Archivio Storico Lombardo, Serie Quinta Anno XLI

出版
1914年
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ARCHIVIO STORICO LOMBARDO GIORNALE DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA SERIE QUINTA Vo LIANNO XLI — PARTE PRIMA 498727 )!).lo. AS> MILANO SEDE LIBRERIA DELLA SOCIETÀ j FRATELLI BOCCA Castello Sforzesco j Corso Vitt. Em., 21 1914. La proprietà letteraria è riservata agli autori dei singoli scritti V6 Note di archeologia lombarda CAPITOLO PRIMO. Il mausoleo di Diocleziano a Spalato e la sua influenza sull'architettura lombarda. in Tertulliano (i) che noi troviamo il più antico accenno ad una separazione del battistero dalla chiesa ; sino da quell'epoca dunque i cristiani, che avevano creato un tipo Joro particolare di edificio adatto alle funzioni del culto, si trovarono nella necessità di crearne un altro che si prestasse alla funzione battesimale. Come per la basilica essi avevano preso a modello la sala ipostila absidata di tipo ellenistico, così per il battistero si sono inspirati ad edifici esistenti che più o meno avevano già qualche rapporto con la funzione cui nuovamente erano destinati. La derivazione quindi dalle sale dei bagni, dai ninfei, sembra ovvia : è questa la teoria corrente oggi fra gli studiosi, la più diffusa e la meglio accetta, che s'appoggia oltre che sopra una somiglianza di forme, anche su somiglianze di nomi. E' noto infatti che come Plinio {2) chiamava « bapti^terium » le vasche da bagno, così i fedeli dei primi secoli davano ai battisteri nomi in rapporto con i semplici bagni: così in Paolino da Nola (3) troviamo « lavacrum », nel Liber pontifi- {!) De Corona Militis, cap. Ili, P. L., to. II, col. 79. (2) Episù. 2, 17, II, e 5, 6, 25. Cfr. l'iscrizione C. /. L., IX, 4974. (3) Epist. XII. ad Severum, P. L., to. LXI, col 200 e sg. UGO MONNERET DE VlLLARD calis (i) è usato « nymphoeum », in Vittorio de Vita (3) « alveus », in Procopio (2) 5£;à[;-£V7i, che è la vasca dei nuotatori nelle terme, e diffusissimo è poi il vocabolo di « piscina » (4) e quello di « fonte ». Ed il confronto era anche alimentato dal modo interamente simile con cui si adduceva l'acqua nei bagni antichi e nei battisteri: l'acqua battesimale veniva versata dalla gola d'un leone o da quella di un agnello, come al Laterano ai tempi di papa Silvestro, mentre Sisto 111, restaurando l'edificio, aggiunse tre cervi. Nota attraverso la iscrizione di Ennodio (5) è la colonna ornatissima che nel battistero di San Stefano a Milano faceva piovere l'acqua sui cate- cumeni. Contro le esagerazioni di un eccessivo parallelismo stabilito fra le due serie di costruzioni, dobbiamo dapprima ricordare un fatto fondam e n t a 1 e : i b a 1 1 i s t e r i orientali , specialmente nella Siria, che ne ha conservato un numero rilevante, non hanno punto la forma delle comuni sale termali romane. In generale essi sono delle basilichette ad una sola navata quasi quadrata e con una piccola abside su di un lato. Tali sono i battisteri di Babiska, di Bamouqqa, di Ksedjbeh , di Dar-Kita , di Dauwar , di Rbeah , di cui il più antico, quello di Babiska, sorse nell'anno 401, ed il più recente, quello di Dar-Kita, nel 537. Le poche eccezioni, cioè edifici a planimetria poligonale, come Deir Seta, Moudjeleia, non ÌDEIR 5ETA Battistero di Deir-Seta. (i) Nella vita di papa Ilario. Crr, l'iscrizione recata da Spon, Miscellanea eruditae antiquitatis, 1683, p. 115. (2) Hist. persie. Vandalicae, lib. II, P. L., to. LVIII, col. 201 e sg. (3) Historia Archana, cap. XVIII. (4) Vedi gli esempi, in S. Optato, Cantra Parmenionem, lib. Ili, cap. II ; P. L., to. XI, col. 991, e Gregorio di Tours, Miracula, lib. I, cap. XXXIV. (5) Ennodi Opera, in M. G. H., n. CCCLXXIX, p. 271. NOTE DI ARCHEOLOGIA LOMBARDA 7 hanno alcun punto di contatto con le sale termali romane, a cui solo assomigliano i battisteri di Kalat-Seman e di San Giorgio d'Ezra. Sono invece frequentissimi i battisteri semplicemente qua- drati, come quello di Bettir, di Dehes, di Kherbet el Katib : tale forma si ripete anche in Palestina ad Amwas, l'antica Emmaus (i), e al Santo Sepolcro di Gerusalemme. Sono pure quadrati i battisteri africani di Orleansville, di Gouea, di Tebessa, di Tipasa : quello di Castiglione è una semplice cripta absidata. Anche uno dei pochi battisteri che noi conosciamo in Asia Minore, quello di Gul-Bagtsché, e quadrato. Si dovrebbe dunque, a priori, fare una distinzione fra i battisteri orientali e gli occidentali, per riserbare a questi soli la derivazione dall'usuale tipo delle sale termali, cioè quello di ottagoni o rotonde a nicchie alternativamente rettangolari e rotonde. Ma anche in occidente tale forma non è universalmente adottata. Se nelle catacombe troviamo alcune cripte che la presentano, come quella ben nota della via Salaria nuova, edita dal Bosio [2], e quella del cimitero di Priscilla (3), sappiamo però che mai queste costruzioni non furono dei battisteri. Di questi alcuni ne conosciamo nelle catacombe (4) che presentano ben diversa planimetria. Così nel cimitero di Priscilla, identificato con l'Ostriano, « ad nymM phas ubi Petrus baptizabat », il battistero non è se non una piscina o serbatoio d'acqua (5); così quello delle catacombe di Ponziano è pure un serbatoio d'acqua, scavato presso la sepoltura dei Santi Abdon e Senen (6) ; ne diversi sono i battisteri delle catacombe di S. Alessandro e di S. Ermete, e quello delle catacombe di Abou-el-Achem ad Alessandria (7). (1) C. ScHiCK, Die aìtchristliche Taufhaus neben der Kirche in Amwas, in Zeitsch. fùr deut, Paìàstina Verein, VII, pp. 15-16 e tav. I. (2) Roma Sotterranea, p. 489. L'edificio è dal Bosio detto « Chiesa di San « Silvano e Bonitacio ». Cfr. op. cit., Ili, tav. XXXIII e XXXIV. (5) Vedine la pianta in Marucchi, Le catacombe romane, Roma, 1903, fig. a p. 431. Secondo questo autore la cripta non sarebbe se non un ninfeo della villa degli Acili Glabrioni. (4) Attestati anche dai versi di Prudenzio, Peristephan., inno Vili, vv. 3-7. (5) Cfr. Marucchi, in Nuovo BuUettino di archeologia cristiana, to. VII, 1901 : la pianta a tav. II. (6) Cfr. Marchi, / monumenti, tav. LXII. (7) Cfr. Biiìletin de la Société Archéologique d'Alex.mdrie, 1S9S, n. i, t^y. A. 8 UGO MONNERET DE VILLARD E usciti dalle catacombe i cristiani, in Roma stessa, che pur tanti esempi ofifriva di ninfei, di sale termali, di costruzioni d'ogni genere dalla planimetria ottagonale a nicchie (i), non si sentirono spinti ad imitarla quando costrussero il grande battistero lateranense, o quello, non meno celebre, che presso S. Agnese è generalmente conosciuto col titolo di mausoleo di Costanza (2), che sono entrambi del tipo degli ottagoni e delle rotonde anulari; né il battistero di S. Stefano sulla via Latina che è quadrato (3). Poco sappiamo degli altri antichi battisteri di Roma (4), ma non risulta che alcuno presentasse la forma in discussione. Né possiamo ritrovarla in quella figurazione di un battistero che ci fu fortunatamente conservata dalle scolture, di un sarcofago romano del Vaticano (5), giacché esso ivi appare semplicemente come un edificio rotondo. E se usciamo da Roma ed esaminiamo i vari battisteri che nei primi secoli cristiani sono sorti in tutta Italia, vedremo applicate le forme piìi svariate : la rotonda, il quadrato, V esagono, l'ottagono, persino il dodecagono, nei più semplici, e nei più sontuosi, come a Nocera de' Pagani o a Santo Stefano di Bologna, la rotonda a deambulatorio. E impossibile dunque richiamarci ad una regola fissa, ad un prototipo universalmente imitato: la teoria del rapporto diretto d' imitazione fra i tipi di sale termali ed i battisteri deve essere scartata. Ma vi è però una serie di questi ultimi edifici che veramente ha una grande somiglianza con gli esempì romani : quelli sorti neir Italia settentrionale nei primi secoli cristiani. E forse» pensando solo a questi, molti studiosi hanno formulata la teoria sopra esposta; ma ufficio appunto di queste ricerche è quello d- (i) Un bell'esempio di tali ninfei in buonissimo stato di conservazione è quello che fu scoperto presso il monte della Giustizia nel 1862: cfr. C. L, Visconti, in Bulhttino della Commissione Archeologica Municipale, Roma, 187$, tav. XXII-XXIil. (2) H. Grisar, Gesch. Roms und Pàpste im Mittelalter, to. I, p. 378. (3) Vedine la planimetria in Marucchi, Le catac. rovi, cit., fìg. a p. 235. Anche il battistero recentemente scoperto a S. Marcello in via Lata era o quadrato o rettangolare: cfr. Nuovo 'Bull, di arch. crist. cit., 19 13, fase. 1-4, p. 121. (4) Vedi tutte le notizie raccolte da J. ZETTiNGtR, Die àltesten Nachrichlen ùber Baptisterien der Stadt Rom, in Ròmische Quartalsch., 1902. (5) Bosio, op. cit., p. 87 ; Martigny, Dictionn., p. 84 ; Garrucci, op. cit. , tav. CCCXXll. NOTE DI ARCHEOLOGIA LOMBARDA 9 portare qualche nuova luce sulla questione, vedere cioè da quale esempio siano derivati tali monumenti, quali rapporti essi abbiano fra di loro, quali modificazioni il tipo abbia offerto nel corso dei secoli. Osserviamo però dapprima che tali monumenti formano una famiglia particolare nella grande classe dei battisteri dell'Italia settentrionale, perchè anche in queste regioni abbiamo numerosissime costruzioni di altra forma. In generale i battisteri sono degli ottagoni semplici, cioè con mura di uniforme spessore, provvisti o no di un'abside che s'apre in un lato. E questa la forma del batti- stero di Grado (i), la cui struttura può essere attribuita alla seconda metà del secolo V, forma che si ripete in molti altri edifici dell'epoca romanica, come ad esempio nel secolo Xìl a Lenno, sul lago di Como. Parenzo (2) ci ofìre invece la struttura dell'ottagono semplice, senza abside: è questo il tipo dei grandi battisteri romanici della valle del Po, Cremona, Parma, ad esempio, non solo, ma anche dell'Italia centrale. Ravenna ci dà l'ottagono semplic e con quattro nicchie, tipo che in certo qual modo è identico ad alcune costruzioni romane (3). E nel secolo IX Agliate ci oftre il caso unico di un edificio di nove lati, provvisto di un'abside che, nella parte inferiore, ne abbraccia due (4). Questo abbiamo voluto ricordare per ben distinguere lo speciale gruppo dei battisteri ottagonali a nicchie da tutti gli altri edifici a planimetria centrale, sorti nella valle del Po: e l'aver così distinto lo speciale aggruppamento di essi, ci permetterà di meglio studiarli e di rilevarne con maggior sicurezza le caratteristiche 'e la storia. (i) Cattaneo, L'architettura in Italia dal secolo FI al Mille, Venezia, 1889, p. 48, fig. 12. (2) HoLTZiNGER, Die altchristliche architektur, p. 22, fig. 7. (3) Cosi all'edifìcio ottagono di Tor de Schiavi. Cfr. la planimetria in Durm, Die Baukunst der Etrusker uud Rdmer, 1905, fìg. 292. Probabilmente tanto l'uno quanto l'altro dei due battisteri ravennati sono ricostruzioni e adattamenti di sale di bagni preesistenti, quindi ce interamente costruzioni romane né interamente costruzioni cristiane. (4) Cfr. Cattaneo, op. cit., p. 219 ; De Dartein, Varchitecture lombarde, pp. 309-311; RivoiRA, Le origini delVarchitettura lombarda, 2.* ediz., p. 198. IO UGO MONNERET DE VILLA RD li. Una delle forme planimetriche più diffuse dell'architettura medioevale, fra i tipi di costruzioni a cupola centrale, è quella di un ottagono ai cui lati si aprono delle nicchie rettangolari e semicircolari alternativamente, mentre all' esterno l'edificio ripete la forma ottagonale : tipica struttura di alcuni battisteri lombardi. La genesi di questo tipo costruttivo è ancora mal conosciuta, sicché non solo giova, ma è anche necessario ristudiarla, per meglio rischiarare la storia dell'architettura nella valle padana. Si ripete, in generale, che questa forma derivi dai calidari delle terme romane, opinione che sembra fondata, in un esame superficiale, giacche essa si trova diffusa in tali costruzioni dell'età imperiale. Ma dobbiamo subito notare che in tali edifizi le sale che offrono quel tipo planimetrico sono sempre incluse in un nucleo più vasto di costruzioni, sicché la forma ottagona si svolge solo all'interno e non all'esterno. E meglio ancora studiando tali esèmpi, ci accorgiamo che l'ottagono non è se non la trasformazione di un quadrato, in cui si sono sostituiti gli angoli con nicchie, onde facilitare l'impostazione della cupola (i). Procedimento quindi volto ad un solo scopo, quello di risolvere un problema statico e non di creare un nuovo e particolare tipo planimetrico. Meglio sarebbe richiamarsi ad edifizi isolati, altre volte abbondanti nella campagna romana, se ci riferiamo alle memorie gra- fiche che ne trassero antichi studiosi. Così il taccuino barberiniano di G. da Sangallo (2), alla tav. XXXIX, ci raffigura un edifizio, evidentemente sepolcrale, che ha al centro una camera della planimetria che ci interessa: alcuni rilievi del Montano, incisi dal Soria (3) e riprodotti anche dal Montfaucon (4), presentano edifizi (i) L'analisi di questo procedimento è stata fatta magistralmente dallo Choisy, L'art de hàlir che^ hs Byiantins, pp. 80-81. (2) Il libro di G. da Sangallo ; Cod. Vat. Barber. Lat. 4424, con introduzione e note di C, HOlsen. L'edifizio è forse il sepolcro dei Servili sull'Appia, disegnato da P. Ligorio, in Cod. Neap., lib, 49, cap. 39, e da A. da Sangallo il Giovane, Uffizi 1414 e pubblicato dal Bartoli, Sepolcri antichi, tav. 30-31. (3) Scelta di tempietti antichi, tav. 6 e 8 : il tipo si trova anche riprodotto in moltissimi altri edifici disegnati nella raccolta. (4) Uantiquité expliquée, to. Il, parte I, tav. XXXVII-XXXVIII. NOTE DI ARCHEOLOGIA LOMBARDA II del medesimo tipo, quali incontriamo in due sepolcri della via Appia, attribuiti dal Ligorio (i) ai Calatini ed ai Duranio. Più numerosi li troviamo riprodotti fra i disegni del così detto Bramantino (2), il quale presenta tutte le possibili varietà del tipo. Applicata ad un perimetro rotondo l'alternativa delle nicchie semicircolari e rettangolari (3) secondo due coppie d'assi perpendicolari, a 450 l'una rispetto all'altra, si riscontra anche in edifizi che tuttora sussistono: la costruzione rotonda di Tor de Schiavi, sulla via Prenestina, secondo alcuni avanzo della Villa de' Gordiani, secondo altri sepolcro dell'età dioclezianea; il tempio di Portumno a Porto; il sepolcro tiburtino, conosciuto col nome di Tempio della Tosse, ne offrono degìi interessanti esempi (4). Ma questi debbono ricongiungersi alle varietà delle rotonde, più che a quelle degli edifici ottagonali. Il tipico esempio di questi, che presenta la forma dei battisteri lombardi dell'alto medio evo, è il mausoleo di Diocleziano a Spalato, trasformato oggi in Duomo. Sull' identificazione un passo di Costantino Porfirogenito ci toglie ogni dubbio. Non è qui né il caso ne il luogo per attardarci ad un'analisi delle particolarità stilistiche o costruttive del monumento, sotto tanti aspetti così notevole, ma solo d'osservare quelle che al nostro argomento più direttamente si riferiscono. Oltre la forma planimetrica osserviamo che nel mausoleo di Diocleziano, contrariamente agli altri edifizi sepolcrali romani sopra citati, la cupola non è in vista all'esterno, ma invece nascosta e coperta da un tetto piramidale ad otto faccie, portato (i) Cfr. P. LiGORio, cod Neap., lib. 49, cap. 55. (2) Le rovine di Ironia al principio del secolo XVI, Milano, 1875. Si vedane specialmente le tav. nn. 13, 22, 23, 27, 29, 33, 57, 69, 71. (3) L'ottagono esterno combinato con la rotonda interna avente otto nic- chie tutte semicircolari, si riscontra al tempio della Sibilla : cfr. Sangallo, cod. Vat. Barber. cit , tol. 8 v. : identico in cod. Excurial., fol. 74. (4) Si devono aggiungere agli edifizi di questo tipo: il mausoleo diS. Elera a Roma, detto oggi Tor Pignattara ; il mausoleo di Romolo figlio di Massenzio (cfr. Canina, EdiJÌT^i, VI, tav. 19; G. da Sangallo, cod. Vat. Barb. cit. foli. 8 e 45); il cosi detto tempio di .\pollo presso il lago Averno (cfr. Paoli, Antichità di Posinoli, tav. XLIV ; Beloch, Campanien,p. 171). Per il tempio della Tosse, ctr. Canina, op. cit., tav. 153 ; Isabelle, Edijices circuì.^ tav. 24, fig. 5-6. Per il tempio di Portumno, cfr. Canina, op. cit., tav. 186, e Indie, delle rovine di Ostia e di Porto, tav. II ; Nibby, Dintorni di Roma, II, p. 648 ; Tomassetti, Campagna romana. III, p. 66; Sangallo, cod. Vat. Barber. cit., fol. 57. 12 UGO MONNERET DE VILLARD dalla sopraelevazione dei muri perimetrali dell'edificio. Particolare questo che il solo monumento dalmata ha in comune con le costruzioni lombarde dell'alto medio evo: nei monumenti prettamente romani la cupola è sempre scoperta all'estradosso. Dell'origine orientale del procedimento, usato a Spalato, è inutile anco, a discorrere, giacché è ormai sicura la provenienza antiochena, od almeno siriaca, delle forme architettoniche del palazzo di Diocleziano. Il prototipo dunque dei battisteri lombardi si deve cercare sulla costa dalmata : ma come questo tipo di edificio fosse importato nella Valle del Po, è rimasto fino ad oggi ignoto, perchè nessuna attenzione fu prestata dagli studiosi alla chiesa di S. Gregorio, presso S. Vittore al Corpo in Milano, piccolo edificio demolito da circa quattrocento anni, ed intorno al quale le poche notizie rimaste non furono mai saggiamente raccolte ed accuratamente vagliate. Chiesa importantissima, per noi specialmente, perchè non era se non un sepolcro imperiale della identica forma del mausoleo di Diocleziano a Spalato. Ecco ciò che ci proponiamo di dimostrare. Il notaio Besta, un modesto compilatore di notizie riguardanti la storia di Milano (i), ci ha conservata la descrizione della chiesa, che egli vide innanzi la sua distruzione, avvenuta nel 1576. Egli così ce la descrive : « Questa chiesa dava segno dell'antichità sua, « sì per la materia di che era fatta, per aver io veduti certi pil- « Ioni lunghi più d'un braccio et alti più di due oncie, quali per u centenara d'anni avanti non si sono usati nelle fabbriche, quanto « ancora dal modo dell'architettura per esser rotonda tanto di so- « pra quanto di sotto, tutta lavorata a musaico, et haveva otto « altari dentro di se, e dall' una e l' altra parte si passava per « corridori ». Qualche maggior notizia sulla decorazione dell'edificio ci dà il Castiglioni (2) : « In codesto tempio ai nostri giorni vi erano « anchora alcuni lavori di marmi finissimi [di] diversi colori tasM sillati, ossia alla mosaica, tavole di pietra segate con frisi vari, « componuti di vasi di fiori, e di animali, hor venuti al meno, e (i) Origine e meraviglie delia città di Milano^ to. I, lib. VI, cap. V, biblioteca Ambrosiana, ms. P. 258 sup., p. 280. (2) Cod. Ambrosiano n. 153 sup., p. 30 v. : Vite et attieni delli primi un- dici Arcivescovi. NOTE DI ARCHEOLOGIA LOMBARDA I3 ti datovi il bianco levate l'opre magnifice ». Queste indicazioni sono ripetute da altri scrittori contemporanei e di quanti in seguito si occuparono dell'edificio (i). Dalle parole del Besta risulta evidente che questo era un ottagono (2) circondato da portici: esso sorgeva (3) dove è l'attuale piazza innanzi la chiesa di S. Vittore, ed ivi nel medio evo si arrestavano le processioni nel giorno di S. Marco a cantarvi le litanie di S. Gregorio (4\ Maggior precisione di indicazioni intorno alla forma dell'edificio ci offre una serie di documenti sinora sfuggiti all' attenzione degli studiosi : sono alcuni disegni del Seregni, riferentisi al rifacimento della basilica Porziana, in cui l'architetto, tracciando il suo progetto, ha riprodotto in scala esattissima l'edicola di S. Gregorio (5) Da questi disegni risulta che tale costruzione aveva esattamente il tipo del mausoleo di Diocleziano : edifizio ottagono sì internamente che esternamente, con nicchie alternativamente rettangolari e semicircolari sulle facce. Agli angoli esterni l'edificio si adornava di lesene al modo di tutte le costruzioni lombarde dei primi secoli cristiani. I disegni del Seregni non indicano i corridoi, di cui parla il Besta, e che crediamo doversi interpretare come porticato circondante l'edificio : ma dobbiamo tener conto che i disegni del Seregni sono studi per una utilizzazione dell'edificio nella rifabbrica gene- (i) Cosi il Bescapé (nella vita di S. Castriziano) Hist. Mediai. ; il Sitoki nei Collettari, il Puricelli nello Zodiaco; in seguito il Lattuada, Descriiiom, IV, pp. 358-368, il RofTA, S. Vittore detta basilica Poriiana, Milano, 1884, e G. Pagani, I empietto ottagono pei sepolcri imperiali, dedicato poi a S. Gregorio, in Editto di Costantino, pubblicato nel Pensiero Italiano, fase. XIII, Milano, gen- naio 1892. (2) Non comprendo come il Savio, Gli antichi vescovi d'Italia, Milano^ Milano, ^9^5» P- 77Si che pure cita il Besta, lo dica simile al mausoleo di Galla Placidia a Ravenna, che è cruciforme. (3) Qualche indicazione sul posto ove si erigeva l'edifizio ci dà una nota contenuta nel primo volume degli Indici delle carte di S. Vittore al Corpo, composto nel 1679 da Giov. Agostino Delfinoae, ora all'archivio di Stato di Milano. (4) Beroldus sive Ecclesiae Amhrosianae mediolanensis kalendarium et ordines saec. XII, ediz. Mjgistretti, Milano, 1894, p. 122: T)e litaniis S. Gregorii in festivitate S. Marci archiepiscopi. Cfr. Muratori, Antiquitates medii aevi, IV, col. 903. (5) Stanno nella Raccolta Bianconi all'archivio Civico di Milano, voi. V, nn. 2, 3, 4. 14 UGO MONNERET DE VILLARD rale ; perciò probabilmente egli aveva pensato di demolirli per meglio utilizzare lo spazio. La loro ricostruzione ideale è facile in base al prototipo di Spalato. La decorazione interna doveva essere in « opus sectile »», come ci fanno sospettare le parole del Castiglioni : decorazione di tipo assai comune in quell'epoca e che serve a meglio spiegarci l' in- dicazione dei rivestimenti in porfido che il Sangallo osservò nella cappella di S. Aquilino in S. Lorenzo, edifizio identico alla chiesa di S. Gregorio, nel suo disegno del codice senese. Risolto così il primo problema, quello riguardante la forma dell'edifizio, rimane il secondo : il tempo cioè della sua costruzione. Per questo non abbiamo documenti così precisi come ne abbiamo trovati per il primo problema, ma pur ci rimangono alcune indicazioni preziosissime. L'Alciato (i) ci ricorda la storia di un magnifico sarcofago di porfido che era in S. Gregorio, donato dal duca Francesco Sforza a Pandolfo Malatesta, sarcofago che aveva servito certamente a raccogliere la spoglia mortale di Valentiniano li, che sappiamo sepolto a Milano, e non di Teodosio, sepolto a Costantinopoli, come per errore -scrisse lo storico lombardo: « Theodosii (Valen- « tiniani) imperatoris sepulchrum porfireticum insignis structurae et « magnitudinis in sacello ilio rotundo proximo aedi S. Victoris ad « corpus extra civitatem, antiquam romanam maiestatem adhuc « referens, quod dono datum est Pandulpho Malatestae, Arimini " principi, ab Ill.mo Francisco Sfortia, dum salutationis gratia ad « eum divertisset in nova susceptione Mediolani imperii ». Dobbiamo confrontare con questo passo quello dello scritto di Sant'Ambrogio, dove il vescovo rende conto, a Teodosio della sepoltura data al giovane Valentiniano li : « Est hic porphireticum la- (i brum pulcherrimum, ut in usus huiusmodi aptissimum . Nani et « Maximianus Diocletiani socius ita humatus est . Sunt tabulae « porphireticae pretiosissimae, quibus vestiebatur operculum, quo " regales exuviae claudantur . Hoc fuerat praeparatum sed expec- « tabatur rescriptum Clementiae tuae »». S. Ambrogio non ci dice ove fosse il sepolcro : dobbiamo però osservare che grandi se- (i) Nella Prefazione alla sua raccolta di iscrizioni : cfr, il ms. Ambrosiano D. 425 inf., p. 8. NOTE DI ARCHEOLOGIA LOMBARDA 15 polcri di porfido non erano molto comuni nemmeno nel secolo IV. Se dunque in Milano uno ne esisteva, secondo la testimonianza dell'Alciato, in S. Gregorio, è probabile assai che fosse questo il medesimo di cui parla S. Ambrogio (i). Corrobora la supposizione il fatto che la chiesa milanese aveva esattamente la forma del sacello imperiale di Spalato e che 1' una e V altra dovevano essere state costruite sul principio del secolo IV. Non dobbiamo inoltre dimenticare che l'area dove sorgeva la chiesa di S. Gregorio e quella di S. Vittore al Corpo era la più importante area sepolcrale di Milano sullo scorcio dell' impero, e che i teodosiani avevano uno speciale culto per S. Vittore (2). Resta con ciò dimostrato, salvo la assai improbabile scoperta di nuovi documenti, che la chiesa di S. Gregorio era un mausoleo imperiale, elevato nella prima metà del secolo IV, di forma identica alla tomba di Diocleziano a Spalato. E ne consegue indicata la via altresì per cui la forma della costruzione dalmata è venuta nella valle del Po: imperatori contemporanei hanno elevato, a loro ultima dimora, identici edifici. ili. Spiegata così l'introduzione della speciale forma architettonica dell'ottagono a nicchie in Lombardia, dobbiamo tracciare la storia della sua posteriore diffusione e della sua fortuna. Data la provenienza siriaco-antiochena delie forme artistiche di Spalato, sarebbe logico cercare nelle regioni dell' oriente mediterraneo gli esempi più antichi di tale motivo: ma la ricerca ci riserba una disillusione. 11 tipo del mausoleo di Spalato non si riscontra negli edifici orientali se non in rarissime eccezioni. E di ciò possiamo a priori farcene una ragione: il tipo dell'edificio dalmata non è se non una trasformazione del corrispondente edificio romano {ad esempio Tor de' Schiavi), eseguita secondo il concetto siriaco di ridurre in poligonali le linee curve delle costruzioni. Fenomeno analogo avviene nel tracciato delle absidi, che da semi- (1) Suir identificazione del monumento confronta anche Giulini, Memorie, 2.» ediz , voi. II, p, 135. (2) Savio, op. cit., Dissertazioni III e IV. l6 UGO MONNERET DE VILLARD circolari all'esterno divengono, in Siria, poligonali. L' oriente cristiano d*altra parte, ove preponderano gli edifici di tipo a planimetria centrale, svolge 1' impostazione della cupola sull'ottagono secondo procedimenti tutti suoi propri : elimina cioè le grosse murature romane appena svuotate in alcune parti da nicchie, per ricorrere a tracciati ottagonali con muri di assai minor spessore. L'ottagono di Suwasa, quelli a deambulatori di Isaura o di Hièrapoli, possono servire quali esempi del procedimento orientale, di cui in seguito piìi ampiamente mi occuperò. Alcune volte l'Oriente conserva il tipo prettamente romano, circolare cioè tanto all'interno quanto all'esterno, come si vede nella chiesa di S. Giorgio di Salonicco (i) : ed in questo edificio vediamo apparire un'altra caratteristica dei monumenti d'Oriente, l'applica- zione cioè di una profonda e sporgente abside al posto di una nicchia, caratteristica che incontriamo sempre, sia nei monumenti anatolici quanto nei siriaci. Altre volte l'ottagono interno ha un inviluppo esterno di tracciato quadrato (2), come nella così detta tomba dei monaci egiziani al monastero di Mar Gabriel nel Tur Abdin ed in un'altra costruzione dello stesso monastero, eseguita in epoca ben più recente che non l'altra (3). La tarda persistenza del tipo ci è testimoniata anche da una tomba seljuicida di Ajasaluk presso Efeso (4). Anche in Egitto una vasca battesimale a Der el Megma (5) ha la stessa forma dell'edifizio dalmata, ma con esterno quadrato : caso interessante questo, data la trasformazione dell'edifizio sepolcrale in bat- tistero, avvenuta nella valle padana. Ma l'esempio più notevole per la storia della difiusione del tipo spalatino in Oriente ci è offerto dai due ottagoni che fiancheggiano la basilica di Dere Ahsy a Cassaba (6). Qui, come nei mau- (1) Cfr. Tafrali, Topo^raphie de Thessaloniqui, Parigi, 191 3, p. 155 e sg. (2) Rotondo internamente con quattro nicchie a ferro di cavallo e quattro rettangolari, irregolare esternamente, ma avvicinantesi al quadrato, è il battistero presso la chiesa doppia di Efeso. Cfr. Jahresheft. d. òsterr. arch. Inst. Beihlatt., 1912, II, p. 160. (3) Strzygowsky, Atnida, pp. 255-236, fìg. 153 e 154. (4) Forschungen in Ephesos, Vienna, 1906, voi. I, p. 124, fìg. 51. (5) SoMERS Clarke, Christian Antiq. of the Nile ValUy, Oxford. 191 2, p. 138. (6) RoTT, Kleinasiat. DenkmàUr, pp. 300-314. NOTE DI ARCHEOLOGIA LOMBARDA I7 soleo di Diocleziano, i due edifizi sono ottagoni esternamente e circolari all'interno: come a Salonicco hanno un'abside sporgente al posto di una delle otto nicchie. L'ottagono posto a sud della <:hiesa ha anche un piano superiore dodecagono con dodici nicchie semicircolari poste sulle diagonali. Il Rott (i) non so su quali basi^ ritiene che l'ottagono meridionale sia iin battistero, ed il setten- trionale un sepolcro. Non bisogna dimenticare d'osservare che, per quanto è a mia conoscenza, questo è il solo caso di due ottagoni posti ai lati opposti di una chiesa che si osservi in Oriente, da confrontarsi con la medesima disposizione delle cappelle di S. Sisto e di S. Genesio o S. Aquilino in S. Lorenzo a Milano. E* vero che un confronto si può fare con le due rotonde absidate poste ai lati della basilica di Pergamo '^2), ma il parallelismo fra la costruzione della Valle di Cassaba e la milanese è più convincente : e su questo punto dovremo ritornare. Anche il caso delle costruzioni che fiancheggiano r abside della chiesa di S. Maria del Canneto presso Pola o quello delle due cappelle, di cui una cruciforme, che fiancheggiano la basilica di Binbirkilisse indicata col numero 12 dalla Bell, se si riattaccano ad una medesima disposizione liturgica di edifici in un complesso ecclesiastico, offrono dal punto di vista delle forme architettoniche minor somiglianza col monumento milanese. Disgraziatamente degli edifizi di Dere Ahsy, per noi dunque doppiamente importante, non si conosce il tempo della costruzione: condivido però l'opinione del Diehl {3) che ritiene troppo basso il secolo Vili fissato dal Rott (4), e credo sia più logico attenersi ad una data intermedia fra il VI ed VII secolo. In Tunisia troviamo una riproduzione del mausoleo di Spalatoa Tabarka, però con tutte le nicchie semicircolari (5). (1) Op. cit., p. 315. (2) Texier, Arch by^., II, tav. 118. La planimetria di S. Maria del Canneto è stata pubblicata dal Kandler e quella della chiesa di Binbirkilisse da Ramsay" AND Bell, The thousand and otte churches^ Londra, 1909, fig. 80. (5) Manuel, p. 88, nota i. (4) Op. cit. 314. (5) Gauckler, Basiliques chrétiennes de Tunisie, Paris, 191 3, tav. XVL Arch. Stor. Lomb., Anno XLf, Fase. I-II. ^ i8 UGO MONNERET DE VILLARD Osservato questo nei rapporti dei monumenti orientali (i), dobbiamo passare allo studio della fortuna del tipo di edificio dalmata in Occidente. IV. 11 mausoleo di Diocleziano a Spalato venne, come abbiamo sopra dimostrato, copiato a Milano in quell'edifizio sepolcrale che fu poi la chiesa di S. Gregorio. 11 ponte di passaggio sopra l'Adriatico del tipo dalmata, che troviamo riprodotto copiosamente nelr Italia settentrionale, è così stabilito. Prenderò dapprima a studiare le principali copie che ne abbiamo, riserbandomi di indicare in seguito le minori. Esse sono : la cappella di S. Sisto in S. Lorenzo in Milano; la cappella di S. Genesio detta poi di S. Aquilino pure in S. Lorenzo in Milano ; il battistero di Milano; il battistero di Brescia; il battistero di Novara; il battistero di Albenga. La cappella di S. Sisto fu costruita da Lorenzo vescovo di Milano (489-51 t): per la di lei costruzione Ennodio scrisse i ben noti distici : ANTISTES GENIO POLLENS PROBITATE PVDORE ORNAVT DONVM MERITIS ET LVMINA VITAE AD PRETIVM IVNGENS OPERIS HAEC TEMPLA LOCAVIT LAPSA PER INCERTOS NON SPARGIT FAMA RECESSVS SED VETERIS FACTI VIVIT LEX AVCTA PER AEVVM QVAM DEXTER CAPIAT LAVRENTI MVNERA SYXTVS SIC MANET OFFICIVM QUOD SANCTIS CONTIGIT OLIM OBTVLIT HIC TEMPLVM VENIENS QVOD CONSECRAT ILLE. che portano per titolo : « Versus in basilica sancti Syxti facti et « scripti quam Laurentius episcopus fecit » (2). Lorenzo, però, non fu sepolto nell'edificio da lui costruito, perchè i cataloghi degli ar- civescovi di Milano ci dicono che la sua tomba fu nella chiesa di (i) Mi riserbo di studiare in seguito il tipo orientale di ottagono con co- lonnato interno, come Bosra, Esra, ecc., di grande importanza per il successivo sviluppo dell'architettura a cupola centrale. (2) Op. cit., VII, p. 120, n. XCVI. NOTE DI ARCHEOLOGIA LOMBARDA 19 20 UGO MONNERET DE VILLARD S. Cassiano ed Ippolito, Tedificio cruciforme che sorge ad ovest del S. Lorenzo, e dove già aveva trovata sepoltura l'arcivescovo Teodoro. Solo il successore di Lorenzo, Eustorgio II, fu sepolto in S. Sisto : è da presumere che l'edificio lasciato incompleto dal primo sia stato terminato dal secondo : la sua costruzione cade quindi intorno all'anno 511. Minore ricchezza d'indicazioni abbiamo a proposito all'altro edificio ottagono posto a sud della chiesa di S. Lorenzo, l'odierna cappella di S. Aquilino. Anticamente portava il nome di S. Genesio, come risulta dalle descrizioni delle processioni del secolo XII (i) e dall'indicazione di Goffredo da Busserò, « aurea ecclesia « Sancti Genexii m (2). Codesto S. Genesio di cui, secondo Beroldo (3), la festa cade l'otto « kal. septembris, natalis S. Genesii « martyris ad S. Laurentium » è il noto martire d'Arles. Il titolo si conservò assai tardi, come fa fede il libro delle Rogazioni triduane, stampato nel 1494, ove si legge : « Et dicesi M la infrascripta antiphona andando verso la cappella de S. Geu nesio, altre volte dieta la capella della Regina . . . . ». Questa seconda denominazione si riattacca alla tradizione milanese che ne vuole fondatrice Galla Placidia, tradizione antichissima, di cui probabilmente il pili antico accenno ci è dato dall' ignoto biografo di S. Verano di Cavaillon, di cui in seguito parlerò. Sullo scorcio del secolo XI la tradizione è raccolta da Benzo d'Alba, nei versi che rivolge ad Enrico IV, ma estesa singolarmente a ritenere Galla Placidia la fondatrice dell'intera chiesa di S. Lorenzo (4). Oltre la testimonianza di Benzo d'Alba altre ne abbiamo in appoggio alla tradizione che vuole la cappella di S. Genesio costruita da Galla Placidia. Fra Bonvesin da Riva scriveva (5) nel 1288 : « qui rei veritatem nosse desiderat, eant et beati Laurentii u ecclesiam, quam regina quedam, nomine Galla Patricia, cum sexu decim exterioribus columnis dicitur construxisse .... ». Questa (i) Cfr. Antichità longobardico-miìanesi, voi. Ili, p. 243. (2)Librum uotittae Sanctorum Medioìani, cap. 175. (3) Nel calendario, al giorno 25 agosto. Ediz. Magistretti, op. cit., p. 9. (4) Benionis episcopi Albensis ad Henricum IV imperatorem libri VII, in M. G. H., SS., to. XI, p. 680, vv. 15-19. (5) "De tnagnalibus urbis Medioìani, in BtiìUttino dell'Istituto Storico Italiano^ fase. 20, Roma, 1898, p. 71. NOTE DI ARCHEOLOGIA LOMBARDA 21 raensione di un colonnato esterno ricollega ancor meglio la costruzione milanese con la dalmata, e ci riconforta nell' induzione che i corridoi di cui si parla nella descrizione della cappella di S. Gregorio, fossero un porticato esterno. Una pergamena, oggi perduta, fu vista dal Puricelli in S. Lorenzo e da lui indicata come posteriore al 1061 (i) : in essa si indicava la chiesa di S. Aquilino e yì si diceva : « ibi est arca marmorea, in qua iacet corpus reginae « Gallae cum Rege Astulfo », ove evidente è l'equivoco di reda- zione o di lettura con Ataulfo. La tradizione è raccolta anche da Galvano Fiamma (2): « in processu temporis quedam regina, dieta H Galla Patritia, in latere istius ecclesie construit capellam rotundam, h masayco opere et miris figuris ornatam et vestivit parietes inteu rius laminis marmoreis pretiosis : et dicitur capella regina, ubi u ipsa dormit »'. In un documento del 1402 (3) ancora Gian Galeazzo Visconti chiama l'edificio cappella della Regina: e tutti gli scrittori di cose milanesi raccolgono la tradizione (4). E* inutile attardarsi a discutere se veramente Galla Placidia trovasse la sua sepoltura in Milano proprio in quell'arca che ancora si conserva in S. Aquilino : 1' opinione è sprovvista d' ogni fondamento. Galla Placidia fu certamente sepolta in Ravenna anche se non possiamo essere certi che riposasse in quel tempietto cruciforme presso la chiesa di S. Croce che generalmente è ritenuto come il suo mausoleo : ma certamente non ebbe sepoltura in Roma né tanto meno in Milano. Allo stato attuale delle conoscenze storiche il tempo della fondazione della cappella di S. Aquilino rimane ignoto. L'analisi stilistica, il materiale impiegato e la tecnica della costruzione assicurano che l'edifizio sorse nel secolo V. Per quale uso ? certa- mente non come battistero, giacché tali primitivi edifizi milanesi (i) Laurentii Littae civis et archiepiscopi medioìanensis vita, Milano, 1653, P. 27$ e sg. (2) Chronicon tnaius, in Miscellanea di storia italiana, to. VII, e Chronicon extravagans, ibid, p. 482. (3) Archivio di Stato di Milano, Registro Lettere ducali i^^^-i40^, fol. 97. 14) Puricelli, Laur. Littae vita, p. 276; Fumagalli, op. e loc. cit. ; AlleGRAKZA, Spiegai^ioni e riflessioni sopra alcuni sacri monumenti antichi di Milano^ Milano, 1757; Lattuada, op. cit., p. 319; Torre, Ritratto di Milano, p. 117; RoMUSSi, Milano ne' suoi monumenti, 3.'^ ediz., I, pp. 236-240. 22 UGO MONNERET DE VILLARD sono, se non ben conosciuti, almeno esattamente localizzati, e di un battistero a S. Lorenzo non abbiamo alcuna memoria. E' probabilmente esatta V induzione del Kohte (i) che la cappella fosse (i) Die Kirche 5. Lorenzo in Mailand, p. 25. NOTE DI ARCHEOLOGIA LOMBARDA 23 Stata costruita come sepolcreto di una famiglia principesca, giacché, come mausoleo dei vescovi servivano e S. Cassiano ed Ippolito e S. Sisto. Ma un battistero era in Milano di forma ottagona, quello costruito da S. Ambrgio presso S. Tecla (i), come ci è indicato dai versi attribuiti a S. Ambrogio medesimo (2): Octachorum sanctos teraplum surrexit in usus: octagonus fons est munere dignus eo. Hoc numero decuit sacri baptismatis aulam surgere, quo populis vera salus rediit luce resurgentis Christi, qui claustra resolvit mortis et e tumulis suscitat exanimes confessosque reos maculoso crimine solvens fontis puriflui diluit inriguo. Null'altro si saprebbe di questo battistero lombardo, che nulla ne dicono gli storici e gli archeologi,se una fortunata scoperta non fosse venuta ad illuminarci ; scoperta d'altra parte per nulla sfrut- tata dagli studiosi di cose milanesi, e con la solita incuria lasciata nel dimenticatoio. Scavandosi il terreno di piazza del Duomo, per i lavori di fognatura, si venne a scoprire una parte di tale battistero : l'imperizia di chi dirigeva l'opera fece sì che non se ne com- prese r importanza e non fu messo perciò in luce tutto il perimetro dell'edificio (3J. 11 piano del battistero era al livello normale del piano romano di Milano, il che ci assicura trovarci innanzi alla costruzione del secolo IV. Il battistero era di forma ottagona internamente ed esternamente, con lesene angolari esterne e nicchie interne alternativamente semicircolari e rettangolari ; pianta che si può facilmente completare sul rozzo rilievo degli scavi, e che ci dimostra essere il battistero milanese della stessa forma planimetrica delle cappelle di S. Aquilino e di S. Sisto in S. Lorenzo. Il battistero era coperto da vòlte- decorate a musaico, come provano le numerose tessere rinvenute nello scavo. Il battistero deve essere stato distrutto innanzi il secolo X, (i) Cfr. Savio, op. cit., pp. 878-880. (2) Cod. Vat. Pai. Lat. 835 ; De Rossi, Inscript.