi dalle cate. ne, non potè contenere il pianto per la compassionedel terribile eccidio. Immen- so fu il bottino distribuito a' soldati, ed aglialtri volontariamente intervenuti al- l'azione ; e l'erario romano non poco pro- fittò sul prezzode cittadini veienti ven- duti come schiavi. Il senato accordò a Camillo gli onori di magnifico trionfo, che prese sopra splendidissimo carro ti- rato da 4bianchi cavalli, fra gl'incessan - ti viva e acclamazioni de' romani e de' popolicircostanti accorsi in Roma, e pie. no di palme andò al Campidoglio, rice- vuto e festeggiato come un nume. Il car- ro fu consagrato al padre degli Dei, indi teuuto in somma venerazione da' romani. Il re veieute sunnominato, che resi- stette da forte ne' due lustri dell'assedio, e che sagrificava nel tempio di Giuno ne al momento dell'ingresso iusidioso in es- so de' romani, incatenato servì d'ornameuto al trionfo. Furono fatte pubbli- che preghiere, ringraziamenti e sagrifi. 22 VEI VEI zi a' Numi ; il senato ordinando alle matrone, che con esso per 4giorni solen- nizzassero il giubilante avvenimento. Di ce Zanchi , che Arezzo, dopo soggiogato Veio, divenne capo della Toscana. Di poi Camillo condusse l'esercito contro ifalisci , e mentre ne assediava la metropoli Faleria, di cui riparlai nel vol. LVIII , p. 196, l'ottenne per avere generosa- inente rimandato nella città i figli che il traditore loro maestro avea a lui condotti . Dopo aver salvato Roma da'gal- li , Camillo ottenne pure che entrassero nella dominazione romana Nepi e Sutri, Hetruria Claustra, e poi validamen. te li difese contro il resto della nazione etrusca, sdegnata dell' espugnazione di Veio e della romana politica, cui loro toglieva coll' alleanze floride e valorose città. Intantosi discusse in Roma cosa dovesse farsi di Veio, e siccome la sua caduta nonpoco intimorì gli altri popoli , spe- cialmente i bellicosi volsci ed equi, altri acerrimi nemici de' romani, fecero pace tosto con essi , e si disposero a ricevere nelle loro contrade le colonie romane, al quale effetto già il senato avea stabilito mandarvi 3000 cittadini romani. Ciò pe- rò pose in tumulto la plebe in Roma, pre- ferendo d' andare più volontieri a Veio, città bellissima, prossima a Roma, capace di contenere gran moltitudined'abitanti, oltre il dolce clima, la fertilità eampiezza delle campagne veientane, cheandarenel paese de' volsci e degli equicoli. Camillo fu quello che ne dissuase il senato e a stento il popolo, e la determinazione non si effettuò ; però divenuto odioso aʼromani, indegnamente l'esiliarono. Ritenendo Nibby che Veii rimanese desertadopo il suo eccidio, tuttavia conviene che sembra le fabbriche non fossero demolite, ma so- lo abbandonate, poichè dopo la battaglia infausta dell'Allia, fiume celebre anco per tale combattimento, seguito a' 18 luglio del 363 o meglio 364 di Roma contro Brenno conduttore de'galli reduci dall'Etruria, i romani dell'ala destra fuggirono a Roma e senza chiuderne le porte si ritirarono in Campidoglio, e quelli della sinistra, dimenticando la patria, le donne e i figli che vi aveano lasciato , si portarono in Veii e ivi si fortificarono. Egualmente in Veii, divenuto luogo di riuuione a' romani , si recò Camillo da Ar- dea da lui scelta a luogo del suo esilio(co- me nativo di essa, secondo alcuni scrittori ), mentre Brenno entrato in Roma assediava il Campidoglio, ed ivi si tenne il consiglio circa i mezzi di potersi liberare da'barbari: e di là si mantenevano lecorrispondenze cogli assediati per mezzo di Ponzio Cominio; e di là Camillo, dimenticata la patria ingratitudine , partì con l'esercito a liberare Roma. Fu allora e per tutto questo, Veio considerata una secon- da Roma, perchè scrisse Luciano, lib. 5, ver. 28: Vejos habitante Camillo, Illi- co Romafuit. Madopo aver Camillo obbligato i galli a partire da Roma e quin- di sconfitti, tornò in campo la questione d'abbandonarRoma incendiata dagli stes- si galli, e stabilirsi in Veii, su di che ga- gliardamente insisteva la plebe: altro indizio è questo che le fabbriche non erano in rovina; ma anco allora l'eloquenza e l'autorità di Camillo la viuse, dicendo che sarebbe stato meglio assai non aver sog- giogato Veio, quando asì gran costo d'ab . bandonar Roma avesse dovuto ottenersi quellavittoria; equesto ignobile progetto nel 365 venne giustamente abbandonato persempre. Anzi volendo Camillo che da' romani si deponesse affatto tale vitupere- vole pensiero, ma che piuttosto si ri edifi. casse Roma distrutta dal fuoco , ottenne dal senato, che si distribuissero le cam- pagne veientane alla plebe in tante por- zioni di 7 jugeri per ogni capo, il che dimostra la sua vastità e ampiezza. Nel 368 essendosi all'antiche aggiunte 4nuove tri- bù, furono loro assegnate le terre conqui- state sui veienti , i falisci ed i capenati. Osserva Degli Effetti , che un jugero è quanto può arare un paio di bovi in un VEI VEI 23 giorno, e forma 240 piedi per lungo e120 per largo, ossia passi 48 lunghi e 24 lar- ghi. Un miglio contiene 1000 passi, e 5000 piedi , che riquadrati fanno un milione di passi e 25 milioni di piedi ; onde in un jugero entrano 28,800 piedi di terreno, eper formare un miglio quadrato occorrono 868 jugeri di terra e 1600 piedi. Nondimeno vi furono per un momentode' ripugnanti, i quali in vaghiti di Veioedavendone occupato le vuote case, per pi grizia non volendo rifabbricar le loro case in Roma, si erano ricoverati nellecase vuote di Veii ; il senato con decreto li ri chiamò, ma vedendo che questi ricalcitra- vano prefisse loro un termine sotto pena di morte, onde loro malgrado furono co- stretti a ripatriare . Da quell' epoca fino al 708 di Roma , cioè pel tratto di 343 anni , Veii rimase deserta, al dire di Nib- by, e per conseguenza da se stessa si distrusse. Alcuni credono verosimile , che Camillo col consenso del senato facesse abbattere da'fondamenti quel non tenue avanzo d'abitazioni, che tuttavia restava in piedi, acciocchè in avvenire non fosse più venuta voglia aʼromani d'abbandonar Romaper trasferirsi in Veio, di cui si mostravano tanto innamorati, Si vuole anche probabile, che Camillo coll'autorità del senato, ordinasse eziandio, che co'ma- teriali di Veio trasportati altrove si fabbri cassero castelli per nuove colonie, e così la rovina di Veio divenne totale. Nel sud. detto 708, Giulio Cesare, essendo scorso l'anno in cui era stato dittatore per la 2. volta , fu dichiarato console; ed avendo saputo che i soldati eransi ammutinati e aveano ucciso i pretori CosconioeGalba, li rimproverò, e invece di soldati li chia- mò nell'allocuzione cittadini , dando così lorouna specie di congedo; distribuì1000 dramme a ciascuno, e fece una sortizione delle terre d' Italia fra loro. Tra queste terre vi furono quelle dell'agro veiente e capenate. In tale circostanza e in forza della legge Giulia dedusse pure una co. lonia a Veii, e così ebbe principio la seaa conda Veii, o la Veiiromana. Questa co- lonia andò soggetta ad un assalto nella guerra civile triumvirale : gli abitanti si dispersero, per cui Lucano rappresentò le rovine di Veio copertedi polvere, Proper. zio lo dipinse miserabile ricettacolo di pastori , e giunse l'altiero Floroa dire, gonfio della grandezza di Roma de'suoi tempi e guardando Veio nello stato cui erasi ridotto , essere stata una vergogna l'aver trionfato di Veio! Essendo in tal condizione la colonia veiente, Augustoda principio divisò d'incorporarla a Roma, ma poi la popolò di nuovo, e Veii assunse il nomedi Municipium Augustum Vejens, siccome fanno fede Frontino o l'autore dell' opuscolo de Coloniis, chiamandola Colonia Vejens, e diverse iscrizioni che riporta Nibby, in quel luogoin più tem- pi rinvenute negli scavi, e da lui erudita - mente illustrate, per cui ne farò poi men . zione breve. Il municipio di Veii venne murato, come Veii primitivo, e colle pro- prie forze eziandio risorse. Di tale rifio. rimento di Veii romano sul finire del regno d'Augusto, e sotto il suo successore Tiberio ne fanno altresì prova i molteplici monumenti appartenenti a quell'epoca e scoperti nelle rovine della Veii romana, partede'quali sono sculture, che rap- presentano l'immagini d'Augusto, di Ti- berio e di altri soggetti di quella fami- glia; parte iscrizioni, fra le quali primeg. gia la riprodotta da Nibby, che ora si ve- deaflissa nella cameradelle lapidi nel museo Capitolino , proveniente dal museo Ciampini, già trovata nel ripiano a settentrione dell'IsolaFarnese, dove fu il mu. nicipio romano Veiense e il foro , ed ap- partenente al 776 di Roma o anno 26 dell'era volgare. Da questo monumento si apprende, che Veii romano avea il suo consiglio composto ditoo membri, per. ciò chiamati centumviri, 13 de quali furono presenti alla deliberazione fatta nel tempio di VenereGenitrice nel forodi Cesare in Roma: che avea i suoi duumviri, i suoi questori; che volendo ricompensa. 24 VEI VEI re i benefizi ricevuti da Caio Giulio Ge- lote liberto d'Augusto, lo promossero al grado degli augustali, collegio equivalen- te a quello de'Pontefici in Roma; ediede- ro a lui ed a'figli suoi il privilegio del bi- sellio in mezzo agli augustali nell'assistere agli spettacoli, ed in mezzo a'centum- viri nelle cene pubbliche, el'esenzioneda' dazi municipali . Fraʼnominati centumvi. ri in tale decreto vi è M. Tarquizio Sa turnino, di cui si ha una lapide scoperta nel 1812 negli scavi veienti , dalla quale apparisce ch'egli ebbe l'onore d'una sta- tua in Veii , della cui ragguardevole famiglia ivi furono trovate altre memorie, la quale pare oriunda di Veii anche per l'i- scrizione ch' era in quella parte detta la Piazza d'armi, e poi annoverata alla tri- bù Tromentina, così denominata a campo Tromento, parte del territorio veiente; cioè derivante da una dell'antiche fa miglie veienti che defezionarono a'romani durante l'assedio di Veii, e furono do. po la presa della città premiate col dirit . to di cittadinanza, e con terre l'anno 366 di Roma. Di Cneo Cesio Aticto, che rialzò la statua di Tarquizio Saturnino, ca - duta per terremoto o altra cagione, per le rovinedel tempio di Marte, molte lapidi sono state scoperte in Veii, parte nel secolo passato e parte negli ultimi scavi, riferite da Nibby; dalle quali apparisce, che fu aggregato fra'centumviri veienti, che riscosse ogni sorte di onori , ch'ebbe statue dagli augustali e da tutta la popolazione nel 256 di nostra era, per la sua munificenza , avendo rifatta la schola o sala della Fortuna Forte e l'ornò di sta- tue; e ch'ebbe in moglie Cesia Sabina sa- cerdotessa della Fortuna Reduce, la qua- le si mostrò munifica colle donne del comunedi tutte le classi ad esempio del suo marito. Da un' altra lapide scavata nel 1812, si ricava che nel 784 di Roma il municipio eresse un monumento ad onore di Tiberio e di Druso cesare suo figlio; e da altra che M. Erennio Picente console era patrono del municipio, a lui eret. ta per benefizi ricevuti da municipali intramuranei, altra testimonianza che Veii romana pure era circuita di mura. Plinio fra le popolazioni che a'tempi di Ve- spasiano occupavano l'Etruria, nomina i veientani. Dell' esistenza del municipio di Veii sotto gli Antonini e Settimio Severo sonovi lapidi che l'affermano. Il piedistallo della statua della Vittoria esisten - te nella chiesa di s. Lucia nell'Isola Farnese, dedicata nel 249di nostra era, mo- stra che sotto i Filippi , Veii continuava adesistere,che si restauravano monumenti cadenti per vetustà, che conservava il suo Ordo, e che n'erano allora duumviri quinquennali P. Sergio Massimo e M. Lollio Sabiniano. Dalla lapide scoperta nel 1774 apparisce che Veii avea ancora il suo Ordo sul principio del secolo IV; è in onore di F. Valerio Costanzo padre di Costantino I allora nobilissimo cesare. Essa chiude la serie de' monumenti veienti conosciuti da Nibby. Dopo l'era Costantiniana altra memoria esso non incontrò di Veii, se non nell'Itinerario o carta Peutingeriana, nella quale al XII miglio della via Cassia o Claudia trovasi indicata Veios, dall'anonimo Ravennate detta Beios per analogia di pronuncia. DiceNibby: questi mi sembrano indizi molto forti per credere che Veii nel secolo VIII non era ancora dimenticata. Ma dopo sparisce affatto dalla storia , e perciò puòsupporsi che caduta in isquallore co- me tant'altre terre del distretto di Roma perisse affatto nella scorreria micidiale di Astolfo re de'longobardi, che marciò su Roma verso il 753 per assediarla e mi- nacciandola d'impadronirsene. Prima di questo tempo pare che in Veio vi fosse piantata la sede vescovile,e nel vol. LVIII, p.128, notai, che il Calindri ne disse 1.º vescovo Andrea nel 680. La Notitia Epi. scopatuum del p. Mireo dice a p. 411 : Veientes seu Veii, vetusti Etruriae populi: quorum Urbs quo loco positafue- rit, iam olim fuit ignoratum. Civitatem Castellanam, quae Episcopatu gau- VEI VEI 25 Cilly odierna, di cui feci cenno in quel- l'articolo e già sua metropoli, la Celeia de'romani), e Celina soppressi e già esi- stenti nella provincia ecclesiastica d'Aqui- leia, anzi nella sua diocesi , osserva che nel- l' Italia sacra furono confusi in un solo di Celina, sbaglio scoperto dal Coleti ne' suoi mss. esistenti nella Marciana; e che quantoaCelina,ove si rifugiarono alquan- to di tempo i vescovi di Concordia, dopo l'eccidio della loro città,non ne furono vescovi i riferiti nell'Italia sacra, e forse il solo Viticano, mentre Clarissimo lo era di Concordia. Di Celeja essere stati ve- scovi certamente, Giovanni nel 579 inter- venuto al sinodo di Grado , ed Andrea summentovato. Il p. ab. Ranghiasci nel- la Bibliografia storica dello stato pon- tificio, all'articolo Veio, riportandone gli scrittori , la chiama: Città vescovile nel Patrimonio di s. Pietro, l'eii, Vejus, Ci- vitas Castellana. Il suo nipote p. Ran- ghiasci Brancaleoni, nelle Memorie isto- richede'dintorni di Nepi, pubblicate nel 1847, nel cap. 1 tratta: La città di Veii fra le altre di Etruriafu la piùprossi- ma a Roma alla distanza di 12 miglia e mezzo, sicchè nonfu a Civita Castel- lana, ma all'Isola Farnese. Quindi a p. 37 riferisce.» Nel concilio Costantinopo- litano alla sessione iv sotto Agatone si legge che il 679 la colonia Veio avea un vescovo di nome Andrea". Concludo, pro- babilmente Veio romano avrà avuto la sede vescovile, ma finora non si conosco- no i suoi pastori. Ora mi piace far menzione della Domus Culta di Capracoro, colonia e aggregato di case rustiche sta- bilita nel territorio veiente da Papa Adriano I del 772, della quale e di altre domoculteo villaggi formati da detto Pa- pa e da s. Zaccaria a vantaggio dell' Agricoltura, parlai nel vol. XXI, p. 158 e altrove. Ne tratta Degli Effetti nelle Medet, non Vcientium, sed Faliscorum esseoppidum, docet Antonius Massain li- brodeOrigine Faliscorum. Nel t.to del. l'Italia sacra, fra gli Episcopatus An- tiquati, a p.182 si pone Vejens Episco- patus. Dopo riferite le notizie dell'antico Veio o Veii, si legge. Suntetiam, qui il- lud inter Episcopales sedes antiquatas recenseat; cujus rei testimoniumprofer- tur Andreas Vejentanae EcclesiaeEpi- scopus, qui sententiam suam dixit inRomanoconcilio subAgathone an.680.Verum Andreas iste fuit Histriensis pro- vinciaeAntistes, etejussubscriptioaper- te loquitur, quae talis habetur in prae- fatoconcilio: Andreas Episcopuss. Eccle- siae Vejentanae provincia Istriae in hanc suggestionem etc. Alio igitur adminiculo fulcienda haec cathedra, quod nus- piam alibi apparet. Però nella precedente p. 55, parlandosi de'vescovi di Celina (V.), se ne registrano 3 : Clarissimo del 579, Viticanodel 503(questa datadovreb- be essere posteriore a quella del predeces- sore), Andreas s. Vejentanae Ecclesiae provincia Istriae Episcopus subscripsit an. 680 litterae synodicaeAgathonisPapae relatae in VIconcilio. Pro l'ejen- tanae reponendum autumat Holstenius in notis adGeographiamsacram Caro- lias. Paulo Veglentanae (Veglia) : sed cum Vegla, seu Viglia insula, et urbs Episcopalis sub Jaderensi metropolita ad oram Liburniae sita numquam inter Istriensis Ecclesiasticae provinciae ci- vitates fuerit recensita; ego potius lege- rem Celinanae, cui etiam lectioni textus graecuspropius accedit: Forum vero Julium, imo etipsa Venetia tunc temporis Istriensis provinciae nomine com- prehendebantur. Descrivendo io il vesco- vato di Veglia con l'Illyrici sacridel p. Farlati non trovai il vescovo Andrea, cominciandosi la serie de' conosciuti dal 1000. Il sacerdote Cappelletti, Le Chie- morie del Soratte e luoghi convicini, do- se d'Italia, t. 8, p. 838, nel parlare de' due vescovati , di Celeja città antichissi ma della Stiria inferiore (probabilmente ve fosse, della sua torre e di sua investitura. Anch'egli confuta l'opinione che Andrea sia stato vescovo di Veio , e fu 26 VEI VEI detto Vejentanus provinciae Histriae, perchè una delle principali colonie di Ve io, cioè i campi di Veio furono assegnati alle legioni illiriche ed a'veterani dalma. tini, e perciò detti Dalmatia et Histria. Degli Effetti produce diverse notizie su Veio e il suo territorio, su' veienti anti . chi e nuovi. Anche il Borgia, Vaticana Confessio B. Petri, a p. 188 parla di Ca- pracorum oblatum Ecclesiae Romanae, praedium scilicet rusticum in territorio Veietano seu Vegetano. Nelt. 14dell'Al. bum di Roma, a p. 28, si riporta il Di- scorso sopra Capracoro coloniafonda ta da s. Adriano I, del ch. Coppi, col- la pianta corografica delle vicinanze di Capracoro. E nel t. 9, p. 521 degli At- ti dell' accademia romana d' Archeologia, si legge il medesimo Discorso. Dice che alla sua assunzione al ponti- ficato il dominio temporale della s. Sedoera angusto (cioè in proporzione delle posteriori ampliazioni), ed i longobardi facevano correrie sino a Otricoli. Fra le tante opereinsigni di quelgran Papa, pro. mosse l'agricoltura. Nell'agro romano fon- dò 4domoculte o villaggi, cioè Galera nel la via Aurelia o Cornelia, altra Galera nel Portese , s. Edisto e Calvisiano nell' Ardeatina. Altra domoculta stabili nel territorio veiente, a' confini del Nepesino, nel luogo detto Capracoro, e sembra nel territorio di Campagnano presso il fiume Treia. Possedeva egli colà molti terreni ereditati da'suoi maggiori nobilissimi ro- mani (da'quali , secondo alcuni , discese- ro poi i conti del Tuscolo e i Colonna). Aque' fondi ne uni altri che acquistò da vari particolari, co' quali fece delle per. mute, e formò una sola tenuta, nella quade fondò una colonia. Edificò nella medesima una magnifica chiesa, e terminato il tutto, egli stesso accompagnato dal cle- ro e senato romano si recò con granpom pa a Capracoro , e trasferì nella nuova chiesa i corpi de'ss. Pontefici Cornelio, Lucio, Felice e Innocenzo I, suoi protettori particolari. Dispose poi, che tutto il rumento, l'orzo, i legumi, ed il vino che in quella colonia si fosse raccolto , si ri ponesse separatamente ne'granai e velle cantine della chiesa Lateranense; si uccidessero inoltre ogni annotoo grossi maiali , e se ne riponesse similmente la car- ne nelle dispense del Laterano (ove al- lora i Papi facevano l'ordinaria loro di- mora), quindi il tutto si erogasse in sov- venzione de'poveri ; per tal effetto si ra- dunassero ogni giorno, sotto il portico di quel patriarchio, almeno 100 di essi, e un dispensiere fedelissimo distribuisse a cia- scuno una libbra di pane, due bicchieri di vino , ed una zuppa con porzione di carne. Capracoro passò dipoi fra'beni del- la basilica Vaticana, e fu per vari secoli abitato. Difatti s. Leone IV verso 1'848 chiamati da vari luoghi uomini per co. struir le mura della Città Leonina (V.) o borgo aggiacente a detta basilica, concorse all'opera anche la milizia di Capra- coro. GiovanniXXconfermando nel 1027 i beni al vescovo di Portoe di Selva Candida, ne nominaalcuni esistenti nel territorio Nepesino, confinanti con una strada ch'era fra la milizia della torre e un terreno di s. Pietro. Benedetto IX in una simile conferma del 1037 indica Capraco- ro col titolo di Corte (anticamente significava, unione di molti poderi, anzi un ca- stello o terra). Nel 1053 s. Leone IX con- fermò a Giovanni arciprete della basilica Vaticana e a'canonici di essa, ch'erano nel monastero di s. Stefano maggiore, vari fondi, e fra gli altri que'di Tre. quata e Macorano accanto a Capracoro. In altra bolla dello stesso anno, s. Leone IX confermò al medesimo arciprete e a' servitori della chiesa di s. Pietro, il castel . lo di Capracoro con tutti i suoi fondi, col molino e la chiesa di s. Giovanni della Tre- gia, esistente nel territorio veiente lungi circa 27 migliada Roma. Adriano IV nel 1158 confermò la 2. bolla di s. Leone IX, indicando che la nominata chiesa era diroccata, che dovea alla basilica Vatica- na annue 3 libbre di cera lavorata; lostes- VEI VEI 27 so ripeterono Innocenzo III nel 1205, e Gregorio IX nel 1228. Col decorso degli anni la basilica Vaticana perdette ibeni di Capracoro. Questo castello dopo il se- coloXIII, come tanti altri, fu abbandonato e distrutto , pel sito alquanto infelice, cioè sorgeva in una valle circondata da fossi, e nonmolto difesa da'venti austra- li , sempre malsani. Gli antiquari disputa- rono sul luogo ove propriamente era Ca- pracoro. Il cav. Coppi con buone ragioni credeche esistesse nel territorio diCampa. gnano, le cui notizie coninciano dopo il fi- ne diCapracoro, che ha patronos.Gio. Battista e possiede il molino già di Capracoro. Quindi conqualche fondamentocongettura che gli abitanti di Capracoro siano col tempo passati a Campagnano (sul quale si può vedere il Degli Effetti), fabbricato in un luogo molto elevato, più sano e insieme più forte. Del resto una gran parte del territorio veiente è anche oggi deserto, e contiene vari luoghi ne' quali si potrebbero opportunamente stabilire villaggi. Retrocedo coll'epoca per torna- re a Veio, e le prove di quanto vado a narrare si ponno leggere nel Coppi, nel Nibby e altri che ricorderò, e che per brevità tralascio. Distrutta Veio, forse per opera de'longobardi, il cai regnoeb be fine dopo il 773 sotto Adriano 1, qual- che casa rurale certamente dovė formar- si per ricovero di quelli che coltivavano le terre, come avvenne di tante altre città più antiche ; la fortezza però d'alcune parti della città etrusca non poteva isfuggire le indagini de'potenti, che do- minavano il contado o ducato romano, e fino dal principio del secolo XI erasi forinato un castello sul colle dirupato, ed isolato nella parte meridionale di Veii, che fu detto la Isola, ed oggi è noto col nome d' Isola Farnese Anche il cav. Coppi dichiara, che presso le rovine di Veio si costrusse ne'tempi di mezzo un castello detto Isola; e che forse prese tale denominazione dall'Isola formata dal fiumicello Cremera a settentrione delle rovine di Veio, o dalla specie d'Isola che fanno due fossi o torroni attorno al luogo in cui fu fabbricata. Un documento ricorda questo castello fin dalt003, allorchèGiovanni XIX lo confermò all'abbate del monastero de' ss. Cosma e Damiano. Un altro documento mostra co- me nel 1029il detto monastero affittò un molino presso il castello. In que' tempi venivaparticolarmente designato col no- me d'Insula pontis Veneni, e quel pon . te, il quale sembra essere lo stesso che oggi chiamasi ponte Sodo, si ricorda fin dal 955 nella bolla d'Agapito II a favore del monastero di s. Silvestro in Capite. Al Nibby non sembra improbabile che nella parola Veneni si nasconda il nome Veienti; tale trasformazione pe' copisti era facile assai . Circa poi l'identità del ponte antico col ponte Sodo, pare provato dalla bolla di s. Gregorio VII del1074 a favore de'monaci di s. Paolo fuori le mura, nella quale si nomina la metàdi ponte Veneni e due chiese ac- canto a Vaccareccia (perla quale può ve- dersi Degli Effetti e Nibby), tenimento ch'è precisamente di là da quel ponte. Prima di questo tempo Nicolò II chia- mati nel 1059 a soccorso i normanni, contro Gerardo conte di Galera o Gale. ria della via Cornelia, e altri magnati ri- belli che di prepotenza aveano usurpati i beni della s. Sede, invasero e devastarono i territorii di Palestrina, Tuscolo e Nomento, come terre ostili al Papa; e passato il Tevere dierono il guasto a Ga- leria e a tutti gli altri castelli del conte Gerardo sino a Sutri , per cui il territo- rio veientano soggiacque alle devastazio- ni normanne. Che il castello dell' Isola fosse divenuto luogo forte e sicuro nel 1110, il Degli Effetti e altri lo rilevano dall'esservi stati mandati gli ostaggi con- cordati nella pace fra Papa Pasquale II e l'imperatore Enrico V, per la gravissima vertenza dell' Investiture ecclesiastiche (V.), e furono Federico nipote dell'au- gusto e Brunoue vescovo di Spira, con 28 VEI VEF altri personaggi ; ed all'incontro restasse presso Enrico V il potente romano Pier Leone co'suoi figli . Nel 1166 venne confermata la locazione fatta di questo castello dal predecessore, da Ildebrando abbate benedettino di s. Cosma e Damiano in Mica Aurea (oggi s. Cosimato di Roma delle Francescane, alle quali già nel 1238 era passata la proprietà di Isola, forse allora chiamata Castello di s . Pietro), a Pietro Obicione,e gli cedette inoltre alcuni beni che avea in Albano, ricevendone in compenso i diritti che il medesimo aveva sopra 6 chiese esistenti in Isola. Un atto del 1286 ricorda fra' i confini di Galera il castello dell' Isola di Ponte Veneno. Sul principio del se- colo XIV questa terra passò dal monastero delle monache di s. Cosimato in mano di particolari ; e nel 1346 un indivi- duo della famiglia Muti ne vendette una parte ad Andrea Orsini. Nel 1360 Fran. cesco Veneto notaio lasciò a Vecchiarello Sabba due oncie del castello dell'Iso- la colle tenute, la rocca, il cassero ed i vassalli . Nel 1368 Lello figlio di Vene. to ne ipotecò la 3.ª parte d' un' oncia a favore di Pietro figlio di Marino. Nel se colo XV questa terra era in uno stato di floridezza e molto popolata; imperocchè nella mossa del perugino Nicolò Forte braccio minacciante Roma, nel 1434 venue tassata da Papa Eugenio IV dı mandare a Bracciano to uomini armati per unirsi al corpo che ivi il Papa face- va raccogliere per opporglisi. Sembra poiche in questo tempo passasse intera- mente in potere degli Orsini, i quali fino dal 1346 ne possedevano una parte, e molto del fabbricato attuale appartie- ne a quell' epoca. Nel 1485 con l'aiuto di Fabrizio e Nicolò signori di Sermone. ta, nella correria contro gli Orsini , Iso. la pure fu presa da Prospero Colonna, che mend seco prigione parecchi abitan- ti e portò via molto bestiame. Nel 1486 il cardinal Borgia, poi Alessandro VI, e il cardinal Ascanio Sforza si portarono in questa terra e cenarono insieme, onde si sparse voce che avessero trattato di pace. Dipoi Alessandro VI avendo stabilito di abbattere la potenzadegli Orsini , perciò tentò d'occupare tutte le loro ter- re cominciando dall' Isola, che il suofiglio Cesare Borgia poi duca di Valenza (V.) o Valentinois, nel 1497 circa pre- se dopo 12 giorni d'assedio, ed allora oltre altri guasti, una parte della rocca vennedisfatta : nello stesso anno gli Orsini ne alienarono una parte in favore del Rucellai mercante fiorentino. Morto però nell'agosto 1503 Alessandro VI, e caduta la potenza del duca Borgia, l'Iso- la naturalmente ritornò proprietà degli Orsini, onde allorchè Pio IV nel 1560 con bolla eresse Bracciano (di cui pure ⚫nel vol. LVIII, p. 121) in ducato, vi comprese con altre terre ancora questa. Rilevai nel vol. XXIII, p. 201col Nibby, il nome che tuttora ritiene d'Isola Far. nese è un forte indizio, che un qualche tempo sia stata di quella famiglia, e che poscia nell' incamerazione del ducato di Castro e Ronciglione, ancora questa ter- ra venisse compresa. Egli è certo che fino dal 1667 era della Camera apostolica, e che ſu allora affittata per 1450 scudi. Anche il Coppi conviene, che nella de- cadenza della famiglia Orsini, Isola fu fra' primi fondi alienati ; e sembra che siapassata in dominio della famiglia Far- nese, dalla quale prese nuova denominazione, e quindi incamerata col detto du- cato, pare nel 1641 0nel 1 649. II Piazza nella Gerarchia cardinalizia, stampa. tanel1703, descrivendo la diocesi di Por toda lui visitata nel 1680 d' ordine d'Innocenzo XI, a p. 92 tratta dell' Isola Farnese antico Vejo. Ne celebra le memorie famose, l'antichità, il sito, i fasti, il valore de' veienti, confutando l'opi- nionediquelli che supposero altrove l'an- ticaVeio,e seguendo quella dell'Olstenio, del cardinal Massimi, di Nardini, di Fabretti, di Mattei, di Ciampini, la ricono- sce nell'Isola Farnese, con testimonianze 1 VEI VEI 29 topografiche da lui verificate sul luogo. Afferma d'aver trovato sul piano dell'i- stesso sito ov'era la città i residui dell'an- tichissime mura e delle sostruzioni ; che ne' cavi si trovarono piedistalli, cornicio ni , statue e altri maravigliosi rottami di marmi antichi. Nel piano della valle os- servò il cunicolo pel cui mezzo seguì l'esterminio della gran Veio. Nell'antica via Veientana, che diramandosi dalla Cassia conduceva a Veio, trovò i vestigidi gros- si selci, e allora pure conducevano al col- le e all' Isola Farnese; e parte dell'anti- ca città dichiarò che surse ov'è il castel- lo o rocca dell' Isola stessa, nella quale con Lilj dice che terminò i suoi giorni Gismondo Varani. In fatti leggo nell'Hi. storia di Camerino, che nelle vertenze fra Francesco M." I duca d'Urbino e Si- gismondo Varani suo nipote e duca di Camerino, questi tornando da Viterbo a Roma, ov'era andato ad assoldar gen. ti , d' ordine dello zio giunto alla Storta a' 25 giugno 1522 fu passato con uno spiedo nel corpo e portato, nel castello dell' Isola Farnese ivi morì di 21 anni, indi condotto in Roma il cadavere fu tumulato in s. Maria del Popolo. Quindi il Piazza passando a ragionare dell'odier- no castello, dice che dagli Orsini passò in proprietà de'Farnesi, unito collo stato di Castro e Ronciglione, e pe' quali s' intitolò Isola Farnese, indi proprietà della camera apostolica col rimanente del dominio Farnesiano. Trovò nella vi- sita apostolica la chiesa di s. Pancrazio parrocchiale (e lo è tuttora, dedicata pu- re alla B. Vergine Coronata), assai anti- ca e di conveniente fabbrica (il Nibby la crede edificata nel secolo XV e proba- bilmente rifabbricata dopo i guasti soffer- ti dalla terra nella presa del duca Borgia : dello stesso tempo è la pittura a fre- sco dell'altare maggiore, che rappresen. ta la Coronazione della ss. Vergine. Il vaso per l' acqua santa è formato con frammenti antichi d'architettura), incui venerasi una segnalata reliquia del santo titolare. La chiesa fu consagrata dal vescovo. Terpolitano a 20 aprile 155g, riponendovi nell' altare le reliquie di s. Pancrazio, di s. Andrea apostolo e di s. Lucia, concedendo un anno d'indulgenza perpetua nell'anniversario della dedicazione, di che trovò memoria nel decreto della visita fatta nel 1630 dal cardinal Ginnasi vescovo di Porto. La chiesa era mantenuta nel culto divino da una confraternita canonicamente eretta, coi frutti di pii legati. Pegli infortunii patiti dal castello allora contava 130 anime, e l'arciprete godeva scudi 200 di rendita. La chiesa di s. Maria Castellana, così detta perchè vicina alla rocca o castello an- tico, dedicata ancora a s. Lucia, ora smantellata, era governata da un cappellano perpetuo obbligato a coadiuvare l'arciprete nella cura d'anime, e di sup- plire per lui a' bisogni della parroc- chia, venendo nominato liberamentedal- l'ordinario colla rendita di scudi 80. Crede Piazza che in questo edifizio, prima che fosse ridotto a chiesa, venisse adorato da'gentili un Nume. Certo è che ivi l'ara marmorea della Vittoria Augusta, serve per vaso dell' acqua bene- detta, e l'iscrizione Ordo Vejentiumfe- ce trarre argomento al Nardini della vicinanza di Veio, mentre osservò il Piazza che per la sua grandezza non poteva es- sere stata trasportata da luogo lontano. L'Isola Farnese fu di poi concessa in en- fiteusi dalla camera apostolica, la quale nel 1820 ne vendette anche il dominio diretto, che fu acquistatodalla principes- saMarianna di Savoia duchessa del Chiablese, nel suo soggiorno in Roma (di che ne'vol. XXIII,p.201 , XLVII, p. 95, LXI, p. 174 e altrove) ; dominio che passato per sua morte nel 1823 in retaggio alla regina diSardegna M. Cristina di Borbo- ne (insieme alla Villa del Tuscolo ossia la Ruffinella di Frascati, di che parlai nel vol . XXVII, p. 165e166,maricordandolo nel vol. LIX, p. 73, il detto vol. per man- canzad'un I dice erroneamente XXVI; e 30 VEI VEI siccome ivi dissi che la regina collocò gli oggetti antichi d'arte trovati ne'suoi scavi di Tuscolo, nel magnifico e reale ca- stello d' Agliè nella provincia d' Ivrea, e suo soggiorno di villeggiatura di quan- do in quando, qui aggiungo che vi colJocò pure la pregevole collezione de'vasi fittili veienti , di cui vado a parlare. Il castello d' Agliè è di proprietà del reale principe Tommaso di Savoia duca di Genova), e morendo la regina nel 1847, lasciò l' Isola Farnese, con altri foudi che possedeva nelle vicinanze di Roma, alla nipote regnante imperatrice del Brasile Teresa Cristina, comenotai nel vol. LXI, p. 181. L'imperiosa brevità m'impedisce seguire il Nibby nella dotta descri- zione della topografia della celebre Veii, e degli avanzi esistenti tanto dell'epoca etrusca, quanto ancora dell'epoca ro- mana, e dovrò contentarmi a ricordare solamente qualche principale indicazio- ne, oltre quelle già riferite. Sir William Gell pel 1.º pubblicò la pianta esatta di Veii, che somiglia ad una vasta peniso. la, nel t. 1 delle Memorie dell' Istituto di corrispondenza archeologica, con os- servazioni , ed anco nella Topografia di Roma e suoi dintorni. Le mura primitive erano di massi irregolari quadrila teri di tufa locale, lunghi fino 11 piedi. Gli antichi sepolcri sono incavati nella rupe dell'Isola . Il suo fosso e il rivo Cre- mera determinano il sito di Veii in gui- sa che si può facilmente misurarne il circuito. AVeii romana anticamente si andava da Roma per le vie Flaminia e Cassia ; oggi più ordinariamente si segue la strada detta dell'Isola, che dirama dalla Cassia verso il X miglio a destra. Il ca- stello dell' Isola si presenta come sopra uno scoglio spiccato dalla catena di parecchi colli dirupati, di forma oblunga da occidente a oriente. Quel dirupo è un ammasso di ceneri vulcaniche indurite dall'acqua, perciò fragile e facile a fra- narsi , per cui anticamente era più alto. Molte caverne sono aperte nel lato della rupe che guarda mezzogiorno e levante, e si ravvisano come sepolcri etruschi ; una di esse è di forma quadratae piena di piccole nicchie, come i colombari romani. Il luogo presenta d'ogni parte l'a- spetto dello squallore e della decadenza, e mostra nel fabbricato essere stato riedificato nel XV secolo. La terra ebbe un soloaccesso interno, e dalla parte del Por tonaccio era la comunicazione fra la città ela cittadella. L'antica via essendo interrotta, come la detta comunicazione, si segue una nuova strada, posteriore a Veii etrusca, che torce a sinistra per chi va da Roma all'Isola, fino alla mola ; la quale a sinistra è dominata da rupi pittoresche, e a destra da una specie di baratro, sotto il quale scorre il fosso. Alla mola è il precipizio terribile, e poco do- po una cataratta : il sito è de'più pittoreschi, e pare servito a'veienti per luogo di supplizio, come a Roma la rupe Tar- pea. Dalla cataratta si sale per giungere alla città antica, ove forse fu la porta occidentale o de'Sette Pagi. S'incontra poi una sorgente d'acqua minerale, e il sito dell'altre porte, che ponno designarsi, se- condo la loro direzione, coʼnomi di Cam- pana, Fidenate, Arce, Are Muzie, Ponte Sodo o Capenate, Sutrina, Pietra Pertu . sa, Colombario. Visibilmente si ricono- scono a fior di terra le fondamenta del . le 5porte, oltre quella per a Sette Pagi . Sembra però che 9 fossero le porte, sen- za contar la porta della cittadella ch'era interna. Oltre le mura, il sito delle porte, il pontedella porta di Pietra Per . tusa, il Ponte Sodo, i tumuli e le grotte sepolcrali , altri avanzi non rimangonodi Veii etrusca. Del municipio di Veii romana altro non rimane che il colombario, da'contadini chiamato il Cemeterio ; fu trovato intatto, ornato di stucchi di bello stile e di pitture, ma oggi è tutto spogliato, parte per l'incuria e parte pel vandalismo de' visitanti. Esso è composto di 3 camere, delle quali una sola è ac- cessibile. Lungo la strada romana fra le VEI VEI 31 porte Sutrina e Fidenate, furono scoper te negli scavi varie lapidi sepolcrali, ri- ferite e dichiarate dal Nibby. Nel centro ove fu il municipio veiente furono trovate le teste colossali d'Augusto e Tibe- rio, ora nel corridore del Musco Chiaramonti , molte altre statue fratnmentate, molte teste, una statua mutile di Ger. manico, molti pezzi d' architettura e 24 colonne giacenti e non ancor messe in o. pera, cioè 12 di marmo bianco lunense di circa 23 palmi d'altezza e 3 di diame- tro, d'ordine ionico, con basi e capitelli di forma singolare ; e 12 di marmo bigio di 13 palmi d'altezza e d'un palmo e mezzo di diametro, con basi e capitelli d'ordine composito. Colle primeGrego- rio XVI fece ornare il portico dell'anti- co edifizio delle Poste pontificie a piazza Colonna (come narrai nel vol. LIV, p. 314, mentre il nuovo lo descrissi nel vol. LXXIV, p. 360) ; colle seconde il me. desimo Papa fece decorare la cappella di s. Benedetto della nuova basilica di s. Paolo (il che notai nel vol. XII, p. 223, ed avendo terminato la descrizione di quel tempio splendidissimo ne' vol. LXXIII, p. 352 , LXXV, p. 214). Queste 24 colonne sembra che fossero in origine destinate ad abbellire la basilica di Veii, e per conseguenza presso il luogo dove es- se furono trovate, in uno alle suunmentovate sculture, e fu probabilmente il foro. Le lapidi pubblicate dal Nibby ricordano il tempio di Marte, la scuola della Fortuna Forte, il teatro, il bagno, il cul- to alla dea Vittoria, quello a Castore e Polluce, alla Pietà, ed al Genio de' veienti. Anche il Coppi discorre de'monu- menti rinvenuti negli scavi di Veio, indi acquistati dal governo pontificio, e col- locati nelmuseo Vaticano. Nel secolocorrente,a spese della famiglia Giorgi e sotto la direzione dell'avv. Galli, nel 1810 s'in- cominciarono gli scavi, continuati negli anni seguenti, sulla spianata d'una col- lina esistente a settentrione dell' Isola Farnese, come ricavo daCoppi e da Nibby, quest'ultimo deplorando che gli og- getti trovati de'magnifici avanzi del mu- nicipio veiente, quando poi Pio VII li fece acquistare pel Vaticano, non furono tutti collocati nella stessa sala, e che nello scavo fu trascurata affatto la topografia delle fabbriche rinvenute. Ne fece diverse relazioni all'accadeinia romana d'archeologia Alessandro Visconti, i cui e- stratti si pubblicarono nel Giornale dipartimentale di Roma, in tempo del go- verno francese. Divenuta l'isola Faruese proprietà della regina di Sardegna M." Cristina, riprese le escavazioni a'26 feb- braio 1838 1839 nell' antica necropoli di Veio sotto la direzione dell'intelligen- tissimo marchese Luigi Biondi, il quale a'19 aprile 1838 lesse nell' Accademia d'Archeologia il Ragionamento intorno alla tabella votiva in marmo, trovata nell' escavazioni veienti. Si pubblicò nel 1. 9, p. 205 de' summentovati Atti. Indi il marchese commise la descrizione de'vasi fittili trovati ne' sepolcri dell'antica Veio, al dotto archeologo Campanari di Toscanella, il quale vi corrispose con quella illustrazione stampata con tavole incise nel 1839, che lodai nel vol. LXXVIII, p. 269, dedicata al conte Avogadro di Colobiano gran maestro e con. servatore generale della casa della stessa regina. Da par suo descrisse tali sepolcri veienti ed i vasi . Dice i sepolcri di due specie, altri grandi e più antichi, forınati di una o più camere co' letti funebri scolpiti all'intorno, su de'quali venivano deposti o interrati i cadaveri ; altri meno antichi e piccolissimi, consistenti in una o più nicchie scavate parimente nel tufo e capaci a contenere non più che un vaso, e talvolta una piccola urna di terra cotta coperchiata, dove riponevansi le ossa bruciate del morto ; e presso tali nic- chie erigevasi il rogo per bruciare i ca- daveri. I vasi neri, quegli altri di gran mole con rappresentazioni d' animali, e gli altri tutti di più antica opera e fattura trovaronsi sempre disposti intorno a' 32 VEI VEI cadaveri nelle grandi camere sepolerali . I vasi di miglior stile ed elegante, e quel li altresì più belli per diligenza e bontà di disegno, non che gli specchi di metal- ⚫lo, le tazze e altre gentili stoviglie, furo- no tutte rinvenute entro queste nicchie, dove fra le ceneri e le ossa brustolite erano ancora talvolta anelli d'oro, pen denti, armille, aghi crinali di osso o di metallo, ed altri ornamenti muliebri , se di donna racchiudevansi l'ossa dentro i vasi . Gli etruschi prima interrarono i lo- ro cadaveri, posteriormente li bruciaro- no riponendoue gli avanzi entro vasi di bronzo o di terra cotta, o in urne cine- rarie, che fu l'ultimo uso della nazione, praticato pure daʼromani. La maggiore o minore antichità di siffatti sepolcri , resta dimostrata dalle stoviglie se rozze, migliori o perfette. Comunque nella collezione de' vasi veienti trovati nell' escavazioni in discorso, molti sono con belle ed eccellenti pitture, tutti più o meno sentono del rigido fare della vecchia scuola, nè ve n'ha uno di sì finito e per- fettodisegno chesi possa assegnare aque st'ultima epoca, il perchè deve ritener- si, che venisse meno la fabbricazione di tali fittili in Veio nel 359 di Roma, quando appunto la città fu domata e di strutta dall'armi vincitrici romane. I vasi neri di terra lisci oʻornati di bassi ri- lievi elegantissimi,che in tanta copia tro- varonsi ne' più antichi sepolcri di Veio, non hanno molta durezza e solidità a proporzione degli altri, perchè la loro cottura non è portataa quel gradodi per- fezione delle stoviglie dipinte, per cui crede il Campanari che poco o nulla servissero ad altri usi della vita civile, ma sibbene unicamente alle funebri pompe e ceremonie degli antichi. Degli altri va. si le stesse pitture insegnano l'uso cui erano destinati . Furono primieramente adoperati ad uso de'sagrifizi verso iNu- mi, non che di premio a' vincitori negli atletici combattimenti, e in altre feste e giuochi, ed ancora secondo l'argomento delle pitture, di donativi fra gli amanti, od a causa di matrimonio, d' ospitalità ed'amicizia. In fine servivano a tutti gli usi domestici e civili,che del pari rappre- sentati vi sono. Fu costume degli antichi di conservare nella Sepoltura ( V.) gli og. getti che in vita s'ebbero cari i defunti , per la credenza che l'anime dei beati conservando dopo morte il proprio abi. to e le proprie loro costituzioni, prendes- sero diletto delle cose che vivendo ebbero care e affezionate, massime dalla nazioneToscana (I.)antica. Ancheil mar- chese Campana intraprese dispendiose ricerche e intelligenti scavi in alcune colline che formano parte dell'antica ne- cropoli veiente, rimpetto al luogo ove giàbrillò questa fortissima città etrusca. Trovò fra le molte altre quella tomba o grotta sepolcrale, la sola intatta dell'an- tichissima Veii , il cui disegno e sua eru- dita illustrazione pubblicò l' Album di Roma nel 1843, col t. 10, p. 249. La reginadi Sardegna fece riprendere gli sca- vi colla direzione del valentissimo archeo- logo commend. Luigi Canina, il quale pose in più chiara luce l' ubicazione di Veio, e quindi pubblicò con 45belle ta- vole e alcune colorite, L'antica città di Vej descritta e dimostrata con i monu- menti, Roma 1847. Quest'opera non fu posta in commercio, siccome di pochi esemplari. Del sepolcro denominato dal- loscopritore e illustratoreSepolcroCam- pana, e dai contadini locali Porta di ferro, e dell' opera del Canina, risultato degli scavi di più di mille sepoleri , nel 1857 ne diè contezza nel t. 3 della nuova serie del Giornale Arcadico a p. 59 e seg. il ch. Fabio Gori nella sua erudita e interessante : Scorsa a Veii una delle capitali d' Etruria, 12 miglia lungi da Roma. Quanto allo scopritore del Sepolcro Campana,lo celebra come loscrittore dell'Opere in plastica.Quan- to a'vasi trovati dal Canina, dice che sono di tre generi. Il 1.° è il più particola- re de' veienti , perchè raramente si trovò VEI VEI 33 negli altri sepolcri etruschi,consistenti in vasi di bella vernice nera, sottile, e di mirabile artifizio. Altri hanno geni ala. ti, o fasciature semplici, o animali con due soli colori, ed elligie di animali incisi solo a contorno. Il 2.º di vasi digrandissima dimensione, ove dipinti sono con colori a corpo, geni aligeri e anima- li . Il 3.º mostra l'ultimo genere di vasi, ma rarissimi fra le tombe veienti, di- pinti con vernice fina. Dirò perultimo, che si legge nel n.º 105 del Giornale di Roma del 1853, che l'imperatrice del Brasile Teresa Cristina M. di Borbone, avendo ereditato la maggior parte dei fondi, che possedeva nelle vicinanze di Roma la sullodata sua zia regina di Sardegna, non volle trascurare di prosegui- re quanto si soleva praticare da quella benefica sovrana proteggitrice delle antichità e delle belle arti, a vantaggio delle medesime. Commise pertanto al com. mend. De Figueiredo incaricato d'affa ri dell' imperatore consorte presso la s. Sede e la corte di Toscana, e suo pro- curatore per l'amministrazionedel detto patrimonio,d'imprendere alcune escavazioni nel territorio dell' Isola Farnese dove esisteva l'antica Veii. L'escavazio ni intraprese nel dicembre 1852, ebbero luogo primieramente nella parte setten trionale dell'antica città, ove esisteva la principale sua necropoli ; e si scavarono più di 120 vetusti sepolcri, in cui si rin- venne una ragguardevole quantitàdistoviglie per più gran parte nere, e pochissime dipinte. Siffatta particolarità si rendeimportante per la storia di tali ogget- ti ; poichè tra le città principali deli'an. tica Etruria, di quella de' veienti essendo più cognito il principio della sua prosperità ed il suo territorio alla pertinen za di tale antico popolo, si trova così in modo più convincente confermata la pre cedenza dell' uso delle stoviglie dell'in- dicata semplice specie, su quello delle di pinte, ed essersi quest' ultime introdot- te in più gran numero solamente non VOL. LXΧΧΙΧ. prima dell' 8.° secolo avanti l'era nostra. Quindi nel fine di febbraio 1853 si rivolsero le ricerche nella parte occupata propriamente dalla città antica, ove si scopersero a poca profondità le reliquie di varie case stabilite incirca ne'primian- 'ni dell'impero romano sulle fondamenta di simili fabbriche assai più antiche, che si trovarono corrispondere lungouna via interna che metteva alla porta occidentale, da cui usciva la via esterna che si rivolgeva verso la via Cassia. E tra le stes- se reliquie si rinvennero diversi oggetti di scultura romana in marmo, che ser. vonoprincipalmente a dimostrare avere lacittà stessa continuato a prosperare anche dopo d'essere stata ridotta a municipio romano. Tra'medesimi oggetti me. rita considerazione una statua muliebre; che si crede essere una Pomona, di poco inferiore del vero, e quasi per intero conservata; e diverse piccole figure per lo più di rappresentanza Bacchica con una piccola Cariatide scolpita in marmo giallodettonumidico.Parimentesi rinvennero frammenti d'una Vittoria alata scolpita in bassorilievo per onorare alcuna vittoria riportata daqualche imperatore romano che protesse il medesimo municipio. Si sono inoltre rinvenuti diversi pavimenti di camere composti con varietà di marmo delle più scelte specie. Fra' pochi marmi scritti, rinvenuti nelle stanze scoperte, meritano considerazione 3 frammenti appartenenti ad un' iscrizione monumentale dell' imperatore Tibe. rio, scoperti da vicino al luogo in cui nel 1814sirinvennela bella statua summen- tovata, poichè da tali reliquie conoscen- dosi essere stata l'iscrizione stessa collocata in Veii per alcuna concessione otte. nuta da quel principe, si viene più for malmente a convalidare la corrispondenza in tal luogo dell' antica città di Veii, come fu ampiamente dimostrato anche nella suencomiata opera di Canina; mentre di tutte le altre iscrizioni in cui leggesi il nome de'veienti e della loro città, 3 34 VEL VEL non si conservò precisa memoriadel lo- ro ritrovamento, donde n' era derivata J'incertezza sulla vera corrispondenza di posizione della città stessa. VELIA, Elea, Helia, Heyla. Antica sede vescovile d'Italia, nella Lucania, la quale si divide nelle provincie ecclesia. stiche di Rossano e Cosenza . Nell' Ita- lia sacra, t. 10, p. 183, Velinus Epi. scopatus, si dice che esisteva nel VI seco- lo, essendo vacata nel pontificato di s. Gregorio I, che fiori nel declinare di ta- le secolo ; il quale Papa incarico Feli- ce vescovo Agropolitano per fare la visita della chiesa di Velia nel 592. Igno- ransi i nomi de' vescovi che ne occupa- rono la sede. La città si vuole edificata a tempo di Servio Tullio re di Roma da'focesi, perciò stimata colonia greca, e si vuole patria de' filosofi Parmenide e Zenone seguaci di Pitagora. Sorgeva cir- ca 200 stadi distante da Possidonia. I geografi sono discrepanti nell'assegnarne la località : l'Holstenio vuole che siaa Ve- lia succeduta Castello a Maredella Bruc- ca, come opina pure il Nibby ; Barrio, s. Bonifacio ; Nigro, Ulastra ; Ligorio , Policastro; Pandolfo, Scala; Cluverio e altri , Pisciotta. Quest'ultimo è un bor- go del regno di Napoli del Principato Citeriore, capoluogodi cantonea 3 leghe da Vallo e 17 da Salerno, presso al ma- re Tirreno. Ha bellissima chiesa parroc- chiale eunconvento, palazzo e parecchie case ben fabbricate. Vi si fa abbondan- te pesca, e il territorio produce squisiti frutti, vini e olio ricercati. VELIKA- PERMIA. Sede vescovile di Moscovia, unita all' arcivescovato di Viatka(V.). VELIKIE- LUKI. Città vescovile di Russia in Europa e governo, a 47 le- ghe da Pskov, sulle due sponde del Lo- vat. Il quartiere della città che trovasi sulla sponda sinistra di tal fiume è for tificato da un terrapieno, da bastioni e palizzate, e possiede 7 chiese. Quello che giace sulla sponda destra, viene considerato come sobborgo, e vi sono un mona. stero di monache e tre chiese. I due quartieri sono riuniti per mezzo di un ponte, e insieme posseggono molte fabbriche di corami. Questa città è molto antica, e fu di sovente presa nelle diverse guerre che accaddero tra' principi russi nel1198: i lituani aiutati dagli abitanti di Polotzk furono ad attaccarli, ma non po- terono impadronirsene. Nel 1448 i nov. gorodi la cedettero al gran principe di Mosca Ivan Basilio III. Nel 1580 il re di Polonia Stefano Batori se ne insignorì, ma la rese alla Russia dopo due anni allapace. Nel 1611 fu presa e arsa da par. titanti de' falsi Dmitri , e rimase vuota per9anni. Lo czar Michele Fedoro- vitz la ripopolò inviandovi una colonia di cosacchi Uralii e del Don, che a castigo di una ribellione erano stati spediti ad una fazione in Polonia e in Livonia, nella quale aveano meritato il perdono mediante una buona condotta; le quali genti più non curandosi di ripatriare, ottennero la permissione di stabilirsi in Ve. like. L'antico suo vescovato venne unito a quello di Novgorod- Veliki (V.). VELIKI - OUSTIOUG, O USTIUG • USTING. V. OUSTIOUG- VELIKI. VELLETRI (Veliternen). Città con residenza vescovile suburbicaria dello stato pontificio, antichissima del famigerato Lazio ( V.) , gia una delle nobilissime e celebri capitali de'bellicosi e possenti vol- sci; indi e successivamente capoluogo del privativo governodel cardinal vescovo,poi della legazione di Velletri, edal 1850del- la delegazione apostolica di Marittima, e facente parte della legazione apostolica di Marittima e Campagna, per disposizione del regnante Papa Pio IX( V.). La nuo- va legazione la formò colle provincie di Velletri o Marittima, diFrosinone e Pon- te Corvo, e di Benevento, conservando a ciascuna il proprio preside, e legato apo- stolico della medesima dichiarandoil cardinal vescovo d'Ostia e Velletri decano del sagro collegio. Nel 2.º di tali articoli VEL VEL 35 resi ragione del vocabolo Marittima e Campagna , in generale corrispondente quest'ultimo alla provincia di Frosino- ne, esistente in contrada piana e mon- tuosa, denominataperantonomasia Cam. pagnadi Roma; el'altra a quella di Vel- letri, esistente in suolo piano e litoraneo che confina al mare. Abbiamo d' Antonio Sanfelici, De origine et situ Campa- niae, Neapoli 1636. Nell' antichità sono famose le forti e bellicose provincie abitate dagli ernici e da'volsci , ricche delle dovizie e fertilità de'monti, edabbondanti della grassezza e copia de'campi eprati. Nel vol . LXXIV, p. 176, ricordai iluoghi ove descrissi i famosi e clamorosi giuochi d'Agone e di Testaccio celebrati inRoma nel medio evo, a' quali le due provincie dovevano mandare giostratori esperti e giovani, cioè le comuni di Terracina, Pi- perno, Velletri , Anagni , Sezze , Acqua Putrida e altre. La catena degli elevati monti Lepini , molto estesa fra le vie Latina e Appia, distingue la Campagnadi Roma nelle due provincie di Marittima edi Campagna, come dichiara il corano Marchiafava. Il veliterno cardinal Borgia nella Breve istoria deldominio tempo- rale della Sede Apostolica, a p. 256, ri- ferisce al secolo XI la divisione della Campaniain Campania, poi detta volgarmen. te Campagna, e Marittima.Pertanto osserva, che quelle terre, le quali circa il se- colo XI si divisero in Campania e Marit- tima, in anticocol solo nomedi Campa- nia venivanoconsiderate. Posta questa di- stinzione, si ponderino i luoghi de' quali parla il diploma di Lodovico I , nella con- ferma del possesso de'dominii alla s. Se- de(conferma corrispondente all' obbligo non solamente di non molestarne il pos- sesso, ma anche di difenderlo; ecco pro- priamente quantoimportavanolecoufer me imperiali , del resto gl'imperatori per mera protezione e avvocazia, come Patrizi di Roma, giuravano di difendere e proteggere la Chiesa romana e il suo prin. cipato temporale, ed atale effetto untempogiurarono i romani fedeltà all'impera- tore),e sono: Segniam, Anagniam, Fu rentinum seu Ferentinum, Alatrum, Pa- tricum, Frisilunam vel Frisilimam, cum omnibus finibus Campaniae. Da questo si vede che il ducato di Roma (V.) ab- bracciò le terre dell'odierna Campania o Campagna, ma non già quelle conosciu te ora col nomedi Marittima, che sono Al- bano (ora con altri luoghi di Marittima sotto la Comarca di Roma, ed in tale articolo descritti), Velletri , Cori e altre; il che fece credere dal non vedersi nomi . nate ne'diplomi di Lodovico 1, degli Ot. toni e di s. Enrico II, fra'luoghi del duca- to Romano. Nota pure il Borgia , mau- carsi di documenti per indicare con chia- rezza a chi in queʼtempi rimanessero sog. gette le ultime mentovate città, se a' du- chi di Benevento, ovvero a que'di Spole- to. Il ducato Romano mentre maggior- mente estendevasi dalla parte di Toscana • Patrimonio di s. Pietro, avea minore estensione nella parte diCampania, equin di pare che dalla parted'Albano, Velletri ec. dovesse fissarsi quel ristretto confine, del quale scrisse s. Gregorio II nel 727 all'imperatore greco Leone III, del qua- le non poteva temere 24stadi da Roma o 3miglia. E se Terracina, ch'è dell' o- diernaMarittima, ubbidiva a PapaAdriano I del 772, non per questo può dedur- sene che al ducato Romano appartenesse, giacchè questa città fu de'greci ossia del ducato di Napoli, ed il Papa l' avea presa e la riteneva in compenso del Pa trimonio Napoletano, che i medesimi gre. ci avevano alla Chiesa romana violentemente usurpato, a ciò istigati da Arigiso 11 duca di Benevento. Ne'tempi bassi in- tralciata e oscura è la corografia dell'Ita . lia, onde nelle ricerche de'luoghi che ap- partennero al ducato Romano,il Borgia si appoggiò alle memorie più sicure,rilevan- doche senzabuon fondamento Le Coin - te scrisse nell'Epist. 65 del Cod. Carol. , t. 1, che le città di Piperno, di Terraci na e di Sezze entrassero in questo duca 36 VEL VEL to. Per Terracina si è detto come allora era dominata dal Papa; quanto poi a Pi- perno e Sezze, il silenzio degli antichi mo. numenti fa sì che la cosa rimanga assai incerta. La denominazione di ducato Romanonon fu sempre costante, mentre tal- volta parte delle sue terre vennero indi- cate sotto i nomi di Territorium e Ter. ra s. Petri, nel secolo IX; e tal'altra fu- rono tutte comprese sotto i nomi di Cam. pania , di Toscana e di Romania , come neldiploına dell'877 di Carlomanno. Del- I'origine del dominio temporale della s. Sede nelle città e luoghi delle provincie di Marittima e Campagna, meglio ragio- nai a'loro articoli ; avendo detto altrove che quando Innocenzo VI nel 1353 costituì vicario generale di tutto lo stato pontificio il celebre cardinal Albornoz, contò6provincie, fra le quali la Campa gna ela Maremma. Di più il Borgia narra a p. 292, come Carlo Magno restituìal ducato Romano alcune città della Cam. pania , tolte già dal duca di Benevento, cioè Sora, Arce , Arpino e Aquino, e vi aggiunse ancora Teano e Capua, staccan- dole dal ducato di Benevento, il qualepu- re offri a s. Pietro , per allora riserban- dosene la sovranità, e così di quello di Spoleto. Perciò separò dette città della Campania dal ducato Beneventano, onde ne fosse subito dato il possesso al Pa. pa. Inoltre apprendo dal medesimo Borgia, Memorie istoriche della pontificia città di Benevento, t. 2, p.194, che il governo di Benevento fu già unito con quel. lo di Marittima e Campagna , e di tale unione la 1. memoria la trovò in un monumento marmoreo del 1321, in cui si legge il titolo di Rettore di Benevento e della Campagna attribuito a Guglielmo di Balaeto, com'è pure lat . " memoria di così fatta unione di rettorie, della quale pel rimanente del secolo XIV, e ne'principii del secolo XV si hanno più esempi ; ma perchè poi si considerò che un medesimo rettore non poteva agevolmente accudire al governo di terre talmente fra loro segregate e distinte, senza grave in- comodo non meno de' pontificii rettori , che de'sudditi della s . Sede, tornarono a separarsi queste rettorie, e a darsi a ciascuna il suo rettore. Dopo il rettore Gu- glielmo di Balaeto , nella cronologia de' governatori di Benevento tessuta dal Bor- gia, vengono i seguenti. Nel 1325 Gerardo della Valle priore della chiesa di s. Tommaso di Montpellier, intitolato rettoredi Benevento e delle provincie di Ma- rittima e Campagna. Nel 1336 Ruggieri di Vintrano rettore di Benevento , e di Marittima e Campagna, ma non risiede- va in detto anno iu Benevento, tenendovi in sua vece Raimondo abbate del mo. nastero di Casanova con titolo di luogotenente. Ugono Guidardi nelt 365 arcivescovodi Benevento, è nominato assoluta . mente rettore di Benevento. Gli successe nel 1371 Daniello de'marchesi del Car. retto cavaliere gerosolimitano e priore di Lombardia, rettore di Benevento: Gregorio XI con breve del 1374 lo dichiarò capitanogenerale di tutto il territorio Piacentino, nel quale è chiamato rettore del- le provinciedi Campagna e Marittima; ed il Borgia crede, che in unmedesimo tem. po avesse ancora la rettoría di Benevento. Raimondello del Balzo Orsini rettore di Benevento a vita, della quale città s' impadroni Ladislao re di Napolie Giovanna II di lui sorella, la quale nel 1418 col con. senso di MartinoVne investi Sforza, che ne tramandò in retaggio il dominio a Francesco suo figlio nel 1424 conferma- togli dallo stesso Martino V, sotto del quale Benevento tornò ad essere governato da'pontificii rettori, leggendosi che nel 1428 vi era rettore Giacomo vescovo di Guardia Alferia, e nel 1430 Giovanni di Vico detto Perottino da Viterbo. Indi si riumì questa rettoria di Marittima e Campagna, essendo succeduto a Perottino Arrigo Scarampo d' Asti vescovo di Feltre e Belluno , rettore di Benevento, e di Marittima e Campagna. In tempo di Eugenio IV dimorava per lui in Beneven VEL VEL 37 to il suo vicario Benedetto da Gualdo, il quale compilò alcuni statuti per la città in suo nome. Inoltre Arrigo era stato se- gretario di Sigismondo imperatore, e nel 1416 intervenuto al concilio di Costan- za; morto in Feltre a 29 settembre1440 in odoredi santità, onde il corpo si con. serva incorrotto in quella cattedrale. Do- po Scarampo, il Borgia non trovò altro rettore di Benevento, che nello stesso tem. po avesse unita ancora la rettoria delle provincie di Marittima e Campagna. Le provincie di Marittima e Campagna eb- bero moltissimi governatori generali col titolo di rettori , cioè Rectores provin ciae Maritimae et Campaniae , ovvero Campaniaeet Maritimae, e di non pochi ne parlai descrivendo i luoghidelle me- desime, come di Petronio Conte (antico titolo de'governatori) della Campagna e di Ceprano ( V.), il cui figlio Onorio I, forse ivi nato, fu Papa nel 625, e vi pos. sedeva un fondo o patrimonio della Chie- sa, come notai nel vol. LII, p. 5; la qual città com'altre ebbe de'cardinali per spe- ciali governatori. Nelle biografie de'cardinali si ponno vedere que'rettori dipoi elevati al cardinalato; e tra' più antichi ricorderò il beato Berardo Berardi, de' gran conti di Marsi,nato nel 1080, e Pie- tro Galluzzi creato cardinale nel tiga. Anticamente l'abbate di Monte Cassino (V.), ove già sorgeva la città volsca di Cassino o Cassina , tra' suoi titoli usava quello di Comes et Rector Campaniae Marittimaeque provinciarum. Ebbero pure moltissimi cardinali legati, i quali risiederono in varie città delle provincie stesse, come Anagni , Alatri , Piperno, Ferentino ove fu la curiagenerale ec., e lo rilevai nelle loro biografie, e per ram- mentarne alcuni , tali furono i cardinali Ugo d' Alatri, Gregorio Teodoli, Stefa- no Normandis, Giordano Pirunto o Pe ronti Contida Terracina, Francesco Te- baldeschi , Francesco Prignani , Pietro Sasso, Ugo di Lusignano, di Cusa, Ercole Gonzaga, Francesco Gonzaga,Gior г r vanni Moles, Agostino Trivulzi, Vitel . lozzo Vitellozzi ec. ec. Di altri ne farò ri· cordo nel progresso di quest'articolo: l'ul- tima fu il cardinal Antonio Pallotta, della cui legazione alla sua volta parlerò. II 1.° legato di Velletri fu il cardinal Pac- ca, ed il nuovor. legato di Marittima e Campagna, vale a dire dell'ampliata le. gazione già indicata , è il cardinal Macchi. De' presidi di Velletri di poi ne riferirò le notizie. Nelle Notizie di Roma, de'prelati governatori di Marittima e Campa. gna residenti a Frosinone, se ne può leg- gere la serie dal 1717 al 1808, ossia da mg. Gio. Francesco Leonini romano, a mg. Fabrizio Turiozzi di Toscanella,poi cardinale; come pure il novero de' delegati apostolici di Frosinone, da mg. Ο- norato Bres nel 1816 , all' odierno mg. FerdinandoScapitta,per la qual cittàLeo. ne XII col breve Romanis Pontificibus, de'g dicembre1828, Bull. Rom.cont. t. 17, p. 420: Restitutio tituli civitatis cum respondentibus privilegiis, et honoribus pro oppido Frusinonis apud Volscos e- xistentis. Nel quale si legge : Praeterea non dissimile veritati omnino videtur e- piscoporum sedem olim fuisse , postea tamenEcclesiae Verulanae adjunctum. Sed omnibus notum, ac perspectum est, longa ab hinc annorum serie ibi ponti- ficiae Sedis praefectos Maritimae et Campaniae provinciaefuisse , atque e- tiam nunc esse. Ne'miei cenni su Frosi. noneesua illustre delegazioneapostolica, giovandomi ancora del Saggio istorico di Frosinone del celebre e dotto frusinate cav. Giuseppe de Mattheis (sommo pro- fessore di medicina, le cui notizie necrologiche riporta il Giornale di Roma del 1857 a p. 989, quindi l'Album di Roma ecol suo ritratto nel t. 24 , p. 409 , ci diede la bellissima biografia del ch. Qui- rino Leoni), già compilai un elenco d'al- cuni cardinali legati della provincia di Marittima e Campagna, de'prelati gover- natori generali della medesima e de delegatidiFrosinoneposciacardinali,e qui col- 38 VEL VEL r le Notizie di Roma vi aggiungo il prelato e ora cardinal Domenico Savelli, che nel 1833 successe a mg. Gioacchino Proven- zali , al quale porporato fu sostituito nel 1838 mg. Marcello Orlandini della pro- vincia diPerugia, ora dagiudice deputato per le cause ecclesiastiche nel civile Tribunale di Roma, promosso a vice- presiden- te del medesimo tribunale: questi ebbe a successori, nel 1843 mg. Andrea Pila di Spoleto, attualmente ministrodell'inter- no; nel 1848 mg. Pasquale Badia, al pre. sente delegato d' Urbino e Pesaro; nel 1852 mg. Lorenzo Dialti (degno nipo- te del cardinal Benvenuti benemerentis simo preside contro il brigantaggio di que- ste provincie, per le quali fece stampare: Istruzionie Regolamenti nelle provincie diMarittima e Campagna), ora votante di segnatura; e nel marzo1858 l'odier- no mg. Ferdinando Scapitta. Nel 1849 nella tipografia di Ferentino de' fratelli Bono fu pubblicato : Lettere storico-topografico-archeologiche sopra alcuni luoghi della provincia di Frosinone , a cui si unisce la nota de' cardinali legati e delegati di questa provincia non de scritti nell'elenco dato alla luce dal ch. sig. DeMatthaeis nella sua storia Fru. sinate, e vi si unisce pure un saggio sto rico di Vallecorsa una volta allisCur tia, opera di M. D. M. Egli è questiil ch. Michele de Matthias di Vallecorsa autore di diverse opere pubblicate, e nel decorso di questa mia in buona parte ono- revolmente ricordate, persino negli ulti- mi volumi, ed anche con riprodurne al- cuni estratti delle medesime; il quale scrittore si compiacque inviarmi il detto suo libro con l'epigrafe : In segno della più cordiale stima e rispetto. Le inentovate sue Lettere si contengono in un libro d' 88 pagine. Siccome mi ri- guardano , e del contenuto dovendone poi ragionare all'opportunità, convie- ne che qui ne dia un cenno fugace. La 1. lettera, diretta al sig. Sebastiani, è sopra Artena: la 2." indirizzata al marcher se Tani di Ferentino, è su l'antica Ver- rugine, indi Pallis Curtia presso Valle- corsa. Segue alla pag. 11 del medesimo opuscolo questo frontespizio. Saggio sto- rico di Vallecorsa per Michele de Mat- thias collaboratore di vari giornali scientifici, socio d'onore dell'accademia dell'Immacolata Concezione di Maria santissimain Roma, Ferentino1850,uel- latipografia de'fratelli Bono. Riporta per testo la seguente proposizione cavata dal Gioberti, nell' Introduzione allo studio della Filosofia. » Nelle questioni riguar danti l' antichità e le origini raro è che si possa avere piena certezza, e chi ottenga una certa vero somiglianza, deve stimarsi aver fatto molto". Termina l'eruditis- simo patrio Saggio storico a p. 51 , e nel. la seguente trovasi la lettera 3.ª con que- sto indirizzo: » Al sig. " cav. Gaetano Mo- roni. Su li luoghi montuosi della provin- cia di Frosinone, ove se li medesimi ab- biandato comodo aguato a'briganti. Cenno istorico di questi ultimi, con confuta. zione delle proposizioni del ch. sig. " Pie- tro Castellani (autore del Quadro geo- grafico dello stato pontificio), e del sig." cav. Moroni (autore del Dizionario di Erudizione storica ecclesiastica), i quali hannoopinato per l'affermativa nella que- stione surriferita. Vallecorsa 27 agosto 1846". Indi a p. 57 è la lettera 4." al no- bile d. Sotis. " Sulla storia dell'industrie della nostra provincia detta per antono- masiam Campagna di Roma, ove la descrizione della sua posizione commer- ciale ". A p. 64, si legge la lettera 5." e ultima scritta all'avv. Belli direttore del giornale del Foro di Roına: » Sopra l'ac cademia scientifica esistente nella delegazione di Frosinone, ove un colpo d'occhio della storia di detta accademia (Eruica), e de' suoi lavori ". Finalmente a p. 74 è la Nota de'legati e delegati della provin cia di Frosinone, cominciando da AntonioTusculano nel 7 14 rettore della Cam- pagna di Roma fino a Gaeta, sino al sullodato mg. Badia delegato apostolico. In r r VEL VEL 39 diversi tempi le provincie di Marittima e Campagna, e le Paludi Pontine, furono infestate da'malviventi, il cui ultimo pe- riodo cominciato dall'epoca repubblicana del 1798, terminò felicernente nel 1825; perciò nell'articolo FROSINONE ripetei il riferito nella descrizione della delegazio- ne di Frosinone dall'avv. Castellano: Lo StatoPontificio, Roma1837, p. 206. » I monti selvosi però hanno talvolta (paro- la restrittiva da me aggiunta) fatalmente offerto a' malfattori comodo aguato per darsi alla rapina ed a' più atroci delitti. Ricordasi fin da' tempi dell' imperatore Severo lo scempio che gli assassini face- vano de passeggieri e de'ricchi proprieta- ri ne' monti Ernici ; se ne enumerarono fino a 600; il loro capo Bulla Felice nel. l'anno 207 dell'era volgare venne impri- gionato, econdannato alle bestie, dopodi che si venne a capo di disperdere i satel- liti suoi". Pubblicato l'articolo nel1844, dipoi il sig. De Matthias di Vallecorsami scrisse la mentovata lettera de 27 agosto 1846. In essa dopoavermi notificato, che la provinciaFrusinate avea inteso conpia- cere le mie lodi dategli nel Dizionario mio, urbanamente m' invitò a porre nel medesimo una nota pel suddetto perio- do tratto dal ch. Castellano. Imperocchè con diverse autorità di scrittori egli so- stiene. Che i monti selvosi della provincia in discorso non hanno mai concesso co- modo aguato al brigantaggio. E che la masnada di Bulla Felice ebbe vita non ne'luoghi attualmente componenti la de- legazione apostolica di Frosinone, ma ne' monti Ernici che oggi formano parte del distretto di Sora del limitrofo regno di Napoli . A tale effetto mi fece inoltre osservare, che ripartita l'Italia da Adriano in 17 provincie, la regione Ernica, la qua- le comprendeva i popoli al di qua eal di là deʼmonti di Preneste al Liri , venne divisa. Quindi Anagni, Alatri, Ferentino, Veroli ec. appartennero a Frosinone; ma li Ceretani e Capitulani, ernici anch'essi, appartennero aSora, edappuntoabitavano ne'monti selvosi, presso il sito ove tro- vasi l'odierno paesetto di Morino, dietro imonti d'Alatri, della diocesi di Sora. Ne' territorii ernici della provincia ebbero pa- lazzi e ville le più nobili famiglie romane, incompatibili se vi fossero stati comodi a- guati de'malfattori. Qui credo opportuno riprodurre un brano del testodella lette- ra mss. Se passiamo poi a'tempi succes. sivi, ed a quelli di Sisto V da voi invo- cati, leggesi subito, che li Briganti d'al- loraneppur ebbero comodi aguati ne'luoghiFrosinonesi. Il Muratori che nediscor- re ne'suoi Annali al 1585 racconta che li Banditi erano Forestieri, li quali ve- nivano ad inquietar noi. Ed ecco auzi un discorso del lodato Annalista, con cui si esclude il vostro assunto. Crebbe (e'di- cenel 1590)poiquesto (Brigantaggio) do- po la morte di esso Sisto V, e massima- menteperchè Alfonso Piccolomini duca diMonte Marciano caduto in disgrazia del granduca Ferdinando (di Toscana) con grossa taglia sulla sua testa, perse- guttato dappertutto, sifece capo di que masnadieri in Romagna ... efacea fre. quenti assassinii, ed altrettanto facea MarcoSciarra capo de' Banditie scellerati in Abruzzo, con iscorrerfino alle portediRoma. Ecosì prosegue a narra- rechenel 1591 fosse ucciso il Piccolomini, mentre nel 1592 fosse mandato in Candia l'Abruzzese, e quindi liberata l'Italia da esseri sì perniciosi. Ordunque che ha che fare l'illustre nostra Provincia per cosiffattiBanditi?"Quantoall'epoca ultimadel brigantaggio, soggiunse il sig. De Mat- thias, che i dispacci governativi sono a fa- voredella provincia, da'quali rilevasi che la banda Gasparrone non era forte che di 15 individui, ecostretta a ricoverarsi tra' monti Regnicoli, ove realmente sono comodi aguati, e spesso i briganti si ritirarono nella linea del confinedel regno di Napoli. Per tuttociò mi pregava farlo co- noscere al pubblico per ridonare a' fro- sinonesi quel decoro, che alcuni male in- terpretando le mie parole, gli han tolto. r 40 VEL VEL Imperocchè Frosinone co'suoi contornia- limenta piuttosto figli di benedizione e di grazia, al dire del Pontefice esimio istitu. tore del Sesto delle Decretali; ritenendo egli chele bolle pontificie esprimono sem- pre proposizioni ineccezionabili, e perciò la riferita esporre una verità incriticabi- le. Quindi celebrò vari illustri della pro- vincia, cioè Gregorio da Pofi segretario d'Alessandro IV, dicendo che col suo sapere liberò l'Italia da Ezelino; il dottissi- mo sonninese Petricca; l'avv. Cecio disua patria Vallecorsa, di rari talenti e luogo. tenente generalealla ricupera di Ferrara; non che la vallecorsana da cui nacque la madre di Gio. Francesco Aldobrandini generale contro Tunisi. Per ultimo, ap- plied alcuni versi di Dante (che poi rife- rito) a qualcuno che aveva, secondo es . so , vituperato la provincia medesima, mentredovea lodarla; dovendo alloratut. to cangiar d'aspetto sotto i raggi del Sol di Ceccano (il cardinal Gizzi segretario di stato). Termind la lettera con nuovamente pregarmi a porre una breve nota al Dizionario mio per l'oggetto. Risposi a' 15 del susseguente ottobre colla lette. ra che qui riproduco; e la ricavo dalla mia bozza, e probabilmente l'originale sarà limato e più cortese, sebbene in- teramente confidenziale e senza affatto studio, neppur per sogno immaginando che dovesse stamparsi. Ill.mo sig." Mi- chele de Matthias. Domando scusa se per impotenza così tardi rispondo alla riverita sua lettera del 27 agosto. In essa Ella ancora mi dice che la provincia Frusina- te intese con piacere le lodi che gli diedi nel mio Dizionario, e la ringrazio di cuo. re. Ai rilievi da Lei fatti, non intendo di rispondere in dettaglio, ma solo sulle co. se principali di fare qualche osservazione. Pertanto V. S. Ill.ma incomincia col farmi osservare di aver io detto ( cioè quello che appresi da diversi autori, poi- chè i fatti non si ponno inventare), che i montiselvosi hanno talvolta fatalmente offerto a'malfattori comodo aguato per darsialla rapina ed aipiù atrocidelit- ti, indicando i tempi di Severo, di Sisto Vede'primi 5 lustri del secolo corrente,meritare una nota, comegli piace chia- mare il molto che ha detto, non ricordan- dosi delle qualità de' Dizionari che non entranopoi in tante minimissime discus- sioni , anzi parlando genericamente non si viene espressamente che di rado a sta- bilire i tempi, solo riportando quanto più scrittori ci dissero. Lei ha voluto analiz- zare il detto punto, e secondo la sua nar- razione i monti non hanno concesso co- modo aguato a' briganti , contro il fatto in generale. Lei affaccia l'autorità di Mu- ratori pe'tempi di Sisto V, di gran peso ma non di fede, avendo parlato egli so- lo di alcuni luoghi senza escludere gli al- tri : giacchè leggo nella vita di Gregorio XIII (immediato predecessore di Sisto V) di Maffei e Novaes gesuiti che se ne occuparono con precisione individuale, per que'benefizi di cui fu largo colla loroCompagnia, senza venir al dettaglio, che Gio- vanni Valenti famoso capo de'malviven- tis'intitolava Re della Campagna di Ro- ma, e qual reo d' atroci delitti fu decapitato. Leggo poi nella vita di Sisto Vdel Novaes e del suo correligioso p. Tempe. sti(anco su ciò mi limito ad un'indicazio- ne),ch'egli fu a Terracina, Piperno e Ser- moneta, nonsolo pel prosciugamento del- le Paludi ed altro, ma per liberare i luo- ghiinfestati daʼmalviventi. Trova anco da ridire sulli provvedimentifatti dal gover- no francese epontificio. Io li trassi dagli originali e non feci che indicarli pe' motivi da me addotti. Se alcuno ve ne manca o altro non è specificato non mi pare errore, perchè io non intesi far il computista de'malviventi, ma darne un breve cenno. Qualefu il mio fine sull'articolo Frosinone ? Rispettando e venerando persino le zolle della provincia, e i suoi grandi uomini illustri che vi fiorirono e fioriscono, ammirando la costante fedeltà e la reli- gione degli abitanti, indispettito di leggere negli storici , anche moderni, di venire VEL VEL 41 spesso spesso denominato ilpaese de'bri- ganti, per verace simpatia, per giustizia, per affezione di sangue, perchè alcuni pa- renti miei vi derivarono, e per l'edificazio. nericevuta nel viaggio di Gregorio XVI, mi proposi fare un onorevole articolo, e riuscì per amore molto lungo, contro le basi del Dizionario, non valutando che per la lungaggine mi esponevo con altri articoli, con tutte le conseguenze che ne derivano. Fatto l'articolo (come faccio di ognuno che li rimetto alle parti che pos- sono giudicarne) lo sottoposi alla revisione dello storico di Frosinone prof. de Mattheis; e siccome mi accorsi che i fru. sinati avevano emuli nella provincia, per correttivo l'umiliai ancora alla revisione del rispettabilissimo sig." Cardinal Gizzi ; e quanto alle provvidenze sul brigantaggio lo sottoposi all'approvazionedell'avv. Del Grande assessore straordinario all'estirpazione del medesimo. Eccodunque esaurita la critica per la verità istorica. Conservo ibiglietti autografi de'nominati revisori, pronto ad esibirli a chi Ella deputasse a leggerli. Il professore lodò e approvò l'articolo, e solo rispose alla domanda che gli feci circa un preside, e sul. la nascita di s. Silverio. L'incomparabi- le Porporato, qualificato per ottimo il Di- zionario, disse : Dalla lettura dell'ar. ticolo Frosinone ho potuto convincermi che Ella ha attinto a buone sorgenti, ed ho rimarcato che in qualche punto controverso fra due paesiha mostrato quell'imparzialità che conviene al sodo isto- rico. Corresse il campo Trajana in Trojano, ed Otricello io Torricello. L'avv. Del Grande, mi scrisse: Ho letto con vera compiacenza l'articolo sopra Frosi- none. Tutte le circostanze sono rilevate con chiarezza e precisione somma.Ilbreve racconto delbrigantaggio è stato trat tato con moltissima accortezza. Tale pure fu il sentimento di mg. Antonelli (ora qui aggiungo, della provincia, cioèdellacit- tà di Terracina, enato in Sonnino, ed attuale Cardinalsegretario distato). Osserr veròqui di passaggio, che dopo la pubbli. cazione dell'articolo, molteplici furono le lettere che di moto-proprio ricevetti, da mg. Pila delegato e da molti provinciali , senza niuno deʼrimarchi da Lei prodotti , come niuno li fece de' nominati. Inoltre l'articolo prima di stamparsi lo diedi pure a leggere al p. Meneguzzi procurato- re de'certosini, per le notizie che di laro riportai, e n'ebbi approvazione e lode: a' marchesi Longhi (de'signori diFumone) , ed al p. Illuminato da Pofi, per ciò che li riguardava, e ad altri, niuno affatto di essi rimarcandomi il da Lei osservato. Mentre mi era riuscito a furia di libri, di cui sono dovizioso possessore, parlare di tutti i luoghi della provincia , non potei rinvenir notizie di Vallecorsa ; dispiacente che su Castro es. Lorenzo pubbli- cava qualche cosa , mentre della prima benchè sede di governo nulla poteva di. re, contro il mio sistema cercai notizie, le quali sempre volli procurarmele a for- za di studi, per non vestirmi delle penne altrui , e per non espormi. Mg." Santucci (ora qui aggiungo, in quell'epoca sostituto della segreteria di stato, e di presente cardinal prefetto degli studi , anch'esso della provincia comechè di Gor- ga) mi offri l'ottimo sig." prof. Rossi (ora aggiungo di Vallecorsa), ed egli gentilmente mi procurò le notizie da V." Sig." Nell'atto che le riceveva, dicendomi egli che Lei opinava corrispondere all'antica Verruca o Verrugine, tosto gli mostrai gli autori che parlavano di Verruca. Mi posisubito al lavoro, e vedendo a Lei contrarie le testimonianze degli storici che pubblicai, procurai estenderle con garbo e con riguardo e riconoscenza a Lei . Tuttavolta non volendo ciò fare all'insaputa del sig. Rossi, per delicatezza e circospezione , nel dì seguente gli mandai l'articolo Vallecorsa, invitandolo franca- mente a cambiar frasi e cose, a dirmi liberamente se andava bene , e se poteva Ella menomamente offendersi del modo da me tenuto. Mi favorì la sera, e mi disr r 42 VEL VEL a se che avea anzi ammirato moderazione e riguardo; e ch' Ella certamente non si sarebbe lagnato. Invece dalla sua lettera, vedo col fatto i gravami avanzatimi . Io non pronunziai contrario giudizio, esposi solo per verità istorica i diversi sentimen- ti , lasciando il giudicarne ai critici , senza il menomo fine di farle cosa spiacevole. Lei mi fa il novero di molti uomini il- Justri della provincia ; ed io ai rispettivi luoghi non mancai nè mancherò parlar- ne con diverse lodi . E sia certa che ai de. biti luoghi terrò presenti le sue osserva- zioni (il che vado eseguendo). Spero ave- re rettificato l'idea ch'erasi formata su di me circa all'articolo FROSINONE, gli confermo la mia affettuosa propensione per tutta la provincia, ove ho moltissimi miei benevoli. Dichiaro a V. Sig. la miadi stinta stima per le sue dotte cognizioni, gli esibisco la mia qualunque servitù , e mi riuscirà infinitamente gradito un suo cortese riscontro , passando intanto con tutto il rispetto all'onore di protestar- mi ". Il sig. De Matthias , immediatamente e colla maggior gentilezza rispose ຄ'19 ottobre1846. »Eccellenza. La mia umilissima del 27 perduto agosto ultimo fuda me all'Eccellenza V. semplicemen. te diretta per pregarla a fare una nota in favore della provincia Frusinate, e non ad altro fine. Forse il mio giovanile ardi . mento non mi avrà fatto bene esprimer. mi . È certo d'altronde , che malamente si appella Frosinone come Paese di Bri- ganti, lo porto quel sentimento espresso maestrevolmente dalcav. Micali nel capo 8.° della par. 2.ª della sua opera su l'ltalia. Vi sono (e'dice) sempre e in ogni luogo grandi colpevoli. Se la corruzio- ne non è generale, rispettano il secolo. Se il secolo è vizioso, lo disprezzano, nè curanoi suoi giudizii. Posto questoprin- cipio, estraggasi ora dall'Ecz.ª V.ª la con . seguenza pel fatto di quel preteso Re del. la Campagna Romana, ch' Ella mi cita. Non creda poi , che io non abbia lodato, e non lodi di cuore il Dizionario da Lei compilato. Abbia la degnazione di legge. re la mia Dissertazione de'beni apportati alla Giurisprudenza dalli Sommi Ponte- fici . Dissertazione inserita da mg. Auto- nino De Luca ne' suoi Annali di scienze religiose al vol . xv, fasc. 43 del 1842; e vedrà a chiare notecome io abbia in pre- gio la dotta di Lei penna. Del resto sta benissimo quanto l'Ecz." V. si compiace significarmi colla pregiatissima del 15an- dante ; e rapporto alla Storia di Valle. corsa posso assicurarla , che la scoperta dialcuni marmi, lapidi e altri monumen. ti antichissimi fanno conoscereessere qui- vi d'intorno stata la Verrugine de'Volsci. Gli autori , che la pongono altrove non conosconole surriferite scoperte. Se ilCielomel permetterà io spero pubblicar l'o- peretta archeologica su questa mia pa- tria... Omissis... Deh ! o Signore, si com - piaccia di essere il mio Mecenate, mentre io con sensi di sincerissima stima e cordiale rispetto ho a pregio sommo di confermarmi ". Gli risposi a'23 ottobre, ma non rammento i termini, perchè non feci precedente minuta, non essendo solito di farne, neppure per questo mio Di- zionario, come altrove dichiarai e sono pronto provare a chiunque. Il sig. De Matthias replicò da Vallecorsa a 29 del- lo stesso mese, egualmente con termini della più squisita gentilezza e per me o- norevolissimi, il cui contenuto è estraneo all'argomento in discorso; come lo è quel- lo della successiva felicitatoria degli 8 di- cembre1846, altro modello di benignità e di rara cortesia. Commosso, all'ammirazione verso l'egregio sig. De Matthias, e ritenendo la cosa del tutto terminata per la mia ampia giustificazione, vi ag- giunsi la mia riverente affezione,sentimen- ti che sinceramente nutro e mi onoroqui pure professarli. Ma nel 1850 senza alcuna avvertenza precedente , e senza che nelle posteriori lettere l'encomiato scrittore ne facesse mai trapelare alcun cen- no, onde io poscia per rispetto l' imitai nelle mie repliche, mi rimise per la po- VEL VEL 43 r sta il sopra lodato suo libro: Lettere ec. Saggio storico di Fallecorsa, dopo il quale trovai la Lettera 3. a me diretta, però con diverse varianti e note che non esistono affatto nell'originale; e con mio notabile stupore, senza che egli vi riproducesse la mia replica giustificativa,di che a mesembra fosse coscenziosamente eindispensabilmente tenuto di fare , anche ad onore della provincia di cui si mostra amoroso e geloso propugnatore. Edè per- ciò che volli qui ripararealla sua omissio- ne, nel tempo stesso che vado esaurendo il da me promesso, ed il tutto per deco- ro della medesima provincia e per scol- parmi da qualunque ombra che abbia potuto ingerire la Lettera stampata del sig. De Matthias, aumentata colle dette varianti e note. Di queste non posso fare a meno di qui rimarcare le più essenziali , come intrinsecamenteindispensabilialJa coerenza della surriferita mia risposta, non conosciuta finora dal pubblico, men- tre parte di questo è possessore della let. tera stampata, onde n'è facile il confron to, come pure lo è del mio articolo Fro- SINONE per fare altrettanto. Riparlando delle ville deʼromani, lediceposte ne'ter- ritorii Ernico- Volsci . Indi aggiunge." Se passiamo poi a' tempi successivi, eccovi una Corte Sovrana tra noi . II Muratori negli Annali d'Italia all'anno1151 scrive, che Papa Eugenio III a dì to maggio andò a Castro (poco lungi da Ceccano), e vi dedicò la chiesa di s. Croce , e nel dì 27 ottobre dedicòla chiesa del monastero di Casamaro (presso Veroli), dopodi che tornòaSegni overisiedè per moltotempo. Lo stesso ripetasi di Lucio III, Inno. cenzo III e di Sisto V ec. che onorarono di loro presenza Piperno ... " In nota poi ricorda gli onori ricevuti dalla provincia nel secolo corrente da'gloriosi Pontefici Gregorio XVI e Pio IX nel 1843 e nel 1850, e che furono pure in Frosinone e in Piperno; nelle vicinanze di Prossedia vendoincontrato il 2.º le commissioni di quelle terre, e specialmente di Vallecorsa, s. Lorenzoe Castro. Volle eziandio ricordare in detta nota, che nel 1208 Inno- cenzo III da Fossanova si recò a s. Loven- zo e poi in Castro ed in Ceprano, pernot. tando in tutte le nominate terre. Da Ceprano, per Aquino si portò a s. Germa- no e Monte Cassino, indi a Sora e al monastero di Casamari , e per Ferentino si restituì a Roma. Dicendo de' banditi di Sciarra, aggiunse in nota. » Non neghia- mo che in queste contrade si trovarono alcuni banditi ne' nostri tempi. Ma non ebbero comodo aguato. Furono sempre perseguitati e distrutti. Un bravo capita. no contro di essi fu il sig. cav. Giusep- peSabbatini domiciliato in s.Lorenzo, che presto riportò di essi completa vittoria". Egualmente non trovo nell'originale que. st'altra aggiunta che leggo nella lettera stampata." Ne' Monti poi non esistonomica Terre orribili. Sonnino e Patrica non sonoquali si dipingono. Alle faldedi que- staultima si rinvengono attualmente a. vanzi di ville, specialmente del magnifico Mecenate e del console L. Luminio, trovandosi persino oggidi la denomina- zione di Collelummio ad intuito appunto dellepossidenze di cotal cavaliere roma- no". Ommise di far menzione degli illustri di Vallecorsa, avendone nell'opusco- lo stampato ragionato nella Storia. In- vece aggiunse quest'altro periodo. » Ed oggi son gloria di queste contrade i Car- dinaliBelli d'Anagni, Simonetti figliod'u- na Vallecorsana, Gizzi di Ceccano, Antonelli di Sonnino, e Vizzardelli di Monte s. Giovanni ". Nel ripetere il paragrafo : In sostanza è noto che qualcuno ha vituperato la Delegazione in discorso, ab. benchè di certo le avria dovuto dar lode. E qui lo pone con nuova nota, non esi- stente nell'originale. Si allude al cav. Mo- roni, che ha moltiparenti qui". Seguo. no i versi Danteschi , che a me ora esclusivamente applicati sono preceduti dalle parole: Si potrebbe ripetere con Daute. Questaè colei, ch'è tantoposta in croce- Purda color, che le dovrian dar lode, - 44 VEL VEL Dandole biasmo a torto, e mala voce. Il fine della lettera stampata,essendomorto a quell'epoca il cardinal (Gizzi , termina colla variante. » Ma orsù oggi il tutto dee cangiar di aspetto sotto i raggi del. l'immortal Pio IX". I nominati Cardinali , meritano schiarimento, e di tutti mi glorio di averne goduto la benevolenza, come ho a vanto d'onorarmi del patro- cinio del superstite vivente. Il cardinal Belli era morto a'g settembre 1844; vi- veva il cardinal Simonetti e poi mori a' 5gennaio 1855; il cardinal Gizzi era mor. to a 3 giugno1849; il cardinal Antonelli è stato creato cardinale l'11 giugno1847; il cardinal Vizzardellicreato cardinale in detto giorno, morì poi a 24 maggio 1851 . Circa a'sedicenti miei parenti, il sig. De Matthias amplificò le mie parole: alcuni parentimieividerivarono. Le scrissi per sapere, che la mia ava paterna era natà in Roma da Sebastiano morto d'anni 97, della ricca famiglia de' Recchia di Guar cino. Me ne pregio; ma ignoro chi siano, e niuno niai per parente misi fece conoscere, nè della provincia di Frosinone, nè di Velletri . L'allusione specificatamente affibbiatami nella lettera stampata, la re- spingo come inesatta, ed eziandio reputo nondovermisi affatto, pertutto il riferito colla massima ingenuità e semplicità. Dappoichè,tenendo sempre per fermo che io nell'articolo FROSINONE parlai con dilezione della provincia, anzi reputandonon mai abbisognare di dichiarazioni , nondi. meno fedele alle mie promesse, non cre- dei meglio corrispondere a' desiderii del sig. De Matthias, che col riportato ampiamente in questo articolo. Penetrando- mi del suo spirito lodevole d'amor patrio, torno a dire, che credei vantaggioso alla nobilissima Provincia il pubblicare la pronta e franca mia risposta; dessa fu fat- ta però alla lettera anteriormente scritta dal suo riverito pugno, ond'era indispensabile e necessario che facessi l'esposte avvertenze, per le dichiarate varianti enote che si leggono solamente nella posteriore, r stampata diversamente e alla mia insaputa. Tuttavolta ho evitato e mi sono astenuto da qualunque commento o citazioni analoghe di mia opera, e da quanto altro cagionarpotesse neppure l'apparen- za d'animo indisposto. Arroge il pronunziato di recente nel parlamentod'In . ghilterra, sull'infame attentatode' 14 gennaio 1858 pel progetto da convertirsi in bill o legge relativo alla cospirazione d'assassinio, dalla magniloquenza di lord Pal- merston, che disse."Diversi oratori si sono offesi di ciò che si è detto, essere questo paese l'asilo degli assassini e de' co- spiratori. Sventuratamente non possiamo negare che così sia. Non è però vero il di . re che colla costituzione del paese il go- verno e popolo inglese incoraggia e protegge gli uomini che tramano questi atroci delitti e che li commettono, ma sventuratamente è vero che simili delitti so- no stati preparati in Inghilterra e chedall'Inghilterra sono usciti incaricati di com. metterli". L'applicazione che faccio io al caso uostro, è in quanto alla topografica condizione del paese, che questo soltanto per natura può porgere rifugio e asilo, e ciò affatto non mai offende i generosi a- bitanti ; che invece per tale stato di locali. tà furono esposti di tanto in tanto a soggiacere vittime di deplorabili spogliamenti , atroci uccisioni e altre abbominevoli nefandezze. lo distinsi e distinguo gli a- bitanti dall'abitato. Questo è un fatto impossibile a negarsi , ed è noto a tutto il mondo. Lo proverà diversi brani storici che in progresso dovrò riferire, anco collo stesso Muratori e suo continuatore, e co'medesimi scrittori provinciali e delle vite de' Papi, come i meglio informati in argomento, e perciò li preferirò ad altri . La provincia di Marittima ossia la legazione propriamente di Velletri , come la costituì Gregorio XVI, abbracciò nel nuovo compartimento l'antica provincia di Marittima del Lazio, e ne forma il confine meridionale la spiaggia Mediterranea dalla face dell'Astura sino oltre alPro VEL VEL 45 montorio Circeo, e precisamente alla tor- re Gregoriana di Terracina, che tocca il limite napoletano, al modo descritto iu quell'articolo. All'est ed al nord le fauno cerchio i paesi della Campania o Cam- pagna Romana, che forma oggi la dele- gazione di Frosinone ; all'ovest poi è limitrofa alla Comarca di Roma, e piu si avvicina al distretto d'Albano. Le montagne Lepine fornano per lungo tratto la linea di demarcazione fra il litorale e la Valle del Sacco, e sono quindi la barriera fra le due provincie, ed il suolo Er- nico Volsco. Ad evitare ripetizioni , qui avverto, che del territorio võłsco e de'suoi popoli e città,oltre il riferitone giàco'pub. blicati loro articoli, e nel vol. XXVII, p. 299, ove notai che ne furono capitali ora Velletri , ora Piperno, e fors❜anco al- cun'altra città, come Sessa(V.) o Suessa Pomezia o Pometia, dalla quale prese il nome il famoso territorio Pontino, e in tale articolo dissi pure delle diverse eit- tà omonime de' principali illustri volsci, oltre il già detto ne' ricordati articoli di città e luoghi de' volsci ; dell' industria, commercio e prodotti de'medesimi, oltre il cenno complessivo dell'intera legazione che vado a fare nel presente periodo; di tutto ne terrò proposito, sia descrivendo la legazione nella parte marittima, sia nella descrizione di Velletri e suo terri- torio. Delle Paludi Pontine, dopo que st'articolo, ne riparlai nelle città e luoghi che ne risentirono i danni o vi hannopar- te del territorio, principalmente in quello di Terracina; e nell'altro di Strade di Roma, della famosa Via Appia che la percorre, meritamente denominata Re- gina Viarum. Quanto alla provincia di Frosinone, regione degli antichi ernici, è a vedersi quell'articolo, ove notai che il distretto di Terracina, i governi di Valmontone, di Segni e di Sezze, ad es- sa appartenenti, co' loro vice-governi , nell'erezione della legazione di Velletri furono smembrati ed a questa attribuiti, luoltre nellostesso articolo parlai de'due popoli ernico-volsci, e delle città d'am- bedue, antiche e superstiti. Gli ernici , si vogliono dal De Matthias, nella Lette. ra 5.", ove discorre della sua dissertazio- ne letta nell'accademia Ernica, Le Origini Erniche; prefazione alle disserta. zioni sull'Agricoltura Ernica, derivati da' pelasgi cananei, fenici e egizi, per cui la loro lingua antica partecipava dell'ebraica o egizia primitiva, condotti nella regione dal capo de'pelasgi cananei e fenici cacciati dagli ebrei , Ernico Etolo, dal cui nome lo presero la contrada e i popoli che l' abitano. Diverse città, luoghi e fiumi portano nomi derivati dalie originarie sedi di tali pelasgi. L'Etolo Ernico nel Lazio scegliendo la parte più adatta a' suoi disegni agrari e guerrieri, fabbricossi de' ricoveri ad imitazione di quegli egizi, che non habebant domos, sed Turres. Le mura pelasgiche alatri- ne non sarebbero in questo senso, che immense torri, formate giusta il costu- me de' signori delle piramidi. Gli ernici sono celebrati dall' antichità pel valore nell'armi, per le loro costruzioni ciclopee, delle quali in più luoghi dissi parole, come ne vol . LXIII, p. 230, LXXXIV, p.167, e altrove. Oltre quelli che poi ri- corderò, sulle costruzioni ciclopee scrissero. Middleton, Cyclopians Walls, Lon- don 1821. Dodwell, Cyclopians Walls inGrece and Italy,London 1821.Filippo Petit-Radel, Fiuggio storico,corografico efilosofico, fatto nelle principali città dell' Italia nel 1811 e nel 1812, Parigi 1815. Sono pure gliernici lodati pel rego. lare coniugio,e quali eccellenti e fortissimi agricoltori, oltre altri posteriori vanti che rilevai neʼrelativi articoli ; siccome di sve. gliato ingegno, religiosi e fedelissimi sud- diti pontificii. In tutti i tempi fiorirono copiosamente illustri, che onorarono la nazione ernica ele individuali patrie, col- la dottrina e l'arte, la santità di vita e il valore guerriero, le dignità ecclesiastiche, civili e militari, e quasi di tutti o alme- no de' principali potei decorosamente ra 46 VEL VEL gionarnea' loro articoli o luoghi. Provin- cia in somma, che il gran BonifacioVIII, una delle tante glorie della medesima, di- chiarò: » Haec est enim Provincia, prae- clara Campaniae Maritimaeque, quae fe- licis benedictionis, et gratia gratitudinis, et obedientiae producitalumnos,et in qua semper ergaEcclesiam supradictam fidei constantia viguit, claruit devotionis inte- gritas , splenduit reverentiae plenitudo. Haec est profecto columna fidelitatis, im- mobilis, super firmam Petram Fidei con- stituta, quae nullius unquam concuti po- tuit frangentis fremitu tempestatis. Haec est Provincia, quae semper ipsius Eccle- siae viriliter, et constanter in necessita- tibus astitit personarum pericula, damna rerum, et laborum onera non evitans, cu- jusque prompto, et patenti auxilio Ter. ras sibi subjectas regis dirigitque Provin- cias , ipsarum compescit excessus , ausus temerarios reprimit, illicitos motus frae- nat. Hic est utique praedilectus, etdeliciosus HortusEcclesiae. In quo ipsa reperit, quod delectat, colligit, quod blanditur affectui, gustat, et percipit dulces fructos". Tanto leggo nella bolladi Bonifacio VIII, RomanaMater Ecclesia, da lui emanata nella sua nobilissima patria Ana- gni , metropoli degli ernici, a' 28 settem- bre1295, pubblicata da Bonifacio IX colla bolla Humilibus, de' 12 giugno1400, Bull. Rom. t. 3, par. 2, p. 395: Confir- matio Statutorum , et Ordinationum Provinciarum Campaniae , et Mariti- mae per Bonifacium PP. VIII edito- rum. Ivi è pure la bolla Adea di Bonifacio IX : Statuta pro Terracinensibus edita firmat. 1 De Matthias, oltre i summentovati cardinalı (a' quali aggiungo il cardinal Gioacchino Pecci vescovo di Pe- rugia, e il cardinal Vincenzo Santucci pre- fetto della congregazione degli studi, di- poi elevati alla s. porpora) della provin. cia, dice questa contare circa 40 prelati (fra'quali almeno 5 che nominerò in se- guito a cagioned'onore, sono prossimi al- ladiguità cardinalizia; e diversi di tali pre, 0 lati sono insigniti del grado episcopale), molti professori dell'università romana, tanti giudici de'tribunali di Roma, e vari altri uomini eccelsi , essendo genio della scienza musicale il Coletti d'Anagni, ed un genio de' panegiristi romani il carmelita- no scalzo p. Teodoro di Maria Santissi- ma vallecorsano. Narra di più, che in Acuto ebbe origine l'istituto delle pie don. ne e monache Adoratrici del Divin Sangue (di quello stabilito in Orte , idea. to dal ven. can. Del Bufalo istitutore del. la congregazione del Sangue preziosis- simo , e posto in pratica da Maria De Mattias in Acuto, ne feci parola nel vol. XLIX, p. 183. Nel ricordato articolo tornai a far menzione delle Adoratrici del Divin Sangue, mentre nel vol. LXIII, p. 123, celebrai lo stabilimento a loro a- perto in Roma per l'educazione mora- le e religiosa delle fanciulle , del di cui prospero successo può vedersi il riferito nel n.º 147 del Giornale di Roma del 1857. Ein quanto alla congregazionedei sacerdoti, dissi che Pio VII nel 1821 ordinò al medesimo servo di Dio di aprir le case di Terracina, Sonnino, Sermoneta, Velletri, Frosinone e Vallecorsa, e della medesima riparlai nel vol. LXXXIV, p. 198), fondato per la civile e religiosa e- ducazione delle donzelle , già propagate in Francia, Germania, America ec. , e poi ne ragionò pure nel suo libro Della Pe- dagogia necessaria alle donne, Feren- tino1851 (leggo nella Topografia stati. stica dello stato pontificio del cav. A- done Palmieri, Roma 1857, a p. 87. >> la Roma le pie educatrici, ed Adora- trici del Divin Sangue , in via Avigno- nesi, n. " 80, in casa della principessa Wol- konsky, ammaestrano ne'lavori ed istru- zione cristiana le fanciulle , ed anche le maritate. Institutrice fu la pia Maria de Matiis di Acuto verso il 1833 sotto ladirezione del ven. canonico Del Bufalo, e già conta 16 case per lo stato pontificio "). Aggiunge che nella provincia esistono col- legi fioritissimi, biblioteche, seminari, ti VEL VEL 47 r r pografie, musei numismatici ec. L'acca- demią Ernica la dice fondata nel declinar del secolo passato dal sommo nelle scienze e nelle lettere mg. Giovanni Devoti vescovo d'Anagni in questa città, la qualeper essere l'antichissima capitalede gli ernici prese il detto nome; alterata nel suo progresso pegli sconvolgimenti repub. blicani del 1799, indi il vescovo d'Anagni mg. Gioacchino Tosi potè stabilirla. Nel suo 1.º Justro l'accademia fiori in modo, chepoco mancò non vi dasse il suo nome l'imperatore Napoleone I, il quale aven- do molta propensione pel Tosi, gli sotto- mise le diocesi di Palestrina, Terracina, Sezze, Piperno , Ostia , Velletri , Alatri, Albano, Frascati , Porto e s. Ruſſfina, eTi- voli. Per le vicende cui soggiacque mg. Tosi , l'accademia fu dimenticata, ma nel 1843 quando l'immortal Gregorio XVI degnò di sua presenza la città d' Alatri , si pensò con energia a ristabilirla. Il ne- rito della nuova fondazione dell' accade- mia Ernica si deve amg." Adriano Giampedi zelante, facondo e dotto vescovod'A- latri in questa città, e ne ottennel'appro- vazione dalla congregazione degli studi a' 30 luglio 1844. Leggo nel supplemento al n.° 14 del Diario di Roma del 1845, che l'accademia fu fondata a'a febbraio 1844, anniversario dell'elezione di Gregorio XVI, che perciò essendosi propo- sto di celebrarlo , e insieme quello del l'accademia con solenne straordinaria tor nata, a cagione del mal tempo si differì a'g e celebrossi il letterario esercizio nel modo ivi narrato. Apprendo poi dall'Al- bum di Roma, t. 24, p.146, che contri- buì alla fondazione dell'accademia il pa- trizio alatrino e canonico della cattedra- le d. Agostino prof. Caporilli prefetto de- gli studi uel seminario, la di cui biografia del prof. Giuseppe Tancredi ivi si ripor- ta, coll' encomio del suo sapere e parti. colari pregi. Intendimento dell' accade- mia è la coltura dell'umane lettere e de- gli utili studi. Dopo i misteri di nostra ss. Religione , cui sono sagre le sue più so, lenni tornate,perlo piùimprende a tratta- re argomenti riguardanti le cose patrie. Tre ordini di soci compongono l' accade. mia,residenti, corrispondenti,onorari: fra i secondi mi pregio di appartenervi. A'27 giugno 1845 mi fu spedito il diploma di socio corrispondente, cogli Statuti del- l'Accademia Ernica eretta inAlatri,Ro- ma1845. Indi ricevei il Catalogo de'soci della Accademia Ernica fondata sot- to gliauspiciidella sa.me.di PapaGre- gorio XVIche degnossi fregiarla del- l'augusto suo nome, Roma 1847. Egua- le onore ha compartito all'accademia il regnante Papa Pio IX. Notai già che il De Matthias colla Lettera 4. ragiona sulla storia dell'industrie della provincia edi sua posizione commerciale. Egli dice. L'antico commercio si vuole ben grande, perchè il solo distretto d'Anagni contava 60,000 abitanti, e Virgilio appellò ricca Anagni non per la semplice coltura cam-. pestre, ma eziandio pel traffico, poichè il suolo in parte è sassoso. Del vetustissimo commercio degli ernico- volsci n'è prova la statera della prisca Campagna del La- zio. Un'invenzione de' pesi de' tempi re- motissimi, decide de' famosi mercati d'e- poche lontanissime.La statera ne'campa- ni del Lazio, ove sono i contorni di Frosinone,sufficientementeattesta quanto i primi frusinati felicemente commerciassero colle loro produzioni e industrie. Di pre- sente la delegazione diFrosinone nell'agri- coltura mantiene aperti traffichi uon solo colleprincipali parti dello statopontificio, ma ancora al di là del Mediterraneo e del Tirreno, e persino in Africa. Anagui e Ferentino producono abbondanti grana- glie, Veroli e Vallecorsa moltissimo olio, Artena es. Lorenzo copiosa seta, Supino moltissimo legname. Gli opificii di panni d'Alatri e di tappeti di Veroli sono rino- mati. In Frosinone si migliorò ne' lavori agricoli e industriali. Eccellenti sono le piante di tabacco di Vallecorsa e Ponte Corvo. Termina il De Matthias cou osservare : Che se Terracina avesse una 48 VEL VEL fiera, come quella di Sinigaglia, ed aves se pure una strada ferrata che l'unisse a Roma, la delegazione Frusinate diver rebbe la 1.ª provincia dell' Italia. Bensì narrai in tale articolo, pel cui porto tanto fece Gregorio XVI a vantaggio di que- ste provincie, che vi è la stazione e l'officio per la telegrafia elettrica; mentre so . no lieto di potere qui ripetere, che iltron co di ferrovia da Roma al Tuscolo ( I.), dovrà continuarsi per Velletri e Cepra- no, per congiungerlo a quello di Napo- li , come accennai ne'vol. LXX, p. 163, LXXXIV, p. 25; ed intanto il governo del florido regno delle due Sicilie spinge con massima alacrità la strada ferrata perCeprano, anzi si può dire giunta qua. si alle frontiere pontificie, destinata a riu. nire le nostre vie all'altre Europee, men- tre accosta a Sanseverino per proprio conto la strada di Brindisi, Sulla linea •della ferrovia Pio- Latina si formeranno dueprimariee stazioni, lat. in Velletri,l'altra probabilmente in Ceccano. Nel Gior. nale di Roma del 1858, n. 56e57, si leg- gela conferma alla società anonima della concessione della strada ferrata nonsola- mente da Roma a Frascati, ma eziandio il suo prolungamento dalla 2.ª città al con. fine Napoletano, seguendo il tracciato sot. to i colli Albani e per Velletri, fino allo stesso confine Napoletano per Ceprano ; costruita ad un binario, cioè con una coppia di guide di ferro, salvo pe' recessi di carico e scarico, stazione e scambio, che dovranno avere doppi binari ec. Si ripor ta pure il capitolato accettato dalla socie- tà a' 25 febbraio 1858, con sovrana sau . zione e ordini de' 3 marzo susseguente ; colla tariffa di nolo pe' viaggiatori, e le tasse pe' trasporti di animali, derrate, merci e altro. Annullandosi la concessio- ne de' 24 febbraio 1853 della continuazione della linea di Frascati al Porto d' Anzio. La società si obbliga di porta- re a compimento il detto prolungamen- to di ferrovia peli. agosto 1860, in mo- do che la strada sia praticabile in tuta ta la sua estensione. Fra le riserve fatte dal governo, vi è quella dello stabilimen- to d'una linea telegrafica elettrica lungo la via ferrata. Quindi il Papa nominò commissario generale delle strade ferrate pontificie romane il duca d. Mario Massimo. Il n. 85dello stesso Giornale pubblicò gli articoli addizionali agli sta. tuti de' 24 maggio 1854, della società a- nonima della strada ferrata da Roma a Frascati, la quale prese il nomedi Società privilegiata Pio- Latina delle Stra- de ferrate da Roma a Frascati, e da Roma al confine Napoletano, ossia Ceprano. Tali articoli furono approvati dal Papa a' 31 marzo 1858. Si può vedere l'interessante articolo d'Angelo Angelucci : Ferrovie ed opere dello Stato, a p. 180 delt. 1 , ser. 2." dell' Enciclopedia contemporanea di Fano.Ora colla stessa En- ciclopedia contemporanea diFano, t. 6, p.212 eseg., riporterò il sommario delle piùimportanti materie trattate nellaRivi- sta de'prodotti naturali e manifatturieri dellostatoromano,del prof.GaetanoNigri- soli, autore della recentissima e bell'ope . ra, sulla quale però vanno tenute presen- ti quelle savie avvertenze pubblicate dalla stessa Enciclopedia a p. 357 e seg. , la quale tornò a lodare l'autore nella se- rie 2. , t. 1 , p. 58. Legazione di Velletri. Fiorenti l'industrie agricole, languide le manifatturiere. Prodotti naturali. Buoi ebufali in bel numero; in mediocre i cavalli e pecore ; scarseggiano le capre e i suini. Commercio vivo nell' anzidetto bestiame con Roma e col Napoletano. Poco si curano le pecchie e i flugellı. La pescagione e la caccia danno considere- voli prodotti. Ubertosa raccolta di frumento, che si estrae, mentre il granone ed altri cereali negoziansi colle terre vicine. Il lino e la canepa conosconsi appena.Erbaggi e frutta squisitissime in copia, come anche aranci e altri agrumi. Pro- dotto considerevolissimo di vini ottimi, che s'inviano per Roma. I gelsi esistono indiscreto numero, gli ulivi vi prospera- VEL VEL 49 s. Giovanni, nitriere, fabbriche di polveri sulfuree, ed una cartiera, le cui manifatture spedisconsi a Roma insieme ad ingen- te quantità d'olio di ricino che preparasi in Ceprano. A Guarcino una cartie- re, una concia di pellami; nel contado poi abbondanti lavorazioni di candela- bri, di cucchiai di faggio. Le carte ed i pellami negoziansi colle prossime terre, gli oggetti di legno anche con Roma. In altre comuni fabbriche di cappelli, di te le, di stoviglie, di mattoni, distillerie da spirito e da rosolii. Vendita di tali mani- fatture in provincia e fuori. Distretto di Ponte Corvo. Vaccini e pecorini in bel numero, in maggiore i porcini : lo smer- cio de' medesimi è utile co'luoghi vicini e col Napoletano. Trasandata l'educazione dell'api e de'flugelli. Dovizioso raccol- to di grano, di spelta, di granone, di pa- tate, di legumi, che negoziansi pure col Napoletano. Ristretta la semina della ca- nepa e del lino ; vastissima deʼtabacchi, le cui foglie si mandano alla Regía di Na- poli (? ). Abbondanza di vini squisiti, che trafficansi colle terre limitrofe. Escava- zioni di argilla per vasellami e materia- li da fabbriche. Prodotti manifatturieri. In Ponte Corvo, filatura notabile di ca- nepa e di lino, lavorazione di tessuti ordinari di canepa, fabbrica di paste da mi- nestra, concie di pellami, molini da gra- naglie ec., fabbriche di stoviglie, di mat- toni ec. Tali manifatture si esitano alle terre limitrofe e al Napoletano. Delegano largamente, e più ancora i castagni, le cui frutta porgonsi ad un commercio rilevante. Da' molti boschi traesi a dovizia di legname da fuoco e da costruzione. Ricchissima cava di gesso. Acqueminerali ferruginose non per anco illustrate. Pro- dotti manifatturieri. In Velletri abbiamo una fabbrica di cappelli ed una di cera. Terracina presenta una fabbrica di cap. pelli ordinari, e Ronco (?) una cereria; nel restante della provincia veggonsi attive le lavorazioni delle botti, delle doghe, del carbone, e di notabile quantità di potassa. Delegazione di Frosinone. Fiorente l'a- gricoltura, non ispregievoli le industrie. Prodotti naturali. Ricchezza di buoi, maggiore di bufali , utile spaccio con Roma e con Napoli : le carni salate de' bufali si acquistano dalla marina napoletana. Ca- valli in abbondanza, spesse mandrie di porci ; notevoli di pecore e di capre. Questo bestiame trafficasi con Roma e con Napoli. Minimo il raccolto dell' api e de' flugelli, tenuissima pure la pesca gione. Vistoso scambio di grano e di granone con Roma, non lieve de' po- mi di terra, dell'avena e dell'orzo colle terre vicine. I vini e l'olio graditi, e i ca- stagni mantengono utile spedizione alla dominante. Piuttosto scarsi i gelsi ; do- vizia di ghiande, e di legname ottimo da' molti boschi, che esita insieme colle cor- teccie de' sugheri anche all'estero. Ric- che cave d'alabastro in Salvaterra (non laconosco, forse Falvaterra), ed in Fe- rentino, di stucco in Guarcino. ACollezione di Benevento. L'agricoltura è in pardo, abbondanti gessaie, in Trevi un minerale ferruginoso che presto sarà uti- lizzato. A Pofi miniere ubertose di pozzolana e relitti vulcanici ; a Castro una quantità di pece, che ne ha il nome, co- me altresì buona argilla. La vendita de' minerali predetti estendesi al Napoleta- no. L'acqua d'Anticoli tiensi in gran cre- dito; poi vengono quelle di Ferentino e d'Anagni. Prodotti manifatturieri. In A- Jatri, eccellenti lanificii, donde un traffi- co ragguardevole coll'interno. AMonte VOL. LXXΧΙΧ. assai florida situazione, non così le altre industrie. Prodotti naturali. Torme di buoi e di cavalli, più numerose di bufa- li. Anche le pecore ed i suini sono in qualche abbondanza; negoziasi il detto bestiamecol regno di Napoli. Le api ed i bachi daseta si educano con impegno,ese ne hanno prodotti eccellenti . Raccolto u- bertosodi grano e di granone. Vasta col- tura della canepa e del lino; dovizia di erbaggi e di frutta, di cedri, di limoni e d'aranci. Questi prodotti insieme ad una 4 50 VEL VEL grande quantità di tabacchi si vendono a' luoghi vicini ed al Napoletano. I vini mantengono un' interessante estrazione al pari dell'olio d'oliva con Napoli. Ap prezzabile il prodotto delle ghiande, e delle legna principalmente delle selve. Non sonosi fin qui escavati minerali, nè scoperte acque medicinali. Prodottima- nifatturieri. In Benevento, fabbrica di cappelli fini e ordinari, di corde armoniche, di pettini di bufalo, avendo questa la privativa per la delegazione. Sono ce- lebri i torroni o ammandorlati, ches'inviano a Roma ed aNapoli, comeanche le corde armoniche e i pettini. As. Ange. lo, filatoi di seta, fabbrica di tessuti ordinari di lana, in alcuni luoghi concie di pellami e molini da granaglie. Nel1782 si stampò in Napoli, Carte corografiche ememorie riguardanti le pietre, le mi- niere e ifossili per servire alla storia naturale delle provincie del Patrimo- nio, Sabina, Lazio,Marittima e Campagna, e dell' Agro Romano, abbozzate e raccoltedalprefetto degli studi delreal collegio Fernandiano alla Nunziatella. Riportano le ufficiali Notizie di Roma del 1858 le seguenti nozioni. Legazione di Marittima e Campagna. Em." cardi nal Vincenzo Macchi decano del sagro collegio, legato. In Velletri risiedono : il prelato delegato apostolico di Marittima mg." Luigi Giordani, 4 consultori , il segretario generale, il presidente del tri- bunale di 1. " istanza, 3 giudici, il procu- ratore fiscale, il cancelliere, l'assessore legale, l'ingegnere d'acque e strade, il ca- pitano comandante de' gendarmi. Que sta provincia è divisa in 5governi (oltre i due vice-governi di Carpinetoe Sermoneta), e contiene 62,013 abitanti. In Frosinone risiedono : il prelato delegato apostolico di Campagna mg. Ferdinan- do Scapitta, 4 consultori, il segretario generale, il presidente del tribunale di 1.ª istanza, 3 giudici oltre un aggiunto, il cancelliere, l'assessore, il capitano co- mandante de' gendarmi. La provincia r divisa in 13 governi (imperocchè sebbe- ne vel comune di Sonnino non risieda propriamente un governatore, ma un commissario straordinario colle medesi- me attribuzioni, viene considerato come un governo) ha 154,559 abitanti. In Be- nevento risiedono: il prelato delegato a- postolico della medesima provincia mg. Odoardo Agnelli, 4consultori, il segreta- rio generale, il presidente del tribunale di 1.ª istanza, 2 giudici , il procuratore fiscale, il cancelliere, l'assessore legale, il tenente comandante de' gendarmi. La provincia, oltre la città, contiene 7 co- muni, ed ha 23,176 abitanti. Negli altri articoli componenti la legazione di Ma- rittima e Campagna ne descrissi le par- ticolarità, in uno alla temperatura, con quella brevità che debboseguire,persup- plire alla quale dichiarai un buon nume- ro degli scrittori che di propositone trat tano. Innanzi di compendiosamente de- scrivere Velletri e suo vescovato subur. Licario, ch'è l' argomento dell' articolo, il rimanente non essendo quasi che un accessorio ad ornatum del capoluogo di sua legazione, mi propongo di riferire al- cune notizie di que'luoghi della medesi- ma, di cui ancora non parlai, per le qua- li procederò principalmente co'seguenti autori , oltre il Riparto territoriale del 1833, pubblicato dal governo nel 1836, profittando eziandio della Statistica dello Stato Pontificio del 1853, dal me- desimo governo fatta stampare nel 1857, e tenendo presente la Statistica numerativa delle popolazioni dello statopontificio alla fine del 1853 col Riparti- mento territoriale modificato secondo i cambiamenti cui è andato soggetto do, po il 1833 fino all'epoca presente, Ro- ina 1857. Quest'ultimo Ripartimento e Censo della popolazione, dichiara il mi- nistro dell'interno con circolare de' 14 novembre 1857, viene surrogato a quel. lodel i 833, dovendo cominciare ad ave re effetto il 1.° gennaio 1858. Nel Ripartimento si avverte, che le frazioni co. VEL VEL 51 mechè fanno parte de' loro comuni o appodiati, non fu stimato necessario di riportarle, non avendo amministrazione separata ; che si è rettificata la popolazio- ne stabile e mutabile della Statistica del 1853 ; e che oltre gli antichi vice-gover- ni , altri ne furono istituiti. Pe'vice-gover- ni conviene tenerpresente la leggede 30 ottobre 1856, riferita dal n.° 250 del Giornale di Roma, dalla quale viene specificata la giurisdizione e le attribu. zioni de' vice-governatori, che in sostan- za esercitano quelle de'governatori. Ec- co poi gli accennati autori. Fr. Bonaventura Theuli velletrano e nrinore conven. tuale, Teatro historico di Velletri insigne città e capo de' volsci, Velletri per Alfonso dell' Isola 1644. Carlo Ambro- gio Piazza, La Gerarchia.cardinalizia, Roma 1703 : Ostia e Velletri vescovati suburbicari. Antonio Ricchi corano, La Reggia de'Volsci, ove si tratta dell' origine, stato antico e moderno delle città, terre e castella del regno de vol. sci nel Lazio, e specialmente di Cora, città volsca, sua patria, Napoli 1713. Del medesimo: Teatro degli uomini il- lustri nelle armi, lettere e dignità, che fiorirono nel regno antichissimo de' volsci, esistente nel Lazio, parte dell'I. talia, ove frapponesi il Discorso sovra ledifferenze insorte intorno al celebre taglio delle famose Selve di Cisterna e Sermoneta,dedicato all'Illm. edEc- cell. Signore d. Michel Angelo Cae- tani duca di Sermoneta e di s . Marco, principe del sagro Romano Impero e di Caserta, marchese di Cisterna, signore di Bassiano, Ninfa e s. Donato, came- riere della chiave d'oro di S. M. Cesa rea Cattolica, barone romano, egran de di Spagna ec. , Roma 1721. Alessan dro Borgia vescovo di Nocera poi arci- vescovo di Fermo veliterno, Istoria del la Chiesa e cilla di Velletri, Nocera 1723. Fr. Casimiro da Roma, Memorie istoriche delle chiese e de'conventi dellaprovincia romana, Roma 1744. Piea r trantonio Petrini, Memorie Prenestine, Roma 1795. Mg. Nicola Nicolai , De' bonificamenti delle Terre Pontine, Roma 1800. Gabriele Calindri , Saggio statistico storico del Pontificio Stato. Pietro Castellano, Lo Stato Pontificio. A. Nibby, Analisi storico- topografico- antiquaria della carta de dintorni di Roma. G. Marocco, Monumenti dello Stato Pontificio. Storia della città di Velletri scritta dalcanonico Tommaso Bauco, 2.ª edizione,Velletri tipografia di L. Cappellacci 1851. Quando questo be- nemerito defunto veliterno me la donò graziosamente, io già possedeva la 1. " e- dizione da lui dedicata a' suoi dilettissiuni concittadini (l'altra essendolo al car- dinal Macchi) con questo titolo : Com- pendio della storia Veliterna, Roma ti- pografia Mugnoz a spese dell'editore Lui- gi Cappellacci 1841. Inoltre mi è noto ch' egli lasciò compilato un Almanacco o Notiziario della provincia e diocesi Veliterna, e che lo pubblicò il di lui ni- pote succedutogli nel canonicato della cattedrale di cui era coadiutore. Adun- que vado a scrivere co' nominati e altri che poi dirò, e quindi da' poco discreti non si pretenda da me responsabilità e solidarietà d'ogni detto, poichè quanto ho raccolto nou intendo darlo nè per di- mostrazione matematica, e molto meno per definizione di fede. Rammentino gli esigenti : Chi narra, dice un fatto e nou conferma una sentenza. E quanto alle pretensioni di dettaglio, secondo le viste particolari, ed a ne vietato dalla natu. ra dell' opera, anco qui debbo ricordare il protestato nel vol. LXXVI, p. 57 e 58, equant'altro di relativo francamente dichiarai a'luoghi opportuni. A tali erudi- zioni però credo opportuno primiera- mente di premettere alquante parole sui Papi che alcun tempo risiederono nelle provincie di Marittima e Campagna, o le visitarono personalmente. Le provincie che compongono questa nobilissima legazione apostolica furono 52 VEL VEL onorate ne' Viaggi de' Papi, di loro ve. neranda e sempre gradita e benefica presenza,di che nelle loro biografie e negli ar- ticoli riguardanti i luoghi della legazione feci cenno, come farò ne' seguenti. Ne'secoli antichi, per le turbolenze delle fazioni e degli scismi, molti Papi vi si rifugiaro- no e fecero dimora colla curia e corte romana, e vi accolsero sovrani, ambasciato ri e vescovi stranieri , e s. Gregorio VII nel 1080 in Ceprano investi col vessillo di s. Pietro della Puglia, Calabria e Sici lia il duca Roberto Guiscardo, il che me- glio narrai nel vol. LXV, p.170. Talvolta risiederonoin Velletri, Segni edAna. gni principalmente ; anzi nelle due ultime città vi ebbero il palazzo apostolico. I benedettini di s. Pietro di Villa Magna ogni sabato offrivano 7 pani o focaccie o pizze, a' Papi che recavansi nella pro. vincia di Marittima e Campagna, per cui Bonifacio VIII nel donare alla mensa vescovile, eal capitolo e cattedrale d'Anagni il monastero, abbazia e beni di Villa Magna, colla bolla Inter caeteras Orbis Ec- clesias, impose il tributo e l'omaggio de' 7 pani al vescovo e al capitolo, a favore di se e successori, sotto pena di caducità dal possesso de' beni, e tuttora puntual- mente si osserva. Nel secolo passato due Papi onorarono di loro presenza la pro- vincia di Marittima e Campagna,cioè Be- nedetto XIII per due volte nel recarsi alla sua antica chiesa di Benevento, che ritenne nel pontificato e nominando a co- adiutore il cardinal Coscia ; e Pio VI per diversi anni nel portarsi a Terracina, ove soggiornava per curare il diseccamento delle Paludi Pontine. Nel secolo corrente compartirono eguale onore alla pro- vincia i Papi Gregorio XVI e Pio IX re- gnante ; il 1.º oltre una gita a Velletri nel 1831 , indi due volte nel 1839 e nel 1843; il 2.° nel 1850, ed in ciascuna si fece l'oblazione de' 7 pani. Gregorio XVI li ricevette in Terracina e in Anagni, Pio IX in Frosinone, e lo notai pure a PANE. I tre viaggi furono egregiamente descritti da'seguenti. Relazionedel viaggio di Sua Santità Gregorio PapaXVI da Roma a s. Felice, scritta dalprinci. ped'Arsoli (d. Vittorio Massimo), Roma 1839. Del medesimo abbiamo : Relazione del viaggio fatto da N. S. PP. Gregorio XVIalle provincie di Marittima e Campania nel maggio 1843, scritta dal principe Massimo sopraintendente generale delle poste di Sua Santità, Roma1843 . Relazione storica del viaggio di Sua Santità Papa Pio IX da Portici a Roma nell'aprile dell'anno 1850, Roma 1850. Questa fu compilata dal commend. Giulio Barluzzi, giovandosi dell'opera dell'avv. Angelo Carnevalini , e dedicandola al cardinal Antonelli. Con tali Relazioni, e tenendo presenti il Dia- riodiRoma,leNotizie delgiorno, ilGior- nale di Roma e l'Osservatore Romano ; ove potei parlarne il feci, e il simile eseguirò ne' seguenti paragrafi de' luoghi della delegazione di Frosinone e del distretto di Velletri e ragionando di tal città. Asupplire quanto finora non mi fu dato di fare, perchè già stampati gli articoli, co' medesimi qui adesso l'adeinpirò e con alcune mie aggiunte. Avendo determinato il Papa Gregorio XVI di re- carsi a visitare il castello di s. Felice (V. ), situato alle falde del famoso monte Cir- ceo, parti da Roma a' 22 aprile 1839, e per Albano, la Riccia e Genzano ( F.), giunse in Velletri, da dove passò a Terracina e s. Felice; e ripassando pe' me- desimi luoghi si restituì al Vaticano a' 29 dello stesso mese. Nel 1843 il mede- simo Gregorio XVI, desiderando consolare colla sua presenza una parte de suoi felicissimi stati , alcuni luoghi de' quali da più secoli non avevano goduto della paterna visita de' Sommi Ponte- fici , determinò d'impiegare i primi gior- ni del bel mese di maggio a percorrere un buon tratto del Lazio e degli antichi Ernico-Volsci, visitando le antichissime e importanti città d'Anagni, di Ferenti- no, di Frosinone e di Alatri, e passando VEL VEL 53 per Piperno a Terracina, e indi a Velletri, Genzano, Riccia eAlbano, dopo visi- tate le provinciedi Marittima eCampania eparte della Comarca di Roma, ritornare alla sua maestosa capitale e residenza. Partù da questa il 1. maggio, ed uscito dalla Porta Maggiore per la via Labicana, che conduceva all'antica Labico ( V.), festeggiato anche sotto Zagarolo (F.) e Palestrina (V.) da quelle popolazioni, clero e magistrati sulla viaCasilina;equin- di da Lugnano e Valmontone, al modo che dirò a que' paragrafi. Continuandoil viaggio sulla via Casilina nel territorio di Segni (V.), la quale antichissima città,in contrassegno d'esultanza, fra le altre di- mostrazioni eresse sulla pubblica via pro- vinciale unmagnifico arco di trionfo(men- tre il ch. d. Alessandro Atti era professo- re di quel seminario,nel t. 23 dell'Album diRoma, descrivendo Segni eruditamen te, citando il mio articolo più volte, parlando dell'arco,disse a p.291cheio per in- avvertenza l'avea attribuito all'architetto Calderari,mentre fu eretto con disegno e direzione di d.GiampietroCremona curato di s . Stefano; ma poi a p. 312 equamen- te pose questa Rettificazione: » Ciò che si è notato a p. 291 di questo giornale nel- la nota 5, riguardante all'arco trionfale innalzato a Gregorio XVI, hassi a riferire alla Relazione del viaggiofatto dal Pa- paGregorio XPIec. del principe Massimo, ed al n.°40 del Diario diRomadel 1843, non al ch. cavalier Moroni" . Laon- de per la storia e per grato animo qui ne fo menzione). Ricevuti quindi il Papa i complimenti di mg. Pila delegato di Frosinone e di mg. Lolli vicelegato di Velletri ne' luoghi soggetti alle loro ri. spetti ve giurisdizioni, il Santo Padre con- tinuando il suo lieto viaggio versoAnagni vi giunse alle ore 19 e mezzo, incontrato aqualche distanza da unaquantità di donne vestite di bianco, edi fanciulli con rami d'olivo in mano, ed accolto a piedi della scesa dalla magistratura di quest'an. tichissima capitale degli ernici (nella pre. r giatissima opera della celebre Marianna Dionigi,Viaggi in alcune città delLazio che diconsifondate dal re Saturno, con bellissime incisioni di monumenti e mura ciclopee superstiti delle città ernico-volsche di Ferentino, Anagni, Alatri, Aqui- no, Arce e Arpino, a p. 22 discorre delle notizie antiquarie sulla bella città d'Ana- gni . Dice che ivi fu eretto da' romani un tempio a tutti i Numi, e diversi altri a Pallade, a Cerere, a Bacco, ad Ercole e aDiana, dalla qual dea prese la via Trivia ilnome che tuttora conserva. Pare che il tempio di Saturno fosse il più magnifico, forse perchè riconosciuto dagli anagnini fondatore della città, e lo venerarono per nume. Anagni,chiamata ricca da Vir- gilio, e città nobilissima degli ernici da Macrobio, ebbe pure archi trionfali, ter- me, piscine, mura e un circo massimo. Ma di tutto ciò non rimangono che lunghi tratti di mura romane nell'interno e nell'esterno della città, alcuni archi d'un ba- gno dell'imperatore Ottone, ed un avan- zo di fabbrica semicircolare o teatro o meglio piscina, di cui la Dionigi riprodus- se il disegno, oltre un'iscrizione. Trovò qualche avanzo di mura ciclopee, se non della più remota antichità, almeno d'un tempo alquanto posteriore, il che sarebbe sufficiente argomento a giustificar l'inve- terata tradizione, che Anagni fosse una delle 5città fabbricatedal re Saturno. De Magistris dice che tali città sono Anagni , Alatri, Aquino, Atina e Arpino, ed alla 6. città in grazia del suo abnipote Ferentio, diè il nome di Ferentino), le di cui chiavi gli vennero da essa presentate, mentre 40 giovani vestiti di nero, ottenu- to il permesso di staccare i cavalli dalla sua carrozza, questa tirarono con cordo- ni di velluto rosso nella ripidissima salita, che traversa la città, sino alla basilica cattedrale (abbiamo di Alessandro De Magistris, Istoria della città e s. Basilica cattedrale d'Anagni, in cui si rapportano personaggi insigni , cose più ragguardevoli della diocesi, e molti • 54 VEL VEL • r r avvenimenti d'Italia, Roma 1749) fab- bricata in cima alla medesima, ove si fer mò sulla piazza avanti il suo ingresso la terale, sulla quale trovavasi mg. Vincenzo Annovazzi di Civitavecchia (della quale ci diede la bellissima Storia di Ci vitavecchiadalla sua origine fino all'anno 1848 scritta da mg. I. Annovazzi arcivescovo d'Iconio, Roma 1853) vescovo d'Anagni alla testa del suo clero, che ricevendo il Pontefice sotto al bal- dacchino, l'accompagnò all'ingressoprincipale della cattedrale, in cui venne data la trina benedizione da mg. Carlo Gigli d'Anagni vescovo di Tivoli ( V.), espres- samente recatosi alla sua patria per questa fausta circostanza. Gregorio XVI, dopo aver poi ammesso al bacio del piede tutti i canonici nella stanza del vestiario, ascese alla loggia di pietra esistente sulla parte laterale della medesima cattedrale, e parata tutta di rosso, ed ivi diede la solenne benedizione al popolo sotto una statua marmoreadell'anagninoBonifacio VIII, seduto parimente in atto di benedi- re i suoi concittadini , colla Tiara in testa ornata d'una semplice corona, mentre altra sua figura con tiara senza corona, ma semplicemente ornatadi ricami e di linee intrecciate, vedesi rilevata nel bronzodelle campane della stessa cattedrale, fuse nel 1295 d'ordine di quel magnanimo Papa, le di cui armi in musaico, apparte- nenti all'antica sua nobilissima famiglia Caetani, ancora esistono a' lati della det. ta sua statua. Il suono di quelle campa- ne, unito agli applausi dell'innumerevole moltitudine, ed al giubilo che vedevasi regnarein tutta la città, produsse un commovente complesso da non potersi dire in breve. Imperocchè dopo il memora bile e nefando oltraggio ricevuto daBonifacio VIII in quel suo palazzo dal par tito di Francia, che in tanti luoghi de- plorai, come nel vol. LXXXI, p. 45, pro- pugnando l'animo grande e la dottrina di quel Sommo Pontefice, l'illustre città decadde dal suo splendore, e nel 1526 era già perfino distrutto il memorabile palazzodi Bonifacio VIII, di cui si cre- dono vestigia le sostruzioni del palazzo del marchese di Trajetto, il quale a tal uopofece porrenelle sue scale marmorea iscrizione, riportata nella Relazione, insieme a tutte le altre di cui farò menzione. Il principe Massimo nella sua bellissima Relazione, colla sua vasta erudizione illustrò ancora i luoghi onorati dalla benevola presenza di Gregorio XVI, co- me avea fatto egregiamente nella precedente, laonde osserva che esistono però della famiglia di Bonifacio VIII in Ana- nagni tuttora i diretti discendenti in per- sona del conte Loffredo Caetani e suoi fratelli, provenienti dallo stesso stipite de' Caetani di Roma; e sebbene decadu- ti dalla loro antica grandezza, conservano per altro con gelosia in loro casa una cassetta piena d'antichissime pergamene, nelle quali è ora unicamente riposta l'il- lustrazione della celebre loro famiglia , una delle dodici stelle d' Anagni, o prin- cipali famiglie nobili. Era dunque ri- servato, dice il principe storico, al Som- mo Gerarca Gregorio XVI il trarre do. po tanti secoli Anagni dal suo avvilimen- to, consolandola colla sua presenza, che eccitò i più vivi segni d'entusiasmo della moltitudine, particolarmente quando fu veduto scendere a piedi col suo seguito dalla cattedrale, e traversare quasi l'in- tera città, le di cui antichissime fabbri- che imbrunite dal tempo erano ravvivate da' colori de' drappi pendenti dalle fine- stre, sino al palazzo Giannuzzi destinato per la sua residenza, e situato sopra una vasta piazza aperta nel mezzo della città nel 1557, dopo la sua espugnazione fatta dall'armata spagnuola, comandata dall'acerbo duca d'Alba, nella famosa e desolante guerra della Campagna Romana contro Paolo IV, che descrissi nel vol . LXV, p. 234 e seg.; dalla quale si scopre versomezzogiorno una vista ame- nissima di tutto il territorio Anagnino e delle vicine città e castella. Ivi in mezzo VEL VEL 55 r a adue ale della schierata truppa con sua banda, e dell'affollato popolo, prostrato- si mg. Francesco M.ª Giannuzzi in mantelletta, ora Uditore generale della rev. Camera apostolica (V.), ed i suoi nobi- li fratelli in abito di spada, baciarono i piedi al Papa, e l'accompagnarono al1. pianodi quel loro palazzo, dove fu alloggiata anche porzione del corteggio, avendo il rimanente preso stanza nelle vicine abitazioni. Dalla loggia il Papa compar- tì l'apostolica benedizione in mezzo alle grida di sincera esultanza di quel popolo, che seguitò a stare sulla piazza in tutto il rimanente del giorno. Nella sera poi fu incendiato un vago fuoco d'artificio sul- la medesima piazza, che oltre l'essere son- tuosamente illuminata, come pure tutto il resto dellacittà e delle vicine campa. gne e colline, risplendenti pe' fuochi di gioia, vedevasi ornata con finto obelisco, e con un arco trioufale, su di cui legge- vansi 4iscrizioni composte da d. Giovan ni Capri Galanti di Valmontone, profes- sore di rettorica in quel seminario, di presente prelato ponente di Consulta. Esse celebravano le virtù del Papa, l'u- niversale gioia della città e di tutti gli ernici, le beneficenze elargite ad Anagni e suo capitolo, e le promozioni di Silve- stro Belli al cardinalato e al vescovato di Jesi (V.), e de'prelati Gigli e Giannuzzi anaguini, e che avea rinnovato i gloriosi teinpi d'Innocenzo III, Gregorio IX, Alessandro IV e Bonifacio VIII (V.), i quali fecero più volte soggiorno nella loro patria Anagni. Oltre tali iscrizioni leggevansi altrettante del sacerdote Antonio Ciprani, egualmente riprodotte dalla Relazione, sullo stesso argomento, insieme ad un sonetto del nobile anagnino Francesco Belli allusivo al risorgimen. to d'Anagni. Ne' diversi generi di lumi narie, che nella sera e nella seguente resero brillante Anagni, si distinse quella dell'ingresso del suo palazzo comunale, formato da un autro spazioso con gran- dissimi archi di sesto tondo, ne' quali la ... luce producevaun mirabile effetto. Su di essi posa alt. piano un immenso salone, che prima serviva all'adunanze consiliari, eunangolo del quale mettein una piccola loggia, che serviva al banditore per pro- mulgare idecreti del popolo, e che essendo costruita in mododa non potersi spie- gare, sembra reggersi in aria ; tanto è bene formata la volticella di pietra, che la sostiene nell'angolo del palazzo, alle cui pareti vedonsi in vari luoghi scolpi- te in marmo le armi della città, consi- stenti in un leone sormontato da un'a- quila, col verso dell'Eneide di Virgilio Et roscida rivis Hernica saxa colunt quos dives Anagnia pascit. Il seguente giorno a non fu meno avventuroso per Anagni di quel che lo fosse stato il t . , a- vendolo impiegato Sua Santità a visita- re le cose più degne da vedersi in quell'illustre città, erilevandone così sempre maggiormente i pregi. Imperocchè, do- po avere ricevuto in dono dalla magi- stratura una statuetta d'argento col suo piedistallo, rappresentante s. Oliva ver. gine e martire compatrona d'Anagni , si recò in carrozza col suo seguito all' epi- scopio, ove mg. Annovazzi fattale tro- vare imbandita una lauta colazione, eb- be altresì l'onore, unitamente a due ca- nonici e al preposto (della Stola papale che prima usava riparlai a tale articolo, coine dell'insegne presenti sue e de'cano- nici ; Pio VI al medesimo preposto con- fermò l'uso dell'abito prelatizio, e glie- lo concesse di colore paonazzo, con facoltà di usarlo anche in Roma, dichia randolo prelato domestico), di presentare alSanto Padre, seduto sul trono, a seconda del già ricordato, un bacile con 7 pani ossia pizze lavorate con zucchero e cioccolata, su alcune delle quali vedeasi il simbolo dell'Agnello, e sopra altre era efligiato il Pastore coll'epigrafe : Cogno- scunt me meae. Nell'uscire dall'episco- pio, il Papa lesse l'iscrizione in quel punto posta dall'ottimo vescovo per memo- ria d'averlo onorato di persona. Judi in r 56 VEL VEL carrozza passò a visitar di nuovo la cat tedrale, antichissimo edifizio gotico a 3 navi divise da colonne, che dicesi ricostruita in tal forma verso il 1073 da s . Pietro vescovo d'Anagni (il di cui corpo ivi si venera, e Filippo Ciammaria scrisse : Santuario Anagnino dove si leggo- no l'istorie de' ss. Corpi, i quali riposa- no nella cattedraled' Anagni, conl'istoria del b. Andrea Conti anagnino, Vel. Jetri per Onofrio Piccini 1704), e consa- grata 106 anni dopo da Alessandro III. Fattavi breve orazione, il Papa calò per la scala marmorea nella chiesa sotterranea, che al pari della superiore hail ti- tolo di basilica , e sebbene più piccola me rita questo titolo non solo per la sua antichità contemporanea a quella, ma anche per la costruzione a 3 navi con 3 or. dini di colonne, ecolla sua apside nel coro, e due cori laterali, conformi intutto alle primitive chiese. Sotto l'altare maggiore di questa basilica sotterranea ri- posa il corpo di s. Magno patrono d'A. nagni , de'di cui Acta pubblicati feci pa- rola al suo articolo, ove sono incise la più parte delle singolarissime pitture di quel secolo, che ne adornano le pareti, rappresentanti vari fatti del martirio e della traslazione del corpo di quel santo vescovo di Trani, colle relative iscrizioni. In essi è pure delineata l' antica pittura di s. Oliva, che parimenti ornava un lato di detto sotterraneo, ove si conserva il di lei corpo, e fu tolta nel decor- so secolo per aprire una finestra onde dar lume ad un altare costruitosi per di- vozione d'un p. abbate polacco, a cui e- rano state donate reliquie della santa. Merita particolar menzione in questa ba- silica sotterranea non solo la rozza sedia di marmo rialzata da un sol gradino e circondata da sedili canonicali parimen. ti di marmo nell'apside incontro al det. to altare di s. Magno ( le pitture della cui volta, illuminate da finestra lunga e stretta, rappresentano il simbolo del- l'Agnello circondato da' 24 seniori del l'Apocalisse, e che al pari delle già no- minate, e dell' altre relative alla storia delle sante Secondina, Aurelia e Neomi- sia martiri, espressa nell' apside della 3." navata, rimontano al ricordato XI secolo), ma ancorail suo pavimento vermicolato in pietre dure come nella ba- silica superiore, e fregiato de' nomi de' celebri musaicisti romani maestro Cosmato co'suoi figli Luca e Giacomo, che hanno lasciato tante memorie dell' arte loro in quell'epoca. Gregorio XVI sod- disfatto al sommo d'aver veduto tutti questi pregevoli monumenti dell'arte, risalendo alla cattedrale si recò alla canonica, nel di cui archiviogliene furono mostrati altri interessantissimi , consistenti in alcuni arredi sagri di veneranda antichità per aver appartenuto a' Papi anagnini . Nella Relazione sono diligente- mente descritti, ma a me non è permesso che accennarli. Prima di tutti vide un paliotto d'altare di fondo bianco con bel lissimo tessuto d'oro e di seta di vari colori , e con 3 ordini di medaglioni circolari, contenenti ciascuno una figura in campo d'oro, individuata da un'iscrizio- ne scritturale ricamata intorno ad ogni medaglione in caratteri gotici ; prezioso lavoro del secolo XII e dono d'Innocenzo III. Dopo di questo fu mostrato al Papa altro bellissimo paliotto, che credesi puredella stessa epoca e donatore, da altri però attribuito a Bonifacio VIII, es- sendo probabilmente quello descritto nell' inventario de' doni da lui fatti alla basilica, di cui poi parlerò,pubblicato dal Boldetti nell' Osservazioni sui cimiteri dess. Martiri. Indi gli fu mostrata una pianeta lunghissima e amplissima di fon. do bianco, con simile dalmatica e tunicella, ed un piviale amplissimo, paramenti tutti ricamati e figurati , ornati eziandio con minute perle, di cui se ne vedo- no alcuni , lavori pregevolissimi del secolo XII fortunatamente salvati dal saccheggio patito dalla città nel 1 556nella suddetta funesta guerra degli spaguuoli. VEL VEL 57 Da quel lagrimevole disastro e posterio- ri disgraziate vicende mirabilmente restò preservato un incensiere d'argento dorato di forma ottangolare gotica, rap- presentante un portichetto con archi acu- ti e torrette triangolari, da cui partono 5 lunghe catene. Prezioso monumentod'ar- te, dono d' Innocenzo III, minutamente osservato da Gregorio XVI, siccome grande e intelligente amatore de'lavori d' arti, massime se antichi. Ebbe inoltre la piacevole soddisfazione di vederne al tri due d'epoca più remota, cioè due pa- storali creduti già di s. Pietro vescovo d' Anagni nel secolo XI, uno d'avorio marotto, l'altrod'argento dorato e smal- tato a squame; ed alcune mitre antiche di fondo bianco alte men d'un palmo, già adorne di pietre preziose, oltre altre illustrate dal Marangoni nella sua Chronologia. Di Bonifacio VIII erano ancora altra mitra e paramenti, che con al cuni codici estratti dall'archivio in tempod' Alessandro VII, non furono più restituiti. Inoltre di tal Papa conservasi nella sagrestia un piviale, una pianeta e due dalmatiche con fiocchi, di fondo rosso ricamate in oro, una volta ornati con perle e pietre preziose, altro avanzo de' tanti doni co' quali Bonifacio VIII volle arricchire la patria basilica,che ne conserva interessante e minuto inventario in pergamena. Appagato il suo genio per le belle cose, colla vista di tanti preziosi mo- numenti di sagra e veneranda antichità, Gregorio XVI uscendo dalla cattedrale, si recò a piedi col suo seguito a visitare i monasteri dell'oblate cisterciensi e delle clarisse, che paternamente confortò e am- mise al bacio del piede. Restituitosi al palazzo, sempre preceduto dalla banda, nel pomeriggio il Papa si recò in carroz- za a visitare le suburbane chiese de'do. menicani e de' cappuccini, nella 1.ª delle quali, dedicata a s. Giacomo e costrui ta a croce greca, con elegante pavimen to di musaico vermicolato, si venera la celebre croce di s. Tommaso d'Aquino r r (V.), che abitò ed ebbe cattedra nel con- tiguo convento, il cui fac-simile è riprodotto nella Relazione. Tornato Gregogorio XVI alla sua residenza, dalla cui loggia benedisse i postiglioni schierati in buon ordine colle loro pariglie di 150 ca- valli e col corriere alla testa, i quali doveano proseguire nell' onore di servirlo in partire d'Anagni. Si compiacque poi ricevere varie deputazioni e corporazio- ni, che si erano a tal effetto recate ad ossequiarlo, come pure mg. Luigi Parisio vescovo di Gaeta ( e poi 1.