^ II, p. 161. (3) Vedi la relazione di E. Bignami, ^uine delVantica Milano^ in Atti del Collegio degli Ingegneri ed Architetti di Milano, voi. III, fase. II, 1870. 24 UGO MONNERET DE VILLARD perchè nel materiale di riempimento che lo ricopriva fu trovata intatta una tomba con la pietra sepolcrale recante 1' iscrizione di un prete Domenico della chiesa jemale, addetto all'arcivescovo Lamperto (i). Il battistero di Milano era stato copiato a Brescia ; anche qui avevamo un ottagono con la cupola sorretta da otto colonne (2). Il fonte bresciano sorgeva innanzi al Duomo vecchio, nel luogo ove era durante la dominazione veneta una fonderia di cannoni e dove, al principio del secolo XIX, sorgeva il « caffè del Duomo ». Era rovinato una prima volta nel 1254 e rifatto dal podestà Bonifacio de' Castellani (3): fu definitivamente demolito nel 1627 (4). Le poche memorie che ci rimangono sono alcuni disegni (5) che ci dimostrano però chiaramente come la forma dell'edificio bresciano derivasse dall'analogo edifizio milanese. Il battistero di Albenga (6) ripete, salvo l'ottagono interno, le forme di Spalato meglio che non gli edifici milanesi, perchè ha le otto colonne interne che mancano a questi ma non a quello. Può darsi però che tali colonne esistessero in origine tanto nel S. Gregorio quanto nel S. Aquilino e che fossero tolte poi in epoche relativamente recenti (7), come avvenne nel S. Giovanni in Atrio a Como. (1) Di Lamperto abbiamo notizie sicure dall'anno 922 31929; probabilmente sedette sul trono ambrosiano sino al 931. L'iscrizione citata è riportata in For- cella, Iscrizioni di Milano, voi. I, p. 67, n. 93. (2) Odorici, Antichità cristiane di Brescia, II, p, 22 e nota. (3) L' iscrizione è riportata nell'opera citata dell' Odorici, p. 22. (4) Zamboni, Fabbriche di Brescia, p. 107. (5) La pianta rilevata nel 1599 ^* ^^ "^^ codice Queriniano C. I. i, ed è riportata in Odorici, Storie bresciane, to. II, p, 216; i disegni delle colonne si hanno nei mss. dell'Aragonese, cod. Queriniano A. II. IV, p. lxxx e Vaticani nn. 5235, 5244, che contengono le Inscriptiones urbis et agri Brixiani. (6) Vedine la descrizione in Mella, Battisteri di Agrate Conturbia e di Albenga, in Atti dell'Accademia di Architettura e Belle Arti di Torino, voi. IV, p. 56 e sg., da cui dipende Dartein, Ètude sur Varchitecture lombarde, pp. 399- 400. Per le decorazioni scultorie, cfr. Cattaneo/op. cit., p. I3i-i32;peri mosaici AjNALOW^ in Vi^. Vremennick, 8, 1901, p. 516 e sg., e EUen Osnovy vi\. Iskusstwa, p. 198 ; inoltre VArte, 1900, p. 422 ; e Ròmische Quartalsch., 1900, P- 335. (7) La chiesa di S. Aquilino, probabilmente, le perse dopo il disastro del 1575, quando fu tolto anche il rivestimento di marmi tassellati che vide ancora il Sangallo. NOTE DI ARCHEOLOGIA LOMBARDA 25 In quanto al tempo della costruzione dell'edificio di Albenga nulla sappiamo di preciso: il Mella, seguito dal Dartein, lo attribuisce al secolo Vili senza ragioni e senza fondamento, e nulla dicono di sicuro gli storici locali (i) Questi in generale non hanno saputo trarre profitto di un documento notevole che contiene almeno, se non una certezza, un accenno che facilita la soluzione. Un biografo antico di S. Verano, vescovo di Cavaillon, ci racconta come il Santo, andando da Roma nelle Gallie, pervenisse in Milano: « Unde « per singulas civitates evectionibus a sanctis episcopis cum chari- « tate praestitis Mediolanum usque pervenit, ubi cum sancti martyris « Laurentii iestivitate tenetur , inibi enim Galla Placidia uxor « quodam Zenonis {uno Constantii) imperatoris in honore eiusdem u martyris domum mirificam construxit, quae sua pulchritudine « universa pene aedificia superet Italiae Deinde, petente « sanctissimo viro Honorato ipsius civitatis episcopo, ad civitatem « cui nomen est Albingano profectus accessit; . . . .» (2). Da questo passo risulta un'altra prova della tradizione che attribuisce la cappella di S. Genesio all'opera di Galla Placidia, non solo, ma se ancora osserviamo che tale edificio è identico al battistero di Albenga, possiamo legittimamente supporre che la missione del Santo abbia servito anche a trasportare in Liguria un tipo architettonico che egli molto aveva ammirato a Milano. Notiamo che il suo soggiorno in questa città fu probabilmente anteriore al 569, data che bene s'accorda con lo stile del monumento ligure. E in questo tempo i rapporti dei liguri con personaggi che ben conoscevano i monumenti di Milano dovevano essere facili, giacche proprio allora l'ar- civescovo di Milano Onorato con tutta la sua corte aveva dovuto fuggire da Milano a Genova innanzi all' invasione longobarda (3). I rapporti diretti fra la cappella di S. Genesio ed il battistero di Albenga mi sembrano, per tutti questi fatti, indiscutibili. II sesto edificio di cui ci dovremmo ora occupare, è il battili) Anche il migliore fra tutti, G. Rossi, Storia della città e diocesi di Albenga, Albenga, jSyo. (2) Vita Sancti Ver ani, in Acta SS. 19. ott. (voi. Vili, ottobre), p. 468, nn. 12-13. (3) Cfr. Paolo Diacono, Hist. Langobard., lib. II, § 25, in M. G. H., SS. rerum langohardic. et italic, p. 86 : Acta Sanctorum, De S Honorato, to II, febbraio, p. 167, § 25. 26 UGO MONNERET DE VILLARD Stero di Novara (i). Anche questo è perfettamente simile al Santo Aquilino : come il battistero di Albenga conserva le sue otto colonne agli angoli all'ottagono interno ; disposizione simile a quella del mausoleo di Diocleziono a Spalato. Per renderci conto del tempo di costruzione dell'edificio novarese dobbiamo riassumere i dati fondamentali della storia dell'architettura religiosa in Novara nei primi secoli cristiani. La più antica chiesa, di cui abbiamo notizia in questa città, è la chiesa di S. Maria dove fu sepolto il vescovo Gaudenzio (2), che aveva accompagnato Eusebio nel suo esilio in Oriente, il quale l'aveva fondata, ma non la potè terminare e quindi avervi sepoltura. Il successore di Gaudenzio, Agabio, fu sepolto in una nuova chiesa che da lui prese il nome. Vittore, sesto vescovo, trasformò un tempio pagano nella chiesa di S. Pietro e Paolo (3). Le due chiese di S. Maria e di S. Gaudenzio preesistevano ad Agabio : quale delle due fosse la primitiva cattedrale fu questione a lungo dibattuta sino allo scorcio del secolo XVllI, sostenendo ultimo le ragioni di S. Gaudenzio, Gaudenziano Giammaria Francia (4), e quelle di S. Maria, Francesco Gemelli (5). E' nella costante tradizione novarese che la chiesa di S. Maria fosse in origine il tempio di Giove Giunone e Minervi, trasformato da S. Gaudenzio in chiesa cristiana (6). Certo è che fu fondata sugli avanzi di un preesistente edificio imperiale, come testificano (i) Per il rilievo planimetrico dell'edificio, cfr. la tav. XIV dell'opera dell'OsTEN, Die Bauwerke in der Lombardei von 7 bis ^mn 14 Jahrhundert. (2) Per la storia ecclesiastica della diocesi di Novara si veda Bescapé, Novaria seu de ecclesia Novariensi, 161 2, di cui esiste atKhe una traduzione italiana (G. Ravizza, Novara Sacra, Novara, 1878) e l'opera del Savio, /z;^^co'y/ ^/'//a/w, Piemonte, p. 240 e sg. Per S. Gaudenzio, cfr. la vita, composta verso l'anno 700, in Acta SS., 22 gennaio, to. II, gennaio, pp. 418-421. Di nessun valore F. BaGLiOTTi, Della vita di S. Gaudeniio, Venezia, 1674, e Gallizia, Atti dei Santi che fiorirono nei domini della casa di Savoia, JJ^^'- meglio Lizier, in Bollettino Storico per la provincia di Novara, 19 io, fase, settembre-ottobre. (3) Alla inaugurazione della chiesa intervenne anche Lorenzo, arcivescovo di Milano. Cfr. Ennodio, op. cit., n. XCVIII, pp. 121-122. (4) De Novariensi S. Gaudentii ecclesia quae optimo iure insignis esse de- monstratur, Novara, 1790. (5) Dell'unica e costantemente unica chiesa cattedrale di Novara riconosciuta nel suo Duomo, Novara, 1798. (6) Rusconi, Le origini novaresi, parte II, p. 183. NOTE DI ARCHEOLOGIA LOMBARDA 27 le scoperte fatte durante la demolizione del 1861 : il pavimento a musaico (i) ed il cippo di L. Valerio Augustale (2). Questo fu trovato semplicemente rovesciato, presso una soglia di porta ancora in posto, alla stessa quota del pavimento in musaico (3). Forse nel posto di S. Maria sorgeva quella basilica novarese, di cui parla Svetonio discorrendo di Caio Albuzio Silone edile, edifizio che andò probabilmente distrutto verso il 387, all'età di Massimino. Ora il piano romano del pavimento e della soglia di porta è a circa due metri sotto il piano del pavimento del battistero : il che prova una distanza cronologica di non poco tempo fra i due strati archeologici. 11 battistero fronteggia il Duomo, ed è unito a questo da un atrio quasi quadrato circondato da portici : disposizione questa di alta antichità. Del battistero però non si hanno memorie antiche, anteriori almeno al secolo VI, epoca in cui furono redatti, secondo il Bianchini, i due rituali dell'archivio Capitolare « Officium bap- « tizandi » e « De baptismi officio w. Il Bescapè lo dice « contra « ianuam Ecclesiae primariam Baptisterium amplum, templi ro- « tundi forma; ubi nunc quoque ex universa civitate et suburbis « infantes baptizantur ». Il dotto vescovo ne riporta la costruzione all'epoca in cui fu eretta la primitiva basilica, cioè al secolo V (4), opinione che fu anche quella del Racca {5) contro coloro (6) che lo ritennero n.enumento romano, cioè il sepolcro di una Umbrena (1) A. Rusconi, Musaico antico delia cattedrale di Novara, Novara, 1882. (2) A. Rusconi, // cippo di L. Valerio Augustale scoperto sotto il T>uomo di Novara, Novara, 1884. Cfr. C. 1. L., Suppl. Ital, n. 885. (3) La demolizione del Duomo condusse anche alla scoperta dell'iscrizione: SCI IVLII AVLAM RVTILAT MAGNOPERE Q.VAM MARMORE ORNA BIT BEATVS G FECIT IN TEMPORE (cfr. RUSCONI, Le origini ecc. cit., p. 185), che fece pensare essere stato il primitivo Duomo dedicato a S. Giulio: l'iscrizione si riferisce soltanto alla cappella di S. Giulio nel Duomo stesso. (4) Novara Sacra, ediz. Ravizza, p. 43, n. 20. (5) Del Duomo e del battistero di Novara Novara, 1837, ^ ^ marmi scritti nel Museo di Novara, Novara, 1872. (6) Principalmente C. F. Frascone, Memorie novaresi, mss. ; Bianchini, Le cose pili notevoli della città di Novara, Novara, 1828 ; e // Duomo e le scolture del corpo di Guardia di 'K.ovara, Novara, 1836; Albetti, Del luogo di amministrare il battesimo e specialmente dell'insigne battistero della città di Tsiovara, Vercelli, 1874-1876 ; Morbio, Storia dei municipi italiani, Milano, 1841, voi. II, p. 21, voi. V, p. 12; Casalis, Dizionario, XII, p. 149. UGO MONNERET DE VILLARD Polla; e ciò in base alT iscrizione che sta sull'antico fonte batte- simale (i). E* questo un pozzale rotondo, alto metri 1.21 e del diametro di metri i.ii, di forma leggermente ettagona all' interno, scompar- tito da lesene, con i riquadri intermedi decorati da un rilievo a transenna. Su una faccia sta i' iscrizione (2) : VMBRENAE A . F . POLLAE DOXA . LIB T . F . I La lettura dell'ultima linea deve essere correttamente « testaM mento fieri iussit » e non come volle il Racca « totis fecit imK pensit », ma anche così letta non è lecito allargare l'attribuzione ad Umbrena Polla, oltre il puteale, a tutto l'edificio. Ben giusta- mente il Mabillon (3) ritenne opera pagana il solo vaso ottagonale vaso che i primitivi cristiani hanno usato per il rito battesimale senza preoccuparsi né tanto né poco dell'iscrizione che esso re- cava. La costruzione del battistero è poi così strettamente legata con l'atrio e la basilica da non potere ammettere se non un'unità di costruzione originaria : perciò essa deve avere avuto luogo o air inizio del V secolo quando Gaudenzio sedeva sul trono vescovile di Novara o ai tempi del vescovo Leone (secolo Vili) quando la cattedrale fu rifatta una prima volta. Porta anche sicure tracce di successivi restauri, attribuibili in parte all'epoca della seconda ricostruzione del Duomo, nel secolo XII. Ora nulla di più facile che come 1' amico di Gaudenzio, Ambrogio, aveva costruito un battistero ottagono a Milano, uno simile ne costruisse il vescovo di Novara : se è esatta l'indicazione data dal Rusconi (4), e non vi è ragione da dubitarne, che l'antica vòlta del battistero è tutta costruita con tubi a mò delle costruzioni ravennate e lombarde del secolo V^, si trasmuta, con questa prova archeologica, in certezza 1' ipotesi innanzi avanzata di attribuire a Gaudenzio la costruzione del battistero. (i) Descritto da F. Giolli, // battistero di Novara, in Rassegna d'Arte, 1908. (2) C. /. L., V, n. 6539. (3) Muscum ItaL, voi. J, parte 1, p. 10. (4) Le origini, ecc. cit., parte II, p. 190. NOTE DI ARCHEOLOGIA LOMBARDA 29 Come prima conclusione di queste ricerche possiamo ritenere che dal prototipo, il mausoleo di Diocleziano a Spalato, attraverso la sua prima riproduzione, la chiesa di S. Gregorio presso S. Vittore al Corpo in Milano, siano derivati vari monumenti lombardi che ne ripetono il tipo fra il secolo IV ed il VI : le due cappelle di S. Sisto e di S. Genesio a S. Lorenzo in Milano, i battisteri di Albenga, di Novara, di Milano e di Brescia. E' interessante notare come questi edifici sorgessero tutti in regioni anticamente poste nella giurisdizione ecclesiastica di Milano: sempre meglio ci appare la metropoli lombarda come centro irradiante di forme architettoniche nei primi secoli cristiani. 11 tipo si è in quell'epoca e nelle successive diffuso per tutta la Lombardia e per il Piemonte. Così nel Canavese abbiamo un rozzo battistero di tale forma a S. Lorenzo in Castello di Settimo Vittone : ivi le nicchie interne sono tutte rettangolari e la vòlta è ottagono a spicchi. L'abside rettangolare è una costruzione tutto affatto moderna. Sulla porta è l' iscrizione : hic heata ensgarda GALLIAE REGINA CVI CONDITA AN. SALVTIS 889, falsificazioue di epOCa ben posteriore alla tumulazione della regina sposa ripudiata da Ludovico il Balbo. La costruzione fu attribuita dal Boggio (i) ai primi secoli cristriani : l'esecuzione assai rozza non presenta alcun indice cronologico sicuro, ma assai probabilmente l'edificio non ri- sale innanzi il secolo Vili. Nella provincia di Novara un altro edificio presenta una planimetria che non è se non una derivazione semplificata di quella di cui stiamo occupandoci : è il battistero di Agrate Conturbia (2). Esso presenta all' esterno un perimetro ottagono con gli angoli segnati da lesene leggermente aggettanti, ed i lati curvi gli danno l'aspetto generale di una rotonda irregolare. All'interno le nicchie si sono atrofizzate in semplici ribassature delle pareti fra le lesene cJ^ reggono gli archi su cui poggia il piano superióre. L'edificio presenta le caratteristiche dello stile lombardo del secolo XI, ma il Mella (3), che per il primo lo ha studiato, ha rilevato un fatto (1) C. Boccio, Le prime chiese cristiane nel Canavese^ in Atti della Società di Archeologia e Belle Arti per la provincia di Torino, voi. V, 1887, pp. 71-73. (2) Battisteri di Agrate Conturbia e Albenga, in Atti della Soc. Arch., ecc. cit., voi. Ili, fase. I. Cfr. inoltre De Dartein, op. cit., pp. 401-403. (3) Op. e loc. cit. 30 UGO MONNERKT DE VILLARD assai importante. La base dell'edificio per un'altezza da trenta a cinquanta centimetri presenta un modo di costruzione tutto affatto wm^^m^ Battistero di Settimo Vittone. diverso da quello del rimanente. Mentre la parte superiore è in pietra accuratamente squadrata, la base è costruita con una mu- NOTE DI ARCHEOLOGIA LOMBARDA 3! ratura grossolana di pietrame rozzo che non caratterizza l'epoca romana, come vorrebbe il Mella, bensì i secoli bassi anteriori al Mille. Questo fatto ci dimostra sicuramente che il battistero di Agrate Conturbia è una costruzione lombarda rifatta nel luogo e sulle fondazioni di un ben più antico edificio, fondazioni che sarebbero state utilizzate senza modificazioni. L'edificio rientra quindi, cronologicamente, nella serie di cui stiamo occupandoci. Della fortuna del tipo di edifizio dalmata anche nei bassi secoli in Lombardia è una prova il battistero di Arsago. E' questa una costruzione concepita con molta grandiosità, ma di esecuzione assai difettosa : il tracciato è irregolarissimo, le nicchie quadrate si deformano sino ad offrire l'aspetto di un trapezio, l'esecuzione delle murature è assai povera (i). Ma quello che a noi qui conta e la permanenza del tipo inalterato che per la prima volta si rivela a Milano nel mausoleo che fu poi la chiesa di S. Gregorio a S. Vittore al Corpo (2) e che persiste, attraverso a tanti esempi, per sette secoli, sino ad offrirci ad Arsago, in piena epoca romanica (3), la sua ultima apparizione. V. Prima di procedere allo studio delle varianti subite dal tipo fondamentale debbo osservare un fatto notevole. Le regioni limitrofe alla Dalmazia e la Dalmazia stessa presentano una serie abbastanza numerosa ed interessante di battisteri costruiti nei primi secoli cristiani, alcuni dei quali, quello di Salona ad esempio, antichissimi. Ora gli architetti di queste regioni, che pure dovevano conoscere (i) Vedine la descrizione in De Dartein, op. cit., pp. 395-598. (2) Noto che anche la chiesa di Arsago è dedicata a S. Vittore, e che il battistero si trova dinanzi alla facciata, nella stessa posizione in cui stava l'edicola di S. Gregorio rispetto all'antica basilica di S. Vittore al Corpo in Milano. (3) Si dovrebbe tenere conto anche dell'antico battistero di Como, S. Giovanni in Atrio, che offre questa planimetria; ma il monumento è oggi in tale stato, riempito da magazzeni ed abitazioni, che lo studio è assai difficile. Segnalo ad ogni modo questo monumento agli studiosi, perchè è assai importante, potendosene forse fare risalire la costruzione, se alcuni indizi non tradiscono, ai secoli X-Xl. Certo vi fu un rimpiego di materiale romano e l'esistenza di sotterranei fanno sospettare che tutta la parte bassa sia opera dell'epoca imperiale. 32 UGO MONNERET DE VILLARD il mausoleo di Spalato, non hanno mai pensato di prenderlo quale esempio delle loro costruzioni, ed hanno costruito i battisteri della Venezia Giulia o dell' Istria su piani poligonali è vero, ma senza che questi avessero alcun rapporto specifico con la costruzione dio- clezianea. Ho già accennato ai battisteri di Grado, di Aquileia e di Parenzo che hanno una forma tutto affatto speciale : ne ricorderò ora alcuni altri per provare il fatto suesposto. L'antichissimo battistero di Salona (i) è ottagono esternamente e circolare all'interno con quattro nicchie semicircolari ma poco profonde salvo una. Il battistero di Zara (2) è esagono esternamente e rotondo all' interno,. con sei profonde nicchie semicircolari: il suo tipo meglio si può avvicinare a quello delle rotonde romane circondate da una serie continua di nicchioni, tipo che studieremo in seguito e di cui abbiamo due completi e i interessanti esempi in Dalmazia nella chiesa di S. Orsola in Zara stessa ed in quella di S. Trinità nell'agro salonitano. 11 battistero di Rovigno (3) offre una planimetria particolare : esternamente ha sette lati e all' interno è rotondo con otto nicchie assai irregolari, di forme e di grandezze diverse. II battistero di Pirano (4) è un ottagono con una rotonda interna ed otto nicchie poco profonde rettangolari. Tutto ciò prova una cosa interessante rispetto al nostro studio: che gli edifici lombardi, quali quelli di Albenga o di Novara ad esempio, non furono imitati direttamente dal mausoleo di Spalato, perchè a più forte ragione, se anche trascuriamo la difficoltà per i costrut- (i) Il lavoro fondamentale su tale monumento è la relazione pubblicata nell'a, 1902 del Bullettino di archeologia e storia Dalmata e tav. VI: cfr. anche a. 1903, p. 337 tav. VI e a. 1904, tav. V e VI. (2) Cfr. il mio lavoro : L'architettura romanica in Dalmazia, p. 12 e tìg. Quadrate con quattro nicchie semicircolari all' interno sono le due camere a fianco dell'abside di S. Maria del Canneto presso Fola, secondo la planimetria data dal Kandler. In Istria ancora il battistero di S. Pietro di Sorna è un ottagono semplice a nicchia. (3) Kanlder, V Istria, voi. 1, p. 52. (4) Kandler, op. cit., voi. 1, p. 42 ; Caprin, Istria Nobilissima, I, p. 58^ nota I ; Sticotti, in Atti e Memorie della Società Istriana di archeologia e storia patria, voi. XXIV. Probabilmente il battistero è una ricostruzione su planimetria antica. NOTE DI ARCHEOLOGIA LOMBARDA 33 tori della valle padana di conoscere quel lontano monumento, esso avrebbe dovuto servire a miglior ragione da esempio agli architetti delle regioni vicine. Le costruzioni lombarde identiche all'edificio di Spalato debbono essere la copia di una costruzione alla sua volta identica al mausoleo di Diocleziano. Cioè si stabilisce l'identità fra la chiesa milanese di S. Gregorio, che non conosciamo se non imperfettamente attraverso i rilievi citati e quando già aveva perdute molto delle sue caratteristiche (come le colonne agli angoli interni dell'ottagono) col mausoleo di Diocleziano a Spalato. VI. Esaminata così la diffusione del tipo ottagonale a nicchie nell'architettura dell'alto medio evo, dobbiamo, f)er completare lo studio^ Pianta del Battistero di Riva S. Vitale accennarne le principali trasformazioni. La prima e più semplice ha consistito nella sostituzione del tracciato ottagono esterno con un tracciato quadarato. Un esempio ci è offerto dal battistero di Riva San Vitale sul lago di Lugano. Arch. Stor. Lomò., Anno XLI, Fase. I-fl. 3 34 UGO MONNERET DE VILLARD Esso fu ritenuto opera dei primi secoli cristiani dal Lavizzari (i) per il primo, e poi da quanti studiosi a lui attinsero (2). Per il primo lo Stuckelberg lo dichiarò costruzione di epoca romanica, del secolo X o dell' XI (3) : ma anche questo studioso dando solo un giudizio globale, non tiene conto della storia del monumento e delle probabili successive epoche di costruzione. Bisogna per il muramento di Riva, distinguere varie parti : una più antica, che è il tracciato planimetrico ; in seguito la costruzione fuori terra del corpo dell'edifìcio, ed infine l'abside. Riva S. Vitale, era centro di popolazione sino dai tempi romani : è naturale divenisse ben presto sede di una comunità cristiana, che ebbe ad elevare la chiesa con l'attiguo battistero (4). La costruzione quale oggi si presenta è certamente del secolo XI: l'abside è forse di poco posteriore. La forma del tracciato è simile a quella del battistero giustinianeo di S. Sofia a Costantinopoli (5), o di quello del gruppo monumentale siriaco di Kalat-Seman (6) : quest'ultimo ha anche rispetto alla chiesa vicina la medesima posizione che ha il battistero di Riva S. Vitale rispetto alla chiesa di S. Vitale. Il medesimo tracciato quadrato esternamente ed ottagono internamente lo abbiamo già trovato in due costruzioni mesopotamiche di Mar Gabriel nel Tur Abdin (7), nella vasca battesimale di Der el Megma (8), e nel battistero di S. Mena (9) in Egitto; ad Esra e Bosra si complica con un colonnato interno, sviluppando così un superiore concetto architettonico. (i) Escursioni nel Canton Ticino, voi. I, p. 117. (2) KhHìij in An^eiger fùr Schweiierisches. Alter thumskunde, 1882, p. 231, e tav. XVIII ; e in Monumenti artistici del medio evo nel Canton TiVino, Bellinzona, 1894, p. 261 ; Baragiola, Il battistero di Riva S. Vitale, in Rivista archeologica lombarda, II, fase. II-IV ; S. Monti, in note al Ning^iarda, II, p. 323. (3) Das baptisterium von R. San V., in Zeitsch. fùr Schweiier. Kirchenge^ schichìe, 1909, fase. IV. (4) Una più ampia descrizione ne diede nel Bollettino storico della Svinerà Italiana, 19 11, nn. 7-1 1. (5) HoLTZiNGER, Die Aìtchristl. Arch., p. 215, fìg. 144. (6) De VogÌjé, Syrie Centrale, pp. 141-155 e tav. 139-150. (7) Strzygowski, v4tMi^fl, pp. 235-236. (8) SoMERS Clarke, Christ. antiq. of the Nile Valley, p. 158. (9) Kaufmann, Zweiter Berichte, Cairo, 1907, p. 24. NOTE DI ARCHEOLOGIA LOMBARDA 35 I romanisti osserveranno che tale forma, meglio che il tracciato ottagono esterno, si ricongiunge con gli esempi delle sale termali romane : aggiungerò che la stessa fórma si trova anche in un calidario di Val Catena in Istria, nel così detto tempio di Venere a Pozzuoli (i), in un edifizio rilevato dal Bramantino (2), e meglio che in ogni altro nel così detto Tempio di Siepe (3) a Roma, per non citare se non alcuni esempi. Ma negli edifizi roBasilica e battistero di Kalat-Seman. 90 IO KALAT SLMAN mani abbiamo sempre il tracciato rotondo interno per semplificare r impostazione della cupola, e non poche particolari differenze formali. Il tipo ad ogni modo nell'arte cristiana mostra i suoi primi esempi in Oriente, ed è di là che venne a noi. L'esempio di Riva S. Vitale non è unico : un simile tracciato, (1) Sangallo, Cod. Vat. Barber., fol. 7 r. ; taccuino Senese, fol. 26; Paoli, Antichità di Ponuoli^ LII-LIII ; Dubois, PohuoU Antiq., p. 408 e sg., fig. 56. (2) Tav. XV. Cfr. anche l'edifizio di Roccabruna presso villa Adriana a Tivoli, ed un edificio di Elide in Jahresh.d. òsterr. arch. Inst., 1911^ Beiblatt, p. 8. (3) La planimetria ne è quella riportata dal disegno degli Uffici n. 2976 e Windsor n. 121 38; è noto il disegno della cupola festonata dato da A. Gio- vandoli, op. cit., tav. 39. 36 UGO MONNERET DE VILLARD non completo però, lo troviamo in due edifizi ben noti, il battistero di Torcello (i) e quello di Aquileia (2). Un tipo completo ci si offre invece a Baveno sul lago Maggiore : quivi abbiamo un tracciato quadrato esterno ed uno ottagono con nicchie interno, mancando però la protonda abside che abbiamo vista unita al battistero di Riva S. Vitale. La costruzione quale oggi la vediamo è di epoca ben recente : il primitivo tracciato deve appartenere all'epoca della costruzione della chiesa che oftVe le forme caratteristiche del secolo XII. Baveno doveva essere centro di vita abbastanza importante già sino dall'epoca romana, ed il battistero era già ritenuto antico sino dall'epoca del Be- scapè (3). Un tipo analogo ci è presentato dal battistero di Cureggio pure in provincia di Novara, centro importantissimo già all'epoca romana (4). Della storia del battistero nulla sappiamo perchè il più antico documento riguardante la pieve risale al 1133, ed è una lettera di papa Innocenzo II al vescovo di Novara Latifredo (5) : il Bescapè lo dice « templum baptisterii antiqua forma » (6) ed il De Vit (7) lo attribuisce ai secoli VIII-IX. VII. La seconda trasformazione importante che ebbe a subire l'otagono a nicchie ha consistito nella trasformazione del recinto esterno che si semplificò in modo da costituire una linea parallela (i) Cattaneo, op. cit., p. 262. (2) Heider, Mittdalter. Kunstdenkmàl. des òster. Kaiser siaates, 1858, to. I; LùBKE, Der Dotn voti Aquileia, in Mitth. d. k. k. Centralkomtn, 1884, oltre la monumsntale opera del Lanchorowski. (3) Op. cit., p. 150; ediz. Ravizza, p. 160. Cfr. inoltre, Casalis, Diiionatio, II, p. 195 ; Boniforti, Le Isole Borrotneo, Slresa, Baveno e il Motterone^ Milano, 1887, p. 37. Il De Vit ritiene che in Baveno fosse diffuso il culto ariano, perchè una frazione del paese ancora ritiene il nome di « Strada degli Ariani » : cfr. // lago Maggior e, I, p. 143. (4) Cfr. C. I. L., to. V, nn. 660$, 6606-6612; e G. Merula, Cot«w^«/ari, lib. III-IV. (5) Bescapè, op. cit, pp. 35 5-558; Ravizza, op. cit., p. 323. (6) Bescapè, op. cit., p. 116; Ravizza, op. cit., p. 137. (7) Memorie storiche di Borgotnanero, Milano, 1880, p. 7. NOTE DI ARCHEOLOGIA LOMBARDA 37 a quella del recinto interno, riducendo con ciò il muro ad essere di ^'spessore uniforme, ed in una maggiore profondità; delle nicchie rettangolari, il che dà all'edificio un aspetto cru- ciforme. Un interessante esempio si ha nel Piemonte, alla chiesa di San Ponzo Canavese. La costruzione è piuttosto grossolana e il tracciato dell'edificio piuttosto irregolare. I paramenti delle murature sono esternamente decorati da lesene collegate da archetti : sull' ottagono centrale insiste una cupola sormantata da una piccola torre campanaria. La rozzezza della costruzione non ci offie alcun indizio sicuro per precisarne l'epoca : gli archetti pensili con lesene si presentano simili a quelli che ornano il fianco della chiesa di S. Pietro in Sylvis a Bagnocavallo, opera del secolo VI : e questo sarebbe un indizio per fissare in quel torno di tempo la costruzione dell'edificio piemontese. Ma tale motivo persiste per troppi secoli nell'architettura lombarda, perchèesso sia seuffiiciente a classificare cronologicamente un monumento. Probabilmente la chiesa 0 5 Chiesa di S. Ponzo Canavese. 38 UGO MONNERET DE VILLARD di Ponzo, quale oggi la vediamo, risulta da un rimaneggiamento e da un rifacimento d'altro edifizio anteriore di cui ha conservata intatta la forma planimetrica. E ne è questa la particolarità più spiccata, quella che più ci interessa e su cui vogliamo meglio fissare l'attenzione. La particolare planimetria che afifetta la costruzione di San Ponzo Canavese appartiene ad un'epoca dell'architettura cristiana : essa speciale si rivela in Oriente fra il secolo IV ed il VI, usata specialmente nella costruzione dei martyria. L'esempio il più celebre è quello che ci viene descritto in una Ottagono di Gregorio da Nyssa. lettera di Gregorio da Nyssa (379-394) al vescovo Anfilochio di Iconio (i). E' a notarsi che Gregorio dice tale forma assai comune (i) Gregorii Nyss. Epistolae septem .... ex versione et cum notis Jo. Bapt. Caraccioli, Firenze, 1731, p. 73, dal testo Laurenz. 86, 15, fol. 245 V.-245 r. (Gir. Bandini, Calai, III, p. 537; Migne, Patr. Gr,, XLVI, col. 1093 e sg.). Per il commentario e la ricostruzione dell'edificio, cfr. Strzygowski, Kleinasien^ pp. 71-90, e A. BiRNBAUM, in Rep. fùr Kunstwissensch., 1915, fase. 4-5. NOTE DI ARCHEOLOGIA LOMBARDA 39 nel SUO paese, ai suoi tempi. Di tutti questi monumenti ben poco si è salvato attraverso ai secoli: due esempi però ancora oggi sussistono. Il primo è un ottagono cruciforme che fu rilevato, già in istato di deperimento, dal Crowfoots a Binbirkilisse (i) e che si presentava completo quando lo disegnava, nel 1826, Leon de Laborde (2). In tale riproduzione la somiglianza con l'edificio piemontese si rivela ancora più con- vincente. Un tracciato plani- metrico identico nelle sue linee di massima si mostra anche nella chiesa del convento di S. Simeone Stilita a Kalat-Seman presso Antiochia (3), trattato però qui con una ampiezza degna del maestoso edifizio, con le braccia espanse della croce for- mate da basiliche a tre navate e con un deambulatorio attorno all'ottagono. Ma il principio fondamentale è ancora quello dell'ottagono di Gregorio da Nyssa. Anche per la forma planimetrica di cui stiamo discorrendo si sono voluti trovare i prototipi romani, e si è richiamato l'esempio di una sala della Domus Augustana sul Palatino (4). Meglio sarebbe stato il richiamarsi a quell'edificio termale di Baia che fu rilevato dal Paoli (5), o a quel così detto « Istudio di Marcho Varrone a Ottagono cruciforme di Binbirkilisse. (i) Strzygowski, op. e loc. cit. ; Ramsay and Bell, Th^ thousand and one churches, p. 99, fìg, 55. (2) Voyage de l'Asie Mineure, I, fig. 140, tav. LXVII. (5) De Vogué, Syrie Centrale^ principal.; e Butler, Architect.,pp. 184-190. (4) Cfr. la planimetria, in Rivoira, op, cit, p. 32. (5) Avanci antichi, tav. LIV. 40 UGO MONNERET DE VILLARD « Sant Germano » presso Cassino che rilevò Giuliano da Sangallo (i), e al vestibolo della piazza d* Oro alla villa Adriana a Tivoli. Se anche nuovi esempi si portassero, e quelli che cito ai romanisti sono abbastanza importanti, il nucleo della questione sarebbe altrove : cioè in Oriente solo siamo certi che nelle origini cristiane tale tipo di edifìcio è stato usato quale chiesa. Da dove può dunque essere venuto il modello di S. Ponzo Canavese se non dall'Oriente? Anche ammessa la ricostruzione dell'edificio verso il Mille, questa non può essere stata fatta se non su fondazioni più antiche, giacché tale forma non è comune, anzi quasi unica, nella architettura lombarda. Per spiegarla si deve ammettere un edifizio del secolo V-Vl, rovinato durante le incursioni barbariche, e poi ricostruito sulle antiche basi. L'edificio di S. Ponzo è dunque un altro anello alla catena delle inflenze orientali nella valle del Po. Ma quale è stato il tramite per cui tipo dell'edificio orientale è giunto nella valle Alpina? La storia ecclesiastica piemontese se pure non ci dà la soluzione del problema, nonpertanto ci offre un indizio assai notevole. Noi sappiamo che sul trono vescovile di Vercelli sedeva nella seconda metà del secolo IV, S. Eusebio : da lui dipendevano anche quelle regioni che poi formarono la diocesi d' Ivrea, ove è oggi S. Ponzo, come lo prova una lettera di S. Eusebio stesso ai suoi diocesani, anche a quelli d' Ivrea, senza che per questo egli ac- cenni a un loro vescovo, il che non avrebbe mancato di fare se essi veramente uno speciale vescovo avessero avuto (2). Ora tale lettera fu scritta durante l'esilio di Eusebio (356-361) a Scitopoli in Palestina, ove lo visitò S. Gaudenzio vescovo di Novara. Andò poi Eusebio in Cappadocia e nell'anno 362 era ad Antiochia ; poi fu in Egitto per ritornare indi in patria (3). La lettera di Gregorio da Nyssa fu scritta ad Anfilochio di (i) Vedilo nel cod. Vat. Barber., fol. 8 r.; cfr. i disegni degli Uffizi, n. 2045, 4850, 327 V., 522, 664; cod. Escurialense, fol, 72; tace. Corner, fol. 19; cod. museo Wìcar di Lilla, n. 837 ; cod. Magliabecchiano, fol. 58. (2) La lettera è in B. Mombrizio, Sanciuarium, Milano, 1478; cfr. Cazzerà, Iscrizioni cristiane del Piemonte, p. 210; Savio, Gli antichi vescovi d'Italia, Pie- monte, p. 2. (5) Savio, op. cit., p. 416. NOTE DI ARCHEOLOGIA LOMBARDA 41 Iconio fra gli anni 379 e 394, e parla di molti edifici esistenti simili all'ottagono cruciforme che egli descrive lungamente: forse sono questi edifici che Eusebio di Vercelli ha visto ed ammirato sì da non dimenticarne il tipo anche dopo il ritorno in Italia. E probabilmente allora, per sua inspirazione, ne sorse uno analogo, da cui derivò la costruzione di S. Ponzo. A complemento di queste notizie dobbiamo ancora ricordare che due vescovi d'Aosta, Eutasio (verso il 451) e Grato (verso il Battistero di Chieri. 470) erano d'origine greca (i), e che nel secolo IV i rapporti fra la Palestina ed il Piemonte erano abbastanza frequenti, come prova la traslazione delle reUquie di S. Giovanni Battista da Gerusalemme in Moriana (2). Ho detto quasi unica la forma dell'edificio di S. Ponzo : un altro però presenta la stessa planimetria ed è il battistero di Chieri. Una chiesa in Chieri probabilmente esisteva sino dal secolo V, (i) Savio, op. cit., p. 75. (2) R. DE NosTiTZ, in Historiches Jahrbuch, 189I, voi. XII, p. 763. 42 UGO MONNERET DE VILLARD giacché a quel tempo rimontano le memorie cristiane della città, come testifica l' iscrizione trovata durante il rifacimento della facciata del Duomo nell'anno 1875, che risale al consolato di Dinamio e Sifidio cioè all'anno 488, in commemorazione di certa Genesia (i). A fianco dell'attuale Duomo sorge il battistero il quale ha, platinimetricamente, una grandissima somiglianza con la chiesa di San Ponzo Canavese e quasi una identità con la chiesa descritta da Gregorio da Nyssa. 11 battistero di Chieri, quale oggi si presenta, offre le forme architettoniche del tardo gotico piemontese : ma come la chiesa a cui esso è unito, è stato probabilmente varie volte ricostruito. Attraverso quali trasformazioni si è mantenuta una planimetria del secolo V ? La risposta ad una domanda per noi tanto importante non è possibile, giacche manchiamo assolutamente di notizie riferentisi a quei secoli. La più antica memoria che noi abbiamo risale solo al 1274 e si riferisce ad una adunanza tenuta in esso dalla Maggior Credenza di Chieri. Quello che osserviamo per il battistero di Chieri, come già abbiamo fatto per la chiesa di S. Ponzo Canavese, è che tale forma non appartiene in proprio al patrimonio dell'architettura italiana dell'epoca romanica ne della gotica : il che ci fa ritenere per certo che tali edifizi siano ricostruzioni su un tracciato ben più antico. Vili. L'ultima trasformazione infine che ebbe a subire il tipo che stiamo studiando è quello della costruzione di un colonnato interno di otto colonne o pilastri corrispondenti agli otto angoli dell'ottagono. L'aggiunta rivela uno spirito speciale della concezione architettonica, giacché è uno svolgimento, una complicazione non necessaria alla statica dell'edificio. Infatti, nel tipo fondamentale, la cupola centrale trova già la reazione necessaria a contrastare la sua spinta nelle grossissime murature perimetrali, appena allegge- rite da nicchie : con la trasformazione a cui stiamo accennando si (i) A. Bosio, Memorie storico-religiose e di belle arti del Duomo e delle altre chiese di Chieri, Torino, 1878, p. 25 e sg. NOTE DI ARCHEOLOGIA LOMBARDA 43 crea alla spinta della cupola centrale la resistenza della vòlta anulare che copre la parte compresa fra il colonnato ed i muri esterni. La piccola spinta al di fuori di questa vòlta non richiede per essere eliminata se non di un muro di spessore normale e non il massiccio che presenta questo tipo. Queste considerazioni di ordine costruttivo ci fanno comprendere che quest'ultima trasformazione del tipo del mausoleo di Spalato non è che un compromesso, anzi quasi un'ibrida unione di due concetti statici distinti, giustapposti l'uno all'altro. 11 primo appartiene alla tra- dizione che usa contrastare la spinta delle vòlte con massicci di muratura, ed è la tradizione prettamente romana: il secondo rivela quella scuola che usa stabilire un sistema di vòlte che riducono man mano le spinte dall' interno all'esterno dell'edificio in modo che l'ultimo elemento resistente non è se non un muro comune: questa è la caratteristica dell'architettura cristiana d'Oriente. E' naturale quindi che l'unione dei due tipi si riveli in monumenti orientali, ed infatti i due esempi più cospicui sono le due costruzioni di Ezra e di Bosra, già citate. Esse sono quasi contemporanee come ci provano le iscrizioni : la chiesa di S. Sergio Bacco e Leonzio di Bosra nella provincia d'Arabia, fu terminata sotto il vescovo Giuliano nell'anno 407 dell'era di Bosra (i), cioè nel 511-512 dopo Cristo; e il battistero di S. Giorgio d'Ezra fu finito di far costruire dal nobile Giovanni figlio di Diomede nella nona indizione dell'anno 410 (era di Bosra) cioè il i.° set- tembre 515. Entrambe le costruzioni hanno un tracciato esterno quadrato ed una profonda abside di contro all' ingresso. Il tracciato interno della chiesa di Bosra è circolare mentre quelto del S. Giorgio di Ezra è ottagono. Questo secondo edifizio è assai Battistero di S. Giorgio d'Ezra. (l) C. /. G., to. IV, n. 8625. 44 UGO MONNERET DE VILLA RD ben conservato, mentre la chiesa di Bosra, per l'ampiezza enorme della sua cupola, è rovinata. Un edificio occidentale ripete, salvo l'abside, la forma della costruzione di Ezra : è il battistero di Riez (i) nella Provenza, attribuito al secolo VII od Vili, e che fu malamente restaurato nel 1818, tanto da ren- derne difficile lo studio. Certo è che ia struttura delle vòlte appartiene al secolo XII. Di un tipo analogo, salvo la man- canza delle nicchie neir ottagono [ in terno è il battistero di Aix in Provenza (2) , in gran parte però ri- costruito nel secolo XVI. Questi due esempi dell' introduzione del tipo di cui stiamo occupandoci non sono unici nella Francia, durante l'epoca merovingica e carolingica, specialmente nelle provincie meridionali. Così sull' isoletta di Lérins sorge la chiesa del S. Salvatore (3), la quale ha appunto il tracciato dell'ottagono tanto esternamente quanto internamente, con otto nicchie semicircolari di cui una più ampia delle altre assume il vero aspetto di un'abside. A fianco della chiesa di Notre-Dame-des-Doms ad Avignone (4), più volte ricoCattedraìe di Bosra. (i) Gir. Isabelle, Les édidces circulaires, pp. 77-78, e tav. XXXII; Texier et PuLLAN, ^Architecture hyxantim^ tav. X ; J. de Lauriére, Lts monuments de Riei^ in BuUetin Monumentai^ 1873, fig. 261-286 ; Enlart, op. cit., 1, pp. I92e|i95. (2) Cfr. la planimetria in Isabelle, op. e loc. cit.; Texier et Pullan, op. cit., tav. XI ; Révoil^ Architecture Romane du midi de la France, Appendice, tav. I, (3) Cfr. la planimetria in Révoil, op. cit., voi. I, tav. I. (4) Cfr. specialmente L. H. Labande, Uéglise Notre-Dame-des-Doms d' Avignone in BuUetin Archéologique, 1906 ; Bibliografia completa in Congrès Archéologique, Avignon, J909, p. 16, voi. I ; planimetria anche in Martin, Arch. Ro- mane en France, voi. I, p. 5, fig. 7. NOTE DI ARCHEOLOGIA LOMBARDA 45 struita, sorge ancora, avanzo forse della costruzione carolingica nella forma planimetrica, un battistero ottagono esternamente ed internamente, con nicchie alternativamente semicircolari e rettangolari e con colonne incastrate negli angoli dell'ottagono. Un trac- ciato molto simile ma più semplice è quello dei battisteri di Fréjus (i), circolare internamente ed ottagonale all'esterno, di Mazan (2) (Ardèche) ; quello di Bapteste (3) (Lot-et-Garonne) è una sala ottagona senza nicchie in un massiccio quadrato esterno ; ottagono con una abside è il battistero di Puy {4) e sono pure ottagoni quelli di Mélas (Ardèche) (5) e di Angers (6). Quello della Major di Marsiglia (7) scoperto alla metà del secolo XIX, era rotondo con quattro nicchie che gli davano internamente l'aspetto di un quadrato irre- golare, e con una doppia fila di colonne reggenti la copertura della parte centrale. Abbiamo visto che il tipo fondamentale quale si rivela a Spalato non è punto diffuso in Oriente : non possiamo perciò pensare che questi edifici francesi, la cui epoca di costruzione assai incerta va dal secolo V all'XI, siano il risultato di quelle influenze orientali che arrivavano direttamente a Marsiglia e che per la via del Rodano penetravano fino nel cuore della Gallia. Per spiegare la presenza nella Francia di questi monumenti che riproducono molto rozzamente il tipo dell'ottagono a nicchie bisogna pensare ad una dipendenza, ad una derivazione dai tipi analoghi dell' Italia settentrionale. E ciò è giustificato anche da tutti i dati storici e liturgici che mostrano gli stretti legami che uniscono le Gallie con Milano nei primi secoli cristiani, a stabilire quasi una supremazia della (i) AuBENAS, Histoire de Frijus^ 1881 ; Barrèmf.^ in Annales de Province, to. II, 1884; Enlart, Manuel^ pp. 195 e 195. (2) Enlart, op. cit., I, pp. 195 e 196. (3) BouROUSSE DE Laffope, in Congrès arch. de France, 1874-1875, to. XLI, pp. 94159, 172-176; Enlart, op. cit., I, pp. 192 e 195. (4) Caumont, in Bulìetìn Montini.^ 1856, p. 457 e sg. ; Emlart, op. cit., I, p. 196. (5) De Saint-Andéol, in Revue de l'art chret., to. VI, p. 169; to. XI, pp. 604-608; Enlart, op. cit., I, p. 196. (6) G. D'Espinay, in BuUetin Monum.^ 1879, pp. 102-106; Enlart, op. cit., I, p.. 125. (7) Feautrier, in Rep. des travaux de la Société Statistìque de MarseilUy 1852, serie III, to. V, p. 33, e Bousquet, in Revue de Marseille, 1859. 46 UGO MONNERET DE VILLARD chiesa ambrosiana. E' inutile insistere su una questione da altri ben studiata e definitivamente risolta (i). I monumenti francesi a cui ho accennato sono il risultato archeologico dell* influenza liturgica lombarda : essi mostrano anche nelle Gallie il diffondersi di quei tipi di battisteri che nella valle del Po avevano ripetuto bene o male il tipo del mausoleo di Diocleziano a Spalato, riproducendolo in un modo identico attraverso Tarchetipo della chiesa di S. Gregorio a Milano, o modificandolo leggermente nelle sue forme esterne e meno importanti. I risultati di questa breve ricerca non sono solo quelli di avere richiamato all'onore che le spetta la dimenticata chiesa di S. Gre- gorio a Milano, non solo hanno potuto identificare una famiglia di monumenti aventi stretti rapporti fra di loro, ma hanno anche fissato una volta di più se era necessario, l' itinerario di una di quelle grandi vie per cui le influenze orientali sono penetrate nelr Europa centrale, la via dell'Adriatico che per Spalato, per Ra- venna, per la valle del Po giunge a Milano, una delle metropoli della nuova arte, per poi di qui irradiare per tutta l' Italia settentrionale e per le regioni d'oltre alpe. Inutile dire che il tipo planimetrico che qui abbiamo studiato continua a mostrarsi per tutta l'epoca romanica, modificandosi alcune volte di poco ; specialmente lo troviamo dififuso in quelle regioni in cui le tradizioni architettoniche delle forme impiegate dall'era paleo-cristiana alla carolingica, era più fortemente radicata. Così in Italia e nei paesi renani. CAPITOLO SECONDO. L'origine della forma planimetrica della chiesa di S. Lo- renzo IN Milano. I. Se per gli edifizi ottagoni paleocristiani il prototipo è da cercarsi in una costruzione del secolo IV, nel mausoleo di Diocleziano (l) Vedi gli studi del Duchesne, La Primatie d'Arìes, in Memorie de la Société des Antiquaires de France, 189 1 ; specialmente p. 163 ; e Origines du culle cbrétien, Paris, 1903, sopratutto p. 32 e sg. ; 89-99. NOTE DI ARCHEOLOGIA LOMBARDA 47 a Spalato, per altri il modello originario appartiene al repertorio delle forme architettoniche pivi antiche. Ciò si verifica per gli edi- fici rotondi. Di questi le varietà formali sono numerosissime; la fondamentale e più semplice è la rotonda costituita da una sola muratura circolare del tipo di tholos greco e dell'heroon romano. L'antichità e la semplicità della forma rendono inutile qui ogni ricerca sulla sua storia : il tipo si ripete nell'architettura cristiana dall'esempio del mausoleo di Tipasa sino in piena epoca romanica. Nell'architettura cristiana il più delle volte si trova alla rotonda applicata un'abside : così avviene nella costruzione di Antiphello (i), nella cattedrale di Chissano a Creta (2), giù giù nel tempo sino alle costruzioni medioevali di S. Fedro di Cervere nella Spagna o nella chiesa del fa Presepio a S. Michel de Cuxa a Prades nel Roussillon. In questo curioso edificio della prima metà del secolo XI (sembra esistesse già nel 1040 {3), si ripete la costruzione caratteristica dei sotterranei degli edifici rotondi romani, quali Tor de' Schiavi, ove un pilastro sorge nel mezzo della rotonda, che risulta coperta da una vòlta a botte anulare. Un caso ancora più curioso ci presenta la chiesa di S. Marco a Salamanca, edifizio di tipo unico : nel perimetro rotondo esterno sono inscritte tre navate determinate da due colonne e da tre absidi incavate nella muratura (4). I romani però avevano constatato che l'erigere una cupola su di un tamburro circolare esigeva per questo dimensioni rilevanti. Per vincere la spinta pensarono di costruire tutto attorno al perimetro un giro d'absidi che con le loro semitazze servissero a contrastare l'effetto della vòlta centrale. Già una rotonda « posta fuori « Roma inverso Marino III miglia » rilevata dal Sangallo (5), ci mostra il principio svolto con tutta la sua logica. Otto absidi con- (1) Texier et PuLLAN, op. cit., tav. 191-192. (2) Gerola, Monumenti veneziani dell'isola di Creta, p. 69. (3) Vedi la lettera del monaco Garcia, in Marca Hispanica, col. 1080. (4) Gir. Lamperez y Romba, in Boletin de la Sociedad Espanolade ExcursioneSf 1904» e Historia de la Arquitectura, I, pp. 543-545. (5) Coji. Vat. Barber., fol. 8. Cfr. il rilievo del Peruzzi, Uffizi, 165 1; Sangallo, Taccuino Senese, fol. 16; G. Vasari il Giovane, Uffizi, 4845; e i disegni di ignoti. Uffizi, 2045 ; cod. Escurialense,73 v. ; e cod. Windsor 41. 48 UGO MONNERET DE VILLARD trastano la spinta della cupola; e fra un'abside e l'altra si proten- dono dei robusti speroni per eliminare la spinta nelle posizioni ove le semitazze non hanno effetto. Più semplice è l'edifizio rilevato dal Serlio e dal Canina ove sei sole sono le absidi (i): più complicato come forma planimetrica è un altro tipo pure conservatoci dal Serlio {2). Il capolavoro di questo genere di costruzione ci è presentato da queir edificio che il medioevo conosceva col nome di u le Galluce » e che oggi si chiama la Minerva Medica, in Roma. Codesta sala della villa dell'imperatore Licinio Gallieno {260- 268) fu riconosciuta appartenere alle costruzioni di tale imperatore dal Nardini (3) dapprima e poi dal Nibby (4), dal Canina (5), dall'isabelle (6) ed ormai l'identificazione è universalmente riconosciuta (7). Scavi recenti (8) misero in luce avanzi d'altri edifici nelle vicinanze, sì che la disposizione d'una villa appare sempre più probabile (9). L'importante costruzione attrasse l'attenzione degli studiosi del rinascimento, che più volte la rilevarono (io;, e gli studi del Giovannoni ci fanno perfettamente conoscere non solo le sue forme costruttive, ma anche la sua storia. Il nucleo primitivo dell'edificio risulta esser costituito da un decagono avente su di ogni lato, salvo quello della porta, un'abside. Lo spazio fra due absidi consecutive è riempito con un triangolo di muratura formante sperone. (1) Serlio, Architettura, lib. Ili, fol. 63 r.; Canina, Gli edifici, voi. VI, tav. XVI; cfr. inoltre Montano, Scelta di vari tempietti, tav, 41, 50 e 60; MoNTFAUcoN, Uant. expl, to. II, parte I, tav. 35 e 39; il disegno del Peruzzi, Uffizi, n. 498. (2) Serlio, op. cit., fol. 63 r. (3) 'Descriiìone di Roma antica, Roma, 1708, p. 196, (4) %oma antica, voi. II, p. 328. (5) Edifici di Roma antica, voi. I, p. 156. (6) Les édifices circulaires et ìes dómes, p. 60. (7) Il nome che oggi porta gli fu per la prima volta dato da Ligorio, Ef- Hgies antiquae Romae, Roma, 1561. (8) Notizie degli Scavi, 1878, p. 340; 1880, 464;i88i,p. 861x884, p. 392^ (9) Giovannoni, La sala termale della villa Liciniana e le cupole romane, in Annali della Società degli Ingegneri ed Architetti italiani, Roma, 1904. (io) G, da Sangallo, cod. Vat. Barber. 4424; S. Peruzzi, Uffizi, 689; B. Peruzzi, Uffizi, n. 498; Vasari, Uffizi, n. 4851; Hemskerk, Berlino, fol. 49) Palladio, Architettura, lib. IV, p. 40; Montano, op. cit., tav. 2 e 05; GioVANNOLi, Roma antica, to. I, tav^ 75 ; Piranesi, Antichità, I, p. 16; Rossini, An- tichità di Roma, tav, 25; e le stampe di J. J. Lequeu ; G. B. Mercati; Silvestre e Pronti. NOTE DI ARCHEOLOGIA LOMBARDA 49 L'architettura cristiana eredita inalterato il tipo di edificio romano : la sua realizzazione la troviamo nell'antico S. Gereone di Colonia in cui V anello di absidi contigue è applicato ad un tracciato fondamentale non rotondo, ma elissoidale. La fondazione della chiesa risale al secolo IV ed è collegata con la leggenda della Legione Tebea (i) ed è dagli scrittori medioevali attribuita ad Elena madre di Costantino; probabilmente però il tracciato che noi conosciamo deve essere attribuito al secolo VI. Il rarissimo tracciato ovale può essere ricollegato con quello della chiesa mesopotamica di Wirancheir, di cui dovremo in seguito occuparci. Il tracciato rotondo normale, con sei absidi perimetrali, lo troviamo nelle due chiese dalmate di S. Trinità nei dintorni di Spalato e di S. Orsola in Zara, quest'ultima nota soltanto nel suo tracciato planimetrico (2). Il tipo si conserva nel pieno medioevo con l'esempio della chiesa di St. Michel d'Entraigues presso Angouléme, sorta nel 1137. Un caso forse unico è quello della chiesa di Planès nel Roussillon, in cui tre absidiole contrastano la spinta di una cupola impostata su un tracciato triangolare: edifizio rozzo e bislacco, non tanto antico quanto generalmente si crede. Un tracciato in un certo qual modo triangolare con tre absidi offre un edificio rilevato dal Montano (3) nei dintorni di Roma, ma che però non possiamo paragonare con la chiesa dei Pirenei. Ma ritorniamo al tracciato fondamentale della rotonda circondata da absidiole : il tipo, come abbiamo visto dagli esempi citati, è prettamente romano ed il concetto statico risponde veramente alle direttive dell'architettura d'Occidente. Nei primi secoli cristiani però il modello si complica per influenze orientali e dà origine ad edifizi ben più complessi, per giungere sino ai sommi esempi, ai capolavori, il S. Vitale in Ravenna ed il S. Lorenzo in Milano, a S. Sofia e a S. Sergio e Bacco a Costantinopoli. (1) Cfr. la Passio S. Gereonis et aliorum martyrum auctorc HeUnando, in Ada SS.f ott. V, 36-42 ; Gregorio di Tours, Liber in gloria martyrum^ cap. 61 ; M. G. H., rer. meroving., I, p. 550. Vedasi Klinkenberg, 'Das ròmische Kòln> p. 280 ; la descrizione e la bibliografia del monumento in Rahtgens, Die Kirchdetikmàl. d. Stadi Kòln (Kutistdenkmàl. d. St. Kòln\ voi. Il, parte I, pp. 1-102. (2) U. MoNNERET DE ViLLARD, U architettura romanica in Dalmazia, pp. 25-26 . (3) Scelta dt vari tempietti^ uv. 44 : riprodotti in Montfaucon, op. cit., tav. 56* Arch. Stor. Lomb., Anno XLI, Fase. I-II. 4 50 UGO MONNERET DE VILLARD L'arricchimento del tipo consiste essenzialmente nel non considerare più il giro delle absidiole perimetrali come il limite estremo dell'edificio, ma nel costruire oltre queste un altro recinto che lasci con le prime un passaggio. Due casi ben distinti bisogna considerare : nel primo il nucleo centrale portante la cupo'a è contrastato da un giro di otto absidiole e da questo tipo, coli' aggiunta di un recinto esterno quadrato, si ha la forma del S. Sergio e Bacco a Costantinopoli e con un recinto ottagono il S. Vitale di Ravenna: nel secondo attorno alla cupola centrale sono solo quattro absidi e da questo deriva il S. Lorenzo di Milano. A tali grandiosi risultati non si giunse di colpo, ma bensì attraverso tentativi che dobbiamo studiare partitamente. Già ai tempi d'A- driano era stato tentato un arricchimento della forma fondamentale che stiamo studiando ; ne fanno prova alcuni edifizi della Villa tiburtina, quali la costruzione che è in fondo alla piazza d'Oro e quella che dal Piranesi fu contraddistinta col nome d'Academia. Ma disgraziatamente sia dell'una come dell'altra non ci rimangono se non le fondazioni e mal possiamo renderci conto del loro stato primordiale. E' evidente però, in entrambe, il concetto di creare at- torno alla cupola centrale una serie di locali comunicanti: la spinta dunque verso quest'ordine di ricerche è venuta in Roma contemporaneamente all'importazione ed al trionfo delle forme elleni- stiche. Il medesimo concetto è anche adombrato in alcuni edifici rilevati dal Soria nell'agro romano, in cui, attorno ad un nucleo centrale ottagono o rotondo si distende un anello di sei od otto rotonde (i). La trasformazione ultima della Minerva Medica, con l'aggiunta delle due grandi absidi, sembra obbedire al medesimo impulso. Ma è nell'Oriente che la direttiva organica prende coscienza di sé e procede sicura verso lo scopo ed influisce poi sull'architettura d' Occidente. La dimostrazione di questa tesi ci è data dal fatto che solo in Oriente troviamo edifizi in cui questi criteri siano svi- (i) Scelta dì vari tempietti antichi, riprodotti in Montfaucow, op. cit., to. II, tav. 35 e 39. Cfr. anche la tav. 55 l'edificio a nucleo centrale quadrato. E' a questo tipo che si deve riattaccare il mausoleo di Simone e Giuda a Babilonia, descritto dallo Pseudo Abdia, in Garrucci, voi. I, p. 24. NOTE DI ARCHEOLOGIA LOMBARDA 5I luppati più o meno, ma che ad ogni modo ci offrono sempre un complesso logico di forme : nel!' architettura romana ciò non avviene, perchè anche il caso citato del secondo stato della Minerva Medica non è se non un artifizio, un palliativo, contro i danni che già sin d'allora dovevano minacciare la stabilità dell'edificio. Il portico coperto a botte ed i due semicatini delle esedre' (i), quanto i due speroni enormi del lato posteriore, non formano nulla di organico con la costruzione ; sono solo un impedimento alla sua rovina. Anche il tracciato esterno del S. Vitale, ottagono, è prettamente orientale : non si hanno esempi romani di edifizi ottagoni, salvo alcuni che in seguito citeremo e studieremo, da contrapporre ai numerosissimi esempi orientali. E' nella regione anatolica e nella siriaca che gli architetti hanno mostrata la loro tendenza di sostituire alle linee curve delle spezzate : ciò essi hanno fatto indifferentemente alle absidi delle basiliche come al perimetro degli edifizi a planimetria centrale. 11 tipo dei S. Vitale di Ravenna, del S. Sergio e Bacco di Costantinopoli sono il risultato dell'elaborazione orientale di un elemento primordiale romano. Il tipo del S. Vitale e del S. Sergio e Bacco si ripete nel Crisotriclinio del palazzo imperiale di Costantinopoli. Fu questo costruito da Giustino li (565-573) (2) che trovò fosse insufficente od in cattivo stato l'antico palazzo di Dafne. Colla costruzione di sì importante edificio veniva a spostarsi al centro della dimora imperiale, trasportandosi, dalla vicinanza dell'Ippodromo, verso il Faro ed il Mar di Marmara. Anche di questa nuova, maestosa costruzione, come dell' antico palazzo di Dafne, non rimane traccia alcuna, ma da una miniatura dello Skilitzes (3) e dalle descrizioni del Ltbro delle Cerimonie possiamo formarcene un' idea concreta. Era un edificio rotondo sormontato da una cupola forata da sedici finestre (4), sotto cui correva una cornice. La planimetria (i) Ciò risulta evidente dalle stampe di Nicolò Beatrizet (1557), in Rocchi, Le piante iconografiche e prospettiche di Roma nel secolo XVI, tav. IX, e di Alò GiovANNOLi, Roma antica (1616), to. I, tav. 75, nonché dai restauri del Palladio e del Ligorio. (2) Leo Grammat., p. 152, ediz. Bonn. (3) KoNDAKOF, Trésors russes, Pietroburgo, 1896; De Beylié, Hahitation byiantine^ Parigi, 1902, p. 122; G. Schlumberger, Epopèe hy^antine^ II, Parigi, 1900, p. 576. Cfr. fotografìe della collezione degli Hautes Études. (4) De Cerimoniis, II, 15, pp. 582-586, ediz. Bonn. 52 UGO MONNERET DE VILLARD * era quella di un ottagono formato da pilastri : ad oriente si apriva un'abside (i). La cupola doveva avere sedici spicchi, come quella del S. Sergio e Bacco, ma tutti identici fra loro e non alternativamente piani e curvi come nella chiesa costantinopolitana (2). Forse era circolare come al S. Vitale, il quale monumento ha però solo otto finestre sulle mezzerie degli otto archi d'appoggio. Un dubbio che non è facile risolvere sulla forma planimetrica, riguarda la forma dell'edificio fra i pilastri : si aprivano fra questi delle absidi, come al S. Vitale, o queste erano solo sui quattro lati obliqui dell'ottagono, come al S. Sergio a Bacco? Se tale dubbio può sussi- stere, e la soluzione ne è impossibile, è però certo che si deve scartare V ipotesi presentata dal Labarte (3), che pone otto absidi identiche sugli otto lati del poligono, il che è contrario ai testi che non accennano se non ad una sola abside profonda. La derivazione del tipo bizantino di S. Sofia da quello del S. Sergio e Bacco è stato tante volte studiato e risolto ormai definitivamente, sì che è vano insistervi. Ritorniamo al nostro tipo fondamentale e vediame come da questo si sia sviluppato il concetto del S. Lorenzo in Milano. Mentre per giungere alla planimetria del S. Vitale si è partiti dalla rotonda a nicchie contigue, la planimetria della chiesa milanese ha come elemento originale una forma più semplice, quella cioè del quadrato con quattro absidi sui quattro lati. Nella ricerca della statica delle cupole i romani avevano già intravveduto il concetto di controfiancarle con rotonde e con altre costruzioni : le terme di Costantino, rilevate dal Palladio, e le terme di Diocleziano, ce ne offrono degli esempi. Anzi appunto nell'or- dinanza del tepidario di queste terme, serrato fra quattro torri, delle quali due circolari semplicente scalarle, e due rettangolari, scalarle e funzionanti da ultimo contrafforte della maggior sala, il Rivoira (4) vede il primo esempio per il tracciamento e per la concezione statica del S. Lorenzo. (1) De Cerimoniis, II, 15, p. 581. L'abside era preceduto da una « camara » detta imperiale; idem, I, 33, p. 178, e sette altre e camarae » si aprivano sotto ^11 altri archi. (2) Ebersolt, in Revue Archeologi que, 1909, to. XIV, parte II, p. io. (3) Le palais imperiai de Constantinople, Parigi, 1861, pp. 161-163, tav.II, n. 9S (4) Le origini^ ediz. Hoepli, p. 87. NOTE DI ARCHEOLOGIA LOMBARDA 53 Ma questo è un errore. Prima di tutto le cupole romane si impostano sulla rotonda, mentre le cupole delle prime epoche cristiane come le orientali si impostano sul quadrato ed il passaggio da questo a quella è ottenuto con trombe o pennacchi. La differenza è sostanziale, giacché per quanto si vogliano trovare in edifici romani i rudimenti dei raccordi del poligono con le cupole, è inutile voler ancora sostenere che tali principi costruttivi sono, nel medioevo, una importazione delle forme correnti nella lontana architettura della Persia. Disgraziatamente di edifici romani quadrilobati che abbiano per nucleo il quadrato e non la rotonda, ne sono noti solo pochi, e piccoli, e sono anche mal conosciuti. Così la piccola sala delle rovine di Cencellas in Catalogna ed un altro edifizio rilevato dal Montano (i). Un edifizio curioso è quello rilevato dal Sangallo (2), ma per quanto presenti analogia con le due grandi costruzioni della villa Adriana che già ho avuto occasione di ricordare, mal possiamo farcene un' idea attraverso la sola pianta. Il concetto fondamentale è ad ogni modo quello di controspingere la cupola con quattro rotonde. E' naturale trovare il tipo di edificio diffuso in Oriente : a" Priene, presso il santuario di Atena, è una edicola quadrilobata {3), e Tarchitettura bizantina tutta ha come principio lo spalleggiare una cupola centrale con quattro vòlte su due diametri perpendicolari fra loro. Se invece di quattro semitazze, come negli edifici quadrilobati, si hanno quattro vòlte a botte, risulta la costruzione cruciforme dift'usissima in Oriente. L'architettura paleo-cristiana usa frequentemente il tipo quadrilobato : un esempio di tali edifizi lo abbiamo a Tigzirt in Algeria (4) e parecchi in Europa. (1) Scelta di vari tempietti, tav. 55. Cfr. Montfaucon, op. eh., to. II, parte I, tav. 41 ; vedi inoltre le tavole 47, fig. 3 ; 37 e 38 per tipi che a questo si avvicinano, (2) Cod. Vat. Barber. 4424, fol. 7 r. e Taccuino Senese, fol. 26. Cfr. Montano, Archit., Roma, 162^, lib. II, tav. 17. Il disegno del Sangallo è riprodotto in Rossi, Memorie romane, 1786, II, p. 242 ; RivoiRA, Le origini, ediz. Loescher, II, 1906, p. 151, fig. 131. (3) WiEGAND-ScHRADER, Prime, p. 486, fig. 600. (4) GsELL, Les monuments antiques de l'Algerie, Paris, 1901, to. 11^ p. 259, fig- 13 5- 54 UGO MONNERET DE VILLARD "~" Cosi in Francia un passo della vita di S. Mauro (i) parla di una cappella costruita verso la metà del secolo VI all'abbazia di Glanfeuil nell'Angiò, « in modum turris quadrifidae » e nel 1893 si scopersero le fondazioni di un edificio quadrilobato a Rosny-surSeine, presso Nantes (2). Esso si elevava su un cimitero merovingico, ed è probabilmente attribuibile al secolo VI od al VII. La ben nota cripta di S. Lorenzo a Grenoble ha anch'essa una fcfrma vagamente quadrilobata. Al secolo VIII appartiene il battistero di Venasque (Vancluse) in cui la forma quadrilobata è chiarissima {3) e molte costruzioni ripetono tale forma nell'epoca romanica : il battistero di Melas (Ardèche), la cappella di S. Croix di Montmajour (Bouches-du-Rhòne), quella di Baume-le-Transit (Dròme), S. Michel de l'Aiguilhe au Puy (Haute-Loire), e S. Léonard (HauteVienne) : quest'ultima però appartiene più propriamente al tipo delle rotonde a collaterale. Persino una torre del secolo XI oifre questa planimetria : è la torre di Étampes nel Gàtinais, recentemente studiata dal Lefèvre-Pontalis {4). In Italia gli esempi più noti sono quelli dei battisteri di Biella e di Galliano, costruzioni del secolo X e dell' XI. Al piano quadrilobato gli architetti orientali hanno fatta subire la medesima trasformazione che applicarono alla rotonda con corona d'absidi : considerarono cioè il sistema quadrilobare come il nucleo centrale di un più ampio edificio, e attorno a lui costrui- rono un recinto esterno. Il procedimento della trasformazione è identico nei due casi. Uno fra gli esempi i più interessanti di codesto tipo complesso, è l'edificio elevato nel centro del ginnasio d'Adriano ad Atene, che ci venne descritto da Pausania (5). Da alcuni però si sostiene che il porticato appartiene alle costruzioni erette da Tolomeo Filelfo nel 275 (6). L'epoca in cui sorse l'edifizio centrale non è facile a (i) Ada SS., gennaio, II, p. 329. (2) H. Thomas, Une nouvelìe page ajoutée a l'histoire de Rosfiy-sur-Seine, Parigi, s. d., pp. 82-99. (3) Labande, in BuUetin arch. des trav. Instor., 1904, pp. 287-504. (4) Origines antiques du pian quadrilobé de la Tour d^Étatnpes, in Annales de la Société Historique et Archeoìogique du Gàtinais, 1909. (5) I, 18, ad fin. La planimetria completa in Praktica, 1885, tav. 1. (6) UssiNG, in Oversigt over det Konigelige Danske Videnskabernes. 1894. Cfr. Arch. Anieiger, 1894, p. 208. NOTE DI ARCHEOLOGIA LOMBARDA 55 precisarsi : certamente è posteriore al secolo 111. L' Huelsen (i) ritiene questo edificio simile alla biblioteca posta all'estremità dello stadio palatino, la « Bibliotheca Apollinis » ; ma qui ci troviamo davanti ad un edificio trilobato non solo, ma in cui la parte centrale non risulta coperta da cupola, bensì da una crociera a planimetria rettangolare, come risulta dagli studi del Deglane (2). La planimetria dell'edificio ateniese si ripete a Santa Sofia di Adrianopoli (3). Anche qui abbiamo ai quattro j lati di un quadrato quatì tro absidi con gallerie e a due piani, proprio come nel S. Lorenzo. La costruzione della cupola che oggi occupa il centro dell'edificio appartiene ad una seconda fase della storia dell'edificio. E' da questa nuova forma che deriva il concetto fondamentale di alcune chiese bizantine, ad esempio dei Santi Apostoli ad Atene. Le quattro nicchie applicate ad una planimetria fondamentale rettangolare è il caso che ci presenta la chiesa di S. Sergio a Rusafa (4) costruita fra il 491 ed il 501. Il tipo si conserva in Oriente sino in epoche ben tarde : ce ne fa fede la storia della chiesa di S, Gregorio di Etschmiadsin. Chiesa di S. Sofia ad Adrianopoli. (i) Huelsen, in Mitt. d. Kals. T)eut. Arch. List., 1896, p. 207. i2) Le Stade du Palatiti in Mélanges Rome, 1899, e in Gaiette Archeologique, 1888. Un'antica pianta in Onofrio Panvinio, De ludis drcensibus, 1600, e in Bqfalinl (3) Choisy, L'art de bdtir che^ les Byiantins, pp. 1 31-132; idem, Histoire (4) Sarre, Rusafa-SergiopoHs, in Monatshefte fùr Kunslwissenchaft, 1909, pp. 95-107. 56 UGO MONNERET DE VILLARD Codesto edificio (i) è costituito da quattro nicchie sui quattro lati Chiesa di Rusapha a foglame chave e rilevate, e 1.° fiore dun ri- « chordo. « i.° » a fexe tonde, chave e rilevate, e i.o fiore dun « richordo. « i.*' » a fexe fesse, e i.» fiore duna chanpanella. « i.° » a mandorle chave e rilevate, e i.o fiore duna « chanpanella. « i.° w a trefoglo. e i.» fiore azurro in cima. « i.o »» a fese rilevate e 1.° fiore azurro in cima ». Nel dicembre successivo, essendo esaurita la scorta, si fecero confezionare dal« f aurico » Ambrogio Cavalieri altri sei « gobeJetti », la cui « fazzon » viene così descritta : e. 258. « i.° ghobeleto a bastoni cavi e rilevati, con uno fiore « azurro. « i.o ghobeleto a bastoni torti, e con un fiore azurro in cima. « I.® » a mandorle e con cierchi atorno dorati, e i.° « fiore morello. M i.° » a mandorle cave e rilevate e con cierchi do- « rati, e i.° fiore morello. « i.o » a mandorle, e con cierchi con i smalti atorno « dorati, e 1.° fiore morello. " i.^ n a mandorle, e con cierchi con i smalti atorno. « e i.° fiore azurro ». Ai sei gobelletti fatti fare sulla fine del 1427, il conto 1428 (e. 60) aggiunge due confettiere, due boccali, due bacili, due scodelle e dodici scodelline « ne fece Cristoforo da Baiagli » e cioè ; « i.a confettiera a viuola zoppa, in lo smalto, cioè 11.^ viuole M azure e i.^ viuola morella. « i.o bochale dariento. « i.o bochale dariento. « i.o bacile dariento con i.» smalto, dun fiore reverso morello 76 GEROLAMO BISCARO " i.° bacile dariento. con i.» smalto, dun fiore morello. « XII. scodelle dariento. « XII. scodelle dariento ». ed altri quattro gobelletti dorati « ne fece Ambrosino chavaliere ». « I. a rosa, con 1.° fiore azuro. « I. a . . . chavi. rilevati, e i. fiore morello. « r. con i.a messa rosa, e 1.° fiore azuro. « I. a bastoni con i.^ fiore morello ». Nei due mastri havvi il conto di Baldassare da Orta ». maestro « de schuola » che istruiva i putti di casa : Filippo, figlio di primo letto di Vitaliano, allora di nove anni, « Curino » (forse Venturino, figlio naturale del vecchio Giovanni) e Taddea. Baldassare ebbe per salario nel 1427 lire 26.10.1 (e. 46) e nel 1428 lire 27.8 (e. 124). Alla spesa per il maestro di scuola si coordina quella per l'acquisto di libri di lettura e di studio. Nel 1427 si comperarono dal libraio Andreino Corte dapprima « uno libro de cassiodoro » per lire 8.17 e « il libro de Egidi. de regimine de principi » per lire 4 (e. 184). Altre lire 8 si spesero più tardi « per libri e fatture de libri » dallo stesso Corte |c. 267). L'anno appresso si fecero venire da Firenze tre libri e cioè « uno libro si domanda Pomolion (Pigmalione). et « uno salusto. chatelinario. et i.^ decha de tito livio » con la spesa di lire 7.5.6. (e. 224). Altre lire 16 andarono « per libri e fattura de libri, da Andrein Chorte » (e. 203). I mastri 1445 e 1446 ci portano innanzi di quasi un ventennio. Nel frattempo il vecchio Giovanni Borromei è sceso nella tomba. La sua grossa fortuna è stata raccolta dal nipote Vitaliano. Costui ha avuto modo di accrescerla con gli appalti delle gabelle, col servizio della tesoreria ducale e col continuato esercizio del traffico a Milano e fuori sotto il nome del figlio Filippo. I mastri recano la contabilità del banco Filippo Borromei di Milano, condotto dal titolare e da due soci, Giovanni Bindotti da Siena e Antonio da Vimercate. Il banco faceva il servizio di cassa così a Vitaliano Borromei, come al figlio Filippo. E' così che nei loro conti e in quelli dello spenditore di casa, Giangaleazzo Mantegazza, figurano molte spese domestiche ed altre relative all'amministrazione del patrimonio di Vitaliano. Al i.o gennaio 1445 era in corso di lavoro la « sepoltura » cui attendevano i due maestri Filippo ed Andrea da Carona. NOTE DI STORIA DELL ARTE E DELLA COLTURA A MILANO 77 Tratteremo più innanzi le questioni relative a questa « sepol- « tura ». Intanto, riportando il testo delle registrazioni, notiamo che i versamenti ai due « maestri intaliatori di pietra », ammontarono nei due anni a lire 1088. io, pari a circa 335 ducati. 1445, e. 121 (d. Vitaliano Borromei), 31 maggio. « per due. 24 « di Milan pagho Gian Ghaleazo (Mantegazza nostro spenditore) « a maestri intaliatori lavorano la sepoltura, ali detti di chassa. « fo. 126 1. 76.16 w. e. 133 (conte Vitaliano B.), 23 giugno. « per lui a « a m.° andrea e filippo charona. contati a m.° lìlippo « proprio, fo. 141 . » 3S.8 ». e. 163 (conte Vitaliano B.), 6 agosto. « per lui a fiM lippo e andrea da charona m.o di pietra intaglatore. « a loro di chassa " 38.8 •-. e. 191 (conte Vitaliano B.), 6 agosto. « per lui a « filippo e Andrea da charona. intaglatori di pietra. « contati di chassa. fo. 195 » 76.16 ». e. 210 (conte Vitaliano B.), 22 ottobre. « per lui a « m.o filipo e m.o Andrea da charona. picha pietra. « pagharonli a m.o Andrea in piero e lazaro poscha. a il loro. fo. 24 » 388 ». 215 (conte Vitaliano B.), 20 novembre. « per lui « a m.o Andrea e filipo da charona intaglatore di « pietra, contati a m.° Andrea . . • . - -» 38 — -. e. 229 (conte Vitaliano B.), 11 dicembre. « per lui « a m.° filipo e Andrea intaglatori di pietra, a loro in « Bertola da Premenugo. fo. 63 » 64. — ». — 12 dicembre « per lui a Andrea e filipo da « charona m.o da intaglare [ne die Martino so fratello] « (parole interlineate) contati a m.» andrea. fo. 178 . » 38 8 ». e. 49 (Gian Galeazzo Mantegazza), 30 aprile. « 1. 32 « per lui a m.o filipo e Andrea da Charona intaglatori « di pietra, a loro in francescho Surigon. a lui. fo. 26 » 32. — " 1446, e. 57 (conte Vitaliano B.), io febbraio. « per « lui a m.o filipo e andrea da Charona intaglatori de « prede e per loro demo a m° filipo detto, cont. di u chassa. fo. 80 » 64. — ». e. 97 (conte Vitaliano B.), 31 marzo. « per lui a « m.o Andrea da Charona pichapetre per resto de suo 78 GEROLAMO BISCARO u salario e di compagni tuti. insino a dì 15 di questo. H al detto m.o Andrea contati, fo. 104. . . .1. 106.15 ». e. 134 (conte Vitaliano B.), 6 maggio. « per lui a « m.° filipo e Andrea da Charona e per li detti a m.° « filippo. a lui cont » 38.8 n. e. 200 (conte Vitaliano B.), 11 luglio. « per lui a « m.o filipo e Andrea da Charona e per loro a m.o fi- « lipo. a lui cont. ......... 64. — »». e. 264 (conte Vitaliano B.), 16 settembre. « per lui a ti m.o filipo da charona pichapedre. a lui cont. di chassa »» 128.— ». e. 281 (conte Vitaliano B.), 15 ottobre. « per lui a « m.o Andrea e filipo pichapetre. per loro demo a M m.o Andrea, cont. di chassa » 64. — ». e. 328 (conte Vitaliano B.), 17 dicembre. « per lui « a m.o filipo e Andrea da charona pichapedre. e per « loro al deto m.o filipo e Andrea da charona pichau pedre. e per loro al deto m.» Andrea, in Alexandro u da castagnolo, a lui » 128. — ». e. 346 (conte Vitaliano B.), 31 dicembre. « per lui « a m.° Andrea e filipo da Charona. a loro contati di « chassa ........... 57.7 ». Altre opere di scoltura e di pittura venivano in quei due anni eseguite a spese di Vitaliano Borromei nella chiesa di S. Maria Podone. Secondo la tradizione riferita dal Latuada (i), la chiesa nel 1449 era stata restaurata dal conte Vitaliano, del quale è scolpita l'effige nella lunetta sopra la porta. Lo stesso scrittore parla pure di un successivo ristauro praticato a cura del cardinale Federico Borromeo, fra il 1625 e il 1627. Detto che il cardinale aveva messa a oro e stucchi l'antica cappella della sua famiglia, così la descrive : « l'altra dirimpetto (alla cappella di S. Giustina), difesa « da alte crate di ferro, è dei conti Borromei, detta dell' Umiltà, « adorna di pitture messe ad oro, con alcune azioni della Vergine, u che le ricoprono in ogni parte e nella volta i dottori della Chiesa. a L'ancona è fornita di piccole statuette e molte in numero, tutte « in marmo bianco ». La cappella dell'Umiltà, che all'esterno conserva inalterati i caratteri dell'architettura lombarda della prima (i) Descrizione di Milano, Milano, 1738, IV, p. 187. NOTE DI STORIA DELL ARTE E DELLA COLTURA A MILANO 79 metà del Quattrocento, non ha più nulla nell' interno che richiami l'attenzione dello studioso. 11 mastro 1445 registra le seguenti spese relative a lavori nella chiesa posti a debito di Vitaliano Borromei : e. 81, febbraio 8. « 1. 64.12 per legname e altre spexe fate per « lo luogho delhorghano di santa Maria pedon ». rt 1. 10.12 per chosto di 2 basse di marmoro con larmi dove .< sono posti li 2 anzoli in santa maria pedon ». .< 1. 57.6.6 per chosto dazuro. oro. opere, paghate in fare la a maista alaltare grande di santa maria pedon ». — marzo 3 « 1. 33.12 per chosto duno usavolo (usciolo) di « rame sopra dorato per lo tabernacholo de santa Maria paron. « coni, ad Antonio da pozo ». L'apprestamento di una sede per l'organo fa pensare alla co- struzione di un cassone in legno con portelle, addossato ad una parete della chiesa. E' probabile che il lavoro fosse stato fatto per porre in opera un nuovo organo offerto alla chiesa dai Borromei. La presenza a Milano nel 1447 di un organaro, « magister Gui- « lelmus de Rezio », al quale fu data commissione di fare l'organo per la chiesa di S. Pietro Celestino eguale a quello che aveva costruito per la chiesa di S. Simpliciano (i), rende verosimile la ipotesi che lo stesso Guglielmo d'Arezzo avesse qualche anno innanzi costruito l'organo di S. Maria Podorie. Così la collocazione dell'organo, come la fattura e posa in opera di una nuova pala alti) ANM, nei protocolli del notaio Protaso Sansone, 1447, maggio 31: « frater Bernardus de Cixerano frater prior domus fratrum Ecclesie S. Petri or- . — « 1. 290.3.3 per le dipinture fatte in questo anno, in la sala « davanti, chamara dal mare, chamara dalle raze e studieti e altri a lavori dipinti ». — « 1. 606.15.3 per spexe di lavoro di murare fati in questanno « in chaxa ». e. 252, dicembre 31. « 1. 115. 4 a m.o Giovanni da Vauri dipin- « tore. per resto de i.** stendardo e 2 penoni al chontado ». Lo stesso mastro 1445 ci dà il nome di qualche altro artista senza attribuirgli lavori determinati : e. 174, ottobre 19. « 1. 26.12 a Giovanni, dalla piazza, dipintore. H per libbre 2 dazuro paghamoli ». e. 227, dicembre 20. « 1. 16 per lui (Giangaleazzo Mantegazzo) a « m.o michilino da bixozio per denari ritenutoli sul so salario, in « credito al conte Vitaliano B. ». e. 241, dicembre 31. « 1. [60 per lui (conte Vitaliano) a m.» Gio- « vanni da Vauri dipintore come apare al quaderneto partita- « mente ». e. 250, dicembre 31. « 1, 6.8 a Donato da Meda e Jachomino « chavezale pichapedre ». Nel mastro 1446 le registrazioni relative ad opere d'arte sono assai più scarse dell'anno precedente. Tutto si riduce, oltre la continuazione dei lavori della « sepoltura », alle seguenti spese : NOTE DI STORIA DELl'arTE E DELLA COLTURA A MILANO 8l c. 157, giugno 20. « 1. 