º arcivescovo pel notato nel vol. LIII,p. 206), partitosi espressamente dalla sua diocesi per avere questa consolazione. Terminò la serata col vedere un fuoco d'artificio e l'innalzamento d'unglobo areostatico, su di cui era dipinto il pontificio stemma con allusive iscrizioni. Volle poi dare alla nobile famiglia Giannuzzi un segno del suo gradimento per l'accoglienza divota usatagli nel proprio palazzo, col donare a mg. Giannuzzi il suo ritratto su di preziosa scatola brillantata, e col decorare il di lui fratello della croce e grado di commendatore dell'ordine di s. Gregorio Magno da Jai istituito. Giunta finalmente la 3.' mattina del maggio, all'ore 12 Anagni vide condispiacere partire l'amato Gregorio XVI con tutto il suo seguito (del soggiorno di Gregorio XVI in Anagni, e delle dimostrazioni affettuose e festive della città, ragionano pure i n. 36 e 41 del Diario di Roma, e il n. 18 delle Notizie del giorno del 1843), e scendendo con somma velocità per le difficili voltate che s'incontrano nella via, non ostante che ogni legno fosse tirato da 8 cavalli , traver- sò poi una magnifica pianura di circa 5 miglia, che divide Anagni da Ferentino (parlando di Marino, che vuolsi suc- ceduta all'antica Firento, che alcuni confusero con Ferentino ernico, riportai in proposito le autorevoli opinioni del dot- tissimo Nibby), e verso le ore 13 e mez. zo giunse in quest'altra celebre città ve- scovile delLazio, che circondata di mu 58 VEL VEL ra ciclopee (trovo nella Civiltà Cattoli- ca, serie 2.", t. 4, p. 380, l'articolo im- portanteeintitolato: Idue Ieroni e l'Ac- quedottopelasgico di Ferentino nell'Er nico. I due leroni, o aie sagre , o altari de'pelasgi sono in una valle di Ferenti , no, i quali eretti da quegli antichissimi navigatori, che tanta parte di civiltàrecaro no in Italia prima ancora della fondazione di Troia, reggono alla potenza strug. gitrice d'oltre 30 secoli. In capo alla stes- sa valle è pure un altro lerone interis. simo sotto il montedi Porciano, formato di massi poligoni anche più grandi di quelli che formano gli altri due, come assicura l'erudito ferentinateAlfonsoGiorgi, che stava scrivendo un dotto libro in torno a'primi abitatori dell'Ernico.Quanto all'acquedotto, tenuto forse il più antico d'occidente, siccome eretto da quelle remotissime genti, esiste al dilà della foresta del marchese Tani, monumento insigne che pochi visitano e pochi cono- scono. Mi piace inoltre riportare questo brano de' rispettabili compilatori, » Noi vorremmo, che sì quelli che ridono del- le nebuloseantichità pelasgiche, esì quel- li che di tante ipotesi etante favole le cir- condano, visitassero studiosamente l'Er nico, e massime Alatri, Ferentino e i suoi contorni ; indi sul preciso e spassionato esame de'monumenti giudicassero a saggio di scienza in quali remotissimi tempi ascendono così fatti edifizi , per illustrar- ne la storia de'popoli primitivi che abi. taronoquesta nostra Italia ". Anche il dot- to autore dell'articolo ritiene che le colonie pelasgiche d'occidente derivarono dalle genti fenicie e cananee), s' innalza sopra un ripido colle, superba per la sua antica potenza, che la rese formidabile a. gli stessi romani. Nel suo articolo , colle proporzioni volute da questa mia opera, celebrai la magnifica accoglienza fatta da Ferentino al Papa, che la Relazione mi- nutamente descrive, riportando tutte le copiose composizioni poetiche e iscrizioni celebranti il fausto avvenimento, inclusi. vamente al carme del patrizio ferentina- te Tancredi Bellà , che per onor patrio specialmente ricordo, poichè è un illustre prelato, che dopo aver governato con ze- lo le provincie di Rieti e di Spoleto, ora è delegato apostolico di Perugia. Grego. rio XVI proseguendo il viaggio per Fro- sinone, che n'è distante 7 miglia, eanti- camente apparteneva a'volsci, in quell'ar- ticolo mi fu dato descriverne il lietissimo soggiorno che vi fece, ripetendo perciò l'avvertenza fatta per Ferentino; non così posso fare per Alatri, il cui articolo, come quello d'Anagni, era stato pubbli- cato nel 1840. DimoraudoGregorio XVI nella giubilante Frosinone, a' 4 maggio volle appositamente rallegrarel'antichissima città vescovile d'Alatri, de'di cui celebri cardinali scrissi le biografie. Sebbene fuori di via , meritava quest'onore pe'suoi monumenti famosi, e perl'inviolabile suo attaccamento alla s. Sede ed a' Papi. Dice il principe Massino: Alatri vetusta cit- tà degli ernici non tanto gloriosa per la sua favolosa origine attribuita a Saturno, e per le superbe mura ciclopee, che for- mandoleundoppiorecinto sono forse uno de' più belli monumenti dello stato pou- tificio, quanto per la costante fedeltà de suoi abitanti al paterno governo pontificio, sperimentata in ogni tempo e in più occasioni , la storia ne registrò questo vanto,confermato e autenticato da'brevi pontificii, principalmente d' Alessandro IV, Janocenzo IV, Bonifacio IX ec. , che affi- darono agli alatrini gl'interessi di s. Chie- sa. Gli odierni non volendosi mostraredegeneri da' loro antenati nel fare una de- gna accoglienza all'amatissimo sovranoe supremo Gerarca, che recavasi a visitarli, appena ricevuto il lieto avviso si die- dero indeserivibile premura per presentargli la loro città co' pregevoli suoi mo numenti nel suo più bell'aspetto; e perciò il comune assumendo a se il pensiero di far sgombrare e rendere per ogni lato accessibili gli ammirabili avanzi dell'anti . chissima cittadella Alatrina, comunemen. VEL VEL 59 te conosciuti sotto il nome di muraciclo- pee, fece sì, che al semplice invito de'par- rochi, la popolazione vi accorse con tale entusiasmo, che in alcun giorno oltrepas- sava leduemila persone, e tutte gratuita- mente, stimandosi sufficientemente com. pensatedal piacere di rendereunattesta- to di divozione all'ottimo loro sovrano e comune padre de'fedeli. Da sì bella e una- nime gara risultò, che nel brevissimospa . zio di solito giorni si videro atterrate e rimosse le macerie che impedivano l'ac- cesso, spianate le casupole che deturpava- no il monumento, livellato il suolo, aper- ta intorno al circuito dell'acropoli una strada lunga quasi 1000 metri e larga 5, e riattato interamente e abbellito il gran piazzale che sta sull'alto della cittadella, enel cui mezzo elevasi la cattedrale.Spun- tata finalmente l'alba aspettata de'4mag. gio, mentretutti i cuori battevano d'ar- dente ansietàdi vedere appagati i loro voti , a'quali però sembrava voler fare ostacolo il tempo, che fattosi scuro e nuvo loso minacciava d' impedire la partenza del Santo Padre da Frosinone, rasserenatosi poi improvvisamente il cielo arrise con un limpido sole a'voti de'fedeli ala- trini e delle numerose famiglie coloniche poste lungo la via d'8 miglia che mette da Frosinone ad Alatri, le quali fecero a garaara nel festeggiare il suo passaggio con archi di verdura e con vari campestri ap- parati. Sul portone della villeggiatura de' pp.scolopi,ergevasi analoga iscrizione sor. montata da una corona di quercia, d'alloro e d'olivo, da cui partivano de'festo- ni di mortella edi fiori , che si estendeva. no in bella simmetria pe' muri laterali, In altra parte i coltivatori di ortaglie avevano intrecciato un grazioso arco co' prodotti de'loro sudori, sul quale si leg- gevano due iscrizioni . Appena dall'alto della cittadella d' Alatri videsi spuntare il treno pontificio nella sottoposta cam- pagna, che il suo arrivo venne annunzia- to da replicati colpi di grossi mortari e dall'innalzamento di due stendardi dipin. ticolle armi del Papa e della città, che si videro sventolare su quell'eminente altu- ra. Quasi al principio del territorio ala- trinovenne unaschiera numerosa di con- tadini, che accesi d'entusiasmo e di divo- zione avevano voluto santificare quelgior no col ricevere la s. Eucaristia, coll'intenzione di tirare a mano la pontificia carrozza, il che pretendevano con mirabile zelo eseguire a piedi scalzi (come in tutto cosìpraticano nel portare in processione la macchina colla statua di s. Sisto 1); ma questo essendo stato impedito dal savio e ottimo vescovo mg. Giampedi , si fe . cero trovare sulla pubblica via in ernico nazionale costume, nel quale è osservabi- le quella loro antichissima specie di cal- zari detti volgarmente ciocia , ed è for- mata d'una striscia di cuoio che cuopre la sola piantadel piede, legata al di sopra per mezzo di cordicelle, e raccomandata alle gambe con molte legature, e non senza grazia, alle quali cordicelle avevano in quel giorno sostituito fettuccie di colori rosso e giallo, avendo anche surrogato al solito cappello accuminato un fazzoletto accomodato sul capo all'orientale con un ramoscello d'oliva. Così schierati sulla strada implorarono la grazia di poter ti . rare a mano la carrozza del Papa, ma egli accogliendobenignamentelalorobuona intenzione non lo permise attesa la di- stanza d'oltre 6miglia, non ostante la qua- le per altro que'buoni e fedeli sudditi eb- bero la forza e la costanza d'accompagnar il suo legno sempre correndo sino ad Alatri. Nelle vicinanze della città fu però quell'onore concesso ad un iscelto drap- pello de'più distinti cittadini,tutti unifor- memente vestiti di nero, i quali non ba. darono nè al disagio della ripida salita, nè all'angustia della porta, adornata d' un arco trionfale d'ordine corintio con sagri emblemi eseguiti dal pittore de Angelis, esulla facciata leggevasi felicitatoria iscri- zione. Non potendovi passare la carrozza, ivi si fermarono, ed essendo il Papa smon. tato con alquanta difficoltà attesa la fol 60 VEL VEL la del popolo, co'soldati e clero, fu ricevuto fra'plausi di tutta la moltitudine da r g. Giampedi alla testa di tutto il detto clero secolare e regolare, a cui eransi pure anco riuniti i certosini di s. Barto. lomeo di Trisulti, celebre monastero fondato nel1211 da Innocenzo III alle fal. de dell'Apennino 7 miglia distante d'A- latri. Fu egualmente accolto Gregorio XVI da uno stuolo di donzelle, che vesti. te di bianco e sotto forme d'angeli spar- gevano fiori , da ing. Pila delegato della provincia, e dalla magistratura, che gli rassegnò secondoil costume , per mezzo del gonfaloniere Carlo Peronti, le chiavi della città su d' un bacile sostenuto dal giovinetto Vincenzo Gaetani, il quale re- citò analogo distico. Almostrarsi in pub. blico il Sommo Pontefice facendo il suo ingresso a piedi nella porta di quella fe. delissima città, preparavansi nuove sce- ne d'entusiasino a misura che procedeva sotto il baldacchino, le cui aste erano so- stenute dal magistrato, preceduto processionalmente dal clero, fra il festivo suono delle campane e di due bande civiche nel la strada principale della città , sebbene in salita comoda e ben lastricata, ma angusta e lateralmente guarnita d'alte fab- briche de'bassi tempi e colle porte di sesto gotico, le mura annerite dall'antichità e alcune delle quali munite d' altissi . me torri, come in un palazzo sulla via del Trivio formato di tutte pietre scalpellate, spettante nel secolo XIII colla sua torre dı 6 piani all'illustre famiglia del cardi- nal Goffredo o Gottifredo d' Alatri , che dopo aver ivi fondata la bella chiesa di s. Stefano mori nel 1287 (il De Matthias af. ferma, che in tale palazzo alcuna volta ri . siedè il cardinal legato di Frosinone, edè formato di muraglia ciclopee; costruzioni somiglianti all ' egizie, secondo il Micali, come tuttii muri pelasgici o ciclopei).Tutte quelle fabbriche erano vagamente tap- pezzate d'arazzi che co'loro colori ne fa cevano risaltare l'antichità , le finestre piene d' ogni ceto di persone spargendo fiori in abbondanza sopra il Papa e suo corteggio; i quali fiori poi unendosi per aria a quelli che venivano lanciati dalle donzelle che lo precedevano , adombra- vano l'atmosfera a tal segno, che sembrava nevigasse, e venivano raccolti per di . vozione dal popolo. Per divozione pari- mente erano accesi lumi nelle botteghe, e candele avanti i ritratti di Sua Santità, ardendo incensi in apposite bragiere disposte di tratto in tratto avanti le case, imbalsamando l'aria. In breve, non eravi senso che non provasse un indicibile diletto a tante espressioni di viva gioia e di venerazione, onde Gregorio XVI e la corte ne restarono inteneriti e commossi, benchè eravamo abituati all'immense e continue voci di sincero giubilo e ad ogni sorta di dimostrazioni dell'erniche popo- lazioni, anzi edificati e ricolmi d'ammi- razione per sì universale e mirabile filia- le affetto. Non è a potersi ridire le grida di plauso che assordavano l'aria , perchè frammiste a quelle delle numerose popo. lazioni accorse da tutti i vicini paesi. Imperocchè quella folta massa di popolo in- ginocchiata al passaggiodi GregorioXVI, senza produrre il minimo disordine , e senza che vi abbisognasse un solo soldato per reprimerla, non cessava d'implorare con altissime voci la sua benedizione, ripetendo con sonore voci nel loro dialetto : Grazia, Santo Padro ! Grazia Santo Padro! Ese alcunodomandava lo . ro qual grazia chiedessero, rispondevano con santa semplicità: La grazia dell'a- nima! Le donne piangevano, e vestite tut- te veʼloro nazionali costumi bellissimi per la loro varietà in quelle felici montagne, ove ancora non penetrò la corruttrice mo. da del secolo col suo codazzo, stavano im- mobili inginocchiatesui giganteschi rude- ri delle mura ciclopee, che servivano di su - blimetrofeo alla vera Religione, motrice di tutto quell'entusiasmo delle popolazioni alla vista del Vicario di Gesù Cristo . Egli stesso non poteva trattenere le lagri. me alla imponente vista di tanta fede, e VEL VEL 61 con effusione d'animo benedicendo quel la divota moltitudine , giunse dopo una ben lunga salita al vertice del monteov'e- ra collocata l'antica cittadella d'Ala tri,sul cui maschio fu fondata l'odierna basilica cattedrale, in mezzo ad un vasto piazzale , a' di cui angoli sventolavano i memorati stendardi sull'altissimemura ciclopee che lo sostengono , ed in mezzo al quale ar- devano incenso e profumi sopra due gran. di candelabri innalzati avanti al sagro tempio, nel cui portico leggevansi espres- si gl'ingenui voti della fedelissima popo- lazione nell'iscrizione pubblicata dalla Re. lazione, ed in cui venne detto Gregorio XVI, Ecclesiae ac populorum lono di vinitus datum , Auctorem felicitatis ac laetitiae publicae. All'entrarvi venne cantato il Tu es Petrus con musica del maestro Adrizza, sotto la direzione del maestro di cappella della città Geminiani, e venne poi compartita la benedizione col Santissimo dang. " Castellani sagrista,do- po laquale fu scoperta la statua d'argen- to di Papa s. Sisto Imartire e protettore d'Alatri, posta sull'altar maggiore, ove anche si venera il suo corpo per quanto narrai nella sua biografia , riportandone lequestioni(qui aggiungerò, che nel1854, come leggesi a p. 21 e 51 del Giornale diRoma, i valentissimi fabbricatorid'organi Angelo e Nicola Morettini perugini, vi fecero un organo così eccellente e perfetto, che superata la generale espetlazio- ne, prese il primato su tutti quelli della provincia, oltre la capacità di competere con quelli della capitale. Non minore ap- plauso ebbero i lodati artisti per l'orga- no di mezzana dimensione costruito per benedizione, una delle più solenni date, a tutto il vastissimo orizzonte che godesi da quell'altura, da cui vedesi a mezzo- giorno la città di Frosinone, Arnara, Pofi, Torrice, Ripi , Vallecorsa e Castro; ad oriente Falvaterra, Bauco e Veroli; a settentrione Vico, Guarcino, Torre e Trivigliano ; ed a ponente in distanza di 3 miglia la celebre rocca di Fumone, ove morì s. Celestino Vdopo la Rinunzia al Pontificato,nel quale articolo riparlai del luogo. Quell' ampio e pittoresco spetta- colo, reso ancora più magico e imponen. tedal suono di tutte le campane della cit. tà, dal rimbombo de'mortari, da'concer- ti delle bande, dalla serenità dell'aria, e più di tutto da'reiterati cordialissimi applausi della moltitudine, produsse tale u- na sensazione ne'circostanti e nelbel cuore di Gregorio XVI, che pel suo comples . so si può provare non descrivere. Dalla loggia il Papa, tra il tumulto degli affetti da cui era penetrato, passò nel contiguo episcopio, che per cura di mg. vescovo ed a carico del comune era stato convenientemente adornato, ed ivi sieduto in tronobenignamente ammise al bacio del piede i due cleri, la magistratura, isigno- ri della città che conta molte distinte famiglie, etutti quelli ch'ebbero l'onore di tirare la carrozza,i quali riceverono ognunoin dono una corona con medaglia d'ar- gento benedette dal Papa. Intanto la carrozza pontificia rimasta fuori della città, era stata trascinata per divozione dal po. polo dentro le vie d'Alatri, dopo demo- lito un pezzo dell'arco triqufale di legno che ne impediva l'ingresso, e condotta a manofino all'alto del monte presso la catla chiesa degli scolopi, riuscito anch'es- tedrale,affinchè ognuno potesse bene con- so di felicissimo effetto). Salendo quindi il Papa alla maestosa loggia che sorge sulla fronte della cattedrale , di là Egli non solamente benedisse l' affollatissima moltitudine, che in numero di 15,000 e più persone tutta ingombrava la vasta piazza ed ambo le vie che vi conducono, ma ancora estese questa sua apostolica templarla, onde appagarne la pia curio . sità. Si compiacque quindi il Santo Padre di gradire una copiosa raccolta di vedute acquarellate colle rispettive piante esprimenti i piùbelli punti delle stupen- demura della cittadella e del recintodella città d'Alatri, tutte di costruzione così detta ciclopea, fatte eseguire dal valente 62 VEL VEL architetto e pittore Antonio Moretti ro. mano, ed illustrate dal rev. p. Luigi Revelli scolopo e professore di filosofia nel collegio d'Alatri . Il Papa dopo averlecia. scuna esaminate attentamente, se ne congratulò coll'artista e dichiarò il suo gra- dimento all'encomiato goufaloniere Pe- ronti, che in nome della città le avea of ferte , il quale meritò poi con onorevole breve de' 16 dello stesso mese, d' essere creato cavaliere dello speron d'oro. Es- sendosi poi compiaciuto il Papa di passare nell'attigua sala per gustare il sontuo. so rinfresco preparato, si assise in posto più elevato e sotto baldacchino a capo di nobile mensa , alla quale ammise oltre i principali di sua corte e della nobile co- mitiva che l'accompagnava, distinguendo il vescovo diocesano e quello di Veroli mg. " Cipriani, mg." Pila delegato, il gon- faloniere, il rev. p. Rosani generaledegli scolopi, ora vescovo d'Eritrea e vicariodel capitolo Vaticano, e FilippoJacovacciche faceva le veci del governatore infermo. Fu allora che i canonici della basilica cattedrale Nicola Trulli e Agostino Gaporilli sullodato, presentarono al Papa un' ele- gante raccolta di poesie italiane elatine daessi composte, inserite poi nella Rela- zione. Uscendo il Papa dall'episcopio, si trattenne ad osservare nel suo atrio l'esposizione delle carte damascate da apparato ad uso di Francia colorite e vellu- tate, la cui fabbrica da pochi anni intro- dotta in Alatri dal defunto Pietro Molella, si proseguiva per cura del nominato Jacovacci, che ne riportò benigne parole di lode e d'incoraggimento, e contribuiva a farvi fiorire il commercio non meno di quella del lanificio pelquale Alatri ètan. to rinomata. Appena il Papa ricomparve sulla gran piazza si rinnovarono con mag. gior fervore i segni del comun giubilo, che ne accompagnarono incessantemente il cammino diretto a visitare le parti più rilevanti dell'antico monumento, sudue lati del quale leggevansi due iscrizioni composte come l'altredall'aurea eloquen, za del lodato p. Rosani, a cui pur si deve la pubblicazione d'una veduta del medesimo colla rispettiva pianta della citta- della, parte del lato che guarda mezzogiorno, incisa e riportata a p. 97 del t. 10dell'Album di Roma, e corredata dell'analoga elegantissima relazione (fu pub- blicata in Roma separatamente con que- sto titolo : Relazione della faustissima venuta in Alatri di Sua Santità PP. Gregorio XVI felicemente regnante il dì 4 maggio 1843) della venuta di Gregorio XVI in Alatri , insieme a tutte le iscrizioni , che in gran parte servì al prin- cipe Massimo alla compilazione del suo bel racconto. In uuadelle due ultime iscrizioni egregiamente si fece allusione alle mura ciclopee, che al pari della fedeltà de' loro abitanti ponno dirsi sfidare l'eterni- tà, poichè dopo piùdi 3000 anni che sus- sistono, non portano alcun'impronta di vecchiezza, ma per la giudiziosa conca- tenazione degli enormi poligoni che le compongono (leggo nella Breve narra- zione di G.G. D. R. riguardante le mura Ciclopee, Pisa 1827. " Poni attorno ad esse de'forti arieti, se i colpi di questi battono su pietre poste a linea , risente l'impressione del colpotutta la linea,e for- masi quello sconcatenamento,che poi pro- duce la distruzione del muro assalito. Or fatto, che i colpi colgano sopra questi irregolari poligoni, la piaga del colpo non si diffonde, perchè i risalti superiori e in- feriori de'massi non risentono di quel colpo, e mentre la pietra è battuta al di so- pra eal di sotto, non soffrono l'altre par- ti il colpodella pietra, che ferisce un pun- to solo. Non può seguire lo stesso nella costruzione regolare, perchè la percussio- ne si diffonde per tutta la linea, e tutta la scollega "), e per la militare architet- tura superiori in bellezza a quante altre mura di quel genere si conoscono , mostrano l'elevatezza dell' umano ingegno, che in un'epoca sì remota qual è quella de'pelasgi, a cui se ne attribuisce la fon. dazione,anteriormentealla guerra di Tro VEL VEL 63 ia,seppe muovere e geometricamentecol. locare unsì gran numerodi smisurati ma- cigni con una facilità e perfezione , che metterebbe pensiero a'più arditi ingegni del nostro secolo tanto perfezionato ne' meccanismi e che sormonta ogni difficol tà con eseguire le operazioni più ardue. Ma ciò che attrasse l'attenzione di Gregorio XVI amatore della veneranda an. tichità, nel giro che ne fece, si fu la por. ta maggiore della cittadella ove passònel l'uscire dall'episcopio, e il di cui architra- ve viene costituito da un masso solo lungo 27 palmi e largo 8 e un'oucia; la por- ta minore, che alcuni vogliono destinata a sortite militari, la cui volta e scala, com. posta di massi che si sormontano l'un l'altro, non ha per quanto si conosca al tra simile, tranne quella dell'ingresso al la piramide di Memfi riportata da Nor. den ne'suoi Viaggiin Egitto; e l'angolo principale formato da'due grandi mura- glioni orientale e australe, alti palwi 22, ecomposto di soli 15 massi , concatenati senza cemento comeil resto delle mura. Per la celebrità di siffatte gigantesche co- struzioni, rammentando la già celebrata opera della Dionigi, che ne pubblicò idi. segni , mi si condoni che io riporti qui un relativo cenno tratto da altra donna illu- stre che le studio, Marianna Starke, Travels in Europe, Paris 1836, p. 402. La città di Alatri , posta sopra una rupe e- minente, circondata da mura gigantesche ed apparentemente più antiche delle mu. ra dell'altre città di quella provincia, ha un giusto titolo al nome che porta, cioè difortezza Saturnina. Plauto ne fa menzione nella commedia de'detenuti, ossia carcerati, sotto la forma greca Alatrion. In Strabone è scritta Aletrion. Cicero. ne la chiama municipio , e Frontino la descrive come una colonia. La sua Acro- poli, cioè cima e sommità, corona l'alta montagna, sul pendio della quale sta que- sta città , circondata dagli avanzi delle mura dell'estensione di due miglia, e co- struite da ammassi di pietrecalcareesommamente grosse, ben compatte dal loro semplice immenso peso , ed in forma o- blonga poligonare. Sopra 3di queste pie- tre sono scolpiti rozzamente 3 bassirilie- vi; unorappresenta un putto con un vaso sulla sua testa, un altro probabilmente fu scolpito per personificare la protettri- ce divinità di Alatri , ed il 3.º che fa parte del muro pelasgico nella porta Bello- na , ora porta s. Pietro (il disegno della quale pubblicò l'Album di Roma, t. 17, p. 257, con erudito articolo del conven- tuale p. F. Lombardi. Egli narra, secondo gli scrittori delle cose d' Alatri , che venuto l'Apostolo delle genti a diffondere la luce del Vangelo in questa città, fossero i primi a seguirlo gli abitanti della parte meridionale detta Le Piaggic, mentre quelli della settentrionale detta Civita vetere durarono nell'idolatria mol- tianni, finchè i primi non gl'indussero ad abbracciare il cristianesimo, e perciò con- segnarono ad essi i loro idoli per essere atterrati e infranti. Questo pare ch'abbiadato origine all'usanza,per la qualegli 11 capopopoli eletti daʼrioni della cittàa signo- ridellafesta di s. Sisto I , nella sua vigilia gli abitanti delle piaggie unitisi co' con. signori di Civita vetere scagliavano una grandine di ciottoli e di figuline contro l'informe e ricordato bassorilievo esistente al fianco sinistro della porta s. Pietro, e chiamato dal volgo Marzo. Dopo poi i primi vesperi, mentre il vescovo nella cat- tedrale era ancora in trono, dando egli co' piedi il segnale con alcune movenze, i detti signori assistenti facevano in cer- chio per unquarto d'oro una danza sagrofestiva, dispensando ciambelle alla folla. Crede il p. Lombardi che la danza ab- bia avuto origine nelt 132 per la traslazione in Alatri delle reliquie di s. Sisto 1, intorno alle quali il popolo tripudiò di santa letizia per averlo liberato dalla pe- ste che l' affliggeva , e prorompendo in quelle dimostrazioni festive. Nel pontifi. catodi Benedetto XIV e nel vescovato di mg. Savaceri, divenuto il ballo indecen1 64 VEL VEL te a luogo sagro, fu trasportatonella pro- pinqua piazza, e ivi durò sino al 1846, con assumere il municipio tutto il carico del- la pompa festiva. Di simili sagre danze parlai altrove, come nel vol. LXXIII, p. 172 , e nel vol. XLIX, p. 249, per quel. la che avea luogo in Osimo per la festa popolare del Carro di s. Vittore), merita particolare notizia, perchè è formato in una di quelle gigantesche pietre che compongono il muro, ed evidentemente coevo al medesimo. Sulla lunga salita alla città si presenta porta s. Pietro, ed a questa porta i viaggiatori ordinariamente scendono dalle carrozze affine di camminare su alla sommità, non essendo ivi strada carrozzabile. La torre sulla sinistra di detta porta ha il marchio o segno del l'età oscure, ma la suddetta porta e le altre porte della città sono antiche. La sommità sembra essere stata di forma quadrilatera. Fu circondata da doppie mura, le quali calcolate dalla loro colos. sale grandezza e solidità danno a sospet- tare del tempo della loro costruzione; e sebbene varie circostanze concorrano ad indicare che fossero erette da' tirreni pe. lasgici prima della guerra Troiana , ciò non ostante un angolo dell'esterno muro alto 74 palmi rimane intero ed ancora intatto da lungo lasso di secoli. Questo muro angolare è composto di 40 pietre soltanto, e non può essere contemplato senz'ammirazione e sorpresa, siccomeim- possibile a concepire come queste pietre fossero state innalzate alla loro presente posizione ed unite così assieme senza ce- mento , e con una graziosità affatto im- pareggiabile. Le suddette mura si dice che rassomiglino a quelle di Tirri nel Pe- loponneso: desse presentano una super- ficie liscia formata da irregolari pietrepo- ligone. Il principale ingresso alla cittadel- la è ammirabile in punto di fortezza, ed è simile nella costruzione alle porte delle piramidi a Memfi. Gli architravi, che so- no 3, giacciono piani sulla vasta estensio- ne delle murada formare un copertocorridoio, ed ogni architrave è alto 22 pal- mi. Ivi evidentemente si osserva che vi furonodue porte, una interna ed esterna l'altra, ed il corridore esteso tra loro. La presente strada all'Acropoli, sommità, è opposta all'antico ingresso, e sembra di essere stata fatta daʼmoderni alatrini per facilitare la loro comunicazione col vesco. vato, il quale è fabbricato sulla parte del- le mura interiori della fortezza. Un cor- ridoio dell'esteriori mura situato sulla destra della moderna strada contiene un passaggio costruito come il principaleingresso già descritto, il quale porta in un passaggio sotterraneo dell'altezza di 6 piedi con una bellissima circolare volta; questo passaggio penetra al centro della fortez- za , e dopo aver esaminato il detto passaggio, all'esterno del quale trovansi gli avanzi di due bassirilievi , i viaggiatori passano da una piccola moderna porta che conduce ad un giardino, dove il mu- ro angolare, degno di particolare notizia , puòessere veduto tutto interamente. La- sciando il giardino suddetto, i viaggiatori dovranno salire alla piazza, dove il vesco- vato e la cattedrale è stata eretta; la quale piazza spiega il principale ingresso al- l' Acropoli, sommità. L'eminenza mon. tuosa sulla quale trovasi posta questa fortezza è piena di vasti sotterranei passag. gi , oltre i già descritti , de' quali alcuni servirono di acquedotti, mentre altri fa- cilitavano l'ingresso del necessario per la guarnigione. Le volte di questi passaggi sono semicircolari, ed in alcuni di essi (se- condo l'informazioni avute e l'indagini fatte) possono trovarsi le vestigia de'pa- vimenti di musaico, sebbene è difficile di esplorare queste sotteranee strade, sicco- me non sono esenti da aria mefitica e no . civa". Segue la descrizione in succinto d'A- latri moderna. GregorioXVI non sazian- dosi di ammirare questi prodigi dell'ar- te antica, e di lodare lo zelo della magi- stratura d' Alatri, che aveva saputo così bene rendere il pristino splendore a un sì rispettabile monumento, unico nel suo VEL VEL 65 genere, il Santo Padre avea quasi com- piuto il suo giro , quando alla richiesta fattagli dallo stesso magistrato, volendo secondare il pubblico desiderio, erende- re eterna la memoria disua venuta in Alatri , graziosamente permise che la nuo- va strada, quasi sorta per incanto d'intorno alle mura dell' Acropoli, portasse d'allora in poi il nome di Gregoriana, la quale concessione venne accolta con cocon ragguardevole cupola , vi ordinò le scuole e vi aprì il convitto con tale ripu- tazione, chedalla provincia e da altri luo- ghi dello stato, come dal regno di Napo- li , vi concorse sempre buon numero di distinti giovani ad attingervi l'istruzione letteraria, morale e civile. Nel 1824 con piano fatto da mg. Benvenuti, poi car- dinale, delegato straordinario della pro- vincia, il cui nome sarà in eternabenedir mune applauso, e sull'istante pubblicazione presso gli ernici, piano che fu san- ta con l'iscrizione aflissa alle mura stesse. Quindi il Papa passò nel monastero della ss. Annunziata delle benedettine, fonda- to nel 1561 damg. Camillo Perusco ro- mano vescovo d'Alatri, che vi fece veni- re per istitutrici 4 monache da Guarci- no; edifizio assai vasto e di elegante strut tura mediante aggiunte fattevi nelloscor. so secolo. Ivi ammise al bacio del piede le 50 religiose circa, e varie signore della città , che in sì fausta circostanza ebbero il permesso di entrarvi ; non che le monache della Carità con voti semplici sotto la regola di s. Chiara, introdotte in Alatri nel 1806 da mg. Giuseppe della Casa vescovod'Alatri, che ottenne daPio VII di potervi traslocare dal monastero d' Anticoli due religiose perchè si occu passero della fondazione, la quale ha per scopo la cristiana educazione delle fanciulle , della quale si sono rese beneme- rite. Prima d'entrare col suo seguito in dettomonastero, il Santo Padre aveva e- gualmente onorato di sua presenza il vi. cino collegio Calasanzio degli scolopi , il quale riconosce per fondatrice la nobile Innocenza Gentili vedova Conti, che con suo testamento del1. novembre172 Listi- tuì eredi universali de' suoi beni i detti padri, colla condizione che vi tenessero scuola e convitto. Il p. Giuseppe Oliva, che ne fur. rettore, poi generale dell'ordine, colla sua attività accrebbe il locale, fab- bricò l'annessa chiesa in onore dello Spo- salizio di Maria Vergine, con facciata di buondisegno in pietra calcare scalpellata con maestría e nell'interno a croce greca VOL. LXXΧΙΧ. zionato da Leone XII, l'istituto religioso aumentò il collegio di due scuole, mentre la città a sue spese vi aggiunse un pro- fessore di diritto civile e canonico, oltre l'assortimento d'un gabinetto fisico, l'in grandimento delle scuole, delle camera- te edel casino di villeggiatura . Così questo ampio, comodo e salubre stabilimento viene ad apprestare un mezzo oppor- tuno d' istruzione a tutti i cittadini non meno, che alla provincia intera. Grego. rio XVI vi fu ricevuto dal generale zelantissimo dell'ordine R.mop. Rosani al la testa della religiosa famiglia edella nu. merosa scolaresca divisa in due ale, e di là consolò nuovamente di sua benedizione l'esultante popolo, onde tutta era ri. piena la sottoposta piazza dis. Maria, di figura assai quadrata e ben vasta , così denominata perchè sta avanti alla chie- sa collegiata dedicata alla B. Vergine di gotica costruzione , con atrio dinanzi , e con vaghissimo occhialone di marmo al di sopra , contigua al palazzo comunale, (questa è la chiesa di s. Maria Maggiore, di cui nel 1852 l'Album di Roma nel ta 19, p. 289 e 326, ne pubblicò il disegno, le notizie e la descrizione di L., il quale la dice dello stile e del fare bisantino e sembrare rimontare l'erezione al secolo XI; il grand' occhio finestrale della fac- ciata, arabescato de' soliti fregi tricuspi- dali e di ghiribizzi bizzarri, offrire un ca- rattere diverso dall'interno e perciò forse posteriore alquanto e d'epoca gotica, cioè quanto allo stile. La torre campanaria venne innalzata sul declinar del secolo 5 66 VEL VEL XIV, comerilevasi dall'iscrizione coll'an- no1394, in tempo di Do. Maffioli Epi. Plocen:vicari etRector. Camp , rilevando l'articolista che tal vicarioe rettore non fuconosciutonèda De Mattheis, nèda De Matthias, neʼloro esatti cataloghi. Il tem- pio racchiude, oltre altri pregi, unagem. mapreziosissima, cioè l'antichissimae mi. racolosa immagine di Nostra Donna det. ta della Libera, effigiata in affresco sul corpo d' una colonna quasi all'ingresso, ed avente in grembo il suo divin Pargo letto. Avendo Giotto, nel suo ritorno da Napoli,lavorato in molte chiese dellaCam- pagna, fa crederla opera sua. Epoi in- dubitato che la bella e divota Immagine sempre è stata largadispensatricedi favori a'suoi divoti, ond'è in gran venerazione presso puregli stranieri; la quale è inoltre sì antica, che nel 1324 Giovanni XXII daAvignone vi concesse indulgenza a'visitanti : altri Papi accordarono grazie e privilegi all'abbate e canonici della me- desima,e ne'primi del corrente secolol'ab. bate fu insignito della mantelletta nera e del titolo di dignità capitolare. Riparata più volte per la sua vetustà , nel 1851 s'incominciò a rinnovarla conservandone il tipo caratteristico, e per conservare sì interessante monumento cristiano si fe- ce un appello all'oblazioni de'fedeli. Leg- go poi nel Giornale di Romade 30 ot- tobre1856, che dopo 5 anni di restauro, la chiesa di s. Maria Maggiore d' Alatri d'antichissima gotica costruzione, erasta- tariaperta al pubblico culto. Ritenendo interamente la sua forma primiera, pre- senta ora quella magnifica eleganza pro- pria delle chiese di siffatto genere, tutta abbellita e istoriata da sagre pitture a fresco di Domenico Monacelli. A conservaremeglio la celebrata ss. Immagine, fu trasportata in apposita cappella vagamen- te ornata, siccome oggetto divotissimo di tutta la provincia. I canonici che aveano sostenuto il grave dispendio colle loro te- nui prebende, furono consolati dalPapa Pio IX col donod'un parato in terzo. Acr cademico Ernico, mi si concedino queste giuntarelle che vado facendo in onore di Alatri). Sulla facciata del collegio eravi un'iscrizione dichiarante l'immenso gia. bilo degli scolopi. Il R.mo p. Rosani, do- po avere ragguagliato Gregorio XVI di tuttociò che riguarda quel locale e l' i. struzione pubblica, gli rese grazie a nome dellacittà coll'ottava che pubblicata nella Relazione, Padre e Signor, che col tuo dolce aspetto, ec., meriterebbe scolpirsi sulla ciclopea mole. Dopo aver il Papa di nuovo percorsa, e sempre a piedi, la via principale d'Alatri, in sembianza e in at- tonontanto di principe in mezzo a'suoi fedeli sudditi, nelle cui vene ancora scor- rel'antico sanguede' valorosi ernici,quan- todi padre lieto e amorosocircondatoda' suoi cari figli, che non si saziavano di pa- lesare in tutti i modi il loro affettuoso tri . pudio, arrivato alla porta della città, ma- nifestòbenignissimamente a mg. Giam. pedi vescovo e alla magistratura (ogni membro della quale ebbe indono una medaglia d'argento) il sovrano suo cor- diale gradimento, per tutte le dimostra- zioni ricevute nelle sole 4ore del suosog- giorno in Alatri , cioè dalle13 alle 17, e lasciando un centinaio di scudi per limo- sina a'poveri (i quali hanno il monte fru- mentario, e Pio VII col breve In sum- mo Apostolatus , de 25 gennaio 1805, Bull. Rom. cont. t. 12, p. 258 : Erectio Montisfrumentarii infavorem Nosoco- miicivitatis Alatrinae) e agl'infermi, ri . salito nella carrozza, che dallo stesso ze- lodel popolo era stata ricondotta alla por- ta, parti per tornare a Frosinone, accom- pagnatoda'più fervidi voti di tutta quel. la foltissima popolazione, che in segno d'e- sultanza in quella sera, come nell'ante- cedente, accese de' grandissimi fuochi a vanti alle case, sulle vicine montagne e colline, ed illumind a disegno la cittadel. la, che fece di se bellissima mostra. Deviando circa due miglia dalla via provin- ciale dopo Alatri, il Santo Padrevolle vi- sitare la badia di Ticchiena, ricchissimo VEL VEL 67 monastero e Grangia(P.) della celebre abbazia di Trisulti (V.) de'certosini, an- nesso ad un castello che ne' tempi bassi pagava il tributo di vassallaggio agli ala- trini (infatti Clemente XIII emanò il breve Exponi Nobis, de' 22 giugno 1763 , Bull. Rom. cont. t. 2, p. 355: Approba- tioConcordiae inter monasteriums.Bar. tholomei Trisulti ordinis Carthusiensis, etcommunitatem, atquehomines civita tis Alatrii super praefixione confinium Castridirutinuncupati Tecchiena addi- etummonasterium spectantis.Ivi è ripor tato tutto l'atto della concordata contro- versia sul confine territoriale , e quanto al possesso della certosa del feudo di Tic- chiena , si dice che questo confiscato già dalla camera apostolica nel 1248 circa sotto Innocenzo IV alla comunità d'Ala tri per delitto proditorio commesso con. tro i cittadini di Ferentino, dipoi nel 1395 nel pontificato di Bonifacio IX la medesima camera lo vendè con tutte le sue ragioni e pertinenzeal monastero di Trisul. ti , certosa ch'è unita a quella di Roma); e fattavi orazione nella chiesa pubblica e nella cappella interna del monastero, ove si conserva il ss. Sagramento, ammise al baciodel piede quella religiosa famiglia, che volle trattarlo di lauto rinfresco con tutto il suo seguito, e proseguì il suoviag- gio riprendendo la strada maestra verso Frosinone, alquale articolo avendo io ri- ferito il resto, dirò solamente. Nella mattina de'5 maggio Gregorio XVI parti per Piperno(V.)per la via omonima,unadel- le 3 che si riuniscono sul ponte del Co- sa sottoFrosinone,comeanche quellad'A- Jatri e quella che conducea Romaper Fe- rentino. Trovandosi su quella linea di strada provinciale vari paesi a destra ed a sinistra della valle del Sacco , ognuno di essi procurò di fare le migliori dimostrazioni possibili di giubilo per il passag- giodi Sua Santità sul loro territorio , e in breve descrivendoli nell'articolo FRO- SINONE lo narrai, pel dettaglio più minu- topotendosupplire la bellissima Relazione di cui mi vado giovando, e vi aggiun- gerò quanto non dissi nel ricordato arti- colo per non renderlo di soverchio pro- lisso. Cominciò il 1. Ceccano (nel seguen- te anno dal Papa fatta città, la quale si onora del suo illustre concittadino mg. Giuseppe Berardi Sostituto della segre- teriadi stato e Segretario della Cifra); indi il Papa valicato sopra unbel ponte eretto da Pio VI il fiume Sacco, che in quel luogo forma una caduta veramente pittoresca, entrò nel territorio di Patri- ca, a cui appartiene il pocodistante cele. bre monte Cacume, il più alto di quella catena degli Apennini chiamati i monti Lepini, il quale alza la sua testa orgoglio- sa 1069 metri sopra il livello del mare. Seguitando il viaggio si trovò nel terri- torio di Giuliano già feudo de' Colonna, i cui abitanti vollero pure mostrare la lo- ro divozione con arco trionfale sulla pub- blica via , a'cui lati si fecero tutti trovare chiedendo al Papa con fervore la sua be nedizione, gli uomini da una parte, e le donne dall'altra, ognuna delle quali por- tava sulla testa uno schifo con piantedi busso, il che unito al nazionale loro co- stumedava loro la bella apparenza di ca- riatidi . Finalmente dopo aver percorso senza fermarsi da Frosinone in poi circa 15 miglia della via Casilina, il Santo Pa- dre giunse a Prossedi, regione de'volsci, e vi ricevè la benedizione col Santissimo. Cambiati frattanto a tutti i legni del treno i cavalli , che in quel luogo erano stati radunati dalle stazioni postali de' vicini stradali , il Papa proseguì rapidamente il viaggio verso Piperno in una delle più fer- tili e pittoresche vallate dello stato pon- tificio, fiancheggiata da montagne, esul- le di cui alte cime ergevansi tanti castelli e villaggi, che coll'aspetto di fortificazio ni richiamavano la mentea'tempi del medio evo. Fra questi distinguevansi a sini- stra i castelli di Pisterzo nella diocesi di Ferentino , edi Roccasecca (diversa da quella di Sora, di cui ragionai in quel- l'articolo) in quella di Piperno. Adestra 68 VEL VEL poi della via Casilina vedevansi altri pae- si e castelli sorgere nella gola de' monti, e rispondere co'replicati spari di morta- ri e co'festivi suoni di campane, che rallegravano tutte quelle coutrade,edaltrettanti segni di giubilo datidall'opposta ca- tena di monti , e fra'quali distinguevansi i castelli di Maenza (riporta il n.º 92 del Giornale di Roma del 1858, come il Papa Pio IX colle sue elargizioni contri- buì all' eseguite grandi riparazioni di cui abbisognava l'insigne chiesa collegiata di Maenza, e la gratitudine del popolo maentino ) e Roccagorga, già spettan- ti alla famiglia Caetani, potentissima in queste contrade; la popolazione del 2.° si fece trovare genuflessa sulla via presso l'arco che avea eretto . Altre dimostrazioni ricevè dagli abitanti di Roccagorga, i quali nel quadrivio delle strade di Fro- sinone, Piperno, Sezze e Roccagorga for- maronoun piano regolaredi circa 40 pal- mi nel luogo detto la Cona Romana, e vi eressero un obelisco a finto granito orien- tale, dipinto a geroglifici tratti da antico monumento egizio,sormontato dalle chia- vi e dal triregno, dalla cui estremitàtut- ta lamole era alta da terra palmi 53, compreso il piedistallo d'ordine dorico a fin. to marmo di Carrara, sui di cui specchi, circondati da 4 statue esprimenti le Vir- tù cardinali parimente a finto marmo chiaroscurate di grandezza sopra al na- turale colle loro basi d'ordine toscano,leg. gevansi 5analoghe iscrizioni italiane, la- tina e greca. Fermatosi nel suo passaggio il Papa a veder l'obelisco , ne espressedal- la carrozza la sua benigna soddisfazione e lodandone l'artefice che ammise al ba- cio del piede , unitamente al clero , alla magistratura e ad altre distinte persone della terra , che fra gli applausi di tutta la popolazione gli offrirono due sonetti, anch'essi come tuttele altre poetichecom posizioni , pubblicati dall' accuratissimo principe Massimo. Continuando il viag- gio , dopo poche altre miglia Gregorio XVI giunse verso le ore14 alla città ve r scovile di Piperno, giàcelebre capitalede' volsci e municipio romano. Ad ore 18 ri . montato il Papa in carrozza fra gli ap. plausi di tutta la popolazione , e celerementescendendo da Piperno verso le Paludi Pontiue, costeggio col suo seguito il fiume Amaseno, le di cui acque scorro- no nel mezzo di folta selva presso le mu- ra merlate della celebre badia di Fossanuova (V.), della quale riparlai nel vol. LXXVII, p. 11,75e76. Dopo altre 5mi- glia il Papa entrando con tutto il suo tre- no nella via corriera delle Paludi Ponti- ne al miglio 49 dell' Appia, e passando senza cambiar cavalli avanti la posta di Ponte Maggiore, proseguì il viaggio per lacittà vescovile di Terracina, ove giun. se circa leig ore ricevuto da mg. Lolli vice-legato di Velletri ec. Nella mattina degli 8 maggio ne parti per la via Appia, trapassando la posta di Poute Maggiore e fermandosi a cambiar i cavalli a quella di Mesa. Giunto a Tor Tre Ponti, venné ossequiato dal vescovo e da'cleri di Sezze e Sermoneta, Indi proseguì il viaggio per Cisterna e per la città vescovile di Pel- letri , da dove partendone a'g maggio, trapassando per Genzano, per la Riccia eper la città vescovile d'Albano, fece il suo trionfale ingresso in Roma verso le ore 23. Così ebbe termine il viaggio di Gregorio XVI, il quale non poteva desi- derarsi migliore sì per la prospera salu- te di cui sempre godette, come per l'en- tusiasmo che risvegliò, eper la felicità che diffuse la di lui presenza nelle due avven- turate provincie di Campania e Maritti- ma, le quali per il loro inalterabile attac- camento all'altare e al trono, pontificio giammai lo dimenticheranno, avendolo pure successivamente descritto il Diario di Roma compendiosamente. Nell'articoloPro IXraccoutai,come per la nequizia d' una fazione ribelle fu co- stretto allontanarsi da Roma in forma in- cognita la notte de 24 novembre 1848, ed in compagnia del conte di Spaur ministro di Baviera, per la porta s. Giovan VEL VEL 69 ni traversando la galleria di Castel Gan. dolfo, evitando Albano, passando dietro la Riccia , per Genzano, Velletri e Ter racina, senza mai fermarsi , felicemente entrò nel regno di Napoli. Si condusse aGae. la,ove venne magnificamente ospitato con ogni venerazione per oltre 9 mesi dalla generosa liberalità del religiosissimo mo. narca delle due Sicilie Ferdinando II, non meno nella real villa di Portici pressoEr- colano per altri 8, avendo pure narrato le cose principali che fece in que'soggior ni , e le gite pe'luoghi e città circostanti, inclusivamente e sino a Benevento. Dissi come dopo la partenza del Papa da Ro. ma ivi si formò la giunta suprema di sta- to per governarlo, seguita dalla commis- sionedi governo. Promulgataa'gfebbraio 1849 la repubblica romana per tutto lo stato papale, la rivoluzione fu compiuta; però non andò guari che fu domata la ribellione negli stati pontificii perl'interven, todell'armi cattoliche francesi, napoleta- ne,austriache e spagnuole. I napoletani a' 17 giugno 1849 occuparono Frosinone, Veroli, Anagni , Ferentino e altri luoghi della provincia di Campagna. L'8 giugno le truppe spagnuole approdarono in Ter- racina, e per Sezze a' 17 luglio si recarono in Velletri con mg. GiuseppeBerardi, già vice-presidentedel tribunaleciviledi Ro. ma, quale commissariostraordinario pontificiodelle provinciedi MarittimaeCam- pagna, nella qual città fin da 4 erasi ri- tirato il preside repubblicano, subentran- do a occuparla gli spagnuoli. A' 16 lu- glio mg. Badia delegatoapostolico diFro- sinone ristabili in quella città e provincia la sovranità pontificia. Questa in tutto lo stato della s. Sede erasi successiva- mente ristorata. Dappertutto essendosi ri- stabilito l'ordine, il sommo Pontefice Pio IX si determinò a ritornare a Roma sua sede nell'aprile 1850, accompagnato a'6 dal re delle due Sicilie sino all'Epitaffio, terminedel regno edegli stati di s. Chiesa. II Papa ivi venne incontrato da mg. Bevardi commissariostraordinariodelledue r provincie di Marittima e Campagna , in- sieme alla deputazione de'consiglieri provinciali della legazione di Velletri, felici- tandolo e tributandogli l'omaggio d'in. alterabile fedeltà delle due provincie, avventurose e liete per aver la sorte d' esser le prime a riceverlo, il che meglio no. tai nel vol. LXXIV, p. 200. Ed eccomi a procedere col commend." Barluzzi nella Relazione storica del viaggio , e con quanto altro ne pubblicarono il Giorna- le diRoma, e l'Osservatore Romano ne. gli articoli divisi in 9 giornate e intitola- ti: Piaggio del Sommo PonteficedaNapoli a Roma; però tacendo quanto già pubblicai a'loro luoghi equantodovrò dire di altri in quest'articolo, comepraticai di soprapel viaggio diGregorio XVI. Ter- racinaper la 1. ebbe la consolazioned'ac- cogliere il suo sovrano e padre, e lo fe- ce con quelle solenni dimostrazioni, che celebrai nel suo articolo. Siccome erano state sciolte tutte le autorità municipali, e nominate provvisoriamente commissioni municipali con un presidente per ca- po d'ognuna, ciò avverto perdovere no. minare le une e gli altri delle comuni del le provincie di Marittima e Campagna. Tra le deputazioni ricevute dal Papa in Terracina, conviene qui ripetere la com- missione provvisoria municipale col go- vernatore della città, la deputazione del- la provincia di Frosinone condotta da mg. Badia delegato della provincia me- desima, quella del capitolo di Ferentino con mg. vescovo Tirabassi (di cui riparlai nel vol. LXXVIII, p.220 e 223),quelladel clero di Veroli col proprio mg. vescovo Venturi similmente, e molte altre d'altre parti che troppo lungo sarebbe il no- minare. L' 8 aprile Sua Santità partissi col suocorteggio da Terracina, preceduta dal principe Massimo soprintendente generale delle poste pontificie , scortata da unplutone d'ussari napoletani, ed ae- compagnata da' cardinali Asquini , Du Pont e Antonelli, non clie dal conte Lu dolf ministro plenipotenziario delre Fer r 70 VEL VEL dinando II presso la s. Sede. Terracina è lungi 63 niglia daRoma, laonde passan do il Papaper le Paludi Poutine e via Ap- pia, Velletri, Genzano, la Riccia e Albanopoteva essere in Roma nel giornostes- so. Ma benignamente volle prima di ri tornare alla sua capitale e sede, allieta- re di sua presenza anche la provincia di Campagna, e venir quindi a Velletri per altra parte rientrando nella via Appia; e ciò perchè quella provincia presa com plessivamente ne' passati sconvolgimen- ti, come sempre, erasi mostrata la più fe- dele al governo legittimo della s. Sede. Giuntoil treno vicino a Ponte Maggiore, lasciata la via Appia, prese a sinistra la provinciale, la quale entrando nella ca- tena deʼmonti Lepini, e serpeggiando per le sinuosità dell' anguste loro valli , va a terminare nell'aperta vallata di Frosino. De. Riferiscela Relazione. Altempoche quemonti erano abitati da' Volscieda. gli Equi (ne riparlai a SUBIACO) ,tanto dalla parte che guarda tramontana e a ponente l'agro Pontino ed il mare, quan- to nell'interno a levante ed a mezzogior no, ebbero la loro fama e Core, e Pome. zia o Sezia con le sue 23 città, e Segui e Piperno, co'fiumicelli Ufente edAmase- no, ricordate ne'primi secoli della storia romana , e celebrate altresì ne' versi di Virgilio, d'Orazio e di Silio Italico. Og- gi sono dello stato pontificio una delle parti meno popolate. Pur tuttavia per quelle valli e le pendici per cui passa la detta strada sono alcune città e castella: Piperno,Maenza, Sonnino, Patrica,Pros, sedi, s. Stefano, Giuliano, Morolo, Valle. corsa, Ceccano ec". Poco prima di giun- gere a Piperno è l'antica abbazia di Fos, sanuova, la cui origine risale al secolo XI, già deʼmonaci cisterciensi e ricca, la qua. le diè alla Chiesa ne'secoli XII e XIII celebri abbati, vescovi e cardinali: ora non le rimane che il nome e gli avanzi de' suoi magnifici tempio e chiostro di gusto gotico, famosa anche per la morte di s. Tommaso d'Aquino. Branando ilPa pa di visitare sì illustri memorie , ed es- sendo fuori distrada, il proprietario di esse edel latifondo Luigi Polverosi fece tro- var pronte all'uopo carrozze e carrettelle, e vi si condusse, inchinato per la via dal clero di Sonnino (terra non lontana sulla montagua), che ammise al bacio del piede. Nel ritorno onoròdi sua presenza Piperno, tra gli Evviva il Papa , Viva il Santo Padre, Santo Padre la bene- dizione. Osserva il commend." Barluzzi, che faceva parte del corteggio. E qui valga il dirlo una volta per sempre: do- vunque, sia nel regno di Napoli, sia nello stato,le grida popolaria lui dirette nou so. no state mai altre che queste, come le più dicevoli al Vicario di Gesù Cristo" . Da Piperno dopo 6 amiglia, il Papa giunse a Prossedi,situata similmentesulla via priucipale, ed attraversolla senza farvi dimo. ra, tra' più clamorosi e festevoli evviva, Dopo Prossedi non entrò in alcun altro paese. Ma al di qua e al di là di Prosse- di convenne sostare14 volte per via, poi- chè trovaronsi a vari intervalli 14 archi trionfali, eretti da altrettanti municipii; i quali comechè fuori di strada, e nonpo- tendo perciò accogliere nelle loro mura l'augusto Viaggiatore, erano discesi tutti a'confini de'territorii rispettivi sulla strada per la quale dovea passare, e vi avea- no innalzato ciascuno archi cou diverse forme, e colle iscrizioni italiane o latine, riportate con ordine progressivo al fine della Relazione. Presso i quali archi al giungere del Santo Padre , i rappresen- tanti di ciascun municipio si stavano ge- nuflessi, e intorno in tale atteggiamento ossequiosi e giulivi erano i popolani , e se- condo il costume lodevole del paese nel- le ceremonie religiose,da unapatte le don- ne e dall' altra gli uomini, tutti con ra- moscelli d'olivo in mani, e chiedenti ad alta voce la benedizione. E il Papa in tut. tele14stazioni fermaudosi, graziosamen· te la compartiva. Benchè espressamente non nominati dalla Relazione, trovo bensì nella collezione dell'iscrizioni , a secon VEL VEL 71 dadell'avvertito, quelle ancoradi Maen- za, Sonnino, Patrica, s. Stefano, Giulia- no, Morolo; le due degli uniti Vallecor- sa, s. Lorenzo e Castro; quelle di Rocca- corga , Roccasecca, Supino , Ceccano ec. Nel Giornale di Roma, tra' luoghi non ricordati espressamente dalla Relazione, si pubblicarono articoli celebranti l'av- venimento, ovvero se ne parla; cioè a p. 323 di Prossedi si dice, che nella chiesa il Papa vi ricevè la benedizione col San- tissimo. A p. 362 Roccasecca dichiarò d'a ver innalzato un sontuoso arco d'alloro e di palme, e che il Pontefice molle di piantobenedìconaffezione di cuore il cle- ro, la magistratura e la popolazione. Ap. 370 è detto che il governo di Vallecorsa, co'due comuni di s. Lorenzo e Castro, si uuirono in consorzio, e sebbene distacca- ti e segregati dalla via provinciale, al di là di Prossedi ove sbocca la strada rota- bile di s. Lorenzo nella provinciale, i 3 cleri colle loro ecclesiastiche divise furo- no presentati al Papada img.' vescovodi Ferentino, ed il ministero governativo e le 3 commissioni municipali furono pre- sentate al medesimo da mg. Badia, Ivi appositamente erasi innalzato un trofeo rappresentante la Religione,didelicato la- voro, con l'iscrizione italiana ivi riporta- ta, insieme alla latiua scolpita in warmo amemoriaeterna dell'avvenimento; eche il Papa gradite siffatte dimostrazioni, ammiseal bacio del piede i funzionari e tan. ti altri , soccorrendo la classe indigente splendidamente. Nella Relazione poi leg. go, chenell'arco erano le statue della Re- ligione e della Fortezza , nel basamento delle quali erano due epigrafi che ripro- dusse. A p. 396 del Giornale vi è l'arţi. colodi Ceprano, che si onora d'avera coucittadino mg. Giuseppede marchesi Fer- rari Tesoriere generale (V.), e ne ripar lai nel vol. LXXX, p. 199. Ivi si dice, che ne'passati sconvolgimenti e ne' giorni di confusione fu abbastanza risoluta perion- porre all'autorità e truppa de'faziosi , a- prire le porte di quel ponte, disotterrare r r r le mine,togliere le barricate, ed ogni al- tro impedimento ostile peraccogliere nel dì seguente amiche, e fra gli evviva, le truppe napoletane;il che gli riportò la sovrana approvazione esternata dall' ot- timo mg. Badia. Ne' giorni di pace con indicibile entusiasmo solennizzò il glo. rioso e felice ingresso del Papa ne' suoi dominii, con quelle pubbliche festivedi- mostrazioni ivi narrate , di che furono spettatori ed encomiatori i cardinali Mat- tei e Cagiano. Inoltre si descrivono i fe- steggiamenti di Sgurgola nel passaggio del Papa, l'arco trionfale innalzato con due iscrizioni pubblicate, non che il trono eretto pel medesimo e la benigna ac- coglienza fatta al clero, al magistrato eal popolo, presentati da mg. Badia. Per ce- lebrare l'avvenimento, i più facoltosi di- spensarono vino e pane a' poveri , i quali furono pure soccorsi dalla munificenza pontificia. Mi piace inoltre rimarcare, che la città vescovile di Veroli , situata fuori di via, in quella per andare ad Alatri, e- resse un arco trionfale con 4 iscrizioni , dichiaranti la sua esultanza e fedeltà, ed esternando il voto di potere accogliere il Pontefice fra le sue mura , felicitandolo il clero , il patriziato e il popolo. Faccio ritorno alla descrizione del viaggio. Era- no circa le 4 poineridiane , allorchè la- sciato a destra Morolo, a sinistra Ceccano, uscendoda'monti Lepini, il Santo Pa. dre col suo corteggio, sempre accompa- guato da'3 sullodati cardinali, entrò nel territorio di Frosinone, ossequiatoda una deputazione del municipio. Avvicinando- si il treno alla città, la moltitudine dal- l'altodel moute, aguisa d'anfiteatro, ov'è situataFrosinone capo della provincia (os- serva il commend." Barluzzi , che le città ecastella della medesima , conservando la situazione di loro origine antichissima, ode' primi tempi di Roma o anteriore, sono quasi tutte sui monti), cominciò ad agitare i fazzoletti, i cappelli e de' rami d'ulivo, ed a levare da tutte parti un gri- do di Viva il Santo Padre;che misto 72 VEL VEL 0 al suono delle campane e delle bande as- sordava l'aere. Al primo ingresso nella città , sotto un grande arco costruito ivi appositamente a foggia di tempio, la ma- gistratura municipale gli esibi le chiavi della città in segno di dominio, con pa- role convenienti. Il tenente colonnello Vi. glia comandanteil 6. battaglione de'cac- ciatori napoletani, in nome di tutta l'ar- mata, rappresentata dalbattaglione stes. so, diresse al Papa parole d'omaggio e di divozione. Come in Terracina la strada era abbellita da file d'arboscelli, così qui di colonne di legno in forma di candela- bri vestite di fronde di hosso e fiori, con simili festoni pendenti lateralmente era adorna la via; e le finestre lo erano da damaschi e drappi a vario colore; l'una e l' altre stipate di popolo, accorso pure in gran numero da'luoghi circostanti. I due prospetti dell' arco aveano ciascuno la loro iscrizione; narrando poi il Gior- nalediRoma del 1850 a p. 354, con ar ticolo di Frosinone nel descrivere indet taglio come festeggiò la venuta del Papa Pio IX, dice che dov'era l'arco sarà col. locata come un monumento stabile l'iscrizione allora fatta e dal medesimo pub- blicata (il monumento poi eretto è la va- sta caserma de'gendarmi, dietro il palaz- zo delegatizio, nella forma quasi come quella di Roma, collo stemma pontificio e l'iscrizione: si costruì con un fondodisponibile, e con approvazione del Pa- pa), insieme all'altra iscrizione che pu- re in esso și legge , e questa da porsi sopra l'ingresso della residenza munici- pale dal municipio, per riconoscenza al l'impegno dell'ottimo delegato mg. Ba dia nel coadiuvare gli ardenti desiderii de'frusinati presso Sua Santità, onde ot- tenere un così segnalato beneficio. Oltre l'arco eravi un obelisco eretto sulla piaz- za del palazzo apostolico , avente ezian dio la sua iscrizione. Un' altra leggevasi nella caserma de'veliti pontificii, che sta- vano di presidio in Frosinone, quelli che daFrosinone e da'paesi limitrofi ,nel temr po della ribellione fedeli al proprio so- vrano, si recarono dal Papa a Pontecorvo, a Benevento e inGaeta; e questo stesso diceva la scritta con brevi ed eleganti parole. Il battaglione napoletano avea posto a modo di trofeo le insegne di Pio IX e di Ferdinando II, con in mezzo ciascuna la propria epigrafe. E finalmente ve n' era una sulla porta del pa- lazzo apostolico, per contestare la grati- tudine de' frosinonesi verso mg. delega. to, perchè molto si adoperò in prepararlo degno del Sovrano Pontefice. Nella chie- sa principale di s. Maria Assunta il Papa vi si recò sotto baldacchino magnifico, le cui aste sostenevano i membri della com. missione municipale, accompagnato dal- l'ordinario mg. Venturizelantissimo ve- scovo di Veroli col suo clero ; il tempio era vagamente addobbato, e colle espo. ste immagini de'ss.Ormisda e Silverio Pa- pi , particolari protettori e concittadini di Frosinone. Prima di ricevere la benedizione da mg. Ricci vescovo di Segua, col ss. Sacramento esposto, dopo aver questo venerato,Pio IX con eloquente, tenera e maestosa allocuzione riepilogò in brevi parole le trascorse vicende, le calamità eccitate dal nemico dell'uman ge- nere, cessate per volere divino, esortando l'immensa popolazione a porger calde preghiere all'Altissimo pel ravvedimento de'traviati, e per la pace della Chiesa universale. Dichiara il commend." Barluz- zi. » In questi discorsi estemporanei del- l'immortale Pio IX, sia ch'Egli parli co- me Pontefice, sia come Sovrano, è stata sempre tale una facilità e dignità, congiunte a tanto di dolcezza, da disgra- darne gli oratori più rinomati". Uscen . do dalla chiesa, nel progredire al palaz. zo apostolico a piedi, andavagli innanzi un drappelletto di fanciulli vestiti al- l'angelica, ed appartenenti alle primarie famiglie, spargendo fiori sul suo passaggio, rallegratodalle voci di gioia e dal- le più animate acclamazioni dell'immenso popolo. Il Papa era accompagnato, of VEL VEL 73 tre da' 3 cardinali, anche dal cardinal Vizzardelli prefetto della congregazione degli studi, della città (tale dichiarata da Gregorio XVI) di Monte s. Giovanni, venuto nel dì innanzi da Roma per far- gli onore, avendolo preceduto nel ritorno da Portici, dove come in Gaeta avea aiu- tato il Santo Padre nelle fatiche ecclesia- stiche. Giunto nel palazzo apostolico, il Papa comparve sulla gran loggia a com- partire la pontificale benedizione, che si diffuse sui cuori tutti ardenti per spirito di religione, ed esultanti per l'augu sta presenza del Vicario di Cristo.Degnos- si quindi d'ammettere al bacio del piede il clero secolare e regolare,il corpo muni. cipale, l'autorità giudiziarie, amministra- tive e militari, varie civiche deputazioni; i più distinti frusinati , i singoli ufliziali della benemerita guarnigione napoleta na che eseguiva il servizio della piazza, ed il marchese DeCustine francese, notopel suo attaccamento a'principii d'ordine religioso e politico, e chiaro per le sue ope. re letterarie. Ammesso inoltre il consi- glioprovinciale a particolare udienza, il Papa ricevè dal medesimo in attestato di perpetua straordinaria rimembran- za e gratitudine della provincia, l ' of- ferta delle medaglie in oro, in argento e in bronzo d'apposito conio, ritraenti nel diritto la pontificia eſligie, e nel rovescio l'epigrafe: Quem- SedeRomana- Impie Exturbatum - Provincia Campaniae . Ingemebat - Foedere Catholico Redu- ctum -ExultabundaGratatur - MDCCCL. r Vieneriportata anche dal n. 82 del Gior- nale di Roma; il quale narra ancora la presentazione del consueto tributo de' pani fatta al Papa, da mg. Trucchi ve- scovo d'Anagni, con unadeputazione del capitolo. Apprendo poi dall'Osservatore Romano n. 48, che le commissioni pro- vinciali della provincia di Campagna col cardinal legato di Marittima e Campagna inviarono una lettera al presidentedella repubblica francese con tre esemplari della descritta medaglia, in oro, in argento e in bronzo. Sull'imbrunir della sera l'abitazioni tutte della città vaga- mentes'illuminarono.Gli archi di verdu- ra e di fiori delgiorno si adornarono nella sera di faci risplendenti e di variato co lore, terminati con bella piramide egizia, che dava colla sua trasparente luce risal . to all'illuminazione, resa più piacevole da duetrofei militari elevati dirimpetto al palazzo dalla truppa napoletana. Le campagne tutte erano sfolgoranti d'innu- merevoli fuochi,e le montagne checircon. dano da lungi Frosinone rassomigliava- noco' grandiosi equasi simmetrici incen. dialle maestose eruzioni de'vulcani. Finì la festa serale in unbel fuocod'artificio. Nella mattina seguente 9 aprile, il Papa Pio IX cogli encomiati cardinali Asquini, Vizzardelli e Antonelli (poichè il car. dinal Du Pont per la gotta era rimasto a Frosinone), e cogli altri del suo seguito si portò in Alatri, che sebbene vici- nissima all'infausta Vico(sic), patria di Pietro Sterbini ! fu nelle passate vicende sopra le altre città dello stato pontificio la più fedele e affezionata al Pontefice (non si vuol defraudare della stessa lode la città pur vescovile di Norcia in su gli Apennini, che può gareggiare di vanto con Alatri ; nè altre città che seguirono l'esempio d'Alatri e Norcia, nel mostrar- si avverse, quale con più, quale con me- no coraggio, all' usurpazionede' ribelli). Quivi non parlari o scritti sediziosi , non persecuzioni o ingiurie contro il clero, non unioni popolari, non voti per la co- stituente, non proclamazioni per la sedi- cenţe repubblica romana ; ma preci in- nalzate pubblicamente a Dio dopo i gior ni sanguinosi de' 15e16 novembre1848, edopo quello della partenza del sommo Pontefice da Roma; partiti da Alatri per andare a gittarsi a' suoi piedi a Gaeta fin da' primi di gennaio 1849 il vescovo mg. Giampedi e il gonfaloniere Filippo Jacovacci; conservati a' posti dov'erano gli stemini pontificii;ornato di ghirlande edi fiori il monitorio della scomunica, 74 VEL VEL a ed accesevi davanti le candelesulla pub- blica via; messa per tali fatti la città a pericolo di saccheggio due volte, la 1.ª dalle bande di Masi, la 2.ª da quelle di Garibaldi. Fu questa la condotta di A- latri nelle passate lagrimevoli vicende. Il Santo Padre volle darle per questo un argomento palese del suo sovrano gra- dimento e della sua benevolenza; recandovisi di persona, prima di tornare in Roma, sebbene Alatri sia situata buon tratto fuori di strada. » Chi può ridire la esultanza degli alatrini quando vide- ro entrare nella loro città e incedere maestoso e benigno per la via che con duce alla cattedrale l'adorato Pontefice Pio IX, per cui aveano fatto sì fervidi voti, sostenuto sì dure prove ? Le vie giuncatedi fronde e di fiori: adorne di arazzi le finestre e le pareti: di tratto in tratto archi vestiti di verdure con iscrizioni . Lo che invero, poco più, poco me. no, si era veduto anche negli altri paesi . Maquello che negli altri paesi non si era veduto, furonode'busti ingesso del Pou- teficequae là sulle finestre o sulle porte delle case coronati di fiori, contornati di lampade e di cerei ; e in alcuni luoghi al- tresì turibolid'incenso e di altri odori.Sul- le finestrepoi osulle portedialtre caseera- noiscrizioni, fattedagli abitanti di essi in lingua volgare, auzi nel vernacolo proprio di que'paesi ; quali iscrizioni era assai piacevole il leggere per la semplicità de'con. cetti, e per la spontaneitàdell'espressioni avveguachè con idiotismi e solecisimi, così naturali com'erano usciti dalla mente e dal cuore di que'buoui uomini, senz'arte, senza studio; manella loro semplicità e rozzezza più eloquenti che se fossero sta- te informate ed espolite da lima di reto- re e di grammatico. Così gli alatrini, mentreintendevano a festeggiare il ritorno dell'adorato Pontefice, eadargli novelli argomenti di loro fedele soggezione ed affetto, più e più meritavano del suo". I particolari della gita in Alatri del Papa Pio IX si ponno leggere nell'articolo ivi r scritto e pubblicato nel Giornale diRoma a p. 370, in uno alle iscrizioni fatte per la lieta circostanza. Né ricaverò uu estratto. All'entrare del territorio, i con- tadini lo festeggiarono con rani di uli- vi nelle mani e con evviva fino alla città. Nel casino di villeggiatura degli sco- lopi eravi un arco di verzura, sul quale era un'iscrizione del p. Pietro Taggiasco professore d'eloquenza di quel collegio. Aller 2 meridianegiunse Pio IX nella cit- tà, esotto magnifico arco trionfale, deco- rato con iscrizione dell' encomiato scolopo, fu ricevutodall'egregio vescovo mg. Giampedi alla testa del clero secolaree re- golare, a cui erasi unita la monastica famiglia certosina di Trisulti ; nonchè dalla commissione municipale, il di cui pre- sidente FilippoJacovacci presentò le chiavi al Santo Padre, e fu lieto d'aver con lui colloquio sull'indole de' cittadini. Al nomedi tal commissione il membro di essa can. d. Luigi Francesco Rossi recitò un'iscrizione, a cui il Papa rispose. >>Questoè il vero e più adatto elogio che si possa fare al Papa in una città religio- sa e fedele ". Disceso il Santo Padre dalla carrozza, percorse a piedi la lunga strada fino alla cattedrale, precedutoda tutto il clero processionalmente, ed ac- compagnato da' cardinali, da mg. Be- rardi commissario pontificio di Maritti- ma e Campagna, e da ing. Badia dele- gato apostolico di Frosinone. Non si può esprimerel'entusiasmo indicibiledell'im- mensa moltitudine, che dalle finestre, da' terrazzi e balconi costruiti a bella posta , e lungo le strade applaudiva al tanto so- spiratoritorno del Sovrano Pontefice, ed esprimeva còn religiosa lealtà i voti di sua felicitazione. In fronte della cattedrale eravi l'iscrizione del can. d. Paci- fico Latini professore d'eloquenzadel se. minario. Dopo il canto dell'antifona Tu esPetrus, il Papa adorò il ss. Sagramento econesso fu benedetto dal cardinal Vizzardelli ; indi orò avanti la statua d'ar- gentodel patrono s.Sisto I, scoperta do VEL VEL 75 po riposta la ss. Eucaristia. Avendo il Papa appreso dal vescovo che la catte drale non godeva la prerogativa e privi- legi di basilica, si degnò dichiararla ba- silica di quel grado ed ordine che gode la basilica di s. Maria in Trastevere in Roma (di cui era stato canonico esso ve- scovo), la quale segnalatissima grazia fu immantineute pubblicata coll' iscrizione dell'encomiato can. Rossi. Asceso il Papa sulla loggia della cattedrale, ivi comparti l'apostolica benedizione all'immensopo- polo, che ricopriva la vastissima piazza dell' Acropoli, il quale dopo quelledivine parole, reiterò gli evviva, che assor- darono l'aere. Passò quindi al contiguo episcopio, ove nella sala del trono ammi se al bacio del piede il capitolo della me- desima cattedrale, quello della collegia. ta, la commissione municipale alatrina, e quella di Guarcino concorsa anch'essa a tributare i suoi omaggi di divozione e fedeltà, e finalmente i primari cittadini , dispensando a ciascuna classe parole di benignità ; e conferì al presidente Jaco- vacci il nobile titolo di cavaliere dell'or- dine Piano di 2." classe, volendo così usare considerazione a'meriti di lui, e ri. munerare distintamente lafedele costan- za della città. Partito dall'episcopio, il Papa si fermò innanzi al collegio Calasan- zio, sulla cui facciata era altra iscrizione del p. Taggiasco, e sulla porta ammise graziosamente al bacio del piede i pp. scolopi, ed i convittori che infiammò alla virtù e allo studiodelle lettere. Indi si recò al monastero della ss. Annunziata, ri. cevendo al bacio del piede le monache, ed anche le religiose figlie della Carità ivi appositamente convenute, avendo ri colmato le figlie di s. Benedetto di spiri, tuali favori. Consolato così ogni ceto di persone, sempre applaudito, benedetto e festeggiato, il Papa lasciò Alatri di per. sona, ma vi rimase col cuore, e nell'uscir delia porta ricevè un altro attestato di gratitudine espresso dall' iscrizione det- tata da d. Carlo Ferrazzoli. Altre particolarità leriferisce l'Osservatore Roma. no nel n. 47, dicendo Alatri 6miglia da Frosinone e racchiudere una popolazio- ned'intorno a 12,000 anime, e che occupa il luogo d' un'antica piazza forte de volsci (o meglio ernici), la più importan- te fortezza di questi antichi popoli. Crede che sia stata necessariamente l'opera de' giganti per romperequelle rupi , e sovra- imporre e collegare,senza veruna specie di cemento, gli uni sugli altri quella quantità prodigiosa d'enormi massi, ed in un'epoca che non si adoperava nè la polvere per le mine, nè la dinamica dis- poneva de'mezzi che oggi sono a nostra cognizione. Loda Alatri pel suoforte con. tegno col non volere riconoscere la re- pubblica romana, esempio forse unico nella storia delle rivoluzioni moderne, mantenendo immobile sempresulla cima del campanile la bandiera papale. » Do- po molti tentativi infruttuosi di sedizio- ne e di guerra, Mazzini finì col risolvere di lasciare i cittadini d'Alatri nella loro libertà. S'intende quindi la gioia, l'entu- siasmo straordinario di que' bravi abi- tanti all'avvicinarsi del Santo Padre. II trionfo era molto minore pel SommoPon- tefice che per loro stessi ; e quindi egli è impossibile di descrivere l' aspetto della città nel momento in cui Papa Pio IX traversò a piedi le sue lunghe e anguste strade". Nel tornare a Frosinone, il Pa- pasi fermòalquantonella grangia di Tic- chiena de' certosini di Trisulti, aminet- tendo al bacio del piede i monaci . Avvi- cinandosi a Frosinone fu incontrato con nuove dimostrazioni di giubilo dalla po- polazione. Nella sera si ripetè la lumina- ria della città e della provincia, non me- nodel fuoco artificiale ; ammettendobe. niguamente il Papa al bacio del piede al- tri distinti cittadini ele signore del pae- se. La strada che mena da Frosinone a Roma è quella che viene dal regno di Napoliper Ceprano, la discorsa antica via Casilina, consolare come l'altra per Ter racina,eche va acongiungersialla Labi 76 VEL VEL arcivescovo di Filippi, segretario della s. congregazione de'vescovi e regolari), che staalquanto più remoto dalla via a'mon ti sub-Apennini, ed anch'esso con due iscrizioni, in una delle quali il popoloben a ragione vantavasi di non essersi lasciato prendere alle minacce e alle lusinghe de'ribelli. Un altro arco finalmente tro. vossi sulla via, ed era della città vescovi- le di Segni,con corrispondente iscrizione dell' Ordo et populus Signinus. Gran parte di quella popolazione unita a quella de' vicini castelli di Gavignano e di Montellanico stavano anch' essi tutt' in- torno all'arco ad aspettare il Santo Pa- dreche in passando li benedisse. Quanto ad Anagni , a p. 371 del Giornale di Roma fa pubblicato un articolo sul festeg . giamento fatto al Papa nel transitare pel suo territorio. Si dice il magnifico arco trionfale adorno di belle pitture, degli emblemi delle 4 potenze cattoliche che concorsero coll' armi alla restaurazione del dominio temporale della s. Sede, del- lo stemma della città e d' iscrizioni analoghe alla circostanza, e riferite nella Relazione in uno a quelle degli altri me- morati archi. Fu preparato ancora un e- legante e ampio padiglione con sotto un maestoso trono, nella speranza che il Santo Padre salito su di esso si degnereb. be compartire la sua benedizione. Pres- so l'arco si trovarono ad attenderlo mg. " Pietro Paolo Trucchi vescovo d'Anagni (poi a'21 dicembre 1857 traslato a Forcana presso Valmontone. Per questa fu ripreso dal Papa il viaggio, partendo la mattina de' to aprile da Frosinone. Dopo 9miglia s' incontra l'ernica Ferentino, ına a destra della via in sul colle. Però i ferentinati, invidiando agli alatrini l'onore d'accogliere, sebbene per poche ore, il Sommo Pontefice fra le loro mura, ne aveano fatto già pregare Sua Santità. Due deputazioni , l'una ecclesiastica l'altra ci- vile, stavano presso un arco trionfale ad aspettarne l'arrivo, con l'epigrafe che decorando il cornicione si legge nella Rela. zionè. In questa è pure l'iscrizione posta sulla porta d'ingresso della città, laqua. le termina colle parole: Ferentinates Pontifici et Principi - Vel maxima in- ter pericula- Constantifide addictissi- mi. Giunto il Papa e fattagli la consueta offerta delle chiavi della città, vi entrò e salito all' episcopio, ch'è nella sommità del colle sugli avanzi dell' antica rocca Ferentina, diede dall'alto del medesimo la benedizione. Impiegò quindi circa tre ore nel visitare la cattedrale e il semina rio (e secondo il Giornale di Roma, anche i due monasteri e il collegio de' ge- suiti), nell'ammettere al bacio del piede il capitolo, e le solite deputazioni e al- tri. Dopo di che il Santo Padre tra le ac- clamazioni , ripassando per l'arco, parti . Da Ferentino, proseguendo per la sot- toposta pianura verso Valmontone, si lascia addietro a sinistra il comune diSgur. gola lontano sui monti Lepini ; i cui abitanti però avevano innalzato il suddeti, succedendolo nello stesso giorno nella to arco a'confini del loro territorio pres so la via Casilina, ed erano convenuti ivi in gran numero per essere benedetti. Po. c'oltre si lascia a destra sur una delle col- line che fiancheggiano la strada Anagni, laquale costroì un arco sulla via condue langhe iscrizioni per festeggiare il pas- saggio del Papa pel suo territorio, Un al- tro arco dove si estende il proprio terri. torio, avea innalzato anche Paliano (la quale, coine dissi al suo articolo, si onora del concittading mg. Andrea Bizzarri sede anagnina mg. Clemente Pagliari dell'arcidiocesi d' Urbino e preposto di quella metropolitana : nel medesimo concistoro il predecessore vescovo di Forlì monsignor Falcinelli fu promos. so ad arcivescovo d' Atene, e indi nunzio nel Brasile), il capitolo della cattedrale, i capitoli della collegiata del. la città stessa ed'alcuni paesi della diocesi più vicini, i corpi religiosi, il seminario diocesano, tutti in abiti di chiesa ; la commissione municipale, e la popola- VEL VEL 77 zione d' ogni condizione sì d'Anagni che de' luoghi circostanti. Giunto il Sommo Pontefice, venne accolto con istrepitosis- simi applausi e tra l'alternativo suono delle bande musicali. Il Papa scesodalla carrozza e accompagnato da' cardinali Asquinie Antonellisali sul trono, dadove subito comparti-l'apostolica benedizione all' affollata moltitudine con espansione di cuore tale che commosse tutti. Mg. " vescovo e il marchese Nicola Trajetto presidente municipale, interpreti de'sen- timenti di tutta la città, umiliarono al Santo Padre gli omaggi sinceri di divo. zione e di fedeltà. Il Papa esternò la sua soddisfazione, e gli ammise al bacio del piede, in uno a'cleri secolare e regolare, alla commissione municipale, ed a molte altre persone. I cantori beneficiati della cattedrale cantarono l'antifona Tu es Petrus, le bande tornarono a suonare, e le prossime colline echeggiarono di iterati evviva. Altre dimostrazioniil popolo anagnino celebrò tornato nella città, Dipoi il sullodato anagnino d. Antonio Cipriani nel Supplemento al n. 68 del-, 'Osservatore Romanodello stesso 1850, pubblicò ad omaggio solenne della veri- tà, un erudito articolo riguardante Ana- gui, sia per rettificare alcune nozioni contro la storica verità contenute nel n. 47 del medesimo giornale, nel dar contezza delle feste e degli onori tributati da'po- poli al Papa ; sia specialmente per con- futare la supposta rivalità tra Anagni e Ferentino, provandolo colla storia de'fat- ti, non meno degli antichi tempi de' romani , che di que'del cristianesimo. Che la pretesa enorme muraglia che divide i dueterritorii, non esser altro che un ca. nale del piccolo fiume di Tufano. Quin- di enumerò le principali prerogative di Anagni, madre feconda d'illustri eroi e di 4 Papi, 28 de'quali vi ebbero un grato albergo, ed asilo contro le persecuzio- ni a Gelasio II , Adriano IV, Alessandro III e Lucio III. E che diversi Papiatte- starono le prove luminose di sincera di vozione e fedeltà date daAnagni alla s. Sede. Riprodusse per ultimo le 4 iseri- zioni del suddetto arco. Così vendicò l'o- nor patrio leso ad Anagni Caput Hernicorum. Riprendo il filo del pontificio viaggio.Nel descritto modo corsa nello spa- zio di circa 3 ore quell'ampia valle che ha i monti Lepini a sinistra e i sub- Apennini adestra, giunse dopo mezzodì a Valmontone, di che parlerò al suo paragrafo. Dissi di sopra che il Papa, dopo aver visitato la provincia di Campagna sareb- be ritornato nella Marittima rientrando nella via Appia per condursi a Velletri e indi a Roma. Da Valmontone a Velletri si va per una strada provinciale, che diramando dalla Casilina presso Valmon- tonecorre e volge a ponente,costeggiando le falde degli Algidi e dell'Artemisio da una parte, de'Lepini dall'altra, e passando sotto Montefortino, del quale poi dirò al suo paragrafo il festeggiamento tributato a Pio IX. Proseguendo il viaggio, alla pieve di Lariano il Papa fu incontrato da una deputazione della città di Velletri, e dal suo vescovo cardinal Macchi decano del sagro collegio, che fece salire nella propria carrozza, perciòdi- seendendone mg." Medici maggiordomo e mg. Borromeo maestro di camera, ed entrò in Velletri con quelle solennità che poi celebrerò, insieme al soggiorno che vi fece sino alla mattina de' 12 del medesimo aprile, in cui Pio IX, nel modo che in breve narrai in quell'articolo, per Genzano, la Riccia e Albano fece il suo desiderato, trionfale e lietissimo ingres- so in Roma. Ora passo a parlare ne'se- guenti paragrafi delle provincie e de'co- muni che compongono, la legazione di Marittima e Campagna, principalmente della delegazione apostolica di Maritti- ma o Velletri ; e pe'già descritti altrove ne indicherò dove lo sono, riferendo in alcuni nozioni che se non del tutto ap- partengono al paragrafo,riguardano ben sì l'encomiate provincie e si rannodano ad esse per la storia. 78 VEL VEL DISTRETTO DI VELLETRI. Governo di Velletri, ne la chiesa collegiata, ealcune case di civili famiglie. Tale chiesa, dedicata alla B. Vergine Assunta in cielo, è bella e di moderna architettura, rinnovata da'fon- damenti in guisa diversa dall' antica , di cui parla il Piazza e sotto l'istessa invo- cazione, con disegnodel celebre cav. Mo- relli architetto del palazzo Braschi di Roma, ma non eseguito fedelmente. Nou ostante nell'interno l'altare del ss. Sagra- mento merita osservazione pe' suoi sem. plici ma vaghi ornati e pe'marmi che lo compongono. Nella 1.ª cappella adestra si venera l' effigie del Redentore dipinta in tela dal valente Cavallucci di Sermo- neta. Dice il Bauco che questa chiesa è capitolare con arciprete, 7 canonici e 3 beneficiati, ed ha il battisterio essendo l'unica parrocchia. Inoltre vi sono altre 4chiese con 3confraternite secolarí. Vi esisteva il convento di s. Antonio abbate de'minori osservanti rifornati , espulsi nell' invasione francese, nè più ripristi- nati. Trovo nel Piazza, che la chiesa e il convento furono eretti dal cardinal Bonifacio Gaetani o Caetani, nel 1572, con facoltà di Gregorio XIII, il quale nel giorno del santo concesse indulgenza ple- naria. Vi esistono, l'ospedale per gl' in- fermi, la casa delle maestre pie Venerine per l'istruzione delle fanciulle, ela pubCisterna. Comune della diocesi di Velletri, di cui ragionai al suo articolo, onde non mi resta che aggiungere al- cun altro cenno che ricavo da' molti che ne scrissero. Edistante 33 miglia da Ro. ma e 8 da Velletri, con territorio in pia- no ecolle, con molti fabbricati, marche- sato della nobilissima famiglia Caetani (P.), egià suo feudo. Questa terra è sul- l'ultime pendici deʼmonti Veliterni, sul la sponda destra del fiume denominato Antico, perchè è un canale artificiale in gran parte, tendente a raccogliere leac- que che scendonoda Giuliano e daTor- recchia, e darle attraverso le PaludiPontine al mare. Essa è l'ultima terra da questa parte che sia entrata nella map- pa. Narra Marocco, che da Velletri a Cisterna alcuni tratti di strada sono fiancheggiati da lunghe efolte macchie di roveri annose e di elci, che difficilmen- te piegano i furiosi venti, appellandosi volgarmente quelle foreste la macchia di Cisterna, ch'è vastissima ; ed aggiun. ge essere non solo ricovero di cinghiali, di capri e di lupi, ma untempo rifugio di crudeli assassini , prima che fosse in gran parte svelta o diradata per la sicu- rezza pubblica presso la strada. Del più antico taglio che si dovea fare di sua sel - blica scuola per ammaestrare, i giova- va, parlerò nel paragrafo di Sermoneta. Antichi ruderi di una torre o forte alde stro lato della via nominata le Castella risvegliano l'idea del primiero loro esse- re, e sono il domicilio del gufo lamen- tevole, dell' upupa melanconica, e della nottola o vipistrello che di giorno sta nascosto.Alevante del borgo è il palazzo ducale, clie costituisce l'ingresso nella terra mediante un grande arco che dicesi laporta, sebbene vi si entri da ogni par- te non avendo muracastellane, il disegno del quale fabbricato è decoroso e alquan- to vasto, nè manca di quella solidità che a edificio signorile conviene. Questo è l'unico fabbricato ragguardevole, trannetti. Il popolo venera per principale protettore s.Roccoconfessore. Dinanzi alla collegiata è un vasto piazzale abbellito da un granaio fabbricato da'fonda- mentinel1772 daFrancesco Caetani duca di Sermoneta, come si legge nell' iscrizione. Cisterna era più estesa e popo- lata prima che fosse bruciata e saccheg- giata dallo scismatico Lodovico V ilBa- varo. Il Nibby parlando di questa terra crede, che finchè fu in qualche modo praticabile la viaAppia, abbia molto sof- ferto, trovandosi sulla gran strada in luo- gopocodifendibile,esposta a tutte le scor- rerie, che narrai nel suo articolo; ma do- po, fino cioè al riattivamento di quella VEL VEL 79 nel secolo passato, rimase troppo fuor di mano e quasi dimenticata, come dall'al- tro canto dopo il diseccamento delle Paludi Pontine e il riaprimento dell'Ap- pia, questa terra ha molto migliorato nell'aria, la popolazione si è accresciuta, ed i fabbricati sono stati anch'essi amplia- ti e abbelliti. Dichiara il Marocco, che l'origine del nome di Cisterna proviene da alcune cisterne esistenti, ovvero dal la formatotaledel paese piuttostoesisten. te inbasso; e che varie sono le cisterne d'acque piovane peruso della popolazione, la 1.ª essendo innanzi al palazzo ba- ronale, ottimamente costruita e profonda 160 palmi, la 2. dentro lo stesso palaz- zo e della medesima profondità, la 3. fuori la porta detta Agrippara. Alcuni dissero questo luogo Cisterna Neronis, elo ripetei al suo articolo, ed il Marocco riflettendo alla derivazione di porta A- grippara non è lontano da credere che tragga origine tal nomedaalcuna memo- riadi Agrippina madre dell'imperatore Nerone. Dice inoltre, opinare molti eruditi, che da due grandi cisterne antiche il suo nome derivasse, e che fossero fatte per ordine di Nerone, onde provvedere Anzio d'acque salubri mediante acque dotti, de'quali non mancò chi asserì d'a- verne riconosciuti diversi avanzi. Nel più volte ricordato articolo CISTERNA dissi col Nibby e altri , ch'essa nonoccupa il sito dell' antica sede vescovile di Tre Ta. berne, Civitas Trium Tabernarum , Tres Tabernae, città de' volsci, la qua. le piuttosto surse nel suddetto tenimen to delle Castella, nel luogo chiamato Civitona, sulla sponda destra della via Appia, sito abbandonato e ove si vede un edificio semidiruto de' tempi bassi costrutto sopra avanzi d'una fabbrica d'o- pera incerta, a'quali si dà il detto nome, circa 22 miglia lungida Roma, ed appartengono alla stazione di Tres Tabernae, come vuole Nibby, esistendo un mi. glio distante gli avanzi d'una conserva antica e d'un acquedotto, che vi portava l'acqua da' colli veliterni. Con l'U- ghelli, Italia sacra, t. 10, p. 177, ripor- taii7suoi vescovi, il quale però avverte, che la città di Tre Taberne non èda confondersi con Tabernae seu Palaco. poli, vel Treschines in Magna Grae- cia. II 1.° vescovo che si conosca è del 313: a' tempi dis. Gregorio I v'era pu- re unvescovo, di cui s'ignora il nome, o meglio era vacante, il quale Papa veden- do ridotta a nulla e devastata la città delle Tre Taberne da' longobardi, con lettera riprodotta da Ughelli e indiriz- zata a Johannis Episcopo di Velletri, al- la sua ne unìcanonicamente la cattedra vescovile. Questa chiesa rimase per vari anni unita alla Veliterna, ma poscia ri- fabbricata o restaurata e ripopolata la città di Tre Taberne, nuovamente fu separata da Velletri ed ebbe i propri ve. scovi, tra' quali quello del 761 0 762, l'ultimo conosciuto è dell' 868 0 869, ed in seguito non si hanno più memorie de' suoi pastori e della sede vescovile, probabilmente per la totale distruzione della città. Quindi in conseguenza del precedente statuitoda s. Gregorio 1, pas. sò di poi la diocesi di Tre Taberne sotto la giurisdizione del vescovo di Velletri, parlando del quale riferirò l'opinioni del can. Bauco su Tre Taverne. Tutti gli storici poi convengonoche distrutta Tre Taverne, Cisterna crescesse d'abitato, di territorio e di popolazione, e forse allo- ra nepresela denominazione latina Tres Tabernae. Altri poi credono, essere Ci- sterna succeduta ad Ulubra, e che dopo la sua distruzione e di quella di Tre Ta- berne, quivi si rannodò la popolazione eformò l'odierno paese. Di Ulubra trat- ta il Nicolai , De' bonificamenti delle Terre Pontine a p. 38, la di cui posi- zione è contrastata, forseall'ingresso del- le Paludi Pontine, o nonlontana da Vel- letri, e perciò forse comprese la piccola villa ovefu allevato Augusto oriundo di Velletri e pato inRoma. 11 Marocco la crede presso il castello di Giuliano, co 80 VEL VEL me dirò in quel paragrafo. Non ebbe rinomanza per la sua aria pessima e quan- tità delle rane della palude, non però Pontina, perchè questa maigiunse a Vel- letri, qualora si voglia supporla presso tal città. La villa della famiglia d'Augu sto era come un magazzino ove si depositavano le grascie necessarie per la medesima. Diverse opinioni riferirò ragio- nando di Velletri e d'Augusto ; e quanto a'sognati ranocchi, oltre le paludi, pon- no stare anche in peschiere artefatte o in piccole fosse d'acque stagnanti, come ve diamo in tanti luoghi. La celebre sta- zione di Tre Taverne sulla via Appia eposcia città vescovile, di cui tanto si questionò dagli eruditi per la confusio- ne che si osserva dal Nibby negli itinera ri antichi circa la sua distanza da Roma, giacchè il nome fu comune a varie slazioni sulle vie antiche, come quella pres- so Laus Pompeja nella Gallia Cisalpi- na, e quella presso Interamna sulla Fla- minia, derivando da tre osterięerette per comodo de' viandanti, particolarmente nella unione di più strade (del vocabolo Taberna riparlai nel vol. LXXXIV, p. 194) come appunto accadeva nella stazione in questione, dove a destra dira- mava la strada ad Anzio, ed a sinistra un'altra quasi continuazione della precedente portava a Velitrae. Altri luoghi della stessa denominazione si ponno ve- dere nel Ricchi, Reggia de' Volsci. Ta le unione di vie mentre rendeva necessari i luoghi di ricovero e gli alberghi , andava per la frequenza de' viandanti raccogliendo a poco a poco gente nello stesso sito, onde da semplice stazione in sensibilmente diveniva borgata, e delle volte ancora città. E molte terre moder ne potrebbero addursi in esempio come sorte dalla medesima origine. Le prime memorie riferite da Nibby della stazione di Tres Tabernae sull' Appia rimontanoal declinare del secolo VII di Roma, poichè Cicerone la ricorda l'anno 692, nella lettera che scrisse ad Attico a' 27 gennaio. Di nuovo la nomina in quella scritta due anni dopo a' 9 aprile del 694 di Roma, in cui pare decisivo per deter- minare il sito di Tres Tabernae, mo- strando che una strada diretta da An. zio raggiungeva l' Appia presso quella stazione: aggiungasi a questo i memorati ruderi esistenti, l'acquedotto, il nome volgare di Civitona, e la questione è decisa. Memorabile però sopra tutti gli altri fatti riguardanti Tre Taberne, è quello ricordato dagli Atti Apostolici, c. 28, § 15, che avendo i fedeli di Roma udito l'arrivo dell'apostolos. Paolo a Pozzuoli, ed essendosi posto in viaggio verso Roma, per essere giudicato dall'imperatore a cui erasi appellato, gli an- darono incontro fino al Foro Appio, di qui riparlai ne'vol. LV, p. 65, LXXIV, p. 203, ed a Tres Tabernae : e Paolo vedendoli, dopo avere reso grazie a Dio, ne prese fiducia. Questo avvenimento è di grave importanza, come quello che si rannoda alla venuta dell'Apostolo delle genti in Roma nell'anno 59 di nostra era, a promulgarvi con s. Pietro la dot. trina di Gesù Cristo. Un altro grande avvenimento è pur quello ivi avvenuto l'anno 307 di detta era. Dopo che Mas- senzio ebbe assunto la porpora imperia- le nel 306, Galerio, che mai volle riconoscere, affidò a Severo cesare la guerra contro di lui, e questi vinto più dall'oro che dal valore del suo rivale, tradito da' suoi dovè ritirarsi in Ravenna, dove assediato da Massimiano Ercole padre di Massenzio, nè potendo facilmente esse- re forzato alla resa, fu persuaso da quel vecchio astuto a portarsi in Roma, as- sicurato co' più forti giuramenti. Sem- bra ch'egli per maggior sicurezza seguisse la via di mare, fino a Brindisi : quindi per l'Appia, giunto a Tres Tabernae cadde in un'imboscata tesagli da Massenzio, e fu strangolato da Eraclio, co- me dice il Theuli. Lo storico greco Zo- suno chiama il luogo, le Tre Osterie, Tres Tabernae, e lo designa come uu VEL VEL 81 Appia i fedeli eressero diverse chiese a' ss. Apostoli e massime a' ss. Pietro e Pao- lo, che per tale strada recaronsi a Roma a piantarvi la fede. Presso Tre Taberne fu già la sontuosa chiesa di s. Pietro in Selce, la quale poi restaurò la pia (li- beralità di Papa Adriano I, e da essa non era moltolontana la chiesa di s. Tommaso. Aggiunge che la vastità del campo di Cisterna era tanta anticamente, unito alla giurisdizione di Pomezia, che verso il mare includeva ancora la penisola di Circeio; e nel di cui tenimento si rinvennero sparse le antiche iscrizioni che riprodusse,tutte illustranti le nie- morie volsche e Sessa Pomezia. Ora fa d'uopo di chiarire un punto interessan- te di storia ecclesiastica, riguardante Cisterna . Ivi dissi col Baronio, col Ricchi, colNibby e altri, che nel 1 159 eletto Ales. sandro III in Roma a'7 settembre, donde fu costretto partire, in Cisterna prese l'in- segne papali, effettuandosi a' 20 del me- desimo mese la Consagrazione e Coronazione (V.) nella vicina Ninfa, a motivo che nell'elezione stessa insorse con- tro di lui l'antipapa Vittore IV detto V, non potendosi eseguire in Roma per la prevalenza degli scismatici ; indi recan- dosi a Terracina ( V.), per non trovar- si sicuro neppure in Ninfa. L. Agnello Anastasio nell' Istoria degli Antipapi t. 2, p. 57 e 59, parlando di Vittore V narra. Morto Adriano IV in Anagni il 1.° settembre, a' 7 i cardinali in Roma concordemente elessero Alessandro III, che fu costretto co' suoi elettori rinser- rarsi nella basilica Vaticana dalla po- tente fazione di Vittore V, finchè il povillaggio. L'autore della Miscella narrando lo stesso fatto, dice che dopo essere stato spento Severo ad Tres Taber- nas, il suo corpo venne sepolto nel mo numento di Gallieno 9 miglia distante da Roma sull'Appia. Pertanto circa i tempi di Costantino I questa stazione era un villaggio. Al progresso della religione cristiana si deve il passaggio dallo stato di villaggio a quellodi città, per la memoria insigne della presenza di s. Paoloche ne avea santificato il luogo, allorquando Costantino I divenuto cristiano, ridonò la pace alla Chiesa, ed accordò a' cristiani il libero esercizio di loro religione, onde subito vi fu eretta le sede vescovile di Tre Taberne, al qual arti- colo di rinvio in questo mi proposi di riparlarne. II Ricchi nel suo Teatro, è uno di quelli che crede succeduta Cister. na a Tre Taberne, la chiama splendida terra e nobile diporto di grandi; e ritie. ne ancora che quivi s. Paolo fu incon- trato dalla gran turba de' romani (anche non cristiani, come vuole il Piazza), che anelando la di lui venuta pel grido di sua dottrina e santità, l'accompagnarono in Roma in guisa di triofante, piuttosto che di prigioniere. Dice essere fa- ma, ch'egli stasse racchiuso ne' latiboli di quella torre, che si vede alzata in Ci- sterna in argomento di sue glorie sul mezzo della nobile residenza de' princi- pi Caetani, il che rende ancor più cele- bre il luogo. Di Cisterna il Ricchi ne tratta ancora nella Reggia de' Volsci, ricordando che in compagnia di s. Pao- lo era l'evangelista s. Luca descrittore del suo pellegrinaggio, e dell'incontro giu- bilante e divoto ch'ebbero a Tre Taber- polo mal soffrendo tanta prepotenza, u- ne, ed i più fervorosi eransi portati fino a Foro Appio. Anch'esso fu nella detta opera dello stesso sentimento e dell'opi- nione che Cisterna fu fabbricata sopra lacittà vescoviledi Tre Taberne, e ripor- ta gli autori che ciò sostennero, l'identi- tà cioè di Cisterna con Tre Taberne. Os serva inoltre il Ricchi, che lungo la via VOL. LXXΧΙΧ. nito con Ettore Frangipani lo rimisein libertà insieme co' cardinali. Portatosi in Ninfa a' 20 settembre fu consagrato da Ubaldo vescovo d'Ostia, assistito da 5vescovi, e da altri cardinali preti e dia- coni ; mentre Vittore Va grande sten- to potè accozzare 3 vescovi che in Far- fa (V.) l'ordinarono vescovo nella 1. 6 82 VEL VEL domenica di ottobre, cioè Immaro di Frascati e quelli di Molfetta o Melſi o Amalfi allora governata da Giovanni, e di Ferentino Ubaldo di Prato, da' quaJi lo scismatico ricevè la maledizione in vece della benedizione. Marocco tra le iscrizioni esistenti in Cisterna riporta quella del palazzo ducale eretta dopo 625anni dal duca Francesco Caetani per rinnovarne la memoria, in cui leggo che a' 20 settembre 1159 Alexander III P. M. ex Urbis tumultu post renuncia tionem heicreceptus etconsecratus insi gnia rite accessit. La trovo pure pub- blicata dal Bauco colla seguente avvertenza e necessaria discussione. Presso tutti gli storici ecclesiastici leggesi essere avvenuta la consagrazione nella città di Ninfa,distante daCisterna 5miglia. L'au- tore della lapide prestò fede ad una let . tera enciclica dell'antipapa Vittore, diretta a'vescovi e principi, in cui dice se- guita la consagrazione d' Alessandro in castro nomine Cisternae. Doveva l'au tore prestare fede piuttosto allo stesso legittimo Alessandro che a' suoi nemici. Egli difatto scrisse di se a Gerardo vescovo e a'canonici di Bologna : Sequenti die dominico venerabilibus fratribus nostris Gregorius Sabinensi, Hubaldo Ostiensi .... apud Nympham non longe ab Urbe insimul consecrationis accepimus. E negli atti dello stesso Alessan- dro III presi da un codice Vaticano leg- gesi . In vigilia B. Matthei apostolipro- spere ad Nympham per Dei gratiam pervenerunt. Ubi ipsa dominica die.... Alexander, praeeunte Spiritus Sancti gratia consecratus est in summumPon tificem . Il Ciacconio, Hist. Rom. Pont. riferisce altrettanto. Poco o niente èda fidarsi de'fautori e dello stesso antipapa, co- mescrive ilBaronio,per l'immenso cumu. lodi bugie dettate dal padre della men- zogna. Essere ciò vero rilevasi dallo scrit. to da' fautori dell' antipapa e inviato al suo sostenitore lo scismatico imperatore Federico I, in cui dicono:>>CheAlessandro co' suoi seguaci perveunero alla Ci sterna di Nerone, nella quale Nerone si nascose fuggendo i romani, che lo segui. tavano, Giustamente andarono in Cisterna quelli che aveano abbandonato il fonte d'acqua viva, e si erano fabbricate cisterne , ma cisterne dissipate, che l'acqua contenere non possono." Rimarca il can. Bauco, che siffatte frasi de' partitanti di Vittore sono irrisorie, dettate dall'astio edall' ambizione, per porre in ridicolo il Papa legittimo. Di più soggiunge, la prova più convincenteche la consagrazio , ne non si fece in Cisterna, è il saccheg, gio, l' incendio e la totale devastazione di Ninfa eseguita da Federico I, circa il 1156 (è anacronismo perchè la consagrazione si fece nel 1159), per vendicar- si di que' cittadini, che aveano ricevuto e favorito Alessandro III . Infortunio che sarebbe avvenuto a Cisterna, se qui fosse stata realmente effettuata la consagrazione. Ma io uel suo articolo, col Nibby, notai che Cisterna fu nel 1165 incendiata dal cancelliere imperiale, come avversa all'imperatore, secondo gli scrittori che ri- tengono ivi seguita la consagrazione pontificia, presso il Muratori, Rerum Itali- carum Scriptores, t. 3, p. 2, p. 522 е seg. Ma l'antipapa Pasquale II nominato nell'articolo deve leggersi III . Del sac- cheggio e incendio di Lodovico V il Ba varo riparlerò a VELLETBI. Nominai più volte la Cisterna di Nerone che die nome al paese : ecco il riferito da mg. Nicolai. » Dopo Velletri viene Cisterna, donde calandodolcementesi scende a'piani Pon- tini. Sulla sua origine variano assai le opinioni degli eruditi, alcuni confonden- dola con Tres Tabernae, cambiamento di nome poco credibile ed errore derivato dagl'inesatti itinerari. In altro tem. po la terra ebbe il nome di Cisterna di Nerone, e così fu chiamata non solo dal volgo, ma da Federico II (dee dire 1), nel suddetto passo. Se allora era così chia- mata Cisterna, ritenendosi volgarmente esservisi nascosto Nerone, l'errore e la г VEL VEL 83 falsità è troppo evidente per la testimo- nianza di Svetonio. Questi racconta, che Nerone per campar la vita, travestito e incappucciatotutto, fuggì di corsa da Ro- ma ad appiattarsi nella villa del suo liberto Faonte, la quale era situata presso Roma fra la via Salaria e la Nomentana, 4miglia circa lungi dalla città, e che ivi fu ucciso da'congiurati che lo inseguiva- no, ciò che fu pure osservato dal ricordato Ricchi. Nondimeno può ben essere, che la terra si chiamasse la Cisterna di Ne- rone, e che da questa denominazione il volgo per ignoranza le attribuisse il fatto altrove succeduto. Il Corradini nel Vetus Latium opina che il luogo avesse quel nome, perchè Nerone fin là continuò la fossa cominciata da Augusto nel territo- rio Pontino. Ma il Corradini, d'altronde eruditissimo, prese in ciò due abbagli, poichè nè Augusto imprese alcun lavoro nel Pontino, nè la fossa che Nerone avea designato di condurre dal lago d'Averno fino ad Ostia, non fu mai tirata avanti di qua da Terracina. Ivi per altro anco atempo del Nicolai si osservavano due cisterne così grandi e magnifiche che sem- brano opera de' romani imperatori. Si potrebbero credere fabbricate da Nero- ne per provvedereabbondantementeAn- zio d' acque salubri, portandovele cogli acquedotti, i cui avanzi esistono presentemente; poichè gli storici tutti concor. demente notano, che Nerone si studiò di nobilitare in ogni maniera la città d'An- zio, ove avea sortito i natali. Supposta la verità dell'esposto, si ha la ragione del nome di Cisterna di Nerone, che fu poi dato a tutto il castello fabbricato in ap- presso nel medesimo luogo. IM Ricchi re- gistrò tra' soggetti illustri di Cisterna pri- mieramente il duca d. MichelangeloCae- tani, a cui intitolò il Theatro degli uo . mini illustri volsci, che quivi educato spiccò fin dalla fanciullezza il suo viva- cissimo spirito, tutto intento alla pietà, al governo fioritissimo di tutto il suo stato, con facile vena alle muse. Alzò ivi da'fon. damenti una splendida chiesa, adorna di decorosi altari, arricchita da sagre sup- pellettili e da insigni reliquie, in onore delless. Stimmate di s. Francesco, custo dita con venerazione da' confrati aggregati sotto il suo nome. Di più edificò non lungi da Cisterna una nobilissima villa, deliziosa e amena. Di Cisterna fu fr.Francesco Angelo M.ª Peroni riformato frau . cescano, in vari tempi guardiano, commissario,custode e prefetto apostolicoin Costantinopoli, inviato da Inuocenzo XI in Albania procuratore delle missioni, e per modestia ricusò il vescovatodi Smir. ne, offertogli nel 1713. Dello stesso ordi- ne fu fr. Fortunato Setini coadiutore missionarioin Tripolidi Barbaria, morto nel patrio convento di s. Antonio in concetto di bontà singolare. Francesco Paladini laureato nelle leggi scrisse in Roma sul- l'interpretazione, De fideicommisso, ma dopo la di lui morte gli fu involata da un imitatore della cornacchia di Esopo, che si fregiò delle altrui penne. Celebra la famosa selva di Cisterna, le cacce riservate, l'amenità de'lidi del mare, de'fonti e fiumi, specialmente del Ninfeo, celebre per le favole de' poeti . Fra que' che signoreggiarono Cisterna, ricorderò Giovanni Ceccarelli domicello di Sezze (V.), investito del feudoda Bonifacio IX, per seguire i Caetani gli antipapi. E se- condo il Novaes, vi fu il celebre cardi. nal Guglielmo d' Estouteville, che l' ac- quistò da Onorato Caetani con Castelve- tere per 5200 scudi. In Cisterna vi si fer- marono più Papi, per esservi la stazione postale; e di Benedetto XIII riparlerò nel paragrafo Sermoneta. Oltre i nominati al suo articolo, qui aggiungo col p. Gat- tico, De Itineribus Rom. Pont. , p. 192, anche Clemente VIII. Anno1596die 14 februarii Pontifex ivit Neptunium una cumHenrico cardinali Gaetano S.R.E. camerario, et duobus cardinalibus ne- potibus. Die 20 accessit ad oppidum Cisternae. Post prandium Papa venit versus civitatem eliternensem, Grego. 84 VEL VEL rio XVI ne visitò la chiesa collegiata nel 1839 a' 23 e 29 aprile, e ripassandovi nel 1843 18 maggio, egualmente reduce da Terracina, fu ricevuto sulla piazza principale dalla magistratura e dal ca- pitolo colla Croce astata. Aderì alle loro istanze coll'entrare nella stessa collegia- ta, ove ricevuta all'altare laterale la be- nedizione del Santissimo data damg. Ca- stellani sagrista, si condusse all' altare maggiore, avanti al quale, da un trono appositamente preparato, ammise al ba- cio del piede la magistratura di Cister- na col suo priore Domenico Vita, ed il clero della collegiata medesima; poscia ritraversandola in mezzo a foltissimo po- polo, e preceduto da due fanciulle ele- gantemente vestite che andavano spar- gendo fiori, risali in carrozza in mezzo agli spari reiterati deʼmortari, al suono delle campane, ed agli evviva degli abi- tanti per proseguire il suo viaggio verso Velletri . Il territorio dà grano, vino, po- co olio, moltissime legna da lavoro e da costruzione ; i suoi pascoli producono eccellenti latti di bufale, che vi abbonda- no, co'quali si formano saporiti forinag- gi, provature e marzoline. Nel medesi mo territorio si vedono i ruderi della chiesa di s. Eleuterio vescovo dell'Illirico, ove furono rinvenute le sue venerabili ossa, trasportate nella cattedrale di Vel- letri, ed il Bauco dice che si trovarono in Tivera. Lungi 3 miglia è il castello di Torrecchia, signoria del principe Bor- ghese, situato sopra un'eminenza in aria nonbuona, circondato da fosse, fra colli eselve, nella via che conduce a Giuliano. Vi sono avanzi di mura castellane appar. tenenti all'antico forte e di vari torron. cini , vestigiadi grotte sotterranee, ed una cisterna riempita di terra e frammenti, che doveva servire alla guarnigione mi- litare, che anticamente vi stanziava per sicurezza del luogo. Ora sonovi moderni fabbricati ad uso di granai, un casale per abitazione, e una piccola chiesuola della B. Vergine. Poco prima di salire a Torrecchia trovasi una copiosa fonte d'acqua leggera, la cui sorgente è lontana mezzo miglio, forma un laghetto e sarebbe capace di far agire una macina da grano. Confina con Torrecchia l'altro tenimen. to di Torrecchiola, dal Nibby chiamato ancheCasal Ginnetti , ora de'principi Lancellotti.Esso è quel medesimo Castel Gin- netti, di cui parla il Piazza a p. 51, che dice nuova e piccola colonia di Velletri, chiamato così dal nome del suor . fon. datore il celebre cardinal Marzio Gin- netti, che sontuosamente cominciò la fab- bricadella chiesa, oltre le abitazioni civili e rurali , morendo in questa sua amena villa nel 1670.I suoi eredi aveano il domi. nio temporale del luogo, e il giuspatro- natodella chiesa, al tempo del Piazza con- tando 100 abitanti in incremento. Poco distante in una vaga collina e vicino al- la Teppia eravi Tivera, Tiberia o Castel Tiberio, borgata già fiorente, e secondo Theuli già villa di Tiberio imperatore, dove riposavano le reliquie di s. Ponzia- no Papa, trasferite nella cattedrale di Velletri. Fu posseduta da'discendenti di Onorato Caetani, e venne demolita da' corani, o distrutta da'saraceni secondo il Theuli, al presente chiamata dal volgo Castellone. Di questo Castellone ne par . la Ricchi nella Reggia de' Volsci, degli avanzi de'suoi edifizi antichi che ne at- testano la sua vastità, ma ignora come primasidenominasse. Due miglia daTor- recchia è la tenuta di Conca della Con- gregazione cardinalizia del s. Offizio (P.), secondo Nibby luogo ove surse Sa- tricum de'volsci ; e 5 miglia lungi è la tenuta di Campo Morto, già Castris. Pe- tri in Formis, della Chiesa di s. Pietro in Vaticano (V.), in ambedue è l'asilo pe'delinquenti. Leone XII col breve Jam inde, de' 15 settembre1826, Bull. Rom. cont. t. 16, p. 474: Reintegratio priva . tive jurisdictionis supremae congrega- tionis s. Inquisitionis, super iis, qui a- syli privilegium quaerunt in latifun- dio nuncupato Conca, in Agro romano. VEL VEL 85 Ecol breve Interplura dello stessogior. no, loco cit. p. 475 : Reintegratioprivi- legii competentis capitulo Vaticanopri. maevam exercendi jurisdictionem in causis criminalibus super iis qui asyli beneficium quaerunt in latifundio nuncupato Castrum s. Petri Formis, vulgo Campo Morto. Apprendo dal Bauco che appartengono alla diocesi Veļiterna, oltre Cisterna, i castelli di Torrecchia, di Ginnetti, di s. Pietro in Formis in Cam- po Morto e di Castella, con chiese e cap. pellani amovibili. Ninfa. Annesso di Cisterna nella dio- cesi di Velletri , già illustre e antica cit- tà, onde diversi scrittori de'volsci ne ri- feriscono le notizie, ed anch'io già in più luoghi ne parlai , eziandio per giacere al- le radici del monte di Norma o Norba (V.) quando esisteva. Per la sua posizione, Marocco lo dice luogo deliziosissimo, pe'ruscelli chela bagnano all'intorno, per la veduta amena delle circostanti colline, e pel bel laghetto d' acqua limpidissima, abbondante di trotte, secondo il Contatore. Da questo comincia il fiume Ninfeo e va placidamente al mare, e del quale e dell' omonimo antichissimo e magnifico tempio dedicato alle Ninfe, feci parola al citato articolo. Il lago era singolarmente venerato da'vorbani a motivo di duepro- digiosi fenomeni narrati da Plinio condi- re, che nellago Ninfeo sporgevanoin fuori due isolette,detteSaltuares,quodin sym- phoniae cantu ad ictus modulantium pedum moverentur ; e che inoltre eravi unasorte di selce,ex qua prodibantflam- mae , quae pluviis infusis accendeban- tur. Osserva il Nicolai, forse erano que sti portenti dell'arte più che della natu- ra; e quanto al fiume, dice che nel V secolo, coll' Astura e la Teppia, concorreva a forınar la Palude Pontina (V.), cioè ad accrescerla perchè già era formata da' fiumi Amaseno e Ufente. Indi col Corra- dini ragiona del corso del Ninfeo. Lo ce- lebra pure il Ricchi nella Reggia de' Vol. sci, reso famoso da'poeti maguificandolo qual ricco fonte di natura , e per le sue chiarissione acque denominato il fiume Ninfeo, avente la sua sorgente nelle radici de vicini monti di Norma, luogo ameno per le pescagioni di trotte e riservate caccie, ed utile per le molte macine di frumento per comodode'dintorni. Si disse Clostra il castello vicino alla boccadel fiume Ninfeo, come racconta il Theuli, ed ione parlai nel vol. LIV, p. 201. Riporta il Marocco, il quale visitò i luoghi che va- do descrivendo, che di Ninfa esistono le vestigia delle mura castellane, formando una penisola circondata dalle acque del fiume Ninfeo , avanzi di chiese , ed una torre di forma quadrilatera circuita anch'essa da alte mura. Si osserva un bel giardino con in mezzo una fonte perenue cui passa l'acquadal laghetto, e vi stan. uodue vaghe peschiere per conservare il pesce. Inoltre contiene quel recinto vari piccoli terreni lavorativi, formati a fog . gia d'orti, e vi sono 3 molini. Fu Ninfa città ragguardevole e popolosa, come di- mostrano le sue molte rovine e dimezza. te torri , una delle quali già altissima; il tutto scheletro compassionevole di sua antica magnificenza. Narra Ricchi, ripe- tendo il riferito da Piazza , essere argo- mento che Ninfa fuampia e popolata per le 5 collegiate ch'eranvi erette, arricchite di 24 pingui benefizi con titolo di ca- nonicati. La 1. sotto l'invocazione di s. Maria Maggiore, uſſiziata dall'arciprete e da 9canonici . La 2. di s. Biagio con 4 canonici e un priore. La 3.ª di s. Pietro con altri 4 canonicati e un priore. La 4." dis. Salvatore con 3 chiericati e un priorato, oltre la cliiesadi s. Leone cou un beneficio solo. Tutti i benefizi furono riuniti nell'unica superstite chiesa in onore della B. Vergine, risarcita in forma rura- le, per comodo de'pochi abitanti, de' pa. stori e de'ministri delle mole. Tale riu. nione di benefizi seguì con decreto della visita apostolica fatta nel 1635 da mg. " Gio. Battista Altieri, e quando il Piazza visitò la diocesi trovò trascurata la chie- 86 VEL VEL NymphasetNormias appellantur, quae juris publici erant. I Papi però non ne goderono tranquillamente, nè per molto tempo il possesso, poichè Astolfo divenu- tonel 749 re de'longobardi, portatosi poi all'assedio di Roma, saccheggiando e de- predando il territorio latino, l' impoverì stranamente. Non avendo i romani da loro stessi forze da respingere tale poderoso nemico, il Papa Stefano III non otte- nuti dall'imperatore Costantino IV i soc. corsi con replicate istanze implorati, nel 753 ricorse in persona a Pipino re de' franchi , e colle più efficaci maniere rac. comandando alla sua pietà e valore il principato della s. Sede, e il popolo ro- mano dalle barbarie de'nemici; il re ac- colte rispettosamente le pontificie pre- ghiere, fece passare in Italia una possen- te armata , e in poco tempo abbassò la prepotenza de' longobardi e ne punì la soperchieria, ed ampliò la Sovranità del. la s. Sede. Molestato in seguito terri- bilmente il Papa Adriano I da Desiderio re de'longobardi, ricorse a Carlo Magno, il quale nel 773 sconfisse e imprigionò Desiderio e liberò d'Italia dalla schiavi- tù longobarda. Indi confermò le paterne donazioni di Pipino, e l'accrebbe ancora aggiungendo al dominio pontificiola bel- lissima provincia di Campania con tutto il territorio Pontino , di cui già ne posse- deva buona parte come notai nel vol. LV, p. 68. Norma essendo stata onorata della sede vescovile, e n'era vescovoGiovanni nel 963, soffri poi una 2." distrusa da que'che ne godevano le prebende, perciò canonicamente rimproverati. A dunque non vi esiste che la chiesadella B. Vergine, ovesi celebra la messa ne'soli dì festivi. Dell'antico e celebre monaste. ro benedettino fiorito supra Nimpham, denominato di s. Angelo o di s. Maria di Monte Mirteto, parlerò nel paragrafo di Cori. Nel casamento appartenente a'du- chi Caetani signori di Ninfa, si legge una Japide pubblicata da Marocco, eretta nel 1765 al duca d. Francesco, per l'opera- to a vantaggio del paese e ivi ricordato. Crede il Nicolai che Ninfa e la summentovata Tiberia siano d'origine moderna. Anche egli racconta il già da me riferito altrove, ed è questo. Mentre i longobar- di tenevano occupata quasi tutta l'Italia, il Papa s. Zaccaria nel 743 presso il loro re Luitprando si adoperò a tutto potere per ottenere la restituzione d'alcune cit. tà d'Italia a'greci imperatori; e colla for za di quella eloquenza in cui tanto vale va, si guadagnò l'animo del barbaro principe di maniera che con giubilo univer- sale l'impero ricuperò la nobilissima cit. tà di Ravenna (V.), con alcune altre dal re restituite a'greci. Presentò inoltreil Pa pa al re le suppliche della Pentapoli, del l'Emilia, dell'Esarcato e pressochèditut- ta Italia, perchè Luitprando volesse con- cedere a questi stati la pace , che subito gli fu accordata per 20 anni , con pro- messa speciale, ch' esso re sarebbe stato in avvenireil difensore della Chiesa edel. le suddette provincie. Per questo grande servigio, circa l'Esarcato, reso das. Zac- zione , e il vescovo trasportò la sua sede caria all'imperatore greco Costantino IV Copronimo, egli per gratitudine donò al Papa, o a sua richiesta, postulaverat, le due nuove città del paese Pontino Ninfa eNorba co' loro amplissimi territorii o masse. Questa donazione alla romana Chiesa l'attesta Anastasio Bibliotecario, ed anche CencioCamerariopressoil Mu- ratori. Zacharias Pontifex accepit aCon stantinoprincipe donationem in scriptis perpetuo jure de duabus Massis, quae alla vicina Ninfa, come afferma il Nicolai , Questi inoltre racconta, ehe nelle succes- sive calamità deʼtempi, il patrimonio del- la s. Sede soggiacque a diverse usurpa- zioni; tra le città Pontine per altro se ne contano alcune, le quali nel secolo XII si mantenevano religiosamente fedeli e ubbidienti sotto il dominiodel Papa. Nio- fa principalmente, che in quell' età avea una giurisdizione assai estesa, favoriva a tuttopotere il partitopapale in prova che VEL VEL 87 ... il Pontefice n'era padrone. Presso il Mu⚫ ratori , Antiq. Ital. Med. aevi, t. 2, p. 11 , esište un insigne monumento delle tasse imposte nel principio di detto secolo da Pasquale II agli abitauti di Ninfa: Haec sunt, quaefacient Nimphesini;fidelita- temfacere B. Petro, el Domno Pascha liPapae , ejusque successoribus , quos meliores Cardinales et romani elege. rint. Hostem et parlamentum cum curia praeceperit. Servitium quod assue- ti suntfacere, etplacitum et bannumfa- ciant B. Petroet Papae. Quartam reddent admensuram romanimodii, etconducant eam usque Tiberiam vel Cisternam. Glandaticum solvant infesto s. Martini ... De carico cujusque sandali solvant denarios sex. Fidantiaminuno- quoque anno Molendina, quae Papa nunc tenet, duodecim quae sunt extra , et unum quod est supra lacum , quiete dimittant. Murumcivitatis destruentsecundum praeceptum curiae, nec sine e. jus licentia eum aedificent. Ma in bre- vele cose cambiarono d'aspetto , e nel pontificato dello stesso Pasquale Il nou solo Ninfa, ma ancora Sermoneta e Ti. vera o Tiberia, e quasi tutto il paesePon- tino, regionem Maritimam, venne tolto alla s. Sede da Tolomeo conte Tuscolano. Alla metà dello stesso secolo XII, Pa. pa Eugenio III ricevè per composizione Terracina, Norba, Sezze ealtre città Pontine colla rocca di Fumone. Non molto dopo Adriano IV diede il possesso del ca- stello d'Acqua Puzza o Putrida (di cui a SEZZE e nel vol . LXXIV, p. 176) ad A. dinolfo, il quale prima ribelle alla Sede apostolica, erane divenuto poi ubbidien. tissimo. Nel 1159 a detto Papa gli suc- cesse Alessandro III, il quale quantunque eletto in Roma secondo tutte le leggi ca- noniche da'cardinali, fu costretto di sot. trarsi da quella città con precipitosa fu- ga, temendo de' Colonnesi e de'faziosi, i quali erausi uniti in lega col clero della basilica Vaticana, per seguire le parti del- l'intruso antipapa Vittore IV detto V, sostenuto colle armi dall'imperatore Fe- derico I. Alessandro III insieme colla più sana parte de'cardinali, i quali sostenevano la legittima elezione sua , si ritirò nel paese Pontino, ein Ninfa nella vigilia di s. Matteo, ossia a'20 settembre del- lo stes301159, e non altrimenti come er- roneamente molti scrissero copiandosi, venne con solenne rito consagrato e coronato, al modo narrato al paragrafo Cisterna, per confutare que'hon pochi che asserirono ivi seguite tali sagre funzioni; dappoichè i nemici di quel magnanimo Papa , per concitargli l'odio e l'orrore pubblico, andarono spargendo comune- mente che quelle solenni funzioni eransi celebratealla Cisterna di Nerone, menzogna che avea qualche simiglianza col vero perchè Ninfa era assai vicina a Cisterna , pretendendo goffamente di fare re. putare Alessandro III qual altro Nerone il più fiero di tutti i tiranui. Non essendo poi il Papa ben sicuro in Ninfa, si portò a Terracina , e di là passò negli stati di Guglielmo Iore di Sicilia, e finalmente si rifugiò in Francia. Dipoi Federico I per vendicarsi d' Alessandro III che l'avea scomunicato, distrusse Ninfa, come rac- conta il Piazza, anch' egli errando nel. l'anno in che vi si recò Alessandro III, anzi con altro fallo la disse forse l'antica Astura, di cui riparlai ne' vol. LIV,p. 201, LXXIV, p. 276. Verso la fine dello stes. so secolo Leone Frangipani impegnò per 150 libbre il castello d'Astura a Celestino III; il cui successore Innocenzo III comprò la 3.ª parte totius Castri Nympha- rum cum tenimentis et pertinentiis suis intus et deforis, pro quingentis triginta libris provisinorum, da'fratelli Filippo e Bartolomeo Lombardi, edalla sorella Al- druda vedova di Scotti , i quali u' erano padroni. Osservaıl Marini negli Archia- tri, che il castello di Ninfa assai riuoma- to ne'bassi secoli, ſu successivamente pos- sedutoda vari padroni, i quali però sem- pre riconobbero il dominio della Chiesa romana su di esso. Nicolo III nel 1279 88 VEL VEL assegnò annualmente al suo archiatroGio vanni di Luca 55 lire di provesini sopra le rendite del castello di Ninfa, e ne scris se al suo podestà, consiglio e comune. DiroccataNinfa per l'indicato eccidio,in pro. gresso di tempo i suoi cittadini passarono ad abitare in Norma, castello fabbricato di nuovo presso l'antica Norba. Trovo in Novaes, che il castello di Ninfa appar- tenente alla camera apostolica , fu dato da Bonifacio VIIIa'2 ottobrer 300 aPie- tro Gaetani suo nipote, ed a'suoi succes- sori , per un annuo canone, e la cessione d'alcuni effetti che essi possedevano nel- l'Orvietano. Tuttavolta afferma Piazza, apparire dagli atti del notaro Pietro Fer. raccia, de' 15 luglio 1337, che il castello di Ninfa ne' volsci spettasse alla chiesa e ospedale de'pellegrini di s. Matteo (V.) in Merulana di Roma, e della quale ne rifeci cenno nel vol. LXXV , p. 65. In tempo d'Urbano VI ribellatosi Onorato Caetani conte di Fondi( V.), fautoredel- l'antipapa, fu scomunicato e privato di Ninfa, Bassiano e Sermoneta, confiscan - doli e incamerandoli. Indi Bonifacio IX, che gli successe nel 1 389, assolse il figlio conte Giacomello egli restituìi 3 castelli. Il Nicolai a p. 113 riporta la lite de'con- fini de'territorii tra Ninfa e Sezze ( V.), ed altre signorie de' Caetani , ed inoltre narra, che il suddetto Pietro Gaetani per divenir padrone del castello e del terri- torio di Ninfa, spese 200,000 fiorini d'o- ro, con istromento di comprita dell'8 set- tembre1298. E siccome una porzione di quel castello e territorio da molto tempo spettava alla camera apostolica , perchè compratada Innocenzo III, così Pietro la ricevè a titolo di feudo da Bonifacio VIII Del 1300. Riferisce Marocco, che in Ninfa si fa molta caccia di anitre selvatiche e di altri volatili , e visi trovano utilissi- me erbe botaniche. Rocca Massima. Comunedella dioce- si di Velletri , con territorio in monte, a sinistra della via che da quella città conduce a Cori , da Velletri distantero miglia e da Roma35, secondo Bauco, men - treNibby le accorcia, nell' Analisi dedin- torni di Roma, t. 3, p.17. Essa è situata sopra un monte scosceso, ultimo contraf- forte del dorso detto volgarmente monte Lanteria, in luogo di monte d' Artena, contrafforte anch'essodella cima del mon - te Lepino, oggi detta monte Nero. A pri- mo aspetto, dice il Nibby, ravvisasi per la posizione d'un'antica fortezza, la qua- le non potè essere se non quella detta da. gli antichi scrittori Carventum, ed Arx Carventana. Il sullodato De Matthias nel suo Saggio storico di Vallecorsa, sostiene che l'Arx Carventana, ossia la Rocca Carventana, fosse piuttosto nel comu. ne di Castro soggetto al governo di Val- lecorsa; e che probabilmente Castro suc- cesse all'antico Castrimonium oppidum Volscorum in Latio , il quale era difeso dall'Arx Carventana. Narra esistere nelle vicinanze del territorio di Castro una collina denominata da'castrensi Calven- to, forse corruzione di Carvento, Mons Carventum. Però il Nicolai parlando di Ecetra la dice vicina a Ferentino, non la città ernica, ma Ferentino di monte Al- bano; ed il Nibby collocandola a Marino, la dice succeduta alla colonia di Castri- monium, ed a piè di tal città dice che fu il Ferentinum, luogo destinato all'assem- blee nazionali durante l'indipendenza del Lazio per gli affari della confederazione. AggiungeNibby,che Stefano,citandoDio- nisio, credette l' Arx Carventana, città latina. Efabbricata Rocca Massima sulla vetta d'elevato monte, con antichi avanzi di fortificazioni militari, al dire di Bau- co, il quale soggiunge: Massima fu questa Rocca appellata, perchè neʼremoti tempi era massima in elevatezza e in fortezza. II Piazza parlando della Rocca de' Massi- mi, la dice posta sulla cima ben erta d'un monte circondato di selve e boschi, il più alto abitato che per avventura si trovi in tutta la Campagna, fabbricato con anti- chissimi testimoni di gelosie militari in forma di fortissima Rocca, col recinto di VEL VEL 89 alte eben munite muraglie; dettade'Mas- simi o perchè quivi si ricovrò o n'ebbe il dominio la nobilissima e antica famiglia di questo nome, o perchè fosse la Massi- ma in altezza e fortezza tra' circostanti paesi . Certo è, soggiunge, che per natu ra del sito e per la struttura della Rocca ella riesce sopra modo inespugnabile per qualunque assalto. Anche il Ricchi nella Reggia de' Volsci, cap. 39: RoccaMassi- ma, la dice situata nella maggior som- mità di erto e precipitoso monte, fraGiu- liano o Giugliano e Segni, la più alta Roc- ca della Campagna de' volsci, forse me- ritando il suo titolodi Massima per lasua grande eminenza, ovvero per aver avu- to il suo essere dalla nobile famiglia Mas- simo. La dichiara pure inespugnabile a qualunqueassalto di guerra, perl'asprez- za e scabrosità del monte che impedisce l'accesso in qualunque parte alle squadre nemiche, che però dicesi Arx ab arcendo. Riesce molto forte e invincibileezian- dio per artificio d'arte nella strutturade gli antichi baloardi e altre fortissime mura, con occhi e gelosie militari da'quali viene recinta. Ha questa terra la chiesa parrocchiale dedicata a Dio, come tutte, in onore di s. Michele Arcangelo, con arcipretee un cappellano. Fuori del suo re- cinto poi ha altra chiesa con ospedale: il suo protettore è s. Isidoro agricoltore, e vi sonodue confraternite secolari. A'tem- pi del Piazza e del Ricchi, poco distante dalla terra eravi il collegio de' sacerdoti dottrinari , applicati al ministero de' sa- gramenti, a promuovere l'istruzione del- la dottrina cristiana , e per sussidio non solamente del parrocodel castello, maan. cora di que'contorni che lo richiedevano. Quella comoda casa fu dotata colle proprie sostanze di convenienti entrate, pel mantenimento de'sacerdoti e altri operai, dalla nobile matrona romana Massima de' Conti, virtuosa pel zelo delle anime. Leggo inoltre nel Nibby , che T. Livio racconta le gesta avvenute presso quella città o fortezza ! , ch'egli chiama Arx Carventana. Nel 247 di Roma i volsci occu- parono l'arce Carventana, e l'esercito ro- manola riprese profittandod'un momen. to di negligenza di quelli che l' occupa- vano, usciti per saccheggiare; l'anno seguente una negligenza simile per partc deʼromani ne fece padroni gli equi alleati de' volsci, nè per quanto facessero onde ritoglierla i romani la poterono riavere; e nel 349 era ancora in potere degli equi e de' volsci collegati . Queste sono le poche notizie, che di quella rocca ci ri- mangono, le quali però , se non dimo- strano pienamente essere l'Arce Carven. tananel sito di Rocca Massima, non si oppongono nemmeno a tale congettura. Im- perocchè era l'Arce Carventana d'origine latina, come dimostra Dionisio citato da Stefano: era nel tempo medesimo sul li- mite di quel territorio a contatto co'volsci , e soggetta alle scorrerie degli equi, come mostra Livio: era finalmente così forte, che non si poteva prendere se non per sorpresa , e che potè resistere a due eserciti consolari, circostanze, che in Rocca Massima si trovano a segno che il fatto si rinnovò nel 1557 quando per sorpresa e con istratagemma militare ven- ne occupata dalle genti del duca d'Albaz nella guerra di Campagna contro Paolo IV , benchè questo avea posto in istato didifesa le provincie di Marittima e Campagua; alla quale occupazione seguì il de- plorabile eccidio di Segni(V.). Racconta Bauco , che non sembra priva di fondamento l' opinione d' avere avuto Rocca Massima il suoprincipio da'veliterni, che per evitare la crudeltà e barbarie de'go . ti nel 410, e quella de' vandali nel 455, furono costretti ad abbandonare la pro- pria patria, ed a rifugiarsi e nascondersi fra le balze e i dirupi deʼmonti più inaccessibili , ove fortificarsi per loro difesa . Vuole Calindri , seguendo la tradizione de'corani, che questo castello fu fondato daQuepio Massimoda Cori, verso il 608 di nostra era. Ciò sostengono i corani an- che per la confederazione immemorabile مو VEL VEL e durevole tra Cori e il vicino paese di Rocca Massitoa. Marocco non l'afferma, perchè semplice tradizione; ed il Bauco dice soltanto ritenerne i corani fondatore Quinzio Massimo loro concittadino. Ri- ferisce inoltre Bauco, che Rocca Massima fu già feudo della principesca casa Pamphilj - Doria; ed il Piazza dichiara che a suo tempo era posseduta dal duca Salviati, altrettanto confermando Ricchi e il moderno Nibby; per eredità de'Salviati essendo passata ne' principi Borghese, uno de'quali è duca Salviati, a cui appar. tiene. Il suo territorio produce vino, grano, olio, ghianda e pascoli. Governo di Segni. Segni (V.), città vescovile, con residenza del vescovo e del governatore. Carpineto. Comune della diocesi d'Anagni e vice-governo , con territorio in monte, con molti e buoni fabbricati cinti di mura , con bel borgo, secondo il Ca- stellano distante 16 leghe da Roma, 6da Anagnie 3da Segni. Lo chiama cospicuo borgo che da remoti tempi ha il titolo di ducato,egià si noverò fra'muniti forti d'Italia nel medio evo. Giace su ridente col. lina superata all'intorno dalle più eleva. te vette Lepine, e gode di sanissimo cli- ma. Si vedono gl'imponenti ruderi del- l'antico castello costruito ne'bassi tempi, ove sono le carceri, elevato su di arduo eprecipitoso macigno, e circondato di tor- reggianti mura, che deperirono per l'ab- bandono dopo la cessazione dell'italiche fazioni de'guelfi e ghibellini , sorgendovi ora la torre comunale dell' orologio pub- blico sopra una parte del maschio. La più alta cima de'Lepini, che dicesi Semper- visa, offre uno de' più magnifici punti di vista, onde abbonda il suolo italiano. Apprendo da Marocco, che la derivazio- ne del nome di Carpineto si pretende da unaselva dicarpani (o carpini , Carpinus Betulus di Linneo, specie di frassino. Il monte Carpineto, ultimo contraffortedel. l'Arcinazzo, nella badia di Subiaco, pun- to culminantedi quella catenadell'Apen. nino , è pure contrafforte del monte Acuto che separa il bacino dell'Aniene da quellodel Trero oTotero oggiSacco. L'abbondanza de'carpini in quelle montagne moltiplicò la denominazione di Carpine- to a varie punte. Il monte Carpineto im- mediatamente domina sulla riva destra dell'Aniene. Fra gli altri luoghi omoni- tmi vi è Carpineto di Reggio di Modena, ove si recò s. Gregorio VII), alberi che ivi abbondano, e dicesi che fosse in due villaggi diviso e distinto , e quindi insieme uniti è in tal modo generalmente chiamato. Anche Marocco dice che il fab- bricato del castello di Carpineto siede so- pra un colle eminente in mezzo ad alti monti , che gli formano un anfiteatrale contorno, dove saluberrimo è il clima, e luogo a proposito per chi amasse un' a- mena solitudine , sembrando quasi di. sgiunto dal mondiale consorzio. Le mon. tagneda cui è circondato gli rendono di - gnitoso ornamento per essere vestite di folti castagneti e d' altre piante fruttife- re, avendo anche pascoli salubri, perchè non ha alcun terreno paludoso, e molte erbe che trovansi sui colli olezzano soavemente, e molte sono botaniche. Conta una popolazione di oltre 3416, tale cifra registrando la Statistica del 1853; i quali abitanti sono applicati a'lavori rurali, al traffico ed all'arti meccaniche, ed ivi si esercitano le più necessarie. Il paese è di figura quasi rettilinea, seguitando le falde delcolle su cui è posto. Le interne vie so- no scoscese , meno quella che comincia dall'antica porta di s. Sebastiano fino al- la vaga piazza, e l'altra che dalla chiesa di s. Michele Arcangelo, antica e di stilegotico, già abbaziale, conduce parimen- te alla piazza medesima. Il fabbricato è piuttosto alto e vi sono buone abitazioni. Ha 4 interne chiese parrocchiali, che no. minerò cou Marocco. La collegiata iusi- gne sotto l'invocazione de' ss. Giovanni Battista ed Evangelista, sulla detta piaz- za situata, eretta nel 1770 al dire di Ca- lindri, e perciò di moderna e ben intesa VEL VEL 91 costruzione, con suo capitolo e la digni- tà del preposto. L'arcipretura di s. Gio- vanni. La chiesa di s. Nicola di Bari , e quella di s. Giacomo apostolo, ambedue col titolo abbaziale. Nel 1749 in cui si pubblicò l'Istoria della cattedrale d'Anagni di De Magistris , le 4 chiese par- rocchiali erano l'arcipretile di s. Giovan- ni Evangelista, e le 3 abbaziali di s. Ma- ria Maggiore, di s. Angelo, e di s. Nico- la vescovo. Vi sono anche due conventi suburbani colle loro chiese. Uno è quel- lo di s. Agostino protettore del luogo, lun- gi un 4.º di miglio da Carpineto, deglia- gostiniani che nelle vicende politiche de' primi anni del secolo corrente doverono lasciare, e poi vi tornarono in minor nu- mero. La vetustissima chiesa è di gotica architettura, edificata con massi quadrati nel 1350dafr. Gregorio Silvestri del medesimo luogo, e coperta d'un tetto che ricorda quello mirabile della basilica O. stiense consumato dalle fiamme nel 1823. I dipinti della tribuna fanno fede come la chiesa e l'annesso ampio convento ap- partenessero all'ordine deʼtemplari. L'in- gresso è magnifico di prospetto a Carpi- neto , fiancheggiato da due leoni. Sopra l'arco è la B. Vergine avente a' lati i ss. Paolot. eremita e Antonioabbate; e più sotto i simboli de' 4 Evangelisti, in mez- 20 a'quali è collocato l'Agnello pasqua- le. L'altro convento è distante da Carpi netodopobrevissimo e ameno passeggio, ad esso pure di prospetto e situato alle falde del monte Capreo, uno de' Lepini colla vetta più alta degli altri. Questobel convento de'minori osservanti riformati, che vi stanziano numerosi , fu fabbricato colla chiesa dalla munificenza del cardinal Pietro Aldobrandini, come accennai nel vol. XXVII, p.158, con annesso palazzo abitato dal cardinale ne'tempi di diporto. II Ricchi celebra il fioritissimo studio che nel convento vi tenevano i religiosi, nelle filosofiche e teologiche discipline. I contigui orti, i prati e la macchia sono cinti da mura, essendo tutto il fab. bricato dignitoso e vasto, degno del ma- gnifico nipote di Clemente VIII.'II chio- stro perfettamente quadrato ha nel mez- zo la cisterna, e al di sopra da due parti vedesi una loggia graziosissima collo stem. ma marmoreo del cardinale. Sul frontone dell' ingresso principale della chiesa ammirasi il busto marmoreo d'eccellente scalpello di s. Pietro apostolo, a cui è sagra, dono del medesimo porporato. Vi sono buoni quadri, e quello di s. Francesco che riceve les. Stimmate, alla sinistra della cappella del ss. Crocefisso , è stupendo lavorodi classico pennello: grandiosa è la sagrestia. Antica è l'altra chie- sa suburbana di s. Maria del Popolo, pres. so la quale era l'ospedale de' poveri. La sua fronte è gotica, con bell'atrio, di cui due pilastri si vedono ornati di due teste di cavallo, e sulla stessa facciata vi sono varie croci di pietra. L'ingresso è mar- moreo,abbellito di bassorilievi a fogliami , colla ss. Vergine sedente sopra di esso di bel lavoro, essendo l'occhialone formato con molta maestria di scalpello d'un so- lo pezzo. Nell'interno è rimarchevole l'al- tare di s. Rocco con due Angeli laterali e la B. Vergine sedente in alto; a' fianchi dell'altare si vedono i ss. Pietro e Paolo, e più sotto s. Bartolomeo e s. Simone. La pietra che forma l'altare e i bassori- lievi, è delle vicine cave di Carpineto. Al- le falde del paese è la chiesa di s. Miche le Arcangelo de'confrati della Morte, ove s'ammira la Crocefissione di Giulio Ro. mano, e si rimarca la tomba del celebre Lorenzo Porta dottissimo (non però ar- chiatro pontificio, comevuole Castellano, non trovandolo tra' medici archiatri nel Marini) , riportandone l'onorifica e pro- lissa iscrizione Marocco, insieme alle lapidarie di Carpineto, due delle quali con morali sentimenti nel dialetto del paese. Esistono pubbliche scuole che insegnano da'primi rudimenti grammaticali sino al. la rettorica, e per le fanciulle vi sono le maestre pie. Manca Carpineto d'acque perenni nell'interno , e delle piovane si 92 VEL VEL servono i popolani , ma due pubbliche Jinpidissime fonti trovansi però a poca distanza, una cioè vicino alla chiesadella s. Annunziata, l'altra dietro la chiesa di s. Sebastiano che viene detta ilfonte di Pandolfo. 11 Kicchi, il De Magistris e il Calindri parlano dell'origine di Carpineto. Secondo l'autore dell'Aquila volante, lib. 2, cap. 69, fu fabbricata da Carpeto Silvio re de'latini, figlio del re Capys discendente d'Enea che fondò Capua, e fra. tello di Tiberino che s'annegò nel fiume Albula egli dièil nomedi Tevere, per cui credesi ciò avvenuto 923 anni prima del P'era nostra. Altri opinano che Carpine to sia derivato da alcuni pastori che te nevano il gregge fra' molti carpini di cui sono ricoperti i suoi monti, opinione ri- ferita come l'altra da Calindri, il quale aggiunge, formarsi il suo stemma comu nale da 3 Carpini. Dice ancora che fu di- strutta daʼromani dopo 300 anni di con. tinua guerra fatta da'popoli ch'erano in Carpineto; e che nel 1660 sotto Alessan- dro VII deperì quasi intera la popolazione , epoca che forse devesi anticipare al 1656. Fu posseduto qual feudo nobile, dopo la camera apostolica, da vari signo- ri , prima da'Caetani, poi da'Conti, a'qua. la nel 1428 lo confermò Martino V, e Ca- millo Conti n'era duca nella metà del secolo XVII, come notai nel vol. XVII, p. 74 e 75. Tuttavolta leggo nelle Memo- rie Colonnesi del cav. Coppi, che Martino VColonna neldividere tra'suoi paren- ti nel1427 i beni, attribuì ad Antonio il diritto su Carpineto. Dipoi fu ducato de- gli Aldobrandui , iudi de' Pamphilj, ed ora de' principi Borghese Aldobrandini, gli stenuni de'quali si vedono sparsi nel paese. Marocco dice che fu feudo anche de Caraffa, e Caliudri notò che il suodu. canel1750 donò a Benedetto XIV uno storione di libbre 550 preso ne'nostrima ri . 11 Ricchi nella Reggia de' Volscitrat- ta nel cap. 9: De'soggetti illustri di Car pineto, con breve descrizione dellaterra. Francesco Leopardi fu intimo familiare d'Alessandro VII, e decorò l'aula concistoriale, non però avvocato concistoriale, non trovandolo nel Syllabum Advocatorum s. Consistoriidel Cartari; puòdarsi nondimeno che lo fosse dopo pubblica- ta l'opera, stampata nel 1656 e dedicata adetto Papa. Sebastiano Leopardi arcidiacono di Sezze e poi vescovo di Vena- fro. Alessandro Porcari eccellente fisico ed egregio poeta; pubblicò nel 1638 in Napoli un' opera poetica in lode del car- dinal Ippolito Aldobrandini , al quale il Ricchi attribuisce la biblioteca di Carpineto, el'erezione del convento e chiesadi s. Pietro. Fr. Angelo Senecat . custode nel1618 della riforma romana de'minori osservanti , de'quali era stato ministro provinciale e procuratore generale , poi definitoregenerale. Fr. Giacomo da Carpinetode'riformati, celebre predicatore e teologoinsigne, profondo erudito come di- mostrò nel suo poema epitalamico stampato nel 1638. Altri religiosi riformati illustri furono gli Antonis, i Gabrielli, i Leoni , i Baldassari, i Paoli, i Giacomi. Fra i prodi militari si distinsero FrancescoCon. ti colonnello de'veneziani nella guerra di Candia; il nipote Alessandro Conti al ser- vizio della stessa repubblica nella guerra di Corfù; di essa inoltre fu capitano e ingegnere in Levante PietroPaolo Briganti de Conti parente de'precedenti. Aggiun- gerò che Marocco celebra Antonio Goz- zi protomedico nel 1570 e archiatro pontificio, ma il Marini non lo noverò tra gli Archiatripontificii. II Calindri dice che Carpineto ha dato i natali a molti insigni uomini d'ogni scienza, e ad un Pecci ve- scovo di Segui , ma nella serie che formai di que'vescovi non lo trovai. Bensì è de- guissimo arcivescovo vescovo della nobilissima città di Perugia, il cardinalGioacchino Pecci di Carpineto del titolo di s . Grisogono (del quale, e del possesso che vi prese il cardinale , riparlai nel vol. LXXX, p. 322), elevato alla s. porpora a'19 dicembre1853 dal Papa regnante. Riporta iln.º 8 del Giornale di Romadel VEL VEL 93 0 1854, che il comune di Carpineto lieto della gloria chegli derivò per l'esaltazione dell'illustre e tanto benemerito concittadino, già arcivescovo di Damiata e nun- zio apostolico di Brusselles, inviò al Pa- pa un'apposita deputazione composta di parte del capitolo e del municipio , per significargli i sentimenti di riconoscenza. Enel n.º 145 riferisce un articolo di Car pineto, ove èdescritto come il comunea' 13 e14 giugno, per dare all'illustre con- cittadino un solenne attestato della gioia provata nel di lui innalzamento alla s. porpora, da tutti gli abitanti messo tut- to a festa il maggior tempio, sulla porta collocò l'iscrizione che riporta . I vescovi d' Anagni e di Segni amarono prendervi parte alle sagre funzioni che si celebrarono. I poveri ebbero larghi soccorsi da' nobili fratelli del cardinal Pecci edal municipio, il quale volle pure conferire due doti a zitelle bisognose. Tuttoil paesepoi manifestò la più sentita esultanza, rallegrato dall'armonie della banda cittadina. Un arco trionfale, sormontato dallostemma gentilizio del cardinale, fu eretto al l'ingresso di Carpineto concorrisponden- te epigrafe. In ambedue le sere si fecero brillanti illuminazioni, con fuochi artifi- ciali , ed elevazione di globi areostatici. I signori Pecci invitarono i vescovi , la municipalità, e altre distinte persone ac. corse al festeggiamento ad un serale trattenimento, in cui furono letti vari componimenti analoghi alla circostanza. L'industria degli abitanti merita encomio, ed il commercio di bestiame è notabile. Ol- tre il mercato settimanale del sabato , si fanno due annue fiere, lar. per la festa del protettore s.Agostino, l'altra per quel- la di s. Francesco di Asisi. Narra Riechi, che siccome la 1.ª si solennizza per 15 gior- niavanti, così viene proseguita conaltret- tanti dopo , con fiera libera dal peso di qualunque dazio, giusta l'indulto di Pao- lo IV, confermato poi da Gregorio XIII. Dice Calindri che nel territorio sorgeva la città volsca di Cuetra (dubito errato il vocabolo,non conoscendola con tal no- me), e varie castella, delle quali non esi- ste orma. Negli scavi tentati si trovarono monete de'primi tempi della repubblica romana. Sulla più alta delle sue montagne vi sono i pozzi camerali della neve, e da un lato la grottta che merita di es- sere visitata, denominata da' locali Formale. Castellano la qualifica meraviglio- sa, offrendo erudito pascolo a' naturali- sti . L' ingresso è angusto é rovinose rupi lo circondano, destando raccapriccio nel. l'entrarvi . Sembra che la natura sia stata gelosa di schiudere libero varco alle sue ascose bellezze. Spazia per entro in grandi sale, sostenuteda sorprendenti volte,inampi corridoi , ed i segreti della mineralogia vi si mettono in luce. I dintorni sono sparsi de'ruderi dell'abbazia di Valvisciolo,e de'distrutti paesi diCollemezzo, di Pruni e di Montacuto. Hterritorio pro- duce legname di faggio, olio e grano a sufficienza; frutta, castagne eghiande in abbondanza , granturco e vino in poca quantità, ed abbonda per tutto d'acque per abbeverare il bestiame , e per l'uso de'popolani, oltre i pascoli . Gavignano. Comune della diocesi di Segnicon territorio in piano, distante 36 miglia da Roma, chiamatoGavignano di Campagna, per distinguerlo da'paesi o- monimi di Bologna a di Sabina. E' situato presso i monti Lepini nelle vicinanze edirimpetto a Segni, sopra un' amena collina isolata, ferace e di belle vigne e di albereti vestita, non che di ulivi , in clima temperato, come esposta a mezzo- dì, la cui aria è moltosalubre. Le mura castellane vengono costituite dalle abita- zioni, restando chiuse da due porte. Sot- to la collina passa l'antica via Latina, di cui tuttora vi è il piano stradale. Fuori porta Romana è unadeliziosa passeggia- ta. Da essa si gode la pittoresca veduta di circa 40 paesi, e conduce alla chiesa fuo- ri di Gavignano un4.° di miglio, di buo. na e moderna architettura, detta il Calvario dal rappresentarsi nel divoto qua 94 VEL VEL dro dell'altare maggiore la Crocefissione di Gesù Cristo. In questa chiesa nel 1837, e al modo riferito dal n.º 89 del Diario di Roma, a 27 ottobre mg. Luciani ve. scovo di Segni solennemente benedisse la cappella , l'altare e l'immagine di s. Fi- lomena vergine e martire, eretta a destra della medesima dal capitanoVincenzo Baiocco priore del comune, per grazia rice. vuta, fra le acclamazioni e le festive di- mostrazioni della popolazione , avendo Gregorio XVI concesso l'indulgenza ple- naria. Indi con lodevole emulazione ,il medico romano d. Pietro Paolo Azzoc- chi , la cui famiglia è originaria di que- sto luogo ( il suodegno frateliomg . " Tommaso Azzocchi cappellano segreto già di Gregorio XVI e ora del Papa regnante, del quale è pure cameriere d'onore, be neficiato Vaticano, è benemerito autore di opere pubblicate , massime sulla lingua italiana. Esse sono: Avvertimenti a chiscrive initaliano,conun saggio dell'e leganze, edun piccolo Vocabolario do. mestico: due edizioni. LeVite di Cornelio Nipote volgarizzate, con seconda edizionedel corrente anno 1858.Elogio diAntonioCesariprete dell'oratorio, condue Dissertazioni sulla lingua italiana. Le favole di Fedro tradotte. Vocabolario domestico: due edizioni. Inoltre si hanno di lui anche eleganti iscrizioni ed e- pigrafi italiane, ed è sua quella fatta per Ja defunta principessa d. GuendalinaBor- ghese, che pel plauso con cui fu accolta pubblicai nel vol. VI, p. 41), nella stessa chiesa eresse nel sinistro lato la cappella di s. Rosalia vergine palermitana, per es- sere stata la provincia libera dalla pesti- lenza del cholera nel 1837. Seguì labe- nedizione della cappella, dell'altare e del quadro, come l'altro di egregio pittore, da mg. Annovazzi vescovo d'Anagni a' 25 settembre1840, per essere indisposto il vescovo diocesano, con quella straordinaria pompadescritta dal n.°83 del Dia. rio di Roma. In questa lieta circostanza, avendo l'encomiato dottore ottenuto che accettasse la protettoria di Gavignano il celebre cardinal Giuseppe Mezzofante, nominato daGregorio XVI, volle pren- derne il solenne possesso a 27 ottobre nel- la sala del comune,con quelle formalità e particolari riferiti nel citato Diario. Dirò solo,che gli fu eretto un arco trionfale con iscrizione dell'aurea penna di ing." Luca Pacifici (già Segretario delleLettere lati. ne,edora Segretario de' Brevia' principi, canonico Liberiano e di presente Vaticano), dal quale pure furono scritte le altre fatte in questa occasione. Tra'personag- gicherecaronsi a ossequiarel'illustre por- porato, nominerò mg. Lolli vice-legato di Velletri e ing. " Pecci delegatodi Bene- vento e ora cardinale. Luminarie, fuochi artificiali e l'elevazione di globo areosta- tico, accompagnaronol'esultanza de'gavi- guanesi; mentreil capitan Baiocco, ch'ebbe l'onore di dare decoroso alloggio al cardinale e ad altri personaggi, celebrò l'avvenimento con accademia, e dispensò limosine a'poveri. Inoltre il cardinale vol- le onorare la cappella domestica del ze- lantissimo ed encomiato arciprete d. Do. menico Gorga Cenciarelli, con recarsi a celebrarvi 3 volte la messa. I patroni di dette cappelle Baiocchi e Azzocchi otten- nerol'erezione della confraternita delle ss. Rosalia eFilomena,e pel 1. volle ascriversi tra' fratelli l'esimioporporato. Nel piano versoil nord e precisamentesulla via La- tina, sopra i ruderi d'una villa degli an- tichi romani e forse di Pompeo Magno, esiste un convento con chiesa di sempli- ce disegno detta di Rossilli, ove è in gran venerazione una divotae antichissima immagine dellaB.Vergine;e siccome quivi fu giàun'abbazia di monaci basiliani diGrot- taferrata, essi anni addietro ne doman. darono l'effigie incisa , accorrendovi a in- vocarne il patrocinio eziandio da lontani paesi, edi gavignanesi vi ricorrono in tut- ti i loro bisogni e con pubbliche processioni. I monaci di Rossilli possedevano l'istoria mss. di Gavignano, ma per le vi- cende politiche alcun secolo addietro ab VEL VEL 95 • bandonando il monastero e ritirandosi in quello celebre di Farfa, onde pare che fossero benedettini, si vuole che seco por- tassero tale scritto storico e lo depositassero in quel prezioso archivio, ove si cre. de esistere. Il monastero da' Papi fu di- chiarato commenda abbaziale, e da loro conferita a vari cardinali , gli ultimi de' quali furono i cardinali Borgia e Fonta- na. Indi fu unita alla mensa vescovile di Segni. Le altre chiese di Gavignano sono. La chiesa parrocchiale dedicata a s. Ma- ria Assunta in cielo, di modernacostru zione, al dire di Marocco; essa è elegan- te, con buon organo, e ben fornita di sagre suppellettili: bello è l'altare maggio- re tutto di marmi, come la balaustrata, con ornamenti di metallo dorati. Lachie- sa di s. Rocco, patrono principale di Ga- vignano , in cui si venera la miracolosa immagine della Madonna delle Grazie, di grande divozione anche de'convicini pae- si . Di s. Tommaso apostolo. Di s. Maria del Carmine, giuspadronato de Trajetti- Paggi . Gavignano ſu già feudo possedu to da vari signori. Leggo nelle Memorie Colonnesi del cav. Coppi. Di tale fami- glia celebratissima e potente, nel 1171 fio- rì un Giordano signoredi Gavignano, na- to da un Tolomeo conte del Tuscolo: fi- gli di Giordano furono Giovanni eTo- lomeo, che venderono a Papa Lucio III un casale del territorio di Lariano. Di tuttociò e con qualche variante ne feci cenno uel vol. XXVII, p. 199, e notando ancora che da questo 2.º ramo de'conti Tusculanie da detto signore di Gavigna no potè derivare lo stipite de' Conti (V.) di Segni, celebre e potente famiglia. Nel declinardel secolo XII vivevano Giovan- ni , Tolomeo, Giordano e Andrea , tutti Colonnesi figli di Giordano signoredi Gavignano. Quantoalla signoria de'Conti su Gavignano, narra il Ratti , Dellafamiglia Sforza, t. 2, p. 234, cheGiovanni Conti nipotedi Riccardo Conti fratellodi Papa Innocenzo III, con suo testamento del 1287 istituì il perpetuo fideicommis. so a favore de' primogeniti di sua fami- glia della signoria di Valmontone e al- tri feudi, e vi comprese Gabiniano ossia Gavignano. Tra' suoi legati , ordinò che si fondasse un monastero di monache in Valmontone , suo principale feudo , di- sponendo. Reliquit tria millia floreno. rumduc. expendenda infabrica, et edi- ficiismonasterii,quodappellarimanda. vitmonasterium s. Crucis, quodipseDo- minus caepit construere in castroValle- montonis , et compleri mandavit in ho- norem, et reverentiam s. Crucis pro sa- lute animae suae et remediopeccatorum suorum. Item reliquit ipsi monasterio pro vita, et alimentis quatuor domina- rum, duarum serventium, et unius sacerdotisfructus sui manualis, de quo ipse testator vivebat tempore , quo praesens condidit testamentum, quousque per i psum d. Adynulphum possessiones con- decentes emantur de propria pecunia di- cti d. Adynulphi extra ejus dominium ad opus, et utilitatem dicti monasterii viverepossintcommode.Rispetto alla fab brica summentovata, Papa Nicolò IV ad istanza del nominato Adinolfo Conti fi- glio di Giovanni, concesse monasterium deRoscillis ordinis s. Benedicti Segnin. dioec. , comechè adeo in spiritualibus, et temporalibus collapsum , quod nonnisi duo in eo monaci remanserunt, et verisimiliter non praesumitur, quodmona. sterium ipsum in suo possit ordine salu- briter reformari, onde il medesimo fosse sostituito a quello che Adinolfo era in ob. bligo di fabbricar di nuovo per adempie. re al pio legato del padre. Trovo altresì nel Coppi, che Giulio Colonna, unito al genero Napoleone Orsini e Giambattista Conti,malcontentidel governodiClemente VII, verso il 1530 occuparono Carpi- neto, Gavignano, Torricella e altre terre convicine. Sembra dunque che a quell'epoca Gavignano appartenesse alla camera apostolica. In seguito Gavignano di- venne feudo de' principi Pamphilj, da' quali passò a' principi Borghese Aldo- 96 VEL VEL 0 brandini. Riporta il n.º 93 del Diario di Roma del 1838, che a'22 ottobre Gavi- gnano fu onorata dalla visita del princi- pe d. Camillo Aldobrandini secondoge- nito de'Borghese, inviato dal principepa- dre a visitare le possessioni del principa- to Aldobrandini a lui assegnato. Fu in contrato e ricevuto da primari cittadini e ragguardevoli ecclesiastici , in mezzo al suono delle bande e allo sparo de'mor- tari. Il principe si fermò nella casa del capitan Baiocchi , e visitò la chiesa prin. cipale vagamente apparata, trovandonel. la pubblica piazza innalzato un arco con figure simboliche esprimenti le principa- li doti del giovane principe, con analoga iscrizione. Indi sovvenuti i poveri prose- guì il suo viaggio per Carpineto e Maenza, in mezzo all'acclamazioni del giubilante popolo. Tra gli edifizi numerosi di Gavignano si distinguono ił palazzo barona- le del medesimo principe Aldobrandini, ed i seguenti palazzi e primarie abitazio- ni . Quellode'marchesiTrajetti-Paggi,con affreschi in due volte, antichi e di buona mano. In una si vede espresso il cocchio d' Anfitrite tirato da cavalli marini , ed accompagnata nel mareda Tritonie Delfini , e da Ninfe coronate di fiori. Nell'altra volta si rappresenta la Primavera nel mezzo, con una moltitudinedi putti scher- zanti dentro un colonnato circondato da balaustre. Quello del capitan Baiocchi, con belle pitture del concittadino Seba- stiano Volpicelli celebre paesista. Altri pa- Jazzi e primarie abitazioni appartengono a'Gorga Cenciarelli, ed a'Marcelli giàdella famiglia Santucci di Gorga, nella qua. le fiorisce il cardinal Vincenzo. I Nardi pure hanno il proprio, e inoltre posseg. gonoun magnifico casino suburbano con adiacente chiesa pubblica. Nibby diceche Gavignano èil Gabinianum de'tempiromani. Crede il Calindri che nel territorio di Gavignano fosse la villa Gabinia, e che quivi si ritirarono gli scampati da Foro- nuovo, città di Sabina (V.), dopo la sua distruzione operata da'goti. Nel paese è comune tradizione che sorgesse la volsca città di Sacriporto e da cui derivò l'odier- na terra dopo che fu diroccata. Si vuole che propriamente giacesse un miglio di- stante nella parte settentrionale in lao- go basso , ove al presente si osservano qualche vestigia di sue antiche mura, cioè presso il santuario di Rossilli e adıa- centead un casale lastricato in alcune par- ti di musaico. Il Theuli nel Teatro histo. rico, a p. 40, dice che la città o castello di Sacriporto esisteva vicino a Segni , e forse colle sue rovine si fabbricò Gavi- gnano. In Sacriporto seguì la sanguinosa battaglia tra Silla e il console Mario il giovane figlio del famoso console di tal nome, incaricato dal senato di combatter-. lo , e vi morirono 25,000 soldati di Ma- rio. Il Ricchi nella Reggiade' Volscitrat- ta al cap. 22 di Sacriporto, ed anch'egli ritiene che dalle sue non ignobili rovine fosse edificata la terra diGavignano,dopo essere rimasta distrutta interamente nelle guerre civili. Afferma ch' era vicina a Segni, e racconta la nemorata micidiale battaglia. Però il Petrini nelle Memorie Prenestine narra a p. 34, che Sacripor- to era distante da Palestrina circa 7 uni- glia , e che nella pianura dı Pimpinara i due eserciti si trovarono a fronte. Disfat- to Mario si ritirò in Palestrina, e Pompeo Magno luogotenente di Silla impedì al- l'altroconsole Carbone di soccorrerlo; in- di seguì l'eccidio di Palestrina. Il Nibby nell'illustrare Sacriportus, luogo dive. nuto famoso per la rotta data da Silla all'esercito composto di romani e di sanniti del giovane Mario, e per le sue gravi efuneste conseguenze , sostiene che era dov'è la pianura di Pimpinara , ed ivi presero parte alla battaglia circa 150,000 uomini, battaglia tenuta come l'ultimo crollo dato alla fazione di Mario. Dopo quell'avvenimento Sacriporto non viene più ricordato, e rimane sempre dubbio, se debba riguardarsi come un vico , borgo, ovvero semplicementeuna contra- da. Conclude Nibby, che dopo Pimpina VEL VEL 97 ra si ha la pianura di Sacriporto, e la di ce lungi da Roma 30 miglia , 9 da Pale- strina e 4 dá Valmontone, a sinistra del- la via Latina. Ne'bassi tempi divenne Ca- strum Fluminaria, di cui il volgo ben presto fece Plumbinaria eda Plumbinaria derivò il nomedi Pimpinara. In una bolla di Lucio III del 1 181 si legge: In Ca. stro Plumbinariae Ecclesia s. Mariae, Ecclesia s. Anastasii, Ecclesia s. Nico- lai, monasterium s . Ceciliae etc. Questo monastero però è molto più antico, perchè in esso si ritirò nel1051, e finì di vi- vere Ottone abbate di Subiaco, il quale per evitare la giustizia di s. Leone IX, quando si portò a Subiaco, da questo era fuggito alla vicina Trevi, ne fu cacciato dagli abitanti , per cui passò nel monaste- ro di s. Cecilia e vi rimase sepolto. Diplom- binara riparlerò nel paragrafo Valmontone, per essere con essa divenuto signoria de' Conti (V.). Abbandonato il Castrum da più di 3 secoli, il tenimento è proprie. tàde' Doria-Pamphilj. I gavignanesi an- cora ricordano con divozione la missione nella loro terra cominciata dal b. Leonar- do daPorto Maurizio a 28 dicembre1733 eterminata a'6 del seguentegennaio. Riuscìubertosa di gran frutto, e si fecerodue processioni di penitenza, nella 1. andan- dosi alla chiesa diRossilli coll'abbate commendatario mg. Marcello Crescenzi poi cardinale, che vestito di sacco si discipli- nò per tutto il corso della processione con somma edificazione d'ognuno. Nella chie- sa fece il b. Leonardo una predica e vi e- resse la Via Crucis, e fu la 152.* delle da lui erette. Ritornato a Gavignano , com- parti la benedizione papale sulla piazza. La famiglia Nardi benefattrice de'religio- si riformati francescani, tiene a pio vanto l'avere ospitato il b. Leonardo. Il cho- Jera tornò ad affliggere lo stato pontificio nel 1854 e nel 1855, ma per l'intercessio nedella Madonna delle Grazie ne fu pre servata Gavignano, per cui in rendimen- to di grazie solennizzò una gran festa nel. Tottobre 1855, descritta a p. 1000 del VOL. LXXXIX. Giornale di Roma, pontificandovi il suo vescovo di Segni mg. Ricci . Vi ebbero pur luogo luminarie e fuochi d'artifizio, e sceltissime musiche nelle sagre funzioni e nella sala del marchese Traietto con accademia vocale e strumentale. Gavignano si pregia de'seguenti uomini illu- stri . Gio. Battista Cenciarelli legale rino . matissimo , e uditore generale di tutti i feudi della principesca casa Pamphilj. L'avv. d. Gaetano Sciarra fu celebre giu- reconsulto per le sue auree scritture. L'avv. d. Domenico Nardi fu giurecon- sulto che col suo merito fece molta fortu- na. Il d. Alessandro Volpicelli medico di collegio e forse professore nell'università romana. Il d. Ulderico Azzocchi medico primario nell' ospizio apostolico di s. Mi- chele, e padre de'sullodati mg. " Tomma- so e d. Pietro Paolo. 11 d. Luigi Sciarra medicodi sommo credito. Il capitanFran- cesco Baiocchi assai solerte nella mercatura di campagna , e rinomato in tutta la provincia specialmente per essere sta- to provveditore dell' annona di Roma e dell'abbondanza di Velletri , per cui te- neva in diversi punti della provincia a suo carico parecchi granai. Il marchese Leonardo Traietto, dopo aver occupato varie cariche onorifiche, fu eletto membrodel corpo legislativo in Parigi. Il pre- latomg. Giuseppe de'marchesi Traietto fu vice-legato nelle Romagne, e fuuse al- tre cariche in Roma. Nel n. 30 del Diario di Roma del 1831 si legge la necrolo- gia del valoroso militare Giambattista Azzocchi Salvi, il quale entrò per genio nel. l'esercito inglese, e da semplice soldato per le prodezze operate in Italia, inFran- cia, in Egitto giunse al grado di tenente de' granatieri sotto lord Bentinck. Nel 1816 col grado medesimo aminesso net- le truppe pontificie, divenne 1.º tenente dellar." compagnia de cacciatori. Allape- rizia militare congiunse la fedeltà e sin. golar fortezza. Il sacerdote d. Giuseppe Marcelli a pieni voti fu ammesso tra'can- tori pontificii, e siccome peritissimo nel7 98 VEL VEL la musica ecclesiastica e dotato dalla natura di bellissima, sonora e robustissima voceda tenore, per l'estensione di essa ne' 35 anni che appartenne con generale plauso e straordinario impegno a quel- l'insigne collegio, fu contrastato da'cantori contralti, i quali ambivano averlo fra loro. Per 30 anni e conimproba fatica cantò il Passio nella gran cappella pon- tificia e nella vastissima basilica Vatica- na, ammirato anco dagli stranieri pel singolare corpo di voce uniformemente so- stenuta dal principio al fine. Mori in Roma nel 1852 troppo presto d'auní 66 nel- la casa di s. Agnese al foro Agonale, e in quella splendida chiesa gli furono celebra- ti i solenni funerali, colle onorificenzepro prie de' Cantori della Cappella pontificia; indi fu sepolto nella magnifica chie- sa di s. Maria in Vallicella per cura del l'egregio sacerdote nipote, il quale ha comunecon esso il nome e il cognome.Questi poi a sfogo di dolore e di affetto, ed in. sieme a memoria perenne delle virtù che ornarono l'illustre zio, in Gavignano nel la sala della propria casa pose il suo ri- tratto somigliantissimo, dipintoa olio con decorosa iscrizione latina , in cui giusta mente ne celebra, oltre il valore nell'artedel canto sagro, la tenera pietà, la carità pel prossimo, l'ardentissimo amor patrio e pe'suoi parenti. Ed io che per21 auni l'intesi a cantare con ammirazione nelle funzioni pontificie , godo qui ren- dergli quest' imperituro tributo storico. Fra' viventi gavignanesi che illustranola patria,mipiacefar menzione di Venceslao figliodel sullodato capitanoBaiocchi, va- lente scultore in avorio, che meritò ese. guire lavorazioni per Gregorio XVI, per l'infanta di Spagna M." Luisa Carlotta di Borboneprincipessa di Sassonia, e peral- tri personaggi. QuandoGregorio XVInel 1843 intraprese il suo viaggio sulla via Casilina nel recarsi a Frosinone e Vel- letri,ilgavignanese Giuseppe Manni, poi priore municipale di sua patria, lo cele- brò con un sonetto stampato che gli presentò, avendoinventato edelineato l'arcotrionfale eretto al Papa dal comune di Lugnano, come dirò in quel paragrafo . DiceCalindri, che i principali prodotti di Gavignano sono il grano, il granturco e il vino. Gorga. Comune della diocesi d'Anagni, da cui è distante 9 miglia, 6 da Car- pineto e 40 da Roma, con territorio in monte, in colle ein piano. Giace sopra un monte di clima sanissimo, ove respirasi aria assai pura ed elastica, i cuit 100 abitanti Marocco li qualifica di carattere piuttosto dolce, applicati alla coltura e alla pastorizia. Il fabbricato è su d'una rupe nella sommità del monte espo- sto al mezzodi, e viene riparato dall'im peto de'venti meridionalidalle cime più elevate dello stesso monte, tutte vestite per lo più di faggi, tra'quali trovansi ancora l'agrifoglio e il frassino. Ha Gorga sufficientie buone acque sorgive di vena, le quali discendendo pel senodelle som. mità che la contornano, vanno a raccogliersi in alcuni pozzi esistenti nelle in- terpostepiccole vallate. Tale è l'eccellen- za di queste acque, che alcuno dopo osservazioni le trovò migliori di quelle di Roma. Estesissima e insieme assai amena e dilettevole è la visuale di Gorgadal lato di ponente, ove quasi per un canale divergente formato da due lati della montagua, la vista rapida percorre il sot- toposto vastissimo piano, racchiuso dal doppio ramo de' sub-Apennini, discer- nendo nella catena deʼmonti a sinistra la città di Segni, Rocca Priora, la Colonna, e nella catena destra il Piglio, il Serrone, Paliano, Olevano, Rojate, Genazza- no e altri paesi sino a Palestrina, mentre nel mezzo alla pianura vede sorgere Ga- vignano,Valmontonee Lugnano,perden- dosi poi la pittoresca visuale nell'alto So- ratte e ne'monti Cimini. La città d' A- nagni, Anticoli, Fumone e altri luoghi si vedono da una vicina sommità detta il Calvarioperchè appunto la sua vetta for- mata da massi calcarei è calva e d'ogni VEL VEL 99 verdura spogliata. Gorga confina conA. nagni, fra levante e tramontana con VillaMagna e la tenuta di Monte Longo già terra e ora diruta affatto; con Montelanico e Carpineto, fra ponente e mezzo- giorno; a levante colla Sgurgola e Moro lo. Gorga ha l'accesso per due sole porte, ed è inaccessibile in altri punti sì per la rupe sulla quale trovasi edificata, cheper le mura costruite in alcuni lati all' intorno. Le vie interne sono anguste e sco- scese, meno una di mezzo alquanto agia- ta. Haduechiese parrocchiali, la matri- ce coll'arciprete e due beneficiati, secon- do De Magistris, dedicata a s. Michele Arcangelo; l'altra è sagra a s. Maria col. l'abbate e due chierici beneficiati, al di- re di tale scrittore. Vi è pure la chiesa di s. Domenico protettore di Gorga. La chiesa piùdecente èquella matrice, den- tro la quale sonodi buoni pennelli, il qua- dro dell'Immacolata Concezione, i freschi rappresentanti il battesimo di Ge- sù Cristo, ed il Salvatore medesimo espresso in tavola. Non mancano le pub- bliche scuole elementari per l'istruzione de'giovanetti, e le maestre pie per quella delledonzelle, mantenutedalla principe. sca famiglia Doria-Pamphilj signoradel luogo. Riferisce De Magistris nell' Istoria della cittàe s. Basilica cattedrale d'A- nagni e delle cose più ragguardevoli della diocesi, che Gorga, secondo le tra- dizioni più sicure, riconosce dal caso la sua origine, poichè cominciossi a fabbricare dagli antichi cacciatori della cit- tà d'Anagni, per avere un ricovero nella caccia de'cinghiali, che vi facevano in un ristagno d'acqua tra queʼmonti, e perciò si disse Gorga. Imperocchè dicesi gorga e gorgo il luogo dove l'acqua che corre èin parte ritenuta da checchessia, e ri gira per trovare esito ; edanco quel sito dove l'acqua abbia maggior profondità, ovvero un ricettacolo profondo d'acqua stagnante. Il luogo divenne signoria del la nobile famiglia anagnina Berziamia- nao Bertiamina. Dipoi ilcastello diGor. ga pervenne in possesso feudale del celebre monastero e badia de'ss. Pietro e Paolo di Villa Magna, dal quale si ac- quistò condueatti chesi conservano nel- l'archivio capitolare d'Anagni. La metà gli fu donata daBoeso figliodi Bertiamino nobile anagnino nel 1 151 , e l'altra metà la venderono al monastero Adinolfo ca- nonico della cattedrale d'Anagni , e An- drea suo nipote nel 1236. In seguito Bo. nifacio VIII incorporò alla cattedrale a. nagnina il monastero e castello di Villa Magna colle sue pertinenze inclusiva- mente al castellodi Gorga, siccome rac- conta De Magistris. Questi inoltre nar- ra, che nel1398 Villa Magna fu brucia- ta da'gorgani, e perciò venne ridotta a coltura, ritenendo il capitolo della catte. drale di Anagni la giurisdizione e il tito- lo baronale , onde vi deputava il gover- natore per le controversie civili e crimi- nali. Benedetto XIV confermò la concessione fatta alla cattedrale di Anagni da Bonifacio VIII, e la giurisdizione tempo- rale con amplissima bolla. Di Gorga pe- rò, dice lo stesso DeMagistris, soltanto si conosce, che ne fu spogliata la chiesa di Anagni, passò in potere di Evandro Con- ti(in fatti nell'articolo di tal famiglia l'e- numerai tra' feudi che alla medesima confermò Martino Vnel 1428), e poscia in quello de'principi Pamphilj. Di Villa Magna, oltre il riferito in principio, ne parlai nel vol. XXVII, p. 274 e altrove, e perciò anche del Castrum Gurgae, che Urbano II nel 1088 avea assegnato con altri castelli al vescovo d'Anagni. Il Marocco ne'Monumenti dello stato pontifi- cio, t. 5, p. 37, riporta le frazioni di la- pidi che rinvenne in Gorga presso la di- stinta famiglia Santucci, nella quale fio- risce il cardinal Vincenzo diacono di s. MariaadMartyres (celebre Tempiodel Pantheon), aggregato al Sagro collegio a'7 marzo 1853, come registrai in tale ar- ticolo, prefetto della congregazione degli studi, onde ne ragionai nell'articolo Unt VERSITA ROMANA, protettoredi Segni (P.), 100 VEL VEL e visitatorede'ministri degl'infermi . Il n.º go del Giornale di Roma del 1853 rife- risce i festeggiamenti di Gorga per essere venuta in farpa per l'onore grandissimo derivato nel vedere sublimato all'altissi- madignità della porpora il suo beneme- rito concittadino, per avere assai merita to della Religione e dello Stato; ed il bene fatto sempre da lui alla patria venne ri- cordato nell'iscrizione che riporta, posta sulla porta esteriore della chiesa di s. Michele Arcangelo, ove fu cantata solenne messa e il Te Deum. Sulla piazza della Porta venne innalzato un arco trionfale coll'armi pontificia, del cardinale e del co- mune. Un concerto musicale, globi areo- statici, generali luminarie e fuochi d'arti- fizio accrebbero la gioia universale. Sa rebbero continuate le dimostrazioni festive due altri giorni, se il cardinal San- tucci non avesse mostrato piacergli assai più, che il denaro a ciò destinato si distri- buisse a' bisognosi, mentre egli già avea soccorso i meno agiati del popolo e dota- to due zitelle. Il territorio di Gorga tut- tora è acconcio alla caccia , e talvolta vi si conducono anche que'de' vicini paesi . In esso si trovano l'issopo, la genziana , il ser- pallo, la felicola virgiliana, ed altre pian- te utili e aromatiche. Il latte e i prodotti del medesimo sono delicatissimi e saporosi, ed in quelle vicinanze sono assai ap- prezzatealcunecaciottine formate col fior di latte di capra. In alcune contrade del medesimo territorio vengono coltivati gli ulivi , da'quali si ricava un olio finissimo , come descrive Marocco. Il Calindri poidi- ce che i suoi maggiori prodotti sono il vi- no, il grano, il granturco, la ghianda, il fieno. Montelanico. Comune della diocesi di Segni con territorio in moute e colle, cin. to a breve distanza dall' alte montagne Lepine. Giace su d'un colle espostoa le vante , e circondato da diversi altri colli vestiti d'utili castagneti. Ha due parroc- chie, una col titolo d'arcipretura dedica- to a s. Michele Arcangelo, ch'è il principale protettore della terra, ed è più an- tica e più piccola dell'altra. Questa è sot- to l'invocazione di s. Pietro Apostolo col titolo d'abbazia, ed è la maggiore, rifab- bricata conbuon disegnoda'principiPam- philj , per essere stata la vecchia nel 1703 in parte rovinata dal terremoto. Nell'an- tico paese entravasi per due porte , una chiamata del Pedianato, l'altra di Corte vecchia, ma ora vi si entra senza di esse, poichè le mora castellane vengono costituite dall' abitazioni. Fuori dell' antico Montelanico si costruirono due graziosi borghi con de'buoni fabbricati. Le stra- de interne sono in piano , ma bisognose di risarcimento, almeno al tempo in cui visitò il paese Marocco. In capo d'uno de ' due borghi trovasi un'altra chiesa sagra alla Madonna delle Grazie, ov'è eretta la confraternita del Gonfalone , ed in essa meritano osservazione diversi buoni qua- dis dipinti in tela. Altra piccola chiesa in detto borgo è dedicata a s. Antoniodi Padova, edificata da Francesco Tigri, uffi- ciata da'confrati dell'Immacolata Conce- zione. Fuori della terra e prima di sali - re il colle in cui è situata, esiste un tem - pio in onore della ss. Vergine del Soccor- so , e vi stanzia un eremita a custodirla. Il paese abbonda d' acque salubri nelle sue vicinanze , e con gran facilità si potrebbero condottare fino nel centro del medesimo. Incontro a Montelanicoesisto . no delle fabbriche dirute, nel luogo chiamato Pruni, distrutto in tempo delle guer- re civili . Perciò afferma Calindri, cheMontelanico venne fondata da una porzione de'popoli scampati dall'eccidio di Pruni. Auticamente Montelanico apparteneva al capitolo dell'arcibasilica Lateranense, quindi ne divenne signora la potente fa- miglia Conti , che per tal dominio avea l'illustre titolo di ducato, e in tale artico- lo dissi che Martino Vnel 1428 le con- fermò il possesso di Montis Lanici. In se- guito passò per vendita in potere de'prin- cipi Barberini, da quali l' acquistarono i i principi Pamphilj, e poscia per eredità VEL VEL 101 ein mancanza di linea mascolina perven. ne nella signoria de'Doria Pamphilj, che tuttora lo posseggono con titolo di duca. I popolani nella maggior parte ritraggono molto utile da diverse ottime fabbriche di mattoni e tegole , di cui si provvedo. no tutti i paesi convicini, ed abbonda é . ziaudio d' eccellente pozzolana eguale a quella di Roma, che pure si trasporta in molti luoghi per fabbricare. Nel territo- rio si raccoglie vino, grano, granturco, le gumi, olio , castagne , ghiande, faggi in quantità, ed ha buoni pascoli . Governo di Sezze. Sezze(I.), città vescovile, conresiden. za del vescovo e del governatore. Bassiano.Comune della diocesi di Sezze, con territorio in colle, posto indelizio sa collina fia Sermoneta e Sezze da cui è 5miglia distante, ma pergiungervi-dal- la parte di Sermoneta devesi salire un'al- pestre montagna con non poca difficol tà, specialmente per la così detta accor- ciatora, la quale è pericolosa nell'intem. perie, non trovandosi alcun ricovero per rifugiarsi. Alla discesa opposta di questa montagna si scorge Bassiano , che gode clıma salubre, poichè il monte della Tri nità lo ripara dall' esalazioni delle Palu di Poutine, che sono situate verso mez. zogiorno, dal quale lato si vede il Medi- terraneo. E circondato quest' antico castello di mura, che all'intorno sono guar. nite di vari baloardi costruiti nel medio evo, e viene coronato dalle montagneLe pine e Setine vestite di folte selve, come da eccellenti pascoli e da amene vallate, dove stanziano gl'industri pastori co' loro arınenti, irrigate da limpidissime acque, delle quali i popolani non mancano. E' un paese con sufficiente numerodi fab- bricati, i cui abitanti, secondo Marocco alquanto ignei , ascendevano nel 1853 a 1743. Vi sono due parrocchie con proprie chiese collegiate co'rispettivi capito- Ji. Una è dedicata a s. Erasmo, in cui è osservabile il quadro esprimente il Sagro Cuore di Gesù del Cavallucci: il capitolo si compone dell'arciprete e di 6 cano- nici. Pio VHcol breve Romanorum Pon- tificum, de'30 giugno1807, Bull. Rom. cont. t. 13, p.170: Indultum concessum Canonicis Ecclesiae Collegiatae matricis s. Erasmi terrae de Bassiano Seti- nae dioecesis utendi roccheto et mozzeta violacei coloris, cum asulis et globu- lis cremisini coloris. L'altra chiesa è sa- gra a s. Nicola, in cui sono pregievoli una tavola col Salvatore di Sicciolante, ed un bel Volto Santo d'antico stile: il capitolo si compone del curato col titolo d'abbate con 5 canonici. Pio VII col breve Romanorum Pontificum, de 7 agosto 1807, Bull. cit. p. 199 : Communicatio privi- legii concessi Capitularibus s. Erasmi terrae Bassiani dioecesis Setinae utendi roccheto et mozzeta, favore canonicorum Ecclesiae Collegiatae s. Nicolai ejusdem terrae. Il Contatore, Dehisto- ria Terracinensi, a p. 428, tratta di Bas- sianum, dicendola della diocesi di Terra . cina, in quanto che dessa è unita a quel- la di Sezze, e delle due discorse collegia. te e loro capitoli. Anticamente a breve distanza da Bassiano eravi un monastero di benedettini , nel luogo denominato s. Mariadelle Pezze, ed ora è affatto diruto. Lontano circa due miglia e mezzo da Bassiano, nella falda del monte verso Norma, è un romitorio già asilo degli eretici Fraticelli ( V.),i quali empiamente si ser vivano delle cose religiose nella solitudi . ne, per commettere ogni sorta d'iniqui- tà. Al presente tale sito è frequentatissimo per esservi in venerazione un commovente ss. Crocèfisso, che oltre il meritare tutto il profondo ossequio per ciò che esprime, èdegno pured'ammirazione per le sue belle forme. Esso è di legno in fi- gura naturale, e sembra che gli manchi la loquela. Lo scolpì nel 1673 il bassianese fr. Viucenzo Pietrosanti laico de'minori osservanti, che eseguì ancora quello celebratissimo che si venera in Nemi, co- medissi descrivendo quelcastello nelvol. XXIX, p. 34. Per salire alla cappella det 102 VEL VEL ss. Crocefisso diBassiano, si passa peruna ampia grotta, pittorica pegli scherzi for. mati dalla natura collo stillicidio dell'acque, dove anticamente eravi un altare e varie ss. Immagini all'intorno dipinte, mentre serviva di chiesa agli scellerati fra ticelli, che colle loro indegne azioni sovente lo profanavano, com'è tradizione tra gli abitanti. Nel paese vi sono due mae- stri, uno per gli elementi del leggereescri- vere, l'altro da tali elementi a tutta la grammatica. Le fanciulle vengono istrui. te dalle maestre pie. Il Ricchi tanto nel- la Reggia de' Volsci, lib. 1 , cap. 5, Bassia no; quanto nel Teatro degli uomini il. lustri Volsci, cap. 7, Soggetti illustri di Bassiano, non meno del citato Conta- tore, parla di sua remota origine cogli scrittori che ne trattano. Si vuole per- tanto che ivi in certe spelonche o latiboli si rifugio e abitò la 1. volta Saturno fa moso redel Lazio, quando fuggitodaCre ta, dove regnava Giove suo figlio, venne in Italia, prendendo il nome di Lazio la provincia da lui abitata, ed ivi cominciò a istruire i popoli nella civiltà, nell'edi- ficarefabbriche, nel piantar vigne ec. Che ne'dintorni di Bassiano eresse i primi edifizi, indi ritiratosi con Giano, diè principio a Saturnia , poi nomata Roma. Si ritiene ancora che a testimonio dell'aver dimorato Saturno nelle grotte di Bassiano, dopochè fu deificato gli venne innalzato un tempio nella vicina Sezze. Da un'o. razione di Favonio Leo privernate, pronunziata nel pieno senato di Priverno, og. gi Piperno, si apprende che Bassiano fu fabbricato ed ebbe il nome da Bassiano Caracalla. Non mancano però scrittori i quali riferiscono essere stato prima que- stoluogo un nobile villaggio di TitoGiu- lio Petino Bassiano signore o patronodel. la colonia di Terracina, dove di frequente recavasi a divertire coll'amenità di magnifica e deliziosa villa ne'tempi estivi, nel sito ove sorge Bassiano; ed ampliato- lo di mura, crebbe progressivamente col nome del fondatore. Ne fanno fede due iscrizioni riportate dal Grutero, ed altra presso il Fabretti, e riprodotte da Ricchi. Questo castello è compreso nella signoria de'principi Caetani duchi di Sermoneta, e contiene la loro abitazione baronale. II Nicolai, Deʼbonificamentidelle terrePon- tine, a p. 113, ragiona . delle liti so. stenute dal comune pe'coufini territoriali delle signorie de'Caetani con Sezze ( V.), riferisce che nel 1297 Bassiano con altri feudi furono acquistati dagli Annibalde- schi per comprita de' Caetanis II Ricchi riporta i seguenti illustri di Bassiano. Fr. Pietro domenicano,celebre espositore del. la divina parola, erudito, pio e dotto, fatto vescovo di Venafro da Clemente VI nel 1348. Fr. Vincenzo provinciale e definitore generale de' minori osservanti, dottoe virtuoso. Fr. Vincenzo Marra, co- me lo chiama, cioè il sullodato e denominato col Marocco Pietrosanti, laico di detto ordine, il quale si segnalò nella santità di vita e nell'arte scultoria con ammirazione de' professori, come attestano le sue opere eccellentissime deʼmiracolo- si Crocefissi esposti alla pubblica vene- razionede'bassianesi e nemisini, ed anche di Sezze e di Civitella di Subiaco, che eccitano tenera compunzione; il nobilissimo refettorio mirabilmente scolpito con va ri misteri nel convento de'minori osservanti di s. Francescodi Cori, poi noviziato de'medesimi religiosi. Antonio Cifra e l'abbateRieti furono decantati nella scienza musicale. Il d. Antonio Sant' Angeli dotto medico in Roma, autore del libro intitolato: Consolationes Epistulares et Medicae. Dice inoltre il Ricchi che a suo tempo in Bassiano l'illustre famiglia de Giorgi gareggiava in agiatezza, civiltà e gentili costumi con ogni altra de'contor. ni. Gloria grande e immortale di Bassia . no, non conosciuta dal Ricchi, si è d'es- ser stata la patria del famoso Aldo Pio Manuzio il Vecchio , nome tanto rinomato ne'fasti della letteratura italiana e benemerito dell'arte della Stampa. Sul muro della casa Santangeli di Bassiano si VEL VEL 103 legge l'epigrafe: Aldo Manutio Bassia- nati, Antonius Hyacinthus Sanctangeli D.D.D. MDCCXLVII. Nell'articolo BRAC- CIANO , di cui meglio riparlai nel vol. LVIII, p. 121 , errai nel dire: » Si diceche il famoso tipografo Aldo Manuzio abbia sortito i natali in Bracciano". Questo fal- lo inavvertentemente locopiai nell' arti- colo Bracciano del pregievolissimo Nuo- vo Dizionario geografico universale di una società di dotti, Venezia 1827, da' tipi di Giuseppe Antonelli. Ivi si legge: » Vogliono alcuni che sia la patria del famoso tipografo Aldo Manuzio ". Però nel riparlare di proposito dell' insigne e dotto letterato- tipografo, fatto cittadino romano, ma di Bassiano, che meritò un busto marmoreo in Campidoglio (e lo ri- marcai anche nel vol. LXXXV, p. 208), come de'suoi illustri e non men dotti figlio e nipote, celebrando la Stampa e la Stamperia, in tali articoli esplicitamen- te e ripetutamente lo dissi originario di Bassiano presso Sermoneta nellalegazione di Velletri, per indicare che in que st'articolo avrei dette altre poche parole di lui ede'suoi. Fu dunque ne'citati articoli e altrove, che celebrai gli Aldi dottissimi e benemeriti della stampa e della stamperia romanaeveneta, non che del- le lettere greche e latine , e di quanto principalmente operarono con alti e dovuti encomi . Aldo Pio Manuzioil Vec chio, nato nel 447 in Bassiano nel duca todi Sermoneta, fu battezzato col nome di Teobaldo, di cui il diminutivo èAldo, al quale aggiunse il nome di Pio in segno d'affezione verso Alberto Pio, principe di Carpi, suo allievo. Ebbe fanciulloa maestro un pedante , e poi a Roma migliori maestri . Compiti gli studi, si condusse a Ferrara per udire il Guarini dottogreci- sta . Nel 1482 passò presso Pico della Mirandola, che l'accolse con ogni amore; in. di a Carpi da Alberto Pio, dove lo segui. tò Pico, e dove secondo ogui probabilità concepì il disegno d'istituire una stampe. ria, che moltiplicassele migliori operede' greci e latini , i due principi sostenendo le prime spese dello stabilimento. Perciò nel 1488 recossi a Venezia, dove in quel tem- po l'amore dell'arti fioriva, dove que' re giàmercanti amavano convocare ogni spe- cie di buona ebella opera, doves'agitava- no ancora gl'interessi commerciali europei. Si produsse in mododegno di lui, in modo di poter guarentire la bontà delle sue edizioni , cioè pubblicamente inse- gnando greco e latino, eordinando in pa- ri tempo la sua officina tipografica , che tosto sali a imperitura rinomanza. Egli leggeva , o per meglio dire dicifrava gli antichi codici ; egli li paragonava fra loro, sceglieva le migliori lezioni, o suppliva alle ommissioni de'copisti; egli poi prov- vedeva alla corretta stampa e all' elegan- za de' caratteri. Questo grand' uomo diresse la formazione d' un nuovo carattere, l'Aldino, disegnato e inciso da Fran- cesco Bologna,dettoimitazione della scrit- tura di Petrarca. Amicodi tutti i dotti di quella dottissima epoca, cui degnavano visitare i veneti senatori , si mise in capo diradunare nella sua casa un' accademia di scienze in Venezia, che per lui si disse Aldina- Manuziana, col precipuo scopo di presiedere all'edizione de'classici e renderlaquanto più si potesse elegantee corretta : ad essa appartenne il fiore de' letterati di quella feconda età. E fu lat.ª alla quale diede l'impressione di più opere classiche, greche e latine. NonostanteManuzio fu sempre travagliato dalla fortuna, che rare volte favorisce gli scenziati. Terminò in Venezia la sua agitata vita, pieno di gloria nel 1517, lasciando una figlia e 3 figli, de'quali soltanto Paolo ivi nato nel 1512 camminò sulle sue traccie. Egli adornava i suoi libri di prefazioni e dissertazioni , dettate in elegante latino o greco. Egli fece vari altri lavori , come traduzioni , compilazioni ec. Onde sareb- betra'dotti primari del secolo, se non fosse il principe degli stampatori. APaolo Ma- nuzio veneziano , originario di Bassiano, gli amici del padre gli agevolarono ogni 104 VEL VEL maniera di studio. Imitando il padre, ten- tò vivificare la morta accademia AldinaManuziana, ne raccolse i dotti epubbli- cò molti classici latini, con amoreda lui illustrati. Visitata Roma, nel ritornoaVe nezia riaprì la stamperia sotto il nome de'figli d'Aldo, e rivisse all'antico splen. dore. Chiamato a Roma, apri la stampe- ria nel Campidoglio, nello stesso palazzo del popolo romano,degnoalbergodeldottissimo stampatore, ed ove nell'areopago de'sommi dotti e artisti dal 1821 trionfa l'erma marinorea del padre suo. Paolo morì in Roma nel 1574. Come stampatore e editore eguagliò il genitore; come autore è uno de'migliori critici e degli scrittori più forbiti del secolo . Il suo pri- mogenito Aldo Manuzio il Giovane, nato a Venezia nel1547, da fanciullo fu straordinario, da uomo fu mediocre. Di. resse in patria la stamperia Aldina , indi fu professoredi belle lettere, e d'eloquen- za in Bologna, Pisa e Roma, ove Clemen te VIII gli affidò la direzione della Stam. peria Vaticana. In Roma cessò di vivere Del 1597, terminando con lui l'illustre fa miglia degli Aldi, a cui Bassiano vantasi aver dato la culla. Aveva tenace memo ria e molta erudizione , ma minor gusto del padre. Il territorio di Bassiano pro- duce in gran parte vino e di buona qua- lità , poco grano e olio, ghianda e pascoli. Confinaalevante colla città di Sezze,a po nentecon Sermoneta, a tramontana con Cori e Norma, a mezzogiorno colle Pa ludi Pontine. Norma ( V.). Comune della diocesi di Velletri, dacui è distanter 7 miglia egda Sezze, e non della diocesi di Terracina, come riferisceil Riparto territoriale pub- blicato nel 1836, con territorio in monte. Nel suo citato articolo ragionai dell' illu. stre e antica città di Norba, a cui successe l'odierno castello di Norma, coloniad'Al- ba e poi di Roma, fortezza de'volsciede' romani; in seguito patrimonio della s. Se de con Ninfa , al modo narrato di sopra in quel paragrafo; indi sedę vescovile, la quale per la decaduta città si trasferì a Ninfa, e per la rovina di questa alla sua volta gli abitanti passarono nel castellodi Norma, fabbricato presso Norba antica. Dissidi sue chiese,e collegiata parrocchia- le della ss. Annunziata con capitolo; degli autori che ne scrissero, oltre altre no tizie , alle quali qui farò un' aggiunta. E fabbricata sul ciglione d'elevato monte poco lontana dall'antica Norba città volśca, una delle prime colonie ramane, del- la quale ancora si ammirano i grandiosi vestigi di baloardi, di mura, di cisterne e altre memorie che ne ricordano la sua grandezza. La posizione di questa terra è deliziosa, in arią saluberrima, talvoltaincostante per la sua elevatezza . Domina tutte le Paludi Pontine, e scopre gran tratto del marTirreno; mira la corsadella via Appia, ede' fiumi Astura e Ninfa. Dice Calindri, che delle sue mura, delle porte e della pianta ne furono pubblicati i disegni a' giorni nostri. Osserva il Marocco, che l'alto montesu cui giace dal lato di ponente forma una rupe sorpren- dente chiamata Rave, ove propriamente è il castello. L'interne vie sono scoscese e anguste, però qualcuna è in piano, ed ha una bella borgata moderna fuori della porta che conduce a Civita o l'antica Nor- ba.Eopinione, che dove esiste la presen- te terra, vi fosse l'antica fortezza della di- strutta magnifica città. Mancadi pubbli- chefonti, e gli abitanti bevono acque pio- vane, conservate e purificate in mirabili cisterne formate nel vivo scoglio a forza di scalpello. Nondimeno alla distanza di circa 4miglia vi è una sorgente d'acqua limpidissima, che si potrebbefacilmente con- dottare con grande vantaggio pubblico. Pergiungere a questo paese è faticosissima la salita, che dal Ninfa comincia e pro. gredisce per due abbondanti miglia. In Norma vi sono le maestre pie per l'istru- zione delle fanciulle, e pe'giovanetti le scuole di leggere e scrivere fino a' primi rudimenti della grammatica. Si vedonoi ruderi dell' autica e superba città di Nor- VEL VEL 105 ba, che conserva il nomedi Civita, poco distanti dall'attuale terra, cui danno i popolani l'aggiuntodi Pennad'oro, chia- mandola Civita Pennad'oro. Per anda. re alle sue rovines' incontra nel sinistro lato della via un'ampia e pittorica grotta formata dallo stillicidio dell'acque, chein alcuni luoghi hannocostituite molte so- stanze calcaree, e quasi tutta è ricoperta da unapatina verdastra. A'fianchi vi so- no diverse piccole grotte, e tutte formate nel masso. Nel piano di Norba si osserva- nogli avanzi d' unantico tempio ed'un rimasuglio di cappella a destra, interrita fino allacornice della cupola,la qualecon servasi mirabilmente intera. La città di Norba era molto estesa e siedeva in piano, benchè sulla cima di alta e alpestre montagna, nè vi è palmo di terreno che non faccia intendere co' miseri avanzi che lo copre la sua antica magnificenza. Aveale mura castellane altissime e formate per cozzare co'secoli, compostedi grossissime pietre, dalla parte di mezzodi meglio os . servandosene la forma e l'estensione.Il suo circuitosi calcola 30 rubbia di terreno, e grandioso è l'ingresso d'una dell'antiche porte. Un'antica lapidesi legge in Marocco. Sul pendiodel monte sorgeva il Ninfeo o tempio in cui le Ninfe aveano culto. Ebbe i suoi uomini illustri, anche per va- lore militare. I normani ebbero più vol. te guerra con Terracina. Donata la pre- sente Norma a Papa s. Zaccaria,conNinfa, trovo nelle Memorie Colonnesi del Coppi, che Alessandro III nel 1179 diè a Rainone di Tusculano e suoi eredi , me- diante permuta del castello di Lariano e col consenso de'cardinali, Norma e Vicolocon tutte le sue pertinenze. Dipoi a' 29 aprile1297 Norma fu comprata a favore diPietro Caetani, e Bonifacio VIII appro. vò il contratto a'4 ottobre 1298. Indi i Caetani sostennerole liti pe confiniterrito- riali con Sezze. Finalmente Norma divenne proprietà de' principi Borghese, e lo è tuttora. Un tempo fu signoria de' Norme- sini di Sezze, onde ne trassero il cogno me. Il territo rio produce olio e grano, essendo il terreno breccioso e scoglioso, ghianda, vino e pascoli. All'intorno sono vestiti i monti dafolte macchie e castagneti, che rendono molta utilità a' popolani, sebbene traggano la piùpartedel lovo so stentamento dalla coltivazionedel feracis. simo territorio di Sermoneta, ove hanno la massima parte di loro possidenza. Sermoneta. Città e comune della diocesidi Terracinae vice-governo, con mol- ti fabbricati e territorio in monte e colle. Poco lungi dal famoso Ninfeo, tra Nor- ma e Sezze, dalla quale è distante 6miglia, di prospetto al mar Tirreno verso illato ditramontana, ed a levante de'monti di Bassiano, giace su alto colle Sermo- neta, circondata da erte pendici, in clima pocosalubre, massime nell'estate, perdominarvi lo scirocco e l'umidità, e perchè idetti monti bassianesi impediscono la libera ventilazione a ponente , dalla qual parte vastissima, amenissima e fertilissi ma pianura si estende, la quale si congiunge colle Paludi Pontine(V.); godendo ampia epittorica vista d'ogni intorno, poichè propriamente è cinta di montagne, a settentrione di Norma, Carpineto e Çori, ed a mezzodì da quelle di Sezze e di s. Felice. Gli abitanti , principalmen- te dediti a' lavori campestri e alla pesca, il Marocco li noverò 2200, ma la Sta- tistica del 1853 ne registro1447. E' mu- nita d' intorno di baloardi , torri e alte. mura robuste. Per natura di sito è fortissima e per la struttura della fortezza fu già inespugnabile e munitissima . A Ser- moneta rende il maggior decoro la sua rocca, ove un tempo furono rinchiusi anco i rei di stato. Sovrasta tutto il paese, al nord guarda la montagna di Carpine- toa mezzogiorno quellediBassiano, edal- la sua sommità si osservano molti luoghi della campagna. Il suo maschio è vera. mente maestoso, di forma quadrata, alto 96 palmi, e sulla vetta il piano è per o- gni lato12 passi, ed alt. piano del me- desimo vi è una piazzetta co luoghi pe' 106 VEL VEL cannoni, ed all'intorno finestre di forma gotica. Imuri sono erti 12 palmi, e quel li del maschio di più antica costruzione all'uso saracinesco: dentro vi stanno co- modissime stanze, una vasta sala e le pri gioni, che non mancano nelle ale de' ba- luardi, e forti merli l'abbelliscono all'in- torno. Cinque emissari guardano la sot. toposta piazza, per le spingarde, e 8 aper. turepe'cannoni. Annessi al maschio vi sono pure baloardi, e nel piano del 1.º di essi esiste il ponte levatoio , che impedisce d'entrar nel maschio. Una grossa por. ta foderata di ferro, che calava in appo sito incastro, chiudeva l'ingresso del forte, e per lungo trapasso allo scoperto si andava agli alloggiamenti militari, ch'erano d'intorno a una vasta piazza provvista di 3 cisterne. La sua costruzione è di lodevole architettura militare. Il tem- po e la poca cura deteriorarono l'edifi . zio, che meriterebbe restauro, e sarebbe prigione sicura. Ne'tempi feudali del Ric- chi, nella sua Reggia de' Volsci, descrisse questa fortezza inespugnabile sia per la struttura, e sia per esser allora munitain ogni latodi varie sorte d'artiglierie. I magnifici saloni erano guarniti militarmen- te di murioui edi corpi di fiammeggian- ti lastre di ferro per l'armatura di 1000 e piùuomini, che per natura e robustezza giganteggiavano.Indi ne' vasti e lunghi ap partamenti erano numerose specie d'ar- mi da fuoco, di diverse invenzioni. In al. tri ampi corridoi eranvi armadi pieni di sciabole, brandistocchi, alabarde e altre armi bianche di varie sorti , benissino tenute. La fortezza era presidiata da sol- datesche del duca Caetani, e dal castella- noguardata con vigilanza. Le vie di Ser. monetasonoscoscese, il fabbricato di me. diocre qualità, ma il suo ingresso è piut- tosto dignitoso; e dalla porta del Pozzo fino alla piazza, la strada è piana e bel la; le abitazioni guaste e dirute sono nel la contrada detta la Valle o Malpagano. Vi sono due chiese collegiate e parroc- chiali. Lar . " dedicata a s. Maria Assun. ta, con capitolo formato dall'arciprete e data canonici. E' ornata da diverse pítture rimarchevoli , fra le quali nella 1." cappella a destra esiste un dipinto in ta- vola esprimente la ss. Vergine degli Augelidello stile di Pietro Perugino, la qua - le tiene in grembo Sermoneta, circonda- tadagliAngeli. Anticamente vi erail tem. piodi Cibele, come si vede dalla sua struttura. Tuttora si conserva nella chiesa una sedia marmorea di moltissimo pregio, ornata a'lati con teste di caproni , dalle corna delle quali pende un lungo serto di fiori e di frutta; a' piedi vi sono due leonialati, con vaghissima cornice per ba. se e in mezzo una cicogna che inghiotte →un serpente. Si pretende che vi sedesse il sacerdote nel fare i sagrifizi alla dea. L'altra chiesa è sotto l'invocazione di s. Michele Arcangelo. Il principe Massimo nel- laRelazione delviaggio diGregorioXVI da Roma a s. Felice, narra che a'23 aprilet839 a Tor Tre Ponti , l'antico Tri- panzio già antico ponte costruito dall'im- peratore Traiano e città Pontina di cui tratta il Nicolai , trovò tutto il popolo di Sermoneta, co' magistrati in rubbone di damasco nero, e col capitolo che doman- dò l'uso della cappa foderata di pelli bianche, indi prosegui il viaggio per Ter- racina. Dipoi nella Relazione del viaggio di Gregorio XVI alle provincie di Ma- rittima e Campagna, il medesimo princi- peMassimo riferisce, che l'8 maggio1843 reduce il Papa da Terracina,giunto aTor Tre Ponti trovò mg. Aretini-Sillani vescovo di Terracina alla testa de' cleri di Sezze (come notai in quell'articolo) e di Sermoneta colle rispettive magistrature. Gregorio XVI scese alla chiesa da lui restaurata e nella stessa mattina ribenedetta dall' encomiato vescovo coll'assi- stenza d'ambo i capitoli di Sermoneta, ch' erano stati solleciti a provvederla di preziosi arredi sagri , come essendo di loro giurisdizione perchè situata nel territorio di quella città ducale, e ne aveano ricoperto il mezzo del pavimento con un VEL VEL 107 vago tappeto di fiori freschi e di verdu- ra rappresentante il pontificio stemma, coll'iscrizione: VivaGregorioXVI.Quin- di entrato nell' annesso convento già de cappuccini, ed allora tutto ristorato per stabilirvi i trinitari o altri religiosi a spi- rituale beneficio degli abitanti di quelle contrade, comparti loro l'apostolica be- nedizione dalla finestra di mezzo sopra al portico della chiesa appositamente ad- dobbata,ammettendo poi al baciodel pie- de sotto il trono in una stanza eretto, il priore e gli anziani di Sermoneta , che hanno giurisdizione sul luogo , e quindi que' di Sezze. Furono poscia ammessi al bacio i due capitoli di Sermoneta , uno de' quali della collegiata di s. Maria avendo chiesta la grazia d'indossare la cappa con fodere d'armellino a somiglianza delle chiese cattedrali, mentre Gregorio XVI stava dubbioso di concederla, vide che l'arciprete supplicante in nome del capitolo, già teneva la cappa pronta, on. de per ricompensarli della loro fiducia, gli ordinò che subito l'indossasse, e quin- di ne segnò di proprio pugno il rescritto favorevole. Similmente condiscese all' istanze dell'altro capitolo di s. MicheleAr. cangelo, i di cui canonici avendogli domandato la grazia di poter indossare la mozzetta, ne rimise la facoltà a mg. vescovo ivi presente, il quale di fatti ritor- nato alla sua residenza ne emanò a loro favore il rescritto ne'seguenti termini, e- sprimenti anche il luogo ovefu concessa, probabilmente essendo stata questa l'uni- ca volta che un Sommo Ponteficedispen- sasse le grazie a Tor Tre Ponti (ma Pio VI recandosi a Terracina e alle Paludi Pontine, vi fu più volte a veder le fab. briche della chiesa econvento da lui edifi- cati, e soleva alquanto trattenervisi per dare ordini): Ex Audientia SSmi.habita sub die 8 maii1843 apud Tripontium, SSmus.benigne annuitpro gratiajuxta petita;mihique commisit rescriptum ef- formare. Tarracinae 11 maii1843.GuilelmusEpiscopus Tarracinae, Setiae et Priverni.Delledueconcessioni feci memo- riaparlando delle Paludi Pontine.In Tor Tre Ponti ebbero finalmente l'onore di baciare il piede al Papa i religiosi france- scani riformati chedimoranonel convento dis. Francesco di Sermoneta. Il protettore principale de' sermonetani è s. Giusep- pe sposo di Maria Vergine, cui è intito- lata un'altra chiesa, nellaquale primeggiala cappella de' Caetani dipinta super- bamente a fresco dal concittadino Siccio- lante, ed esprime la Creazione d'Adamo e d'Eva, questa ingannata dal serpente, la Flagellazione del Redentore,la Sentenzacontrodi lui pronunziata daPilato, la sua salita al Calvario, la Croceſissione, laResurrezione, ealtre figure. In mezzo a tutti questi dipinti siede la B. Vergine, cui da' Caetani fu intitolata la cappella. Vi sono altre due chiese, una delle quali è sagra a s. Francesco d'Asisi sul colle a levante fuori di porta del Pozzo, e quella de'cappuccini detta della Madonnadella Vittoria, ove s'ammira un bel monumen- to sepolcrale con ornati di inetallo rappresentanti busti e trofei militari,elostemma del celebre Onorato Caetani duca di Sermoneta ivi sepolto, che tantosi distinse nella battaglia diLepanto,mortopoinel 1592.Che il monumento è nella chiesade' cappuccini lo afferma Marocco, e ripor tando le lapidi antiche e moderne di Sermoneta, lo conferma nel riprodurre quel. ladi Onorato, Eques Velleris Aurei, fuit in classe pontificia universi pedita- tus capitaneus generalis. Però il princi- pe Massimo nella 2." Relazione, aven- donefatto cenna, crede esistere il sepol. ero nella chiesa di s. Francesco de' religiosi riformati. Aconciliare la discre- panza delle due asserzioni osserverò, che il convento de' cappuccini e la chiesa di s. Maria della Vittoria furono lasciati da tali religiosi, e forse saranno in essi subentrati i minori osservanti riforma- ti, denominandosi la chiesa di s. Francesco da' francescani che l'ufficiano. Il Contatore, De historia Terracinensi, 108 VEL VEL stampata nel 1706, ragiona di Sermo- neta a p. 18 e 426, ove dice esservi due parrocchie, varie confraternite di secola- ri, e tre conventi di francescani, cioè de' conventuali, zoccolauti o minori osser vanti, e de' cappuccini ; il monastero de' monaci di s. Bernardo; e la chiesa prin- cipale e collegiata di s. Maria con 12 canonicie l'arcipretedignità. Di tali conventive monastero ne fece menzione anche il Ricchi nel 1713. Ed io notai nel vol. LXI, p. 42, che in conseguenza dell'ordinato nel 1821 da Pio VII al ven. can. Del Bufalo, questi aprì una casa in Ser- moneta alla sua congregazione del San. gue preziosissimo. Si legge a p.1029del Giornale di Roma del 1857, che a' 24 e 25 ottobre si festeggiò in Sermoneta con divota pompa la solennità di Maria ss. della Vittoria, il di cui prodigioso si- mulacro si venera nell'insigne chiesa col legiata di s. Maria, perciò sontuosamen. te parata. E che il comune essendo stato fin dal precedente giugno da mg. Mertel ministro dell'interno fatto vice governo, volle in questa occasione solen. nizzare ancora l'inaugurazione del palazzo governativo coll'innalzamento degli stemmi pontificio e comunale, sulla facciata di detto palazzo, fra il suono de' musicali concerti e delle campane, e lo sparo de' mortari. V'intervenne mg. Luigi Giordani delegato apostolicodel- la provincia di Marittima, che prese al- loggio nel forte Caetani, il quale nel dì seguente celebrò la messa solenne nella collegiata di s. Maria, accompagna- ta da musica vocale e istrumentale; nel- la processione ch' ebbe luogo, v' intervennera le numerose confraternite , i religiosi osservanti e il clero secolare, Nella sera s'incendiarono fuochi artificiali , emg. delegato prima di partire onorò di sua presenza il palazzo d'abitazione del priore comunale Francesco Pizi, e gradi un'apposita refezione. Dichiara il Theuli che l'odierna Sermoneta successe all'antica Sulmona città volsca,di, versa da Sulmona ( V.) patria d'Ovidio ne' Peligni. Ne fa menzione Plinio, è Virgilio due volte nell'Eneide, massime per avere Enea fatto spietata vendetta per la morte di Pallante, per cui fece bruciar vivi sul rogo di quel principe 4 giovani di Sulmona, e altrettanti di Torri Bianche città sulle sponde dell'Ufente poco lungi da Clostra. Dice il Con- tatore, che sarebbe meglio chiamarla Sulmoneta, come giudica il Cluverio, per ritenerla essere la Sulinona città del. l'antico Lazio di cui parlano Plinio e Virgilio, ossia originata da essa, perchè l'antica fu distrutta dalle guerre antiche, co. me narra il medesimo Plinio, senza che ne rimanga vestigio, come notò il Ricchi, per la sua completa desolazione. Tuttavia dopo tanti secoli si riconosce essere surta nel sito che ora dicesi Sermoneta Vecchia, dove ne' latiboli più sotterranei negli scavi si rinvennero avanzi del- la distrutta Sulmona. Il cardinal Corradiniannovera i sulmonesi tra' 53 popoli del Lazio depredati senza esserne restato vestigio; il Baudrand dice che Sulmo oppidum Volscorum in Latio interiisse, et in eius ruinis extructum fuit Sulmo novum. II Nicolai è di parere, che Sul- mona non molto distante da Norba sembra che fiorisse prima della fondazione di Roma. Distrutta la città, nello stesso sito ritiene fabbricato il castelio nominato Sermoneta, Sirmineto e Sulmoneta. E si meraviglia come negli antichi auto- ri non si rinvenga memoria alcuna d'una delle più vetuste città del Lazio. I sermo netani coltivando laparte superiore del territorio delle Paludi Pontine, e ricevendo danni gravi e frequenti dall'allagamentodelle medesime, avendo pensato seriamente di frenarlo colla costruzione di certi argini, sostennero più volte lite con que' di Sezze (V.), i quali temendo che l'acque venissero a stagnare sul ter- ritorio loro, non vollero mai permettere che fossero altrove rivolte, come può vedersi nel Nicolai chediffusamente ne trat VEL VEL 109 ta nella classica opera, De'bonificamen ti delle Terre Pontine, corredata d' ogni genere di documenti, piante topografiche,profili ec. Su questo importante ar- gomento, che più volte fece guerreggiare setini e sermonetani, prendendovi parte i popoli convicini , nell'archivio di Sezze si conservano interessantissimi documen. ti . L'imperatore Federico II , nemico del- la Chiesaedi papa Gregorio IX, fra' luo- ghi sui quali sfogò il suo odio uno fu la città di Sora (V.) che distrusse ripetu- tamente, onde molti sorani privati della patria passarono in Sermoneta, di cui al- Jora si compirono le pubbliche mura. In- dicominciarono le contese intorno a' confini di territorii di Sezze, di Ninfa, di s. Donato (castello posto tra il Foro Appio, Circello e Astura, che durò fino al 1300 e quindi si sommerse senza lasciar di se memoria, ed un fiumicello portò il suo nome), e di Sermoneta. Innocenzo Fazzi con dissertazione difese Bonifacio VIII e i suoi parenti Caetani, incolpati dal Cor- radini d'aver promosso le prime dissen- sioni fra' sezzesi e i sermonetani, dimo- strando che le reciproche doglianze intor no a' detti confini rimontano al 1270, nella quale epoca le nominate terre non erano venute in dominio de' Caetani. Di fatti, nell'archivio Vaticano esistel'informazione di Gio. Francesco de Rossi : Terracinensis super Castris Sermone. tae, Bassiani, s. Donati, Nymphae, ac Normarum. Dal trasunto fatto in Fondi e riportato nel corpo dell'informazione, apparisce che Sermoneta , Bassiano e s. Donato a' 29 aprile 1297 si compra- rono a favore di Pietro Caetani o Gaetani nipote di Bonifacio VIII, dal cardinal Pietro ValerianoDuraguerra di Piperno diacono di s. Maria Nuova per la somma di 17,000 fiorini d'oro, e che a' 4otto- bre 1298 il contratto fu approvato da Bonifacio VIII. I beni che appartenevano ad Annibaldo e a Giovanni figlio di Pietro Annibaldi, si acquistarono a vantaggio del medesimo Pietro Caetani dal 0 cardinal Francesco Caetani altro nipote del Papa per 34,000 fiorini d'oro a' 16 giugno 1297. Dinuovo i beni toccati in sorte a Francesca vedova d'Andrea Annibaldi, e tutrice de' figli Nicolò e Anni- baldo, si venderonoa'due mentovati car- dinaliin favore del medesimo Pietro Cae- tani per 18,000 fiorini d'oro nel 1.º lu- glio dello stesso anno. I beni poi de' fra- telli Lorenzo e Riccardo Annibaldi pas- sarono in dominio di Pietro Caetani nella stessa maniera collo sborso di 17,000 fiorini a' 23 settembre del suddetto anno. Aquesti si aggiunsero gli altri posse- duti da Nicolò Annibaldi, cui si pagaro- no 20,000 fiorini a' 23 novembre del memorato anno. Oltre a ciò Pietro Caetani, per divenir padrone del castello e territorio di Ninfa, spese 200,000 fiorini d'oro l' 8 settembre 1298, porzione ricevendone a titolo di feudo da Bonifacio VIII nel 1300. Sedunque, come so- stiene il Fazzi, i sezzesi e i sermonetani contendevano fra loro pe' confini del territorio prima che la famiglia Caetani ve- nisse in possesso de' nominati paesi , non si potrà più quindi trarre congettura per tacciare Bonifacio VIII. Questo Papa infeudò a' Caetani Sermoneta, Norma,Ninfo, Bassiano e s. Donato, al riferire di Castellano e Marocco. Pare a mg. " Nicolai molto verosimile, che in un terreno assai facile per natura e tendente a impaluda- re, e spesso rivolto e smosso pe' lavori fattivi, i fiumi abbandonati al loro impeto per la infelicità de' tempi e per la negligenza delle popolazioni, da loro stes- si abbiano altrove pagato il corso dell'ac- que lasciando gli antichi alvei ; e colle frequenti inondazioni mutando l'aspetto del suolo, abbiano distrutto e confuso il confine de' territorii. Il che apparira più ancora credibile, ove si rifletta che le medesime ragioni posero già Terraci- na in lite con Piperno, narrata dallo stesso Nicolai. Col dominio di Sermone- ta passarono a Pietro Caetani anche le contese de' sermonetani co' sezzesi ; on 110 VEL VEL d'egli nell'anno dopo la compradella si- gnoria, cioè nel 1299, venne a concordia co' sezzesi con istipulare solenne istru- mento di divisione, cui Bonifacio VIII aggiunse forza e autorità nel 1300 colla pontificia sanzione. In tale atto è chia- mato : Magnificus vir Dominus Petrus Cajetanus Domini Papae Nepos, Comes Casertanus et Dominus Castrorum Nymphae, Sermonetae, et s. Donati. Il Nicolai poi racconta come i Caetani siop posero a'lavori de' sezzesi per asciugare i loro terrenidall' acque delle Paludi Pon- tine, ele ostinate contese co' medesimi ; che co' sermonetani ottennero d'asciu. gare a proprie spese i loro terreni dalle acque stagnanti ; e che volendo ristora- re il porto di Paola presso il loro feudo di s. Felice ( F'. ), furono impediti nel bel disegno. In quell'articolo narrai l' acqui- sto che ne fece nel 1301 il medesimo Pietro Caetani, colla sua rocca, vassalli, territorio, col mero e misto impero, con il lago di Paola, acquisto anch' esso ap. provato da Bonifacio VIII, in uno a quello degli altri feudi e beni posti nel le provincie di Marittima e Campagna, che ivi nominai, inclusivamente e Gavignanoe Carpineto; articolo in cui vi sono diverse notizie de' Caetani. Nel 1378 O- norato Caetani signore di Sermoneta, di Ninfa edi Bassiano, contedi Fondi (P.), accolse in tal città i cardinali scismatici ribelli al PonteficeUrbano VI(V.),i qua- li ivi elessero l'antipapa Clemente VII, che recandosi in Avignone diè principio al perniciosissimo, lungo e grande Sci- sma ( P.) d'occidente. Pertanto Urbano VI fulminò di scomunica Onorato con tutti i fautori e sostenitori dell'antipapa. Il successore Papa Bonifacio IX ordinò rigoroso processo contro Onorato come reo di lesa maestà ed'apostasia, pubbli- cando una crociata contro di lui, il quale nel 1400 co' Colonnesi tentò d'occupare Roma e arrestare il Papa. Ecco come lo raccontail cav. Coppi nelle Memorie Co. lonnesi. Giovanni e Nicolò Colonna si gnori di Palestrina, ad onta che divenu- ti sospetti a Bonifacio IX con lettere pro- curarono giustificarsi , realmente erano collegati con Onorato Caetani conte di Fondi, fautore acerrimo anche del nuovo antipapa Benedetto XIII. Quindi erano sempre sospetti alla curia romana. Volle però Bonifacio IX assicurarsi di loro fede mediante convenzione nel 1397, colla quale i Colonnessi promisero al camer- lengo pontificio Corrado arcivescovo di Nicosia, d'essere divoti e ubbidienti al Pa- pa ed alla Chiesa, e per un triennio non avrebbero contratta lega o federazione con alcuno, nè si sarebbero obbligati ad alcun patto contrario allo stato pontifi- cio. Ciò non ostante, ignorasi per qual motivo, Nicolò concertatosi con alcuni ro- mani, inuna nottedi gennaio 1 400, entrò con una turba d'armati in Roma per la portadel Popolo, ene percorse varie con- tradegridando: Viva il popolo, e Muoia Bonifacio IX tiranno. Pervenne sino al- la piazza del Campidoglio, e tentò d'im- padronirsi del palazzo senatorio e del propinquo convento d'Araceli. Ma ne fu respinto per opera specialmente diZacca- ria Trevisani patrizio veneto, senatore di Roma, ed allo spuntar dell'alba dovette abbandonar l'impresa e ritirarsi dalla città. All'istante furono giustiziati 31 de' suoi, che caddero in potere de' romani. Il Papa avendo spedito a' Colonnesi Angelo de Afflictis vescovo di Polignano e amministratore di Palestrina, per richia- marli dall'errore, essi lo fecero arrestare e lo tennero in custodia. Laonde Bonifacio IX ordinò a 3 cardinali di compi- lare un processo per verificare questi e altri fatti, e riferire in concistoro. Nel giorno poi 14 di maggio dichiarò i pre- detti Giovanni e Nicolò Colonna scomunicati, rei di lesa maestà, e privati uni- tamente a' loro discendeuti e posteri di qualunque onore e dignità e feudi che avessero dalla Chiesa romana o da altre Chiese, dal romano impero, e da qualsi . voglia altro sovrano; di più che fossero VEL VEL 111 similmente confiscati i loro beni, colla bolla Regnans in Excelsis. Con altra bolla de' 24 dello stesso mese, il Papa sottopose all'interdetto ecclesiastico Pa- lestrina, Castel Nuovo, Zagarolo, Galle- se, Penne , Pazzaglią, s. Gregorio, Gal. licano e le altre terre e luoghi possedu. ti da' due Colonnesi scomunicati. Nel tempo stesso promulgò contro di loro la crociata. Formossi quindi un esercito composto di milizie romane, 2000 caval. li pontificii e varie truppe napoletane, il quale assediò inutilmente Palestrina si no al principiar dell'inverno, ed intanto devastò le circonvicine campagne. Sul principio però del 1401 i due Colonne. si presentaronsiin Roma a Bonifacio IX, confessarono i loro delitti, ne chiesero perdono,promisero con giuramentod'ub- bidire agli ordini pontificii, ed ottennero piena assoluzione e reintegrazione nello stato in cui erano precedentemente. Nel lo stesso 1401 e colla medesima clemen- za, Bonifacio IX assolvette Giacomello Caetani , figlio del defunto Onorato contedi Fondi, e liberalmente gli restitui Sermoneta, Bassiano e Ninfa , castelli che per la ribellione del padre erano stati confiscati e incamerati. Apprendo dal principeMassimo, Relazione delviaggio di Gregorio XVIa s. Felice, che Ono- rato II Caetani conte di Fondi nel1452 ricevette in Sermoneta l'imperatore Fe- derico III, coronato in Roma da Nicolò V, con altri distinti personaggi, trattandolo con tale grandiosità e magnificenza, che l'imperatore gli fece in pubblico un elogio col chiamarlo meritamente Ono- rato non solodi nome, ma ancora di fatto. Trovo in Marocco, che l'imperatore coll'imperatrice Eleonora sua sposa per nottarono nell'ospizio de' cappuccini di Sermoneta. Inoltre Onorato il più tar- di in Sermoneta vi diede eguale tratta mento alla duchessa di Calabria, figlia del duca di Milano, moglie delduca poi Alfonso II re di Napoli. Nel castello di Sermoneta Onorato Il più volte ospitò splendidamente vari nunzi e commissari della s. Sede, ed altri gran signori. Ezian- dio nell'articolo s. FELICE raccontai col principe Massimo, che Alessandro VI Borgia cercando d'innalzarla propria fa- miglia sulle rovine delle grandi case di Roma e dello stato, e prendendosela or còn l'una or con l'altra, non tardò a trovar motivi di togliere a' Caetani i loro beni, e confiscarne i feudi che possedeva- no nello stato pontificio, i quali di suo ordine furono dalla camera apostolica venduti per 80,000 ducati d'oro alla prediletta sua figlia Lucrezia Borgia prin- cipessa di Salerno.Questi feudi erano Sermoneta, Bassiano, Ninfa, Norma, Teve- ra, Cisterna, s. Felice e s. Donato, co' loro territorii, fortezze e altre pertinenze, col mero e misto impero e con tutte le giurisdizioni ; e l'istromento fu stipulato a' 12 febbraio 1500 nel palazzo Vatica- no, ove erasi perciò riunita la camera a- postolica, composta in allora da' prelati Pietro arcivescovo di Reggio governatore di Roma, FrancescoBorgia tesoriere, Sinolfo di Castro vescovo di Chiusi, Do- menico Capranica, Ottaviano vescovo di Mariana, Adriano protonotario apostoli- co, Ventura Bonassai, presidenti e chie- rici di camera. Narra il Ratti, Dellafa- miglia Sforza,t. 1,p. 382, che Alessandro VI Borgia avea infeudato a vita di Nepi e di Anticoli nella Campania il cardinal Ascanio Sforza, ma però non ne godè si- no allamorte, poichètale Papa qualche anuo dopo gli ritolse ilsuo dono.Tautori- levasi dalla sua bolla del 1. ottobret500, colla quale approva la donazione fatta da sua figlia Lucrezia Borgia, allora duchessa di Bisceglia, a Roderico e Giovanni suoi figli , il 1. di due e l'altro di tre anni, della città di Nepi, della terra di Sermo- netacon altri molti luoghi e terre, unen- dovene lo stesso Papa moltissime altre confiscate a' Colonnesi, Savelli, Estoute- ville e altri signori romani, ed innalzan- do allora al titolo di ducato per la pri- ma volta Sermoneta a favore di Roderi 112 VEL VEL co, eNepi a favore di Giovanni. Nella di visione che fece lo stesso Papa delle sud. dette città e terre fra' due suoi nipoti è compresoanche il castello di Anticoli. Ec- co le parole della bolla, dalla quale apparisce di qual ricco e vasto paese fossero investiti i due fanciulli Borgia dall'a- vo Alessandro VI. „ Bona vero omnia supradicta, videlicet civitates , castra, op- pida, terrae, et loca, quorum aliqua sunt expressa, et divisa, hic propriis duximus exprimenda vocabulis, et in hunc, qui sequitur, modum inter Rodericum Bor- giam de Aragonia Bisselli ducem,et Joan. nem etiam de Borgia domicellum roma. num praefatos dividenda, videlicet Ser- monetam, Castrum Bassiani , tenutam Nimphae, Normarum, Riverae, Cisternae, s. Felicis, s. Donati, civitatem Al- bani, Neptunum, Ardeam, Civitatem La- viniam, Nemum, Genzanum, Castrum Candulphi, Roccam Ghurgam, Sonni- num, s. Laurentium, Cicchanum, Poffi, Vallem Cursam, s. Stephanum, Montem s.Joannis, Strangulagallum,Salvateriam, Julianum,CastrumRiparum,Arrenariam Roderico pro se, suisque haeredibus, et successoribus, civitates vero Nepesinam, Prenestinam, Arignanum, Castrum No- vum, Genezanum, Pallianum, Cainun, Marenum, Roccam Papae, Frascatum , Montem Campatrum, Roccam Priorem, Montem Fortinum, Zagarolam, Roccam Ranarum, Capranicam, s. Justum,Piscia. num, Cecilianum, Olebanum, Rancha- tum, Turrim Matthei, Surronum, Pil- Jium , Anticulum Campaniae, Turrim Trivigliam, Triviglianum, Vicum, Col- lem Pardi, Supinum, Morellum, Scurou- Jum, Pedelucum cum ejus Lacu, seu jus tertii medii Montis Alti , medietatae te. nutae Saxi , quam bo. me, cardinalis Jo. Bapt. de Sabellis, dum in humanis age- bat, tenebat, et possidebat, ac Ricciam Joanni Borgiae etiam pro se, liberis, hae. redibusque, et successoribus suis prae- fatis in perpetuum, ut supra diximus, donamus,concedimus, etassignamusmodo et forma premissis dividentes, etc. " Noterò che i suddetti Roderico e Giovan- ni erano nati da Lucrezia e dal marito d. Alfonso d'Aragona duca di Bisceglia e figlio naturale d'Alfonso II re di Napoli, che nel 1500 fu assassinato nel proprio letto della moglie dal fratello di questa il famoso Cesare Borgia duca di Valenza ( V.) di Francia o del Valentinois, come corse la fama; anzi il Novaes fra le illustri vittime della crudeltà dello stesso Ce. sare vi annovera i Caetani. Il ch. Reumont, Della diplomazia italiana, libro pubblicato nel 1857, con Marin Sanuto racconta. Lucrezia prima era in grazia del Papa suo padre, ma poi diminuì l'a- more per essa , probabilmente in seguito alle lagnanze sue per l'uccisione del marito procurata da Cesare, onde Alessan- dro VI la mandò a Nepi, e le diè Sermo- neta , rocca e terra de'Caetani, che gli co. stò 80,000 ducati, benchè Cesare gliela tolse,dicendo:Edonna,non la potrà man- tenere. Pare probabile che i Caetani op- pressi si unissero a'Colonnesi ed a'Savel- li , imperocchè leggo nell'annalista Rinal- di e nel Coppi , che Alessandro VI si unì a' francesi contro Federico I re di Napoli, che chiamava i turchi a sterminio d'Italia, per questo parteggiando i Colon- nesi. Il Papa adunato un esercito uscì in Campagna a' 17 luglio 1501, facendo l'ufficio di capitano generale, espugnd diverse loro terre, e soggiogò colla pre- senza sua Sermoneta ed altri luoghi de' Colonnnesi o occupati da loro. Ma il Bau- co dice semplicemente che il Papa vi si recò a vedere il nuovo acquisto a' 31 lu- glio e ne parti a' 3 agosto. Indi Alessan- dro VI a' 20 agosto pubblica una bolla di scomunica contro i Colonnesi ed i Savelli, dichiarandoli rei di lesa maestà e privandoli de'loro beni. Poscia con al- tra bolla de' 17 settembre Alessandro VI divise le terre ed i castelli confiscati tra' suoi figli e nipoti. Dipoi morto il Papa a' 18 agosto1503, i Colonnesi ricuperarono le loro terre, e si pacificarono con Cesa VEL VEL 13 re, il quale gl'invito a tornare negli stati propri, e restituì loro le fortezze da A- lessandro VI con grandi spese restaurate e ampliate. Il Cancellieri, Lettera sulle spade de'piùcelebri sovrani e generali, racconta della famosa Spada ( V.) di Ce- sare Borgia, che pervenuta in potere di mg. Onorato Caetani, questi si propose di collocarla nella rocca di Sermoneta, dal Borgia assediata ed espugnata, e per averla impugnata contro i Caetani colla morte di vari di essi. Atale effetto inca- ricò il gesuita p. Gaetani di formarne l'i- scrizione, e questi nel 1790 la sottopose alla revisione di Cancellieri , il quale la riprodusse del seguente tenore, sebbene non fumessa in opera perchè la spada re- stò presso il defunto duca d. Enrico Cac- tani padre del vivente d. Michelangelo duca di Sermoneta,benemerito colonnel- lo direttore e comandante de' Pompieri (V.) pontificii, il quale è l'attuale pro- prietario della medesima. Gladius quem heic appensum hospes adspicis - Cae- saris Borgiae Valentini ducis olimfuit - Sermonetanorum sanguine cruentatus - Neampliusdesaeviret- Mulierum Cammillae quondam suae virtutem - Aemulantium - Ingentes praestitere animi - Curante autem Honorato Caietano Ex Sermonetae ducibus - In huius ar- cis armamentario est conlocatus - Nul- libi melius - Ubi enim saevierat- Ibi in- decora rubigine consumendus - Adpe renne iniquae aggressionis Caesaria- nae - Et egregiae Sermonetanorum - In suos Caietanos principes voluntatis - Monumentum. Anche l'annalista Mura- tori all'anno 1501 riferisce, che Alessandro VI si portò in persona all'assedio di Sermoneta. Questa poi con altri possedi- menti tornò in potere de' Caetani me- diante bolla pubblicata da Giulio Il nel 1504, della quale si legge un brano nel Nicolai , in cui sono nominati Giacomo e Guglielmo Caetani; così s. Felice edal tri feudi, mediante breve dello stessoGiulio II de 3 gennaio 1506, in favore di VOL. LXXXIX. - Guglielmo Caetani figlio del suddetto conte di Fondi Onorato II defunto nel 1478. Sermoneta nel 1536 a' 3 aprile fu onorata dalla presenza del possente imperatore Carlo V, che si recava aRo- ma, e ne visitò la chiesa principale.Altret- tanto fece Papa Gregorio XIII a' 14 set- tembre 1576, e l'imparo da Marocco. Nel Discorso pubblicato con note dalch. prof. Paolo Mazio, Giornale Arcadico, t. 6, p.179 della nuova serie, però si legge: » Che Gregorio XIII rimproverò Pirro Caetani della sua indifferenza nel tollerare che i banditi e masnadieri si rifugiassero nelle sue terre feudali" . Ri- porta Calindri , che il successore Sisto V dichiarò Sermoneta città ducale. Vuole Novaes, ed anche Bauco, che questo Papa nel suo viaggio alle Paludi Ponti- ne per promuoverne il cominciato disec- camento, fosse pure andato in Sermone- ta ; ma il Nicolai non ne fa parola, ben. sì dice che nell' ottobre 1589 nel ritor- no da' paesi Pontini fu ricevuto da' duchi Gaetani in Cisterna, con ogni sorta d'onore e d' ossequio, e quindi si ricondusse sollecito a Roma. Però leggo nel p. Tempesti, Storia di Sisto V, 1. 2, p. 65, che tornato in Roma a' 25 ottobre raccontò in concistoro d'aver fatto un viag. gio prospero, d'aver visitato Terracina, Piperno e Sermoneta ; disse aver visita- to le spiaggie del mare, e l'avea conside. rate per assicurarsi se fossero idonee a fab- bricarvi unporto, cioè a Terracina, per favorire l'abbondanza e lapubblica utilità, ma temere che poi potesse servire di co- modità a'nemici per essere i luoghi abi- tati molto discosti dal sito ove solamente si poteva costruire. Indi soggiunse che que'popoli godevano tranquillità grande, non più molestati da'banditi . Imperocchè il p. Maffei, Degli annali di Gregorio, XIII, t. 2, p. 70, fra' fuorosciti che nel suo pontificato agitarono alcune provin- cie dello stato papale, parla di quelli del- l'Abruzzo, e de' territorii di Veroli, di Bauco edi altri della Campagnadi Roma, 8 14 VEL VEL anzi vicino a Romastessa verso pure Ca- pranica eNepi,che commettevano atrocis- simi ladrocinii. Contro quelli di Campa- gna Gregorio XIII mandò il commissario Rhetica con 400 fanti; e da Napoli venne spedito il commissario Fata con 150sol dati , i due commissari si posero di concer- to fra loro per dar la caccia a quelle fiere armate. Il Muratori all'anno 1585 loda Gregorio XIII spirante solo cle- menza e di tauta benignità, che forsegli venne attribuita a difetto. Perciò dice essere cresciuta la licenza e prepotenza in Roma, e dappertutto abbondando iban- diti e i sicarii, e per quanto il Papa si a- doperasse a frenare tali disordini, non gli veune fatto d'estirparli . Succeduto a lui Sisto V, volle acquistare gran nome colla sola giustizia, col far tacere la clemenza, quasi virtù fomentatrice de'cattivi; e l'e- sercitò con rigidezza inesorabile. Pertan- to si propose animoso di schiantar la mala razza de' banditi e de' malviventi , che specialmente passati dal regno di Napoli nellostato ecclesiastico, ed attrup pati infestavano non solamente le vie ma le ville stesse, con rubamenti, stupri, in- cendi e assassinii . Pubblicò il Papa una terribile bolla contro di costoro e di chiunque desse loro favore o ricetto : poscia mandò il cardinal Colonna nella provincia di Campagna con titolo di le gato, e altri simili cardinali in Bologna e in Romagna, acciocchè con rigorosa giu stizia rimettessero la pubblica quiete. Furono presi alcuni e giustiziati ; Curtie. to,Marco Sciarra (del quale riparlerò nel paragrafo Cori) e altri capi di gente sì malvaglia uscirono dallo stato ecclesia- stico; pure non si potè svellere del tutto quella grawigna. La bolla in qualcheluo- go fu eseguita con tanto rigore, che la buona intenzione di Sisto V si converti in manifesta crudeltà, facendosi morire madri e altristretti parenti , per avere ri- cettato una notte in casa i figli e icon- giunti, o per aver dato loro una sola volta da mangiare. Tanto il Muratori riferisce all'anno 1586. Narra il medesimo p. Tempesti nel t. 1, p. 140, che il san- guinario Guercino(il p. Maffei sunnomi- nato, nel t. 2, p. 357, lo chiama Prete da Guercino capo ladrone, il quale impunementecon gran quantità di malvagi scor- reva i luoghi, commettendo ogni sorta di rapine e di vendette, nonchè disonestà. Col suo ardire non dubitò di contraffare la dignità pontificia di Gregorio XIII, nell'assoluzione de'peccati e nella concessione delle grazie. Quel Papa deputò con- tro di lui mg. Ongarese per commissa. rio generale con autorità suprema, insie- me a 500 fanti e 300 cavalli) sacrilego duce di sicarii li più spietati , si faceva chiamare, conforme racconta il Galesini, Re della provincia di Campagna, usur- pandosi nome sì augusto in tutti gli edit- ti, polizze e lettere che di sua mano fir- mava. Ed era tanto accecato dalla superbia, che arrivò alla scellerata baldanza di proibire al vescovo di Anagni l' e- sercizio della sua dignità, comandandoal elero ed alla diocesi atterrita da'suoi crudelissimi scempii,di riconoscere solamen- teprete Guercino come vescovo e come re. Incontratosi questo mostro pressoTer racina con Antonio Caraffa, fratello del duca di Luceria, che ritornava da Roma, dopoaver prestata obbedienza a Sisto V, lospogliò affatto, rubandogli vestimenta, denarie viatico ; e non fu poca umanità lasciare a lui ed a'suoi la vita in dono. Giunto a Terracina così assassinato, nudo emezzo morto, s'inorridirono gli abitan- ti, e ne fu spedito rapidamente avviso a Sisto V. Si strinse il cuore per compas- sione al Papa, e provvide tosto alle bi- sogna dell'oratore. Dopo essere stato un pocoaccigliato, disse : Costui non merita che gli facciamo tanto onore di mandar- gli contro soldati e sbirri, ma la nostra bolla (Hoc nostri, riferita dal p. Tempe- sti, in cui rigorosamente si ordina a'ba- roni de'luoghi, a'magistrati, a'comuni di fare arrestare i malviventi, dovendosi da. re il segnoaprender l'armi colsuono del- VEL VEL 115 le campane; infliggendo severe e terribili pene contro i fomentatori, ospitalieri e manutengoli di tali empii) lo acchiappe- rà. E disse il vero ; poichè in pochi gior- ni fu raggiunto, gli fu tagliato l'infame capo, e infilato in un palo, con una coro- na dorata in ludibrio, fu mandato velo cissimamente a Roma, ed esposto in Ca- stel s. Angelo. I seguaci di questo disgra. ziato si dispersero : 30 fuggirono nelle montagne d'Urbino, e vi restarono avve . lenati ; altri furono giustiziati (impiccati e arrotati dice il Novaes, nella Storia di Gregorio XIII). Altri tentarono scampo, ima pagarono sotto altri principi il fio di loro scelleratezze ; e così respirò la pro. vincia della Campagna, e quella spiag- gia rimase netta. Sisto V come severawente proibi a'presidi delle provincie di dare ricetto a'banditi regnicoli, ordinau- dodi conseguarli subito all' autorità re- gia, così permise a queste di perseguitar- li nel dominio ecclesiastico, in qualunque luogo ancorchè immune, non esclusi i monasteri. Di più il p. Tempesti racconta a p. 149, che Sisto V fatto pubblicare un rigorosissimo bando contro i banditi, la- droni e facinorosi, per la loro estirpazio- ne, con premi di taglie, immediatamente fu recata in Roma infilata in un palo, con dorata corona per ludibrio, la testa di un certo prete Ardeatino(il Novaes che ne parla nella Storia di Gregorio XIII lo chiamaGiovanni Valenti,facendomenzione d' altro capo di malviventi nomi- nato Marinaccio, che il p. Maffei chiama Marianaccio, e contro il quale ladrone in- viò nelle selve di Cerveteri un capitano con 300 fanti) ,ladro scelleratissimo e prin- cipe di tutti i ladri, il quale debaccando specialmente nel Lazio, trattava i popoli con sì spietate barbarie che avea sparso sommo terrore per ogni dove. Scorreva qua e là qual folgore questo infamé si- cario,aiutato datanti disimil forfora, che sembrava impossibile poterlo arrestare o colla forza o colle insidie. La sua super- bia l'avea tanto accecato, che ne' suoi e, ditti s'intitolava : Noi Giovanni Valente alias PreteArdeatino, esule peritissimo, efortissimo principe di tutta la spiaggia marina, e di tutta la regione montana. Usurpandosi quindi l'assoluta sovranità, si era formato la zecca, battendo monete colla sua impronta. Il cardi- nal Marc'Antonio Colonna legato di Ma- rittima e Campagna, usò tutte le industrie per averlo vivo o morto nelle sue mani;ma conoscendo inutile ogni diligenza, edubitando d'essere rimproveratoda Sisto V, prevenue questi, d'aver fatto tutto il possibile ; onde per poterlo sicu- ramente arrestare non trovare altro mezzo più efficace della cooperazione d'una galera ben corredata, poichè lo scellera- todopola sconfitta della masnada di prete Guercino, avea imparato a sapersi meglio guardare, e stava in continuo moto dal inare in terra, da terra in mare, cominettendo ovunque assassinamenti atroci . Fece rispondergli Sisto V, non esservi biso . gno la galera armata, ma l'esecuzione fe- deledi sua bolla avrebbe preso lo scellera- to,ecosì fu.Venne preso,troncato il capo,e subitamente inviato aRoma(ilNovaes dice ches'intitolava Re della Campagna Ro- mana, e che il capo fu infilato in un palo con una corona dorata in ischerno). I di lui seguaci ne'luoghi in cui furono ar- restati divennero spettacolo a' popoli di salutare terrore, poichè furonoscannati o impiccati o arrotati, secondo l' atrocità de' misfatti ; e quindi rimasero nette le provincie di Marittima e Campagnadi sif- fatte malvagie persone, non saziandosi i buoni di render grazie a Dio, perchè omai respiravano in pace egodevano la si- curezza delle facoltà,dell' onore e della vita. Pietro Galesini, nella Vita mss. di Sisto V, ne commendò altamente lo zelo, poichè non poteva fare sacrifizio più ac. cetto a Dio, che il perseguitare tali scel- lerati, secondo l'opinione de' ss. Girola- mo, Agostino e Ivo di Chartres. Nota il Muratori all'anno 1590, che Sisto Vfre- nòl'insolenza e non ischiantò la razza de' 116 VEL VEL banditi , poichè buona parte di essa si ritirò ne'confini di Napoli e della Toscana, e un'altra continuò a infestar la Roma- gua. Crebbe il male dopo la morte di Si- sto V, massimamente perchè Alfonso Pic- colomini, duca di Monte Marciano, caduto in disgrazia del granduca di Tosca- na, e con grossa taglia sulla sua testa per- seguitato dappertutto, si fece capo (nuo- vamente e ad onta che l' avea perdonato Gregorio XIII) de'masnadieri in Roma- gna,commettendo frequenti assassinii col- le sue squadre di cavalli. Altrettanto fa- ceva Marco Sciarra (dal Cotugno,Memo- rie di Venafro, chiamato abruzzese e fa- moso predatoredellaCampania nel 1558, oltre il non meno famigerato Benedetto Mancone), altro capo di banditi e scelle- rati inAbruzzo con iscorrere fino alle por- te di Roma, bruciando casali ed esigendo contribuzioni. Unironsi poi insieme que- ste due esecrabili fazioni , recando incre- dibili danni. Per cui il vicerè di Napoli spedì contro di loro 4,000 soldati ; pas- sarono tutti in Campagna di Roma sul principio di dicembre. Il granduca inviò Camillo del Monte con 800 fanti e 200 cavalli iu traccia di essi. Da Roma andò ancora Virginio Orsini con400 cavalli. Fu assediato lo Sciarra co'suoi in un casale ; sopraggiunse il Piccolomini con cir. ca 600 cavalli e si venne a battaglia, in cui ben100 di que' malvagi furono uccisi o presi ; gli altri col favore della notte si posero in salvo. Prosiegue il Muratori a narrare all' anno 1591. In questo più che mai infierirono i banditi in Campa- gna di Roma e in Romagna. Gregorio XIV mosse Alfonso II duca di Ferrara a purgare la Romagna da'masnadieri, e pienamente vi riuscì . Nel Cesenaticorestò anche preso il Piccolomini, e condotto a Firenze trovò il fine che meritava (cioè fudecapitato,e il suo feudodi Monte Marciano il Papa lo diede al proprionipoteEr cole Sfondrati, come narrai a'suoi luoghi, avendone riparlato nel vol. LXXXVIII, p. 203). Non passarono già con egual felicità gli affari ne'contorni di Roma, dove Marco Sciarra con grosse bande di quella mala razza, imponendo grosse ta- glie a quanti ricchi ed anche vescovi gli cadevano nelle mani, saccheggiando le terre, bruciandole biade mature e commettendo altri mali, ogni di più s' inga- gliardiva. Per reprimere costui, continua l'annalista Muratori, Onorato Gaetani ducadi Sermoneta, Virginio Orsini, Car. lo Spinelli venuto con molte schiere da Napoli, ed altri nobili baroni uscirono in campagna, fecero varie zuffe, ma in fine, trovando poco onore e men profitto con- tro di tal gente brava e disperata, furo- no costretti a lasciare ad altri l'impresa. Di più, prosegue a raccontare il Mura- tori all'anno 1592. Continuando l' insolenze e gli assassinii de'banditi nella Campagna di Roma, con tutto vigore Papa Clemente VIII si applicò a liberare i suoi stati da' pertinaci loro insulti , inviando contro di essi Flaminio Delfino con buon numero di cavalleria e fanti , il quale non cessò di perseguitarli, senza perdonare a chiunque di loro gli capitava nelle mani . Questo valent'uomo fu quegli che mise il cervello a partito a Marco Sciarra, capo di queʼscellerati, a Lucasuo fratello, e agli altri loro seguaci, i qualipresero il partito di mutar cielo. Sciarra con 500 de'suoi, tutta gente intrepida, avvezza allefatiche ed alle schioppettate, prese servizio colla repubblica di Venezia che guerreggiava gli uscocchi e si armava con- tro i turchi. Ciò saputosi da Clemente VIII,virilmente e con minaccie intimòa' veneti di consegnargli i capi di que' ma- snadieri, nè si placò per l'apposito amba- sciatore che gli spedi la repubblica. Bisognò contentare il Papa. Sciarra fu poi ucciso e la sua gente mandata in Candia acombattere colla peste,dove parte man- cò di vita, e il resto si dissipò. Termina il Muratori con dire: laonde fu creduto, ma vanamente, che avesse avuto fine la tragedia de' banditi. Dappoichè riporta all'anno1595, che neppur in esso andd e VEL VEL 117 sente la Campagna di Roma da'banditi, specialmente verso Anagni e Frosinone, dove commisero orrendi misfatti. Contro di loro Clemente VIII spedì alcune compagnie di cavalli, e altrettanto fece il re di Napoli contro quelli che infestavano il regno. Grandi lamenti erano per quella iniqua gente, che ogni giorno sva- ligiava viandanti e corrieri, e talvolta levava loro la vita. Fecero prigioni Giam. battista Conti nobile romano, ed Alessandro Mantica, e poscia l'arcivescovo di Taranto e il vescovo di Castellaneta, a' quali imposero grosse taglie. Fin qui il Muratori, che fedelmente riprodussi. I ve- literni nel 1702 d'ordine di Clemente XI guarnirono la rocca, per quanto dirò a suo luogo. Ora conviene fare menzione del Discorso diAntonioRicchi,fattodal medesimo a compiacenza di mg. Illustriss . Crispoldi deputato dalla Santità di N. S. Clemente XI, nell'accesso che fece in Cori l'anno 1714 per riconosce. re le difficoltà insorte sopra il taglio delle famose selve di Cisterna e Sermoneta. Esso si legge nel suo Teatro degli uomini illustri de' Volsci, a p. 83, colla carta topografica delle medesime selve. Il duca di Sermoneta d. Michelangelo Cae. tani aquell'epoca si proponeva far esegui . re tale taglio; il che in molti ingerì timo- re della rovina de'popoli circonvicini e di Roma, sul supposto che la folta e gigan. tesca turbadi tante piante sia un forte riparo quivi situato dalla natura, per chiu- dere il passo a'venti perniciosi in questa parte d'Italia. Anche il taglio di qualun- que istmo fece temere il sommergimen- to de'popoli e delle città confinanti,fin- chè dimostrò il contrario Luigi XIV re di Francia, che in que'tempi senza peri- colo e con somma utilità del commercio aprì in mezzo al suo regno un profondo e lungo cauale, unendo così l'Oceano al Mediterraneo, da'quali mari sono bagna. te le spiagge del medesimo regno. Ad imitazione del re, potere il duca di Sermoneta provare al Papa essere non menoinnocente che giovevole il bramato ta- glio delle sue selve,che mirabilmente ve- stono d' ogni intorno la deliziosa e amena regione Pometina, racchiuse in quel dilettevole tratto tra le volsche Anzio o Porto d' Anzio (V.) e Monte Circello o s. Felice, ed Ostia Tiberina, tanto te muto e contrastato, colla presunzione, che le stesse foreste chiudano l'ingresso a' venti scirocchi e australi, che corseggia . no per le Paludi Pontine, e in un tempo stesso servono di riparo a' popoli vicini, non che a Roma, per sottrarli dalle loro infestazioni. Arilevare ogni timore dall'animo preoccupato da private passioni , e perdar luce alla supposta difficoltà, il Ricchi divise in tre punti il suo Discorso. Nelt . volle dimostrare che le selve di Cisterna e Sermoneta sono fuori della linea, per cùi soffiano i scirocchi, onde é che non ponno attraversare loro il cam. mino. Nel 2.º sostenne che quantunque fossero le selve intersecate dalla linea naturale de'venti temuti, sono in situazione sì depressa che non ponnoriparare i luo ghi oltrepassati, especialmente quelle ter- re e città convicine che sono fondate in sito più alto. Nel 3.º dichiarò che le rino- mate selve Caetane, ancorchè si oppones- sero direttamente a'venti nocevoli e fossero poste in luogo elevato, nondimeno sarebbe desiderabile il loro taglio, non recando alcuna utilità, ed essendodi mol- to danno, per rendere doppia umidità e paragonabili a grandi Paludi. Conclu- de, apparire dalle carte geografiche, che tutta la spiaggia romana da Ostia a Cir- cello dimostra apertamente che lo sci- rocco soffia dal Circello verso l' Isola sagra del Tevere, e in conseguenza dal golfo di Terracina verso Valle Decimo, e da Valle Corsa alla volta di Roma. Е che per verificare che le selve sieno di ostacolo a' scirocchi e arrestino il loro corso verso Roma, converrebbe traspor- tare quelle dalle loro australi pianure al- l'altezza de' monti di Cori, Norma, Carpineto e Valle Corsa, dalle cui costiere 18 VEL VEL r viene facilmente rintuzzata la loro sorgente che per di là va corseggiando, or- dinata dalla natura a seguir la propria linea terminante a Maestro, quale è il punto a'scirocchi opposto, come si vede nella sfera delineata de' più noti venti. Il taglio in discorso non ebbe luogo, ma spesso si sono tagliati alberi da costru zione, e secondo l'uso e continuamente si fanno tagli di legna per fuoco e carbo ne, essendo le selve divise in 12 quarti da tagliarsi nel corso d'anni 12. Dell'u- tilità de' boschi e de' monti a riparo de' venti nocivi, feci parola ne' vol. LVIII , p. 220, LXXX, p. 165 e altrove ; ed il Cancellieri ne parla nella Lettera sull'a- ria di Roma, a p. 88 e 312, riportando alcuni autori sui boschi e sul taglio del- le macchie, fra'quali Giuseppe Cappucci ni : Risposta al ragionamento di mg. Lambertini (poi Benedetto XIV) sopra il taglio delle macchie di Sermoneta e Cisterna,Palestrina nella stamperia Bar- berina 1715. Ricorda ancora l'editto del cardinal camerlengo del 1626, di proi bizione del taglio d'alberi d' olmo per lo stato ecclesiastico, Nettuno, Terraci- na e Conca, e di tutti gli altri per la co- struzione di edifizi e di vascelli, Mg. " Ni . colai nelle Memorie sulle Campagne di Roma, ivi 1803, tratta nella par. 3.ª, p. 252 : Della necessità e utilità de' boschi per impedire l'influenza de'venti austra- li nell' Agro Romano, che essendo mal. sani e portatori di miasmi delle paludi poste a mezzogiorno dell'Agro stesso, sono una delle cause di sua insalubrità. A p. 276 discorre come si debba regolare il loro taglio, delleleggi pontificie per fre- nare l'abuso de'tagli ; ed a p. 280 della cautela di tenere sgombri da'boschiiter. reni in vicinanza delle strade, imperocchè osserva: "I boschi sono gli ordinari ricetti degli assassini, ovunque i boschi si tro- vino in vicinanza delle pubbliche strade, In niun luogo possono costoro più comodamente nascondersi, che tra le macchie, per insidiare e sorprendere gl'infelici passeggeri. Adunque quanto è desiderabile che le pubbliche vie sieno fornite di alberi in un giusto intervallo disposti, sì per la vaghezza ed ornamento, sì per fortificare le sponde delle strade medesime, sì anche per somministrare ombra, o altri usi occorrenti al viandante ; altrettanto è da bramarsi che i boschi si tengano lungi dalle pubbliche strade al . menomezzo miglio da ambe le parti.Una legge di tal sorte, che volesse promulgarsi per sollievo dell'umanità e per facilitare semprepiù il commercio, incontrerà sen- za dubbio l'ostacolo trionfante dell' in. teresse di que'proprietari , che possedendo macchie entro tal vicinanza,soffrirebbero mal volentieri di doverle recidere. Ma la vita dell' uomo, non che il pubblico bene merita pure il sacrificio di qualche priva- to interesse, interesse per altro che si può in molti modi compensare. Se si fosse ne' passati secoli usata una tal cautela, quan- te rapine, quante stragi, quante mannaie si sarebbero risparmiate ! In mezzo per altro alla molteplicità delle gravi cure de' pubblici affari non è sfuggito questo oggetto alla veduta dell' Em. cardinal Consalvi segretario di stato : con mia somma consolazione ho veduto in questi giorni emanare un ordine analogo alle mie idee, cioè che per un tratto della via Flaminia da Nepi a Borghetto si taglias. sero dalle racidi i boschi adiacenti alla strada per un tratto entro le campagne laterali per un mezzo miglio, essendovi colà accaduti replicati assassinii. Speriamo un simile prudentissimo provvedimentopresso alle altre strade,specialmen tenella via Appia adiacente a Cisterna per sradicare il rifugio ed asilo de'crassatori ”. Di recente il ch. Fabio Gori di Subiaco, nella descrizione della Gita da Roma a Porto d' Anzio, a Nettuno e adAstura, riferisce a p. 34. » Strabone poi dice Pi- ratica la stazione di Astura, non già perchè vi stessero i legni de' pirati, ma bensì i legni de' romani contro i pirati che aveano ogni agio di annidarsi nelle VEL 119 VEL r macchie di Nettuno e Sermoneta, mac- chie nelle quali sempre sonosi rifuggiti i ladri. In tal modo io vado a spiegare un altro passo diStrabone affermanteche i romani sforzavano gli anziati adab. bandonar lo studio della pirateria ". I voti di mg. Nicolai furono esauditi. Narrai nel vol . XXVII, p. 266, gli analoghi ordini del governo. Nel 1816 prescrisse il taglio delle macchie per la distanza di 100 canne d'ambo i lati della strada in molti luoghi di Marittima e Campagna; e perSonnino ordinò, che fosse interamen- te recisa la vasta macchia di Margazza no, ed altresì chiudendo e riempiendo tutte le caverne e grotte che vi si trova- vano. Nel 1818 ingiunse per la pubblica sicurezza delle strade nella Marittima e Campagna, lo smacchiamento in altri luoghi. Quanto alla diminuita macchia di Cisterna, lo dissi in quel paragrafo col Marocco. Inoltre mg. Nicolai a p. 472 riporta gli scrittori delle materiede' boschi. Dipoi nell'opera: Sulla presiden- za delle strade ed acque, t. 2, cap. 15, Sulla piantagione degli alberi, ragiona della gran cura ch'ebbero gli antichi ro- mani, onde Roma fosse circondata dapa- recchi boschi , sia pergarantirla da' venti australi e marini perniciosi, sia per mi- gliorar l'aria assorbendo il gas acido carbonico e sviluppando l'ossigeno, sia per apprestare grati asili contro l'ardore del sole; e perchè fossero inviolati , alla seve- rità delleleggi unirono la riverenza della religione. Dice aver egli, d'ordine di Pio VI, quando le pianure Pontine emersero dall'acque, fatto piantare più di 60,000 alberi , parte a' due lati della via Appia da Tor Tre Ponti a Terracina, e parte sui bordi de'fiumi : in tal guisa sorge un granbosco, dove per lo passato stagna- vano l'acque, con sensibile miglioramen. todi quell'aria per l'innanzi cotanto per niciosa. I Papi meritano gran lode per aver posto ogni cura non solo nella con- servazione de' boschi esistenti , maancora uel moltiplicar la piantagione degli alberi. Riprendendo il filo cronologico di questi cenni sopra Sermoneta, dirò che Benedetto XIII avendo ritenuto nel pon- tificato la sua chiesa arcivescovile di Benevento, si recò due volte a visitarla nel 1727 e nel 1729, onorando di sua pre- senza questo territorio ed altri delle pro- vincie di Marittima e Campagna. Leg- go ne' Diari di Romadel 1727, che ri- tornando da Benevento, da per tutto fe- steggiato e trattato magnificamente, per Ceprano, Frosinone, Prossedi, ove pure celebrò la messa nella collegiata, giunse a Sezze, e da dove martedì 27 maggio ad ore 9 e mezza s'incamminò per Sermo- neta. Ne' confini di questo stato e alla porta che la distingue, le cui mura era- no ricoperte d'arazzi e sovrastate dallo stemma pontificio, il castello di Sermo- neta salutò con salva reale dell'artiglie. rie l'ingresso del Papa in Serinoneta. II duca di essa d. Michel Angelo Caetani, coll'accompagnamento di gentiluomini esoldati si presentò aBenedetto XIII, ed in bacile d'argento gli offù le chiavi di Sermoneta, che toccate dal Papa, dopo brevi parole le restituì al duca. Ferma- tosi alquanto inSermoneta e ripreso il suo viaggio, dopo 3 miglia il Papa trovò nuovamente ilduca Caetani, col residuo della soldatesca squadronata,conbandiera spiegataetamburobattente. Ilducasi umilið al Papa, il quale comparti la benedizione a' sermonetani ivi calati da questa loro terra. In Cisterna poi altro feudo del duca, aggiungerò al riferito in quell'artico. lo e come promisi nel suo paragrafo di questo, che tra lo sparo de' mortari e le vietutte parate d'arazzi, Benedetto XIII si recò alla collegiata, ove ascoltata la messa, ammise quindi al bacio del piede d. Costanza unica figlia del duca, la qua- le impiorò e ottenne l'indulgenza per suffragio dell'anima della duchessa ma- dre defunta, e che in qualunque altare ove si celebrasse per la medesima fosse privilegiato. Salita indi Sua Santità nel palazzobaronale, riccamente e nobilmen 120 VEL VEL te addobbato, vi pranzò, come fece tutto il suo seguito in altre tavole, imbandite di copiosissime vivande di grasso e di magro. Poscia il Papa dalla loggia benedisse tutto il popolo,tra nuove salve di mortari, presentandogli d. Costanza in iscatola coperta di velluto rosso guarnito d'oro, un quadretto di ricamo esprimente s. Gennaro, con bellissima cornice d'argento a. rabescata. Dopo di che Benedetto XIII seguitò il suo viaggio per Velletri. Nel 1729 Benedetto XIII tornò a Beneven- to, pernottando a' 28 marzo in Cister. na da' religiosi riformati, colla sua famigli cenando nel refettorio e da unodi essa fece leggere durante la tavola, secondo il suo metodo. Il duca Caetani fece ogni dimostrazione d'ossequio al Papa, ed alloggiò il suo seguito nel proprio pa- lazzo. Nella mattina seguente il Papa parti a ore 12 e mezza perSermoneta,oveil du ca lo trattò magnificamente a pranzo, dopo aver ascoltato la messanella collegiata, ripetendo le dimostrazioni praticate l'al- tra volta allo stesso Benedetto XIII, che nella sera giunse a Piperno. Nel ritorno da Benevento, parti da Terracina il mercoledì 1.º giugno, facendo col suo nume- roso corteggio la strada pel fiume in 3 ſeluche, emangiando all'osteria delle Ca. se Nove, accompagnato fino a Cisterna dal duca Caetani, il quale in Sermoneta lo trattò di magnifico rinfresco, pranzando il Papa da' riformati al solito di ma- gro, poichè non voleva cibarsi di grasso ne' mercoledì. Indi continuò il suo viag. gio per Velletrie Albano, onde restituirsi a Roma, dopo aver ascoltato la messa nella chiesa di s. Marzio in Castel Ginnetti, feudo de' Lancellotti. Benedetto XIII in questi due viaggi a Benevento, concepì il desiderio di compiere l'opera grandiosa del diseccamento delle Paludi Pontine, tante volte inutilmente tentata; commosso nel vedere il miserabile aspetto d'un vasto paese un tempo ferti- lissimo, provò un vivo dolore che dalle tante spese e fatiche de' precedenti tem pi non si fosse ottenuto altro che l'accre- scimento delle Paludi, le quali con inondazioni molto più ampie aveano alle vicine popolazioni cagionato una maggio- re rovina. Allora meditando in cuor suo disegni anche più magnifici, poichè avea veduto che la strada presso il monastero di Fossa Nuova, giacente prima alle ri- ve dell'Amaseno nel piano, era frequen. temente esposta a restar sott' acqua; la costrusse su per le colline ad onta di lo- ro asprezza, in luoghi più elevati per si- curezza e comodo pubblico, e di buoni ponti la munì nel 1727, come rilevasi dalla lapide che ivi fu eretta per memo- ria. Non molto dopo prese la risoluzioned'asciugare interamente lePaludi Pon- tine; ma sbigottito dall'esito infelice de' tentativi d'altri, per non incorrere nella stessa disgrazia, volle sapere se era riuscibile, da' periti geometri Bertaglia e Ramberti ; i quali perciò visitate le Paludi Pontine, nel 1729dichiararono pos- sibile l'impresa e i mezzi per eseguirla ; ma nel seguente 1730 il Pontefice passò a miglior vita. Ho voluto riportare col Nicolai questo cenno, per aggiungere col cardinal Corradini, che con sommo caloreavea proniossol'ardua impresa,l'e- stensione del paese in quell'epoca occu- pato dalla Palude, siccome riguardante pure Sermoneta e il presente articolo. >> La Palude ora comincia da Terracina, e giace sotto la città e le mura; si diffonde pe'luoghi marittimi quasi fino ad Anzio, e in tal maniera copre i territorii di Terracina, di Circello, di Astura, e porzione di quel di Anzio: nella parte mediterranea s'ingoia un'ottima porzione delle pianure di Sermoneta, di Cisterna e di Castel s. Donato, e i migliori siti del territorio Sezzese e Pipernese, e così si e- stende da Terracina fino al Foro Appio, e quindi tranne un intervallo lungo 4 miglia e largo 3 fino al fiume, si rimangono paludosi quasi tutti quanti i piani che restano fra le vicinemontagne di Ser- moneta e il mare : tale è la lunghezza di VEL VEL 121 questa Palude ne'territorii di Sermoneta e di Sezze " . Benedetto XIV impedì mag. giori danni nel corso de' fiumi; Clemen te XIII si propose il bonificamento del le Paludi Pontine, fece alcune determi- nazioni preliminari, e poi desistè dall'im. presa, che Dio avea riservata a gloria di Pio VI, il quale l'eseguì a conto della ca- mera apostolica. Questo Papa, ad esean- pio di Sisto V, cominciò nella primave ra del 1780 a recarsi di persona a Ter racina (I.), e per diversi anni nella stes- sa stagione vi ritornò, per sorvegliare e incoraggiare i progredienti lavori della bonificazione Pontina, accuratamentede scritti da mg." Nicolai, insieme a'grandi vantaggi riportati, non meno che alle cagioni per cui la lavorazione restò imper- fetta, e de' lavori da farsi ; ed altresì alla ripristinata via Appia,che nel tratto della Palude questa avea sommerso, comedel lo stabilimento di sue poste per pubblico comodo nella medesima. In Terracina riceveva dal vescovo e capitolo d'Aua- gni il canone, come lo chiama il Nicolai, che dexesi offrire al Papa ogni voltache dimora in qualche luogo della provincia di Marittima e Campagna, per quanto gode e concessogli da Bonifacio VIII. In tutti gli anni che ciò si praticò da Pio VI, per l'antica via di Castel Ginnetti, a Piedimonte, antica posta di Sermoneta, gli faceva omaggio co'suoi soldati il vice- castellano di Sermoneta del duca Caetani , ordinando il saluto dello sparo di 101 colpi de' cannoui della fortezza, anche nel ritorno a Roma. Le particolarità de- gli omaggi ordinati dal duca di Sermoneta ne' passaggi di Pio VI, che costumava fermarsi a Tor Tre Pouti , si pon- no leggere ne' Diari di Roma. Anche Sermoneta si pregia de' suoi illustri cit- tadini, massime fioriti nelle lettere, nella giurisprudenza, nella poesia, nella medicina e in altre scienze, come rileva Ricchi nella Reggia de' Volsci, e meglio nel Teatro degli uomini illustri de' Volsci, cap. 20, Soggetti illustri di Sermoneta, protestando essersi perduta la memoria de' vetusti volsci che la resero chiara per valore e magnifica per monumenti. Co- mincia a celebrare Giovanna o Giovan- nella Caetani madre del gran Papa Pao- lo III (V.). Il cardinal Nicolò Gaetani, figlio di Camillo IV duca di Sermoneta edi Flaminia Savelli, nipote cugino di Paolo III, che di 12 anni l'elevò alla por- pora, detto il Cardinal di Sermoneta, riportando l'epitaffio del suo sepolcro esi stente nel santuario di Loreto, dove fu trasferito il suo corpo dalla chiesa di s.Ma- ria del Popolo o da quella di s. Eustachio già altra sua diaconia. Vi nacque il cardi- nalEnricoGaetani 1'8 agosto1550da Caterina Pia e daBonifacio duca di Sermoneta.Leonardo monaco cisterciense di Fossa- nuova, vescovo di Giovenazzo uel 1253 e amministratore di Bari. Giordano canonico della collegiata di s. Maria di Carmineta diocesi di Terracina, vescovo di Venafro e suffraganeodi Capua, fatto da Bonifacio VIII nel 1299. Docibile arci- prete di Sermoneta (o di detta collegia- ta), che tale Papa diè al precedente in successore alla chiesa di Venafro. Giovanni Bucci abbate della collegiata di s. Mi- chele Arcangelo, da Sisto IV creato ve- scovo di Veroli. Aunibale de Paolis dichiarato da s. Pio Vcanonico Vaticano, da Sisto V suo maestro di camera, indi vescovo di Cervia e suffraganeo di Ra- venna, edificò da' fondamenti la chiesa di s. Maria delle Grazie, la cui famiglia si trasfuse in quella de' Collavaghi, dalla quale fiorì il valente medico Ferdinando, che visse nella corte dell'imperatore Carlo VI . Francesco Valerio esimio dottore dileggi, governatore di Tivoli e castellano della fortezza. Altri egregi giureconsulti furono Flaminio Pantanelli e Pietro Gigli. Flaminio Americi annoverato nell'or- dine senatorio in virtù della cittadinanza romana, e militò qual capitano volonta- rio nel 1571 contro i turchi, sotto il comando d'Onorato Caetani duca di Sermoneta. Fr. Girolamo Bordoni minore 122 VEL VEL osservante,dotto autore d'opere. Pasquale Toscani rinomato medico in Roma, dichiarato da Urbano VIII suo principa. le inedico, la cui discendenza passò in quella illustre de'Galli . L'antica famiglia Razza vanta valorosi guerrieri. Giacomo Venonza risplendette nella corte del celebre Scanderberg principe d' Albania, qual segretario. Questo uffizio funse Girolamo Bordoni colla repubblica di Genova. Fabrizio Caroso celebre maestro di ballo d'imperatrici, regine e principes- se, lodato co' versi di Tasso, e autore del la rara opera : Il Ballerino di Fabrizio Caroso di Sermoneta, Venetia 1600, ri . stampato col titolo Nobiltà di dame e con molte figure nel 1605. Girolamo Sicio . Jante valoroso pittore (a fresco e a olio), discepolo del celebre Pierin delVaga (Marocco lo dice discepolo di Raffaello: sem. bra meglio ritenere, che s'impadronidella maniera di quello ; sempre operando sul fare Raffaellesco con giudizio di disegno e buone invenzioni, ne fu lodato imitatore, Il maestro fu discepolo di Raf faello, e questi morì nel 1520), il cui esi- miq pennello eguagliò: in Roma dipinse nella sala Regia del Vaticano, nella basilica Lateranense, nella chiesa di s. Maria della Pace (di s. Maria dell' Anima, dello Spirito Santo,di s. Maria Maggiore, ed in s. Bartolomeo d'Ancona), nell'ul. timo torrione di Castel s. Angelo, ne' pa- lazzi Farnese e Caetani; a Sermoneta dipinse nelle chiese di s. Stefano de' rifor- mati, di s. Bernardo, di s. Giuseppe, del. la ss. Vergine del Fossato fuori le mura di Sermoneta; in Cisterna negli apparta- menti del palazzo Caetani, e nella chiesa di s . Antonio abbate de' riformati. Suo degno figlio fu Tullio, che nella pittura forse l'avrebbe superato, morto nel 1572 di 20 anni, e sepolto in s. Lorenzo in Da- maso di Roma, ove il genitore gli pose onorifica iscrizione marmorea, riprodot. ta dal Ricchi. Al dotto duca d. France- sco Caetani, protettore de' letterati e de- gli artisti, che celebrai in tanti luoghi, siamo debitori, come notai nel vol. VI , p. 218, di Antonio Cavallucci nato in Sermoneta nel 1752, perchèda fanciul- lo disegnava arabeschi e figure sui muri . Laonde lo fece venire in Roma, gli fece apprendere la pittura, e riuscì eccellente nel colorito, nel merito avvicinandosi al Battoni contemporaneo. Tra le belle sue opere, nella chiesa de' ss. Silvestro e Martino a' Monti esistono i quadri a olio di s. Elia, della B. Vergine che dà l'abito a s. Simone Stock, l'Anime del Purga- torio, e s. Giovanni che battezza Cristo: nella volta della tribuna eseguì le pittu- re a fresco con bella maniera e buon disegno. In tale chiesa fu sepolto nel 1795 e il suo illustre mecenate gli eresse una lapide in marmo. L'ultima sua opera fu Venere e Ascanio, collocata nel palazzo Sforza- Cesarini. A Pisa, a Loreto, a Catania sono suoi quadri. Le nominate opereottennero celebrità . Afferma Marocco, che in Sermoneta da' suoi eredi si conservano due belli quadri eprimenti uno la Carità, l'altro lo Sposalızio di s. Caterina. Il medesimo celebra l'altro il- lustre sermonetano Giacomo Impaccian- ti giureconsulto, assessore di Frosinone e luogotenente del tribunale del governo di Roma, da Gregorio XVI per la sua fedeltà, perizia, prudenza e valore nel 1831 fatto pro-delegato di Rieti, Spoleto e Perugia, rapito da immatura mor- te in detto anno, compianto per le sue virtù. Trovo un'elegante iscrizione a suo onore scritta da mg. Laureani a p.182 delle sue Orationes, Carmina, et Inscriptiones, Romae 1855. Dell'antichis- simaenobilissima famiglia Caetani, non solamente ragionai in quell'articolo (ove col Novaes dissi che Corrado Caetani zio di Gelasio II sposò Costanza figlia di Federico II imperatore, avendo io corretto il numero di III, e sorella di Manfredi re di Napoli; ora però avverto che ini sembra anacronismo), ma ne' moltissimi che la riguardano, notando nel vol. LVIII, p, 278, che ne' bassi tempi in Roma eb. VEL VEL 123 be per rocca la Torre (V.) delle Mili- zie, e nel suburbano la celebre Sepoltu ra (V.) di Cecilia Metella, avendo an- cora abitazione nell' Isola Tiberina. 11 Palazzo Gaetani o Caserta (V.) colla villa sul monte Esquilino, dall' odierno duca fu alienato a favore de' Redentori- sti, i quali lo ridussero a casa generali- zia e noviziato, e vi hanno fabbricato pro- pinqua chiesa dedicata al ss. Redentore ein onore del loro fondatore s.Alfonso de Liguori, tutto avendo descritto nel vol. LXXX, p. 57. L'altro palazzo Cae- tani è l'antico Palazzo Mattei (V.). De' Caetani era il sontuoso Palazzo Ruspo- li (V.) al Corso, venduto ad essi per 75,000 scudi, e tuttora la contrada d'u- no de' lati ossia la piazzetta al principio di via Condotti, senza che sia scritto nel. le civiche indicazioni delle strade, vol- garmentesi suole chiamare Gaetani. Nel citato articolo Caetani parlai di altri lo. ro palazzi in Roma, come del venduto a s. Maria in Posterula a'Celestini (V.), esiccome è vicino il vicolo Gaetana, dal- Ja vicinanza di tal palazzo crede proba- bile il cav. Ruffini , nel Dizionario delle strade e vicoli di Roma, gli sia deriva- to il nome. De' titoli illustri e de' feudi e signorie de' Caetani , oltre i sunnomi- nati , parlai negli articoli relativi o ne' loropropri, come principidi Teano (V.), duchi di Caserta (V.) ec. De'Papi Ge- lasio II e Bonifacio VIII, e de' cardi- nali Caetani o Gaetani, non solamente ragionai alle loro biografie, ma in tutti i moltissimi luoghi che vi hanno relazio- ne; e di Pio Farulli abbiamo la Cronologia dellafamiglia Gaetani di Pisa, Lucca 1723. Delle antiche e numerose signorie de' Caetani ne riporta l'elenco il Ricchi nella Reggia de' Volscia p. 50. Il cav. De Mattheis nel Saggio istorico di Frosinone sua patria, dice a p. 77, che Frosinone distinguendosi nel secolo XII tra' paesi della Campania Romana, era il luogo principale della provincia governata da' baroni Caetani conti della Campanía. Daquanto riporta facilmente s'intende, che Frosinone nel secolo XIII e anche prima, era la capitale o reggia della Campania , risiedendovi i duchi Caetani nella loro qualità di duchi della stessa Campania e dipendenti dalla s. Se- de. Frosinone fu già sede vescovile, come pure lo fu Trevi(V.)della stessa pro- vincia. Dice Marocco, il territorio di Ser- moneta è feracissimo, producendo ogni sorta di cereali e frutta, ed all'intorno ha molte piscine, che oltre di produrre un'infinità di rane e pesci , danno ezian- dio moltissime mignatte, delle quali i po- polani fanno commercio co' fiorentini e genovesi che appositamente vi si recano ad acquistarle. Alle falde del monte su cui giace Sermoneta, sorgono acque mi- nerali di molto giovamento per diversi malori. Una di acqua zolfurea detta Puz- za pel suo odore nauseante, prodotto dallo sviluppo del gas idrogeno zolforato, si usa con molto vantaggio nelle malattie cutanee. Essa ha varie sorgenti,delle qua- li una è veemente. Altra acqua sorge sul principio delle tenuta Tufette del prin- cipe Massimo. Essa è marziale, predomi- nando la parte ferrea, e giova all'ostru- zione di milza, male frequente tra' ser- monetani. Si osserva nel piano della cam- pagna, da un lato della strada di Norma, un piccolo laghetto di forma rotonda, e di circa mezzo rubbio di terreno, chia- mandosi precisamente la contrada ove giace il Frecciale. Si giudica derivato da unavvallamento di terreno, ed ivi esister dovevaqualcherimarchevoleedificio,per chè si rinvennero diversi frantumi marmorei, un capitello di marmo bianco, qualche avanzo d'opera laterizia, varie tegole di terra cotta di diversa forma di due piedi e un 6.° aventi due labbri al- l'estremità, il che usavasi per render più solide le fabbriche,e per dare loro bel- la comparsa. Si scoprirono pure diverse nicchie con entro ossa umane, forse sepol- creto di qualche famiglia illustre. Riferi- sce Galindri, che nel monte vi è uu abis 124 VEL VEL so o cratere detto il Pozzo dell'Osa, ed in altra parte del territorio sono 3 ta berne sotterranee, o famose grotte, le une maestosamente fabbricate a volto soprale altre. Governo di Valmontone. Valmontone.Città e comunedelladiocesi di Segni , residenza del governatore, con territorio in piano e in colle e molti fabbricati , distante circa 24miglia daRoma, 14 da Cori, e 5 per la via diretta da Palestrina, con 3275 abitanti secondo la Statistica del 1853. Giaceisolata in istretta valle riparata da basse colline , sopra un colle di tufa vulcanico dirupato, meno ne'luoghi fatti più agiati pergli accessi , dirimpetto a Monte Fortino lungi 3 miglia , a levante avendo Segni e Gavi- gnano, sulla via provinciale e corriera Casilina , corrispondente nella 1.ª parte al l'antica Labicana, e dopo Lugnano alla Latina. In lontananza la città ha una certa somiglianza colla veduta della Riccia, tanto per la verdura delle boscaglie che l'attoruiano, come per la cupola della col- legiata che la sormonta. La sua pianta riducesi a un'ellissi irregolare, ed è cinta di mura munite di torri quadrango- lari , opere de'bassi tempi, in parte suman- tellate e in parte ridotte a case ed altri usi moderni , come apprendo da Nibby. Ritiene Marocco, che da valle e da monte può esserderivata la denominazionedi Valmontone, essendo circondata da una breve vallata e situata sull'eminenza che alcuni dicono essersi chiamata Montone. Dice già le sue inura solide e costruite con diligenza, ed i frequenti torrioni mutilatidisposti con buon modo di militare architettura. Leabitazioni appartengono a diverse epoche, alcune tendenti al gusto gotico, altre meno antiche hanno bal. comm di tufo o pietra nera formati a croce che in 4 parti dividono le finestre, molte case hanno l'ingresso ad angolo ottuso o arco acuto, come ne'luoghi delTepoca de' guelfi e gliibellini ; ed alcune fabbriche sono formate di tufo, scalpellato con maestria ecommesso con eccel. lenza d'arte. La porta per cui si entra venendo da Roma non è l'antica, la quale trovasi interrata in una cantina dell'avv. Pozzi, dove ancora si osserva il voltone e l'arco ch'esser dovea di fronte alla pub. blica via che conduceva al palazzo baronale. Aggiunge pure Marocco, che il ma- teriale col quale furono fabbricate molte abitazioni, è comune opinione fosse trasportato dalle rovine dell'antichissima città di Labico, molte iscrizioni marmoree della quale e trovate nel 1789 negli scavi della tenuta detta la Cavalla, ubi- cazione a cui non si accorda che ivi sorgesse, si collocarono nell'atrio del palaz- zo baronale, e le riporta in uno alle moderne della collegiata e dell'oratorio. Le vie interne sono regolari, selciate e assai comode, fiancheggiate in generale da buo- ni fabbricati, tranne quelli presso porta Romana abitati da'coltivatori de'campi. Osserva Nibby, che entrando nella città di antico rimarcansi molti massi quadri- lateri di tufa locale, avanzi dell'antiche mura, impiegati nelle costruzioni moder- ed alcuni sembrano al posto loro, qualche vestigio d'opera veticolata, ed un sarcofago del tempo di Settimio Severo ridotto a fontana pubblica, sul quale sono espressi a bassorilievo 3 Genii che reg- gono encarpi o festoni. Le case le reputa generalmente d'opera saracinesca e ricordano il XIII secolo. Si direbbe che in grån parte fu riedificata dopo che ne fu inve- stito Riccardo Conti. L'attuale magnifico e grande palazzo baronale, al riferire del p. Casimiro da Roma, Memorie delle chiese e conventi defrati minori del- la provincia romana, fu cominciato a fabbricare verso il 1662 dal principe Camillo Pamphilj nipote d'Innocenzo X, nel sito più eminente e nel miglior clima (poi- chè essendo la città edificata sul tufa, questo produce alquanto umido, secondo Marocco),econ moltissima diligenza d'ar- te disegnato, con fascie e abbellimenti esterui di peperino e di pietra tiburtina. ne , VEL VEL 125 La facciata principale è rivolta alla piaz- za maggiore, d'onde verso mezzodì s'a- pre una veduta bellissima e vasta: l'occhio rapidamente percorre il tratto limitato dalle punte dell'Algido e da quelle del Lepino, presentasi da lungi verso oc- cidente Rocca Priora, e avanzandosi ver. so mezzodi si riconosce il monte Artemisio e l'Algido, e spalancasi la valle e Palude Pontina: di fronte presentasi la ca- tena del Lepino e sotto di quella Monte Fortino, e di fianco verso oriente Ga- vignano. L'ampie e alte sale, e i diversi appartamenti dipinti egregiamente con favole mitologiche, meritano vedersi. Vi si giunge per due vie; la più bella comin- cia dalla piazza, l'altra dalla porta Roma- na, rimanendo da un lato l'imponente fabbricato delle stalle. Propinquo al sontuoso edifizio, che può dirsi il più super- bo de'dintorni , e verso l'angolo orienta- le della piazza comincia la facciata della chiesa principale di s. Maria MaggioreAssunta in Cielo, collegiata e parrocchia.Es- sa fu riedificata dalle fondamenta dal principe Gio.BattistaPamphiljAldobran- dini figlio di Camillo encomiato, e v'im- piegò 4 anni dal 1685 al 1689, serven- dosi per architetto di Mattia de Rossi fi- glio del bergamasco Gio. Antonio passa- bile architetto, amato allievo del celebre Bernini , come può leggersi nel Milizia, Levite de' più celebri architetti, p. 377. Magnifica, elegante e vasta n'è la mole, che fa contrasto colle abitazioni modeste del luogo: la pianta è ovale, bella e sem- plice, essendo cioè un'ellissi: bella pure è la cupola che la sormonta,schiacciata, solida e luminosa; buono il campanile, os. sia le due torri campanarie, aldire del severo Milizia; l'atrio poco ampio è conve- nevole e decorato: ma a Nibby i partico- Jari sembrarono risentire gli effetti del gusto di quel secolo corrotto. L'interno è ornato dalle pitture del p. Pozzi, di Gia- cinto Brandi, Cirro Ferri, Agostino Silla, cav. Sebastiano Conca e altri rinomatiartisti del XVII secolo. Un eccellente organo le accresce lustro, ed è lodevolmente ufficiata quotidianamente dal capitolo nel suo coro di17 stalli. Urbano VIII eresse in collegiata la precedente, conbreve de' 15 marzo 1638, grado che venne trasfuso all'attuale, istituendo l'unica e principale dignità dell'arcipretato. Allo. ra il capitolo si componeva di 7 canoni- ci,poi aumentati a ge duechierici, ed ora lo è di 10 canonici compresa la dignità dell'arciprete; gli altri benefizi non facendo corpo col capitolo. Marocco che de- scrive i quadri, dice il s. Francesco del p. Pozzi e ne rileva i singolari pregi , al cui altare si venera pures. Filomena ben di- pinta dal Quattrocchi. Il superbo quadro di s. Benedetto, logiudica del Ferri. I due quadri del Salvatore, e della B. Vergine col divin Figlio sono del Conca. Nella sagrestia si ammira in tavola l'immagine della Madonna col s. Bambino in grembo circondata d'Angeli, dipinta nel 1513 dal famoso Pinturicchio.Questa chiesa fu solennemente consagrata a' 27 maggio 1703 da mg. Pietro Corbelli vescovo di Segni. Nel vicino oratorio del Gonfalone, edificato da Alto Conti morto nel1466, bellissimo è il quadro delPresepiodipinto nel1622 da D., da tutti riputatodelBassani, afferma Marocco. Ma de'sei Da Ponte di Bassanopittori, niuno portò il nome cominciante col D. lo non pretendo con taledata e iniziale indovinarel'autore del quadro, dirò solo che in quell'epoca fio- riva il Domenichino, e cominciava a fiorire l'oriundo francese Gaspare Dughet nato inRoma, cognato e discepolo delce- lebre paesista Poussin, ed anche scolaro di Claudio Lorenese: fra'paesisti italiani è quello che ha più grazia e sentimento; tutto è in lui vero. I suoi mirabili paesag- gisovente ornavali di figure. Moltodipinse pel principe Pamphilj, la qual famiglia possiede grandi e rinomatissimi quadri . Altra parrocchia èla chiesa de'ss. Andrea e Stefano. Salendo a Valmontone per la partesinistra, è la chiesuola della ss. Vergine delle Grazie, che per lo stile e la co 126 VEL VEL struzione ricorda l'XI secolo. La porta, antica anch'essa e rinnovata nel secolo XIII, presenta l'Eterno Padre: il mistico Tau, che vi si vede espresso, è prova che un tempoquesta chiesa appartennea'mo- naci o meglio canonici regolari dell' or- dine di s. Antonio abbate. Sopra un'altu- ra pure a sinistra della via, e non molto lungi dalla città, vedesi dominare la chie- sa e il convento de' minori osservanti di s. Angelo, di cui ragiona il sunnominato p. Casimiro nel cap. 25, iusieme alle notiziedi Valmontone, e di cui mi vadogio vando, di conserva cogli altri lodati scrit. tori. Ambo gli edifizi sono situati sopra un colle, i quali nondimeno restano coper. ti dagli altri colli che li circondano , anzi lefinestre delr . appartainento delpalaz- zo baronale stanno a cavaliere del tetto della chiesa ed a livello del convento de' cappuccini di Palestrina. Il p. Gonzaga, Historia Serafica, peli . e senza documento pubblicò che il convento già abba zia appartenne a'benedettini, eche da'si. gnori Conti baroni del luogo fu concesso a'francescani colla bellissima chiesa. Il p. Casimiro assicura che la fabbrica è anti- ca, e nell' architrave della sagrestia lesse l'anno1009. Nel 1738 per certa fabbrica si scoprì una croce stazionale di marmo con vari ornamenti di musaico, le quali cose potrebbero rendere verosimile l'asserzione del p. Gonzaga, ed il Nibbydice saracinesca la costruzione. Certo è che i frati minori non vi si stabilirono dopo la metà del secolo XV, ad onta che tale epo . ca sia notata nelle memorie del convento e nell'archivio d' Araceli, ma nello stesso secolo di loro istituzione. Imperocchè ri- porta il p. Vaddingo,Annal. Minor. , che Nicolò IV nel 1290 con breve de'7 luglio dato in Orvieto, la cui copia era nell'archi- viodi s.Isidoro, concesse l'indulgenzaperpetua d'un anno e 40 giorni a' fedeli che pentiti e confessati visitassero nel giorno di sua festa e per tutta l'8.ª la chiesa di s. Michele Arcangelo de'frati minori di Val. montone diocesi di Segui. A tempodel p. a Casimiro la chiesa conteneva 3 altari dal- lapartedell'Epistola e 2 daquella del Van gelo,ed era stata consagrataa 26 febbraio daGiuseppe Pamphilj vescovo di Segni dal 1570 al 1581. 11 p. Casimiro ripro- dusse due memorie sepolcrali, il novero delle ss. reliquie della chiesa, incontro la quale nel 1 490 i Conti edificarono a s. Mi- chele una cappella semicircolare, poi pro- fanata nel secolo passato, e che nella campana del campanile era inciso l'anno 1523, colle invocazioni della Madonna e di s. Michele, e col nome Angelus Melo Verulanus. Soggiunge il p. Casimiro che più d'un miglio da Valmontone sulla via Labicana fu già il monastero di s. Maria in Silice de Vallemontana (così detta da' grossi selci della via lastricata), di cui tro- vasi menzione nell' Ughelli, nel diploma di conferma de'beni a Pietro vescovo di Segni, emanato nel 1 182 da Lucio III, da cui si trae ch'era stato tolto a'benedettini a'quali era appartenuto. Nel secolo XIII vi furono collocate le monachedi s. Chia- ra, alla loro chiesa concedendo Nicolò IV l'indulgenza Signina Dioecesis. In una bolla di Paolo 11 del 1470 si narra che il monastero era disabitato eda più annidi- ruto; però non si deve confondere col mo- nastero che nello stesso pontificato Gio. vanni Conti fabbricò dentro Valmontone col medesimo nome di s. Maria in Silice, per aver ottenuto tal signore dal Papa di trasferirvi il titolo dell'altro, e di farvi rifiorire di nuovo la regolare osservanza. Giovanni per ottenere tuttociò più facilmente donò a' monaci di s. Scolastica di Subiaco, oltre la chiesa e il monastero, anche l'ospedale pe' poveri , fabbricato già da Alto suo genitore , sepolto nel 1466 in quella chiesa con epitaffio. L'o- spedale tuttora esiste. Nel Diario di Car- lo Messori da Subiaco si legge, che nel 1591 era priore di questo nuovo monastero d. Ambrogio da Subiaco, ma dipoi fu abbandonato affatto da'monaci, laonde nel 1656 vi poterono ritirarsi i minori osservanti, nel tempo che il loro convento VEL VEL 127 di s. Angeloera abitato da contagiosi del- la pestilenza che affliggeva pure la contra- da. Aggiunge Marocco, che al monastero fu unita l'abbazia di s. Maria diPorcinia, castello poi detto Percile, distretto e dio. cesi di Tivoli, con altre notizie sul medesi. mo, oradel tuttodiruto,le sue rendite non eccedendo 50 fiorinid'orodi camera. Era vicino alle ville e cimiterio di s. Ilarionella via Labicana, dagli antichi cristiani di gran divozione e assai frequentato. Dice ancora il Marocco che quasi 5 miglia di- stante da Valmontone esisteva il monastero molto antico di s. Cecilia dell'ordine di s. Benedetto, e precisamente rimpetto al diruto castello di Pimpinara, di cui feci parola nel paragrafo Gavignano. Non manca Valmontone di pii sodalizi, e del lemaestre pie, le quali furono istituite in questa città dalla principessa Leopoldina Doria Pamphilj di Savoia Carignano. Ora Jacittà sta costruendo il cimiterio comunale fuori dell'abitato ed alla distanza di circa mezzo miglio dalla medesima. Ce lebre fra'geografi è stata sempre la que. stionesopra il sito preciso di Labico (V.), città ragguardevoledell'anticoLazio epoi sede vescovile. Leandro Alberti e molti altri dopo di lui hanno stimato che sul. le rovine di essa sia stato dipoi fabbrica. to Valmontone. Cluverio e Kircher han. no creduto Labico nello stesso sito ove oggi è piantato Zagaroló ( V.). I moderDi scrittori,appoggiati all'Olstenio e al Fa- bretti, non altrove lo riconoscono che nel castello della Colonna , così Marocco e Nibby. Il p. Casimiro da Roma però osserva che la Colonna non è situata sulla via Labicana, ma distante da Roma cir . ca15miglia, che fanno appunto is 20 sta- di di lontananza assegnati da Strabone a Labico; distanza che non si può confare alla posizione di Zagarolo, che dicesi 17 miglia lontana daRoma (di più vuole Nib. by), e molto meno con quella di Valmon- tone , che viene giudicata lontana dalla medesima più di 22 miglia. Ciò che poi dovrebbe togliere ogni dubbio è la lapide di Partenio, trovata dal Fabretti nel territorio della Colonna e da lui riporta- ta nel suo libro DeAquis etAquaedu- ctibus. Con tuttocid confessa il p. Casimi. ro di non poter abbracciare neppur quel sentimento, dubitando che la lapide forse potrebbe esservi stata trasportata , benchè potrebbe essere surto Labico non lungi dalla Colonna. Ma considerando che un tempo esistevano Labico , Colonna e Zagarolo, e tutti e 3 chiamati coloro nomi , conclude che Labico non poteva esser situato ove oggidì è piantata Colon. na, e questo castello non potè esser fab . bricato sugli avanzi di Labico. Questa città era tuttavia in piedi nel cominciar delsecolo XIII, in cui Domenico vescovo d'Albano vi passò a governarne la chiesa , ilche rendesi manifesto dalla lite insorta tra il vescovo d'Albano e il monastero di Grotta Ferrata per l'esenzione di una chiesa del castello di Paolo, situato sotto Marino; e mentre da molti anni addietro esistevano altresì la Colonna e Zagarolo, come si trae da Pandolfo Pisano, il quale narra che Pasquale II nel 1 104, egressus urbe Cavas recepit, Columpnam etGaz- zerolum, cioèZagarolo,ed in più luoghi da Cencio Camerario. Sembra dunque al p. Casimiro vacillare la congettura di que' che hanno scritto Labico esser lo stesso che la Colonna. I moderni Calindri e Ca stellano inclinano a credere che l'odier- no Valmontone abbia rimpiazzato l'an . ticacittà di Labico, chealtri posero a Za. garolo o alla Colonna. A'ricordati articoli riportai lediverse opinioni degli scrit- tori,fra'quali il Ficoroni pose Labico pres- so la sua patria Lugnano. Il dotto Nibby nell'Analisi dedintornidi Roma, 1. 2, p. 159, ragiona delle diverse terre che si dr- sputarono l'onore d' esser succedute all'antico Labicum o Lavicum, e tutte ebbero i loro forti difensori, nè tace che nel secolo XVI era comune l'opinione in favore di Valmontone, e nel seguente al- tri lo situarono a Zagarolo. Pertantosog- giunge: Se però ad unmalinteso amore 128 VEL VEL di patria si fosse sostituito un più matu ro esame de' luoghi, ed un rispetto mag- giore all'autorità de'classici antichi, l ' o. pinione non sarebbe andata tanto oscil lando con detrimento della verità e della scienza. Ragionando poi delle distanze, ne escluse Valmontone, dicendola più di 26 miglia distante da Roma , e poi nel suo articolo scrisse circa 24 , e trovò le me. desime e le altre coincidenze in favore della Colonna, ed eruditamente riferì le notizie di Labico e della Colonna. Trattando poi il Nibby di Rocca Priora, che dice l'antica Corbio o Corbione, nel t. 3, p. 22 , dichiara che Vitellia era a Valmontone, ed ioseguendolo, ciò ripetei nel vol . XXVII, p. 178, nella breve mia descrizione di RoccaPriora;ad onta ch'egli nell'articolo Civitella di Subiaco, nel t.1, p. 474, l' avea riconosciuta succeduta a Vitellia daʼromani eretta nel paese degli ernici , onde tener a freno gli equi o equicoli , ed inoltre ivi già avea riconosciuto Valmontone essere succeduta a Tolerio, Nel mio articolo SUBIACO, e nel paragra- fo Civitella ne ripetei l'opinione. Io non intendo censurare il grand'uomo, soltan- to avvertire gli anacronismi, onde non es . sere anch'io in contraddizione. Inoltre il Nibby nel t. 3, p. 369, tiene proposito di Valmontone, chedice l'antico Tolerium, quindi Castrum Vallis Montonis; ed eccone le sue notizie. La città di Tolerium o Toleria, come unadelle più antiche del Lazio, ed esistente fin dall' anno 268 di Roma, Dionisio e Plutarco l'indicano chiaramente situata nelle vicinanze di Bola, ch'egli riconosce a Lugnano, Labicoe Pe- do, mentre Plinio enumera i Tolerienses fra quelle popolazioni del Lazio anticoche a'suoi giorni erano pienamente scompar. se. Stefano Bizantino poi si limita ad in . dicare Tolerium solo come una città d'1 . talia. Se, come sembra al Nibby, Bola fu a Lugnano, Labico alla Colonna, e Pedo a Gallicano (V.), due soli luoghi moder ni potrebbero contendersi l'onore d'esser riguardati come succeduti a Tolerio, cioè Zagarolo e Valmontone, poichè avendo l'infaticabile e intelligentissimoNibby per- corso in tutte le direzioni quel tratto di paese latino fra la Colonna, Valmontone e Gallicano, questi due luoghi solamente presentarono a lui in tutto quel distretto traccie d'antichità. Quelle di Zagarolo non crede appartengano a epoca remota, ma li reputa pezzi di monumenti dislocati del tempo imperiale di Roma; nè l'aspetto di quella terra ha grande appara- tod'essere stata una città antica, ma piuttosto una villa romana: al contrario Valmontone alt. aspetto mostra il carattere di una di quelle città o piuttosto borgate munite del Lazio primitivo, essendo posta sopra un colle isolato, cinto da dirupi ed attorniato da sepolcri scavati nel tufa, come quelli di Collazia e di altre cit- tà antichissime, e fra due rigagnoli che sono da considerarsi come due delle più lontane e perenni sorgenti del fiume Sacco,influente principale delLiri.Questo Gu- me è evidentemente quello che Strabone ossia il suo testo odierno designa col no . me che Ovidio e Orosio appellano Tolenus, dal quale si conosce l'origine del nome di Tolerium, ch'era posto alle sor- genti di quello. Prova ulteriore pel Nib- byche Tolerium fosse sul sito di Valmon- tone, è la marcia di Coriolano,il quale ve- nendo contro le città latine della Valle Pontina, lar ." a presentarglisi sul confine volsco da quella parte era Tolerium, e questa infatti, secondo Dionisio e Plutar- co nella Vita di Coriolano, fular. ad es.. ser assalita, come successivamente assalı quelle che una dopo l'altra gli si parava. no sulla strada, cioè Bola, Labico e Pedo. E non volendo attaccare nè i prenestini, nè i gabini , nè i tusculani , perchè forse erano d'accordo co'volsci, o non erano alleati de'romani, si volse contro Corbione, Boville posta presso le Frattocchie, e La- vinio (Pratica dice Nibby ; non si deve confondere con Patrica nella delegazione di Frosinone: di Lavinio e di Pratica ragionai nel vol. XXXVII, p. 233 e seg.), VEL VEL 129 ultime città che gli rimanevano a soggio- gare sulla sinistra, prima di porre il cam- po contro Roma, alle Fosse Cluilie. Ilva- loroso esule romano trovò i tolerini pre- parati a difendersi,e da prodi per ungior- no intero respinsero l'assalto, ma alla fine dovettero cedere alla furia de' volsci . La città fu presa d'assalto, ed i volsci ne riportarono una preda cosi grande in uo. mini, denaro e vettovaglie, che il traspor- to del bottino durò parecchi giorni. In- dizio è questo della floridezza di Tolerio, sebbene la città non fosse molto grande, secondo Dionisio, il quale fa dire a Minu. cio nella sua legazione a Coriolano, che non credesse già facile impresa l'assalire Roma, e che non credesse d'averla a fare co'pedani e co'tolerini, piccole popolazio- ni. Nuovo argomento a favoredi Valmon. tone, dice Nibby. Indi nota : E' singolare, che mentre Dionisio e Plutarco sonopie- namente d'accordo nell'indicare la presa di Tolerio, Livio non nefa menzione, ma in vece nomina Trebiam ossia Trevi(V.), ch' è fuor di luogo affatto; e perciò può credersi che il nome in Livio sia stato al teratoda'copisti e che in vece di Trebiam debba leggersi Toleriam, congettura che sfuggì al dottissimo Cluverio. Dopo quel. la catastrofe sembra che Tolerio non venisse mai più abitata, poichè non se ne trova più menzione negli antichi scritto ri . Quindi crede Nibby , che i cittadini superstiti si disperdessero nelle città vi cine di Bola, Preneste e Pedo. Quantun. que però Tolerio fosse scomparsa , non sembra probabile che sul finir del gover- no repubblicano o ne'tempi floridi del- l'impero il suo sito fosse trascurato da qualche ricco romano , il quale ne avrà profittato per edificarvi una villa, come di altre città primitive del Lazio essere avvenuto afferma Strabone, e nefan te stimonianza le rovine esistenti. Nel n.°65 del Diario di Roma del 1846 si legge un articolo di O. R., nel quale dà contezza del pubblicato libro: Intorno l'an- ticoenuovoLabico. Dissertazione diLui. VOL. LXXXIX. giBertarelli,Roma1845. Principia l'ar- ticolista col fare osservare, che non si può in miglior modo onorare il paese natale di quello che ricercando nella sua storia, e manifestando alla luce del mondo le sue glorie, tanto più sedaaltri scemate, mes- se in dubbio o negate del tutto. Ciò fece assai dottamente, e con franco e bello andare di stile, Luigi Bertarelli da Valmontone nell'opuscolo annunciato di 39 fac- ce in 8.°, abbastanza pieno d'erudizione. Egli procedè, al dire dell'articolista, con bel ragionare, chiarezza e con forti argo- menti a mostrare come presso il luogo dove sorge ora quella città fosse il Labi- co degli antichi. Un tale ragionamento, dedicatoal suo concittadino d. Pietro Paolo Fratoni parroco de' ss. Andrea e Ste- fano, l'autore divise in 11 paragrafi . Accenna nell'introduzione come il Sommo Pontefice Gregorio XVI, con breve de' 26 settembre 1843, desse al comune di Valmontone l'illustre titolo di città , e quindi i suoi abitanti, fra le altre pubbli- che dimostrazioni di gratitudine a tanto beneficio, stabilissero una accademia, nella quale dovea recitarsi questa disserta-- zione, la quale non tenuta il Bertarelli pubblicò colla stampa.» Quanta oscurità e quanta incertezza sia stata sempre intorno alla situazione dell' antico Labico ènotoa chiunquesi conosce minimamente di queste materie: chi nel luogo dove sorge al presente la terra di Zagarolo ; chi alla Colonna ; chi altra volta pure o- pinò che fossenelle vicinanze di Valmon tone; i quali diversi pareri discorre il Ber- tarelli nel 3.º paragrafo, dopo aver toc- catonel 2.º la storia dell'antichissima cit- tà. Il Nibby, in fra gli altri, volle a'dì no. stri sostenere che veramente alla Colonnasorgesse Labico, secondo eziandio l'avviso dell' Olstenio e del Fabretti; il che si fa il nostro Bertarelli a confutare moltovalorosamente nell'8.º paragrafo, com. battendolo coll'autorità degli antichi scrittori , come di Livio e di Strabone, il quale scrivendo che Labico giaceva oltre 9 130 VEL VEL il15. miglio da Roma, fa chiaro che non potea essere dove sorge al presente la Co- lonna, che, osserva il Bertarelli, seguendo le tracce della dritta via Labicana antica, dista da Roma solamente12 miglia ; la combatte coll' andamento della via medesima, colla natura del luogo in cui è poi sorta la Colonna, con altri ben for ti argomenti che tralascio per brevità e che stimo prezzo dell'opera leggere come sono distesamente e eruditamentetratta ti nella dissertazione medesima. Per con. trario nel paragrafo 7.° avea già abba- stanza provato il Bertarelli come colle re. liquie dell' antico Labico fosse costrutto Valmontone, e come a questo apparten. gal'antica sede episcopale Labicana,men- tre nel paragrafo 9.º mostra colla mag- gior evidenza l'errore del Nibby nell' aver dato a Valmontone il nomedell' antico Tolerio. E poichè la maggior gloria che venga ad una città è quella che le danno gli uomini di alto sapere da essa derivati , saviamentelo stesso Bertarelli, avantidi por fine a questa sua bella ed erudita dissertazione, nonvuole taciuti i nomi d'alcuni più celebri che sortirono nelJa sua Valmontone i natali; e valga per tutti il ricordare quel Giusto de'Conti,ce- leberrimo poeta,giureconsulto e oratore, stato consigliere di Sigismondo Pandol- foMalatesta" . Termina l'autore dell'arti . colodicendo, che siccome tutto l'opusco- lo è interessante, si sarebbe dovuto ripe- terlo, congratulandosi collo scrittore per tale sua fatica, che nonreca minor gloria e onore a lui che alla sua patria natale. Dipoi il ch. cav. Coppi pubblicò le Memorie Colonnesi, nelle quali assai par- la del castello della Colonna e de'suoi si gnori Colonna ( V.), i quali derivando da gli antichi signori del Tuscolo, dalla stes- sa Colonna presero il cognome, secondo Muratori, altre opinioni avendole io rife- rite al citato articolo. Quanto a Labico, di- ce il Coppi, alcuni archeologi, come Vol- pi, Vetus Latium, e Nibby, sono di pa- rere che sulla collina del castello di Colonna fosse l'antico Labicum, città abbastanza ragguardevole da dare la denomi- nazione di Labicana alla via romana che vi conduceva, senza dire la propria opinione nel contrastato argomento. Intorno a Labico, oltre il detto nel suo articolo e ne' luoghi che ivi citai, tanto sem- brami abbastanza ; per un maggior det- taglio può supplire il Nibby. Questo rac- contà, che la suindicata villa avea il nome di Casa Maior nel secolo VIII, quando insieme con Longeianum , oggi Lugnano, fu data da s. Gregorio 11 del 715alla basilica Lateranense , come si ricava dal registro di Cencio Camerario inserito dal Muratori nel t. 5 dell' Antiq. Medii Aevi. I coloni posti a coltivar questo fon- do formarono a poco a poco la borgata, che fino dal 1139 avea assunto il nome di Vallis Montonis, il che si trae da un atto riferito nell' Appendice 2. del t. 4 degli Annales Camaldulenses; nel qua. le leggesi come Oddone signore di Poli mandò ambasciatorea Papa Innocenzo II un tal Landone de Valle Montonis, peł narrato nel vol . LXXV, p. 287 e 288, par- lando di Poli e nuovamente della famiglia Conti. Continuava a quell'epoca que- sta terra ad essere posseduta da'canonici regolari Lateranensi, e venne loro con. fermata, come si legge nella bolla a loro e al proprio priore diretta da Anastasio IV nel 1154, riportata dal Crescimbeni nell'Istoria della chiesa di s. Giovanni avanti Porta Latina, p. 248, con queste parole che da essa ricavo: domosquas habetis in cancello, domos quas habetis in Via Maiori Castrum Vallis Montonis cum Ecclesiis et omnibus ad ipsum Ca- strum pertinentibus, Castrum Matella- nici etc. Di che fa menzione anche il p. Casimiro Lucio III nel 1 182 pose o con. fermò Valmontone sotto la giurisdizione ecclesiastica del vescovo di Segni , e nella bolla Et ordo rationis expostulat, ri- prodotta dall'Ughelli nell'Italia sacra, t. 1, p.1237, come chiesedi Valmontone si nominano quelle di s. Mariae, s. An VEL VEL 131 dreae, s. Laurentii cum omnibus perti- nentiis suis, s. Joannis de Selva, s. Nicolai cum omnibus pertinentiis earum, s Zotici cum omnibuspertinentiis suis,mo- nasterium s. Mariae in Silice cumomnibuspertinentiis et libertatibus suis. Frattanto i canonici regolari Lateranensi l'aveano talmente caricato di pesi e debiti con forti usure, che trattavano seriamen- tedi venderlo pubblicamente; laonde Pa. pa Innocenzo III (P.) col consenso del prioree canoniciLateranensi,comproval- montone colle sue pertinenze , parte co' denari suoi, parte con quelli del fratello Riccardo contedi Sora, ed aquesti lo diè infeudo nel 1208, salvo iure Lateranensis Ecclesiae. Il Ratti dice l'atto d'acqui- sto essere del1209 e conservarsi nell'ar- chivio Sforza, nella qual famiglia passa- rono i beni e le prerogative della linea primogenita de'Couti. Nel Bull. Rom. t. 3, p.132, è la bolla Cum Castrum Val- lisMontonis, colla quale Innocenzo III : Ricardo Comiti Sorano Castrum Vallis Montonis confirmat , eaque omnia, quae ei locarunt Canonici basilicae Lateranensis. Eda questo Riccardo ebbeo. rigine la linea de' Conti ( P.) di Valmon. tone e di Segni, come raccontai in que- gli articoli, i quali vanno tenuti presen- ti, perchè procedei co'documenti auten- tici pubblicati dal Ratti, Della Famiglia Sforza, t. 2, p. 217 eseg.: De'Conti di Segni. Ma devesi anche qui notare, che lat. " stabile signoria che acquistò il gran- de Innocenzo III fu quella di Valmonto . ne , per cui la famiglia Conti sino alla metà del secolo XV si chiamò de'Conti signori di Valmontone; e talmente fu propriodi essa il nome di questosuoprin- cipale feudo, che non rare volte trovasi scritto pressoi contemporanei Casa Val- montone per Casa Conti, giacchè essa assunse l'amministrazione e il dominio di Segni dipoi nel 1353; dicendosi ne'docu- menti che tuttociò comprovano, che alla Casa di Vallemontone Corradino impe- ratore nel 1254 diè l'arme dell' Aquianla scacchiata e il popolo romano il cam- po rosso. Nell'infeudazione di Valmonto- ne, Riccardo fu dal Papa fratello infeudato pure di Poli, Sacco e Pimpinara, e prestò giuramento solenne di fedeltà al medesimoInnocenzo III in Ferentino, con atto pubblicato dal Muratori nel t. 5, p. 849 dell'Ant. Med. Aevi, edal Ratti a p. 232 coll'istromento di compra di Valmon- tone. Perciò Riccardo si obbligò co'suoi successori a fare guerram et pacem de Castro Vallismontonis, de Sacco et de Plumbinaria contra omnes homines ad mandatum Romani Pontifici. Esiccome da'figli di Riccardo si formarono due li- nee primarie, la primogenita de' signori di Valmontone e poi di Segni, e l'altra de'signori di Poli, questo paragrafo può vedersi nel luogo citato, anco per gli al- tri feudi che signoreggiò. Osserva il Rat- ti, che Valmontone forse sarebbe andato soggetto alle divisioni e altre vicende, al- le quali furono sottoposti tanti altri feu- di di casa Conti, se Giovanni Conti figlio di Paolo, e nipote diRiccardofratellod'In- noceuzo III , con suo testamento del 1287 non ne avesse istituito un perpetuo fidei- commisso a favore de'primogeniti di sua famiglia, comprendendo nella sua dispo- sizione anche il castello di Gabiniano o Gavignano, e quelli di Fluminaria e Sac- co. Di più Giovanni Conti ordinò nel te- stamento l'erezione d' un monastero di monache in Valmontone. Può vedersi il Ratti a p. 234, ed il paragrafo Gavigna- no. Dalla suddetta epoca fino al 1575 i Conti ritennerocostantemente il dominio di Valmontone, onde le loro copiose no- tizie con essa si rannodano,alla quale i Conti profusero le proprie beneficenze, massime in opere di pietà, come loro pri- mitivo eprincipale feudo. Una carta spet- tante al 1250 e che si conserva nel monastero camaldolese de'ss . Andrea e Gregorio di Roma, riportata nell'Appendice del t. 4, p. 597 degli Annales Camal- dulenses, ha conservato i nomi di molti abitantiragguardevolidel Castrum Pal 132 VEL VEL lismontonis, chiamati come testimoni in un testamento, fra'quali vi è quello d'un Felice frate dell'ordine de'minori, che si dice castellano di Valmontone. I Conti signori di Valmontone sovente alloggia. rono nel proprio palazzo i Papi che da Roma passavano inAnagni, ed alle vol- te a Napoli, prima che la residenza pon- tificia fosse trasferita in Avignone. Nel 1377 ne partì Gregorio XI e la ristabili in Roma; indi per sollevarsi dal viaggioe volendo evitare i gran caldi dell'estate, passò con tutta lasua corte, e preceduto dalla ss. Eucaristia, in Anagni, e quivi si trattenne fino al novembredello stes- so1377. Giovanni Conti signore di Val. montea 5giugno vi accolse e ospitò splen- didamente il Papa , e la descrizione di quel ricevimento leggesi in Papirio Mas. sonio presso il Muratori , Rerum Itali- carumScript. t. 3, par. 2, p. 711, ripro- dotta da Ratti a p. 238, nel quale leggo qualificato il luogo e il palazzo Conti : Castrumforte VallemMatonis... Domi- cilium illius pulchrum cum aspectu mi- rabili cum ornamentis sericis. Recreati in illo tota die hospitati egregie sospitati pernoctavimus. Excitatibonо тапе immensae laudes Deo obtulimus, sacri- ficiumque libavimus.Rilevò il Petrini nel le Memorie Prenestine, che lo scrittore dell' itinerario del viaggio chiamò Val- montone, Oppidum Campaniae Prae- nestinae dioecesis, essendo il Papaaccom- pagnato da due cardinali, uno de' quali verosimilmente fu Giovanni de Cros ve. scovo Prenestino. Tornato in RomaGregorio XI, ivi morì nel1378: in questo gli fu dato canonicamente in successore Ur- bano VI, il quale confermò a Conti ossia adAdinolfo de Valle Montonis , il go- verno di Segui, e quello di varie altre cit- tà e castelli ; indi nel 1383 da Tivoli pas- sò nel castello di Valmontone, in cui seb- bene angusto per la sua corte e curia, come riferisce il Novaes , vi dimorò quasi due mesi , e nel principio di settembre si portò a Ferentino, donde poi parti per Napoli. II p. Casimiro da Roma racconta col Bosio, Istoria della s. Religione di s. Giovanni,che mentresoggiornava in Val- montoneUrbano VI, essendo grandemente adirato contro il gran maestro geroso. limitano fr. Giovanni Fernandez d' He- redia, perchè dava ubbidienza e seguiva le parti dell'antipapa ClementeVII,lopri- vò del magistero , ed elesse a quella di- gnità fr. Riccardo Caracciolo gentiluomo napoletano e priore di Capua. Il Ratti crede che accogliesse il Papa nel palazzo di Valmontone, lo stesso Giovanni Conti che avea ospitato il predecessore, o il suo figlio Adinolfo. Dal p. Casimiro pure si apprende, che Carlo VIII re di Francia nel1495 portandosi al conquisto del re- gno di Napoli , nella fine di gennaio da Velletri si trasferì a Valmontone, accompagnato dagli ambasciatori di Massimi- liano I re de' romani e dagli oratori di Ferdinando V re di Spagna; e questi prima che da lui si partissero, protestaron- gli che non dovesse più oltre avanzarsi, poichè quel reame apparteneva al loro monarca. Nel ritorno che Carlo VIII fece da Napoli, si trattenne in Valmonto- ne 3 giorni , ed in questo tempo vi rice- vè gli ambasciatori spediti a lui dal po- polo romano. Ciò riportando ancora Ma- rocco, amalgama in uno i due diversi sog- giorni del re. Sino al secolo XV pare che la terra di Valmontone fosse felice e glo- riosa, ma nel seguente non solo perdette tutto il suo lustro, ma soggiacque a va rie calamità e infortunii, e finalmente al- la totale sua desolazione; le quali cose il p. Casimiro narra nella stessa maniera che dal Giovio, Istoria de'suoi tempi, t. 2, p. 46, e da vari altri scrittori sono sta- te registrate. E primieramente i furiosi e crudeli soldati imperiali, che nel 1527 avevano orribilmente saccheggiatoRoma, partendone a' 7 febbraio 1528 tutti malconci, per andare a difendere Napoli sot- to la condotta del marchese del Vasto, essendo giunti a Valmontone, furono lo- ro chiuse le porte in faccia, e negate co1 VEL VEL 133 stantemente le vettovaglie di cui aveano estremo bisogno. Perciò infieriți i solda ti , tormentarono prima colle artiglierie la terra smantellandone le mura, e in po- co tempo avendola presa a forza , dopo averla crudelmente saccheggiata,lariem- pirono di moltosangue e strage. Dal qua- le avvenimento fatto più accorto Gio. Battista Conti , nella deplorabile guerra fra Paolo IV e Filippo II re di Spagna, che parrai nel vol. LXV, p. 234 e seg., nel 1556 offri spontaneamente Valmontone e Segni al sanguinario duca d'Alba vicerè di Napoli e capo supremo del regio eser- cito; ed il Coppi dice che il duca d'Alba stabiliti i suoi alloggiamenti a Valmonto ne, da qui faceva correrie sino alle porte di Roma. Nel 1557 il signore di Valmon- tone per la tregua ricuperati i detti luo- ghi dagli spagnuoli, fu forzato pocodopo di commetterli all'arbitriodelPapa,il qua- le vi spedì Giulio Orsini, Francesco Co- lonna (a questi il Cecconi nella Storia di Palestrina, attribuisce la ricupera di Val- montone, Genazzano e Palestrina; ed il Coppi dice ciò avvenuto sul principiodi detto anno, e che inoltre i pontificii pre- sero e distrussero Montefortino), Papirio Capizucchi e Angelo da Spoleto con 500 fanti, Il perchè Marc' Antonio Colonna, che militava a favore dagli spagnuoli, si accostò a Valmontone col suo esercito (composto di 3000uomini,secondo il Cop- pi, e pare nel mese di giugno), e avendo- la incominciata a batterecolle artiglierie, i terrazzani disperando della difesa e solleciti della propria salute, cominciarono a trattare di rendersi con patto di potere i soldati colle bagaglie e armi liberamen- te uscire; e tutto fuconcessodal detto ca. pitano. Nondimeno Valmontone fu barbaramente saccheggiata e arsa per opera d'alcuni contadini di Montefortino, i qua. li si trovavano nell'esercito di Marc'An- tonio perguastatori , vivandieri e altriuf- fizi . Poichè ricordandosi questi che nel- l'anteriore recente eccidio di Monteforti- no i primi che cominciarono a inveire contro di esso edepredarlo erano stati i valmontonesi, bramosi di vendetta appiccarono il fuoco in molte case eda molte parti. E benchè Marc'Antonios'affaticas- se molto per farlo spegnere, non fu però possibile; mentre sopraggiungendo l' o- scurità della notte, e per mala ventura soffiando un vento fresco , non si pocè impedire che tutta la terra fosse ridotta in cenere. Narrano la fatale disgrazia Gi- rolamo Ruscelli, Ascanio Centorio, Pietro Nores e altri scrittori dell' infelice guerra della Campagna Romana. Avver. te il p. Casimiro, ch'essi però non riferi- rono lo spoglio operato dagli spagnuoli di tutte le campane delle chiese di Val- montone, il che saputosi dal duca d'Alba, fece intendere al clero ch' era pronto a risarcire il danno col denaro , e perciò spedisse a lui persona idonea , che fu d. Fabio Salvi, come si legge in un istru- mento di mandato di procura rogato da Teofilo Papei a'27 settembre15.59. No- ta il Coppi, chedopo la presa di Valmon- tone, Segni (il cui terribile eccidio avve- nuto a'15 agosto1557, tornai a deplorare nel vol . LXV, p. 243) e Palestrina, Marc Antonio Colonna favorito da' suoi vassalli corse tutta la provincia di Cam- pagna. Il duca di Guisa co' suoi francesi difendendo il Papa , recossi con alcune truppe dalle Marche a Tivoli per la si- curezza di Roma. Tale movimentoindus. se il duca d'Alba a ritornare con podero- se forze a'punti strategici di Valmontone e di Grottaferrata; e in tale posizione e- gli concertò con Marc' Antonio di sor- prendere Romaa' 26 agosto. Il re diFran- cia vintoas. Quintin dagli spagnuoli, con- siglio Paolo IV suo alleato alla pace , questa fu segnata in Cave a 14 settem. bre , colla restituzione di tutti i luoghi occupati, tranne Paliano (V.), sul quale si sarebbe poi provveduto, nella casa ora de' Mattei, che qualifica nobile il Petrini, nelle Memorie Prenestine a p. 236; ma egli scrive che gli accordi seguirono nel- la casa Leoncilli, famiglia principale del e 134 VEL VEL luogo, perchè allora apparteneva ad es. sa, e dalla quale passò a'detti proprieta- ri . Il Castellano riporta l'iscrizione che vi fu collocata a memoria pro Bello Cam- paniae , die 7 septembris 1557 hic fuit contracta Pax. L'ultima sciaguradi Val- montone, come la qualifica il p. Casimi- ro, fu la mortedi Gio. Battista Conti. Que. sti nel suo testamento dell' 11 gennaio 1574, dopo varie pie disposizioni, tra le quali per la conservazione della chiesa di s. Angelo de' minori osservanti e de' frati , lasciò ducatos duos singulis mensibus, dichiarò suo erede universaleFran- cesco Sforza conte di s. Fiora , figlio di Mario, e di Fulvia Conti unica sua figlia, e lo divenne nel 1575 per morte dell'a- vo. Per mezzo dunque di Fulvia s'inne stò il ramo de' Conti di Segni e Valmontone nella famiglia Sforza , avendo già Paolo III perpetuato il vicariato di Segni eValmontone ne'discendenti di Fulvia e di Mario Sforza di lei marito, il che confermò Giulio III. Secondo la visita del 1575 della diocesi di Palestrina, appari- sce che le terre della Colonna e di Valmontone una volta fossero soggette al vescovo suburbicario Prenestino, e lo rimarca Petrini . Riferisce il p. Casimiro, che gli Sforza signoreggiarono Valmontone sino al 1634, in cui Mario figlio d' Alessandro lo vendè insieme colla te- nuta di Pimpinara a Taddeo Barberini Prefetto di Roma e nipote d' Urbano VIII, pel prezzo di scudi 427,500. A suo tempo il Papa zio fece quanto dissi in fa- vore della chiesa principale, e con breve de' 6 maggio 1638 concesse a Valmon. tone, ut in dicta Terra Fallismontanae emporium seu Mercatumferia II, aut alio, dicto Thaddaeo praefecto, etprin cipi bene viso die cuiusvis hebdomadae; nec non in singulis annis per duos dies ante Pentecosten, et octo alios dies im. mediate sequentes in eadem dicta Ter- ra Nundinas, seu Ferias immunes ab omni datiorum, gabellarum, pedagio- rum, quidagiorum, passuum, collectarum, el cuiusvis alterius generis vectiga- liumetc. Dopo la morte di Taddeo, il car. dinal Francesco Barberini, con chirogra- fo di Papa Innocenzo XPamphilj, vendè a'29 aprile1651 Valmontone, Lugnano, Montelanico, colla tenuta di Plumbina. ria, pel prezzo di scudi 687,298, al suo nipote principe Camillo Pamphilj, e così Valmontone passò nella signoria della nobilissima famiglia Pamphilj (I.) e da essa in quella de'principi Doria Pamphi- lj , che la ritiene ancora, senza la prerogativa feudale. M'istruisce Petrini , che presagendo Carlo di Borbone re delle due Sicilie, che l'armi austriache tentavano d'invadere il suo regno, volle nel 1744 uscire da Napoli, e andando loro incon- tro , avanzandosi alla testa dell' esercito fino a Valmontone, non trascurò d'assicurarsi di Palestrina. Nel riparto territo- riale del 1827, Valmontone fu incluso nel distretto d'Anagni e nella delegazione di Frosinone , rimanendo sempre soggetta quanto allo spirituale al vescovo di Segni. Dopo che però da Gregorio XVI fu formata la legazione di Velletri nel 1831 , fu distaccata d'Anagni e inclusa nella nuova legazione, nella quale figura come ca- poluogo. Nel 1. di maggio1843 Valmon- tone fu rallegrata dalla presenza di Gregorio XVI, e si legge nella Relazione del viaggio del principe Massimo, che da Lu- gnano traversando una gola molto amena e vestita d' alberi , vi giunse verso le ore 15 e mezzo, aumentandosi in tutto il suo corteggio il numero de cavalli per fare l'ardua salita, in cima alla quale sor- ge in modo veramente pittoresco. Il Pa- pa si fermò a ricevere le chiavi presenta . tegli dal gonfaloniere Gio. Battista Bianchini alla testa della sua magistratura , accompagnata dal giovinetto Calisto Cri- stini vestito da paggio alla foggia del XVI secolo, presso la porta detta di Via Nuova, che nelle sue fronti esterna e interna era stata decorata da due iscrizioni che riporta, insieme alle altre che ricorderò. Dallat. si ricava, che anco Innocenzo X a 0 VEL VEL 135 4 onorò di sua presenza Valmontone, edal- ' quali ebbero l'onore di riceverlo all' in- a la 2. essere i valmontonesi ilpopolodel- l'antico Labico. Ivi furono staccati i cavalli alla carrozza del Papa da 40 robu. sti giovani vestiti di nero, i quali in mez- zo agli applausi della moltitudine, a'suo ni delle bande edelle campane, ed agli spari dell'artiglieria, la tirarono con agi- lità in una salita la più ardua che immaginar si possa , passando sotto un arco trionfale decorato colle statue della Fede e della Giustizia dipinte a chiaroscuro, e con due iscrizioni, in una delle quali ri- petesi la comune opinione degli abitanti, d'essere Valmontone succeduta all'antico Labico, Ordo et populus Labicanus, mentre osserva il principe Massimo, ch'è cosa ormai provata, quest'onore doversi al castello della Colonna , situato come quell'antica terra 15 miglia distante da Roma. In tal guisa venue Gregorio XVI condotto sino alla porta della magnifica chiesa collegiata , sulla di cui porta leg- gevasi un'iscrizione eretta dal collegio de' canonici. Ivi ricevuta la benedizione del ss. Sagramento da mg. Traversi ve- scovo di Segni , ed ammessi poscia in sa- grestia benignamente al bacio del piede il clero, il governatore , la magistratura e le maestre pie, passò ad una loggia co. struita espressamente vicino alla chiesa e decorata di damaschi rossi , dalla quale fra il rimbombo dell'artiglieria, il suono delle campane e de' musicali concerti di banda e d'orchestra, e le grida di comu- ne esultanza, comparti la sua apostolica benedizione al popolo affollato sulla sottoposta piazza, ornata nel lato sinistro da una vasta e bellissima apertura sulla campagna, e nel destro da'due grandiosi at tigui edifizi dell'anzidetta chiesa e del pa- lazzo Doria Pamphilj. Desiderando poi Gregorio XVI prendere un breve ripo- so, traversò apiedi la suddetta piazza per entrare nella vicina casa de'fratelli d. Gio- vanni sacerdote (ora prelato e lodato nel paragrafo Anagni), Angelo e Giuseppe Capri-Galanti (attuale goufaloniere) , i a gresso della loro abitazione , tutta ornata a quest'oggetto con molto lusso, trat- tando tutto il nobile seguito di sontuosa colazione imbandita a lauta tavola, in čapo alla quale sotto baldacchino sedeva il Papa, che degnossi anche fermarsi in una delle stanze ad osservare un somigliantis. simo busto del defunto loro zio mg. d. Girolamo Galanti celebre letterato e as. sessore del tesorierato , ed ammettere al bacio del piede la giovane padrona di casa sig . Teresa consorte del maggiore di essi fratelli , alla quale poi da Roma volle mandare una pregevole corona bene . detta entro astuccio in ricordo della sua visita , a perpetuare la cui memoria fu dagli egregi fratelli posta nella sala d'in gresso analoga iscrizione. Più energico pe- rò di questa lapide fu l'entusiasmo di- mostrato in tale occasione dal popolo di Valmontone, il quale invidioso della sor. te compartita a quell' abitazione, volle, dopo esserne partito il Santo Padre, ave. re gli avauzi di tutto quello che era stato preparato per un ristoro, onde i padroni lodati della medesima, dopo di aver get- tato dalle finestre tutti i frammenti del pane , de' biscotti e altro , che venivano con avidità e divozione raccolti dalla mol. titudine, non vedendola ancora soddisfatta, le distribuirono ancora le vivande, i vini, i liquori e le confetture, e così perpetuare in Valmontone la memoria di quella giornata, che terminò con genera - le illuminazione. Intanto Gregorio XVI essendone partito alle ore 17 scendendo apiedi con tutto il suo corteggio la stra- da principale sparsa di fiori, e lateralmen . te ornata di drappi che formavano un vago contrasto coll' architettura antica delle case, raggiunse le sue carrozze, nel- le quali proseguendo la rapida scesa di Valmontone in mezzo ad una continua folla di gente giubilante, si rimise quin- di in viaggio sulla via Casilina nel terri- torio di Segni. Noterò, che il municipio dispensò in un libretto stampato le pub 136 VEL VEL bliche summentovate descrizioni, con altra dedicatoria a Gregorio XV1 magna- nimo,giusto, clemente,pio ec.Quindipub. blicò il n.