14.8 per aminiadura duno contado fatto u in uno libro del conte, i quali paghamo a Giovanni da Vauri ». e. 200, luglio 19. « 1. 49.14 per ovre 35 lavoro Christofano u da Pandino a rona (Arona) a s. i6 e 1. 28 e per ovre 35 lavoro « Griffino Beffa a s. 10. = 1. 17.10 e ovre 21 lavoro i.» putto a u rona con loro a s. 4. = 1. 4.4. e. 253, settembre 2. « 1. 31.4 per lui a Cristofano da Pandino « per ovre 36 a s. 16 per ovre 35 a s. 8 fece Ambrogio marchexe « a dipingnere a rona. corno ci scrisse Jacomo da sezze chastellano « arona ». e. 281, ottobre 12. « 1. 80 a m.^ Jacomo Beffa depinctore per « factura de i.^ mayesta per layna (Lainate) e per 26 cimieri per Io « conte e 2 fighure e 2 cimieri fati in sancta maria peron. marchato « fatto cum Antonio da Vimarchato ». e. 301, ottobre 20. « 1. 127.10 per costo de 50 tarchoni a fior. « i.o de reno luno. compramo da piero di marchexi ». « 1. 77.10 per costo de 25 tarchoni a 1. 3.2 luno compramo da « Bartholomeo da rama depintore ». — ottobre 29. « I. 63.15 per costo de 25 tarchoni compro da « ni.° Giovani da Vauri dipintore ala piaza delaringho ». e. 307, novembre 3. «. 1. 32.2 per costo de più collori e altre « spexe landaron infare dipingere tarchoni 75 con il morxo. I quali « ne die m.° Giorgio Spanzota ». Delle opere d'arte di questi due anni meritano particolare attenzione le pitture a fresco nelle case Borromeo e la pala dell'al- tare maggiore di S. Maria Podone. Nel 1445 si dipinsero una « sala n con le storie di Esopo, la camera detta del mare, altra camera chiamata « da le raze » ossia degli arazzi, e alcuni camerini e studioli. Subito dopo la concessione del titolo comitate si disegnò lo stemma della contea in una sala, in pennoni e stendardi. I pittori ricordati sono tre : Michelino da Besozzo, Giovanni da la Piazza e Giovanni da Vaprio. Nel 1446 è menzione solo dell'ultimo dei tre. A lui si aggiunge Giacomo Beffa ; per tacere dei pittori da dozzina che lavorarono a giornata nel castello di Arona. Il da ia Piazza e il Beffa sono due ignoti. Il primo potrebbe essere lo stesso maestro Giovanni da Vaprio, che una registrazione indica come dimorante nella piazza dell'Anengo. Di costui si hanno no- tizie in atti notarili del 1426, 1429 e 1438. Il suo casato era dei Arch. Stor. Lomb.. Anno XLI, Fase. I-II. 6 82 GEROLAMO DISCARO Zenoni ed abitava nella parrocchia di S. Fedele. Nel 15 giugno 1426 prese nella sua bottega come collaboratore un altro pittore, Cristofano Scrosati (i). Nel 1438 assunse quale garzone apprendista, Giovanni dei Patriarchi di Argegno (2). Dello stesso anno abbiamo un atto con cui lo Zenoni fece vendita di 32 targhette dipinte per il prezzo di lire 69.14 (3), ed un contratto di costituzione di società con un conciatore di pelli per la preparazione dei cuoi destinati alla confezione di targhe, barde ed altro (4). Quanto si apprende da questi atti sul campo di attività di Giovanni da Vaprio trova corrispondenza con la qualità dei lavori di carattere decorativo eseguiti per i Borromei : pittura di targhe, di stendardi e (i) ANM, nei protocolli di Onrigino da Sartirana, 1426, giugno 15:0: Chri- « stoforus de Scroxatis fq. Jacob! ps. Babile intus pinctor locavit se et eius operas « et personam Magistro Johanni de Zenonibus de Vaprio fq. m,* Antonii p. S. Fi- (c delis magistro a pinctoria a kalendis mensis iulii p. f. usque ad annos duos «< cum dimidio » ; 1429, aprile 4 : « Christoforus Scrosatus laborator pingendi e — se locavit Johanni de Zenonibus de Vaprio fq. Antonii p. S. Marie pedonis e magistro pingendi a presenti die usque ad annos quatuor p. f, promittens quod « stabit et morabitur cum dicto m.® Johanni laborando eidem de die et de nocte « secundum bonam consuetudinem diete artis. Et quod prò se nec cum alio la- », che abbiamo incontrata in una registrazione del 1446. A lui è in- O» GEROLAMO BISCARO testato un conto nel mastro 145 1 (e. 80) per il debito di lire 99 riportato dal libro 1450 e rimandato al 1453 con l'annotazione che u abiamo certi suoi libri da chiexa per pegno »,. libri forse miniati dal medesimo Beffa. Un altro conto (e. iii) è intestato a « Christoforo de Moretti da Cremona depintore sula piaza dela- « ringho », che in « dare » richiama un debito di lire 12.6 dal libro 1450 ed in « avere » porta un accredito di lire 8,10 « per la H valutta de i.» cassettina. i.o specchio, i.» Stefania, e i.* mayesta « die a Ghaleazo Mantegazio per sua sorella »; cui fanno seguito tre giri di partita e altre lire 3.16 « per più mazoli, correge e altri « lavori fece (a) alcune nostre barde da cavallo «. A debito di « m.o Giovanni da Solaro ingegniero » è registrata una partita di lire 74, riportata dal 1450 (e. 68); ed una di lire 640.14.6 è posta a debito di « m.o Piero Berzia da Como inzigniero », che dal mastro 1446 si rileva avere diretto i lavori di ristauro ed abbellimento del palazzo e della rocca di Arona (e. 213, 289, 307, ecc.). Quel « m.o Fermo da Caravaggio maestro di schuola » che nel mastro 1445 figura ospite salariato per l'istruzione dei ragazzi della famiglia, conservava nel J451 lo stesso posto, quale « nostro « magistro de scolla in caxa ». Il suo salario era di fiorini 7 al mese, pari ad annue lire 134.8(1451, e. 93). Fra le « spexe di caxa » notiamo al 22 febbraio 1451 il costo dell'argento « per una humi- « litas fata suxo i.^ manicha del vestito de scarlatto » (e. 65), al 21 agosto 1453 lire 37.2.9 « per la valuta de quadreti 5, ne fece « venire da Venezia » (e. 189), e al 3 dicembre 1454 lire 2.7 « per « porto di una balla di libri conducti da Gienova » (e. 154). Il mastro 1456-57 contiene, oltre al vecchio conto dei « mar- « mori di carrara facti venire per fare una nostra sepoltura » (e. 23), rimandato senza variazione al 1458, una serie di partit e per la spesa di invetriate nella cappella di S. Francesco, nella chiesa di S. Maria Podone e in casa (ce. 116, 155 e 160). Il costo delle invetriate della cappella fu di lire 91.10, con l'aggiunta di lire IO « per il cimiero » ; quelle per casa e per S. Maria Podone costarono in tutto lire 40. L'artefice, m.^ Nicolò da Varallo, è noto per i suoi lavori nelle vetrate dipinte del Duomo. Altre minori ^pese riguardano « facture de finestre » ad opera dei maestri Crit oforo da Conigo, Ambrogio da Belusco e Pietro da Solaro (e. 112), " opere facte alla caxa » (lire 35) da « Gotardo fabrico depinctore NOTE DI STORIA DELl'aRTE E DELLA COLTURA A MILANO 89 (c. 126), (i) « la factura de i.° sigillo » (lire 26) per opera dello stesso « Gotardo fabro »» (e. 126), il salario corrisposto a « m.o Gio- « vanni da Monti che insegna lettere a Vitaliano », figlio del conte Filippo (e. 163) e il costo (lire 21.3) « per scriptura papiro e lega- « tura di comentari di Cesare » (e. 160). Dal 1457 si passa al 1464. 11 grosso mastro della gestione patrimoniale e domestica abbraccia il lungo periodo dal 1464 al 1478. Riproduciamo dai conti « spese di caxa » in ordine cronologica le partite più notevoli relative a lavori d' arte, acquisti o fattura di libri, ecc. 1464, e. 3, settembre io. « 1. 18.9 per chosto duno offitiolo « chomprato per madona Ambrosina » (figlia del conte Filippo, andava in quei giorni sposa a Guido di Pier Maria de' Rossi di Parma). e. 20. « 1. 64 a m.o Giovanni da Monte maestro del conte Vi- « taliano per suo salario dei mesi io finiti al 31 dottobre delano « presente che a tale di li demo licenzia ». — e. 21, ottobre 6. « 1. 39.11 pagamo a Giovanni patriarca (2) « per compimento dela pintura de cassoni 2, de madama Ambro- « Sina ». — e. 35, novembre 23. « 1. 1 13.10 pagamo a m,^ Gotardo pinctore « per dipingere la fazata dela schola delumilitate e la porta de « quela ». 1465, e. 61, febbraio 15. « 1. 2 contate per Gaspare Amichon « de squassi per costo duno persio per lo conte Vitaliano ». 1465, e. 61, febbraio 15. « 1. 1.12 a pietro Antonio regazo del n conte Vitaliano per dare al maestro che li insegna scrivere ». e. 77, aprile 22. « 1. 4 per costo de 1° libro de odi de Orazio « comprato per lo conte Vitaliano ». e. 106, luglio 7. « 1. 18 per costo dela dipintura dela tenda «« missa a la nostra capella de san Francesco quale dipinse glio- « nardo fiastro dardezino ». (i) Gottardo « fabrico dipintore », che si faceva chiamare anche degli Scotti di Piacenza, è ricordato dal Malaguzzi, op, cit, p. 217, per opere decorative eseguite nel 1457 ^ 145^ ^ per un trittico nel museo Poldi-Pezzoli. (2) È il Giovanni fu Giacomo da Argegno, discepolo di Giovanni dei Zenoni da Vaprio (vedi sopra p. 82, nota 2). Ricordato dal Malaguzzi, op. cit., p. 237, per lavori fatti in Duomo nel 1465 e 1466. 90 GEROLAMO BISCARO c. Ili, luglio 7. « 1. 28 a m.o Gotardo dipintore per indoratura « de doy angeli facti ali altari de sancta maria pedone e altri la- « vori corno per i.a lista ». e. 136, novembre 17. « 1. 8.4 quali furono prestati a m.o Bar- « tolomeo sermonese preceptore del conte Giov. Borromei li quali « gli a da perdonare al ditto m.» Bartolomeo ». Diamo a questo punto notizia di due atti del notaio Tommaso Giussani, del 26 e 27 dicembre 1465 ; col primo dei quali un procuratore dei fratelli conti Giovanni e Vitaliano fu Filippo e della vedova di costui, contessa Franceschina Visconti, fece consegna ai frati minori di S. Francesco, nella cappella di S. Giovanni evangelista, dei seguenti paramenti per il servizio della cappella medesima : « palium. I. veluti cremexilis fighurati et brochati auri. fo- « drati tella rubea. habens in medio liocornum cum arma bonro- « mea sive Vitaliana. et vipera laborata serico, auro et argento. " que continet eorum arma comitatus — frontale .1. brochati auri. « veluti cremexilis cum aliochorno. foderatum tella rubea. et cum « cerata sirici albi, viridis et turchini cum filis auri mistis — ami- « tum .1. brochati auri cum tella alba et cerata ut supra » ; col secondo lo stesso procuratore fece consegna « ad altare « capelle sancte marie de la nativitate » nella chiesa di S- Maria Podone, a prete Ambrogio da San Pietro, cappellano titolare della cappella medesima, dei seguenti paramenti : « palium .1. dalmaschini nigri. a floribus auri cum brevi hu- « militas in campo, videi, in veluto celeste factum de literis de « auro — frontale .1. veluti celesti cum aliocorno et vipera — u pianeta .1. dalmaschini nigri cum croxera veluti cremexilis cum « tela alba et cum ceratis sirici. — capsa .1. a corporali, veluti. « cum cerata sirica diversis coloribus »♦. i466, e. J57, aprile 26. « 1. 8.4 quali demo contanti a magistro « baldassare da regio dipintore per ritrare al naturale lo conte u Giovanni ». — maggio 7. « 1. 29.18.3 per costo e spexe fino spaciate da Fi- « renze de 4 teste de preda depinte ne fece venire per noi da Fi- « renze Lorenzo de Pessola ». — giugno IO. « 1. 21.18 per dazio di Milano e vitura da Fiu renze a Milano de 4 teste de damigele pagate per Antonio de u Pessola ». NOTE. DI STORIA DELL ARTE E DELLA COLTURA A MILANO 9I c. 166, dicembre 4. « 1. 4. per costo duno donato compramo « per Isabella ». — dicembre 24. « 1. io a m.^ Gotardo grivello per intagliare u il contado nostro in piombo per le spingarde se fano a rona » (Arona). Sorprende la tenuità del compenso corrisposto a maestro Baldassare da Reggio per il ritratto al naturale del conte Giovanni. Di questo artista, che si sapeva esser stato occupato nella corte degli Sforza a dipingere ritratti, sarebbe venuto testé alla luce (i) un ritratto (una testa in profilo) dipinto nel 1493, in cui l'autore si chiama «|Baldasar. Estensis. nob. » e si dice d*anni cinquantasei ; ma a noi sembra assai dubbia 1* identificazione del Baldassare da Reggio che visse a Milano, col Baldassare d' Este. La presenza di Baldassare a Milano ci è attestata da un atto del febbraio 1461, con cui prese in affitto per un quinquennio da m.^ Ambrogio dei Fedeli « una stationa » o bottega per l'esercizio della sua arte (2). Nel 1465 Baldassare accoglieva nella sua bottega come discepolo Alessandro Buonvicini da Ardesio, l'avo del celebre pittore Moretto da Brescia (3). Degno di nota è. pure l'acquisto fatto a Firenze di cinque teste di damigella in pietra a colori. Le indicazioni sono troppo scarse per argomentare se si trattasse di medaglioni con teste in profilo a rilievo, ovvero di teste o busti a pieno tondo. 1467, e. 217, luglio 28. « Leonardo de pinzoni depintore (4) « de dare — contati 1. 16. sopra la sua rason de lavori fati per (1) E. CooK, Un altro ritratto di Baldassare d* Este, in Rassegna d'Arte, XII, 1912, p. 164. (2) ANM, nei protocolli di Protaso Sansoni. È curiosa la riserva che stipula il locatore, del diritto di a laborare in ea stationa » affittata a Baldassare, dum- « modo non laboret dictus magister Baldassar ». (3) ANM, nei protocolli di Giovanni Scazzosi 1465, aprile 22. Alessandro Bonvicini avrebbe dovuto stare in casa di Baldassare quattro anni e mezzo a ad t adiscendum et exercendum artem pingendi fìguras et alias piciuras :». Il contratto fu risolto anzi tempo, con atto 28 aprile 1466 (ANM, protoc. di Protaso Sansone). (4) Intorno a questo pittore vcggasi quanto ne dice il Malaguzzi, op. cit., pp. 55 e 90. I rapporti che Leonardo Pinzoni o Ponzoni ebbe con casa Borromeo COSI nel 1457 come nel 1473, rafforzano l'induzione del Malaguzzi, fondata sul nome a Leonardus » che sta sotto il cartello del ritratto d'uomo n. 69 della Galleria Borromeo. 92 GEROLAMO BISCARO u la caxa » (Seguono altri pagamenti; il conto si pareggia in lire 56.6). 1469, e. 306, luglio 16. « 1. 16.4. per costo a fare ritrare JsaH bela tuta al naturale da m.» Zaneto dipintore e donata a nostra H dona da sancto Celso ». — ottobre 2. « 1. 32.8 per costo di tre telle fiamenghe depinte. « le quali compramo da Giovan matheo toschano ». 11 maestro Zanetto che fece il ritratto di Isabella Borromeo per la Madonna di San Celso, è il Zanetto Bugatti che alla corte di Francesco e di Galeazzo Maria Sforza per quasi vent'anni tenne il primo posto quale ritrattista (i). Quanto alle tele fiamminghe il loro prezzo assai discreto denota che doveva trattarsi di arte de- corativa. 1470, e. 348, maggio 18. « 1. 31.4 a prete Ambroxo da sancto « petro maestro da schola de Giberto e Francescho. per parte de « sue fatiche ». e. 360, agosto 20. « 1. 3. per dazio e porto duno plinio ne fé ti venire da Vinexia Johane da Beluscho ». e. 391, dicembre 31. <« 1. 1.11.3 per leghatura duno offitiolo per M Jsabela e per una chiaveta d'argento posta al dito offitiolo. e « per palperi per scrivere per lo dito, e 1. 6.10 per uno libro grecho « compero prete Ambroxo per li puti ». 147 1, e. 408, gennaio 24. « 1. 16.8. donamo a m.o pollo sona- « tore de lyuto che stette con lo conte Vitaliano in caxa ». — luglio 4. « 1. 5. demo ad Ambrogio da Marliano per imi- « niatura duno libro ». e. 428, agosto 28. « demo a Giovanni da Lignano cartaro per « lighatura e fornimenti de libri facti a stampo, compero il conte ti Johanne a Roma, che sono libri .8. e per uno donato. 1. 20. e H demo al soprascripto per più cose per uxo della canzelleria da « dì iP de gienaro 1470 sino a dì 19 de marzo 1471. comò apare « per una lista 1. 16 ». — « demo a Ambrosio da Marliano per iminiatura a facto per « plinio e per le episiole de .... 1. 6.8 ». — ottobre 4. « per iminiature de Svetonio. e le epistole fa- « miliari, ed eticha Aulo gelio e le vie de Plutarcho. 1. 16.5. e per i) Cfr. Malaguzzi, op. cit., p. 125 e sgg. (I) NOTE DI STORIA DELL ARTE E DELLA COLTURA A MILANO 93 M scriptura dune offitiolo per lo conte Vitaliano 1. 7.7. e per imi- « niatura de capitoli XII per lo soprascripto offitiolo 1. 36. e per u 4 principi iminiati del soprascripto officiolo. 1. 4. e per salmi 12 « doro dipinti per lo stesso 1. 6.2. e per lo fornimento dargento « per lo soprascripto offitiolo 1. 5. e per una bereta morela donata « a prete Ambrosio da sancto piero perche fece fare le sopra- « scripte cose, in somma contati di cassa 1. 78.8 ». e. 445, dicembre 20. « 1. 12 demo a prete ambrosio da sancto « piero per uno offitiolo per Ysabella ». — dicembre 24. « 1. 2. demo al muto de prede per una nostra u dona depinta sulo offitiolo del conte ». 11 « muto de prede » qui ricordato è il Cristoforo Preda, uno dei migliori miniatori lombardi della seconda metà del Quattrocento, chiamato il « muto » perchè privo dalla nascita dell'uso dell'udito e della favella (i). 1472, e. 492. « I. 9. sino a dì 12 de febraro demo a Giovan « Ambrogio preda per chosto di 7 santi facti per lo offitiolo del « Magnifico conte Vitaliano ». e. 503, agosto 13. « 1. 3.6. per scriptura duno libro de sancto u brandano per domina contessa ». e. 509, dicembre 27. « 1. 39.12.2. demo a Bonino da Mombreto « per i.o libro ne dono de la vita de sancto Giovanni facta in « versi ». e. 513. « J. 8. demo a m.^ pieropolo darò magistro da tape- " zarie per tapezzerie conzo ». Il Giovan Ambrogio Preda, che miniò sette tavole dell'offiziolo del conte Vitaliano, è il noto pittore e miniatore; conosciuto in particolare come eccellente ritrattista e per i rapporti avuti con Leonardo da Vinci. Fratello minore del Muto, non vi ha dubbio che abbia appreso da costui i primi rudimenti nell'arte del minio. Nel 1472 non poteva avere più di diciotto anni. Vorremmo che i dati precisi sulla composizione e decorazione dell'offiziolo in dodici capitoli o rubriche miniate, con quattro « incipit » pure miniati, Coi salmi e con sette tavole, aventi ciascuna l' immagine di un santo, fossero tenuti presenti dagU studiosi, in vista della possi- (2) Cfr. iu quesV Archivio, il nostro appunto : Intorno a Cristoforo Preda, miniatore, ecc., XXXVII, 1910, pp. 223 e sgg. 94 GEROLAMO Bl SCARO bilità di identificare roffiziolo medesimo in qualche pubblica o privata collezione. 1473» e. 514, gennaio 12. « 1. 25.19.4. demo al Mag.^o conte « Vitaliano per pagare 16 quinterni de Oratione de papa pio gli H forno mandate da Siena ». — marzo 5. « 1. 3 demo a d. prete Ambrosio da sancto petro. « per i.o Virgilio facto a stampo e per li puti ». e. 522, marzo 22. « demo a m.° Leonardo di ponzoni depintor « per resto de 1. 66. monta la testerà dela cuna de putti comò apar M la dipintura e la nostra donna che gie suxo contemplando el suo « fiolo iesu christo 1. 54. e demo al soprascripto per i.o contado « facto suxo el camino ala camara dele donne, e per figurare la « dipintura ala dieta camara. e fare certi morsi in la camara del « conte Giovani 1. 9 ». — maggio 29. 1. 2 demo a d. prete ambrosio per due libri de « nostra dona e un payro de regole per li putti ». e. 534, novembre 17. « 1. io demo a d. angelo meraviglia per u scriptura duno tulio de officiis per lo conte Vitaliano ». e. 589, dicembre 31. « per giuponi dati — uno al mutolo per « più lavori facti per Io magnif. conte Vitaliano e li puti ». 1474, e. 545, maggio II. « demo a prete Ambrosio per carta u e scriptura duno offitiolo per francescho. e salmitti. e una non- « tiata. e uno sancto hieronimo 1. 10.6. e demo al soprascripto « per spexe facte a parte de carta per uno offitiolo per Giberto u 1. 16.13.4. e demo a Ambrogio de prede per miniature deloffiu ciolo de francescho .... e demo a prete Ambrosio per lega- « tura de lucano s. 14. e s. 20. per lo instrumento de prima tonu sura per Lodovicho e s. 27 per carte per fare scrivere erotimata « in greco, e al medico per Lodovicho s. 20. per ligatura duno u cornazano e rosmarino (?) ». e. 558, agosto 12. « 1. 3.4. a d. prete Ambroxo per costo dele « opere de tulio de senectute. e le opere de oratio per li puti ». e. 565, dicembre 24. « 1. 6. a d. prete Ambroxo da sancto u petro per costo de uno payro de erotimate in grecho in carta « per li puti ». Ripetiamo per Toffiziolo di Francesco Borromeo, miniato da Giovan Ambrogio Preda con l'Annunziata e un S. Girolamo quanto abbiamo osservato intorno all'offiziolo del conte Vitaliano. 1475, e. 571. u Maestro Giovanni Antonio di Piatti che ha NOTE DI STORIA DELL ARTE E DELLA COLTURA A MILANO 95. « fornire la nostra sepoltura di marmoro. de dare adì 13 di giugno. a 1. 44. gli abiamo dati in doe volte, contate di cassa ». 'Seguono altri otto acconti sino al 30 dicembre per l'importo complessivo di lire 235.6). 1476, gennaio 26. « 1. 18 demo per lui a Protaxo benzono w. — luglio T2. « 1. IO demo per lui. disse per comperare marmoro ». — novenmbre 20. « 1. 16 demo per lui a Gianantonio brioscho ». — dicembre 31. « 14.5. per marmoro .... per m.® Vincenzo « dal bissone ». (Durante l'anno altri diciannove acconti per V importo complessivo di lire 586.10). 1477, febbraio 12. « 1. 18. li demo contanti ». — aprile 18, « 1. 4 porto a benedetto brioscho. contati di cassa ». (Durante l'anno altri nove acconti per lire 105.4). 1478, gennaio io. « 1. 20 dati a Jacomo da Fagnano ». — aprile 18. « 1. 8 li demo sopra la ragione di quattro santi ». — aprile 23. « 1. 4.2.6 porto a Francescho da Cazanigo ». (Durante Fanno altri otto acconti per lire 156. 15.3). 1479, febbraio 16. « 1. 12 li demo sopra IIII.^' santi ». — marzo 16 (ultima partita) « 1. 9 li demo a Cristofano troto « per conto di UH.® santi ». ("Contro partita). — 1478. « Giovanni Antonio piatto de avere « adì 18 di marzo per le sue fatiche de mettere la sepoltura ne « fece a s. francescho e de rizarla a tutte sue spexe. eccetto per « li demo a farla portare e 1. 101.3 per fare fondare, sono in « tutto 1. 120. 14.9. a spexe di casa, in debito, fo. 661 ». (Scritto da altra mano) : « E per sue fatiche di detto lavoro « posto a spexe. fo. 582 1. 1282.0.6 ». 1475, e. 582. « Sepoltura di marmoro. la quale « faciem fornire, de dare adì 8. di luglo. demo al « seschalco per più spexe facte a condurre in be- « xagna (?) li marmori et fare conciare una camau reta del portico per li maistri che la lavorano. « comò apare per una lista in filza . . . . » 13-14 — >'• 1476, settembre 27. « 1. 8 demo a. m.° Martino benzono per « costo duno pezo di marmore per lo paviglione dela sepoltura de ^' quelo del domo di Milano ». — ottobre 20. « 1. 16. al detto m.° per marmore per la se- « poltura ». 96 GEROLAMO BISCA RO « E faciemo buoni a m.o Giovan Antonio piato in conto per la u sua faticha a fornire la dieta sepoltura, a lui. fo. 571. 1. 1244.5.1 »• (Contro partita). — « Sepoltura de avere posto « a spexe a libro bianco, f. 87 . . . . » 1282.0.6 ». 1475, e. 577. M 1. T2.6. demo a don Justino da san piero. ingle. « xate. per resto de due. 13. per la fìghura de santa Justina ne « mando da Vinegia ». e. 581, aprile 28. « 1. 5. a d. prete Ambroxo per chosto duno « offitiolo per lo ÌAs° conte Vitaliano ». — « 1. 8.7. per armature poste in la chapella grande de S. Maria « pedone per dipingerla ». — « 1. 3.15. a d. prete Ambroxo per chosto duno donato per M lodovicho w. e. 588, dicembre 24. « 1. 12.16. a d. prete Ambroxo de sancto « petro per miniatura, per salmi, e uno santo facto alle epistole u de papa pio ». e. 594, dicembre 11. « 1. 12 a Tadio da busti per i.^ bibia in « palpiro stampita ». — « per miniatura del libro de papa pio s. 32. per lighatura ti de deto libro s. 32. e per dui tarenzi e altre spexe per li putti u 1. 3.9.3 ». e. 596, dicembre 14. « m.° Piero da marghexi pinctore de dare « 1. 160 contati in più volte da 14 de decembre 1474 infino adi 6 « de settembre 1475 sopra la dipintura dela capella granda de u sancta Maria pedone come a libro rosso. — Item sopra detto « lavoro 1. 100. — Nota nabiamo confession in Tomaxo da Giusa sani per part.e e pagamento di deto lavoro che monta a due. 100. « tutte le spexe ». e. 597, dicembre 30. «< 1. 12. a m.^ Gotardo schoti per dipintura « de 5 tele da pertiche da sparvieri ». 1476, e. 601, marzo io. « 1. 15 per miniatura di salmi e sal- « miti e la bibia ». 1478, e. 661, marzo 19. « a m.» Gio. antonio piatto per metu tere insieme la sepoltura nostra in sancto francescho 1. 100. e « 1. 10.13 per la portatura a S. Francescho e 1. io per lo fondaH mento dela sepoltura ». e. 667, maggio 16. « demo a prete ambrogio da sancto petro « per più spexe fece aloficiolo de d. Ixabella conio apare per una NOTE DI STORIA DELL ARTE E DELLA COLTURA A MILANO 97 « lista 1. 3.5. e 1. 15. 19.6 al deto per spexe facte aloficiolo del « conte Jo. ... ». L'opera d'arte più importante di questo periodo (1475-1478) è u la nostra sepoltura de marmoro », che nel 1475 fu data a « fornire » a maestro Giannantonio Piatti. Questi non era certo fra i migliori scultori di Milano; che in quel tempo ne contava parecchi di assai valenti a cominciare dal valentissimo Amadeo. Basta a giudicarlo la statua, debole sotto ogni aspetto, di Platone, ora nel cortile della biblioteca Ambrosiana ; dal quale, con audacia pari soltanto all'incoscienza, egli fa sapere, nella iscrizione segnata in basso, di derivare insieme all'origine il genio, e di avere quell'effigie a propriis « manibus » scolpita nel 1478. Di lui nuli' altro si sapeva se non che nel 1474 e nel 1478 aveva fatto più statue per il Duomo, che finora non è stato possibile di identificare. Testé, in questo stesso periodico (i), si sono pubblicati alcuni documenti, da cui risulta che nel 15 marzo 1478 il Piatti ebbe dall'abbate di S. Lorenzo di Cremona la commissi ne di un'arca suntuosa in marmo di Carrara, destinata a custodire le reliquie dei martiri persiani, per il prezzo di 400 ducati. Iniziato il lavoro e riscossi cento ducati, il Piatti mancò a' vivi sulla fine del 1479 o nei primi mesi del 1480. A condurre a termine l'opera rimasta imperfetta, fu chiamato l'Amadeo, il quale la compì entro il 1482. E' probabile che così dai conti Borromeo come dall'abate di S. Lorenzo si sia data la preferenza al Piatti in luogo di altri maestri a lui di gran lunga superiori, perchè, appartenendo a vecchia e doviziosa famiglia milanese, egli avrà saputo off'rire più sicure garanzie per la puntuale osservanza delle condizioni del contratto ; quelle garanzie che troppo spesso l'esperienza dimostrava vane ed inefficaci in confronto d'artisti di grido, solleciti nell'assumere le commissioni e nell'intascarne i correspettivi, ma sistematicamete dimentichi dei termini stabiliti per l'esecuzione. Quanto alla tomba dei Borromeo, il compito del Piatti non era di concepire, sbozzare e tradurre in atto una nuova opera d'arte. Si trattava di portare a termine (« fornire » per finire) un'opera già condotta innanzi da altri maestri. Ed il Piatti bene ha potuto farsi coadiuvare da eccellenti artefici, quali il Fran- (i) XL, 1912: C. Bonetti, L'arca dei martiri persiani, p. 387 e sgg. Arch. Slor. Lomb., Anno XLf, Kasr. I-T[. / 98 GEROLAMO BISCARO Cesco Cazzàniga e il Benedetto Briosco, i cui nomi ricorrono nelle registrazioni, e dallo stesso Amadeo ; sebbene il nome di costui non apparisca fra coloro ai quali per ordine del Piatti furono versati acconti sulle somme a lui dovute. La chiamata a Cremona dell'Amadeo a rimpiazzare il Piatti defunto, posta in relazione coi caratteri stilistici dei bassorilievi della tomba dei Borromeo, potrebbe anzi indicare che in ambedue le commissioni dietro al Piatti vi fosse stato l'Amadeo, il quale, non potendo, perchè carico di lavori al Duomo, alla Certosa e alla corte Ducale, e forse per espresso divieto fattogliene da chi presiedeva a quei lavori, assumere in proprio altre commissioni, mandava innanzi il sedicente pronipote dello Stagirita; che non gli poteva nuocere, e che, pago della fama eh' ei sperava gliene derivasse, non avrà avuto difficoltà di lasciare all' insigne maestro, insieme alla maggiore fatica, il maggior lucro del lavoro. Il compenso corrisposto al Piatti « per le sue fatiche a fornire « la sepoltura » ascese a lire 1244.5.1, pari a circa quattrocento ducati. Altre lire 37.16.5 andarono nell' acquisto di due pezzi di marmo del Duomo, dei quali l'uno era destinato al « paviglone ", e nella spesa per far trasportare il marmo là dove doveva essere lavorato, e nel disporre un locale per i maestri nel portico di casa Borromeo. Terminato, nello spazio di quasi quattro anni, il lavoro, il Piatti provvide al trasporto dei pezzi del monumento nella chiesa di S. Francesco, alle fondazioni e alla posa in opera; il che importò la spesa di altre lire 120.14.1. Il raffronto delle registrazioni degli anni 1445 e 1446 relative alla sepoltura lavorata dai due maestri da Carona con quelle degli anni 1451 e seguenti intorno ai « marmori di Carrara per fare « una nostra sepoltura », e del periodo 1475-1478 intorno al compimento della sepoltura affidata al Piatti, e l'osservazione di autorevoli critici d'arte circa l'esistenza, nel sarcofago Borromeo, di elementi propri dell'arte lombarda della prima metà del quattrocento, insieme ed altri elementi che offrono i caratteri della scuola dell'Amadeo, c'inducono a presentare la seguente ipotesi sulla storia dell'insigne monumento. La concezione generale e il disegno della tomba, ispirata al ipo dell' urna sepolcrale di S. Pietro martire a S. Eustorgio, di Giovanni di Balduccio pisano (1339), appartiene ai due maestri da Carona, Filippo Solari ed Andrea, che ne iniziarono il lavoro NOTE DI STORIA DELL ARTE E DELLA COLTURA A MILANO 99 fra il 1444 e il 1445. Ad essi appartengono i leoni accosciati che reggono i plinti, le scolture dei quattro lati dei plinti medesimi, i pilastri rettangolari coi capitelli a ricco fogliame, le statue di guerrieri reggenti targhe araldiche, appoggiati ai pilastri, le due cornici della grande arca con le lesene degli scomparti e le nicchie degli angoli smussati, le due glorie d'angeli salmodianti con nastri dai motti latini in caratteri gotici, sottto il cielo dell'arca, e fors'anche la lunga teoria di puttini ed angeletti, svolgentesi sotto la cornice superiore. Rimasto interrotto il lavoro verso il 1448 per i torbidi della repubblica ambrosiana, che si ripercossero sinistramente nelle vicende della famiglia Borromeo, si trovò opportuno, nel primo mastro successivo al cessare della crisi (1450), di segnare, secondo le regole della contabilità allora in uso, l'ammontare complessivo della spesa sostenuta per l'acquisto del marmo e per la mano d'opera (lire 2291. 16.9), come valore di un'entità patrimoniale; che passò poi inalterata nei mastri successivi, in attesa del momento di riprendere il lavoro. Ciò avvenne nel 1475, quando il conte Giovanni decise di affidarne al Piatti il compimento. La provvista di un pezzo di marmo del Duomo « per il paviglone » sembra accennare ad una modificazione portata all' originario disegno, in relazione al proposito dello stesso conte Giovanni di destinare quella tomba in modo particolare ed esclusivo alla propria salma ; proposito esplicatosi col far collocare sotto il padiglione la sua effige. La parte nuova, scolpita in minima parte dal Piatti e il resto da altri maestri a di lui nome, sarebbe costituita dagli otto riquadri a bassorilievi con le scene principali della vita del Redentore, dalle statuette appoggiate alle lesene dei riquadri, da quelle collocate nelle nicchie degli angoli smussati, dalla statua giacente del conte Giovanni e dal padiglione. Non è senza interesse considerare brevemente i giudizi espressi intorno al monumento nell'ultimo ventennio in base ai dati storici, scarsi ed inesatti, di cui si disponeva. Si sapeva dal Torre (i) che « il suntuoso mausoleo, lavorato « tutto a scalpello » con l'effigie del conte Giovanni Borromeo si trovava nella basilica di S. Francesco a destra della nave centrale, isolato e « guardato da stecconi di ferro ». Nella Genealogia della (l) // ritratto di Milano^ Milano, 1674, p. 202. lOO GEROLAMO Bl SCARO 1 famiglia Borromeo il Pulle (i) aveva attribuito al conte Vitaliano * Borromeo, prima del 1449, l'idea di costruire a S. Francesco un monumento per deporvi le trecce di S. Giustina, che si sperava di ottenere in dono da Padova, a cagione del culto che i Vitaliani di quela città, da cui il conte Vitaliano discendeva, professavano verso la Martire, come un' illustre antenata della propria stirpe. Venuta meno la speranza del dono e morto nel 1495 il conte Giovanni, i suoi figli destinarono il monumento a suntuoso sarcofago per la salma del padre. Il dott. Diego Sant'Ambrogio, illustrando i Sarcofagi Borromeo all'Isola Bella (2), si propose di trattare « funditus « tutte le questioni storiche ed artistiche riflettenti questa tomba. « Da una anno- « tazione rinvenuta fra le carte dell'archivio Borromeo » l'egregio studioso avrebbe rilevato che fino dal 1454 Vitaliano e Giovanni Borromeo provvidero all'acquisto del marmo occorrente, fornito da una cava di Besano preso Arcisate, per il prezzo di lire 2291, e che il lavoro fu poi affid to allo scultore Piatti che lo eseguiva nel periodo dal 1475 al 1479, per il corrispettivo di lire 1379.2.9. Volendo conciliare il racconto del Pullè con questi dati e coi caratteri stilistici delle varie parti del monumento, il Sant'Ambrogio concludeva che « il votivo monumento di S Francesco fu comin- » ciato dal 1475 al 1479 da Vitaliano e Giovanni Borromeo col di- « vis^mento di foggiarne un'urna a custodia delle treccie di S. Giu- « stina. Rimasto incompiuto il lavoro per la morte del Piatti in- « torno al 1479, fu ripreso verso il 1495, quando, per il rifiuto « dei Padovani di cedere le ambite reliquie, i figli di Giovanni « Borromeo pensarono di destinarlo a sarcofago del padre loro », affidandone l'incarico all'Amadeo. E poiché uno dei cavalieri reca nella targa scolpita l' impresa del freno d'argento, lo scrittore, affermando che quest'impresa fu concessa al conte Giovanni per la vittoria del 1487 contro gli Svizzeri presso Domodossola, ne traeva la conseguenza che anche « le statue dei giganti » (poco più di metà del naturale!) furono condotte a fine dall'Amadeo dopo la morte del Piatti. È d'uopo credere che il citato documento dell'archivio Borromeo sia stato letto con precipitazione. L'annotazione relativa alla spesa (i) Famiglie notabili di Milano, Borromeo-V ita liani. (2) Milano, 1897, p. 25 e sgg. NOTE DI STORIA DELL ARTE E DELLA COLTURA A MILANO lOI di lire 2291 per l'acquisto del marmo non è altro che la registrazione dei mastri 1451-52, 1453-55 e sgg., della partita di lire 2291 169, intestata « marmori di carrara fatti venire per fare una nostra seu poltura ». Di Carrara dunque, non di Besano presso Arcisate ! Dobbiamo anche ritenere che al Sant'Ambrogio sia sfuggita la nota del 1478, relativa alla spesa per trasportare e mettere insieme il monumento nella chiesa di S. Francesco. Diversamente non avrebbe tanto fantasticato sulla morte del Piatti e sulla chiamata dell'Amadeo dopo la morte del conte Giovanni. Quanto all'argomento desunto dal morso o freno d'argento, rispondono per noi le registrazioni del 144.6 e del 1473, relative la prima alla pittura di 75 targoni « con il morxo », la seconda a certi morsi dipinti da Leonardo dei Punzoni nella camera del conte Giovanni, che provano come il morso fosse stato adottato dai Borromeo per propria impresa quarant'anni prima della vittoria di Domodossola (i). Il primo che cominciò a vederci chiaro fu Giulio Carotti che, in un articolo pubblicato in un giornale cittadino (2) a commento dello studio del Sant' Ambrogio, non esitò ad attribuire a Matteo dei Raverti l'originaria concezione del monumento; allo stesso Raverti l'esecuzione della parte inferiore con le statue degli uomini d'arme reggenti lo scudo araldico, le cornici a fogliame del sarco- fago, le sculture delle basi e gli altri elementi decorativi secondari dello stesso sarcofago; alla scuola dell'Amadeo gli otto bassorilievi che ne adornano le facce; j-lla stessa scuola, ma ad altra mano, la statua giacente sopra il coperchio ; e ad epoca più tarda ancora il tabernacolo. In linea storica, partendo dal racconto del Pullè circa il proposito del conte Vitaliano di destinare l'urna a custodia di una reliquia di S. Giustina, il Carotti^ a conforto del suddetto racconto, richiamò una pittura del secolo XVII che si conserva nella villa Borromeo all'Isola Bella, raffigurante, come ricorda l'iscrizione, il conte Vitaliano, circondato da architetti, scultori e famigliari, in atto di ordinare l'esecuzione di una magnifica arca per S. Giustina di Padova. L'arca è dipinta nello sfondo del quadro e sul foglio (i) Ulteriore confermi ci è data dalla registrazione del 15 novembre 1446 (e. ^07, conte Vilaliano B. — « per fare li morsi a le zornce di famigli e t vestili »). (?) La Perseveranza, 24 giugno 1897. L'articok) fu tradotto e pubblicato dal Meycr nel Repertorium fiìr Kimslwissenschaft, 1897, p. 505. I02 GEROLAMO BISCARO che viene presentato al Borromeo ; ma nello sfondo appare priva * della statua giacente e del tabernacolo di coronamento, che figura f invece nel disegno della pergamena. Quanto all' attribuzione al Raverti, della cui attività si hanno notzie per il periodo dal 1389 al 1432. non pare dubbio che il suo nome sia corso sulle labbra del Carotti perchè è noto avere il Raverti scolpita nel 1422 a Venezia una tomba suntuosa per un altro Borromeo, Alessandro, pur troppo scomparsa o distrutta in epoca non remota. 