º 85 del Diario di Roma del 1843 stesso , che il Papa con breve de' 26 settembre erasi degnato d' elevare al rango di città la terra di Valmontone. Questa a 10 aprile 1850 fu onorata dal. la presenza del regnante Papa Pio IX, nel modo seguente che apprendo dalla Relazione del viaggio del commend." Barluzzi. Egli riferisce che giunse dopo il mezzodì a Valmontone, che credesi da alcuni fabbricato dov' era l'antica Labicum, o più dottamente dal Nibby dove l'antica Tolerium, posta alle scaturigini del fiume Tolèro oggi Sacco. Il principe d. Filippo Doria- Pamphilj sapendo che il Papa terrebbe quella via, l'avea pre- gatoperchè si piacesse onorare in passan- do per colà il suo palazzo, fermandovisi almeno per breve ora a ristorarsi del viaggio, e il Santo Padre avea accettato l'invito. Quel palazzo, un tempo castello baronale, domina per la mole e per la si tuazione tutto il resto del paese; nell'in- terno è danneggiato e guasto in più par ti, come quello che ha sofferto spesse de- vastazioni di truppe anche recenti . Ciò non ostante la grande sala era tutta mes- sa a parati di seta, con altri addobbiesup- pellettili. Nella quale il Papa ricevuto dal principe e dalla principessa sua consorte, pata de'conti di Shrewsbury (P.), dopo averli ammessi con tutti i loro figli e fa. miglia a baciare il piede, e dopo avervi ammesso pure il clero e i consiglieri mu- nicipali, non che le deputazioni delle vicine Palestrina , Cave e Genazzano , sedendo tuttavia in luogo elevato a moda di suggesto, prese una bevanda; mentre i personaggi del seguito furono serviti di riofreschi ad una mensa lautamente im. þandita. Nel breve tempo in ciò trascor- so, già una lapide di marmo era stata in- fissa nella parete di contro alla scala, per conservare durevole fra le memorie del. la nobilissima casa ancorquestadell'ono re accordatole dal Pontefice Pio IX , di ospitarvi alquanto nel suo glorioso ritor- noda Portici e Napoli a Roma, il quale potè leggerla nel partire. Per questo mo- doil principe Doria-Pamphilj mostrò in quanto pregio teneva egli , e intendeva fosse tenuto da'suoi posteri, quell'onore. L'iscrizione colle altre che vado a dire, si leggono nella Relazione. Esse sono, quelladella commissione municipale di Val. montone; le due dell'arco trionfale eret. todalla città, da'cives Valmontonienses; le tre sopra la porta principale del paese e lateralmente, ove leggo: Ordo et Populus Labicanorum; e quelle della porta Ro- mana e della porta della collegiata. Inol- trericavodal Giornale di Romadel 1850 a p. 330, e meglio a p. 362, con articolo scritto in Valmontone. Che questa città alle ore 2 pomeridiane de' to aprile, eb- be la sorte d'ossequiare il sommo Ponte- fice ivi di transito, nel restituirsi alla sua sede. Nell'arco trionfale eretto sulla gran. de strada, prossimo a Valmontone, fu ri- cevutodal governatore locale, edalla com- missione municipale che gli presentò le chiavi in segno di sudditanza, fra l'inces - santi acclamazioni della popolazione, e dị quella da'vicini paesi accorsa. Gli edifizi erano ornati di parati;i concerti della ban- da musicale, lo sparo de'mortari, e il suo- no delle campane accrescevano la comu ne allegrezza. Il Papa smontò alla chie- sa collegiata , dove prese la benedizione del ss. Sagramento; quindi entrò nell'at- tiguo palazzo Doria Pamphilj messo a fe. sta dal principe d. Filippo Andrea, con quella magnificenza di lui propria, e da una loggia riccamente ornata comparti l'apostolica benedizione alla divota moltitudine che l'impetrava. Nello stesso pa- lazzo si degnò il santo Padre , assiso in trono, d'ammettere al baciodel piede l'eccellentissima famiglia proprietaria,che in- tera eravisi recata da Roma , il capitolo ed altri delclero secolare e regolare, il governatore, la commissione municipale del luogo,le deputazioni di Palestrina , Ge VEL VEL 137 nazzano eLugnano, molti religiosi de'vicini conventi, i seminaristi e altre distin- te persone ivi portatesi per averne l'ono- re. Dopo alquanto riposo il Papa parti per Velletri , mentre la popolazione di- mostrò nuovamente la gioia da cui era compresa, facendone pure testimonianza le rammentate iscrizioni. Nella sera , ol- tre l'illuminazione generale, fu incendia- to un fuoco artificiale in segno d'esultanza, e si dispose la distribuzione di 6doti alle zitelle povere, 4per parte del comu- ne, e a per parte della confraternita del Gonfalone: altre 4doti poi si aggiunsero con porzione del fondo lasciato in abbondanza dal Papa per elargizione a'poveri, in mani del can. d. Giovanni Capri-Galanti vicario foraneo, il quale impiegò il resto in paglioni, effetti di vestiario e a- limenti a'più bisognosi. Altra elargizione a'poveri lasciò il principe Doria- Pamphi- lj , per sì felice avvenimento di cui si avràperenne ricordanza. Valmontonecontienedistinte famiglie, ed in vari tempiha prodotto degli uomini illustri nell'armi, nelle lettere e nelle dignità ecclesiastiche e civili . Registrai tra'vescovi di Trau nel 1349 Bartolomeo da Valmontone, lega- to a' rasciani , albanesi e al re di Servia. Trovo nella Series Rectorum Anconita- nae Marchiae del Leopardi , nel 1446 ThesaurariusReverendissimus Dominus Justus de Valmontone. Il nominatoGiusto Conti, poeta, giureconsulto e oratore, non mai senatore come alcuni scrissero, e l'avverte il p. Casimiro da Roma; mortoconsiglieredel celebre Malatesta signo- re di Rimini, in quella città a' 19 novem. bre1449 e sepolto con solennissimo ono. re nella chiesa di s. Francesco. Dalla qual notizia , soggiunge il p. Casimiro, potrà ora fermamente decidersi la controversia tra l'ab. Salvini ei Giornalisti d'Italia, se Giusto abbia o no conosciuto il Pe trarca , ove sia morto e in qual tempo, Lui vivente, dice che fiorì il cardinal Lu- cido Conti, studiorum humanitatisflagrantissimus, ed il fratello Alto Conti vir doctus et prudens (ed io aggiungerò ret tore di Marittima e Campagna ben ama. to, come scrissero le comuni delle mede- sime al concilio di Costanza, ed a cui pel 1.º di sua famiglia Martino Vconferì l'o- norifica carica di Maestro del sagro O- spizio), il cui figlio Giovanni si rese glo- rioso nell' esercizio della guerra , perciò detto armorum ductor sagacissimus. Forsetali personaggi, come signori diValmontone saranno ivi nati eperciò ricor dati dal p. Casimiro, altrimenti de'cele. bri che fiorirono nella cospicua famiglia avrebbe dovuto ragionare di molti. Il già lodato mg. Girolamo Galanti, lo celebrai nel vol. LXXIV, p. 330 e seg., siccome profondo anche nelle seienze economiche e di finanza , che da segretario generale del tesorierato, Gregorio XVI promosse ad assessore del medesimo, nel riordinare questo vasto ministero; non che a vi- sitatore delle dogane e de'dazi di consu- mo, a pro- tesoriere, a prelato domestico e referendario delle due segnature. Ivi rammentai l'articolo necrologico pubbli- cato dal Diario di Roma nel 1838, e poi riprodotto dal cav. e d. Andrea Belli ro- mano a p. 75 del suo libro di soli 120 esemplari: Di parecchi illustri morti in Roma, cenni biografici. (Quel profondo erudito e fiore d'onestà e di sapere, che tornai a lodare nell'articolo VATICANO, me lo donò con questa epigrafe di suo pregiato pugno. Al chiarissimo sig. ca- valiere Gaetano Moroni sommamente benemerito della nostra Roma, L'Um. Servo Vero A. Belli. Per la storia è bene dire tutto. Nel dichiarare la propria riconoscenza, conviene riferire da che deriva, senza tanti riguardidi malintesa mo. destia. Le onorevoli e autorevoli testimonianze di que'che sanno, sono documenti imperituri, e giovano notificarsi : naturalmentehannopiù valore degli articoli che si provocano o mendicano, onde pubbli- carsi ne' Giornali politici e letterari ). Meritamente tal foglio ufficiale disse mg. Galanti, morto a 28aprilecontutti icou- 138 VEL VEL r forti di nostra s. Religione edopo avere ricevuto la speciale benedizione aposto- lica di Gregorio XVI, per la grazia estima che ne godeva, a mezzo di mg. Tosti tesoriere generale in abito prelatizio, con- fortandolo con pietose e commoventi pa- role, estremo segno della sovrana considerazione ; sommo nella metafisica e in tutte le scienze esatte , ben conoscitore della storia naturale in ogni ramo , sop. prattutto nella statistica e pubblica eco- nomia, nella quale dava opera con somma alacrità, e potea dirsi il maestro di co- loro che sanno. L'integrità della vita, la purezza de'costumi, facevano più belle le rare doti del cuore e della mente. La sua sceltissima libreria, precipuamente dovi- ziosa di opere di scienze naturali ed economiche, l' acquistò l'università romana per la sua biblioteca Alessandrina. Que sto illustre e facondo prelato, è uno de' tanti eccellenti usciti dal Collegio Pam. philj , il quale ora si gloria del cardinal Santucci . Ne fu concittadino e maestro mg. Pietro Antonio Luciani arcipretedel- la collegiata e poi benemerentissimo ve , scovo di Segni, nel quale articolo enumerai le splendide virtù che l' adornarono: inquella cattedrale ne'solenni funerali ne recitò l'orazione funebre mg. Francesco De Biasi ; altri ne celebrò la patria colle- giata, siccome morto in Valmontone, che si pregia del venerando prelato. Leggo nellabenemerita Civiltà Cattolica, serie 3,, t. 8, p. 97, essersi pubblicato ; Bio- grafia di mons. Pietro Antonio Lucia ni vescovo di Segni , scritta dal prof. sac, Alessandro Atti, Roma1857.11 ter- ritorio, dice Calindri,soprattutto produce in abbondanza grano, granturco, biada, legumi, vino, fieno. Lugnano. Comune della diocesi di Pa- Jestrina, con territorio in colle e in piano, distante da Roma 23 miglia, circa 5 da Palestrina, e da Valmontone uno e mezzo. Giace sull'antica via Labicana, sopra un ripiano d'un colle alto e dirupato di tufa lionato, che gira circa un mezzo mi glio, e non è accessibile se non dal lato di nord-ovest. II Piazza dice che gode sito ameno e fertile, benchè di aria non tanto salubre; e Marocco ne biasima l'interne vie. Osserva Nibby,ch'essa non con. tiene altro oggetto che meriti particola- re memoria, se non la casa dove nacque Francesco Ficoroni antiquario assai celebre, delle cui opere parlai in tanti luo- ghi,che si distinse nellat. metà del secolo scorso,il quale più volte ragiona nelle sue molteplici opere di questa sua terra natale, ma specialmente in quella che intitolò; Memorie delle cose ritrovate nel territorio della prima e seconda città di Labico, nella quale a p. 66 particolarmente la descrive. Siccome con essa volle provare che Labico (V.) fosse sul Colle de'Quadri presso Lugnano, perciò in quell' articolo ricordai tale opera e dachi venne confutata . Marocco racconta che Ficoroni figlio di Bonifaciodi pove- ra condizione, da fanciullo si recò in Roma, venendo aiutato e protetto da un av- vocato, ed ivi morì eruditissimo archeo- logo sottola cura di s.Lorenzo inPanisper- na. La piccola chiesa parrocchiale è dedi- cata a s. Andrea apostolo, che il Piazza la disse antica e restaurata dalla popolazio- ne nel declinar del secolo XVII, avente numerosa compagnia del ss. Sagramento, con 6 altari, e casa annessa pel par- roco. Le altre chiese descritte dal Piazza sono : l'antica e suburbana di s. Maria del Ruvo, poco discosta dal paese e di molta divozione pel popolo ; e s. Maria della Piazza Nuova vicina al castello, pu- re di grande di vozione e mantenuta dalla pietà de' fedeli, la cui fabbrica dovea compiersi , Racconta Nibby, che il taglio rapido e artificiale delle rupi, le grotte scavate nel masso presso a' due fontanili nel luogo chiamato gli Arnari sono un indizio evidente che questa terra ne' tem- pi più antichi venne abitata, e che sorse ivi una delle città antichissime del La. zio, di quelle 53 nominateda Plinio, che a' suoi giorni erano scomparse senza la VEL VEL 139 sciar vestigio. Cheposcia vi sorgesse una villa ne sono prova le scoperte fatte ne' dintorni di questa terra medesima, in ogni tempo, ma particolarmente nel 1.º periodo del secolo passato, che sono riferite e in parte illustrate con tavole dal Ficoroni a p. 71 della sua Memoria. Fra queste scoperte primeggia special- mente quella della famosa cista mistica e dello specchio di bronzo, monumenti rarissimi dell'arte e della lingua de' latini più antichi, i quali si conservano nel museo del collegio romano per dono generoso dello stesso Ficoroni che li acquistò, e Nibby crede che possano appartenere alla città primitiva.Egli inoltre opi- na, che fra le città latine da Plinio e da altri scrittori ricordate, quasi potersi dire che debba collocarsi a Lugnano la sola Bola o Vola, la cui etimologia tratta dalla forma del ripiano, somigliante alla pianta della mano o del piede, mirabil- mente si accorda con quella del luogo ch'è di forma oblunga, isolato da tutte le parti, meno verso nord- ovest, come dissi . Quest' opinione per la prima volta fu emessa dal Ficoroni, ed oltre l'appog. gio dell' etimologia ha pure quello del l'autorità di Livio, Dionisio e Plutarco. Di questi 3 scrittori il r . narra comei holani fecero nel 342 di Roma scorrerie nel l'agro Labicano a loro limitrofo; era pertantoBola vicino a Labico, che il suo territorio confinava col Labicano. Quindi Dionisio descrivendo l'invasione che fece Coriolano delle terre latine, mostra comequell'esule romano,dopo aver pre- so e ridotta a deserto la città de'tolerini, condusse l'esercito contro i bolani, i quali nella r. sortita vinsero, ma nella 2.ª attirati a bella postada Coriolano in luo go opportuno, furono disfatti compiuta- mente, ed inseguiti da'volsci fino alla città, entrarono misti a'nemici, che gl'in calzavano in modo, che Bola presa d'as salto fu data in preda al saccheggio e gli abitanti furono posti in ischiavitù; ridot- ta Bola, portossi Coriolano contro Labia co. Plutarco narrando lo stesso fatto di. ce, chequel condottiere prese e saccheg. giò successivamente le città de' tolerini, de'labicani, de'pedani e de'bolani, e mi, se in ischiavitù gli abitanti. Mettendo da canto per un momento Tolero, stabilito dal Nibby che Labico era alla Colonna e Pedo a Gallicano, e ricordandosi della contiguità del territorio Bolano col Labicano, niun altro meglio conviene alla po- sizione di Bola che Lugnano, considerando che Zagarolo e s. Cesario facevano parte dell'agro Labicano, mentre di ſian- co lasciasi Preneste e il suo territorio, che mainon si nominanoin tutta quella scorreria militare, Queste autorità unite agli altri argomenti,ealla descrizione che Dionisiolasciò della situazione di Bola, esclu dono che quest'antica città del Lazio fosse a Poli, dove per una somiglianza di nome comunemente si pone, quantunque l'origine di quello sia di molti secoli posteriore, come riportai nel vol. LXXV, p. 285, descrivendolo. Della storia di Bola, oltre i fatti già indicati, poche altre memorie rimangono. Virgilio dichiara che fu una delle tante colonie albane fon- date da Latino Silvio. Madi essa non si fa ulteriore menzione fino alla mossa di Coriolano contro Roma, allorchè fu saccheggiata e fatti schiavi gli abitanti. Ese sendo sul limite del confine Latino ven. ne occupata dagli equi, dopo che questi ebbero conquistato il tratto del territo- rio Ernico ch'era sulla riva sinistra del l'Aniene fra Subiaco e Palestrina. Essi la colonizzarono e di là fecero scorrerie nel territorio limitrofo di Labico; ma4 anni dopo cioè nel 342 di Roma, fu con lieve perdita, e dopo un corto assedio presa da' romani, In tal circostanza L. Sestio tribunodella plebe propose che vi si man- dasse una colonia, comesi era fatto a La bico; ma trovò insormontabile opposi zione nel senato. Gli equi profittando di questa svista l'occuparono di nuovo nel- l'anno seguente, e vi mandarono una co lonia, rafforzando in tal guisa il castello, 140 VEL VEL Presa di nuovo daʼromani fu causa d'un fiero dibattimento fra M. Postumio Regillense tribuno militare e investito del. l'autorità consolare, e L. Sestiotribuno della plebe, dibattimento ch'è a lungo riferito da Livio, e che finì colla morte di Postumio, il quale fu da'suoi medesimi soldati lapidato. Siffatte discordie non po- tevano se non favorire i progetti ulterio- ri degli equi che conoscevano l'impor- tanza del sito ; quindi tornarono ad occuparla, e vi si mantennero saldi sino al 368, in che vennero dal celebre Camillo compiutamente disfatti sotto le mura stesse di questa città , la quale fu presa, Sembra che allora venisse interamente distrutta, poichè nella storia non più si ricorda, e solo il cognome di Bolanus ch' ebbero vari romani ne rammenta il nome. Come altre città fondate ne' più antichi tempi e dal potere e dall'ambizione deʼromani annichilite, Bola diven- ne proprietà di qualche ricco romano, il quale avendo il cognome di Longus, così comune presso gli antichi, lo comunicò al fondo, che Fundus Longianus venne appellato, nome dal quale deriva il moderno con leggera alterazione. Veroè però che di questo fondo, o villa che fosse, non rimane notizia espressa, la quale sia anteriore al 1.º periodo del secolo VIII, cioè circa l'anno 720 di nostra era : allora apparteneva alla Chiesa romana, e s. Gregorio II lo diè in enfiteusi ad Anualdo tribuno, insieme con quello attinente denominato allora Casa Maior, siccome si trae dal registro di Cencio Camerario, inserito dal Muratori nel t. 5, p. 386 delYAnt. Med. Aevi, nel quale così viene enunciato quell'atto: Idem, cioè Grego. rius iunior, Anualdo tribuno fundum Casamaiorem et Longoieianum excorpore patrimonii Lavicani , territorio Praenestino, milliario ab Urbe Roma plus minus vigesimo uno praestantem Bisant. L. Q. anni Solid. Il territorio, e Ja distanza da Roma bene si accordano in fare riconoscere in Lugnano il Fun dus Longoieianus, riflettendo che unito a quello di Casa Maior il confine trovavasi più ravvicinato a Roma : il nome è un' evidente corruzione del transcrittore, che scambiò Longianus in Longoieianus. Il Petrini ancora riportando il Muratori, all'anno 730, dice nominarsi i due fondi Casa maggiore e Longocia- no, ond'è assai verosimile che quindi pren- desse il nome di Lugnano. ELongocia- no lo chiama Marocco. Dipoi latinamente meglio si disse Longcianum. I Conti tusculani che ne' secoli IX e X tanta influenza e potenza ebbero in questa parte d'Italia, furono signori di questo fondo. Vuole Calindri, che nel 1100 Papa Pa- squale II concesse questo paese a' Conti di Bovaccini, ond'era sortotanto prima. Nel secolo XIII divenne retaggio de' Conti (V.) di Segni , e ne' loro monumenti lo trovo nominato Castrum Lugnani. Questi ritennero il dominio di Lugnano fioo al 1575, in cui quel ramo si estinse, l'ul- timo Gio. Battista Conti avendo dichia- rato suo erede universale Federico Sforza, nato dall'unica sua figlia Fulvia, per- venne nella proprietà degli Sforza. Finchè nel 1634 pe'debiti eccessivi contratti da Mario 11 Sforza, vendè Lugnano per 70,000 scudi al principe Taddeo Barbe- rini nipote d'Urbano VIII, e dopo 17 anni fu acquistato nel 1651 dal principe Canillo Pamphilj nipote d'Innocenzo X, unitamente a Valmontone e altre terre, e dopo l'estinzione di tal famiglia passò cogli altri beni Pamphiliani a' principi Doria-Pamphilj , che ancora lo ritengo. no. Nel viaggio fatto nel 1843 daGregorio XVI alle provincie di Marittima e Campagna,partito daRoma il 1. maggio, come si legge nellaRelazione del principe Massimo, traversò col suo corteggio Lugnano, i di cui abitanti a contrassegnare laloro gioia alla meglio e con drappi or- narono le finestre, avendo eretto sulla pubblica via un arco trionfale sovrastato dal pontificio stemma, inventato e delineato daGiuseppe Manni diGavignano, VEL VEL 141 il quale umilid copia del disegno al Pa. pa, e tuttora lo conservo. Nell'iscrizione festiva riprodotta dalla Relazione, si al- lude all' antica derivazione di Lugna- no, colle parole : Vetustum Oppidum Longeianum. Tra le acclamazioni della popolazione, paternamente benedettadal Papa, questi proseguì il viaggio per Val- montone. Equando il regnante Pio IX onorò questa città di sua presenza a'to aprile 1850, una deputazione di Lugnano vi si recò a fargli omaggio, accorrendol'esultante popolazione nel suo passaggio a riceverne la benedizione. Monte Fortino. Comunedella dioce- si di Segni , dalla qual città è distante 9 miglia e altrettante e più da Velletri, al 30.° miglio dell' antica via Latina, con territorio in monte e piano. Il Ricchila dice situata in una falda di monte sì ri- pida e scoscesa, che appariscono i suoi edifizi l'uno sopra l'altro, sotto il giogo de'monti Lepini, fra le suddette città e Cori. Il Marocco che la visitò e molto ne tratta, dice sorgere poco lungi dalle ve- stigia dell'antica via Latina sopra un gran massodi pietra viva, rimpetto a Valmon- tone, da cui è discosta circa 3 miglia, la cui strada eccellente guida anche a Ro- ma. Lo scoglio sopra cui ella siede non meriterebbe il nome di monte senon ve nisse ad unirsi ad altro maggiore che gli sovrasta, mirabile essendo il suo fabbri- cato, perchè formato a guisa di gradina. ta l'un l'altro soprastando, talchè se un'abitazione rovinasse, con molta forza pre. cipiterebbe sulla sottoposta a motivodel l'inclinazione della rupe. Ivi si gode la pittorica visuale delle sottostanti cam- pagne. Questo sito è fiancheggiato da al- te rupi, e in alcune parti rendesi inacces - sibile, fuorchè dove si congiunge nella valle Ernica, venendo anticamentedifeso dalla sua forte rocca, che esisteva sul ver. tice del gran masso. Le fabbriche verso la parte boreale sino al piano, sono dis- poste con notevole simmetria. Tra'volsci questo monte si considera meraviglioso, poichè concatenato cogli altri per lungo tratto si distende a ingombrare la regio- ne nella quale anticamente fiorivano illustri città, dal ferro e dal fuoco misera. mente distrutte, e dove uomini insigni ebbero la culla. Adestra verso oriente gode la vista della maestosa Segni; le so- vrasta a tergo Rocca Massima; di fronte riguarda il monte Prenestino, con Pale- strina nella falda e Castel s. Pietro sulla sommità; a sinistra è il castello di Giu- lianello, e finalmente Velletri colla quale ha continuo commercio. Dall'alto, oltre i nominati luoghi , si vedonoFerentino,Bauco, l'altissimo Fumone (ebbe una formi- dabile fortezza tenuta inespugnabile per l'eminente posizione, onde soleva dirsi : Si Fummofumat, tota Campanea tremet), la grata Anagni, l'imponente Pa- liano, il Tiglio, il Serrone, l'elevata Ci- vitella, Olevano, Roiate, Genazzano, Ca- ve,Rocca di Cave, Lugnano, il quasidi- strutto Colle Ferro, e Fluminaria oggi Pimpinara, di cui esistono le rovine. Ha il monte Algido dalla parte occidentale, ove ancora si vedono le reliquie dell'antico castello omonimo, distante più di 7 miglia, e le rovine di Lariano soggetto al comune veliterno. L'aria è salubre, e nell'inverno domina il freddo, come nella parte più riparata dal monte resta priva del sole per 40 giorni, gli abitanti sup- plendovi col fuoco, fornendo copiosa le- gna la grande selva e altre macchie vi- cine. Gli abitanti sono fortie animosi. Le fabbriche comunemente sono rustiche, alcune co'tetti di tavole e per lo più sen- za regolare disegno, a motivo della grà- vissima desolazione a cui soggiacque nel 1557. Ripatriati gli abitanti, dopo l'ec- cidio da cui scamparono, rialzarono al- la meglio le demolite abitazioni e solle- citamente per difendersi dall'intemperie. Nonmancano convenienti edifizi . La parte più antica però della terra era la su- periore, e più forte comedifesa dall'alte rupi e dall'asprezza dell'accesso dal pia- no. Osserva il Castellano, ch'è ſama ivi 142 VEL VEL riparassero dopo i bellici disastri, gli a- bitanti delle contigue città, fra le quali si nominano Ortona ed Eccetra; poichè sulla cima del monte che dominail paese, si dilata una bella pianura, dalla quale si contemplano la Valle Ernica, il La- zio, l'agro Veliterno, le Paludi Pontine e più oltre il mare, e dicesi Piano di Ci. vita, ed è recinto all'intorno sul perime. tro d'una lega da macigni di pietra pa- lombina commessi senza cemento alla foggia di antiche mura romane, che meritarono essere descritte da Palladio. Tracce d'altro muro interno più ristretto si vedono nell'estrema sommità in figura quadrata, che doveano forse desi- gnare la rocca. Si sono discoperti nelle vicinanze de' sepolcreti, e nel recinto ta- June stanze sotterranee con pavimento amusaico, opere figuline, olle, lumi per petui, e monete d'oro, d'argento e rame. Riferisce inoltre Castellano, che due vie conducevano alla città ; l'una faceva capo nella via Latina al luogo detto Pan- dochia o pubblico ospizio, e di là ascen- devasi il Colle dell'Imperatore, così detto percliè vuolsi che ivi esistesse un oppido denominato Ad Pictas (Nibby parlando di Valmontone, dice che la giunzione del- ledue vieLatina e Labicana facevasi presso la stazione ad Pictas, la quale avrà tratto il nome dalle pitture che l'orna- vano,coinciderdo nel sito pressoCollede' Quadri), luogo magnifico e delizioso per le pitture che l' adornavavo, di che fan fede i ruderi, ed i molti frammenti di marmo pario e di granito, torsi e avanzi di statue, e vestigia di terme; dell'al- tra, che procedeva da Velletri e dal CampoPometino, si trovano indizi fra gli am- pi oliveti de'principi Borghese.MonteFor- tino ha 3.parrocchie. La primaria e in- signe collegiata con capitolo è dedicata alla ss. Croce, che per l'antichità minac- ciando rovina, con l'assenso del vescovo diocesano fr abbattuta ; a'17 aprile1650 vi fu gettata lat . " pietra dell' odierna e compitanel1661 dalla pietà generosa del 0 principe di Sulmona Gio. Battista Bor- ghese, ond'è giuspatronato di sua nobi . lissima famiglia, come si legge nelle la- pidi poste sopra l'organo, e sopra la fascia della decorosa facciata esterna, avente pure due campanili in forma di torri quadre. Sebbene fosse fabbricata più an- pia della precedente, Marocco la dice ri- stretta per l'attuale popolazione,che nel . la Statistica del 1853 la trovo ascende- re a 3643, e nell'articolo scritto da Monte Fortino nel 1850 e riportato nel n. ° 92 del Giornale di Roma di tale anno, si dice terra di più di 4000 anime. La chiesa di s. Maria delle Letizie è di semplice e antica forma, situata sul più erto della cima e in piano fuori della porta supe. riore, per dove si va alla montagna. La B. Vergine è scolpita in legno. Il quadro di s. Alberto è di Orazio Zecca. L'affre- sco della ss . Trinità fu colorito da Fabio Spirito. Primeggia fra le altre due parrocchie, per essersi con esse gradatamente accresciuta. Sebbene col Marocco dis- si collegiata la precedente, leggo nell' i- scrizione da lui riportata colle altre an- tiche e moderne esistenti in Monte For- tino, e collocata in s. Maria : Che il lo- datissimo e benemerito Guidoni Zephe- rino Bresciani J. V. D. Hujus insignis Collegiatae Ecclesiae primum canoni- cum, inde in archipresbyteratus digni. tatem evecto. Ma il Calindri afferma che la collegiata èquella di s. Croce. La chiesa parrocchiale del protomartire s. Stefano, di cattiva struttura, è al piano presso il borgo e la strada romana ristorata da Paolo V, non moltodivertendo dalla via La- bicana che ne mostra evidentemente i ve- stigi , e dove fu ritrovata una colonna mi . gliaria denotante la distanza ab Urbe, os- servata dal dotto montefortinese Seran- geli e dal celebre antiquario Fabretti. Vi sono inoltre le chiese della Madonna del ss. Rosario, e quella di s. Maria di Gesù. Quest'ultima è magnifica ed appartiene a'minori osservanti riformati, col bel convento, situati dopo breve ecomodo pas VEL VEL 143 seggio fuori della terraalle radici del mon- te Foresta, nel luogo detto il Serrone del la guardia, nome preso da'soldati che ivi facevano la guardia in tempodella guer- ra sostenuta da Paolo IV. E una delle tante magnifiche fabbriche fatte innalzare dall' animo grande del cardinal Sci- pione Borghese. Ha 5 altari , essendo nel maggiore in quadrodi tela lodato espres. so il nome ss. di Gesù, la B. Vergine col divin Figlio scherzante cols. Precursore, le ss. Anna ed Elisabetta, e s. Giuseppe, collagloria celeste in alto : si attribuisce al cav. Manenti di Canemorto, sebbene alcuno la giudicò opera d'OrazioBorgiani . Dello stesso Mauenti si credono gli altri dipinti esistenti nella stessa chiesa , cioè s. Antonio abbate insieme a s. Antonio di Padova, e s . Chiara cons. Elisabetta regina di Portogallo. Il coro è magnifico, bellissimi i libri corali scritti in pergame- na e miniati, ben fornita la sagrestia di suppellettili sagre. Nella facciata della chiesa, parimenti di buona architettura, con pilastroni , cantonate e cornicioni di tufa, nel mezzo e in una fascia è scolpito il nome del benefico cardinal Borghese coll'anno1633 in che compì l'edifizio, di cui la 1. pietra era stata collocata ne'fon. damenti a'21 ottobre1629, di poi con- sagrata da mg. Ellis vescovo di Segni a' 19 maggio1715. In Monte Fortino e suo territorio vi sono molti benefizi ecclesia stici non residenziali, di nomina de'Borghese, oltre i canonicati e i curati. Sopra questi benefizi vi furono delle decisioni de'cardinali Cecchini e Cherubini per al- cune vertenze insorte, e fedelmente rife- rite nel ms. di cose patrie lasciato dal sud- detto Serangeli, e custodito dalle mae- stre pie del luogo, che si occupano del l'istruzione delle fanciulle. I nominati cardinali istituirono il rettorato di s. Croce, Non vi mancano sodalizi , ed un tempo esisteva il convento di s. Michele Arcangelo de' minori conventuali circa 2 miglia lungi dalla teria, soppresso con bolla pontificia, applicandone i beni alla compagnia del ss . Rosariopel mantenimento del maestro di scuola elementare, il quale ha eziandio l'obbligo di fare da caарpellano alla chiesa di detta confraterni- ta. Dice il Marocco, che il convento fu demolito, perchè non servisse d' asilo a' fuorusciti. Tale convento si vuole dal Theuli conventuale, nell' Apparato mi- noritico della provincia di Roma, edi- ficato da s. Francesco d'Asisi ; ma lascia- to da'religiosi , divenne ricovero di ban- diti, per cui nel 1594 fu murato ogni va- no e chiusa la chiesa, ed ora soltanto se ne vedono le misere rovine. Le strade interne sono tortuose e pericolose per la continua salita, meno la media formata a gradinata e selciata. La piazza princi- pale, che resta in principio della terra di prospetto a Valmontone e ad una parte dell'agro, si può dire il miglior ornamen- to del paese, ridotta in piano con forte spe. sa sopra più ordini di volte e fornici con pieni fondamenti, ed è ben selciata e gran- de. Ha una loggia scoperta sulla porta principale costruita con merli di tufa e soprastati da palle di pietra polombina, con arme in cima nell'esterno, decorata con due mascheroni, e co' vani pe' can- noni. Questa porta tutta di tufa, di vago disegno e d' ottima architettura, che si crede di Martino Longo, ha l' epigrafe del cardinal Scipione Borghese, e verso il borgo l'anno 1620. Inoltre il cardinale fece fabbricare anche diverse case nel borgo. Appellasi piazza Borghese pel palaz- zo principesco che elevasi da un lato. An- ticamente l'edifizio era diviso in due a- bitazioni, una spettava a' Colonna, l'al- tra a' Massimo; dipoi notabilmente fu accresciuto dall'encomiato cardinal Borghese, nell'unire le due abitazioni. Vi sono147 stanze, oltre i corridoi, portici e logge, con 3distinte scale che introducono a diversi appartamenti. Però la ri messa per le carrozze resta al piano do- v'è situato il fabbricato detto l'osteria, fatto anch'esso d'ordine e spesa del cardinal Borghese; osteria che può dirsi una 144 VEL VEL qui era Verrugine, la quale ritiene essere surta fra Velletri, Cori e Rocca di Papa, ed eziandio la comprende traʼvolsci . Mg. Nicolai , dopo aver parlato delle cit- tà Pontine della pianura e marittime, nel cap. II comincia a ragionare di quelle situate sulle colline, Ecetra, Artena e al- tre, poichè anch'esse si comprendevano tra le Poutine, come città che avevano il territorio nelle campagne Pontine. Prin- cipiando da Pomezia, di cui trattai a Ses- sa, diceoffrirsi innanzi Ecetra, sulla qua- lediscordanogli autori ad assegnarle il si- to preciso. Sigonio la pose nel territorio Pontino, e Cluverio giudico che restasse sopraNorma e Segni, a'confini degli equi e degli ernici, lontano dalle spiagge ma- rittime. Certissimo è, secondo Nicolai, che non stava ne' piani, ma ne' monti , non peròda'piani molto lontano, perchè i vol- sci ivi tenevano la loro assemblea nazionale, come significò Dionisio , riferendo- ne la testimonianza. Che fosse poi mediterranea, apertamente lo scrive Livio, e come di contraria situazione alla marittima Anzio, anzi la dichiara montuosa. Dunque Ecetra, conclude il dotto prela- to, dovea esser situata non lungi da Cora, Artena, Norba e Sezze, e presso Po- mezia. Poichè quando da'consoli Appio Claudio e Publio Servilio fu espugnata delle prime de'dintornidi Roma,percon- tenere circa 50 vani, essendo l'edifizio circondato da logge fatte ad archi, e nel di dietro e ne'fianchi serrati da muro per usidiversi ,con ampia stalla costruita pre- cipuamente pel procaccio di Napoli. In- oltre sulla nominata piazza e incontro al palazzo baronále vi è un casamento pure edificato dal cardinale, per residenza del governatore feudale, ed è ornato di cor- doni e fascie di tufa con vago prospetto, Diverse e discrepanti sono state le opi- nioni degli scrittori circa le antiche città che fiorirono ne'dintorni , o sul sito oc- cupato da Monte Fortino. Il Theuli, nel Teatrohistorico di Velletri, a p. 34 ri- tiene che ivi fu già la volsca Eccetra, o almeno poco lontano,poichè quando i tribuni de'romani mandarono o condussero due poderosi eserciti contro i volsci , S. Furio e M. Orazio andarono ad Anzo verso la marina, e Q. Servilio e L. Geganio a sinistra verso Eccetra, ad montem Eccetram pergant, come si ha da Livio. Anzi narrando questi prima di tale epoca un fatto d'armi deʼromani e volsci, dice che fu inter Ferentinum et Ec- cetras, che di già era stata saccheggiata da Fabio Ambusto. Altrettanto racconta Dionisio, il quale la chiamò Volscorum Caput, neldescrivere la vittoria riportata sopra i volsci e gli equi da Q. Fabio Vibu- Pomezia, gli eceterani che segretamente lano in Algido. Di parte del riferito, anche col Ricchi, Reggia de' Volsci, lib. 1 , c. 44, Ecetra colonia latina, già ne parlai nel vol. XXVII, p. 280 e 294, dicendo di Ferentino, Morolo eSupino (esopraque st'ultimo è da avvertirsi il notato a tal vocabolo) e Verrugine. II Volpi nel La- tius Vetus, enumera fra gli 8 oppidi Pre- neste, anche Eccetra, che il Cecconi nel- la Storia di Palestrina dice ch' era situata ne'più alti monti de' volsci. Il Contatore chiama Echetra , già terra nobile de'volsci , e crede che fosse situata sopra Norma e Segui, verso settentrione fra Cori e Anagni; poco lungi da Artena , che dice pure de'volsci, il cui confine cogli eaveano soccorso i pometini, cominciaro- no anche come vicini a temere per se stes- si, e ad onta che spedirono a Roma una deputazione, ne pagarono la pena , per- dendo il territorio che fu loro tolto. Dal riferite da Livio , anche il Corradini si persuase, che Ecetra e Pomezia fra loro confinavano, benchè poi altrove cadde in contraddizione, ponendo Ecetra lar . " delle città volsche sulle montagne Lepine verso Roma, mentre l'avea detta confinante con Pomezia, e questa situando nel mezzo della pianura dopo Sezze, ove ora è Mesa. Nicolai soggiunge, che dovea porsi Pomezia innanzi più vicino a Roma. 11 Corradini spiegò l'asserto di Cluverio : VEL VEL 145 ce all'articolo Artena, da lui creduta ora occupata e succeduta da Monte Fortino. Narra T. Livio, lib. 6, c. 61 , che nell'anno di Roma 353 si combattè co' volsci fra Ferentino ed Eccetra, e che quindi i tribuni cominciarono adassediare Artena città de'volsci. Gli assediati fecero una sortita; ma i romani li respinsero e gl'in- calzarono in modo che s'impadronirono della terra. I volsci si ritirarono nella fortezza o arce, la quale oltre all' essere for- te era ristretta, onde poteva difendersi con pocagente, e ben provvista di vettovaglie. Disperando perciò i romani di prender- la, un servo o schiavo d'Artena a tradi- meuto li condusse sopra per un sentiero molto scosceso; onde uccise le guardie che si trovarono dentro la rocca , e gli asse- diati furono forzati di rendersi a discrezione. Sì la città, come la fortezza vennero demolite: l'esercito fu ricondotto in Roma e diretto contro Veii (V.) ; al servo traditore fu data la libertà per premio, donati i beni di due famiglie, e imposto il nome di Servio romano. Fin qui Livio. Soggiunge poi il medesimo Nibby, che se- condo altri Artena era città de'veienti e non de'volsci; tale equivoco nacque dal- l'esservi stata una città dello stesso nome fra Cere e Veii, la quale fu distrutta da' re di Roma, ed era terra de'ceriti, e non de'veienti (ritiene Nibby d'averla scoper- ta nel 1832 in occasione che si facevano alcuni scavi nella tenuta di Castel Cam- panile, che descrive e illustra in quell'ar- ticolo, circa 22 miglia distante da Romaa destra della via Aurelia, ossia strada di Civita Vecchia; il fondo fu posseduto sucCum Volscis inter Ferentinum atqueE- cetram dimicatum est. Non doversi cioè intendere di Ferentino ernico, ma bensì di quello nel monte Albano, il quale poi si disse la Fajola, confinante co'piaui verso Velletri , Cora e Monte Fortino , cre. duto dal Kircher l'antico Corbione; e il sito corrisponde al principio deʼmonti Lepini, sotto cui si estende il territorio Pontino. Indi il Nicolai narra le guerre ecetrane, chiama Ecetra la più nobile città de'volsci, alternativamente signoreggiata da essi, daʼromanie dagli equi, e nuova- mente da' romani. S'ignora come perì, e quando, senza lasciar di se vestigio alcuno, e perciò gli autori sono di diversa opinionenel determinarne il sito. Quanto ad Artena, il Nicolai lo dice castello volsco vicino ad Ecetra, racconta come se ne impadronirono i romani e la spianarono, onde neppur di essa esistere orına al suo tempo. Il più moderno Castellano, come già indicai , inclinò a credere l' asserto di altri, che nell'area di Monte Fortino sorgesse Eccetra. Il pure recente Marocco riporta che Kircher fu di tale opinione, ma in altro luogo vi stabili Vitellia, che il p. Mattei riconobbe essere Monte Fortino succeduta ad Ortona , ed il riferito da Livio e Dionisio sopra Eccetra e Ortona. Dice inoltre che il montefortinese Serangeli si dichiarò in favore di Pando. chia, rammentata di sopra ; ma egli non vi conviene, lasciando ad altri fra le discrepanti opinioni la decisione del conflit. to. 11 Ricchi, Reggia de' Volsci, lib. 1, cap. 12, Monte Fortino prima chiamato Cor- bione, adduce ragioni per credere quella città soggetta agli equi, essere quivi po- cessivamente da' Normanni, Orsini, Capo- sta, raccontando le sue antiche vicende guerresche, e pubblicando la lapide tro- vata sotto Montefortino. Corbio o Cor. bione, il Nibby nella sua Analisi de'dintorni di Roma, lo colloca a Rocca Priora, perciò con esso ne ragionai descrivendo quel comune nel vol. XXVII, p.177. Ecco poi quanto quell' insigne archeologo nella lodata opera, t. 3, p. 270 e seg., diVOL. LXXXIX. diferro e Cenci, da'quali nel 1612 lo com- prò il principe Borghese e tuttora lo pos- siede), mentre questa della quale ivi trat- ta Livio fu nell' agro Volsco. Riconosce Nibby, che di questa Artena, degli scrit- tori antichi Livio solo ne parla e pochi lumi somministra, a segno che Cellario, Geogr. antiquae, lib. 2, c. 9, sect. 3, p. 565, dopo avere riferito il passo di Li10 146 VEL VEL vio, dice : sedpositio incertissima immo ignotahuius oppidi est. Solo ricavasi, che non era molto lungi da Ecetra e Ferenti- no, e che aveva una rocca molto forte e non molto grande. Nel fare Nibbyle sue indagini per la Carta dedintorni di Ro. ma, inclinò a crederla ne'diutorni di Mon. te Fortino, perchè una delle cime più al te delle sue vicinanze ha il nome di Mon- te Larterio, perchè sopra Monte Fortino stesso la contrada ha il nome di Civita, indizio certo della posizione d' un'antica città, e perchè la distanza di Ferentino non giunge a 20 m., mentre d' altronde là battaglia fu data di qua da Ferentino, fra Ferentino ed Ecetra, in guisa cheiro. mani poterono tagliare a'volsci la ritirata di Ecetra e forzarli a rinchiudersi in Artena. Inoltre dice Nibby, ch'era una cir costanza positiva quella che Artena distinguevasi in città propriamente detta ed in rocca. Questa sua congettura la crede di venuta un fatto per le scoperte che lord Beverley fece nel 1830 circa un miglio di stante da Monte Fortino verso sud-ovest, nella contrada appunto della Civita e del Piano della Nebbia. Il luogo si distingue per l'aspetto dirupato del monte, e per la difficoltà dell' accesso, ed è coperto di arbusti: verso settentrione è un bosco; verso occidente sono precipizi spavente voli; a mezzodì è una grotta; ed a levante la strada di Monte Fortino entra inque sto recinto. La terra non era grande, ma le mura sono costrutte di massi enormi irregolari di calcaria, spiccati dal monte, edammonticchiati l'un sopra l'altro senza alcun ordine, ed hanno5piedi di larghezza e 3 d'altezza: in generale la costruzio ne offre tutti i caratteri dell'età piùrimote. La rocca era separata dalla città pro- priamente detta da una fortificazione so . lida, costrutta nello stesso modo, ma di massi tanto più grandi che hanno 7 piedi di larghezza: essa presenta il vero ca- rattere della costruzione ciclopèadescrit- ta da Pausania; cioè che i massi grandi per la loro irregolarità lasciano intervalli che sono chiusi da pietre o ciottoli, an- ch'essi irregolari. Aggiungeil Nibby: Gell nell'opera della Topografia diRoma e de' contorni, t. 1 , p. 205, osserva giustamentepotersi sospettare, chela Ortona, di che parla Livio nel lib. 3, cap. 30, occupata dagli equi l'anno di Roma 299 e ripresa poco dopo da' romani, sia la stessa che Artena. Per la posizione non lungi dal- l' Algido , potrebbe certamente ammet- tersi questa congettura , dice il Nibby, poichè Livio così si esprime : Horatius, cioè il console C. Orazio Pulvillo, quum iamAequi Corbione interfectopraesidio, Ortonam etiam cepissent, in Algido pugnat: multos mortales occidit: fugat ho- stem non ex Algido modo sed a Corbione Ortonaque : Corbionem etiam diruit propterproditumpraesidium.L'opinione di Nibby fu impugnatadal ch. DeMatthias di Vallecorsa, nelle sue Lettere stampate in Ferentino nel 1849-50, come narrai in principio. Nella Lettera 1. tratta di Artena , che dice chiamarsi anco Antemna. Con questo nome ossia di Antenna ne trattò il Ricchi nel lib. 1, cap. 25, La Reggia de' Polsci. Dice che tale ca- stello volsco giaceva dopo il corso d'un breve tratto verso Ferentino alla volta di Segni, ne'confini degli ernici e degli equi, di cui gli scrittori dell' antichità non ne fanno memoria, tranne Livio pel già nar- rato; oude del sito dove fu edificato non potersi dire cosa che meriti fede. Il De Matthias comincia dal dichiarare, che molti antiquari di queste contrade, senza no- minarli, e fra gli altri il Cayro, autoredel. le Notizie istoriche delle città del Vecchio e Nuovo Lazio, aveanoda molti an- ni fatto intendere al pubblico che l'antica cittadella de' volsci Artena , ebbe il suo stare nel luogo attualmente occupato dalla terra di s. Lorenzo soggetta al gover no di Vallecorsa della delegazione di Fro- sinone; nel quale articolo io ne dissi alcune parole. Questa scoperta non priva di appoggi, continua il De Matthias, non fu mai messa in discredito e in disamina, VEL VEL 147 prima del Nibby; sulla cui autorità io nel citato articolo feci appena cenno della sua opinione, e perciò con lui severamente fui dal medesimo De Matthias confutato, seb- bene io nel semplicemente riferire l'opi- nione di Nibby, non la dissi doversi pre- ferire, ma la riportai insieme alle altre, e di queste e della sua senza rendermenere- sponsabile e sostenerle come incontrasta- bili. Chi propriamente porabbia ragione, si decida da chi può esserne giudice com- petente. A me basta il notare, l'avere ri. ferito il sentimento del Nibby, e che l'en. comiato De Matthias sostiene per contra- rio , assolutamente doversi riconoscere l'antica Artena a s. Lorenzo di Vallecorsa. Siccome inoltre Nibby dice che in Montefortino siavi il luogo detto Monte Lar. terio, nome che vuolsi derivato da Arte- na, il De Matthias avverte ch'è un equi- voco, perciò dichiara." Montefortino si di ce comunemente Monte l'altero, Monte forte o Fortino, perchè rammenta alcune sue azioni altere, per le quali Papa Paolo IV ne ordinò persino la distruzio- ne. Monte Larterio non viene perciò det- toda Artena o Antemna, ma da altra cagione, cioèda Monte l'altero." II DeMatthias stringe l' argomento, col dichiarare ancora: Che la questione è terminata; aver provato 1.º che l'opinione de' vecchi storici è la più sana, allorchè sostennero, come Cayro, gli altri non nominando, Ar- tenna aver esistito presso s. Lorenzo. E- gli crede inoltre d' aver confutato in 2.º Juogo li motivi pe'quali si cercava creare una novità a danno del vero; in conseguenza soggiunge, restare ben dimostra to il suo assunto. Finire con l'espressione di Quintiliano, per dire che col suo scrit- toniente deve trarsi al merito del Nibby. >>Sono state perfette tante di lui opere: se ha preso abbaglio nel piccolo articolo Ar- tena ed in quello di Verrugine, ci ricor- da, che quantunque sommo autore, pu- re è uomo. Neque id statim legenti per suasum sit : omnia quae magni authores dixerint, utique esse perfecta ... Summi enim sunt, homines tamen". La terra di Monte Fortino ècerto che con questo no. me già esisteva nel secolo XI. Leggo nel- le Memorie Colonnesidelcav. Coppi, che da un documento del codicedi Cencio Ca- merario sappiamo che nel 1151 Tolomeo Il conte Tusculano possedeva il castello di Monte Fortino, Castro Montis Fortini, sul quale pretendeva avere diritto Oddo- ne della Colonna. Trovo ancora nel medesimo e nel ricordato Cecconi, che Oddone cedè col consenso di Carsidonio suo fratello la metà di tutta la città Tuscula- na e la rocca a Papa Eugenio III, e le azioni che avea su di Monte Fortino, a te. nore della permuta fatta fra il suo padre e il genitore di Tolomeo, a cui furono poscia concesse tali ragioni dallo stesso Eugenio III, come si rileva dal giuramen- todi fedeltà prestato a Papa Adriano IV a'g luglio 1155; ricevendone Oddone in compenso il castello di Trevi e una som- ma di denaro, centum decem libras denariorum papiensium, et centum qua- draginta libras denariorum lucentium. 11 Coppi narra invece in detto anno, che Adriano IV concesse la detta porzione di Tusculo in feudo vitalizio a Gionata figlio di Tolomeo II, che digià ne possedeva al- tra parte, e giurò fedeltà al Papa contro tutti, excepto Imperatore. Per maggiore sicurezza consegnò contemporaneamente al Papa le sue rocche di Montefortino edi Fajola. Il ch. Marocco riporta le parole dell'atto, in cui èdetto che per maggior fededava Roccam Montis Fortini et Roccam Fajola per due anni. Risulta dalla divisione de'beni tra'Colonnesi nella stessa epoca, riferita dal Coppi, che Pietro eb- be persua porzione MonteFortino e Mon te Porzio,colle contigue terre di Colonna e Zagarolo, e che allora abbia preso la qualifica, che poi diventò cognome, della Colonna. Racconta Marocco, che di Mon- tefortino restarono privi i Colonna, igno- randosene la causa, epassò in dominio de' Conti d'Anagni o di Segni, il che forse avvenne dopo la distruzione del Tusculonel 148 VEL VEL pontificato di Celestino III; mentreilsuc- çessore Innocenzo III Conti ne investi il suo fratello Riccardo con altri feudi . Auzi ricavo dal Ratti , Dellafamiglia Sfor- za, t. 2, p. 221 e 243, che alla morte di Riccardo dividendosi i figli i suoi beni, al secondogenito Giovanni Conti senatore di Roma toccò la Torre e tutte le case di Roma, co'beni di Ponte Mammolo, Mon- te Fortino ec. , il quale in seguito fu da- to ad un cadetto della stessa famiglia, la cui linea dicevasi de'siguori di Monte Fortino. In ciò cơnviene, ma con ritardata epoca, pure ilNibby,dicendochequesta ter- ra esisteva col nomedi Monte Fortino fin dal 1226, e ricavarlo dal Contelori nella Storia dellafamiglia Conti, che la possedette con titolo di signoria, del quale era investito uno de' rami cadetti della linea de'Conti di Segni. Nel 1232 Monte For- tino fu occupata daʼromani, che si erano rivoltati contro Papa Gregorio IX, come si legge in Riccardo da s. Germano, pres- so il Muratori , Rerum Ital. Script. t. 7, p.1029. Nella sua biografia ne parlai, di- cendo il motivodell'insurrezione, eche i romani recaronsi a Monte Fortino(nellu- glio 1232 dice il Petrini; e perreintegrar- si de'danni, che dicevano aver sofferti, oc- cuparono fra l'altre cose alcuni beni spet- tanti alla chiesa Prenestina e li ritennero 3 anni) per assalire la provincia di Cam- pagna, e così operare un diversivo all'im- pedimento loro posto dal Papa nel difen . dere Viterbo, ch' essi pretendevano di- struggere; e siccome erasi ritirato in Rie- ti, notai in quell' articolo, che Gregorio IX ad essa couferì le prerogative godute dalle città della provincia di Campagua, ed impedì che i suoi parenti si abusasse- ro ulteriormente del castello di Fumone. Il Cecconi m'istruisce, che i sollevati romani volendo sorprendere la fortezza di Paliano, coll'aiuto degli abitanti di Montefortino (il Petrini afferma che tra'diversi partiti che tenevano in fiera discordiai numerosi abitanti di Paliano, si frammischiarono alcuni montefortinesi a sofliar nel fuoco, mandati apposta da' romani), il Papa fu costretto di premunire Paliano, da esso comprato, circondandolo di mura e con nuova torre fabbricata nel più rigido inverno stemprando la calce coll'u . so dell'acque calde; ed acquistando ancora il castello di Serrone, proibi che gianmai idue luoghi si alienassero e separassero dallo stato pontificio. Si persuade il Cecconi, che Gregorio IX vedendosi spesso inquietato da'romani, pensasse stabilirsi ne'due luoghi muniti dalla natura del sito stesso, un ricovero sicuro nella provincia di Campagna; ed a tal effetto perinettesse agli abitanti di rendere a coltura alcuni monti e selve esistenti nel territorio di essi , coll' obbligo di pagare per la festa del. l'Assunta 40 soldi annui. Il Marocco congettura col Ciacconio, cheGregorio IX 0- norasse di sua presenza Monte Fortino, per riferire tale scrittore delle Vitae Pon- tificum. » Anagnia deinde Pontifex pro- fectus Pallianum, Monfortinum, Serro- nem, Fumonem, et omnia circumquaque posita Oppida munivit et praesidiisfir- mavit. Romanorum contumacium veritas qui amatore Senatore edixerant ut omniaOppida circum Urbemposita, Po- pulo romanotributa annuapenderet".E parlando d'Annibaldi senatore di Roma, dice.» Et eodemferme die senator infe- stus ducens in Campaniam cohortes a- pud Montem Fortinum de itinere primum substitit. Eum enim a Friderico II imperatore in rerum novarum studia promissis favoribus incitatum fuisse ". Abbiamo dal Novaes nella Storia di Bo- nifacio VIII, che dopo aver dimorato in Anagni fino al 1.º ottobre 1302, a'3 si re- cò a Montefortino, ed a'g si restituìa Ro- ma. È poi indubitato, che vi fu Grego- rio X1, pernottandovi a' 5settembre1377, in occasione che soggiornava in Anagni , per averlo dichiarato i montefortinesi, oltrechè si legge nel diario di Pietro Amelio. Inoltre riporta Marocco, che Vitto- ria Conti figlia d' Alessandro signore di Monte Fortino, fu maritata aGirolamo VEL VEL 149 Colonna (primogenitod'Antonio principe di Salerno, secondo Coppi , dicendoloille. gittimoMarocco),nemicodi ProsperoCon- ti ; e da tal matrimonio nacquero Giulio Colonna, che sposò Giovanna Conti del la linea di Valmontone, figlia d'Antoniodi Giacomo, il quale s' impadroni di Monte Fortino, espugnandolo nell'agosto 1482. Lo ritenne per diversi anni, ad onta dell'opposizione di Lucio o Lucido Conti si- guore del medesimo. Allorquando Carlo VIII re di Francia sul finedel 1 494eprin cipio del 1495 attraverso lo stato romano per andare contro Alfonso II al conquisto del regno di Napoli , i Colonnesi favo. rirono la di lui parte. Marciando per la provincia di Campagna, in poche ore espugnò il castello di Montefortino e lo prese d'assalto , mentre era occupato da Giacomo Conti , il quale erasi condotto agli stipendi d' Alfonso 11 , e lo consegnò nel1495 a Prospero Colonna, altro figlio del suddetto principe di Salerno , che vi pretendeva antiche ragioni e militava in suo favore , investendolo della signoria e rocca, ritornandone cosi il dominio a'Co- lonnesi , come apprendo da Coppi e Bauco. Altre particolarità sono descritte da Marocco. A Lucido Conti signoredi Mon- te Fortino rimasero però Rocca Massima, e Colle Ferro or quasi diruto , non che Giuliano allora mal ridotto. Dipoi Lucido fu trovato morto in una vigna del territorio di Rocca Massima , e credesi per violenza, venendo sepolto nella chiesa di s . Michele Arcangelo di detta Rocca presso l'altare maggiore. L'eccidio di Monte fortino e la sua presa fatta da'francesi di Carlo VIII, avvenne per colpa di Giacomo Conti seguace del re di Napoli , e non per cagione degli abitanti. Bensìque- sti , per non mostrarsi vili , si sforzarono difendere colla loro patria il loro signore, ma furono tagliati a pezzi , e solamen. te restarono superstiti gli assenti dalla terra. Dice inoltre Marocco , che Carlo VIII nedestinò suo vicario Prospero Co- lonna, salvando la vita de'soli figli di Giacomo Conti , volendo però in poter suo gli altri castelli che possedeva, come Fra. scatie Torre del Castello. Malgrado i ten . tativi fatti da'Conti per ricuperare Monte Fortino, essa rimase a'Colonnesi. Ar. roge il narrato dal Bauco. Partito Carlo VIII dall'Italia, si accese nuova guerra fra Colonnesi e i Conti che tentarono ritornare in possesso deʼloro beni, de'quali erano stati spogliati da'francesi. I Conti ebbero validi aiuti da Velletri , sì per patto d'antica federazione con essi , sì per reprimere la potenza de' Colonnesi, temendosi che di nuovo potessero pensare alle cose di Lariano, il di cui territorio confina conMontefortino. Fu questa guerra di gravi danni agli uni e agli altri, finchè nel1498 vennesi ad un compromes- so fra Colonnesi, i Conti e Velletri, avanti il governatore di Roma Isualles, sopra tutti i danni, offese e prede scambievoli. Si fece tregua per un anno, e per più lun go tempo a beneplacito di Papa Alessan- dro VI. Deposte così le armi e cessate l'ostilità, furono le differenze composte per via di ragione. I Colonnesi, abbandonati i francesi , si dierono al re di Napoli, e sic. come Alessandro VI erasi collegato con Luigi XII re di Francia, questi inviò un esercito per riconquistare il regno di Na- poli, capitanato da Obıgni , onde il Papa colle sue milizie uscì in campagna per oc- cupare le terre de'Colonnesi e ne espugnò diverse nel 1501. Obigni fece altrettanto, s'avviò per Monte Fortino pensando che Giulio Colonna gli facesse resistenza ; ma avendolo abbandonato con poca lode, O- bigni procedendo più oltre, occupò tutte le terre circostanti e colla sua marcia entrò nel regno. Depressi i Colonnesi , Alessandro VI a' 27 luglio 1501 si portò a Montefortino, indi a'20 agosto pubblicò una bolla, nella quale dichiarò i Colonnesi incorsi nella scomunica maggiore , e li privòdi tutti i loro feudi e beni. Indi colla bolla Coelestis altitudinis potentiam, de'17 settembre, divise le terre e castelli confiscati a'Colonnesi, tra'suoi figli e ni- 150 VEL VEL poti, ed al figlio Giovanni Borgia conces . se Monte Fortino. Morto il Papa a'18 a- gosto 1503, i Colonnesi ricuperarono le Joro terre, e secondo Marocco , ritorna- rono i figli di Gio. Girolamo Colonna nel possesso diMontefortino. Inveceleggonel Coppi, col quale ancora procedei pel narrato, che Pompeo Colonua, vescovo di Reti , abbate commendatario di Grotta Ferrata e Subiaco, poi cardinale, nato da Girolamo del ramo di Zagarolo (ucciso nel 1482) e figlio del suddetto principe di Salerno, e da Vittoria Conti, amante degli antichi possedimenti di famiglia,pro- curò di assicurarsi questo di Monte For- tino ; ma pe'diritti che vantavano i Con- ti , potendone derivare questioni e forse guerre, credè opportuno d'accomodare il tutto bonariamente.Acquistò nel 1510 tali diritti, promettendo di pagare a Luci do Conti, allora ancor vivente, 2000 du- cati, e di più soddisfare ad alcuni pesi che il medesimo aveva, con istromento de' luglio. Dipoi Giulio II ch'erasi imparen tato co' Colonnesi, ottenne a mediazione di Prospero, che Pompeo, il quale occu- pava militarmente e in attitudine minacciosa Monte Fortino , consegnasse il ca. stello a Marc'Antonio I Colonna capita- no delle milizie papali, affinchè lo tenes- se in deposito. Tuttavolta proseguendo Pompeo a mantenersi in atto ostile, Giu- Jio II lo privò de'suoi pingui benefizi ec- clesiastici ; e benchè nel 1513 alla morte di Giulio II, Pompeo di nuovo insorges se, pretendendo bruciar la casa del fisca le Coccino che l'avea processato, il suc- cessore Leone Xl'assolse pienamente, gli restituì i benefizi e poi elevò alla porpo- ra. L'ambizioso e irrequieto cardinalPom- peo, per morte di Adriano VI contrastò nel : 523 il papatoa Clemente VII in con . clave, e sebbene questi lo ricolmasse di benefizi, restò pieno di rancore, e con ingratitudine insieme ad altri Colonnesi a. pertamenteearinata mano si ribellò,spal- leggiati dalle truppe di Carlo V. H Papa scomunicòi Colonnesi, depose Pompeoda tutte le dignità, che audacemente accusò il Papa di simonia e pretese contro di lui appellarsi al futuro concilio. ClementeVII quindi spedì il Vitelli colle milizie pon- tificie a danno de'Colonnesi, diseguando di bruciare e di far spianare tutte le ter- re loro, poichè perl'inveterata affezione de'popoli ad essi, il pigliarli solamente era di piccolo pregiudizio. Le genti pontifi . cie entrate nelle terre de' Colonnesi, nel 1526bruciarono Marino e Montefortino, la fortezza del quale si teneva ancora pe' medesimi , battendola colle artiglierie , spianando Gallicano e Zagarolo; indi il Vitellideliberò recarsi a Valmontone per attendere alla difesa del paese. II Ricchi dice che Clemente VII giustamente sde- gnatocontro Pompeo che dominavaMon- tefortino, l'abbandonò alla voracità delle fiainme. Questa sventura deplora assai il Marocco, poichè vi perirono innocenti fanciulli, femmine imbelli e vecchi cadenti, che il fuoco divoratore non risparmiò. Seguìposcia il disastrosissimo saccodiRoma, operato dagl'imperiali; indi Clemen- te VII si pacificò co' Colonnesi e gli as. solse dalle censure , morendo il cardinal Pompeo in Napoli nel 1532. Dopo il fa- tale incendio, risorse Monte Fortino, e le bruciate case vennero da'popolani risar- cite, e le distrutte riedificate. Nel ponti- ficato di Paolo III, avendo questi aumen- tato il prezzodel sale, pretese Ascanio Co- lonna che pel privilegio d'esenzione di Martino V, non dovesse aver luogo nel. lesueterre, ondegli esattori pontificii carcerarono alcuni vassalli de'Colonnesi . Ascanio per rappresaglia co'suoi armati fece una córreria nell'Agro romano, e pre- dò una quantità di bestiame. Il Papa che già mirava di mal occhio la potente casa Colonna, per aver in altri tempi fat- to fronte a' suoi predecessori , nel 1541 mosse ad essa guerra con 10,000 soldati, e la descrisse l' Adriani colla Storia de' suoi tempi. Rocca di Papa, Paliano, Ce- ciliano , Roviano e altri castelli furono espuguati, e d'ordine del Papa smantel. VEL VEL 151 late da' fondamentile loro fortezze. Dice Marocco, che Montefortino fu presa nel 1543, rendendosi al Pontefice, e riportando il seguente racconto mss. di Teo- filo Papei: » 27januarii 28 vero Romam versus abierunt. 24februarii die domi. nico, circa 22 horas, Pontifex sub sua ditionehabuit Arcem Montis Fortini.19 martii die luna inceperunt subditi Co- lumnensium demoliri jussu Pauli III. 3. diemaii perfecerunt, relicto unopropugnaculo, seu aula demolitores omnes abierunt. 9. die redierunt demolitores num. circa 300 addemoliendamaulam, seu propugnaculum quod fuit dereli- ctum". Morto Paolo III nel 1549 α' το novembre, Camillo Colonna col favore e coll'aiuto de'vassalli ricuperò ad Ascanio assente in Venezia, Paliano e le altre avite castella; e Papa Giulio III al suo ritorno lo accolse cortesemente , e dispose che godesse tranquillamente i beni ricu- perati. Non andò guari che i Colonnesi furono nuovamente in armi a tempo di Paolo IV Caraffa, ed ebbe luogo la fune. sta guerra della Campagna Romana da me descritta ne' luoghi indicati di-sopra, controFilippo II re di Spagna e delle due Sicilie, a cui si unirono gl'imperiali tede- schi di suo padre Carlo V, ed i Colonne- si , a'quali il Papa avea tolto Paliano e Cave, che diè a'suoi nipoti, e le altre ter- re. Paolo IV era avverso agli spagnuoli predominanti in Italia, voleva deprimerli e forse cacciarli dal regno di Napoli, dal quale regno dichiarò decaduto Filippo 11 uel 1556; quindi si venne alla micidiale guerra. Il duca d' Alba vicerè di Napoli col regio esercito occupò molte città e luo ghi delle provincie di Marittima e Campagna, e de'dintorni di Roma. Sul prin- cipio del 1557 lemilizie pontificiericoperarono Marino, Grotta Ferrata, Frasca ti, Valmontone, Palestrina e Genazzano. Assaltarono eziandio la terra di Monte Fortino, la presero e la distrussero , nel modo che deplorai nel vol . LXV, p. 242, col p. d. Bartolomeo Carrara, Storia di Paolo IV. Narra Ricchi , che Montefortinofu preso d'assalto e incenerito, ed'or- dine del Papa smantellato di mura. RaccontaPetrini, che FrancescoColonna col- lemilizie papali andòad espugnare Mon- tefortino , i di cui abitanti essendosi dichiarati per Marc'Antonio II Colonna, co- mandante di parte dell' esercito nemico, derubavano e molestavano continuamen. te i vicini; onde furono tutti senza distinzione nè di età, nè di sesso, come ribelli della s. Sede, diffidati in pena di morte, e la loro terra saccheggiata, arsa, distrutta e seminata di sale; impresa a cui die- rono molto mano i prenestini , e fra gli altri Menico Franceschi e messerGio. Domenico Jacovello. Per cui Marc' Antonio II ed i regi si vendicarono su Palestrina , che posero tutta quanta a sacco. Altra incolpazionecontro Monte Fortino la tro- vo in Batuco. Egli dice, che mentre Vicino Orsini capitano de' pontificii era in Vel. letri, que'di Montefortino gli fecero sapere essere disposti a tornare sotto l' ubbidienza della s. Sede, e che perciò se aves- se mandato truppa sufliciente, gli avreb- bero consegnato la terra. Esso niente so- spettando di frode , vi spedì la sua pro- pria cavalleria. Ma i terrazzani pieni di mal talento fra via tesero una ben forte imboscata , nella quale entrata la truppa dell'Orsini fu quasi tutta trucidata. Que- sto sinistro accidente mosse a giusto sde- gno l'animo di Paolo IV pel nero tradi- mento. Il perchè fece uscir da Roma Giu- lio Orsini con numerosa truppa e con 7 pezzid'artiglieria. Questi, presi inolti gua- statori in Velletri , si diresse verso Mou- tefortino, la quale fu presa e saccheggia- ta, e poi insieme colla rocca spianata ed arsa . Il comınissario del Papa, Desiderio Guidone, affisse pubblico bando in Vel. letri, che tutti gli uomini di Monteforti- no per la notoria ribellione erano incorsi nella pena dell'ultimo supplizio, e che potevano uccidersi impunemente,e li con- dannava alla confisca de' beni . Il citato storico Carrara, conosciuto sotto il nome 152 VEL VEL di Bromato, qualifica empio il trionfodel- l'Orsini pel barbaro valore esercitato nel- Ja conquista di Montefortino; dunquel'o. perato fu all'insaputa delcalunniato Pontefice. Egli pure dice che i montefortine- si , fingendosi stanchi del dominio spa- gnuolo, domandarono aiuto per mettersi nelle mani de'pontificii, e poscia i100 fanti che sulla buona fede loro mandò l'Orsini, tutti svaligiarono nell'imboscata sen- za perdonare ad un solo. Apunire il vil- lano tradimento » l'Orsini colla batteria di due giorni molestò quella terra , che difesa fu da Giannantonio da Piacenza, ivi messo in luogo di Francesco Brancaccio, e fu difesa con varie sortite, in una delle quali restarono morti molti delle truppe pontificie, tra'quali Francesco fi- glio di Giambattista Conti (ultimo signo- re di Segni e di Valmontone di taleramo), e il capitanoGiorgio da Terni. In fine na- ta discordia tra' terrazzani ed il presidio, quelli si resero a discrezione, e i soldati impetrarono di poter uscire a bandiere spiegate , e portar seco armi e bagaglio. Ed entratevi le genti dell'Orsini saccheggiarono tutta la terra senza pietà: vi appiccaronofuoco, e nonperdonarono nemmeno ad una chiesa, ove le donne e i fan. ciulli si erano ritirati, e tutti perirono ". Dissi già nel paragrafo di Valmontone, che alcuni de'suoi abitanti contribuirono alla rovina di Montefortino, e come alla Joro volta i contadini montefortinesi si vendicarono con Valmontone, quando fu saccheggiato e arso. Il Marocco, seguendo Alessandro d' Andrea autore de' Ragio namenti della guerra di Campagna di Roma, narròla totale desolazionediMontefortino e sua rocca, ma troppo assolu- tamente e in tutto l'attribuì a Paolo IV (P.), come fecero altri, senza tener pre- sente la Storia del p. Carrara e altrescrit te con imparzialità, e l'abuso che fecero del potere i nipoti di quel gran Papa, che con s. Gaetano istitui i Teatini ( V.); i quali nipoti appena da lui conosciuti fu rono inesorabilmente cacciati e puniti, Non tacendo il tradimento che provocò la severa e terribile punizione, il Maroc- co dunque soltanto e come altri si limi- ta a raccontare. Che pure in quest'incontro Montefortino si distinse per sommo coraggio , e per mantenersi nella fedeltà al suo signore ( Colonna feudatario della s. Sede suprema signora di Montefortino), fu uno degli ultimi ad arrendersi. Imperocchè, avendo finto i montefortinesi.concordia co'pontificii ,domandarono un pre- sidio, ostentando di voler ubbidire alla Chiesa; onde Vicino Orsini da Velletri vi mandò una compagnia, che per imboscata funestissima e traditrice perì tutta per via, senza che neppure un tamburino si salvasse. Quest' orrendo attentato fece montare sulle furie il Papa, che ne volle la totale espugnazione. Giulio Orsino capitano suo, con 3000o fanti italiani, con due compagnie di veterani venuti daMontalcino, econ cavalleria pontificia e 7 cannoni , uscito da Roma si portò direttamente a Montefortino, che già era stato presidiato da Marc' Antonio 11 Colonna; ma Francesco Brancacci invece di custodirlo pel suo barone, essendone partito per cercare vettovaglie, fu causa delle funeste conseguenze. Dopo il cannoneggia- mento , le sortite e ricordate scaramuccie, in cui perì Francesco e non Gio. Battista Conti, venuti i soldati in discordia cogli abitanti , si resero a discrezione, partendo i primi per Anagni , Entrati i pontificii in Montefortino, fecero pagare a'popolani il fio della loro pazzia, perchè molti ne furono uccisi. Saccheggiata ed incendiata la terra non si salvarono nè fanciulli , nè donne , benchè rifugiati in una chiesa , l'ira de' soldati superando qualunque ostacolo, e vane furono le pre- ghiere. Indi il Papa spedì l'ascolano De- siderio Guidoni qual commissario per far demolire tutto il paese e prender possesso del territorio, autorizzato col brevelolentes quod scelus per Universitatem et homines Castri nostri Montis Fortini adversus hanc s. Sedem , de' 27 aprile VEL VEL 153 1557, accompagnato conlettere patenti del cardinal Caraffa. Il possesso del territorio con rogito seguì a' 2 del seguente maggio, efu pubblicato il bando dal Guidoni contro tutti i montefortinesi di pe- nacapitale, qualificandoli assassini de'sol- dati pontificii , nemici e infedeli alla s. Sede, ed il castello nido e ricetto deʼtristi, ladroni e ribelli. Quindi fu ingiunto a tutti i baroni e signori , ed a tutte le città e castella della provinciadi non ricettare alcuno di essi , e di far cosa grata al Papa darli in mano alla forza per farne giustizia. Compiuta la demolizione delle fab- briche, il commissario fece arare la piazza e seminarvi il sale a'13 di detto maggio. Inoltre il cardinal Caraffa dal commissario fece eziandioatterrare qualche superstite pezzo di fabbrica; e Gio. Caraffa duca di Paliano, in questa fortezza fece trasportare i cannoni della rocca di Monte- fortino. Dopoquest'infortunio, Marc'Antonio II Colonna distrusse Colle di Ferro, incendio Anagni , prese Palestrina e Se gni, e favorito da'suoi vassalli corse tut. ta la provincia di Campagna, la quale respirò per la pace di Cave conclusa nel set- tembre. E nel1559 per morte di Paolo JV i Colonnesi ricuperarono le loro terre, e nel 1561 anche Paliano. Non ostante la rovina generale di Montefortino, potè a poco a poco riaversi, rifabbricandolo i superstiti abitanti coll'aiuto de' Colonnesi, per avere i dispersi montefortinesi sup- plicato la celebre marchesana di Pescara Vittoria Colonna , Virginia Colonna de' Massimi e Tuzia Colonna de' Mattei , le quali a favor loro si prestarono efficace. mente. Della successione de' Colonnesinel: la signoria di Montefortino, ecco quanto ne scrive il Marocco. Fu diviso il suo do. minio, non avendo avuto figli maschi Gi. rolamo Colonna, in diverse porzioni a 28 giugno1586, cioè n'ebbe la metà Orinzia figlia di Marzio Colonna duca di Zagaro- Jo, e moglie di Pompeo figlio di Camillo Colonna; ed una 8." parte l'ebbero Tuzia, Porzia, Claudia e Virginia, alla qualeVirginia successero Fabio, Ascanio, Carlo e altri de' Massimi; e poscia Vincenzo Estouteville conte di Sarno come marito di Claudia Orsini. Mancando figli a Tuzia venne da lei nella sua 8.ª parte istituito erede Ascanio de' Massimi , che ne prese possesso nel 1595, prestandogli i vassalli giuramento di fedeltà. A Marzio Colonna duca di Zagarolo ricadde la metà di Montefortino per dono di Orinzia sua madre (ma di sopra è detta figlia) nel1583. Muzio Massimo, chene avea ottenuta una 8.ª parte da sua madre Maria Orsini e altra 8.ª parte da Giulia sua zia, ambedue vendè nel 1589 al detto duca Marzio, restandone un sol quarto a' Massimo: pochi anni dopo Gio. Antonio de Maximis figlio di Carlo signore di Monte Fortino divenne vescovo d' Isola (V.). Apprendo dal Coppi, che nel 1607 Mar zioeresse in Zagarolo un monte e per ga. ranzia de' sovventori ipotecò Montefortino e altre terre. Il suo figlio Francesco trovando 400,000 scudi di debiti, per liberarsene in parte, nel 1614 vendè al cardinal Scipione Borghese 3 quarte parti di Montefortino, la metà della tenuta di Torre, Olevano, 300 rubbia di Pantano di Grifi , 200 rubbia di terreno della Co- lonna, ed un procoio di vacche, tutto pel prezzo di 346,000 scudi. In modo alquanto diverso ciò riporta il Marocco. Dichiara che Giulia Colonna, a nome di Marzio suo marito a 7 gennaio1612 ven- de al cardinalPietroAldobrandini 3 quar. ti di Montefortino , colla metà della tenuta di Torre; e l'8 marzo ne confermò la vendita Marzio, da Paolo Vapprovata a 27 giugno. Il cardinale ne prese possesso a'to luglio , rilasciando una cedola a Pietro Alberici di 215,000 scudi pel re- stante del prezzo, e poi fu fatto un affitto per 6 anni nel 1612 al nobile romano Orazio del Bufalo; ma non pagatasi la ce- dola, il contratto restò rescisso e Marzio rientrò in possesso del suo. Si appellò il cardinale alla congregazione de'baroni e n'ebbe contraria sentenza, onde France- 154 VEL VEL 0 sco Colonna duca di Zagarolo e figlio di Marzio, vendette al cardinal Scipione Bor- ghese nipote di Paolo Vle 3 quarte par ti di Montefortino, Olevano e quant'altro già dissi per 346,000 scudi , con at to autorizzato da chirografo di Paolo V a' 29marzo 1614.11 Papa concessetantoal cardinale, quanto agli uomini ed univer sità di Montefortino e di Olevano privile- gi amplissimi. Afronte di tuttociò, Gia- como Salviati , nipote del cardinal Salviati e di Lucido Conti, nel : 630 mosse delle pretensioni sul dominio di Montefortino, ma venendo i principi Borghese difesi dall'insigne avv. Jacobelli, trionfarono e restarono pacifici signori di Mon- tefortino e lo sono ancora. Già Paolo V 1'11 ottobre1615 (e non pare nel1611 , come si legge nel n.º 92 del Giornale di Roma del 1850), con diversi cardinali e prelati, onorò di sua presenza Montefor- tino e vi riposò una notte, cioè dopo l'ac- quisto fattone dal cardinal Borghese. Do- po tante vicende, osserva Marocco, la ter- ra di Montefortino non si potè dir mai tranquillata, mentre da'5settembre1656 fino a' 12 del susseguente gennaio fu per- cossa dalla pestilenza , con 155 vittime, malore che penetrò pure in Valmontone e s. Gregorio , avendo il Papa deputato mg, Franciotti commissario apostolico della sanità nella Campagna di Roma.Du- rante il contagio di Montefortino furono stabiliti 3 lazzaretti,due in campagna,cioè uno fra' castagneti al piano di s. Maria, e l'altronella valle vicino alla Pozzarica, ed il 3.º detto lo Sporco, dentro il convento de'minori osservanti riformati, perchè vi si conducevano gl'infermi, Aggiunge Marocco, che alcuni banditi e omicidiarii disturbarono Montefortino nel 1702 , talchè mg. " Falconieri chierico di camera e poi cardinale, commissarioapostolico del Lazio, fu costretto spedirvi milizie esbirraglie, e ad onta della resistenza caddero i tristi in potere della giustizia . I più arditi furono Tommaso Carloni detto Tabanel- lo, che avea due baudi capitali e omicir diario recidivo, il di lui fratellodetto Grifo, che con Lorenzo Latini pure omicida d'un cognato alias Mezzogrosso, fece ar- mata mano verso la mola di Segni retrocedere un commissario apostolico e il suo cancelliere, Giuseppe Ferranti, e Stefano Marcaccioli detto Quadrello omicidiario e complice di due omicidii , pusilla- nime però, e quasi tutti reduci dalla ga- lera, ma pagarono il fio di loro scellerag. gini . In quell'incontro vi perirono due soldati di Valmontone ed un vile sbirro. Il Cardella nelle Memorie storiche de' cardinali, nella biografia del Falconieri , riferisce che ClementeXIgliaffidò la ina - lagevole epericolosa commissione di spur- gare la provincia del Lazio dagli assassini e banditi, che colle ruberie e stragi danneggiavano non solo i passeggeri , ma re- cavano la desolazione e il terrore a'convicini paesi, Il prelato usando di sua seve- rità, dissipò in un baleno tutta quella ca- naglia e restituì la pace e la tranquillità a que'popoli. Nel tempo della repubbli- ca del 1798 , il popolo di Montefortino diede prove non equivoche al Papa di di. voto attaccamento e di valoroso coraggio, respingendo l'armate nemiche francesi, in unione co'calabresi che difendevano il re di Napoli , e vi furono molti feriti e morti dalla parte contraria. Nel 1850Montefortino esultò per la presenza delregnan- te Papa Pio IX, nel viaggio col quale da Napoli tornò in Roma, e venne descritto dal Giornale di Roma, édal commend. " Barluzzi colla Relazione del viaggio. In essa si legge. Questo castello è sul dosso deʼmonti Lepini, in quella parte dove si distaccano dagli Algidi, e li fronteggiano a tramontana. E luogo forte, come suo- na il suo nome, e perciò spesso combattu- to nelle guerre de' bassi tempi, come lo era stato in quelle tra' volsci ed i romani, quando giusta l'opinione degli anti- quari, aveva il nome di Artena Volscorum. Fu già nella signoria de Conti di Segui : dal secolo XVII appartiene a' Bor- ghese". Dovendo transitare il Papa Pio VEL VEL 155 r IX nel suo territorio a' to aprile, il po- polo ch'eragli sempre rimasto fedele e di voto nel cuore, e che silenzioso e triste aveva passato i mesi del terrore, allora con piena libertà manifestò i suoi sentimenti, Il principed. Marc'Antonio Borghese,che a sue spese avea fatto adornare con pa rati l' esterno della piazza , e distribuita abbondante limosina alle famigliechepiù abbisognavano di soccorsi , andò incontro al Santo Padre , avendo seco il fratello principe d. Camillo Aldobrandini. Si fe- cero innanzi pure mg, Domenico Bruti, il clero secolare e regolare, e la commis- sione municipale col suo presidente Sil- vestroTommasi. Il Papa si degnò annuire a'desiderii della popolazione,che voles. se onorarla colla sua presenza, manifesta- tigli dal principe e da'suoi rappresentan. ti. Pertanto, preceduto il Papa da'religio siriformati e dal capitolo, sotto ilbaldac- chino portato dalle primarie persone del paese, a piedi si condusse alla chiesa del ss. Rosario decorosamente parata, tra il canto di scelti cantori, ove ricevèlabenedizione col Venerabile. Quindi asceso in trono ammise al bacio del piede il clero, il municipio e altri. Finalmente fra gl'im- mensi e sincerissimi applausi della popo- lazione, passando sotto un arco trionfale, appositamente eretto nella via, con accon- cia iscrizione riprodotta dalla Relazione, grato a tali manifestazioni, consegnataal l'arciprete una somma da erogare a be- neficio de'poveri, rimontò in carrozza per proseguire il suo viaggio a Velletri, epri- ma di giungervi trovò a Lariano la sua deputazione col cardinal vescovo. Ripor. ta il medesimo Giornale ne'n. 163e167 di detto anno, che accanto al paese fabbricato sul dorso del monte, di seconda formazione e di struttura calcarea , verso lebeccio vi è la piccola valle di s. Croce, situata non lungi dalla chiesa omonima, di figura quasi circolare del diametro di circa 120 metri, coltivata nel fondo afor mentone e circondata di rupi. Si crede volgarmente, ed è probabilmente uu autichissimo cratere di vulcano estinto. In questa valle nella parte più vicina al pae- se e sottoposta ad una rupe dell' altezza di 40 metri , a'2 luglio 1850, ad un'ora pomeridiana sprofondossi il terreno con immenso fragore sotterraneo. Formossi così altra più piccola valle, più profonda di 20 metri , di figura elittica , il di cui asse maggiore è di circa 80 metrie il mi- nore di 45. Gli abitanti spaventati da quel terribile fragore e temendo che fosse in- dizio di grande rovina , fuggirono dalle loro case; ma poi vedendo che il terreno non faceva ulteriore movimento si tranquillarono, Mg. Berardi commissario straordinario pontificio nella provincia di Marittima e Campagna , e vicelegato di Velletri, al primo annunzio dell'accadu- to, recossi a Montefortino perprovvedere a quanto occorresse. Quindi a'zo luglio vi spedi nuovamente i periti in geologia d. Francesco De Rossi medico e Giu- seppe Andreoli valente ingegnere, che l'avevano accompagnato, i quali col rap- porto pubblicato da detto Giornale, dichiararono : Che il fenonemo geologi- co altro non fu che una istantanea aper tura d' un'interna e profonda cavità esi. stente nelle viscere del monte, sopra di cui è costrutto il paese, per la quale avvenne una contemporanea precipitazionedi ter. reno nel fondo della valle con fragore proporzionato a tanto precipizio. Sog- giunsero che per tale fenomeno non ra. ro, non possa derivarne alcun pericolo al paese. Il Ricchi nel Teatro degli uomini illustri de' Polsci, cap. 16; Soggetti illu- stri di Monte Fortino, dice che gli abi- tanti sono propensi all' armi, del valore e cogli spiriti bellicosi de' loro avi, Non mancarono virtuosi che fecero decoro alla patria e giovarono la società colle vir- tù e la dottrina. Girolamo Fanfonio ge. suita fu mirabile perdottrina e pietà, morendo nel 1590 in Transilvania per la fe- de di Cristo in concetto di santità. Il fratello Sartorio, esimio giureconsulto, vide ornati colla laurea dottorale nell' univer 156 VEL VEL sità romana i 7 suoi figli e quindi occu- pati in posti cospicui nella corte romana, dopo aver scampato ne'due incendii del- la patria. Da tale famiglia fiori pureGi. rolamo Fanfoni per molti anni 1. medi- co della regina di Polonia Casimira So- biescki , e poi essa si trasfuse in quella della Porta di Cori , e Rosata fu bisava del Ricchi. Mario Fini egregio avvocato. Fu speciale ornamento patrio OrazioZec. ca eccellente pittore. Stefano Serangeli ottimo oratore e poeta, compose pe'tea- tri di Roma e d' Italia le numerose pro- duzioni edite e inedite registrate dal Ricchi ; e lasciò sue eredi le maestre pie. La sua figlia Felice Rosalba pubblicò col suo ingegno quelle opere riferite da dettobiografo. Girolamo Martini da Montefortino teologo minore osservante riformato di profonda dottrina, colla quale scrisse le copiose opere notate dal Ricchi. Della stessa casa e ordine fiorì Tommaso lettore di teologia. Francesco Angelini pro- vinciale due volte del mentovato ordine, celebre predicatore, specchio d' umiltà e pietà, morto in Rieti nel 1835. La fera- cità del territorio ne rende coltivata la maggior parte, un tratto essendo montuoso e sterile , e altro occupato da vie, torrenti e fossi , come rileva Castellano. Del territorio diverse notizie ci diè il Marocco. Lo dice composto d'alcuni monti inculti e sterili , di terreno coltivabile e di selve fruttifere; il coltivabile parte è ad uso di semente e parte di vigne e possessioni , e si distinguono i terreni in arati- vi e prativi, essendo i campi fertilie inde- fessamente coltivati. Ne descrive i confi . ni , e in quelli della tenuta di Taglientefu. rono trovati frantumi d' antiche fabbri che , di statue e altri marmi lavorati , e reliquie di sepolcri . Nella valle di Rapel- lo sono molti frammenti di colonne e altre pietre. Così nella pianura di Casalu- co si osservano vestigi di fabbrica illustre o tempio, e vi si scavarono frantumi marmorei e di musaico. Crede il Colle Catilina forse luogo di delizia della famiglia romana dital nome, e vi si trovarono resti di edifizi e di sepolcri. Presso la contrada Le Valli credesi esistesse una chiesa intitolata a s. Pietro, per li rinvenuti pezzi di colonne, con lapide che pubblico. Nel colle s. Nicolò sono rovine d'antica torre edi piccolo monastero; in quello dell'Imperatore argomenta che fosse il luogoad Pictas, vicino a Pandochiam. Presso la valle Costanza trovasi il sito detto Bivium, e la grotta o cimiterio di s. Ilario, come posto in un predio spettante già a una cappella sotto l'invocazione di tal santo nel territorio di Valmontone. Giuliano o Giulianello o Guglianel. lo. Comune della diocesi di Velletri da cui è distante circa 6 miglia, quasi altrettante da Cori, e 31 da Roma, con territorio in colle e in piano. Il Ricchi, La Reggiade' Volsci, cap. 38: Castel Giuliano o Giugliano, lo dice giacente in sito alquanto eminente sopra una deliziosa collina, posto fra Cori e Velletri . Al contrario il moderno Bauco scrive ivi respirarsi aria poco felice, egli fa eco Marocco, per cui ogni giorno si diminuiscono i suoi abitanti, che ascendevano nel principiar del secolo passato a 773, come afferma il contemporaneo Piazza, tosto aumentati a piùdi 1000 per testimonianza di Ricchi , ed ora ridotti appena a 153, secondo Bauco, o 253 come trovo nella Statistica del 1853. Perciò la maggior parte delle case sono deserte o rovinate, e le piazze e le vie ripiene d'erba, al dire dello stesso Bauco. Ma Marocco che lo visitò, deplora il clima pernicio- so, qualifica meschino il fabbricato, formandosi il paese d'una strada di mezzo e di 3 vicoli. Anche il Nibby si portò in Giuliano, e lo dice pure nome d'un lago posto 4 miglia a oriente di Velletri, a sinistra della strada di Cora, che ne lambisce il cratere, ed un miglio lungi dalla terra. Questo lago d'origine vulcanica avea circa un 3.°di miglio di diametro mag. gioreeun 5.º di diametro minore, poichè era di forma elittica. Esso fu diseccato VEL VEL 157 da' principi Borghese, odierni signori di Giuliano, pochi anni prima del 1837, e- poca in cui Nibby pubblicò l'Analisi de dintorni di Roma. Egli ancora teme che per l'aria insalubre ogni di più deca- dendo il paese verrà poi forse abbando- nato. Dice le sue fabbrice in parte di costruzione saracinesca, che rammentano il secolo XIII, ed essere generalmente ben fabbricato, e sopra tutto la chiesa principale. Questa è appena si entra in Giu- liano, a sinistra è il palazzo baronale as- sai deteriorato, unico edifizio di qualche entità dopo la chiesa, ma ridotto a gra- naio, e sulla porta si legge il nome del cardinal Anton Maria Salviati: ivi ilNib. by nel 1823 osservo alcuni quadri non ispregevoli , residuo di quelli che già l'a- dornavano. La chiesa parrocchiale di s. Gio. Battista e di s. Gio. Evangelista, è ampia, e di nobile struttura, che risale al declinar del secolo XVII, con l'arcipre- te. Il protettore della terra è s. Giulia- no martire, ed a' 14 febbraio ne solenniz- za la festa. Fuori del paese è l'altra chiesa, con comodo convento ora abbandonato a causa dell'aria ınalsana. Il p. Casimiro da Roma, Memorie delle chiese e conventi de frati minori della provincia romana, nel cap. 12: Della chiesa e del convento della ss . Genitrice pres- so Giuliano, ragiona pure del castello. Il duca Francesco M. Salviati nel secolo XVII da' fondamenti fabbricò la chiesa e il convento pe'frati minori, 70 pas si dal castello sul piccolo colle di s. Lucia, ove nel cavarsi la terra per le fonda- menta trovaronsi molte ossa umane seuza verun segno che fossero di cristiani, Il duca nel 1684 chiese alla congregazione de' vescovi e regolari la licenza per cominciar la chiesa e il convento per 12 religiosi, e ne riportò favorevole rescritto a' 23 marzo, confermato dalla curia vescovile ; onde i religiosi di Cori for- malmente vi piantarono la Croce, eda' 14 febbraio 1685 vi fu posta la 1. pietra, e tutta la fabbrica fu terminata nel 1690. Nella chiesa sono 3 altari: nel maggiore è dipinta la, B. Vergine col divin Figlio, in quello dalla parte del Vangelo è rappresentato Gesù in Croce, e nell'altro s. Frau . cesco d'Asisi che riceve le s. Stimmate. [ 3 quadri li colori Antonio Morandi, el'u- mido indi danneggiò. La chiesa fu benedetta a 28 giugno 1690, e poi consagrata damg." Giulio Marzi vescovo d'Eliopoli e suffraganeo di Velletri l'11 maggio1710. La sagrestia fu arricchita di molti sagri arvedi, e sotto l'altare maggiore furono collocate numerose ss. Reliquie, che de- scrive il p. Casimiro, donde poi furono tolte a cagione dell'umidità. Il conven- to riuscì bello e con ogni comodità. Si formò la libreria, ma poi i libri si trasportarono ne' conventi cui bisognavano. Il refettorio fu decorato di buoni quadri, uno dipinto da fr. Felice da Narni , gli altri da fr. Onorato da Roma. La pietà del duca fondatore ordinò agli eredi il mantenimento de'religiosi nel vittoenel vestito. Però l'aria pestifera uccideva o rendeva inabili i religiosi. Ciò proveniva, dice Ricchi, dalla vicinanza di un lago paludoso che rendeva l'aria venefica, e nell' estate mieteva i frati. Certamente dev'essere il lago diseccato. Ad ovviare a male sì grave, nell'aprile 1738 fu dato principio alla fabbrica d'un ospiziolun- gi unmiglio dal convento sopra una col- lina, quasi a piè di Rocca Massima, in migliore clima, e nel 1739 cominciarono i frati a ritirarvisi nel caldo, ma temeva il p. Casimiro che loro giovasse. Egli descri- ve le cose antiche ivi trovate, avanzi di edifizi , olle cinerarie, vasi finissimi di creta, medaglie e altro. Il luogo occupato da Giuliano si crede dal Ricchi fosse la villa di Giulio Cesare, perchè vi fu rinvenuta la cassa sepolcrale di Giulia sua figlia, secondo Piazza ; ed aggiunge Ricchi che passò in proprietà alla figlia. II p. Casi. miro riferisce che vi fu trovata l'urna se- polcrale di Giulia figlia d'Ottaviano, ci tando Theuli ; ma questi nou in Giuliano, ma presso Velletri descrive il ritro 158 VEL VEL vamento d' una bella cassa marmorea e colle sue ossa, cioè nell'alberetodella famiglia Bonese. Osserva il p. Casimiro, che da Giulio o da Giulia forse prese il nome diGiuliano il castello, altri credendo che fosse detto s. Giuliano dal nome del pa. trono principale del medesimo, come to chiamò Piazza ; ma ciò non sussiste nel luogo citato, ivi quello denominandolo semplicemente Giuliano, bensì in altro. Opina Nibby che il suo nome probabilmente derivò da un Fundus Julianus, e per la somiglianza del nome il castello assunse per protettore s. Giuliano. Sotto Pasquale II, narrano il Piazza e il p. Casimiro, in questo castello vi fu trasferito il corpo di s. Marco Papa e collocato nella chiesa parrocchiale di s. Vito, dal cardinal Leone vescovo di Velletri, il qualeperciò dichiarò tal chiesa la 1. dopo la sua cattedrale; ed ove il cardinal Allucingoli altro vescovo di Velletri, e poi Papa Lucio III , consagrò un altare in suo onore ; indi il s. Corpo fu trasportato in Roma nella basilica e Chiesa di s. Marco ( V.) Evangelista, insigne collegiata,circa ilı145 in tempo d'Eugenio III ; per le quali memorie ecclesiastiche, dichiarò Piazza, dopo Velletri dovrebbesi dare il 1.º luogo a Giuliano. Contemporaneamente il castello fu da'soldati barbaramente bruciato, dappoichè nell'elezione d'Eugenio III essendosi ribellati i romani per suggestione degliarnaldisti , avendo i conti del ca- stello d'ordine del Papa combattuti gl'in- sorti, questi non potendo in altra guisa vendicarsi, si recaronoa Giuliano e bru- ciarono il castello ; ed essendovi tra essi alcuni parrocchiani di s. Marco Evange- lista di Roma, cavarono dall'urna marmorea il corpo del Santo, loro indicata da alcuni chierici, e postolo in un lenzuo. lo e altri panni, lo mandarono con due di loro a Roma, incontrati perciò da at tri concittadini vicino a Velletri. Per la porta di s. Giovanni, entrati in Roma, condussero il santo Corpo nella chiesa di s. Quirico, ivi aspettando il clero e popolo della parrocchia di s. Marco, i quaa tutti pieni di giubilo lo riceverono tra la moltitudine degli altri romani accorsi ; questa però fu tanta, che convenne sosta- re e deporre il sagro Corpo sull'altare di s. Maria in Campo Carleo, finchè tolti gl'impedimenti, con somma divozione e allegrezza fu solennemente portato nella detta basilica , ove si venera. Dopo tale rovina,il castello tornò a risorgere, e sembra a Nibby che fosse da Innocenzo I infeudato alla sua famiglia Conti, rite- nendo però sempre il dominio diretto di esso la s. Sede. Che dopo la metà del secolo XIII riconosceva ancora il dominio della s. Sede, si ricava da un breve d'Ur- bano IV, dato in Orvieto a'18 dicembre 1262, alcui tempo era stato violentemente occupato da fr. Giordano monaco di Fossanuova, il quale trattava inoltre di venderlo ad un personaggio potente, leggendosi nel breve, intendit venditionis ti- tulo inpotentem transferrepersonam.E perchè ciò non seguisse, il Papa indirizzò il medesimo breve al cardinal Riccardo Annibaldi della Molara, affinchè facesse manifesto a tutti che Giuliano erat Castrum spectans adRomanamEcclesiam, e che il mentovato monaco, unito co'suoi fratelli, l'avea ingiustamente occupato e ritenevalo ancora in ipsius Ecclesiae praejudicium. Molte furono le copie di questo breve pubblicate in vari luoghi, e- ziandio dal pulpito della basilica Libe- riana. II p. Casimiro, che tuttociò riferi- sce, ignora l'effetto positivo del comando pontificio per la restituzione del castello, ed avverte che il Contelori, Genealog. fam. Comit. roman., di nulla parlando del narrato, lo fa godere pacificamente a Giovanni Conti; ma da altro breve di Bonifacio VIII, de 25 luglio 1301, in virtù del quale concesse in perpetuo il ca- stello di Giuliano a' figli ed eredi d' Adinolfo Conti siguore di Valmontone, per l'annuo censo di 20 soldi provisini , si trae che lo signoreggiasseGuidone Gior. dano. lo temo che Adinolfo fiorisse più VEL VEL 159 tardi, come può vedersi nel Ratti, Della famiglia Sforza e de' Conti di Segni e di Valmontone, dicendolo fiorito nel pontificato di Urbano VI col fratello 11- debrandino, che fu il suo erede ; e forse la concessione meglio deve attribuirsi a Bonifacio IX, cherealmente a favore de' due fratelli confermò le loro signorie. Il Marocco, che procedè ancora col p. Casi- miro, nondimeno attribuisce il suddetto breve con anacronismo peggiore a Ur- bano VII, o è uno de'tanti falli di stampa di cui abbonda la sua opera, e da lui stesso ripetutamente riprovati, proponen. dosi di dare l'Errata Corrige. Certo è, che io col Ratti nell'articolo Conti, no. tai aver Martino Vnel 1428 conferma- to ad essi le loro terre, fra le quali Ca- strum Juliani, et Tiberiü Velletr. dioec. Inoltre il p. Casimiro dice e ripete Nibby, che nel 1477 i successori d'Adinolfopos- sedevano solamente la metàdel castello, e nel 1482 Giacomo Conti alla testa di 3000 soldati lo saccheggio e distrusse ; nel qual tempo, narra il notaio dell'An. teposto (vocabolo chiarito anco nel vol. LXXXIV, p. 57), che apparteneva a Co- Jonnesi, perchè forse ne possedevano l'altra metà etutto dicesi aveano occupato. Ma secondo il Coppi, sembra il notaro piuttosto parlare di Giuliano di Frosi- none, tanto è vero che tale Giuliano, Martino V lo comprese tra' beni divisi nel 1427 a' suoi Colonnesi eredi : nella guerra del 1482 tra Sisto IV, e il re di Napoli collegato co' Colonnesi, in conse- guenza della vittoria de'pontificii a Cam- po Morto, caddero in loro potere Mari- no, Vico e Giuliano. Ecco l'origine del l'equivocoe confusione col nostro Giuliano. L'altroMarc'Antonio Il con testamento del 1569 lo lasciò al primogenito Fa- brizio, facendo parte de' feudi de'Colon- nesi di Paliano. Può darsi ancora che i Colonnesi avessero nelle guerre di pre- potenza occupato il castello di Giuliano di Velletri, e il Conti per ricuperarlo u- sò le armi e forse puni per aver gli abitanti parteggiato per gl'intrusi signori. Nel 1554 Costanza Conti, madre del cardinal Anton Maria Salviati (V.) , è chiamata signora del castello di Giuliano di Velletri, in unamemoria letta dal p. Casimiro nell'archivio di Cori, e Nibby soggiunge che l'avea ricevuto in dote nello sposare il duca Salviati, per essere tor- nato in potere de' Conti. Pervenne in signoria di tal insigne cardinale (di cui si può leggere di Pompeo Ugonio, Infunere Cardinalis Ant. M. Salviati, Romae 1603), il quale come lo celebrano Piazza,Ricchi e altri,ne ampliò il caseggia- to, lo rese più popolato e lo beneficò in altri modi colla sua naturale munificenza, attribuendogli il Ricchi anche la rie- dificazione della chiesa parrocchiale. II Nibby però afferma, apparire da un'iscrizione averla eretta il duca Giacomo Sal. viati nel 1650, dopo aver demolito la vecchia; e che il suo figlio Francesco Maria ne ampliò l'apside nel 1690. Tan- ta generosa magnificenza fu imitata dal benefico duca nipote nell'erezione della decorosa chiesa e bel convento de' fran- cescani e suddescritti. Anche il Bauco ri- leva il virtuoso operato de' nobili Salvia- ti per Giuliano, che quasi distrutto dal- le guerre e dalle vicende de' tempi lo re- sero popolato e civile ; e che nell'estinzione della famiglia passò il dominio ne' principi Borghese, cioè in essa si trasfu- se e perciò ne porta il cognome e l'insegne, e ne gode le pussidenze il principe d. Scipione Borghese duca Salviati . Dice Ricchi, che fuori della porta del castello s'incontra un ponte, al quale va conti- nuando uno stradone ombreggiato late. ralmente dalla verdura di folti olmi, che indi ingolfandosi nella propria selva pel corsodi 5miglia versoRoma rende como. do, ameno e lieto il viaggio a'passeggieri. Il territorio produce tutti i generi necessa- ri alla vita, e confina con RoccaMassima, Monte Fortino, Cori e Velletri. Crede Marocco, che in queste vicinanze esistesse l'antica Ulubra, dove fu allevato Otta- 160 VEL VEL viano Augusto, che divenne impaziente pel soverchio e noioso gracidar delle ra- ne (e secondo Svetonio, appena comiu ciò a pronunziar alcune parole, con puerile impazienza impose loro silenzio, ele rane con lepido prodigio da quel momen- to lasciarono lo strepito di gracidare! ), che altri collocano presso Cisterna, co- me rilevai in quel paragrafo. Governodi Terracina. Terracina ( V.). Città vescovile, con residenza del vescovo e del governatore. S. Felice ( V.). Comune di cui riparlai di sopra e a TERRACINA. Governodi Cori. Cori, Cora, Core. Città e comune del- la diocesi di Velletri, con residenza del governatore, e con territorio in colle e piano. Quest'antichissima e nobilissima tittà, unadelle più rinomate e celebri del Lazio, già precipuo ornamento de'bellicosi volsci, è distante da Roma circa 39 miglia, più di 12 da Velletri, 10 da Cister- na e 8 da Segni. Siede maestosa in for- ma di cuore sul pendio d'un monte fra Sezze e Velletri , poco lungi dall'antica via Appia, pittorescamente bella e amenain saluberrimo clima. Verso il mezzo- giorno guarda i fiumi Astura e Ninfeo, e sovrasta alle fertili canspagne di Sermo- neta e alle Paludi Pontine. Verso l'oc- cidente domina ampia e florida pianura, che in linea retta per circa 17 miglia giunge fino al mare Mediterraneo, e ne vede alcune isole col promontorio Eto o Circeo; ed insieine gli si parano dinanzi Nettuno, Portod'Anzio, Velletri, Civita Lavinia, Ardea, Laurento e Cisterna. E verso l'oriente e il settentrione è cinta dall'altissime e selvose montagne Lepine, formanti la piacevole visuale quasi d'an. fiteatro. Aseconda del primitivo vasto concetto e piano di questa mia opera vo- luminosa, ampliato assai col confortante pubblico suffragio nel progresso di sua quasi ventenne pubblicazione, a fronte della condizione e varietàde' tempi, pe' tanti motivi riferiti in più luoghi, che il ripetere qui sarebbe ostentazione (bensi porto lusinga che al inio Dizionario di erudizione potrà per ventura adattarsi quello che Quintiliano disse della Grammatica: Plus habet in recessu, quam in frontem promittat. Del frontespizio o ti- tolo di mia opera, feci parola nel vol. LXVIII, p. 244 e altrove), il cenno storico che vado a riferire di Cori veramennon vi avevaluogo, come proprio artico- lo, sibbene qual paragrafo dell'articolo SENATO ROMANO, finchè fu sotto la sua privativa giurisdizione di governo, cessata la quale prima della stampa di tale articolo, iu questo di VELLETRI, ora me- glio ne ragiono, quale odierno luogo di sua legazione, come ne feci avvertenza nel vol . LXIV, p. 63. Laonde e ad onta delle copiosissime notizie che di Cori ab. biamo, con pena non posso diffonderini quanto merita l'illustre città, il complesso di sue singolari prerogative, come pe' numerosi gentili, nobili e generosi spiriti che vi fiorirono e fioriscono, a ciò però avendo ben supplito molti scrittori , di- versi de' quali rammenterò prima di giovarmene compendiosamente, e presso i quali sono le prove critiche di quanto ac- cennerò. Ma con ispazio angusto e limita- to, anche per non allungar oltremodo quest'articolo, nell'ingegnarmi di riuscire men male oalmeno in miniatura nei presenti due paragrafi, qualora ne raggiunga compatimento, da' corani precipuamen- te, il miocuore ne resterà non poco appagato. Imperocchè ne fui incessantemen- te e premurosamente eccitato dall' affettuoso e edificante amor patrio del benemerito patrizio corano Vincenzo Tom- maso Marchetti mio nobile e dolcissimo amico defunto, sulla cui onorata tomba, perquantoandrò dicendo di lui e de' pa- trii fasti che tanto vagheggiava , intendo depositare in questi paragrafi una corona di fiori, affinchè restino sempre vigorosi in queste pagine consagrate a celebrarne la patria, siccome baguati dalle feconde e vivificanti lagrime di riverente ami VEL VEL 161 cizia sincera, e così la sua memoria non andrà disgiunta da essa e resterà unita alla mia per sempre. Essendo poi arduo e difficile l'evitare lo scoglio delle prete- rizioni , vel ridurre in brevi proporzioni tela più vasta, gl'indicati autori che pos- seggo e vado a nominare, e che poscia spigolerò , ponno interamente appagare le brame di chi volesse conoscere i det. tagli della storia corana. Oltre gli al. tri che ricorderò in appresso, principal mente essi sono i seguenti. A. Kircher, Latium. Piazza, Gerarchia Cardinali- zia. Antonio Ricchi , La Reggia de' Vol- sci, ove si tratta dell'origine, stato anti- co emoderno delle città, terre e castella del regno de' Volsci nel Lazio, e special- mente di Cora, città volsca sua patria, Napoli 1713: Teatro degli uomini illu stri nell'armi, lettere e dignità chefio- rirono nel regno antichissimo de' Volsci, ec. , Roma1721 . G. R. Volpi, Vetus La- tium, de Coranis. Fedelmente dal latino in italiano lo trodusse l'ab. Giuseppe Finy di Cori patrizio romano, Antiche Memorie appartenenti alla città di Co- ra, Roma 1732. In tale anno scopertesi due lapidi in Cori, pel desiderio del Finy, lostesso gesuita p. Volpi gliene diè il suo sentimento colla Lettera intorno a due antiche lapidi scopertesi ultimamente in Cori, Roma 1733. Casimiro da Roma, Memorie istoriche delle chiese e de'conventi de' frati minori della provincia ro- mana: cap. 8 Della chiesa e del convento di s. Francesco presso a Cora. Gio. Antolino Antolini , L'ordine dorico o il tempio di Ercole nella città di Cori, Ro- ma1785, con figure. Gio.Battista Pirane- si , Antichità di Cora descritte , con inci sioni . Giuseppe Mariano Marchiafava di Cori arciprete della collegiata de' ss. Pietro e Paolo, Breve istoria della chiesa e miracolosa immagine di Maria ss. inti- tolata del Soccorso, esistente nella città di Cori, coronata dall'Ill. e Rm. Capi- tolo della Vaticana patriarcale basilica nel1778. Con l'Appendice della vita del VOL. LXXXIX. 0 can. d. Pellegrino Landi Vittorj della stessa città . Econ alcuni versi italiani infine ad onore della medesima B. Jer. gine, Roma 1821. Seconda edizione cor- retta edampliata, Roma 1842, dedicata al maggiore Nicola Fochi beneficentissi- mo gonfaloniere di Cori. Sante Viola, Delle Memorie storiche dell'antichissima città di Cori, pubblicate nel Gior- nale Arcadico di Roma dal 1823-25, cioè dal vol . 20.° al 25.° inclusive.Maroc- co, Monumenti dello stato Pontificio. Nibby, Analisi de' dintorni di Roma. Castellano, Lo Stato Pontificio. Bauco, Storia della città di Velletri. Ricchi che stampò l'opera nel 1713 asserisce che gli abitanti erano 6,000, ene' tempi più an- tichi giunsero a 30,000 secondo la tra- dizione d'un prelato, il quale attestò pu- re che fuori della città si stendevano due borghi con altre parrocchie, delle quali esistevano le vestigia. Nelle Memorie del p.Casimiro si legge cheCori contava 4500 anime nel 1744; il Bauco registrò nel 1851abitanti 5141, e la recente Statisti- ca del 1853 ne notò 4991. Comincio col dottissimo e peritissimo Nibby, che più volte visitò Cori pe' suoi studi archeolo- gici, co' propri discepoli, ossia colla topo- grafia della città. Questa siede appoggia. taad un contrafforte del monte Lepino, è rivolta al sud- ovest, ediminuendo in lar ghezza costantemente da'piedi alla cima, presenta un aspetto piramidale, di cui il tempio detto (il Piranesi lo dice suppo- sto) di Ercole, forma la punta. Due tor- renti profondi ed imboschiti, che si uni- scono insieme sotto l'angolo occidenta- le di essa, ne'tempi antichi doveano far. la assai forte: il più occidentale di que- sti raccoglie lo scolo della città supe- riore, ed è meno considerabile: l'orien- tale è molto più profondo e terribile, e discende dal dorso del monte detto della Croce. Questi due torrenti dopo il con- fluente assumono il nome di fosso de' Pic- chioni, che va a scaricarsi nel Teppia, it fiumepiùindomito e devastatore di quan11 162 VEL VEL ti scendono ne' campi Pontini. Fra la par- te superiore e la parte bassa della città si frappone un oliveto, che attesa la natura del luogo vi dovè sempre esistere: laparte alta, che costituiva l'antica cittadella o acropoli, ha oggi il nome di Cora a Mon- te: lapartebassa, che fu l'antica città propriamentedetta, ha quello di Coraa Val. le. Osserva Marocco, che pure la visitò: Lapresente città si distingue dagli abitan- ti in due modi, cioè Cori a Valle e Cori aMonte, benchè il fabbricato non sia in veruna partedisgiunto; per questo motivo sul punto ove si divide la città, sul muro d'una casa alla sinistra salendo vi è analoga iscrizione in versi, che riporta. Ag- giunge : i più antichi fabbricati e le cose più maguifiche esistono sul monte, cui si giungedopo lunga ed erta salita. Ciò non èdetto con precisione, mentre a riserva del tempio d'Ercole, della collegiata par- rocchiale de'ss. Pietro e Paolo, d'alcuna illustre abitazione, le altre principali fab- briche esistono nella parte della città detta Cori a Valle, e nel mezzo tra essa e Cori a Monte. Dichiara Nibby: Volpi afferma non rimanere vestigia della ınura antiche diCora, na solo di quelle del tempode'go. ti , prendendo per gotiche nientemeno che l'imponenti costruzioni a poliedri, comu- nemente dette ciclopee o pelasgiche (di tal forma le vidi nel Piranesi: le mura sono a foggia di torrioni, i quali ancora mo- strano le vedette donde i cittadini spiavanole mosse de' nemici; mura che sono circondate da fossi). Le tracce superstiti de' recinti antichi portano evidentemen. te l'impronta di 4 epoche diverse: la più antica presenta una costruzione d'enormi massidi calcaria, informi, irregolari , roz- zi affatto, come furono spiccati da' mon- ti , in modo che lasciando naturalmente degl'intervalli nelle commettiture, furo. no queste riempiute con ciottoli pur di calcaria, come li rotolavano i vicini tor. renti: questa costruzione è del tutto anaJoga a quella delle mura ciclopee di Tiriuto (che si dissero edificate da' ciclopi, a a e città ove credesi fosse stato allevato Ercole, onde e pel suo frequente soggiorno ne assunse il soprannome), e di Micene (città dell' Argolide come la precedente, la cui fondazione si attribuisce a Perseo l'anno 1348 prima della nostra era), e perciò rimonta all'epoca della fondazione della città fatta da Dardano circa l'anno 1470 avanti l'era nostra. Le tracce della 2.ª epoca sono di massi poliedri e trape- zoidèi irregolarissimi, ma tagliati ad ar- te nelle faccie, che doveano essere a contatto con altri massi, rustici però sono nella faccia esterna. Quelledella 3.ª sono di poliedri ben tagliati da tutte le parti. E quelle della 4.ª sonodi ciottoli o piccoli po- hedri, e questa costruzione essendo sempre o sovrapposta o addossata alle precedenti, è evidentemente la più recente di di tutte. Nibby 4epoche trova nella sto- ria di Cora, alle quali queste diverse co- struzioni corrispondono: la 1. è quella dellafondazione, 1470 anni innanzi l'era corrente; la 2."è quella in che Latino Silvio vi dedusse la colonia albana o latina, circa 1100 avanti la medesima era; la 3." è quella della colonia romana dedotta circa l'anno 493, prima della stessa era; e la 4.ª finalmente quella del restauro di questa colonia dopo la devastazione mariana avvenuta 88 anni innanziCristo.Lo stile dell'indicate costruzioni corrispon- deperfettamente con quell'epoche, come provasi col confronto d'altre opere coincidenti collo stesso tempo. Dalla base al vertice della città si presentano 3 cinte diverse : la cinta inferiore è quella che può dirsi fatta nella 1.ª costruzione della città; di questa vedousi le tracce nella via che dalla piazza Tassoni scende verso la chiesa di s. Maria, si ritrova a Pizzitonico, e termina fuori della porta Ninfe- sina. La 2." sorge sopra a s. Oliva, fiancheggia per qualche tratto la strada che da questa chiesa sale alla cittadella antica, dov'è rinfiancata con opera incerta, serve di sostruzione a questa strada medesima sopra al già maestoso tempio di VEL VEL 163 Castore e Polluce, ed in questo tratto a sinistra della via è un contro murodel. la 3.ª epoca. La 3.ª cinta è quella che chiudeva la cittadella, la quale domina la strada sopraindicata che da s. Oliva conduce a Cora a Monte, e questa è della 2. epoca. Nella cittadella stessa poi l'area quadrilatera sopra la quale siede il tempio detto d'Ercole (il quale è reputa- to unico surperstite che si conosca, per- chè tale dal celebre Vitruvio designato e lasciato per normadi mirabile architettura. Nel vol. XXIII, p. 203, descrivendo il sontuoso palazzo Farnese di Roma, col Fea dissi non sussistere che le portee fi nestre furono costruite simili a quelle del tempio) è sorretta da un muro costrut- to d'opera incerta, ossia dell'era sillana, cogli angoli di grandi massi di calcaria, i quali verso sud-ovest sono intatti. In tut. te le discorse costruzioni, a qualunque epoca esse appartengano, vedesi usatala calcaria locale del monte di Cora. Dal fatto delle costruzioni diverse usate in questi 3 recinti, crede Nibby di poter de. durre, che i pelasgi di Dardano fondaro- no la loro città sulla balza inferiore fra piazza Tassoni e porta Ninfesina: che gli albano-latini di Latino Silvio edificarono l'acropoli ; che i romani ampliarono le fortificazioni di questa cittadella nel IV secolo di Roma, e fecero notabili restauri o aggiunte al recinto primitivo, come al 2.°; e finalınente chea' tempi di Silla furono con opera incerta risarcité, elacit- tà riedificata ed abbellita di templi ealtri edifizi pubblici. Quanto alle mura odier- ne, dove queste non sono antiche presen- tano la costruzione del principio del seco- lo XV, allorchè per ordine di Ladislao re di Sicilia o Napoli vennero restaurate. Entrando a Cora per la porta Veliterna o Romana, vedesi incastrata nel recinto moderno una torre rotonda, che nella parte inferiore conserva le tracce della costruzione d'opera incerta , come nella partesuperiore presenta il restauro di La- dislaodel 1 408.Quindi Nibby stima chiaro che in questa parte ricorresse ancora il recinto restaurato da Silla, e che anco allora qui fosse una porta. Nella porta stessa vennero impiegati massi rettango- lari di tufa, molto grandi, tolti probabil- mente dall'antico edificio non molto di. stante, attinente alla chiesa di s. Maria, al quale pure appartennero gli altri im- piegati nelle fabbriche private a destra e sinistra della strada. Le case private a si- nistra formano un angolo ottuso dopo il viottolo che conduce a s. Maria, essendo addossate ed in parte formate nell'antica gran piscina di Pizzitonico, alla quale appartengono i muri d'opera incerta, che verso la metà di questa strada s'incon- trano. Proseguendo per questa strada si trova la moderna porta Ninfesina, così detta perchè posta nella direzione del castello abbandonato di Niufa : essa è succeduta alla porta Norbana antica, per la quale useivasi alla colonia romana di Norba. Presso questa porta prima d'uscire è a destra la chiesa di s. Caterina . Uscendo dalla porta Ninfesina, reca sor- presa a sinistra un tratto di mura della 1.ª epoca, per la grandezza de' massi che locompongono, la loro irregolarità e roz- zezza, e la tinta d'una remota antichità di che portano l'impronta. L'antica via Norbana, alla quale è succeduta quella moderna di Ninfa ediNorma, traversava presso questo punto il ramo orientale del fosso de' Picchioni sopra il magnifico e vasto ponte della Catena ancora intatto, costrutto d'enormi massi quadrilateri di tufa (scalpellati a foggia di diamanti) con tre ordini di pietre nel fornice, a somi- glianza dell'arco della cloaca massima di Roma. Esso è evidentenente operade'ro- mani, fatto per mantenere le comunica- zioni fra le colonie di Cora e di Norba permezzod'una via militare. L'altezza del baratro solcato dal torrente, che questo ponte scavalca, a partire dal parapetto è di 75piedi romani, de' quali 50 sono di rupe naturale, sopra cui il ponte s'innal za. Questa mole imponente è una delle 164 VEL VEL opere più magnifiche che cirimangono, e per la solidità, l'arditezza e l'utilità pub- blica può paragonarsi alla cloaca massi- ma. La volta e i piloni, dopo almeno 22 secoli, sono rimasti intatti . Ivi si gode d'u- na veduta magnifica de' recinti vetusti di Cora, sopra i quali torreggia il bel por- tico tetrastilo del tempio detto di Ercole. Da questo punto alle rovine importanti di Norba, per una strada alpestre sono 5 miglia. Rientrando in città e salendo dí- rettamente alla cittadella, si passa per Pizzitonico, traversasi il tempio di Casto- re e Polluce, e per s. Oliva si ascende alla piazza di s. Pietro. Per ora lasciando da parte quello che s'incontra per via, e sol- tanto parlando della cittadella , già notai che le mura originali di essa sono dell'e- poca 2.", e che furono restaurate e am- pliate da' romani nella 3.ª e 4.ª epoca. Un bel pezzo del recinto della 3.ª epoca guarda occidente, e domina immediatamente la chiesa di s. Oliva. Esso si vede salendo dalla piazza di s. Oliva stessa alla cittadella. Sembra a Nibby che l'acropoli corana si dividesse in due parti, dopol'oc- cupazione de' romani, in Arce propria- mente detta verso occidente, ed in Capitolio verso oriente, giacchè è noto che le colonie romane ad imitazione della metropoli aveano il loro Capitolio. Nella cittadella propriamente detta , oltre il recin. to, Nibby non vi trovò altri avanzi degui di memoria. Del Capitolio però si traccia ancora l'area che conteneva i templi, e di questi rimane ancora in piedi il portico di quello dettod'Ercole nel lato orienta ledell'area medesima. Esso è rivolto al sud-ovest, e la parte postica di questo tempio serve oggi di vestibolo alla chiesa parrocchiale e collegiata de' ss. Pietro e Paolo. In essa a sostegno del fonte battesimale è impiegata un'ara antica di mar- mo, che il volgo chiama del Sole. Que- st'ara è quadrilatera, di bella proporzio- ne, di lavoro sodo, purissimo, ornata di criocranii negli angoli, da' quali partono encarpii che adornano le facce. In mezzo a quella rivolta all' aula della chiesa e alledue laterali, vedesi effigiata la Gorgo- ne,alla quale furono ne tempi passati bar- baramente scalpellate l'estremità de'ca. pelli e le code de'serpenti, onde il Volpi, il Piranesi e il volgo furono indotti nell'erro- re di crederla sagra alSole,mentre fu sagra a Minerva. Traversando la chiesa si discendein un ameno giardino per visitare il grazioso tetrastilo dorico, che formava il porticodel tempio. Le colonne sono d'un travertino identico a quello di Tivoli, e molto poroso, onde per correggere tale difetto furono coperte d'uno stucco finissimo: le modinature vennero eseguite con grazia e franchezza; sulla porta della cella , ch'era costrutta di massi quadrilateri, è la iscrizione che ricorda i nomi de'duumviri Marco Manlio e Lucio Turpilio, che per sentimento del senato fecero il tempio. Per le riflessioni di Nibby, sembra il tem- pio costruito nella riedificazione di Cora avvenuta a' tempi di Silla. La fronte di questo edificio è rivolta verso il monte Circèo. Le modinature della porta sono cometutte l'altre eleganti e franche; l'ar- chitettura però è alcun poco greve, e la cornice è retta da due modiglioni. In ge. nerale lo stile di questa fabbrica è analo- go per ogni riguardo alle costruzioni sillanedel tempio della FortunaPrenestina, eal tempio così detto della Sibilla nell'acropoli tiburtina. Winckelmann nelle sue Osservazioni sull' architettura degli antichi, asserisce, che avea veduto il di . segno fatto di questo tempio dall'immor- tale Raffaello da Urbino, che allora apparteneva al barone di Stosch suo grande amico, e che poscia forse sarà passato nella biblioteca imperiale di Vienna. Ri- porta Nibby le misure che ne prese Raffaello, ed avverte che il summentovato Antolini,nella dissertazione architettonicasu questo tempio, cadde nell'errore di supporlo de' tempi imperiali. Egli crede che 13 fossero i gradini, pe' quali saliva- si a questo portico dall'area: osservò che le colonne sono sfaccettate per una 3.' VEL VEL 165 partedel fusto e scanalate, ma con poco risentimento e senzapianetto per l'altre due. E nella base, che per se stessa è rara nell'ordine dorico presso gli antichi e ch'è semplicissima, essendo composta d'un solo toro senza plinto, ravvisò la singolarità d'un nuovo profilo, perchè l'aggetto convesso del toro non togliesse alcuna parte dell'altezza del fusto: il capitello è di maniera dorica; il fregio con triglifie metope è senza ornamenti, e la cornice è senza modiglioni. Del tempio altro non rimane di visibile che le 8 colonne del portico col suo frontone,ela parete anteriore della cella colla porta ; tutto il rimanente è, o distrutto, o coper to. Ora considerando l'ara trovata fra queste rovine, ch'è di Minerva, e che qui pure nel secolo XVI fu ritrovata la stastua assisa di Minerva, che trasportata in Roma fu collocata sulla piazza di Campidoglio a ornamento della fontana,edal volgo chiamata Roma, pare al Nibby molto probabile credere a quella dea e nonad Ercole consagrato questotempio, come il volgo, senza alcun fondamento valido comunemente lo appella. Quanto alla statua esprimente Pallade o Minerva, e come volgarmente dicesi Roma trionfante, tale però la crederono col Volpi altri storici e antiquari ; perchè ha l'elmo in capo, tiene colla dritta la lancia, e nella sinistra una palla, sim- bolo del mondo. La statua è di buon Javoro, ed ha il capo, le braccia e i piedi di marmo pario, il rimanente essendo di porfido. Essa fu collocata su d'un alto piedistallo, a causa che riusciva troppo piccola per la nicchia scavata in maggio ri proporzioni, dovendo capirvi il simu. Jacro di Giove di forme semi-colossali, secondo i disegni di Michelangelo. Dal- l'area del tempio si gode una sorprenden- te e magica veduta di tutta la valle epia- nura Pontina. Siccome poi questo tem. pio è inun fianco dell'area e non in mezzo, dice Nibby non essere improbabile che unaltro ne sorgesse dove oggi è la chiesa e la sagrestia di s. Pietro, il qua- le forse fo sagro ad Ercole, forse alle di . vinità capitoline Giove, Giunone eMi- nerva. Uscendo dal tempio e scendendo verso la città bassa, vedonsi tosto a sini . stra i poliedri del muro che formano un angolo, indizio della porta antica del- l'acropoli. E deviando alcun poco sulla stessa mano si vedono mura a poligoni della 3. epoca, che furono parte del recinto dell'arce, e che oggi servono di so stegno alla strada. Continuando a discendere vedési avanti la casa Prence un capitello corintio, che pretendesi appartenuto al tempio di Castore: lungo la stessa via a destra è un avanzo di muro d'opera incerta,che indica il proseguimen- to delle mura dell'arce restaurate a tem- po di Silla; di tali mura in questo medesi- mo luogo si ammira un bel tratto prima di giungere alla chiesa di s. Oliva, ed è quello ricordatodi sopra. Qualunque sia stato il precedente edifizio che ne occu pava il sito, è certo che questa chiesa è fondata sopra una fabbrica antica, rimanendo ancora dentro di essa al suo posto una base di colonna a sinistra. Generalmente si ritiene che ivi sorgesse un tempiosagro ad Esculapio ed Igiea, per un'i- scrizione, che il Volpi confondecon un'al- tra diC. Oppio Lenate, che non vi ha nè punto nè poco che fare, secondo Nibby (altri dicono che il tempio era dedicato a Giano, e credono che le superstiti colon- ne tuttora adornino la prima navata del- la chiesa). Sulla piazza è un pozzo di stile dorico del secolo XVI, fatto da Bartolo. meo Cialdera podestà di Cora l'anno 5.° di sua magistratura, come si legge nel- l'iscrizione. Da questa chiesa scendendo verso il tempio di Castore e Polluce, os- sia verso la piazza di s. Salvatore, vede- si a sinistra un frammento di colonna scanalata, che vuolsi appartenuta al tem- pio di Castore. Sul fine della strada entrasi a destra in una casa particolare fab- bricata entro il portico del tempio di Ca- store, del quale si vedono le colonne in 166 VEL VEL castrate ne' muri (forse la detta casa è quella, che non reggendosi che malamen- te, per guisa che il fregio e le colonne su- perstiti erano in punto di ruinare, nel 1854 dal ministero de' lavori pubblici, per conservare sì preziose vestigia del tempio, si mandarono ordini pel restau- ro, sì che liberato l'avanzo antico da'muri moderni, non solo non sarà più soggetto alla fragilità di questi , ma rimarrà spic- cato daBoro, e più acconcio ad essere di segnato dagli architetti che ne studiano i leggiadri intagli e le gentili proporzio. ni. Tanto riferì il Giornale di Roma, e la Civiltà Cattolica, serie 2." , t. 11, p. 101. Nondimeno tuttociò ancora non fu posto in esecuzione, almeno fino al mar- zo 1858. Anzi leggo nel Supplimento al n.º 34 del Diario di Roma del 1839, che nel precedente autunno erasi porta to in Cori il cardinal camerlengo per ammirare i delubri d'Ercole e di Castore e Polluce, e che per la loro conservazione avea preso lepiù energiche provvidenze). Sortendo da questa e traversato un arco modernosi discende alla piazza di s. Sal. vatore, sostenuta da antiche sostruzioni d'opera incerta addossate alle mura prinitive di poliedri rozzi, le quali regge. vano l'area dinanzi al tempio, come ora reggono la piazza dis. Salvatore . Questa per le macerie si è considerabilmente al- zata, restando coperti i gradini del tem- pio. Sulla piazza tuttora si vedonole due colonne che formavano l'intercolunnio centrale del portico ch'era evidentemen- te esastilo, cioè con 6 colonne di fronte e 2di fianco, erivolto a mezzodì come quel . lo della cittadella, il quale è quasi per. pendicolare a questo, ma un poco più verso oriente. Perla materia e lo stile è identico a quello : questo però è di ordine corintio, ed i capitelli sono d'una esecuzione mirabile, e così belli che sembrano fatti dallo stesso scultore di quelli del tempio detto della Sibilla a Tivoli, e del tempio della Fortuna Prenestina. Le colonne hanno la base attica e la scozia 0 molto strelta: i tori sono bassi, schiaccia- ti, come cuscini che cedono al peso del fusto; ed il filetto dell'inmoscapo è stac- cato affatto dal toro superiore, partico- larità dal Nibby non osservate altrove. Le colonne erano coperte d'uno stuc- co finissimo ; le modinature sono eleganti, e l'esecuzione franca e corretta. L'iscrizione ricorda le divinità di Casto- re e Polluce, alle quali era consagrato il tempio, il decreto del senato che lo fece edificare, e Marco Calvio che fece ese- guire il lavoro. Nibby corregge Volpi per averla malamente riportata, e Corradi- ni per averla creduta di restauro e com- messo altri errori, modificando la fama che in generale godono que' due scritto- ri, il 1.º continuatore del 2." dal t. 3.º in poi del Vetus Latium. Uno scavo ese- guito lungo il lato occidentale di que- sto tempio, che il Nibby vide nel 1829 prima che fosse ricoperto, ha dimostrato ch'era del numero de' prostili : che la colonna di fianco verso oriente, ch'è nel- la casa, sebbene sconvolta, è al posto suo ; che la base di pilastro ad anta incontro ad essa non istà al suo posto, ma appar- tiene ad uno de' pilastri dell'angolo orientale della cella. In quella circostanza furono scoperti pezzi della cornice, che ivi dappresso sono collocati e che pre- sentano la singolarità che i massi compo- nenti la cimasa sono distaccati da quelli contenuti in modiglioni. Tornando sulla via pubblica, questa dicesi delle Colonnette, e va in linea retta a finire sul- la piazza Tassoni. Lungo questa strada, adestra è un tinello e montano pertinente a'Picchioni, fabbricato sopra i ruderi d'un edificio antico costrutto di opera re- ticolata, dove rimane parte d'un pavimento antico di musaico bianco e nero,un capitello corintio, unabase e unbrano d'an . tica lapide municipale col cognome d'un quatuorviro quinquennale. Per la stessą via dinanzi la casa Tommasi, ch'è a sini - stra, sono rocchi di colonne d'ordine do- rico, analoghe per lo stile a quelledel tem VEL VEL 167 pio dell'acropoli. Nel tinello dirimpettoa questa casa sono le vestigia d'un pavimen- to d' opera tessellata. Indizi sono questi dell'esistenza antica di questa strada, lun- go la quale erano case de'cittadini. Poco dopo vedesi incastrata nel muro e rove- sciata la lapide diC. Oppio Vero magistra- to frantumata in marmo de'tempi impe. riali , e riportata e supplita nel mancante dal Nibby, di somma importanza, perchè mostra che Cora anticamente, come og. ginonaveaunpubblicoacquedottochela fornisse, ma ampie cisterne edificate a spese pubbliche, nelle quali si raccoglieva l'acqua pluviale, caelestem aquam, per comodo de'cittadini. La via delle Co- Jonnette termina nella piazza, sulla qua. le è la casa del conte Tassoni; e dirimpet- to aquella verso settentrione vedesi torreggiare un muro a poliedri della 3. " specie. Questa piazza ha ancora il nome di piazza Montagna per la casa a destra, la quale appartienealla famiglia omonima : addossato ad essa è il frammentodi lapi de in travertino, di Lucio Publilio, da Nibby che la riferisce creduta contempo- ranea de' templi suddescritti. Essa è ana- loga ed in parte simile ad altro frammen. to esistente in casa Prosperi. Nella stessa piazza sono rocchi di colonne scanalate di travertino, e capitelli d'ordine corintio, i quali appartengono ad epoca molto re- mota, e furono parte di qualche fabbrica pubblica esistente in questi dintorni. Tor nando sulla via delle Colonnette, si scende a Pizzitonico, area o piazza tutta arti- ficiale, non essendo che il terrazzodell'antichegrandi piscinedi Cora, delle quali si parla nella memorata iscrizione di C. Op- pioVero, eche oggi servono allo stesso u . so,almeno in parte, giaccliè nel rimanente sono state ridotte ad uso di montani o moJini ad olio,di rimesse,abitazioniplebeeec. Queste ultime parti vanno sotto il nome volgaredi terme (e bagni pubblici , come tra gli altri li crede il Ricchi nella Reggia de' Volsci),mentre nella pianta sonoiden tiche all'altre conserve, ma non vi rimane traccia alcuna d'ornamenti, e solo vi si ravvisano vestigia dell'astraco o coccio pesto. Il muro di queste piscine interna- mente, come l'altre costruzioni romane, è a sacco; esternamente però è fasciato d'opera incerta, dove non sia stata tolta ne' tempi posteriori. Queste piscine si e- stendonoperlungo tratto,edunidea se ne puòavereentrando negliabituri della via, che dalla porta Veliterna conduce a por ta Ninfesina, a sinistra, partendo dall'osteria; queste lasciano riconoscere indie. tro la forma per la quale vi penetrava l'acqua e gli spechi. E sopra quest'im- mense rovine siede e si appoggia una granparte del fabbricato moderno di Co- ra a Valle. Quanto al nome di Pizzitonico, che si dà a questa piazza, il volgo senz'alcun fondamento lo deriva da piazza Dorica: al Nibby pare che il nome Puteus, pozzo, non sia estraneo alla sua formazione. Verso settentrione quest' area è protetta e dominata da una parte del recinto primitivo formato da massi enormi, i più grandi che il Nibby abbia veduto, e rinfiancato da opera incerta ; e questo restauro dell'era sillana,dovesporge in fuori ha gli angoli consolidati da pietre quadrilatere. Andando da Pizzito- nico verso l'orto Luzi, si scende prima alcun poco e quindi si sale di nuovo ; a sinistra nel salirvi sono mura a poligoni della 1. epoca, sebbene i massi non siano molto grandi. Nel detto orto, Nibby vide nel 1825 vari capitelli d'ordine corintiodi diametro corrispondente a' roc- chi delle colonne minori della piazza Montagna, anch'essi di travertino e di stile affatto analogo a quelli del tempio della Fortuna Prenestina. Mi è noto, che i capitelli furono poi acquistati dall'illu- stre prelato corano mg. Manari, e collo- cati nel suo casino di campagna. Ritor- nando sulla via grande, che dalla porta Veliterna conduce a porta Ninfesina e prendendo verso la porta Veliterna, poco prima di giungere a questa, a sinistra è la casa Vittorj ; ivi dinanzi la medesima 168 VEL VEL nel cortile sono gli avanzi d'un altro edi- ficio pubblico, consistente in due colonne d'ordinedorico non iscanalate, con base, che stanno ancora in piedi e che per lo stile appartengono all'epoca stessa de' -due templi: lo stilobata sul quale poggia- noè nella parte esterna tutto di travertini; si vedono pure frammenti di mezze colonne della stessa pietra e dello stesso diametro. Sulla sponda opposta della strada grande è un vicolo, pel quale si va alla casa Prosperi , una delle più an- tiche di Cora, leggendosi sulla porta in- terna della medesima la data dell'anno 1525. Nel cortile vedesi l'altro frammen. todi lapide, riprodotta da Nibby, appartenente a Lucio Publilio, ricordato più sopra, il quale sebbene sia dello stesso tempo, e appartenga al medesimo perso- naggio, non fa però parte dell'iscrizioneri- cordata. Nello stesso cortile sono due cine. rarii coll'epigrafi riportate da Nibby. An. dando da casa Prosperi verso s. Maria, vedesi a destra una sostruzione romana di pietre quadrilatere, sulla quale fu essa edificata ( alcuni eredono che nell' area della chiesa furono già due templi , sa- gri uno a Giano e l'altro alla Fortuna, e ad essi attribuiscono i ruderi e frammenti antichi esistenti), e che forse anti- camente servì di sostegno ad un edificio del foro corano, che Nibby crede corrispondente alla piazza dis. Maria. La stra- da che da Velletri conduce a Gora fino alı . quarto del secolo corrente non era affatto carreggiabile ; poscia fu ridotta a bella e amenissima via, e comoda ad ogni sorta di carri. A mezza via şi lascia a sinistra il cratere del diseccato lago di Giuliano, e poco dopo a destra il comu. ne di tal nome; al 9.º miglio si passa sot to al picco di Rocca Massima, indi co- mincia la salita di Cora, che dura quasi 3 miglia, e così agiata da potersi andare di trotto; essa è tracciata entro l'oliveto, ed ha a destra una magnifica veduta della pianura de' volsci, e de' loro campi Pontini. Poco prima d'entrare in Cori, vedesi dominare a sinistra la chiesa e con- vento di s. Francesco, alla quale condu. ce un bel viale, che serve di passeggiata a' corani. Sebbene tuttociò si riferisce da Nibby, conviene fare una necessaria di- stinzione. La strada ora carreggiabile (la quale devesi alle cure e premure del sul- lodato prelato Manari, per riguardodel quale il principe d. Camillo Borghese fece il tratto del territorio di Giuliano), che da Velletri conduce a Cori, quando si è a circa due miglia dalla città, nel puntodetto la Madonna de' Monti, si di- vide in due: una tútta in piano porta a Cori a Valle, ossia alla porta Romana, e l'altra in salita, conduce a Cori a Monte e alla porta Segnina. La chiesa di s . Francesco è a sinistra della strada che reca alla porta Romana. Poche città comprese dentro i limiti della mappa de' din- torni di Roma ponno vantare tanti monumenti antichi e così importanti, quanti ne conserva questa, e perciò meritano una descrizione distinta. Quindi non si creda, che non ostante le mie proteste io sia uscito da' limiti prefissimi, nel diffondermi col Nibby sulla sua topografia. Poichè oltre l'aver conseguito il duplice vantaggio, di dare una chiara idea della topografia di Cora e de'luoghi ove esisto- no i monumenti, questi brevemente de- scrissi col dotto archeologo, e così mi tro- vodispensato dal farne inenzione a parte, anche per le diverse opinioni che accen- nai fra parentesi. Altre notizie sulle antichità di Cori e le sue lapidi si ponno ri- cavare da' seguentie già nominati, alcuni de' quali ne ragionarono con molte particolarità. Ricchi, Reggia de' Volsci; Volpi tradotto dal Finy, cap. 2: Dell'an- tiche fabbriche della città di Cora ; Winckelmann, Piranesi e Marocco. Narra il p. Casimiro, che in vari tempi sotto le abitazioni si trovarono colonne spezzate, capitelli, busti, iscrizioni e statue ; manel pontificato di Sisto Vtrovò Cristoforo Marulli nella sua vigna, posta nella contradadel FormaleNuovo, moltissime VEL VEL 169 medaglie d'oro. Ma per sospetti pati un mese di carcere, ed ebbe soli 25 scudi. Quanto alle medaglie, soggiunge il p. Ca- simiro, pervennero nelle inani di Camil- la Peretti sorella del Papa, essendo po- destà di Cora Stefano Margani. Tanto rilevò il p. Casimiro da un mss. del cora- no e contemporaneo del Marulli, Ulisse Ciuffi, il quale registrò pure due antiche iscrizioni , da lui lette nel suddetto batti. sterio di s. Pietro, e nel portico della chie- sa di s. Maria della Plebe, nella metà del secolo passato già distrutta. Le quali iscrizioni errate dal Grutero, dal Ricchi e da altri , stímò bene pubblicare il p. Casi- miro. Lemonete corane furono ricordate dal Volpi e in conseguenza dal Finy, c. 6: Dellefamiglie corane illustriin Roma. Il moderno Bauco riferisce che tra le monete antiche, di cui vantasi quest'antica città, nondevonsi dimenticare neppure le recentemente rinvenute , illustrate dal ch. archeologo p. Giuseppe Marchi gesui- ta, ch'egli contesta a Vincenzo Marchet- ti affezionatissimo a questa sua patria, in una lettera degli 8 maggio 1843, avere le medesime monete singolare estimazione. In argomento mi scriveva l'encomia. to Marchetti, nella nostra erudita corri- spondenza : La remotissima antichità di Cori viene reputata antidiluviana dal famoso archeologo Nibby, e da tutti gli altri vetusti e moderni scrittori è tale foudatamente creduta. Per questa istessa ragione vengono apprezzatel'antiche mo- nete corane ricercatissime, per cui il car- dinal Stefano Borgia ne fu avidissimo raccoglitore, unitamente alla raccolta di pergamene, diplomi ec. A quest' effetto m'inviò ripetutamente copia e poi l'ori- ginale dell'indicata lettera a lui scritta daldottissimo p. Marchi, che io mi foun vanto qui appresso pubblicare, sia a van- taggio della numismatica, sia a onore del Marchetti ed a lustro di sua celebrepatria, sia in fine per manifestarequi pure ilpro. fondo sapere di tanto benemerito gesuita. > Da molti mesi aveva io posto nelle mani delgiovine sig. d. AchilleGennarelli i mo- numenti e documenti necessari all'illu strazione dell'antica moneta di Cori. Ma la sua dissertazione che da 18 mesi doveva essere pubblicata,ancora non compari- sce, ed Ella mi fa premura di pur cono- scere un fatto che tanto onora codesta sua patria carissima. lo compendierò il ragio- namento che troveràampiamentedichia rato dal Gennarelli (di fatti la Disser- tazione coronata dalla pontificia ac- cademia romana d'Archeologia, come notai altrove celebraudola, dipoi uscì nel- l'istesso anno in Roma da' tipi camerali col titolo : La moneta primitiva e i mo- numenti dell'Italia antica ec. lo essa il ch . Gennarelli illustrò 3 monete di Cora de Volsci; e quanto alle 2 monete affat- to simili, tranne l'iscrizione o leggenda che in luogo di Cosa e COSANO È ROMA E ROMANO, non trovava difficoltà a crederle uscitedalla zecca della sola Cora, la quale avrebbe scritto così egualmente il nome suo e quello della conquistatrice Roma, siccome avveniva in Napoli, della quale abbiamotipi identici, salvo nell'epigrafe) . Mg. Stefano Borgia, poi cardinale, nel 1786 inviò a Vienna al nostro p. Giusep- pe Eckhel due piccole monete in brouzo, che alcuni anni fa ritrovai nel piccolo museo del Collegio di Propaganda (nel quale articolo, descrivendo in breve quel Museo Borgiano, lo dissi dal cardinale istituito in Velletri sua patria e poi da esso legato in parte al collegio Urbano, l'altra trovandosi in Napoli). Lat."ha nel suo di- rittoúna testa di Pallade coperta di elmo e cimiero rivolta a destra e l'epigrafe Coza nel rovescio un busto di cavallo frenato rivolto pure a destra e l'iscrizione Zano, La 2.ª in luogo della testa di Pallade ha quella di Marte barbato senza epigrafe; e intorno al busto di cavallo del rovescia l'iscrizione COZANO. Queste due monete medesime, quantunque rare, sono capita. te non è gran tempo in mano a due di versi negoziantt, da' quali le ho io acqui- state per questo museo Kircheriano ; e 170 VEL VEL su amendue ho riscontrate le impronte ele leggende medesime delle borgiane, anzi forse meglio conservate. Il cav. Gia- comoMillingen nel 183 1 pubblicò a Lon- dra una moneta in argento di modulo maggiore alquanto delle due di bronzo coll'impronta ela leggenda che qui le de- scrivo. Nel diritto testa d'Apollo laureata e rivolta a sinistra : nel rovescio cavallo cheagran corsa va a sinistra spintovi da uncavaliere, dalle cui spallecadeunpallio leggerissimo trasportato dal vento, e la cui testa è coperta d'un pileo somigliante a quello diMercurio: sotto al ventre del cavallo leggesi CORANO. Aqueste 3monete operate col conio debbonsi aggiungere le due di getto pubblicate da me son già 4anni fra le monete italiche primitive, l'asse de' volsci colla testa d'Apollo ripetuta su amendue le faccie della mone- ta, e il trionfo de' rutuli che ha nel diritto un cavallo in gran corsa. Per diverse mie congetture non è forse improba bile che l'asse provenisse da un'officina posta adAnzio antico, ora Porto d'Anzio, il, triente da Ardea metropoli antica de' rutuli (il Triente sorta di moneta antica, una 3.ª parte dell' asse, cioè 4 oncie). L'Eckhel che non poteva a tanta distan. za conoscere la storia topografica della provenienza delle due monete coniate mandategli dal Borgia in disegno, ricorse per interpretazione alla geografia antica, e trovato ch' ebbe nell'Etruria una città che i romani chiamavano Cosa (poi Ansedonia di Toscana dell' abbazia delle Tre Fontane, perciò ne ragionai in que' duearticoli: ha vestigia di mura ciclopee), credette che le due monete si potessero giustamente ad essa attribuire (devesi avvertire, e l'imparo dal prezioso Dizionario della Toscana del benemeritoRepetti, che oltre Cosa de' volcienti di Tusca na ora Toscanella, vi fu Cossa degl'irpini degli Abruzzi nel Sannio, e siccome am. bedue colonie romane, indusse molti in equivoco coll'attribuire atlar . " alcuni fat- ti propri della 2.", così propende forse a riconoscere di Cossaunamonetadel tempo d'Augusto, che altri vogliono spettare a Cosa, inoltre riconoscendo di Cossa la medaglia coll'impronta dell'aquila roma- na). Il Millingen quantunque per sistema alienissimo dal concedere usodi moneta propria nelle città italiche poste tra il Tevere e il Garigliano, pure costretto dall'evidentissima leggenda CORANO riconobbe quella sua moneta d'argento come spettante a Cora oggi Cori . Ma il p. Secchi mio confratello legge CORA E CORA- no anchedove sta scritto Coza e Cozano. Gli antichi grammatici ne insegnano che Ja lingua latina nella sua infanzia sostituiva sovente la S alla Re leggeva Fv- stvs in luogo di FVRIVS, AVSELIVS dove poi lessė AVRELIVS : dunque il Coza, che peravviso dello stesso Eckhel è la medesima voce di Cosa, per ragione della for- ma della S che si confonde col greco Z, non è Cosa città etrusca, ma Cora città volsca, e Cosano non è il possessivo del- l'etrusco, ma del Corano Volsco. Se l'Eckhel avesse riflettuto all' alfabeto e- trusco che manca della vocale O (il che rimarcai nel vol. LXXVIII, p. 86), alla quale sostituisce il V, si sarebbe facilmen. te persuaso che se i romani chiamavano quella città Cosa, gli etruschi le dovean dare un altro nome o almeno dirla Cu- sa secondo loro costume. Che i romani poi mutassero nome alle città etrusche colle loro conquiste, il sappiamo da Chiu- si, che dagli etruschi era detto Chamars, da'romani fu detto Clusium; eda Volterra che gli etruschi scrissero sempre Velathri, e i romani Volaterra (di tale voce e iscrizione di monete feci parola nel cit. vol. LXXVIII, a p. goegr, dicendo pure, che siffatte monete il Maffei attribuì a Velletri o ad Alatri). L'Eckhel poi è quegli che sa quanto niun altro che le due monete del Coza e del COZANO non potrebbon mai esser di Cosa conquistata e dipendente da'romani, ma di Cosa libera e padrona di se medesima, prima che i romani stendessero sino colà VEL VEL 171 a Ja loro potenza. Eccole con ciò assicura to alla sua città il diritto sopra 3 diverse monete coniate prima che i romani a- vessero su quella città un assoluto dirit to, e certamente prima che Cori comin ciasse a godere del così dettojus latino, Perciò che spetta alle impronte si posso- no ben dire anch'esse proprie del paese cistiberino molto meglio che del trasti- berino. L'Apollo, come leho indicatode scrivendole l'asse de' volsci , è la1.ª e più nobile insegna di quella nazione ; e qui abbiamo l'Apollo nella moneta d'argento del Millingen, nel quale vi è pure il cavallo in gran corsa come nel triente de scrittole de' rutuli, tanto prossimi o legati co'volsci che possono chiamarsi qua. si una gente medesima. La Minerva come figliuola a Giove era in altissima veDerazione presso tutti i popoli cistiberi- ni, che concordemente aveano Giove per Jorot . divinità. Il Marte ha lasciato in Cori memoria solenne di se negli avanzi nobilissimi del tempio erettogli da'coraņi. Il bustodi cavallo frenato lo trovo in altre monete che io ho sempre considerate come proprie degli equi, de'volsci e degli aurunci. Perciò io non l'ho per cosa straniera quando lo veggo sulla moneta di Cori . Veda l'Aes Grave, stam- pato da menel 1839. Queste poche no- tizie potrebbero tornare di qualche uti- lità storica se in Cori vi fosse persona che sapesse o volesse fare osservazioni sui trovamenti che continuamente si vanno fa- cendo costi, come per tutti i luoghi di questa nostra antichissima e ricchissima Italia. Converrebbe acquistar tutto in ge- pere di monete vendendo il superfluo e ritenendosi il necessario: in pochi anni Cori riunirebbe tutti i suoi monumenti numismatici. Nè ciò è tutto. Converreb. be che Cori raccogliesse in un luogo si curo ma di ragione pubblica tutte le la- pidi antiche disperse per la città eil ter- ritorio. Le due fiaccole che solo posso- no dissipare le tenebre che ravvolgono la primitiva storia di codesti municipii sono le monete e le iscrizioni, ma non quelle che stanno fuor del paese, bensì quelle che si custodiscono ne'luoghi ove si trovano. Ella colla sua autorità pro- curi alla sua patria questo ornamento e ne avrà lode. Ossequiandola con sinceris- sima stima mi raffermo". Riferisce Ma- rocco, che in Cori, commendata per la sua celebrità da Livio, Properzio, Lucano, Silio Italico, ogni tanto vengono sco. pertisotterranei bellissimi , alcuni de'qua. li si osservano composti di pietre di 6pal. mi architettonici di lunghezza,come quello appartenente a Tommasi, per andare al tempio di Castore e Polluce, che serve di molino d'olio, fiancheggiato da alto scoglio tagliato e costituente un muro laterale, doveil pavimento è di bianchissi- momusaico; congettura chefosse un por. tico osuolod'altro tempio,anche pe'grossi pezzi di colonna marmorea ivi rinvenuti. Dice esistere nel giardino presso la casa de Luzi 6 capitelli bellissimi di stile corin. tio, forse di colonne di tempio o portico sagro a Venere ; e che ancoEscolapio vi ebbe il tempio. Dalleiscrizioni che riporta, ritiene avere i corani prestato cultoeziandio a Cerere ed aBacco, del cui tem. pio furono trovati avanzi marmorei negli scavi della casa Fasanella. Il contemplarle sue mura desta meraviglia, essen- dovene composte di pietre ognuna di12 e 15 palmi lunghe,8 ovverog alte, con- catenate senza cemento, lavoro chiama- to opus incertum; mirabile per l'ordine e la solidità, e fatto per cozzar co'secoli, Afferma che l'accademia di Francia chiamòle muracorane meravigliose, e di pro . digiosa costruzione pelasgica ; ed il Bauco assicura che in vari punti della città sono rimaste in ottimo stato, L'odierna città ha3porte quasi in perfetto triango- lo collocate ; lar. esistente in Cori a Mon- te èchiamata Segnina, perchè conduce a Segni la via ; la 2. Ninfesina, da cui co- mincia la strada che reca a Ninfa; la 3. èdetta Romana e Veliterna, perchè porta a Velletri e a Roma. Cori è priva di puba a 172 VEL VEL bliche fonti, cui suppliscono l'acque piovane in freddee ben conservate cisterne; il piccolo rio trovato da Faustino Fasa nella presso il torrente Cavata, fu riconosciuto di pochissimo utile e di molto incomodo. Ma nel gonfalonierato del be. nemerito Giovanni Prospero Buzj , per sua cura fu trovato un altro rio d' acqua sorgiva fuori della porta Segnina. Tra le sue chiese,6sono parrocchiali. La primaria e insigne collegiata, denominata duomo, è sotto l'invocazione di s. Maria della Pietà, di bella e ben intesa archi tettura. II Ricchi lo dice già tempio del la Fortuna e di Diana, couvertito da'corani cristiani al culto del vero Dio e denominato anche della Plebe. Nel 1660 venne restaurata e abbellita con moderna architettura,con volte gettate sulle 3 antiche navi, con archi maestosi scorni . ciati di vaghi stucchi, sovrastata da finta cupola e ornata con chiaroscuri da' fratelli Agostino e Alessandro Botticelli corani. Furono allora disfatti due antichis- simi pulpiti , laterali all'altare maggiore, In essa è la cattedra marmorea vescovile, fino da'primi secoli della Chiesa, testi monio di sua antica sede vescovile, men . tre l'episcopio era nel giardino a suo tem- po del capitano Pasquali, e appellato la casadiMonsignore. Il candelabro marmo reo pel cereo pasquale, alcuni la diconoo peradel secolo XIII, altri la fanno più an tica e che servì già ad uso de' gentili : è ornato di bassorilievi esprimenti anima- li e geroglifici , ed ha per base un mostro con due teste e le sole gambe dinanzi. Maguifico è il tabernacolo e decorose le cap. pelle. Il quadro di s. Maria della Pietà è bello edi colorito assai forte. Quello del la 3. cappella adestra è pure di buon pennello. Delt. parla Nibby, del 2. Maroc- co. Dubitando che sia il medesimo, do- mandai spiegazione a un rispettabile corano, e fui assicurato d'aver bene congetturato, ed è precisamente il medesi- mo della 3." cappella a destra della por ta della chiesa. Nell'altare principale è la a famosa tavola in cui nel 1542 Siciolante di Sermoneta dipinse il Salvatore.L'or- gano pregiatissimo si deve al canonicoAlessandro Napoleone Ricchi, zio dello storico, il quale dice che lo cominciò nel 1636, compito poi con ornamenti a oro nel 1690, e lasciò un molino a olio per l'organista. Nel detto secolo, e nell' arci- pretura d' Ostilio Picchioni , da' fonda- menti fu rifabbricata la torre campanaria a lato della porta maggiore, e tale da poter sostenere grosse e armoniose campane; nella quale occasione dirimpetto si rinnovò ancora la comoda abitazione per l'arciprete. Nel secolo passato con deco- roso disegno e sculture fu fabbricato il prospetto esterno. Oltre una reliquia in- signe del glorioso b. Tommaso da Cori , che vi ha un'elegante cappella, quivi si venera il corpo di s. Nazario martire, di nome imposto, nella 4. cappella gentili . zia de'Fasanelli della nave destra, dona - to dal cardinal Stefano Borgia, come si legge nella lapide presso Marocco, il qua- le riporta pure quella della consagrazio- ne della chiesa, eseguita 1'8 febbraio1699 da Biagio Terzi dı Lauria vescovo d' Isernia, vices gerens del vescovo cardinal Gabo, scrittoredella Siria sacra . Appren- do da Bauco che il capitolo si compone della dignità dell'arciprete parroco, e di 10 canonici, fra'quali è il teogale e il penitenziere, tutti decorati della cappa prelatizia paonazza nell'inverno, e di roc. chetto sopra la cotta nell'estate. Raccon- ta il p. Casimiro, che Benedetto XIII nel ( 725 avea concesso all'arciprete e aglitt canonici l'insegna corale dell' almuzia, da usarsi in qualunque luogo; e che nella segrestia un tempo si conservavano molti libri mss. , nominando i principali, e fra di essi una bolla in pergamena di Papas. Silvestro 1. La 2. " parrocchia è l'insignee vasta collegiata de'ss. Pietro ePaolo, presso il tempio detto d' Ercole, che al dire del Piazza visitatore della diocesi pel vescovo cardinal Facchinetti, è più autica della precedente e fu la 1, ad es- VEL VEL 173 sere consagrata, per esservi tradizione che s. Pietro principe degli Apostoli vi promulgasse il Vangelo ; laonde dice il Ricchi, che in essa si fa la 1.ª e l'ultima predica quaresimale, forse in memoriadi sua antica primazia, e perciò tutte lepre- diche in essa aveano luogo (ciò non è vero, quanto all' ultima predica quare- simale. Si fa il quaresinale in ambedue lecollegiate, in quella dis. Pietro ha luo- go l'ultima predica la 2." festa di Pasqua, ed in s. Maria la 3.ª festa) ; ed ivi posse- dervi la sua famiglia la cappella di pa- dronato sagra a s. Giovanni. Ne celebra l'organo e una superbissima campana, la quale prima che fosse rifusa, per averla colpita il fulmine, si sentiva 25 miglia distante. Asuo tempo era ufficiata dall'arciprete, e da 8 beneficiati e 6 cappellani, il cui ampio coro egli dice mostrare d'essere stata collegiata. Riferisce le ver- tenzeinsorte e prolungate nel secolo XVII fra l'arciprete e quello di s. Maria, alle quali diè fine nel 1690 il vescovo cardinal Cibo, decretando la precedenza all'arci- prete e canonici di s. Maria incedendo collegialmente. Indi da Pio VI nel 1791 (secondo il Marchiafava, o Pio VII come vuole il Viola, ma credo fallo tipografico cioè l'aggiunta d'un I al VI, bensì non gli contrasto ad istanza d'Ales- sandro Marchetti giuniore. In quest'incertezza invocato schiarimento, sono stato assicurato, vero il riferito dal Mar- chiafava), fu dichiarata collegiata con ca- pitolo composto dell' arciprete curato e dignità, e d'8 canonici decorati della mozzetta di seta paonazza neli' inverno co' lembi orlati di pelli d' armellino, e del rocchetto sulla cotta nell'estate, come leggo nel Bauco. Vi si conserva nell'altare maggiore, nella cappella della B. Vergine, il corpo di s. Cubilla vergine e martire, trovato nel cimiterio de'ss. Mar cellino e Pietro di Roma, e donato dal sullodato arciprete della medesima Giuseppe Marchiafava nel 1795, come è scolpito nell'iscrizione riferita daMaroc co. Da altra da lui pure pubblicata si ri- cava, che nella stessa chiesa e nellapro- pria cappella nel 1497 vi fu istituita la società del ss. Sagramento e delle Cin- que Piaglie ; e nel 1804 quella del Sa- gro Cuore di Gesù. Nella stessa chiesa collegiata di recente vi è stato collocato nel suo altare dalla parte del Vangelo il quadro di s. Francesco di Paola, dipinto lodatissimo del valente cav. Giuseppe Manno, nipote del celebre cav. France- sco altro esimio pittore. Le altre 4chiese parrocchiali hanno quadri egregi e di qualche pregio e venustà rimarchevole, i propri parrochi, e sono quelle della ss. Trinità, di cui in appresso riparlerò ; del ss. Salvatore di forma gotica occupante parte del piano del tempio di Castore e Polluce, dicendo il Bauco pregevoli e stimatele pitture dell'altare maggiore, ope- ra del sermonetano Siciolante ; di s. Michele Arcangelo, che Marocco dice fab- bricata sulle rovine del tempio d'Apollo, daudone certezza una lapide coll'epigrafe Appollini Sacrum; e di s. Caterina vergine e martire, il cui quadro dell'altare maggiore rappresenta il suo marti- rio colorito dal Domenichino, secondo Bauco,ma Nibby crede tale tela perla trascuratezza de' contorni e per una certa stentatezza, piuttosto copia del Domenichino e non originale come ritiene il volgo, bensì dice buon quadro di colorito Guercinesco quello esprimente s. Tom- maso. Il più elegante e vago tempio di non piccola mole, è l'insigue e celebre santuario situato fuori di porta Segnina verso la sommità d'uno de' monti Lepi- ni, distante circa mezzo miglio da Cori, sotto il titolo di Maria ss. del Soccorso, in cui profondamente si venera la sua prodigiosa Immagine col suo divin Figlio dipinta sulmuro, la cui festa solennemente celebrasi nella 2.ª domenica di maggio con fiera franca per 8 giorni ; chiesa di recente egregiamente abbellita con pitture e altri ornamenti con ispesa non lie- ve; e per meglio godersi da'divoti quan 174 VEL VEL do si scuopre, vi fu collocato dinanzi un cristallo intero : il che si fa con alineno 0 12 łumi di cera accesi nelle principali so- lennità e feste di precetto della B. Ver- gine, dandone del suo scuoprimento pre. cedentemente avviso il suono delle cam. pane non solamente delle due collegiate, ma dell'altre chiese di tutta la città; scuoprendosi pure per pubbliche e privateri- chieste. Narra il benemerito Marchiafava suo storico che diè occasione alla costru. zione di questo tempio il seguente fatto portentoso, secondo la pia e comune tra dizione esistente presso i corani, che ossequiano lass. Immagine come loroprin- cipale e incessante benefica avvocata, illustrando eziandio con erudite note il suo racconto, in uno al titolo che dàla Chiesa di Soccorso alla B. Vergine, riferendo le notizie delle ss. Immagini che con questo bel titolo si venerarono e venerano in varie città. Correndo l'anno 1521 e il 1.° maggio di sabato, mese e giorno in particolar modo consagrati a Maria Vergine, la fanciulla Oliva di circa 3 anni,figlia di Giovanni e Santa Jannese coniu- gi corani, contro il divieto della madre sul mattino volle seguirla nel portarsi su detto monte a mondar nel campole bia- de; di ciò avvedutasi Santa retrocedet- te per indurla a restituirsi alla casa, e la figlia l' ubbidi non senza ripugnanza e pianto. MaOliva nel tornare indietrodeviò dalla strada, e smarrita s'innoltrò in sito scosceso e ingombro di spineti, pietre e cespugli : sopravvenne la notte ein- sieme un orridoturbine, con dirotta piog. gia, grandine e fulmini. La fanciulla bagnata, tremante e piangente si ricoverò sotto una delle tante piante di ginestra, di cui tuttora abbonda il monte, inutilmente chiamando l'aiuto della madre. Inquesto desolante stato, all'improvviso le comparve innanzi una maestosa Don- na vestita di candido ammanto, da essa creduta nell'oscurità la sua zia paterna, per le carezze che le fece e per animarla anon temere ed a cessar dal piangere, con asconderla sotto il suo mantoe ivi amorosamentetrattenendola 8interi giorni . Frattanto i suoi genitori tornati dalla campagna a casa e non trovata la figlia, sollecitamente si diedero a cercarla fia le angustie, indi obbligati dal temporale a restituirsi afflitti all'abitazione, restarono agitati da tetri pensieri. Cessato il turbi- ne, di buon mattino ripresero le ricer- che del cammino dalla fanciulla fatto, non meno in tutte le vicine campagne inutilmente, onde inconsolabili la piansero per morta. Passati 8 giorni, sul na- scer del sole fu rinvenuta Oliva nel luogo stesso ove fino allora erasi trattenuta, tutta allegra e sana, da 3 corane che re- candosi a caricar legna, se la videro comparire loro innanzi lietissima. Sorprese esse da stupore e da contentezza, alternarono l'interrogazioni come ivi si trovasse e da chi fosse stata nudrita per 8 giorni. Rispose con semplicità la fanciulla. » Sono stata qui con una bella Signora, che mi ha fatto molte carezze. Essa ha voluto che stassi qui con Lei tutti questi giorni. Quando avevo fame o sete, Ella mi poneva in bocca il dito della sua mano: io lo succhiava, e mi sentiva tutta sazia e contenta." Quindi le 3 donne, tutte meravigliate dal racconto, attribuirono alla B. Vergine la prodigiosa cura della fanciulla, la qualetostogiubilanti e com- mosse condussero a'suoi addoloratigeni. tori. Quale fosse la sorpresa e la consolazione di essi , quale quella del popolo pel riferito dalle donne e confermato replicatamente a tutti da Oliva, si può immaginare e non esprimere. Generalepertanto fu la pia credenza e persuasione, che la Soccorritrice e amorosissima bella Signora, non fosse altrimenti che la gran Madre di Dio e nostra Maria. Poscia Oli. va con lagrime ripeteva di voler tornare presso la sua cara Signora, per averle detto d' amarla e di volerta sempre con se. Fatto è, che dopo 3 giorni dal suo ri. torno in casa, Oliva sorpresa da violenta febbre, placidamente e con ilare volto VEL VEL 175 morì, semprechiamando la sua amabilis. sima Signora che sul monte l'avea soc. corsa, con nuovo e indicibile rammarico de' genitori. Così ottenne Oliva di riu- nirsi per sempre in paradiso nell' eter- no godimento della sua Signora. Eanti- ca tradizione, confermata dal vescovocardinal Antonelli, che la B. Vergine pro- mettesse a Oliva, che avrebbe soccorso con ispeciali favori e grazie que' che si fossero portati su quel monte a venerar. la nella sua Immagine. Mosso il popolo pinto è semplice e rozzo, non lascia la ss. Immagine d'esser bella, maestosa, e d'i- spirare tenera venerazione a chiunque divotatuente la rimira. Il Marchiafava passa a dire delle 3 tradizioni che si hanno sulla ss. Immagine. Vuole la 1. che dessa dipinta da molto tempo in un antico muro e quindi trascurata, ricoperta da terra, bronchi e spine, miracolosa- mente si manifestò con apparizione ad Oliva per essere ivi venerata ; e che do- po terminata la cappella, vi fosse dipincorano da questo prodigioso avvenimenta a fianco la fanciulla da mano diversa to, fu premuroso di costruire nel luogo stesso dove avvenne l' apparizione della creduta da tutti Maria ss. ad Oliva, una non piccola cappella, la quale posterior- mente ampliata divenne chiesa grande e maestosa in onore della ss. Vergine, fa cendovi dipingere nel muro la sua divota Immagine, alla quale di comun con. senso fu dato il titolo della Madonna del Soccorso, in memoria di quello pre- stato alla loro innocente concittadina nel suo smarrimento. Indi per autenticare il prodigio, i corani vollero che in detta cappella fosse religiosamente sepolta la fanciulla, a tale effetto ivi trasportata dalla sua chiesa parrocchiale, acciò il suo corpo fosse nel sito ove era stata in vita soccorsa dalla celeste Signora espressa nella ss. Immagine. Questa venne rappre- sentata ricoperta di regio manto turchino, cangiatosi poi nella più parte in colore verde ornato di varie stelle d'oro, ri- piegatosulleginocchia ; è sedente in nae- stosa e reale sedia, avente in braccio il suo divin Figlio nudo e colla solita fa- scia, in atto di stringerlo al seno, e colla destra regge il di lui braccio destro inatto di benedire. Due Angeli sul capo di loro sostengono una regia corona. Apiè della B. Vergine nel sinistro lato e ricoperta in parte del suo manto, si vede la fan- ciulla Oliva prostrata con un ginocchio, che rimirando ridente e piena d'affetto la sua amorosa Liberatrice, si tiene stretta colle mani alla sua veste. Sebbene il die con colori più vivaci. Dice la 2. che eretta la cappella per porre in venerazio- ne la disotterrata Immagine, il pittore de- putato a restaurarla, dopo avere ricolo- rito le vesti, nel porre il pennello nel sa- gro volto di Maria, di repente divenne attratto nel braccio e cieco negli occhi, risanato poi per le sue preghiere alla B. Vergine. Si ha dalla 3. tradizione, che terminata la grandecappella nel sito del- la prodigiosa apparizione, fu commesso ad un pittore di dipingere nell'altare la Madonna: cominciato il lavoro, nel dì se- guente con istupore lo trovò compito col . la presente ss. Immagine da mano ange- lica. Nondimeno il pittore per cupidigia occultato il portento si fece pagare, mato- sto colto da fortissima febbre perdè l'uso delle braccia, onde riconoscendo allora l'evidente meritato castigo, palesò la sua viltà e il prodigio, per cui placata la pietosa B. Vergine, gli restitui all'istante la sanità. Eperò incontrastabile storia, che crescendo ogni giorno il fervore e la di- vozione del popolo verso la ss. Immagi. ne, specialmente perle continue grazie che ne riportava, si determinò con ab- bondanti oblazioni di racchiudere la pri- mitiva cappella con grande e maestosa chiesa a volta reale, ampliando la mede- sima cappella con magnifica e alta cu- pola, e s'incominciò la fabbrica nel 1634. Vi fu eretto un bell'altare con corrispon dente prospetto dibellissimi marmi e si mili colonne dalla nobilissima corana fa- 176 VEL VEL miglia Buzi, e4laterali cappelle anch'esse a volta, con ampio portico anteriore con 3 archi corrispondenti alle 3 porte della chiesa, sulla maggiore delle quali fu collocata l'effigie in marmo della Ma. donna. Con vistoso dispendio, anche pel trasporto de'materiali sul monte, compi- ta la fabbrica nel 1639, fu segato il muro ov' era dipinta la miracolosa Immagine, sito che ricorda l'iscrizione e colle altre del santuario (compostedal sullodatoMar- chetti, e meritarono l' encomio del celebre cav. Labus) riferita dal Marchiafava, cioè tra le due cappelle di s. Lucia e di s. Carlo, e venne posta nel nuovo pro- spetto di marmo costrutto sull' altare e racchiusa nella preparata marmorea nic- chia con chiave e serratura, leggendosi sopra scolpito in marmo nero : Miseris Succurre Maria. Oltre l'altare maggio- re, 4sono l'accennate cappelle : lat. de- dicata a s. Anna, la 2.ª a s. Lucia vergi- ne e martire (anticamente quasi da tutti visitata nella sua festa, recando ognuno una candela di cera, che si poneva accesa per consumarsi sopra un gran candela- bro di ferro a più bracci; deplorando il Marchiafava nella 2." edizione l'intrala sciata pia costumanza, fa voti perchè si rinnovi , ed io gli fo divoto eco in onore della protettrice de'nostri occhi ! ), la 3ª a s. Carlo Borromeo padronato de'conti Cataldi Tassoni, la 4. a s. Bartolomeo gentilizia de'Ricci. Sebbene non del tut- to ridotta a perfezione, la chiesa fusolen. nemente consagrata a 29 gennaio 1537 (nella1.ª edizione della Breve istoria leg. gol'avvertenza del Marchiafava, che tale consagrazione è della primitiva cappella, perciò innanzi alla costruzione della chie. sa, che però chiamavasi majoris altaris et ecclesiae s. Mariae de Succursu de Cora, e perciò fu consagrata Ecclesiam etAltarem in honorem s.MariaedeSuc. cursu) da mg. Lorenzo Santorelli vescovo Politense sostituto del vescovo cardinal Piccolomini. Già eravi stata canonicamente eretta nel1604 l' arciconfraternita della Madonna del Soccorso co' suoi statuti , con sacchi e mozzette bian- che contornate di fittuccia verde collo stemma del ss. Nome di Maria pe'confra- ti, confermata e arricchita d'indulgenze perpetue da Clemente VIII. Dal sodali- zio fu stabilita l'annua e perpetua dota- zione d'alcune (cioè due) povere e one- ste zitelle corane pel maritaggio, consistente ognuna in una veste di panno ver- de, colore di quella della ss. Immagine, ed in cedola di scudi 25, tuttora in vigore. Affinchè poi i molti divoti nel portar- si a visitare il santuario, avessero nel lun- go montuoso tragitto un riparo per ri- coverarsi dalla pioggia, nella metà della via il sodalizio fabbricò una cappellina coll'immagine del ss. Crocefisso. Erasi cominciato da alcune pie persone (fra le quali il Ricchi con l'antro o piccola cap. pella di s. Maddalena) ad erigere lungo la strada la l'ia Crucis, ma solo 3 essen- donestate edificate a foggia di detta cap. pellina e quindi divenute dirute, con pio divisamento il sullodato goufaloniere Fochi, dopo aver fatto costruire agiata e comoda via conducente al santuario, la- teralmente vi fece erigere 14 cappelline per le stazioni della Via Crucis, onde i fedeli possano esercitarsi nella divota pratica cammin facendo. Per la custodia della chiesa e sua ufliziatura vi fu stabi- lito un cappellano, Marchiafava lodando precipuamente il zelante e degno sacer- doted. Giuseppe Morroni corano, che per 24 anni circa funse l'uſſizio. Eper con . tinua residenza vi fu collocato un eremi- ta nell'ampia e comodissima abitazione contigua, fra'quali si distinse il piissimo Saverio Cupo napoletano , già fratello ge. suita, indi dopo aver lasciato a Cori mo- numenti di sua beneficenza, divenne sacerdote e confessore del vescovo di Tivoli mg. Chiaramonti poi Pio VII. Lo stori- co Marchiafava prova l'antica e costante divozione a questo santuario de' corani e de'popoli de' vicini paesi, massime nel - le pubbliche calamità con processioni, i VEL VEL 177 J voti appesi alle sue pareti per grazieri- cevute, le visite e le testimonianze de'car- dinali vescovi ; notando che non mancano ricorrenti a quel fonte inesauribile di grazie (ed alcune ne riferisce riconosciute legalmente), che ascendono il monte a piedi scalzi e persino colle ginocchia ; ol- tre le processioni di penitenza, in alcune delle quali l'arciprete predecessore suo zio d. Gio. Antonio v' incedeva a piedi scalzi per fare de'discorsi al popolo; enel 1830-31 molti coufrati di Sermoneta vestiti di sacco e col cappuccio calato, die- rono edificazione, col recarsi al santuario processionalmente, cioè per circa unmi- glio di strada montuosa e allora ancora alpestre, disciplinandosi continuamente con istromenti di ferro ed eſfusione di sangue. I marinari naviganti nel Mediter- raneo, se sono sorpresi dalla burrasca nel tratto di mare rimpetto a questo santuario, donde esso per la sua elevatezza si scorge, invocano con fiducia il nome del- la Madonna della Ginestra, titolo relati. vo al narrato di sopra. Per le frequenti offerte si potè formare un capitale colle cui renditesi mantiene decorosamente la chiesa. Non mancarono ad accrescerlo pii legati, anzi il corano Marc' Antonio Pellachio gli lasciò tutto il suo patrimonio, e nel porticodel tempio se nelegge la marmorea memoria del 1618. In seguito fu rimosso il campanile dalla fac- ciata della chiesa, ed eretto sopra la sa- grestia, e nel 1829 vi fu stabilmente co- struita l'orchestra per situarvi l'organo acquistato dall'encoiniata arciconfrater- nita, come si legge nell'iscrizione. Lungo sarebbe l'accennare gli effetti di predile- zione provati da'corani, per la continua, manifesta e possente protezione della Ma- donna del Soccorso, ne'privati e generali bisogni, inclusivamente alla cessazionedel furioso incendio nel 1821, e poscia alla mirabile preservazione dalla tremenda pestilenza del cholera, per cui nel 1837 si fece pubblico e solenne voto perpetuo del digiuno nella vigilia di sua festa, e di VOL. LXXΧΙΧ. procurare l'elevazione al rito dit.'classe all'uffizio proprio accordato da Pio VI e Pio VII (procurato dal zelo e premure del canonico decano d. Francescantonio Marchetti priore per più anni del sodalizio), oltre altre dimostrazioni divote. Ma la più autentica testimonianza e il più glorioso documento della celebrità di sì miracolosa Immagine, è l'essere stata solennementecoronata con quella deldi- vin Figlio, con coroned'orodal capitolo Vaticano, ad istanza degli officiali del san- tuario, di tutto il clero e de'pubblici rap- presentanti, dopoaver fatto constare con autentici documenti l'antichità, celebri- tà della ss. Immagine e le numerosissime grazie e miracoli per mezzo di essa operati da Dio. Il capitolo Vaticano de- legò ad eseguirne la coronazione mg. Paolo Ciotti vicario generale di Velletri e poi vescovo di Segni, che l'effettuò a' 21 settembre 1778. La decorosa funzio- ne, con indulgenza plenaria accordata da Pio VI per 8 giorni, le pubbliche dimo- strazioni di gioia de'corani tutti commos. si da tenera divozione ; le pompe festive edi sontuosi addobbi del santuario,la processione, il triduo, le luminarie, i fuochi artificiali, l'accademia letteraria, le cor. se de' cavalli ; tutto minutamente viene descritto dall' accurato storico arciprete Marchiafava, riferendo altresì l'iscrizione marmorea scolpita a perenne memoria della fausta e gloriosa celebrata co- ronazione, principalmente promossa dal zelantissimo camerlengo del santuario e benemerito per circa 20 anni, d. Pietro Paolo Carucci dotto corano, a lui doven- dosi pure la cura d'aver fatto tessere in Roma i parati di danasco, poi aumen- tati da'successori. Dalle monache si conserva ancora e si rifonde con altro, parte dell'olio arso nelle lampade innanzi la ss. Immagine nelle feste di sua coronazione, lacui unzione è efficacissima per sanare gli animali dal morbo del verme. Equi dirò col Marchiafava, che innumerabili sono gli esempi che si leggono d'infermi 12 178 VEL VEL miracolosamente sanati per mezzo del l'unzione dell' Olio (V. ), che arde nelle Jampade delle chiese avantile ss. Imma- gini , specialmente della Madonna, come si hadal Trombelli, Decultu Sanctorum, Dissert. 10, cap. 37. Questi dice, ch'è sì antico e universale questo pio costume, che gli stessi turchi vedendone ne'cristiani i mirabili effetti, sogliono servirsi del J'olio delle lampade che ardono innanzi l'immagini di Maria ss., e ne riportano non piccoli benefizi. Parlando s. Gio. Cri- sostomo di tali lampade, narra nell'Ho- milia 33 in Mattheum, che a'suoi tempi i fedeli tutti usavavo ungersi nell'infer- mità coll'olio che ardeva nelle chiese den tro le lampade medesime, e restavano li- beri da ogni malore. Termina l'arcipre- te Marchiafava l'edificante Breve istoria, col riferire l' indulgenze plenarie e par- ziali concesse pe'visitanti il santuario, da Clemente VIII e Pio VI, nonche da Pio VII, il quale dichiarò privilegiato l'al- tare della Madonna ; come si solennizza l'annua festa della Madonna del Soccor so da'corani (non più avendo luogo nella processione alcuni uomini chiamati Bat- tenti che si flagellavano a sangue per tut- ta la lunga via che corre dal duomo al santuario, indi da quel sodalizio medica. ti e ristorati ; poichè per la gara di battersi più fortemente, divenuto una spe- cie di pubblico spettacolo, furono proi- biti nel1762), anche colla fiera franca di 8 giorni nella piazza fuori di porta Se- gnina ; e riproducendo l'inno in onore della B. Vergine, e l'orazione con indul- genza concessa dal vescovo cardinalAles sandro Mattei a petizione di Vincenzo TommasoMarchetti. Nel mezzo della città di Cori a Monte, ossia fra questo e Co- ri a Valle, sorge la già parrocchiale an- tichissima chiesa di s. Oliva vergine ana- guina, che da remoto tempo è la prin- cipale patrona de'corani, i quali necele- brano la festa con fiera franca nella 1. domenica d'agosto (altre due fiere franche souo quelle della suddetta 2.ª domenica a di maggio, e de'7 settembre per la festa solenne di s. Nicola da Tolentino che celebrasi a' 10). Del suo venerabile corро esistente nella patria basilica, in questa sua chiesa si conserva un'insigne reliquia rinchiusa in un braccio d' una statuina rappresentante la santa, con ramod'olivo in mano e corona in capo. Secondo al- cuni, come notai, occupa l'area del tem- pio di Giano, e le superstiti colonne ne adornano la principale nave. L'opinione del Nibby, che la chiesa abbia cambiato forma, pure già la riferii. Aggiungerò con esso, che il portico originale della chiesa forma oggi una specie di nave alla cap- pella del ss. Crocefisso, e la sua volta fu dipinta a fresco da un artista bizzarro nel secolo XVI (meglio nel XV), che ad una immaginazione fervida non seppe accoppiare nè purità, nè disegno, nè un'ordi- natacomposizione. Egli vi eſſigiò fatti del . vecchio e nuovo Testamento, ed è curioso vedere come rappresentò la creazione degli animali, e quella della donna. L'id- lustre archeologo non sembrami esatto neldire, che un'iscrizione mostra la chiesa eretta dal generale agostinianoMas- sari, eridotta nel pieno suo splendore dal cardinal Polo romano nel 1667. Osser- verò, che in tal annonon esisteva cardi- nale di tal cognome, del quale niuno fu romano; quanto all'operato dal religioso, meglio lo dirò cogli storici patrii . Sog- giunge Nibby: La tribuna di questa na - ve ha pitture dello stile di Pinturicchio, che rappresentano la Coronazione in cie- lo della ss. Vergine. In generale, i cora- ni tengono in gran pregio le pitture del- le pareti di s. Oliva. Conviene che io pri- ma narri. I religiosi agostiniani calzati di Cori anticamente dimoravano nel con- vento dell'Insito eretto nel secolo XIII fuori di porta Romana, ove visse, morì e forse fu sepolto nel 1392 il ven. servo di Dio Sante Laurienti da Cora, di cui si va procurando la beatificazione equipol- lente: si venera in questa chiesa il suo ritratto nelı . altare situato a sinistra nel- VEL VEL 179 l'entrare in essa dall'antica nave. A motivo del suo clima poco sano, al dire di Marocco, fu trasferito il convento in cit- tà, e nel sito antico si formò la villa de' Fasanella, ora de'conti Cataldi- Tassoni. La traslazione nella città seguì nel 1465 per opera del rinomatissimo p. Ambro gio Massori corano generale degli agostiniani , celebre per dottrina e opere eru- dite. Ottenne egli da Paolo II che fossero soppresse due parrocchie, una dis. Lo- renzo, lacui chiesa esisteva nel vicolodet. to Bagnatoio, l'altra di s. Oliva, nella cui chiesa collocò i suoi frati, e attribuì le rendite dell'estinte parrocchie. Il cardi- nal vescovoEstouteville, eprotettore del l'ordine, aggiunse alla chiesa di s. Oliva l'altra navata a volta, come la parte pre- cedente, colle ricordate pitture del Te- stamento ; e nel 1466 da' fondamenti ( Marocco riportando un brano di mss. municipale, questo dice il convento fab. bricato nell' anno 1439) l'adiacente va- sto convento (mentre edificava quello di Roma a'medesimi agostiniani colla chie- sa), come scorgesi dal suo stemma inciso in una delle colonne di marmo nel corridore superiore del chiostro, e fuo- ri della porta d'ingresso del convento. Il detto chiostro è elegantissimo, tutto cir- condato di colonnedi marmo detto di Fi- renze. Dice il Piazza che il cardinale nel convento si riservò un comodo apparta- mento (sopra l'antica nave della chiesa, scrive Ricchi), anche per uso de'vescovi e loro ministri ecclesiastici, onde i cardi- nali vescovi di Velletri recandosi a Cori in esso dimorano anche al presente. Tut- to il cardinale fece ad istanza del p. Am- brogio, al quale però voglionsi attribui- re l'eseguite pitture e la nuova nave, di- cendosi Coranus nella lapide che pose sulla porta del tempio, ed al convento la- sciò una biblioteca con iscelti libri ; e poco dopo nel 1480 fu tenuto nel medesi- mo un capitolo provinciale. Il convento dis.Oliva fu soppresso a 30giugno1845 con decreto del cardinal Orioli prefetto de'vescovi e regolari, colla condizione che il locale e suoi annessi fosse ceduto ad un istituto religioso insegnante. Di fatti, leg- go nel Giornale di Romade' 18 ottobre 1853, che il municipio di Cori nel lodevo lissimo desiderio di provvedere all'istru , zione religiosa , morale e letteraria della gioventù (non mancava tuttavia Cori di scuole necessarie all'istruzione de'giova- netti, come ricavo da Marocco), median- te il vescovo e legato cardinal Macchi, u milid preghiera al Papa Pio IX perchè volessedestinare la chiesa e il convento di s. Oliva ad un istituto religioso insegnan te. Ed avendo conseguito tale benefizio, il gonfaloniere Giovanni Prosperi- Buzi e gli anziani, con piena deliberazione del consiglio municipale,fecero pratiche pera vereichierici regolari minori; eavutili col consenso del cardinal vescovo e mediantebeneplacitoapostolico, sul principiodel 1852 poterono aprire le scuolein Coriaf fidate alle cure di sì operosi istitutori . In- oltreil municipio vide compiuti i suoi de- siderii, ch'erano quelli di tutti i cittadini, quando i chierici regolari minori potero. no aprire nella loro casa auche un colle. gioconvitto:alloracessò la condizione pre caria dell'istituto in Cori , ed ireligiosi mo- deratori della gioventù corana furono messi nell'aprile1853 al solenne possesso de' beni destinati al mantenimento loro. Lebellesperanze concepiteda'corani non restaronodeluse, come apparve dal pub- blico saggio dato da' giovani delle nuove scuole a'30 settembre, mostrando quanta sia l'attitudine de'maestri novelli nell'insegnamento , e quante siano state le loro cure per corrispondere alla comune espettazione, onde ammaestrare i giovani corani nelle lettere, e educarli a'veri prin- cipii della religione, senza cui è nulla o- gni istruzione scientifica. Nel seguente 1854 i chierici regolari minori colloca . rono nell'altare maggiore della chiesa di s. Oliva il bellissimo quadro esprimente il fondatore loro s. Francesco Caracciolo, egregiamente operatodalgiovaneMarche 180 VEL VEL si di Corsica studente di pittura in Roma. Equanto all'istruzione pubblica qui ag. giungerò, che esiste altresì in Cori l'am. pia e comodissina casa, con privata cap- pella, delle maestre pie dell'istituto fon- dato dalla viterbese Rosa Venerini , le quali tengono pubblica scuola per le fauciulle e ricevono anche a convitto le gio- vanette, riuscendo assai proficue pel zelo loro civile e religioso. Sulla cima del moute di Cori, vicinoalla collegiata de'ss. Pietro e Paolo, e unito al palazzo già de' marchesi Ceva- Buzi (acquistato e donato al monastero per ampliarlo dal beneme. rito primario deputato mg. Alessandro M.ª Tassoni nel 1822, di che nel parlato. rio è la lapide riferita da Marocco con dettadata, manon comediceil Marchiafava che in tale anno il prelato l'acqui. stò, essendogià morto.Questo illustrepre- lato nacque da Florido nobile di Fermo egovernatore di Cori pel senato romano, da Pio VII nel 1802 fu fatto uditore di Rota e nel 1816 suo uditore, morto in Roma a'3t maggio 1818, il cui Diario nel n.° 44, coll'universale ne pianse la perdita, e lodò altamente qual giudice per sa- pienza e integrità a niuno secondo, uuo de'più eccellenti in dottrina,1. splendo- re del foro romano, lasciando immorta- le la sua opera, La Religione dimostra ta edifesa) èl'amplissimo monasterodel- leclarisse del terz'ordine di s. Francesco, unode'più belli, ampi e ameni delle pro. vincie di Marittima e Campagna. Fuisti- tuitoda un'altra viterbese la ven. serva di Dio suor Lilia Maria del ss. Crocefis. sol'8 ottobre1757, ed è il 5.º da lei fon. dato (nel vol. XXVI, p.191 e192, par- lando di questa serva di Dio, ne nominai due, cioè quello di Viterbo , e quello di Ronciglione che fu chiuso nella 2. invasione francese; gli altri due e tuttora a- perti sono quelli della ss. Concezione in MonteSantodiocesi di Sinigaglia, equel- li de' ss. Filippo e Giacomo apostoli in Ischia diocesi d'Acquapendente),sottolin- vocazione della Madonnadel Buon Con 0 0 siglio e del patriarca s. Giuseppe; e colla stessa nel 1850si cominciò la fabbrica del. la nuova e compita omonima chiesa, più grande e più comoda dell'antica, non cor rispondente più al monastero , la quale venue stabilita per altro uso del mona- stero , per munificenza del vescovo cardinal Macchi, come apprendo da Bauco, cioè vi contribuì con elargire copioso soccorso. Le Costituzioni per le Monache ec. furono impresse in Roma nel 1836 co'tipi Vaticani. Rilevo dal Marchiafava, che il processo apostolico sulla fama di san- tità, virtù e miracoli della ven. suor Li- lia e sua beatificazione, fin dagliıı mar- 201820 fu approvatoda Pio VII (il Compendio della sua vita, stampato in Ro- ma nel1808 da un chierico regolare minore, dicesi del p. Quarantotti : già nel 1802 erastato pubblicato altro Compen- dio, intitolato al cardinal York ponente della causa); e di più loda la benemerita badessa da 43 anni suor Maria Teresa Prosperi- Buzi, anche per aver contribui- tocol suo impegno e premura all'amplia- zione del ristrettissimo antico monastero, coll'aggiunta del suddetto palazzo. Altre notizie le riferirò poi. Intantodirò col ine- desino scrittore, che in Cori in altri tem- pi vissero molte terziarie agostiniane e francescane, coll' abito proprio , celibi e osservanti le regole nelle rispettive case, specialmente nelle primarie. Senza diredi altre chiese della città, farò menzione del bellissimoe pubblico oratorio eretto nella parrocchia della ss. Trinità dalla pietà de corani a memoria e onore del gran con- cittadino b. Tommaso Placidi da Cori de' minori osservanti, di cui poi riparlerò, cou diseguodel valente Nicola Giansimoni ve- literno, contiguo alla stanza ove nacque, a cui solo mancava da ultimo il prospet to esterno. Tale architetto oltre l'avere prestato l'opera sua lodata gratuitamen . te, per riconoscenza d'essere rimasto il. leso da pericolosa caduta da cavallo nel recarsi a Cori, legò all'oratorio una som. ma per l'annua celebrazione di messe in VEL VEL 181 > r suffragio della propria anima. Riferisce Marchiafava, che di quest'ampio e deco roso oratorio gettò la1. pietra ne fonda- menti il conventuale mg. Filippo Anto. nio Butfa torinese vescovo di Zenopoli e suffraganeo d' Ostia e Velletri l'11 set- tembre 1792 ; indi solennemente bene- detto e aperto alla pubblica venerazione dall'altro suffraganeo mg. Geraldo Ma- cioti vescovo d' Eleusa , l' II settembre 1832, dopo aver solennemente benedet. te nella collegiata de' ss. Pietro e Paolo due campane, una per la medesima e l'al- tra per l'oratorio. Il quadro dell' altare maggiore di recente egregiamente lo di pinse il lodato cav. Manno palermitano, rappresentando il Beato in atto di fare le sante missioni ad una turba di uditori, Lo stesso artista e pel medesimo orato- rio, per altro altare dipinse l' immagine di s. Rocco. Egli già nel 1827 avea dipin- to stupendamente per la cappella del se. nato romano in Campidoglio, dopo che questo avea assunto il Beato per unode' suoi celesti protettori, il quadro descritto e assai encomiato dal n.º 8 del Diario di Roma del 1828, che pure riporta la la- pide eretta nella cappella colla dichiara- zione del quadro. Rappresentò il b. Tom. maso , quando negli ultimi di sua vita trovandosi in Cori nell' abitazione della famiglia de' Marchetti presso il tempio detto d'Ercole, che gli era carissima, con un semplice taumaturgo segno di croce istantaneamente guari il giovinetto Ortensio Marchetti d'un tumore carnosoche gli rendeva deforme il volto egli toglie- va interamente l'uso dell' occhio destro; il quale Ortensio in maggior età ebbe la ventura di venerarlo fra'beati, e di predicare lo stupendo prodigio di cui era sta- to soggetto. La beneficata faniglia fece incidere più rami del Beato e rappresen. tare il miracolo dal bulino del sommo Morghen, le quali incisioniil più volte ri- cordato Vincenzo Tommaso figlio d'Or tensio, teneramente divotissimo del glorioso concittadino , umiliò nella riferita circostanza a LeoneXII, col cui benepla. cito tuttoerasi operato, insieme ad un li- bro ascetico tutto vergato di propria ma- nodallo stesso beato e autenticato dalla s. c. de' Riti . Altro quadro che esprime il me. desimo prodigio esiste nella cappella oora torio domestico de Marchetti in Cori, de. dicata a Dio in onore del suo ven, servo, la quale gode il privilegio come la cappella di s. Filippo del Palazzo Massimo in Roma. Sono erette in questa città a ar. ciconfraternite er i confraternite, i cui con- frati vestono sacco , stabilite alcune nelle chiese parrocchiali e altre ne'pubblici o- ratorii delle medesime, tutte uffiziate da secolari. Sono l'arciconfraternite , quella rammentata della Madonnadel Soccorso, e l'altra di s. Rocco. Sono le confraternite,aggregate canonicamente all'arcicon- fraternite di Roma, due del ss. Sagra- mento, due del Gonfalone, del Suffragio, della Morte, di s. Girolamo della Carità, del Carmine, del Rosario, del Sagro Cuo- re di Gesù , di s. Francesco di Paola. So. dalizi senza sacco sono quelli della Cin- tura di s. Monica, del Terz'ordine di s. Francesco, delle sorelle di s. Vincenzo de Paoli, della B. V. Addolorata, del di Lei Sagro Cuore e Patrocinio. Gl'istituti di beneficenza e ospedali di Cori sono lodati da un articolo dell' Album di Roma, intitolato Cori,colla veduta della città dal la- to degli avanzidel tempiodi CastoreePol- luce; articolo riportato nel t.15, p. 257, una qualificato dal vero amor patrio del Marchetti, in una lettera a me scritta : O. norevole per Cori, elaborato, erudito, ma alquanto esagerato; lodando senza rimarchi quello di Nibby. Trovo nel Ricchi, che in Cori furono fondati 3 ospizi, uno pe'sacerdoti esteri, dalla pietà del capitano Lorenzo Chiary , però a beneplacito de' successori suoi , i quali a suo tempo continuavano la pia disposizione, somministrando per due giorni abitazione e vit- to, Gli altri due si destinarono per rico. vero de'miserabili passeggeri, a' quali se infermi si somministrava il necessario dal- 182 VEL VEL 0 le confraternite del Gonfalone. Fin dal settembre1778 fu eretta in Cori unapubblica letteraria e poetica adunanza col nome di Accademia de' soci Intrepidi, e ne fu 1. custode il dotto e virtuoso gesuita Felice di Dio napoletano, morto in casa de'Corbi dove abitò per molti anni, ce- lebrato dal Marchiafava eziandio per avere composto l'erudita ed elegante introdu zione in prosa nella fausta occasione della coronazionedella Madonnadel Soccorso, che fu la1.a tornata accademica. Que stasolennemente si tenne in quel santuario dopo il vespero del 3.° giorno del tri- duo, recitandosi pure molti brillanti poe- tici componimenti allusivi alla gioconda solennità edi encomio alla prodigiosa Im magine, e intramezzati da vari concerti d'organo e di stromenti da fiato. L'acca- demia prese per insegna un albero d'al. Joro, con un fulmine accanto, e l'epigra. fe: Ne quidem fulmina terrent. Dissi già, che da Cori per la porta Romana e ameno passaggio si va aʼvicini suburbani del- la bella e decorosa chiesa ed ampio e con- veniente convento di s. Francesco de'mi nori osservanti, situati in delizioso picco- Jocolle, e descritti dal p. Casimiro da Ro- ma. In questo sito anticamente era la chie sa di s. Margherita e il monastero delle monache di s. Agostino, da esse abbando- nati nel secolo XV, di maniera che sì la chiesa e sì il monastero erano prossimial- Ja totale rovina. Il perchè dal comunedi Cora, amante de' figli di s. Francesco, fu chiesto a Nicolò Vil permesso di fabbri- care nel medesimo luogo un convento a' frati minori; ed il Papa non meno desi- deroso di compiacere i corani, che di fa- vorire i religiosi , ne commise l'affarea Ni- colò di Lorenzo arciprete B. Mariae de Plebe, col breve Pia Deo, de 20 aprile 1451. Sebbene l'arciprete procedesse per rimuovervi Pietruccio Lodovici chierico di Velletri che aveali occupati, e ne pronunziasse sentenza a'a 1 giugno, questa e il breve non ebbero alcun effetto. Però i corani non abbandonaronol'impresa, fors'anche per solenne voto fatto, ovvero per sperare dall'orazioni de'francescani la cessazione delle gravi e perniciose discordie, dalungo tempo insorte tra'nobili e il po- polo, onde temevasi che la città non avesse in breve a restare disabitata e con pregiudizio di loro anime. Laonde nel prin- cipio del secolo seguente i corani fecero nuove istanze al ministro della provincia romana de'minori osservanti, ed insieme al proprio vescovocardinal Riario, il quale gli esaudì con diploma de' 27 giugno 1511, diretto Dilectis Nobis in Christo novemBonis hominibus, concilio et Com. muni civitatis Corae salutem in Domi- nosempiternam. Pertantoil comune conseguò a' frati la piccola chiesa di s. Gio, Battista, nè piùsi parlòdi quella di s. Margherita, di cui non è rimasto che il nome. Già nel1516 i frati aveano preso possesso della chiesa, la quale solo abbracciava lo spazio formante il coro e presbiterio della presente. Indi i corani principiaro no la fabbrica del nuovo convento e l'ingrandimento della chiesa , precisamente nel sito detto Serrone, e con pia genero- sitàdonarono pure case e possessioni, non essendovi povero alcuno che non offrisse qualche cosa per la fabbrica della chiesa, il tutto ratificato dal comune con forinaleatto del 1517. Proseguendosi la fabbrica del convento , fu chiesto a Clemente VII il necessario beneplacito apostolico, e lo concesse al ministro della provincia col breve Cum Universitas, de' 5 aprile 1525, data che corregge l'errate da Gon- zaga, Piazza, Ricchi e Nibby, attribuen- doloessi al 1521 , e mentre Clemente VII fu eletto nel 1523; errore ripetuto anche da altri corani moderni. Continuandosi a compiere le fabbriche della chiesa e del convento, finalmente restarono perfezio- nate nel 1628, sempre co'successivi soccorsi del comune e di molti particolari ; tranne il nobile soffitto dell'unica nave lodevolmente intagliato ericcamente dorato da Luigi Guarniero, colla figura di s. Francesco d'Asisi nel mezzo, che priu VEL VEL 183 cipiato nel 1673 ebbe fine nel1676, con- tribuendovi precipuamente Rosato Bue- ciarelli . Per ultimo a'4 giugno 1686 la chiesa fu solennemente consagrata da mg. Antonio Marinari carmelitano vescovo di Tagaste e suffraganeo di Velletri. Quattro altari ornati di stucchi sono dal lato dell'Epistola e altrettante cappel- leda quelle del Vangelo , alcune delle quali gentilizie, come quella dell' Immacolata Concezione della famiglia Luzj , di tutte rendendone ragione il p. Casimiro e riferendo l' iscrizioni della chiesa, anco non più esistenti, in uno al copio. sissimo catalogo delle ss. Reliquie ediver- se insigni, tutte autenticate , oltrechè vi si venera il corpo di s. Vincenzo martire. Esprime la tavola dell'altare maggio. re la B. Vergine in atto d'adorare il divin Figlio giacente, con altri Santi alato, fra'quali s. Gio. Battista. In questa chie. sa i religiosi celebrarono la promulgazio. ne del dogma sull'Immacolato Concepimento di Maria Vergine, con esporrel'antico e venerato suo simulacro, come notai nel vol . LXXIII, p. 91. Il convento è capace di molti religiosi, e nel 1710 da Orvieto vi fu trasferito il noviziato. Nel chiostro si vedono gli stemmi del comune e de'corani che contribuirono alla fab. brica e alle pitture. Il refettorio ha sedili di noce adorni di belli intagli , e sopra i pilastrini che girano intorno fr. Vincenzo da Bassiano, che celebrai in quel pa- ragrafo valente scultore in legno, con molta pazienza e fatica (con poco gusto dice Nibby) scolpi le gesta di s. Francesco d' Asisi . Il vasto oliveto, ch'è a destra, uscendo dalla chiesa, ha il nome d' Insito, ed in esso presso la strada da Cori a Cister- na vedesi un piccolo edifizio rotondo dei tempi bassi, ed una chiesuola dedicata al. l'Annunziata sulla via medesima. Questa appartiene al secolo XIV , e sulla parte arcuatain forma gotica è un'epigrafe d'un ispagnolo che invita a dire unpater no. ster per l'anima sua; e di fiauco si vede un'arma col leonerampante. Questa chiesuola conservapitture rappresentanti sto riedelvecchio Testamento,di detto seco- lo. Dice Nibby: Buono e diligente è il con- torno, l'espressione e il colorito imitano bene la natura, male figure riescono gret. te, e la mossa è stentata. Anticamente Cori ebbe altre religiose famiglie, edue mo- nasteri di monaci benedettini cassinesi, u- no fuori della città a piè della selva nella contrada ora detta Badia, la cui chie. sa era dedicata a' ss. Erasmo e Clemen. te, e se ne vedono i vestigi; l'altro mo. nastero era dentro la città colla chiesa di s. Maria della ss. Trinità, ora parrocchia. le. Ambedue i monasteri colle loro pingui entrate dipoi furono riuniti al monastero de'benedettini di s. Angelo sopra Ninfa, ed in seguito a quello di s. Scolasti- ca di Subiaco, i di cui monaci ritengono il padronato della chiesa della ss. Trinità , coll' obbligo di sua manutenzione. [ canonici regolari di s. Antonio abbate di Vienna aveano il monastero fuori di por ta Segnina colla chiesa di s. Antonio, ma s'ignora l'epoca di loro introduzione; furouo soppressi da Clemente XIV, quan do già non più vi risiedevano, e la chiesa co'beni nel 1789 furono concessi da Pio VI alle monache clarisse di Cori , colla privativa prerogativa di far benedire gli animali nella festa di s. Antonio , che ora celebrasi nella chiesa del monastero delle medesime, ove fu trasferita la bellissi - ma statua del santo dalla sua chiesa ove si venerava, e in cui prima si benediceva- no gli animali. Inoltre anticamente esiste. va in Cori un monastero di monache a. gostiniane fuori della città alle falde del monte Corvino, sotto il titolo di s. Margherita vergine e martire , il cui amplo fabbricato ora si possiede da'Della Porta, e tuttora chiamasis. Margherita. Fu esso soppresso da Urbano III Papa morto nel 1187, allorquando prescrisse la perpetua clausura alle monache, megliopoi ingiun. ta da Bonifacio VIII. Tanto narra il Marchiafava; ma quanto alle agostiniane de- vesi tenere in considerazione quanto più 184 VEL VEL sopra dissi col p. Casimiro, sebbene pri- ma di lui il Ricchi avesse raccontato il ri . prodotto da Marchiafava. Ma sui bene- dettini è bene non tacere quanto ne scrisse il p. Casimiro , comechè in parte di versifica dall'esposto con Marchiafava, e contienealtre notizie. Credonoalcuni che i benedettini avessero in Cori Monaste. rium s. Maximi Montis Corae, e inoltre Ja chiesa di s. Leonardo; ma egli non ne trovò sicuro riscontro. Non così può dirsi del monastero della ss. Trinità, situato eirca 2 miglia fuori della città, oggi to. talmente distrutto; poichè risulta dalla cronaca di Subiaco, che Pasquale II ver- so il 1114 loricevèsottola protezione per petuadella s. Sede, e Gregorio Xnel 1275 l'uni all'altro celebre monastero di s. An. gelo sopra Ninfa, detto pure s. Maria di Monte Mirteto, fabbricato nel 1216 dal cardinal Conti poi Gregorio IX. Nel 1288 il monastero della ss. Trinità essendo restato senza monaci, il cardinal LatinoOr. sini vescovo ordinò all' abbate di s. Angelo che di continuo dovesse mantener vi 4 monaci e 2 conversi; ed in segnodi riverenza e di soggezione offrire un cereo di 4 libbre alla cattedrale di Velletri nel giorno di s. Clemente; il che fu confer- matocon bolla delcontemporaneo Nicolò IV. Membro di tal monastero fu la chiesadi s. Maria del Monte , ossia della ss. Trinità, la quale tuttavia riconosce l'ab- bate di s. Scolastica. Nel secolo XIII ne aveano cura 3 chierici, e penetrandoGregorio IX che si volevano aumentare , or- dinò alla chiesa in eodem numero esset contenta. Pare che nella chiesa della ss. Trinità vi fosse sepolto alcun abbate, poi- chè il p. Casimiro riporta l'epitaflio del pio abbate Alberto da Cori, morto col ti- tolo di beato nel monastero di s. Angelo secondo altri. Delle chiese e romitorii che nel principio del secolo XVI esistevano ne'dintorni di Cori, si può vedere il Ric chi; e Marocco fa menzione della basilica dis. Teodoro in Coranis finibus,decorata di splendide pitture da Papa Sergio II . L' origine de' primi abitatori di Cori , come quella di tante altre città del vecchio Lazio, si perde nella notte oscura de' secoli; tuttavolta si sa, per attestato di più autori antichi e moderni , riferiti dal Ric. chi , dal Viola, dal Nibby , per non dire d'altri, che Dardano ne fu il 1.º fondatore, il quale fabbricò Dardania, poi appel lata Troia , circa il principio del secolo XXV dopo la creazione del mondo, qua- si corrispondente all' anno 1680 prima dell'era nostra . In questo computo l'an- tichità di Cori può fissarsi a circa 8 secoli innanzi la fondazione di Roma(V.). Così il Viola, illustre storico eziandio di Tivoli(P.) sua nobilissima e celebre patria. Egli soggiunge: Non essendo improbabi- le che le volsche contrade e altri luoghi dell'anticoLazio,prima dell'arrivo diDardano fossero abitate daʼsiculi eda altri po- poli barbari, così l' antichità de' primi a- bitatori del Monte, dove ora siede Cori, deve spingersi all'epoca anteriore dell'e- sistenza di Dardano, Protesta Viola, che quandosi occupò a compilare la Storia di Tivoli, concepì il pensiero di riunire in pari tempo le memorie relativea Ca. tillo ed a Corace fratelli di Tiburto, e figlidel vecchio argivo Catillo, il qualedal. lecolline soprastanti l'Aniene cacciò i barbari e v'introdusse l' incivilimento. Se scarsi furono i monumenti trovati di Catillogiuniore, noncosì gli avvenne per Co- race , del quale conobbe : che fratello a Tiburto, e marciando sull' ormedel ge- nitore Catillo seniore, fin da'fondamenti rialzò una città, che per l'origine vetusta poteva gareggiare con quella dal padre suo costruita sulle rive dell' Aniene; che un medesimo culto religioso nell'uno e nell'altro era vigente; e che gli Dei pro. tettori della città cui diè il nome Tıburto, erano egualmente tutelari della città da Corace restaurata. Conobbe altresì il Viola , che Cori prima e dopo la fonda- zione di Roma in modo luminoso ne' fasti della storia figurava , e che ne' secoli successivi allo stabilimento dell' era cor VEL VEL 185 rente fu d' uomini dotti e illustri così feconda , che poche città nel Lazio e nelle volsche contrade collocate, vantar si po- tevano di pareggiarla. Allora Violasi determinò d'intraprendere la compilazione delle Memorie storiche di Cori, ma confessa che il suo intendimento o sarebbe affatto mancato o terminato imperfetto, se un cittadino corano in suo soccorso non fosse venuto. Avendo comunicato il suo progetto all' egregio Vincenzo Mar- chetti , già da lui conosciuto per un cittadino da vero amor di patria animato, si compiacque dargli de'lumi, sommini- strargli dell'istruzioni e fornirlo di schia. rimenti e di non pochi materiali all'uo- po analoghi e confacenti . De'quali avendo potuto il Viola profittare , ebbe lena di progredire nell'incominciato lavoro; e se al termine di esso pervenne, allo zelo ealla gentilezza di quel corano saggio e dabbene se ne chiamò debitore, colla riferita precisa dichiarazione. Premesse queste nozioni, ripiglio col Viola il filo di questi miei cenni, e come tali ripeto l'av. vertenza, che anco nel Viola sono innumerevoli l'autorità di scrittori colle quali tesse la sua narrazione, che dalla brevi. tàmi è vietato ricordare, ed in esso si ponno leggere le tante iscrizioni corane che riporta illustrate con moltissimeerudizio- ni e critica. Nell'anno del mondo 2807, ossia circa tre secoli e mezzodopo Darda no, approdò sulle spiaggie latine l'arca- de Evandro econ esso Catillo seniore ammiraglio di sua flotta e figlio del fanoso Anfiarao. Questo Catillo, a cui in Italia nacquero 3 figli , Tiburto , Corace eCatillo giuniore, dopo avere espulsogli aborigeni , possessori delle colline sulle quali sorge Tivoli, ne migliorò la forma, v'introdusse la civiltà, e l'abbelli col nomedel primogenito Tiburto. Il secondo genito Corace si portò a sollevare dalle rovine e rifabbricare la città di Dardano, dallabarbarie de'tempi e dagli anni qua. si distrutta, per cui prese quindi il nome di Cora; nome che sempre ha conser , vato ſino a'secoli più civilizzati dell' impero romano, e ne' successivi non soffri variazione che nella sola ultima lettera del suo vocabolo dicendosi Cori. Secondo però il Ricchi, il primitivo nome del- la città fu Corito , noine del padre del fondatore Dardano, cioè Giove re d'ltalia ; e fuggito Dardano da Corito per a- vere privato di vita Jasio suo fratello maggiore, il dominio della città restò al proprio figlio Corillo , il quale poi l'abbandonò, in uno agli abitanti, per non esser vittima d'un ferocissimo serpente o drago, nato dopo il fratricidio, e che secon do l'oracolo riuscì a Corace d' uccidere. Di questo laconico cenno, al molto che ne scrive Ricchi , il Viola non ne parla, sebbene citi il patrio scrittore, per convenire che Corace fu il 2.° fondatore e re. stauratore di Cora vetustissima città; poi- chè la riedificò dalle rovine , la cinse di mura e di fortificazioni , laonde e per questo e per la somiglianza del nome ne fu creduto fondatore. Nibby, che dopo il Vio- la pubblicò la dotta sua opera, riportan- do diverse testimonianze , queste dicono che i corani derivarono da Dardano troianoe fondatore di Cora, mentre altri attribuiscono la fondazione a Coras o Corace. Conclude Nibby, che secondo le tradizioni seguite da Plinio e da Solino, la fondazione di Cora rimonta alla venuta de'secondi pelasgi in queste contrade, cioè secondo i calcoli di Petit Radel, all' anno 1470 avanti l'era nostra, ossia 716 primadella fondazione di Roma, e 70 prima di quella d'Ardea; l'anno medesimo che si assegna per l'edificazione di Cosa e di Saturnia. E siccome Tirinto fu edificato per Preto da' ciclopi l'anno1379 avanti l'era nostra, e Micene da Perseo l'anno 1300; quindi Cora, dichiara Nibby, è non solo una delle più antiche città d'Italia, ma una delle più antiche del mondo. Se poi vuolsi stare alla tradizione di Servio, il quale non dice Cora fabbricata da Co- ras, macosì denominata da lui, rimonterebbe la sua fondazione all'anno1230cir 186 VEL VEL ca innanzi la detta era volgare, Calindri e Castellano sulla fondazione di Cora sono d'accordo con Viola, e si può dire an- che il Nicolai , solamente variando il no- me del padre di Corace, che chiama An- fiarao, mentre ne fu avo. Corace introdusse tra'corani il culto de'numi dal pa. dre dati a Tibur, onde i tiburtinie i corani ebbero uniforme il culto ad Ercole segnatamente, ad Apollo, ad Esculapio, alla Fortuna. Anzi congettura Corradi- ni, che come i tiburtini a Tiburto , così aCorace i corani rendessero onori divi . ni. Vivendo ancora Catillo seniore ed i suoi figli , seguì il famoso eccidio di Troia, e quindi l'arrivo d'Enea nelle spiagge di Laurento, nell' anno del mondo 2798 e circa l'anno 1206 prima della presente era. Nella guerra famosa dalla presenza edalle pretensioni d' Enea suscitata nel Lazio (nel quale articolo trattai puredelle 3 successive capitali del regno latino, Laurento , Lanuvio e Alba Longa), Ca- tillo e il suo fratello Corace fecero unaluminosa figura; e dal testo di Virgilio , il Viola ne deduce che Corace non avesse ancora lasciate le mura tiburtine, perciò presumibile, che la riedificazione di Cori e l'operato da lui su questa città, seguì dopo terminata la guerra, perla quale E. nea divenne possessore del regno latino. In quello del figlio Ascanio, da questi si fabbricò Alba Longa, perchè Lanuvio sede e capitale del regno era incapace con- tenere la moltiplicata popolazione. Cori in quel tempo già figurava fra le prime città dell' antico Lazio, in quella parte compresa nel paese volsco. Latino Silvio successore d' Ascanio , per attaccarla agl'interessi di sua dinastia, vi spedi una colonia d'albani. Alba Longa distrutta poi da Tullo Ostilio 3.º re di Roma, que- sti intimo soggezione a Cori e all'altre colonie albane, le quali ricusandosi, nel ge- neral congresso al bosco di Ferentino de- cisero difendere la loro indipendenza, ed atal effetto scelsero a comandanti dell'esercito Anco Publicio ragguardevole corano e Spurio Vecilio laviniese, con pieni poteri per la pace eper la guerra. Questa durò 5 anni , e neltog di Roma si fece pace, conservando Cori e le città confederate la loro indipendenza, i due duci avendo corrisposto alla comune fiducia. Merita osservazione la scelta di Anco, poichè mostra che Cora si distingueva per potenza e per autorità. Espulso da Roma ilre Tarquinio il Superbo, abolita nel 244 la regia autorità e proclamata la repubblica, accorse a difendere il deposto Porsenna re degli etrusci, che però fu allontanato dalle mura di Roma dall' ardite imprese de'romani. In questi primi movimenti i volsci non ebbero parte, e pare che non prima del 255 di Roma comin- ciasserole ostilità. Imperocchè in tale anno lafazione degli espulsi Tarquini si procu- rò laconfederazione di varie città volsche elatine,e mosse guerraaʼromani, i quali fecero tutti gli sforzi per evitarla mandando emissari a Cori e nell'altre città della le- ga, ed alquanto ne spensero l'entusiasmo. Perciò nella campagna del 256 poco si o- però, e nella seguente del 257 i romani avendo saputo chei volsci marciavano per unirsi a' latini presso il lago Regillo , questi attaccarono con furore e ne fecero orribile strage con completa vittoria. Sopraggiunto l'esercito volsco nel dìseguen - te, spaventato della perdita degli alleatie del contegnode'romani, se ne tornòal suo paese. I romani a vendicarsi de' volsci, nel 258 spinsero un'armata nelle loro cam- pagne. Sorpresi i volsci dall' improvviso assalto , procurarono di calmare il nemi. co, esibendo in ostaggio 300 giovanetti delle primarie famiglie di Pomezia e di Cora; il che dimostra quanto quest' ultimaera rispettabile, doviziosa e popolata, e somministrò i figli de'più ragguardevoli cittadini. Ritiratisi i romani , i volsci volendo vendicar l' onta ricevuta, procuraronsi segrete alleanze co'popoli circostan- ti, per invadere gli stati romani, senza curare l' esposizione in cui ponevano i 300 ostaggi. Cominciata la guerra, i volsci re VEL VEL 187 starono rotti e fugati dal console Servilio, ed espugnata Pomezia, i romani passaro- no a fil di spada gli abitanti giunti all'e- tà pubere. Questo sinistro avvenimento decise eziandio della sorte de'30o giova- netti dati in ostaggio, che trovavansiinRo ma, da AppioClaudio fatti tradurre nel- la pubblica piazza , battere crudelmente con verghe e indi decapitare. Eben fa- cile immaginarsi la costernazione e il lutto cagionato alle primarie famiglie di Cori, dalla crudele carneficina di tante vittime innocenti . I romani quindi ridussero a co- lonie latine le città di Cora e Pomezia, spogliandole della loro indipendenza. Gli aurunci confinanti de' volsci e loro amici, nello stesso 258 mossero guerra a' roma- ni , ed i corani e pometini irritati dalle pa- tite sevizie, disertarono daʼromani e si unirono a'bellicosi aurunci per vendicarsi, I collegati invasero il territorio romanofi- no all'Aricia; ma furono completamente battuti e costretti a precipitosa fuga. Quindi i romani marciarono su Pomezia , la distrussero e venderono i coloni all'in- canto, e pare che anco i corani fossero così venduti . Negli anni 259 e 260 di Roma continuò la guerra fra questa e i volsci ; nel 1.º di tali anni fu espugnata Vel- Jetri , e nel 2.º fu preso Corioli, sotto le cui mura il famoso Marcio Coriolanodiè pro- ve di rara intrepidezza. Alla guerra suc- cesse nel 291 una fiera pestilenza, cheper- cosse le contrade volsche , di Velletri restando solamente laro." parte degli abi- tanti. La vicina Cori non può non essere stata a minore infortunio sottoposta, on. de il contagio dovè recare al colmo le sue amarezze, Nel 265 quando Corie Velletri appena cominciavano a risorgere dalle sofferte calamità , il romano Marcio Co. riolano fu dall'ingrata patria bandito. Ac. colto dall' ospitalità de' volsci , portò fra questi gli elementi di nuove guerre e ro- vine, Divenuto capitanod'un esercito vol- sco, marciò Coriolano alla volta di Roma, diffondendo per tutto lo spavento e la morte; e sembra che anco Cori restasse 0 in questa invasione compresa. Ma la pru- deuza de' suoi magistrati seppe disimpe- gnarsi dal pericoloso frangente con un'o- nestacapitolazione.Dopotale avvenimen- to può ritenersi Cora risorta dalle sue scia. gure, e che fosse trattata dal senato roma - no con ispeciale considerazione, per la sa- viezza delle di lei antiche leggi, e pel ran- go rispettabile che avea fino allora oc- cupato. La repubblica romana, sul prin- cipio del secolo IVdi sua esistenza, formò il codice di sua giurisprudenza, compreso nelle famose XII tavole; to di queste pub- blicate nel 303, abbracciavano leggi di Licurgo e Solone portate di Grecia. Le altre 2 tavole furono formate.colla scel - ta delle particolari istituzioni delle città italiane a Roma più vicine , fra le quali si annovera Cori , onde il Volpi esclamò : Tanta Coranorum aequitatis acjusti. tiaefama apud romanos aliquando te- nuit. Le città volsche tuttora indipenden- ti , o diventate colonie romane, cercarono di tanto in tanto di rinnovare Postilità contro Roma; ma finalmente nel 367 con- quistate dal dittatore Furio Camillo , il loro paese fu ridotto a guisa di provincia romana. Frattanto i corani, oltre i nominati Numi, ad altri resero culto; tali furo- no Castore e Polluce, a'quali il primario corano Marco Calvio fabbricò col denaro sagro il discorso tempio, con magnifico portico sostenuto da 60 colonne di dori- ca, corintia ed etrusca architettura. Pre- tende il Volpi che in Gori si rese culto pure ad Eolo e Giano; fors'anche a Diana: certamente a Cerere , a Proserpina, a Bacco; pare altresì a Igiea , ed a Leu- cotea sotto il titolo di Madre Matuta; il Sole vi ebbe splendido tempio. Diverse dell' indicate deità furono introdotte in Cori e in altre città volsche dopo il 367 daʼromani; poichè ordinariamente il cul- to religioso de'vincitori diveniva comune a' popoli vinti. Le ragioni pro et contra e le illustrazioni del Viola, a me non è dato riportare. Dopo la narrata conqui- sta, sembra che per alcuni anni le popo 188 VEL VEL lazioni volsche soffrissero rassegnate il giogoimpostolorodalla repubblica roma. na; ma nel 425il famoso Vitruvio Vacco privernate tentò di ridestarne le spe. ranze e l'ardore marziale. Cominciati con qualche successo i concepiti disegni, non. dimeno i corani vista la debolezza della di lui causa, e con essi la maggior parte de'volsci, non si fecero strascinare dall'in- considerata ribellione ; per cui Vitruvio disperatamente si gettòa devastarelestesse città volsche, fra le quali Sezze, Cori e Norba. La repubblica spedì in loro soccorso il console Papirio. Nel 542 mar- ciando il cartaginese Annibale alla volta di Roma, il proconsole Q. Fulvio, essen. do sicuro della lealtà de'corani e di altre città lungo la via Appia, fece in esse riti rare i presidii e preparare le vettovaglie. In siffatte pericolose posizioni del gover- no romano, anche i guerrieri corani pugnaronosotto lesue insegne. Però nel 544 edopo 8 anni dacchè i romani trovavansi affaticati dall'armi vittoriose delformidabile Annibale, alcune colonie , fra le quali anche Cori , essendosi rese esauste d'uomini e didenaro, nè potendo più reg. gere al peso delle continue e forti requisizioni , cominciarono a disgustarsi d' una guerra così rovinosa e a mormorare con - tro Roma altamente. Queste lagnanze de' corani e d'altre impoverite popolazioni, resero inutili le premure del senato per ottenere nuovi sussidii; ed esso tacque per non accrescere il numero de' suoi nemici, sebbene dopo la vittoria de'romani al Metauro, Cori e le altre colonie furono multate di dare il doppio de' soldati già forniti , aggiungervi 120 cavalieri , o 3 fanti per ogni cavaliere che non avessero po- tuto dare, e pagare 1000 assi di bronzo massimo ogni anno. Livio ciò narrando, chiama Cori tra le colonie romane, anzi due anni prima la novera tra'municipii; ma avanti del 663, in cui fu pubblicata la legge Giulia , le colonie e le stesse città confederate chiamavansi promiscuamen- te ancora municipii. Quanto a Cori , meglio è ritenere che fosse allora colonia romana soltanto, e di tale grado ne fanno testimonianza più marmi antichi ; e Nibby difende Livio dall' apparente contraddizione, perchè fiorendo a' tempi di Augusto, Cori era già divenuto municipio. Esoggiunge Viola, neppure puòinettersi in dubbio che una volta fu anche municipio romano, come risulta da altri marmi, cioè nel secolo VII di Roma. Nel 680 seguì la ribellione di Spartaco, ma Cori si tenne prudentemente attaccata agl'interessi della repubblica, per cui fu molestata dalle suemilitari scorrerie, che faceva per tutta la Campania: però Nib- by dubita che propriamente Cori soffrisse da quell'orde. Cori dopo essere stata colonia albana, latina e romana, non che municipio, sesussistesse l'opinione del Panvinio seguita dal Volpi, avrebbe indi minorato di condizionee si sarebbe finalwente ridotta all'inferiore stato di prefettura, nel principio dell'era nostra e sotto l'impero di Claudio. Viola riporta ragioni per non doversi credere tale opinione, e perciò più probabile che Cori siasi lungo tempo mantenuta nello stato di municipio romano. Il Piazza, seguito dal Ricchi , sull' autorità di Giulio Ossequente, Deprodig., suppone che nel consolato di Appio Claudio e P. Metello scaturissero in Cori dal suolo de'rivi di sangue; poichè il Piazza ravvisa Cori nel nome di Caurae o Caura , in cui avvenne il portento. Niun altro degli antichi o moderni scrittori chiamò questa città con tal vocabolo. Rammento avere in principio riferito col Nibby, che 88 anni avanti la nostra era , Cori restò devastata dalle genti di Mario, per avere con altre colonie segui . to il partito di Silla, il quale poi la fece ri- sorgere dalle sue rovine. Seguendo per questo paragrafo il metodo di Viola, che discorre degl' illustri corani cronologica- meute secondo l' epoche in cai fiorirono, qui dirò essere molto probabile, che sul fine del V o sul principio del VI secolo di Roma, quivi si stabilisse la famiglia Po- VEL VEL 189 blicii proveniente da Cori, forse dello sti pitedel summentovato Anco; è poi indubitato che tale famiglia romana derivasse da Cori , ed ebbe quegli illustri che descrive Viola. A Caio Publicio, figlio del tribunodella plebe Lucio, il popolo roma- nodecretò ad esso e suoi posteri la facol- tà di potersi seppellire in Roma , e ne fu a spese pubbliche destinato il luogo pres- so il Campidoglio. Gli avanzi del sepolcro esistenti e formati di grandi quadri di pietratiburtini, li descrissi nelvol. LXIV, p.138. Oltre la famiglia de'Poblicii, non minor gloria recò la Oppia egualmente originaria della medesima città,della qua. le si conosce Caio Oppio sestoviro augu. stale, nominato nell'iscrizione relativa ad Esculapio e ad Igiea ; mentre quatuorviro augustale fu Marco Turpilio che in Co. ri dedicò il tempio di Cerere edi Proser- pina. Durante la famosa proscrizione del triumvirato di Marc' Antonio e de' suoi colleghi, la storia fa menzione d'uno del la famiglia Oppia, che involto fra gli or. rori di quella , fu salvato dall' amorosa pietà d'un figlio in un modo singolare; il quale portò il vecchio padre sulle spalle, finchè il trasse fuori della città,e con gran. dissima fatica, fuori di strada e perluoghi occulti , lo condusse in Sicilia. Fusì grandela compassione che destò in tutti si mi- rabile pietà figliale, che uiuno ne impedì il cammino. Il popolo romano lodato il giovanetto, lo creò quindi edile: e perchè le sostanze paterne erano state confiscate, enon poteva supplire alla spesa che por- tavasiffatta magistratura, gli artefici contribuironoa tale spesa con tanta genero- sità e magnificenza, che al giovane Oppio non solamente fu data la facoltà di poter spendere quanto bisognava per celebrare i pubblici giuochi, conformemen. te alle leggi edilizie , ma gli avanzarono tante somune, che rimase ricchissimo. Un Caio Manneio cittadino corano fu eccelJente nell'arte mimica, e perciò appellato archimimo, e secondo alcuni pare fiorito primaassai d'Augusto,al cui tempoalcuni voglionointrodotte le rappresentanze mi- miche; altri a motivo del vocabolo, meglio lo dicono vissutorelt.° secolo di nostra era o anche dopo. Cessato il triumviratodi Marc'Antonio, cagione funestadi tante stragi e della perdita di tanti uomini illustri, surse finalmente un nuovo ordi . ne politico di governo, collo stabilimento dell'imperiale autorità fondata da Augusto. Quanto alla condizione di Cori , al riferiredi Volpi, dopo lo stabilimentodel grande impero e nel 1.° secolo dell' era corrente, sarebbe divenuta un mucchio di rovine, mentre a'tempi di Claudio la dice ridotta a prefettura e perciò esistente. Viola nell'esaminare la contraddizione del racconto, dichiara essere indubitata l'esistenza di Cori sotto l'impero d'Augusto e de'suoi successori, e di con. seguenza nel1.° secolo di nostra era sus- sisteva in uno stato soddisfacente. Ne pro- duce le prove, fra le quali il restauro del tempio d' Ercole, per la vecchiezza minaccianté rovina, per operadi Marco Calvio, che il Vignoli disse averlo fabbricato di pianta; e l'esistenza d'altri culti in pie. no vigore, per altri restauri eseguiti, co- me di M. Turpilio, perciò eranvi cittadini molto facoltosi, e la città tuttavia era florida. Soggiunge Viola, se dovesse credersi alla volgare tradizione,il famosoPon- zio Pilato governatore della Giudea a- vrebbe in Cori esercitata la caricadi pre- tore , ed avrebbe posseduto eziandio nel di lei territorio una villa, di cui si presu- me osservarsi anche a'giorni presenti delle notabili reliquie , ossia ne' sotterranei della vigna dell'arciprete AlessandroPic- chionia'tempi di Laurienticorano, autore dell'Historiae Coranae mss., per corruzione di vocabolo: quae Caesa Pontii, quasi Casa Pontii vocatur. Ma questo fatto è così privo di prove , e sterile di monumenti atti a fissare l'attenzione degli eruditi, che lo stesso Laurienti ridusse la cosaa semplice congettura. Il Volpi poi caratterizza il fatto medesimo per un rac- conto favoloso. Leggo in Ricchi: Edeguo 190 VEL VEL d'osservazione lo smisurato edifizio formato di macigni addossato a piè dell' a- spra rupe che va piegandosi nel giardi. no del già convento degli agostiniani , vo- Jendosi che ivi poggiasse ilfastigiodel gran palazzo della curia antica, in cui il volgo sparse voce che fosse la residenza delpresi- dePilato, nel governar Cora avanti d'emapare l'iniqua sentenza contro l'innocente Gesù. Congettura e menzogna, che Ric- chi dice comprendersi da s. Luca , e da Cornelio a Lapide che scrisse , Pilato al- tro non significare che preside , rettore, podestà o principe. Menzogna e invenzio- ne dice il grido diffuso ne' dintorni , col chiamar Cora patria dello stesso Pilato, ch'ebbe i natali in Lione di Francia, dove pe' molti suoi delitti rilegato da Tiberio in luogo da essa alquanto distante presso un lago, vi morì miseramente in obbro- brio a tutte le genti cristiane , e forse s'uccisedi propria mano, secondogli serittori che adduce. Unerudito della provin. cia , in argomento midonò un mss. con questo titolo. » Copia di lettera e sentenza rinvenuta nell'archivio dell'antica città di Cori , dove Ponzio Pilato ha dimorato per qualche tempo dopo di esser fuggito da Gerusalemme". In fine vi è pure la copia della sottoscrizione per la legalità dell'estratto dall'archivio di Cori, di Sante Lorenzo Cicinelli corano notaro pub- blico, colla data 25 novembre1757. Ma amtnesso e non concesso che Pilato fosse stato in Cori, non per questo alla città può derivarne affatto alcun disdoro; come non lo recò alla celeberrima Gerusa lemme, oggetto della universaledivozione del cristianesimo , ed emporio di glorie sagre e civili . La lettera scritta da Pilato in Gerusalemme , o da Lentulo uffiziale romano , a Tiberio e al senato romano intorno la divina persona di Gesù Cri- sto, tenuta evidentemente apocrifa, trovasi in latino in non pochi codici delle li- brerie di Roma. Ilch.cav. SalvatoreBet- ti pubblicò nel t. 20, p. 43 dell' Album diRomaun articolo intitolato: Supposta lettera di Pilato o di Lentulo suila divina personadel Redentore. Indi segue aconfronto quella nel 1816 stampata in Roma da Guglielmo Manzi ne'suoi: Te- sti di lingua tratti da' codici della Biblioteca Vaticanae volgarizzata nel 300. Nibbypubblicò la lapide incassata nel mu rodel campanile di s. Maria, d'un libertodi Claudio, che prova essere stata allora Go- ri municipio, nominandovisi il senato e popolo corano. Dice Marocco, che Nerone fece strage di Cori , e poi recandovisi ne provò diletto per la sua ubicazione, cli. ma salubre e celebri vini , onde vi si por- tava nell' estate. Viola dice, egualmente favolosa si deve credere la pretesa male. dizione data da s. Pietro principe degli Apostoli al popolo di Cori, perchè mole- stava gli abitanti di Velletri ; quale maledizione supponevasi risultare da una per gamena esistente nell'archivio veliterno, come segue accennata dal Piazza a p. 48 della Gerarchia Cardinalizia. » V'ha non improbabile opinione che quivi (in Cori) piantasse la fede s. Pietro, onde è che la chiesa più antica di detta città sia dedicata al medesimo santo. Altri dissero, che pe'luoghi vicini a Roma fosse de- stinato s. Cleto Papa, eche quivi pure vi piantasse il primo la religione cristiana; nè vi è mancato chi ha asserito che nell'archivio di detta città vi fosse una scrit- tura in carta pergamena, nella quale stava registrata una maledizione data da s. Pietro a que' di Cori, perchè molestavano i popoli Veliterni ". Anche a questo fatto, aggiunge Viola, mancano prove e monumenti sicuri. Ma io a favore di Cori dirò di più. Riscontrato il Piazza , e trovato citato il veliterno Theuli, ecco il riferito da questi a p. 135, nel narrare che s. Pietro scorrendo l'Italia per piantarvi la fede, deputò alla cura de'fedeli di Ro- ma Lino e pe'luoghi convicini Cleto. » Da questo faccio argomento, che Pietro o nel partire da Roma o nel venir da Napoli, istruisse nella fede di Cristo li popoli Ve- literui; se non vogliamo dire, che fosse VEL VEL 191 Cleto, deputato al medesimo effetto ne' luoghi vicini. Il pentimento del d. Quin- tiliano Crespini, figlio di Valerio dottore di legge, che fioriva nelı495, significato, anzi con giuramento attestato da Gaspare Catelini gentiluomo velletrano, persona già nonagenaria , perchè egli non avea dall'archivio di Cora, mentre era colà giu- dice, pigliata una scrittura in carta per gamena, nella quale stava registrata una maledizione , che s. Pietro dava a quelle genti (ma quali ? ) che molestavano li po- poli Veliterni : mi fa tuttociò persuadere; ma mi riporto però al vero, perchè con le diligenze usate, non s'è potuta ritrovare scrittura tale" . II Marocco riporta un do cumento, che dice esistere nell'archivio di s. Angelo in Pescheria di Roma , di CencioCamerario, e perciò del secolo XII , in cui si legge che anticamente i corani e i veliterni erano in confederazione , e viveano insieme congiunti con amore più che fraterno. Prima di lui scrisse il Ricchi su questa asserta maledizione , sem- brare inverosimile, per essere state sempre le città di Cori e Velletri collegate insieme , donde nacque il proverbio di vulgatissimo: Chi tocca Core, tocca Vel. letri. E ciò si deduce ancora dagli scambievoli capitoli degli statuti CoranoeVe- literno che riporta , sulla multa di quel corano che avesse offeso un veliterno e viceversa. Auche l'altro e recente veliter no Bauco afferma, che per sentimento di velusti e moderni scrittori si deve credere che il principe degli Apostoli s. Pie tro piantasse la fede cristiana in Cori, onde la1. chiesa edificata da'corani fu a Jui intitolata. La più abbracciata opinione è che s. Pietro pati il martirio nel. l'anno 69 dell'era corrente, cui successe- ro nel pontificato i nominati s. Lino in detto annoe s. Cletonell'anno 80. Inquesto secolo e nel seguente, scrive Viola, la famiglia Oppia originaria di Cori, continuò a produrre uomini distinti, riprodu- cendo le lapidi con dichiarazioni, dalle quali si ricava che un ramo si stabili nel Piceno, e molti di esso figurarono special mente in Osimo, come Cajo Oppio Bas so della tribù Velina (alla Papiria appar- tenne Cori , come trovo nel Ricchi), a cui furono innalzate statue; ed una anco a Caio Oppio Sabino; Marco Oppio Capi- tone, che figurò sotto Antonino; CaioOp- piopatrono delle colonie Tolentina ed E. sina; Oppia Prisca eresse la tombaal figlio Caio Oppio Pallante pretore e questore d'Osimo; Marco Oppio patrono della co- loniad'Alife, e ivi pure Lucio Oppio Pri- sco; e Sesto Oppio Prisco fu patrono in- comparabile del municipio di Tivoli , che gli dedicò una statua. Circa la medesima epoca e sotto l'impero di Commodo fiorì il corano Marco Silaccio della tribù Collina, la cui rinomanza e meriti si diffuse- ro per l'impero romano, avendo dato lu- minose prove del suo valore militare nella Spagna, Betica, Bretagna, Germania, Italia e in Roma stessa. Mentre le ricor date famiglie tanto lustro recavano alla città di Cori , donde traevano l'origine, si vuole che Papa s. Urbano I nel 227 inviasse in Cori Pietro Diacono e altri vescovi a predicarvi la fede di Cristo. Gli scrittori corani ne desumonola provadal- l'iscrizione che riporta Viola ancora, scolpita in un marmo antichissimo, secondo il Laurienti, e riprodotta nel 1556 sulla restaurata porta di s. Oliva : Ite in Civitate Coranam, et praedicate Christum Crucifixum. Sostengono i corani, che un tempo nella loro città vi fu la residenza del proprio vescovo, e da tempo imme- morabile nella chiesa matrice o duomo esiste il trono episcopale formato di pietra antica. Dichiara l'Ughelli nell'Italia sacra: Cora atque Cisterna urbes olim fuerunt Episcopales. Altrettanto attesta il cardinal Corradini, De civitate et Ec clesia Setina. Lo conferma il numeroso novero di vicari generali del vescovo di Velletri, che vi dimorarono con pie- nagiurisdizione vescovile, riferiti dal Ric- chi, Reggia de' Volsci, lib. 2, cap. 17, Go. verno Ecclesiastico, ed alcuni de' quali 192 VEL VEL si leggono nel p. Casimiro da Roma; l'a- bitazione episcopale esistente contiguaal la chiesa di s. Oliva, e la mensa vescovile costituita in fondi rustici nel territorio corano, che si gode dal proprio vescovo di Velletri , alla cui giurisdizione fu sottopo- sta Cori. Sebbene voglia obbiettarsi, che non si rinviene alcun vescovo di Cori intervenuto a'concilii e molto meno sottoscritto , conviene riflettere che ne' secoli primitivi della Chiesa di frequente tro vansi erroneamente designati i nomi de' vescovi , e del pari le città e le loro sedi fallacemente espresse. In fatti il cardinal Corradini nella citata sua opera, a p.141 , lo dimostra ad evidenza con dire: Quippe ibi reperitur subscriptus Potentinus s. Belliternensis Ecclesiae Episcopus pro Veliternensis, Amabilis Episcopus s. Hortensis EcclesiaeproHostiensis, Fir- minus s. Bleranae Ecclesiae pro Cora nae. Avverte il p. Casimiro da Roma, che errarono pure gravi scrittori nel nomi. nare Cori, che in latino dicesi Cora, Co- rae, e in italiano Cora e Cori. Eppure nel gran Dizionario di Martiniere viene ad- ditata Coria, Coriae; ed in altri Chorae, Chorarum, o Corae, Corarum; ed anche volgarmente Core, Chori e Co- rioli, confondendosi colla città di Corioli non più esistente. Quindi lo stesso p. Ca. simiro da Roma nelle Memorie, e il Tiraboschi nella Storia della letteratura, ilt . riportando un'iscrizione, e il 2.°cele. brando il suddetto Ambrogio Massari da Cora, questo ancora fu detto Coriolano, e tale io pure lo nominai nel vol. XLIX, p. 50, seguendo Novaes, Dissert. t. 1 , p. 254, anzi mi astenni dal ripetere le sue parole, non Corano. Dipoi il Novaes av- vertito dell'errore da d. Alessandro Marchetti , si rettificò, ma lo fece con notaposta dopo l'Imprimatur del tomo , perciò solo adesso me ne avvidi. Ecco dunque perchè con precisione non si rinvengono i vescovi corani, come mi scriveva Vincenzo Tommaso Marchetti e aggiungendo : Che in un antico codice ch' esisteva nell'archivio del duomo di Cori, leggevansi alcune firme di vari vescovi della medesima città, ed in un ceremoniale era notato il vescovo corano che l'ebbe in uso. De' tempi a noi più vicini trovasi nella cancelleria vescovile di Velletri , decorata col titolo di Concattedrale la principale chiesa di Cori. Conviene Calindri nell'affermare che Cori nel secolo XII avea il suo vescovo, e Marocco riconosce che la città anticamente era onorata della sede vescovile. Ad outa che Cori fosse vetustissima città , e poi anche città vescovi- le, nondimeno come altre simili talvol- ta fu chiamata Terra e Oppidum , che anticamente fu sinonimo di Città. Inse- gna Quintiliano, SolamRomam esse Ur- bem, coetera Oppida. Si ponno vederegli articoli TERRA E URBS. Qui appresso dirò l'opinione di Viola sulla sede vesco. vile di Cori; però quanto al grado di città, di recente dichiarò il veliterno Bauco. Così fu riputata costantemente città fino da'tempi remotissimi; e tale confermata poi da'sommi Pontefici fino al presente. Riferisce Ricchi , che Costantino I imperatore dopo aver accordato a'cristiani il libero esercizio di loro religione, donò a Papas. Silvestro I fundum Bervelas et fundum Sulpitianum seu Supplicianum in territorio Corano. II Marocco ricorda la Massa Statiliana seu Statibanam ex territorio Corano, donata da Costantino I al Battisterio Lateranense; e ilfun dum Corbinatum ex territorio Corano dal medesimo imperatore donato al tito- lo d' Equizio ossia Chiesa de' ss. Silve- stro e Martino di Roma, come e meglio nel Ristretto della medesima si ha dal p. Filippini a p. 41 , dicendosi nel territo- rio di Sora alias Cora. Più volte hotrovato Sora confusa con Cora. Tutti gli scrittori corani, e fra di essi il Laurienti cronista e lo storico Ricchi principalmente, sostengono che s. Felice II Papa, in Cori o nel suo territorio presso il lago Vetere ricevè la palma del martirio nel 356 (nella sua biografia dissi in Ceri col VEL VEL 193 Novaes, ed ora m'avvedo che con lui ripetei l'errore dell'epoca 365, che nel No- vaes dev'essere fallo tipografico, siccome sostituito a s. Liberio nel 355 e governò circa 2 anni); anzi Laurienti è d'avviso, che s. Felice precedentemente fosse stato vescovo di Cori. Quindi il Viola passa ad esaminare due punti: 1.º se realmente era stato vescovo di Cori ; 2.º se veramente fu decollato nella stessa città o in qual- che parte del suo territorio. Nel 1.º pun- to esclude il vescovato, perchè quando fu surrogato a s. Liberio era diacono cardi- nale. Nel 2.º punto riferiti i diversi pare- ri , insieme a quello del suo dotto con- temporaneo p. Cherubino da Cori mino- re osservante (era della famiglia Zampi ni, meritò essere eletto guardiano di Ge- rusalemme, e nel ritorno morì in Malta), propende per quello di Natale Alessandro, cioè , che s. Felice I fu quello che pati il martirio in Cere, e che quello di s. Felice II seguì in Cori, benchè nel martirologio si legge Cere invece di Corae. Anicio Paolino contemporaneo del Pontefice, e poi prefetto di Roma nel 380, restaurò in Cori un monumento o pubblico edifi- zio, ma ignorasi se sagro o profano ; ma essendo pagano, le riparazioni da esso fat- te da Viola si riferiscono al tempio d'Er- cole, o di Castore e Polluce, o ad altro tempio idolatra, imperocchè le tracced'i- dolatria non erano ancora del tutto spa- rite nel 608. Circa questo medesimotem- po, com'è tradizione presso i corani , il loro concittadino Quepio Massimo sareb- be stato il fondatore del comunedi Roc- ca Massima, poche miglia distante dalla città. Nel declinar dell' impero romano, pare che anco Cori soggiacesse all' inva- sioni de'barbari, alle stragi e desolazioni da essi portate dappertutto nell'Italia. In- fatti il Laurienti, col riferito da De Bene dictis, assicura che la città nel 556 sotto il regno di Totila re de'goti soffri danni gravissimi, Corammagno affecit detri- mento. Mg. Nicolai crede che i goti do po aver devastata Cori, indi la circondasVOL. LXXXIX. sero di mura, le quali poi rovinate mo- strano il gusto misero di loro struttura. Egli però non avrà inteso parlare delle vetustissime : si tenga presente la descri- zione di Nibby , che le studio sul luogo più volte, attribuendo le opere meno an- tiche a costruzione saracinesca del XIII secolo. II Ricchi ricorda che l'imperatore Commodo fu un vero flagello per la re- gione, e particolarmente a Cori, a cui To- tila re de'goti portò grave detrimento, e crede che poi anche i saraceni vi facesse. ro strage, e più tardi fosse fornita d'ar- tiglierie e circondata intorno da profon- da fossa, per cui e per la situazione di- venne fortissima. Ed eccomi a riportare i pareri di Viola , se Cori sia stata sede vescovile. Sebbene, egli dice, sopra que- st'articolo importante non possa farsi pompa d'autentiche prove, nè procedere con tutta storica sicurezza, nondimenostima il fatto non del tutto privo di monu. menti onde congetturare fondatamente che Cori ebbe un tempo i suoi propri ve. scovi, e che in essa vi risiedè la dignità ve- scovile. Si ha da certi monumenti, che Co- ri nel1183 non era sede vescovile, poichè in quell'anno secondo le Memorie mss. di Marzio Stalloni, un vescovo di Segni per mandato di Papa Lucio III consagrò la chiesa di s. Maria nel monteMirteto. Quindi nel1216 vedesi soggetta alla giu- risdizione episcopale del vescovo subur- bicario d'Ostia e Velletri; e la stessa no- tizia risulta dal diploma del 1298, in cui 12 vescovi concessero indulgenze alla chiesa degli agostiniani di Cori. Ora se non visono memorie precedenti alı 183, onde potersi dedurre che la chiesa cora- na all'altrui giurisdizione episcopale fos- se soggetta, non è improbabile che fina al secolo XI, ed anche più tardi, avesse il suo vescovo, come l'ebbero altre città volschemeno popolose e ragguardevoli di Cori. Arroge che io qui ripeta le parole del Ricchi: » Tali furonogli onori conr- partiti alla mia patria dall'impero di Ro- ma, da cui ne riportò quel lustro di glo13 194 VEL VEL ria , che io non rinvengo in alcun' altra città della Reggia de' Volsci, anzi ancor del Lazio stesso". D'altronde è noto, meno poche eccezioni, comein parte del Theu- li e del Kircher, che il Ricchi colla sua Reggia de'Volsci e col suo Teatro degli uomini illustri nel regno de' Volsci, èl'u- nico storico che abbia trattato, prima de' moderni, delle città e paesi di Marittima e Campagna, senza di cui ignote sarebbe ro rimaste un grandissimo numero d'im. portanti notizie, ch'egli seppe rintraccia re con grave dispendio e laboriosa fati- ca. Caldo d'amor patrio, si resebeneme. rentissimo de'suoi concittadini, e del suo suolo nativo e dell'intera duplice provin- cia, colla storia generale e particolare di essa e di quelli che vi fiorirono, con notizie profane e sagre, antiche e moderne. Osserva il Viola , che ne' secoli gotici e longobardi nella oppressa Italia di fre- quente seguivano l'estinzioni delle sedi vescovili , per essere restate le città di strutte e vuote d'abitatori, come scrisse s. Gregorio I nel 592 nel riunire quella di Tre Taberne alla Veliterna. Quindi non è difficile il persuadersi, che Cori e- ziandio posteriormente pegli stessi infeli. ci motivi restasse spogliata della sede ve- scovile. Infatti ne'secoli successivi le città volsche e latine non furono esenti daguer re, depredazioni e devastazioni. Si sa che Cori nel tempo dello scisma di Vittore V antipapa , verso il 1162 essendosi posta nell'ubbidienza del Papa legittinoAles- sandro III, dovette più d'ogni altra città essa e Ninfa soggiacere a terribile infortunio e depredazione per parte delle mi lizie crudeli dell'imperatore Federico I, acerrimo difensore dell' antipapa e de' suoi falsi successori , contro il magnani- moAlessandro III . Inoltre sembra al Vio- laben forte congettura della verità del fatto nella questione sul vescovato Corano, il trono episcopale in pietra , che da tempo vetustissimo conservasi nella chie. sa principale, e le duecollegiate co' pro- pri capitoli. Che il Corradini esaminato con maturitàquesto punto, afferma esser comune opinione degli scrittori, che una volta fu Cori sede vescovile, come Norma, Anzio e Bovilla (anzi scrive pure Aricia, Ardea, Lavinio, Laurento, Nomento, Gabio), dappoichè nell'antico Lazio tutte le città condecorate del titolo di colonia romana furono vescovili ne' primi secoli della nascente Chiesa. L'annotatore del- l'Ughelli dice espressamente che Cori e Cisterna o Tre Taberne furono città vescovili. Ammetterlo ancora Laurienti, ag. giungendo essere tradizione (per altroin- sussistente, soggiunge lo stesso Viola), che Cori fu spogliata della prerogativa di città, perchèda'suoi abitanti fuucciso un lo- ro vescovo. A Nibby sembra invece che prima della caduta dell'impero d'occiden. te Cori rimanesse deserta, perchè alto si- lenzio se neha negli scrittori de'bassi tem- pi e ne' documenti fino a tutto il secolo XII, e nel seguente si edificò il fabbricato meno antico. Quindi crede di potere stabilire , che probabilmente nel secolo XIII per opera de'Conti di Segui si sta- bilisse di nuovo un castello sulle rovine dell'antica città, profittando appunto di quelle per fondamento. Eche questo ca- stello riprese il nome primitivo, il quale tuttora conserva. Infatti, continua Nibby, da quell'epoca in poi cominciano ad in- contrarsi le sue memorie ; poichè Innocenzo III, Papa della famiglia Conti, co- me si ha dalla raccolta delle sue lettere pubblicate dal Baluzio, t. 2, p. 545, co- stituì nel 1212 signore e rettore di Cora, testè riedificata, Pietro Annibaldi, finchè fosse piaciuto al Papa, indicando e confer- mandocosì la dipendenzadiretta(dunque già era dominio della s. Sede: osserverò quanto all'origine della Sovranità della medesima sopra Cori, che siccome Ales- sandro Borgia nell' Istoria di Velletri narra che questa fu una delle prime cit- tà che si sottoposero al principato tempo- rale di s. Gregorio II , cioè dopo il 726 circa, e lo conferma il recente patrioisto- ricoBauco,dicendoche col ducatorona VEL VEL دور no si sottopose al dominio pontificio , e siccome le città suburbicarie e i luoghi adiacenti ne facevano parte , mi sarà le- cito congetturare, compresavi anche Co- ri così vicina a Velletri e a Roma, cioè nell'alto dominio). Indi Gregorio IX pu- re de'Conti di Segni e nipote d'Innocenzo III, nella bolla emanata nel 1234 affine d'impedire l'alienazione de'luoghi dipen- denti dalla camera apostolica,nominapar- ticolarmente Cora. Meglio primadel Nib- by tutto ciò dichiarò il p. Casimiro da Roma,con affermare: Cora averesempre riconosciuto il dominio immediato della Sede apostolica, se nonche Innocenzo III istantemente pregato da'consoli e dal po- polodi essa, col consensodi tutti i cardi- nali a 22 luglio 1212 costitui signore e rettore della medesima il nobil uomo Pie tro Annibaldi , quamdiu Romano Pon- tifici placuisset, con Epist. riferita dal citato Baluzio. EGregorioIX nel 1234 con atto presso il Bull. Privileg. et Di plom. Rom. Pont., t. 3, p. 282, ordinan- do che senza il consenso de'cardinali non si potesse alienare qualsivoglia luogo del la camera apostolica, tra gli altri nomind singolarmente la città di Cora. Questa fu onorata dalla presenza di Bonifacio VIII, allorchè trovandosi nella vicina terra di Cisterna feudo di sua famiglia , ove ser peggiavano delle febbri epidemiche, passò a soggiornare in Cori per godervi il salu- tevole clima , alloggiato nella casa de' Riozzi, alla quale compartì graziosi e pre- gevoli privilegi . A' nostri giorni il senato romano aggregò alla sua cittadinanza Se- bastiano Riozzi della medesima onorata famiglia.Allorquando cominciaronoadissiparsi le tenebredell'ignoranza, eda scin- tillare sul cielo italico i lumi dell'umano sapere, racconta Viola, col quale proce- doeziandio, ma in breve, a celebrare gl'illustri corani, anche Cori fu madre d' un genio, cioè di Virginio Laurienti nato in questa città nel 1274, poi notaro, che con ardore si applicò all'arte poeticae total mente si dedicò alle muse. Contemporaneo del divino Dante, di Cinoda Pistoia e di altri sublimi ingegni, padri e mae- stri dell'italiana favella, scrisse opere col metro, idioma e gusto da quelli pratica - to: fra gli altri componimenti, ricordo il poema in terza rima di15 canti intitola- to Ferramondo, re di Francia, i cui pre- gi si ammirano da'preziosi frammenti ri- portati dallo storico Laurienti, e meritò stamparsi in Roma nel 1473 quando l'ar- te tipografica era ancor bambina e solo se ne faceva uso per opere con avidità ri- cercate ; altamente encomiato a' nostri giorni dall' immortale Perticari , deplo- rando i versi perduti (ed il celebre Tam- broni giunse a paragonarlo a Dante); co- me perdita lagrimata per l'italiana let- teratura fu altresì lo smarrimento di altre operedi sì eccellente antico poeta , i cui titoli accennò Laurienti, Tubera, Bo- letaet Circia. Morì l'illustre Laurienti nel 1348, perla peste che afflisse e spopolò queste contrade. Mentre fioriva quel poe- ta insigne, Cori possedeva uomini savi e prudenti, forniti di cognizioni legali , ca- paci di compilare una patria legislazione, a'tempi, al luogo e alle circostanze adat- ta. Imperocchè nel principio del secolo XIV moltissime città, terre e castella per la turbolenza delle fazioni e il malaugurato trasporto della pontificia residenza in Avignone, essendo divenute quasiindipen- dentisi formarono i loro municipali statu- ti, ecosì feceCori .Uomini valenti egodenti tutta la patria fiducia, certamente furo. nopreposti a tale importante compilazio- ne, fra'quali si nominano Pietro Toma- si,Pietro Veralli, Giovanni Mattei e San- te Buzi. Laonde la redazione dello statuto di Cori si fissa al1327, e le prove sono nell'archivio della città. RaccontaMarocco che nel 1335 seguì la pace fra Sez- ze e Cori col bacio di pace, cioè pe' co- rani il nobile Matteo di Pietro di Giacomoda Cora sindaco procuratore, pe' sez- zesi il nobile Giovanni Taccari setino e procuratore patrio. Promisero conservar- la sempreedirimettersi scambievolmen 196 VEL VEL te ogni offesa, e specialmente dimenticar tanti di Cori. Comunque sia, è certo che l'uccisione fatta da Andrea di Paolo sez- ¡ corani conoscendosi inferiori di forze a' zese, di Giacomo da Cora, obbligandoso- pra ipoteche i loro beni e confederandosi per qualunque molestia nemica. In tal modo fuimpedita una popolare sommos- sa provocata dalle fazioni. Queste conti- nuando a lacerare i dominii della s. Sede, per l'assenza de'Papi da Roma, insor- sero forti dissensioni fra'corani e gli abi- tanti di Colle Medio o di Mezzo, castello pocodistantedalla città, situato nella pro vincia di Campagna, forse sopra laselva di Cori, fra Segni e Carpineto, e di cui al presente si haappena memoria. Offe- si da essi i corani della dannevole loro condotta ardita e insolente , senza invo- care la suprema autorità di Ugo Bonvil. larvescovodi Lettere, rettore e conte del le provincie di Marittima e Campagua, nel 1372 pieni di vendetta per l'offese ri- cevute, usciti ingrossi drappelli dalla cit- tà, marciarono militarmente adanno di quel castello, che presero , bruciarono e distrussero , devastando i campi e ucci- dendo gli agricoltori. Ad onta che il ri petutamenteprovocato sdegno sembrava scusare l'impeto vendicativo de' corani, nondimeno l'impresa fu qualificata delit- tuosa e arbitraria, onde la città fu sotto- posta all' interdetto. Colpiti i corani da questa gravissima pena ecclesiastica, in- viarono deputati in Avignone per giusti- ficarsi con Gregorio XI (e non VI, come probabilinenteper fallo tipografico si leg- ge in Ricchi , e ripeterono Viola, Castel- lano el'Album diRomanel t. 15, p. 258). Questo Papa ne accolse benignamente le rimostranze, ed avendo conosciuta non tanto ingiusta la cagione che avea indot- to i corani al riferito eccesso , diè loro il perdono e sciolse Cori dalla scomunica. Non andò guari che i corani verso il 1377 trovaronsi involtiin nuovi impegniguer reschi col popolod'Albano. Il motivo de' dissapori fra le due città non è ben noto, ma sembra, secondo Laurienti, che gli al- banesi avessero dato morte a molti abiloro nemici, implorarono il soccorso de' velletrani loro antichi amici e confedera- ti. Unite le loro milizie marciarono in Albano, espugnarono la città, la saccheg- giarono, vi appiccarono il fuoco , e reca- rono gravi danni al monastero di s. Pao- lo. Gli effetti di questa militare spedizio- ne furono simili a quelli della distruzione di Colle Mezzo. Lo stesso Gregorio XI scomunicò le città di Velletri e di Cori, nè queste furono prosciolte dalla grave censura canonica, che dopo aver implo- rato il perdono, e pagata una ragguarde- le sommaa'monaci di s. Paolo pe' danni sofferti. Tanto narra il Viola, benchè se- condo Ricchi i corani aiutarono i veliter- ni contro gli albanesi, e poi si obbligaro- no pagare aʼmonaci di s. Paolo una som- ma considerabile pe'danni fatti dalle sol. datesche corane. In mezzo agli sconvolgi- menti di quell'epoca, non mancò la divi- na provvidenza di far fiorire uomini illa. minati e santi, i quali impiegarono tutto il loro zelo per eliminare tanti mali. In Cori fece sorgere il beato sullodato fr. Sante agostiniano nella sua patria, e del- la medesima famiglia del poeta Laurien- ti. Conoscendo i bisogni morali de'suoi concittadini, dedicò tutto se stesso a riformarne i costumi. Predicava nella città, istruiva nelle campagne, a tutti spiegan- do le soavi massime del Vangelo. Fu tale la pietà el'amoredel prossimo di fr. Sante Laurienti, che Dio autenticò le sue a- postoliche fatiche con prodigi e sopran- naturali avvenimenti; poichè predicando nelle campagne alla moltitudine, per più giorni la sostentava colla sola divina pa- rola e senza cibo corporale , e quantun- que ne'luoghi adiacenti piovesse dirotta- mente, il cielo restava sempre sereno in quello spazio di terreno in cui il popolo udiva le sue fervorose prediche. Deno- minato il santo e il beato, pende il giu- dizio pel riconoscimento del culto presso la s. Sede. Asuo tempo insorse il lagui VEL VEL 197 mevole e grande scisma d'occidente con- tro il Papa legittimoUrbano VI, per l'intrusione dell' autipapa Clemente VII , il quale volendo sostenersi colle armi, i co rani fedeli al vero Papa si batterono con esse. Frattanto l'ambizioso Ladislao re di Sicilia di qua dal Faro, agoguando aldo- minio dello stato pontificio e d'Italia, in . grato a'benefizi ricevuti da Bonifacio IX, Innocenzo VII e Gregorio XII, nel ponti- ficato di quest' ultimo profittando della perturbazione generale per il sussistente scisma, con nuove scorrerie invase anche Cori e le vicine contrade. Le sue soldate- sche napoletaue gli fecero soffrire molti guai, saccheggiando e distruggendo il ce- lebre monastero di s. Angelopresso Ninfa detto di s. Maria del Monte Mirteto, dopo 3 secoli circa o 270 anni d' esistenza. Il Nibby citando il Diario di Gentile Delfini, presso il Muratori, riferisce aver Ladislao ordinata la roccatura di Tivoli, Velletri, Cora ed altre terre, e che vi pose i castel- lani. Sebbene l'anno positivo manchi, e- gli crede che questo fatto appartenga al 1408 : per roccatura doversi intendere la merlatura e fortificazioni in genere, e di questo restauro delle mura corane ne sono evidenti prove que' pezzi che scor- gonsi appunto del secolo XV. Nel 1410 il re Ladislao fu scomunicato da Giovanni XXIII ( megliodopo la data che vadoariportare, perchè fu eletto nel medesimo 1410a 17 maggio), e le sue tirannie ec- citarono le città e luoghi della Chiesa ro- manaa scuoterne il giogo, fra le qualinon fo l'ultima Cori, Spiegando essa ferınezza e coraggio armato, le riuscì di sottrarsi dalla sua prepotente dominazione; e per essere all'uopo garantita e difesa, nello stesso 1410 a 5 febbraio volontariamente si assoggettò al Senato Romano (V.), dal quale per averdato insigni argomentidel l'antica fedeltà, fu lodata con diploma e assoluta da vari eccessi che per le circa. stanze de'tempi le erano stati addebitati, e fu altresì tenuta poi dal medesimo in grande considerazione, Siffatta soggezione della città di Cori siccome fu sponta- nea, così a guisa dell'antiche federazioni venne solennemente stabilita fra'due po- poliromano e corano. I patti della concor. dia, per maggiore e più costante osservauza, furono dipoi confermati nel 1458 da Pio II con breve apostolico. II p. Casimiro da Roma dice erronea l' asserzione di Ricchi, che Cori nel 1410 si sottomise volontariamente alla signoria del popolo ro- mano, poichè egli dice essere fuori di dub. bio, che innanzi a quel tempo il dominio de Conservatori di Roma non pure sten- devasi sopra di Gora, ma sopra le città e terre che nomina e da me riferite al citato articolo, come leggesi nella pace fatta nel 1404 fra'conservatori e Paolo Orsini. Anche Nibby opina che Cora passò diret- tamente sotto il dominio del senato e po- polo romano, prima del tempo assegnato dal Ricchi , perchè come dipendente dal medesimo fu compresa nella detta pace del1404. I corani sostengono, che il sena - to e popolo romano esercitava sulla loro città soltanto la privativa giurisdizione e governo, riconoscendo lagiurisdizione se- natoria , ma ripugnando le qualifiche di vassallaggio , feudo e governo baronale, usate inesattamente da diversi scrittori e anche in qualche atto pubblico. Imperoc- chè essi con invitto coraggio scosso il gio- go di Ladislao, con volontaria dedizione si posero sotto la protezione, giurisdizione e amicizia del senato e popolo romano, non mai con soggezione d'autorità dispotica o politica ; ma col vincolo di federazione, con reciproci patti e condizioni, senza al- tributo che malai si pretese dal senato romano. Questo poi pagava le carceri , il governatore e tutti gli altri funzionari,cer- tamente con grande utile de' corani. Fu quindi doppia gloria pel senato romano e pel popolo di Cori, che senza veruna coa- zione i corani spontaneamente si sogget- tassero al suo patrocinio e giurisdizione, rimanendo fedelissimi sino alla recente cessazione della medesima; ed il senato romano, scrupoloso osservatore delle reci cun 198 VEL VEL proche condizioni, mai esigette tributo o dazio, come lo percepiva dalle città eter- re realmente tributarie. Dice il Viola, pri madell'invasione diLadislao, anzi datem- po immemorabile, per l'amministrazione della giustizia e per la custodia delle leg- gi si eleggevano due magistrati o preto- ri, uno de' quali prendeva il nomedi po- destà e giudicava nelle causedi pubblico diritto, e l'altro chedicevasi il giudicede cideva le cause di diritto privato, e puni- va i delinquenti uniformemente allo statuto (il giudice trovo in Ricchi che si e- leggeva da secoli, come leggesi nel breve Sanctae Romanae Ecclesiae Judex, del 1283 di Martino IV: si può vedere il suo cap. 16, Governo temporale di Cori). Il diritto della nomina e dell'elezionedel po- destà variava secondo le circostanze de' tempi e la forma del governo; sicchè ora al popolo romano, al preside delledueprovincie di Marittima e Campagna, ed ora alla città medesima spettava: ma il giudi- ce, che sempre avea avuto la giurisdizione nelle cause civili e criminali, deputa- vasi per antica costumanza dalla s. Sede, come risulta da atti pubblici del 1283. Questa forma d'elezione durò fino a Bo- nifacio IX, che nel 1 392 concesse alla cit. tà il diritto di tale elezione per un tempo determinato, cioè fino al 1417 (ossia per25 anni, però collo sborso di 450 fio- rini d'oro alla camera apostolica), in cui ritornò alla s. Sede. Martino Vnel1430 avendo osservato che si eleggevano ed e- rano stati eletti 6 magistrati col titolodi bailini , magistratopocogiusto, percuiso- venti volte, con iscandalo de'buoni, e con danno della pubblica e privata tranquil lità,restavano impuniti i delitti, nelle cause de' quali davasi la prevenzione fra il bailino e il podestà ministro allora del- la curia generale delle due provincie sud- dette, per ovviare a ulteriori disordini soppresse siffatta prevenzione, e restituì alla città, sebbene a titolo oneroso (cioè l'annuo censo di 5 fiorini d'oro e per 29 anni, e col breve Magnae fidelitatis), il diritto d'eleggere il bailino, con libero esercizio della giurisdizione; diritto che fu successivamente confermato da Nicolò V nel 1451 (collo stesso censo e per altri 29 anni). Finalmente Sisto IV nel 1480, col breveAdcognitamfidelitatem, soppres- se affatto l'uffizio di bailino, e sciolse Cori dalla giurisdizione del preside delledue provincie, dietro istanza de'pubblici rap- presentanti corani, e non senza la coope- razionedell'illustre e già ricordato corano, e non romano o coriolano o di Corano come altri scrissero, p. Ambrogio Mas- sari,di vastoingegno, che presso quel Pa- pa era in grandissima stima. Esso fu uno degli uominipiùdistinti e sommi che può vantar Cori, religioso agostiniano del suo convento. Divenne celebre, eloquente ed efficace predicatore, profondo teologo e filosofo, provinciale e procuratore gene- rale dell' ordine, professore di teologia nell' università romana. Sisto IV l'invio nunzio in Germania per conciliar le dif- ferenze fra gli elettori dell'impero, con felice riuscita; e poi lo fece dichiarare generale del suo ordine , di cui divenne benefico e intelligente riformatore, mas- simede'conventi di s. Marco in Milano, e di s. Maria del Popolo in Roma, la cui rie- dificazione e quella della chiesa ottenne da Sisto IV. In Milano sostenne vittorio . samente la clamorosa questione, che il dottore s. Agostino si dovesse rappresen- tare vestito da romito e non da canonicoregolare. Pubblicò in Roma l'apologia del suo ordine , col commento della re- gola e il catalogo de'religiosi illustri. Mor- to Sisto IV, fu unodegli oratori eletti a dirne l'orazionefunebre; ma il successo- re Innocenzo VIII lo fece tosto rinchiudere in Castel s. Angelo, edopo un mese gli assegnò il proprio conventoper carce- re, ove oppressod'afflizione morì pocodo- po nel1485 in Roma. Tanto rigore si at- tribui o peraver sparlato del Papa, o per- chèviolò il divieto sul silenzio imposto per detta questione, o per invidia e risenti- nento d' alcuni suoi ingrati correligiosi VEL VEL 199 che localunniarono. Benemerentissimo e ornameuto del suo ordine, sommo lette- rato,autore di molte dottissime operelo- date, il cui catalogo riportano il Ricchi e Viola, in uno agli alti encomi che gli tri. butarono tutti gli storici contemporanei e successivi , anche per le sue virtù, pietà e spettabili costumi. Così finì un uomove- ramente grande, vittima della maligni- tà: esempiononraro, nè unico nella serie dell'umane vicende ! Disciolta la città di Cori nel 1 480dalla giurisdizione del pre- side delle due provincie, a' 19 novembre 1512 furono rinnovati i patti onorevoli coll'inclito popoloromano, enel 1513 con bolla da Leone X fu questo reintegrato. al possesso di tutte le giurisdizioni, e del l'immediatodominio sulla città di Corie suo territorio, ed altri luoghi , Velletri ec. cummero et misto imperio, aliisque omnibusjuribus etjurisdictionibus,pro. ut eorum subditorum , Romani populi ditioni et potestati, de consensu quorum interest, libere restituimus et plenarie reintegramus.ll p. CasimirodicecheLeo- ne X con tale atto conferinò pure le fran- chigie di Cori , la dichiarò libera e im- mune, insieme con Velletri, Tivoli eMagliano, potestariae ataxis, quaspro expeditione Brevium praefati secretarii ab eis hactenus exigebunt... et ab omni o- nere, quopro stationibus militum Roma nae Ecclesiae, gravabantur. Fra gli al- tri patti della summentovata concordia vi fu quello eziandio , in forza del quale il podestàdovea nominarsi dal consiglio del popolo romano, e rinnovarsi ogni 6me- si ; dovea esser nobile e cittadino romano, e si rivestiva del mero e misto impe- ro. Si convenne inoltre che il giudice do- vesse eleggersi da'priori, e confermarsidal pubblico consiglio di Cori, colla qualità di dottore ed estero ; che dovesse pren- dere cognizione di tutte le cause sì civili che criminali in 1." istanza, e compilare i processi senza intervenzione del podesta; e che al medesimo giudice si appar tenesse l'arbitriodella pena in tutti icasi, dalle circostanze de' quali dovesse misu- rarsila maggiore o minore estensione. In- tanto Cori continuando in ogni secolo a produrre cittadini in pietà e dottrina di- stinti e rinomati , rimarca Viola nel ri- ferirne le notizie biografiche, che andava a presentarne una seriecosì nobile e nu- merosa, darecare stupore e meraviglia. 11 p. Bonifacio da Cori contemporaneo e correligioso del Massari, proseguì alacre. mente la riforma de'costumi nel suo ordine da lui cominciata, qual provinciale del medesimo, e fu molto dotto e versato in ogni ramo di letteratura. Altro illu- stre e dotto agostiniano fu il p. Egidio Mariola , e si rese benemerito della pa- tria. Dalla famiglia Veralli, unadelle più antiche e cospicue famiglie corane,usci- rono grandi uomini. Oltre il nominato redattore dello statuto, Gio. Battista(uno di simile nome e cognome negli Archia- tri Pontificii del Marini , lo trovo detto dal Mandosio medico d'Eugenio IV, per- chè pelt. lo chiamò suo archiatroBaldo Baldi nel suo Opobalsamo, dalla quale opera crede Marini l'abbiano toltogliau. tori del catalogo de' protomedici e pub- blicato negli statuti del loro collegio, non essendovene memoria nell'archivio della s. Sede. Bensì nel1521 uno de'conservatori di Roma fu Gio. Battista Veralli, riferito negli statuti urbani di quell' anno, e il Marini ne riparla nel Ruolo de'professori dell'archiginnasio romano, qual capode'conservatori, e così dotto che gli si attribuì l'orazione recitata in Campi- doglio per l'inaugurazione della statua di Leone X scolpita da Domenico Amio o d'Aimo. Inoltre lo chiama famigliaredel cardinal Farnese, maritodella nobile ro- mana Giulia sorella del cardinal Jacovacci, e riformatore dello studio di Ro- ma. Iguora quandofu protomedicodiRo- ma, e ripete sogno il crederlo stato me- dico d'Eugenio IV. Da tali uffizi, dall'es- sere romana la moglie ed aggregata alla nobiltà romana la famiglia Veralli , pro- babilmente derivò l'errore di chiamarsi 200 VEL VEL romano il loro figlio cardinal Girolamo nell'epitaffiodel sepolcro, ov'è detto ziodi Urbano VII, perchè questo nacque dalla figlia della sorella della madre, enon dal- Ja sorella di questa , come alcuni credo- no), vivea mentre il cardinal Farnese era vescovo d' Ostia e Velletri. Egli era letteratoeprofessore di medicina, e talmen- te a quel gran cardinale ben affetto, che nelle sue pastorali visite, in Gori amava di godere dell'ospitalità de' Veralli, nella casa del quale alloggiava, e si tratteneva eziandio se per avventura da qualche in- disposizione di salute era sorpreso. Dive- nuto nel 1534 il vescovo porporato Pao- lo III, non dimenticò i servigi e l'amicizia del corano medico Veralli , e profuse le sue beneficenze su di lui e su tutta la famiglia. Lo chiamò subito in Roma, ed usò con esso tale familiarità, che fabbri candosi il palazzo Farnese , il Veralli lo consigliò a dargli in alcune parti la for- ma del tempio di Ercole in Cori , di che già dissi ove ne feci parola. Suoi figli fu- pono Girolamo Veralli ( V.), PaoloEni, Jio, e Matteo parimenti nati in Cori nella casa avita pressoporta Seguina. Girolamo fu creato dal Papa cardinale ; Paolo E- milio fu celebre uditore di Rota, arcive scovo di Rossano e vescovo di Capaccio, ed affezionato alla terra natale , abitò molto tempo in Cori, mentre era vescovo, e vi si fabbricò un'abitazione annessa alla casa paterna. Il p. Casimiro da Ro: ma avendo criticamente esaminato illuo. go di nascita del cardinal Girolamo Ves ralli, trovò che incontrastabilmente fuCa- ri, riferendo diverse notizie della famiglia Veralli corana e del cardinale, che inCori godè de' benefizi ecclesiastici, fu par roco di s. Michele Arcangelo, indi fu elet. to giudice dalla patria, e luogotenente e giudice del cardinal Farnese in Velletri; e divenuto cardinale, Cori nel pubblica consiglio lo dichiarò protettore, e decre- tò che nulla s'intraprendesse senza la sua approvazione.Che il fratelloMatteo si ma- ritò con Giulia Monaldeschi della Cervara, e fu conservatore di Roma, ove si stabilirono i figli Gio. Battista e Fabri- zio Veralli( V.), nel palazzo acquistato in piazzaColonna,già de Giustini eoraPiom- bino. Fabrizio divenue poi cardinale , e il fratello ebbe da Eugenia Rocci due fi- glie Giulia e Maria, la quale ultima sposata al marchese Orazio Spada , nipote del cardinal Bernardino Spada (V.) , portò seco in dote tutta l'eredità de'Ve- ralli , che dicesi eccedesse la somma di 200,000 scudi. Ecosì fu estinto il ramo de' Veralli passato in Roma , poichè in Cori ne restò altro, essendosi la famiglia divisa in due sino dal secolo XV, e fioriva a tempo del p. Casimiro, com'egli attesta , imparentata a quellade'Ricchi. Il Novaes e il Marchiafava dicono i cardinali Girolamo e Fabrizio nati in Cori, benchè sulla loro tomba si legga romano. Eru- ditamente e con diffusione tratta de'due cardinali Veralli anche il Cancellieri nella Lettera al cardinal Antonio Pal- lotta sopra una copia all'encausto del- la Scuola d'Atene di Raffaello; ed un codicemembranaceo diFerdinandoCor- dubense - De Consultandi ratione - de- dicato al cardinal d'Auxia, e poi pos- seduto dal cardinal Girolamo Verallo. Dichiara che per incidenza avendo chia- matonelle Notizie dell'Anello Cardina- lizio, il cardinal Girolamo proveniente da Gori , perciò l'ardentissimo zelo delle glorie patrie del suo particolare amico Vincenzo Tommaso Marchetti, nel di lui estratto di tale opuscolo inserito nell Ef- femeridi di Roma di novembre 1823, p. 214, correggendo la sua inesattezza , di- mostrò ad evidenza la sua nascita in Cori, da lui precedentemente manifestata al Novaes, con aver prodotto le testimo- nianze del Ricchi, del p. Casimiro e di mg. Alessandro Borgia. Che nel 1551 gli fu dedicato lo statuto corano, essendo dipinta la sua effigie con quella del fra- tello Paolo Emilio, edel nipote cardinal Fabrizio nella sala del consiglio di Cori, cou l'epigrafe di Cilla dini Corani. Cherir VEL VEL 201 levasi dalla Storia mss. di Cori del p. San. te Laurienti, che il feudo di castel Viscar- do passò agli Spada da'Veralli. Continua il Viola a narrare, che Erminio Veralli, affine de'mentovati Girolamo e Paolo E- milio, nella guerra contro il turco sotto s. Pio V, trascorse gloriosamente la mi- litare carriera, luogotenente di Paolo Ghi, slieri nipote di quel Papa: trovossi in di verse battaglie navali, in cui riportò lode di valoroso e intrepido, pieno d'onorate cicatrici ripatriando. Nella stessa guerra il Ricchi ricorda Paulo Mattei capitano del re di Francia. Noterò col p. Casimiro, che in Cori dimoravano gli ebrei, espul- si nel 1569 d'ordine di s. Pio V, come in altri luoghi, onde fu venduta la scuola che avevano nella città, e restò il no- me alla contrada da loro abitata. Il sud- detto p. Mariola (che Ricchi dice della famiglia Militi o Benedetti, ma piuttosto una sorella entrò in quella casa) avendo particolare amicizia con Marc'Antonio II Colonna, rese un segnalato servigio alla patria nella fatale guerra della Campa- gnaRomanadegli spagnuoli contro Pao- lo IV; il Colonnese seguendo le partine- miche, devastò diverse città e luoghi del la provincia. Si presento sotto Cori col- l'esercito vittorioso, e forse con cattiva intenzione. Costernati gli abitanti teme- vano funeste sciagure, quando il p. Ma. riola accompagnato da un drappello di ragguardevoli cittadini, si portò incontro alle minaccianti squadre, II Colonna alla vistadell'agostinianoamico,depostoilcon- tegno guerriero, l' accolse benignamen- te, ed assicurò che non avrebbe molestato la città. Altri agostiniani illustri furo, no il p. Bonifacio Scaglioni, e particolar- mente il p. Cristoforo Militi o de' Bene- detti nipatedel p. Mariola: dotto in ogni ramo di sapere e dotato d'ingegno per- spicace, fu vicario generale di più vescavi, provinciale della provincia romana, e facondo predicatore recitò diverse predi- chenelpalazzo apostolicocon singolarsod- disfazione di Clemente VIII ; arricchi il patrio convento di scelta biblioteca, e la- sciò mss. molte opere. Agostiniani pur furono, Egidio Fantuzzi valente predi- catore; Celidonio Giardinelli si distinse nella poesia ; Cristoforo Militi giuniore; Gregorio Militiarse di zelo apostolico pel prossimoe specialmente pe' suoi concitta- ni, e compose un libro Sull'origine e an- tichità di Cori; Gio. Battista Benedetti affine de' nominati di bel talento. Aure- lio Alti fu virtuoso, saggio e dotto gover. natored'Anagni e altre città. La famiglia Bucciarelli originaria di Roma fu pro- duttrice di uomini preclari; fu Antonio di Francesco ufficiale del senato sotto Mar- tino V, che fissò in Cori il suo domicilio, da cui sortirono Agostino vicario gene- rale d'Ostia e Velletri, Marsilio egualmente vicario, e Pompeo professore di teologia. Questi stimato da' Colonna fu maestro e aio a Marc'Antonio II, e ne di- venue successivamente uditore e impie- gato ne'governi di molte città e castella ; restato vedovo, si fece sacerdote, visse 11 O anni e fu uno de' revisori dello statuto allorquando si stampò. Marzio Bucciarelli fu vicario di 4 cardinali vescovi in Cori ; Lorenzo Bucciarelli fu preside di molte città e altri luoghi di Campagna; e per non dire d'altri Bucciarelli, Pietro quasi sempre resse i comunali interessi . Dice Ricchi che Paolo Bucciarelli oriun- dodi Cori, nel 1634fu consagrato da Ur- bano VIII vescovo di Naroi. Fabio Gian- nuzzi vicario generale d'Ostia e Velletri, beneficiato e camerlengo Vaticano: il fratello Manilio avvocato concistoriale, pel suo sapere profondo s. Pio V lo nominò governatore; Ugo Boncompagni che gli successe (pare che si debba anticipare la detta epoca, non solo per riferire il No- vaescheUganel 1555fu fatto vice-legato diCampagna, ma perchè Pio IV anteces- sore di s. Pio V l'avea creato cardinale e inviatolegato in Ispagna) nella carica, divenuto Gregorio XIII, stimando i meriti di Manilio, profuse le sue beneficenze su dilui ę i figli, de quali fecePietro vescova 202 VEL VEL d'Alatri, e Gio. Battista suo particolare tesoriere.GiovanniAmati essendo cappel- Jano del cardinal Medici, il quale eletto Papa col nome di Pio IV lo fece canonico Lateranense (altro canonicodella basilica Vaticana corano fu Biagio, ricordato dal. lo Schradero ne' Monumentid'Italia fi- noal 1592) e vescovo di Minorinel 1565 colla ritenzionedel canonicato, anchedo- polarassegnafattadel vescovato neli567, morto decano di quell' arcibasilica nel 1593e sepolto nella medesima, in cui di- spose annuo anniversario di suffragio, il quale celebrasi a' 5 maggio : la sua iscri- zione sepolcrale nel 1843 fu rinnovata dal concittadino e concanonico mg. Picchioni, come notai nel ricordato articolo. UlisseCiuffi preside di molte città di Cam- pagna, restato vedovo della virtuosaLau- demia Giannuzzi, di 70 anni si ordinò sacerdote e due de' suoi to figli che già lo erano assisterono la suar." messa : gli attribuiscono varie opere letterarie, ed una Genealogia dellefamiglie di Cori, che in originale è nell'archivio della nobi le famiglia Marchetti , Gio. Antonio e Vin- cenzo Prosperi valenti giureconsulti, d'u- na delle famiglie più antiche e nobili di Cori,la qualeportava primail cognomedi Renzidal famoso tribuno di Roma Nicola di Rienzo, di cui riparlai nel vol. LXXIII, p. 302; famiglia che prese il cognome di Prosperi da ProsperoRenzi verso il 1525. Cesare Mattei il seniore da'patrii storici fu detto il poeta corano, in gran rino- manza nel declinar del secolo XVI; canonico e rettore di diverse chiese in Cori e in Roma, autore di molte opere in pro- sa e in versi , comedi lodate tragedie. Que ste come altre produzioni letterarie de' talenti corani, essendosi perdute, furono deplorate dal Viola, per la maggiorglo- ria che ne sarebbe derivata a Cori, e uti le alla repubblica letteraria. La fami- glia Zampini fiorì tra le ragguardevoli, reputandosi derivata dal suddetto Marco Silaccio, vissuto a' tempi di Commodo, fiorendo un Antonio circa il 1570 (e poi il sullodatop. Cherubino).Osserva ilVio la, che unaserie così numerosa di uomi. ni insigni che Cori nel secolo XVI pro- dusse, dà a conoscere lo stato di robu- stezza in cui ella trovavasi in quell'età, e comedovea essere temuta e rispettata, In fatti, soggiunge, Marc'Antonio e Sciarra Colonna (com'egli lo chiama, e di cui più sopra ragionai, come nel paragrafo Ser- moneta), facerdo col loro esercito ritor- no dalla Francia, e volendosi vendicare d'alcuni torti ricevuti, penetrarono nella Campagna, e infiniti guasti recarono a molte città ed altri luoghi di quell'uber- tosa provincia; passando per altro nelle vicinanze di Cori, la riguardarono da lungi con rispetto, nè osarono di violare il di lei territorio. Inoltre Marco Sciarra famoso condottiero di numerose bande di truppa devastatrice, passando con essa presso la città, tale timoreneconcepì, che fuggendo, si tenne ben lontano dalla me- desima, e si spinse a depredare Castel Giuliano, Norma, e altre terre e castella della provincia di Campagna, II Ricchi chealtrettanto riporta, in parte chiarisce il narrato, in parte fa conoscere essere ri- petizione del riferito superiormente, non senza forse anticipare l'epoca quanto a Sciarra. Poichè egli dice, di ritorno Mar- c'Antonio (11)Colonna dalla Francia colle sue squadre nel 1556 (cioè nella guerra contro Paolo IV), benchè predasse Segni, Palestrina e altri vicini luoghi, nondi- meno per Cori si mostrò rispettosissimo. Marco Sciarra Colonna, dopo aver saccheggiato Norma e Giuliano, portando- si alla volta di Cori, la sua venuta fu frastornata dal p. Egidio Mariola cora- no, che avendo entratura co' Colonnesi, in segnod'amorevolezza gli andò incon- tro con molte somedi viveri, e come al- tri vogliono gli presentò le chiavi di Co- ri, per cui dal Papa restarono scomuni- cati per molto tempo i corani. Nell'Al- bum diRoma,t. 23,p. 35, si legge di L.Ab- bati un' elegante descrizione della pittu- ra esprimente Tasso e Marco Sciarra, e VEL VEL 203 seguita dal valente romano pittore Carlo De Paris. Si apprende daessa che il for midabile ladrone co' suoi felli, ne' mon- ti della Bruzia vedendo il grande epico (che celebrai anche nel vol. LXXXV, p, 34), non gli fece onta, matutto umano emite l'assicurò di progredire il viaggio tranquillamente, ed offri nell'insorta pro cella se e i suoi in di lui aiuto e conforto, Secondo il riferito da Ricchi, e in una lettera scrittami dal Marchetti, Paolo V nel 1605accordò al magistrato pubblico di Cori il titolo di conservatori. Il Bau- co in vece attribuisce la concessione a s. Pio V e perciò anteriore, ed osservando che il senato romano ne fu contento, e che anzi ascrisse fra le famiglie patrizie romane non poche di Cori, che furono la Veralli, la Buzi, la Corradini, la Montagna e altre. I conservatori di Cori si sottoscrivevano con tale titolo, epoi tra- lasciarono d'usarne il titolo. Atempo del Ricchi i 3 priori incedevano magistral. mente con ammanti di color violaceo, e ornamento di armisino o ornesino, I conservatori poi incedevano togati con berrettedi velluto, seguiti da 3 mandata. ri, sia nel partire e sia nel ritorno alle loro case. Leggo nel p. Casimiro, che nel1660 ordinò la congregazione della s. Consulta, che gli uffiziali del comune si eleggesse- ro dalle 60 principali famiglie, poichè sino allora nulla facendosi in Cori senza i conservatori di Roma, da questi si sce- glievano 60 consiglieri , da' quali erano scelti gli uffiziali e singolarmente il giu. dice; essendosi i conservatori di Roma riservato solamente il diritto di costituir- vi il pretore, poi confermato con ponti- ficio breve, carica che soltanto conferivasi ad un nobile romano, onde tra gli altri l'esercitarono i Cenci, i Conti, i Mu- ti , i Bufali, i Fabi, i Boccabella, i Papa- roni, i Vetera, gli Jacovacci, i Cesarini, i Molara, i Mattei, i Caffarelli, i Frangi- pani. Se nel secolo XVI tanti uomini chiari nelle lettere, nella pietà e negli o nori Cori produsse, dichiara Viola, non a ne fumeno feconda nel secolo XVII. Sal principio fu illustrata dalla nascita di Pellegrino Landi Vittorj, la cui famiglia sempre produsse insigni uomini nelle scienze,edal presenteconragionesi pregia appartenerle il degnissimo vescovod'Asi- si. Pellegrino collesue virtù divennecanonicodis, Maria, l'ornamento della patria, il decoro di sua stirpe, il padre de' poveri, l'uomo apostolico e santo, comechè venerato qual servo diDio. Ne compilò la vita un gesuita, e la dedicò al vescovo cardinal Ruffo, di cui ne pubblicò l'estratto il Marchiafava nella discorsa 1.2edizione di sua Breve istoria, ragionan- done anche nella 2." Narransi di esso cose prodigiose, fra le quali le sue estasi in coro al canto della Salve Regina, e di aver alzato il capo e le mani dal feretro nella messa solenne del suo funerale al l'elevazione dell'Ostia per venerare il ss. Sagramento, Divotissimo della Madon- na del Soccorso, impreteribilmente la visitava ogni giorno prima del coro, ed in una processione di penitenza, per umiltà fece il lungo e disastroso viaggio con pe- santissima Croce sulle spalle, econ peso smisurato di selci appeso al collo. Giro- lamoVeralli il giuniore figlio di Erminio, letterato, giureconsulto e preside di mol- te città ed altri luoghi della Campagna, La famiglia Castaldi fu pure in ogni tem- podi uomini egregi illustrata: Marsilio fu valente letterato ed erudito; così Anastasio canonico d'Albano; Flaminio giu- reconsulto fu denominatocausidico per- fetto; il p. Gabriele seniore agostiniano, profondo teologo, esimio oratore, autore d'un dramma sulla fanciulla Oliva. Melchior Bossi, imitatore di Plauto che facendo il mugnaio nell'ore di riposo scrivea commedie, essendo scarpellino nel- l'ore d'oziocomponeva versi e commedie, ed il Viola riporta di lui un bel numero d'opere in prosa e in poesia, alcune del- le quali stampate. Alessandro Petrilli buou poeta, maseguace del cav. Marini ; conosciuta l'erronea sua condotta si fece 204 VEL VEL r cappuccino, ed occupò il suo estro poetico in temi edificanti e in rappresenta. zioni sagre, riferite dal Viola. Antonio Mattei canonico decano di Milano: altro di talnome o forse il medesimo, conl'U- ghelli lo dissi vescovo di Sarno in quel. I'articolo. La famiglia Montagua pro- dusse più individui meritevoli di rimem- branza: Marco Tullio valente pittore fu impiegato da Urbano VIII negli abbelli- menti del palazzo apostolico ; Vincenzo buon letterato, fu 40 anni governatore de' feudi de'Caetani, morto piamente in patria di 97 anni nel giorno e ora da lui predetti; Salvatore di gran talento e pro. tonotario apostolico, dal cardinal Pietro Aldobrandini fatto nominare avvocato delle vedove, de'pupilli e di tutti i pove- ri di Roma, meritando che Urbano VIII lo sostituisse al celebre mg. Scannarola divenuto vescovo di Sidone, nell' uffizio di procuratore generale sulla visita delle carceri di Roma; zelantissimo della religione arriochi le patrie chiesed'insigni ss. Reliquie e di altri sagri monumenti. Il suo fratello Gio. Pietro Prosperi avvo- cato in Roma, fu ascritto co' suoi discen. denti alla nobiltà romana, per le sue egregie qualità. Torquato Corradinid'an- tica origine romana e nobile, celebre avvocato della curia romana, da Cori sua patria si trasferì a Sezze nello sposare l'e. reditiera della cospicua famiglia Ciamba. riconi, e divenne padre del celebre cardinal PierMarcello Corradini (I'. ) gloria eprotettore di Cori e di Sezze, pel narrato in quell'articolo, come sue patrie d'o. rigine e di nascita : le corti di Spagna e dell'impero impedirono che fosse subli- mato al pontificato. Il Viola ancora deguamente ne celebrò le splendide gesta e la vasta dottrina. Il solo Torquato padre del cardinale passò in Sezze, rimanendo iu patria l'altro ramo Corradini, Agl'il- lustri del secolo XVII appartiene Valen. tino Moroni celebrato dal Ricchi, qual capitano nella guerra sostenuta da Urbano VIII, posciapassato al servigio del re di Francia edell'imperatore inGermania: tornato in patria carico d'auni e di glo- ria, vi morì con applauso del suo operato e insieme con ammirazione di non esser stato preiniato a misura di sue prodezze. Ma come dice il maestro della politica Tacito: Non semper virtuti pares hono- res, neque bonis praemia, sed ignavis tributa fuere ! II Ricchi fa pure onore- vole menzione del capitano Paolo Mattei, edi Cristoforo e Cesare militi di tal famiglia, e della sua Virgilio alſiere in detta guerra, dalla quale ripatriando donò la sua bandiera alla Madonnadel Soccorso. Virgilio Colangelie Beatrice di lui sorel. la furono l'ornamento e il decoro di Co- ri. Virgilio lodato poeta lasciò diverse o- pere in versi nel latino idioma di patrii argomenti, notati dal Viola. Beatrice si esercitò pure egregiamente nella poesia, ein morte fu pianta dalla patria : lusin- ghiero elogio. Giulio Picchioui il giuniore abbelli e dotò nel duomo la cappella della Madonna della Pietà, beneficò i mi nori osservanti con suppellettili sagre, e per l'acquisto dell'area onde ingrandirne il convento. Quattro degni figli di questo virtuoso corano furono Alessandro, Simeone, Cesare e Carlo; e da questi derivarono altri uomini encomiati, come Flamiuio e Alessandro suo fratello arcipreti di s. Maria. La famiglia Buzi nonfu in- feriore alle altre corane in uomini valenti: furono giureconsulti Giovanni nel secolo XV, nel seguente Pier Saute, e A. deodato vicario generale d'Ostia e Velletri. Da Onorato di 4 figli laureati in giurisprudenza (un Girolamo fu abbreviatore di parco maggiore), Pier Saute do- pola metà del secolo XVI, essendosi tra sferito in Roma, si acquistò fama di celeberrimo avvocato, e sposata la nobile Prudenzia Giganti romana, ivi fissò il suo domicilio, per cui Lorenzo uno de' figli formò it. anello genealogico della famiglia Buzi romana, il cui palazzo alla salita di monte Magnanapoli eredita- rouo i marchesi Ceva. I suai discenden VEL VEL 205 • ti furono ragguardevoli e rinomati: Lo- renzo giuniore divenne dotto vescovo di Carpentrasso, ivi compianto per esem- plari costumi, virtuoso e santo pastore, profondendo le rendite della mensa nel sovvenire i poveri. De' Buzi furono pu- re, Pier Sante cavaliere gerosolimitano (del suo nome fu pure il prelato referen- dario morto preside d'Orvieto nel 1705), Giuliano e Carlo conservatori di Roma, altro Carlo dotto barnabita, e Fabio va- loroso milite fu gentiluomo della celebre Cristina regina di Svezia: Prudenzia sorella de' primi sposò Ortensio de' marchesi Ceva. Di non minore antichità e nobiltà è l'altra famiglia corana de'Luzi ; da cui uscirono encomiati nel secolo XVI Giuliano cancelliere, Francesco gesuita profondo teologo e celebre predicatore, morto in buon odore; il fratello Fulvio fu canonicodi s. Maria in Via Lata di Roma: il figlio di Curzio, Antonio, divenne ec- cellente chirurgo operatore. II p. fr. Sante Lauriente francescano minore osservante, discendente dall'omonima famiglia, dotto e fornito d'estese cognizioni , scrisse non poco in poesia ed i molteplici argo- menti riporta Viola, sì di poemi e sì di componimenti numerosi. Dotato di va- sta erudizione patria compilò l'Historia Corana, senza risparmio di ricerche e fa- tiche; perciò benemerentissimo della pa- tria, i cui pregi rilevò con lode Viola con sensi di grato animo, per aver notabil- mente contribuito alle sue pregievolissi- meMemorie istoriche di Cori, e per que- sti miei cenni anch'io mi dichiaro riconoscente e ammiratore. Da Natale Pla- cidi e da Angela Cardilli onesti e poveri pastori nacque il gran beato Tommaso da Cori, sublime ornamento del suo or. dine e di sua avventurata patria, istitu- tore de' ritiri de' minori osservanti nel. la provinciadi recollezioneda lui restaurata, denominato da Pio VII' Apostolo diSubiaco, la cui diocesi abbaziale, inaf- fiata da' suoi evangelici sudori d'assidua predicazione, in Civitella possiede il tesoro del suo sagro corpo, luogo venera- to qual santuario, che descrissi nel vol. LXX, p. 229. Alle sue vite ivi ricordate aggiungerò : Compedio della vita, vir- tu e miracoliec., Roma1760. ActaBea- tificationis etCanonizationis etc., Romae 1786. Santificò pure le provincie di Ma- rittima e Campagna, di Sabina e di Rie. ti , ed anche in Roma si rese benemerito. Cori nel secolo XVIII, simile ad un ter- reno sempre fertile e rigoglioso, come lo qualifica Viola, come ne' precedenti fu produttrice d'illustri. Ed eccoci nuovamente, per ragione di epoca, a celebrare Jo storico Antonio Ricchi, la cui antica famiglia corana risale al principio del se- colo XIV, s'imparentò colla Veralli e restò estinta a' nostri giorni; ne' tempi ve. tusti portava il casato di Agoni, quindi per le ricchezze di cui era fornita prese quello de'Ricchi. Dopo la metà di detto secolo Tuzio costruì in Cori la cappella di s. Giovanni, e della ss. Concezione nella chiesa di s. Pietro. L'eruditissimedue opere d'Antonio, più volte commendate, a suo tempo fecero strepito e soprattut- to furono accolte con entusiasmo da'suoi concittadini ; di poi col risorgimento del buon gusto e della critica, soggiacquero alla sorte di tutte l'altre produzioni che sapevano alquanto di seicentismo. Nondi- meno non si può negargli somma erudi- zione dell'illustre regione volsca, che de- scrisse colla Reggia e col Teatro, le be- nemerenze rilevate più sopra, e rimarca- te pure con encomio dal Bauco, quali mi- niere di nozioni locali e importanti, e di riconoscerlo fra' primari letterati nazio- nali e di Cori che specialmente descrisse; e doverglisi speciale riconoscenza eziandio dagli scrittori delle cose volsche, equi ancora gli dichiaro la riverente mia. Gli altri illustri della famiglia Ricchi si ponno vedere nel Teatro p. 269 eseg., ove vi è l'albero genealogico. Dall'antica e ri- spettabile famiglia de' Landi Vittorj fio- rì il p. Gregorio gesuita di grandi talen- ti e singolari virtù, nel collegio romano 206 VEL VEL lettoredi filosofia,di polemica edi teologia dogmatica. Fu maestro de' cardinali Gio. Battista e Carlo Rezzonico, e del lo- ro fratello d.Abbondio senatore diRoma, tutti nipoti di Clemente XIII, al 1.º de' quali dedicò Institutiones philosophicae Carminibus explicatae lib. XII. Questa dotta opera, scritta in versi con tutta la venusta latina, come quello che in Roma era ammirato qual novello redivivo Virgilio, ivi fu pubblicata nel 1767. In que- sto letterario lavoro il p. Gregorio Lan- di Vittorj dimostrò trionfalmente la sana dottrina, la schietta verità, i sublimi attributi dell'Ente supremo, e la scienza filosofica sgombra da prestigi.Ciò egli fe- ce perconoscere, che tutti i mali i quali orgogliosamente fin d'allora minacciava- no didistruggere il trono e l'altare, trae- vano l'origine impura da opere, parto della depravazione e d'una sedicente filo- sofia, e che in ogni regno, in ogni città non meno che fra i più meschini villaggi e rimoti abituri in grande copia si face- vano circolare adorne di seduttrice elo- quenza. Suodegno concittadino e discepolo fu il p. Antonio Saracinelli gesuita dottissimo e celebre predicatore, maestro per 8 anni del Viola, nel convitto aperto dagli ex-gesuiti nella sua patria Tivoli , ventura ch'egli dice non ebbero altre cit. tàd'Italia. E qui al Viola si apre vasto campo per giustissimamente celebrarele benemerenze, le splendide virtù e la vasta dottrina che sempre fiorirono nella veneranda compagnia di Gesù, in unoal suoprofondoossequio egratitudine a'due ornamenti della medesima i corani pp. Gregorio e Antonio, gloriandosi siccome ammiratore personale di loro sublime dottrina ed esemplare pietà. Noterò, che degnissimo nipote del p. Antonio è l'at- tuale vescovo d' Asisi mg. Luigi Lan- di Vittorj nobile di Çori, già canonico della patria collegiata e vicario foraneo; indi dignità e arciprete della cattedrale di Velletri , di cui è nobile, pro-vicario generale della diocesi, elevato al vesco. vato da Gregorio XVI, a' 22 gennaio 1844, con quell'elogio di sommo zelo, singolare pietà, dottrina, probità e pru- denza, che si legge nella proposizione con. cistoriale. Egli ha la gloria d'avere ritrovato il corpo di s. Chiara, e di averne fat- ta la solenne traslazione, nel modo accen- nato nel vol. LXXIX, p. 178. Il sacerdote Pietro Prence dotto segretario del car- dinaldelleLanze e del senatoreRezzonico,. fattoconte e nobile di Cagliari co'suoi di scendenti : emulo disue belle doti fu il ni . poteGiuseppe, segretario di detto senato. re e vice-duca del duca d'Ossuna erede de' Borgia di Spagna, professore di lin- gua greca nel collegio Urbano. Mg. Luigi Jannoni cameriere d'onore del Papa, con. sultore di Propaganda e correttore della s. Penitenzieria, ora datario della mede- sima esaggio giureconsulto. Mg. " Nicola Manarigià dotto segreto di Rota e assesso- re civile del tribunale d'Ancona,fu pe'suoi meriti da Leone XII dichiarato prelato referendario, abbreviatore di parco mag- giore e ponente del buon governo. Ono- randomi d'aver goduto l'amorevolezza di sì distinto prelato ed eccellente giure- consulto, mi è dolce l'aggiungere. In An- cona fu pure avvocato de' poveri e vice- legato. Inoltre funse le cariche di votan- tedi segnatura, e successivamente 3. °,2. e 1.º luogotenente del tribunale dell' A. C. e vice-presidente del 1. turno, più volte avendo supplito all'uditor generale della camera apostolica. Fu eziandio prefetto regionario, e primicerodella pon- tificia congregazione e accademia di s. Ce- cilia. Ma fu una dell'illustri vittime della Pestilenza del cholera del 1837. Per- tantosi hadal n. ° 72 del Diario di Ro- ma: Nella notte de' 5 venendo il 6 settembre cessò di vivere con tutti i confor- forti della religione mg. Manari ec. » La dottrina ed i meriti dell' egregio prelato rendono dolorosa la sua perdita special- mente alla romana curia ". Fu tumulato con iscrizione nella cappella del cimiterio Varano, della patriarcale basilica di s. 0 VEL VEL 207 Lorenzo fuori le mura di Roma. Posso dire che Gregorio XVI, che meritamen- te avea per lui una particolare stima e benevolenza, pensava a promuoverlo, e certamente poi sarebbe stato elevato al cardinalato, come lo riteneva il cardinal Giuseppe Albani, da lui dichiarato bene- merito di sua principesca famiglia, che assistè dal 1803 fino alla morte, qual suo uditore e amico, difensore e ricuperatore di molte sostanze della medesima, per la qualedisbrigò gravi e delicate commissio- ni. Siccome il cardinale credeva che fosse ornatodella porpora luivivente,avea stabilito fargli lespese occorrenti, comeavea praticato col celebre cardinal Consalvi, nella cui promozionegl'improntò diverse migliaia di scudi. Il p. Francesco Imperi minore osservante, colla sagra eloquenza si rese celebre ne' primari pulpiti di Ro- ma e d'altre capitali d'Italia. Loreto del Quattrodottoepio parroco dis. Caterina. Il sacerdote Giulio Picchioni in Roma emendò i libri scolastici di Fedro, Ovidio, Virgilio e Cicerone; e mori in patria in grande estimazione, lasciando scelta bi- blioteca. Il nipoted.Angelo Picchioni esi- mio difensore delle cause de' Santi e mi nutante della segreteria de'brevi.Dirdio : Gregorio XVI lo promosse a cameriere suo segreto soprannumerario, a sostituto didetta segreteria, ed a canonico della pro- tobasilica Lateranense, in beneficio della qualenonsolofece quanto descrissi ne'vol. XXIII, p.281 , LXXV, p. 59, oltre la sud- detta rinnovazione di lapide al concittadinoAmati, ma lasciò un fondo d'annui scudi 60col semplice onere d'un funerale anniversario perl'anima sua. Mori il pre- lato nel 1852, e l'egregio suo nipote Lui- gi archivista della nominata segreteria,al sinistro lato dell'ingresso della sagrestia di detta arcibasilica glieresse, rimpetto a quello dell'Amati, un monumento mar moreo colla sua effigie e stemma ; e sic- come nell'iscrizione si dice cavaliere de' ss. Maurizio e Lazzaro, noterò ch'ebbe ta- le decorazioneper essere stato postulatore della causa della ven. Maria Clotilde di Francia regina di Sardegna. Mi go- de l ' animo d' avere reso un omaggio a quest' altro corano benevolo mio, e col quale ebbi carteggio d' ufficio pel Papa Gregorio XVI. II p. MichelangeloCioe- ta provinciale de'minori osservanti, teo- logo di somma pietà. Il sacerdote Ca- millo Tommasi virtuoso e zelante, fa caro a Pio VII . Luigi Maggi dotto canoni- co penitenziere di Velletri e precettore in quelseminario. I sacerdoti VincenzoDuc ci dottissimo segretario in Parigi del car- dinal Caprara, autore del Triduo del ss. Corporale d'Orvieto; e Luigi Accrocca rettoredel collegio Pamphilj, e autore del Compendio istorico dello scisma de'gre- ci, meritarono onorevole menzione nel- l'Effemeridi di Roma del 1823. In esse vi è pure dell'altro valente corano d. Be. nedetto Coronati di talenti straordinari, versato in ogni ramodi letteratura, pro- fondo matematico. Marzio Luigi Cerac. chidella congregazione di s. Vincenzode Paoli, eccellente nell'esercizio dell'evan- geliche virtù, superiore esemplare di di. verse suecase. La famiglia Marchetti van- ta antichità , e già fioriva in Cori nel se colo XIII, non che d'essere ascritta a va- ri patriziati di cospicue città; s'imparentò colla famiglia Bartoli nobile romana , e coll'illustri fiorentine Maselli e degli Utili (Bianca di queste, partorì 19 figli, come si legge nella lapide in s. Lorenzo in Da- maso di Roma) : Alessandro seniore cominciò nel finir del secolo XVI a funge. regli uffizi di vice-ducade feudi d'Altemps e de'Colonnesi in Puglia, de'quali ultimi fu benemerito, rispettabile per probità e altre virtù; Alessandro giuniore canonico in patria, già ricordato, di grandi talen- ti, segretario del marchese Patrizi sena- tore di Roma, utilea'suoi concittadini cui portò da Subiaco la reliquia del b. Tom- maso (che al di lui padre Ortensio ope- rò vivente il celebrato miracolo, il quale era in Cori vice-governatore perpetuodel senato romano), autore di molte lette. 