11 riscontro degli elementi stilistici fra le opere certe del Raverti e la parte del monumento Borromeo che a lui si attribuisce, è piuttosto generico. Riguarda i caratteri generali della scoltura nella Lombardia verso la metà del Quattrocento, quando cominciava a diffondersi lo stile degli artisti toscani che lavorarono a Castiglione d'Olona (1425-1441). Quasi contemporaneamente al Carotti, e a quanto sembra, senza che avesse avuto sentore delle di lui argomentazioni, il Meyer, nel primo volume della pregevole sua opeca. sulla scoltura del prerinascimento in Lombardia (i), esprimeva la convinzione che tutta la parte inferiore della tomba Borromeo rispecchi la tradizione medievale nell'ultima sua fase, in modo da ricordare assai da vicino il Raverti. Ritornando sull'argomento dopo tre anni lo stesso Meyer (2) sviluppò più ampiamente, ccn opportuni raffronti, le proprie vedute, collimanti, nei punti fondamentali, con le conclusioni del Carotti. AH'Amadeo, o piuttosto alla sua bottega, sono da ascriversi le sacre rappresentazioni in rilievo degli specchi del sarcofago. Del Piatti sarebbero soltanto alcune delle statuette poste dinanzi ai pilastrini che tramezzano le singole rappresentazioni, e di quelle collocate nelle nicchie d' angolo, in particolare quella del profeta all'angolo anteriore di destra. La statua giacente e il soprastante padiglione appartengono all'ultimo decennio del secolo, quando il monumento fu completato per ricevere la salma del personaggio raffiguratovi. Tutto il resto, comprese le statue dei guerrieri, è nello stile di transizione della metà del Quattrocento, che, esprimendo gli ultimi accenti dell'arte medievale, prelude il primo rinascimento toscano. Notiamo i riscontri del Meyer, dei guerrieri (i) Oheritalienische Frùììrenaissance, 1, Berlino, 1897, p. 75. (2) Op. cit., II, 1900, pp. 505 e sgg. NOTE DI STORIA BELL ARTE E DELLA COLTURA A MILANO IO3 con qualcuno dei giganti del Duomo, e delle schiere di putti e d i angioletti svolgentisi sotto la cornice coi putti musicanti di Donatello a Padova. Ritorna sulle sue labbra il nome del Raverti; però non vi insiste troppo, perchè, secondo i documenti indicati, ma non pubblicati nel loro testo, dal Sant'Ambrogio, non sarebbe possibile far risalire l' inizio del lavoro dell'urna destinata a ricevere le reliquie della Martire di Padova, più indietro del 1454. Il Malaguzzi (r), che fece oggetto di uno studio assai accurato ed intelligente gli otto bassorilievi del sarcofago, ravvisando ne'la maggior parte di essi la mano dell'Amadeo e negli altri quella di qualcuno dei migliori suoi collaboratori, che potrebbe essere il Benedetto Briosco, per tutto il resto si uniformò alle conclusioni del Carotti e del Meyer. Eguale avviso espressero i moderni editori del Cicerone di Burckardt (2). L'ultimo a parlarne è stato il Venturi (3). Ma, sia detto con tutto il rispetto dovuto all'eminente storico dell'arte italiana, non ci sembra che questa volta il suo giudizio, tanto dissonante da quello degli altri scrittori, rispecchi molta ponderazione. Dopo aver per primo rilevate le notevoli analogie che si riscontrano nella composizione e in alcuni particolari della tomba Borromeo con l'urna di S. Pietro martire, il Venturi non si perita di qualificare stranezza che siasi potuto « vedere questo monumento composto « in diversi tempi ». Vero è invece, egli osserva, che eseguito con marmo fatto venire da Besano presso Arcisate, fu scolpito interamente dal Piatti. « L' insieme è organico ; lo stile di tutto il mo- « numento è unico ». E poiché del Piatti non si conosceva che la statua di Platone, « ben meritevole, conclude, era costui di mag- « gior fortuna, come lo dimostrano le figure dei guerrieri e i bas- « sorilievi dell' urna de' Borromeo che rispecchiano degnamente « l'arte dell'Amadeo »; del quale il Piatti può considerarsi il più antico discepolo. 1 documenti che noi ora pubblichiamo, autorizzano a ritenere non strani, ma esatti nei loro punti essenziali i giudizi tecnici e stilistici e le induzioni in linea storica del Carotti, del Meyer e del Malaguzzi. (i) Gio. Antonio Amadeo, Bergamo, 1904, p. 239 e sgg. (2) IO.»' ediz., 1910, di Boie e Fabriczy, II, p. 524. (3) Storia dell'Arte^ VI, La scoltura del 400^ 19 'O, p. 906. I04 GEROLAMO DISCARO Ci resta a considerare la questione intorno alla primitiva destinazione del monumento, se cioè sia da ammettersi il racconto espresso nel quadro del secolo XVII di casa Borromeo. Non esitiamo a riconoscere il valore storico di una tradizione famigliare raccolta in una rappresentazione pittorica alla di^^tanza di appena due secoli dall'avvenimento in essa raffigurato. Questo valore si accresce se si considera trattarsi di una grande famiglia che aveva il culto dei suoi avi, dei quali custodiva, come custodisce ancora, religiosamente le carte e i registri domestici. Ma oltre a questo argomento, di carattere presuntivo, altri ne abbiamo desunto da dati positivi e concreti, che rendono verosimile l' ipotesi essersi dal primo dei Borromeo di Milano che fu, nel 1445, insignito del titolo comitale, Vita iano, figlio di Giacomo Vitaliani da Padova, pensato di ottenere da Padova qualche reliquia, non l'intero corpo, di S. Giustina. Che i Vitaliani di Padova vantassero rapporti di agnazione con la Santa e che di questi rapporti menassero vanto il conte Vitaliano e dopo di lui i suoi discendenti, appare manifesto dalle due orazioni del Filelfo (i), tenute, T una nel 1^46 per la elevazione di Giacomo Borromeo alla cattedra di S. Siro di Pavia, l'altra il 20 aprile 1464 per i funebri del conte Filippo fu Vitaliano; nelle quali l'oratore rammenta come i Vitaliani discendessero da Vitaliano, antico re di tutta la Venezia, discendente alla sua volta da Antenore troiano, fondatore di Padova, e padre della santa vergine e martire Giustina. Che fra il 1445 e il 1446, quando a Milano i due maestri da Carona scolpivano « la sepoltura >», il conte Vita iano si sia in qualche modo occupato del culto di S. Giustina, lo argomentiamo da alcune registrazioni del 1446 relative ad una gita da Milano a Venezia per Padova, fatta nella primavera di quell'anno dal conte Vitaliano, e alla spesa di lire 90.14.6 per un calice d'argento con smalto, fatto fare appositamente dall'argentiere Michele d' Incino « per lo conte per portare a Padoa »; essendo assai probabile che quel calice fosse destinato per un'of- ferta alla chiesa di S. Giustina, ove si custodiva la salma della Martire. Si è veduta più sopra la registrazione del 1475 relativa all'acquisto di una statua raffigurante S. Giustina, mandata da Venezia a Milano, con la spesa di quindici ducati. Sappiamo inoltre che (i) OrationeSj ecc. Milano, 1484, pp. 36 e 61. NOTE DI STORIA DELL ARTE E DKLLA COLTURA A MILANO IO5 a S. Maria Podone esisteva uu altare dedicato alla Santa (i) e che una pala d'altare della collezione Borromeo, attribuita al Buti» none (2), della fine del Quattrocento, contiene insieme ad altri santi e sante l'immagine di S. Giustina. Dovremmo in base a questi dati, che si aggiungono alla tradizione espressa nel quadro, concludere che veramente la sepoltura,, al cui lavoro negli anni 1445 e 1446 attendevano maestro Filippo e maestro Andrea, fosse destinata a servire per custodia delle trecce o di altra reliquia del corpo della Santa? Noi stentiamo a crederlo. Le eccezioni che muoviamo a questa ipotesi sono le seguenti: j.** l'inverosimigiianza che persone accorte e previdenti, com'erano padre e figlio. Vitaliano e Filippo Borromeo, si fossero sobbarcati a una spesa riflessibile, ammontante fra il marmo e la mano d'opera a circa 300 ducati, senza la sicurezza di avere a suo tempo il possesso dell'agognata reliquia ; 2.° il difetto, nelle registrazioni del 1445 e 1446 relative al lavoro cui attendevano i due maestri di Carona, di qualsiasi accenno anche indiretto che il monumento fosse destinato a fungere da reliquiario; 3.^ il disegno e le proporzioni della tomba, che quanto al disegno si differenzia dalle urne per i corpi di Santi, ch'erano in quel tempo più note e venerate nella Lombardia, l'arca di S. Pietro Martire e quella di S. Agostino, i cui coronamenti, che mancano nella tomba Borromeo, conferiscono a dare loro l'aspetto di grandiosi reliquiari; e quanto alle proporzioni, sarebbe stata esuberante per la custodia di un oggetto che, come una treccia od uno stinco, si può contenere in piccolo spazio ; 4.0 la denominazione di « sepoltura » data al monumenta nella prima registrazione del 1445, che esprime il concetto della collocazione dell'intera salma, non di una parte minima od acces- soria della stessa ; 5.0 la mancanza negli emblemi e nelle raffigurazioni della tomba, risalenti a quel primo periodo, di elementi che in qualche modo la colleghino al culto di una santa vergine e martire. (i) Latuada, op. cit., p. 187. (2) F. Malaguzzi, Pittori Lombardi del Quattrocento, Milano, 1902, p. 5 1g6 GEROLAMO BISCARO Crediamo di spiegarci come abbia potuto formarsi e prendere corpo la tradizione famigliare, considerando che in verità il conte Vitaliano, nello stesso tempo che aveva cominciato a far lavorare u la sepoltura », destinata a raccogliere la propria salma, avesse avviato pratiche per ottenere, col tramite dei parenti Vitaliani di Padova, ridotti in condizioni di fortuna assai modeste, come ne attesta il Filelfo (i), qualche parte del corpo della Martire ; alla quale si proponeva di dedicare una cappella con un suntuoso altare ed un ricco reliquiario nella chiesa di S. Maria Podone, già a tutte sue spese ricostruita, ove egli voleva essere sepolto. Le pratiche continuavano senza grande speranza di successo, come continuava il lavoro della sepoltura; quando sopraggiunsero i torbidi della Repubblica ambrosiana, la crisi economica di Milano, seguita dalla chiusura óeì banco e dalla fuga del conte Vitaliano ad Arona, ove presto la morte lo sopraggiunse. I due maestri da Carona erano stati licenziati, e per allora non si parlò più della reliquia della Santa. Dopo quasi un quarto di secolo che i marmi giacevano in qualche magazzino del palazzo, il primogenito del conte Filippo, pensò di far « fornire » l'opera rimasta interrotta e di destinarla a proprio mausoleo nella chiesa di S. Francesco. Di qui l'aggiunta della statua giacente del conte Giovanni e del padiglione. Nessuna meraviglia che alla distanza di quasi due secoli, nei ricordi dei pronipoti, annebbiatisi dall'accavallarsi di una folla di impressioni e di avvenimenti che riguardavano i parenti più prossimi, assai più illustri degli avi lontani, si *sia confusa la storia delle pratiche infruttuose del conte Vitaliano per avere una reliquia della Santa di Padova, con la storia della grande arca del conte Giovanni, incominciata dallo stesso Vitaliano e rimasta alla sua morte, interrotta (2). (i) Op. cit., p. 61. {2) Vi sarebbe bensì un'altra ipotesi ; che cioè « la sepoltura » fosse desti nata a custodire non le trecce od altra parte del corpo della Martire, ma l' in- tera salma. In questo caso però converrebbe ammettere che il conte Vitaliano avesse divisato di offrire l'arca marmorea alla chiesa di S. Giustina di Padova. E' assurdo pensare che, in un'epoca nella quale il culto per i corpi dei santi tutelari si considerava come un elemento essenziale per l'esistenza stessa, non che per il decoro della città, una persona di senno si fosse illusa un solo istante di poter ottenere in dono per una chiesa di Milano il corpo della Santa che per i padovani costituiva uno dei pegni più preziosi del loro patrimonio spirituale. NOTE DI STORIA DELL'aRTE E DELLA COLTURA A MILANO IO 7 Ritornando ai due maestri da Carona, nei quali si dovranno riconoscere gli autori della con ezione originaria del monumento e gli artefici della parte sua più eletta, di uno di essi, Andrea, ci manca qualsiasi dato sicuro per identificare la sua personalità ; dell'altro, Filippo, sappiamo, da alcuni atti notarili milanesi (i) che apparteneva alla grande famiglia dei Solari da Carona. Figlio di un maestro Baldassare (volg. Balzarino) aveva il suo domicilio a Melide, piccola terra vicina a Carona sul lago di Lugano. Nel 27 giugno 1446, dicendosi appunto domiciliato a Melide, ma dimorante a Milano, nella parrocchia di S. Maria Podone, acquistò un censo livellarlo da un suo agnato, maestro Pietro Solari, per la somma di lire 153 ii. Inserte nell'atto vi sono le lettere ducali autorizzanti la cessione, in cui è ripetuta la supplica di Pietro a ma- « gister a muro » e di Filippo « intaliator lapidum, affines de Soft lario ». Altre notizie si hanno in un atto del 1438 con cui un suo fratello. Donato, abitante a Carona acquistò nell' interesse di entrambi un pezzo di terra in quel di Marossia, ed in un terzo atto, del 1442, ove il suo nome compare insieme ai nomi dei suoi fratelli Donato e Alione fra i proprietari di terre nel territorio di Carona, confinanti con alcuni appezzamenti posseduti dai tre fratelli maestri Giovanni, l'architetto dei Duomo e della Certosa, Pietro ed Alberto, fu Marco. Infine, da un atto del 1460 relativo al censo acquistato nel 1446 appare che Filippo era morto, lasciando erede un unico figlio, Francesco Solari. La persistenza di Filippo Solari nel tenere il proprio domicilio (i) ANM, nei protocolli di Giovanni Sansoni, J 438 gennaio 18: « Donatus a de Solario fq. magisiri Baldesaris habitator in terra de Carona plebis Lugani « suo nomine et nomine Filippi de Solario fratris sui » acquista alcune terre in e Marosia » sul lago di Lugano; — 1442, ottobre 15 — me di Martino, fratello di maestro Filippo, segnato in una registrazione del 12 dicembre 1445, e che s' incontra pure nell'atto del 1442 come altro (« Martini de Solario ») dei consorti Solari proprietari di terre in quel di Carona in confine con gli appezzamenti posseduti dai tre fratelli Solari di Milano, figli di maestro Marco, richiama alla memoria il padre di Pietro Solari-Lombardo da Carona, l'avo di Antonio e di Tullio, che, come è noto, fu Martino. E' assai probabile che nel 1445 Martino Solari prestasse la sua opera di scultore o scalpellino nel sarcofago Borromeo, quale collaboratore del fratello e dell'altro maestro suo conterraneo. Alla branca milanese della grande consorteria dei Solari da Carona, che mette capo a Marco, uno dei primi maestri architetti del Duomo di Milano, fa degno riscontro la branca veneta che si illustra coi nomi dei tre grandi scultori del rinascimento e che avrebbe avuto nella propria linea come primo insigne maestro uno dei due artefici della parte più eletta della tomba Borromeo. Gerolamo Biscaro. Rapporti fra una i< terra » e i suoi signori (Vigevano e i duchi di Milano nel secolo XV) ^T«- r~^^^^fi il oirHÈ forse titolo e sottotitolo riusciranno discretamente sibillini, ci proveremo subito a chiarire con men concise parole lo scopo di questo lavoretto. Se noi af- fermassimo che i duchi di Milano avevano sulle terre acquistate o conquistate un potere assoluto , non riveleremmo certo un mistero: è l'idea che in generale si ha di loro e di altri principi del loro tempo (i). Ma che dobbiamo, proprio, intendere per « potere assoluto »? e come veniva esso esercitato? Di qui lo scopo del nostro articolo : citare una serie di fatti, che dimostrano come il potere dei signori milanesi fosse quello d' un padrone, il quale alla propria autorità trovava, caso mai, limiti nel proprio animo, nella propria forza, nel proprio interesse, non, o solo volontariamente, in diritti dei sudditi, anche se già concessi o riconosciuti. 11 savio lettore ci obietterà che non fa primavera una rondine, e il caso di Vigevano potrebbe non aver T importanza d*un caso generale. Né, rispondiamo, avremmo noi intenzione d'attribuirgli tanto. Ma, o il modo di trattare le terre sottoposte era, ne' suoi caratteri fondamentali, secondo par credibile, eguale per tutte, e Vigevano conta quale un'altra terra; o non era, e le nostre ricerche possono almen giovare come una parte degli studi analitici neces- (i) Cfr. Ercole, Comuni e Signori nel Veneto ^ in Nuovo Archivio Veneto^ N. S., a. X, 1910, p. 25 s e sgg. Per Urbino e sjprattauo per il secolo XV non è di tale parere G. Luzzatto, Comune e principato in Urbino nei secc. XV e XVI, in Le Marche, luglio-ouobre 1905, p. 187 e sgg. no FELICE FOSSATI sari a preparar la sintesi : la discreta importanza di Vigevano nel '400 e nel ducato milanese ci lascia sperare che non abbia a riuscir una parte assolutamente trascurabile. Il duca (i) dunque era un vero padrone, diremmo un proprietario. Non c'è da pensare a statuti che le terre avessero, a diritti già ammessi, a consuetudini più o meno antiche e salde, più o meno fedelmente e costantemente rispettate. Noi non intendiamo certo negare qualsiasi valore, per esempio, agli statuti che il conte di Virtù diede nel 1392 a Vigevano ; ma che altro possono ritenersi, se non una concessione assolutamente volontaria e temporanea d'alcune norme di vivere? E non sono poi neanche in se medesimi una gran cosa (2) : si fissano i diritti del padre sulla moglie e sui figli ; si danno disposizioni sui debitori e sui creditori; si stabiliscono regole per la fabbricazione e i prezzi dei mattoni e dei « coppi », per la rinnovazione degli estimi, per i doveri e le retribuzioni del vicario, per la nomina dei campari, dei servitori del comune, dei vari ufficiali, del consiglio, per le misure e i pesi, per la vendita del vino, delle carni, del pane, per i pedaggi, per i carichi dei vari grani, per i mugnai e i pesatori delle farine, per il modo di misurare il panno, ecc. E' vero che tali norme erano state proposte dal comune stesso, ma il principe le aveva modificate (non sappiamo quanto) e approvate.... sino ad ordine contrario: e appunto il valore degli statuti e l'autorità del Visconti appaiono chiari dai termini lucidissimi dell'approvazione: « His alligata statuta comunis « nostri Viglevani, que sunt numero capitullorum quatuorcentumu viginti duorum vobis remitentes et que videri examinari et co- « rigi fecimus secundum quod prò comune bono et utilitate hou minum nostrorum diete terre Viglivani cognovimus expedire, eau dem statuta presentium serie aprobamus laudamus et confirmau mus ipsaque debere observari prout iacent ad literam iubemus « et mandamus retent. tamen in nobis arbitrio potestate et baylia M dieta statuta corigendi ipsaque addendi et diminuendi ac ea emen- (i) Diciamo così per semplicità: nel secolo XV, però, a tacere della repubblica ambrosiana, Vigevano fu qualche tempo sotto il conte di Pavia e sotto Fa- cino Cane. (2) Si conserva il volume nell'archivio Civico di Vigevano : mancano i primi fogli. RAPPORTI FRA UNA « TERRA » E I SUOI SIGNORI, ECC. Ili « dandi et interpretandi prout nobis videbitur et plaeebit, non inu tendent, propterea quod ex hoc preiudicetur in aliquo decretis « nostris factis vel fiendis » (i). Ed è anche vero che il comune poteva introdurre cambiamenti o aggiunte negli statuti, ma solo tol beneplacito del signore. Il 25 giugno 1398 il Virtù accetta un' aggiunta con la sola condizione che il consiglio Comunale l'approvi nuovamente (2); ma, avendogli questo mandato tre capitoli, uno sul modo di procedere nelle votazioni, due contro i giocatori « ad « taxillos ", il 2 marzo 1399 risponde « videri et diligenter exami- « nari fecimus nec non corrigi » i detti capitoli : e li abbia pur fatti correggere (che non si può capire) secondo le proposte del consiglio, ma poi aggiunge che le norme della votazione dovranno esser seguite « salvis semper et reservatis omnibus litteris et man- « datis Ijl.'^i D. D. ducis Mediolani etc. Papié ac Virtutum comitis « et preceptis fiendis per nunc vicarium et futuros » (3). Analogamente, volendo modificare le condizioni dell'eleggibilità, i consiglieri ordinano « quod scribatur 111. domino domino quod susperi- « datur statuta comunis Viglevani videlicet quod possint eligeré « plus quam tribus de Consilio facto partito de sedendo et levando u et in aliis oficiis comunis Viglevani » (4); e poi ottengono da Facino Cane di sostituire all'articolo secondo il quale, della stessa parentela, non potevano esserci se non tre consiglieri e un solo ufficiale, un altro che ammette sei consiglieri e « plures officialles » u dummodo simul non stent ad unum panem et vinum » (5); ma Filippo Maria il 3 settembre 1415 (?), a richiesta del comune, conferma sì gli statuti del padre; approva che il consiglio venga eletto « more solito » e giusta le prescrizioni in essi ferma e (i) Datata da Milano, il 4 ottobre 1592, Statuti vecchi, fol. 54. Le fonti principali, a cui attingiamo, sono il volume, ora citato, degli Statuti, nel quale sono trascritte molte lettere ducali, i Convocati dei Consiglio Generale e del Tribunale dei XII di Provvisione^ i Conti dei Tesorieri, tutte nell'archivio Civico di Vigevano. La lettera ora pubblicata è però già stata riprodotta, ma con qualche inesattezza, anche da Colombo, Alla ricerca delle origini del nome di Vigevano, No- vara, 1899, P 181. (2) Statuti, fol. 57. (3) Statuti, fol. 57 v. (4) Conv. Cons. Gen., 27 settembre 141 1. Quando citiamo la data nel testo, tralasciamo la nota : la data indica il giorno della adunanza del consiglio. (5) Lettera da Abbiategrasso, del 3 gennaio 1412, Statuti^ fol. 70 v. 112 FKLICE FOSSATI concede che, dopo quello in carica, gli altri notai de' malefìci abbiano il salario consueto : quanto però a nominar podestà un giurisperito e lasciargli il salario prescritto dagli statuti, come al tempo di Gian Galeazzo, risponde: « respectu iurisperiti nichil « volumus innovari, sed bene contentamur et volumus quod fiat M respectu salarli. Nam disposicioni nostre reservamus ponere ibi « potestatem iurisperitum vel non iurisperitum prout nobis videbitur « et placebit w (i). Dopo ciò, chi farà le meraviglie, perche il signore emani disposizioni su argomenti non toccati dalle proposte del comune? Egli esercita in sostanza lo stesso diritto per cui può modificare quello che garberebbe al comune, non a lui. E non c'è da pensare al consiglio Comunale, dagli statuti ammesso e regolato. E' vero : Gian Galeazzo non ha, bontà sua, favorito a Vigevano l'amministrazione d'un vicario solo, umilissimo e anche troppo premuroso interprete dei superiori desideri, escludendo gli abitanti da ogni partecipazione alla vita del loro comune; ma tra un simile vicario e un consiglio con mani e piedi legati, che è costretto a lasciar intervenire il signore in qualsiasi momento e questione armato d'un irrefragabile potere di fare il piacer suo, che non deve metter in atto una deliberazione non, diremmo, legalizzata già da libere concessioni precedenti, senza ottenere una libera conferma, che dunque insomma non può essere se non anch'esso l'interprete de' superiori desideri, troverà alcuno una grande diff"erenza? 11 giuramento stesso dei consiglieri è ben significativo: d'ordine del podestà, « iuraverunt et iurant ad sancta dei evan- « gelia manibus suis corporaliter tacta script, (sic) dicere et con- « sulere ac facere utilia diete comunitatis et inutilia pretermittere, « reservata semper voluntate I. D. D. N. remoto odio amore timore « prece precio et omni humana gratia » (2). In tali condizioni, contro un ordine del signore, può il comune vantar diritti già riconosciuti o consuetudini che avrebbero in altri tempi la forza d'un diritto? Non conta : il signore vuole, e dev'essere. Crede il comune di dover appellarsi a una ragione, diciamo, d'umanità, magari all'affetto che il signore proclama di nuti ire per i sudditi, per quei sudditi suoi? Non giova : l'affetto c'è o si riconferma che c'è, ma il signore vuole, € dev'essere. (i) Lettera da Monza, Statuti^ fol. 77. (2) CoHV. Cons. Gen., 1° gennaio 1476. RAPPORTI FRA UNA « TERRA w E I SUOI SIGNORI, ECC. II3 Le prove di tutto ciò abbondano, e le esporremo distribuite secondo un ordine naturale in tre gruppi : interventi richiesti, ordini legittimi, ordini illegittimi. Interventi richiesti n' abbiam già veduti. Possiamo accennarne altri, i quali più e meglio ne convinceranno che la libertà e l' indipendenza del consiglio erano ben limitate (i): ora e sempre ci si perdoni 1 inevitabile monotonia della spigolatura. Il i8 febbraio 1414 il consiglio Generale delibera unanime di scrivere a Lazzaro de Coys (?) e a Vincenzo de Berecondiis « parte « comunis quod comune et homines sunt contenti quod omnes qui •« sunt baniti a terra Viglevani possint repatriare ad terram Vigle- « vani dummodo placeat Dominationi 111. D. D. nostri » (2). Il 29 giu- (i) Dei patti conclusi tra Vigevano e Facino Cane nel 1409 ricordiamo: il nuovo signore annulla gli eventuali debiti del comune col conte di Pavia o con Niccolò Diversi ; non imporrà prestiti o talee se non per stretto bisogno ; non darà grazie o immunità a chi non paghi le talee e gli « onera » ; concede ai banditi di ritornare, purché non sieno banditi per omicidio e gli giurino fedeltà ; rimette le offese passate tra cittadini ; permette libera importazione ed esportazione delle mercanzie e vettovaglie, purché si paghino i dazi e i pedaggi e non si abbia relazione coi luoghi nemici o sospetti ; manderà per podestà un giurisperito ; mantiene al comune gli statuti, i privilegi, le immunità ; non costringerà a fare spese per i castelli. Tutto ciò secondo le richieste del comune stesso ; ma altre richieste non accetta : i.^ si contenta delle entrate ordinarie (dazi del pane, ■del vino, del sale), ma (il riassunto del Colombo qui non è esatto: conviene leggere il testo), quanto a serbare immutati i dazi e i pedaggi e a rilasciare il mensile di 50 fiorini almeno per dieci anni, non acconsente: vuole per sé i dazi, ped;iggi, transiti della mercanzia e del grano, a cum additionibus et diminutio- « nibus et prout nobis videbitur »; solo rilascia per più o meno d'un anno, come crederà lui, il mensile, e, passato un anno, rinunzierà in favore del comune o ai pedaggi e al transito o ai 50 fiorini, « sic quod in potestate nostra « semper sit retinere et habere dictam provisionem florenorum quinquaginta, aut a dictos ped igium et traversus ad nostram liberam voluntatem » ; 2.*^ annulla i debiti già contratti da privati col comune ; 3.° non concede a questo i due molini, .ma solo l'uso gratuito d'essi fino a S. Michele ; 4.° non concede la grazia chiesta per certi prigionieri, ma si riserva di fare « prout nobis videbitur ». Colombo, Un contributo alla storia di Facino Cane, in Bollettino storico-bibliografico subalpino, a. V, 1900, p. 335 e sgg. (2) Il 25 agosto 141 5 il vicario propone che un Porta « habeat pacem » ». 11 30 giugno delibera di supplicar il duca « quod pani de Viglevano conduci possint Papiam u prout soliti sunt hactenus facere temporibus retroac'tis » e an- che « prò robariis factis et que dietim fìunt super finita Viglevani « et hominibus diete terre Viglevani per armigeros «.Il 15 no- (i) Dei patti conclusi il i^ ottobre 1449 ^^^ il comune e Ftancesco Sforza ricordiamo: il podestà terrà un vicario, avrà 25 tìorini nie^ sili, uu» era in carica sei mesi; il sale da prelevare non si pacherà più di lire 3 (imper.)lo staio, a et « quii bethabitator Viglevani teneatur uti dicto sale, nec arctari possit ad levandura « nisi prò eius libera voluntate i) ; se m metterà un ufficiale al porto del Ticino, il comune non pietra essere costretto a pagare più di 5 fiorini al mese ; sono annullate le a exempi mes » concesse ; si risolverà secondo giustizia la questione del porto Falcone; per l' iraporiazione delle vettov;iglie si farà come il solito; i dazi della mercanzia, del vino « a minuto», del pane bianco e della carne si incanteranno senz'aumento a nome uel duca, e invece di tutti gli altri ciazi il comune pagherà annualmente 1000 fi )rini (lo Sforza acconsente a aJ bencphicitum »); Vigevano non potrà essere data ad i.lcuno, salvo che a Bianci Maria. Questi patti furono pubblicati l'ultima volta da Colombo, Viortvano e la repubblica am- brosiana nella lotta contro Francesco Sfor^a^ in Bollettino della Società Pavese di storia patria^ '90?, P- SU ^ sgg. (2) Cfr. C(>«y. Cons. Gen., 25 maggio, 30 giugno, 15 novembre 1450, IO aprile 1452: qui si domanda anche al duca eh*?, se un vigevanese aiuta gli ebrei, non sia più uel numero degli abitanti. RAPPORTI FRA UNA « TERRA » E I SUOI SIGNORI, ECC. II7 vembre, chiedendo l'ebreo Datilo i 165 ducati prestati al comune, stabilisce di far istanza al duca perchè in quella somma si computino certi pegni onde l'ebreo è debitore verso il comune stesso. 11 7 dicembre ordina « quod privillegia (i) redducantur et scribantur « ac autenticentur per modum quod fidem faciant et dieta privilllegia « mitantur ad imperatorem et confirmentur per imperatorem cura liu centia tamen I. D. nostri ». Il 7 dicembre 1455 manda oratori a Milano w causa obtinendi ab I. D. D. quod panni nostri possint ire u Mediolanum, et quod ipsi ellecti ad predicta possint et habeant « potestatem dandi et promittendi seu largiendi petias duas panni « dummodo obtineant litteram ab I. D. D. N. etc. quod panni possint « ire et conduci Mediolanum sine aliqua exceptione prout hactenus u consuetum erat »» {2) 11 4 ottobre 1464 dispone che il salario del podestà e del notaio de* malefici si paghi dal i.® gennaio in avanti u prò medietate de condempnationibus malleficiorum per eos fienu dis et prò alia medietate de intratis comunis : et impetretur ac M habeatur confirmatio huius ordinis » dal duca. Il 2 dicembre chiede un sindacatore per un commissario « super peste » : non l'ottiene « quia M.<^' domini consiliarii de ducali Consilio noluerunt « concedere, asserentes consuetudinem non esse quod similes co- « missarii sive deputati prò peste sindicentur » (3). Il 13 febbraio 1465 manda oratori a Milano « ad impetrandum literas ducales « ad obtinendum quod exempti solvant prò taxiis equorum et u carigii ». 11 i.o maggio 1467 ne manda un altro volendo pagar il podestà mese per mese, « ut habilius solvi possit »». Verso la metà del 1470 chiede al duca la conferma di certe disposizioni emanate per la conservazione dei boschi. Il 28 giugno quegli le trasmette al consiglio di Giustizia, mostrando « suspicari.... quod u forte ipsa capitula confecta fuissent solummodo de voluntate u quorundam de quorum interesse ageretur », e ordina si convoc^iino i XII e altrettanti aggiunti perchè dichiarino se proprio le vogliono. Il 30 il consiglio Generale dichiara unanime di voler quei (i) Non sappiamo di che si tratti. (2) Nel tesoriere del secondo trimestre del 1459 troviamo pagate lire 2 « prò habendo litteras ducales directivas D. Capit. Luraelline continentes quod « homines de Vigle^ano possint portare arma super terratorio Lumelline prò « eundo in itinere ». (5) Conv. Cons. Gen., 17 dicembre 1464, Il8 FELICE FOSSATI capitoli, solo aggiungendo che ad essi non sieno soggetti gli incanti in corso, e il 2 luglio manda al consiglio di Giustizia come oratore Giov. Antonio Griffi. Il 5 finalmente Galeazzo Maria concede l'approvazione « ad reprimendum malitiam eorum qui non « verentur in ... . nemoribus damna inferre ex quibus non tanu tura ipsi comuni sed etiam privatis et singularibus personis ma- « ximum fit preiudicium » (i). L'8 luglio, avendo dato a certi frati il terreno per fabbricar un convento, delibera di supplicar il duca perchè voglia ratificar la decisione presa e lasciar condurre la calce « sine aliqua pedagii vel datii solucione ». Il i.o gennaio 1472 incarica certi oratori di pregarlo che, non sodisfacendo gl'incantatori delie talee la sua camera, si agisca contro di loro e i loro fideiussori, non contro il comune, e non si arrestino cittadini. Il 12 novembre 1474 dispone che chi vuol vendere i beni che ha nel territorio di Vigevano li debba « potius vendere proximioribus suis « emere volentibus quam aliis personis » e di chiedere la conferma « di tal deliberazione, sì che « habeatur et observetur prò statuto », ed il 18 ordina « quod provideatur ut proximiores possint emere u proprietates venditas et vendendas [per] aliquas personas de u Viglevano eodemmet pretio infra annum unum et de hoc supu plicetur I. D. D. N. ut per suas litteras ordinare et mandare velit « quod fiat et observetur prout in civitate Mediolani et Papié » {2). Nella stessa adunanza dei 18 delibera pure di mandar oratori a supplicare il duca perchè conceda al comune di « elligere et deputare u duos probos viros et ydoneos ad inquirendum pristinarios et u alios vendentes panem et victualiam » insieme col notaio de' malefici e condannare i delinquenti secondo gli statuti (3). Il 30 gennaio 1476 « circa executionem fiendam contra bergamaschos " per l'uccisione di un cervo, per cui il comune deve sborsare 1000 ducati (lire 8100 d' allora), stabilisce di consultar qualche « probo u doctore », se si può farla senza danno : qui non si accenna al duca, ma 'dal verbale 24 febbraio si viene a sapere che lettere ducali concessero di prender le bestie e i beni dei bergamaschi colpevoli dell'uccisione. Il 26 luglio delibera di cliiedere ai maestri delle entrate il permesso di far quattro « pristina in Viglevano prò (i) Statuti, fol. 119 V. e sg. (2) Cfr. lettera ducale datata da Pavia, il 26 luglio 1475, Statuti, fol. 129. (3) La supplica fu accettata con lettera del 51 gennaio I475, Statuti, fol. 129. RAPPORTI FRA UNA « TERRA » E I SUOI SIGNORI, ECC. II9 u bono populi et.... comunitatis ». Nel 1477 ottiene che per l'avve- nire u circa volentes decetero versus creditores cedere bonis suis » si osservino gli statuti di Pavia (i), e il salario del podestà sia fissato in lire 96 (2). Nel 1478 ottiene V approvazione dei capitoli stesi per una roggia nuova. Ma qui forse i duchi introdussero alcuna modificazione, poiché dice la loro lettera eh' essi hanno approvato e confermato i patti « visa correcta et moderata » mandati dal comune (2). Nel 1479 ottiene (4) che i prestini s'incantino a tre persone : erano allora stati dati a due, ma ciò riusciva di « grandissimo damno et detrimento » alla popolazione, che era « male servita, sì perchè per non esserli se non duy li pristinari u et lauradori fano tristissimo pane a suo modo conoscendoli non u esserli altro concorente che li possa nocere, sì anche perchè el « populo è grossissimo in modo duy pristini non li pono bastare « al suo bisogno ». Dandoli a tre, poi, si dovrà provvedere anche che u l'uno non habia fare in l'altro, perchè essendo intelligentia « tra li incantatori fieret fraus legi et a la ordinatione de V. M. » (5). 11 19 luglio 1489 delibera di supplicar il duca perchè conceda ai « forensi » di condurre grano a Vigevano, come i terrigeni (6). (i) Lettera ducale datata da Milano, il 19 dicembre 1477. ^^^^ 1^ statuto pavese : il debitore, che vuole rinunziare a' suoi beni, dichiari innanzi a un del pane^ della macina, della mercanzia, l'imbottato, il censo, la tassa cavalli e carri, la tassa del sale, la tassa della tratta dei grani (i), costituenti, per così dire, le contribuzioni ordinarie, potessero legittimamente soprattutto chiedere a Vigevano certe spese, non sembra negabile : quando il consiglio, ricevendo un ordine, anziché domandarne la revoca in nome d' alcun diritto, d' alcuna ragione, o ubbidisce senz'altro o si restringe a.... illustrare, per mezzo di lettere e d'oratori, la povertà del comune e a implorare la grazia di almeno una diminuzione della spesa, è ovvio, riteniamo, concludere che il signore, emanando quell'ordine, esercitava una sua fa- coltà indiscutibile. Su tal fondamento (2) appunto o, rare volte, per la natura « stanciam alicuius forensis nullus tbrensis possit detineri nec res et bona eorum « sequestrari, dummodo non sint littere ducales in contrarium disponentes ». Il 25 maggio il podestà « dixìt et protestatus fuit quod si que remissiones con- « dempnationum vel accusarum facte sunt quod ipse D. potestas nichil scire vult e nec consentire intendit et exequt. mandentur et similiter dicti consciliarii ord. € quod diete remissiones locum non habeant dummodo non sint littere ducales ». Il 9 agosto il consiglio delibera « quod quilibet de Viglevano possit venire Vic glevanum tute et libere et eisdem fiat salvumconductum prò parte comunitatis « possendi venire Vigievanum et ibi stare et morari causa se componendi cum a dieta comunitate occasione condempnationum de ipsis factarum occaxione custoc diarum tantum et hoc per unum mensem prox. fut. dummodo non veniant « a partibus suspectis et dummodo non sint rebelles I. D. nostri j>, Ci) Essendo il territorio di Vigevano sterile, si doveva andare a comperare grano altrove, ma ciò non si poteva fare senza il permesso del duca. Nel 1465 il comune ottenne da Francesco Sforza a licenza generale », pagandogli lire 1280 annue. 11 tesoriere del 1465 registra alcune spese sostenute dal comune per ottenerla : le pila grosse sono lire 84 a un oratore che stette a Milano quarantadue giorni e lire 114 a un altro che ci stette quarantacinque. Più frequenti particolari intorno a diversi punti di queste ricerche vedi in Fossati, Appunti e note per la storia economica di Vigevano [Vigievanum, a. III-V, per la prima metà del secolo XV ; la parte sulla seconda metà è in corso di pubblicazione, cominciata nel fase. Ili del 19 13). (2)jSi capisce che la.... responsabilità delle nostre obiettive deduzioni resta alle fonti incontrollabili. Se, per esempio, un cancelliere avesse, qualche volta, trascurato di rammentare i diritti del comune, non si potrebbe fare colpa a noi della falsa deduzione. RAPPORTI FRA UNA « TERRA >» E I SUOI SIGNORF, ECC. 121 Stessa dell'ordine, noi diciamo : il signore (i) poteva imporre un determinato modo di raccogliere i denari delle contribuzioni (2); emanare e revocare decreti sulle cause civilif3); ordinare feste per qualche lieto avvenimento ; abolire dazi ; amnistiar carcerati (4) ; decretare: se altri principi, se altre città, se « iusdicentes » d'altri domini citano fuor del ducato un suddito milanese, « talles citat( tiones non fiant sine nostra licentia » (5); chiedere al consiglio di provvedere « bubulci », maestri falegnami, maestri muratori, « lau boratores » (6) ; costruire « bastite » o « bicoche » nella valle del Ticino (7) ; mantenere (« de manutenendo ») « aquam et sabionum « et ligna fornaci seu fornaseriis qui laborant nomine prefati D. D. (i) Gli ordini potevano essere dati al comune anche da membri della famiglia ducale. Vedremo, caratteristica, una violenza di Galeazzo Maria conte ; ora citiamo qualche altro esempio. Il tesoriere del terzo trimestre del 1463 paga lire 9, soldi 4 a un Ferrari che « ex impositione ad requisitionem I. D. D, co- « mitis Galeaz dedit vacham unam in escham vulpium causa captandi ipsas « vulpes »; quello del 1468 lire 250 a un Quaglia, oste in Vigevano ha ordinato che nessuno si sottragga a tale imposta, onde il Dexio noi pagherà i a fuochi » passati, ma il presente sì. (4) Conv. Cons. Gen., 28 novembre 1440. A proposito di debiti sarà opportuno ricordare quanto segue. Il Virtù aveva solidamente legato le mani al consiglio in fatto di spe^e : scriveva egH il 16 marzo 1368 al vicario e ii XII presenti e futuri : « Quia dicitur nobis quod comune nostrum Viglevani agra- « vatur mixime de eXf)ensis extraordinanis dixposuimus circa aleviacionem coir munis nostri predicti quantum possimus (?) providere », ordinandovi di non lascia*- fare d'ora innanzi spese straordinarie se non avrete « nostras speciales « litteras nostro sigillo et etiam nostro bulatino secreto sigilatas », salvo per i lavori dei fortilizi, le a munizioni » della terra e di codesti nostri castelli, il palazzo comunale e , Statuti, fol. loi. (i) Conv. Cons. Gen , 30 giugno 1450: la duchessa Bianca Maria ordina che Pietro Cani, ufficiale al porto del Ticino, abbia 8 fiorini anziché 3 di salario. Vedi più oltre le questioni per il podestà. (2) Conv, Cons. Gen., 29 aprile e 23 maggio 145 1. Parleremo anche inseguito di questo argomento. (3) Conv. Cons. Gen., 14 settembre 1453. (4) Conv. Cons. Gen., 21 maggio 1455 : il comune non solo fa eseguire i lavori necessari alle stalle, ai ponti, ecc. del castello ; ma prepara fieno, paglia, vitelli, torcie di cera, confetture, vino, ecc. (5) Conv. Cons. Gen., 21 ottobre 1455 : il podestà « precepit.... in exequtione ioni e la domanda. Ma ecco il 29 giugno una lettera ducale ordinare che si osservi lo statuto, il quale sembra prescriva, in casi simili, la votazione. Sorgono alcuni consiglieri a protestare che gli statuti e lettere ducali vietano di dare alcunché agli ufficiali, oltre il salario. La conclusione è che il podestà, al quale veramente insieme col.... vicario sarebbe toccato fare osservare gli ordini vigenti, deve scrivere al vicario di restituire la coperta. E l'ordine è confermato con 31 voto contro 12 il 4 luglio. (7) Trib. XII, 20 febbraio 1474. — Qui, per l'ordine cronologico, possiamo ricordare che nella fine del 1474 {Conv Cons. Gen., 12 novembre) il duca prescrisse che nessun vigevanese potesse passare il ponte del Ticino senza uno speciale permesso, venendo da Vigevano, del podestà, e, tornandovi, di certi ufficiali di Milano. Non sappiamo se la prescrizione sia stata mantenuta : forse a questo fatto si riferisce la dehberazione, che il consiglio prese il 9 aprile 1475, di rim- borsare lire 6 a un Rodolfi che le aveva date a cuidara amico in Mediolano in » Il 23 ottobre gli oratori riferiscono che il duca vuole il comune tenga il Vernabula per un anno, dopo il quale sarà libero « ipsum cassandi si sibi videbitur », e il consiglio lo riassume unanime fino al primo S. Michele, col salario solito. (i) Era stato assunto nel 145 1, per raccomandazione soprattutto di Bianca Maria, e riconfermato più volte. 