208 VEL VEL rarie produzioni stampate , onde meritò gli elogi dell' Effemeridi di Roma del 1823. Con altro elogio del fratello di d. Alessandro , cioè di Vincenzo Tommaso Marchetti, il Viola termina le sue elabo- rate Memorie, delle quali con lui già lo dissi benemerito; poichè lo celebra per le sue letterarie produzioni, per irreprensi. bilecondotta, zelo e probità con cui lode. volmente disimpegnava ogni incaricoche permerito gli veniva conferito, onde il se- nato romano l'avea ascritto alla sua cit- tadinanza. Tutto è Storia di quell'illu stre corano vero esemplare cristiano, ti- podel più tenero amor patrio, dotatodi molteplice erudizione che diffondeva col- Ja sua pronta e felice memoria , elegante latinista in prosa e in versi. Egli morì nell'amata patria nel bacio del Signore, colla consolazione di vedere il diletto e suo saviodegno figlio Alessandro meritamen- te nel 1854acclamato da'suoi concittadi. ni in gonfaloniere, ad onta che non ne a- esse l'età congrua, alla quale benigna- mente dispensò il Papa che lo bramava investito dellaprincipalemagistratura pa- tria. Egli tuttora lodevolmente funge l'o. norifica magistratura , e per le sue cure è stata allargata la strada che da porta Romana conduce alla piazza omonima e principale, la quale ancora venne ingran- dita e abbellita colla demolizione d' alcuni fabbricati. Equi si compie il serto intessuto de'miei fiori , che mi proposi de- porre sull'avello che racchiude le spoglie mortali del verace amico. Nel vol. LXIV, p. 62, narrai la visita formale fatta a Co- ri dal marchese Sinibaldi nel 1804 come conservatoredi Roma, ed i festeggiamen- ti e archi trionfali co' quali la città l' ac- colse. Il Cancellieri nel Cenotaphium al cardinal Antonelli vescovod'Ostia e Vel- letri riferisce a p. 54, ch' essendogli noto essere trascorsi più di 6lustri dacchè la città di Cori non era stata visitata dal proprio pastore, si stimò in obbligo di prontamente recarvisi a'6 ottobre 1807, col convisitatore can. Polidori (V.) poi cardinale , che con aureo stile nedistese gli atti e i decreti. Fu accolto fra le accla . mazioni di tuttoil popolo, col suonoditut- tele campane e lo sparode'mortaretti. II magistrato, che l'avea già fatto incontra- re a Velletri e scortare da'più distinti cit- tadini per lungo tratto di strada, lo rice- vè alla porta della città ; dove smontato dal suo legno, il clero co'due capitoli tut- to riunito nella primaria chiesa collegia- ta di s. Maria della Pietà, lo ricevè nel- l'ingresso e venne cantato solennemente il Te Deum. Il cardinale nel condursi al- l'appartamento vescovile, nel conventoal- loradegli agostiniani , benediceva il po- polo che divotamente l'implorava con commovente spettacolo. Si trattenne il cardinale in Cori 22 giorni , e tutti edifi- cò con infinite opere sante e colla divina parola. Visitò le 6 chiese parrocchiali , il monastero delle monache, la casa delle maestrepie, e l'oratorio gentilizio de'con. ti Finy sagro a s. Anna. Amministrò il sagramento della cresima anche nelle case de'poveri fanciulli moribondi, tenne l'or- dinazione, fece la comunione generale al- l'affollato popolo, visitò econsolò misera- bili infermi, predicò 8 volte in modo tene- rissimo.Vesti monacaTeresaManari, pro- nunziando eloquente discorso, assistito al trono nella messa cantata dal fratello d. Nicola Manari, il sullodato prelato; ed an- cora da mg. Tassonideputato del mona- stero,edamg. " Macioti suffraganeodi Vel - letri cugino della monacanda, cui fece da madrina la contessa Giacinta Contini Gataldi, e dal magistrato. Il clero tutto fu ri- cevuto dal cardinale amorosamente, manifestando pubblicamente a tutti la sua pienissima soddisfazione; e lasciando ab. bondanti limosine a'poveri fece ritorno a Velletri corteggiato da' più distinti eccle. siastici e cittadini. Dice il Castellano, che nel 1831 divenuta Velletri legazione, la giurisdizione criminale di Gori restò al se- natoromano, ma l'amministrativa fu at- tribuita al governo di Velletri. Nel supple- mentodel n. ° 34 del Diario di Roma del r VEL VEL 209 1839 si legge la descrizione de' festeggia menti fatti in Cori , per avere condisceso Gregorio XVI alle brame del municipio, con concedergli a protettore il cardinal Giacomo Giustiniani camerlengo di s. Chiesa, in occasione dell' elevazione del suo stemma, associandolo a quelli del Pa. pa e del cardinal Pacca legato. Nel duomo pontificò mg. Franci vicario genera- le e suffraganeo di Velletri , condecorando le funzioni sagre e civili colla sua presenza mg. Lolli vice- legato della provincia di Marittima, con tutte l'autorità giudiziarie e civiche di Cori , banda militare e truppe di linea e de'bersaglieri. Vi furonoperdue sere generali luminarie , fuochi artificiali ealtre pubbliche dimostrazioni di gioia. Inoltre nella sala di Carlo Manari, fratel. lo del già encomiato prelato, unodegl'in dividui della magistratura estato piùvol. te gonfaloniere, ebbe luogo un'adunanza letteraria di coltissimi soci , in onore del cardinal protettore; e nella casa del gon- faloniere Nicola Fochi, pel medesimopor porato si tenue altra accademia vocale e istrumentale. Narra il principe Massimo, Relazione del viaggiofatto da Gregorio XVIalleprovincie di Marittima e Campagna nel 1843, che il Papa in Velletri ammise all'udienza varie deputazioni e magistrati >> fra'quali vennero que'di Co. ri vestiti coloro rubboni (con mostre d'o- ro), non ostante l'opposizione della magi stratura di Velletri , che così temevapre- giudicassero alla sua giurisdizione , e che aveva fatto perciò il possibile per impedi- re loro d'indossarli".IlPapa benignamen- te accolse l'omaggiodella città di Cori, in. di fece invitare alla tavola di corte il sul- lodatogonfaloniereNicolaFochi,veramen- tedegno e zelante magistrato civico, sic- come virtuoso ed equo, e ainante la flori- dezza della comune patria e de' concittadini. Notai a suo luogo e racconta il Bau co, che nell'ottobre 1847 il regnante Pio IXorganizzò il Senato Romano in mu- nicipio, questo rinunziò alla giurisdizione su Cori, la quale città si trovò libera del VOL. LXXΧΙΧ. r la confederazione e de'patti col medesimo, e fu sottoposta alle leggi generali dello sta- to pontificio, onde d'allora in poi ègover- nata dalla legazione di Velletri. Riporta il supplemento aln.º 122 del Giornaledi Roma del 1855, la visita pastorale aperta in Cori dall'attuale vescovo cardinal Mac- chi. La mattina de' 22 maggio la magi . stratura municipale, a cui si unì l'auto- rità civile ed ecclesiastica, si recò in Giuliano ad incontrare il cardinale e rappresentargli il tripudio comune per la sua ben avventurosa venuta. L'ingresso seguì avanti le ore 10 antimeridiane,tra losquil- lo festivo de'sagri bronzi, le reiterate sal- ve de'mortari, il suono armonioso della banda cittadina, ed il plauso popolare. Il cardinale scese di carrozza con mg. Vitali vescovo d'Agatopoli e suffraganeo, ed accompagnato dalle ricordate autorità, mosse alla volta della primaria collegiata di s. Maria, ove ricevuto dal capitolo, si portòall'altaredel ss. Sagramento, pro- fondamente l'adorò e assistè alla messa. Dipoi vestiti gli abiti pontificali apri la s. visita coll' intervento di tutto il clero e della magistratura, e disse a'corani un'o- melia assai bella e commovente per dottrina, per zelo e divozione , protestando chepel bene del gregge era a tutto dispo- sto; restando tutti iuteneriti e compunti per la santità di sue parole. Quindi com. parti la trina benedizione col ss . Sagra- mento, e pubblicata dal decano de'cano . nici l'indulgenza, depose i sagri paramenti. Uscito di chiesa recossi collo stesso cor- teggio alla ss. Vergine del Monte , nel- l'altra collegiata de' ss. Pietro e Paolo. Quivi accolto dalcapitolo entrò nel tem. pio addobbato elegantemente e splendido di molti lumi; ricevuta la benedizionedal- l'arciprete col ss. Sagramento, il cardinale andò a orare all'altare della ss. Vergine Addolorata, quindi benedì il popolo, e visitò il vicino monastero delle mo- nachedel terz'ordine, checonfortòa man. tenere in vigore l'osservanza della regola. Di là si trasferì nella sua vescovile resi14 210 VEL VEL denza in s. Oliva , ed ivi coll' amorevolezza e affabilità tutta propria del porporato, accolse i magistrati, i chierici rego- lari minori cogli alunni del collegio alla loro cura affidato, ed onorò di particolar colloquio i parrochi. Da ultimo visitò la scuola delle fanciulle dirette dalle maestre pie, cui disse acconcie parole. Le vie per cui passava il cardinal Macchi erano sparse di fiori e verzure, e le finestre mes. se a drappi di vario colore. Per cura del municipio si videro ne' principali luoghi della città eretti archi trionfali di varie strutture e nel prospettodi essi molte e- pigrafi, fra le quali la pubblicatadal Gior. nale. Alle ore 8 pomeridiane il cardina- lepartida Cori, accompagnato dalle sum. mentovate autorità, dalle benedizioni de' poveri da lui soccorsi largamente, edalle acclamazioni di tutti , lasciando in ciascu no vivo desiderio di godere spesso e per molti anni la dolce presenza dell'ottimo padre, principe e pastore. Cori si distin- se per amore e zelo patrio anche nel fa- re stampare il suo statuto approvato da Paolo III, nel 1. ° secolo dell'introduzione della stampa in Roma, ma divenuto ra. rissimo, mi è noto che un esemplare to possedevail celebre marchese Biondi, con questadata. Romae apud Valerium Doricum et Lodovicumfratres Brixienses AnnoDominiMDXLIX. Indi venneristam. pato con questo titolo: Statuta Civitatis Corae ab Illmis. et Exmis. Almae Ur bis Conservatoribus denuo approbata et confirmata, accesserunt adcalcem Ro- manorum Pontificum Brevia, taxae a- liaquejura etc., Romae apud Joannem Mariam Salvioni . In Archigymnasio Sa- pientiae 1732. Fra'brevi apostolici in essi riportati , i principali sono di Pio II, Pao. lo Illes. PioV. Quanto allo stemma del la città, dice il Ricchi, che Cori variò l'im presa col mutare di dominio, sebbene molto antica si tiene la moderna che mostra il Leone di metallo in campo vermi- glio, col cuore purpureo al fianco, eret- to con due branche in aria e colle fauci aperte in atto di rampare e combattere; presagio d'impero, impresa de' trionfanti esegno di vittoria. Eornato di corona qual città capo e reggia di nazione con autorità politica, per averla sempre eser- citata sino dal1410 col mero e misto im. pero, etiam cum potestate gladii , al 1.º settennio del secoloXVIII coll'elezionede' due pretori, che rendevano ragione al po- polo.Dal 1410 assunse il motto: S.P.Q.R., ma ne'secoli anteriori che la città reggevasi in forma di repubblica, usò questo : S. P. Q. Coranus. Aggiunge Ricchi che il governo de'duumviri e de'quatuorviri durò sino al 1500, presiedendovi ezian . dio i novemviri nobili e sapienti cittadini con facoltà d'eleggere due pretori per ren- dere giustizia. Vi furono pure i sexviri , e quegli altri magistrati già discorsi . Osserva Marocco,che lo stemmadel Leone in campo rosso col cuore rosso in mezzo al corpo, avendolotalunoderivato dall'esserestatoErcoleinCori reducedalleSpagne, egli non aderisce a' racconti mitologici ; crede pertanto che esprima il Leone la generosità e fortezza dell'invitta gente co- rana (dicendo gli odierni corani cordia. lissimi, e corrispondendo il nome della città al cuore che hanno); che il campo rosso possa intendersi pel sangue de' ne- mici nel quale Cori era avvezza a starsi (sic); ed il cuore , la sua leale magnani- mità e fermezza. Ercole sicuramente eravi in venerazione, poichè gli eressero un tempio. Della feracità del territorio Co- rano con terreni macchiosi , seminativi , olivati e vignati , parla il Bauco e dice comprendere più di 3481 rubbia. Rile- va il Nicolai , che il territorio di Cori è tutto vestito di macchie, e abbonda d'o- gni sorte di cacciagione. Marocco sog- giunge, il luogo non mancare di vetto- vaglie, essendo contornatoda boschi di o- livi, per raccogliere gran quantità d'olio eccellente; le sue vigne essere con bell'industria agraria coltivate, e squisiti ne so- no i vini; inoltre il territorio produrre o- gni sorta di cereali, che per l'abbondan VEL VEL 211 za continuamente si esportano; sebbene la cosa più importante per Cori sia lacol- tivazione del tabacco, che ha molto credito ed esito grandissimo. E il Bauco dichiara il tabacco eccellente e odoroso , e generalmente reputato il più squisito di tutto il dominio pontificio. Diceva un in- telligente spagnuolo, che sarebbedivenu- to più eccellente del tabacco di Siviglia, se da'corani si apprendesse l'arte e il me- todo come in Ispagna si riducela foglia in polvere, dovendo a ciò animare i corani e le loro piantagioni la regia de'tabacchi, anche per la maggior quantità di prodot- to, e quindi ne deriverebbe un gran lucro. Elegantemente descrisse l'ubertoso e fecondo, non che ameno e delizioso territorio di Cori , il sullodato articolo del l'Album, il quale inoltre celebra i corani attuali in più modi, per senno, industria ebeneficenza; anche pel gustodella mu- sica maestrevolmente coltivata da' citta- dini, sì sagra che profana, che tanto di letta e commove, come quella che per le sue armonie e soavi note ognora si manifesta per la signora degli affetti, per la dolce e innocente rallegratrice degli ani . mi, per la regina dell'arti belle. Nel ter- ritorio finalmente sonovi cave di marmo corallina, colla quale Pio VIornò la Sa- grestia Vaticana, e Leone XII abbelli il battisterio dell' altra patriarcale Chiesa di s. Maria Maggiore. Anzi se si rinno- vassero gli scavi nel medesimo e nelle vicinanze della città, per l'antiche ville de' romani, di cui ragiona il Ricchi nel cap. 21 , Abbondanza della città, certamen- te si troverebbero monete, medaglie, i- scrizioni , statue ed altre antichità pre- gevoli . DELEGAZIONE E PROVINCIA DI FROSINONE, V. FROSINONE, Oltre il riferito in prin- cipio del presente articolo. In questa cit. ta risiedono il prelato delegato apostoli- co co'4 consultori, e il segretario genera. Je; il presidente del tribunale dit.istan. za con 3 giudici, oltre altro aggiunto , il cancelliere, l'assessore, il comandante del la gendarmeria. La provincia dividesi in 13 governi, ed ha 154,559 abitanti . DISTRETTO DI PONTE CORVO. Governo di Ponte Corvo. Ponte Corvo ( V.). Città vescovile con residenza del governatore. Ha le seguen- ti parrocchie. S. Bartolomeo cattedrale, s. Biagio, s. Marco, s. Maria di Porta, s . Nicola, s. Oliva , s . Paolo. Ne riparlai a SICILIA E SORA. Un'aggiunta. Il veliterno arcivescovo Theuli, Teatro historico di Velletri, a p. 15, tratta di Fregelle pro- topatria de'Pontecorvesi, per esserle suc- ceduta Ponte Corvo, secondo la più co- mune credenza. Egli dice. » Fregelle era città insigne e principalede'volsci, da Flo- ro, Hist. Rom.,lib. 1, c.11, chiamata Gesoriaco, Fregellae, quod Gesoriacum, egli scrive; e da Jornande, lib.1, Cesa. rea. Strabone la chiamò nellib. 5, Città famosa". Pertantone'miei sfuggevoli cen- nistorici sopra l'illustre Ponte Corvodis- si: Che Fregelle fu chiamata anche Ge soriaco e Cesarea, precisamente nel vol. LIV, p. 96. Ora occupandosi laboriosa- mente, con assidua e solerte cura a tes- sere la patria e particolare storia di Fre- gelle e Ponte Corvo l'onorevole e ch. Francesco Saverio Bergamaschi, onde tutti i fregellani sono sicuri che scriverà una storia degna della suaforbita penna edelsuo ingegno, urbanamente e cone- spressioni lusinghiere, mi fece sapere, a mezzodel miorispettabile fregellano ami- co cav. Giovanni Arduini, doversi emendare l'asserzione ; ed ioprontamente ad onore del vero e della storia qui pubbli co quanto egli stesso scrisse. " Egli è cer- tissimo, che Fregelle non ebbe verun altro nome, matale si chiamò pria chei sanniti la distruggessero l'anno 426 di Roma. E nell'anno 427, leggiamo in Livio lib. 8, cap. 18. Secutus est annus nulla re belli domive insignis P. Plautio Proculo, P. Cornelio Scapula Coss. praeterquam quod Fregellas (Sidicinorum is ager, deindeVolscorumfuerat) colonia dedu- cta. Più nel lib. 8, c. 20 leggiamo : Cae 212 VEL VEL terum nonposse dissimulare aegrepati, Civitatem Samnitium, quodFregellas, exVolscis captas, dirutasque ab se, restituerit Romanus Populus, coloniam. queinSamnitium agro imposuerit,quam coloni eorum Fregellas appellent. Dal che è evidente che i sanniti si querelano co'legati romani che Fregelle da'sanniti presa e distrutta, una colonia de'romani l'avesse indi riedificata, e non dieronoalla medesima altro nome, ma la chiamarono come prima, cioè Fregelle. Fregelle si chiamò sempre Fregelle. Perciò non sus- siste che Fregelle innanzi si appellase Ce- sarea e Gesoriaco. Jornande non l'asserisce riguardo a Cesarea, comenon lo ha inteso Floro riguardo a Gesoriaco. Quest' ultimo al lib. 1, cap. x1, parlan- do della guerra co' latini, ponendosi in bocca le gesta de'romani, dice : Sora (chi il crederebbe ?) ed Algido ne furono di terrore; e Satrico e Cornicolo,ambedue nostri governi. lo mi vergogno di Veroli ediBovilla ; pure ne trionfammo. Tivoli , ora suburbano, e Palestrina deliziosa nel l'està , s'investivano, fatti prima de'voti nel Campidoglio. Allora Fiesole ne riuscì come Carra dianzi. Fu per noi la Selva della Riccia , ciocchè poscia la Ercinia. Fregelle, ciocchè Gesoriaco; edil Teve- re, ciocchèl'Eufrate. Ecco qui che Flo- ro forma un paragone, non già dice che Fregelle innanzi si chiamasse Gesoriaco. Acciò si abbia maggior certezza, necopio il testo. Sora ( quis credat ?) et Algidumterrorifuerunt.Satricum atqueCor- niculum provinciae. De Verulis et Bo- villis pudet; sed triumphavimus. Tibur, nunc suburbanum,et aestivaePraeneste deliciae, nuncupatis in Capitolio votis, petebantur. Idem tunc Faesulae: quod Carraenuper. Idem nemus Aricinum , quodHercynius saltus. Fregellae, quod Gesoriacum. Tiberis, quod Euphrates" . Quanto poi all'essere la nuova Fregelle, Ponte Corvo, afferma il lodatoscrittore. >> Fatto, che a noi presenti, a chiunque vi si recasse, parlerebbero i copiosissimi ruderi, chepressoa 3 miglia si estendono dalle contrade ora dette Marecenee Torretta, fino a quelle di s. Damiano e s. Lucia ". DELEGAZIONE E PROVINCIA DI BENEVENTO. Benevento( V. ) .Città con residenza dell'arcivescovo cardinal Domenico Carafa di Traetto , e del prelato delegato aposto. lico mg. Odoardo Agnelli, non che di 4 consultori, e del segretario generale ; del presidente del tribunale di r ."istanza, con 2 giudici, il procuratore fiscale, il cancelliere, l'assessore legale, il comandante della gendarmeria . La metropolitana è sot- to l'invocazione della B. Vergine Assun. ta in cielo , ed ha le seguenti parrocchie. Ss. Angelo e Stefano, s. Caterina, s. Do- nato, s. Marco, s. Modesto , s. Maria di Costantinopoli, s. Maria della Verità , s . Salvatore. Di questa antichissima e nobi- lissima città del Sannio (V.), di recente onorata dalla presenza del reguante Pio IX(P.), del suo celebre ducato de' Lon. gobardi( V.), della Sovranità della s. Se- de (V. ) sul medesimo, per cui nell'inve. stitura della Sicilia ( P.) di qua e di là dal Faro sempre se lo riservò ; oltre il riferito in principio del presente articolo, ne riparlai in tanti luoghi ch'è impossi- bile ricordare, come de'suoi vescovi e ar- civescovi e loro antiche prerogative, ma si vedranno nell'Indice. Contiene la delegazione le seguenti 7 comuni, formanti il suo distretto, e tutti i suoi abitanti a- scendono a 23,176. Bagnara; Montorso; Pastine; Perillo, coll'appodiato Mac- coli ; s. Angelo a Cupolo, cogli appo- diati Motta, Panelli, Sciarra ; s. Leu- cio, coll'appodiato Maccabei ; s. Marco a Monti. Orapassocronologicamente a descrive . re compendiosamente i principali avveni- menti della storia civile ed ecclesiastica di Velletri interessante a tutta la provincia di Marittima, premettendo unabreve descrizione della città, della quale si ha del veliterno conte Giuseppe Bassi , Descri- zione della città di Velletri, Roma pel VEL VEL 213 Grignani 163 1.In tale anno ed ivi fu pure pubblicata da Giacomo Lauro , Descri- zione della città di Velletri. Ne trattano ancora, il Pinarolo, Trattato delle cose più memorabili di Roma, Velletri ec.; it Marchesi, Galleria dell'onore , della città di Velletri, ed altri. Terrò presenti i bratissime metropoli Roma e Napoli, per- cid continuamente transitata da quelli che ad esse recansi o ne partono. Da una delle sue porte comincia quel meraviglioso e lungo stradale che trapassa le Paludi Pontine. E distante dal mare Tirreno 15 miglia, da Roma 25 (al sud- est e malgra- summentovati scrittori di quanto riguardo che i cippi milliari la portino a 27, imda Velletri, ma di preferenza procederò col benemerito veliterno can. Bauco, come quello che dichiarò nella prefazione della 2.ª edizione della Storia della città di Veletri, che riguardando egli pure la Storia ( V.) qual maestra della vita e luce della verità, sebbene per scrivere la patria storia dovette servirsi della mag- gior parte de'materiali di quegli scrittori che ne parlarono distesamente, e ne rife. risce i nomi, nondimeno in tutto non ne seguì le loro opinioni. Rispettandone il merito e la dottrina , gli piacque di più seguire la verità che l'autorità ; giacchè molti fatti da tali storici come veri rife- riti, dalla retta critica sono contraddetti. Volle purgare la storia dalla favola edal le tradizioni vaghe e confuse, con ridurla al suo vero principio, poichè conobbe che anco gli storici veliterni errarono co'più, Egli tralasciò di riprodurre il testo de'di- plomi , delle bolle e brevi pontificii , l'iscrizioni e altri documenti, già pubblicati da'medesimi scrittori da lui ricordati sul. le memorie veliterne . Velletri o Veletri, Velitrae, siede sopra un terreno che mostra segni d'estin. to vulcano, nell'ultimo ripiano d'una lacinia che discende dal dorso del rinomato monte Artemisio (il cui nometrasse da Diana Artemis, deità di que'boschi che avea a specchio il vicino lago di Nemi, perciò detto Speculum Dianae) verso oriente, piano di bella e vantaggiosa emineuza , cioè di vari piccoli colli in figura di scudo e formanti una deliziosa collina, in aere puro di temperatissimo clima. Trovasi l' illustre città in mezzo a due reali antiche vie consolani e postali, l'Appia e la Latina, al diritto cammino di due cele. a perocchè essi furono posti quando Pio VI fece la nuova Strada, che dopo Albano nou saliva direttamente alla Riccia come negli ultimi anni, ma sboccava a Genzano presso il nuovo duomo,facendo il giro del ciglio meridionale di Vallericcia, e perciò allungando il cammino di buone due mi. glia. Anticamente fu 174 stadi cioè 21 mi glia e 3 quarti distante da Roma, proba- bilmente calcolandola dal punto in che deviavasi dalla via Appia a sinistra presso Tre Taberne. Tanto avverteNibby. Auzi sarà di meno di 25 miglia pe' ponti e Strada fatti presso la Riccia, e descritti in que' due articoli. Ora l' Enciclopedia contemporanea di Fano , tornandone a riparlare, serie 2.2, t. 1 , p. 58, ha pubblicatoun interessante articolo di Gian Virginio Orazietti, e intitolato: Il Viadotto d'Aricia, col disegno del medesimo tratto da quello più grande eseguito dal bravo Silvestri. Se ne rimarcano i pregi ar- dimentosidell'architetto e del monumen- to, la sua comodità, anche pel territorio veliterno; e si dà il prospetto della tassa pedaggio che devono pagare i transitanti, colla cifra numerica de'medesimi, dall'ot- tobre1854 a tutto dicembre 1857; specificandosi la natura de' passaggi, e quelli che ne godono l'esenzione, mentre i 4 co- muni circostanti pagano la metà della tassa. Del medesimo Orazietti, e nella stessa Enciclopedia, si legge un importante articolo che porta per titolo: Dell'Arsena. le di Tivoli e della Colonizzazione del suoAgro, con quello di tutta la Comar. ca. Per quanto dirò in fine, questa inia indicazione non riuscirà estranea) , 7 da Genzano, e daNapoli 120. Moltissime so- no le città, che col volger de'secoli han 214 VEL VEL no in tutto, o almeno in parte cambiato l'antico sito ; non però Velletri, che sem- pre dalla sua antichissima origine ha oc- cupato i medesimi colli su cui tuttora esiste. Labellezza del sito e la giocondità del prospetto le recano grande ornamento e decoro. Dall'oriente ella scuopre unalun- ga e varia catena di monti, mirandosi an- cora le cime degli Apennini, che s'innal. zano dentro il limitrofo regno di Napoli, Sopra i monti Albani si scorgono Pale- strina, Paliano, Piglio, Serrone: su quelli Lepini, Cori , Sermoneta, Norma, Rocca Massima, e alle falde Giuliano, Dal mezzogiorno si gode la vista delle vastissime campagne delle Paludi Poutine, e ad es- sa si presentano ancora Cisterna , la pe- nisoladelmonte Circèo el'estesissimo ma. re Tirreno coll'isolette Palmarola, Pon- zia e Sannona, esulle coste ilPorto d'Anzio, Nettuno e Astura. Dall'occidente Ar- dea, e Civita Lavinia con amene colline. Finalmentedal settentrione gode il mon. te Artemisio tutto coltivato, e l'altro u- nito di Spino, colle selve sempre verdeg. gianti di Faggiola e di Lariano. L'ultima proposizione concistoriale per l' odierno cardinal vescovo suburbicario, dice Civi- tas Veliterna intra fines Latii in provin- cia Maritima ad clivum montis Arte- misiiaedificata conspicitur,cujus in am- bitu trium circiter milliarium sexcentas domos, etquatuordecim penemillecom- plectitur cives, che la posteriore Statisti- ca del 1853 registra 14,474 compresi 5 ebrei; e quanto al circuito, anche Nibby disse Velletri cinta di mura semidirutede' tempi bassi, che giranocirca 3 miglia, es- sendolaporta verso Roma fatta nel 1573 co'disegni del Vignola. Ma come dirò, fu poi demolita, e sostituita da ampia Bar- riera. Il Marocco dice la cittàcinta di mu. ra castellane, le quali anticamente erano altissime, comesi vede dagli avanzia por- taNapoletana, che ancora conserva la sua vetustà, e dove ancora sussiste l'incastro della saracinesca per cui si calava e alza- va la porta; ed affinchè si rendesse più difficile l'ingresso, èda due torrioni gua- rentita, ed esisterono eziandio in altri punti delle mura, ma appena se ne conosco. no le vestigia. Apprendo dal veliterno Theuli,che anticamente in Velletri eran- vi molte porte, le quali si mantenevano a . perte, come porta Fura vicino a s. An- tonio di Vienna, forse così detta da Furio Camillo, come in Sutri conserva l'i- stesso nome di Furia quella porta per la quale egli entrò. Altri però vogliono, av- verte lo stesso Theuli, che si debba dire porta Figura, per l'immagine della Madonna che vi è dipinta. La porta del Pontone che stava vicino alla chiesa demoli- ta di s. Rocco, e porta di s. Martina che rimaneva presso la chiesa di s. Antonino, ed altra detta Portella, da cui preudeva il nome una decarcia della città e stava vicino al Matano, ludi 3 solamente restarono aperte per comodo pubblico, cioè porta Lucia , porta Romana e porta Na- poletana, Tutte le vie interne sono regolari e comodissime, menoquelle che con- ducono a piazza della Corte, poichè sono alquanto scoscese a motivo del sito il più elevato della città; vi sono altre piazze e fonti con abbondanza d'acqua purissiına , le principali essendoquelle magnifichedi piazza del Piano, uscendo l'acqua da 4 ben intesi mascheroni; la fonte di s. Giacomo di forma rotonda con due cavalli marini, dalla bocca de'quali sorge un'ac- qua limpidissima; ela fontedi detta piaz- za della Corte. Il Theuli descrive le fontane del suo tempo, e le dice molto belle elavorate di travertino, 4servendo a pren- der l'acqua per bere. Una era nella piazza Inferiore conbel vaso e una tazza gran- de, dalla cui sommitàper mezzo di 3 ci- pressi uniti insieme sgorgava l'acqua, co- me pure da 2 aquile e da 2 draghi . Altra nella piazza del Magistrato o di Corte, con vaso similmente bello, nel quale si riceve l'acqua, uscendoda 4cavalli marini , nel cui mezzo si doveva collocare un Nettuno sopra una conchiglia marina (rammento che la sua opera fu stampa VEL VEL 215 ta nel 1644). Nella piazza maggiore o Grandeo del Trivio eranvidue fonti, una vicino alla chiesa e l'altra incontro al pa lazzo Ginetti , egualmente con belli vasi di travertino. Tra ledue fonti vi fu eretta la statua di bronzo d'Urbano VIII (di- strutta da' repubblicani del 1798, come poi dirò). Nella piazza di s. Giacomo, sot . to al palazzo Priorale, e fuori della por- ta Romana eranvi fontane per beveratoi di cavalli ealtri animali, ed in luoghi re- moti comodi lavatoi pubblici perledonne, con oltre più di 12 molini da olio. Riferi- sce il Bauco, 5 essere le piazze maggiori di Velletri. Lat . " appellasi della Barrie- ra, la 2. del Trivio, la 3.ª del Comune, la 4. del Piano, la 5.' di s. Giacomo: tutte ornate di fontane, che scaturiscono acqua perenne derivante dal monte di Fag- giola. Anticamente Velletri era divisa in 5rioni appellati decarcie, nome deriva- to dadue vocaboli greci deca e archios, chesignifica principatodidieci: forse per chè da questi rioni eleggevansi i Signori Nove eil Sindaco, che governavano come capidi repubblica la città. Ledecarcíeappellavansi di s. Salvatore, di Castello, del Collicello, di Portella , e di s. Maria del Trivio. Ora si divide nelle 6 parrocchie che poi descriverò. Anticamente era ben fortificata, comeinostrano gli avanzi delle suemura, e le profonde elarghe fosse che la circondano. Al presente nou ha che de boli ripari, per impedir le fraudi dellega belle. Avea come dissi diverse porte : ora esistela Napoletana rifabbricata conbuon disegno, e la Barriera fabbricata pocolun. gi da dove stava la porta Romana, laqua- le fu demolita perchè minacciava rovina; le altre di Furio, dis. Lucia, della Portel la e del Pontone non più esistono. Nel 1816 fu aperta la deliziosa e ampia via con alberata d'olmi, che dalla piazza di s. Giacomo conduce sino a via Borghese. Questa era angusta e scoscesa chiamata via del Matano, ed ora si appella via Me. tabo; vocabolo che il Volpi dice derivato, quasi luogo di Marte, ed il Theuli lo credeprovenutodamactando, perchè ivi uc- cidevansi le vittime da sagrificare a quel nume, e favoleggiando dal re Metabo. La costruzione di quest'opera costò all'erario comunale15,000 scudi. Madelle strade, delle piazze e delle fonti dovrò riparlare in seguito. Nel t. 8 dell' Albumdi Roma, a p.16, si dà contezza con elogio del li- bro pubblicato nel 1841 e intitolato: Sto- ria e descrizione degli Acquidotti Veliterni , compilata dald. Enrico Proven- zani segretario della municipalità di Velletri, Roma 1840. Pertanto si dice, che l'antichissima città di Velletri , seb . bene circondata tutta all'intorno da mol- te ottime sorgenti d'acqua potabile, non avea mai potuto vederne alcuna condot- ta fino dentro le sue mura, perchè non superabile l'ostacolo della troppadepres- sione del loro livello. Il celebratissimo i- draulico Giovanni Fontana, chiamatodal municipio sul principio del secolo XVII, ebbe ricorso ad un ingegnosissimo artifi- zio, per cui sorprendendo quasi la natura nel suo occulto magistero , penetrato nelle viscere de'monti circonvicini, ediramando là entro in moltissime e svariate direzioni una grande quantità di cuni coli, raccolse in ciascuno di essi dal trasudamentodelle pareti e delle volte altret- tanti piccolissimi filetti d'acqua, che tutti insieine mettendo capo nella forma così detta maestra , e accomunati vennero a formare come per incanto una piena e copiosa sorgente: e questa derivandosi da un livello molto più alto che non è la sot- topostacittà, superate gravissimeditſicoltà d'altro genere che si frapponevano per via, forati più monti e roccie, potè per tal modo condursi fin dentro alla medesima, e servire all'abbellimentodi essa, non meno che all'utile e al comododegli abitan. ti. Quest'opera tanto ardimentosa e ma- gnifica fino allora era rimasta quasi affat- to inosservata , finchè il benemerito d." Provenzani, con molte notizie di muni- cipale erudizione, fece conoscere l'artifizio così ingegnoso e felice, pel quale la 216 VEL VEL città ebbe il necessario elemento che tuttora gode. Entrando nella città dalla por- ta Romana reca sorpresa la torre quadra. ta, che isolata s'innalza nella piazza nag- giore o Grande ovvero del Trivio , alta palmi 240 e che per ogni lato conta pal- mi 20 di larghezza. Questa torre dell'o- rologio altissima piramidale, comela chia- ma Cancellieri nelle sue Campanee Cam- panili; o gran campanile altissimo della chiesa di s. Maria in Trivio d'opera saracinesca, al dire di Nibby, che qualifica gotici i caratteri della lapide che ne determina il compimento colla data de 15 aprile1353; viene lodata dal Bauco per altezza e sveltezza, e per la nobile costru zione di rara maestria di selci quadri , ornata di 3 sonore e armoniose campane. Inoltre osserva con ammirazione, che tan to la torrequanto il palazzo Ginnetti, ne' terremotidel1 800 e del t806 non soffrirono alcun danno o lesione, dopo chequa. si tutte le altre fabbriche furono guaste. Ad onta di tale autorevole protesta, pa- ve che la torre del Trivio abbia bisogno d'esser fasciata di ferro sopra la metà per avere alquanto sofferto. Come pure, nel la medesima torre campanaria, andrebbe riformata l'iscrizione scolpita in marmo riguardante l'istituzione della legazione, che tanto onore e vantaggio reca a Velletri, non nominandosi affatto il PapaGre. gorio XVI che la istituì. Si può leggere nel Bauco, t. 1, p. 363, e particolarmen. te ricorda il celebre e benemerito cardi- nal Pacca, che fra'benefizi prestati a Vel . letri , dice lo storico, il maggiore fu quel lo d'aver secondato il voto de'veliterni a fine d'ottenere dal Pontefice l'onore del la legazione. La lapide l'eressero i veli. terni , i terracinesi , i setini , i segnini , i corani, i labicani ossia i valmontonesi per aver celebrato i primi comizi , tenuti co' loro deputati dal cardinale per la costituita legazione, senza però dirsi da chi , a' 7 novembre 1832. E' vero che ne esiste il monumento nel palazzo municipale, come descriverò e vidi, ma non è pubbli. co come questo. Il forastiere che si limita a leggere quella lapide, resta col desi- derio di sapere chi fu il Papa istitutore. Le fabbriche private dell'abitazioni sono decenti, nè mancano di sufficiente appariscenza; come magnifici, nobili e di buon gusto sono diversi palazzi e grandi fabbri- che. Il rinomato palazzo Ginnetti, ora de' principi Lancellotti, edificato dal celebre e splendido cardinal Marzio Ginnetti veliterno morto nel 1671 , con architettura di Martino Longhi , e la spesa di circa 300,000scudi, poichè l'ornò con ogni più squisita eleganza, e con galleria piena di eccellenti pitture e statue antiche. Que- stomuseo, parte venne trasportato in Na- poli, e parte in Roma nel Palazzo Lancellotti, i cui principi ne furono gli ere. di . Superba è la scala tutta di candidi marmi fino al 4.° piano, bellissimi i bas- sorilievi antichi, le colonne, le statue, gli stucchi e altre decorazioni delle sue loggie, ond'è giudicata una delle meraviglie d'I- talia, anche per la sveltezza del disegno. Adiacente a questo magnificopalazzo,che nel suo interno è abbellito di pitture , il cardinale vi formò un grande e amena giardino ornato di fonti edi statue. Dalle loggie principalmente si godono magi. che ed estesissime vedute naturali. Que- sto grande e signorile palazzo non è abi- tato, ed abbisogna di molti e notabili restauri, che vagheggiano i suoi ammira- tori. Non sembra vero che gli austriaci lo saccheggiassero nel 1744, come preten, de il Beccatini . Nel 1849 fu il bersaglio d'alcune palle di cannone lanciate da'ri , belli repubblicani, che a' 19 maggio oc- cuparono per poche ore l'adiacente cam. pagna; e se ne vedono ancora le improute nelle mura esterne da quella deliziosa parte. Il cortile poi servì comedi piatta- forma ad una batteria papoletana, cheri- spondendo egregiamente al cannone de gli assalitori, li respinse e mise in fuga; ma di ciò meglio a suo luogo. Il palazzo Ginnetti rende anco ornamento alla piaz- za grande del Piano, di cui ne occupa un VEL VEL 217 banco. Il palazzo vescovile legatizio e municipale detto Vecchio, si eleva maesto. samente e torreggia come un castello nel sito più eminente e bello della città, che domina d'ogni parte, nella contrada Ca stello, ov' erano anticamente le case del- l'augusta famiglia Ottavia. Essendo stata decretata l'erezione del nuovo pubblico palazzo, il célebre cardinal Giovanni Mo. toni governatore e vescovo fece delineare un bellissimo disegno dal celebre architetto Giacomo della Porta per questo e- difizio, la cui costruzione s'incominciò nel 1575. E' isolato, di forma quadrilatera corrispondente esattamente a 4punticardinali della sfera, edonde si apre a mez- zogiorno l'ampio prospetto delle Paludi Pontine, de' monti di Gori, di Sezza , di Sermoneta, insino Terracina,del promon. torio Circèo e del mare. Grande, solido e di buono stile, simmetrico nelle sue facciate, farebbe bella mostra di se anche in una capitale. E' inoltre magnifico, ornato e diviso in due appartamenti, con diguitose e vaste sale e molti comodi , Il superiore che dal 1825 al1830 fu decoro samente addobbato con belle e ricchesup. pellettili, fu ceduto dalla comunità Ve- literua per residenza del cardinal vescovo legatopro tempore, cioè dopo che re stò senza episcopio. Nel1. piano è quella del nobile magistrato municipale esercente, con camera d'udienza e della se. greteria generale. In questo appartamen- to sono magnifiche sale, una detta delle Japidi , altra del consiglio, altre per rice . vimento di personaggi, oltre quelle assegnate per l'accademia Filarmonica, feste e lieti trattenimenti e gaiamente ornata, eper l'illustre accademia Volsca nelle sue tornate bimestrali , la cu celebrità , per quanto por riferirò, nefa vivamentede- siderare dail'universale de'colti la sua ri- storazione, poichè da alcun anno resta sospesa.La sala principale comunale èsontuosa e vasta. Vi sono in essa e in altre diverse iscrizioni , e gli stemmi delle nobili famigliedel patriziato veliterno. Nel. la sala consigliare vi sono i busti marmo- rei di Papa Gregorio XVI, e de'cardinali Bartolomeo Pacca vescovo e1. legato di Velletri, e Tommaso Bernetti segretario di stato, egregiamente scolpiti dal valen. te scultore romano Filippo Gnaccarini ; non che un'iscrizione marmorea composta dal dotto epigrafista Girolamo Amati , come l'altra summentovata (e lo im- paro dal n. °21 del Diario di Roma del 1834, che ne ragiona), dichiarante l'e- terna gratitudine di Velletri e ditutta la provincia di Marittima per l'istituzione della pontificia legazione, e della destinazione di questa città perdegna sede e ca- poluogo della medesima; monumenti de. cretati nobilmente dal magistrato municipale per pubblica acclamazione, come dice la lapide che si legge pure nel Bauco, t. 1 , p. 362. Pel mio rimarco fatto sul. l'altra lapide, forse il dotto Amati non seppe bene che essa doveasi erigere sepa- ratamente, e collocarsi isolatamente al pubblico nella più frequentata contrada della città. Tale distinzione GregorioXVI volle concedere a Velletri e alla provincia per solenne attestato di sua paterna sod. disfazione, per le chiare e ulteriori dimo. strazioni di fedeltà e divoto attaccamento mostrato da' veliterni e dalle popola- zionidella provincia neʼtorbidi funesti del 1831 de'ſaziosi , difendendo con energia sincera i diritti della s. Sede. Le antiche iscrizioni volsche e romane esistenti nel- la sala detta delle lapidi e nell'atrio, furono illustrate nel secolo passato dal veliterno cardinal Stefano Borgia. Nelle sa- le municipali sono pure quadri dipinti dal veliterno che il comune mantiene in Roma allo studio delle belle arti, fra'quali i ritratti d'alcuni illustri veliterni, come della valente pittrice Virginia Vezzi ve- literna, di cui parlerò all'epoca nella quale fiori . Nel pianterreno del palazzo vi è l'archivio notarile, il monte di pietà Ginnasi Gregna a sollievo delle famiglie bi- sognose della città, e in una vasta sala la biblioteca comunale , di cui fu beneme 318 VEL VEL tito bibliotecario il veliterno Clemente Cardiuali. Questa resta aperta ogni gior. no a pubblico comodo, la quale doviziosa già di inolte migliaia di volumi, fu no. tabilmente aumentata nel 1842 con l'ac- quistodella scelta libreria dell' altro be nemerito cittadino cav. Luigi Cardinali: possiede ancora una pregevole e copiosa collezione di opere mss, e stampate , re- lative tutte a Velletri. La preziosa raccolta de' libri della biblioteca si accresce an . nualmente per la dote saviamente asse- gnatale dal conmune, e forma lustro e de coro alla città, Inoltre vi è l'archiviopub. blico, e le pubbliche carceri governative, in parte sotterranee e divenute angu- stissime, per cui alla sua volta le deplorerò. Di questo palazzo, di cui il Bauco lamenta per non essere compito il pro- spetto di mezzo , secondo il disegno del cav. Bernino , dovrò riparlarne dicendo dell'episcopio, e di quando cominciarono i cardinali vescovi ad abitare il medesimo palazzo. Altro palazzo municipale e delegatizio è quello rimpetto al descritto, egualmentegrandioso,eleganteecomodo,e denominato Nuovo,imperocchè fu comin- ciato nel 1822 e compito nel1835, godendosi anche da questo un magico pa- norama. Ne fu architetto il valente com. mend. Gaspare Salvi (di cui si può leg- gerel'Orazionefunebre in lode del com. mend. Gaspare Salvi, Roma1850), del le cui opere parlai con lode in più luoghi, evi furono spesi circa 100,000 scudi, Serve di residenza al prelato delegato apostolico della provincia di Marittima oVel- letri, ed a'pubblici uffizi della legazione, segreteria generale, tribunali , cancellerie civile e criminale,polizia, pe'cursori,quar. tiere del presidio di guardia ec. , oltre gli appartamenti del prelato delegato e di alcuni impiegati ec. Nella facciata ester. na si ammira un monumento in bassorilievo di marmo, scolpito dal sullodato Gnaccarini, collocato a'31 maggio 1852, alla presenza del cardinal Macchi vesco vo e legato, di mg. Bambozzi delegato r edegli amministratori provinciali , con dimostrazioni d'esultanza de' veliterni e de' provinciali; a perpetua memoria del gran fatto del 1849 della restaurazione del dominio temporale della s. Sede per le armi cattoliche delle potenze alleate, non meno per gli aiuti somministrati dalle fedeli provincie di Marittima e Campa- gua, che per le prime ebbero l'onore e la ventura d' accogliere il regnante Pio IX nel 1850, nel felice ritorno ne' suoi stati, e meglio descritto nel n.º 129 del Giornale di Roma del 1852, ed a p. 528 dell'Osservatore Romano. In essi si leg- ge, che la provincia di Marittima , lega- zione di Velletri , per essere a confine col regno di Napoli fular." a rassegnare divota gli omaggi sinceri di venerazione e sudditanza al Papa Pio IX , quando nel faustissimo 6 aprile 1850 rientrava ne' suoi dominii , dispersa e abbattuta l'a- narchica fazione. E perchè di sì propizio avvenimento degna e durevole memoria si avesse in Velletri capoluogo della provincia, si stabili dal consiglio provinciale de'2 aprile, che un monumento si eriges . se sulla facciata del palazzo delegatizio rappresentante l'arrivo del Papa, la pro-· vincia ossequiosa e riverente, e le 4 po- tenze Spagna, Austria, Francia e Napoli accorse per un concorde sentimento alla restaurazione del tronopontificio. Allo- gata l'opera all'egregio scultoreGnacca- riui , con lodevole arte dispose le figure e gli emblemi allusivi alla provincia di Marittima e ad ognuna delle 4 potenze, e le topografiche specialità de'luoghi ne' quali le medesime si distinsero. Pertanto nel mezzo del bassorilievo vedesi il Papa in abito viatorio, e a lato la colouna mil- liaria, lat.ª ad incontrarsi nella via Ap- pia dal confine del regnodi Napoli a Vel- letri ; glista dinauzi la provincia genufles- sa rappresentata in una donna turrita co' simboli dell' abbondanza ne' frutti del. la terra e del rostro pel mare. Alla de- stra del Pontefice è Roma sostenente il seguo di nostra redenzione, ed ha la Lu- VEL 219 VEL paa'piedi, è ricevuta da Napoli simboleg- giata nella Sirena e ne'gigli Borbonici,al Judendo il concetto a Ferdinando II re di Napoli e della Sicilia, che accolse ospitalmente nel suo regno il Papa esule da Roma e da'suoi stati , Allo stemma di Leone e di Castiglia osservasi la Spagna, che meritò per le principali sue cure di riu- nire armi e armati a sostegno della s. Se- de. Avvi alla sinistra la Francia, e si ravvisa pel Gallo, che ha a'suoi piedi; tiene in mano il vessillo della Chiesa, e al suo fianco scorgesi il Tevere, quindi sopra un piedistallo la Lupa, e alquanto indietro la cupola di s. Pietro, il che indica lasegui- ta occupazione di Roma. L'Aquila bici- pite designa l'Austria, che ha pure il ves. sillo pontificio , e poichè le truppe tede- sche occuparono primieramente Bologna e le Romagne, perciò le è accanto il Po, e dietro questo la Garisenda torre inclinata nella città di Bologna, Il palazzo Filippi ha un' iscrizione sulle pareti del- l'androne, riportata da Marocco , dalla quale si apprende, che fu cominciato nel 1636 colla demolizione di 22 domuncu larumda Francesco Filippi; e che i suoi pronipoti nel 1775 a proprio comodo lo ridussero in miglior forma. L'attualeproprietario cav. Giuseppe maggiore Filip. pi è il presente gonfaloniere della città. Altri palazzi sono quelli degli Scarani, de' Fiscari, de'Gregna, de Toruzzi (il 1.° pia no del quale appartiene alla prelatura di tal nome), de'Latini moderno, e de'Bor gia,dove il celebre cardinal Stefano, sen- za risparmio nè a denaro nè a fatiche , avea riunito una famosa collezione di og- getti egizi e coſti, cinesi, di numismatica e di storia naturale che formava lustro a Velletri, e l'ammirazione di tutti i forastieri di remote contrade che passando per questa città visitavano con piacere. Questo museo Borgiano Veliterno, de- gnod'una capitale, conteneva sì peregrine dovizie, che basti solo il dire che altri inagnifici musei si gloriano oggidì di con. tenerne alcune parti; il quale museo per deplorabile patrio infortunio fu posciadi- sperso e disgregato, come rilevò il degno pro-nipote mg." Costantino nelle Notizie biografiche. Le parti principali del mu- seo sono in Napoli nel museo Borbonico, e in Roma nel museo Borgiano del Col. legio Urbano (V.). Quanto vi è in Napoli, si può leggerlo nel Real Museo Bor. bonico descritto ed illustrato da Erasmo Pistolesi, Roma 1838 con figure. Domenico Sestini non dubitò di chiamarlo uno de' più illustri musei d' Europa. Il Cancellieri, che del cardinal Borgia pub . blicò un accurato e dotto elogio (comedi non minor pregio fu il pubblicato nel 1806 in Roma dal cav. Luigi Cardinali), nella ricordata sua opera a p. 63 rimar- ca, che nella ricchissima suppellettile del suo Museo Veliterno avea vari orologi solari di cui voleva pubblicarne una rac- colta colle illustrazioni, onde volle supplire in parte a tale mancanza con darci l'elenco degli autori che ne trattarono. II Renazzi nella dedica che fece al cardinale del t. 2 della Storia dell'università de gli studi di Roma, celebrando la sua dottrina e vasta erudizione, anche nell' antiquaria, e nelle lingue orientali ed esotiche, ecco come parla delle sue raccolte. Il museo nella città di Velletri, illustre patria vostra, e domicilio di vostra nobi . le famiglia, da voi con fino gusto e regal munificenza arricchito di monumenti, e cimelii rari e pregievolissimi d'ogni spe- cie, d'ogni età, d'ogni nazione. Oh quan. te penne di scrittori nostrali e stranieri hanno illustrato il museo Borgiano ! Di qual ammirazione gl'intendenti e i viag- giatori restan compresi in vederlo ed e. saminarlo! Come, vostra mercè, èdivenuto noto e famoso per tutta Europa, e tra le più remotegenti ! ... Voi senza rispar miodispesa fate dal celebre Giorgio Zoe. ga eseguire il catalogo ragionato de' co- dici copto-borgiani ne'3 dialetti memfiti- co, basmurico , saidico; doude su la storia , le scienze e l'arti d' Egitto, argomen- ti per l'occorse circostanze de' tempi di 320 VEL VEL venuti ora di moda letteraria , nuova si spargerà splendidissima luce". Del Zoe- ga abbiamo già pubblicato: NummiAe- gyptii Imperatori prostantes in Museo Borgiano Velitris , adjectis praeterea quotquot reliqua hujus Classis Numi- smata exvariis Museis, atque libris col. ligere obtigit, Romae 1787. Dopo due anni il Zoega pubblicò : Globus coele- stis cufico-arabus Veliterni Musaci Borgiani, praemissa de Arabum astro- nomia Dissertatione. Negli atti della So- cietà letteraria Polsca Veliterna, t. 1 , p. 189, vi è l ' Elogio di Giorgio Zoe- ga censore accademico. Ivi si dice che il cardinale acquistò in lui quell'Edipo che seppe sciogliere gli enigmi egiziani del museo Borgiano, e si rende ragione del dottissimo da lui operato. II p. ab. Ranghiasci la qualificò celebre collezione, ed unica in Italia. Si ha dal dotto p. Paolino di s. Bartolomeo carmelitano scalzo, che pot scrisse la vita del cardinale con l'elenco di tutte le sue opere: Musei Bor. giani Velitris codices manuscripti, Ro- mae 1793. La basilica cattedrale trovasi alconfine di porta Napoletana, aventedi- nanzi vasta piazza abbellita da leggiadra fonte(e non da una statua di bronzo, che il popolo veliterno per riconoscenza eresse a Clemente VIII , come pretendono Castellano e Marocco). It zelo patriodel eardinal Borgia e quello del vescovo cardinal York ottennero da Pio VII il breve In summo Apostolatus , de' 2 marzo 1804, Bull. Rom.cont.t.12, p.128: Concessiofavoreperinsignis CathedralisEc- clesiae s. Clementis I P. et M. civitatis Pelitrarum titulipraeminentiae, et privilegii Basilicarum minorum Urbis. E antichissima e si crede fabbricata sulle rovinedel tempio di Marte, secondo il Vol. pi. Quest'edifizio monumentale manca difacciata esterna, e mi giova sperare che vi supplirà la pietà veliterna o quella di qualche vescovo, perdignità e decorodel lacattedrale del cardinal Decano ( P.)del Sagro Collegio (1'. ), la 1. de' 6 illustri a Vescovati suburbicari. Il principale ingresso è in fondo dell'atrio del semina- rio vecchio, ch'era l'antico episcopio, la cui porta rimane a destra. Il minore in- gresso corrisponde alla nave minore dal- la parte del Vangelo , ed ha ne' laterali due antichi leoni di marmo. L'interno della basilica è grande , decoroso e ma- gnifico. La costruzione è un misto d'an- tico édi moderno,imperocchèquesto tempio avea altra forma, e mostrava diver- sa architettura dalla presente. Accadde che nella notte susseguente a'23 maggio 1656 percosso da un fulmine il campa. nile, che avea una grande altezza, rovinò per metà, e cadendo sopra la chiesa, rimasequesta per la maggior parteinvol- ta nella medesima rovina. La caduta del campanile cagiouò eziandio la rovina del - l'altare, dove conservavasi il corpo di s. Geraldo vescovo d'Ostia e Velletri, e scoprì l'arca di marmo bianco che lo rac- chiudeva. Questa è ora situata presso la detta porta laterale della chiesa; è d'an- tichissima struttura, lunga palmi 8, alta 3 e un quarto e larga 3 senz'iscrizione. Il vescovo cardinal de Medici non differì di rufabbricare a proprie spese la chiesa, col campanile, benchè di minore altezza (il campanile lo descrive Cancellieri ; e parlando de'campanili antichi e loro forme, soggiunge trovarsi quello della chiesa di s. Clementedi Velletri in un'antica pittura delle grotte di essa, rappresentante la traslazione de'corpi de'ss. Ponziano Papa e Eleuterio vescovo dell'Illirico martiri , fatta incidere dal cardinal Stefano Borgia con questa epigrafe: Translatio ss.Mart. Pou tianiPP. etEleutherii Epi, ante an. 1254 peracta ex Oppido Tiberiae, nunc Tivera, Xa Velitris lapide, in cathedralem Ecclesiam s. Clementis PP. et M. dicatam, olim Martis templum, adstante ve- teri Velitrarum magistratu, nempe potestate, qui virgam manu gestat, binisque consulibus, ex antiqua pictura in pariete cryptarum ejusdem Ecclesiae, studio et cura Stephani Borgiae a s. s. VEL VEL 221 c. depropag. Fide delineata, aereq. ex- pressa an. 1778. Questo rame è prezio- sissimo, perchè oltre i vestiti civili e gli abiti sagri de' personaggi che vi si vedo- no, ci trasmette il sistema di architettura degli edifizi sagri , e insieme col campanile vi è il portico innanzi la porta della chiesa, sul fare di que'che si conservano ancora oggidì in Roma innanzi le chiese di s. Clemente, di s. Prassede, di s. Maria in Cosmedin, di s. Cosimato; portici che nelle descrizioni di quelle chiese vengono chiamati Locus Pauperum. Quello però di questa pittura non ha colonne, come li suddetti, ma piedritti, che sosten. gonol'arco semicircolare e il frontespizio); il quale lavoro fu compito nel1662. La nave di mezzo dell'antica chiesa era retta da colonne di marmo, che stimavansi insufficienti a sostenerla. Furono queste rimosse, e fu riedificata la medesima con moderna architettura, e con pilastri pro porzionati all'altezza degli archi. La spe- sa fu dir 1,000 scudi, e per memoria di questa munificenza fu collocata marmo rea iscrizione nel presbiterio dal lato dell'Epistola. Circa detto anno 1662 l'arci. prete Nicola Toruzzi ornò questa chiesa di nobile ed elegante battisterio di marmo. Sotto il medesimo cardinale de Medici , il tempio fu di nuovo consagrato dal veliterno mg. Bonaventura Tevoli arcive scovo di Mira; ed in esso esistono diver- si depositi e molte iscrizioni lapidarie, che si ponno leggere presso i patrii storici arcivescoviTevoli e AlessandroBorgia.Que sta cattedrale è dedicata a Dio in onore di s. Clemente I Papa e martire , la cui festa si celebra solennemente a 23 novembre. Tra le insigni reliquie vi si venera- no quelle de' martiri s. Ponziano Papa e s. Eleuterio vescovo dell'Illirico, e il det. to corpo di s. Geraldo. Nella cappella del- la Visitazione è il corpo di s. Esuperia martire, trovato nel cimiterio di s. Ciriaca con memoria sepolcrale Ne'due altari laterali entro la cappella della Madon- nadelle Grazie si venerano i corpi delle ss. Annia Prima, e Gerontide greca fan- ciulle martiri, la 1. di 6 anni e 7 mesi, la 2." probabilmente d'8 anni : s. Aunia fu trovata nel cimiteriodi s. Priscilla,s. Ge- rontide in quello di s. Calisto, ambo con iscrizioni lapidarie. La loro traslazione solennesi celelbida' 31 maggio1840.Den- tro il coro d' inverno esiste il deposito di marmo della b. Maria Guilla, che si credesorella di s. Geraldo. Sopra il tabernacolo della tribuna in un reliquiario si ve- nera il corpo di s. Clemente martire do. nato dal cardinal Marzio Ginnetti. L'in- terno di questa basilica è diviso da pila- stri (in luogo dell' antiche colonne , per quanto dirò a suo luogo) in 3 navi ; è lun. go dalla porta maggiore, sovrastata da magnifico organo (di recente restaurato e aumentato colla spesa di 400 scudi dal cardinal Macchi) con eleganti intagli do- . rati, sino al coro palmi 204 e un 4.°, lar . gonella nave di mezzo palmi 5e tre quar. ti: le due navi minori laterali sono lun ghe palmi 177 e tre quarti, e larghe 21 . La nave principale è bellissima e mirabile , essendo da cima a fondo ornata di elegante pittura e di ricca doratura, che perfettamente armonizza col nobilissimo soffitto, ondeforma un complesso che sorprende. Quest'ornato fu eseguito parte a spese del vescovo cardinal Pacca, e parte col ricavato da' legati pii non soddisfatti neli832. Il ricchissimo e stupendo soffitto è di legno intagliato con cornici, il tutto lavorato con eccellente maestría, ed è carico d'oro. Nel suo mezzo il grande quadro lo dipinse a fresco il celebre cav. Giovanni Odazzi romano e oriundo mi- lanese, ed è stimata la migliore sua ope- ra (morì ricchissimo nel 1731 in Roma, ove molto dipinse per Benedetto XIII). Vi espresse la Chiesa trionfante, ed i pro- tettori di Velletri, cioè i detti ss. Clémen- te 1, Ponziano, Eleuterio e Geraldo. Nel 1806 pel fortissimo terremoto , da cui niun cittadino rimase offeso, fu procla- mata primaria protettrice Maria ss. del. le Grazie. Sono protettori minori s. Roc- 222 VEL VEL co es. Francesco Saverio confessori. Il can. Bauco rende ragione perchè i veli- terni scelsero i loro celesti Protettori ; e descrive l'invenzione delle ss. Reliquiede' ss. Ponziano e Eleuterio rinvenute circa il1254 nel castello di Tiberio o Tivera, lungi 10 miglia da Velletri, già fiorente edistrutto da'saraceni, colle notizie di s. Eleuterio , comunemente chiamato da' veliterni s. Liberato , dalla derivazione della voce greca Eleuterio , che significa Liberatore, per le molte grazie ricevute da Dio a sua intercessione, buona altra parte del suo s . Corpo venerandosi in Rie ti , ma la testa la possiede la cattedrale ve- literna e la venera nel reliquiario esisten- te sopra la tribuna. Le pitture della tri- buna le colorì l'insigneGiovanni Balduc- ci fiorentino nel 1595 d'ordine del vesco- vo cardinal Gesualdo, come si legge nel- l'iscrizione che vi appose (talvolta soleva aggiungere il cognome Cosci per gratitu- dine al zio materno, che n'ebbe cura nel- Ja fanciullezza). Vi espresse il Salvatore che corona la ss. Vergine , e sotto i ss. Pietro, Paolo, Clemente I, Ponziano, EJeuterio eGeraldo: e più sotto vari fatti della leggenda de'medesimi santi. Nel cen tro del presbiterio, chiuso da balaustrata di marmo, si eleva il magnifico altare della confessione isolato, composto di ec- cellenti marmi, eretto a spesedel vescovo cardinal Barberini seniore, e copertoda tabernacolo retto da 4 colonne di grani- tello con capitelli d'ordine dorico, i quali sono ornati soverchiamente (dice Nibby) con foglie alternate d' acanto e di palme, evengono coronati da un ovolo. Il taber- nacolo è opera de' bassi tempi, come lo giudica Nibby, e contiene wolte ss. Reli- quie: negli angoli sono 4 candelabri, se così vogliano chiamarsi , della stessa epoca, i quali sostengono tempietti. Il gran- de candelabro, che ivi dappresso si vede, destinato a sostenere il cereo pasquale, è di marmo , e di fino lavoro della scuola di Sansovino, alla quale pure si ascrivo- no gl'intagli degli stalli di noce del coro del capitolo, secondo Nibby, o del Bencivenna al riferire del can. Angeloni. Scendendo alla confessione o sotterraneo , la cui volta è sostenuta da pilastri eda mol. te colonne tolte da fabbriche antiche, la cappella è dedicata a s. Eleuterio, e pia- mente si crede che ivi riposino le sue re- liquie e quelle di s. Ponziano. Nell'alta - re di porfido, secondo Marocco, si vene. ra l'immagine della B. Vergine col divin Bambino, leggiadramente espressa in ta- vola in modo da destare meraviglia a chi ben la riguarda, e meriterebbe per go- derla e conservarla di rimuoverla dall'umido e dall'oscurità, e di trasportarla nel . la chiesa superiore. Il Bauco la crede di- pinta daPietro Perugino, maestro di Raf- faello; ma il Nibby oltre il dire che ivi rimane una pittura antica a fresco allu - siva alla pompa della traslazione de'cor- pi de'ss. Eleuterio e Ponziano, soggiunge che ivi pure si vedono dipinte le imma- gini di s. Stefano, laprotome del Salva- tore, la ss. Vergine fra' ss. Ponziano e E- leuterio,lavori della scuola di Perugino... » E' una vera perdita per la storia delle arti e delle leggende de' tempi bassi vedere imbiancato vandalicamente il rimanentede'dipinti che coprivano questo sot- terraneo". Autorevoli lamenti, cui fanno eco gl'intelligenti amatori e cultori dell'archeologia sagra, che tuttavolta si po- trebbero far cessare e ripararvi , con di- scoprirsidi nuovo le preziose pitture. Tor- nando nella chiesa superiore, le cappelle laterali delle navi minori sono sfondate, e quasi tutte con colonnemarmoree. Quel- la del ss. Sagramento è spaziosa e di no- bile architettura,ornata di marmi: ha una elevata cupola, e vi si mirano lateralmen- te due stragrandi quadri rappresentanti, uno la Cena, e l'altro la distribuzione e moltiplicazione de'pani di eccellente pit- tura. La cappella di s. Geraldo è disegno del cav. Fontana , nel cui altare formato di buoni marmi con 4simili colonne, riposa il corpodel s. Vescovo in bell' urna marmorea, di giallo antico dice Marocco. VEL VEL 223 111. maggio 1858, rimosso l'anticoqua- dro , vi è stato sostituito l'esistente d'Ip- polito Zapponi veliterno, già alunno del comune in Roma per apprendervi con successo la pittura. Egli rappresentò il santo vescovo quando libera Velletri da' saraceni, come decise il capitolo veliterno interpellato dal municipio (e ripeterò a suo luogo colla descrizione che vado a ri. cordare), sulla qualità controversade'ne. mici, che alcuni volevano bretoni e altri Jongobardi. Nel maggio 1858 fu impresso in Velletri nella tipografia d'AntonioAn. geloni : S. Geraldo vescovo di Velletri libera la città da'Saraceni, quadro ad olio d' Ippolito Zapponi. Questa descri- zione è del ch . Basilio Magni. Segue un Sermone in versi : Al pittore Ippolito Zapponi di Velletri il canonico Luigi Angeloni. Nell'altra del ss. Rosario, di padronato della famigliaFiscari , il quadro dell'altare è opera del Conca a olio, e vi espresse la B. Vergine e s. Domenico. La cappella sontuosa della Madonna delle Grazie è di eccellente disegno, ornata di finissimi stucchi dorati, con altare fabbri. cato tutto di preziosi marmi, come lo so . no le due colonnette e i due Angeli che stanno in atto rivérente sopra la cornice delmedesimo. Perla prodigiosa ss. Imma- gine dellaB. Vergine che incessantemen- te vi si venera e a cui ricorrono con fiducia in tutti i bisogni i veliterni e i popoli convicini , è un vero santuario. Quando si deve esporre alla pubblica venerazio- ne, la sera precedente, previo il segno del- le campane del pubblico palazzo, per un' ora suonano tutte le altre della città; tornandosi a suonare nel dì seguente nello scoprirsi e con isparo di mortari. Maroc- co la dice dipinta su tavola ne'primitem- pi in cui rifiori la pittura, ma ignorar- sene l'autore. Il Bauco dichiara non esservi memoria dell'epoca in cui venne collocata nella cattedrale; dice il quadro antico e dipinto di mano greca , su erta tavola malconcia dal tempo, eprobabil- mente portato in Velletri nella persecuzione degl'Iconoclasti, vellar ." metà del secolo VIII, comeavvenne del Volto san- to o ritratto del divin Salvatore , di cui poi dirò altre parole. La B. Vergine è e- spressa seduta e portante in braccioil par- goletto Gesù: belli e graziosi sono i volti d'ambedue. Per gl'innumerabili prodigi operati dalla ss. Immagine , fu appellata Madre delle Grazie. Grati i veliterni a' ricevuti segnalati favori , con pubblico consiglio stabilirono nel 1607 l'erezione della cappella , e ottennero dalla s. con- gregazione de' riti di celebrarne la festa con uffizio e messa propria nella 1.ª do- menica di maggio. Eretta la cappella a spese del comunale erario e con eccellen. te disegno, fu abbellita con vaghi lavori di stucchi dorati dalla pietà di Settimio Celoni decano de'canonici ; il quale vi fe- ce pur erigere l'altare ornato di due co- lonne di nero antico, e altri preziosi mar- mi di mirabile lavoro. Di recente la mu. nificenza de' divoti cittadini ridusse la cappella a perfetta vaghezza colla spesa di circa 2000 scudi . I pii fratelli France. sco e Gio. Battista Graziosi impiegarono 500 scudi in un ricco paliotto d'argento, e 624 scudi in 3 sontuose lampade co'lo- ro ornamenti dellostesso metallo, che con altre 4 ardono continuamente avanti la ss. Immagine. L'attuale abbellimento, l'eleganza e ricchezza della cappella, si de. ve ripetere dal sullodato corano vescovo d'Asisi mg. Luigi Landi Vittorj, mentre era arciprete di questa cattedrale, per la sua divozione e zelante premura. A' 2 maggio 1632 il capitolo Vaticano dal suo canonico Ricci fece coronare la ss. Im magine della B. Vergine e del divin Fi- glio con corone d' oro, di che si celebrò solenne centenario nel 1783. La sua di- vozione, come andrò dicendo, è indicibile ne' veliterni, ad essa ricorrendo con successo in tutti i bisogni; ed il suo culto è esteso nella diocesi e in lontani paesi , i missionari avendolo propagato persino nella Cina. Pio VII nel 1802 concesse di celebrarsi la festa con rito doppio di 1." 224 VEL VEL classe e 8.ª, dal clero d'ambo le diocesi Ostiense e Veliterna; le quali celebrano pure la festa del Patrocinio della B. Ver- gine, con uſlizio e messa propria con ri to di 2.ª classe a'26 agosto, pel terremo. to avvenuto in tal giorno nel 1806. Nel. la cappella fra le lapidi monumentali, ol- tre quella di Pio VI riferita da Marocco (avendo nel suo altare celebrato la mes- sa e lasciato sagri doni), vi lessi pur quella che ricorda quando vi orò Gregorio XVI, la 1. volta che visitò questa basi- Jica. Nel 1855 con orribile sacrilegio rubate le lampade d'argento di molto va.. lore da mani inique, l'edificante divozio ne de'veliterni con mirabile prontezza to. sto le rinnovo. Sono dolente dover pure riferire col Giornale di Romade 6aprile 1858. Una mano audace e sacrilega ne' decorsi giorni involò l'immagine di Ma- ria ss. delle Grazie. L'autorità governa- tiva si pose immediatamente sulle tracce del delinquente, ed un contumace preve- nuto di gravi delitti annunciò che avreb- be scoperto e la Immagine e le cose pre- ziose che l' adornavano quando gli fosse accordata de' suoi reati impunità; ma il governo rifiutossi. Però l'energia e la fer mezza che ben s'addiceva in tal circostan za, le gravi eimponenti disposizioni che andava a prendere l'autorità, come an- cora il crescente tumultodella popolazio ne irritata e dolentissima che si fosse così iniquamente involato quel sagro pegno di sua divozione, sgomento per modo il ribaldo, che ogni cosa venue iutatta re- stituitaa mg. vescovo suffraganeo,conimmensa consolazione delclero edel popolo, che accompagnarono processionalmente al tempio la divota Immagine,tosto espo- sta alla pubblica venerazione. Propria- mente si conobbe dal pubblico l'esecran- do furto a 4 aprile festa di Pasqua; enel dì seguenteil venerando simulacro fu restituito. Il governo poi procedè contro l'autore di esso, e contro que' dell'infima plebe, che iniquamente si abbandonarono a riprovevoli e gravissimi eccessi . Ladescrizione dell'insigne cappella in cui tro- vasi lass. Immagine, com'era a tempo del veliterno Alessandro Borgia, è premessa al suo dotto libro: Del regno di Maria. Omelie date in luce all' occasione, che nella città di Velletri si celebra l'anno secolare dell'incoronazione diMaria ss. Madre delle Grazie, Napoli 1792. Ab- biamo ancora, Istoria del santuario della B. Vergine delle Grazie, che si venera nella cattedrale di Velletri , Roma 1855. La cappella de'ss. Protettori, ap- pellata Ginnasia, perchè fu da'fondamen ti fabbricata a tutte spese del vescovo cardinal Ginnasi, ha bell'altare ornato di marmi con colonne. Nel1840 tolto l'antico quadro, vi fu sostituito il nuovosti mato eccellente dipinto, opera di Dome- nico Tojetti da Rocca di Papa, rappre- sentante la B. Vergine col s. Bambino, e isuddetti 4 principali protettori della cit- tà. Ne'4 angoli della cappella si vedono dipinte 8 immagini di diversi santi mar- tiri, che dagli storici patrii Theuli, e da' due Borgia Alessandro zio e Stefano suo nipote diconsi discendenti dalla famiglia Ottavia, cioè s. Cornelio Papa, s. Placi- do, s. Flavia vergine, s. Clemenciana ver- gine, s. Eustachio , s. Vittorio , s. Euti- chio, s. Aurelia vergine. Ma il Baucodi- ce cadere l'asserzione, se si considera l'al- bero genealogico di quell' augusta fami- glia da lui riportato , da cui vedesi essa già estinta in ambo i rami, tanto di Gneo Ottavio, quanto di Caio Ottavio. La cap- pella dell'Immacolata Concezione è spa- ziosa ; l'immagine della Beata Vergine è di veneranda antichità: dietro questa cappella è il coro d'inverno del capi- tolo, fatto a spese del vescovo cardinal Ruffo. Elegante è la cappella della Visitazione della B. Vergine a s. Elisabetta, proprietà della fainiglia Borgia : bello è l'altare ornato di marmi con due colonne, ed il quadro è lavoro d'antico pennel- lo, a parere di Nibby, ed aggiungerò con Marocco ch'è dipinto in tavola colla data 1435. La cappella di s. Sebastianononha VEL VEL 225 cosaalcuna rimarchevole. Narra il Theuli , ragionando nel lib. 3, cap. ultimo, Chie- se in Velletri, che prima nella cappella di s. Sebastiano si conservava un ritratto del Volto Santo del Redentore in tavola, che la tradizione vuole portato dall' o- riente,e per essere alquanto bruciata si cre- deva una di quell'Immagini sagre fatte gettare nel fuoco dal loro persecutoreLeo- ne III imperatore greco. Che la portò in Velletri nel pontificato di Gregorio III il vescovoGiovanni II; il quale l'avea ricevu- ta da un vescovo greco da lui conosciuto nel sinodo romano del 721. Ondelacittà per essere stata miracolosamente sottratta dall'incendio, la ricevè con grande riverenza. Dipoi il Volto Santo fu trasportato nella sagrestia. Di questa parlando Nib. by, osserva, ch'è pure di pennello antico il quadro esprimente la ss. Vergine fra s. Giovanni, s. Sebastiano, s. Antonio ab. bate e s. Rocco; ed eziandio l'altro qua- dro rappresentante i 4 ss. Protettori del la città. Ivi pure notò una s. Famiglia, quadro lasciato in legato da Salvatore Scandelloni, ed un lavamano marmoreo fatto dal vescovo cardinal Della Rovere, poi gran Giulio II, il quale fece ancora gli stipiti della porta. Nel 1855 il vescovo cardinal Macchi decorosamente rifece di nuovo la sagrestia ; anno in cui tornan. do a visitare la basilica, trovai ch'eransi incominciati i lavori di abbellimentodal valente pittore fratel Domenico Serafini gesuita, sul gusto goticodecorativo della ristorata chiesa di s. Maria sopra Miner- vadi Roma (di che parlai anco nel vol. LXXV, p. 216); e che l'esimio cav. Gagliardi (la cui perizia encomiai altrove e principalmente nel vol. LXII, p. 168), nella volta vi doveadipingere s. Clemen. tel Papa titolare della basilica, congloria d'Angeli ed emblemi analogri alla sua di- gnità e martirio: manon potè eseguirlo, distratto da altri assai più grandiosi la- vori , onde pare che ora non si farà altro. Dipoi il veliterno ch. can. penitenziere della cattedrale d. Luigi Angeloni pubVOL. LXXXIX. blicò nell'Albumdi Roma, t. 23, p. 329, col disegno della piazza Grande di Vel- letri e l'altissimo campanile di s. Maria in Trivio e con parte di questa, un' ele- gante e artistica descrizione dell'operato dall'ecomiato cardinale nella sagrestia : vadoa ricavarne un cenno, pel complesso di sua importanza. Comincia dal rimar- care che della basilica veliterna alcunchè si disse dagli scrittori patrii, moltis simo ancora rimanerne a dire, ond'esse- re suo dolce pensiero descriverne ogni artistico bello, di cui è realmente dovi- ziosa, celebrando le meraviglie che circondano il coro, il soflitto, l'antichissimo affresco nella destra nave di s. Antonio abbate dal soave volto e dalla gran barba, elamagnifica porta maggiore della sagre- stia. Il magnanimo cardinal Della Rove. re, nel breve tempo che resse questa illustre chiesa, nella sagrestia vi lasciò un' orma di sua munificenza, non corrisposta dall'architettore, tranne nelle scul- ture: principierò dalla detta porta. Essa è bellissima e ampia, non che semplice, d'altro non componendosi che di stipiti marmorei formanti una cornice con cimazio tale, che addita la magistrale rinascente eleganza dello scarpello nel cinquecento. Si adorna di faccia e a'lati di gusei e fusaiuole in ghiande, frutto ch'è nello stemma Roveresco, di simboli e figure di sagra liturgia. La porta minore che le sta di contro ha pure simili ornamen- ti marmorei, i quali decorano ancora il così detto lavamani. Questo ha forma quasi di finestra posata su alta e larga base, dalla quale s'alzano due pilastrini a reggere il beninteso architrave, decora- ti nel mezzo a rilievo così mirabile da sembrare più incisione a cesello che intaglio sul marmo. L'imposte d'ambo le porte sono di solido bel legno di noce or- nated'intaglie di tarsia : ognunasi riparteaspecchi e tondi , i quali dopo la corni- ce che li termina, hanno nel mezzo finissimi arabeschi a traforo, e intorno altri ornati e figure didelicato scarpello. L'in- 15 226 VEL VEL terno della sagrestia consiste in ampio salone a volta di quell'architettura, la qua- le o di genio barbaro, o di sapere bam- bino, appaga oggi gli occhi di molti, mai la mente de' pochi savi; architettura che bisantina, italo-greca altrimenti è detta, facente sforzo per spogliarsi della meschi- nità e del capriccio sopravvenutole, e rivestire la vera e soda dignità che la ma- dre in casa le lasciava. A ripararne lo squallore delle parti, il generoso zelo del cardinal Macchi commise l'opera all'en- comiato fratel Serafini, che il can. Ange- lonistoricamente qualifica gentile perma- niere, commendevole per religiosa vita, d'abile capacità, perito non volgare nel dipingere, il quale egregiamente corri. spondendo all'incarico, lo condusse a termine e con discernimento tale da restar. gliene lode, avendo armonizzato sagacementel'ornato col disegno e l'architettu. ra. Usò lo stile che richiedevano le pare- ti , la volta, la sala tutta. Epoichè questo stile ha pure qualche somiglianza coll'o- dierno della memorata chiesa di Roma, saviamente perciò il pittore imitòdaquel lo, sebbene dal can. Angeloni a un tempo si dica meschino efalso, senza dover- sene incolpare l'artista. » La vista del quale poco avvezza a sostenere Roma, e i luoghi vicini che fortunatamente ne penuriano; poco ancora ne vogliono e sanno tollerare i difetti. Ma chi il bisan- tino, torno io a dire, chi l'italo-greco e il semi -gotico si trova in casa e vuole abbel. lire, fa d'uopo lo vegga rivestito ecamuf. fato di quelle fasce, liste e arabeschi, di cui appunto il nostro pittore faceva uso. Dal quale criterio guidato volle sin da principio dare alla sala unamaniera decisa col fare costruire de' costoloni sulli scompartimenti della volta. Quelli dorò, ea'lati loro fe' correre larghe fascie variate a gotico e accompagnate da listelli parimenti d'oro. Il rimanente poi, che è lo scompartito della volta stessa,ricuopri d'un cielo azzurro vago di stelle dorate. Racconciata così la parte superiore vede vasiuna testa regolare, ma senza corpo e gambe. Il così detto nascimento delle grandi arcate non su colonna o pilastro pigliava vita, ma da una piccolissima e sproporzionata mensola appena visibile. L'artista fu sollecito a riparare lo scon- cio apponendovi de' pilastri in misura e manieragotica, sovra i quali corre dipin- ta una ricca e ben rilevata treccia intramezzata da rosoncini d'oro. Intorno all'arco della luna girò uno splendente e faticato lavorío, e scese giù ricuoprendo i muri di un parato a rombi in fondo giallo, aventi gli emblemi e i segni del martirio e della santità del Titolare. Or- nato che bene armonizza con la volta, e ha in fondo un basamento imitante il granito e la basalte, coronato di un tra - foro a semicerchi sul gusto e la maniera di que' che veggiamo nell'antiche basiliche. Dopo ciò vi rimaneano gli armadi e l'altare, gli uni e l'altro sì malamente governati dal tempo e dall'opere sovrap- poste, da disperare un restauro. Ma qui nemmeno si scoraggi il valente, e tanto sopra vi lavorò d'acconciare totalmente il secondo all'ornatode' muri, richiamandolo con nuova opera di ebanista e di pittore all'ordine gotico; e lasciare i pri- mi,altro non potendo,nel lorocomposto, sì ripuliti e rispondenti al restod'appaga- re in vero la vista. La quale ha non poco di che compiacersi fermatasi sulla nicchia che racchiude l'augusta immagine del Salvatore, pittura di veneranda e greca antichità; e che sovrapposta all'al- tare ch'è di fronte, viene la prima afe- rire l'occhio di chi entra". Indi si narra come il capitolo, dal medesimo fratel Serafini fece pulire e rinfrescare i quadri a oliointavole e in tele di varie epoche, che decorando le pareti, avevano sofferto. L'artista religioso richiamò a nuova vita e splendore il ricco e morbido pennelleg- giare delloSpagnoletto, le soavi e sem- plici maniere del Francia in due sagre Famiglie, non che il variato e franco dipingere del Zuccari nel quadro che VEL VEL 227 racchiude innumerevoli cose e figure, e allude al mistero della ss. Eucaristia. Così il cardinal Macchi seppe accrescere a questoluogo colla bellezza la santità ; e il suo capitolo secondandone le mire ri- fece di nuovo il corridoio che gli dà in- gresso. Nel gettare le fondamenta del quale comparvero alla luce opere sotter- ra per anticotempo nascoste. Primamente convien sapere, che la basilica veliterna colle sue fabbriche adiacenti ha 3di- verse epoche di lavoro: l'ultima e più a noi vicina è de' secoli buoni, dal cinque- cento cioè al seicento; la 2.ª de' tempi di mezzo; la 3. e più remota risale alle na- zioni gentilesche e meglio romane. La 1 . presenta quanto vi ha oggi di più bello egrande nel nostro tempo; la 2. non mo- stra che poche e cascanti muraglie; la 3. qualche rudero e opera coperta dal terreno; il quale scavandosi nel 1856 dal lato destro della chiesa, palesò nel suo seno strati di musaico decorativo, che sembrano aver formato il pavimento a camere termali di palazzo di villa deliziosa, o magnifico tempio, non mancandochi con minore probabilità li suppose pian- terreno della canonica ivi fabbricata nel medio evo. Dalle trovate antichità si cona ferma l'opinione tradizionale, che la bel- Ja cattedrale sia fondata in luogo illustre sino da' tempi remotissimi. La cattedra le è fornita di copiose e ricche suppel- lettili, fra le quali merita particolare men- zione il magnifico Ostensorio, che nella ricordata mia visita mi fu dato ammi. rare nel monastero delle teresiane, ove allora temporaneamente si custodiva, per benignissima cortesia d'alcuni signori canonici. Come indicai nel ricordato articolo, può leggersi l'artistica descrizione nel n. 158 del Giornale di Romadel 1850. Ivi si dice. La maestà di Ferdinando II re del regno delle due Sicilie nel maggio 1849 attraversava Velletri alla testa d'un suo esercito, e per quantofos- se urgente la ragione della marcia, nella sua edificante pietà volle venerare con fervore la miracolosa immagine di Maria ss . delle Grazie, ch'è il tesoro massimo della cattedrale veliterna e il baluar do più poderoso che gli abitanti abbia- no a difesa di loro città. Quindi non senza la speciale assistenza dell' invincibile sostenitrice dell'armi cristiane, gli venne fatto di conquidere, nel ripiegarsi ch'egli fece poscia su Velletri,senza minimo dan- no de' suoi, le ribelli squadre che audacemente aveano presunto di quivi impedirgli il ritorno nel regno. Avendo dipoi i canonici statuito di presentare al reli- gioso monarca copia fedele della s. Im- magine, la commisero al valente artista conte Baldassare Negroni, e la fecero benedire dal Papa Pio IX quando di sua presenza onorò Velletri nel 1850, a'26 maggio del quale l'arciprete d. Agostino Cella co' canonici Argenti e Barbetta, in nome del capitolo l'offrirono al re nella reggia di Caserta. Ferdinando II dichia rato il suo divoto gradimento, lo confermò ilr . del seguente luglio con preziosissimo dono alla Madonna delle Grazie, e la decorazione di Francesco I al nobile dipintore. Consiste il dono appunto nel- l'Ostensorio, una delle più bell' opere dell'oreficeria napoletana. Egrandioso e proporzionato nelle parti, riccosì perl'ar- gentotuttofuso e cesellato, sì per le splendidedorature e le preziose pietre che ab- bondantemente l'adornano. Risulta al solito nelle due parti, che sono il ciclo o la camera destinata a ricevere la s. Ostia e tutta intorno circondata da raggi , e il gran piede su cui il ciclo stesso s'innalza. II piede si solleva dalla piantaquadrilun- ga, in 3 ordini diversi fino a ricevere la raggiera. Posano su 4 dadi altrettante mensolette sul fare del cinquecento, e dalla detta pianta s' innalza una colonna tronca sovrastata dal globo mondia- le. Al di sotto della pianta e tra le men- sole, corrono foglie e fiori d' acanto, le quali si chiudono nel mezzo 4conchi- glie, e su una di queste è scolpito l'anno MDCCCL. Ma sopra la pianta chi guar 228 VEL VEL da la fronte dell'Ostensorio vi legge: In grati animi signum Ferdinandus II Borb. tr. Sic. Rex. Il tronco di colonna che staccasi dalla pianta quadrilunga, lascia sugli angoli smussati di questa 4 spazi , ne'quali l'artefice ha fatto che nobilmente siedano tra arabeschi i 4 Evangelisti con al fianco di ciascuno il proprio simbolo, e tutti o ad ispirarsi nel mistero della ss. Eucaristia, o a descriverne gli effetti miracolosi. Il tronco della colon- na sorgendo da un folto cespo di foglie d'acanto , ha sulla froute intagliato lo stemma reale in grandioso medaglione. Sulla colonna si vedono seduti i Principi degli Apostoli, e il globo colle insegne papali, regie e guerresche con epigrafi, cioè sul triregno: Praepositus Paradi- si; sull'insegne reali : Constitui Te super Regna; e sul trofeo militare: Prin- ceps Militiae. Tali leggende e emblemi significano altresì i diversi uffizi e patro- cinio che verso la Chiesa ed i principi cristiani sostiene l'Arcangelo s. Michele, il quale in figura intera elevasi sul globo, e tutt'armatoha sopra lo scudo il motto: Quis ut Deus. Su questo piede edietroil cimierodell'Arcangelo, si solleva l'Osten- sorio, il cui ciclo per l'Ostia veneranda è contornato da 14 smeraldi intramezzati da altrettante amatiste orientali di limpidissima acqua. Dietro al qual cerchio splendidissimo diramasi in doppia misura e in doppio ordine la raggera dorata. Intorno poi alle pietre preziose e sopra l'innesto de' raggi spandesi un giro di nu- vole candidissime,di mezzo alle qualispor- gono il capo 13 Serafini coll'ali dorate : ed a crescere la varietà e la meraviglia l'artefice vi condusse intorno un tralcio di vite con bellissime fogliette smaltatein verde e grappoletti avvinati elegantissi- mi. Verso la sommità della raggera le nuvole si sollevano alquanto più alte, e dal loro mezzo in tutto rilievo sporge una Colomba a figurare lo Spirito San- to, dal cui becco esce una lingua di rubini, per simboleggiare il fuoco, segnale della grazia comunicata dal divino Spi- rito alla Chiesa nella Pentecoste. Intorno al capo della Colomba corre in piano un triangolo,simbolodella ss . Trinità, ed è tutto rivestito di sottili lastre di sme- raldo. Al di sopra della raggera si dira- mano 6 spighe dorate poste qui col tral- cio della vite, ad adombrare il mistero delle specie Eucaristiche; ed in mezzo alle spighe vi trionfa la Croce a 4 braccia egualmente tempestate di smeraldi e ru- bini. I sullodati 3 canonici portarono in Roma quest' Ostensorio, e presentatolo al Papa, che ne ammirò la singolar bel- lezza, da lui ottennero che venisse con quel rito speciale benedetto, che dalla Chiesarichiedesi prima che sia consagra- toall'esposizionedell'augusta Eucaristia. Il capitolo della basilica cattedrale è com- posto dell'unica dignità dell'arciprete, a cui è affidata la cura d'anime della parrocchia unita alla medesima; di 13 cano- uici, comprese le prebende penitenziale e teologale, il camerlengo e il sagrista; e del collegio di 16 beneficiati, uno de' quali ha il titolo di sostituto curato, col- l'obbligo d'assistere l'arciprete negli af- fari parrocchiali, oltre altri preti e chie- rici addetti al servizio divino. Vi sono i cantori della cappella di musica. Dalla massa comune i canonici percepiscono la rendita ecclesiastica, cheaumentasi del doppio all'arciprete ; e la maggior entrata deriva dalla tenuta di Lazzarin donatanel 147 1 al capitolo da Giovanni Mancini di nobile e ricca famiglia veliterna. La maggior parte de' beneficiati fa mas- sa comune, diversa però da quella de' canonici. Il capitolo venne decorato del- la cappamagna da Benedetto XIII, usandopure il rocchetto, e colla cotta quando non indossa la cappa; e di collare e veste talaredi colore paonazzo permessi daGre- gorio XVI, il quale di più concesse nel 183gall'arciprete la mozzetta prelatizia. A' beneficiati nel 1776 Pio VI accordò d'indossare la cappa magna del medesimo colore e forma, che usano in Roma VEL VEL 229 i beneficiati delle patriarcali basiliche. Nel capitolo in diverse epoche fiorirono personaggi ragguardevoli per nobiltà , dottrina, o per onorifici impieghi e lu minose cariche nella curia romana o in patria. Baucorammenta particolarmente i seguenti canonici e arcipretidivenuti prelati . Gregorio Gori arciprete, poi ve. scovo di Cefalonia. LorenzoLandi canoni- co, poi vescovo diFossombrone.Gio.Carlo Antonelli canonico, poi vescovo di Fe. rentino. Antonio Antonelli canonico, poi vescovo d'Urbania e s. Angelo in Vado. Gaetanode Paolis arciprete, poi vescovo Caradense e suffraganeo di Velletri : ri- tenne l'arcipretura sino alla morte e fu sepolto nella cattedrale, ove sul pilastro di prospetto alla cappella del Rosario leggesi l'onorifica iscrizione. Fabrizio Borgia canonico, poi vescovo di Feren. tino. Gio, Carlo Antonelli canonico, poi vescovo di Dioclia e suffraganeo di Velletri . Geraldo Macioti arciprete, poi ve- scovo d'Eleusi e suffraganeo di Velletri. Vincenzo Macioti canonico, poi vescovo d'Amelia e da Gregorio XVI traslato a Ferentino. Luigi Landi Vittori di Cori, per cui ne parlai in quel paragrafo, ar- ciprete e poi da Gregorio XVI fatto vescovo d' Asisi . Alessandro Macioti canonico, poi da Gregorio XVI fatto sotto datario della Dataria apostolica, arci- vescovo di Colossi e nunzio di Svizzera; dal Papa che regna suo elemosinie. re, assessore del s. Offizio e canonico Va- ticano, essendolo stato anche della patriarcale Chiesa di s. Maria Maggiore. Luigi Macioti canonico, a' 14dicembre 1851 nominato dal consiglio municipa. le alla prelatura istituita dal conte Maria Giuseppe Toruzzi nobile veliterno,onde aggiunse al suo cognome quello di To- ruzzi , ed è ponente di consulta. E qui dirò che l'encomiato conte con testamento rogato in Roma dal Sartori l'lagio 1835, istituì una prelatura erede di tutto il suo asse nella somma di scudi 25,000. L'elezione e nomina del prela to la lasciò libera al consiglio maggiore veliterno colla pluralità di voti. Il pre- lato dovrà scegliersi fra le famiglie no- bili di Velletri aventi posto in detto consiglio maggiore, che accoppii in se delle qualità morali e scientifiche. Avrà sempre la preferenza quell' individuo d'una famiglia nobile, che trovisi attinente per parentela alla famiglia del testatore Toruzzi. La preferenza però avrà luogo in parità di voti. Il prelato sarà obbligato d'accoppiare lo stemma gentilizio Toruzzi nelle sue armi, ed unirne egualmente il casatoa quello originario di sua famiglia. Nella cattedrale sono erette 4 confrater- nite, cioè: del ss. Sagramento,fondata nel 1551; dell'ImmacolataConcezione di Maria, eretta nel 1485 in occasione della pe- ste o poco dopo, riunita a quella del ss . Sagrameuto nel 1763 in quanto alle ren. dite, ma non soppressa ; del Suffragio, fondata dal vescovo cardinal Ginnasi nel 1638 sotto il titolo della Madonna di Costantinopoli ; del ss. Rosario, istituita nel 1595, indi nel 1687 aggregata all'ar - ciconfraternita di tal nomedi s. Maria sopra Minerva di Roma, aggregazione rinnovata nel 1820 e confermata nel 1841, nel qual anno da società fu elevata a confraternita con facoltà di ritenere gli statuti di detta arciconfraternita. Vi esiste an- cora un oratorio sotto il titolo di congre- gazione de' Vignaiuoli, nel quale i fedeli aggregati si riuniscono in tutte le domeniche e feste dell'anno nell'ore pome- ridiane per esercitarsi in atti religiosi. Questo pio istituto deve la sua erezione al missionario ven. p. Antonio Baldi- nucci gesuita, il quale nel 1717 in Vel- letri diè le ss. missioni con molto zelo e spirituale vantaggio. L' episcopio è al- quanto distante dalla cattedrale, come- chè esistente nel palazzo municipale denominato Vecchio e suddescritto . Conviene sapere, che nel 1775 Pio VI rista- bili la giurisdizione privativa sopra Vel- letri nel cardinal vescovo, e fuallora che il cardinal Gio.Francesco Albani in luo 230 VEL VEL go d'andare ad abitare nell' episcopio contiguo al seminario diocesano, e per- ciò a contatto della cattedrale, come aveanopraticato i suoi predecessori, dopo essersi portato nel convento di s. Fran- cesco, da questo per la 1.ª volta si trasfe. rì ad abitare nel 2.° appartamento del palazzocomunale per ricevervi nel 1780 Pio VI, che recavasi a vedere l'inconinciato prosciugamento delle Paludi Pon. tine. Il cardinale vi stabili l'episcopale residenza, ed il simile praticò il cardinal York quando nel 1803 gli successe, benchè riuscisse angusto in proporzione di sua sfarzosa corte. Nel1807 il successore vescovo cardinal Antonelli volle abitare l'antico episcopio. Divenuto nel 1814 vescovo il cardinal Della Somaglia, andò ad abitare il detto appartamento comunale, e fecero altrettanto i successori. Le chiese parrocchiali della città sono 5. La chiesa del ss. Salvatore, la più antica di quante esistono, poichè si crede il tempio eretto da' primitivi cristiani. Per la sua antichità più volte venne riedifi- cato e per ultimo nel 1795 ridotto in miglior forma con elegante disegno, ed è tuttoornato di belle pitture, consagrato dal suffraganeo Michele Argelati ve- scovo d'Ippa. Rovinò la volta nel 1851, perchè si trovò l'edifizio mancante di fondamenti, onde si rifabbricò a spese della sagrestia, contribuendovi il vesco- vo cardinal Macchi con 500 scudi. Il curato ha il titolo d'arciprete. La chiesa di s. Michele Arcangelo era prima arci. pretale, e comeantica e innalzata sugli a- vanzideltempiodi Sanco numede'genti. li, soffri assai nel terremoto del 1806; fu perciò demolita e quindi dal municipio da' fondamenti rifabbricata con disegno dell'egregio architetto ingegnereGiusep pe Andreoli, autore eziandio della nuo- va Barriera della città e del vicino pou- te che conduce alla via provinciale di Valmontone, e del quale feci parola nel paragrafo Monte Fortino. La 1. pietra fu gettata a' 19 agosto 1834 dal suffraganeo Geraldo Macioti vescovo d'Eleu- si, indi benedetta a' 24 ottobre 1837 dal vescovo cardinal Pacca, Le due iscrizioni poste per memoria sulla facciata esteriore, le riporta Bauco. Nel suo interno si ammira la s. Famiglia d'An- nibale Caracci, come testifica un documento dell' archivio parrocchiale. La chiesa di s. Maria Assunta in cielo detta volgarmente del Trivio, adiacente ha il suoaltissimo companile già descritto. Fu da'fondamenti riedificata nel 1622, e pos scia minacciando rovina fu riparata nel 1761 a spese del vescovo cardinal Delci con eccellente disegno, e facciata deco- rata da 6 colonne. Vi è un'antichissima pittura a olio esprimente la Madonna dell'Orto, con4 Angeli e s. Antonio. II Nibby rimarcò la lapide d'Orazio Lancellotti morto nel1820, come pure i de- positi di CesareToruzzi morto nel 1717, e di Caterina sua moglie che l'avea preceduto nella tomba nel 1713. Vi è la confraternita della Pietà, la quale già esiste- va nel 1533. La chiesa di s. Martino vescovo di Tours fu da' fondamenti riedificata nel 1778 con elegante disegno del- l'architetto veliterno Nicola Giansimoni, che lodai nel paragrafo di Cori, per cui il municipio somministrò 3,000 scudi, coine si legge nella lapide della facciata, Fu già arcipretale, in seguito ebbe il parroco con 6 chierici beneficiati. Ora è posseduta da' chierici regolari somaschi, i quali entrarono in Velletri nel 1616. Rinunziata la parrocchia dal curato a 21 aprile 1617, nello stesso giorno ne presero possesso i somaschi, che formano massa comune con un chierico beneficiato insieme al seminario. Sul principia questi religiosi aveano ancora le pubbliche scuole, per cui erano pensionatı dal comune d'annui scudi 150. La chiesa fu consagrata nel 1791 dal suffraganeo Fi- lippo Buffa vescovo di Zenopoli. I1 ch. can. Angeloni nell' Album di Roma, t, 24, p. 193, ragiona di questo edifizio (in continuazione e compimento di quanto VEL VEL 231 su tale giornale letterario e di belle ar ti va egregiamente pubblicando il ri- spettabile can. Angeloni, è a desiderarsi ch'egli colle sue belle cognizioni ed elegante facondia effettui l'idea patria d' il- lustrare tutt'i monumenti d'arte esisten- ti in Velletri , antichi e moderni). Encomia il Giansimoni, per la cui opera e poi per quella del severo Milizia nel secolo passato restò francata l'architettura dal pregiudizio dellepresunzioni,e gli frutta- rono bella fama, avendo colle sue opere fregiata la patria. Dice trovarsi questa chiesa nel bel mezzo della via principa ledella città, e intorno ad essa, quasi a farle corona, sorge buon numero delle fabbriche più eleganti e maestose che a- dornino Velletri. Con bel disegno il Giansimoni l' innalzò sulle rovine d'altra chiesa fabbricata nel 1200, canbian- done l'antica forma di croce latina in greca, e potè conservare alla critica isto rica buona parte dell'apside. Elevasi am- pia e sfogata nella volta, la quale snel. la e leggera com'è posa sopra un'elegan- te cornice, cui sottostà la parete intra- mezzata per colonne e pilastri d'ordine ionico. Gli altari tutti, precipuamente il maggiore, vi fanno bella mostra; ed ogni cosa sta messa e allogata con sem- plicità e ornamento tale, da non temer questo la taccia di barocco, nè quella di gretta; in tutto il Giansimoni mostrò discernimento e gusto di savio architettore, evitando i difetti del suo tempo. La facciata che non fu sua, ma del romano architetto Matteo Lovatti, presenta un portico tetrastilo in colonne ioniche, che vi fa moltobene ; e la materia di cui è costrutto, che è il lapis albanus, ne aiuta energicamente l'effetto. Tale pro- spetto esterno può vedersi nell' Album di Roma, t. 9, p. 380, insieme alla vedu ta del palazzo Toruzzi, con breve articolo che sembra tratto da Nibby. Tutta via perquanto bella e gioconda vistaporgesse il disegno diquel tempio, pure nou pocoveniva offesa dalla squallidezza e povertà che lo copriva, onde si pensò ral- legrarlo con belle decorazioni e dorature. A fronte di gravi spese, a traverso di paventose stagioni il parrocorettore animo- so cominciò l'opera, alla quale concorse- roil municipio e i cittadini, e fu condotta al suo termine nel declinar del 1857. Gli artisti la decorarono da cima a fondo, ma il can. Angeloni volle elegantemen- te descrivere le pitture a fresco operatevi dal senno magistrale del cav. Carlo Ga- vardini nobile pesarese, facendone rile- vare i singolari pregi artistici (di questo egregio artista dissi altre lodi nel vol. LXXIII, p. 352). Esse sono i 4 Evange- listi più grandi del vero, sui pennacchi della cupola, ciascuno coll'allegorico a- nimale. Vi adoperò lo stile de' classici a lui familiari , da' quali pure attiuse la maniera di disegnare corretta e accurata in ogni parte. Lodò eziandio il colorito, che non teme paragone di cosa dipinta a olio; la maestria, la grazia, le care im- `pressioni che destano nell' animo i suoi dipinti. La chiesa di s. Lucia vergine e martire è molto antica, poichè da una donazione ad essa fatta rilevasi che già esisteva nel 1032, nel qual anno fu con- sagrata da Leone Il vescovo veliterno. Prima l'arciprete del ss. Salvatore portava anche il titolo di rettoredi s. Lucia, ed ora ha il suo parroco proprio, per dispo- sizione del 1835 di Gregorio XVI. Que. sta chiesa era nel massimo squallore, pri - va d'ornamenti nell'interno e nell'esterno, e di presente è abbellita di vago sof- fitto, d'orchestra e di pitture sulle pare- ti, per cura diligente de'deputati d. Giu- seppe Colabona e Francesco Argenti. Al- la spesa dell' operato in parte contribui l'erario comunale, e più il ritratto da' pii legati e l'elargizioni de'divoti. Gli al- tari si ornarono a spese de'padroni, tran- ne quello di s. Vincenzo Ferreri dipinto e dorato a spese del cardinal Mac- chi chene porta il nome, la cui munificenza fece eziandio erigere la nuova fac- ciata esterna. Nello scrostare le mura si 232 VEL VEL scuoprirono alcune antiche pitture, e specialmente un'immagine della B. Vergine col s. Bambino in figura intera al natu- rale d'ottimo disegno, che sembra di ma no bizantina. Il prelato delegato mg."Ste- fano de' marchesi Bruti, intelligente di belle arti e versato negli studi archeologici , conobbe il pregio de' dipinti e per quanto potè ne impedì il totale deperi- mento. Osserva il Bauco, che l'illustre prelato cominciò fin da quando era vicelegato in Velletri, e continuò ancora divenuto delegato a fare dell' indagini su- gli antichi monumenti e opere di belle arti sparse nella città e nella provincia, procurandone con ogni lodevole diligen- za la conservazione. L'encomiato prelato condusse appositamente a vedere i belli dipinti il celebre cardinal Mai, anche esimio conoscitore di belle arti,e il porporato ammirandoli li qualificò bizantini. Le chiese de' conventi e monasteri sono le seguenti ; di altre parlerò in seguito. Il convento de'minori conventuali ebbe o- rigine dal fondatore dell'ordine s. Francesco d'Asisi , che l'introdusse in Velletri nel 1 222,allorchè vi transitò e si trattenne nel recarsi a Napoli. In principio il convento de' minori fu suburbano in contrada Morice e piccolo. Ne partirono i religiosi a motivo delle continue guer- re, ritenendone la proprietà sino al 1574, quando lo cambiarono con alcuni prati ; sito ora possedutodal cav. GiovanniGra- ziosi . Molti anni dopo la morte di s. Fran- cesco, passarono questi frati dentro lacit- tà, nel convento e chiesa dis. Francesco, rinnovata nel 1825 (vi è unita quella di s. Antonio di Padova della confraterni ta omonima, la quale chiesa sebbene del sodalizio e filiale della cattedrale, pure è governata da'conventuali, e fu eretta nel 1513 dal p. Domenico da Ferentino del Pistesso ordine, regolandosi co'propri sta tuti , sotto la giurisdizione del vescovo) che tuttora ritengono. Questo locale, che credesi già abitato da' benedettini , perche il loro stemma era scolpito sulla por ta dell' antica chiesa, fu rinnovato e assai ingrandito, in modo che oggi pre. senta una magnifica fabbrica d'eccellente disegno e può contenere 40 individui, onde vi si celebrarono de' capitoli provin- ciali. Ha buone rendite e vi si mantiene lo studio de' baccellieri . La chiesa di s . Lorenzo arcilevita e martire, che antica . menteera collegiata con arciprete e chie- rici, è sufficientemente grande con 7 altari ; il maggiore è isolato, costrutto di eccellenti marini con balaustra : l'iscrizioni marmoree sono riportate dal Theuli. Appartiene aʼminori osservanti, i qua- lis'introdussero in Velletri nel 1442, con comodo convento da contenere più di 30 religiosi, e vi è lo studio di teologia. In questa chiesa esiste il terz' ordine di s. Francesco pe'secolari, con-cappella e propri fondi. Recenti lapidi onorifiche , riferite dal Bauco, ricordano i seguenti veliterni ivideposti, che furono d'ornamentoalla città, cioè Geraldo Macioti vescovo d'Eleusi , Domenico Cardinali, Francesco Graziosi, Giuseppe Pietromarchi avvocato; oltre quella d'Anna Maria moglie del dettoDomenico e madre dell'illustreLuigi ec.,con deposito scolpitodalcelebre commend.Tenerani. In questa chiesa si venera ilcorpo di s. Severino martirecoll'ampol- la del sangue e singolare lapide, tutto tro- vato nel cimiterio di s. Ciriaca. Nel chiqstro del convento è mirabile il grande e singolare bassorilievo cristiano de'primi tempidi nostra s. religione, alla quale al- ludono vari scompartimenti con figure. Il p. Casimiro da Roma, nelle Memorie delle chiese e conventi de frati minori della provincia romana, tratta nel cap. 26: Della chiesa e del convento di s. Lorenzo inFelletri. Narra che sino dal 1443 il rettore ed i chieriçi beneficiati della chiesa parrocchiale di s. Lorenzo, avendo prestato il consenso per l'introduzione in essa de'minori osservanti e pel trasferi- mentodella cura dell'anime nella parroc- chia di s. Michele Arcangelo, dipoi Nicolo V autorizzò a procedersi ed a fabbri : VEL VEL 233 care il convento, il che eseguitosi, Pio II Papprovò in Siena a 25 luglio 1460 colla bolla Pia consideratione, che produce insieme al novero delle ss. Reliquie della chiesa, e alle memorie e versi scolpiti sul- la campana maggiore spezzatasi nel 1741 . La chiesa già esisteva nel 1065, onde per P'antichità deformata, nel 1721 colle li- mosine del comune e de'benefattori da' fondamenti venne rinnovata. II p. Casi- miro con più diligenza del Theuli riferi sce le antiche lapidi e le altre posteriori numerose, e con diverse erudizioni sul- l'anticaglie rinvenute e sopra gli alfari; non lascia poi d'avvertire essere molto stimata da professori dell'arte la tela del coro rappresentante il martirio di s. Lo- renzo, e parimente quella dell'altare di s. Audrea. Rimarca inoltre la memoria sepolcrale del benefattore Gio. Battista Antonelli , pubblicandone il disegno, ad- ducendo prove della nobiltà e antichità della famiglia Antonelli ; notando pure, e arroge al nauseante sciupo che si fa a' nostri giorni in diversi stati de' Titolid'o. nore ( V.), decorazioni ec., che nell'iscrizione del 1464 di Giambattista, la cui fi- gura è in abito equestre, si legge l'illustre titolo di Spettabile (di cui parlai nel citato articolo) a lui dato, di cui scrisse il somasco p. d. Stanislao Santinelli, nel- l'annotazioni fatte al trattato de' Titoli delle dignità di Panciroli; ricordando in proposito il medesimo p. Casimiro, chelo stesso titolo di Spettabile si legge nell'e- pitaffio di Lodovico (del secolo XIV), fi- glio del re Roberto, esistente nella chiesa di s . Lorenzo di Napoli: La chiesa di s. Antonio fin dal 1573 è de' carmelitani , loro data dalla confraternita della Misericordia col sito dove fabbricarouo il con. vento comodo e chiostro spazioso, per più di 24religiosi : ha rendite sufficienti an- co a mantenervi lo studio. Dalla repub- blica romana del 1849 questo convento fu ridotto a ospedale militare, guastata la chiesa e demolito il campanile. Ripristinato il governo pontificio, ireligiosirifabbricarono la chiesa con elegantedise- gno e con bella facciata, Il ricordato so. dalizio fu eretto in questa chiesa nel 1533, e ne ritenne per se una porzione separa- ta, che dedicò a s. Giovanni Decollato; maesso fu colla chiesa soppresso nel 1835, e i suoi beni furono dati all'orfanotrofio delle fanciulle. La chiesa de'ss. Pietro e Bartolomeo apostoli, già arcipretale, fu di nuovo edificata con elegante architet- tura del veliterno Giansimoni, Vi si ve- nera il corpo di s. Vittorino martire col- l'ampolla del sangue e lapide sepolcrale, il tutto rinvenuto nel cimiterio di s. Ca- listo. Il vescovo cardinal Alessandro II Farnese, concesse la chiesa alla congre. gazionede'dottrinari, coll'abitazioni con- tigue e alcune cappellanie, e tuttora ivi esistono. Furono loro affidate le scuole pubbliche e gratuite, supplendo il comu. ne con annua pensione di scudi 360, e l'insegnamento della dottrina cristiana a'fanciulli, tanto in questa loro chiesa, che nelle chiese parrocchiali. Sino dal 1851 ivi reggevano anche il collegio, ove tenevano a convitto per lo studio e l'educa. zione molti giovanetti secolari. La chiesa di s. Chiara vergine appartiene alle monache francescane, molto grande, bel- la, ben mantenuta e ricca di suppellet. tili sagre. Il prossimo monastero delle re- ligiose di clausura papale, è uno de'pri- mi fondati sotto la regola di s. Chiara, e già esisteva nel 1274, e venne fondato o- v'eral'antico priorato e chiesa di s.Anasta- sia, non più esistenti. La fabbrica è mol- to estesa e comoda, aforma di grandioso palazzo, e può contenere più di 40 mona- che,ancoper le buone rendite di cuièprov- veduto. II p. Casimiro da Roma vagiona puredel monastero delle olarisse, e lo di- ce uno de'più antichi della provincia ro. mana, pel documento che riferisce. Par- la dell'indulgenza concessa alla chiesa da Nicolò IV, delle riforme del monastero avvenute nel 1528 e nel 1668, con manache tratte da s. Silvestro e da s. Cosi. matodi Roma,edelle religiose che vi fia 234 VEL VEL rirono in virtù e buon odore di santità. La chiesa del ss. Nome di Gesù, appella. ta ancora di s. Teresa, appartiene al mo- nastero sotto la stessa invocazione delle monache carmelitanecalzate, fondato nel 1641 da Fulvio Mariola, il quale atale effetto nel 1631 già avea donato tutti i suoi beni con annuo fruttato di scudi 480, con conferma d'Urbano VIII e riserva di nomina di due monache senza dote alla famiglia Mariola, Ne fu fondatrice suor Chiara Androsilla, già monaca del mo. nastero di Sutri, entrandovit2 monache n'12 maggio 1641 dopo aver preso l'a- bito nella cattedrale per le mani dell'arciprete Santorecchia, fra le quali fulat." Lucilla Assalonue vedova del fondatore col nome di suor Anna. La fabbrica non èmolto estesa, ma comoda per più di 24 monache con suflicienti rendite,ed è clau. sura papale, Fra le altre chiese della cit. tà, oltre quelle che ricorderò poi, mi li miterò a nominare. La chiesa di s. Autonio abbate già de'canonici regolari di Vienna,i quali già qui esistevano nel1400 e ne partirono nel 1586. Venuta la chie. sa in proprietà dell' università artistica de'mulattieri, nel 1737 l'ornò con ele- gante soffitto e altro, e benchè soppressa i mulattieri l'uſſiciano nelle feste, es- sendo filiale della cattedrale e di giuris dizione vescovile, Tale è pure la chiesa della Madonna di Costantinopoli, che fu fabbricata nel1636 a spese dell'univer- sità artistica de'calzolai, denominata au- che s. Crispino loro protettore. Soppressa l'università, i calzolai la continuaro. no a ritenere, venendo restaurata dal suo stato cadente nel1851. La chiesa della ss. Concezione detta della Coroncina, la edificò nel 1752 Giuseppe Angelinia per- suasione del b. Leonardo da Porto Mau- rizio, il quale dando less. Inissioni in Vel. letri v'istituì la congregazione della Pia Crucis. Ora è filiale della sua parrocchia di s. Michele, ed appartiene alla confraternita degli Amanti di Gesù e Maria, eretta nel 1814e aggregata all'arcicoufraternita di Roma. Dalla pia liberalità del conte Giuseppe Latini Macioti, venne aggiunta la sagrestia e la comoda abitazionedel cappellano, provveduta di uten- sili sagri, d' eccellente organo e di vari legati di messe. Come il lodato cavaliere vi fa celebrare a sue spese il Carneva- le santificato, eziandio con istruzione ec- clesiastica e trattazione di qualche massima fondamentale di nostra s. Religione, lo narra il Giornale di Roma del1856 a p.144. La chiesa di s. Silvestro I Papa o di s. Giuseppe, filiale della chiesa parrocchiale di s. Michele, è molto anti- ca, essendo stata dedicata nel 1085 a'20 luglio dal vescovo Ottone I, ed ebbe il suo rettore ; minacciando rovina, di recente fu rifabbricata. Nel 16to venne concessa all' università artistica de' fale. guami, poi abolita, e quindi vi fu eretta la confraternita di s. Giuseppe, nel 168 1 aggregata all'arciconfraternita omonima diRoma. Siccome di quest'ultima e della sua antica Università artistica riparlai nel paragrafo Falegnami di quell'articolo, qui ne profitto per dare un' essen- ziale distinzione tra l'Arciconfraternita di s. Giuseppe, e l'Università de' Falegnami diRoma, con più esatta dichiara- zione della riferita nel ricordato articolo, essendo stati due corpi diversi e uniti, a modo che ora lessi negli originali : Sta- tuta Universitatis Carpentariorum Al- mae Urbis. Furouo rinnovati nel 1624, ed approvati a' 4 luglio da Urbano VIII colla bolla Christifidelium. Ciascun' arte soggetta al consolato dell' università de' falegnami aveva i propri consoli, camer- lenghi, sindaci e altri uffiziali. Per la festa del protettore s. Giuseppe sposo di MariaVergine, alla chiesa dell'arciconfra - ternita doveva ogni bottega dell'arte pa- gare un giulio ogni 6 mesi. I auovi cousoli e canerlenghi dell'università artisti - ca unmese dopo la loro elezione, che fa - cevasi per bossolo, doveano entrare per fratelli nell'arciconfraternita, e dare idonea sicurtà di bene amininistrarel'ufficio VEL VEL 235 a cui erano destinati. Le congregazioni e adunanze si facevanonell'oratorio dell'arcicoufraternita coll'interventodel notaro dell'università; e perciò ivi pure tutte l'e lezioni degli uffiziali dell'università aveano luogo, come pure vi si prendeva il pos. sesso delle cariche da' nuovi consoli, camerlenghi e altri uffiziali. Inoltre il notaro dovea pure intervenire e assistere al tribunale del consolato dell'artein Campidoglio nella mattina di udienza. In que- sta i consoli dell' arte udivano e decidevano sommariamente le cause e contro- versie insorte tra gli uomini dell'universi tà stessa, sino alla somma di 10 ducati di carlini ; in altre cause i consoli rendevano ragione col consiglio dell'assessore, Il tutto a seconda della bolla di Gregorio XIII sopra la giurisdizione de' consolati dell' arti di Roma. L'applicazione delle multe e penali si faceva a favore della chiesadi s. Giuseppe del sodalizio, conse- guandosi al provveditore dell'arciconfra- ternita ; non potendo alcuno esercitare la professione dell'arti soggette all'universi tàde'falegnami senza matricola e patente, Ja multa per quelli che non n'erano mu. niti si divideva una 4." parte a'consoli , il resto a detta chiesa. Doveasi pagareda tutti i padroni di bottega la tassa per la la festa di s. Giuseppe. Nel cap. 55. degli Statuti: Dell' unione fra l'Arciconfra- ternità e l'Università de' falegnami di Roma, si dice. Che essendo l'arciconfraternita di s, Giuseppe formata da uomini dell' università, si fece l'unione tra il sodalizio e la corporazione artistica co' se- guenti patti ; vale a dire, si rinnovò l'u- nione fatta altre volte, e per ultimo a'a3 gennaio 1602 quando seguì la separazio- ne dell' Università de' Falegnami, dal- l'Università artistica de' Muratori, colla quale avea fabbricato a Ripetta la chiesa e l'oratorio di s. Gregorio. Per la quale divisione coll'arte de'muratori, seguì alJora l'unione dell'università de' falegua mi all'arciconfraternita del protettore s . Giuseppe posta sopra le Carceri de'ss, Pietro e Paolo al Foro Romano. I capitoli fatti allora tra l' arciconfraternita e l'università sono riportati negli stessi Sta- tuti, il sodalizio accordando all univer. sità de'falegnami il comodo del proprio oratorio per l'adunanzedell'arte. Le con- gregazioni dall' arcicoufraternita e dell'università si tenevano nell' oratorio in giorni diversi. Nella chiesa dis. Giuseppe i consoli dell'università avevano il genuflessorio incontro a quello de' guardiani del sodalizio coll' iscrizione : Consules Carpentariorum. Il sodalizio assunse il nomedi Compagnia oArciconfraternita e Università de' Falegnami di Roma, Perarme adottò il compasso, impresa vecchia dell'arte. L'arciconfraternita accettò l'offerta fattale dall'università perl'appli- cazione delle multe epene contenutenello statuto, a favore della chiesa di s. Giu- seppe. In ricognizione di tale unione l'ar ciconfraternita concesse il luogo e banco colgenuflessorio fatto a spese dell'univer- sità per sedervi il console e il camerlen- go, autorizzandoli di porvi l'epigrafe: Consules et Universitas Carpentariorum ; oltre la tavoletta col nome degli uffiziali pro tempore della medesima uni- versità; e tenevano il 1.º luogo dopo i due deschi ove sedevano i guardiani e gli altri uffiziali dell'arciconfraternita. In tut- te le processioni, eccettuato e riservato il luogo del p. governatore e de'due consi . glieri dell'arciconfraternita, i consoli e camerlengo dell'università potevano anda. re a piacere in ogni luogo, colle proprie mazze, munite dell'impresa dell'arciconfraternita ossia dell'immagine di s. Giu- seppe e del compasso coll'epigrafe : Uni- versitasCarpentariorum. Peressere elet. ti aconsole e camerlengo dell'università, dovevano essere gl' individui fratelli del sodalizio, o almeno dopo un mese aggre- garsi all'arciconfraternita, per godervi la voce attiva e passiva. Inoltre l'arciconfra- ternita accordò all' università di fabbri care nella loro chiesa alcuna cappelladel l'arte. I defunti appartenenti all'univer 236 VEL VEL sità, benchè non confratelli, il sodalizio gli associava e seppelliva. Risulta dunque dal fin qui riportato, che l'arciconfrater- nita era un corpodiverso dall'università, esolo unita per quanto ho riferito, aven- do i consoli dell' arte, come confratelli, voce attiva e passiva nel sodalizio, poi chè appena eletti , come notai , erano am- messi per confrati , e partecipavano alle consuete distribuzioni del pepe(del qua- le costume riparlai ad UNIVERSITA' ARTI- STICHE, E s. Beda dispensò a'suoi monaci, prima di morire, del pepe, de'fazzoletti e dell' incenso, pregandoli di ricordarsi di lui avanti a Dio ; quali pegni della carità che ad essi li univa, e perchè con tali presenti li costringeva a ricordarsi di Jui nell' orazioni. Secondo la regola di s. Benedetto, i monaci per tacito consen- so dell'abbate, potevano lasciare somi- glianti ricordi . S. Lullo fece un regalodi pepe, d'incenso e di cannella alla badessa Kaneboda. Di tali usi vi sono altri esempi nel Butler, Vitadi s. Beda), delle candele e dellepalme benedette. L' univer- sità de' falegnami di Roma, come tutte l'altre, fu soppressa da Pio VII; l'arcicon- fraternita tuttora sussiste floridamente. Della suddetta parrocchia di s.Silvestro le pur filiale la chiesa della Madonna della Neve, detta s. Valle, di giurisdizione vesco- vile : anticamente avea rettore e chieri- ci . Ebene mantenuta, con bellissimo pre. sbiterio ornato da 4 colonne e balaustra di marmo, il cui altare maggiore isolato è costrutto d' eccellenti marmi. Venne concessa alla confraternita delle ss. Stim. mate eretta nel 1602 e confermata da Clemente VIII nel 1604, indi aggregata all'arciconfraternita di Romadel suo no. me. Vi si venera il corpo di s. Eutichia vergine emartire estratto dal cimiteriodi s. Ciriaca colla lapide sepolcrale. Lachiesa di s . Maria del Sangue, filiale della par. rocchiale di s. Michele e di giurisdizione vescovile, fu eretta colle limosine de'di. voti cittadini nel 1517. Si dice fabbricata can disegnodel celebre Bramante, in for ma ottagona con grande cupola, e sulla porta si vede un antico orologio Berosia- no. Diè motivo all'erezionedi questo pic- colo tempio il prodigio accaduto a'6giu- gno1516, descrittodal Bauco anche nel- la Narrazione istorica della chiesa di s. Maria delSangue, Roma 1829. L'im- magine della Madonna dipinta sulla pa- rete esteriore d' una casa prossima al pa- lazzo pubblico, si videstillare lagrime di sanguedall'occhio sinistro, con ispavento e stupore di tutta la città. Segato il mu- ro, fu trasportata la ss. Immagine in questa chiesa, dove opera continui prodigi. Inoltre in essa si venera l'antica immagine del ss. Crocefisso detto della Provvidenza, perchè pe'singolari favori e grazie operate a pro di Velletri, fu dichiarato con pubblicodecreto del 1794, Pa- dre provvidentissimo di Velletri. Sotto il suo altare è un sagro deposito di reli- quie de' ss. Martiri, estratte dall'altare o chiesa di s . Prassede di Roma de'vallombrosani, Sotto quello della Madonna è il corpo di s. Tortora Vittorina col vaso di sangue e lapide sepolcrale, il tutto tras- portatodal cimiterio di Pretestato, per dono del cav. Giuseppe Calderoni bene- merito veliterno. Questa chiesa consagra- ta a 28 dicembre 1579dal vescovocardinal Moroni, appartiene alla confraternita dellaMadonna del Sangueeretta nel 1516, che per essersi aggregata per la r . " all'arciconfrateruita e ospizio della ss. Trinità di Roma nel 1581, è riconosciuta ancora sotto questo titolo. La piccola chiesa della ss. Trinità, di padronato de'Borgia, pos- siede il corpo di s. Giovino martire, col- l'ampolla del sangue e la lapide, tutto proveniente dalle catacombe di s. Seba- stiano. La chiesa di s. Apollonia vergine e martire, già deʼreligiosi del terz'ordine di s. Francesco, venera il corpo di s. Zo. simo martire, colla lapide, scavato nel ci- miterio di s. Saturnino ; e la miracolosa immagine della B, Vergine della Carità ; e quella della Madonna della Vita trasportatadalla chiesa de' ss. Cosma e Da- VEL VEL 237 miano di Romadi detto ordinee dipinta nel526.Appartiene alla confraternitadel- la Carità di s. Maria dell'Orazione della Morte, fondata nella chiesadi s. Martino nel 1569 dal rettore Marco Ciampone, quindi aggregata all'omonima arcicon- fraternita di Roma,il cui sacco nero adotciò a celebrarvi la messa. Il cardinal An- tonM.'IIGalli,divenuto vescovo nel 1616, introdusse in Velletri i carmelitani scalzi asue spese mantenuti, onde nel 1620 per la sua morte furono costretti a partirne, vendendo il fabbricato non compito al cardinalGinnetti,che colla chiesa di s .Tetò, dimettendo il torchino ; da detta chie- cla loracchiuse nel suo giardino.Nel 1620 0 sa, di cui è filiale, passata in questa nel 1815. Soppressa la confraternita dis.Gio. Decollato detta della Misericordia, istituita fin dal 1533, ebbe il suo privilegio d'assistere i rei condannati a morte e seppellirli , per cui aggiunse al suo stem- ma quello di s. Gio. Decollato. II Bauco enumera 24 chiese nella città e 8 sparse nel suo territorio; di più riporta le no- tizie in breve delle chiese antiche, tanto interne quanto rurali o suburbane, non più esistenti, fra le prime enumerando s. Giovanni in Plagis, un tempo collegia. ta con arciprete. Riporta ancora quelle didiversi stabilimenti religiosi, egualmente non più esistenti. Di questi eccone un cenno. Il r. istituto religioso che si sta- bili in Velletri fu quello di s. Benedetto, il monastero de'quali fu occupato da'mi- nori conventuali ; de' benedettini non si conosce altro. Il priorato de'canonicire. golari detti di s. Anastasio, esisteva nel 1032 e nel 1154. I canonici regolari di s. Antonio di Vienna, già ricordati, nel partire si ritirarono in Roma nel mona- stero oradelle camaldolesi. Versoil 1444 entrarono in Velletri gli agostiniani della congregazionedi Lombardia, cioè nel mo- nastero suburbano di s. Maria dell'Orto fuori di porta Napolitana, abbandonato dalle monache benedettine per le continueguerre ; convento soppresso dal go- verno francese nel 1810, che alienò con l'ospizio urbano diversi beni, ed i super stiti Pio VII riuni al seminario. La chiesa rovinata da un fiero turbine nel 1822, in seguitofudemolita,conservandosi l'an. tica, pregiata e divota pittura a frescodel ss. Crocefisso, che pie personeripararono dentro cappella, ove nel 1851 si comini basiliani fondarono il loro monastero nella Via Lata, mezzo miglio lungi dalla città ; ma pel terremoto del 1806caduta la chiesa, e pericolando il monastero fu da'monaci abbandonato, indi co'loro beni fu dato da Pio VII all'ospedaledelle donne. Il terz'ordine di s. Francesco entrò in Velletri nel 1621, ed ebbe la chie- sa suburbana della Madonna degli Angeli, poi un locale urbano in via Bandi- na colla suddetta chiesa di s. Apollonia, e partirono nella soppressione del 1810 : Pio VII diè il convento alle maestre pie e l'abitazione anteriore di queste co'beni invenduti all'ospedale delle donne. La chiesa edificata fiu dal 1521 da Bernardino Petrucci, fu data alla confraternita dellaMisericordia, erestò poi distrutta dal ricordato terremoto. Come suburbani, ora conviene parlare della chiesa e con- vento de' minori cappuccini, situati sul colleGiampapa. I cappuccini furono am- messi in Velletri nel 1563 dal vescovo cardinal Pio di Carpi protettore dell'or- dine, nel convento e chiesa di s. Stefano detta pure di s. Rocco, già esistente nel 1429 conrettore e chierici, prossima alla via postale. Nel 160g1'abbandonarono per stabilirsi nel detto Colle. La chiesa è sotto l'invocazione di s. Croce di Monte Calvario, della quale si gettò la1. pietra a'6 settembre di dettoanno, poscia consa- grata a' 18 ottobre 1616, da Lorenzo Landi vescovodi Fossombrone, trasportando- vi dalla chiesa di s. Stefano la statua di s. Rocco, e l'immagine della Madonna della Piaga, così denominata dal segno visibile in una mano, cagionato da un colpo di sasso scagliato empiamente da un ebreo. Nel t. 23, p. 177 dell' Album di Roma 238 VEL VEL si riporta la bella immagine dell'Imma- colata Concezione, dipinto a fresco del giovane cremonese Cesare Cugini, esegui. to in questo convento, colla descrizione artistica di P. Perez, che ne etumera gli eleganti e divoti pregi. Velletri si distingue anche nel pub. blico insegnamento, sì per l'istruzione e educazione della gioventù, sì per l'emu Jazione nelle scienze, pel comodo e utilità della popolazione, come ancora negl'isti- tuti benefici e caritatevoli a vantaggiodei bisognosi. Il seminario per l'istruzione de'giovani ecclesiastici fu eretto dal vescovo cardinal Moroni circa il 1570 ap- pena assunse il governo di questa chiesa, ma per mancanza di rendite dopo pochi anni fu chiuso. Ristabilito nel 1592 dal vescovo cardinal Gesualdo, pel mantenimento degli alunni furono tassati tutti i beni ecclesiastici sì della mensa vescovile, come del clero della città e diocesi; ma non essendo questi sufficienti, vi furono applicati alle vacanze alcuni beneficii e cappellanie, con autorizzazione diClemen- te VIII del 1595; nel 1815 Pio VII gli applicò i detti beni invenduti degli ago- stiniani ; il municipio vi mantiene due giovanetti, uno del ceto nobile el'altro del civile, ed il benefico cardinal Macchi col donativo d' un fondo di scudi 4000 vi ha istituito 4 posti gratuiti. Il semina rio vecchio è prossimo alla cattedrale e occupa quasi tutto l' episcopio concesso al inedesimo a poco a poco da vari vesco- vi, permaggior suo comodo. L'attuale seminario occupa il locale del cardinal York stabilito a sue spese per abitazione estiva degli alunni . Vi si alimentano e istruisco no 20 alunni, oltre un buon numero di convittori sotto la direzione de'preti. Egli può contenere anche più di 50 giovani. Per l'istruzione delle scienze vi sono stabilite 7 scuole, cioè di grammatica infe- riore, di grammatica superiore, d' umanità, di rettorica, di filosofia, di teologia dogmatica e morale,e di storia ecclesiastica esagra, oltre la scuola di canto fermo. Nel 1601 per decreto della s. congrega- zione del concilio, il vescovo ottenne il singolar privilegio : Ut qui in collegio illo (della di lui diocesi) per triennium studuerit, habeat privilegia data ipsis universitatibus. Il cardinal Alessandro Mattei in forza di tale concessione con- segui da Pio VII con un breve il diritto di dare la laurea sulle facoltàdi filosofia e teologia agli studenti di questo seminario ; ma tale concessione fu abrogata da Leone XII, che nello stato pontificio tolse tutte l'università di studi di 2. or- dine. Nell' Effemeridi letterarie di Roma, t. 6, p. 46, si parla dell'università di Velletri, onore da' Papi concesso alla chiesa d'Ostia, come quella che teneva il principato fra le chiese cardinalizie del- l'ordine de'vescovi, e riconosciuto da'tri- bunali. Ma quando Ostia fu per la mala aria spopolata e quasi deserta, e nou che collegio e università, città ecittadini vennero meno, era ben giusto per non ispo- gliare di sì bel privilegio l'amplissima di- gnitàdel decanato, se ne trasferisse il pos . sesso in Velletri, per essere la sua chiesa da lunghi secoli all' Ostiense perpetua- mente congiunta. Equesto fece giusta- mente e lodevolmente Pio VII. Indi si dice. Non fu vuota tal grazia di effetto, poichè le scienze del giure, della teolo- gia e della filosofia, e le lettere greche,latine e italiane vi si insegnarono in molto concorso di giovani, e con loro profitto non lieve. Tale ragionare si faceva nel 1821 , quando erano trascorsi 6anni dac- chè per le cure del nominato cardinal Mattei era stato ristaurato il corso degli studi umani e divini sotto la reggenza di Vincenzo Macioti, uomo più voglioso di sapere, che di apparire sapiente. Narra per ultimo la distribuzione fatta indetto anno di propria mano delle lauree e premi d'ogni genere, dal cardinal Della So- maglia, celebrando come il sullodato prelato, allora can.Alessandro Macioti, nipotedegnissimo del nominato Vincenzo, e professore di filosofia, immagind modo VEL VEL 239 acciò il disputare fosse dimostrato verace prova del profitto de'giovani, nonpom- pa appariscente, e ne produce le prove. 11 Baucofa grandi elogi di Vincenzo Ma- cioti , poi vescovo come già dissi, virtuo- sissimo e zelante rettore del seminario, profondamentedotto, comedimostrò col- lesue produzioni scientifiche, avendo re . catosommo onore alla patria, e fu ancora modello de'vescovi . Esisteva nel seminario l'accademia intitolata degl'Incogniti istituita nel 1775. Avea le sue leggi, ri- conosceva il protettore e il custode, oltre il segretario. Radunavasi ordinariamen- te due volte all'anno, ed eziandio di più, se lorichiedevanole circostanze. Il n.º 254 del Giornale di Roma del 1852 riporta la notificazione de' 29 ottobre del gon- faloniere di Velletri cav. Giovanni Graziosi , diretta agli abitanti dell'inclita cit- tà. Essa dice. » È omai fuor di dubbio, che tutti i mali, che affliggono la socie- tà, derivano dalla snervata educazione, e dalla leggera istituzione della gioventù. Il perchèadoperano saviamente que' reggitori delle città , i quali pongono ogni loro studio in procurare una soda e sa- na coltura morale, civile e letteraria.Convinta di questo vero la cessata commissione municipale di questa città, aiutan- dola e animandola S. E. R. ang. Giusep. pe Berardi commissario straordinario pontificio in allora delle provincie di Ma. rittima e Campagna, e pro-legato della prima, fu sollecito, appena ristaurato il governo pontificio, d'umiliareal trono di Sua Santità Papa Pio IX il voto che ve. nisse aperto in Velletri un collegio di scuole diretto da'pp. della compagnia di Gesù, affinchè i giovanetti di questa cit. tù potessero giovarsi dell'opera di que' benemeriti istitutori, fino a compiere il corso delle lettere e delle scienze, che sono soliti dare negl' istituti di tal natura. Il sottoscritto gonfaloniere, presidenteal lora della suddetta commissione, con tut- to l'impegno diè opera all'esecuzione del divisato progetto ; e l' Em. e Rm. sig." r cardinal Vincenzo Macchi nostro munificentissimo vescovo e legato si degnò pre- sentare e raccomandare l'analoga supplica alla lodata Santità Sua. Il Santo Padre encomiando nella sua sovrana beniguitàun consiglio sì nobile in se, esì van- taggioso a questa popolazione, spedì un breve (a' 7 aprile 1851), col quale de- gnavasi autorizzare l'erezione del menzionato collegio di scuole, prescrivendo- ne i modi e le spese da farsi dalla magistratura della città. In seguito di tale sovrana disposizione, la lodata magistra. tura si studiò perchè fosse eretta quasi da'fondamenti una fabbrica quanto più si potesse decorosa per servire ad uno scopo di tanta utilità. Ma poichè troppo a lungo sarebbe andata l'apertura degli studi, se si fosse attesoil compimentodel locale, che è in via di costruzione, Sua Emz. Rm. il sullodato sig. cardinal vescovo e legato di pieno animo offri il vec- chio seminario alla magistratura (il can. Bauco nella dedica al cardinale di sua Storia di Veletri, lo celebra ancora per avere tutti i cittadini beneficati colla istituzione delle scuole per l'istruzione della gioventù) per uso de'pp. della compagnia di Gesù, onde ivi cominciassero senza frapporre indugio l'insegnamento, giusta le norme del loro istituto. Egli è perciò, che noi siamo in grado di avver- tire il pubblico, come nel prossimo no- vembre dell' anno corrente i pp. della compagnia di Gesù imprenderanno in- tanto l'istruzione delle classi inferiori dalla lingua latina a tutta la rettorica, ag- giungendo ad ogni classe la colturadi que- gli studi, che promuovono e accrescono ornamento alla cognizione delle belle let. tere. Prenderanno ancora sotto la loro responsabilità la direzione della elemen- tare istruzione della prima età : il tutto conforme al breve pontificio di già spe- dito. La solenne apertura si farà, secon- dolenormecontemplatenella bollaQuod Divina Sapientia, il dì 7 dell' entrante Inesedinovembre nella basilica cattedra- 240 VEL VEL г 0 ledi s. Clemente, due ore innanzi il mez. zodi, assistendovi l' Em. sig. cardinal decano nostro amantissimo vescovo e le gato, e mecenate solertissimo de' buoni studi e di ogni religiosa educazione, non- chè mg. d. Antonio Bambozzi delegato apostolico, la magistratura e tutte le au- torità ecclesiastiche e civili. Dopo l'in- cruento sagrificio, che verrà celebrato da mg. Gesualdo Vitali, vescovo suffraga. neo e vicario generale, vi sarà l'inaugu- rale orazione, e in fine l'invocazione del Divino Spirito, e la benedizione del Ve- nerabile. La magistratura di Velletri è d' avviso di non aver potuto rendere a questa popolazione miglior servizio, che erigendo in mezzo ad essa un collegio di scuole diretto da'pp. della compagnia di Gesù ; però confida che saranno solleciti i genitori a mandare alle medesime i lo. ro figliuoli, perché colle lettere e colle scienze bevano il latte della morale e della religione, ch'è l'unica cosa, che possa fa- re felice l'uomo su questa terra". Indi nel n. 288 dello stesso Giornale si legge la relazione dell'apertura del collegio della compagniadi Gesù in Velletri , dettaglia- ta e veramente magnifica. Si dice segna- re un' epoca gloriosa negli annali urbani l'inaugurazione solenne delle scuole de' gesuiti, i quali hanno per istituto d'eru- dire la giovine età da primi rudimenti delle lettere, sino ad aver compiuto gli studi della filosofia e della teologia. Si ri- pete con maggior estensione il contenuto della riportata notificazione, e quindi si descrive tutta quanta la ceremonia deco- rosissima ch' ebbe luogo in detto giorno 7 novembre nella cattedrale, alla presen. za del cardinal decano del senato più ve. nerando della terra, dell'autorità governative e comunali, de' prelati, del capitolo, de' pp. del collegio, della nobiltà e delle dame, oltre il collegio de'parrochi, le autorità militari , gli scolari iscritti, la moltitudine. Dopo la messa celebrata da mg. Vitali, formalmente il gonfaloniere presentò al cardinale in vaso d' argento r il pontificio breve, che autorizzava l'ere- zione del collegio, prescrivendo i modi e le speseda farsi dalla comunale magistra- tura. Allora il cardinale con voce commovente disse a' municipali, non poter esprimere a parole la consolazione som- ma che prova in cuore nel ricevere quel breve» per la fondazione d'un collegio dell'inclita compagnia di Gesù : quell'at- to formare la più bella gloria di cui si po- tessero vantare nell'esercizio del loro ca- rico: desiderare in fine che i parenti usas- sero di tal beneficio col mandare i loro figli a queste pubbliche scuole". Ritira- tisi i municipali, si avanzarono a piè del trono i pp. gesuiti, ed il cardinale diè il breve in manoal rev. p. Gio. Francesco Blosi rettore del nuovo collegio, dirigen. dogli un couciso, ma toccante discorso, la cui somma è la seguente. » Consegnar- gli quel breve or ora ricevuto dal sig. gonfalonieredella città, nel quale il som- mo Pontefice autorizzava l'erezione del nuovo collegio. Aver egli da lunga pezza desiderato quel dì,ed averlo sospirato con agli occhi amare lagrime; essere alla fine spuntato : contarlo dunque tra' più bei giorni di lunga sua vita : non potere il labbro esprimere la gioia che provava in quell'istante il suo cuore per vedersigiun. to alla meta de' suoi voti : essere ormai arrivato pressochè al termine de' giorni suoi, e vicino dipresentarsi al giudizio di- vino: aver perciò ora un titolo di confor- to per conciliarsi con la clemenza di Dio, potendogli dire: questi fanciulli, che voi mi deste, o Signore, io li conseguai nelle mani della vostra prediletta compagnia, affinchè venissero avviati sin da'verdi lo- ro anni nel santo vostro timore : da tale idea trarre il suo spirito calma econforto, e il suo cuore presagire un vero miglio- ramento di questa sua diletta città ". A tali parole, che trassero le lagrime sul ci- gliodegli astanti, rispose profondamente commosso il p. rettore, anche a uome de' suoi padri ivi presenti,dichiarando la con- fusione per quanto erasi degnato dire, di VEL VEL 241 r voler batter l'orme deʼloro maggiori nel. l'ammaestramento della gioventù, ch'è di tutte l'età la più cara a Dio, per la quale avrebbero dedicato gli sforzi del loro spirito e l'affezioni del loro cuore,pregando Dio ad aiutarli nell' impresa che promettevano di compiere, per la quale invocare il concorso di tutti e specialmente de'genitori. Indi i pp. gesuiti fecero la consueta professione di fede, seguìl'inau- gurale orazione del facondo p. Salvatore Orzelli ; e cantatosi l'inno dello Spirito Santo, fu chiusa la nobilissima funzione colla trina benedizione compartita da mg. Vitali. Il pubblico tripudio per sì fausto avvenimento lo manifestaronocon eleganti composizioni stampate i profes- sori del seminario can. Di Lazzaro el'ab. Fiorenza: Rapidi ne furono gli ubertosi frutti, descritti dal n. 137 del Giornale di Roma del 1853, narrandoil pubblico saggio di rettorica a'2 giugno decorosa. mente datosi da' pp. gesuiti co' loro di scepoli , nell' aula dell' antico seminario, ove aveano raccolto il fiore della città, alla presenza del cardinal Macchi festeggiato da musicali concenti, da offerte di poesie e di fiori.” Lode sia perciò a que cittadini che l'onore di Dio e della pa- tria avendo a cuore, presero questa ad illustrare nuovamente e meglio, la com. pagnia di Gesù chiamandovi a fondare un collegio. Per essi giunsero gli esercizi spirituali a' giovani scolari , a'monasteri, agli orfanotrofi , al ceto de' nobili, degli impiegati, delle dame; esercizi spirituali alla guarnigione che vi stanzia, agl'incar cerati ; dispensazione della parola divina corrente l'anno a tutti". Inoltre riferisce il Giornale le solenni trigesime esequie celebrate nella cattedrale dal capitolo, pel Rm. p. Giovanni Roothaan defunto proposito generale della compagnia di Gesù, presso il qualeassai caldeggiò perchèque sta venisse stabilita in Velletri, e con esse volledargli un attestato di pubblica rico. noscenza ; a tale effetto invitò ad assistervi il cardinal Macchi, i prelati, le autorità, i VOL. LXΧΧΙΧ. cittadini; pontificòla messamg. Vitali, e pronunziò l'orazione funebre il gesuita p. Carlo M.ª Ciampi professore d'eloquenza. Per tuttociò, non solamente cessarono i dottrinari dal regolare il pubblico insegnamento in Velletri, ma già era cessato quello de' fratelli delle scuole cristiane. Questi furono introdotti nella città nel 1836 per l'istruzione de'fanciulli e gio- vanetti nel leggere, scrivere, aritmetica e dottrina cristiana, in che sono abilissimi. Il vescovo cardinal Pacca nel conce- derli alla città cedè loro la suddetta casa, a proprie spese stabilita dal vescovo cardinal York per abitazione estiva a comodo degli alunni econvittori del se- minario, per toglierli dall'aria bassa, che sirespira nella casa del vecchio seminario contigua alla cattedrale e prossima alla porta Napolitana, nella stagione calda, e vi dimoravano dal 1.ºluglio a tuttol'ottobre. Rimane il locale, ed ora propriamente seminario, nella parte superiore della città in via Borghese. La cessione fu fatta alla comune per un dieciottennio per rescritto di Gregorio XVI de 7 giugno 1836, al quale diè esecuzione il car dinale, e il comune pel mantenimento di 5religiosi assegnò scudi 500 annui. Il u. 45 del Diario di Roma del 1837 cele- brò l'erezione dello stabilimento concesso dal Papa a istanza del cardinale, onde procurare alla gioventù veliterna un nuovo mezzo d'educazione cristiana e civile, per sì zelanti operai che in ispecial moda si dedicano all' educazione de'giovanetti nelt. loro sviluppo, per renderli un gior- no cristiani e utili cittadini, onde tosto la loroscolaresca divenne numerosa e fiorente. Ma nel consiglio municipale tenu- to 1'8 giugno 1850, sulla domanda fatta dal cardinal Macchi per la restituzione del locale del seminario estivo, con que- ' sto fu rescisso il contratto di locazione; e dovendo la comune somministrare a'religiosi delle scuole cristiane altro locale a loro piacimento, fu ad essi offerto il vecchio seminario ! , che si abbandonava 16 242 VEL VEL pel detto sospetto d' aria poco sana. Non ni, furono introdotte in Velletri per l'i- piacque a'religiosi, e perciò si determina- struzione delle fanciulle dal vescovo car- rono nell'agosto d'abbandonar la città con dispiacere de'cittadini, e specialmente de'padri di famiglia pel mancamento di loro utilissima istruzione, alla quale però venne provvedutoco'pp.gesuiti.Imperoc- chè sotto la loro direzione vi suppliscono due preti secolari a spese del comune, in- segnando nel medesimoseminario vecchio a'fanciulli il leggere e lo scrivere. Pel ses- so femminile vi è un conservatorio di zi- telle, che hanno ancora la pubblica scuola colla piccola chiesa della Madonna del- la Neve, diversa dalla sunnominata, ben- sì com' essa filiale della parrocchiale di s. Michele. Questo pio luogo volgarınen- te appellato delle Monachelle fu eretto per opera di Silvestro Cinelli arciprete della cattedrale nel 1690. Ad esso fu u. nito il collegio dell'orsoline, che vivevano sotto la regola di s. Basilio, fondato iu Velletri nel 1695 da Biagio Terzi vica- rio generale. Aveano queste zitelle per istituto l'educazione delle fanciulle, e l'u. nione avvenne nel 1713. Nel conserva- torio non vi è clausura ; ha la pubblica scuola per l'istruzione delle fanciulle, per cui dall'erario comunale vengono al pio Juogo somministrati annui scudi 100. Nel 1834 venne a queste zitelle affidato il nuovo orfanotrofio delle pupille istituito da Giulio Coluzzi nobile veliterno, che lo dichiarò erede de'suoi beni. Questo è aumentato di rendite dalla Jargizione di altri caritatevoli cittadini, e da' beni del la suddetta soppressa confraternita della Misericordia o s. Gio. Decollato, che all'orfanotrofio uniGregorioXVInel1835. Pare che a questo alludano le parole che si leggono nel n.° 45 del Diario di Roma del 1837, dicendosi avere il cardinal Pacca nel maggio1836 provveduto alle fanciulle prive di padre e di madrecolla fon. dazione d'un orfanotrofio. Ma ciò non è vero, perchè l'istituto preesisteva, e sol- tanto il cardinale ne fu benefico. Le maestre pie sotto la regola di Rosa Venerir dinal Ruffo. Tengono scuola pubblica ti- no da 3 maggio1744, con convitto d'e- ducande, e sono mantenute dall'erario comunale, che loro somministra scudi 300 annui, oltre il godimentod'una pen- sione perpetua di scudi 40, imposta a lo- ro favore sulla prebenda parrocchiale di s. Maria. Dall'antica loro abitazione passarono ad abitare nel soppresso conven- to de'religiosi del terz'ordine francesca - no nel 18 : 8 ; ma venne tale abitazione comprata dal comune, con istromento stipolato a 26 agosto 1851 alla presenza e coll'autorità di mg. Bruti allora delegato apostolico, premuroso anch'egli per lo stabilimento de' religiosi gesuiti da preporsi all'istruzione cristiana, morale e scientifica della gioventù veliterna. Così tale abitazione fu destinata per formare con altre la casa e le scuole pubbliche de' gesuiti , adiacenti alla chiesa di s. A- pollonia. Però l'edifizio riuscito non ab- bastanzavasto pel collegio de'gesuiti , que- sti restarono e tuttavia dimorano nel discorso seminario vecchio col loro stabi- limento , ove temporaneamente erano stati collocati con breve pontificio. S'i- gnora l'uso che si farà di detto nuovo e- difizio. Quando perciò nel 1851 stesso le maestre pie partirono dalla loro casa di s. Apollonia, passarono ad abitare nella via Corriera nel1 . piano del palazzo Co- lonnesi , a spese del comune che ne paga la pigione, e quivi tuttora dimorano. Al- tro orfanotrofio è quello di recente istituzione. Il servo di Dio d. Vincenzo Pallotta, più volte recatosi in Velletri, ester- nò al conte Giuseppe Latini Macioti il desiderio,cheda lungo tempo nel suo cuo re nutriva, d'aprire nella medesima città un orfanotrofio, che servisse di ricovera e di educazione alle povere zitelle abban- donate veliterne ; fondandolo colle stesse regole, e come diramazione di quello da Jui istituito in Roma, e diretto dalla congregazione e pia società ivi pur da lui VEL VEL 243- fondata dell' Apostolato Cattolico sotto l'invocazione della Regina degli Aposto. li(V.). Il conte che amava moltissimo il servo di Dio, secondò il di lui caritate- vole desiderio, con generosamente esi birsi pronto ad acquistare il locale op. portuno e donarlo a tale uso. Difatti com- prò una casa con iscoperto in via Fiore nel 1850 per scudi 5000, ed altra conti gua per scudi181, oltre una 3.ª presa in enfiteusi perpetuo perl'annuo canone di scudi 30. Formato quindi il piano di ri- duzione dall'egregio architetto cav. Gae. tano Morichini, si vide compita la fabbrica bella e grandiosa in meno di 17 me- si . Per rendere l'opera più duratura si pensò a provvederla di rendite. Il vir tuoso Giacomo Salvati romano, o come altri vogliono di Rocca di Papa, coope. ratore nel bene all'ab. Pallotta, anche in favore delle Tedove (V.), avea rinvesti to alla comunità di Velletri scudi 16,000 al 5 per 100. Il figlio di detto conte, Luigi Latini Macioti, e la di lui consorte Ca- milla figlia del lodato Salvati ne ottennero da questo la donazione in vantaggio del nuovo pio istituto nello stesso 1850 a' 3 giugno. Nel medesimo giorno Michelangelo Macioti nobile veliterno donò scudi 8,600. Secondo la mente del fon- datore e de'donatori, ed a forma del re. scritto del cardinal Macchi in data di Portici de'5 novembre 1849, la direzio- ne spirituale dell' istituto fu affidata a'sa- cerdoti di detta congregazione della Re- gina degli Apostoli ; per cui si provvide un locale e si ridusse a piccolo convento pe'nedesimi a spese del conte Giuseppe Latini Macioti nel 1851. Così Velletri con questo nuovo stabilimento benefico, soggetto alla giurisdizione vescovile, acquistò ornamento e decoro, nonche som. mi vantaggi per la cristiana educazione del sesso femminile, e conserverà ricono- scenza al servo di Dio che lo promosse. Leggo nel n. 241 del Giornale di Roma del1852, che a' 18 ottobre in Velletri le sorelle della congregazione dell'ApostolatoCattolico, istituite in Roma dal servo di Dio d. Vincenzo Pallotta, accompagnate dal rettore di detta congregazio- ne e da molti ecclesiastici elaici della città, fecero il loro ingresso nel nuovo s. ri- tiro e pia casa di Carità, aperto loro dal- la pietà d'insigni benefattori, fra'quali il conte Giuseppe Latini Macioti, il quale preparò pure convenientemente il vasto locale da lui comprato e ne sollecitò con zelo l'apertura a vantaggio delle zitelle povere e abbandonate che vi si devono educare e istruire nella pietà e ne' ma- nuali lavori, non menodelle giovanette esterne che vi avrebbero scuola. Nella cappella del Ritiro le sorelle furono be- nignamente accolte dal cardinal Macchi, da mg. Vitali e da ing." delegato apo- stolico, dalla magistratura e da parecchi del clero secolare e regolare. Ivi esposto- si il Venerabile, le sorelle intuonarono il Veni creator Spiritus, e il dottissimo e celebre R. p. Giovanni Perrone gesuita vi fece un eloquente ed analogo ragio- namento. In fine datasi la benedizione col Santissimo, il cardinale in una sala contigua alla cappella, dove si consegnarono le chiavi alle suore, dopo un tenero e commovente discorso, comparti loro la pastorale benedizione. In Velletri vi sonodue maestri per la Filarmonica, la cui accademia fu istituita ne'primi anui del corrente secolo. Nel 1835 eran- si gettate le fondamenta per un nuovo teatrocomunale, il cui proseguimento re . sto sospeso, e le mura fondamentali ap- pena sono giunte al paro del suolo..II Theuli narra a p. 251, che a suo tempo in un salone del palazzo del comune si solevano recitare commedie, così da'veliterui, come da'forastieri che vi concor. revano. Esiste un teatro particolare del veliterno capitano Giuseppe Graziosi, il quale serve per le rappresentazioni tea . trali, specialmente della società accademica Filodrammatica fondata di recen- te, con approvazione della s. congrega- zione degli studi; nonmeno che per le 244 VEL VEL rappresentazioni in prosa. Ora a spese del proprietario, questo teatro è stato rinno- vato e abbellito, ed imminente n'è il compimento, e riuscirà corrispondente alla dignità della città. Sulla piazza di s. Giacomo un tempo sorgeva il teatro della Passione, così detto per sagre rap. presentazioni di quanto dirò poi parlau- do della confraternita del Gonfalone, di eccellentedisegno e ornato di marmi. L'e- difizio malconcio dall'ingiuria de' tempi , fu abbandonato e nel 1765 demolito per fabbricarvi in quel sito nuove abitazioni. Scrisse su questo monumento il cardinal Borgia, conservandone la memoria con incisione in rame. Ne'trascorsi secoli, allorchè pregiavasi ogni città d'avere una opiù accademie di poesia, nelle quali sti- mavasi cosa onorifica esservi ascritti, non mancò questo letterario esercizio in Vel- letri, che in epoche diverse ne contò mol- te. Il nome di queste accademie era stravagante e capriccioso, come altrove, per- ciò uniformandosi al costume de'secoli. Quindi furono appellatedegli Affaticati, degli Erranti, degli Estinti, de'Gonfiaotri, de' Riaccesi, de' Sollevati,degl'Inno- minati. E quasichè fossero poche queste accademie pubbliche, ve n'erano anco nel le caseprivate; così altri poeti adunavansi nella casa de Toruzzi , nelle sale de'minori conventuali, e in quelle del seminario, i soci di sua accademia portavano il nomede gl'Incogniti. Tali letterarie adunanze, in cuiquasi sempreperunicofinecoltivavasi la poesia, pochee raramente erano quelle in cui disputavasi di scienze, letteree arti, Matutte furonodi breve durata e andaro- no poco a poco a mancare. Ne lasciarono memoria i sunnominati scrittori veliterni conte Bassi, p. Theuli e mg." A- lessandro Borgia. Come in altri luoghi d'Italia, che abbandonate le poetiche so- cietà, ne istituirono altre più durevoli e rivolte a più utili discipline, Velletri abbracciò questo cambiamento poc'oltre la metà dello scorso secolo, con istituire la celebre Società letteraria Polsca Veliterna, nella quale oltre la poesia libe- ramente può trattarsi in prosa qualun- que argomento scientifico, o letterario, o di belle arti, come apprendo da' suoi importanti Atti, perchè l'unire il dolce all' utile fu sempre savio consiglio. Ne furono fondatori della patria accademia i concittadini e amici Clemente Ermi- nio Borgia e Domenico Antonio Cardinali, non altro anelando che il vantag- giare le buone lettere, il progresso delle scienze, l'illustrazione della patria istoria eprecipuamente quella civile e religio- sa de' volsci , siccome personaggi ambedue di somma riputazione e dottrina. La posero sotto l'autorevole protezione del magistrato veliterno, il quale generosa- mente assegnò a' soci decoroso locale nel proprio palazzo per tenervi le pubbliche e consuete adunanze, e annua pensione onde sopperire alle inevitabili spese. L'e- lenco de'soci fu formato del fiore de' letterati dellacittà, e ne fu scelto a capo col titolo di dittatore mg. Gio. Carlo Antotonelli vescovo di Dioclia e suffraganeo di Velletri, e per segretario veune eletto il Cardinali uno de' fondatori . A questi fu dato il carico di compilar le leggi ac- cademiche,il quale nel 1 765le scrisse con aurea latinità, ad imitazione degli arcadi into articoli, cui si aggiunsero due sanzio. ni, e pubblicate colle stampe. Una Cibele turrita sedente, col motto : Restituet O. mnia, fu l'impresa adottata edipinta nel- la sala accademica ; la quale venne an- che incisa nel sigillo del segretario, per autenticare i diplomi e gli atti, nell'eser- go del quale si posero le parole: Socie- tas Literaria Volscorum Velitris Instituta Anno MDCCLV. Fu stabilito adunarsi 6 volte l'anno,e talvolta anche stra- ordinariamente,e per ufficiali dell'accademia, il dittatore per presiedere a'letterari esercizi,cominciatiin detto anno,4censori , 2 colleghi, il segretario e il vicesegretario : i soci furono divisi in residenti, e in corrispondenti d'altri luoghi dello stato e d'I- talia, anche d'oltremonti. Benpresto fiori VEL VEL 245 la nuova accademia, vi si recitaronodotte dissertazioni , vi si udirono eleganti poe- sie. A testimonianza del loro valore e operosità dierono alla luce gli accademi- ci volsci varie raccolte di componimenti, che si ponno leggere nella prefazione del t. I degli Atti, ov'è la storia dell'accade- mia, colle notizie dell'antiche e sunnominate. Nel 1775 elevato al pontificato col nome di Pio VI il cardinal Braschi , il quale era stato lungo tempo uditore ge- nerale de' cardinali Ruffo e Cavalchini, vescovi e governatori di Velletri , la so- cietà volsca che si gloriava annoverarlo nell'albo de' soci , non solo fece scolpire in marmo un' iscrizione e collocare nel palazzo pubblico, ma esternò eziandio il proprio giubilo in un volume di poesie dato alle stampe; ed altro ne pubblicò quando quel Papa tornò a Velletri per andare alle Paludi Pontine, in di lui lo- de e qual primario suo ornamento. Mentre in tal guisa cresceva la fama degli ac- cademici volsci , venne innalzato alla por pora altro loro illustre collega,il veliterno Stefano Borgia, benemerito della società letteraria per aver contribuito col suo ze- lo all'incremento della medesima. Questa grata, l'acclamò suo 1. protettore, e ne' patrii festeggiamenti-n'esternò la gioia con prose e versi. Con tal mecenate, pro- grediente fu la gloria de' suoi fasti: per generosità de' soci fu arricchita lascelta e pubblica biblioteca, e i primi letterati d'Italia non solo, ma ancor d'oltremon- te si pregiarono di far parte dell'istitu- to veliterno e di dedicargli i loro scritti. Morto il cardinal Borgia, gli accademici dopo avergli reso solennemente i fune- bri onori, a'17 aprile 1805 proclamarono per protettore il principe reale di Da- nimarca, poi re Federico VI, e gli trasmi- sero il diploma a mezzo del prof. Mun. ter e del barone di Schubart ministro da- nese, ambedue membri dell'accademia. Narra il Cancellieri, accademico volsco, nella Lettera al ch. Salvatore Betti, col diploma diprotettore perpetuo del l'accademia Volsca di Velletri a S.M. il re Federico II di Danimarca re- gnante, Roma 1821 ; che il cardinal Borgia nella repubblica del 1799 rifugia- tosi a Padova, fu dal re soccorso con cambiale di 500 scudi e con pensione an- nua di 4,000 lire. Fu per queste bene- ficenzeche l'accademia veliterna, per da- reunsolenne e pubblicocontrassegnodel la sua indelebile riconoscenza al principe danese, lo elesse a suo augustissimo pro- tettore, con diploma elegantemente mi- niato e nitidamente stampato in candi- dissima pergamena, col sigilloaccademi- co rinchiuso in iscatola d'argento dora- to, ed appeso con due ricchissimi fiocchi d'oro; diploma di cui riporta il testo, comunicatogli dall' eruditissimo Luigi Cardinali, poscia riprodotto nella ricor- data prefazione. Non mancarono soci corrispondenti d' intitolarsi accademici volsci nelle loro opere stampate, altri d'inviare all'accademia alcune prose per leggersi nelle pubbliche adunanze, altri dedicando alla medesima alcuna di loro opere. Frattanto tutta Italia invasa da truppe straniere avea quasi perduta la tranquillità, senza la quale è bendiffici- le poter attendere a' buoni studi e alle lettere amene. Pocodipoi là penisola in- tera ebbe a soffrire que' politici sconvol- gimenti che tennero oltre un lustro in- certi sul trono i sovrani tutti d'Europa; e l'accademia volsca sen giacque, se non dimentica di se stessa, almeno nel silen- zio. Equesto durò non solo il tempodel- l'occupazione straniera, ma per ben 4 lustri. In seguito si credette bene di ri- chiamarla a vita,allorchè Velletri festeg- giò l'arrivo del cardinal Pacca suo novello vescovo e preside ; e fu nella straor- dinaria adunanza de'g settembre 1830, che venneacclamato l'insigne e dotto por- porato pastore a suo protettore. Da quel- l'istante la società volsca ricominciò le sue tornate, e con molta utilità delle scienze e delle lettere di nuovo prosperò, sì per l'impegnode' sociresidenti, sì ancora 246 VEL VEL per que' corrispondenti che andò aggre. gando. Prova non dubbia ne furono gli atti che pubblicò: Atti della Società let- teraria Volsca Veliterna, volume 1.°, Roma 1834, dedicato al cardinal Pacca. Il 2.º volume vide la luce in Velletri nella tipografia di Domenico Ercole 1837, intitolato alla magistratura comunale di Velletri . In essi si contengono varie dot. te dissertazioni ed elogi accademici, letti nell'ordinarie sedute. D'ambo i volumi, colle notizie dell'accademia volsca, ne diè erudita contezza il ch. mg. Fabi Montani nell' Album diRoma,t.4,p. 202. Judi nel 1839 si pubblicò in Velletridal- la tipografia di Antonio Mugnoz il 3.º volume degli Atti, anche questo dedica- to al cardinal Pacca, coutenente variedis- sertazioni ed elogi accademici , ossiano scritture scientifiche, letterarie e di arti belle, alle seconde appartenendo argomenti riguardanti Velletri, che asuo luo go ricorderò. Tutti questi Atti furono stampati a spese del nobile comune ve- literno. Mentre l'accademia fioriva e so- steneva l'acquistata rinomanza, facendo onore a se stessa e alla patria, surserogli acerbi e calamitosi recenti sconvolgimen- ti, che tuttora deploriamo, e com'altre restò sospesa e sciolta nelle sue bimestrali adunanze. Per amore a' buoni studi, per gloria dell' inclita Velletri capoluo- go dell'illustre legazione di Marittima e Campagna, sede episcopale e legatiziadel cardinal decano del sagro collegio , mi unisco a que' più colti cittadini nel fare ardenti voti pel risorgimento della bene. merita Società Volsca Veliterna, e ri. vivasotto i favorevoli e felici auspiciidel l'enminente pastore e preside, e questo sia novello amplissimo mecenate di essa, ora che la città vanta maggiori presidii per le lettere e per le scienze pel celebrato liceo. Rilevo dal n. 97 del Diario di Ro- madel 1844, che a' 7 settembre 1843 con pubblico atto e approvazione ponti ficia era stata eretta in Velletri la So- cietà industriale Enologica, la quale celebrò a' 13 ottobre 1844 i primi comizi generali nell'aula consigliare del palazzo municipale, nella quale circostanza festeggiò l'inauguramento della novella istituzione. Nell' apertura dell'adunanza Enrico Provenzani, uno de' fondatori, lesse un discorso in cui: » Dopo aver contato i molteplici ordinamenti che nac- quero dall'associazione industriale, e che già produssero vantaggiosissimi effetti, discese a dimostrare che nell'attuale bassissimo prezzo de' vini, causato dalla so- verchia abbondanza del genere, rendevasi imponente il bisogno di dar opera a riac- quistare quel primato, che un tempo si ebbe in siffatta produzione, ed essere per conseguenza opportuno, che in questa città, come luogo fra' più viniferi della penisola, e tanto privilegiato pel prospe- ramento della vite, si erigesse uno stabi . limentoindustriale, che avvisasse a ritornare in prosperità lo scadente commer- cio, operandoque' tentativi e quelle pra - tiche, che si riconoscessero le più analo- ghe e conducenti al fine ". Dopo ciò il consiglio generale procedè per ischede, a formadello statuto, alla nomina del pre- sidente, del vice-presidente e degli altri membri del consiglio di direzione. L'adunanza era composta di 65 votanti, e vi presero parte molti nobili romani e di altre città limitrofe, i quali appositamente eransi trasferiti in Velletri. De' di. scorsi stabilimenti di pubblica istruzione e educazione, alcuni congiungono la beneficenza; questa però esclusivamente si esercita da que' di cui vado a parlare, E principiando da' monti frumentari e di pietà, leggo nella dedica del t. a de' suddetti Atti, che tra le molte e savie istituzioni procurate da' pubblici magistrati, merita il primo luogo l'istituzione dell'annona, come quella che abbracciava ogni ordine di persone, di ricchi e di poveri. Si denominò dagli antichi Monte dell'Abbondanza con proprietà di vo. cabolo, perchè veracemente la procurava, auche quando la carestia affliggeva VEL VEL 247 il paese circostante. Ebbe poi special cu- ra degli agricoltori, a' quali largamente sovveniva nelle necessità. Disgraziata- mente a' giorni nostri più non è rimasto d'uno stabilimentocosì utile, che il bello e vasto locale, divenuto per altro inope- rosoper la mancanza de' mezzi, e per le deplorabili vicende de' tempi . Dicein pro- posito il Bauco, esisteva l'abbondanza pri- madella legge del libero commercio ema- nata da Pio VII, quandofatalmente abo- lil'Università Artistiche (nel quale ar- ticolo tornai a compiangere i risultati di detta legge), stabilimento utilissimo (co- me altrove), mantenendo sempre la cit- tà in grascia, e sicura in caso di carestia ; e gli esistenti granai frumentari pouno contenere circa 8000 rubbia di grano, e la sontuosa dispensa per la conserva del l' olio è capace di ricevere 500 carichi. Inoltre si legge nella citata prefazione, esistere un altro Montedetto di Pietà a sollievo delleclasse indigente istituito an cora dagli antichi magistrati. L' oggetto principale fu quello di porre un argineal traffico usuraio, che si esercitava dagli ebrei a dannode' cittadini bisognosi. Di- poi colcambiamentode' tempi edelle cir costanze essendo venuto meno, e crescendo vieppiù il morbo corrosivo dell' usu- re, dal pubblico già si correva al riparo, quando la pietà della gentildonna Cate- rina Giunasi (nipote del cardinal vesco- vodital cognome) si tolse di gettarne le fondamenta; cresciuto poi dalla diligente operosità degli amministratori, più dalla generosa largizione de' Gregni nobili ve- literni, e favorito in fine da altri magi- strati comunali, che tutto del pubblico erario supplirono il vuoto che l'invasione d'armi straniere vi avea fatto nel cader del settecento. Trovo in Bauco, che la singolar pietà della Ginnasi ristabili o quasi eresse il sagro Monte di Pietà col fondodi 3000 scudi, acciò i poveri potesse- ro avere ne' bisogni imprestanze con pa- gar tenue usura pel mantenimento degli impiegati nelmedesimo; pio stabilimento approvato da Urbano VIII e dal vescovo nel1639 e nel 1640. Eche il cav. Nicola Gregna nel 1797 fece erededel suo ricco patrimonio il Monte di Pietà, per auinen- to del deposito in beneficio de' bisogno- si, onde prese il nome di Monte Ginnasio Gregna. Vi sono per la languente umanità duecomodi e ben regolati ospe. dali, unopegli uomini, l'altro per le don- ne. Del 1."primieramente riferisce Bauco. Nella parrocchia di s. Maria trovasi la chiesa di s. Gio. Battista appartenente al- la confraternita del Gonfalone, la quale fu la1. fondata in Velletri nel 1 348 nella chiesa di s. Maria in Pontone colla deno- minazione de' Disciplinati di s. Maria, chiamata poi del Goufalone per esser sta- ta aggregata nel 1585 all'arciconfraternita omonima di Roma, e venne rinno- vata nel 1608. Questa fratellanza avea la cura dell'ospedale che fu diroccato nel 1556 per fortificar la città nella guerra degli spagnuoli contro Paolo IV, e poi riedificato nel 1557. Il sodalizio ebbe nel 1400 la chiesa di s. Giovanni in Plagis, che poi ripararono. Entrati nella città i religiosi di s.Giovanni di Dio obenfratelli, la confraternita donò loro l' ospedale col sitoche lo circonda, e più annui scudi 100. Della chiesa però concesse ad essi il solo uso nel 1 588, per cui i confrati del Gonfa- lone tornarono in questa chiesa nel 1815, per essersi del tutto rovinata quella di s. Giovanni in Plagis. Da essa vi trasporta- rono la miracolosa immagine della Madonna della Cona, segato il muro su cui era dipinta; e vi fu traslato ancora il cor- po coll'ampolla di sangue di s. Romolo martire, coll'iscrizione, trovato nel cimi- terio di s. Ciriaca. Nella detta chiesa è stimato il quadro esprimente la Conver- sione di s. Paolo. Nel n. 129 del Gior- nale di Roma del 1851, è descritta la solenne funzione del possesso preso nel- la chiesa di protettore della confraterni- ta dal cardinal Giuseppe Bofondi, a mez- zodi mg. Franci vescovodi Canata e suf- fraganeo di Velletri. I coufrati da anti 248 VEL VEL chissima epoca celebrano una solenne processione, detta de'Misteri e Morte del Rendentore Crocefisso, nell'anno seguente alla celebrazione del giubileo dell'anno santo, eclatante e commovente pelsuo religioso complesso. Di un'apposita ma- gnifica fabbrica chiamata Teatro della Passione, e di sopra indicato, costruita sugli avanzi dell'anfiteatro de' pubblici spettacoli ne' tempi idolatri, la confra- ternita si serviva per esporre i detti sa- grosanti Misteri , prima e dopo la pro- cessione, ed eziandio per farvi dell'allu- sive rappresentazioni. Sebbene nel 1850 non fu celebrato l'anno santo, i confrati dopo 5lustri del precedente vollero rinnovare la processione e le altre funzioni allora fatte, la cui descrizione ricavo dal Osservatore Romano del 1852 a p. 368, ed eseguite nella settimana santa di tale anno. Pertanto nella chiesa di s. Gio. Battista sontuosamente ornata, i confrati nel venerdì santo esposero in 7 mac- chine i gruppi di figura in cera rappre, sentanti i seguenti misteri : 1.º Dell' Orazione di Gesù Cristo nell'Orto. 2.°Della Flagellazione alla Colonna. 3.º Della Coronazione di Spine. 4.º Della Cadu- ta sotto la Croce. 5.° Della Crocefissio- ne. 6.º La Bara col Cristo morto, ornata di magnifica coltre e baldacchino. 7. ° La Vergine Addolorata. La numero- sissima processione uscì all'ore 7 pome ridiane dalla chiesa. Aprivano la marcia trombetti a cavallo vestiti all'antica militare foggia, seguiti da un drappello di militi . Molte coppie e gruppi di fratelli, e le famiglie religiose de' minori osservanti e cappuccini, tutti con cerei accesi, si alternavano fra una macchina e l'altra; fratelli cantori, cori e concerti musicali innanzi ciascuna delle medesime cantan. do inni e strofe proprie di quel giorno di mestizia rendevano più commovente l'apparato. Buona parte del battaglione cacciatori pontificii di stazione in Velle- tri faceva ala, e seguiva la processione. Sagro oratore nella piazza della chiesa stessa additava al popolo divoto quanto il divin Redentore soffrisse per la salute dell'uman genere; e quale e quanto sia il debito di questo di osservar la sua s . legge, di amarlo e servirlo insieme all'amorosissimaVergine compagna e parteci- pe de' suoi dolori. Progrediva il divoto corteggio sino alla piazza del Comune, ove fatta sosta, un sacerdote della con- gregazione e pia società della Regina de- gli Apostoli, asceso il pergamo, l'affollato popolocommoveva a dolore, lo conduce- va a detestare il peccato, e lo rinfiamma. va di divozione verso la Passione del Signor Nostro Gesù Cristo, e verso la Vergine Addolorata. Dalla ricordata piazza moveva di nuovo la processione, e giun - geva all' altra che si estende incontro la fabbrica denominata l'antico Teatro della Passione, ed ivi in bell'ordine schiera . ti i fratelli, i religiosi, e le macchine ri- schiarate dall'immenso numero di cerei, nuovo discorsosi dirigeva da un p. pas- sionista appositamente chiamato, al fol- to popolo, che con edificazione l'ascolta. va ad onta della pioggia che cadeva. Altro discorso era stabilito nella piazza del Trivio ; ma questo interrotto dall'acqua chein maggior copia sopravvenne, fu for za troncarlo per affrettare il ritorno alla chiesa, che senza alcun sinistro ebbe effetto circa le ore 10 pomeridiane. Sino atutta la domenica in Albis le macchine co'gruppi restarono esposte alla pub. blica venerazione nella medesima chiesa di s. Gio. Battista, e così le popolazioni delle vicine città e paesi, per le quali era corsa la voce delle ss. Rappresentazioni, ebbero agio di concorrere in numero quasi incredibile a visitarle, eper lucrare la plenaria indulgenza concessa da Papa Pio IX tanto nel dì della processione quan- to nella domenica in Albis, giorno in cui con nuova religiosa pompa e con ben in- dicato discorso, recitato nella spaziosa piazza della chiesa al popolo affollato da sagro ministro del santuario, colla bene - dizionedel ss. Sagramento si diè fine alla VEL VEL 249 pia funzione. La confraternita colle sue scarse rendite non avrebbe potuto soste- nere l'incarico di tanta solenne rappresentanza, se i fedeli e sopra tutto il municipio, il vescovocardinal Macchi, il pro- tettore del sodalizio cardinal Bofondi, il principe Ginnetti Lancellotti, ed altre co- spicue persone sì ecclesiastiche che lai- che non avessero concorso con generose largizioni . L'ospedale dunque de'benfra- telli fu promosso nella nuova fabbrica at- tuale nel 1605, concorrendovi alla spesa, oltre il comunale erario, la pietà ancora de'privati. Dal comune erano stati già assegnati pel mantenimento dell'ospedale degl'infermi scudi 200 fino dal 1590, in. di accresciuti a 240. Pel mantenimento de' religiosi e dell' ospedale, vi sono anche le rendite fisse, e il prodotto delle sti- pulazioni de' testamenti che si stipulano nella città e uel territorio, d' unoscudo per ciascuno, per disposizione del 1817 di Pio VII. I benfratelli impiegano la loro opera nella continua assistenza degli infermi, in numero maggiore o minore a proporzione del bisogno dell'ospedale. E qui vafatta inenzione d'una di quelle isti tuzioni di carità, che in Velletri non mancano, anzi van crescendo, Nel marzo1844 si aprì un ospizio notturno per dare un ricovero a que' poveri cittadini veliterni privi di tetto, presso il convento di s. Gio, di Dio con 18 letti . Ne fu istitutore il p. Giuseppe M.ª Fedeli priore de' benfratelli, lodato per la somma carità da lui usata verso gl'infermi, e per l'avanzamen- to delle rendite, non meno per la puli- tezza e miglioramentodelle corsíe delmedesimo. L'ospizio notturnoapresi alle ore 24. I poveri ivi riuniti vengono istruiti nella dottrina cristiana, e dopo la recita del s. Rosario vanno a riposo. Nella mattina di buon'ora apresi l'ospizio onde pos sano andare a' loro lavori. L'erario co . munale somministra scudi 10 mensili per supplire alle spese di questo caritatevole istituto. L'ospedale per le donne, deno minato s. Maria della Salute, fu eretto a' 5 aprile1818 per l'inferme, prossimo a quello degli uomini, e com'esso sotto la parrocchia di s. Maria in Trivio, al cui parroco appartiene la giurisdizione spi- rituale. E' governato e assistito da donne inferniere, con molta carità e pulizia. Ha una particolare amministrazione, ed è regolato da deputati eletti dal vescovo. Le rendite sono sufficienti, e provengo- no parte da donazioni caritatevoli , e parte dalle rendite del soppresso convento de'frati del terz'ordine, e del monastero de' monaci basiliani, per concessione di Pio VII del 1815. Nel180g fu eretta in ciascuna parrocchia la compagnia delle sorelle della Carità istituita da s. Vincenzo de Paoli, in sollievo de' poveri infermi, con approvazione del vescovo cardinal Antonelli. L'arciprete della cattedraled. Domenico Mazzoni dichiarò la com. pagnia esistente nella medesima, erede de'suoi beni nel 1831 , col peso di somministrare due doti annuedi scudi 30 alle più povere e onestezitelle della stessa parrocchia, che abbiano frequentato la dottrina cristiana , e ne abbiano dato pubblico saggio alla presenza de'superiori ecclesiastici . Le dotate devono intervenire alla solenne processione nella solennità dellaMadonna delle Grazie. Altro pio cit. tadino Salvatore Scandelloni con testa- mento del 1695,aperto nel 1697, lasciò al capitolo della cattedrale scudi 7500, col peso di distribuire ogni anno 8 sussidii dotali alle zitelle povere veliterne; ordi . nando che si preferissero le sue consan- guinee ed affini sino al grado più remoto. Il vescovo cardinal Barberini giuniore, stimando che tale disposizione avrebbe prodotta non poca confusione, la restrinse sino al grado 10.º inclusivamente. Nel 1837 penetrata in Roma e altri luoghi la Pestilenza (V.)del cholera, l'attento magistrato veliterno prese le più energiche e provvide precauzioni per te- ner lontano il terribile morbo, e salvare la trepidante popolazione, che descrive il can. Bauco, insieme all' invocato aiuto 250 VEL VEL divino, interponendo l'autorevole me. diazione della sua benefiça protettriceMa- ria ss. delle Grazie esposta per più mesi alla comune divozione. Tenendo perfer- mo i religiosi veliterni d'essere stati pre- servati dal flagello prodigiosamente dal la loro celeste avvocata, si obbligarono con voto a strettodigiuno con vigilia nel giorno antecedente alla festa dell'Immacolata Concezione. Fra le cure operate in tal frangente, inerendo in parte all' in. giunzione della s. Consulta e commissione sanitaria di Roma, nello stesso 1837 fu costruito il pubblico cimitero; masic- come non pare che si fossero eseguite le norme analoghe prescritte da detta autorità, non riuscì di pubblica soddisfazione, anche per la località in cui esiste ; e nel1855 ancora non avea cambiata con. dizione. Imperocchè del ch. d. Achille Monti (che lodai altrove qual savio, pia cevole, veritiero e franco scrittore,ed in- sieme elegante poeta, le cui encomiate produzioni si ammirano nell'Album, nel t. 23 del quale a p. 167 il suo degno a- mico Basilio Magni veliterno celebrò le sue Odi pubblicate nel 1856 in Firenze, per avere accoppiato a' pregi poetici del Parini, quello morale e tanto necessario a'nostri tempi, di riprendere a viso aper- to i vizi della maggior parte degli uomi- ni. Con tali sensi eziandio si parla di sue produzioni nell'Eptacordo di Roma, nel 'Enciclopedia contemporanea di Fano, e nella Cronaca di Milano; poichè onora il gran nome del celeberrimo poeta Vinceuzo Monti qual suo pronipote e ascen dente), si legge nell' Album di Roma del novembre 1855, t. 22, p. 301, questalet tera diretta al direttore del medesimo cav. De Angelis. " Sono stato a questi giorni per diporto in Velletri , e visitan- done lo squallido cimitero con l'ottimo mio amico Basilio Magni (egregio e lo- dato poeta veliterno, di cui nel periodi- co in discorso ci diede bellissimi compo- nimenti), mi lesse un suo carme che a me parve assai bello, edel quale io intendo, secosì le piace,far dono al suo pregevole Album. Le sia gradita l'offerta perchè (se l'amicizia uon in' inganna) siffatti versi potranno fare leggiadra mostra di se fra gli altri ond' Ella spesso adorna questo giornale ". L'elegantissimo carme è an- che grave, morale e commovente ; caldo di patria carità e del suo decoro, non che di affetto e riverenza per gli estinti parenti e concittadini, pe' quali con esso il lodato veliterno volle infiammare i viventi a rendere il cimitero augusto eonorato, degno della città. Intitolò il com - ponimento: Il cimitero. Al can. d. Lui- giAngeloni,Basilio Magni da Velletri. Carme. La popolazione di Velletri , se consi- derata viene in quello che poteva essere stata nel suo maggiore auge in tempo de' volsci , o nell'epoca della sua repubblica, o anche posteriormente , doveva essere assai considerabile; poichè se per poco si osservi il vuoto che ora trovasi tra le mura dirute della città e il presente fabbri- cato , dovrà naturalmente supporsi che in que' tempi dovea essere tutto ripieno di casee abitato. Confermano la congettu- ra gli armamenti che la città faceva, mettendo da se sola in piedi truppe propor- zionate a' nemici che combatteva , onde dentro le sue mura il popolo doveva esservi assai numeroso. Le continue e lunghe guerre adunque, e le frequenti pesti . lenze a cui soggiacque , debbono essere stata la cagione della notabile diminuzionede'suoi abitanti. Orapoi, apropor- zione del fabbricato, la popolazione è uu- merosa, nella quantità riferita di sopra, anzi osservo rimarcabile aumento annuo. Nellestagioni d'autunnoe d'inverno si ac- cresce d'un 3.° il numero degli abitanti , pe'molti forastieri che vi si recano alla coltivazione delle vigne e de' campi. Ra- gionando il can. Baucodell'indole, costu- mi, carattere de' veliterni , li dice gene- ralmente d'elevata statura , coloriti e di robusta complessione; laboriosi, facili ad essere governati, coraggiosi, impetuosi e VEL VEL 251 perciò pronti alle mani. L'amor patrio è sì grande, che difficilmente si adattano a vivere altrove; e se alcune n'esce, non può fare a meno di presto ripatriare. Ciò sia detto in generale. Sono i veliterni allegri, amanti de'divertimenti, ed accorrono in folla a'pubblici spettacoli di corse, fe stini, teatri ec. Il vestire degli uomini è comune a quello di tutta l'Italia. Le don ne sono d'una statura proporzionata, d'a- spetto avvenente, di colore bello e xiva- ce : usano un vestiario proprio detto alla veliterna, non comune agli altri paesi. Le possidenti vestono con gran lusso, e con, molta ricchezza e leggiadria. Le dame e molte altre donne d' ogni condizione si adattano al vestiario romano. Tutta la popolazioneviene formata dalleclassi de' nobili, de'civili, degli artisti e della plebe. La massa del popolo è impiegata nella coltivazione de'campi e delle vigue. Di- mostra l'esperienza de'secoli , che i veli- terni sempre mostrarono fermezza e co- stanza,perseveranzane' propri sentimenti; ciò forma il loro carattere. Dal 730 cir- ca, in cui si sottomisero al principato tem- porale del Papa, sempre gli mantennero intera ubbidienza e costante fedeltà, non ostante le critiche circostanze e le perse- cuzioni. Laonde i Papi li ricolmarono di singolari privilegi, d' esenzioni e di doni, precipuamente s. Gregorio VII, Urbano II, Pasquale II, Gregorio IX, Martino IV, Bonifacio VIII, Giovanni XXII, Urbano V, Urbano VI, Bonifacio IX, Martino V, Eugenio IV, Nicolò V, Calisto III, Pao. lo 11, Sisto IV, Alessandro VI, Leone X, Paolo III, Pio IV, Urbano VIII e Gre- gorio XVI, Così il sagro collegio de'car- dinali in diverse epoche. Nel 1849 non mancarono traviati, ma furono pochissi- mi in proporzione della massa de' citta dini fedeli alla s. Sede. Non pochi veliterni coll'armi e collo studio si resero ilJustri nelle dignità civili ed ecclesiastiche (alcuno auche nelle arti), le cui gesta ce- Jebrarono i patrii storici, come Theuli, nel hb, 2, cap. 7, Famiglie nobili aggregate;cap. 8,Famiglie congiunte,cap.g,Fa miglie estinte; cap. 10, Persone illustri in dignità; cap. 11, Persone illustri in dot- trina; cap. 12, Persone illustri in armi; Alessandro Borgia , nella Storia della Chiesa e città di Velletri; Ricchi, nel cap. 25, Soggetti illustri di Velletri ; Bauco nella Storia di cui di preferenza tanto mi vado giovando, e perciò con lui secondo le epoche in cui fiorirono ne farò onore- vole menzione, egli stesso essendo un il- lustre e benemerentissimo veliterno. Di questo degnissimo canonico della catte- drale basilica e già maestro nel patrio se- minario, mi scrisse nel 1854 l'illustre co rano e accademico volsco Vincenzo Tom. maso Marchetti. Nacque nel 1777 e mo- rì compianto nel principio di gennaio 1854, quasi ottuagenario, sostenendo l'o- norevole incarico di 1. anziano esercente , e come tale, in veste talare ecclesiastica, col inagistrato umiliò i patrii omaggi in Porto d' Anzio al regnante Papa Pio IX nel maggio1853, il quale benignamente si degnò graziosamente chiamarlo il no- vello Tito Livio di Velletri, eccitandolo a qualche altra storica produzione. Ed egli quasi presago della prossima sua dipartita , rispose con rispetto : Che la sua senile età non più ciò gli permetteva. Può puredirlo francamente, perchè ciò in Vel- letri e in tutta la diocesi si rese pubbli- camente notorio. Era egli sacerdote di somma pietà, e di amor patrio caldissi- mo,ascritto all'accadenie Polsca di Vel- letri, degl' Intrepidi di Cori, dell' Imma- colata Concezionedi Roma, e adaltre; de- gno d' ogui elogio per le sue opere , nelle quali risplende il di lui carattere ingenuo e leale, e finalmente era stretto in paren- tela col ven. p. Filippo Visi minore os. servante, la cui madre era della famiglia Bauco veliterna ". Avverte l'encomiato storico, che i due mentovati Theuli e Bor gia pretesero annoverare tra'loro concit- tadini illustri tutti i Papi della famiglia Contide'Conti di Segni, d'Anagni e del Tusculo, credendoli discendenti della fa 252 VEL VEL miglia Ottavia veliterna, ma presero ab. baglio. Le scienze furono coltivate etuttora si coltivano da'veliterni; in ogni secolo qualche soggetto col suo sapere diè Justro alla patria e rinomanza a se stesso. Ora non mancano buoni ingegni epersonesapienti, vescovi e altri prelati. Velletri fin dalla sua più remota antichità sem. pre rimeritò i cittadini magnanimi , sapienti e valorosi col distintivo d'un par. ticolare ceto, che dal comunedel popo- Jo li separasse, aggregandoli a quello no- bile; il che domandarono molte famiglie illustri forastiere, per essere ascritte alla nobiltà veliterna , come apparisce dall'albo delle nobili famiglie. Ma avverte anche il Bauco, che non può chiamarsi ve. ra nobiltà generosa , se non è accompagnata dalla scienza e da azioni virtuose; la ricchezza soltanto la rende più lumi- nosa ! Per lungo tempo si mantenne in Velletri l'antico costume, che ne'pubbli. ci contratti, oltre il giuramento, che suo- le farsi del ss. Nome di Dio , aggiungevasi quello per la s. Sede e per la salute del Papa. Gli antichi romani celebravanol'annuo convito politico o civile, in cui riuniti tutti i cittadini di ciascuna contra da aveano per iscopo la conservazione della pace tra loro. Altrettanto si praticava tra' parenti, per togliere in quella lieta occasione ogni rancore qualora fosse insorto. Sì lodevole usanza fu imitata da'veliterni . Sceglievasi un soggetto della contrada o del rione per fare la spesa, alla quale tutti contribuivano, e per ap. parecchiare ilbanchetto con ordine e pulizia : questi veniva appellato capo-con- trada. Così tenevansi uniti gli animi de' cittadini , e si spegnevano i concepiti odii, produttivi di fatali conseguenze. Cono- scendosi troppo necessario il mantenimento della pubblica concordia , determinò il pubblico consiglio d'eleggere an- nualmente due nobili e due dame per ciascuna parrocchia per l'ufficio di pa- cieri, e tali si pubblicavano nella 4.ª domenica di quaresima; quindi ognunocol a proprio sesso, sedavano le dissensioninel- le famiglie, lodevole e proficuo costume trasandato non sono molti anni. Cominciato nel 1549, il vescovo e governatore cardinal De Cupis, per meglio stabilirlo, nel 1550 istituì il magistrato de' Conservatori della pace, i cui capitoli nel 1560 confermò il cardinal Serbelloni. Esistevano in Velletri leuniversità artistiche, formanti diverse classi, ciascuna avendo i propri ufficiali di camerlengo e duecon- soli, a'quali spettava decidere le vertenze nate fra gli artisti . Lat ." era la nobile università degli Agricoltori , quindi degli Ortolani, de' Falegnami, de'Muratori, de' Ferrai , de'Calzolai, de'Sarti e de' Mulattieri. Tutte queste università aveano statuti particolari e leggi per regolare i loro mestieri ; aveano chiesa o cappella per le loro particolari divozioni, ove veneravano un loro santo protettore, di cui celebravano la festiva annua ricorrenza. Tut- te queste università nella pubblica solen- ne processione dell'Assunta sotto le particolari loro insegne incedevano co' loro consoli e camerlengo. Pio VII aboli tuttel' Università artistiche, e terminò que- sta costumanza si antica e vantaggiosa, come la qualifica pure Bauco. Il Theuli ne parla più circostanziato, nomina i santi patroni di ciascuna università equando ne celebravano la festa, dice delle chiese o cappelle da loro possedute, nota qualche pretensione di precedenza, e aggiunge al- le riferite quelle degli Speziali per 3.ª con s. Lorenzo martire per protettore, de'Piz- zicaroli, de'Macellari, de'Fornari, de'Molinari, degli Osti . Quanto alla processione, che dice del ss. Salvatore, questa avea luogo anche nella vigilia dell'Assunta (comein Roma), eciascuna universitàdo- vea portare due torcie accese nell'andare e nel ritorno, le quali restavano per servizio della chiesa. Fino al 1831 fu in vigo. re un uso assai utile alla tranquillità della città e delle famiglie. Tranne le feste di Natale, di s. Antonio abbate e di s. Lucia, adue ore di notte per lo spazio d'un VEL VEL 253 quarto d'ora con tocchi suonava la campana del pubblico palazzo, segnodenomi- nato sgherrana. Ciò avvisava le bettole, i caffè e tutti i ridotti di doversi chiudere; e compito il suono ogni cittadino do- vea girare per la città con lume. Sortivano poi , primi i birri e indi i carabinieri pel mantenimento della quiete, e talvol. ta arrestavano i malandrini, che assai te. mevano quel suono. Tali disposizioni og- gidì non hanno più luogo, essendo la cit. tà bene illuminata con appositi lampioni. Nel governo del cardinal Della Somaglia fu tolto alla nobiltà, che uno di essa fos- sescelto da'priori a capitano onde presie- dere e regolare la fiera di s. Clemente (da' 23 novembre a tutto li 2 dicembre, ed è riportata nelle Notizie di Roma tra le principali dello stato): avea l'autorità as- soluta di decidere e'giudicare tuttelecon- troversie, assistito da un corpo di truppa urbana, che di giorno e di notte curavala tranquillità della città. Il Theuli parlapu. re della fiera de 15 agosto e seguenti 8 giorni, la quale fu soppressa; come ante- riormente lo era stata quella di 10 giorni per la festa di s. Eleuterio. Ora oltre la detta fiera frauca di s. Clemente, altra simile parimente di 10 giorni comincia il 1.º lunedì di maggio. Ogni sabato vi è il mercato franco , a cui concorrono moltis. simi forastieri . L'industria della massa del popolo veliterno è la coltivazione delle vi- gne e de' campi, il che forma tutta la ric- chezza della città. La vicinanza di Roma fa sì, che non vi sia molta industria di manifatture, e poco vi si esercitino le arti li- berali. Non mancano però degli architetti, de'pittori (Lello da Velletri fu antichissi mo e rinomato pittore), e de' filarmonici. Numerosi ponno contarsi gli artistiin ogni genere di mestiere, fabbriche di cappelli, due stamperie, legatori di libri, orologia. ri , argentieri , ricca ed eccellente fabbrica di cera, fabbriche di sapone, 5 speziarie, droghieri, mercanti di panni e altre merci, 9molini daolio. Mirabile opificio a vaporemuove 3grosse pietre per macinare il grano, ed una caldaia molisce le olive. Nel medesimo opificio ora è stato aggiun to il molino a vapore per macinare l'oli- ve ed estrarvi l'olio; ed altra macchina per la fabbrica delle paste commestibili. I ne- gozianti di vino, di grano, d'olio, di leguame, di bestiame, di ferro vi sono in abbondanza. Dall'esteso e fertile territorio, nelle buone stagioni , non ricavasi meno di 14,000 botti di vino all'anno di barili 16 ciascuna; il che forma il ramo precipuo e ricco del commercio veliterno. L'esportazione si fa specialmente con Roma; ogui giorno se ne estrae quantità considerabi- le , che sorpassa in tutto l'anno 8,000 botti d'ogni specie. Il vino è d'ottima qualità, salubre e difficile a guastarsi. Pli- nio registrò fra'vini migliori vicini a Ro- ma, dopo il Falerno, que'di Velletri e di Piperno, come rileva Theuli; e Sezze fu rinomata pe'suoi vini, come si legge nel- la Dissert. del vino, del d. Ercole Me- taxà presso il t. 3 degli Atti della Socie- tà Volsca. Dell'acquavite e dell'aceto se ne fa buon commercio. Da alcuni anni si adottò il taglio annuale della selva comu- nale con regolare sistema, e si è aperto un ramo di nuovo commercio di legni da costruzione e di carbone; oltre quello che esisteva delle selve ceduede'cittadini. Seb- bene raccolgasi da questo suolo quantità di grano, di biade, d'olio e di gran- turco, pure non è sufficiente; onde buo- na parte di tali generi , come ancora di carni porcine, polli, uova (però a'tempi di Virgilio erano abbondanti e perfette, per le quali disse Oviferasque Velitras), ca- stagne, legumi, provengono in Velletri dalle città e terre di Marittima e Cam- pagna. Numerosi sonogli spacci delle vet- tovaglie d'ogni sorte , e la vicinanza del mare e di vari laghi fornisce sempre abbondante e fresco pesce. Conclude il Bauco: Sembrami non esagerare asserendo, che nelle due provincie di Marittima e Campagna non vi è città o terra più po- polata , più comoda , più abbondante e piùcommerciante di Velletri. In fatti chi 254 VEL VEL mira nella barriera i numerosi giornalieri carri , che nella città provengono dalla via di Roma per estrarre vino, acqua. vite e aceto; o vede dall'altra via di La- riano tutte le derrateche vi entrano dalla parte dellaprovincia di Campagna, resta ammirato, o confessar deve, che unporto di mare non presenterebbe somigliante giornaliero movimento e commercio. Or- mai Velletri è vicina ad essere arricchita dellaStradaferrata Pio- Latina da Roma al confine Napoletano, con sua stazione, perciòquasi quasi non le rimane altro da desiderare, ilTelegrafo (meraviglioso tro- vato che, pel fremito arcanod'un filo me- tallico, trasmette le novelle colla celerità della folgore, quasi furandone a lei me- desima una scintilla; come di recente lo qualificò da par sua la Civiltà Cattoli- ca) avendolo nella vicina Terracina. Quando si trattò della linea di ferrovia da Roma a Ceprano, coll'unica stazione di Velletri , dove doveano direttamente confluire le due diramazioni del Porto Neroniano presso Anzio, e di Tivoli sotto Palestrina, il consiglio comunale de 24di- cembre1848 unanimamente votò100,000 scudi. Oltre la ferrovia , Velletri è stata colla 1. stazione distinta, e si erigerà pres so porta Napoletana. De' diversi governi cui soggiacque Velletri vado a parlarne nel corso dell'articolo. Da quello de'Papi fu decorața di molti privilegi, e di e- stensione di territorio coll'aggiunta de'castelli e tenute di Lariano e Faggiola, con- quistati col valore de veliterni, in premio di sua fedeltà e de'prestati servigi, mas- sime in reprimere le torbide fazioni su- scitate da'Frangipani, Colonnesi , Savelli , e altri potenti e prepotenti. Prima che fossero da Pio VII incamerati tutti i beni comunali dellostato, Velletri dalla sua possidenza di dette due tenute e da altre minori possessioni incassava circa 18,000 scudi annui ; per cui assai tenui erano i dazi comunalı , e la popolazione viveva nella massima tranquillità e abbondanza. Di queste sue possidenze ora gli è restata la ricordata grande selva di Lariano, con alcune fabbriche in città. I cittadini sulla selva hanno il diritto di tagliar alberi da costruzione, e caricare altri legni giacentizi da adoprarsi o nel fabbricar nuove abitazioni o nel riattarle ; come anche di tagliar legna da fuoco. Le ren- dite del comune al presente ascendono a circa annui 30,000 scadi : provengono parte dall'affitto della caduta delle casta- gne, del carbone e del taglio regolare del- la selva di Lariano, e parte dalle pigioni dell'abitazioni urbane, dall'erbatico e da' dazi. Tutte queste rendite si consumano pel mantenimento del lustro e comodo del magistrato, pe'salari della sua nume . rosa servitù, per le pubbliche scuole, com - presa la filarmonica , 4 medici e 2 chi- rurghi primari, mantenimento degli ac- quedotti, fontane, strade, mura e abbellimento della città , feste , spettacoli ec. Prima dell'origine dell'insegne gentilizie, Velletri adoperò per impresa le sigle : S. P. Q. V. II Theuli l'interpretò: Senatus Populus Que Volscorum , nel tem- poche la città era capo de' Volsci ; ma poi divenuta repubblica dicevano le 4lette- re: Senatus Populus Que Veliternus. Co. minciato l'uso degli stemmi, Velletri eb- be il suo particolare, diverso dal presen . te, senz'essere sovrastato da corone, non aquila bicipite, non allori; ma cipressi , e muragliato afforzato dalle torri , piuttosto che un castello. Il motto che la circonda avea le stesse parole, ma poste in diversa maniera. Ecco l' interpretazione del patrio stemma, che ne dierono gli ar- civescovi Theuli e Borgia. » Veletri in memoria di Cesare Augusto tolse per im- presa la Rocca o Torre merlata d'argen- to in campo vermiglio, la quale era priına stata della famiglia Giulia, e poi per eredità di Giulio Cesare passò ad Ottaviano. Alla Rocca aggiunsero i cittadini 3 Lauri, di cui Augusto usò ne'suoi trion- fi,incoronandosene il capo. Veggonsi que- sti 3 Lauri legati insieme, dinotando le 3 imperiali famiglie de Cesari , la Giulia, la VEL VEL 255 Ottavia e la Claudia congiunte insieme. Inoltre intorno allo scudo leggesi quest'o- norifica epigrafe: Est mihi Libertas Pa- palis et Imperialis". Donde abbia avu- to Velletri tale privilegio , lo dirò a suo luogo. Si compie lo stemma veliterno col- la corona, per mostrare che la città ebbe alcune volte il dominio, regnando i volsci, e anche posteriormente, di terre e di castella, del mero e místo impero cum po- testate gladii,per privilegi pontificii.Seb- bene Velletri vanti un' antichità imme- morabile, pure non vi si scorge alcun e- difizio che ne mostri la vetustà ; il tem- po divoratore tutto ha annientato e di- sperso. Da una celebre iscrizione lapida. ria, ch'è il più bel monumento antico di cui possa gloriarsi Velletri, si conosceche qui esisteva un anfiteatro, restaurato da Lolcirio capo e rettore della curia , regnando Valentiniano I e Valente nel IV secolo di nostra era. Fu trovata nello scavare le fondamenta per la costruzione del palazzo comunale e in esso collocata: ricorda come fu da quel personaggio reslaurato per essere cadente attesa la sua vetustà, insieme colle porte di dietro , e con tutta la fabbrica dell' arena. Gli arcivescovi Theuli e Borgia opinarono che l'aufiteatro fosse del tempo de'volsci, ma dovendosi ritardare l'erezione disiffatti edifizi , meglio è seguir la congettura di Bauco, che l'anfiteatro veliterno avesse l'origine nel secolo degli Antonini, ossia del II di detta era, seguendo l'autorità delle Lettere intorno una lapide Anfi. teatrale Veliterna, lette nella tornata della Società Polscadal cav. LuigiCar- dinali. Si leggono negli Atti di detta accademia, t. 1 , p.155 e seg. Spesso sonosi scoperte nel territorio veliterno dell'anti . chità che furono altrove trasportate. Clemente Cardinali pubblicò in Roma nel 1823: Iscrizioni antiche Peliterne illustrate. Queste iscrizioni parte furonotrovate nel territorio di Velletri , e parte al trove, ma che hanno rapporto colla città. Tutte erano edite o dal medesimo il lustre veliterno in altre sue opere , o in quelle d'altri libri . Sono in 8 classi divi- se e ben distribuite , in iscrizioni sagre, d'opere pubbliche e private, istoriche e onorarie, sepolcrali, greche, false, conte- nendo l'8.ª classe una collezione di figu- line e lucerne fittili , parte della famosa raccolta Borgiana, e parte prese da altri scrittori di cose veliterne, oesistenti presso l'autore. Di queste illustrazioni ragio- nasi nell'Effemeridi letterarie di Roma del1823, t.13, p. 260. Della famosa lamina di bronzo scritta in lingua volsca, poi ne parlerò. L'antiche monete e i piom- bi anfiteatrali fanno ben conoscere , che in Velletri fin da'remoti tempi esercitavansi le arti, indizio certo della civilizza- zione in cui già il suo popolo era perve- nuto. Nelle addizioni della storia universale degli accademici inglesi, nella narra- zione de' sabini, si legge che le monete nelle quali si osserva impresso Giano con doppia testa, è al rovescio un pesce somi- gliante al delfino, colla clava, e sotto l'iscrizione in lingua etrusca, legger si deve Felatri e Velatri , secondo il Gori e il Mariani s'appartengono a Velletri, e secondo altri a'luoghi di cui ne parlai . Fra l'altre cose antiche, la più celebre è la statua colossale di Minerva, opera greca disotterrata nel 1797 senza lesione nella contrada di Troncavia. Quest'insigne mo. numento, acquistato allora dal duca Braschi, ora esiste nel museo imperiale di Parigi, e fu illustrato da archeologi e da ar- tisti co' loro scritti. Lo descrisse ancora Glemente Cardinali ne' Monumenti figu- rati J'eliterni descritti, co'rami di que' monumenti chesi pubblicarono lat . vol- ta, presso gli Atti della Società Volsca, t. 3, p. 109. Egli divise la descrizione in due parti , collocò nellar ." i monumenti che per diversa combinazione partirono da Velletri; nella 2. gli altri che tuttora vi esistono: ogni parte poi divise in alcu ni paragrafi, separando le statue da'bu- sti , e questi da' bassorilievi ec. Vanuo particolarmente nominatele statuediEu 256 VEL VEL terpe che orna il museo Vaticano e così l' Urania, la Polimnia ora esistente pure in Roma presso il principe Lancellotti, l'Ermafrodito rinvenuto nel 1794 nelJa contrada del Peschio e ora nel museo di Parigi, Leda col Cigno scavata nel 1623 nella piazza di Mario, passò in potere de' Giustiniani. Il busto d'Annibale trovato nella contrada s. Cesareo nel 1780, insieme a nua testa d'Augusto con corona ci- vica, facevano partedel museo Borgiano, ed ora esistono nel museo Borbonico in Napoli, Il busto d'Augusto rinvenuto nella contrada di Montesecco, è nel museo Vaticano. Il busto di Tiberio scavato nel 1817 in contrada Troncavia. Il busto di Pertinace disotterrato nel 1650 , è nel museo Vaticano. Il busto di Settimio Severo, esistente nel detto museo Borboni- co , oltre altro busto d' incognito. Nel 1764 nella contrada la Colonnella fusca vata un'urna sepolcrale con un'iscrizione che comincia colle parole : Sex. Vario. Marcello.Questo interessante monumento fu l'oggetto degli studi di molti letterati. Venuto in potere del magistrato veli- terno, questo nel 1773 l'offri in dono a Clemente XIV fondatore del museo Vaticano. L'urna è di marmo greco e ne fu inciso il disegno, che unito all'osservazio- ni fu pubblicato colle stampe. Le notizie d'altri monumenti antichi e di statue, e di bassorilievi , e di lapidi, e di altre spe. cie scavati in Velletri e nel suo territorio ponno leggersi negli scrittori delle cose veliterne. Il celebre Lanzi, parlando del- la memorata lamina di bronzo, dice de' monumenti antichi di Velletri. » Fan fede tuttavia dell'antica grandezza i suoi ruderi non indegni d'una patria d'Augusto, e i monumenti in ogni genere che vi si trovano". II Nibby parla d'un' ara ro tonda esistente nella casa de' Gregni, la quale mostra la celebrazione de'giuochi giovenali in Velitrae, giuochi istituiti da Nerone per celebrar l'epoca in che per la 1. volta si rase la barba e la consagrò a Giove Capitolino; fatto che viene illustrato dal celebre piombo veliterno esistente in Parigi , e spiegato da E. Q. Visconti , nel quale probabilmente deve ravvisarsi una tessera d'ingresso degli stessi giuo- chi . Nel diritto si vede una testa barba. ta , personificazione del municipio veli- terno, colla epigrafe : Municipi Veliter Fel. Nel rovescio è la testa giovanile, personificazione de' giuochi giovenali, colle parole: Ivvena Veliter Fel. L'ara che ri- corda questi giuochi appartiene all'epoca degli Antonini , ed è dedicata alle Fortu- ne Anziati ; fu pubblicata molte volte col- la sua iscrizione, anche daClemente Cardinali. Nel 1785 Carloni pubblicò in Ro- macon figure: Bassorilievi Volsci in terra cotta trovati in Velletri. Questi bassorilievi furono scavati in Velletri nel 1784 presso la chiesa della Madonna del - la Neve del sodalizio delle Stimmate, ed il cardinal Borgia vi fece formare 15quadretti e li collocò nelsuo museo veliterno, illustrati da img ." Becchetti, da dove pas- sarono a Napoli al museo Borbonico. Sono preziosi per la storia pure dell'antica pittura italica , benchè poche tracce ne sieno restate. Il dotto prelato credette di potere stabilire che in Velletri esistesse una scuola indipendente dall' etrusca , mentre osserva che il carattere di questa scuola volsca sembra occupare un luogo di mezzo tra lo stile rotondo e pieno degli egizi , e lo stile secco tuscanico. Tut- tavolta non crede il ch. Pistolesi potersi stabilire una scuola media, tra lo stile degli egizi e quello de'toscani, come vorrebbe il Becchetti. Rileva inoltre che i volsci doveano fin da'più rimoti tempi avere alcun gusto d'architettura, servendo le me- desime figuline d' ornamenti alla parte superiore degli edifizi, come a'fregi e cornicioni. Il Becchetti in queste figuline volsche principalmente vi riconobbeuna seduta giudiziale, soggetto rarissimo ad in- contrarsi ne'monumenti antichi . La rap- presentazione d' un convito nuziale. Diverse corse di cocchi. Una mostra della cavalleria volsca in attitudine di combat VEL VEL 257 In tere i nemici. In essi, assai meglio che in altri monumenti, si distinguono le vesti- menta nella semplicità usata dagl' itali antichi , la loro negligenza nella chioma; e queste figuline potrebbero servire a commentare que' poeti latini , quando chiamano i prischi italiani capillati. Co' medesimi si ricavano le forme della qua. lità dell'armi usate, quelle delle mobilie, essendovi espresse sedie, deschi, vasi e al . tro. Ivi sono destrieri per poetica idea a. lati, forse alludendo alla loro velocità. una parola, vi si ammira quello stile, che daWinckelmann e da altri archeologifu detto etrusco, anteriore al greco e al romano. Gio. Battista Finali , egregio illastratore del museo di Napoli , pubblicò illustrate 4 tavole di queste figuline ve. literne, che riprodusse il ch. Pistolesi nel t. 4, p. 352 del suo Museo Borbonico. Esprimono, lacavalleria volsca che inse. gue il nemico, il trionfo del suo duce, le corse di bighe e di trighe che ne festeg- giano l'avvenimento. Anche il Pistolesi eruditamente le descrive e celebra rarissime e antichissime , di sommo pregio, perchè allo stile delle composizioni che contengono si debbono attribuire alle antiche artiitaliane. Non mancaronoin Velletri antichi templi dedicati a'falsi numi. Tali furono quelli d'Apollo e di Sango, tocchi dal fulmine nell'anno 551 di Roma; laqual cosa denunziata al senato ro. mano, questodecretò certe particolarice . remonie onde placare gli Dei . Chi fosse Sango, varie furonole opinioni, comepar- Jandone rilevai ne' vol . LX, p. 15, LXVI, p.158. Sesto Pompeo lo disse Ereole ; il Baronio, Giove; l'Angelotti, Sabo figliodi Saturno; questo stesso il Galerio col Nardi crederono. Si vuole che il tempio di Sango fosse situato ove ora sorge la chiesadis. Michele. Esisteva in Velletri iltempio d' Ercole, e al dire di Livio in esso vi nacquero de' capelli umani : i pretesi prodigi avvenuti nel regno de'volsci , li enumerò il Ricchi nella Reggia de Volsci, lib. 2, cap. 21. Sopra tutti fu famoso il VOL. LXΧΧΙΧ, tempio di Marte, adorato da tutta la na. zione volsca, comeriferisce Svetonio par- lando d'Augusto. Ecostante opinione deglistorici veliterni, chequestotempio fos- se convertito al culto del vero Dio, in o nore di s. Clemente I. Il Theuli parla de' templi della Fortuna, di Giano, di Diana, del Sole e della Luna; ma osserva Bauco che mancano prove suflicienti di loro esistenza , piuttosto sembra che in Velletri fosse un'antica basilica . Del tempio di Marte, Nibby riporta il narrato da Svetonio , cioè che nella parte più illustre della città eravi un vico chiamato Ottavio, ove mostravasi un'ara consagrata da Ottavio, il quale essendo capitano in una . guerra contro i confinanti, mentre sagri- ficava a Marte, all'annunzio d' una scorreria repentina per parte del nemico, tol- se dal fuoco le carni della vittima e le ta. gliò, ponendo sull'ara le primizie, ed u- scito in campo tornò vincitore. Perciò si fece un decreto pubblico, prescrivendosi cheper l'avvenire sempre nella stessa guisa si usasse nel sagrificare a Marte, e che la parte restante della vittima fosse portata agli Ottavii , Osserva il Piazza nella Gerarchia Cardinalizia , che il tempio di Marte nonsolamente era proprio dellacittà, ma di tutta la nazione volsca, tanto marziale e guerriera, perciò celebre e famoso. E Ricchi aggiunge che per tele tempio Velletri si denomind: Urbs indi. ta Martis; e che stava vicino al regio palazzo di Metabo re de'volsci, ove rendeva spesso ragione, per cui la contrada prese il nome di Matano. Avanzi di fabbriche antiche dell'era corrente sonoquelle det la Casa della Ragione edella Canonica. Lat." posta nella parrocchia di s. Salvato- re, che ne'tempi antichi era 1. decarcía della città, serviva d'abitazione e di residenza al podestà , magistrato introdotto in Velletrinel 1 237.Quivi egli soleva rendere ragione sì del civile, come del criminale. Il magistrato cittadino, che segui- tava a governare ogni faccenda politicae amministrativa, asseguò al podestà quel17 258 VEL VEL le case, che hanno per tante generazioni conservato il nome della Ragione. Que sta fabbrica di singolar architettura fude- molita per metà, essendo rimasta lesa ne' dueprincipali terremoti . Dell'edifizio ap- pellatola Canonica rimangono pochi ar- chi , e situati presso la cattedrale. Serviva d'abitazione ad una corporazionedi preti, che ufficiavano tale chiesa e mena. vano vita comune, perciò denominati ca. nonici regolari. Gli avanzi di questi due e. difizi furonodisegnati e illustrati dall'ar- chitetto e ch. archeologo d. Angelo Ugge ri ; ed i disegni si riportano in una lettera del cav. Cardinali diretta al medesimo, stampata in Roma nel 1825, in cui con molta erudizione e accuratezza illustrò pure alcuni edifizi veliterni dell'XI secolo. Gli antichi romani avendo veduto la bellezza e l'amenità delle colline sparse nel territorio veliterno, vi formarono ville deliziose e sontuose fabbriche ; il che provasi da molti monumenti scavati nelle rovine dove esistevano tali luoghi di piacere,e coll'autoritàdegli antichi storici. Una villa di re Tarquinio il Superbo era nella contrada Carrara, dove si trovaro. no molti antichi monumenti, fra'quali la statua dello stesso Tarquinio, che acqui- stò il cardinal Scipione Borghese. L'im- peratore Ottone ebbe la sua villa nella contrada che ancora ritieneil nome diCol. le Ottoneprossima alla Via Appia, dove si vedono vestigi d'antichità. Scrive Svetonio, che in questa villa Ottone volle esser sepolto dopo che si diè la morte. Il medesimo storico riferisce d'Augusto,che Ja famigliaOttavia avea la sua villainque- sto territorio; ed i patrii scrittori la dico. no situata nella contrada s. Cesareo , la quale è prossima a quella della Madon- na degli Angeli nella vigna de'Cella e de' Salimei. Altri la collocano altrove, come dirò. L'imperatore Nerva possedeva in Velletri la sua villa, e lasciò la denominazione alla contrada oggi Colle Ner- va. Dalle rovine che vi si scorgono, pa- re che fosse unadelle belle e magnifiche disua epoca.Anchel'imperatore Caio Ca- ligola ebbe villa nel territorio, nella qua. le esisteva quel meraviglioso platano descritto da Plinio , che per la grandezza , larghezza e disposizione deʼrami serviva colla sua ombra a un tempo di padiglio- ne , per mensa e scanni in un convito di 15 persone, oltre il comododi credenza. Quest'albero per ischerzo , l'imperatore chiamava nido d'uccelli. L'arpinate e fa- moso Caio Mario avea nella città una vil. la nella contrada che al presente dicesi piazza di Mario, ed ivi si scavarono bel- Jissime statue e monumenti antichi , co- me si ha dal Theuli, lib.r , cap.10 : Vil- le d'antichi romani. Anche il citato Piazza parla delle magnifiche e deliziosissime ville dell'ameno territorio veliterno, e vi aggiunge quella di Tiberio con piccolo castello, ove furono trovati i corpi de'ss. Ponziano ed Eleuterio. Questo castello e questa villa è la discorsa nel paragrafo Cisterna, che Nibby disse avere Tiberio ereditato da Augusto coll'impero, e dal quale si attribuisceal castello e villa il nomedi Tiberio, corrottamente Tivera, ora latifondo nel territorio veliterno. Inoltre Nibby crede che in questa villa fosse il suddetto meraviglioso platano, fra gli al- tri alberi di gran mole di quel predio im. periale. Altre ville egrandiose fabbriche esisterono anticamente nel territorio ve literno, di cui si perdè la memoria. Nel- la contrada Troncavia e ne terreni appar- tenenti alla massa comune de'beneficiati di s. Michele, si disotterrarono statue, ac- quedotti e altri monumenti antichi. Così nella contrada dell' Incudini si vedono avanzi d'acquedotti sopra una quantità d'archi e d'antiche fabbriche; ed ivi pure in diversi tempi si trassero auticaglie. So. no d' ammirarsi gli antichi grandiosi a- vanzi di fabbriche, che diedero il nome alla contrada di Cento Colonne. Quando una città è fornita di vasto e ubertoso ferritorio può dirsi felice: tale è Velletri . II suo territorio è così esteso, che non bastano le braccia de'suoi agricoltori a la VEL VEL 259 vorarlo. Il terreno è fertile , produce la narrata prodigiosa quantità di vini d'eccellente qualità, frutti squisitissimi in sapore e bellezza , e olio perfettissimo. Le possessioni vignate sono perfettamente coltivate e sembrano giardini; ed è pitto. resco il veder nella campagna sì ameni e innumerevoli colli seminati di palazzini, case rurali , celle e grotte in mezzo alla verzura delle viti e degli alberi. I monti che dal settentrione la circondano in di. stanza di 4 miglia, sono sempre verdeg- gianti, perchè coperti in parte di selve e in parte coltivati sino alla vetta. Il monte Artemisio presenta una veduta tanto ampia per tutti i 4 punti cardinali, che non puòforse idearsi una prospettiva mi- gliore; dal settentrione scoprendosi Ro ma con tutto il vasto catino sino a'monti presso Viterbo. Il territorio veliterno ab- bonda di molte sorgenti di limpide ac- que, che scaturiscono naturalmente da principii incogniti. Questi sono i fonti denominati di Paganico, Parata, Tavignano, Solluna, Fontanelle, Cachins , Fontanaccia, Formelle, Acqualucia , Fico, Fiume e della Spina. I due fonti Ulica e Vascuccie aumentano ancora i laghi del- lecontigue mole a grano. Le fontane Acquaviva, s. Maria dell'Orto, Acquarosa. ta, Cacattera e delle Fosse, che sono più prossime alla città, servono di comodi la vatoi. Le acque Petronia e Vitrice furono intromesse nell'acquidotto, che con. duce l'acqua in città. L'acqua di Fonta. na Nuova si smarri. L'acqua della Regina, che scaturisce entro il fosso che cir. conda le mura della città prossimo al pon- te della via vecchia di Napoli , è abbon- dante e sempre perenne; onde fudi mol- to vantaggio alla popolazione nella sicci- tà del 1834. Finalmente dovendo più volte parlare di Lariano, a migliore intelli- genza premetterò un cenno. Questa è una terra o tenuta del territorio sopra Velle- tri, con rocca diruta, posta su una delle pendici del monte Algido, edificata in o rigine soprale rovinedi qualche villa anticapertinente allagenteArria, come vuole Nibby, donde derivò il nome, che priina Arianum e poscia Larianum si disse, del quale si fece Ariano e Lariano, fondendo l'articolo col nome. II Marocco la chiama Ariano e l'Ariana nella dio. cesi veliterna, e forse primasotto Segni, il cui paese venne distrutto. La dice di- stante 2 miglia da Monte Fortino, ed un tempo funesto rifugio d'assassini ; ora non consistendo che in un casale, eduna fol. tamacchia, d'aria insalubre. Vedesi sem- plicemente una torre, guasta del tutto da' veliterni e dall'ingiurie del tempo; poco distanti vi sono le mole, che diconsi del Sacco, de' Pescorelli , ecomunemente del- la Molara. Dalle rovine di questo castello , rimarca Nibby , si gode una veduta magnifica della pianura Pontina, e delle montagne e delle terre che la coronano. La memoria più antica è del 1179, nel qual anno un Colonneseconte del Tusco- lo cedè ad Alessandro III, Castrum La riani cum Arce, ricevendo invece Norma. Divenne una castellania rinomata dipendente da Genzano(F.), feudo de' Sa- velli (P. ) signori della Riccia (V.). Tol- ta a'Colonnesi, fu data a'veliterni , previa la demolizione della rocca, a que' tempi fortissima e inespugnabile. Dice il Bauco. Nella tenuta di Lariano esiste una competente chiesa dedicata alla B. Vergine, circa 5 miglia lungi da Velletri. E deno- minata s. Maria Intemerata, perchè mez- zo miglio fuori della città sulla Via Lata eravi la chiesa omonima deʼmonaci basiliani, che ne presero possesso nel 1421 . Atterrata dal terremoto de' 26 agosto 1706 , l'immagine della B. Vergine di- pinta sulla parete, segato il muro, fu tra- sferita nella nuova chiesa parrocchiale dellatenuta di Lariano. Malostesso Bauco in altro luogo racconta, che l'attua- le chiesa di s. Maria Intemerata fu da' fondamenti fabbricata, insieme alla casa parrocchiale, sulla via che conduce alla provincia di Campagna, nel 1815 ed es- sendo vescovo il cardinal AlessandroMat 260 VEL VEL tei, ove s'impiegò il legato di scudi 1000 lasciati dal cardinal Antonelli suo prede cessore. Di recente il vescovo cardinal Macchi ſece costruire la bella facciata esteriore. Questa chiesa parrocchiale è as . sistita da un sacerdote col titolo di cap. pellano curato amovibile. Gl'individui che popolano la terra o tenuta di Laria- no, nel 1851 erano 607. Leggo nel n. 92 del Giornale di Roma del 1850 , e nella Relazione del viaggio di Pio IX, del commend. Barluzzi, che nel recarsi il Papa da Monte Fortino a Velletri , es- sendo accompagnato da'cardinali Asqui- ni , Du Pont e Antonelli, non che dal con . tedi Ludolf ministro plenipotenziariodel re delle due Sicilie , e da un drappello d'ussari napoletani che ne formavano la guardia d'onore; la magistratura comunale di Velletri a' 10 aprile spedì al con- fine del territorio in deputazione il prin. cipe Lancellotti Ginnetti , il conte Baldas. sare Negroni, e l'avv. Luigi Santucci a fine d'ossequiarlo in nome della città. Inoltre eresse sulla piazza del pieve di Lariano un grandissimo areo di verzura e di fiori, che il Santo Padre si degnò ammira. re e lodare, tra'festeggiamenti di tutta la popolazione implorante la sua benedizio- ne. Dalla chiesa di s. Maria Intemerata, qual termine di sua diocesi, si mosse ad iucontrarlo il cardinal Macchi vescovo e legato, lieto nel veder tornare ne'suoi do. minii il successore di s. Pietro. Il Papa lo fece salire nella sua carrozza, e presa la via di Velletri vi giunse alle ore 6 pomeridiane, lasciando i larianesi contenti del ricevuto onore. La comoda e sicura via di Lariano incomincia da Velletri , ed unisce la provincia di Marittima a quella di Campagna. La città di Velletri fino al giorno pre sente, sebbene molto meno che ne'secoli antichi, pure con molto lustro risplende e fiorisce decorosamente. Gli autori convengono in riconoscerla situata nel Lazio antico , e appartenente nondimeno alla nazione volsca. Non è certo chi siane star to il fondatore, poichè san troppo del fa- voloso le varie opinionidel volgo suli' o- rigine di lei . Queste onorevoli testimo. nianze per Velletri , non sono di patrio storico, ma di mg. " Nicolai, De'bonificamenti delle terre Pontine. Il Nibby con- viene, che questa città fu unadelle più co- spicue de'volsci, ma dice nulla sapersi del. la sua fondazione. Questa, al riferir di Pli- nio, secondo il corano Ricchi, nel Tea- tro degliuomini illustri chefiorirono nel regno de' Volsci, la ripete d'Atlante, che l'appello col nomedi sua figlia Eletra mo- glie di Corito re d'Italia e madre di Dar. dano, della cui scaturigine si propagaro- no i fondatori di Roma fino all' augusta casa d'Austria; s'è plausibile la genealo- gia che di Dardano fondatore di Troia, il medesimo Ricchi pubblica nella Reggia de' Polsci. Prima diluiil veliterno Theuli , nel Teatro historico di Velletri insi- gne città e capo de' Volsci, dichiarò non trovarsi scrittori cheparlinodi sua fonda- zione, e di non averne trovato il princi- pio neppure il veliterno conte Bassi , da che ne trae argomento di sua antichità immemorabile ; riferendo gli autori che la qualificarono antica, bella, inclita, no. bile, celebre, insigne, potente, ricca, po- polosa. Nè tacque, che alcuni si persuase- ro, che Velletri venne edificata da Atlante Italo pronipote di Noè, cui impose il nomedella primogenita Eletra, dalla quale originò quello di Veletra o Beletra per esser comune ne'greci usare il B per V. Più sobrio e più critico il moderno can. Bauco , nella Storia della città di Veletri, ecco come riconosce incerta la sua origine , che si perde nelle tenebre de'tempi eroici. Molti sono gli scrittori la- tini e greci , che lasciarono memorie del- le prime origini delle città, che esistero- no e tuttora esistono negli estinti regni la- tino e volsco, tuttavia niuno di essi fece mottodella certa origine di Veletri. Tante sono le tenebre della remota antichità, che nulla si può affermare di ciò, nè di sicuro e nè di probabile; dichiarando VEL VEL 261 - preso da Roma sino al fiume Silaro , fu appellato Provincia diCampagna. Inque tempi Veletri contavasi sotto questa pro- vincia (e negli atti del concilio di Romadel vane l'opinioni discrepanti, fondate sopra inutili congetture, e insulse e favoloseipo tesi, d'alcuni scrittori , prive affattodi suf- ficienti prove. Taluni di essi opinarono aver Veletri avuto l'origine da'lacede- 679, si legge sottoscritto: Placentinus e- moni e dagli argonauti , altri da Beletra madre di Dardano, altri da Atlante, al. tri da Saturno, come Alessandro Borgia nella Storia della chiesa e città di Velletri. Non dubita però di sostenere con fondamento, che Veletri fino dagl'inizi di Roma trovossi in tanta grandezza e potenza, che ad essa potè opporsi coll'ar- mi. Nèosta l'autorità di Strabone, il qua- le dopo aver nominato Priverno , Cori, Suessa, Veletri, Alatri, Fregelle e altre città, conclude che la maggior parte di queste e altre situate sulla via Latina ne' territorii degli ernici, degli equi ede'volsci furono da'romani fabbricate. Almeno quanto a Veletri non può ciò asserirsi, poichè preesisteva al nascer di Roma , e sotto Anco Marzio suo 4.° re, era già potente e grande in modo da muoverle guerra. Situata Veletri ne' confini del l'antico Lazio, avea da un lato il Tevere e dall' altro il monte Circeo, ma appar- teneva al regno de'volsci. Non vi è con- traddizione nel conciliare,cheVeletri fosse annoverata tra le città mediterranee de' latini, e insieme appartenesse alla nazione volsca. Imperocchè tra'più antichi popoli abitatori del Lazio furono gli osci, che estendevansi oltre il Lazio sino a Capua; que'che trovavansi nel Lazio, a differenza degli altri, furono chiamati volosci, e poi per sincope della lettera O, Volsci, significando la parola vol antico. A parere di gravi scrittori , il regno de'vol. sci si estendeva sino a'marsi, a' capuani, a'sedecini e agli aricini, racchiudendo in se la palude Pontina e le contrade di Ve- letri. Dunque con ragione questa città si comprese fra le città volsche dagli anti- chi e da'moderni storici e geografi. Inpro- cesso di tempo quel tratto dell'antico La- zio, e quello del nuovo Lazio ancora, che prolungavasi da Ostia sino a Gapua, compiscopus Veliternus provinciae Campaniae). Fatta in seguito altra divisione, il Lazio nella sua estensione appellossi una porzioneCampagna e l'altra Marittima; per cui Veletri passò ad essere annove- rata sotto quest'ultima provincia , della quale ora è capoluogo , per disposizione di Gregorio XVI. Il nome di Veletri o Velletri, che ora questa città porta, non è quello di quando era in più auge e fa- ceva parte della nazione volsca. Una lamina di bronzo scavata nel suo territo- rio nel 1784 e scritta in linguaggio vol- sco, fece conoscere il nome che ne'remoti tempi avea la città. Questo monumento volsco interpretato e illustrato da uomini chiarissimi per lettere e arti peri- tissimi (nelle discorse Iscrizioni antiche Veliterne di Cardinali, si vede impressa la lamina uel suo naturale carattere con due versioni , una di Francesco Orioli, pubblicata nella Lettera Divinatoria, e l'altra d' un anonimo nel Giornale Ar. cadico del 1820, con tutti gl'illustratori della lamina), si rinvenne il nomedi Veletri in Velester, e il suo gentilizio in Ve lestron. Il monumento dal museo Borgiano veliterno passò in quello Borbonico di Napoli . Quindi non è fuori di ragione l'asserire, che da Pelester volsco ne sia derivata la vera denominazione, che in diverse epoche ebbe Veletri presso gli scrittori greci , latini e toscani, cambian- done delle lettere o aggiungendone del- l'altre, essendo cid proprio dell'antiche lingue. Strabone e altri greci scrissero Ovelitrae, e Stefano di Bisanzio Belitra. [ latini allorchè fiorì la lingua loro scrisse- ro Pelitrae (tutti i modi riporta con e- rudite note l'accurató Bauco, esono pitt di 21, fra'quali Velletrum Velletri, Vil- litria Villitriae, Bellitro Bellitris). E così parimenti da Felester si disse Vel- 262 VEL VEL letrum nella decadenzadel latinismo; an- zi dopo rinatele lettere in 6differenti mo- di scrissero in latiuo il nome di Veletri. Nata la volgare favella, anche in questa ebbe Veletri varie denominazioni, egual mente riferite da Bauco, Velletro, Bel. letri ec. , e precipuamente Veletri. Tro- vasi questo nome quasi comunemente u- sato e scritto con i doppia Velletri, Di. ce il medesimo Bauco, chi riflette alla maniera come questo nome trovasi scritto nella lamina volsca Velester, e presso i latini Velitrae, dovrà adottare l'uso di scriverlo con un I solo Veletri: e così il gentilizio Veliterno , che deriva da Fe- lostrom volsco e da Veliternus latino; e non mai Velletrano, appellandosi a'vo- caboli più esatti e più celebri . Ci convengo, ma quanto all'italiano Velletri, lo ve- do usato da'due Cardinali e altri illustri scrittori veliterni, e negli Atti della so- cietà letteraria Volsca Veliterna, anche dopo l'illustrazione della lamina, e perciò vado usandolo a vicenda con Veletri. In quanto all'etimologia di Veletri, i veliter ni Theuli e Borgia la deducono dalla pa- rola latina Velitrae dall' unione di tre ville , Villae tres; ma il Bauco osserva, che accolta per buona l'antichissima de- nominazione di Veletri in lingua volsca Velester, le sentenze di tali e altri scrittori nulla provano per Veletri . La vera etimologia di questa città può ricavarsi da Dionisio d' Alicarnasso,il quale par- lando de'terreni paludosi della vallatadi Rieti ceduti dagli aborigeni a'pelasgi, che emigrarono dalla Tessaglia, dice chequeste paludi furono chiamate Velia, con. servando l'antico greco dialetto: cheque- sto vocabolo somministra l'etimologia di Veletri città prossima alle Paludi Pon- tine: fornisce egualmente quella di Vela- bro antico stagno dentro Roma; e quella del Velino fiume di Sabina, che forma- va gli accennati allagamenti nella vallata di Rieti. Anche al Nibby sembra ragione- vole la città dedurre il nome dalla radice Velia, colla quale anticamente chiamavansi i luoghi palustri, da cui trassero il nome molti luoghi e città che riporta; dice famosa la lanina veliterna, monumen- to unico e prezioso della lingua volsca. E che i veliterni e velitrini ebbero tal no- me, come la città, non solo dalla vicinan za delle Paludi Pontine (che il Nicolai so- stiene giammai si estesero al territorio veliterno), ma ancora dalla prossimità del- le Paludi, che ingombravano le sue terre verso oriente e verso mezzodi , cioè ne' dintorni di Giuliano , di Torrecchia , di Cisterna e di Civitona , delle quali visitando i luoghi se ne conoscono le tracce, e che vennero diseccate per inezzo del fosso della Retarola, e di quelle delle Ca. stelle e di Cisterna, lavoro che deve at tribuirsi ad un'epoca molto antica. Nel riferire Nibby tutti i vocaboli portati da Velletri ne'tempi bassi , dal secolo V al- I'XI di nostra era, crede che nessun altro nome andò soggetto a tante variazioni, Dalla lamina volsca ben si scorge e può affermarsi, che in Veletri e in tutte l'al- tre città volsche usavasi un particolare linguaggio propriodella nazione, edistin- toda'latini e dagli altri popoli confinauti, Il Lanzi nel Saggio di lingua Etrusca scrive» che la lingua osca o volsca era ben diversa dalla latina; dipoi se le andò av. vicinando a segno , che si recitavano in Roma commedie osche, e vi s'intendevano dal popolo, come oggi s'intendono le maschere napoletane: quando scrive Ti- tinnio, Osce et Polsce fabulantur; nam latine nesciunt (dell'alfabeto osco si pon- no vedere i vol. XXXVI, p.166, LIV, p. 35 e altrove. Nel febbraio 1857 fu tro- vata in s. Maria di Capua una rarissima epigrafe osca , illustrata dal ch. Minervi- ni , e riferita dalla Civiltà Cattolica, serie 3. , t. 8, p. 363. Lamedesima e nella stes- saserie riporta del dotto archeologo ge- suita p. Camillo Tarquini professore al collegio romano : nel t. 6, p. 551: Origi. ni Italiche e principalmente Etrusche rivelate da'nomi geografici; nel t. 8, p. 727 : Imisteri della lingua etrusca sve- VEL VEL 263 me furono compresi. Però tutto quello spazio di paese che possedevano i volsci , prima l'ebbero gli ausonii o opici, succe- duti agli aborigeni, popoli italiani da cui originarono altre nazioni. Il Lazio vec- chio dal Tevere arrivava a Terracina, il Lazio nuovo si estendeva sino al Liri, e comprendeva il popolo latino, gli osci , i volsci , gli ausonii. Il nome osco derivò da opico, mutato in volsco; poichè gli osci, per imostrare la loro origine antichissi- ma, presero il nome di volsci, cioè veteres Oscos. Parlando di essi Cluverio dis se: Hernicis continuabantur ab Austro Volsci gens magna, potens etbellicosa graecis dicti Scylaci. Quindi il Conta- tore riproduce le testimonianze degli sto . lati; uel t. 9, p. 348 : Iscrizioni etrusche in monumenti autofoni. L' encomiato p. Tarquini, commendevoleeziandio peral- tre produzioni letterarie, come di quella che ammirai nel mio vol. LXI, p. 154,in- vestigando profondamente gli accennati argomenti volle interpretare con belle spiegazioni l'etrusco per via del latino e del greco, e non solo felicemente vi riu scì , rimovendo quel velo che sin qui na- scose i sentimenti espressi nelle memorie etrusche restateci del illustre nazione etrusca; macon migliore e insigne scoperta stabilire e provare la derivazione degli etruschi da'cananei ossia fenici, econ confronti di testi e versioni, che perciò l'ori- gine dell'idioma etrusco derivadal fenicio ossia dall'ebraico, avendo tra loro stret- rici antichi sulla condizione grande, guer- tissima affinità o piuttosto medesimez. za) ". Ebbero i volsci undialetto loropro. prio, e questo parlare molto accostavasi e somigliavasi alla favella de' sabini, come dimostra Kircher, e Varrone scrisse, che la lingua sabina con quella de'volsci s'in- nestasse. Dimostra Festo, che il linguag. giovolsco si estendesse agli Abruzzi, e si- noin Sicilia giungesse.Questo parlare ces- sò allorchè Roma coll' estendere il suo impero propagò ancora il linguaggio la- tinonon solo nelle vicine contrade, maeziandio ne'lontani paesi . Aggiunge il Lan- zi: » che la gente volsca finì, e nondimeno rimasero in Roma quegli spettacoli (com- medie) e in essi quella lingua (volsca). Ne' caratteri i volsci usarono l'alfabetolatino, come si vede nella loro insigne lamina e nelle loro nedaglie". Il Contatore, De hi- storia Terracinensi, cap.1 , De Oscis et Volscis eorumque origine et metropoli, dice che furono in principio due popoli convicini del Lazio, i quali ebbero diver- so linguaggio, e forse , com'è probabile, militarono sotto diverse leggi; waalla fi- ne soggiogati e insieme uniti dal più vio. Jento e possente di questi, pacificamente vissero sotto il dominio d'un principe re- gnante , che perciò tanto gli osci quanto i volsci sotto l'intelligenza d'un istesso no. viera , valorosa e fortissima de' volsci . Con. troversa è poi qual fosse la metropoli de- gli osci o volsci , essendo discordanti fra loro gli scrittori , alcuni avendo asserito Anzio, altri Pomezia, altri Terracina,l'antica Anxur, e per quest'ultima il patrio storico si dichiara ; benchè conviene che a seconda de'tempi la reggia fosse trasfe. ritaaltrove, in favoredi Terracina rimarcando i pregi, fra' quali il partecipar del mare e della terra col campo Pontino po- polato da 23 terre e città, che la rese Vol- scorum caput , Oscorum et Volscorum metropolis. Nè asconde che ciò sembrò un paradosso al privernate p. Valle sto- ricodi Piperno, altra reggia de' Volsci . Descrive il regno degli osci o volsci com- postodalla parte del mareTirreno de'po. poli di Anzio, Astura, Circello, del campo poi palude Pontina; dell'isole Palmarola, Pouza e Zannona: dalla parte di terra la nobilissima Velletri, Cora, Norma o Nor- ba, Segni, Sezze, Sermoneta già Sulmo- neta, Piperno, Pomezia che diè il nome al campo e poi palude Pometina o Ponti- na,Cisterna, Monte Marcio, Coriola, Lon- gula, Polusca, Satrico , Verrugine, Ece- tra, Artena, Ferentino, Frosinone, Fal- vatera, Fregelle, Aquino, MonteCassino, Atino, Arpino, Sora. Altri luoghi ancora 264 VEL VEL fecero parte del regno de'volsci , dal Con tatore non ricordati come meno celebri. Prima del Contatore scrisse il Theuli, che forse Volosca (anche l'etrusca Vulcia si chiamò Volscia), dalle cui rovine surse Sonnino, fu la prima sede de' volsci , la qual Sonnino la chiama terra volsca. Par lando del regno de'volsci , dice aver 5po. poli principalmente abitato il Lazio, i la tini, gli equi, gli ernici, i rutuli, i volsci; oltre gli aborigeni , i pelasgi, i siculi , gli ausonii e altre genti; e tra'primi 5 popo- li, tranne i latini, ritiene pe' più antichi i volsci , derivati dagli osci , i quali con Osco loro re aveano occupato la regione. Que' che si stabilirono in Capua e altri Juoghi vicini ritennero il nome di osci, derivato dalla loro insegna d'un serpente denominato Oscorzone, e quelli restati nel Lazio antico e più vicino a Roma, si dissero volosci, e per sincope volsci, cioè antichi osci, poichè la sillaba vol significa antico, prima colonia de' quali fu la detta Volosca. I1 Ricchi, nella Reggiade Volsci, seguì il Theuli nelcredere cheSon nino fosse fabbricata da' privernati cogli avanzi di Volosca, già principal sede de' volsci, onde conveniva che per memoria ne dovesse ritenere il nome, mentre prese quello di Sommino, per essere stato e- dificato sulla sommità d' un monte scabroso, donde poi si disse Sonnino, come vuole il Biondo; celebrando i suoi uomini illustri nel Teatro, cap. 22, Soggetti illustri di Sonnino. Il Ricchi inoltre di- ce fiorito Osco 1.° re degli osci nell'anno del mondo 2658, ma dopo di lui non si conosce per principedel regno de' volsci che il re Metabo, da cui nacque la famo- sa regina Camilla che regnò in Piperno; e riporta una iscrizione in lingua volsca trasmessa dalla Sicilia al p. Kircher ge- suita, colla sua interpretazione,da cui si vede la diversità che avea colla latina. Do po le accennate opinioni sull' origini de' wolsci, ritorno al Bauco, il quale con più critica procedette. Egli dunqueracconta, che vatt popoli signoreggiarono il Lazio e successivamente vi si stabilirono , fra' quali gli osci sortiti dall'Etruria o Toscana(1.), poi denominativolsci.Questa nazione ebbe i propri re , da' quali veniva governata. Per mancanza di scrittori au. tentici del regno volsco, non può averse. ne chiara notizia, e le riferite dagli scrittori sono così involte ne'favolosi racconti, ch'è difficile distinguere la verità. II Theuli tratta nel cap. 3 : Del regno de' Volsci; e nel cap. 4 : Quali fossero le città e terre de' Volsci. Tutte le descrisse il Ricchi, ma con racconti esagerati e favolosi. Descrive i volsci eterni nemici del nome romano, eche non potevasi cagionar maggior spavento a'romani, quando essi si disponevano ad assalirli. Che ne' 200 anni di guerra i volsci riportarono 12 trionfi contro la fortunataRoma; epretende che sovente conveniva a' romani chieder pace supplichevoli, e piegar le gi- nocchia a'volscil Parlando deʼromani, poco rende giustizia al loro senno, bravura e valore; piuttosto fortunati, che prodi li chiama. Difetto pressochè comune degli storici de'popoli vinti da'romani, onde de- primere la gloria di loro conquiste; mostrandosi interamente parziali de' loro concittadini e connazionali, perciò non veri storici. I patrii storici sull' autorità di Virgilio, scrissero che l'ultimo re de'volsci fu Metabo, ch'ebbe reggia in Priverno; il quale concitatosi l'odio de' sudditi fuggì colla figlia Camilla, alla quale poi riuscì ricuperare ilregno, e siccome guer- riera valorosa, collegatasi con Turno re de'rutuli, a danno del re latino e del tro- jano Enea, facendo strage de'nemici alla testa de'volsci, restò uccisa per mano del troiano Arunte. Il racconto da Bauco si qualifica invenzione poetica, poichè non ne fecero motto gli storici anteriori a Virgilio,nè Tito Livio suo coetaneo e sebbene molto scrisse de' volsci. Per la morte di Camilla, creduta ultimo rampollo della regia stirpe volsca, si vuole avvenuto un cambiamento di governo in tutto il regno valsco , e perciò ogui città adotto un re VEL VEL 265 gime confacente al numero e all'indole de'cittadini . Comunque ciò sia accaduto, certo è che Veletri reggevasi a forma di repubblica aristocratica e governata dal senato composto di nobili cittadini. Questa forma di governoper lungo temponel- la città si mantenne , e quando cadde in potere de'romani, la sua libertà si estin- se. Soggiogata Veletri dall'armi della repubblica romana e sottoposta al suogran- de umpero, ne'posteriori e molti cambia. menti governativi di Roma e d'Italia, mai fu soggetta alla dominazione d'alcun ti ranno. Perciò sostiene Bauco, non è vero l'asserto da Kircher nell'Historia Eustachio Mariana, e da altri scrittori, che Ottavio Mamilio Tusculano, che alcuni vogliono discendente della famiglia Ot. tavia veliterna, e i suoi figli fossero si- gnori del Tusculo ( V.) e di Veletri; poi. chè sebbene i critici convengano che Ot- tavio Mamilio fosse personaggio di gran- de autorità presso i latini , e imparentato con Tarquinio il Superbo re di Roma, niuno di essi fa imenzione d'alcuna signo ria o principato. Anzi lo stesso Svetonio, nella Vita di Cesare Augusto, nel tipor. tare tutti gli onori goduti dalla sua fani- glia, niuna parola fa di signoria e princi pato. La sua famiglia Ottavia in Veletri sempre si mantenne in privatostato, ben. chè nobile, ricca epotente; elo stesso Au- gusto solo diceva d'esser nato di fami glia equestre, antica e ricca. Veletri dun- que si mantenne sempre sottoposta alle leggi generali e al comune sovrano dominante; e dall'epoca che si pose sotto l'ub- bidienza de' Papi , questi dopo il volger de'secoli gli dierono a governatore il pro- prio vescovo con privilegi speciali, che fa- vorirono i comodi e i vantaggi della popo lazione,la qualegloriasi d'esser stataogno- ra fedele alla s. Sede, e d'aver difeso i suoi diritti. Bensì i cittadini amarono sempre mantenersi in libertà, non solamente ne' tempi autichi con resistere ostinatamente alla potenza della romanarepubblica, ma aucora ne' secoli a noi peno lontani con abborrire ogni altro dominio diversodal pontificio, e resistendo ancora al senato di Roma, cheall'epoca della traslazione della residenza pontificia in Avignone, ripre- se un potere bastevole a imporre la leg. ge del più forte. Cessato dunque il regno volsco, non avendo le città e le terre che lo composero un capo che unito lo reg- gesse, tuttavolta non si disunirono, e sempre con istretta lega e federazione si man- tennero; per cui erano da'principi e stati confinanti temute, nè mai caddero sotto il giogo de'latini e degli albani. Per con- servare i volsci questa scambievole unio- ne, scelsero alcune città principali , ove secondo le urgenze della pace e della guer- ra radunavansi a deliberare quanto oc. corresse all' utilità pubblica e nazionale, non meno per difendere la loro libertà. Queste adunanze non si facevano sempre in un medesimo luogo, ma ora in una cit- tà e ora inun'altra, come meglio stima- vano , sia per riunire gli eserciti o altaccare i nemici , sia per risolvere gli affari più rilevanti. Vi sono storiche testimo . nianze, che alla loro volta furono capita- le e capo della nazione volsca Eccetera, Ferentino, Suessa, Anzio, Terracina, Pi . perno, ec.; onorifica prerogativa che non mancò a Veletri, essendo sempre stata considerata presso i volsci per una delle primarie loro città, e qualche volta capi- tale di tutta la nazione. Che questa città sia stata una delle principali e più poten- ti de'volsci, si prova dallar . guerra volsca contro Roma dalla sola Veletri intrapresa; come ancora dall'abbassamento di tutta la nazione, dopo essere stata finalmente Veletri da'romani soggioga. ta, dopo tante prove d'armi, come si ha da gravissimistorici, onde per antonoma. sia fu detta città de' Volsci, per indicare che a tutte l'altre era capitale, ed in essa vi concorrevano i volsci a sagrificare nel rinomatissimo tempio di Marte, nume tu- telare di tutta la nazione volsca , onde i poeti appellarono Veletri, Urbs inclyta Martis. Altra prova che Veletri in que' a 266 VEL VEL tempi era considerata da'nazionali perlo- ro città primaria, è il racconto di Svetonio, d' un fulmine che percosse e rovinò parte delle sue mura, onde i superstizio. si veliterni ricorsi all'oracolo n'ebbero a risposta : Che un loro cittadino do- vea impadronirsi del mondo. Per tale augurio i veliterni animati da grandi spe- ranze, guerreggiarono col popolo romano sino alla propria rovina. Quandopoi il veliterno Ottaviano Augusto divenne signore del mondo , alla sua futura po. tenza verificata si applicò la spiegazione del superstizioso oracolo. Questa predi zione conosciuta fu lacagione perchè que stacittà fosse presso loro in grande stima tenuta , e fu pure uno stimolo di o- nore che animò i veliterni a combattere continuamente con indicibile coraggio, stimando di dovere un giorno giungere a quell'alto dominio dal falso nume au- gurato. E' grato e lusinghiero per una popolazione il vedere registrato nelle più antiche storie le gloriose e militari gesta de'suoi antenati; poichè ne deriva la ri- nomanza , l'onore e la gloria di quelle città, ch'ebbero la ventura d'aver pro. dotti cittadini prodi e virtuosi : Veletri non è privadi questa sorte, che anzi può vantarla. Non pochi scrittori lasciarono memoria delle battaglie sostenute da'suoi cittadini, che per 300 e più anni trava- gliarono la fortunataRoma. Potente e bel. licosa era Rona, quando Anco Marzio cir- cal'anno 130 di sua fondazione, ossia 624 avanti l'era nostra, secondo il calcolo di Nibby, fu ilt. a muover guerra a'volsci acagione d'alcune scorrerie e ladronecci che aveano fatto sulle terre romane, pro babilmente dal cantod'Alba Longa, do, ve il territorio romano era a contatto del veliterno. Quel re, secondol'uso del tem- po, corse adepredare le terre de' volsci, e dopo aver raccolto un buon bottino cinse Velitrae di forte assedio; ma essendosi i veliterni arresi a patti, ed avendo fe- delmenteadempiutole loro promesse, ac- cordò ad essi la pace e strinse co'medesimi amicizia. Questa fu così sincera, che essendo trasmigrata in Roma sotto il suo successore Tarquinio Prisco la gente Ot. tavia, una delle più insigni di Velitrae, quelre le accordò immediatamente il di. ritto di cittadinanza , e re Servio Tullio nellanuova costituzione data a Roma, l'a- scrisse fra le patrizie. Così il Nibby, col- l'autorità di Dionisio e di Svetonio. Il Bauco con qualche differenza narra lar . * comparsa di Veletri nella storia di Ro- ma. Eglidice nell'anno 137 di Roma, 607 (0617) innanzi all' era volgare e 3393 del mondo, incominciò lat." mossa ostile fatta da'volsci contro la nascente Roma. La sola Veletri fece questa scorreria in tale anno, ed i suoi soldati giunsero a infestare e saccheggiare il territorio romano. Re Anco Marzio mal soffrendo quest'ingiuria uscì da Roma con poderoso esercito ; combattè e respinse i nemici , e tant'oltre avanzossi , che s'impadroni del territorio veliterno. Assediò la città, ed es. sendo sul punto di dare l'assalto, suppli- ci gli si presentarono alcani de' più an- ziani cittadini, che per salvar la patria vennero con Anco Marzio aquesti patti. Che Veletri a piacere del re risarcisse tutti i danni cagionati a Roma. Che i cittadini , che a questa mossa aveano dato causa, fossero consegnatia'romani. Che le cosetolte si restituissero. Che fatta la pace fra' romanieiveliterni,si stabilisse fedele con- federazione. Da questi patti sembra ap- parire, che la mossa ostile contro Roma non fecesi coll'approvazione del senato e colle forze riunite della città; ma piutto- sto s'intraprese da alcuni capi sediziosi della gioventù ardita e guerriera, contro il parere de'più anziani e prudenti sena- tori. La confederazione stretta dal re di Roma con Veletri , fa conoscere , come spiega Bauco, quanto forte e potente fosse Veletri e da far fronte alla stessa Roma ; lega rinnovata da TarquinioPrisco, il quale per accattivarsi e obbligarsi gli animi de'veliterni, chiamò in Roma gli Ottavii famiglia primaria della città,el'ag VEL VEL 267 gregò all'ordine senatorio, Servio Tullio annoverandola frale patrizie romane, Li- vio tace questa mossa de'veliterni contro Roma, e registra la 1.ª guerra contro i volsci mossa da Tarquinio il Superbo, e che si contiuud 200 anni. Nella guerra intrapresa da Tarquinio il Superbo con- tro i volsci, nella quale cadde Suessa Po- mezia, non si fa menzione de' veliterni, for se perchè mantennero la fede dell'allean- za fatta col predecessore Auco Marzio, Questo legame si sciolse in conseguenza della rivoluzione che espulse da Roma Tarquinio, e cambiò la sua forma di go. verno da monarchica in repubblicana, Tarquinio adoperòtutte le arti per vendicarsi de'suoi nemici, ripatriare e risalire sul trono, soccorso dagli etrusci e da'latini; abbandonato da Porsenna rede'primi, che fece la pace co'romani, da'soli la tini rimase sostenuto. Per aumentare le sue forze, cercò l'amicizia degli ernici e de'volsci ; ma di questi ultimi, tranne gli anziati e gli eccetriani, Veletri coll'altre città volsche non fecero conto nè di Tarquinio, nè dell'impero che vagheggiava. Nel 256 di Roma secondo Bauco, o 248 secondo Nibby, volendo Ottavio Mamilio tusculano favorire le parti di Tarqui nio suo suocero, procurò contro i romani la confederazione di molti popoli, fra qua- Ji unironsi i veliterni, Equi avverteBau co, contro que' che fauno Mamiliodella famiglia Ottavia, riferire Dionisio allegatodal Volpi , che Mamilio nacque nelTu- sculo e ivi ebbe origine la sua stirpe; in- fatti nell'albero genealogico che ci diè della famiglia Ottavia, non vi si legge il no- medi Mamilio. Il conflitto fu sanguinoso eterribile presso il lago Regillo , luogo che Nibby pone a Moricone neldistretto di Tivoli, completa la vittoria deʼroma- ni; e benchè l'anno seguente pose termi. ne alla famosa lega latina per rimettere i Tarquinii sul trono, la pace co'volsci e i veliterni non si ristabili; perchè sebbene essi non giunsero in tempo al conflit- todi Regillo, ed avessero mandatolegati aldittatore A. Postumioper congratular- si della segnalata vittoria, il dittatore vi. de iu essi piuttosto degli esploratori e la frodenascosta; dissimulando, differì a mi- glior tempo la guerra volsca. Pertanto i romani, passati 4 anni da tale combatti- mento, condussero un esercito contro i volsci, i quali colti all'impensata, rimediarono al disastro con dare 300 ostaggi di guerra. Sdegnati i volsci di tale ingiu. ria, a vendicarla fecero lega cogli ernici, e mandarono ambasciatori a'latini per confederarsi contro i romani. Essi però violando il diritto delle genti, arrestati gli ambasciatori volsci , legati gli spedirouo a Roma. Per questa perfidia, tanto si ac- cese il risentimento de'volsci, chesul momento raccolte buon numero di truppe le mossero contro Roma. Si venne alle mani colla peggio de' volsci , che disfatti e respinti perderono alcuni luoghi e vari territorii. Avendo poi indarno richie- sto a'romani che da'loro confini si par- tissero, e che le cose loro restituissero, di nuovodeliberarono di prender l'armi nel 260 di Roma. Radunato un forte eserci- to, facendo lo stesso i sabini e gli equi, furono vinti nella battaglia campale nel le vicinanze di Veletri, dal console Aulo Virginio, ed inseguiti fino sotto la città, che Dionisio chiama illustre, grande e popolosa, e fu iudi assediata e presa. Im- perocchè i romani inseguendo i fuggiaschi entrarono insieme in Veletri, dove si fece più macello che nella pugna, enon fu dato quartiere che a pochi, i quali si arresero a discrezione. Il territorio veliternofu allora dismembrato da quellode' volsci, e fu mandata in Velitrae una colonia , ed alla plebe inviatavi furono ripartite le campagne veliterne, coll'abbligo di vegliare armati sui cittadini. Livia e Dionisio descrivono la battaglia con qualche diversitàdi circostanze, dalle qua- li si ricava che i volsci arditi e pronti furono i primi a muoversi coraggiosa. mente, non che solleciti a ferire il nemi cos e sebbene restarono perditori, non fu 268 VEL VEL senza molto spargimento di sangue ro- mano. Ebbe Veletri diverse deduzioni di colonie , con abitanti mandativi da Ro ma. Lat. fu questa del 260, reintegra- tada altra a cagione della peste, che tan to infierì da rapire 9 decimi della popo- Jazione di Veletri nel 262 ; que'che ri. masero chiesero nuovi coloni a Roma, e dopo vari dibattimenti vi furono spediti, compassionando i romani tanta miseria, e non doversi ricordare l'ingiurie de'nemici e vendicarle in tal frangente , l'ira divina avendo abbastanza punita la ribellione da loro tramata, Dipoi la 3." dedu- zione accadde nel 417, come dirò. Aque ste 3 deduzioni di colonie, vuole Scotto citando Frontino, si debbono aggiungere 2 colonie militari , per essere state due volte divise le campagne di Veletri, pri. maper legge di Tiberio SempronioGrac- co, poi sotto Augusto. Caduta questa cit. tà in potere de' romani , stabilirono essi servirsene come di frontiera e di forte presidio, essendo Veletri in que' tempi e per natura eper arte fortissima, postain sito molto opportuno per reprimere l'impeto de' volsci e degli altri popoli nemici di Roma, A ragione dunque la dichia. rarono colonia militare, acciocchè agran. dissima diligenza de'soldati , che vi avea- no le proprie famiglie, fosse custodita e guardata. Esiste nel museo di Parigi un antico piombo veliterno, in cui leggesi Municipium Veliternum. Per questo mo- numento potendo insorgere controversia, pel riferito da Livio e da altri scrittori , opportunamente ricordò Bauco il regola mento de'romani nel dare diversa forma di governo alle città soggiogate. Alcune l'appellarono municipii , altre colonie, I municipii aveano le proprie leggi e i pri vilegi della cittadinanza romana; lacolo- nia era popolo condotto e mandato ad a. bitare un paese colle stesse leggi della città che lo mandava. Frale colonie eranvi le romane e le latine, di maggiori onori essendo fregiate le prime. Ma alle volte variamente le colonie si dissero municipii, e questi presero il nome di colo- nia, onde le denominazioni di colonia e municipio furono usate promiscuamente, coure notai ne' loro articoli ; ed in Veletristesso ne abbiamo una prova, scriven- doSvetonio che l'avo d'Augusto visse con- tento del ricco patrimonio e delle municipali magistrature veliterne. II Bauco lo- da il savio sistema deʼromani, profittando delle città conquistate con dedurvi co. lonie per utili cagioni, e principalmente pertenereinsoggezione i popoli vinti, per reprimere le scorrerie nemiche, per propagare la stirpe romana, per provvedere la plebe bisognosa, per quietare le sedi- zioni popolari, per premiare i soldati veterani colla distribuzione delle terre nelle colonie militari. I romani anzichè edi. ficare fortezze e rocche nelle città con. quistate, costumavano dedurvi colonie, assicurando in tal modo colle popolazioni benevole e interessate i paesi soggettati, Vedasi il Ricchi nella Reggia de' Volsci, lib.r, cap. 36; Velletri, Colonia de' romani XII. Viene Veletri annoverata fra le prime colonie che i romani deducessero, e così prese forma di governo somigliante a Roma e colle stesse sue leg. gi, essendo i veliterni annoverati alla cittądinanza romana, Per cui nell' elezione de'magistrati di Roma, eglino vi contribuivano co' loro voti . Vogliono Volpi e Muratori, che i veliterni fossero ascritti alla tribù Pontina , per un marmo trovatoin ColleOttone, riportato nell'Iscri- zioni Veliterne da Clemente Cardinali , il quale però eruditamente dimostra che i cittadini d'una stessa patria potevano essere ascritti a diverse tribù. Nel 262 le prosperità di Roma vennero fanestate da diverse calamità , di carestia per aver i plebei abbandonato l'agricoltura ritiran- dosi sul Monte Sagro, e di orribile guer. ra se i volsci che già prendevano l'armi, non fossero stati percossi da terribile pe. stilenza . Questi sempre pronti a resiste- re a'romani, e ad invadere il loro terri . torio , credendo giunta il tempo di fare VEL VEL 269 un colpo felice sui loronemici, invece fu rono avviliti e posti in grave timore dal flagello della peste, che ridusse al più de solante squallore tutta la nazione. In po co tempo restarono spopolate tutte le lo ro città e castella; ma dove più il malo- re iufien fu in Veletri, che amplissima e popolatissima, rimasta quasi priva d'a- bitanti, fu a sua preghiera di nuovo po. polata da' romani colla deduzione della 2. narrata colonia, anche per diminuire le forze della plebe tumultuante e la fa- meche pativa Roma. Mentrei coloni pas. savano ad abitare un fertile paese , per altro spaventati dal contagio che l'avea spopolato, onde vi si recava un numero minore del deliberato in senato, quando questo decretò che a sorte si scegliessero i futuri abitatori di Veletri con gravis. sime pene a' ricusanti, e così finalmente una grande quantità di cittadini dovė audarvi , e la città ebbe una colonia eccel- lente. Nel 265 di Roma di nuovo i volsci impugnarono l'arini contro di essa, col- legati cogli ernici, invadendone il territo rio. Il console T. Licinio spedito per af frontare i volsci, con poderoso esercito si attendò nel territorio velhterno; poichè Azzio Tullo condottiero de' medesimi, voJendo seguir il consiglio di Marzio Corio Jano, esule romano datosi a'volsci, che pro poneva doversi prima vincere gli alleati di Roma per questa facilmente debella- re, venue contro Veletri colonia romana, se n'impadroni e la restitui a' volsci. Coriolano, cessando di marciare su Ro. ma, dipoi per l'invidia di Tullo restò la pidato da'volsci (nel 1.14, p. 21 dell'Al- bum di Roma, si legge un articolo del p. F. Lombardi intitolato : Il.scpolcro di CaioMarcio Coriolano in Anzio. Lo di ce tale secondo la tradizione del luogo, e lo descrive. Certo è, che Coriolano, ritirati gli eserciti volsco-anziati dalle fosse Cluilie e giunto in Anzio, quivi venne trucidato barbaramente dalla moltitudine qual traditore, per avere indietreggia- to nel marciare suRoma, mossodallelagrime di Veturia sua madre e delle ma- trone romane, peroranti per la salvezza della comune patria. Calmati gli animi e ricordati i di lui meriti , gli fu posto nel foro un monumento che lo tramandasse a' posteri. Nello stesso giornale romano, nel t. 21, p. 243, si dà erudito raggua. glio del pubblicato Poema del Coriola- no, Epopeia sopra quell'illustre capitano, che condannato dalla furente plebe roma. na, nel corso de'suoi trionfi e conquiste, mentre stava per vendicarsi dell'esilio col- la punizione di Roma, perdona alla pa. tria le offese, e così impedisce la domina. zione volsca, e resta Roma libera dal sovrastante estremo pericolo. Per analogia d'argomento, e per avere nel 184g ridonata la pace a Roma la valorosa nazio. ne francese , a questa venne intitolato il poema). Ma in seguito, poco lungi da Veletri si venne a battaglia, verso il monte che la domina, in luoghi disastrosi, ove inutile si rese la cavalleria d'ambo le parti. Si combattè con varia fortuna, finchè il prode Tullo restò ucciso, e la vittoria fu di Licinio, senza conseguirne altro van . taggio; tuttavolta ebbe gli onori del trion . fo, e grandi allegrezze si fecero in Roma. Auchedopo questa disfatta gl'indomabili volsci non tralasciarono d'angustiare col- l'armii romani, con più fatti d'armi sino al 350, nel qual periodo di tempo nulla dicesi di Veletri. Avendo i romani nel 351 soggiogata Ansur e Artena città volsche,al di- re di Diodoro di Sicilia, mandarono coloni a Veletri. Forse i veliterni vedendo gli straordinari progressi dell'armi romane, uniformandosi per allora con savio consi- glioagli eventi,accettarono i coloni diRo- ma, e ritornarono all'antica forma di colonia già circa a go anni prima ricevuta, cheprobabilmente aveauo scossa con por- si in libertà. Sebbene Veletri fosse stata riempita di romani, nella 2." deduzione per essere sopravvissuta solo la 10." parte de' suoi abitanti, convien congettura- re che la ferocia o incivilimento de'nuovi coloni gli avesse incitati contro Roma 270 VEL VEL loro patria originaria, e fors❜anche per essere tiranneggiati dalla repubblica, del la quale tentavano spesso scuoterne il giogo per rendersi liberi ; ed i nuovi abitatori , come vado a dire, tornaronoa impugnar l'armi contro Roma, di cui era- no cittadini per privilegio e per origine. I romani occupati nel famoso assedio di Veio, per alcun tempo lasciarono sospe- se le ostilità contro de' volsci. Ma Vele. tri nel 362 rassicurata dal primiero ti . more, e ristorate le forze militari, all'an- tica libertà si ridusse. I romani per sottometterla contro di lei armaronsi, ma nulla si conosce cosa avvenne: forse i romani preoccupati in altre sopravvenute guerre, riserbarono ad altro tempo la vendetta. Arsa e manomessa Roma nel 365 dal furore de' galli, dopo tanto ec- cidio si vide sopra l'armi de' volsci, spe- rando comeoccasione opportuna d'estin- guere il nome romano. Pel grave e im- minente pericolo, i senatori crearonodit- tatore l'espugnatore di Veio Furio Ca millo nel 367, il quale marciò contro i volsci , li combattè, vinse e riconciliò con Roma. Siccome in questa riconciliazione vi fu compresa Veletri, Eutropio dice che Camillo vinse la città de' volsci, on- d'è a credersi che in quel tempo tornas- se alla condizione di colonia. Dopo tante sconfitte e ad onta della manifesta for- tuna de' romani, i volsci non avviliron- si, anzi più animosi di nuovo armaronsi nel 371 di Roma, per tentar nuova- mente d'opprimerla. Fra le tante fazio- ni guerresche che si successero, la più fa- mosa fu quella, in cui armaronsi a dan- no della repubblica più nazioni, i volsci , i latini , gli ernici , cui si aggiunsero i po- poli di Circeo e di Veletri , ambo colonie romane. Per opporsi a quest' imponente armamento fu creato in Roma dittatore Aulo Cornelio Cosso, che subito si mossecoll'esercito per opporsi al nemico. Ac. campossi in luogo vantaggioso, e dopo aver confortato i soldati con veemente allocuzione, diè segno alla battaglia, che cominciòcon indicibile ardore fra le par- ti. La cavalleria romana scompigliò la fanteria nemica, e i volsci in fine gitta- te l'armi dieronsi alla fuga; molti furo- no i prigioneri, massime latini e ernici volontari, oltre alcuni capi principali del- la gioventù nobile, ed alcuni di Circeo e di Veletri, mandati tutti a Roma. La colpa maggiore di questa sollevazione im- putandosi a' circeiesi e a' veliterni, furo- no trattati dal senato aspramente, perchè essendo cittadini romani, aveano congiu- rato col consiglio e coll'armi a' danni di Roma loro patria. Nell'anno seguente i volsci, i circeiesi e i veliterni spedirono legati a Roma a chiedere i prigioni, col pretesto che avendo agito contro il vole- re del comune, volevano punirli secondo le leggi ; e li ottennero dopo duri rimproveri. Non andò guari che si tolsero la ma- schera dal viso, ese una pestilenza non li colpiva sarebbero entrati tosto in cam - pagna. In genere i veliterni erano nella disposizione di venire ad un accomoda- mento, ma gli autori della defezione, le- mendod'essere sagrificati,cercarono di di- storli,e sollevarono la plebe a dare il sacco alle terre de' romani, donde poi derivò una vera guerra. I volsci sempre auda- ci e animosi, nel 373 tentarono di nuovo lafortuna della guerraper abbattere pos- sibilmente la potenza romana. Raccol- te nuove leve, e colla confederazione de' lanuvini (avverte Bauco, che Lanuvio vie- ne annoverata fra le città volsche, ed è diversa da Lavinio, e credesi che fosse dove oggi si vedono le rovine del castel- lo diroccato di s. Gennaro, 6 miglia lun- gi da Veletri. Altri la pongono a Civita Lavinia, che descrissi a GENZANO, COIL Nemi, e Ardea capitale de' rutuli; men- tre di Lavinio, con Laurentoe Alba Lon- gacome state metropolidel Lazio in que- st'articolo ne ragionai), posero in piedi un più numeroso esercito del precedente. Dispiacque non poco a Roma questa repentina mossa de' volsci; ed i senatori furono di parere che questo nuovo disa- VEL VEL 271 stro fosse statoeccitato da' veliterni, eche se fossero stati castigati nell'ultima guerra, non avrebbero suscitato nuove fazio ni in dispregio della repubblica. Il senato quindi decretò la guerra contro i vol- sci; i tribuni vi si opposero, ma tutte le tribù la vollero. Troppo erano temuti da' romani i volsci, e specialmente i veliterni . Furono creati nuovi tribuni militari, de' quali alcuni restarono alla custodia di Roma; e Spurio e Lucio Papirii con- tro Veletri direttamente condussero l'esercito. Uniti erano i veliterni co' pre- nestini, fra' quali eravi una stretta lega,, edice il Petrini nelle Memorie Prenestine, che vi andarono in tanto numero che quasi superarono gli abitatori della colonia di Veletri. Si venne a battaglia colla solita fortuna de' romani, e siccome la zuffa accadde vicino a Veletri, i vol- sci scorgendo il pericolo che loro sovrastava, con opportuna ritirata entrarono uella città , che essendo ben munita emeglio fortificata, i tribuni romani risolvet. tero di non cimentarsi in pericoloso as- salto, riconoscendo per dubbio l'esitodel- l'impresa. Di questa mossa furono più incolpati i prenestini ausiliari, che i veli- terni primi autori, per cui il senato pro- vocato da' tribuni sdegnati co' prenesti. ni, che nella pugna aveano mostrato più accanimentodegli stessi veliterni ,dichiarò loro la guerra wel 374 (nel 380 avanti l'era nostra dice Petrini). Questi uniti a' volsci ed a'veliterni formato un buon esercito, presero a viva forza Satrico co- lonia romana, già città volsca, usando contro il presidio romano grandissima crudeltà, per la sua pertinace difesa . Irritato il senato epopolo romano di questo fatto, subito crearono per la 6.ª volta tri- buno militare Furio Camillo, il quale combattè e vinse i nemici , riconquistan. do Satrico; vi perì il suo collega, giovine di troppo ardore che avea compromesso l'esercito. Quindi marciarono i romani su Veletri , ma furono costretti ritirar- si. MaNibby riporta l'iscrizione di elogio incisa sul piedistallo della statua eretta a Camillo, già riferita dal Cardinali, per aver trionfatode'volsci ancora,perciò eb- be per la 3.ª volta gli onori del trionfo. Querelavasi intanto la plebe romana con- tro il senato, perchè nelle guerre inces- santemente fosse consumata, prima a Sa- trico, poi a Veletri, indi a Tusculo, per impedirle di convocarsi per reclamar contro le continue gravezze. Nel 375 si eccitò quindi in Roma una specie di sedizione, anche per l'eccessivo rigore che si usava contro i debitori . Fatti perciò audaci i prenestini, coll'armi dierono il guasto al territorio Sabino, e predando la campagna romana, senza opposizione giunsero alla porta Collina. Un' azione così ardita spaventò i romani, e dimen- ticate le private dissensioni , a riparare la pericolante repubblica, tosto crearono dittatore T. Quinzio Cincinnato, che nomind maestro della cavalleria Aulo Sem- pronio. Radunato un buon esercito, i prenestini si ritirarono all'Allia nella lusin. ga di non esser assaliti, come luogo di ribrezzo pe' romani per la memorabile sconfitta ivi ricevuta da' galli. S'ingannarono, poichè i romani li assalirono con tal valore, che dopo breve combattimen to fogarono il nemico; indi espugnarono gli 8 oppidi o castelli de' prenestini, che formando la loro signoria, perderono co- sìle reliquie dell'antico loro regno. Il dit. tatore passòad espugnarePalestrina,l'eb. be per capitolazione, trasportò in Campidoglio la statua di Giove Imperatore, e ricevègli onori del trionfo. Rivolto l'e- sercito contro Veletri per conquistarla, come confederata di Preneste, Cincinnato l'espugnò dopo resistenza, e pare pri- ma di Preneste stessa e dopo l'espugna- zione degli oppidi ; non conoscendosi le condizioni imposte dal dittatore alla co- lonia veliterna ricalcitrante. Natagara in Roma sull'elezione de' consoli e le que- stioni delle leggi Licinie, per circa 5an- ni i romani trascurarono i più rilevanti affaridella repubblica. Da queste intesti- 272 VEL VEL ne discordie presero i veliterni occasione di mostrare il loro risentimento, e dive- nuti più animosi e invigoriti per l'ozio d'alquanti anni, prese l'armi scorsero più volte predando il territorio romano, e tentarono di conquistar Tusculo con as. sediarlo strettamente. Essendo i tusculani amici , anzi cittadini romani, a questi chiesero soccorso. In questo frangen. te furono creati in Roma nuovi tribu. ni militari , si fece leva di buon esercito e sollecitamente fu inviato contro i veliterni. Forzati essi a levar l'assedio, inse. guiti da' romani si rinserrarono in Veletri, e furono cinti da rigoroso assedio ; ma senza successo pel valore de' difenso- ri e la fortezza della munita città, ad onta che perciò fossero creati nuovi tribu- ni militari e tanto numeroso fosse l'esercito, che in Roma non si poterono adu- nare i comizi , pe' quali furono costretti sciogliere l'assedio che gli avea annoiati, onde dare il loro voto come cittadini romani, poichè le controversie tendevano a variare la costituzione della repubbli- ca. Ritornati i romani all'espugnazione di Veletri , se grande fu la loro costanza, nonminore fu la vigilanza e fortezza de' veliterni nel difendersi. Per 4 annisosten- ne Veletri quest'assedio con tutte le for ze de'romani, che allora non aveano al- tre guerre, cioè dal principio del 385 al 388. La diuturnità dell'assedio, l'ardore de' romani in tale impresa, tutte le loro forze riunite contro una sola città daniuno soccorsa, dice Bauco, sono tutte circostanze che mostrano la straordina- ria fortificazionedi Veletri , e il valore de' cittadini resi forti e costanti a'patimenti dall'amore della patria e della libertà. Al diredi Plutarco, quello che i romani non poterono ottenere con sì lungo e stretto assedio, alla fine senza forza d'armi e col solo nome eautorità di Camillo nello stesso 388 conseguirono. In quest'anno tor-- nati i galli a danno di Roma, Camillo creato di nuovo dittatore li sconfisse, in di senza combattere prese Veletri. Esisteva in questa città un'antica porta col nome di Furia, ed è costante tradizione che da questa vi entrasse Furio Camillo. Ma non solo la scorreria de' galli distol - se i romani dall'assedio, ma ancora le guerre contro gli ernici, i tiburtini, ed i tarquiniesi da' quali furono rotti, come racconta Nibby. Quanto fossero amanti della libertà e coraggiosi i veliterni , an- corchè la loro città fosse colonia romana, epochi anui prima da Camillo sottomes. sa, scorgesi dalla nuova mossa ostile che fecero uniti a'privernati nel 397 : questi due popoli nazionali e amici, investito il contado romano, lo devastarono e sac- cheggiarono. Aquell'epoca già andavasi maneggiando la celebre lega latina, che tendeva ad emancipare il Lazio e le al- tre regioni soggette a'romani. In fatti nel 415Lucio Annio setino e Lucio Numidio circeiese, sebbene le loro patrie fossero colonie romane, apertamente sollevaro- no gli altri popoli volsci , i latini e i cou- federati; ma per allora ricusarono l'uuio. ne i veliterni e segnini, stimando di non essere proprio del loro onore il guerreggiare a richiesta altrui. Nel 416 si mosse. ro i veliterni a difesa di Pedo, che da' romani assediata chiese l'aiuto loro e de'ti. burtini e prenestini, amici e confederati , a' quali poco dopo si unirono i lanuvinie gli anziati. Si diè battaglia, in cui i romani furono superiori, ma con poco profitto; perchè la città non fu espugna- ta, e gli alleati non patirono gran disastro. Però le altre genti volsche e latine avendo perdutola più bella gioventù nel- le precedenti rotte, erano divenute impotenti a formare campo, nè potevano sopportare il giogo dell'altrui dominio. Tanto più erano esse angustiate, perchè miravano quasi tutto il terrritorio della nazione, cominciando da Priverno fino al fiume Volturno che scorre presso te muradi Capua, esser già stato preso da' romani, distribuito e assegnato alla ple. be. Risolvettero perciò di non muovere più guerra, ma solamente d'accorrere in VEL VEL 273 aiuto di quelle città, cheda' romani fossero assalite. Da ciò si trae, che già la bellicosa nazione volsca era nella sua decadenza, ed in breve era per perdere la libertà e vedersi sotto il giogo romano, senza speranza di potersi più riunire in nazione. Si mossero intanto a soccorrere Pedo gli aricini , i lanuvini e i veliterni ; le schiere de'quali giunte presso il fiume Astura, furono all' improvviso, mentre univansi agli anziati , da Caio Menio combattute e sbaragliate nel 417 di Roma,se- condo Livio, e conseguenza della vittoria fu il conquisto di Veletri. Furio Camillo prese d'assalto Pedo e soggiogò quindi tutti i popolidel Lazio, sul contegno de' quali formò allora il senato un rigo- roso processo, dando ad ognuno a misu- ra della sua reità il meritato castigo; e quello toccato a' prenestini fu la diminu- zioned'altra porzione di territorio, anche in punizione d'aver aiutato i galli barbara nazione. Veletri forse come più poten- te dell'altre città e ripetutamente ribelle enemica a' romani concittadini, fu più severamente e senza pietà trattata. De- molite le sue mura, il senato veliterno fu abolito, trasportato in Roma e confinato ad abitare nella regione di Trastevere, colla pena emulta di 1000 monete o libbre comediceNibby, a chi fossegiuntodi quadal fiume, da pagarsi a quelli che gli avessero presi , in potere de'quali doveanorestare sino all'intero pagamento. Ad occupare le possessioni veliterne de'sena- tori , furono mandati altri coloni, in punizionedelle ripetute ribellioni, benchè cit- tadini romani, i qualicoloni mantennero in Veletri l'aspetto dell'antica popolazio ne. Madopopoco tempo decretò il senato la riedificazione delle mura della città, e che questa fosse ripopolata colla romana cittadinanza, con tutti i diritti e onori che prima avea goduto e comuni all'altre colonie. Privernofu trattata collo stesso ri- gore. Era Veletri città potente, popo- lata, forte e principale della nazione vol- sca; onde non è da meravigliarsi,se doVOL. LXXΧΙΧ. vette soggiacere a tanta sciagura. Per cagionedello sdegnode' romani versola città, essi incrudelirono ancora contro i tusculani, per averle nella ricordata guer- ra prestato aiuto. Abbassata pertanto e sottoposta Veletri a' romani, questi re- spirarono nel veder finite le guerre de' volsci, che furono i più feroci e potenti nemici di Roma. Dalla 1." guerra intra- presa da Veletri nel 127 di Roma con- tro essa sino al 417, la totale conquista della città costò a' romani il travaglio quasi di tre secoli, collo spargimento di non poco loro sangue. Dal marmo di Campidoglio che ne' fasti ricorda il trionfodi Menio, osserva Cardinali, che la to tale rovina e conquista di Veletri deve- si anticiparealmenoa' 30 settembre415, in cui quel capitano trionfo, o nel precedente agosto, perchè il canone cronolo- gico di que' fasti differisce da quello se- guito da Livio di due anni . Questa guer ra fu chiamata da Livio eterna, gravis- sima da Cicerone, e celebrata molto da' posteriori storici . Al console Caio Menio, oltre il trionfo, fu innalzata una statua equestre nel foro, dimostrazione rara in que' tempi. Liberati i romani da' viciui volsci e veliterni, poterono in breve tem- po stendere il loro dominio in altre par ti d'Italia e fuori ancora. In Roma lun- gamente esistette la memoria de' senatori veliterni, poichè tra le 7 curie del popolo romano, che traevano il nome dalle città, i di cui cittadini erano stati condot- ti in Roma, eravi la Curia Velita. Questa così appellossi dalla città di Veletri , perchè i di lei cittadini divennero parte di quel popolo, che signoreggiò a tutte le nazioni conosciute; ed in essa i veliterni si radunavano, come loro luogo distinto eparticolare. Il provvedimento preso dal senato romano per togliere a Veletri per sempre ogni ardire e possanza, e per rendersela soggetta e ubbidiente, fu molto accorto e politico. Togliendole i senatori, che costituivano le famiglie nobili, le più distinte epotenti, che regolavano i pub- 18 274 VEL VEL blici affari e la città dirigevano, il popolo restò come un corpo senza capo. Quindi in Veletri si presero altre deliberazioni, si deposero gli arditi pensieri di tentare nuo- ve imprese, si risolvette d'acquietarsi, d' uniformarsi alla fortuna, edi rendere a Roma quell'ubbidienza che ormai da buona parted'Italia cominciava ariscuotere. Veletri adunque già colonia romana, riputossi d'una condizione anche illustre per la nobiltà e pel decoro del po. polo romano, di cui faceva parte, onde restò contenta di aver con esso comuni gl' interessi, e si uniformò alle leggi romane. Il governo di questa città dopo il di- scioglimento del regno volsco fu di repubblica aristocratica regolata dal ceto de' cittadini nobili, i quali formavano il corpo de' senatori. Nella già discorsa la. mina volsca si rileva che in questa città esisteva un supremo magistrato appellato Medi X. Non si può certamente conget. turare, se egli sia stato nel regno volsco, oallorchè questa città reggevasi in forma di repubblica. Soggiogata Veletri dalla potenza romana,fu regolatoil governodel la medesima a norma degli stabilimenti di quella repubblica. Nelle colonie romane i consoli a differenza di Roma chiama- vansi Duumviri, e il senato dicevasi Curia, i senatori denominandosi Decurioni. E siccome nell' elezione de'senatori romani aveasi riguardo al valore del patrimonio, così anchepraticavasi nell'elezione de'de- curioni della colonia, le facoltà de'quali doveano ascendere a 100,000 sesterzi. In diverse lapidi , riferite con altre dal Bau- co, si fa menzione del governo de'duum. viri in Veletri . Da esse si apprendono pure gli altri pubblici magistrati ed uffi- ci di Veletri, cioè la prefettura de' fabbri, che dovea essere in moltastima,pregiandosene que'che giungevano a godere l'onore del duumvirato, ed equivaleva a'consoli o altri primari uffiziali delle posteriori università artistiche. Vi erano an co i maestri quinquennali de'collegi de' fabbri, tignarii ec., l'ufficio de quali du- rava 5 anni . Esisteva il magistrato che presiedeva a'giuochi ne'quali esercitava- si la gioventù, Curator lususjuventutis. Vi era ancora l'avvocato della colonia, Patronus Colon. ,residente in Romaa tutelarne gl' interessi e affari, come principali cittadini della metropoli. Tra gli al- tri magistrati di cui è memoria ne'marmi scolpiti, eravi il pretore a cui appar- teneva il giudicar le liti e controversie che fra'cittadini insorgevano; edil que- store che avea cura del pubblico erario ; il principe e il rettore o difensore della curia, magistrato urbano eletto per suf- fragi de' principali decurioni. Veletri di- venuta fedele a'romani, nelle più critiche epericolose circostanze colle sue forze concorse alla difesa della repubblica. Così quando Pirro re d'Epiro venuto in Italia a' danni di Roma, dopo aver soggiogato la Campania, trovò in Veletri il termi- ne delle sue conquiste e delle sue vittorie. Questa città fu un forte propugnacolo per Roma; e giunto sin qui ritirossi prontamente all'avvicinarsi de'due eser- citi consolari. Le vaste conquiste de' romani li portarono a cimentarsi co'cartagi- nesi, anclı'esso popolo dominatore,il quale capitanato dal famoso Annibale nel 534 di Roma si portò ad assalir questa. Per affrontarlo, raccogliendo i romani soldatesche da tutta l' Italia, anche Veletri somministrò le sue, che insieme ad altri popoli furono condotte da Scevola capi- tano celebratissimo (ciò riferendo Silio Italico,poeticamente qualificò Velletri , incelebri miserunt valle; ed il suo commentatore Marso spiegò, una volta igno- bile enonfrequentata. Baucogiustamente li confuta, collatopografica situazione di Velletri, posta sopra vari elevati col li, che dominano tutte le sottoposte pianure sino al mare Tirreno, e colla storia narrata prima di Silio, da Dionisio e da Livio, i quali dichiararono Velletri , Splendida volscorum urbs magna po- pulosa .... nobilis ejus gentis velitris. VEL VEL 275 Quibus adscriptis , speciem antiquae frequentiae Velitrae receperunt, cioè prima edopod' essere stata vinta da'ro- mani). L' esercito romano venuto a bat- taglia presso Canne fu interamente disfat to; non ostante, seguitarono i veliterni aprestare ogni soccorso d'armi a'roma- ni contro il fulmineo Annibale. Questi inorgoglito da'trionfi , audacemente s'av- vicinò a Roma coll'esercito, saccheggian- do e depredando i dintorni nel 539, te nendosi lungi da Veletri, i cui cittadini in tale anno fecero parte dell'esercito ro- mano nell' assedio di Capua. Allorchè fu dato a questa città l'assalto, il dìinnanzi che si arrendesse, il valoroso Caleno capitano, uscito fuori a danno degli aggres sori , fra gli altri uccise un veliterno, ed egli pure vi restò estinto; e nel dì seguen te i romani entrarono vittoriosi in Capua. Ardendo ancora la guerra contro i car- taginesi, nel 548 accadde in Veletri un disastroso terremoto, e fu così tremendo che nonsolo ne restò commossa la cittàcol territorio, ma si aprirono profonde vora- gini, restandone assorbiti piante e alberi. Tre anni dopo furono tocchi dal fulmine i templi d'Apollo e di Sango, e in quello d'Ercole nacquero capelli; pretesi o esage rati prodigi di sopra ricordati. Nel 552 danni orribili recò a Veletri altro terre- moto,aprendosi la terra per lo spaziodi 3 jugericon grande e profonda caverna,ch'è quanto dire un tratto di terra lungo pie. di 720 e largo 360, ovvero 86,400 piedi quadrati, perciò spaventevole sprofon- damento. OsservaNibby, che essendoVeJetri situato in un suolo vulcanico, andò soggetta ad un avvallamento simile a quello avvenuto nel 1837 in Albano, do. po le grandi pioggie della primavera e dell'inverno. Altro notabile avvallamen- to avvenne poco prima del 1850 nelle campagne di Sermoneta. Frattanto per lafamosa legge Semproniadi T. Sempro- nioGracco, che fu cagionedi sua morte e d'infelicissime conseguenze, nel 620 per la nuova divisione delle terre ebbe altra colonia anche Veletri, come già notai. Nella guerra Sillana non si fa menzione di Veletri, nè ciò è strano, stando la cit- tà affatto fuori di strada, e non essendo fortificata, non potè offrire attrattive nè pel partito di Mario e nè per quello di Silla. Nel rimarcarlo Nibby, dichiara che dopo lo smantellamentodelle mura fatto verso il 417, non trovò indizi di rial- zamento di mura, almeno fino a' tempi d'Augusto. Alla fine della repubblica romana Veletri divenne più celebre per aver data origine a Caio Ottavio Turino, o Cepia, nato dopo l' adozione dello zio Giulio Cesare col nome d'Ottaviano (come nato dalla figlia di sua sorella Attia o Azzia aricina,perciò gloria anchediRiccia oAricia, come notai in quell'articolo), e dopo ilsuo innalzamento con quellod' Au- gusto; non che egli nascesse in Veletri, comemolti pretendono,giacchè Svetonio nella sua vita chiaramente dimostra, che venne alla luce in Roma, nella regione del Palatino, ma perchè veliterna era la gente Ottavia,alla quale apparteneva. Co- sì il Nibby. Ma il Bauco distesamente ra- giona d' un personaggio che signoreggio lungamente econ tanto senno il mondo, e che di Veletri fu e sarà l' ornamento e la gloria. Egli annovera per prima tra leprerogative che rendono celebrata Ve letri, quella d'aver dato origine alla stir- pe degli Ottavii , dalla quale discese Otta- viano Augusto 1. imperatore del mon. do, e credesi d'avergli dato anco i natali . Che la famiglia Ottavia abbia avuto la suanobileantica origine da Veletri, l'andai col benemerito ed eccellente patrio storico dicendo. Imperocchè una contra- danella più celebre parte della città chia- mossi Ottavia, ora Castello per esser il sito più elevato e ove esiste il Vico Otta vio, ivi essendo stato eretto il suddetto altare consagrato a Marte da uno degli Ot. tavii. Bauco riporta tutti gli autori prin . cipali che ne scrissero, fra'quali Domeni- ço Magri che chiamò Veletri: potentis- sima città volsca, efortunatissima patria 276 VEL VEL della gente Ottavia nata per governare Roma, anzi il mondo tutto. Il cognome di questa famiglia si vuole derivato dal numero d'otto figli, come le stirpi Quin. zia, Sesta e Decia furono così dette, per- chè il loro autore nell' ordine della ge- nerazione era il quinto, il sesto, il deci mo: così gli Ottavii furono con tal nome chiamati, perchè l'autore di questa stir- pedall' ordine della generazione ebbe il pronome di Ottavio. Già dissi comeda' re di Roma la genteOttavia fu annoverata fra le famiglie romane al senato, e fra le patrizie; ma col decorso del tempo pas- sò fra le plebee. Dopolunga serie d'anni per opera di Giulio Cesare tornò di nuo- vo a figurare nelle patrizie. Caio Rufo fu il 1. di questa stirpe, eletto per voti delpo- polo alle magistrature, essendo già stato questore. Ebbe due figli Gneo e Caio, da' quali discesero due famiglie degli Ot- tavii di diversa condizione. Poichè Gneo e tutti i suoi discendenti ebbero grandis- sime dignità , enumerate da Bauco ; ma Caio e i di lui posteri o per umani ac- cidenti , o per propria volontà si rimase- ro nell'ordine equestre sino al padre di Augusto. Gli Ottavii della stirpe di Caio, dalla quale quel grande discese, seb- bene continuamente dimorassero in Veletri, pure non furono affatto privi de gli onori della repubblica. Caio Ottavio III, proavo d'Ottaviano Augusto, fu tribuno militare in Sicilia nella 2. guer- ra contro i cartaginesi. Caio Ottavio III, avo d' Augusto, fu contento di godere in Veletri sua patria le pubbliche magistra ture e gli agi del suo ricco patrimonio: giunto alla vecchiezza, ivi finì i suoi gior- ni . Il suo figlio Caio Ottavio innalzò co' propri meriti la sua casa, avendo lode- volmente esercitato le cariche di tribuno, questore, edile, giudice, senatore, e final- mente proconsole o pretore col governo della Macedonia, disfacendo nel recarvisi a Turi (per cui fu imposto il cognome di Turino ad Augusto, prima avendo quello di Cepa), d'ordine del senato, ifuggitivi avanzi dell' esercito di Spartaco edi Catilina. Governò la provincia con giustizia e valore, perchè in un gran conflitto fu. gò ibessi e i traci. Partito di Macedonia, mori all'improvviso in Nola nell'anno di Roma690, e dipoi dal figlio Augusto gli fu eretto nel Monte Palatino un arco magnifico. Egli dalla sua 1. moglie Anca- ria ebbe soltanto Ottavia maggiore, pri ma moglie di Marcello personaggio con- solare, e poi del triumviro Marc' Anto- nio; di rara bellezza esavissima. Da Marcello essa ebbe il celebre Marcello, immortalato daVirgilio, che Augusto desti- nava a succedergli, ed a lui intitolò il Teatro di Marcello (V.). La morte del figlio pose Ottavia in profonda malinco- nia, e allora cessò in parte d' esser sag- gia, per odiare tutte le donne nadri , e non permettendo che si pronunziasse il nome di Marcello alla sua presenza. Ma quandoil principe della poesia latinaVir- gilio, si propose celebrare Augusto per eroe della sublime epopea dell' Eneide, nel legger l'episodio commovente della morte edell'elogio del giovaneMarcello, Ottavia cadde in deliquio; riavutasi, ordi- nò che si contassero a Virgilio dieci sesterzi per ogni verso di tale episodio che ne ha 32. La sommaeraallora enorme; tuttavia il suffragio d'Augusto e del suo illustre corteggio di scrittori, le lagrime d'una madre sorella del signor del mondo, erano d'assai maggior pregio agli oc- chi di Virgilio che tutti i tesori del mon- do. Ottavia riuscì a temperare alquanto il furore de' triumviri M. Antonio e Ottaviano, ed anche a riconciliarli ; ma non potè impedire la rottura dopo che M. Antonio prese a trattarla male in forza della sua indegna passione per Cleopa- tra, e divenne il pretesto della guerra per disputarsi tra il fratello e il marito la si- gnoria del mondo. Ella per altro conti- nuò ad amare M. Antonio, e morto lo pianse etrattò i figli di lui come suoi pro- pri. Ottavia diede il suo nome ad una bi- blioteca, probabilmente quella d'Apollo VEL VEL 277 sul Palatino,ad una piazza pubblica, adun portico, per volere d'Augusto; porticoche eretto presso il Teatro di Balbo eil Tea- tro di Marcello, in questi articoli ne ri- parlai . Caio Ottavio restato vedovod'An- caria, passò alle seconde nozze con Attia figlia di M. Attio Balbo e di Giulia sorel- la di Giulio Cesare dittatore della repub- blica romana. Da questo nacqueroOtta- via minore, e Caio Ottavio detto poi Ot. taviano Cesare Augusto, che al colmo dell' umane grandezze innalzò la sua ca- sa, e acquistò l'impero di Roma, per cui in quell'articolo ne celebrai i fasti e il secolod'oro di sua epoca, e meglio nel campo imunensurabile della storia di questa voluminosa ed enciclopedica mia opera. M. Antonio cognato, nemico e competi- tore dell'impero di Augusto, comescrive Svetonio, bassamente gli rimproverò per emulazione e invidia l'origine paterna d'aver avuto il bisavolo fornaro e l'avo banchiere ; e l'origine materna, dicendo che il bisavolo fosse africano, e che in Aricia esercitò l'arte ora di molinaro e ova d'unguentiere. Malignità tutte che si respingono cogli storici, che scrivono Au- gusto discendere da famiglie paterna e materna illustri e nobili. Piace a Bauco di spaziare alquanto sul racconto della nascita d' Ottaviano Augusto, sulla que- stione s' ebbe i natali in Roma o in Ve letri , riportando i discrepanti sentimenti. Che sia nato in Veletri, l'asseriscono gli storici veliterni Theuli e Borgia, addu- cendone prove di vari scrittori, benchè dice Borgia co'giuristi che si contrae l'o- rigine da una città anche pe' natali del padre; altri scrittori aggiunge Bauco, ripetendo col Volpi, essere Augusto veliterno per origine e educazione ch'ebbe in Veletri, e col cardinal Borgia nipote dello storico, essere oriundo da Veletri e rimasto poi privo del padre fu educato presso la madre, secondo Dione. Vicino a Veletri era tradizione, e si mostrava il luogo ove Augusto era stato nudrito, coll'opinione che quasi ivi fosse nato.D'altronde Svetonio, riferito pure da Nibby nella Roma antica, par. 2. , p. 399 е 407, descrivendo il Palatino, dice che in esso pel r . vi ebbe casa Gneo Ottaviocon. sole nel 58g di Roma, cospicua e piena di dignità, senza rilevare s' era della fa- miglia Ottavii (però tale lo trovo nell'albero genealogico della famiglia Ottavia, presso Bauco). Bensì di questa Caio Ot- tavio padre d' Augusto anch' egli avea casa sul Palatino nella punta che domina l'odierna Chiesa di s. Anastasia. Ivi nacque Augusto a' 23 settembre l'anno di Roma 691 , nella contrada ad Capita Bubula, dove fino a'giorni di Svetonio mostravasi la camera in che era nato, ridotta a sacrario. Con più dettaglio lo racconta pure Bauco, con Volpi che diversamente interpreta il testo del greco Dio. ne, che seguì il sentimento di Svetonio. Nacque Augusto nella mattina, in cui trat- tavasi in senato la congiura di Catilina. Caio Ottavio avendo tardato a recarsi in senato, ricercatonedisse essergli nato un figlio. Allora Publio Nigidio Figulo senatore, celebre matematico e astrologo, presagì l'impero d' Ottaviano, esclamando essergli nato il signore del mondo. Caio Ottavio ne fu così dolente, temendo che Roma perdesse la sua libertà, che determinato d' uccidere il figlio, Publio lo distolse dalla barbara risoluzione. Racconta Svetonio, che Ottaviano ancor fan- ciollo fu nudrito e educato in una villa de' suoi avi presso Veletri in piccola stan zetta, poi tenuta da'gentili in grande ve- nerazione, ch'esisteva a suo tempo (mori nell'89t di Roma) ; ecome fanciullo im- pose a' ranocchi di cessaredal gracidare. Ciò ho riferito ne' paragrafi Cisterna e Giuliano, perchè si vuole che succedesse. ro ad Ullubra, ritenuta per il luogo ov'e- ra la villa in cui fu educato Augusto. Di 4 anni perdè il padre, e pupillo restò sot- to la tutela e cura della madre e di L. Filippo suozio paterno. Cresciuto poi in età, visse presso Giulio Cesare zio di sua madre, il quale moltol'amò e molta cu 278 VEL VEL ra ne prese, per esser privo di prole e per aver concepito grandissime speranze di lui. Presto fu istruito nelle lettere greche e latine, e di 12 anni fece un'orazione in lode della defunta Giulia sua ava; di 15 dal prozio dittatore fu adottato per testamento edichiarato suo erede. Pel tra. gico avvenimento di Giulio Cesare, a un tratto e di 18 anni Ottaviano comparve nella scena del mondo per farvi la figura principale ; dico scena perchè egli stesso in morte domandò a quelli che lo cir condavano, se avea bene rappresentato la parte sua nella commedia della vita, come a suo luogo narrai, e per ultimo nel vol . LXXXV, p. 242. Non ebbe figli da 4 mogli, tranne la figlia Giulia, emori a Nola nella stessa camera e nel medesimo letto dov' era morto Caio Ot. tavio suo padre ; di 66 anni e nel 753 di Roma, in che non sono d'accordo col Bauco quegli storici, co' quali procedei nel registrarne le principali azioni e im- prese nel citato articolo ; venendo deposto in quel mausoleo che descrissi nel vol. LXIV, p.141 . Tacque Virgilio disua stirpe, per l'adulazione colla quale lo fa discendere da stirpe divina e lo chiama Dio, forse per aver Augusto detto di se stesso, dopo aver collocato fra gli Dei Giulio Cesare suo padre adottivo e avergli dedicato il Tempio di Giulio Cesare (V.): Divi Julii se filium esse; e Divi genus. Passa il Bauco ad esaminare l'erudita questione, per fissare il luogo ove fu educato Augusto, alimentata da'versi d'Orazio, e dall' iscrizione composta da unveliterno pel rinvenimento dell'acqua viva nel piano di Faggiola condotta in città nel sito appellato Ulubrio, e posta pel pubblico palazzo. Il Bauco riferisce i pareri sul vocabolo Ulubrio, se indica Ulubra degli antichi, della qual città si disputa il luogo ove sorgesse. Alcunidico. no nella pianura di Faggiola confinante con Nemi, altri vicino a Cori o a Sermo neta, altri a Cisterna, altri nelle Paludi Pontine. Il veliterno Laudi pel mss. delie cose di Veletri, opina che l'educatorio d' Augusto fosse situato poco lungi da Veletri nella contrada s. Cesareo, ora ridotta a cultura di bellissime vigne. Ed il celebre archeologo Cardinali nell'Iscrizioni Veliterne, nell' illustrare il frammento d'una riguardante Ulubra, trovata nel patrioterritorio presso il ponte dell'Incudini e indi riposta nel palazzo pub- blico, conclude che Ulubra sia stata nella detta contrada dell'Incudini, e che ivi fu educato Augusto. Ma Bauco propende a credere che l' educatorio d'Augusto, da Svetonio designato in una villa de'suoi avi presso Veletri, fosse nel luogo detto s. Cesareo, appunto per essere vicino a Veletri esito ameno, enon mai in Ulu- bra esistente a' tempi di Svetonio presso una palude in aria pestilenziale ; ne fan- no prova i magnifici avanzi d'antichi edifizi, e il riuvenimento di molte medaglie d'Augusto, e d'una sua testa con corona civica ivi scavata; e neppure nella contra- dadell'Incudini 3 miglia lontana da Veletri, non essendovi memoria che ivi ab. bia esistito Ulubra e senza vedervi segna dipalude, nè di territorio, perchè Velle- tri l' ebbe sempre estesissimo. Con più ragione potrebbesi pretendere l'esistenza d'Ulubra vicino a Cori, perchè in tal città fu trovato il marmo di Spira donna ulubrana, che a sue spesededicò un'ara a Bacco ; e di più Sermoneta pel marmo ivi esistente che parla d'un pubblico ma- gistrato d'Ulubra, e più ancora Cisterna dov' esiste altra lapide che fa menzione di magistrature di detta città, e maggiormente per essere le due terre confinanti colle Pontine. Nel 753 dalla fondazione di Roma e nell'anno 30.º circa dell'ım- pero d' Augusto, accadde lo strepitoso e glorioso avvenimento della salutifera nascita del Salvatore del mondo Gesù Cristo, il più celebre e memorabile del suo regno, che dando principio all'Era Cristiana o volgare o nostra, questa ora se- guirò coll'avvertenza notata nel vol. LVIII, p. 211. Il can. Bauco stima ag VEL VEL 279 cora esser gloria singolare per Veletri l'essersi degnato il Redentore dell'uman genere e Signore supremo dell'universo, nascere sulla terra sotto il dominio d'un personaggio di stirpe veliterna. Laceleste dottrina insegnata dal Figlio di Dio e la cristiana religione da lui fondata, dopo la sua morte fu predicata e sparsa dagli A. postoli e discepoli di Lui per tutto il mon- do conosciuto. Stimasi, che presto pene trasse in Veletri questa divina religione; fortunato avvenimento di cui però nou si può rintracciare l'epoca certa. Da fondate congetture si conosce, che ne❜primi tempi della Chiesa quivi sia stato annun. ziato l'Evangelo: la vicinanza diRoma, dove s. Pietro principe degli apostolista bili la sua cattedra, mostra la possibili. tà non che la certezza d' aver Veletri ricevuto il lume della fede contemporaneamente a Roma. I successori d' Augusto, nella maggior parte non lo somigliaro- no, e la lorocrudeltàe corruttela, l'anar chia delle milizie pretoriane, degenerato il popolo romano nella mollezza e neʼvizi, prepararono la dissoluzione dell'impero. Assalito questo in più provincie, Costantino I per meglio difenderlo, dopo aver concesso il libero esercizio alla religione cristiana, trapiantò la sede dell'impero a Bisanzio, per lui denominata Costanti. nopoli; così la divina Provvidenza preparaudo a' Papi la sovranità di Roma, onde dal Vaticano ( V.) governare liberamente il cristianesimo. Presto però essa divenne seguo all'irruzioni, alla fierezza, alla devastazione e depredazioni de'bar bari, meutre l'impero era stato diviso in Occidentale e in Orientale. Pelr .°nel410 l'assali e saccheggio Alarico re de' Goti. Quindi partendo alla volta di Napoli, mi. se a ferro e fuoco tutti i luoghi ch'erano presso la via Appia, fino a Cosenza, dove morì carico di ricchissime spoglie. I veliterni che mantenevano ancora lacittà nel suo splendore, ove continuavasi a dare giuochi anfiteatrali, secondo Nibby, sog. giacquero alle stesse crudeltà e rovine. Essifurono anzi i primi a provare gli spaventevoli e desolanti effetti della gotica barbarie, durante anche l'assedio di Roma per le continue scorrerie che da' goti nel loro territorio facevansi; onde i veli. terni, abbandonata la città, rifuggironsi con altri popoli nelle vicine montagne, in luoghi inaccessibili e nascosti persottrarsi dall' ultimo esterminio. Nel pontificato di s. Leone I il Grande e nel 452 com- parvero nell'Italia gli Unni, popoli feroci condotti da Attila, il quale alle rimostranze di quel Papa si ritirò,con formidabile sterminio de' luoghi per cui passò. Nel 455labella penisola fu straziata da Genserico re de' Vandali, il quale dopo aver invaso l'Africa, con numeroso esercito saccheggiò Roma, ponendo a ferro e fuoco il Lazio per tutta quella parte che abbraccia le provincie di Marittima e Cam. pagua, Veletri e tutti gli altri paesi cui transitò o si recò. I veliterni nuovamen- te abbandonata la città, tornarono a na. scondersi fra le balze deʼmonti, come facevano gli altri popoli per salvare la vita. Dicesi ,al riferiredi Bauco, che in que- sta fatale occasione si fabbricassero rocche sopra le più scabrose e inaccessibili rupi. Non passarono molti anni, che calato in Italia Odoacre re degli Eruli, nel 476in Ravenna diè fineall'impero d'Oc cidente, e quindi occupò Roma: nuovi guai non saranno mancati a Veletri sotto il nuovo barbaro invasore, proclamato re d'Italia. Ma fissando poi la sua sede in Ravenna, Roma rimase sottoposta all'impero d'Oriente, il quale governandola co' luogotenenti, le sue città e provincie limitrofe formarono il ducato romano, di cui feci cenno nel principiodi quest'articolo; in tal modo la Provvidenza an- dava maturando i destini di Roma pa- pale, perchè divenisse pacifico e princi- pescodominio della s. Sede e de' Papi.Iutanto Teodorico re de'goti, mal soffrendo che Odoacre regnasse in Italia, l'assa- liegli tolse regno e vita in Ravenna nel 493, facendosi gridare re d'Italia, e do 280 VEL VEL minò pure in Roma. Nel secolo seguente Giustiniano I imperatore d'Oriente a mezzo del valoroso Belisario ricuperata l'Africa da'vandali, determinò col mede. sino capitano di fare il simile coll'Italia e l'impero d'Occidente. Rapido fu il con- quisto di Belisario, spontaneamente a lui arrendendosi le città per cui passò, com- presa Veletri , entrando in Roma a'10 di- cembre 536 o 537. Veletri provvide il di lui esercito con molte vettovaglie, di cui penuriava ; e si vuole che Belisario vi dimorasse qualche giorno prima d' avviarsi a Roma, per interpellarne il senato e porsi con esso in intelligenza onde gli aprisse le porte. Assunto al regno de' goti Totila nel 541, questi sconfisse più volte i greci eserciti di Giustiniano I, e riprese Roma nel 546 ; quindi non fu poco il danno che ne risentì Veletri perle continue scorrerie de' barbari, che vi si recavano a predare. Pervenuti i goti ad impadronirsidi nuovo di tutte le cittàdel Lazio, Veletri tornò a gemere sotto il loro giogo ; finchè Giustiniano I nel 552 spedì in Italia con poderoso esercito Nar- sete, il quale vinse e disperse i goti , colla morte di Totila, riconquistò Roma con tutto il Lazio, e nel 553 il rimanente d'l- talia , terminando la dominazione gotica colla vita dell'ultimo loro re Teia. Re- spirò Veletri tornata sotto il dominio im- periale, poichè ella fu una delle città più maltrattate da'barbari, per aver soccorso l'esercito capitanatoda Belisario.Nè man- cò di prestare que'servigi che potè a Narsete, dal quale venne ricompensata e pri vilegiata sopra tutte l'altre città. Fin da quel tempo si vuole che Veletri fosse esentata dal governo del prefetto di Ro- ma. Governavasi essa co'suoi propri ma- gistrati , colla soggezione immediata allo stesso imperatore e a'suoi ministri. Benchè sempre e spesso Veletri abbia avuto liti e controversie sopra la giurisdizione, col prefetto o duca, senato e popolo romano, secondo gli storici veliterni, de v'essere obbligata a Giustiniano I, e a Narsete suo generalissimo e luogotenente in Italia, per avere concesso a Veletri il privilegio della libertà imperiale, per cui usa nel discorso stemma l'epigrafe : Est mihi libertas imperialis. Narsete schernito, come eunuco, dall'imperatri- ce Sofia moglie di Giustino II, preso da vendetta, si dice, che a tradimento chiamòin Italia i Longobardi, condottivi dal re Alboinonel 568. Questibarbari in progresso di tempo occuparono quasi tutta l'Italia, governandola per mezzo di duchi , e stabilendovi il governo feudale. Al- lora tutte le città italiane soggiacquero a un totale cambiamento nelle leggi enegli statuti , perciò nella forma di gover- no. Ne' secoli successivi probabilmente venne in Veletri introdotto il magistrato di due consoli, con grande autorità. Frattanto all'infestazioni e scorrerie colle qualii longobardi travagliavano i luoghi circonvicini a Roma, massime quandonel 589 re Autari mise a sacco e deva- stò tutti i luoghi vicini a Roma, nell' audareda Spoleto a Benevento e fino a Reggio ; si aggiunsero le calamità dell'inon- dazioni e del contagio, restando vittima di quello dell'inguinaia Papa Pelagio II nel 590 ; la peste non cessando che nel pontificato del successore s. Gregorio I il Grande. Egli impedì che Agilulfo re de' longobardi nel 593 espugnasse Roma da lui assediata ; ma i barbari si sfogarono con chi capitava loro alle mani crudelmente, devastando la campagna e i din- torni di Roma, Da una lettera di s. Gregorio I rilevasi, che i longobardi giunsero anche in Veletri, ingiungendo a Giovanni vescovo della città, che ad evitare il furore de' barbari trasferisse la sua sede in un luogo meno esposto della diocesi, ov'egli e il popolo potessero essere più si- curi dall'incursioni nemiche. Provvido fu il pontificio consiglio, poichèAgilulfo co' suoi longobardi cagionarono per la via Appiain queste contrade gravissimi danni, e fra le città che ne rimasero deserte, quella vescovile di Tre Taberue allora re VEL VEL 281 stò affatto desolata e distrutta. Trovo in Nibby, che s. Gregorio I possedeva fondi nel territorio di Veletri , in quel tempo chiamata Bellitri, e lidonò alla Chiesade' ss. Gio. e Paolo di Roma, i quali sono ricordati nelle tavole dell'atto di tal do. nazione esistente nella sagrestia di detta chiesa ; cioè i fundi Mucianus, Casconis, Praetoriolus, Casacatelli, Altri fondi possedeva nel territorio veliterno s. Gre gorio 11, che donòdopo il 715alla basilica Vaticana, come si apprende dalla lapide esistente nel portico della stessa basilica, i quali furono particolarmente destinati ad alimentare i lumi che ardonointorno al sepolcro di s. Pietro. Essi erano : nella Massa Victoriolae, l' oliveto nel fondo Rumelliano, quello nel fondo Ottaviano, Nella Massa Trabatiana, l'oliveto nel fondo Burreiano, quelli ne'ſondiOppia. no, Giuliano, Viviano, Cattiano, Solificiano, Palmi, Sagari, Sartariano, Cania. no e Carbonaria. Nella Massa Caesariana, gli oliveti ne'fondi Florano,Prisciano e Grassiano, Pascurano, Variniano e Cesariano. Nella Massa Pontiana,gli oliveti ne'fondi Ponziano, Casaromaniana, Tat tiano e Casaflorana. Nella, Massa Steiana, gli oliveti ne'fondi Barrano, Cacela no, Ponziano, Aquiliano, Steiano e Cassi. Finalmente nella Massa Neviana, gliolivetine'fondi Arcipiano, Corneliano e Ur- sano. Questa nomenclatura non solo di- mostra la molteplicità de'fondi del terri- torio veliterno nel principio del secolo VIII, quanto allora fosse coltivato ad olivi, ma ancora la probabilità che alcuni vocaboli derivino da possessioni della gente Ottavia e di Augusto. Ragionando dell'origine della Sovranità della s. Se- de e de' Papi (V.), narrai a' loro luo- • gi , che i Papi da gran tempo erano i padri e i protettori de'romani e de'popoli circostanti, e anche più lontani, in ogni maniera beneficandoli colle incessanti loro cure ; mentre che essi abbandonati alla furia de' longobardi da'greci impera- tori, solamente ne' Pontefici riconoscevano tutela e soccorso. Aquesta negligenza degl' imperatori di Costantinopoli nel pontificato di s. Gregorio II si aggiunse la persecuzione religiosa. Per P'eresia degl'Iconoclasti, disprezzatori delle ss. Inmagini (V.), l'empio imperatore Leone 111 l'Isaurico se ne mostrò fanatico pro- pugnatore, sino ad attentare alla vita di s. Gregorio II che ne difendeva il culto. Stanco il Papa dell'inutili ammonizioni, scomunicò l'imperatore verso il 726, as- solvendo gl'italiani dal giuramento di fe- deltà fatto a quell' eretico, e da'tributi. Fu allora che ribellatisi i popoli, molte città si eressero in signoria, e il ducatodi Romacon 7città della provincia di Cam pagna spontaneamente si sottoposero a Papa s. Gregorio II, e perciò sotto di lui ebbe principio il dominio temporaledella Chiesa romana. Fra le altre cittàe luo. ghi che ne imitarono l'esempio, tra le prime vi fu anche Veletri, la quale scosso il giogo de' greci , volontariamente si sottonise al dominio sovrano de' Papi, a' quali ubbidiente e fedelissima sempre si mantenne ; onde per la costante fedeltà in gravissime occasioni dimostrata, e per gli aiuti alla s. Sede prestati, meritò so- pra tutte le altre città del Lazio favori e privilegi, e di rimanere nella sua antica libertà, al dire di Bauco; aggiungen. do, che all' anzidetto privilegio di libertà imperiale fu aggiunto l' altro di libertà papale per grazia di s. Gregorio II nel 730. Il simile avea dichiarato Alessandro Borgia, coll'autorità del mss. di Clemente Erminio Borgia ; notando, che quindi nell'arme patria fu alla gloriosa epigrafe unita la parola libertà papale, Papalis. Avverte il cardinal Borgia, che il ducato romanoabbracciava le terre diCampania o provincia di Campagna, non già quelle ora conosciute col nome di Marittima, come Veletri e altre ; però sino al secolo XI la Campaniaabbracciava pure la Ma- rittima. Laonde non deve recare meraviglia se ne' diplomi di conferma e do- nazione alla s. Sede di CarloMagno, Lo. 282 VEL VEL dovico I e altri imperatori, non viene ricordata la provincia di Marittima, mala sola Campania, che la comprendeva ed a cui era unita. Si può vedere il Cenni,Mo numenta Dominationis Pontificiae, t. 2, p. 139, ed il Cohellio, Notitia Cardina- latus, p.1182119. Divenuti i Papi sovra- ni temporali, i fasti del Pontificatosicom. penetrarono con quelli del Principe, e non ponno separarsi ; imperocchè alla somma podestà sacerdotale nel presente ordine di cose è congiunta e inviscerata la podestà temporale. Nell' 800 s. Leone III ristabili l'impero d'Occidente, ene in. coronò imperatore Carlo Magno.