136 FELICE FOSSATI Era già un boccone amaro, ma i vigevanesi potevano confortarsi pensando che l'obbligo sarebbe durato un unico anno. Senonchè eccD poco dopo intervenire il conte Galeazzo Maria. 11 30 novembre u Spect. D. Marchus de Nigris aulicus I. D. D. ComitisGau leaz Marie due. primogeniti exposuit parte prelibati domini Cou mitis quod, attento quod D. potestas Viglevani magnam patiatur u expensam prò regimine diete terre Viglevani et quod ex salario u consueto non possit se honeste habere, quod sibi providere « veiint de augumento salarli prout fecerunt aliis precessoribus « potestatibus ut se ydonee substentare possit ad officium diati « regiminis diete terre. « Item exposuit parte ut supra ut veiint refirmare magistrum •• Stefanum Vernabulam cum salario condecenti ex contemplatione « prefati D. Comitis ». 11 primo consigliere che parla ci rivela subito nitidamente la condizione del comune : Simone Vastamigli osserva che « comunitas hec diversis oneribus gravata est, qua de « re circa refirmatione predicti M.' Stefani non potest supportare « tantum onus; pur si omnino prelibatus dominus Comes vult quod u refirmetur, necesse est obedire; tamen quod elligantur et mi- « tantur aliqui oratores ad eius Dominationem prò dieta refirma- « tione evitanda si evitari poterit »; quanto al salario del podestà, domanda la votazione. 1 consoli Simone della Porta e Bonvicino Vaiarlo « rettulerunt prout retulit prefatus D. Marchus offerentes « se paratos prò eorum viribus tantum adimplere secundum vo- « luntatem prelibati domini Comitis ». Giampietro Bastici, Agostino Biffignandi, Giovanni Vastamigli, quanto al medico, approvano ciò che ha detto il primo consigliere ; il Vastamigli poi, circa il podestà, si rimette alla maggioranza. Battista Colli obbedirebbe a Galeazzo, per il Vernabula, ma nell'altra questione « dixit quod « debeat convocare consilium generale in ecclesia Sancti Ambrosi « ut ibi interesse possint plurimi alii homines ad deliberandum cir- « cha hoc ». Rolando Colli riprenderebbe il medico « contemplau clone prelibati domini Comitis ». Così Giov. Marco Vaiarlo, che, invece, contro il podestà « dicit obstare litteras ducales circa hanc « materiam disponentes et item statuta comunis Viglevani ; nihi- « lominus se reffert ad voluntatem » della maggior parte dei consiglieri. Giovanni Ingarami comincia dall' osservare anch' egli, per l'ufficiale, « obstare litteras ducales quod non possit nec debeat u distribuì de bere comunis nisi omnes consiliarii sint concordes^ RAPPORTI FRA UNA « TERRA » E I SUOI SIGNORI, ECC. I37 u et etiam statuta diati comunis » ; tuttavia « laudat et ortatur quod 44 omnino refirmetur duabus de causis, p.° contemplatione prelibati « Comitis 2.0 quia est sufficientissimus in arte sua » (i). Giovanni Parona eseguirebbe, per il medico, l'ordine avuto. A questo punto- il verbale nota che si nominano sei consiglieri perchè vadano « ad M refferendum prelibato domino Corniti circa has materias prout u res se habet et concludendum prout eis dixerit (veramente, duu xerit) requiren. prelibatus D. Comes attenta requixit. facta per M prefatum dominum Marchum ». Ma poi continua ancora un bel pezzetto la serie delle dichiarazioni. Cristoforo Rodolfi è disposto a dar i soliti loo fiorini annui al Vernabula; per il podestà, si mandi la commissione a Galeazzo « ad obviandum quod dieta additio lo- « cum non habeat si fieii poterit »». Francesco Garono chiede la votazione su entrambi gli ordini. Cristoforo Previde vuol la votazione unicamente sul podestà ; il medico, lo accetta. Cristoforo Biffignandi dà, ci pare, uno schiaffo solenne al Vernabula e al suo protettore, destando in noi un fermo sospetto che il motivo dell'opposizione non fosse nelle strettezze del comune : « dix t quod « nullo modo debet refirmari, et salarium quod sibi daretur debeat « dari prelibato seguito però dovette anche stabilire particolari modalità circa il pagamento/Leggiamo infatti nel verbale del i." gennaio 1465 che Giovanni Ingarami « super litteris Illust. Comitis Galeaz in facto u M. Stefani respcndit quod non intendit dare de suo dicto M. Steu fano nisi prius adeat prefatum Comitem Galeaz et eius inten- « tionem intelligat ». Anche Giampietro Vastamigli « dicit quod u eius apparere est quod mittantur aliqui Mediolanum ad prefatum « D. Comitem qui preceptione {sic) non scribit w. Ma, salvo i due or nominati, tutti i consiglieri ordinano « quod littere prelibati u Comittis Galeaz exequantur ». Pochi mesi dopo si diminuisce il salario, da lire 448 a lire 352 u et hoc vigore litterarum ducalium u Illustris Comitis Galeaz Vicecomitis etc. » : quattro consiglieri avrebbero voluto dargli solo lire 320. Intorno al podestà non ci fu deliberazione : fino a tutto il 1464 egli ebbe lire 80 di salario e lire 6, soldi 8 per gli utensili. Ma, sul finire dell'anno, il duca scrisse al comune la seguente lettera : « Como haviti inteso habiamo concesso ad lo Egregio Cavalero « Misser Evangelista de Licio nostro aulico la potestaria de quella u terra, per la sua singolare virtute et benemeriti apresso de nuy. « Et perchè dovendo luy manitenire uno vicario valentehomo et « iurisperito da bene et la famiglia necessaria a quello offitio chomo « merita la conditione de quella terra, et chomo luy ha deliberato,. « male lo poteria fare cum il salario de vinticinque fiorini il mese « chomo è la limitatione de quello offitio, et più tosto gli saria da u spexa cha de veruno emolumento, che non è stata né è per al- « cuno modo la intentione nostra, et perchè gli l'habiamo dato « per fargli qualche bene et per l'amore che li portamo, ne pare « et cossi volemo et comandemovi, che per tuto il tempo de l'of- « fitio suo gli debiati acrescere fiorini dece il mese, o per via de dono « o per altra via, chomo meglio vi parirà pur che omnino si facia. « Et ben che altra volta ve scrivessimo in genere solum persua- « dendo et confortandove che ne pariva che quello offitio meriH tasse questo accressimento, nondimeno perchè parse che quella « comunitate se rendesse difficille ad farlo in genere et per ordine, ti non intendemo per questa che niuno che succeda doppo il tempo « del dicto Messer Evangelista possa né debia dimandare dicto « acresimento, ma che solum questo habia loco durando il dicto RAPPORTI FRA UNA « TFRRA » E I SUOI SIGNORI, ECC. I4I « tempo et ad nostra contemplatione. Sì che fate non bisogna rep- « plicare » (i). I consiglieri, che già avevano proposto di ricompensare il Licio per qualche benefìzio (2), volendo « satisfacere « mandatis prelibati domini nostri et eius contemplatione prefatis M litteris suis obtemperare, attentis etiam benemeritis prefati doM mini Evangeliste et iam receptis beneficiis per dictam comuni- « tatem prò singulari gratia obtenta a prelibato D. nostro prò ha- « bendis bladis etc. solicitudine et intercessionibus prefati domini « Evangeliste prout retulerunt suprascripti oratores diete comuni- « tatis ad hec missi et que in dies a prefato domino Evangelista ■w apud personam prelibati domini nostri residente habere sperant, ■M et exquisito modo per ipsos consiliarios quo melius satisfieri 41 possit ipsi domino Evangeliste prò dieta additione salarii prò 4* se tantum (?) et cum minori incomodo diete comunitatis », ordinarono un' aggiunta d' un denaro al dazio delle carni per tutto il tempo che il Licio fosse rimasto in carica: del ricavo il podestà avrebbe io fiorini. Egli infatti col 1465 ricevette 32 lire di più al mese. Il duca però limitava l'aumento al podestà in carica: ma, non ostante ciò, e non ostante che il comune stesso, forse riconoscendo l'opportunità d'un aumento, nel i466 ottenesse dai duchi di elevare il salario a 28 fiorini, più 2 per gli utensili, con assoluto divieto d' ulteriori modificazioni e pene ben gravi sia per chi le avesse proposte che per il comune se le avesse accettate (3), quel pagamento dura fino al 1470 compreso (4). Ma le cose non s'arrestarono nemmeno a tal punto. Non solo il 31 maggio 1470, avendo il podestà chiesto (5) per gli utensili le lire 96 che aveva ricevuto nei primi due anni del suo ufficio (oltre le lire 6, soldi 8), il consiglio gli diede lire 100 « prò suis « benemeritis » col patto non avesse a chiedere altro anche se fosse rimasto a Vigevano « in perpetuum » ; ma il 3 febbraio 1471 il (1) Lettera datata da Milano: c'è il giorno 14 e l'anno 1464, manca il mese. E' copiata nel verbale del 21 dicembre 1464. (2) Conv. Cons. Gen., 7 dicembre 1464. (3) Lettera ducale del 28 novembre 1466, Statuti, fol. 115, doc. VIL (4) Sembra, perchè non si volle o non si potè applicare la deliberazione del 1466 al podestà già in carica. (5) Conv. Cons. Gen., 1° aprile 1470. 142 FELICE FOSSATI vicario domandò per Bonaventura del Maino quanto era stato destinato a' suoi predecessori. Ne seguì una lunga discussione. Am- brogio Maggi « surrexit et dixit quod attentis litteris officii prefati « D. potestatis que non faciunt expressam mentionem de salario^ M de utilitatibus et prerogativis dicti officii et attento quod D. Evan- « gelista de Licio et D. Scazosus de Anfosio olim potestates diete u terre habuerunt maius solarium et atenta eius persona tam u digna quod omnino est providendum quod non debeat deu terius pertractari de dicto suo salario quam precessores sui^ « faciendo preterea expressam mentionem quod finito officio pou testarle ipsius D. Bonaventure quod (sic) non debeat dari de sau lario ceteris potestatibus secuturis nisi solum fior. XXVIII et « fi. II prò utensiiibus secundum continentiam capitulorum diete u terre disponen. de dictis fi. XXVIII, et fi. II prò utensiiibus ». Ma Antonio Bussi si rassegna ad accettare la domanda unicamente « si remedium sit quod non possit resisti quod prefatus D. potestas u habeat dictum salarium v. Anche Simone Vastamigli, certo prevedendo un' intromissione del duca, cede a denti stretti e vorrebbe almeno salvar la forma : dice che, « attentis multis contentionibus « et rixis alias versis occaxione aditionis salarli D. potestatis « et quod magnum preiudicium sequi posset diete comunitati et « aliis personis consentientibus addi dictum salarium ultra illos u fior. XXXta vigore capitulorum et litterarum ducalium circa hec u disponent., quod prefatus D. potestas remanere debeat contentus « de dictis fior. XXX computatis utensiiibus, et quod a dictis u fior. XXX inde supra quod comunitas in tempore providebit M opportune alio modo quod prefatus D. potestas contentus re- « manebit ». Altri quattro consiglieri approvano. Spiritino del Pozzo, tra r incudine e il martello, considerando da un lato i meriti del podestà e dall'altro i capitoli del '66, vuol mandar di mezzo i colleghi: dichiara che si devono osservare i capitoli approvati dai duchi, « et quia prefatus D. potestas multa malora promeretur, quod u XXV aut XXX^a ex consiliariis debent ponere manum ad bursas u suas et solvere unusquisque eorum unum ducatum et dare pre- « fato D. potestati prò remuneracione, attento quod ex predictis « capitulis magna ingeritur pena comunitati et cuilibet qui presumat « dicere de addendo salarium potestati ; et quod prenominati qui u dixerunt de addendo salarium prefato D. potestati debeant puu niri (?) et condemnari in sumis limitatis in dictis capitulis ut ce- RAPPORTI FRA UNA « TERRA » E I SUOI SIGNORI, ECC. I43 u teris aliis transeat in exemplum » (i). Agostino Morselli, anche egli per la preoccupazione delle pene minacciate, vorrebbe differire la risoluzione a una prossima adunanza « ut unusquisque secun- « dum conscientiam suam deliberare possit et inde fiat conclusio « prout melius videbit (sic) ». Leonardo Colli, invece, « attento M quod prefatus D. potestas est persona dignior », è disposto a dargli quanto prendeva il predecessore. Quel giorno non se ne concluse nulla, ma il 24 dello stesso febbraio il podestà presentò al consiglio questo rapido e sbrigativo biglietto del duca; « Diti lecti nostri. Per certi degni respecti volemo et ve commandiamo u che al nobile Bonaventura dal Mayno nostro dilecto podestà de « questa nostra terra gli debiati responJere del suo salario mese « per mese et pagarlo integramente secundo havite pagato et resposto h ad Scazoso Damfusio suo precessore non obstanti alchuni ordini « incontrario, li quali ordini predicti volemo siano observati a li « soy successori »»(ii). I consiglieri unanimi concessero al podestà 37 fiorini mensili (lire 118, soldi 8). Razionatori. — Il io luglio 1463 il consiglio ebbe ad occuparsi lungamente d*una poco gradevole avventura toccata a uno dei razionatori. Ecco la somma della questione : un razionatore, a istanza di vigevanesi, era stato arrestato perchè aveva fatto qualche cancellatura in un conto, sostituendo a ciò ch'era scritto, altro che a lui doveva parere più esatto, mentre il comune sosteneva che la cosa era legittima ed era già avvenuta molte volte. Quel giorno dunque, « factis multis discussionibus in dicto Consilio, multi ex « ipsis consiliariis requixiverunt scrutinium fieri debere utrum rati tionatores comunitatis deputati et ellecti et qui in futurum elli- « gentur et deputabuntur ad faciendum et calculandum rationes « diete comunitatis et canepariorum etc. habeant auctoritatem bayu liam et potestatem corrigendi, canzelandi abradendi diminuendi u et adiungendi in libris intratarum et expensarum vel dati et reu perti dicti comunis, prout cognoverint fore opportunum ne co- « munitas ipsa nec aliqua alia persona indebite patiatur aliquod « detrimentum et hoc tam prò temporibus elapsis quam prò futuris, (i) Il vicario gli risponde che, in questo caso, non sono condannabili. (2) Datato da Vigevano, il 15 febbraio 1471, Statuti^ fol. 122. 144 FELICE FOSSATI -u et maxime prò eo quia Johannes Antonius de Grifis debit abra- -u dere certam postilam que erat in preiudicium diete comunitatis « et in ea aliud scribere quod concernebat veritatem et comodum « dicti comunis in libro grosso dati et recepti dicti comunis, cuius « rei causa ad quorundam instantiam formata est contra eum per ■(( Spect. D. Firmanum de Perusio ducalem vicarium generalem et u sindicatorem etc. quedam inquisitio, qui ab hoc carceratus est etc, u et quod dicti racionatores iti hec facere possint et debeant libere 4< et impune et sine preiudicio ipsorum vel alterius eorum nec u aliqualiter imputari possint calumpniari nec molestari canzelato « vel abraxo errore, sive remoto, et apposita veritate etc. Et hoc M attento quia per multos rationatores et notarios dicti comunis u precessores ita consuetum et observatum est prout evidenter ex -u libris dicti comunis in pluribus locis evidenter {sic) apparet. u Et item debeat fieri scrutiniuni si mitti debeant oratores Me- « diolanum ad I. D. D. N. ad defendendum dictum Johannem An- « tonium Grifum inquisitum prò dieta imputatione diete raxure per -u prefatum dominum vicarium generalem ducalem quia hec non « dolo fecit sed prò reducendo ad verum ealculum », e finalmente se si devono mandar a Milano come oratori per sostener la tesi del comune Antonio Bussi, Cristoforo Ardizzi e Giovanni Dexio, Si procede alla votazione, e risultano 38 sì contro 8 no. Perciò il consiglio ordina ai tre nominati di andare •• ad exequendum prout « supra expositum est et portent ambos libros dicti comunis vi- « delicet librum grossum turchinum, in quo presentialiter descri- « buntur rationes dicti comunis et alium librum viridem proxime « precedentem dati et reperti dicti comunis in quibus prò corri- « gendis erroribus facte sunt ut asseritur plurime abraxure et in- « scripte vere prout veritas constat ut ostendere possint de con- « suetudine observata per precessores rationatores et notarios diete « comunitatis etc. et quod supraècriptis oratoribus fiant littere cre- « dentiales opportune etc. »: solo Giorgio Colli, « ducalis sindicus u fiscalis », a tal ordine non « consensit nec consentit dicendo quod » hic ordo est contra decreta ducalia et statuta terre Viglevani « et contra bonos mores ». 11 17 due degli oratori riferiscono di avere ottenuto che il Griffi fosse scarcerato « satisdando de ducatis « mille » da pagare se mai venisse colpito da condanna. E allora -u intellecta molestia illata Johanni Antonio de Griffis uni ex ra- ■u tionatoribus ellectis ad conficiendum et calculandum rationes in- RAPPORTI FRA UNA « TERRA » E I SUOI SIGNORI, ECC. I45 M tratarum et expensarum diete comunitatis in ordinando quandam M rationem positam in malpagis prò exempta et eam reducendo ad « solucionem debendam vigore litterarum I. D. D. Ducisse Medio- ■ii lani etc. disponentium de revocatione exemptionum respectu taxe « equorum et carrigii etc. et atenta antiqua consuetudine et licentia « concessa rationatoribus diete comunitatis ut possint et eis liceat -u facere similes abraxuras prò ordinatione dietarum rationum in « quantum prò veritate expediat attento etiam quod M.^i domini u de ducali Consilio secreto ut asserit suprascriptus Antonius Buxus « viderunt ipsum librum et ipsam abraxuram et alias plures abra- « xuras factas in dicto libro et seu libris diete comunitatis, pre- « fati consiliarii predictam abraxuram utsupra factam aprobaverunt M et confìrmaverunt et aprobant et confirmant tanquam bene factam « et sine dolo. Ac ordinaverunt et deliberaverunt quod parte ip- « sorum eonsiliariorum ac totius comunitatis Viglevani scribatur « prefatis dominis de dueali Consilio qualiter ita hactenus consue- « tum et observatum fuit quod similes abraxure fieri possint per ■ti dictos rationatores absque eo quod eis imputari possit dolus vel « falsitas et quod per dictum consilium generale aprobata fuit dieta « abraxura prò bona et absque dolo propterea dignetur providere « quod dictus Jo. Antonius ulterius oeaxione premissa non mole- « stetur seribendo opportune Speet. D. Firmano due. Vicario ge- « nerali (i) qui videtur dietam comissionem habere ut atemptata « per eum contra dictum Johannem Ant. debeat revocare »». Questa volta all'ordine « non consentit » Simone della Porta, « dieens quod u est mala consuetudo et eontra bonos mores ». Non ne sappiamo altro. Uccisione d' un cervo. — Una delle maggiori violenze fu senza dubbio la multa di mille ducati (lire 8100 d'allora) per l'uccisione d'un cervo, compiuta su territorio vigevanese da persone di Gambolò (2). Il comune fece ogni sforzo per evitare il rovinoso guaio: inutilmente! A certi oratori mandati a implorare grazia, Galeazzo Maria rispose che ai mille ducati non levava nemmeno « unum sexinum », e rivelò tutto il suo furore contro i colpevoli (i) Qui c'è uà richiamo alla seguente nota marginale: « et ipsum ulterius < non molestare oeaxione predicta premissis attent. ». (2) Conv. Cons. Gen., 5 giugno 147$. Arch. Stor. Lomb., Anno XLT, Fase. I-II. io 146 FELICE FOSSATI gridando a uno degli oratori « trina vice, castigatili, castigatili, « castigatili tt (i). Bisogna avvertire che, secondo i decreti sulle caccie, la multa comminata par fosse di cento ducati (2). Inventari. — Benché non tutte entrino in questa rubrica delle illegalità, raccogliamo qui le notizie più importanti sull'argomento, per non disperderle in vari luoghi, per dar meglio un'idea dell'a- zione dei duchi in materia tanto delicata e perchè alcune volte trattasi proprio di violenze. Qual parte spettasse al duca nella rinnovazione degli inventari, non sapremmo determinare con precisi limiti. Gli statuti prescrivevano che l'operazione si facesse ogni quinquennio : si potrebbe dunque credere ch'egli dovesse intervenire solo quando le norme stabilite non fossero state osservate. Pare, al contrario, che la sua approvazione fosse richiesta sempre. Il 19 gennaio 1416 con 34 voti contro 8 il consiglio delibera di mutar gì' inventari e manda tre oratori dalla duchessa per ottenerne la facoltà (3). Il 21 dicembre 1433 ne manda altri due a parlar coi maestri delle entrate per lo stesso scopo. Forse perchè si cambiava modo? Del 29 settembre 1418 e del i.° aprile 1430 sono lettere con cui il duca accetta le proposte del consiglio sulla compilazione (4): il 13 febbraio 1430 il consiglio, dopo lungo dibattito, aveva appunto deli- berato di ridurre il .testatico e di chiedere la facoltà di cambiare gl'inventari. Certo è, ad ogni modo, che l'intervento ducale in quella che doveva essere un' operazione d' ordinaria amministrazione appare più d'una volta. L'8 aprile 1421 il consiglio elegge nove ufficiali « qui habeant baliam faciendi et concludendi sumas « extimorum et inventariorum noviter fiendorum insta ordinem « alias concluxum per consilium generale terre Viglevani in exeu cutione litterarum » del duca. Il 25 novembre 1433, ancora in esecuzione di lettere ducali, ne nomina quattro « ad recipiendum « extima hominum et personarum.... ». L' 8 luglio 1470 il vicario ordina che, secondo gli statuti e lettere ducali, si scelgano gli uf- (i) Conv. Cons. Gen., 24 luglio 147$- (2) Conv. Cons. Gen., 28 giugno 1474. (3) E' incerto però quando scadeva il quinquennio. (4) Statuti, fol. 77, lettera datata da Pavia; fol. 82, lettera datata da Milano. RAPPORTI FRA UNA « TERRA n E I SUOI SIGNORI, ECC. I47 ficiali per gl'inventari (i). Il 28 ottobre 1471 il podestà e il vicario dicono che, fatti gli estimi ed eletti i « correctores '? a calcolarli, mancano le stime dei beni mobili e dei traffici « vigore « ducalis decreti derrogantis statuta comunis Vigl evani ??, e però vietano ai consiglieri di muoversi dal palazzo comunale finché non abbian scelto nove « homines ydoneos ad facienduni dictas extiu maciones rerum mobilium et trafigorum, videlicet tres de malori « facultate, tres de mediocri et tres de minori facultate ». Dopo lunga discussione, l'ordine si eseguisce. Si presenta anche il caso che il duca intervenga richiesto da sudditi interessati. Nel 1418 alla duchessa vien mandata la seguente supplica: « Humiliter supplicatur prò parte nonnulorum virorum u fidelium servitorum terre Viglevani quod cum per consilium ge- « nerale huius vestre terre scriptum et supplicatum fuerit Domi- « nationi antelate quatenus dignaretur per suas literas licentiam u concedere de mutatione inventariorum hominum et personarum u huius vestre terre prediate quod usque modo minime potuit ob- « tineri in magnum dampnum et detrimentum diclorum hominum u et personarum et maxime illorum qui sunt extimo gravati poses- « sionum et agrorum parum vel quaxi nichil redentium propter u dictarum terrarum et possessionum sterilitatem, et cum sint de u terra ista nonnuli et quam plures pecuniosi et trafegantes de eo f quod possident in pecunia et de hiis que.... (2) dignetur Domi- « natio prelibata edicere et mandare potestati vestre terre Vigleu vani quatenus faciat dieta extima sive inventaria mutari facere « et ordinari, scerete tamen, servando tales modos quod quilibet « solvat de hiis que possidet prout est consonum rationi et prout « provisiones et statuta super hoc edita disponunt, et facta muta- « tione dictorum extimorum et inventariorum mitere personam suf- « cientem que cum plenariam autoritatem (sic) per prelibatam Dou minationem omissam provideat in addendo facultates dictorum u pecuniasorum et trafegantium ultra bona sibi reperta, ad hoc « quod unusquisque de hiis que possidet bonus suum porte {sic) u quod creditur fore vestre piissime intencionis >>. (i) Cfr. Conv. Cons. Gen.. 50 settembre 1470. — Fin qui non sappiamo se e quanto gli ordini fossero illegittimi : tale parrebbe invece il decreto di cui si parla nel verbale del 28 ottobre 1471. (2) Il foglio è qui pressoché interamente illeggibile: pare che dica che si vioano gli statuti, i quali prescrivono di rinnovare gl'inventari ogni cinque anni 148 FELICE FOSSATI E la duchessa infatti il 21 luglio 1418 scrive al podestà: a Ata tendentes continentiam exhibite nobis supplicatioais incluse prò « parte nonnulorum de illa ^nostra terra, necnon statuta tenoris « inclusi prò observatione maxime statuti ipsius volumus et man- (i damus tibi quatenus extima et inventaria de quibus inibi mentio a fit, de novo refici facias et pariter moderari iuxta ordines et « consuetudines lapsis temporibus observatis, advertendo semper u super inde taliter te habere quod equalitas observetur, nec de « inequalitate conqueri quisquam possit " (i). Nell'adunanza del 9 agosto un consigliere, notando che gli estimi non si sono fatti da circa dodici anni, loda questa lettera come " giusta >> e « buona », e propone si rifacciano gli inventari ; altri vorrebbero mettere qualche condizione; Stefano del Pozzo differirebbe la cosa fino a S. Martino, anzi asserisce che " mutatio fieri non debet ». Con 38 voti contro 18 si delibera d' eseguir l'ordine e si eleggono se- dici ufficiali per compiere il lavoro. Ma il io il vicario informa ch'essi " retulerunt domino potestati et ipsi domino vicario quod « iverunt per terram Viglevani et per platheam ubi sunt statione (sic) « et etiam ad domum merchatorum et trafegatorum ad inquirenii dum res et merces, que describi debent de presenti in inven- « tariis et quod reperierunt quod prò mayori parte ipsi merchaii tores trafegatores stazonarii exportaverunt fugaverunt et ascon- « diderunt res et merces que solite sunt describi et poni debent a in inyentariis et extimis de novo fiendis ». Segue una lunga disputa con varie proposte : fra l' altro, un consigliere vorrebbe affidar a una commissione l' incarico di tassare i mercanti come le parrà e mandare poi tutto alla duchessa per la conferma; un secondo propone invece che le si scriva addirittura « factum qua- « liter stat et velit ac dignetur transmittere unum auditorem qui « habeat omnimodam bailiam taxandi super ipsis extimis prout u sibi videbitur » : c'è però chi lo combatte, perchè 1' ufficiale forestiero, dice, « addet nobis aliquid, sed volet salarium magnum ". Finalmente si nomina una commissione con pieni poteri, composta di sei persone per il comune, tre per i mercanti, due u prò cali- « gariis ", due " prò stazonariis », uno « prò pelizariis ». E il 24 si eleggono gli ufficiali per gli estimi, deliberandosi di chiedere (i) Seguono al verbale del 9 agosto 141 8, RAPPORTI FRA UNA « TERRA » E 1 SUOI SIGNORI, ECC. I49 alla signora la conferma delle disposizioni prese : quando sarà venuta, si ordini con una grida il da farsi (i). Interveniva il duca anche se l'operazione non pareva fatta regolarmente (2). Il 23 giugno 1434 egli scrive un'energica lettera al podestà e ai vigevanesi minacciando gravi pene contro i colpevoli di frodi: Giov. Carcano, commissario " super inventariis », presentandola, ordina di farne mettere copia alla colonna del palazzo comunale e gridar il contenuto. La parte decifrabile comincia: u Asseritur idque nobis certificatum est quod vos homines non so- " lum [non?] exhibuistis in scriptis immobilia et mobilia queque ve- « stra iuxta continentiam nostrorum ordinum super inventariis editou rum, sed ob immobilium quoque ipsorum vera extimatione veu risque reditibus deniastis multamque maiorem adhibuistis curam « in comitten. fraudibus qu^m in servandis ordinibus ipsis et exeu quendo volluntatem nostram que maxima est ut hic inventari! " ordo tanquam comendabilis et prò comuni omnium utilitate proa cedat cuna omni ventate diligentia et realitate ». E continua, insomma, rammentando gli ordini già dati e imponendo che si riducano esatti gli inventari sotto minaccia di gravi pene : « tu auu tem potestas (finisce) prò quanto gratiam nostram caripendes »> cura r esecuzione della nostra volontà (3). Il 3 luglio si fanno i proclami. Ma poiché forse la cosa non procedeva regolarmente, il Carcano a fecit preceptum consulibus quatenus aprehendere debeant u bona " d'alcune persone (4). Il 24 agosto il consiglio delibera di mandar a Milano per evitare tale sequestro, ma esso dovette almeno cominciare, se il 29 ancora il consiglio deliberava di cercar d'opporsi all'ordine dal Carcano dato ai consoli « de aprehensione (i) Come giudicare l'ordine del governo? Certo, sembra sia stato legittimo, anzi doveroso, dopo dodici anni dall'ultima riforma ; e quegli amabili mercanti e soci, che facevano sparire la roba, meritavano forse una lezione piuttosto dura. Ma non può non destare meraviglia che la duchessa si sia svegliata per una supplica di privati, mentre aveva lasciato cadere la domanda del consiglio. C'è sotto, evidentemente, un contrasto d'interessi : oltre che legittimo, fu equo, allora, quel risveglio ? (2) Ovvio riesce che il consiglio ricorresse al duca per non osservare lo statuto. L'ii novembre 1414 delibera di chiedere la facoltà di prorogare la riforma dell'estimo per tre anni. (5) Conv. Cons. Gen., 2 luglio 14^4. (4) Conv. Cons. Gen., 24 agosto 1434. 150 FELICE FOSSATI V per ipsum inchoata » dei beni immobili appartenenti a quelle persone (i). E verosimilmente il Carcano stesso compì la riforma, segno della gravissima agitazione che doveva esserci in Vigevano : non solo il 19 giugno 1434 i XII ordinano di pagar due notai ch'erano stati a scrivere con lui, ma nei tesorieri del primo, secondo e terzo trimestre di quell'anno è pagato anche il Carcano come ducal commissario « super inventariis v o « super extimis » (2); poi, Tu marzo 1436 il vicario comanda pure di nominare quattro notai che dovranno scriver ciò che loro ordinerà il commissario, e il 18 il consiglio dispone che si dieno lire 64 a questo, come salario di due mesi, e lire 32 a Maffino de Stanghis, suo segretario, come salario d'un anno (3). Nel tesoriere del primo trimestre del 1436 ci son tre note di pagamento ciascuna a favore di sei uomini « qui « steterunt recluxi in castro veteri in camera una prò una squadra « ad taxandum extima prout ipsis iniunctum fuit » dal solito Carcano (4), come anche si pagan notai e un servitore. Le agitazioni per questi inventari dovettero esser continue. Non solo i proprietari d'immobili cercavano di differire o di sollecitare la quinquennale operazione, secondo i propri interessi, e di lasciarsi colpire il meno possibile anche con false denuncie ; ma specialmente dovevano combattere una lotta senza tregua contro i mercanti, i quali par che riuscissero a salvarsi la borsa più di tutti. Se meno scarse fossero le testimonianze, certo riuscirebbe interessante r illustrazione di simili contrasti. Qualche cenno a ogni modo possiam darlo, sempre diretto allo scopo del nostro lavoro. Il 13 febbraio 1438, in seguito a sollecitazione dei maestri delle entrate, a cui era stato dal consiglio di Giustizia trasmessa una supplica d'alcuni vigevanesi, si provvede per tassare i traffici; ma le cose vanno tutt' altro che liscie : dal verbale del 5 ottobre (i) Anche per giudicare questo estremo provvedimento del Caicano ci manca una base sicura : la sola opposizione del consiglio non dice ch'esso fosse illegit- timo: contrasto nondimeno fra i due poteri ci fu. (2) Esige lire 32 mensili. (5) Dallo stesso verbale del 18 si ricava che il Carcano chiedeva, per il segretario, 36 fiorini ; da quello del 22 aprile si sa che gliene furono dati 25 (lire 80): il pagamento è notato come compenso di 14 mesi, nel tesoriere del primo tri- mestre del 1436. (4) Presero, ognuno, lire 5 per $ giornate di lavoro; la seconda nota dice : e per dies quinque continue die noctuque ». RAPPORTI FRA UNA « TERRA w E I SUOI SIGNORI, ECC. I5I appare che deve arrivare ancora, per gl'inventari, un ufficiale da Milano, e il consiglio delibera di mandar oratori ad ovviare il danno : comunque, se un ufficiale avrà da venire, venga a spese di chi lo chiede, non del comune. Anche qualche altra volta si protesta contro i mercanti cne « prò traffigis nihil solvunt prò u quibus solvere deberent » e si propone che « omnino.... imM ponantur traffiga in inventar. » (i) ; ma finalmente, ciò che a noi soprattutto importa rilevare, a troncare ogni questione interviene il Moro con un ordine perentorio, che dimostra ancora come statuti, decreti, disposizioni precedenti non contassero nulla contro il diverso volere del signore regnante: « Dilecte noster. Intendendo M noy che de presente in questa nostra terra de Vigeveno se tempta -« de fare che li merchadanti et draperi lì per li exercicii et la4< borerii loro siano taxati et astrecti a contribuire cum li altri al M pagamento de li carigi ocurenti soto pretestu de uno statuto et M certi ordini facti altre volte in quella comunità quale però da « XXX anni in qua sono stati senza effecto; et extimando che M non senza rasone o gram causa è processo la dieta inobser- ■M vantia, et che '1 seria confondere e fare venire in nulla li exeru cicii che sono li fondamenti de essa terra in grandissima sua M iactura et anche de le nostre intrade sì che per comuna utillità ^ e augumento de tuta la terra e per altri infiniti rispecti, motu M proprio et ex certa sientia deliberamo et cossi volemo che a li M dicti merchadanti et draperi non li sia innovato niente, e che 4t per li loro exercicii merchancii e lavorerii non siano taxati ne << constreti a pagamento alcuno, e cossi observaray e faray ob4 servare questa nostra intentione per semper imponendo perpetuo ■u silentio per queste nostre ad ogni preposita se facesse in conu trarlo non obstante dicto statuto e ordini e ogni altra cossa che 4t fusse in contrario a li quali proprio motu et ex certa nostra ^« sientia et de potestat. plenitudine derogamo et volemo che sia u derogato, et che da mo' in ante questo se observa inviolabiliter 4i facendolo registrare nel volume de li statuti et ordini de essa -u comunitade n (2). (i| Conv. Cons. Gen., 21 luglio 1476. Cfr. 28 settembre 1488. (2) Lettera diretta al podestà, datata da Vigevano, il 50 dicembre 1488, Statuti, fol. 155. Cfr. Conv. Cons. Gen., i.» ottobre 1488. 152 FELICE FOSSATI Per alcuni altri ordini o atti dei signori l' incertezza del nostro giudizio è anche più grande. Che pensare della riforma del consiglio imposta dallo Sforza nel 1463? Pur troppo noi non conosciamo che il fatto essenziale^ ne ignoriamo i particolari e le ragioni vere. Trattasi della violenta e iniqua sopraffazione d' un partito che il duca, per ragioni non chiare, protesse, o d'un atto di sovrana giustizia riparatrice? Se ci restringiamo a quel poco che ci resta, dobbiamo ammettere piuttosto la seconda ipotesi (i). Ecco, troppo in breve, la cosa. Il J4 agosto 1463 Tommaso Grossi, vicario del podestà Giov. Michele Pagnani, « ex impositione et requisitione » di Firmano Guidoni da Perugia, uno dei vicari generali del ducato, e sindacatore,- convoca il consiglio Generale: Giov. Marco Valari « supervenit.... « et porrexit quandam scripturam protestat. corani prefato domino « sindicatore et vicario generali petentem requirentem ac prote- « stantem suo nomine ac nomine et vice omnium et singulorum. u in ea descriptorum contra prefatum dominum sindicatorem de « reformatione consilii prout assertum fuit commissum fuisse pre- « fato domino vicario generali per litteras ducales ». Si tratta dunque di questo ; in seguito a una petizione, ignorasi di quali vigevanesi, il duca ha mandato un sindacatore, per modificare, occorrendo, il consiglio. 11 Firmano « monuit et monet » i consiglieri che s'eleggano « duos probos et ydoneos viros », i quali insieme coi due eletti dal Valari e dagli altri indicati nella protesta « possint et debeant ^intendere et participare circa reforma- « tionem dicti consilii fìendam in exequtione litterarum ducalium « ut asseritur per dictum D. vicarium generalem et aliquos alios « et iuxta protestationem porectam et in dicto Consilio lectam ut » supra »; e siccome quelli non se ne curano, il 28 il Grossi li convoca nuovamente e, rammentando l'invito del Guidoni « ut u elligerent duos ydoneos viros, qui unaa cum duobus aliis elli- « gendis per supplicantes ad reformandum consilium generale cou munì Viglevani interessent simul participando et comunicanda « de dieta reformacione », li av.verte che, se non li nominano « pre- « sentialiter », il commissario « providebit prout melius ei vide- (i) Ad ogni modo il dissidio fu tra il duca e il consiglio propriamente iiy- teso, non il comune. RAPPORTI FRA UNA « TERRA » E I SUOI SIGNORI, ECC. I53: « bitur ». Il consiglio allora ordina che « D. prepositus, D. vicarius. « domini consules et dominus Aliolus de Gravalona vadant unaa « ad conferendum cum prefato domino sindicatore et eum rogare « parte diete comunitatis, ut bono respectu omittere velit refor- « mationem dicti consilii nec amplius inquietare dictam comuniu tatem premissa ocaxione, atento quod in Consilio celebrando ad u annum novum prox. fut. quo consiliarii elligunt (sic) prò tota u anno adhibebitur talis ordo quod nemo iustam causam habebit u conquerendi (j), et quod ita supersedere velit ne forte scandala « repentina et malivola odia exoriant que gigni et exoriri possent « in reformando presentialiter dictum consilium ». Ma ogni tentativo per allontanar, l'amaro calice fallì. Il verbale del 2 ottobre 1463 comincia con queste parole : « Convocato et congregato Consilio^ » generali comunis et hominum terre Viglevani noviter refformati u per Spect. e (sic) clarissimum iuris utriusque doctorem dominum « Firmanum de Guidonibus de Perusio ex ducalibus vicariis geu neralibus in executione litterarum ducalium.... » 48 consiglieri furono nominati da 16 cittadini, 12 dal Guidoni stesso. In una seconda adunanza del medesimo giorno poi si delibera che da allora in avanti « non possit esse nisi unus de una parentela de u Consilio dominorum' duodecim, et si quis esset consul non possi « esse aliquis de eadem parentela de numero duodecim »». Quello che può sorprendere è che contemporaneamente si delibera anche di mandare un oratore a Milano « prò revocando refformationem u predicti consilii noviter refformati ». Sappiamo per caso, da una discussione avvenuta nel 1470, che la revoca non fu concessa. Una conseguenza, in certo modo, di questa riforma fu la questione dell'eleggibilità dei Dexio, che suscitò contrasti lunghi e sicuramente vivaci, anche più che non appaia dagli atti. Come giudicare l'ultimo e risolutivo ordine dello Sforza? Crediamo, certo^ che si trattasse d'una lotta di partito, ma chi aveva ragione? Fu conforme alle leggi vigenti la decisione che troncò la lotta? Rimandando all'appendice chi vuol leggere l'interessante ma troppa (i) Queste parole ci fanno credere che in realtà l'intervento del duca fosse allora un atto di giustizia. O almeno poteva averne tutte le apparenze ! E del resto nel 1470 il consigliere Colli affermò, in una discussione, che il Guidoni aveva riformato il consiglio a faciendo elligi personas et homines secundum» « formam statutorum et ordinem.... terre ». 154 FELICE FOSSATI 5impio dibattito, riferiamo i termini generali della contesa. Nella adunanza del i.° gennaio 1470 il consigliere Giorgio Colli dichiara che Giovanni e Antonio Dexio « non debent nec possunt esse de -u Consilio generali, attento quod non sunt nisi tres fratres nec duo « potuerunt elligi de Consilio attento maxime quia non sunt oriundi 4t ex parte patris de terra Viglevani » : alla loro eleggibilità si oppone la ti declaratione » del Guidoni, il quale appunto, riformando il consiglio, escluse Giovanni « quia alias fuerat.... intrusus ». Si legge la « reformatio et declaratio ». I Dexio oppongono certe lettere ducali del 1456 dirette a Stefano de Capitaneis, allora commissario e vicario generale, che anche si leggono, ma Giorgio Colli le dichiara « subrepticie » : non consta affatto, egli osserva, ■che il consiglio Generale abbia chiesto l'eleggibilità dei Dexio, onde appunto « ex dolo et calumpnia ipsorum de Dexio et prefati dou mini Steffani »» Giovanni potè essere « intrusus »» fra i consiglieri ; n' è una prova il fatto che, non ostante quelle lettere, il Guidoni r ha espulso. In conclusione il consiglio unanime delibera che alla nomina delle cariche i Dexio non vengano ammessi, ■e il vicario ordina « quod ipsis de Dexio nulla sors daretur prò « elligendo ipsos officiales : et hec omnia salvis iuribus ipsis de « Dexio et diete comunitatis » (i). Naturalmente i colpiti protestano ■e per le lettere a loro favorevoli « et dicentes se esse originarios M diete terre ex parte matris »; ma le elezioni si fanno senza di «ssi. E allora ricorrono al duca. Nella riunione del 7 gennaio i due fratelli presentano lettere ducali del 5 « disponentes quod ad- ■u mittantur ad consilium generale », e insieme le altre, datate da Milano Tu maggio 1456, dirette al Capitani. Ma tutti i consiglieri insorgono protestando che queste lettere son frutto d'un inganno, •d'un falso; che nessun « forensis » è eleggibile; che l'ammissione ■dei Dexio produrrebbe Vu absurdum » di veder in consiglio i tre soli membri d'una parentela, perchè da tre possono essere rappresentate parentele di duecento, trecento, quattrocento persone; che, anche se dovessero essere considerati vigevanesi per la madre {la qual cosa è da escludersi) la madre è dei Colli, e già tre Colli sono in consiglio ; che già uno è stato espulso dal Guidoni... sembra perfino che propongano una specie d'arbitrato: i Dexio (i) Doc. Vili. m RAPPORTI FRA UNA « TERRA » E I SUOI SIGNORI, ECC. I55 però non l'accettano. Anche quel giorno non si concluse nulla (i). Il 21, aperta la seduta, i consoli, prima di venir ad altro, chiedono al podestà e al vicario che risolvano se i Dexio han da esser ammessi o no al consiglio, e quelli ordinano ai due fratelli di produrre le loro prime lettere affinchè i consoli e il comune possano averne copia « et contra eas alligare et opponere quicquid volue- « rint w : dell'opposizione vengono incaricati il Colli e Gian Marco Valari, con l'incarico di « causam sequi usque ad decisionem et « finalem declarationem predicte ellectionis, ita ut serventur staV tuta » : Giovanni Rodolfi solo non è d' accordo : egli crede si debbano ammettere i Dexio « quia sunt boni et prudentes viri », tanto più che vi sono ammessi i Gravalona e altri « qui non sunt « de sanguine Viglevani ", e « ipsi de Dexio non debent haberi « inferiori gradu quam illi de Gravalona ». Naturalmente' interviene uno di questi, Ambrogio, il quale afferma che si deve esaminare la condizione dei Dexio rispetto agli statuti; e si faccia pur altrettanto per i membri della sua parentela, benché non si trovino « in simili gradu ipsorum de Dexio », giacché il padre e l'avo suo furono originari di Vigevano : se risulterà che non possono essere del consiglio, si dichiara pronto a ritirarsi. Così parlano anche Gerardo da Gravalona e Zanoto da Galliate. 11 duca diede un colpo al cerchio e uno alla botte: stabilì che per allora solo Giovanni poteva entrare in consiglio, ma, passato un decennio, dovevano esservi ammessi tutti « sicut alle parentelle « terrerie de sanguine Viglevani »: e il consiglio unanime accettò la risoluzione (2). Altri contrasti più o meno vivaci fra il comune e i signori ci furono per question d'affitti, soprattutto per il bosco del castellano. Non ne abbiam trattato negli « ordini illegittimi » solo perché mai il consiglio parlò in nome d'un diritto ; questo però non ci vieta di credere che propriamente gli Sforza tentassero soprusi. La (i) Doc. IX. (2) Conv. Cons. Gen., 4 marzo 1470. Sur uno dei fogli che conservano il verbale del 7 gennaio il cancelliere Simone del Pozzo notò : « Hec Domus de « Decio fuit in terra Vigl.^ì bona et honesta Domus sed anno presenti 1540 « penitus est deleta preter unum mendicum ; unus qui erat et de quo sperabatur « anno 1557 ivit in provinciam Gallorum cum exercitu Caroli quinti imperatoris « et per viam obiit ». 156 FELICE FOSSATI questione del bosco del castellano è una delle poche nelle quali il comune non dovè finir col dire senz'altro « obbedisco ». Il castellano aveva in affitto il « bosco della terra grigia ». Venuta ormai la scadenza del contratto, comincia nel novembre del 1468^ il Simonetta a scriver al comune di riaffittar il bosco allo stesso castellano per altri dodici anni a lire 50 annue, come nel passato. Il consiglio manda due oratori a rispondergli che è disposto a dargliene la quarta parte, con la quale egli « potest sibi condecenter u providere de lignis prò eius usu » (i). Allora interviene il duca: lettere ducali sembrano ridurre i dodici anni a dieci, non altro ; ma il consiglio (dissenziente solo Giorgio Colli) rimanda una commissione di cinque persone a parlar con lo Sforza (2). Questi fa un altro passo e scrive (3) « quod comunitas velit Dominacioni « Sue compiacere » accettando lire 64; anche Giorgio Colli dichiara d'aver avuto ordine dal duca di chieder ciò. Si discute parecchio^ che il bosco, affittato ad altri, renderebbe di più, e si rimandano nuovi oratori a Milano per tutelare gl'interessi del comune. L'8 di gennaio 1469 interviene Gerardo Colli, « ducalis consiliarius », proponendo che il consiglio deleghi una commissione dei migliori,, con la quale egli possa mettersi d'accordo, « exortans.... dominos « consiliarios ut hanc differentiam sibi comittat {sic), quia mediante « M.c'a domini Cichi faciet quod predictus dominus castelanus licet « invitus contentabit de dimidia parte dicti nemoris terre grixe prò u sufficentia usus diete Roche, et aliam medietatem dimittet dieta u comuni, et quod hoc erit gratissimum prefato domino Cicho et « ipsi D. Girardo, et in futurum cedet in maximum comodum diete u comunitati ex favoribus prefati D. Cichi et ipsius D. Girardi ». Non ostante le lusinghe, segue un'altra lunga discussione, con l'esito solito : s' inviano oratori a Galeazzo Maria per dimostrargli quanto danno verrebbe al comune dalla concessione voluta. Finalmente quegli con lettera del 23, da Vigevano, la tronca ordinando al comune di ridare il bosco al castellano per altri 12 anni, ma al prezzo di lire 100 e col patto che dopo il castellano allora in ufficio il contratto si considerasse sciolto, il comune potesse disporre del bosco a sua volontà e il castellano « ligna ipsorum nemorum (i) Conv. Cons. Gen., io novembre 1468. (2) Couv. Cons. Gen., 9 dicembre 1468. (3) Conv. Cons. Gen., i.» gennaio 1469. RAPPORTI FRA UNA « TERRA » E I SUOI SIGNORI, ECC. I57 M extra hanc terram ac eius territorium non abducat nec abduci M faciat, ut ipsa comunitas nostra, quam caram habemus, lignis quo « magis fieri possit habundans reddatur ». Letto l'ordine, il podestà domanda ai consiglieri « si adimplere velint voluntatem I. D. D. N. », €d essi tutti « nemine discrepante responderunt velie libentissime « facere et exequi omnia » (i). Una questione analoga si ebbe nel 147 1. 11 24 febbraio Cristoforo da Milano, altrove chiamato commissario u super mulionibus « et mulis ducalibus ", presenta lettere dello Sforza contenenti che si dia a lui il prato sino allora tenuto da Zanino Tegamali, per lire 6 annue. Il consiglio delibera di scriver al duca circa il prezzo ■deiraffitto « et quod comunitas eget dicto prato et fleto quod per- « cipitur prò solvendo (?) in oneribus ducalibus extraordinariis ■i' dietim occurrentibus diete comunitati maxime in residentiis quas -u ibidem facit prefatus D. D. N. ". Il 29 settembre arrivano altre lettere: lo Sforza chiede per Cristoforo quel prato a lire 32 Tanno e per nove anni. Ma il consiglio manda due oratori a rispondergli che fin dal marzo è stato affittato per lire 128. E favorevolmente per il comune ne finì un'altra, anch'essa per un bosco. Non ne sappiamo però nulla di più di quanto si possa arguire da questo biglietto che i duchi scrissero il 26 settembre del 1479 al podestà di Vigevano : « Dilecte noster. Perchè non è « nostra intentione de volere ullo pacto usurpare quello d'altri, « sumo contenti et volemo remetti liberamente a la possessione « del bosco de qual te scrissemo a li dì passati la comunità et « homini de quella terra de Vigieveno qual da essa comunità havea « ad ficto Cicho Simoneta et qual tu ne scrivi essere d'essa co- " munita et spectarglie debitamente n (2). Un ultimo ordine che, se non offese statuti o decreti, dovette ofifendere acutamente l' anima dei vigevanesi, fu quello d'aprire una casa di tolleranza. Gli scrupoli dei nostri avi riusciranno forse strani a chi ricorda certa letteratura e i costumi di quei tempi, ma non restano inesplicabili. 11 fatto è che nel febbraio del 1472, e ex iussu » del duca, « deputatus fuit locus publicus prò mere- (i) Conv. Cons. Gen., 27 gennaio 1469. (2) Statuti, fol. 135 V. Crediamo si riferisca alla stessa questione una let- tera di Pietro Pusterla al cornane, che segue immediatamente al biglietto dei duchi, ma ha nella data solo l'anno 1479 : doc. X. 1^8 FELICE FOSSATI « tricibus in domibus » di Francesco e Antonio da Gravalona, neirestimo di S. Martino, « licet invitis ipsis consiliariis, sed propter u obedientiam »: dai periti le case furon stimate una fiorini 210^ Taltra fiorini 120 (oltre, sembra, qualche compenso particolare) (i). I vicini però masticavano amaro. 11 28 marzo 1473 un Ferrari e un Pozzo, anche a nome d' altri, fanno istanza perchè il comune cinga il luogo con un muro più alto a propter honestatem », sì che non si possa né vedere dentro da fuori, né viceversa (2). Il 27 marzo 1475 (3), per un'istanza analoga « nonnullorum de extimo « Cixerini habentium sedimina sua convicina postribulo w, il consiglio dà « lapides calcinas et cretam » (il lavoro a carico degli interessati), col patto però che u si.... postribulum destruetur ita quod " nomen postribuli non haberet », i mattoni vengano restituiti al comune. Il 3 gennaio 1476 alcuni domandano addirittura la chiusura : Emanuele Pozzo, anche a nome d'altri, ricorda che « alias,. u dum fieret querela de meretricibus », il duca « dixit quod vo- « lebat quod diete meretrices morarentur ibi temporibus quibus. « sua curia Viglevani moraretur, sed abeunte Dominatione Sua et " eius curia a terra Viglevani quod volebat quod etiam diete meu retrices recederent et ibi non morarentur.... sed ben licet p.tu* i< D. N. et eius curia recesserint a terra Viglevani, ipse meretrices « ad huc ressidunt ibi, quod cedit in obprobium vicinorum, petens « provideri quod expellantur a terra Viglevani nunc et quoties- « cunque contingat p.^""» D. D. D. (stc) N. et eius curiam hinc abesse ». Giorgio Colli aggiunge che anche il Simonetta disse a lui e a Spiritino del Pozzo che l'obbligo di tener le donne si riferiva solo al tempo in cui fosse a Vigevano il duca o la sua curia, e però domanda al podestà « ut eas expellere faciat ab ipsa terra ». Nel 1490 la questione si ripresenta. Il 2 febbraio nel consiglici (i) Conv. Cons. Gen.^ 2 marzo 1472. (2) Nel tesoriere del 1473 sono notate varie spese : ad esempio, lire 9, soldi 12 per 16 braccia d'assi « prò taciendo fondos lecticharum ad postribulum » ; lire 4^ soldi 8 a ordines editos super meretricibus et super lupanari ut possint fieri ordines super « lupanari constructo in Viglevano prò meretricibus j>. Il 13 luglio poi ordina ai consoli e a due altre persone di mettere a unum hospitem (oste) iil lupanari a et se conveniant cum dicto hospìte tam prò fleto quam prò aliis rebus, et « quicquid egerint, id sortiatur effecium ». l6o FELICE FOSSATI persona d'affittare « locum lupanaris prout eis melius videbitur »? Avevano.... quelle signore cambiato domicilio ? In tale caso non doveva essere molto facile eseguire l'ordine : pare che l'ostilità degli abitanti perseguitasse anche le case sgombrate dalle loro ospiti. Il 20 luglio 1493 Battista da Cremona informa i XII che a omnes meretrices recesserunt " da certa casa ch'egli ha in affitto « et quia nihil gaudet de dicto loco petit se restaurar! de damnis a suis n. Il 4 novembre li si informa ancora che « locus comunis ^i Viglevani deputatus prò meretricibus vadit vacuus et dispersus u et devastatus fuit quia nemo habet curam dicti loci et nisi proa videatur in nichilum reducetur », ond'essi nuovamente ordinano ai consoli d'affittarlo come loro parrà meglio. Infine non sarà inutile ricordare e mostrare che il duca era <:hiamato giudice non solo nei contrasti fra il comune di Vigevano ^ altri comuni o ufficiali ducali, ma anche, e spessissimo, in quelli fra amministratori e amministrati. Il 7 dicembre 1410 Vigevano ricorre al signore contro Cerano, che vuol mettere " portichum unum ad Caxollum », cioè sul Ticino, mentre « non est de consuetudine ac etiam secundum derecu tum nostrum non debet poni ». Il ricorso non giova, il ponte è fatto e la cosa si trascina per le lunghe. 11 16 marzo 1416 il consiglio nomina sindaci e procuratori per la causa, " commissa.... dominis de a conscilio iustitie in Mediolano » ; poi, volendo procedere energicamente contro i ceranesi, deve pensare a raccogliere denari (i). L'esito ci è noto da quanto il duca scrisse il 27 giugno, che, portata innanzi a lui la questione, egli interpellò il consiglio di Giustizia, se prima della concessione fatta agli abitanti di Cerano, di tenere il ponte sul Ticino, essi ne avessero la facoltà, e se tale concessione nocesse ad altri ; che il consiglio rispose no alla prima domanda e sì (per Vigevano) alla seconda; che perciò, non avendo egli avuto intenzione di produrre simili danni, vietava a Cerano di tenere il ponte (2). Più lardi però la questione risorge. Il 7 aprile 1450 il consiglio manda oratori a Milano per il porto Falcone, e (i) Conv. Cons. Gen., 2 agosto 1416. Di questa questione si hanno testimo- nianze anche nei tesorieri del 141 6. (2) Statuti, fol. 66 V. La lettera è pubblicata anche in Colombo, Vigevano, ecc., XI Bollettino, ecc., 1903, fase. III-IV, p. 494 e sg. RAPPORTI FRA UNA « TERRA »» E I SUOI SIGNORI, ECC. l6l •qualche tesoriere dell'anno registra le spese affrontate dal co- mune (i). Il 14 dicembre 1438 un Previde avverte il consiglio che « fecit u fieri appelationem v in Milano contro il comune di Gambolò per certa questione che Vigevano ha con esso, « unde si ad hoc pro- *i cedere intenditur, oportet recuperare pecunias ». Il 22 marzo 1439 il consiglio manda oratori a Milano « occaxione novitatis facte per daciarios novarienses ». Il 4 gennaio 1453 si espone in consiglio u quod Papienses, cuu pientes usurpare iurisdictionem terre Viglevani nituntur ponere ■a officialem in terra Viglevani qui exigat datium mercantie nomine u daciariorum Papié », e che molte pezze di panno di vigevanesi sono sequstrate in quella città « nomine dictorum daciariorum, quia a videntur petere restaurum a camera ducali quia anno prox. pre- « terito non potuerunt tenere dictum officialem in Viglevano »; così pure che Giov. Matteo Botigella, pavese, « similiter seque- << strari fecit et vendidit ut voluit certas petias draporum nonnuUoii rum de Viglevano sub pretextu asserti crediti quod asserit hau bere cum comune Viglevani ». Per tutto ciò, « ut quam melius u fieri poterit salubriter provideatur », il consiglio manda quattro oratori a Milano che.... preparino la strada regalando al duca venticinque some d'avena, quindi parlino a lui, agli aulici che crederanno opportuno, e ai maestri delle entrate. La questione coi daziari fu rimessa al vescovo di Novara e a Giovanni Botto, « qui « declaraverunt quod omnes drapi et omnia bona hominum de Viu glevano sequestrata ad instantiani dictorum daciariorum libere u relassentur et per cameram ducalem fiat restaurum ipsis daciariis a de fior. CCC », ne si parli più di mettere Tufficiale, u cum hoc " tamen, quod comune Viglevani postea in tempore solvat dictum " restaurum » (2). Il 17 marzo 1466 il consiglio manda un oratore alla duchessa « ad querelandum » perchè il capitano della Lomellina « non vult " facere licentiam hominibus de bladis conducendis Viglevanum, u prout moris est ». (i) Vedi Colombo, op. cit, in Bollettino^ ecc., 1902, p. 557 e sgg. ; 1903, p. 35 e fase. Ili e IV, p. $15. (2) Di una questione coi daziari di Pavia c'è testimonianza anche nel teso- xiere del terzo trimestre del 1450. Arch. Stor. Lomh., Anno XLI, Fase. I-fl. 11 102 FELICE FOSSATI Ancora nel 1466 il comune ricorre allo Sforza perchè i feudatari ducali della Lomellina, prima di lasciar uscire i grani dai luoghi della loro giurisdizione vogliono certo pagamento « prò inu botatura que nundum exigi debet nec potest ?>, e quegli il 5 settembre « nuUatenus huiusmodi exactionem ante tempus sufferre u volentes, quinymo deliberantes ut qui habet plura biada quam « sibi opus sit, vicinis suis et precipue nobis (sic) subditis ea ven- « dere possit et debeat, absque aliqua aut simili ut prefertur in- « novatione >?, ordina che l'inconveniente non si verifichi più, pena la privazione dei feudi e la sua indignazione (i). Così il 17 febbraio 1490 i XII ordinano che una commissione vada a lagnarsi col duca perchè, contro i patti stabiliti con la camera Ducale, il capitano della Lomellina pretende soldi io ogni carro di grano che si conduce a Vigevano, e poi il 9 luglio deliberano di scrivere allo stesso capitano che si contenti di soldi 4, se no si ricorra nuovamente al duca o a cert'altre persone. Nel 147 1 il consiglio chiede e ottiene dallo Sforza che il comune dia agli armigeri, oltre l'alloggio, solo utensili, strame e legna, mentre essi volevano tutto il necessario per sé e per i cavalli (2). Nel 1474 ^^ comune ha una questione circa il porto del Ticino col referendario di Pavia. Il principio della briga non è veramente del tutto chiaro (3). Il 25 settembre 1474 il console Francesco da Parona riferisce al consiglio d'essersi presentato con Cristoforo Rodolfi, incantatore del porto del Ticino, ai maestri delle entrate, perchè il Rodolfi « agravatur ad solucionem inquintamenti dicti u portus prò maiori summa quam sit incantat. et nihil valuerunt u obtinere n : bisogna perciò supplicare il duca che faccia correggere Terrore. Più tardi il 23 ottobre si riferisce ai XII che il re- (1) Statuti, fol. 121. Nel tesoriere del quarto trimestre si vedono pagati soldi IO per tre copie di tale lettera. (2) Si ricava da una nota del tesoriere del 1470, fol. 250. (3) Nel Conv. Cons. Gen.^ 3 ottobre 1473 leggiamo ch'era arrivato a Vige- vano un esattore « prò augumento auri portus Ticini molestans comunitatem >. Più tardi ancora il 12 novembre Domenico Pozzo e Giacomo Paliari dicono che lo stesso ufficiale ha sequestrato certe pezze di panno che avevano a Pavia « sub pretextu inquintamenti regalie portus a Ticini diete comunitatis non soluti » alla camera Ducale, come più volte hanno significato ai consoli e ai XII, e chiedono si provveda, altrimenti " protestantur contra dictam comunitatem de om- " nibus eorum damnis expensis et interesse et de non solvendo u onera in comunitate nisi sibi restituantur. ...» : il consiglio ordina che il vicario « faciat rationem » contro l'incantatore del porto, il quale, giusta i patti dell' incanto, deve « rilevar indemne » il comune per ogni occasione, e, d'altro lato, che si supplichi il duca di correggere l'errore. Finalmente il referendario, in esecuzione di lettere ducali, nel principio del 1475, impone che, entro otto giorni, il comune « debeat fecisse cautam ducalem cameram « et thex.™ ducalem generalem de solvendo in perpetuo regalia a nostri portus Ticini sub pena privationis dicti portus » (i). Ma il comune ricorre al governo centrale, e allora, l'ii gennaio 1475, i maestri delle entrate scrivono al referendario : Vigevano ci ha trasmesso l'ordine che le avete mandato per le regalie del suo porto. Siccome la disposizione concerne i soli feudatari, « ve diii cerno che ad essa comunità per rispecto al dicto comandamento u non dagate molestia alcuna perchè sono comparsi avanti a nuy u per vigore de dicto coman.^» a dire che non sono feudatarii, comò u sapiti che è vero. Et non dovevati fare tali comandamenti a si- « miìi luogi, perchè glie dati spexa per nienti » (2). Nella fine del 1474 i^ comune si lamenta contro i daziari di (i) Conv. Cons, Gen.^ 6 gennaio 1475. (2) Statuti, fol. 125 V. Segue l'ordine dei maestri delle entrate ai raziona- toli della curia Ducale che cancellino il debito di Vigevano per le regalie del porto oltre le lire 92 imper. che sole Vigevano deve pagare. Lettera del 31 dicembre 1474, Statuti, fol. 123 V. Nel tesoriere del 1476 si vedono sborsate lire 60 per l' inquintamento del 1474 e le spese. Già prima, nel 1467, e, come s'è visto, nel 1469 si doveva avere tentato di colpire, o colpito, il comune: vedi Conv. Cons. Gen.f l.° maggio 1467 e 4 aprile 1469 : il consiglio manda a Milano Si- mone della Porta « ad operandum cnm M.co D. Cicho ne comunitas gravctur ad « solut. inquintamenti portus Ticini diete comunitatis maxime prò fior. LXXXXVI » che si pagano ogni anno all'ufficiale del porto. 164 FELICE FOSSATI Pavia per certa questione di legna, e Tu gennaio 1475 i maestri delle entrate scrivono al referendario di quella città: siccome non ci pare onesto che si facciano novità contro Vigevano per il motivo di cui si parla nella qui unita supplica (quella presentata dal comune) informatevi diligentemente della cosa e delle ragioni dei daziari, poi scriveteci; ma intanto cessino le molestie (i). Il 28 maggio 1419 si partecipa al consiglio che il duca ordina « consulibus comuni et hominibus terre Viglevani » di comparire innanzi al ducale consiglio di Giustizia a ad instantiam Benedicti u de Mano » per certo « sedimen » che questi dice essergli stato ingiustamente occupato dal comune. Sulla fine del 1421, non volendo i mugnai osservare gli obblighi imposti dagli statuti per la macinazione del grano, il comune presenta contro di loro una supplica al duca, che raccatta (2). Il i.o giugno 1433 un figlio di Massone Silva, a nome suo e dei fratelli, domanda il resto dei denari che il defunto loro padre doveva avere come incantatore di certi lavori nel castello (fiorini 34, soldi 12 imperiali) ; ma il consiglio risponde che il comune ha fatto il suo dovere verso il Silva, mentre non aveva fatto questi il proprio, giacché, invece di colonne « marmorearum », aveva messo ai u balchonos.... castri » u columpnellos n di legno ; e ciò conferma anche un Franchino Maggi, tesoriere del tempo, il quale aggiunge che quei fiorini 34, soldi 12 imperiali li ha lui, spettan* dogli « vigore sui tunc incantus.... caneparie «, anzi « de hoc idem u Franchinus paratum se ofi'ert stare in iure dicens quod comune « non tenetur sed ipse tenetur in quantum subcumbat in causa n. Il 12 luglio però arrivano lettere dei maestri delle entrate straordinarie con l'ordine che il comune paghi quella somma agli eredi Silva. Il consiglio allora rimanda nuovamente gli eredi al Maggi, poi, il 25, acconsente a fare un compromesso nelle mani del podestà : la sentenza riuscì favorevole ai Silva (3). Pure nel giugno del 1433 l' intervento del duca è richiesto da un incantatore, contro, sembrerebbe, il comune. La questione non è chiara. Il giorno 28 il consiglio aveva deliberato che coloro, i (1) Statuti, fol. 125 V. (2) Lettera da Milano del 17 novembre 1421, Statuii, fol. 79 v. (5) Conv Cons. Gen.y p novembre 1454. | RAPPOBTI FRA UNA « TERRA » E I SUOI SIGNORI, ECC. 165 quali non avevano fatto scrivere i propri beni negl* inventari dal 14 19 in poi, dovessero o pagare tutti gli oneri imposti dal comune da quell'epoca in avanti, o lasciare i propri beni all'appaltatore, che sarebbe stato libero di disporne a piacere suo. Fattosi l' incanto, questo venne deliberato ad Antoniolo Giudici per fiorini 600 (lire 1920). Che cosa accadesse poi, ignoriamo ; ma il 5 agosto il podestà invita il consiglio a rispondere alle lettere ducali scritte in seguito a una supplica del Giudici. Molti consiglieri vorrebbero esporre al duca la verità, riconoscendo esatte le cose dette nella supplica ; fra gli altri, uno propone che, siccome l' incanto è stato u improviso >? ed " ex eo si effectum sequeretur, multa inconveu nientia rixe rumores ac forte homicidia sequi possunt ", per evitare tanti guai (si vede che il provvedimento colpiva non pochi 1...) si scriva al duca " ut nullo modo coroboret incantum ipsum ymo u dignetur mandare per eius litteras '> al podestà u ut dictum in- « cantum anullare debeat et super eo sillentium imponere v. Altri approvano (i). Ma il podestà e il vicario, a richiesta del consiglio, u preceperunt personaliter » al Giudici, pena fiorini 100, di non uscire dal palazzo comunale « donee ydonee satisdederit de dicto « incantu suo », Sono infatti nominati i fideiussori. 11 28 gennaio 1437 il consiglio manda oratori a Milano « ad u defi'endendum ius comunis » contro i fratelli Maggi : chiarisce forse di che trattavasi la notizia che uno di quelli portò lettere ducali contrarie all'esonero di Giovanni Maggi (2). 11 20 settembre 1450 il podestà avverte che Antonio Tornielli u requirit sibi satisfieri debere de precio lignaminis sibi asportati « et conducti a loco Cassoli in Rocha Viglevani » : il consiglio delibera d'informarne il duca, il quale altra volta aveva ammonito gli oratori " quatenus solvere non deberent alieni occaxione dicti « lignaminis absque expressa licentia prelibati I. D. nostri » (3). 11 3 novembre si leggono lettere ducali '^ cum supp. ipsis « inclusa in qua continetur sicut I. D. noster intendit quod satisfiat " hominibus XXXV qui aliax conducti fuerunt Papiam in obsidione (i) Forse il Giudici nel procedere alle esazioni o ai sequestri trovò tali e tanti ostacoli e pericoli, magari da parte di consiglieri, che pregò il duca d'an- nullare l'incanto? (2) Conv. Cons. Gen., 17 febbraio 1457. ($) Non siamo però sicuri che il Tornielli fosse vigevanese. l66 FELICE FOSSATI u de denar. per ipsos exbursat. I. D. nostro que S.^ ascendit a fi. Ilm DC. ... Il 13 giugno 1456 due fratelli Valari presentano al consiglio lettere ducali con l'ordine che paghi loro il resto della pigione della casa affittata per alloggio d'un commissario. Da un tesoriere del 1459 (secondo trimestre) si apprende che il comune ottenne una lettera contro i calderai abitanti in Vigevano i quali non volevano sottostare alla tassa del sale. In quello del primo trimestre del 1461 si danno lire 4 al dottore di leggi Gerardo Colli u qui fuit in Consilio » del duca contro Giovanni Barbavara per certa « cassina » « et stetit per dies « duos ". In quello del secondo trimestre si pagano oratori andati a Milano, fra l'altro, a causa obtinendi litteras ut calderarii solvant u onera comunitatis v e si paga pure « prò litteris obtentis contra u exemptos et contra calderarios et contra Frane, de Silva et prò « suppl. ". Il 13 aprile 1462 u divulgate sunt litere ducales continentes e quod calderarii non contribuant ad onera incumbentia comuni « Viglevani jy ; ma il consiglio delibera di farle revocare, e infatti il 7 giugno tre oratori portano altre lettere " quatenus omnino K calderarii teneantur ad solucionem onerum incumbentium comuni- « tati Viglevani w (i). Il 26 maggio, seguendo il parere del consiglio di Giustizia, il duca accetta una supplica del comune e ordina a certo milanese, che ha beni nel territorio di Vigevano, di sottostare agli oneri (2). Il 6 luglio 1463 il consiglio aveva preso la seguente deliberazione : « . , . . quelibet persona cuiusvis gradus et condicionis a existat habitans in terra Viglevani et super eius territorio seu (( alibi tam forensis quam terrigena, et non supportàns onera cum ti comune Viglevani, solvat prò pasculo diete comunitati sol. decem a imper. prò qualibet vacha seu bestia vachina. Alie vero persone u tam forenses quam terrigene habitantes in dieta terra, vel eius (i) La lettera ducale è del 51 maggio, Statuti, fol. 112 v. ; trattasi di due calderai forestieri, ma dimoranti a Vigevano da lunghi anni. Chi ci guadagnava, in simili altalene, erano i segretari ducali e gli.... amici protettori dei conten- denti. (2) Statuti, fol. 113. RAPPORTI FRA UNA « TERRA » E I SUOI SIGNORI, ECC. 167 ti territorio seu alibi et supportantes onera in dicto comuni solii vant prò pasculo prò qualibet vacha usque ad numerum sex u vacharum ad comput. sol. unius et imper. novem prò qualibet a vacha, et abinde supra solvant prò qualibet vacha seu bestia i^ vachina sol. quinque imper. Compositio vero facta cum Guillelmo u et ChitoUo pergamaschis observetur iuxta tenorem litterarum u ducalium. Et hic ordo incipiant (sic) observari hoc anno preu senti, et deinde observetur usque in futurum. Et ipsius ordinis ^' requiratur et habeatur confirmatio ab 111."^° domino domino no- <* stro duce Mediolani n. Ma il io successivo si presentano al consiglio lettere ducali, le quali, a istanza di Gerardo da Gravalona e d'altri, ordinano che le vacche di costoro paghino soldi 3, denari 6, « prout alle terrigene ^ : il consiglio dispone che gli oratori mandati a Milano per i razionatori « iuxta eorum posse faciant revoii cari dictas litteras et confirmari » la deliberazione che ogni vacca paghi soldi IO. Il 17 luglio gli oratori riferiscono d'essersi .accordati col ducale consiglio di Giustizia che « aut omnes bestie bo- ■i* vine, exceptis bestiis laborativis, solvant sol. quatuor prò bestia, u et forenses solvant prò forensibus, aut quod omnes terrigene ii solvant sol. quinque a bestiis sex supra ". Il consiglio però non s'arrende : « auditis multis discussionibus ", conferma l'ordine già emanato e invia altri oratori a Milano a sostenerlo, « cum potestate a et bayla componendi si opus fuerit usque ad bestia s decem in- " clusis illis sex de quibus in dicto ordine fit mentio ad solven. " denar. XXI prò qualibet secundum consuetudinem, et a decem a bestiis vel sex supra quod solvat prout in dicto ordine contiii netur n. Non ne sappiamo altro. Dalie Entrate dei tesorieri si vede che nel 1462 le bestie dei " terrigeni »> pagarono soldi 3, denari 6 ; le altre o soldi 3, denari 6, o soldi 10, o lire i, e nel 1464 lo stesso e anche soldi 14. Nella seduta del io luglio, già ricordata, furono anche presentate al consiglio lettere ducali, « ad instantiam et favorem illorum " de Caxolio Gate ^>, che il comune dovesse pagare loro certa pezza di panno. Il 9 dicembre 1468 due oratori riferiscono al consiglio d'essersi accordati con la camera Ducale per la tratta dei grani e d'avere ottenuto lettere " continentes quatenus prefatus dominus potestas « compellat pristinarios terre Viglevani ad solvendum prò omnibus « quantitatibus bladorum per ipsos conductorum et deinceps con- l68 FELICE FOSSATI u ducendorum ad computum de imper. XVI prò quolibet modio u sicut ceteri terrigene, et secundum formam capitulorum factorum u per et inter mag.cos dominos deputatos ducales nomine ducalis u camere ex una parte et dictam comunitatem seu agentes prò ea u ex alia parte occaxione bladorum conducendorum ad terram Viu glevani, super ordinibus apponendis per ipsam comunitatem prò u satisfaciendo ducali camere et solvendo flor. CCCC° omni anno,, « attento quod dicti pristinarii utuntur ipso beneficio conducte Watt dorum sicut alii terrigene ». Comunicate le lettere, il podestà ordina ai due prestinai di pagare entro quattro giorni al tesoriere quanto devono per tutti i grani condotti e che condurranno nell'anno in corso, o di presentare, nel detto tempo, « legitimam causam » per cui non sieno obbligati a pagare. Ciò il comune aveva ottenuta con una supplica, nella quale rammentava che, vincolandosi a sborsare i 400 fiorini s'era riservato il diritto « quod liceret ipsi co- « munitati seu agentes (sic) prò ea apponere quemlibet modum et « ordinem super solut. fienda dictorum flor. CCCC° prò bladis ibidem u per tempora conducendis, et quod quilibet volens uti beneficio « diete licentie teneatur contribuere ad eius modi imposit. " mentre i prestinai, pure giovandosi della licenza, dichiaravano di non essere tenuti ad alcun pagamento e si rifiutavano di concorrere alla tassa u vigore asertarum litterarum » ducah, ed « etiam aserendo u conducere posse biada prò usu prestinorum sine alia solutione u per eos fienda cum licentiis tamen ducalis camere quibus non " usi fuerunt, sed tantummodo benefitio licentie diete comunitatis »» Sembra poi che, nel fissare ogni settimana il calmiere del pane, il consiglio stabilisse i prezzi come se i prestinai sborsassero i 16 denari. Questi però non vogliono saperne di cavare quattrini, e allora, il 5 febbraio 1469, il consiglio manda i consoli da Giovanni Grapani e Leonardo da Parma, ducali deputati « super tracta bla- « dorum » che si trovano a Vigevano, perchè ve li costringano : se i prestinai non vorranno pagare, li obbligherà a fare il pane bianco di peso maggiore. Il seguito della questione ci è pur troppa ignoto (i). (i) Nel 1476 troviamo un cenno di un altro contrasto: sembra che i pre- stinai ottenessero dai maestri delle entrate una lettera condannante il comune a pagare loro 12 fiorini perchè non aveva proibito di andare a comperare pane oltre il Ticino : Conv. Cons. Gen., 31 marzo. RAPPORTI FRA UNA « TERRA » E I SUOI SIGNORI, ECC. 169 11 4 aprile 1469 Cossono Ferrari presenta al consiglio lettere ducali u continentes in effectu ut per comunitatem constituatur camu parius super finita Viglevani cum salario solito haberi per alios " camparios, ita quod teneatur custodire tam possessiones terre et u personarum Viglevani ne damnificentur quam etiam venationes u ducales ". Viene nominato e giura. Il 4 ottobre ne presenta altre con l'ordine che lo si paghi come camparo, e il consiglio unanime acconsente. Il 1.° gennaio 1471 ne presenta altre ancora, per ottenere il salario di un anno quale camparo « super venationibus » ; il consiglio deve avere fatto il sordo, e però rieccolo il 20 a insistere, non sappiamo se con le stesse lettere o con nuove. Ma nemmeno quel giorno fu appagato, e allora entrò in scena il podestà. Il quale il 14 luglio presentò pure due lettere ducali con l'ordine che si sodisfacesse il Cossono entro dieci giorni. Il consiglio affida al podestà medesimo l' incarico d'accordarsi col camparo per i 18 fiorini che chiede, " licet nullum salarium mereatur w, col patto però che in avvenire non abbia più niente, salvo l'esenzione dagli oneri personali, « ut moris est campariorum ducalium n. Il 20 gennaio 147 1 si tratta in consiglio se e come si debbano riconfermare i medici salariati. Procedutosi allo scrutinio, per il dottor Giov. Agostino Gusberti escono 25 no e 24 sì. Ma Simone della Porta dichiara tosto che ha sbagliato, votando no. Si deve rifare l'operazione ? Alcuni non vorrebbero : corretto l'errore, l'esito è da ritenersi favorevole al Gusberti ; ma si rifa, ed ecco uscire 26 no contro 23 sì. La riconferma viene quindi respinta (i). Se non che più alto del consiglio sta il duca. Il 3 febbraio il vicario presenta le solite lettere ducali, favorevoli alla supplica con cui il Gusberti domandava d'essere riconfermato, essendo stato corretto l'errore del Porta. S'accende una lunga discussione, trattandosi la questione del Gusberti con quella dell'aumento di salario al podestà. Parecchi e parecchi consiglieri, in omaggio alle lettere ducali, accettano il dottore, alcuni anzi fanno per lui dichiarazioni lusinghiere, ad esempio Agostino Bellazzi, che lo chiama « valens et intelligens medicus «► Pochi altri non ne vorrebbero sapere: Zanino Rodolfi, per esempio, il quale propone d' inviare oratori al duca perchè revochi l'ordine (i) Sotto tutto ciò deve nascondersi la lotta dei partiti: il Gusberti era con- sigliere (il vicario gli aveva proibito di votare). 170 FELICE FOSSATI della riconferma ; Spiritino del Pozzo, che, mettendo Gusberti, Previde e Cocchi (questi due già riassunti con notevole maggioranza) in.... condannato fascio, non essendo stato presente alla riconferma, dichiara ora che « comunitas eget melioribus et sufficientioribus a medici s n e ne deve prendere uno " bonus et famosus » spendendo 200 fiorini l'anno, « et ita debere scribi M.^i» dominis de ^i ducali Consilio »; Francesco Garone, che, più temperato o meno schietto, non vuole il Gusberti perchè il comune ha già gli altri due « bonos medicos n sufficienti, onde « nimis agravatur yy dalla spesa del terzo. Infine il vicario, considerate le lettere ducali e sentiti i consiglieri, ordina che esse, richieste da parte del Gusberti e « non- « nullorutn aliorum de.... Consilio et.... comunitatis ", si eseguiscano ; il medico viene riconfermato, secondo la prima proposta, per tre anni con 50 fiorini. Il 27 dicembre 1472 il vicario informa il consiglio che i « buii bulci n hanno ottenuto dallo Sforza lettere, per le quali, se lavorano a favore della curia Ducale, devono essere pagati dal ■comune. Sul principio di maggio del 1474, non riuscendosi in nessun modo a trovar denaro, per pagare certo grano, un consigliere, Giorgio Colli, off're « ex sua voluntate et prò bono publico u ducati 100 a patto che gli si rendano entro il 1.