 Elevato nell'827 al pontificato Gregorio IV, i Saraceni maomettani della Sicilia e Calabria infestando sino dall'821 miseramente le spiagge d'Italia e di Marittima, con ladronecci e facendo Schiavi i cristiani , il Papa riedificò, fortificò e cinse di nuove e alte mura la città di Ostia, riducendola ad antemurale di Roma e de' dominii ecclesiastici , potendo i barbari navigare a danno di essa pel Tevere. Non poco fu il danno che dalle scorrerie di questi barbari ne pati Velletri , poichè spesso e all'impensata i cittadini venivano sorpresi alla campagna e condotti in dura schiavitù ; oltre il bottino ch'essi facevano de' bestiami, biade e altre vettovaglie. Per evitare tanto disastro nella campagna furono fabbricate alcune torri ben elevate e forti, che servivano perdare rifugio a'coltivatori de'terreni, e per dare ancora il segnale co'fuochi alla città di notte, e col fumo di giorno ; onde accorressero i cittadini armati , per combattere e respingere sì fieri e fanatici nemici del nome cristiano. Di simili fortificazioni senemirano ancora nella tenuta di Lazzeria, e nella possessione detta de' Monaci. Nel pontificato del successore Sergio II del 1'844 crebbero le calamità da' saraceni recate a Roma e alle provincie di Marittima e Campagna ; giacchè que' barbari annidatisi in Gaeta ebbero comodo di travagliare miseramente queste contrade. Ma s. Leone IV, eletto nell'847, cinse di mura il Vaticano, vi comprese la basilica di s. Pietro, per impedire agli audaci saraceni di depredarla, e recatosi ad Ostia, con battaglia navale li disperse edistrusse. Indi PapaGiovanni VIII del1'872 molto operò contro i saraceni, avendo formato forse il 1." navilio della militare Marina Pontificia, argomento che in tanti luoghi trattai ; e assai di più operò il coraggioso Giovanni X,chenel 915 alla testa delle milizie papali li cacciò e sterminò dal castello di Garigliano loro propugnacolo, contribuendovi gli aiuti de' suoi fedeli sudditi e precipuamente de' marsi, equicoli, ernici e veliterni, al modo narrato neʼricordati articoli. Non so. lamente Velletri, ma tutto il Lazio si rallegrò dell' impresa, dopo i deplorabili massacri, ladronecei e rapimenti sofferti . Il magnanimo s. Gregorio VII del 1073 ebbe particolar cura di Velletri , concedendo de' privilegi a favore de' cittadini , per essere restata fedele nelle gravi vertenze contro Enrico IV suo persecutore, e fautore di Clemente III antipapa. Nuove prove di fedeltà dierono i veliterni ad Urbano II verso il 1085, quando il normanno Ruggero duca di Puglia e Calabria, dopo la morte del padre, prese Capua e corse vittorioso di là fino sulle portedi Velletri, riducendo in suo potere tutte lecittàeterre perdove passava, non essendovi alcuno che ardisse d'opporsi. Velletri fermò il corso alle sue conquiste, gli fece valida resistenza e si mantenne ferma nella pontificia ubbidienza. Continuando Enrico IV a travagliare la s. Sede, ed a sostenere coll'armi il pseudo Clemente III , costrinse l'ottimo Urbano II ad assentarsi da Roma, ed il popolo veliterno, sempre a lui divoto, soggiacque a durissime esazioni e persecuzioni del potente antipapa. Grato il Papaal filiale affetto de' veliterni, con breve de' 16 giugno 1089, concesse particolari privilegi al clero e al popolo, cominciando il diploma colle parole difratelli dilettissimi, omnibus Vellitrensibus, Inessodeplora i tormenti, le prigionie,le morti da' veliterni con forte animo sopportate nello scisma che lacerava la Chiesa, esaltandone la costante fedeltà. Di più confermò loro tutti gli antichi usi e costumi favorevoli , ed il possesso di tutto il territorio e de'privilegi che godevano, Velletri avea l'obbligo di fornire di vitto il Papa e la sua corte, quante volte egli si fosse portato in questa città e per tutto il tempo della dimora. Siccome ciò spesso accadeva, e grave era il dispendiodel comunale erario, Urbano II nel diploma ridusse l'obbligo ad un sol pasto, unius comestionis, a carico del vescovo e del clero, altro dovendo somministrare i laici, come leggo nel commentodel Borgia che riporta il diploma, la cui pergamena esiste nell'archivio municipale. Questa esenzione confermò poi Bonifacio VIIInel 1298. Urbano 11 dev'essere stato in Vel. letri altra volta, come rilevasi dalle parole : sicut in more habetis, et mecum egistis. Il Borgia crede dopo la sua elezione seguita in Terracina. Inoltre rilevasi dal breve, che Velletri era tenuta a somministrare al Papa le milizie, che doveano andare all'esercito della provin cia Maritimam et Campaniam. Daquesto peso ella fu sgravata prima in parte da Urbano II , e poi in tutto daaltri Papi, come riferisce Bauco. In vece spiega Borgia, non da Urbano II, ma da altri Papi prima ne fu esonerata in parte, e poi del tuttodispensata. Morto l'antipa. pa in Aquila nelt 100, il Papa Pasquale II coraggiosamentecoll'armi volle ricon. quistare le terre tolte alla Chiesa nelle passate turbolenze, e punire i capi della libertà romana ; onde Velletri prese occasione di sgravarsi di molte gravezze e novità, di prepotenza imposte dall'antipapa. Abusi che aboh Pasquale II con breve de'6 aprile 1102, confermando le concessioni di s. Gregorio VII e Urbano II, circoscrivendone il territorio con ampli confini che tuttora si conservano. Soffrì Pasquale II molte afflizioni , sia per opera di altri 3 antipapi, ch'ebbero breve durata, sia per voler i romani dare per successore al defunto prefetto il figlio ancor fanciullo, esia per la ribellione di Tolomeo conteTusculano, per cui in seguito tutto il tratto marittimo del Lazio fu involto nella stessa insurrezione, compresi Ninfa, Castel Tiberio e Sermoneta. Non ostante Velletri rimase fedele al Papa. Secondo Nibby, la ribellione avvenne nel 1115, quando il Papa andò in Puglia per concertarsi co'normanni , ad onta che avesse affidato a Tolomeo l'amministrazione di tutti i patrimoni esterni della Chiesa, con fare insorgere Tusculo, Preneste, Anagni, e la Sabina per la sua alJeanza coll'abbate di Farfa. A questa mossa posero argine, Albano, tutta la provincia di Marittima e Velletri , che andarono esposte a depredazione per parte de'ribelli. Al ritorno del Papa si quietarono le cose. Vuole il Theuli , che Anastasio IVdelt 153 fosse per alcun tempo in Velletri, per essere stato abbate del . l'abbazia veliterna di s. Rufo ; ma il Borgia nella Storia di Velletri, dichiara von esservi mai stata nella diocesi tale abbazia, e forse quella del priorato di s. Anastasio fu soggetta all' abbazia di s. Rufo di Provenza, Bensì crede probabile l'asserto pure da altri, che Anastasio IV educato in Velletri nel monastero di s. Anastasio e divenutoneabbate, creato Papa neassunse il nome. Narrano Nibby, e il cav. Coppi nelle Memorie Colonnesi, che nel 1179 Alessandro III col consenso de'cardinali concesse a Rainonede Tusculano Norma e Vico colle pertinenze, ricevendo in permuta il castello di Lariano colla rocca, che allora il Papa teneva perRainone, obbligandosi redimere i pesi che potessero gravare Lariano fino a 200 lire provesine; col patto di poter il solo Papa rescindere il contratto, bensì chele parti che mancassero dovessero pagare 50 libbre d'oro. Nel marzo di detta anno, Alessandro III si trovava in Velletri , ove dimorò per un anno intero, per cui ivi fece la detta permuta l'1 1ottobre, e vi restò parte del 1180, se pure non vi ritornò. Essendo morto Alessandro III a Civita Castellana a 27 0 29 agosto1181 , convien credere che per i tumultuanti romani subito i cardinali si recassero in Velletri, ovvero ancora vi restava la curia e corte romana, perchè il cardinalAlJucingoli suo vescovo era decano del sagro collegio e in grave età, e forse vi dimorava, e ivi lo elessero Papa col nome di Lucio III il 1.º settembre e coronarono ivi a' 6. Recatosi in Roma, pocotempo vi dimorò per le turbolenze della città, o per non aver voluto osservare certi costumi praticati da' predecessori . II Vitali nella Storia diplomatica de' Senatori di Roma, dice che i romani colle armi alla mano domandarono a Lucio III di rimettere in piedi il senato colla presidenza d'un Patrizio, e coll'intera amministrazione della città e dello stato indipendentemente da' Papi. Pertanto Lucio III stimò bene allontanarsi da un popo. lo tumultuante, fece ritorno in Velletri e vi stabili la sua residenza, nella quale assolse dalla scomunica il re di Scozia Gugliemo, pronunziata controdi lui dall'arcivescovo di York ; ed ivi vennero all'udienza del Papa Giovanni e Ugone vescovi di Scozia per vendicare alcuni vescovili diritti.. In Velletri pure a' a dicembre fece una promozione di 8 cardinali, fra'quali Crivelli gli successe col nome di Urbano III. Continuando i roma ni nelle loro discordie a mostrarsi avversi a Lucio III, temendo questi per la vi. cinanza da Roma di qualche gravissimo oltraggio, nel 1183 passò in Anagni, e siccome forte e sicura vi celebrò la festa di Natale, e secondo Novaes si recò in Roma per tentare una pacificazione, vi elesse senatore il conte Raimero, ma fu costretto nel 1184 partire per Modena. Legenti di Lauterio milanese bali o rettore di Campagna avendo occupato le rocche di Lariano e Castro, egli le rimise nelle mani di Giordano abbate di Fossanuova, il quale le consegnò a Papa Clemente III, non prima del 1187, anno in cui fu esaltato al pontificato. Nel 1202 Velletri fu onorata dalla presenza d'Innocenzo III, avendo a cuore la pace della città co'popoli circonvicini . Agitavasi in questo tempo una lunga guerra fra' veliterni, corani e sermonetani da una parte, e fra que' di Sezze e di Ninfa, e Sanguineo castellano d'Acquapuzza. Questa dissensione fu causa di gravi danni, di rapine, di morti e d'incendi d'ambo le parti, e specialmente fraʼveliterni e i ninfesi . Il nipote del Papa cardinal Ugolino vescovo veliterno avea già trattato e concluso la pace tra questi popoli, ma nondimeno preparavansi di nuovoalla guerra, essendosi l'una e l'altra con altri vicini collegate, e già erano cominciate le ostilità. Laonde il Papa perimpedire isuccessi funesti della guerra, commise di nuovo al cardinale di ridurre i detti popoli a concordia, ed egli con somma cura e prontezza vi riuscì. Nota Bauco, che de'veliterni molti furono promossi a'vescovati , massime della patria, secondo il costume de' secoli antichi, per cui si propose di ricordare i successivi a tanta diguità esaltati, ed io compendiosamente lo seguirò. Nel 1205 Innocenzo III promosse alla cattedra di Firenze Giovanni Santi veliterno, celebre personaggio che pel 1.º istituì la carica di Podestà nelle sueterre ecastella per mantenervi la giustizia, il quale costume utilissimo fu abbracciato in tutto lo stato di Firenze, anzi nell'italia tutta. Ma non pareper quanto riportai nell'indicato articolo. Forse avrà migliorato e più propagato l'istituzione. Fu nel 1230 sepolto nel duomo di Firenze conepitaffio che principia colle parole : Patria Pelletrum. Nel 1227 il vescovo cardinal Ugolino divenne Gre . gorio IX, con inesprimibile allegrezza de' diocesani veliterni; ed avendo a' 29 settembrescomunicato in Anagui l'imperatore Federico Il re di Sicilia ( V.), tornando il Papa a Roma passò per Velletri, epel grande affetto che nudriva verso di essa, le concesse molte grazie e privilegi. Federico II irritato per la fulminante e terribile censura, divenuto nemico del Papa, nel 1228 comprò gli animi d'al. cuni magnati romani, servendosi di essi per travagliare il Papa, che per evitare gl'insulti de' sollevati romani e del senatore Annibaldi, si ritirò a Perugia uel maggio e vi restò sino al febbraio 1230. In tale circostanza il popolo romanopubblicò una legge, ordinando che tutte le città, terre e castella esistenti intorno a Roma dovessero pagare annuo tributo. Aquesta legge fece Velletri forte resistenza, difendendosi in ogni modo contro l'esigenze del popolo romano, dal quale sopra modo infastidito, spedì ambasciatori al Papa per essere liberato da tante vessazioni. Gregorio IX ascolto be. nignatnente gli oratori veliterni, che gli esposero le violenze de' romani per di staccar Velletri dall' ubbidienza diretta alla s. Sede e ridurla in loro potere. Desiderando il Papa rimunerare i meriti de' veliterni e il costante attaccamento alla sua persona, e insieme animare gli altri popoli a mantenersi a lui fedeli , provvide allo stato di Velletri con due diplomi, riferiti dalBorgia ed esistenti nell'archivio comunale. Nel 1.º si vede in quante maniere tentarono i romani di rendersi si . gnori diVelletri e di rimuoverla dall'ubbidienza dovuta al Papa, volendo ancora che i veliterni prestassero giuramentocontrolafedeltà promessaalla s. Sede. Col 2.º Gregorio IX dichiarò, che Velletri sempre dovesse rimanere sotto l'im . mediata protezione e giurisdizione della Sede apostolica; togliendo cosi a' roma. ni la speranza di poterla soggettare. Confermò inoltre l'antico privilegio di singolarelibertà concessale da'suoi predecessori , di cui la città neporta sull'arme la discorsa epigrafe; e confermò pure i privilegi de' suoi predecessori,lodando in fine la costanza e virtù de' veliterni, ed esortandoli a mantenersi sempre fedeli a' successori di s. Pietro. Nel 1234 Gregorio IX colla bolla de' 16 gennaio Rex excelsus, presso il Bull. Rom. , t. 3, p. 281 : Prohibitio alienandi Terras, Castra et alia loca Sedis apostolicae, absque consensu s. Romanae Ecclesiae Cardinalium. II Nibby nel citarla interpretò l'opposto, dicendo che ordinò l'alienazione del castello di Lariano, senza domandareil con senso de' cardinali (il quale castello sul finire di questo secolo era in potere di Riccardetto di Matteo nipotedel cardinal Riccardo Annibaldi, che profittando del sito esercitava ogni sorte d'estorsioni e di violenze). La bolla non fu pel solo Lariano, ma pe'luoghi di cui specialmente vol. le vietare l'alienazione, e ve lo comprese. Anzi qui riporto il solo brano che riguarda le due provincie di Marittima e Campagna, dal quale si rileverà i luoghi eccettuati, ed a quali di esse allora appartenessero. In Campania, Castrum Fumonis, Paliani, Serronis, Larianis. In Maritima, Aquam Putridam, Ostiam quam Episcopus Ostiensis tenet a RomanaEcclesia,in omnibus ipsiusEpiscopijure salvo. Ariciam, Nympham Tolan. Coram, Cisternam,et Terracinam. Nel 1237 s'introdusse in Velletri il magistrato appellatoPodestà.L'eletto a questa magistratura dovea essere forastiere, e governava la città con autorità assoluta di punire i delitti. Persegno della sua potenza gli si consegnava nel possesso una vergacoperta di velluto nero con pomi d'argento. Siccome l'autorità di questo magistrato era assai estesa e poteva degenerare in tirannide, durava soltanto 6 mesi. Di questa carica, come dissi in tanti luoghi, se ne faceva gran conto, poichè il governo de' popoli era sottomesso all'autorita del podestà. Egli avea un governo illimitato, per cui i primari personaggi di Roma, delle provincie, e spesso i baroni procuravansi tal magistratura. Eravi aucora un giudice per decidere le cause civili. Ma l'autorità dell'antichissitno magistrato de' due consoli, per l'introduzione del podestà,restò moltodiminuita. Ebbero però l'amministrazionedelle cose pubbliche, e ciò che appar. teneva alla polizia della città; ed in molti casi il podestà non poteva procedere che col parere e consenso de'consoli. Que sti sceglievansi dalle famiglie nobili , ed eletti dal senato ossia consiglio, pressoil quale risiedeva tutta l'autorità, che veniva comunicata nell'elezione al podestà, al giudice, a' consoli, a' capitani e a tut. ti gli altri uffiziali pubblici. Il consiglio avea a sè riservato gli affari di sommo rilievo, come di pace, di guerra, di tregua, d'elezione di generali e di riforma degli statuti. Al magistrato de' consoli Gregorio IX diresse il diploma de'5 giugno1237, da cui si trae che in queʼtempi Velletri era soggetta alla giurisdizione supremadel rettore di Marittima e Campagna, e vi rimase fino al 1413. Posteriormente non più trovasi memoria de' consoli, e può credersi che non molto dopo il 1237 si cambiasse tale magistrato in quello de' nove buoni uomini, chiamati pure signori nove, con unsindaco. Nibby li chiama novemviri, e vi aggiun. ge icontestabili comandanti le milizie,citando Borgia, ed osserva: così allora igo. verni municipali riassunsero il tipo del governo primitivo delle città latine composto d'un dittatore, di tribuni militari, d'un questore e d'un senato. Federico II sempre più nemico e persecutore di s. Chiesa, non solo volle impedire la celebrazione del concilio generale di Laterano, in cui Gregorio IX lo doveva deporre, ma tentò ancora dal suo limitrofo regnouna scorreria nella provincia di Cam. pagna. A reprimere il Papa questa ostilità fece preparamenti, e perciò scrisse al podestà e popolo di Velletri , che raccolti tutti i cavalli e fanti della città, li spedissero a Ferentino, ove era il suddetto cardinal Annibaldi o Aunibaldeschi rettore di Marittima e Campagna. Per maggior mente sollecitare la richiesta spedizione, Gregorio IX scrisse eziandio all'arciprete e clero veliterno, ingiungendo loro di persuadere e animare il popolo a prontamente prender l'armi. Ambedue le lettere si leggono nel Borgia, e gli originali negli archivi del comune e della cattedrale. Dice Nibby che quest'ultima esortatoria conteneva la multa di 500 marche d'argento, e altre pene temporali e spirituali , compresa la scomunica nelle persone e l'interdetto sulla città, qualora i veliterni non si fossero mossi. Innocenzo IV dopo aver deposto dall'impero e dal regno Federico II, inviò in Polonia il veliterno fr. Giacomo minorita custode del s. convento d'Asisi, per esaminar la causa della canonizzazione di s. Stanislao vescovo di Cracovia, onde per sua opera la celebrò nel 1252 0 1253, in quest' anno o prima facendo il religioso vescovo di Ferentino, non conosciuto dall'Ughelli. Nel 1258 eletto da' terracinesi per podestà Pietro Guidoni nobile veliterno, vi ostaronoi Frangipani e gli Annibaldeschi nobili e potenti romani, sostenendo eglino esservi convenzione antica fra' loro antenatie Terracina, che il podestà dovesse sempre scegliersi dalle loro famiglie. Benchè sostenuti dal senato di Roma , Alessandro IV che nel pontificato ritenne il vescovato di Velletri , e al dire di Theuli lo visitò da Papa nel recarsi alla sua patria Anagni , ordinò che il Guidoni e il suo vicario fossero mantenuti nell'ufficio. Nel 1268 Clemente IV confermo la con. cordia stipulata fra'veliterni eil castellanodi Lariano, che allora era fr. Raimondocavaliere de'templari e famigliarepontificio; ed assolvè dalle pene che preten. devasi incorse da' veliterni per avere ritenute alcune terre aggiudicate dal cardinal Bray alla rocca di Lariano, che appartenevano alla s. Sede. Nella sede vacante di detto Papa il sunnominato RiccardettoAnnibaldi molto potente, neprofitto con occupare violentemente la rocca di Lariano, che forse Gregorio IX nell'alienare il castello erasi riservata. Laonde il s. collegio dal conclave di Viterbo nel 1269 scrisse al comune di Velletri, esortandolo a far leva d'armi per la ricupera della rocca, che i cardinali qualificarono praetiosam alla camera apostolica, come leggo nel Theuli. Rimarca Bauco, questa è la 1.ª ostilità accaduta fra' veliterni e i larianesi, sebbene ignori l'esito della spedizione, e ad onta che conosca essere statodestinato all'impresa il commissario apostolico Filippo arcidiacono di Tripoli, ed il valore mostrato nell'oppugnazione da'veliterni a favore della s. Sede. Trovo nel citato Vitali un ordine di re Carlo I d'Angiò senatore di Roma al suo camerlengo di pagare il salario dovuto e le spese fatte in suo servizio da Guglielmo di Novara podestà di Velletri e prima giudice di Campidoglio. Rimosso il re da tale dignità da Nicolò III , avendolo reintegrato nel1281 Martino IV, a richiesta di questi scrisse al suo vicario in Roma, che tutti i popoli fedeli e soggetti alla romana Chiesa mantenesse in quella libertà, in cui già aveano sempre vissuto. Ma siccome il vicario regio del senatoratonon osservava tale ordine co'veliterni,soggetti immediatamente al Papa, scrisse lo stes. so Martino IV in proposito una gravis sima lettera al vicario,ordinandoglidi non aggravare e molestare con pesi insoliti i veliterni, ma che li lasciasse vivere nella loro libertà. Poscia Nicolò IV nel 1288 con sua bolla proibì al senatore di Roma d'astringere i terracinesi, pipernesi e sezzesi a mandare in Roma speciali persone per prendere dal senato le misure, colle quali fossero obbligati misurare nellecompre e vendite le biade e i liquori , e lo ricavo da Vitali. Bonifacio VIII mostraudo grande affetto verso questa città, dove fu da fanciullo educato presso i religiosi francescani (mentre n'era vescovo lo zio Alessandro IV , ovvero al dire di Theuli, sotto la cura di fr. Bruno o Leo nardo Patrasso suo zio , che poi lo fece cardinale; ma il cardinale non fu religioso), non isdegnò d'accettare l'elezione fatta in sua persona da' veliterni della podesteria pe'soliti 6 mesi, il che con altri nel relativo articolo dissi nel 1299, ed il Theuli che cita il documento confessa ignorare l'anno. Inoltre per far cosa grata a Velletri promosse due veliterni al vescovato, cioè nel 1298 fr. Lorenzo francescano, forsede'Nicoleschi, a quellod'Orte, eda quello di Venafrod. RomanoBor gia vallombrosano, morto innanzi la consagrazione. Iudi ad assicurare per sempre la libertà e tranquillità di Velletri, spedi a suo favore 3 diplomi. Col1 . ordinò che i veliterni non venissero sottoposti ad alcuna servitù , gravezza o esazione, per la loro filiale fedeltà. Col 2.º rammentando l'opere illustri da'veliterni fatte per lun: go tempo alla s. Sede, volle provvedere la città d'un quieto e prospero stato. Or- dinò pertanto, che il rettore di Maritti- ma e Campagna non potesse astringere i medesimi a portarsi al parlamento pro- vinciale, all'esercito, e alle cavalcate fuori della provincia; e confermò tutte le lo- devoli usanze e grazie concesse da'prede- cessori . Col 3. ° dichiarò che la città po- tesse, per mezzo del suo podestà e giudi- ce, o di altri suoi uffiziali, fare giustizia d'ogni delitto , vietando al detto rettore d'ingerirsi in tali affari, se non in caso di legittimo appello, odi negligenza per par- te degli uffiziali di Velletri; se pure il ret- tore non avesse nella cognizione di tali cause i medesimi uffiziali prevenuto. Or- dinò ancora che la città non fosse obbligata nè a richiesta delrettore, nè di qual- sivoglia altro ministro, far prendere e tra- sportare altrove i delinquenti, che in Vel- letri si ricovravano. Infausto fu il 1305 perlo strano trasferimento della residen- za papale fatta da Clemente V in Provenza, indi stabilendosi in Avignone ( V.), come vicina al contado Venaissino (V.) dominio temporale della s. Sede, ove restando 6 altri Papi, fu cagionedi lagrimevoliconseguenze;fatale trasferimento preveduto dal decano del sagro collegio cardinal Matteo Rosso Orsini, diaconodi s. Maria in Portico e commendatario di s. Maria in Trastevere. Di che lasciò scritto il veliterno Laudi, che per l'assenza de'Papi da Roma le terre soggette alla Chiesa furono variamente tiranneggiate; maVel. letri gravemente oppressa da'romani, ancorchè ClementeV avesse mandato 3 cardinali con podestà senatoria pel governo di Roma e del resto d'Italia, nondimeno si venne molte volte all'armi con offese e morti d'ambo le parti , il che durò per molti e molti anni. In seguito di queste ostilità sarà avvenuta nel 1312 una ca pitolazione fatta fra il popolo e comune diRoma, e fra il popolo ecomunedi Vel- letri. Per questo trattato dal senato e po. polo di Roma acquistossi una certa in- fluenza politica sulle cose pubbliche di Velletri . La pergamena esiste nell'archi- vio veliterno, come tanti altri documenti che per brevità tralasciod'indicare, perla 1. volta nel 1839 pubblicata ed erudita. mente commentatadal cav. Cardinali,ne. gli Atti della Società letteraria Volsca Veliterna, t. 3, p. 187, col titolo: Dell'au tonomia di Velletri nel secolo XIVDiscorso. Invece di darne un sunto, pel sistema mio compendioso, preferisco riprodurre alcuni sentimenti del mio Mento. re e principale guida nelle cose veliterne, il benemerito anche per me can. d. Tommaso Bauco d'onorevole imperitura ricordanza. » In questa pergamena leg- gesi una capitolazione fatta fra questi due popoli , per cui il senato romano acquistò un'nfluenza governativa esercitata intor. no al governo di Veletri ne' bassi tempi, per la quale non si annullò il diritto d'autonomia in questo comune. La lontanan- zade'Papi, che dall'Italia trasferirono la corte romana in Francia, diede occasione aquesto trattato. Il senato romano sosteneva forte guerra contro tutte le città del distretto, volendole assoggettare a se con astringerle a pagare un tributo. Se per la forza dell'armi, e per non cadere in manod'alcun potente barone, essendo Veletri d' ogni banda da baronie circondata (precipuamente da potenti Caetani, Colonna, Orsini, Savelli , Conti ec. ), i veliterni prudentemente trattarono col senato e popolo di Roma; non perciò que- sta comune perdè la sua libertà; impe- rocchè questo fatto deesi considerare sotto l'aspetto di violenza o di scorreria, i cui effetti non furono legali, nè perma- nenti come in seguito vedrassi. I veliterni o coll'armi, o colla protezione de'Pa- pi, a'quali erano divoti e fedeli, tornaro- no ben presto nella loro piena indipen- denza. Bene si conoscedalla storia qual fosse nel 1312 la situazione politica del- l'Italia e di Roma (V.). Per tutto arde- vala guerra; e le fazioni de' Guelfi e Ghibellini ( V.) riempivano le città e le con- trade tutte d'orrore, di sangue e di mor- te. Roma posta in balia di queste fazioni videsi obbligata dalla plebe a riconoscere persenatore un Jacopo di Giovanni d'Ar- lotto degli Stefanescii. Questo magistra- to a' 13 di novembre riferisce in consiglio prima, e poscia in parlamento nel Cam- pidoglio il negozio di Veletri. Il consi- glioei parlamentari commettonoa Bran- ca di Giovanni del Giudice di patteggia. re con Jacopo Melati ambasciatore e sin- daco a ciò spedito dal comune di Veletri. La convenzione fu questa. Che il podestà di questa città fosse perpetuamen- te eletto nell'avvenire dal comune epo- polo di Roma per ogni semestre, al qua- le il comunedi Veletri darebbe 300 libbre di provvisione (provvisini leggo in Cardinali; o meglio provisini monetaantica di Francia, battuta ancora in Roma d'ordine del senato romano, di cui parlai in più luoghi , alcuni opinando che questi soldi o denari romani prendessero tal nomedalle provisioni o renditedel- le chiese, piuttosto che da Provins non molto lungi da Parigi), e la metà d'alcunibandi, con che avesse a tenere a suo soldo 6 uomini d'arme, e di questi 2 di cavalleria ; e giurasse l'osservanza degli statuti o esistenti, o da farsi inavvenite da' veliterni , purchè non minuissero la condizione e i diritti senatorii; e stesse a ragione, nè movesse di luogo senz'avere soddisfatto il sindacato. Convenivano, che potessero eleggere i veliterni liberamente in giudice un cittadino romano; che non si concedessero appelli, se non sopra 25 libbre di provvisioni (provvisini dice Cardinali, cioè provisini moneta); che non potesse dal comune di Roma nè vender. si , nè obbligarsi la podesteria di Vele- tri; che a nessuno fra'nobili o fra'magnati romani fosse permesso acquistare beni fondi in Veletri , e acquistandoli fosse nul- lo l'acquisto. Convennero, che il popolo di Veletri darebbe annualmente a titolo di censo due torchi di cera d'accendersi in onore di Nostra Donna nella vi. gilia dell'Assunzione; che, dove pertito. lo di perseguitare i delinquenti si recas. sero a Veletri e suo territorio i tornieri (o torrieri custodi delle torri di Roma, turrerii, come trovo in Vitali), e gli uo. mini d'armi del senato , nulla si avesse loro a dare da questa comune ; purchè non fosse il delitto avvenuto nel territo rio. Convenivano finalmente, che il popolo e comune di Veletri giurerebbe il seguimento al comune di Roma senza darne mallevadori; che il popolo di Ro- ma difenderebbe le persone e lecose de' veliterni da ogni persona ecclesiastica e secolaresca; che non li graverebbe ocolla leva del sale, o con tasse di grascie, o di giustizieri ; che i veliterni interverreb- bero, siccome era già usanza , a' giuochi di Testaccio (altre notizie di essi le ripor tai nel vol . LXIV, p. 38), oad altro gra- vame qualsiasi non si terrebbero punto obbligati (dice Bauco, che fu abolita tal costumanza da Paolo II e Sisto IV, cioè intenderà parlare dell'intervento de' ve- literni, nonde'giuochi). Perl'osservanza di questa capitolazione imposesi lapena dir000 marchedi buonargento; e quin- di seguono le forme forensi , i giuramenti e ogni altro che può essere d' essenziałe nelie solenni contrattazioni. Il popolo ro VOL. LXXXIX, manocon quest'atto nonrende a se vassallo il popolo veliterno , e se per poco influisse nelle cose pubbliche di Veletri, ciò avvenne per la convulsione politica di tutta l'Italia. In que'disordini i popoli, che si reggevanoa comune, erano costret ti o di scegliersi , o darsi ad un signore assoluto potente, odi sagrificare una par tedellapropria libertà, onde farsi un potente alleato. Veletri sopra ogni altra n'era in sommo bisogno; perchè era nel pericolo di cadere nelle mani di prepotenti baroni , che la tenevano circondata co'lo ro castelli. Ecco il motivo che spinse la prudenza de'veliterni a porsi nella dipen- denzadel senato romano nella lontananza de'Papi da Roma; prima, perchè due governi della stessa natura sogliono più lealmente confederarsi; poi, perchè faci- le riusciva profittare dell' agitazioni, che sono inseparabili dal governo di molti, onde migliorare, quando che fosse opportuno, di condizione; e finalmente perchè presto o tardi riconducendosi i Pontefici alla loro sede, li avrebbero, come in addietro, liberati dal vincolo di quella sog- gezione. I governi a comune dividevano in due l'amministrazione pubblica: la parte legislativa, la somma della guerra e della pace, l'amministrazione a' parla- menti e a' inagistrati collegiali , e la ese- cutiva a' podestà affidavano. Veletri vi. vendo nelle libertà ecclesiastiche eserci tò questo libero potere. In questo tratta- to il senato e popolo romano acquistava il solodiritto di mandare in Veletri il po- destà, a cui apparteneva l'amministra zione esecutiva. E siccome questo pode- stà doveva giurare l'osservanza di que- gli statuti che il comune di Veletri avea in vigore, equellichefosse in appressoper dare a se stesso, chiaro si scorge, che con ciò non veniva distrutta la libertà del co mune, stante che al comune rimaneva il diritto legislativo. Altra forte ragione, che mostra non essersi punto diminuita la li- bertàde' veliterniin questacontrattazione, èquel patto con cui si vieta a' maguati, e a'nobili romani il possedere alcun che nel territorio e nella città di Veletri ; e di più il vincolo del giuramento prestato da ambe le parti fa vedere, che la contralta. zione si fece da pari a pari, giacchè il sovrano giammai giura al suo suddito. Del resto in appresso si vedrà cadere e annul- larsi questo trattato dopo il ritorno de' Papi in Roma". Giovanni XXII, succes so a Clemente V, fece rettore di Marit tima e Campagna Raimondo cluniacen. se da lui consagrato vescovo di Monte Cassino; e non volle riconoscere Lodovico V il Bavaro eletto imperatore dauna parte degli elettori dell'impero , indi lo scomunicò pel narrato in tanti luoghi. Recatosi in Roma nel 1328 fece eleggere in antipapa Nicolò V, il quale lo coronò. Volendo portarsi a Napoli, il re Roberto avea posto sue genti nel castellodella Mo- lara, e l'11 giugno Lodovico l' espugnò co' partigiani romani e le sue genti ; ciò fatto andò a Cisterna , che tosto si rese, ma pel caro e per mancanza di vettova. glie, l'esercito la saccheggio e arse ; ed i romani tornarono a Roma. Già Lodovico direttamenteda Roma erasi recato a Vel. letri , come leggo in Vitali ; ed il Theuli dice che vi fu ricevuto con quelle dimo. strazioni d' ossequio, come richiedeva la miseria di que'tempi. Dopo il crudele eccidio da lui fatto in Cisterna, non vollepiù andare a Napoli, con animo di rientrare in Velletri. Ma i veliterni temendo lasorte di Cisterna,fattosi coraggio, non lo vol- Jero piùricevere, chiudendo le porte. Lo- dovico forzato ad accamparsi con disagio al di fuori , vedendo la cittàben munita e conmolta vigilanza guardata da'cittadi. ni, se ne parti. II Nibby dice per la forte contesa insorta fra gli alemanni del suo esercito a cagione della preda di Cisterna, per cui poco mancò che non venissero al- lemani. Dunque è inesatto il riferito da Petrini, che Lodovico, oltre Tivoli, oceu- pò coll'armi Velletri, e non ardi d'acco. starsi a Palestrina. Aggiunge Nibby, che Del 1 342 (annoin cui morì BenedettoXII egli successe Clemente VI) Nicola Caetani signore di Fondi, profittando dello sta- to d' anarchia in che trovavasi Roma e il suodistretto, andò ad assalireVelletri,che valorosamente si difese, e potè respingerJo mediante i soccorsi ricevuti da Roma; manon fu allora, che per le spese fatte perciòdal popolo romano, com'egli dice, dovè sottoporsi ad avere il podestà. Nota di più, che tale guerra durò molti anni e solo rimase sopita nel1 348 per la terribi- le pestilenza che mietè moltissimevite, an- che nelle vicinanze di Roma. Nel 1343 Clemente VI fece vescovo di Tivoli il ve. literno Nicolò, secondo Lucenti canonico inpatria, e nondi Todi come vuoleUghel- li . Nel 1347 il famoso ambizioso agitatore Cola di Rienzo, profittando delle fazioni chelaceravanoRoma,sedusse audacemen te il popolo con volere ripristinare l'anti- ca repubblica; s'impadroni del governo, e assunse il titolo di tribuno augusto. Invitando i sovrani e le città a inviargli ambascerie, pure Velletri mandò due am- basciatori, anche perquietare alcune ver- tenze co'romani. Questi aveano usurpato l'elezione del giudice di Velletri, e di più i grascieri di Roma volevano comanda- re nella città. Ebberogli ambasciatori ri - sposta, che il comune veliterno si ricom- prasse l'uffizio del giudice, e che pagasse una stabilita somma a'grascieri di Roma, acciò non s'intromettessero nel vivere di Velletri. Convenne adattarsi per 7mesi, quanto durò per allora la tiraonia del tribuno , che cacciato da Roma cadde in potere del Papa. Eletti senatori Pietro Sciarra Colonna e Giovanni di Orso , molto se ne compiacquero i veliterni, perchè avendosofferti notabili danni dal suddetto contedi Fondi, speravano aiuto contro quel prepotente barone. Difatti l'ottennero, ma i senatori profit- tando di questa occasione, tutto accordarono colla condizione che Velletri in avvenire ricevesse il podestà a scelta ed e. lezionedel popolo romano. Convienedun- que supporre che la capitolazione del 1312 fosse stata annullata. I veliterni costretti dalla necessità, accettaronola dura condizione. Ma in seguito eglino si penti rono della condiscendenza, comecontraria alla libertà e privilegi della città, e quin- di nacque una sorgente di continue con- tese e travagli, fra' romani e i veliterni. Non arrestaronsi questi di subito intra- prendere l'ostilità contro il conte di Fon- di, che però restarono sospeseper la det ta desolante peste, che dal 1348 per un continuo triennio fece crudelissima stra- ge degl'italiani. Crescendo le usurpazio- ni nello stato pontificio e i tumulti di Ro- ma, per reprimerli e riconquistare l'oc- cupato, nel 1353 Innocenzo VI spedì da Avignone per legato il celeberrimo cardi- nal Albornoz, insieme coll'ardito Cola di Rienzo, il quale colla sua facondia pro- mettevadi tutto calmare. Nel1354Rienzo fatto senatore di Roma cominciò ad esercitare crudele giustizia contro i principali signori di Roma, meditando la ro- vina de'Colonnesi, anche perchè Stefano di tal famiglia gli ricusava ubbidienza e avea fatto scorrerie nel territorio romano . Questi fortificatosi in Palestrina,Rien- zo dal campo di Tivoli (V.) si recò ad assediarlo strettamente con 1000 soldati romani, e il popolo di Velletri e di Tivoli tutto in arme, oltre molta gentede'vici- ni luoghi. In breve tempo, presotutto il territorio, e occupata buona parte della città fu mandata a sacco e rovina, rimanendo intatta la sola parte superiore. Nel- I'S. ° giorno fu sciolto l'assedio , perchè i veliterni e i tiburtini erano venuti fra di loro in gravi competenze , e temevasi che nell'esercito si levasse qualchetumulto; e perchè Rienzo sospettava che il fa- moso fr. Morreale capitano di ventura lo volesse uccidere, macchinazione scoperta dalla sua serva, per cui lo fece decapita- re in Roma nel 1354. Petrini nulla dice della rovina di Palestrina, che anzi dal la parte della montagna senza molestia entravano e uscivano uomini e vettova- glie. Continuando il fantastico Rienzo le sue angarie, stanchi i romani di più soffrire le sue stranezze e uccisioni, a furia di popolo restò trucidato miseramente 1'8 settembre. I baroni Savelli nel 1355 si portarono in Velletri e nel febbraio ſe. cero la divisione delle loro terre e castella nel pubblico palazzo, con accordo di pace e sicurezza , promettendo di cessar le condonate offese sotto pena di 15,000 fiorini d' oro. Il comune si fece garante del convenuto, e si obbligò d' aiutar gli offesi contro gli aggressori colla forza e coll'armi, sottomettendosi i Savelli pie- namente alla protezione di Velletri e de' suoi magistrati . In quell'epoca Velletri avea un certo ascendente sui circostanti paesi e castelli, e spesso s' interponevano i veliterni per conservar la pace fra' ba. roni confinanti. E il Nibby dice che nel- lo stesso anno due veliterni furono mediatori fra vari potenti romani eGiordano Peronti di Terracina, per la reputazione che godevano presso i vicini. Ap- prendo da Vitali, che nel 1358 i 7 rifor matori della repubblica romana vicaridel senatore ordinarono a ' Mancini veliterni, per testimonianze d'una lite de' monaci di s. Alessio, di presentarsi avanti An- gelo di Cantalupo giudice della curia di Velletri. Non pare esatto il riferito dal Rinaldi e dal Nibby, che non potendo i veliterni sopportare il giogo loro im- posto da'romani nell'invio del podestà, e profittando della rivolta accaduta in Ro- ma nel 1362 , ricusarono di riceverlo o l'uccisero, non essendovene memoria in Velletri. Però non sembra del tutto in veridico, perchè la città inviò nel 1 363 al nuovo Papa Urbano V in Avignone il nobile Simmarda per ambasciatore , il quale gli rappresentò esser Velletri invol- ta in molte miserie per le guerre soste- nute contro il conte di Fondi, e per le di- scordie che aveansi col popolo romano per l'elezione del podestà e del giudice, la quale aveano usurpato con danno della pubblica tranquillità. Eciò accadeva, perchè i romani vendevano quegli uflici , dal che nascevano estorsioni e oppressio- ni. Laonde per tanti e si gravi disastri, la città implorava dal sovrano conveniente rimedio, e fu benignamente esaudita con due brevi. Ma siccome il cardinalAlbor. noz non gli diè quell' esecuzione che si sperava, i veliterni rinnovarono al Papa le loro suppliche, ed egli ripetè le ingiun- zioni al cardinal legato. Allora questi im- prese a trattar la pace fra'romani e i ve- literni, ma con poco successo pel reciproco odio nudrito dalle continue ostilità scambievoli, con danni e offese, dopo la guer- ra dichiarata da' romani a Velletri e a' baroni. Intanto Enechino Bongardo con una compagnia d'armati ponendo a fer- ro e fuoco, e predando le terre de'roma- ni e de' collegati , coll' intervento d' un commissario apostolico, stabilirono iro- mani co'due sindaci veliterni l'11 otto- bre 1364 la tregua d'un anno, sotto pe. na di multe e censure a'trasgressori. In questo trattato venne compresa Sancia Caetani vedova di Stefano Colonna, che co'figli erasi fortificata in Palestrina, ed unita in lega co'veliterni contro i romani. Indi i veliterni deputarono i nobili Gori e Ventura a presentarsi al cardinal Albornoz per stabilire una durevole pa- ce. I medesimi furono autorizzati a umi- liarsi a Urbano V, che mosso dalle cala. mità de'suoi sudditi , a'16 ottobre erasi portato in Roma, per pregarlo a confer mare lelibertà veliterne e impedire le romane gravezze, per le quali le sospese o stilità eransi ricominciate, per cui i veli- terni furono poi assolti in più di 400 per aver danneggiato il territorio romano; co- me pure recato gravi danni ad Albano con saccheggi di varie abitazioni e de' monasteri di s. Paolo edelle monache di s. Maria Rotonda , oltre il sacco del ca. stello di s. Pietro in Formis , allora di detta diocesi, per cui soggiacquero alite gravissima pel reintegro di tanti danni. Il Papa con molta efficacia scrisse in fa- vore de' veliterni nell'agosto 1370 da Monte Fiascone e prima di partire per Avignone, a Daniele de'marchesi del Car. retto priore gerosolimitano e rettore di Marittima e Campagna. Finalmente nel 1374 tanto i romani che i veliterni infastiditi dalle grandi molestie cagionate da sì lunghe discordie, trattarono e conclu- sero amichevolmente la pace, sulle diffe- renze nate per le convenzioni del 1312 e 1342. Fu stabilito a' 18 aprile pel tem- po avvenire, che l'elezione del podestà dovesse farsi per ogni 6 mesi dalla città di Velletri, e confermarsi dal popolo romano, a riserva solo de'4 seinestri allora prossimi, ne'quali cedevasi tale elezione a'romani , e nel rimanente si conferma - rono i capitoli e la convenzione fatta nel 1342 in occasione della guerra del con- te di Fondi , e condonarousi d' ambo le parti le pene incorse. In sostanza si sti- pulò: Che il podestà nulla possedesse in Velletri, fosse contento di 300 libbre di provesini e della metà de'danni dati , do- vendo tenere il notaro forastiere, 6 fami- gli e 2 cavalli; che non si potesse appellaredalla sua sentenza, se non trattavasi di somma maggiore di 25 libbre; che la città non fosse gravata a comprare sale, nėadare altro provento a'grascieri e giu- stizieri di Roma; che avesse libera l'ele- zionedel giudice, purchè fosse dottore ro mano; che nel rimanente Velletri godesse della libertà de' suoi statuti e privile- gi. Non deve meravigliare se Velletri fa- ceva fronte a'romani, potendosi conside- rare di forze eguali, poichè la popolazio- ne di Roma ridotta nel 198 a 35,000, per l'assenza de' Papi non giungeva alla metà. Ma se cessarono tali disastri, rimanevano le turbolenze interne, e una specie di guerra civile che disturbava la città. Da due anni innanzi eransi suscitate in Velletri due contrarie fazioni appellate de'lupi edelle pecore, o divisione di partito guelfo e ghibellino. I faziosi combat- tendo fra loro riducevano in un'estrema calamità la popolazioneintera. Continua . mente accadevano uccisioni, rovine di case, sterminio di possessioni, prede di b estiami e altre insolenze. L'uno e l'altro partito avea seguito grande di nobili e di popolani; e spesso vi s'intromettevano ibaroni circonvicini. In queste critiche circostanze furono fabbricate delle torri in città per fortificarsi e difendersi , ed ancora ne restano alcune. Nel 1374 stes- so, per opera d'alcuni pacifici cittadini e de'pacieri eletti dal magistrato, fu ristabi- lita la pubblica tranquillità. A' 17 gennaio 1377 Gregorio XI consolò Roma con ri- stabilirvi la residenza pontificia; ma mo- rendo nel 1378, contro il successore Ur- bano VI si ribellarono i cardinali france- 5, inclusivamente al cardinal Latger ve- scovo veliterno. Portatisi ad Anagni e quindi in Fondi, presero a soldo 1200 ca. valieri bretoni che aveano accompagnato a Roma il Papa defunto, e trassero al partito loro il conte Onorato Caetani già rettore di Marittima e Campagna. I car- dinali faziosi scismaticamentedepostour- bano VI, a'20 settembre elessero l'anti- papa Cleinente VII, dando così principio al grande e pernicioso Scisma ( V.) d'oc- cidente , nel quale i fedeli si divisero in due Ubbidienze (F.); poichè il pseudo Pontefice recatosi in Avignone vi stabili una cattedra di pestilenza. Di tale sacrilega elezione il conte di Fondi ne diè su. bito parte a Velletri, esortando i cittadi . ni a rallegrarsi e riconoscere per successo. re di s. Pietro Clemente VII; come avea fatto scandalosamente il vescovo cardinal Latger , per cui alcuni veliterni ne se- guirono l'esempio. Venuto di ciò in coguizione Urbano VI , dopo aver scomu- nicato l'antipapa e i suoi aderenti, scris- se al popolo di Velletri, acciò si provve- desse alla mancanza deʼtraviati con farli tornare alla sua ubbidienza. Così avven. ne, e Velletri si mantenne sempre costan. te nell'ubbidienza d' Urbano VI, da cui non valsero a rimuoverla nè le persuasioni , nè le minacce del conte di Foodi, nè i continui insulti e nè le scorrerie del. la cavalleria bretone. Questa truppa ten- tò d'assediare anche Roma, ed a 16 luglio1378 diè una sanguinosa rotta a'ro- mani a ponte Salario; ma questi riunite le forze raggiunsero i bretoni nel terri- torio di Marino nell'aprile 1379, ed in quello di Nettuno nel marzo 1380 li bat- terono e fugarono. I bretoni per queste disfatte si posero al soldod'Onorato Cae- tani contedi Fondi. Questo ribelle scomu- nicato infastidiva co' suoi armati i paesi fedeli al Papa. Mosse più volte le sue truppe sopra il territorio veliterno; scor- reva la campagna , predava bestiami e vettovaglie, con frequenti uccisioni di ve. literni. Il comune spedì ambasciatori al senato di Roma, esponendo il pericolo in cui era per cader la città, igravissimi dan . ni che riceveano dal conte e da' bretoni, che stanziavano a Ninfa poco lontana da Velletri. Promise il senato di mandare a- iuto, ma questo ritardando, la città si armò, prese nel 1381 a sua difesa un capi- tano forastiere in Annibale Strozzi fio . rentino, che trovavasi a Tivoli , con am- pla facoltà. Dispiacque a'romani tale scel- ta, enonpotendone ottener la revoca, ve- dendo il bisogno estremo di Velletri corsero a soccorrerla e rinnovarono la confederazione. Eransi intanto i bretoni for- tificati in un colle vicino alla città un miglio e mezzo circa fuori di porta Napole- tana, onde prese il nome di colle de'Brit- toni che porta, e perciò i cittadini erano impediti di recarsi alla campagna : i be- stiami parte li tenevano in città e parte verso il vicino monte, ove nemmeno erano sicuri . Spesso venivano condotti pri- gioni de' veliterni, e sembrava non potersi rimediare a tanto disastro. Combattevano di frequente contro i bretoni capita- nati dallo Strozzi, e quasi sempre colla peggio. Il popolo intimorito desiderava la pace col conte di Fondi , ma non essen- dovi speranza d'ottenerla , risolse di far un forte tentativo, e d'assaltare animoso il nemico, per evitare il pericolo di peri- rea fil di spada se avessero i bretoni espu gnato la città . Pertanto a' 7 dicembre 1382 sul levar del sole , tutto il popolo armato di balestre ealtre armi si scaglio sul nemico, e combattè con tanto valore, che in breve i bretoni furono vinti , sbaragliati e posti in fuga, ritirandosi a Nin- fa e altre terre vicine. Contribui alla vittoria l'improvvisa e terribile tempesta di grandine, simile a grosse ghiande, che uccise molte di quelle genti. Questo pro- digio fu attribuito a s. Geraldo vescovo veliterno, a cui aveano ricorso i citta- dini , e perciò quel giorno fu osservato per festivo , e preso il santo per protetto. re poi gli eressero una cappella nella cat tedrale. Il Borgia riporta la tradizione e molte testimonianze, che la grandine fos- se miracolosamente di piombo. Il Bauco iferendo le notizie di s. Geraldo, aggiun- ge che simili ghiande di piombo furono pure trovate a Campo Morto, forse pel combattimento ivi seguito , che alla sua volta narrerò. Rigetta poi i racconti che tal pioggia di grandine avvenisse nel 596 nell'assedio posto alla città da Agilulfo re de'longobardi , ovvero contro l'esercitode¹ saraceni , che venuti dal mare tentavano d'impadronirsidella città, con aperta con- traddizione, avendo egli provato che s. Geraldo soltanto resse questa chiesa dal 1072 al 1077, onde non era fiorito a quell' epoche. Ma pel nuovo quadro del. la cappella comunale di s. Geraldo (ar- chitettata del cav. Francesco Fontana nella cattedrale, e di recente bellamente restaurata), la cui illustrazione ho accen. nato parlandodella cattedrale, quantoalla qualità de'nemici, opinò il capitolodel. lamedesimache fossero i saraceni, secondola più probabile patria tradizione, che all'epoca del secolo XI tornarono a infe. stare queste contrade. Avendo promesso di riparlare della rappresentazionee pre gidel quadro, colla descrizione da ultimo fatta dal ch. Basilio Magni, dirò con lui, A' saraceni si attribuisce il feroce assedia patito da Velletri, che la ridusse agli estremi , nel vescovato di s. Gerardo, il qua- le durò dal 1072 al 1078. In tal fran- gente, il santo vestito pontificalmente uscì dalle portedella città col clero e co divoti veliteroi, e pregare Dio per la sal- vezza del suo gregge. Aun tratto, oscu ratosi il cielo, scagliò sopra gli assalitori un nembo procelloso di grandine e piom- bo, che ne fece orribile strage. Tanto e- spresse il pittore Zapponi nel quadro e con quella maestria che artisticamente rilevò, parte a parte, il suodegno concit. tadino. Perla quale prodigiosa liberazio- ne di Velletri , il santo vescovo dopo morto ne fu acclamato protettore, ed a spese del comune fu innalzata la detta cappella. Mentre Velletri sperava godere qualche anno di pace, Fabrizio Colonna ruppe quella fatta col padre nell'anno 1383, ed unito col fratello del re di Francia mandato in Italia dall'antipapa con 300g cavalli a perseguitare Urbano VI,fe- ce sul territorio veliterno grossa pre- da di bestiame, e imprigionò circa 80 cittadini nella campagna e li condus- se nella sua rocca di Genazzano. Si tenne un generale consiglio, in cui si stabi- li un armamento eleggendosi a capitani Paolo Paulozzo per custodir la città , e Francesco d' Antino per assalir i nemici e assicurar la campagna. I romani s'in- tromisero a fare restituire la preda e li- berarei prigionieri ; e nel 1385 per auta- rità de' riformatori della pace di Cam- pidoglio, si ordinò che in Velletri non ar dissero d'entrare cavallerie, nè si ricettassero i baroni senza il permesso di tutto il popolo. Il conte di Fondi vedendo le cose dell'antipapa a mal partito, e stanco da tante ostilità, colla mediazione del popolo romano si pacificò con Velletri . Ne' capitoli della concordia si conven- ne : Che il conte non molesterebbe ibeni e le persone del comune; che s'inten- desse rotta la pace, ogni volta chesi offendessero 6 uomini o più ; che i bretoni a' suoi stipendi non avrebbero offeso il comune, il quale sarebbe avvisato dovenda essi partire per munirsi. Il conte preten- deva d'esser riconosciuto rettore di Ma- rittima e Campagna, come nuovamente a ciò deputato dall'antipapa,ma í veliter- ni si rifiutarono, e solo l'avrebbero ubbidito se tale lo dichiarasse Urbano VI. I romani in occasione di detta interposi- zione, a' 29settembre 1389 aveano sti- pulato alcuni capitoli co' veliterni, ne' quali si convenne : Che Velletri ricevessecol solito onore il podestà romano; che i romani operasseroper la pace o per una lunga tregua col contediFondi,e se nonvi riuscissero si unirebbero a guerreggiarlo co' veliterni ; che si perdonassero scam- bievolmente i danni e le ingiurie ; e che per l'osservanza de' capitoli vi fosse la multa di 10,000 fiorini d'oro. Quando Urbano VI esprimeva il dispiacere che uomini perversi seguissero lo scisma, e si disponeva a concedere grazie e favori a Velletri, la morte lo rapì a' 15 otto- bre. Il successore Bonifacio IX, d'alti spi- riti, volle in quelle turbolenze ricuperare i dominii usurpati alla s. Sede, inclu- sivamente al castello di Lariano occupa- to da un barone suo nemico. Atal uopo inviò a Velletri un commissario per vigi- lare all'impresa nel 1394, con breve di- retto al comune onde animare il popo- lo ad eseguire quanto desiderava. Non si conosce l'accennato barone; forse fu NicolòColonnapartigiano dell'antipapa,per chènel 1400 pare che abbia mossa guer. ra a Velletri per questa causa. Baucocredeprobabile che allora Lariano fosse occupatodalla famiglia Conti , i quali fino dal 1226 aveano delle ragioni sul terri- torio, e sotto Urbano VI Ildebrando e Adinolfo Conti prendevano i frutti di Lariano. Quel Papa nelt 388 avea commesso a Nicola di Lauro ( o Valerianis di Piperno) di ricevere da' detti Conti il possesso d' Alatri e Segni, e de' castel. li di Paliano e di Lariano, e di ritener- li in buona guardia e custodia. Forse nella morte d'Urbano VI i Conti ritornarono in possesso di Lariano con dispia- cere di Bonifacio IX ; e forse da quest'impresa di Lariano avranno avuto o. rigine le rappresaglie di PaoloConti con. tro Velletri. Poichè partito il Pontefice da Roma, i romani ripresero la primie- ra libertà e licenza cacciandone i suoi ministri. In quest'occasione Paolo Con- ti allegando che da' veliterni fosse stato saccheggiato il suo, portossi con buon nuinero di gente armata a' danni di Velletri, facendo scorrerie, prede e uccisioni, massime nelle campagne. Nel 1397 si adunò in città un parlamento generale per provvedere a questo disastro, e fu- vono eletti 2 capitani ; ma in breve seda- ta la discordia, si ristabili l'antica amicizia econfederazione tra Velletri e i Con- ti. Fin qui il Bauco. Ma io già dissi col Ratti, Della famiglia Conti, e superiormente, che in principio Urbano VI fa favorevole a'Conti , affidando loro il gover- no e le rendite di vari castelli, fra ' quali leggo Lariano, e poi nella detta epoca tut- toloro ritolse. Di più trovo nelmedesimo Ratti, Storia di Genzano, p. 26 e 111 , un documento di Bonifacio IX del 1 399, in cui si dice, che Lariano era una ca- stellania dalla quale dipendeva Genzano elaRiccia, feudi de'Savelli, venendoGeuzano, a cui era congiunta laRiccia, distac- cato, sottoposto e unito a quella di Ma- rino. Eap. 119 che le rendite della guar diania di Lariano, Bonifacio IX nel 1404 assegnò al monasterodelle Tre Fontane. Accenuato tuttoquesto, osserva il Nibby, che Lariano era divenuto proprietà de Savelli, e che Bonifacio IX volendo ri- cuperarlo esortò Velletri a porre in opera tutte le sue forze per ottenerne lo sco- po, e sembra che l'impresa sortisse buo- no effetto. Dunque pare, che il Savelli fosse quel barone neunico di Bonifacio IX. Stabilite le cose di Roma in piena soggezione delPapa, questi vi tornò, ed i veliterni di ciò congratulandosi, gli e- sposero i bisogni della città e le novità fatteda' romani. Esiccome una delle cagioni delle continue discordie fra' roma- ni e veliterui era l'annuo pagamento di 1000 libbre, che i romani pretendevano per esservi stato ferito in Velletri un loro commissario nel 1398, Bonifacio IX liberò in perpetuo Velletri da tale imposizione 1'8 agosto 1400. Nel precedente avea fatto vescovo di Cefalonia Grego. rio Gori veliterno, arciprete della catte. drale; mentre in Roma era luogotenen- te del senatore Angelo Alaleoni rettore generale di Marittima e Campagna, e lo ricavo dal Compagnoni, Reggia Picena, p. 319. Erasi sino alle discorse epoche conservata libera inVelletri l'elezione del podestà, e solo limitata nel 1374 da'ro- mani onde dovesse eleggersi un cittadino romano da confermarsi in Roma. Ma avendo Bonifacio IX richiamato a se l'au- torità pretesa dal senato romano, usan- dodel pieno suo diritto d'assoluto prin. cipe, deputò per podestà di Velletri a' 12 aprile 1398 Paolo de Maleozzi dot. toreinlegge, e così troncò le romane pre- tensioni . I baroni circonvicini a Velletri non sapevano astenersi dall'uso delle armi e dalle pubbliche violenze in que' in- felici tempi, nè la città potè goder quie- ta nella religiosa ricorrenza dell' auno santo 1400, perchè il ricordato Colonna o per la rocca di Lariano o per altro mo- tivo intimò guerra a' veliterni. Questi assoldarono l'opportuna gente, e invoca rono soccorsi dal Papa, che probabilmen- te colla sua autorità pacificò i veliterni e i Colonnesi. Nel 1404 divenuto Papa Innocenzo VII il popolo romano di nuo vo pretese l'annue 1000 libbre da cui era stata assolta; ma a lui ricorrendo i veliterni, confermando il Papa l'esenzione del predecessore, i romani si tacquero, L'ambizioso Ladislaore di Sicilia di qua dal Faro, sempre aspirando al dominio di Roina e d'italia, nel 1407 sotto Gre, gorio XII rinnovò i suoi tentativi per oc cupare Roma, facendo scorrerie ne' dintorni .Tento puredi sorprendereVelletri, mediante alcuni cittadini guadagnati da Jui, della fazione de' lupi, che col più ne- ro tradimento eransi proposti di saccheg- giaila edargiela in mano. Scoperti gl'ini- qui, furonoperseguitati, e si presero ener: giche misure per difendere la città, mi- nacciatadal re di ferro e fuoco, i romani avendo inviati too fanti. Ma pervenuta Ostia in potere di Ladislao, i romani a lui si dierono, per cui i veliterai si videro costretti a ricevere le sue genti, premu- nendosi con un salvacondotto regio onde evitarne le violenze. Da Roma con di- plomade' 17 giugno1 408 Ladistao spedì a'veliterni un diploma di conferma a' lo- ro statuti e usi; econ altro de 4dicembre 1409 da Salerno concesse a'veliterni l'e- seuzione de'dazi da lui imposti e da imporsi, ordinando che ogni 6 mesi continuino i cittadini a eleggere gli uffiziali, coll'intervento del podestà per sua parte. In quest'epoca si estinsero in Velletri, per opera del regio podestà Sillano Pignattel- li napoletano, e con quella d'un religio- so francescano secondo Theuli, le fazio- ni delle pecore e de' lupi, che per tanti auni l'aveano travagliata colle guerre ci- vili, e così le fu restituita completamen- te la pace. A togliere a partiti qualunque aderenza o protezione de' baroni, si for . mò un rigoroso statuto proibitivo d'al- loggiarli nelle proprie case senza licenza de'signori nove, e di tenerne sulle porte l'armi gentilizie. Ladislao nel tempo che dominò Roma si portò più volte a Velletri, ed abitò una casa verso ponente, di cui il Landi lasciò memoria ne'mss. Frattanto lo scisma sempre più imperversava : all'antipapa in Avignone era succe- duto fin dal 1394 1' ostinato Benedetto XIII. Ad estinguerlo si celebrò il famoso Sinodo di Pisa nel 1409, ove si de- pose tanto l'antipapa quanto il legittimo Gregorio XII; ed elettosi Alessandro V, ladivisione dell'unità de'fedeli restò mag. giormente scissa, con seguire 3 ubbidien- ze. Velletri seguì quella dell'eletto , ab. bandonando l'anteriore di Gregorio XII. ludi Alessandro Vscomunicò e privò del regno Ladislao, quale usurpatore de'dominii della Chiesa e aderente a Gregorio XII; ma morendo poco dopo nel 1410, gli fu sostituito Giovanni XXIII in Bologna, da dove i cardinali di sua ubbidienza tutto parteciparono a Velletri con lettera de' 17 maggio. Mi duole che l'ot- timo edotto sacerdote Bauco chiami an . tipapa un Gregorio XII (V.). Recatosi in Roma Giovanni XXIII pubblicò la cro- ciata contro Ladislao quale usurpatore del regno, persecutore della Chiesa e se- guace di Gregorio XII. II versipelle prin- cipe, per conservare il regno, tosto abban- donòil virtuoso e legittimo GregorioXII, e si sottomise a Giovanni XXIII, median- tetrattatodi pace de' 15 giugno1412.Ve- ramente in tal giorno il re in Palatio s. Petri emanò un diploma in favore di Vel- letri, come imparo dal cardinal Borgia. Breve istoria del dominio della Sede a. postolica, p. 188. Dal canto suo Giovanni XXIII abbandonò Lodovico II d'Angiò, che con bolla avea riconosciuto per legit. timo re del regno di Sicilia di qua dal Faro. Ladislao avea nominato rettore di Marittima e Campagna o suo vicegeren- te Giacomo d' Aquino conte di Satriano. E Giovanni XXIII conferì il rettorato al cardinal Rinaldo Brancacci. Per allora Ladislao abbandonò tutti i luoghi che in queste parti avea usurpato, e solo ritenne Sezze come di molta importanza, pro- mettendo restituirla previo sborso di ri- levante somma. Giovanni XXIII per ricuperarla, chiese a Velletri 1000 ducati d'oro, e fu contentato con 650, ad onta dell'esausto erario comunale pe'continui dispendii per le guerre e carestie di que' torbidi tempi; protestando però il pode. stà , il giudice e i signori nove , che ciò non pregiudicasse a' privilegi della città, Narra il p. Casimiro da Roma, che Riccardo Annibaldi de'signori della Molara s'impadronì nel 1412 di Lariano e di Ne- mi castelli della Chiesa, fu indi carcerato, e Giovanni XXIII il 1.º dicembre lo fece uscire, restituendo Lariano e Nemi. Erasi introdotta una consuetudine , che Velletri ad ogni ordine del rettore di Marittima e Campagna dovesse mandare all'esercito 100 fanti e 6cavalli, tuttiman. tenuti e stipendiati a spese de' cittadini. Che dovesse inviare a' parlamenti gene- rali della provincia un sindaco. Che tut. ti gli appelli delle cause tanto civili quan. tocriminali al medesimo rettore si devolvessero (ma nell'esenzione di Bonifacio VIII , che qui par dimenticata dal Bauco, quel Papa soltanto assolse i veliterni d'essere costretti dal rettore di portarsi all'esercito o alle cavalcate fuori della provincia ; ed al rettore conservò l'appello legittimo, e d'ingerirsi nell' ammi. nistrazione della giustizia , se negligenti gli uffiziali veliterni. Tanto aveano rife. ritoprima di lui anche il Theuli e il Borgia). I veliterni fecero grandissime istanze a Giovanni XXIII per essere liberati da questa soggezione, per abitare una città tanto vicina a Roma, e dimostrandogli la continua fedeltà alla s. Sede, legra. vissime spese fatte per gli armamenti, e i danni eccessivi sofferti nellaguerra gu con. tro Ladislao. E Giovanni XXIII a tutto condiscese con breve datum Romaeapud s. Petrum, a'15 ottobre 1413 (temo sbagliato il mese, e forse dovràdi non poco anticiparsi, per quanto vado a narrare), interamente esentando Velletri dalla dipendenzadel rettore della provincia.

 Ladislao non pensando ad altro, chead eludere eziandio Giovanni XXIII, rotto il trattato, con un esercito sorprese Roma a'15 giugno1413, e lo costrinse a fuggireco'cardinali. Nello stesso giorno con amplissimo diploma datum Romae in Palatio s. Petri, in cui si diè l'ampolloso titolo d'Illustre Illuminatore di Roma, con- cesse a' veliterni indultoe remissione dipe na meritata per qualunque delitto commesso , contro qualsiasi persona e anche contro il popolo roinano, eziandio di lesa maestà; ed ordinò al podestà e suoi uf- fiziali di mantenere gli statuti della città e di osservarli; in fine confermando ad essa tutti i privilegi pontificii. Ladislao mori nell'agosto 1414, liberaudo lo stato della Chiesa da un infestissimo oppressore, lutauto aterminare lo scisina si adu 298 VEL VEL nò il Sinodo di Costanza, in cui Gregorio XII virtuosamente rinunziò il pontifica- to, lo spergiuro Giovanni XXIII fu deposto, e l' antipapa Benedetto XIII di- chiarato ostinato scismatico e deviatodal la fede. Perciò non scrisse bene il can. Bauco dicendo; Giovanni XXIII rinun. ziò, Gregorio XII e Benedetto XIII furo. no privati del pontificato. L'it novembre1417 coll'elezione di Martino V Co- lonna cessò il deplorabile e lunghissimo scisma. In tale anno il conciliodi Costanza avea dichiarato Alto Conti rettoredelle provincie diMarittimae Campagna, ca- rica quasi ereditaria nella sua famiglia per alcune generazioni , come notai nel vol. XVII, p. 74. Nel 1424 furono rin- novati i capitoli fra Romae Velletri in- torno al podestà e ad altri particolari; furono ancora rinnovati i confini , e si accomodarono le differenze pel castello di Lariano, che Nibby dice tornato in poterede'Colonnesi nel pontificatodel paren. te loro Martino V. Mortoquesti nel 1431, gli successe Eugenio IV , sotto il burra- scoso pontificato del quale Velletri fu a parte de' tumulti e delle guerre, e sicco me ne portò il peso, così ne raccolse pu. re abbondante frutto. Ribellatisi i CoJonnesi e i Savelli, tra loro alleati, il Papa li scomunicò co' loro fautori , privaudoli degli onori e dignità, e confiscandone le terre. Fra queste contavansi le fortezze di Lariano e di Faggiola, quella posseduta da'Colonnesi, questa da'Savelli, Durante l'inimicizia col Papa, gl'insorti baroni con gente armata scorrevano e saccheggiava. no le campagne di Roma e il territorio di Velletri , predando animali e uomini, I veliterni prevedendo gravi disastri da questaguerra, si prepararono a valida di- fesa, Scelsero a capitano Paolo Annibaldi della Molara, spedirono ambasciatori a' Conti per tenerseli amici, e rinnovarono l'antica confederazione col popolo della città di Cori ; e stando in guardia fuori e dentro la città . Il Papa assoldò 8000 uamini sotto la condotta di Micheletto per reprimere i ribelli , e deputò legatodell'impresa il celebre e valorosovescovo Vi- telleschi poi rettore di Marittima e Cam pagna e indi cardinale, severo e acerrimo nemico de Colonnesi. Le milizie pontifi . cies'impadronirono di Zagarolo, Palestrina, Albano, Civita Lavinia e Castel Gan. dolfo . Vi rimaneva il castello di Lariano oAriano, ch'era benfortificato, assai munito, e con diligenza difeso da Colonnesi, Fermarousi all'assedio di questo forte 4000 uomini, dimorandovi 4 mesi senza successo, Dovea il comune di Velletri provvisionare questa truppa di denaro, di grasce e d'altrecose necessarie. Audan. do l'impresa a lungo, i veliterni per togliersi da tante spese, si offersero al car- dinal Condulanieri camerlengo di dar l'as- salto alla fortezza; il che fu loro accorda. to con larghe promesse. Si presentarono coll'Annibaldi al cimento 800 volontari cittadini, i quali animati da valore e irritati peʼricevuti danni, appena giunsero sotto Lariano che l'assalirono con indicibilecoraggio e in breve lo presero. En- trati nel paese lo posero a sacco e fuoco, equasi tutto restò distrutto, Tutti gli a- bitauti colla guarnigione si rifugiarono nella rocca. Pareva che i larianesi voles sero difendersi, ma sperimentata la bra- vura e la fortezza de'veliterni uell'assal- to, e sapendoli fermi di voler espugnare anche la rocca , e non avendo speranza d'esser soccorsi da'Colonnesi , chiesero di capitolare e fu loro accordato. Nell'otto- bre 1433 i signori nove deputarono com- missari pertrattare conquelli inviati aVel- letri da Lariano, Pietro Mancini e Anto- nio Pancioni. Fra gli altri capitoli della dedizione, fu concesso che tutti gli abi- tanti potessero recarsi a dimorare in Vel. letri, colla franchigia da' dazi per 20 an- ni. A'26 ottobre 1433 uscita dalla rocca la guarnigione e il castellano coll'armi e bagaglie, ed i larianesi colle loro sostanze, la truppa de'veliterni la diè alle fiamme, Il cardinal camerlengo quindi con autorità pontificia concesse e aggiudicò tal VEL VEL 299 fortezza al comunedi Velletri insieme col territorio, incorporandolo al veliterno, dandone alla città il pieno possesso; e di- poi il Papa tutto confermò con bolladel- 1'8 ottobre 1 443, riprodotta daBauco come onorevole per la città. Lo stesso in- fortunio sperimentò la fortezza della Fag- giola de' Savelli, la quale espugnata da' veliterni fa incendiata e distrutta ; ed il medesimo cardinale diè il possesso del la fortezza e del territorio al comunedi Velletri , Si celebrava allora il conciliodi Basilea, alquanto ostile a Eugenio IV, au de presto divenne conciliabolo. I Colon- Desi interposero i padri perchè stimavano nocevole alla loro casa l'inimicizia de've literni, A' 17 dicembre 1433 il concilio scrisse al popolo veliterno esortandolo a pacificarsi co'Colonnesi ; ma quandogiun. se la lettera ritardata, già erano eguagliate al suolo la terra e rocca di Lariano. La città però, salvi i diritti e gli acquisti fatti per ragione di guerra , procurò di tornar in pace co'Colannesi e conservar- la, anche perchè poi adoperandosi di tor nare in grazia d'Eugenio IV, branava- no la reintegrazione del confiscato. La suddetta bolla di conferma con l'autori tà del mero e misto impero etpotestate gladii, e il precedente atto del camerlen- go de'30 luglio , che allora era il cardi- nal Lodovico Scarampo Mezzarota , già commissario apostolico nella suddetta guerra e legato di Marittima e Campa gua , ritardarono perchè il Papa pe' tu- multi de'Colonnesi partito da Roma uel giugno1434, non vi ritornò che a'at set. tembre 1443; la bolla contenendo anche quanto riguarda Faggiola. Possedendo Velletri la terra di Lariano e il suo territorio, il cardinal Prospero Colonna nipote di Martino V ruppe la pace , pre- figgendosi di tornarvi in possesso e ripo- polarla , e di fortificare con nuove fabbriche la rocca. Mandò a tal uopo un gran numero d' operai , che sostenuti e guardati da una forte squadra di soldati, attendessero al lavoro. Ciò saputosi iu Velletri, il magistrato non risolvevasi ad usar la forza per impedirlo, ma il popo . lo lo fece da se. Corse armato a Lariano , fugò i soldati , cacciò gli operai, e gitto a terra tutto il nuovo fabbricato ; indi fu custodito il castello diroccato, per impe- dir qualunque innovazione. Ad onta di quanto fecero i Colonnesi per ricuperare Lariano,non riuscì loro finchè visse Eugenio IV. Questo Papa affezionatissimo a Velletri, gli concesse molte grazie e privilegi. Egli con sua bolla ridusse il peso di 200 libbre di cera a 50, che annualmente doveasi presentare in Roma dal comune veliterno nella festa dell'Assuuzione di Maria ss. Concesse al consiglio la libera elezione del giudice, non ostante qualunque convenzione fatta tra il popo- lo e senato di Roma, e il comune di Vel- letri. Ordinò ancora che si conservassero le giurisdizioni e gli statuti della città, dichiarando appartenere al podestà , al giudice , agli uffiziali di Velletri privati- vamente giudicare sulle cause di qualsi- voglia delitto , che nella città e nel suo territorio si coinmettesse, eccetto solo il delitto di lesa maestà. Inoltre Eugenia IV promosse a vescovo di Capri fr. Fran- cescoda Velletri minorita, famoso lettore di teologia, poi traslato a Gaeta. Fra il territorio di Velletri e quello di Nettuno esisteva una forte torre nel castello di s. PietroinFormis, oggiCampoMorto.Que- sto apparteneva a'Savelli coll' ampla te- nuta di fertilissimi campi all intorno. Quel barone ne fu spogliato da Eugenia IV , il quale ne fece dono al celebre ca- pitano Antonio Ridi padovano, castellauo o prefetto di Castel s. Angelo di Roma, Nelle circostanze di guerra il castello di s. Pietro in Formis era assai molesto a Velletri e cagione di gravi dispendi , per guardarsene e difendersene. Eugenio IV con lettere del cardinal camerlengo de' 12maggio 1445 ordinò a' veliterni che fra due mesi lo demolissero, il che fu subi- to eseguito. Velletri per la distruzione di tal forte restò assai tranquillo, e di più 300 VEL VEL quando il tenimento fu venduto al capi. tolo Vaticano, che ancora lo possiede. Per la posizione topografica di Velletri , già notai i travagli e disastri ch'era obbliga. ta tollerare da'baroni, che d'ogni banda colle loro baronie ne circondavanoil ter- ritorio . E siccome ella dichiaravasi ne. mica a chi nemico fosse della s. Sede, le conveniva star sempre sull'armi per di- fendersi, e per combattere contro i detti baroni, che per lo più erano a'Papi ribelli . Nè godè ella riposo e tranquillità finchè col proprio valore non abbatte e distrusse alcuni ricoveri di siffatti prepotenti baroni, e li tenne a freno col timo re di sue armi. Perciò Bauco dice che niun reggimento è più nemico dell'uma . na generazione, che il feudatario, poichè i Passalli (V.) avvilisce , e i diritti mu. nicipali disperde. Allorchè Eugenio IV dichiarò ribelli i Colonnesi ei Savelli, furono inclusi nella stessa sentenza anche Francesco eRuggero Caetani padronidel la fortezza d'Acquapuzza posta fra Ser- moneta e Sezze, la qualeil Papa nel 1443 diè in custodia a'veliterni; indi il successore Nicolò Va 22 dicembre1449 ue or- dinò la consegna al suo commissario Lorenzo Cecchi, e fu eseguita. Nate nuove contese fra'romani e i veliterni per l'elezione del giudice, che da Eugenio IV era stata concessa o piuttosto restituita libera alla città, in detto anno si venne a con . cordia, e fu stabilito; che siccome Velletri eleggeva 3 gentiluomini romani per podestà, de' quali il popolo romano ne confermava uno , così dovesse il popolo romano eleggere 3dottori, a uno de'qualila cittàdasse la patente di giudice. Men. tre Velletri godeva pacificamente il ca. stellodi Faggiola,deputandovi il consiglio un particolare governatore, morto Nicola Savelli antica signore del luogo, di cui per la ribellione n'era stato privato da Eugenio IV, i suoi figli implorarono da Nicolò V, oltre il perdono, la ricupera di Faggiola e dell' altre castella già confi- scate, ed il Papa tutto accordo a' 3 ago, sto 1447. I veliterni ricorsero a Nicolò V, ed esposero il diritto che aveano sul castello, per averlo conquistato col pro- prio sangue, col dispendio di 9,500 fio- rini d' oro, e loro quindi confermato da Eugenio IV. Trovando il Papa giuste tali ragioni , rivocò il decretato a favore de' Savelli, ed a'25 novembre:453 dichiarò spettare a Velletri la Faggiola, onde tor- nò a possedere pacificamente il suo terri torio e la fortezza. Non così avvenne con Lariano. I Colonnesi baroni più potenti sempre tentandone la ricupera, nulla ottenendo dalla città, conseguirono almeno da Nicolò V, che appena divenuto Papa li assolse, mediantebrevede 13 agosto 1 448, che fossero loro pagati 1000 ducati d'oro per le violenze usate contro gli armati e artisti mandati dal cardinal Colonna alla riedificazione di Lariano; il quale porpo- rato perciò animato tentò più volte di ripigliare il castello, vi mandò altra gen. te arinata per cacciare dal territorio i nuovi coloni, e vi fece portare una gran quantità di materiale per rifabbricarlo. Nel 1455 divenuto Papa Calisto III , la città nell'umiliargli ubbidienza, pe'depu- tati rappresentò i suoi diritti su Lariano e la Faggiola, e lo supplicò della confer- ma de' luoghi e di proibire a' Colonnesi che non più tentassero rifabbricare Lariano. Fu esaudita con breve de' 6 settembre, ordinando sotto gravi pene, che niuno in quel luogo ardisse di rifabbrica. re. Nel 1456 dall'agosto al dicembre Vel- letri fu flagellata dalla peste, onde i cit- tadini si sparsero per le vigne e ne' luo- ghi vicini, Pio II fatto rettore di Marittima e Campagna il nipote Antonio Picco- lomini e poi Gio. Antonio Leoncilli di Spoleto già senatore di Roma, per moderazione da Siena raccomandò per po- destà Giovanni Boccabella romano, e il cardinal Colonna profittando della lon- tananza del Papa di prepotenza nel 1462 ricominciò la riedificazione della fortezza di Lariano, e con gran calore vi sollecitò i lavori. Tornato Pio II in Roma, i trava VEL VEL 3or gliati veliterni gli fecero reclami, e furono contentati; poichè considerando il Papa che l'erezione della fortezza poteva fomentare disastri alla città e provincia, co- mandò nel 1463 al cardinale la demoli. zione degli edifizi e fortificazioni. Ma es. sendo caduto infermo il cardinale, la fortezza fu consegnata come stava al cardinal Todeschini nipote del Papa, onde con- servarsi per 6mesi in deposito; ed intan. to il cardinal Colonna tosto morìa' 24 marzo, lasciando erede Vittoria sua sorelJa e vedova di Carlo Malatesta già capita. no generale del duca di Milano. Spirati quindi i 6 mesi, Pio 11 ordinò che la for. tezza si demolisse, con proibizioneachiun- que di rifabbricarla (di che parlando il Piazza nella Gerarchia Cardinalizia, di. ce che a'velletrani ordinò pure la demo- lizione della rocca o fortezza vicina a Ci- vita Lavinia, da'medesimi Colonnesi con gran spesa fabbricata, potendorecarepre giudizio a Velletri; ed il simile narra il Theuli); per cui Velletri si obbligò con pena di 10,000 fiorini d'oro a non farvi nuove fabbriche , salvo solo il dominio e la proprietà che avea del luogo, e di paga. re 500 fiorini d'oro alla camera aposto licaper rimborsodelle spese fatte nella cu- stodia in tempo del deposito. Nel novem. bredello stesso1463 i veliterni in numero di 400 armati, d'ordine pontificio si diresseroalla demolizione delle nuovefor tificazioni. In que' tempi tale fortezza si reputava inespugnabile, come fabbricata sul monte di pietre quadrate e tutto mas. so al di dentro. Per la sua elevatezza dominava dal settentrione la provincia di Campagna, e dall'ostro quella di Marit- tima: era provvista di due conserve d'ac- quaassai copiose e lavorate con grande ar- tifizio, ed essendo poco comune l'usodel- l'artiglierie era malagevole l'impadronir. sene. I demolitori proruppero in alcune proposizioni offensive a' Colonnesi , da' quali prese in mala parte cagionarono contese. Imperocchè Vittoria Colonna (nou si deveconfondere colla marchesaa na di Pescara , di cui anche nel volume LXXXVIII, p. 200 e seg.), com'erede del cardinal Prospero suo fratello mosse lite al comune di Velletri, proponendo non solo il libello d'ingiurie, ma ripetendo il pos- sesso del territorio di Lariano come antico patrimonio di sua casa. Pio II commise la cognizione di queste cause al sena- tore di Roma, che a' 18 luglio 1464 pro- nunzio sentenza assolutoria a favore di Velletri. Tuttavolta, morta Vittoria , i suoi eredi nel 1465 suscitarono altre pretensioni per la ricupera di Lariano. Con approvazione di Paolo II fa eletto per compromesso in arbitrodalle parti il cardinal Guglielmo d'Estouteville vescovo veliterno (secondo il cav. Coppi, o a'21 marzo 1479 al dire di Bauco. Questa di- screpanza chiarirò col Borgia. La 2. da- ta appartiene all'altro laudo pronunziato dal cardinale, sopra le differenze insorte fra Velletri e i signori di Nemi pe' con- fini della Faggiola). Ordinò che la rocca di Lariano col suo territorio per quanto pende dalla cima de'monti verso Velletri appartenesse aquesta città, eperquan. to si stende dalla parte opposta verso Rocca di Papa e Rocca Priora fosse de' Colonnesi, e che nelle sommità deʼmonti si ponessero i termini divisorii pe'confini d'ambe le parti. Ordinò ancora che si pagassero da Velletri 800ducati, e proi bìsì a'veliterni che a' Colonnesi di rifabbricare in quel luogo castello o rocca. II cardinal d' Estouteville fu il 1.º vescovo veliterno ch'ebbe dalla s. Sede il permesso e la giurisdizione d'usare insieme l'au- torità spirituale e temporale sopra Vel- letri. Ma questa giurisdizione e autorità al principio non importava altro che protezione. Bene il mostrò il degno cardina- lenel difendere le ragioni, privilegi e giu- risdizioni della città. Come uomo inte. gro e prudente , compose le tante differenze che agitavano la città, con soddi- sfazione universale non solo per Lariano co'Colonnesi, ma nel 1479 sopì le diffe- renze insorte fra Velletri e il barone di : 302 VEL VEL Nemi pe'confinidi Faggiola. Fuanchege- neroso emagnifico, adornò la cittàd'una sontuosa fabbrica per comodo e abitazionede' vescovi presso la cattedrale, oggi ri- dotta in parte per uso del seminario , e partedonata perabitazione dell'arciprete della medesima. Invece dell'episcopio go. dono ora i vescovi di Velletri il suddescritto appartamento nel pubblico palaz- zo: prima lo aveano come governatori di Velletri, ora come legati perpetui della s. Sede. Fu Paolo Il che con breve de' 13 giugno 1470 conferi la protettoria della città di Velletri al suo vescovo pro tem pore, e ciò fece per togliere al popolo ro manoquellapoca parte che avea al gover- no della medesima; per cui eravi un con- tinuo seme di discordie, di violenze e tal- volta di guerre; perchè i veliterni sempre aspiravano ad una piena libertà, ei roma- ni alla soggezione e dipendenza de'medesimi , onde fra'due popoli non poteva mai sussistere stabile sincera pace. EPaolo Il così tronco tutte le pretensioni de' ro- mani . Osserva il Bauco, che peròtale protettoria e patrocinio concesso a' vescovi veliterni , come suole accadere per l' innata propensioneche hannogliuomini di signoreggiare, passò ad un'ampla e asso- luta autorità di governo , accresciuta da una parte co'privilegi concessi ne' tempi posteriori da'Papi a'cardinali decani, e dall'altra coll'abolire l'elezione del pode- stà e del giudice, la quale in quell'epoche epermolti anni appresso rimase libera a' cittadini. Al popolo romano restòsoloche i podestà eletti al governo di Velletri do- vessero essere del ceto della loro nobiltà, de'quali la città ne eleggeva 3, ed unodi questi veniva scelto dal cardinal protettore, ed il Papa lo confermava consuobre- ve;equesti prima di prendere possesso del- la carica prestava giuramento di fedeltàin manodel cardinal camerlengo di s. Chiesa. Sisto IV mostrò molto affetto verso Velletri, chefece conoscere concedendole molte grazie e privilegi. Primamentecon- fermò il laudodel cardinal d'Estouteville, enecommise l'esecuzione al cardinalOrsini camerlengo, che per mezzo del suo segretariodiè al comunedi Velletri il possesso del territorio di Lariano a' 2 maggio 1472. Nel 1474 il Papa scrisse lettere molto efficaci al podestà e al giudicedi Velletri,acciò si adoprasseroper estingue- re affatto l'antiche fazioni, che sempre ripullulavano tra'principali cittadini,intor- bidando e sconvolgendo la quietedella po- polazione, il che riuscì felicemente. Nel pontificato di Sisto IV s'incominciò la proficua impresa di condurre l'acqua pe- rennein Velletri da'monti dellaFaggiola , il Papa nel 1473 commettendone la cura al cardinal d'Estouteville,come quello che avea tanto a cuore il pubblico bene, acciò vegliasse per ridurre ad effetto sì nobile impresa; scabrosa e dispendiosa, di cui in diverse epoche s'intraprese il lavoro e poi sospeso, finchè fu ridotta acompimento, come poi dirò . Nel 1475 si sparse in que- ste contrade terribile pestilenza, e Velle- tri ne patì gravemente; disastro che si abbreviò pel solenne voto fatto al santuario di Loretocon preziosa corona tempestata di gioie di molto valore. Desiderando Sisto IV il bene e la tranquillità di Velletri, ordinò che fermi rimanessero i diritti del podestà e giudice; gli confermò tutti i pri- vilegiegrazie concessi da'predecessori, gli statuti, eil possesso de'castelli di Lariano eFaggiola coʼloro territorii. Nella biografia di tal Papa accennai la guerra insorta tra lui e l'ingrato Ferdinando I re di Na- poli, per aver questi preso le parti del du- ca di Ferrara feudatario della s. Sede, ed i luoghi ove ne ragionai. Qui solodirò, che il re nel 1482 inviò contro i dominii pon . tificii il figlioAlfonso duca di Calabria con 9,000 uomini, compresa una forte colonna di cavalleria; esercito composto in partedi turchi, chedopo ricuperato Otranto dalle loro mani, avea ritenuti al suo soldo. Erasi sparso traʼveliterni e la provincia indicibile spavento, anco perchè i Co- lonnesi e i Savelli nemici di Velletri ade. rivano alduca, ondecon apparecchio mi VEL VEL 303 litare si prepararono adifendersi dentro le mura, edincalcolabili furono i danniri- cevuti nel territorio.In aiuto delPapa vennerogli alleati veneziani ,capitanati daRo- berto Malatesta di Rimini valorosissimo, egiunsero a'15 agosto. Il duca, respintele milizie pontificie, occupato Albano e Ca- stel Gandolfo, si avvicinava a Roma tutta costernata. Le milizie collegate, ricupera- ti que'luoghi , fermaronsi a Torrecchia, piccolo castelloora distrutto a 8 miglia da Velletri; mentre Alfonso erasi munito e attendato fra tal città e Nettuno, distante 10 miglia, aspettando i rinforzi per mare promessigli dal padre. Roberto d'ordine del Papa e di Girolamo Riario suonipote e generale di s. Chiesa, invitò i veliterni a mandar 500 deʼloro soldati , e subitofu- rono spediti , condotti da' loro capitani Censio Salvati, Giovanni Lerici , France- sco Nuticola , Ostilio Favale , Giuseppe Scevola, Sante Santocchia e Andrea Toruzzi, riuscendo di sommo vantaggio al . l'esercito papale. Essi pratici del paesegui- daronole truppeper vie non battute,quin- di inosservati e all' impensata circondarono i nemici, e all'albeggiar de 21 ago. sto l'esercito pontificio scagliossi contro il campo nemico. I primi a far fronte fu- rono i turchi, combattendo valorosamente; la mischia tra le parti si strinse con calore, per cui incerta pendeva la vittoria. Si avauzò allora Roberto co'più prodi, fece retrocedere il nemico e lo strinse d'ogni lato. La cavalleria regia datasi al. la fuga, restati scoperti i turchi, grande ne fu la strage; onde Alfonso impotente a sostenersi fuggì e fu sul punto di ca- der prigioniero, se non lo difendevano 50 cavalieri turchi. Contribui alla vittoria il cielo con dirotta pioggia che impedi al- I'artiglierie nemiche di prender fuoco, mentre i balestrieri , fra'quali buona par te erano veliterni, usarono le loro balestre con orribile danno de'nemici. Alfonso giunto a Nettuno, salito un battello por. tossi a Terracina, ove raccolse gli avanzi dellosbaragliato escrcito.Ilcombattimen. todall'alba durò sino a at ora , e gran lode meritano i vincitori perchè pugna- rono con numero duplicato di nemici. II luogo della battaglia chiamavasis. Pietro in Formis, e preseil nomedi CampoMorto dalla grande strage. Nel dì seguente si díè sacco al campo nemico, e siccome il felice successo in gran parte si attribuì al valore de'veliterni, Roberto che co'feriti erasi condotto dopo la vittoria a Velletri, aquesta donò lebandiere nemiche, euna buona porzione dell' artiglieria rimasta sul campo. In Velletri furono condotti circa 500 prigionieri, con 20 capitani e molti uffiziali maggiori. Dopo due gior- ni di riposo l'esercito pontificio parti da Velletri per Roma. Nello stesso tempo che poco lungi dalla città combattevasi, dentro di essa il popolo nella cattedrale pregava fervorosamente Dio e i ss. Ponziano ed Eleuterio protettori, all'interces- sionede'quali si attribuì la celebre e se. gnalata vittoria, la salvezza di Velletri e di Roma; per cui Sisto IV lo dichiarò in un breve diretto a Velletri , ed in Roma eresse la Chiesa di s. Maria della Pace, il cui soccorso avea implorato. Il re ve- dendo le sue cose a mal partito, si pose intutto a disposizione del Papa, e gli re- stituì Terracina e Benevento. Sisto IV volendosi mostrare grato a'veliterni e insieme animarli a mantenersi fedeli, largamente loro donò alcune possessioni di Cristoforo Savelli, cioè porzione di quel- le confiscategli per avere i suoi figli se- guito il partito del duca di Calabria (an. che i Colonnesi furono puniti), e furono: la metà delle tenute e casali di Torre d'Orlando, Campo Leone, le Pentome, s. Maria Palombo, non chela metà di Torre de'Gandolfi e di Nemi, oltre le case e orti che aveano in Albano. Di più esortò i veliterni a prender l' armi contro Ar- dea e Rocca di Papa, castella d'Odoardo Colonna duca di Cave, che parimenti a- vea aderito al duca di Calabria, perchè tuttora que' paesi persistevano nella ri- bellione; promettendo loro,che dopo il conquistol'avrebbedate in dominioaVel. letri con piena ragione di mero e misto impero. Apprendo dal cav. Coppi , cheal tre terre furono tolte a'Colonnesi, fra le quali Cave, ma non fa menzione de' veliterni; durava la guerra nel 484, quando morì il Papa e gli successe Innocenzo VIII. Alfonso duca di Calabria volendo occupare le ricchezze de' baroni del regno, questi ricorsero al Papa supremo si- gnore e ne prese le difese, onde si ruppe guerra: i Colonnesi furono col Papa, gli Orsini col re. Il duca di Calabria e Roberto Sanseverino si posero alla testa del regio esercito, e nel declinar del1485 desolarono le campagne di Roma e questa minacciarono. Alla custodia di Velletri venne Nicolò Caetani con alcune compa- gnie di cavalli; e perchègiornalmentenel territorio predavasi da'nemici, furono da per tutto rinforzate le guardie. Le rapine fatte nel territorio veliterno furono rappresentate al Papa come somministrazioni de' cittadini, ma il vescovo cardinal Della Rovere gli tolse la sinistra opinione concepita; e finalmente la pace seguì a' 12 agosto 1486. Innocenzo VIII confermò a Velletri le ragioni che avea sulla tenuta del Peschio, nell'abbazia di S. Bartolomeo del vescovo Tusculano. Oltre le calamità della guerra, Velletri fu travagliata dalla peste nel 1483, e maggiormente infierì nel 1486: il popolo fece voto di celebrar la festa dell'Immacolata Concezione con digiuno nella vigilia, e indi a poco cessò la mortalità. Per gratitudine i veliterni nella cattedrale eressero la sontuosa cappella dell'Immacolata Concezione, e fecero scolpire in marmo la memoria di questo prodigio. Alessandro VI, favorevole a Velletri, confermò tutte le concessioni de' predecessori, particolarmente circa il dominio del territorio di Lariano e di Faggiola cum mero et mixto imperio, et potestate gladii. Intanto Carlo VIII re di Francia calò in Italia per conquistare il regno di Napoli, e giunto in Roma, impose al Papa pregiudizievoli condizioni. Ne partì per Napoli il 25 gennaio 1495, conducendo con sé il principe Zizim, fratello di Bajazet II, sultano dei turchi, per le sue future mire, accompagnato a cavallo al sinistro lato dal famoso cardinale Cesare Borgia, arcivescovo di Valenza (V.) e figlio del Papa, in qualità di legato apostolico per 3 mesi, ma in verità guardato quasi come ostaggio. Il 27 il re giunse a Velletri, ricevuto con pubbliche dimostrazioni di feste e luminarie; ma in un punto l'allegria si convertì in mestizia e spavento. Il cardinal legato temendo assai delle intenzioni del re, pensò e cercò il modo di salvarsi con la foga travestito, ritornando in Roma, e gli riuscì con la cooperazione di 3 veliterni, benché le mura e le porte della città fossero custodite dalle guardie dell'esercito francese. Circa le ore 22, saputasi dal re l'evasione del cardinale, e credendo che la città ne fosse connivente, preso da sdegno fieramente ordinò ai suoi capitani che, nel seguente mattino dopo la sua partenza, i soldati la saccheggiassero e incendiassero. Alloggiava per buona sorte in casa d'uno del magistrato un segretario regio, il quale compassionando il fatale sterminio che sovrastava a Velletri, comunicò all'ospite l'ordine dell'adirato re. Il magistrato con altri cittadini, spaventati, ricorsero al vescovo cardinale Della Rovere a interporsi col re per l'infelice città. Il cardinale tosto si presentò al rech'era andato a dormire; nondimeno chiese e ottenne udienza. Accompagno con lagrime le sue preghiere e di far grazia al suo popolo, che non dovea esser sagrificato se alcun cittadino veramente fosse complice della fuga. Commosso il re da tante suppliche e per essergli in gran favore il cardinale, perdonò alla città. In Velletri o in Terracina ammalò Zizim, e poco dopo morì, come dissi anche nel vol. LXXXI, p. 317. Anzi il Theuli scrisse che morì in Velletri, riferendo pure le contrarie opinioni. Narra i festeggiamenti fatti al re con archi trionfali, fontane di vino e applausi, anche nel ritorno da Napoli; e che il cardinale si recò appositamente in Velletri per ricevervi magnificamente Carlo VIII. Altrettanto trovo in Borgia, che inoltre rileva avere il cardi. nal Della Rovere in Francia confortato il re all'impresa di Napoli, e che in Velle- tri l'alloggio nel palazzo vescovile, come riporta pure Bauco. Partito poiCarloVIII dall'Italia, si accese nuova guerra fra'Co. lonnesiei Couti , che tentavano ricupera- re i loro beni e Monte Fortino, de'quali erano stati spogliati da' francesi e dal re dati a'Colonnesi stessi . I Conti ebbero validi aiuti da'veliterni, sì per patto d'anti- ca confederazione con essi , sì per repři . mere la potenza de' Colonna , temendo che di nuovo aspirassero a Lariano, il cui territorio confina con Monte Fortino. Fu questa guerra di grave danno agli uni e agli altri, finchè nel 1498 si venne tra es- si e Velletri a un compromesso nel governatore di Roma; si fece tregua per un anno, e per più lungo tempo a benepla cito del Papa. Fra'sapienti che ristoraro- no le lettere, è a ricordarsi il dottissimo Antonio Mancinelli nato in Velletri nel 1452 d'ignobile famiglia, ivi morto nel 1505: l'elenco delle molte sue opere ri ferisce Theuli. A'29 luglio1501 Alessan- dro VI si portò in Velletri, e vi dimorò tutto il dì seguente ; partendo alla volta di Sermoneta a'31 a vedere quel nuovo acquisto fatto dalla sua famiglia. A'3 a- gosto si restituì in questa città evipernot. tò. Egli fu accolto da'cittadini col massimo rispetto e con filiale attaccamento, dimostrato con segni di letizia edi festa. Questo Papa fece arcivescovo di Sora Matteo Mancini nobile veliterno. Giulio 11, già vescovo Della Rovere, nel 1511cou suobreve concesse a Velletri l'applicazio. nedelle multe epene pecuniarie de'deliu quenti da applicarsi al pagamento degli stipendi del podestà, del giudice e degli altri uffiziali della curia. Questo breve fu diretto a'priori: ecco la 1. memoria che trovasi di questo magistrato nel governo di Velletri. Laonde si congettura che nel principio del secolo XVI qui si mutò il nome del pubblico magistrato ; quindi lasciato l'antico de'nove buoni uomini o de'signori nove, cominciò ad usarsi quel- lo di priori. Questo nuovo magistrato po- co differiva dal 1.º, poichè se nell'autico eratio nove e duravano nella carica 6 imesi,inquesto nuovo eleggevansi 3priori per ogui bimestre, per cui veniva a corrispon dere per ogni semestre a 9 individui di magistratura. Inoltre eleggevano il ca- merlengo, il sindaco, 2 consiglieri mag- giori , 2 soprintendenti al monte di pie- tà, un cancelliere, 9 contestabili de' bale- strieri e 2 pacieri. I primi poi aveauo la facoltà di eleggere tutti gli altri consi- glieri, i contestabili de' pedoni, i gover- natori di Lariano e di Faggiola, e gli al- tri uffiziali minori. Questa forma d' elezione rinnovavasi ogni 6 mesi , e durò sino al cardinal de Cupis. Leone X sebbe ne pregato da' romani a sottomettere la città di Velletri alla giurisdizione del lo- ro senato, pure nol permise, e volle che il governo della medesima rimanesse fermo nell'antico stato. Nel 1526 fu annoverato tra'beati il veliterno fr. Bonaven- tura Torrecchia laico deʼminori osservau ti. In tale anno Clemente VII coli'entra . re nella santa lega contro l'imperatore Carlo V, espose se stesso , Roma e tutto lostato ecclesiastico a quella catastrofe di mali non ancora abbastauza deplorata in tutte le storie, il perchè iu tauti luoghi ne narrai le diverse terribili circostanze che ne formano il desolante complesso, e per ultimo nel vol. LXXXVI , p. 328. Quest'alleanza puuse vivamente CarloV, che tosto dichiarò guerra al Papa, la quale fu di gravissimo disastro a Velletri. Pe- rò l'alleanza fu creduta indispensabile perla potenza formidabile a cui era giun . to Carlo V in Italia , specialmente dopo la vittoria di Pavia , cioè di sostenere principalmente il duca di Milano e inva- dere il regno di Napoli. Pubblicata la les ga solennemente 1'8 luglio, subito i Colonnesi partigiani imperiali ammassaro- no neʼloro feudi gente d'arme, occuparo- noAnagui e promossero l'agitazione de' malcontenti in Roma. I veliterni temen. do ostilità chiesero soccorsi al Papa per l'inevitabile guerra , ed ebbero per una valida difesa Ottavio Conti con buona cavalleria, Ranuccio Farnese, e Camillo Caetani signore di Sermoneta con iscelta truppa, da loroa ciò particolarmente pre. gato per la comune difesa; come ancora ricercarono aiuto e assistenza dal popolo della città di Cori, secondo le leggi del- l'antica confederazione. Illuso Clemente VII da una capitolazione fatta co'Colonnesi a 22 agosto, licenziò quasi tutti i ca- valli e fanti che avea, ed i pochi restati mandò ad alloggiare nelle terre circo- stanti. Allora i ministri di Carlo V volsero i pensieri ad opprimere ilPapa,traendo in essi la maggior parte de'Colonne. si , Gio. Battista Conti signore di Valmon- tone e Girolamo d'Estouteville signore di Frascati : si giunse a cospirare per la sua morte violenta, e di surrogargli l'am bizioso e turbolentocardinal Pompeo Co- lonna. Ugo Moncada vicerè di Napoli co' Colonnesi, invece di piombare su Velle- tri, come temevasi, all'impensata a' 20 settembre assalirono Roma indifesa, di- rigendosi al Palazzo apostolico Vatica- no per sorprendere il Papa, che appena fece in tempo di rifugiarsi in Castels. An- gelo del tutto sprovvisto, e lo saccheggiarono con parte della Città Leonina o a- diacente Borgo, non procedendo più ol- tre per timore dell'artiglierie di detto Ca- stello. Clemente VII fu costretto a fare una tregua co'suoi furiosi nemici, perdo. nare a'Colonnesi e agli altri fautori. I ve- literni credendo calmata la tempesta, e gravati dalla numerosa milizia che stan- ziava nella città , domandarono al Papa d'esser sollevati da tanti dispendii , del resto offrendosi alla sua difesa usque ad sanguinem, e furono esauditi. Clemente VII inclinava recarsi a Barcellona per trattare in persona la pace con Carlo V, ma dissuaso da' re di Francia e Inghal- terra, con promesso sostegno e invio di denaro, e sdegnato co'Colonnesi a vendi- carsi degli oltraggi ricevuti, determinò di rivolgere contro le loro terre quelle forze che solo per sua sicurezza avea richiamato a Roma, giudicando non esser tenuto al violentoaccordo. Affidò al Vitelli 2000 svizzeri assoldati, 3000 fanti italiani ed altri uomini e cavalli, ordinando di sac- cheggiare e incendiare tutte le terre de' Colonnesi, anche spianarle, poichè per l'affezione de' popoli a' Colonnesi il pi- gliarle solamente era di poco pregiudizio. E siccome una delle principali era Marino, comandòil Papa a' veliterni d'as- saltarla, e porla a sacco e fuoco. Marino dunque, specialmente da'veliterni fu soggiogato, e fu trattato il popolo ribelle co- me Clemente VII desiderava. Tutte l'altre terre de' Colonnesi ebbero la stessa sorte (14 diceil Varchi)con infiniti danui de'popolı, ritirandosi essi ne' luoghi più forti e difendendosi in Rocca di Papa e Paliano. Frattanto Carlo V avendo spe- dito contro Roma il fiero contestabile di Bourbon con un crudele esercito, i Co- lonnesi presero l'offensiva, impadronen- dosi di Ceprano e di Ponte Corvo non guardati. I veliterni pensarono d'attender da loro alla difesa, eleggendo a'7 di- cembre 1526 per capitani to de'princi- pali e più valorosi cittadini , per la guer- ra e difesa della città da ogni assalto. Temendosi che l'incursione procedesse dal- la partedel regno di Napoli , Vitelli avea consigliato di abbandonare la provincia di Campagna, di mettere 2000 fanti in Tivoli, altrettanti in Palestrina, e il re- sto dell'esercito in Velletri per impedir l'andata del vicerè in Roma. Il rinomato Renzo da Ceri disapprovò il rinserrar- si in Velletri città grande e di far tanto avanzare i nemici, ma che l'esercito si fermassea Ferentino. Prevalse il suo consiglio e la sede della guerra fu trasferita a Frosinone 5 miglia sopra Ferentino, e perciò quasia'continidel reguo. Clemen VEL VEL 307 te VII conoscendo tuttavia importante la difesa di Velletri, più volte ingiunse al cardinale Agostino Trivulzi legato della guerra di Marittima e Campagna di for tificarla e munirla del bisognevole. Per- tanto il cardinale vi destino 500 soldati con 3 compagnie di cavalli, ma i veliter ni fermi di volersi difendere da per loro, riuscendo sempre d'aggravio la milizia, ottenpero che venissero soli 200 fanti. Nondimeno il Papa sempre nel proposi. to di fortificare Velletri vi mandò il vescovo di Monte Feltro commissario apo- stolico di guerra, il quale propose la for- tificazione delle mura e la demolizione di molti edifizi vicino alle medesime, che potevano impedire le fortificazioni, il che si cominciò a'13 gennaio1527 con 500 operai, e alla fine del mese vi entrarono diversi capitani pontificii con numerose truppe, colla pretensione impugnata che i priori dovessero dimettersi. Dopo combattimenti d'alterna fortuna nella pro- vinciadi Campagnae nel regno di Napoli, sentendo il Papa che si avvicinava l'eser- cito di Bourbon, ad evitarne il pericolo nel marzo convenne col vicerè Lannoy la tregua d'8 mesi, principalmente con pa- gare la camera apostolica 60,000 ducati all'esercito imperiale,reciproca restituzio- ne dell' occupato e ristabilire nel cardinalato il deposto Pompeo ; e fatalmente il Papa licenziò la più parte delle truppe, restando così Velletri libera dalle spese di guerra. Il Bourbon non volle ratifica- re tale accordo, proseguendo la sua marcia per la Toscana: Roma fu compresa di spavento e confusione, e Velletri si ar- mò e presetutte le cautele per guardarsi. A'6 maggio Romafu espugnata caden- dovi morto il Bourbon, subentrando al comando il principe d'Orange luterano, come lo erano e fanatici pressochè tutti i tedeschi .Quasi contemporaneamenteCle. mente VII spaventato erasi ritirato nel Castel s. Angelo. Altrove deploraileinau- dite scelleratezze e depredazioni durate per due interi mesi. Shigottito il popolo veliterno si sollevò, liberò i carcerati e fu - riosamentedepredò la cancelleria priorale con grave perdita di molti libri. Mentre Prospero Colonna di Cave erasi arroga to il titolo di protettore e governatore di Velletri per Carlo V e inviato nella cit- tà un luogotenente,Ascanio Colonna ba- rone di Genazzano a' 14 maggio scrisse al comune veliterno per essere riconosciuto come difensore e protettore della città. Sorpresi i cittadini della richiesta, avendo già riconosciuto Prospero, per non espor- re la patria con preferire uno all'altro , inviarono ad ambedue oratori , temendo di Ascanio a cui aveano tolto e bruciato Marino. Questi però l'invitò a riconoscer lo per governatore e a rimettersi nelle sue mani, che gli avrebbe protetti dalle vessazioni dell'esercito imperiale. Non vo . lendo i veliterni sottomettersi ad Asca - nio, spedirono ambasciatori al principe d' Orange per sentire qual forma di governo doveano prendere. Gli oratori seb . bene accompagnati di buona scorta, furo- no arrestatiesvaligiati presso Castel Gandolfo, e solo liberati d'ordine d'Ascanio. Presentatisi a d' Orange, intesero la già deliberata rovina di Velletri, e costerna- tissimi supplicarono Ascanio a voler col . la sua autorità liberar la città dall'estrema sciagura, venendo esauditi. Seguirono trattati tra Prospero, Ascanio e gli o. ratori, e fu concluso: Che Ascanio fosse riconosciuto e ricevuto inVelletri perprotettore e governatore della città a nome di Carlo V, salvi i suoi statuti e privilegi ; obbligandosi e promettendo Ascanio di condonare tutte l'ingiurie ricevute pel passato da Velletri. La necessità fece a' priori ratificar la capitolazione , onde fu ricevuto per Ascanio, Paolo Martini, ed a'22 maggio un commissario del princi- pe d' Orange per lecose militari. Velle. tri ebbe ventura in quella tremenda con . fusione di cose , in cui tutta la provincia soffri incredibili danni da' feroci soldati imperiali, i quali per la peste e la care- stia,non menoche per insaziabile avidità 308 VEL VEL di preda si erano sbandati da Roma, di andarne esente. Ascanio Colonna molto si adoperò , affinchè siffatte truppe non andassero a stanziarvi, pagando1700scudi d'oro per conto della città, ed altrode. naro e vettovaglie somministrarono i ve. -literni per non riceverle. Ascanio, uomo doppio e ribelle al Papa, con fina politi. ca volle intromettersi al governo di Vel- letri , dicendo di scordarsi dell'ingiurie e non vendicarsi; aggiungendo lo storico de' Colonnesi cav. Coppi, che anzi protestò voler compensare con grazie e benefizi l'ingiurie ricevute (il Nibby chiama Asca nio cardinale erroneamente). Ma quando si vide forte della protezione di Car- lo V, costrinse la città al risarcimentode' danni fatti a Marino , che faceva ascendere a somma grandissima. Minacciò in- cendio e saccheggio, se prontamente non gli fosse stato pagato quanto chiedeva. Sebbene la città nel danneggiare Mari- no non avesse fatto che ubbidire a Clemente VII, pure per evitare qualunque disastro in quell'infelice situazione, e per non esacerbare l'animo d' Ascanio , in. fluentissimo presso il principe d'Oran- ge, si obbligò apagare 24,000 scudi d'o- ro. Non trovandosi nell'erario comunale tuttaquesta somma, ne furonosborsati so- li 7000, e pergli altri 17,000 ipoteco Vel- letri a favore d' Ascanio il territorio di Lariano e parte di quello della Faggiola. Indi i veliterni pregarono Clemente VII a voler annullare l'ingiusta convenzione, il quale preferì l'interporsi con Ascanio, facendogli conoscere la violenza dellapre- tensione; ma Ascanio per molti anni diè non pochi guai a Velletri. Nel 1529 la città pati la fame e molte persone pove- re ne morirono, benchè per le necessità de'poveri i priori ottennero dal vescovo la vendita de' vasi d'argento delle chiese non necessari , obbligandosi al compenso in fondi rustici del pubblico, e fu allora che perciò le chiese crebbero di possidenze stabili . Partito l'esercito imperiale a' 17 febbraio 1528, molti soldati tedeschi disprezzando la disciplina militare restaro no a sconvolgere i paesi vicini a Roma, per esercitarvi nuove ruberie. Napoleone Orsini abbate di Farfa li perseguito con molti armati; ma aumentando le sue forze, Clemente VII entrato in sospetto gli ordinò di disarmare, e perchè non ubbidì fece un armamento coutrodi lui uelle provincie di Marittima e Campagna, in- vitando i veliterni a' 28 giugno 1530 a somministrare uomini e vettovaglie. Velletri ubbidi , e l'abbate di Farfa dipoi presso Magliano d'Abruzzo , combatten- do pe'francesi, disfece Scipione Colonna vescovo di Rieti, che vi perì guerreggiando per gl'imperiali, di che feci parola nel vol. LXXVI, p. 16. Il Papa nello stesso 1530 espulse l'Orsini dall'abbazia, il qualenon essendo insignitonegli ordini sagri sposò Claudia figlia di Giulio Colonna, e restò ucciso dal fratello Girolamo in una scaramuccia nel 1533. Nel precedente anno Clemente VII avea dichiarato, contro le pretensioni d'Ascanio : Che la demolizione di Marino era stata fatta da'veliterni di suo ordine, come sovrano contro i suoi ribelli, e perciò annullava tutto quello ch' era stato convenuto tra A- scanio Colonna e Velletri. Quindi restituì alla città i territorii di Lariano e di Faggiola colla piena giurisdizione di prima. Nel 1534con inesprimibile giubilo de' veliterni il loro vescovo e protettore divenne Paolo III , sperando maggiori gra- zie e favori dal suo già sperimentatobe- nigno animo, fino a visitare gl' infermi, abbellito l'episcopio e risarcita con no . tabile dispendio la cattedrale. Nè furono vane le loro speranze, poichè volle ritenere per qualche anno l'amministrazione della chiesa veliterna. Di più volle dare a questa città un singolar privilegio, concedendole, che tutte le cause civili , criminali e miste dovessero decidersi in Velletri non solo int.", ma anche in 2.* istanza, da'giudici ordinari o da altri da deputarsi dal cardinal protettore, nè poa VEL VEL 30g tessero portarsi neʼtribunali di Roma, se non che in 3. istanza; e quelle che non eccedevano il valore di 24 scudi d' oro non potessero trarsi in Roma giammai : aggiunse ancora, che non potessero eseguirsi rappresaglie contro i cittadini senza espressa licenza del cardinal protetto- re. Pensò inoltre Paolo IIIa provvedere, che Velletri non fosse più molestata da Ascanio Colonna. Si fece cedere dal medesimo tutte le ragioni, che pretendeva d'aver sopra Lariano e Faggiola, e poi con moto-proprio de' 24 maggio 1536 ne fece larghissimo dono a Velletri, trasfe- rendo in lei tutte le ragioni cedutegli da Ascanio, annullando qualunque contrat to o ipoteca presa contro di essa. Allorquando Carlo V reduce dalle conquiste di Tunisi, per Napoli si condusse in Ro- ma, il Papa lo fece incontrare da 4 cardinali in Velletri, ove poco si trattenne, facendo l'Ingresso solenne in Roma a'5 aprile 1536. Nel 1537 divenne vescovo di Velletri il cardinal Gio. Domenicode Cupis decano del sagro collegio (lo sarà divenuto dopo, poichè la Gallia Chri- stiana chiama decano del sagro collegio il cardinal Francesco Clermont vescovo Tusculano, morto nel 1541, non che il cardinal Giovanni di Lorena, vescovodi più chiese, fra le quali, come il Clermont, Valenza e s. Diez, morto nel 1550) e già arcivescovo di Trani, per cui soleva chia- marsi il cardinal di Trani, e fu ilt. de' vescovi veliterni che ottenne il titolo di governatore perpetuo di Velletri. Note. rò che la parte biografica di questo mio Dizionario, comprendendo le biografie de'Papi e de' cardinali , in esse si ponno leggere le notizie de'cardinali e Papi che furono vescovi e governatori veliterni. Sebbene i cardinali vescovi d'Ostia e Vel- letri , dal vescovato del cardinal d'Estou teville, fossero stati dichiarati anche pro- tettori di Velletri, ciò non importava al- tro che protezione e conservazione de' privilegi. La prerogativa di governatore perpetuo fu conferita al cardinal vescovo pro tempore, per bolla di Paolo III nel 1548, restando il vescovo pro tempore protettore della città e lo è tuttora. No- terò che nel medesimo anno Paolo III collabolla Injunctum Nobis, de' 12 giugno, Bull. Rom. t. 4, par. 1 , p. 236: Causarum tam criminalium quam mixlarum cognitionem Provinciarum Campaniae, et Maritimae ad eumdem Rectorem, vel Gubernatorem, vel cardinalem Legatum de latere, tantummodo spectare, ab eoque decidi, et definiri debere decernit. In seguito fu abolito l'uffizio del po- destà e del giudice, che per 300 e più an- ni avevano avute le prime parti nell'amministrazione giudiziaria ; ed allora il cardinal vescovo deputò in Velletri un suo luogotenenteo vice-governatore, al qua- le nel1549 attribuì tutta l'amministra- zione della giustizia e degli affari pubblici. Paolo III volleonorare Velletri di sua presenza colla corte a 22 agosto1538, e ne partì a 28 di detto mese. Fu gratissina questa venuta a' veliterni, e il Pa- pa non isdegnò i doni offertigli dal pub- blico. Ammise con incomparabile bontà all' udienza chi la bramò, impartendo graziea'supplicanti. Le preghiere poi del- la città forono: di permettere fabbricare molini presso s . Pietro in Formis o Campo Morto, che si riparassero le mura del- la città, e che per provvedere alla pubbli- ca quiete e tranquillità si degnasse proi- bire a' baroni convicini di non dare ricetto a' banditi. Nel dicembre 1539 ac- cadde in Velletri una sedizione cagionatadalla penuria de'grani, credendo il po. polo che la carestia provenisse dal mo. nopolio de' negozianti e dall'indulgenza del magistrato nel permetterne l'estra- zione. Con diversi provvedimenti fu ri- parato a tutto, anche pel futuro. Irrita. to Paolo III contro Ascanio Colonna, per. chè nell'aumento del sale egli pretendeva non comprese le sue terre per l'esen- zione concessa da Martino.V, e perciò a- dunati armati predò una quantità di bestiame nell' agro romano, contro es 310 VEL VEL si e le sue terre il Papa inviò le milizie pontificie sotto la condottadi Pier Luigi Farnese duca di Castro e generale di s. Chiesa. Avendo Ascanio aumentato la sua truppa,Velletri che rimaneva in mezzo al fuoco della guerra, si pose in istato di difesa, e provvide alla sicurezza ancora della campagna. Nel marzo 1541 passò per Velletri l'esercito pontificio alla volta di Valınontone, e ad esso sommi- nistrò le vettovaglie richieste, inviandole nel campo formato per l'assedio di Palia- no. Adifesa di Velletri ilPapa vi mandò un capitano con 70 soldati. Non è vero l'asserto di Bauco, che senza por mano alle armi le cose s' accomodassero bonariamente, poichè racconta Coppi avere le milizie papali espugnato Rocca di Papa e Paliano, fatte molte azioni sotto Cicilia no, di cui pure s'impadronirono in uno a Roviano e ad altri castelli d' Ascanio. Paolo III nulla restituì finchè visse, ad onta dell'interposizione di Carlo V. Nel- lo stesso 1541 il cardinal de Cupis vescovo e governatore di Velletri vi si portò, e radunò il consiglio generale, nel quale pèrorò a nome del popolo Quintiliano Crispini celebre dottore. Egli propose la riformadegli statuti, la riedificazionedel. le mura, e il perdono a' 3 cittadini esi- liati , quali autori dell'accennata solleva- zione. Il cardinale approvò la riforma degli statuti, e fece eleggere un numero sufficiente di consiglieri per servirsene nella riforma e nel reggimento della cit. tà. Si mostrò pronto a perdonare e far grazia a'cittadini esiliati,qualora il consi- glio l'approvasse siccome fece. Furono e letti 50consiglieri, che co'priori dovessero assistere al cardinale governatore nel re- golamento e nella riforma del nuovo go. verno da stabilirsi, e fu del seguente tenore, utile e ben accetto. Dovea esservi in ciascun maestrato alcun uomo dutto e sapiente, per ben reggere e governare le cose pubbliche, poichè gl'ignorauti sono guidati da vani pregiudizi , e spesso dal analinteso interesse eda orgoglio di comandare. Dovevano presiedere al governo della città 4priori del ceto nobile, da scegliersi da ciascuna delle 4decarcíe o rioni della città, e fra essi uno almeno onorato di laurea dottorale. Fu fatta la scelta per 4annifuturi,eleggendosi 4prio- ri per ogni bimestre ; per ogni anno poi un camerlengo o depositario tesoriere, un sindaco, un fiscale , due maestri delle strade, due grascieri, e due deputati pel man- tenimento e risarcimento delle mura. Tutti i priori e altri ufficiali eletti perdet . to quattriennio formavano il consiglio maggiore. Trenta di questi consiglieri dovevano formare il consiglio minore, senza di cui non potevano i priori disporre, alienare, nè contrattare cosa alcuna del pubblico, fuori de'piccoli affari quotidiani. Ma ne'casi gravie negli affari rilevanti dovea adunarsi il consiglio maggiore. A' 22 ottobre 1541 fu pubblicato, ed accettato da' veliterni questo nuovo regolamento di governo. E qui dirò, che i cou- siglieri erano 120, che adunati forma- vano il consiglio maggiore. Questi divisi in 30 per ciascun trimestre venivano a formareil consiglio minore. In seguito fu diminuito il numero de'consiglieri a 80, e a 40 perogni semestre nel consiglio minore. Quindi il consiglio maggiore fu ri- stretto a 60, e finalmente a 40, forse per la mancanza delle famiglie nobili. I consigli di Velletri erano anticamente di 4 sorti. Il1. chiamavasi delle querele, che radunavasi in ognir ." domenica del mese, nel quale interveniva il magistrato, innanzi al quale era permesso presentarsi a qualunque cittadinio, per reclamare contro i disordini, che in cose spettanti ad affari pubblici o privati accadevano, e per averne giustizia. Il 2.º veniva chiamato consiglio minore, formato ora di 30, ora di 40 consiglieri, che congregavansi per trattare e risolvere quegli affari che riguardavano gli ordinari bisogui della città. Il 3.° veniva appella - to maggiore, al quale convenivano tut- ti i consiglieri per formare la nuova elea VEL VEL 311 zione de' magistrati, e per creare i due rettori per mancanza del podestà, e nella sede vacante per la morte del cardinal vescovo egovernatore, e per altri casi im- portanti. 11 4.º era il consiglio generale, che radunavasi per lo più in qualche piaz- za, al quale poteva intervenire ogni citta- dino; e vi si trattavano e risolvevano affari di grandissima importanza; come in occasione di guerra, di pace, di tregua, o di altri casi straordinari. Di poi nel 1607, i priori ebbero una riforma, riducendosi il numero di quattro a tre, non da du- rare per soli due mesi, ma per tre. In se- guito i priori furono appellatiora magistrati, ora conservatori. Riferisce ilTheuli, che i priori quando incedevano magistralmente, vestivano robboni lunghi fino a mezza gamba di velluto piano nero, ov. vero di damasco conforme a' tempi, e la berretta consolare di velluto. Nell'uscire di palazzo nelle feste mobili e solenni del- la città, come tornando al medesimo, pro cedevano colla mazza cardinalizia por- tata dal loro maestro di casa, ed a que- sti anda va innanzi un lacchè vestito di da. masco falso fiorettato corrispondente a' colori della livrea, con numeroso corteggiodi gentiluomini, così avanti la mazza che dietro a'priori. Le trombe suonava- no nella strada, e nella chiesa all'elevazione. I servitori erano 14 vestiti di li- ▼ree turchine con liste verdie passamani bianchi, 3 de' quali erano trombettieri. Tornando a Paolo III, tanto era l'affetto suo per Velletri, che dimenticata l'in surrezione volle per la 2.ª volta onorarla di sua presenza nel gennaio 1542. Si cre- de che vi ritornasse nel settembre1543, perchè si legge nell'annalista Rinaldi un suo breve dato in Velletri in detto mese. Trovoin Theuli, che Paolo III perl'amo re che portava al veliterno Giovanni Mariola, come suo antico famigliare, in una delle sue venute in Velletri volle di per. sona onorarne la casa, e gli concesse per partedello stemma uuGiglio azzurro del- l'impresa Farucsiana sua gentilizia. Nel a 1544furono impressi inRomacolle stam pe e pubblicati i nuovi statuti, Statuto- rum, etc. , alla riforma de'quali si dedicarono i più dotti e istruiti veliterni, ricor- dati dal Borgia, oltre l' uditore del car- dinale, e secondo il Theuli vennero ap. provati da Paolo III, ed altrettanto affer- ma il Piazza che li lesse nella visita della diocesi. Per la 4.ª volta Paolo III portossi a Velletri a'12 gennaio 1547, ricevuto da'cittadini con pompa trionfale. In que. sta favorevole occasione si pensò da'veliterni di sedare le risse e le contese insorte nel precedente anno tra il barone di Nemi, gli abitanti di quella terra, e tra Velletri rapporto a' confini de'due territorii, essendostati rimossi i termini antichi po- sti già secondo il laudo del cardinale Estouteville. Fu supplicato il Papa di far vendere a favore di Velletri quella terra pertroncare così ogni futuro litigio, il che non essendosi potuto effettuare per molte difficoltà, Paolo III con sua bolla dell'It maggio 1548 approvò e confermò ciò che Paolo Ranucci allora governatore di Campagna deputato dallo stesso Papa a- vea sentenziato, e ne commise l'esecuzione al cardinal de Cupis, il quale l'effettud nell'istesso anno. Dovendosi eleggere nel 1549per un quattriennio i pubblici ma- gistrati, insorsero gravi dissensioni fraʼnobili , onde il cardinal de Cupis si recò in Velletri nel settembre; moderò gli statuti, e fu fissata l'elezione deʼmagistrati in av- venire per soli due anni. E propriamente in questa circostanza fu abolito il magi- strato del podestà, e fu tolto ancora il giudice, in luogo de'quali il cardinale vi pose il suddetto suo luogotenente, al quale attribuì l'autorità e lo stipendio de'due magistrati aboliti. Il luogotenente giurò alla presenza de'priori di esercitarefedel. mente il suo ufficio e d'osservare esattamentegli statuti della città.Questa riforma riuscì molto grave a' cittadini che si videro in un punto essere spogliati del di . ritto d'eleggere que'personaggi, che loro aveano ad amministrarela giustizia; meu- 312 VEL VEL tre anteriormente i veliterni per la liber- tà di tale elezione aveano per lungo tempo col proprio sangue, con travagligran- dissimi e con infinite spese contrastato col senato e popolo romano, allorchè questi pretesero o in tutto o in parte privarne la città.Ma con tuttociò niuno ard) reclamare, essendo grande la stima che il cardinal godeva presso tutti, come l'autorità di lui . Esisteva in Velletri il ghetto degli ebrei ristretti nella contrada ora detta del Ja Stamperia, ed in tempo di Paolo III si aumentarono con privilegi ed esenzioni , Ma poi per impedire le loro usure, nel 1552 fu loro proibito di dare a'cittadini denaro ad usura, e di ristabilire e attiva. re il monte di pietà a beneficio de'poveri. La morte di Paolo III fu pianta da tutti, e di più da'veliterni tanto sommamente beneficati, onde ne conservano indimenti- cabile memoria. Morto india' 10 dicem bre 1553 il cardinal de Cupis, fu tosto da'priori raccolto il consiglio minore, che elesse due rettori e il giudice. Quest'ele. zione costumavasi anche prima quando per morte o altro accidente vacava l'uf. ficio del podestà, non però quando man- cava il cardinal vescovo con prerogativa di protettore. Ma perchè il cardinal de Cupis come governatore perpetuo avea rimosso il podestà e il giudice, e avea ri- dotto in sua mano tutto il governo, fu d'oopo eleggere nella sua morte i rettori é anche il giudice. Questa consuetudine in morte del cardinal vescovo e governatore si conservò quasi fino a'nostri giorni, come un avanzo dell' antica libertà, Nel dì seguente al decesso del cardinal de Cupis, gli successe il cardinal Gio. Pietro Caraffa divenuto decano del sagrocollegio. Intanto a' 13 dicembre si tenne in Velletri un consiglio generale, in cui si fecero gravi querele contro le novità introdotte dal cardinale defunto, e si presero molte deliberazioni per abolirle. Si chiedeva, che si ripristinasse il magistratodel podestà, del giudice, che l'elezione de'prio. ri si riducesse allo stile antico, chel'uditoredel cardinal governatorenon potesse avocare a se alcuna causa in r . istanza nè in Velletri e nè in Roma, che alen- ni statuti si riformassero, che i benefizi vacanti in Velletri non si conferissero che a'cittadini residenti. Sopra queste e altre proposizioni furono inviati oratori alcardinal Caraffa, il quale virtuoso e fermo, volle che si osservasse quanto erasi sta. bilito dal predecessore nella nuova ele- zione de'magistrati enel numero de'con- siglieri. Il cardinale a' 23 maggio 1555 meritamente divenne Paolo IV, con giubilo universale de'veliterni, che spedirono in Romadeputati per congratulazioni e invocarne la protezione, due priori e 7 oratori nobili ; legazione benignamente accolta dalPapa.Questi a'29 maggio con. ferì le chiese d'Ostia e Velletri al cardinal Giovanni Bellay, che prese possesso a' 3 giugno del vescovato e del governo a mezzo d'un suo procuratore, il quale innomedel cardinale promise osservanza agli statuti, privilegi e consuetudini antiche. Ed in fatti ripristinò poiil magistrato del podestà e del giudice, scegliendo a podestà uno de'3 proposti dalla città : l'e- lezione del giudice fu concordemente rimessa al cardinal Veralli di Cori e dia . cesano, che amava grandemente Velletri, Restituiti i magistrati antichi, il cardinal Bellay creò nuovi ufficiali nelle cose militari ; deputò un colonnello in Giulio Visconti de' giàduchi di Milano, che reg . gesse la milizia veliterna tanto de'cava . lieri , quanto de' fanti ; e poco dopo deputò suo luogotenente Teofilo Foschi, cittadino molto valoroso, e dichiarò capitani della milizia urbana Tullio de Paolis, e Silla Lucci che poi lo fu di Sebastiano re di Portogallo e sotto Tunisi con gloria peri. Insorsero frattanto semi di gravissime discordie fra l'imperturbabile Paolo IV, e Filippo II re di Spagna e di Napoli figlio di Carlo V, per avere il Papa tolto lo stato a Marc' Antonio II Co- lonna figlio del defunto Ascanio e par- tigiano del re, che diede al proprio nipote VEL VEL 313 Giovanni Caraffa generale di s. Chiesa col titolo di duca di Paliano. Agli spa- gnuoli cresceva il sospetto per essere il Papa in trattato di lega con Enrico II re di Francia, dubitando eglino che l'inve- stisse del regno di Napoli per le ragioni che ne vantava, e per diminuire il loro dominio in Italia, Temendo Paolo IV qualche sorpresa da parte del vicerè di Napoli, nell' ottobre 1555 fece leva di truppe e mandò in Velletri alcune compagnie di cavalleria. Nel seguente 1556 crescendo di più i sospetti, seguito il rin- forzo di cavalli e ſanti per aumentare il presidio di questa città, e vi si recò pure Evandro Conti generale dell'artiglieria, ed a' 21 luglio anche Ascanio della Cornia generale della cavalleria. Al magistrato fo ingiunto d'eseguire quanto Ascanio avesseordinato per la fortificazione e sicurezza della città ; ma essendoglistate intercette alcune lettere provenienti da Na. poli, nelle quali si tramava di tradire il Papa, con l'invito di seguire il partito re- gio con larghepromesse, ilduca di Palia- no Carafla per assicurarsi di lui spedì in Velletri l'ufliziale Papirio Capizucchi con 400 soldati per arrestarlo e condurlo in Roma, Però il sagace Ascanio avutone sentore fuggì a Nettuno, e ingannati gli abitanti a difenderlo da'ribelli che l'inse- guivano, montato in piccola barca si sal. vò a Gaeta e passò a Napoli, Indi a' 27 luglio giunse in Velletri Gio. Bernardino da s. Severino duca di Somina col titolo di capitano generale e commissario sopra il presidio e comando della piazza di Velle- tri, ilqual presidio dovea forınarsi di 3000 fauti,oltre una forte cavalleria. Egli volle che si eleggessero da'priori 3 commissari nobiliper attender con lui al governodella guerra, e furono Gio. Luigi Caetani, Sulpizio Serali e Silvio Candelse. Si tra- vaglio incessantemente alla fortificazione della città, si eresse un forte avanti por ta Romana, si fecero spianate intorno le mura con taglio di vigneti e albereti , ed eziandio con distruzione di molte delizie suburbane. Grandi furono le spesedel co- mune per tali opere, gravissimi i danni e gl' incomodi de'particolari, Il vicerè di Napoli fiero duca d' Alba e capitano generale del re di Spagna, sentendo che il Papa fortificava Velletri e diversi luoghi della provincia di Campagna, si mosse da Napoli il 1.° settembre 1556, ed entrò nello stato pontificio con 12,000 fantie 500 cavalli, oltre 12 pezzi d'artiglieria, a cominciare quella desolante guerra già discorsa superiormente, oveindicaii luo- ghi in cui la descrissi edeplorai. Il duca occupò molti luoghi, come Ceprano, Ter- racina, Frosinone, Piperno, Ferentino, Palestrina(perchè il suo signore Alessan- dro Colonna comandava l'esercito papale), prese Anagni per assalto e lo saccheggiò, e stanziò a Valmontone, da dove fece scorrerie fino alle porte di Roma. Quindi mentre meditava qual impresa dovesse eseguire, quella di Velletri o di Tivoli , fu invitato a Grotta Ferrata ad un abboccamento dal cardinal Caraffa nipote del Papa e soprintendente di tutti gli affari dello stato ecclesiastico. Il duca vi si portò, ma il cardinal non comparve, giovan- dosi di tal tempo per introdurre in Ro. ma 2000 guasconidell'alleato re di Francia, e in Velletri ogni sorte di munizioni, Intanto il duca di Somma dispose in Vel- letri le milizie, e tutt'altro necessario per una valida difesa. Partendo egli perRo- ma, lasciò al supremo comando Adriano Baglioni ; ed avendo ammirato la pron- tezza de' veliterni per combattere l ' inimico, promise di lodarli al Papa, e di do- mandar lo sgravio d'annue tasse e gabel- le che pagavano a Roma. Dimorando il ducad'Alba in Valmontone, Nettuno ab- bandonato il partito del Papa, tornò a sottomettersi a Marc'Antonio II Colonna già suo barone, il quale tosto lo munì ; ma le truppe inviate da Velletri subito lo ricuperarono. Il duca d'Alba vedendo difficile l'impresa di Velletri per la guar- nigione numerosa, e per essere il popolo bellicoso, affezionato al Papa e nonami 314 VEL VEL co de' Colonnesi ; si decise marciare su Tivoli(V.), e facilmente se ne impadronì, con Vicovaro e altri luoghi . Rivoltosi ver- so Ostia (P.), in breve l'espugnò. Seguì una tregua di 40giorni, prima della quale il territorio veliterno fu liberato dall'in- festazioni nemiche, e con molta scorta di cavalli e fanti si poterono eseguir le semente. Per le continue spese, il comune fu costretto di nuovo togliere il podestà, il giudice e altri uffiziali con approvazione del cardinal Bellay de' 26 novembre 1556, il quale per amministrare la giustizia mandò in Velletri un suo uditore. Tornato in Velletri l'11 dicembre con buona scorta di cavalleria il duca diSom. ma, ne parti il Baglioni, e siccome il suo governo era poco accetto, il Papa viman. dòFrancesco Villa. Nel 1 557 spirata inu tilmente la tregua, ricominciate l'ostili- tà, l'esercito pontificio ricuperò molti luo- ghi, ed intanto uscirono da Rocca di Pa pa, castello de'Colonnesi, 100 fanti apredare il territorio veliterno. Laonde il duca di Somma a'ro gennaio ordinò al veli. terno Foschicapitano della milizia urbana di ricuperare il predato e di tentar l'espugnazione di quel castello. Uscito il Foschi con 500fanti, ricondusse il bestia me in Velletri, ma in un' imboscata fu sbaragliato e disordinato, restando pri- gione con 70 de'suoi , oltre alcuni uccisi, morendo poi nella Rocca il Foschi per le ferite ricevute combattendo valorosamente, onde la patria ne onorò la me- moria, e regalò i figli e il fratello. Questo disastro accese di maggior vendetta i ve. literni, che marciati all' espugnazione di Rocca di Papa, la costrinsero alla resa per penuria di viveri, e quindi venne arsa. A'24 aprile partiti da Velletri il Somma oil Villa, assunse il comando Vicino Or- sini, sotto del quale avvenne la presa, saccheggioeincendiodi Monte Fortino, narrato in quel paragrafo. Diminuitosi il pre. sidio di Velletri, che da 20 compagnie di soldati u erano rimaste sole4, nel lu glio fu di nuovo rinforzato, per aver il nemico occupato Rocca Massimaprossi- ma a Velletri, al mododetto in quel pa- ragrafo, e preso Segni ( V.) a' 13 agosto con sanguinosa strage. Mentre in Velle. tri erasi in apprensioni del nemico e malcontenti dell'Orsini, onde il magistra- to dovette tener in freno il popolo, a'14 settembre 1557 seguì la sospirata pace di Cave tra Paolo IV e Filippo II, con gioia de' veliterni , la quale si accrebbe colla partenza dell'Orsini e della truppa. Vedendosi Velletri in sì feroce guerra preservata dalle calamità e rovine che desolarono la provincia di Campagna ebuona parte della Marittima, grati i veliterni aDiodecretarono la riedificazione dell'ospedale di s. Giovanni demolito per le fortificazioni , e di sovvenir con dotimolte povere fanciulle. Il Papa sdegnato co' nipoti che l' aveano indotto a sì pericolosa guerragli esiliò da Roma, relegando il cardinal Carafa a Civita Lavinia. Velletri ricordando i favori del cardinale si condolse con lui , gli offiù doni e per asilo la città ; di che il porporato restò tenerainente grato, ammirando sì nobile e raro contegno nell' avversa fortuna. Paolo IV non solo confermò a Velletri il privilegio di Paolo III circa la cognizione delle cau- se in 1.ª e 2.ª istanza, ma concesse a'vescovi veliterni la cognizione delle cause di Velletri in 3.ª istanza in Roma. Morto a' 16 febbraio 1560 il cardinal Bellay, a' 13 marzo gli successe il decano cardinal Francesco di Tournon, che la città inai vide per dimorare sempre in Francia, ove finì i suoi giorni a 27 aprilet 562 . Jl 28 maggio divenne vescovo il cardinal Ridolfo Pio di Carpi, ricevuto in Velletri ilt . ottobre con grandi allegrezze e ono- rificenze. Nell' agosto 1563 trovandosi Pio IV in Frascati, il cardinal significò al comune di Velletri che il Papa pensava di portarsi nella città, onde il magistrato gli spedi oratori a supplicarlo d'onorarla colla sua augusta presenza, e vi si condusse a 23 agosto. Fu egli ricevuto a'confini delterritorio da molti nobili cita VEL VEL 315 tadini, e il magistrato l'ossequid fuori di porta Romana colla milizia urbana. Conmagnifico accompagnamentoesommo giubilo entrò il Papa in Velletri, ove nelle piazze per cui passò eransi eretti archi trionfali. Dopo aver orato nella cat. tedrale, si recò nel palazzo vescovile, co' cardinali Vitelli, Savelli e Sforza di San- tafiora, e il nipote Gabrio Serbelloni ge. nerale di s. Chiesa. Il dì seguente Pio IV partì, dopo aver cavalcato per la città. II Papa esaudi le suppliche de'priori , ri- lasciando a favore della città la riscossione delle multe e confische de'beni imposte a' delinquenti, e per tutto lo sta to devolute alla camera apostolica, per valersene nello stipendio deʼministri del la giustizia, eper risarcire le mura, i pon- ti, le strade e gli spedali ; confermando inoltre a Velletri gli statuti, e tutti i suoi privilegi ed esenzioni. Il cardinal Pio di Carpi non volle restituire alla città l'elezionedel podestàe del giudice a nor. ma degli statuti ; e passato a miglior vi. ta a' 2 maggio 1564, nello stesso mese gli successe il decano cardinal Francesco Pisani , che si portò in Velletri nel settembre. Neppur egli volle concedere l'elezione del podestà edel giudice,depu- tando unluogotenente per l'amministra- zione della giustizia. Nel 1566 ottenne da s. Pio V la grazia, che non appartenesse ad altri l'elezione degli uffiziali militari in Velletri, se non al vescovo governato re, proibendo d'ingerirsi in ciò al genera- le di s. Chiesa, onde il cardinal camerlengo ne spedi lettera nel 1568. Nel pre- cedente anno, narra Petrini, essendo state sorprese da'ladroni nelle vicinanze di Palestrina le donne di d. Marianna della Queva principessa d'Ascoli di Satria- no, mentre in compagnia d'alcuni spa- gnuoli andavano a Napoli con un ricco bagaglio della padrona, pretese la dama d'essere reintegrata del furto ascendente a 6,000 scudi d'oro, da' popoli adiacenti al luogo del commesso delitto, in virtù delle bolle pontificie, che poi ricorderò, le quali obbligano le comunità dello sta- to papale a tener netti da' malviventi i loro territorii. Nè giovò alle comuni circostanti di provare, massime a quella di Palestrina, che l'istesse derubate, essen- dosi dopo l'infausto incontro ricovrate in Palestrina, avevano raccontato, che i delinquenti erano venuti da Roma sotto la scorta d'un giovane stato antecendentemente famigliare della principessa. Co- me non giovò al comune di Valmontone di dire, che il delitto era stato commesso in un sito della tenuta di Mezza Selva, chiamato Mola Rotta (stazione moderna della via Latina, 22 miglia fuori di porta s. Giovanni di Roma, nella via che dalla gola dell' Algido tende a Valmontone. Mezza Selva fu così nominata, per- chè posta un tempo in mezzo alla Selva già Algidense, e ne' tempi bassi detta Al- giare. Tanto afferma Nibby), ossia Capo-Croce nel territorio prenestino; perchè mg. Robusterio giudice della causa, nulla valutando tali eccezioni, condannò Je comunità di Palestrina, di Velletri, di Valmontone, di Rocca Priora e di Roc ca di Papa, a risarcire la principessa d'Ascoli di Satriano della sofferta rapina. Frattanto, vedendo il cardinal Pisani rinascere in Velletri alcuni semi d'antiche fazioni e discordie fra' cittadini , creò di nuovo il magistrato de' conservatori della pace, come avea stabilito il cardinal de Cupis. Il cardinale in detto anno 1 568 tornato nel settembre in Velletri , oltre molte provvide ordinazioni pel buon governo della città, dichiarò che tutte le causede' danni dati nel territorio di Velletri, anche per contravvenzione de'suoi decreti , e le cause ancora de'beni pubbli- ci si dovessero conoscere e decidere da' priori, come giudici ordinari in tali ma- terie. Morto il cardinal Pisani a' 29 giu- gno 1570, a'4 (o a' 3 secondo Ughelli) luglio gli successe il celebre cardinal Gio- vanni Moroni decano, insigne in pietà e religione, che nel conclave in cui fu eletto s. Pio Vnonriuscì alcardinal s. Car 316 VEL VEL lo Borromeo, nipote deldefunto Pio IV, di sublimarlo al pontificato per la poten. za delle maliziose e false imputazioni del peccato mortale dell'atroce ingannatrice calunnia (vocabolo da cui derivò quello di diavolo, che noi diciamo Demonio, padre della menzogna e della calunnia. I greci di essa ne fecero una divinità malefica, a cui eressero altari e offrirono sacrifizi perchè loro non facesse alcun male!! ), ad onta che Pio IV in pieno conci- storo l'avesse dichiarato interamente innocente, ricolmandolo d'elogi, e benchè dipoi, com'è notissimo, fece sì lumino- sa comparsa nel concilio di Trento (V.), onde per lui ebbe felicissimo compiwen- to; ed in altro conclave ebbe 28 voti pel pontificato medesimo e poco mancò che nonvi fosse innalzato. Niente meno gli fu imputato sotto Paolo IV, che favorisse il partito de' protestanti, e che avesse intima amicizia col celebre cardinal Polo (V.). Singolar coincidenza ! Egli era figlio dal sagacissimo e grand' uomo di stato Girolamo duca di Bovino, che di recente il ch. Tullio Dandolo chiavi dal la troppe calunnie cumulate sul da lui operato, rilevandone i pregi e qualchebenemerenza con Roma e Clentente VII, la fuga del quale favorì dopo l'orribile sacco di Roma, onde il Papa lo rimunerò, e inoltre fece il figlio Giovanni vescovo di Modena, principio di sua grandezza, come accennai nel vol. LXXXV, p. 10, 12 , 13 e 14. Essendo stati nel governo dell'antecessore trascurati i privilegi cir- ca la cognizione delle cause in 1. , 2. e 3." istanza, ottenne il cardinale Moroni da s. Pio V un breve, nel quale il Papa inerendo a' privilegi concessi da Paolo III e da Paolo IV, approvò e confermò al vescovo di Velletri come governa- tore il diritto di ivi conoscere tutte le cause civili e criminali in t . " e 2." istan- za, ed anche in 3." istanza in Roma, ed aggiunse ancora che non potesse farsi alcuna esecuzione contro verun cittadi- no veliterno senza espressa saputa del suo cardinal vescovo. Recatosi il cardinal Moroni nell'aprile 157t in Velletri, or- dinò che si convocasse il consiglio maggiore alla sua presenza, ed in esso propose ridurre il numero de'consiglieri da 120 a 60, ed il consiglio minore a 30, e ciò venne stabilito con unanime appro. vazione, perchè mancava il numero delle famiglie nobili, che andavano estinguendosi. E qui deve farsi menzione d'alcuneglorie militari veliterne. Per leguerre contro Turchia, fin dal 1565 erano andati al soccorso di Malta 3 veliterni, che nobilmente si distinsero in quell'impresa, cioè Orazio Odoardo Federini, Biellio Toruzzi e Pietro Lucci. Orazio passò a militare in Cipro, e fatto capitano nell'impresa di Famagosta, restò schiavo de' turchi e fu liberato con gran riscatto dalla repubblica veneta, che al di lui va- lore aflidò il comando del presidio di Crema. Ma quando s. Pio Vnel 1571 e poiGregorio XIII nel 1572, fatta lega co' principi cristiani, mandarono Marc'Antonio II Colonna con molte galere controi turchi, vi fu tra'capitani Lorenzo de Lodovici Gori, e Andrea Toruzzi che prima avea militato in Francia controgli ugonotti, e Pirro Foschi alfiere. Anche Ottavio Mancini e Attilio Passari trova- vansi capitani nella stessa spedizione. Do. vendosi in quest'armamento levare 1800 scelti soldatı da tutto lo stato ecclesiastico, Velletri ne presentò 50 tutti vestiti a spese del comune, oltre l'aver già dato a s. Pio V un sussidio di scudi 1200 per la guerra contro l'eresia armata degli ugonotti. Nelrestringeres. Pio V gli ebrei esistenti nello stato, ne'ghetti di Roma e Ancona, auche da Velletri essi partirono. Mentre il cardinal Moroni nell'ottobre 1571 soggiornava in Velletri, desi- derandosinceramente il bene e la felicità de'veliterni commessi al suo governo spi- rituale e temporale, propose al pubblico consiglio molte cose da esaminarsi e da approvarsi, tutte pel decoro e vantag- gio della città. Propose dunque il risar VEL VEL 317 cimento delle mura, la piantagione de- gli olivi nel territorio aperto; l'introduzione dell'industria setifera e perciò la piantagione de' mori -gelsi ; lo sgombra- mento de'boschi e della selva di Faggiola per ridurla a coltura, con distribuirsi il terreno fra' cittadini coll' obbligo di dare una parte de' frutti al comune; la moderazione delle doti e del lusso delle vesti, allora come adesso lagrimevoli tar li della società, benchè non fossero giun- ti all'odierno fatale eccesso; l'applicare i fanciullı plebei oziosi a qualche mestiere o arte; lo scavo delle cisterne pubbliche nelle 4 decarcíe della città; e finalmente la fabbrica d'un nuovo e magnifico pa- lazzo pubblico per la residenza del magi- strato. Tante e sì importanti proposizio- ni, degne dell'elevata eilluminata mente del cardinal Moroni, richiesero tempo a deliberare con maturo consiglio. In que st'occasione supplicato d'ottenere daGre gorio XIII il mercato perpetuo e franco da dazi in tutti i sabati dell'anno, per accrescere l'abbondanza e per maggior comodità de' cittadini, il Papal'esaudì. Nel settembre 1573 tornò il cardinal Moroni in Velletri, e adunato il consiglio maggiore udì le deliberazioni sopra le propo. sizioni da lui fatte. Fu dunque stabilito il risarcimento delle mura colla fabbrica della nuova porta Romana, disegnodel Vignola. La concessione del terreno di Faggiola col canone di bai . 50 a ciascun rubbio per la piantagione degli olivi, ed esenzione del canone ne' primi 7 auni. Dalla coltivazione della selva di Faggio- Ja ne nasceva ancora la sicurezza della strada corriera che in mezzo vi passava, essendosi determinato, che almeno sulla via vi si stabilissero 20 colonie, per im pedire colla loro frequenza i latrocini che ivi si commettevano, togliendosi in que- sto modogliaguati ei nascondigli a' mal- viventi . S'ingiunse l'obbligo a'proprietari di vigne e orti di piantarvi nel termine d'un anno almeno 4alberi di gelso. Esiccome la tassazione delle doti per l'ineguaglianzadelle facoltà non fu stimataprati- cabile, moderò il cardinale le donazioni de' mobili o acconci nuziali, come pure le spese del convito e il lusso delle don- ne. Ordinò apadri d'applicare i figli o- ziosi a qualche arte o mestiere sotto pena dell'esilio. Decretò che si cavassero pro- fonde cisterne in ciascuna decarcía, la metà della spesa appartenesse al comu- ne, e l'altra a' circonvicini. Finalmente concesse, che i priori per maggior decoro usassero le vesti cremisi paonazze, oltre le solitedi velluto nero. La città applaudi e ricevè volentieri queste utili e sagge disposizioni. Col disegno da lut commessoalcelebreDella Porta si cominciò il no- vello palazzo pubblico. Gregorio XIII nel 1576 portandosi a Cisterna, si recò pure in Velletri ricevuto di domenica dal clero e magistrato, eda tutta la nobiltà in gran formalità, non che dalla milizia urbana, con archi e pompa trionfale; al- loggiando nel palazzo pubblico ornato di nobili tappezzerie, il cardinale trovandosi alla legazione per riordinare lo stato di Genova. Più volte tornò in Velletri il car- dinal Moroni, sempre col premuroso pensiero di felicitare i cittadini, fece riconoscere i confini del territorio, e deputare 40 uomini alla custodia. A' 4 ottobre convocato il consiglio maggiore per l'e- lezione biennale del magistrato, decre- tò l'osservanza dello statuto sul numero de' consiglieri, che perciò tornarono a 120 pel consiglio maggiore, e a 30 pel consiglio minore. Nel 1 580penetrata l'in- fezione contagiosa del mortale male di castrone anche in Velletri, il cardinal Moroni volò nella città per soccorreгe colla sua presenza e liberalità l'afflitto po- polo. Ma poco dopo tornato in Roma nel 1.° dicembre finì i suoi giorni, pianto da tutti i veliterni , che ne conservano grata e indelebile memoria, e gli storici patrii ne fannoil più magnifico elogio , e Baucoque- sto. Nonsarà così facile trovare, fraʼvescovi e governatori veliterni, chi di cura, di zelo,di diligenza e di amore lo abbia supe 3.8 VEL VEL rato,non che eguagliato". A'5 di dicembre il decavo Alessandro Farnese gli successe, rinnovando la dolce memoria dello zio Paolo III anche col nome. L'uditore prese per lui possesso agli 11 , ed a'25 febbraio 1581 vi și portò il cardinale ricevuto da tutti con somma allegrezza. Nell'ottobre vi mandò il suo uditore, che fece ottimi regolamenti. Si stabili che il 1.° priore fosse dottore d'ambo le leggi , che ciascun magistrato fosse composto di 3 priori e non di 4, e che il 1. si chiamasse capo priore, e durasse un trimestre, egli altri uffiziali un anno. Il consiglio maggiore fu ridotto a 80 consiglieri, 20 de' quali in ciascun semestre formassero il minore. Ordinossi l'erezione dell'archivio pubbli- co, per conservare gl'istromenti lasciati da'notari defunti. Il cardinal Farnese vedendo ripullulare l'antiche discordie, nel 1582 ristabili la pace con far eleggere 50 conservatori di essa; e recatosi nel novem. bre in Velletri, provvide alla quiete pub- blica e all'abbondanza, promuovendo il proseguimento del palazzo pubblico. Es- sendosi sopra modo aumentati i banditie assassini nella campagnaromana, il com. missariodeputatoda Gregorio XIII aper- seguitarli, nel settembre ordinòa Velletri che tutto il popolo si armasse e per 3gior- ni continui corresse per le campagne perseguitando i malandrini, de' quali alcuni caddero in mano della giustizia, e altri spaventati da questo generale movimento de' popoli si allontanarono dallo stato della Chiesa. Era allora legato di Maritti ma e Campagna il cardinal Marc'Anto- nioColonna, cugino di Marc'Antonio II, che pel suo governo lodevole confermò Sisto Ve i successori , come riferisce Car- della nelle Memorie storiche de' Cardinali. Sisto V appena divenuto Papa, vo- lendo affatto estirpare dallo stato eccle- siastico i banditi e gli uomini facinorosi, pubblicò la celebre bolla sottoscritta da lui e da' cardinali, Hoc Nostri Pontifi- catus initio , deli. luglio 1585, Bull.Rom. t. 4, par. 4, p. 138 : Innovatio omnium Constitutionum a Romanis Pontificibus hactenus editarum, contra exules,bannitos, aliosquefacinorosos homines, eo- rumque receptatores, et fautores; et multarum impositio poenarum in eos. dem, necnon contra Communitates, et alios, sua territoria ejusmodi scelestis hominibus expurgata non custodientes. Pertanto richiamò in vigore le bolle di Pio II, Paolo II, Sisto IV, Iunocenzo VIII, Giulio II , Leone X, Clemente VII, Giu- lio III, Pio IV, s. Pio V, Gregorio XIII; le quali bolle sono riportate nello stesso Bullarium,e nel sommario della bolla di Sisto V vengono citati i tomi e le pagine ove sono. Lemedesime bolle contro iperturbatori della pubblica quiete, i ribelli, grassatori, ladroni, perduelli, omicidiari, assassini ; colle gravissime pene stabilite contro i ricettatori e altri fautori de' medesimi , sono pure ricordatenell'opera, Il ForoCriminale, t. 5, p. 103,dell'avv. Raf- faele Ala uditore criminale del cardinal Della Somaglia vescovo e governatore di Velletri. Quanto a questa città, a' 21 luglio dello stesso 1585 in esecuzione degli ordini di Sisto V, vi furono eletti 40 uomini armati a custodire il territorio, ead accorrere in sussidio della giustizia; e ciò perchè Sisto V voleva che le comunità de' luoghi fossero responsabili de' disordini, che per mancanza delle prescritte precauzioni potevano accadere nel terri- torio. Avendo Sisto V concesso al senato e popolo romano la facoltà d'interporre decreti per autorizzare i contratti de'pupilli, de' minori e altri che senza il decretodel giudice non ponno in forma valida obbligarsi, e ciò in Roma e per tutto il suo distretto ; Velletri sebbene entro il distretto delle 40 miglia, nel 1588 fu dichiarata esente da questa legge, come cit- tàimmediatamente soggetta alla s. Sede. Morto a' 5 marzo 1589 il cardinal Far- nese, Sisto V non ostante le premure de' veliterni, con suo moto-proprio dismem- brò il governo temporale e civile di Vel- letridal vescovato, el'applicò alla came-

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