° giugno (i). Ma il giorno stabilito arriva e i 100 ducati non tornano. In breve, per riaverli il Colli li domanda al consiglio, poi minaccia di prenderli a usura da un ebreo, poi li prende eff"ettivamente, poi finisce col ricorrere anch'egli al duca, dal quale (2) ottiene lettere « continenti tes quatenus n il podestà ^ compellere debeat agentes prò ipsa a comunitate n a restituirgli i denari, « attento quod prefatus D. Geor- " gius ductus est per verba ita quod nondum sibi fuit satisfactum n. Il consiglio nomina una commissione di quattro membri con le più ampie facoltà di cercare nel miglior modo possibile 65 ducati e provvede per pagargli una parte del debito (sembra che il Colli avesse ricevuto 25 ducati il 3 agosto). Nel medesimo 1474 i^ daziario del vino " a minuto " dovè mettere innanzi certe pretese, non sappiamo bene quali, ma senza (1) Conv. Cons. Gen., 3 maggio 1474. (2) Conv. Cons. Gen., il settembre 1474. RAPPORTI FRA UNA « TERRA » E I SUOI SIGNORI, ECC. I7I dubbio dannose al comune. Fatto è che questo ricorre ai maestri delle entrate ed ha ragione: il 7 ottobre essi ordinano che il daziario desista dalle sue pretese, comunque sieno andate le cose negli anni precedenti (i). Nel giugno pure del 1474 era stato ordinato che non si vendessero carni " castratine >> prima di settembre (2), e nel luglio che non si vendessero se non migliori di quelle che c'erano allora (3). Avendo un Biffignandi, che non conosceva tali ordini, ucciso due castroni, i XII gli concedono di spacciarli, ma con l'ingiun- zione che non ne uccida altri prima di settembre (4). Sennonché i maestri delle entrate, forse a istanza dei macellai, scrivono permettendo la vendita di quelle carni (5). I XII riconfermano l'ordine e rimettono la questione al consiglio Generale. Il 15 luglio 1475 Giacomo Ferrari, macellaio, chiede di potere vendere « certos agnos non lactantes » e « certos moltonos seu u castronos bonos et pingues " tanto, che non può darli a meno di soldi 3, denari 4 la libbra. Ma il consiglio, « attento quod alias « per dominos presidentes ordinatum fuit quod non debeant inter- « fici nec vendi carnes moltonorum seu castronorum citra kallen. u septembr. prox. fut., attento max. etiam quod dicti agni non sunt « lactantes et dicti moltoni seu castroni non 'sunt raxi seu castrati, u sed sunt machati, aprobaverunt et confirmaverunt predictum orii dinem factum per prefatos dominos presidentes ordinantes adhuc « in presentiam quod nullo [modo ?] diete carnes agni nec castrau tine vendi possint quovis pretio citra dictas callendas sept. prox. <» fut. V. A sua volta il Ferrari ricorre alla camera Ducale e ottiene lettere « continentes quod becharii vendere possint carnes castra- « tinas machatas, non obstan. ducali decreto circa hec disponen. a quod non possint vendere ". E il consiglio ordina che fino al i.o settembre le carni « mutonine si ve castratine » si spaccino a soldi 2, denari 8 la libbra (6). (i) Lettera al podestà, ai consoli e al comune di Vigevano, Statuti, fol. 124. Doc. XI. (2) Trib. XII, IO giugno 1474. (3) Trih, XII, 7 luglio 1474. (4) Trib. XII, 8 luglio 1474. (5) Trib. XII, 22 luglio 1474. (6) Conv. Cons. Gen., 24 luglio 147$. 172 . FELICE FOSSATI In seguito a domanda del prevosto e dei canonici di S. Ambrogio, il IO settembre 1476 il duca scrive al podestà che le campane di S. Ambrogio (nel castellaccio), dovunque vengano trasportate,, debbono appartenere a chi le ha sempre avute (i). Anche nelle questioni tra il comune e i « forensi n è chiamato giudice il duca. Nel 1489, per esempio, Vigevano impone ai forestieri di pagare soldi 5 a testa. Essi ricorrono allo Sforza, e quindi a lui controricorre il comune: la questione è rimessa al podestà (2). Nel 1491 il consiglio ottiene che tutti i " forensi » levino e paghino il sale (3). Il 18 ottobre 1492 i XII mandano oratori dal principe per difendere i diritti del comune, notificandogli che due sentenze hanno vietato ai « forensi t> di " gaudere n delle entrate comunali; ma quegli interdice al vicario di procedere « ad execu- « cionem ^ contro di loro: i XII, trattandosi di cosa importante, la rimettono al consiglio Generale; sennonché il vicario gli proi-^ bisce che gliene parlino se non avranno innanzi deliberato (pena 25 ducati), ed essi rimandano un' ambasceria al signore, per av- vertirlo che u comunitas tota est illa que non vult quod forense^ a participent de intratis comunitatis et non sunt duo neque tresu soli n (4). Ovvio torna che il comune ricorresse al signore contro gli ordini, ritenuti ingiusti, del podestà o del vicario. Lunga e vivace contesa si destò nel 1474 per il luogo ove discutere le cause. Il 26 giugno il podestà e il vicario dichiarano al consiglio « qua- " tenus decetero volunt et intendunt quod cause consulende et seu « de quibus assumi debeat consilium sapient. quod (sic) comittantur u et comitti debeant in civitate Papié ny e ciò in virtù di lettere ducali del 1462 (5) di cui hanno avuto notizia solo nei giorni pas- (i) Statuti, fol. 127. (2) Conv. Cons. Gen., 19 luglio 1489 (5) Trib. XII, 8 gennaio 1491. (4) Trib. XII, 4 novembre 1492. 1(5) Scriveva Galeazzo Maria il 5 aprile al podestà e a agentibus >^ di Vigevano : Ci dicono che voi non volete osservare la disposizione del dicembre passato, che * Consilia sapientis que deinceps peti contingat coram quibusvis pòe testatibus seu officialibus comitatus illius nostri Papié et cause rationum que- « ab ipsis interponentur, comittantur et comitti debeant in civitate nostra ipsa « Papié et in collegio iudicum civitatis eiusdem prout alie civium eiusdem civi- a tatis comittuntur et non in alia civitate vel loco.... Nos igitur hac de re admira RAPPORTI FRA UNA « TERRA n E I SUOI SIGNORI, ECC. I73 sati e presentano copia. Ma i consiglieri rispondono che la sede -dev'essere Novara, secondo « inveteratam consuetudinem » « quia a in hominum memoria contrarium non existit », e che le lettere citate non sono mai state seguite (i). Per sostenere le proprie ragioni mandano oratori a Milano. 11 i8 dicembre nuovamente il consiglio delibera di provvedere per V innovazione « de causis consu- -a lendis » del vicario Vasino de Falsonibus. Si conserva la supplica presentata dal comune al duca. Mentre le cause, leggiamo in €ssa, sono sempre state portate a Novara, « tanquam eis de Vigle- « vano magis grata commoda et propinqua ?>, il podestà e il vicario pretendono che vadano a Pavia, « sub pretextu assertorum ii capitulorum >y di quella città che si riferiscono alle cause vertenti nel suo comitato, e « assertarum litterarum ducalium » del 1462 che ■u nisi nuper, eis exponentibus notificate fuerunt ». Ora i postulanti si sono meravigliati di ciò, a seque valde gravatos senserunt », < tìonem non parvam capientes presertim cum ex concessione ipsa diligente! « prospexerimus utilitati et commodis vestrum omnium in comitatu habitantium, « tum ratìone diminutionis expensarum tum rationis securitatis ac tutelle per « nos prestite quibusvis comitati nis Papiam se conferentibus ob huiusmodi causam « tum denique rationis abbreviationis termini appositi per nos in dandis predictis « consiliis et pena consultoribus si negligentes fuerint apposita.... cumque etiam . Ma il 18 successivo il duca, avendo li deliberato che se intendeno le rasone de l'una parte et l'altra « per non ne bavere più fastidio », ordina al podestà che il comune rimandi subito a Milano o Giorgio Colli, il rappresentante già nominato, o un altro « con le soe rasone adciò che in questa " cosa se possa fare quella debita provisione che se convene » (i). Qualche giorno prima, il 13, il marchese Guglielmo aveva esortato i vigevanesi a pagare il Molla, ma senza frutto (2) : il 23 i duchi scrivono al podestà di Vigevano : abbiamo udito il Colli, e, in sua presenza, il Molla coi propri agenti, « et tandem omnibus auditis « et intellectis havemo licentiati li dicti D. Zorzo et Conrado che « se ne vadano ad casa, et ad esso Conrado havemo dato repulsa " circa la dieta soa domanda, perchè la dieta comunità non è in a culpa nec dolo de la dispersione del dicto formento tempore liii bertatis Mediolani né ancora pare conveniente de suscitare quelle « cose facte eo tempore, secondo etiamdio havevano ordinato li u Spect.'i de] nostro Conseglo secreto conformandose nuy cum la u loro ordinatione » (3). Dopo tutto ciò, noi crediamo di poter concludere ripetendo quanto abbiamo affermato in principio : l'autorità che i signori di Vigevano esercitavano su questa loro terra (e, probabilmente, in genere, che i signori esercitavano sulle terre acquistate o conquistate) era l'autorità assoluta di un padrone, d'un proprietario. L'amministrazione della terra dipendeva, anche normalmente, fin nelle minime (1) Statuti, fol. 151 V. (2) Statuti, fol. 132. {3) Statuti, fol. 131 V. 176 FELICE FOSSATI cose, dal signore, il quale poi aveva piena facoltà d'emanare ordini in ogni momento e materia, conformi o contrari a diritti già ricosciuti anche da lui stesso : se in nome appunto di questi diritti o d' inveterate consuetudini la terra cercava di scansare un aggravio, d'opporsi a un'offesa, il signore poteva accettare o non accettare, a piacere suo, le osservazioni o le suppliche, e, quando ritirava un ordine, lo faceva liberamente, non perchè fosse costretto. E il signore era il giudice inappellabile al quale la terra o i suoi abitanti come privati ricorrevano contro chicchessia, per qualsiasi differenza. Felice Fossati. DOCUMENTI I. Compiacere volentes comuni et hominibus terre nostre Viglevani qui ■considerantes sequturam eis utilitatem et comodum ex residentia unius fìxici in Viglevano quo comunitas ipsa eget, nobis requixiverunt suppliciter et instanter ut conventiones et capitula iam concluxas inter eos prò parte una et magistrum Luchinum de Cochis phixicum prò altera que ad eorum provisionem prò annis quinque prox. sequturis ad computum flor. octuaginta singulo mense concorditer assumpserunt, confirmare dignemur cum ipse M. Luchinus sit paraticus et expertus ac plurimum eis gratus, contentamur et placet nobis consideralo maxime quod per ipsum phisicum multis potest sinistris eventibus salubriter obviari •quod dictis conventionibus et capitulis locus sit ipsasque tenore presentium confirmamus, mandantes canepario comunis et hominum predictorum quatenus eidem magistro Luchino de dieta provisione debitis et ordinatis temporibus iuxta dictarum conventionum et capitulorum formam cum integritate respondeat .... (seguono tre righe quasi interamente illeggibili : pare vi si dica che la presente lettera attesta i patti conclusi). II. Comune et homines terre nostre Viglevani misserunt impresentiam ad nos sapien. legum doctores D. Antonium et Leonardum ambos de Collis Viglevanen. eorum nuntios cum supplicatione tenoris] huiusmodi, videlicet : Ill.m» et Ex.mi duces. Exponeno li vostri fidelissimi servitori comune et homini de la terra vostra de Vigleveno che a li tempi pas- RAPPORTI FRA UNA « TERRA •» E I SUOI SIGNORI, ECC. I77 sati per alcuni potestà de essa terra essendo richesto a la dieta comunità accresimento de salario ultra la consueta et ordinata provisione de vinticinque florini el mese, il che parturia scandali asay et differentie tra li homini de essa terra per rispecto de esso accrescimento, tandem per la recolenda memoria de lo Ill.mo nostro duca Francesco per sue littere signate Cichus fo ordinato che in Io advenire che li futuri potestà non havessero ultra el dicto salario de XXV florini alcuna cosa, sopra il quale salario fossero obligati essi potestà ad tenere uno bono vicario. D-ipoy morto il prefato Sj^ Francesco perchè pur anchora per alcuni se instava altro augumento et ad ciò che li potestà potesseno starli dignamente et administrare bona iustitia, per essa comunità fu facto uno statuto o vero provisione circa dicto salario, per la quale anchora fu accresciuto dicto salario per fin a XXX fiorini il mese, computatis utensilibus, ita et taliter che esso potestà fossi obligato ad tenere uno vicario che fosse doctore sopra dicto salario : la quale provisione fu liberamente confermata per la felice memoria de li III. mi Sig." nostri quondam Madona Biancha et duca Galeazo per litteras signat. Io. Vicecomes, ita et taliter quod prò lege in perpetuum observaretur. Et così da poy continuamente in qua è stato observato excepto a D. Scazoso de Anfossio il quale tempore de dieta provisione già si ritrovava essere potestà de essa terra, il quale hebe fiorini XXXVII et ^excepto etiam il presente potestà D. Bonaventura del Mayno a lo quale prefato duca Galeaz volse per boni respecti havesse il salario dato al dicto D. Scazoso, comandando in esse littere che dicti ordini et provisione utsupra facte per dieta comunità et confirmate utsupra de li XXX fiorini fossero observati a li successori. Item exponeno essi supplicanti bavere inteso che il prefato Bonaventura presente potestà il quale sey anni passati è stato potestate in dieta terra, cercha de farse confirmare anchora in lo advenire, il che è stato molto molesto a quella comunità parendoli ormay tempo che se parta da questo officio per molte legitime casone et anche che essendo luy stato tanto tempo de anni sey in ofiBcio pò pensare Vostra Sig.ria per la familiaritate et domestigeza grande se prende per la longa consuetudine comò debeno passare le cose. Quocirca premissis attentis per parte d'essa comunità et homini a V. Ex. humilime s' è supplicato quelle se dignano per sue littere patente con- firmare dicti nostri ordini et provisione utsupra facte et alias confirmati per li prelibati Ill.mi Sig." passati che maxime da calende de zenaro che vene in antea li potestà haverano ad essere tune et in perpetuum non possano bavere ultra dicto salario se contene in esse provisione et ordini, non obstante cosa alcuna in contrario. Et item provedere che a diete calende de zenaro che vene habiamo novo potestà comò credarao sia de mente de Vostre Ex.tie a le quale se racomandamo, Nos igitur attentis iis que nuntii ipsi significaverunt et in supplicatione predicta coniinentur consideratoque item et attento quod multi nune cessant re- speetus et cause quibus per superiora tempora officium diete potestarie Vigleveni prorogatum fuit et eius stipendii ratio imutata, utque insuper Àrch. Star. Lomb., Anno XLl, Fase. MI. la 178 FELICE FOSSATI comunitati ipsi Vigleveni gratificemur, cuius tranquilitati et honestis comodis libenter prospicimus et consulumus, contenti sumus quod provisio de qua supra fit mentio alias per comunitatem ipsam Vigleveni facta et per Ill.mos felicissime recordationis principes dominos Blancham so- ceram et aviam et Galeaz consortem ac genitorem nostros colendissimos sicubi narratur confirmata tam circa salaria et stipendia ipsius potestaiis et vicarii Vigleveni qui prò temporibus erant quam alia in provisione et ordinatione eiusmodi contenta firma remaneant et observari ad unguem debeant aliquibus in contrarium non obstantibus. Et ita nos per has nostras ut iacent confirmamus approbamus et convalidamus. Quantum vero attinet ad tempus quo permanere habeant potestates Vigleveni in officio posthac studebimus ipsis hominibus tales viros ^designare qui omni ex parte integri sint, et ultra tempus debitum potestariam non exercebunt quam provisionem de alio potestate faciemus in kallen. ianuarii prox. fut. Mandantes officialibus quibuscumque diete terre Vigleveni qui prò temporibus fuerint dictisque comuni et hominibus et ceteris ad quos spectat, quod has nostras confirmationis et approbationis litteras, ipsamque pariter provisionem et ordinatìonem cum omni eius effectu et dispositione. et sub penis ibi contentis observent, et faciant inviolabiliter observari. In quorum testimonium presentes fieri iussimus et registrari nostrique sigilli munimine roborari. III. " ReGULATOR MAGISTRIQUE DUCALIUM INTRATARUM ,; AL PO- DESTÀ. (Milano, 12 aprile 1494). Havemo inteso quanto che avete scripto et le informacione tolte circha T incanto de quelli prestini. Dicemo siamo resolti che li de- biate incantare et deliberare comò ad voi pare che sia più utile del locatore, dummodo che non sieno deliberati a famegle né a fatore de Bartolameo Borro perchè subsequenter la cameia a tempo a venire ne bavera consequire utilitate, ordinando e provedendo tamen che omnino se faceno tre prestine et che uno non se habia impazare de l'altro sotto quella pena che per voi sarà ordinata et imposta. IV. Lodovico il Moro al podestà. (Vigevano, 24 aprile 1494). Volemo comandate a questa comunità che fra otto dì habia prove- duto de le caxe necessarie a Bartolameo Borro per fare le tre prestine che l'è obligato pagando luy el fitto et a luy comanderete similmente RAPPORTI FRA UNA « TERRA » E I SUOI SIGNORI, ECC. I79 che sotto pena de cento ducati facie fare le prestine da persone diverse tra li quali non sii alchuna inteligentia aciò che la terra et corte per la emulacione de vendere più sii servita de migliore pane. V. Ut de infirmitatibus illorum quos Illa in terra nostra egrotare contingerit possit haberi certa notitia et nos etiam continuo de qualitatibus infirmitatum ipsarum per vos domine Ardenge veraciter avisarì possimus ut cupimus, volumus et mandamus quatenus vos magister Bartolameé quoscunique egrotantes et qui egrotabunt in illa ipsa terra nostra debeatis et (?) teneamini visitare ad omne mandatum predicti domini Ardengi et prout ipse vobis comiserit et duxerit iniungendum (?) sine aliqua exceptione et omni contradicione cessante et subsequenter ipsi domino Ardengho qualitates egritudinum suarum sub veritate referatis sub pena nostro arbitrio aufter. et ulterius indignationis nostre de quibus egritudinibus vos domine Ardenghe nobis postea noticiam illieo faciatis. Vos vero consilium comune et homines debeatis ipsi magistro Bartolameo prò tali visitatione de condigno providere salario ne se valeat a visìtatione huiusmodi excusare. Inteligentes itaque vos invicem apponatis statini ordinem oportunum circa executionem huius nostre voluntatis nobisque prout feceritis rescribatis. VI. Cum nobis opportunum et necessarium sit habere prò usu venationum nostrarum quecumque nemora et paludes situata et posita in valle Ticini versus Viglevanum, a via scilicet vetere per quam a loco Gasoli veteris Ill.mus quondam dominus dux Filipus avus noster collen.mu» ibat ad locum Abiatis grassi usque ad molandimum domini Augusti de Becharia, nolentes alieni ex hiis, quorum ipsa bona sunt, damnum inferre, sed ea ab illis quorum sunt ad fictum conducere, prò ipsismet fictis et pretiis, quibus aliis locata fuere, et seu locari debite et honeste pos- sent, comissimus nobili vestro domino Karolo de Cremona super caziis nostris comissario nostro dilecto in predictis de mente nostra pienissime informato, ut se ad partes predictas conferai, et in script, ponat quecunque nemora et paludes in dictis confinibus posita et quorum sive comunium sive singularum personarum aut monasteriorum sunt quibusve et quo fictu locata fuerant, seu utsupra locari possent, et deinde omnia nobis refferat. Itaque tenore presentium mandamus omnibus et si'ngulis comunitatibus nobillibusreligiosis singularibus personis et subditis nostris quod predicto Carolo in scriptis dare debeant quecunque nemora et pa- ludes possident, et tenent in dictis partibus et confinibus quibusve et quo fictu locata sunt. Officialibus vere et subditis nostris omnibus iniun- l8o FELICE FOSSATI gimus et mandamus quod dicto Carolo prò executione premissorum favoribus quibuscumque axistant et in predict. omnia credant et prompte exequantur, que ipse Carolus dixerit et ordinaverit, non aliter quam si nos ipsi diceremus et ordinaremus ore proprio. VII. Ad nos nuper profecti nuntii comunis et hominum terre nostre Viglevani infrascriptam provisioneni et ordinationem per ipsos factam super salario potestatis ipsius terre nobis exhibuerunt approbandam et confirmandam, cuius tenor sequitur, videlicet: MCCCC°LXVI die XVIIII octobris. Convocato et congregato Consilio generali comunis et hominum terre Vigleveni de mandato spectabilis domini Schazosi de Amfosio ho- noran. potestatis terre Vigleveni et instantibus nobilibus Hieronimo de Buxis et Baptista de Collis consulibus diete terre in quo quidam Con- silio interfuerunt infrascripti de Consilio videlicet... .(seguono i nomi) qui sunt plus quam duo partes dicti consilii representantes maiorem etc... Et in quo quidem Consilio propositum fuit per prefatos consules quod quia antiquis temporibus per statata diete terre potestates ibidem ha- bebant prò salario suo omni mense florenos viginti imper. quod quidem salarium postea aliqualiter excrescente terra ipsa auctum fuit ad summam florenorum vigintiquinque imper. cum utensilibus, quod nunquam immutatum fuit usque ad annum MCCCCoXLVIlIl° quo tempore et anno supervenit novitas et ingens guerra que cum aliis infìnitis erroribus etiam adduxit quod comune ipsum propter pericula guerre Illustris Ducis Sabaudie addidit certam quantitatem salarli spectabili domino Jo- hanni de Sichis tunc potestati ipsius terre qui prò custodia terre ultra familiam debitam etiam tenebat quatuor bonos familiares ut occurreret scandalis que faciliter evenire potuissent; postea in processu temporis usque in presentem diem aliquibus auctum fuit salarium predictum licet diversimode aliquibus autem nichil auctum fuit salarium florenorum vigintiquinque, que augumenta tot et tam varias discordias partialitates et odia inter homines contradictos eduxerunt quod non facile dici posset, in tantum quod suborta semel discordia tempore domini Hectoris de Montemerlo dum hec tractarentur coram piissime recordationis lU.mo domino domino duce Francischo domino nostro etc. per eius litteras de anno MCCCC^L emanatas decrevit quod deinceps offitiales terre predicte non haberent ultra dictos florenos vigintiquinque licet postea eius Dominatio mandaverit quod eius contemplatione darentur Specta.li domino Evangeiiste de Licio prò augumento floreni decem per quod tamen augumentum eius Dominatio declarabat quod non intendebat ceteris futuris offitialibus dictam additionem fieri uUo pacto ; quam tamen additionem etiam nunc concessimus prefato domino Schazosio nunc potestati nostro ut gratificaremus lU.mo domino domino nostro Galeazmarie etc. qui motu proprio dixit se velie futuris offitialibus post prefatum dominum Schazosium RAPPORTI FRA UNA <• TERRA " E I SFJOI SIGNORI, ECC. l8l provideri ad nutum comunitatis. Super quibus omnibus prefati domini consules petunt a prefatis dominis consciliariis ut supra congregatis ordinari et consuli quid fiendum, et qui domini consiliarii ut supra congregati nemine discrepante ordinaverunt providerunt et statuerunt, attento quia terra Vigleveni in tantum aucta est populo quod necesse est etiam offitiales magis probatos habere et aliquam familiam prò consueto tenere prò evidenti bono et militate comunitatis predicte, quod ipsa co- munitas et homines dent et dare debeant futuris offitialibus florenos viginti octo singulo mense et florenos duos prò utensilibus omnibus et nichil ultra habere debeant offitiales ipsi aliquo quesito colore vel ingenio etiam si nulla utensilia reperirentur in domo comunis sive grossa sive minuta sint dieta utensilia, et cum hoc quod dictus potestas de dicto salario dimittere debeat vicario, quem omnino tenere debeat qui sit doctor vel talis qui adminus praticaverit per triennium florenos decem si non habuerit expensas in domo potestatis, et si habuit expensas in domo potestatis florenos septeni ex dictis fforenis XXVIII, quos florenos ipse vicarius habeat et habere debeat ex dicto salario potestatis numerandos per comunitatem ipsam Vigleveni, et non per potestatem. Et*quod potestas in principio officii et sic vicarius teneantur ambo iiirare quod ex dicto salario quicquam non remisserint nec remittant nec praticavebit (s/c) ipse potestas remitti aliquo colore vel ingenio sub pena periurii. De quo quidem toto supradicto salario comunitas providere habeat de tribus partibus, et quarta pars solvatur de condempnationibus quas si non fecerit ad quantitatem diete quarte partis nichil de dieta additione habere debeat. Item ordinaverunt quod prefati consules vadant Mediolanum prò confirmatione statuti antedicti et presentis ordinis et quod supplicent prefato domino nostro quatenus de eius benigniate e;tiam decernat presens statutum in futurum et ad futures officiales inviolabiliter et prò lege observari. Et quod si aliquis de Vigleveno aussus fuerit deinceps praticare vel arenghare de faciendo aliam additionem dictis futuris officialibus dirrecte vel indirrecte quod ipso iure et facto cadant et incidisse intelligantur in penam ducatorum quinquaginta auri et in auro applicandorum camere preiati domini domini nostri, et officiales qui ultra predictum salarium aliquid habuerint illud habuisse intelligantur tamqam extortum et baratatum diete comunitati et barataria constetur etiam si toti comunitati videbitur illud quid dari et concedi libere et sine barataria. Comunitas autem que hoc fecerit vel ordinaverit similiter cadat in penam ducatorum ducentum applicandorum prefate camere. Simon de Bellaciis notarius comunis Vigleveni subscripsit. Considerantes itaque predictos comune et homines non nisi rationabilibus ac legiptimis causis et respectibus moveri ad certam quamdam ac firmam taxationem salarli potestatis sui, et eam nos honestam ac convenientem censentes atque ad ea nos inclinati que tranquilitatem et honesta commoda ipsorum comunis et hominum quos caros habemus concernere possint, et ut requisitioni ac supplicationi sue benigne complaceamus, tenore presentium predictam provisionem et ordinationem, ac omnia et singula l82 FELICE FOSSATI superius et in ea contenta prout iacent approbamus confirmamus et convalidamus decernentes ac volentes ea omnia valere et tenere ac prò inviolabili lege observari debere nec contraveniri quovis modo posse, ac mandantes proinde offitialibus ac subditis nostris quatenus has nostras confirmationis litteras et ipsam pariter provisionem ac ordinationem ac omnia et singula inibi contenta observent firmiter et faciant inviolabiliter observari, nec aliquo quesito colore vel causa quicumque contra intentare presumat sub penis et formis inibi superius expressis. In quorum testimonium presentes fieri et registrari iussimus nostrique sigilli mu- niraine robari. Vili. .... dominus Georgius de Collis unus ex suprascriptis consiliariis surrexit et dixit quod Johannes de Dexio et D. Ant. eius frater non debent nec possunt esse de Consilio generali, attento quod non sunt nisi tres fratrés nec duo potuerunt elligi de Consilio attento maxime quia non sunt oriundi ex parte patris de terra Viglevani, obstante declaratione alias facta per dominum Firmanum de Perusio tunc ducalem comissarium et delegatum et vicarium generalem median. litteris ducalibus, et quod D. Firmanus ex commissione circa predicta sibi facta maxime ad reformationem consilii diete terre Viglevani, dictum consilium reformavit faciendo elligi personas et homines secundum formam statutorum et ordinum diete terre, prout constat ex declaratione facta per p.tum D. Firmanum ducalem vicarium generalem commissarium et delegatum in premissis. In qua reformatione dicti consilii facta ut supra, Johannes de Dexio qui alias fuerat in dicto Consilio intrusus p.tus D. Firmanus commissarius ut supra ipsum Johannem exclusit nec ipse D. Firmanus ex potestate sibi atributa una cum egregio legum doctore domino Thoma de Grossis tunc vicarium diete terre ipsum Johannem elligere voluerunt, quia sibi potestas ex forma statutorum predictorum atributa erat elle- gendi duodecim homines de dicto Consilio, et unum de quaque prole et parentella etc. salvo iure ipsi D. Geòrgie tanquam consiliario diete comunitatis, et uni de populo diete terre seriosius et latius predicta exprimendi narrandi et allegandi, protestansque ulterius corani D. Datharo de Datharis vicario Spect. D. potestatis Viglevani, ipse D. Georgius de nullitate dicti consilii si ipsi de Dexio in ipso Consilio admittantur, et de inobservantia reformationis dictorum statutorum facte et late p.*"™ D. comissarium ut supra protestatur. Que quidem reformatio et decla- ratio prefati D. Firmani facta et tradita per me notarium infrascriptum lecta fuit in dicto Consilio generali presentibus et audientibus p.to D. vicario seden, prò tribunali super solito bancho, et Floramonte de Belaciis et Baptista de la Porta tunc temporis consulibus diete comunitatis, et prò parte ipsorum de Dexio fuit allegatum quod obstabant predicte éxpositioni per dictum D. Georgium littere ducales signate Vincentius RAPPORTI FRA UNA « TERRA » E I SUOI SIGNORI, ECC. 183 dirrective SpectJi quondam D. Stephano de Capitaneis de Pontecurono tunc comissario et vicario generali ut asseritur dat. Mediolani die XI mensis Maii MCCCC**LVI.... que littere lecte fuerunt in dicto Consilio. Et per predictum D. Georgium de Collis responsum fuit quod'erant sub- repticie, quia non constabat de aliqua ordinatione facta per tunc consilium generale diete terre ut ipsi de Dexio admitterentur et admitti deberent in dicto Consilio diete terre, super qua aserta ordinatione I. D. D. N. sive M.ci D. consiliarii et secretarii sui videntur fecisse fundamentum. Et sic ex dolo et calumpnia ipsorum de Dexio et p.ti domini Steif.* fue- runt intrusi seu intrusus unus ipsorum videlicet ipse Job. de Dexio in numero ipsorum consiliariorum predicte terre unde predictis litteris non obstantibus, in predicta reformatione postea facta per p.tum dominum Firmanum comissarium et delegatum ut supra dictus Johannes fuit exclusus a dicto Consilio nec valuerunt ipsi Johanni et fratribus et aliis complicibus suis qui predictam reformacionem dicti consilii factam ut supra revocari facere querelle facte per ipsos de Dexio et aliquos de dieta terra p.to D. D. N. Francisco Stortie duci Mediolani etc. seu coram eius M.co Consilio secreto presentibus ipso D. Firmano et ipso domino Georgio et ipsis de Dexio et aliis complicibus et etiam aliquibus de dieta terra sociis ipsius D. Georgii quia p.tus D. noster necnon et p.tum eius M.cum et iustissimum consilium predictis partibus intellectis et auditis predictam reformacionem de dicto Consilio factam per prefatum D. Firmanum revocare noluerunt. Et sic nova ellectio et reformatio per quindecim menses facta de electione dicti consilii diete terre per p.tum D. Firmanum locum habuit, unde predictis intelectis et auditis, nullus de dicto Consilio contradixit ymo ordinaverunt nemine discrepante quod sortes officialium nuper fiendorum darentur et quod ipsi de Dexio nuper ellecti licet indebite utsupra haberent sortes albas tamquam si non es- sent de dicto Consilio. IX. .... (i consoli e gli altri consiglieri presenti) non consenserunt nec consentiunt, quia (le lettere) fuerant impetrate et eis de Dexio con- cesse per faisam et non veram significationem factam per prefatum D. Stephanum ad faisam et non veram significationem ipsorum de Dexio maxime in ea parte in qua prefatus dominus Steffanus scripsit prefato domino duci Frano.co Sfortie vicecomiti etc. et quod numerus consiliariorum diete terre prebuit eis de Dexio consensum (?) ut possint elligi de Consilio diete terre, quod minime verum fuit, nec apparet de aliquo consensu prestilo per ipsos de Consilio diete terre nec de aliqua ordinatione per eos facta, ut ipsi de Dexio possint elligi in dicto Consilio. Tacuerunt et ipsi de Dexio in eorum supp.bus quarum vigore p.tas ijtteras impetraverunt, quod ex forma statutorum diete terre non disponitur quod ipsi nec aliquis forensis possint elligi de dicto Consilio» Se- 184 FELICE FOSSATI queretur etiam absurdum quod ipsi de Dexio qui non sunt nisi tres^ nec alios parentes eorum habent in ipsa terra, quod omnes elligi et admitti deberent ad dictum consilium, quia ex parentibus diete terre qui sunt ce, CCC et CCCC» homines et persone de singula parentella non possunt elligi nec admitti nisi tres de unaquaque parentella, nec ipsi de Dexio aliam originem habent in ipsa terra Viglevani, nisi quod eorum mater fuit de Viglevano, et ex parentella illorum de Collis, et antequam eorum mater nupta fuisset D. Ant.* de Dexio eorum genitori, dictus D. Ant. eorum genitor ut supra nec aliquis de eorum parentella unquam habitaverunt nec steterunt, nec bona habuerunt in ipsa terra Viglevani^ et bona que nunc ipsi fratres habent, ipsa bona habuerunt ex successione diete eorum matris. Et si ipsi fratres de Dexio velint admitti in diete Consilio sub pretextu quod eorum mater fuit de sanguine Viglevani, respondetur quod filius non sequitur cognationem matris, sed agna-^ tionem patris. Et ex statuto comunis Viglevani de modo elligendi consilium generale, quod antiquissimis temporibus conditum et ordinatum fuit, antequam pater ipsorum de Dexio accepisset uxorem dominam Augustinam de Collis eorum matrem, et ipsi comunitati confirmatum per p.tum quondam D. D. ducem Fran. Sfortiam vicecomitem ducem Mediolani, disponitur quod nisi tres de una parentella possint esse et elligi de dicto Consilio, ex parentella de Collis sunt ellecti tres et de ipsis de Dexio qui non sunt nisi tres in eadem terra fuerunt ellecti due, et sic non haberet locum statutum si ipsi de Dexio vclunt trahere eorum originem et sanguinem a parentella de Collis. Item quia D. Firmanus de Perusio ex vicar. ducalibus deputatus et ellectus per Dominationem quondam D. ducis Fran. ad reformandum consilium diete terre decla-^ ratum fuit per instrumentum pub., ut consilium diete terre a modo in antea elligi deberet secundum formam dietorum statutorum et ipse D. Firmanus ipsum consilium tune mutavit et reformavit, et ipse Johannes de Dexio qui de ipso Consilio fuerat ellectus, licet per corruptellam quandam, fuit exclusus ab ipso Consilio reformato, ut constat de dieta declaratione per p.tum D. Firmanum per instrumentum pub. rogatum per me not. infrascriptum de anno MCCCC^LX!!! prox. preterito mense et die in eo cont. Ex quibus omnibus ipse asserte littere ducales fuerunt et sunt subrepticie et ipsi de Dexio debent carere impetrai, nec per ipsas assertas litteras ducales stat. diete terre nec diete reformacioni de dicto Consilio facte per prefatum D. Firmanum comissarium et delegatum utsupra in aliquo fuit nec est derogat. Et ad toUendum contentionem de predictis et ut iustitia unicuique.... sit, petunt ipsi consules et eonsiliarii haberi consilium sapient. super premissis an ipsi de Dexio debeant ad- mitti ad dictum consilium vel non admitti stantibus premissis allegatis, quod consilium ipsi de Dexio recusaverunt velie accipere salvo iure ipsis consulibus et consiliariis addendi allegandi et producendi quicquid fuerit et esse poterit in eorum favorem et in preiudicium ipsorum de Dexio et de eorum dolo et calumpnia. Attento etiam quod statim per dominos de Consilio qui elligerunt ipsos de Dexio in ipso Consilio fuit RAPPORTI FRA UNA « TERRA » E I SUOI SIGNORI, ECC. 185 revocata dieta eorum ellectio, et fuerunt ellecti alii duo de dieta terra Viglevani et de eonsensu dicti eonsilii generalis et consulum diete comunitatis, et petitum fuit per dominos consules partitum fieri in dieta eonsilio et per ipsos eonsiliarios an ipsi de Dexio admitti debeant in numero eonsiliariorum diete terre, quod partitum vos domine vicarie recusastis velie facere. Et de novo ipsum partitum domini consules fieri petunt et requirunt, aliter protestantur ipsi consules et consiliarii de inobservat. iuris et statutorum diete terre et diete reformat, faete per p.tum D. Firmanum duealem comissarium et delegatum utsupra, que reformatio et statutum predictum diete terre leeta fuerunt in dicto Consilio ipsis de Dexio presentibus et audientibus. Qui D. potestas et delegatus cum ea qua deeuit reverentia prefatas litteras cum supplic. incluss. accepit aperuit et legit, et visis et auditis premissis superius allegatis et opposiiis, ac visis dicto statuto et reformatione et Consilio sapient. et partito requisito utsupra, eas admissit et admittit in quantum iuris est ac obtullit et offert se paratum ea fa- cere ad continet. et debet de iure. X. È stato qua il Speet.'* D. Leonardo Collo per cagion de quella bosco, ecc. Io de novo ho parlato a lo Ill.re S. Ludovico e fatoli intendere la raxon e iustifieation vostra, quali per zulphorini e mal experto no essendo ben informato de li meriti de la causa havea concesso eerte lettere*^ Sì che iterata me ha replicato essere contento servare la prima lettera videlicet che faciati tagliare dicto boscho et exequir il facto vostro che più da Sua Signoria non havereti impedimento ni molestia. Non è stato bisogno fare altra lettera che questa per chiareza vostra comò ho informato il suprascripto D. Leonardo homo prudentissimo et integerimo quale piià particularmente vi narrerà la cosa de qual natura egliè. Sua Sig.rJa ha promisso sì realmente e realmente che non vole se seguita altro che l'ordine de la prima lettera, ch'io non ho voluto se facia aìtta replicatione. Né altro per questa salvo che sono semper a tuti li piaceri vostri parat.mo. XL Havemo recevuto le littere de vuy homini et intexo la graveza quale ve vole dare el datiaro del vino a minuto de quella terra de l'anno presente per li rispecti in esse vostre expressi li quali ne parena nedum debili in si, ma etiandio inconvenienti : per la qual cosa essendo nuy ad plenum informati de questo et così de la cagion per la quale la consuetudine quale rechede esso datiaro scie (si è ?) l'anno passato l86 FELICE FOSSATI - RAPPORTI FRA UNA « TERRA », ECC. tolta et levata via, che n' è parso sanctissima cosa comò ancora vuy ne poteti pensare, ve scrivemo che voi potestate in la dieta materia non agravate né faciati agravare altramente voi homini quanto foreno agravati l'anno proximo passato, che non pagareno cosa alcuna. Et questo non costante alcuna consuetudine né corruptela se possa allegare per dicto datiaro, facendo liberamente revocare ogni ogni (sic) novitate fosse facta contra dicti homini per la predicta cagione maxime attento che '1 dicto datio l'anno passato io incantato et deliverato per lo presente secondo la forma et consuetudine d'esso anno passato. ARMAIUOLI MILANESI nel periodo Visconteo-Sforzesco ON è ne fu mai idea nostra di scrivere la storia documentata degli armaiuoli milanesi ai tempi dei Viconti e degli Sforza, ma soltanto di dare alla luce la serie dei nuovi documenti da noi raccolti negli archivi cittadini e di quelli già noti per precedente edizione, dai quali risultasse tutta questa storia gloriosa, lasciando ad altri, anche più esperti nella parte tecnica, la cura di stendere l' illustrazione sapiente di quelle floridissime officine, la cui fama ben addietro nel Medio Evo aveva varcato le Alpi ed il mare. Che, per verità, malgrado gli studi pregevoli già pubblicati, anche con corredo di documenti e di ricca' illustrazione grafica, dal Casati, dall'Angelucci, dal Gaulliuer, dal Razzerò, dal Bòheim e dal Gelli, la vera storia dell'industria delle lame e delle corazze milanesi manca tuttodì. Consci che il saggio nostro è tutt'altro che completo, e non ultimata la ricerca dei documenti, specialmente nel ricchissimo archivio Notarile (i), eravamo sempre esitanti se darli alla stampa ; senonchè calcolato che quelli da noi fin qui raccolti presentano già un discreto materiale interessante per non essere oltre rimandato, presentiamo la serie cronologica dei regesti per la splendida epoca visconteo-sforzesca, estendendola a parte del Cinquecento avanzato per riguardo ai celebri armaiuoli Negroli. Disgraziatamente, come aveva già avvertito il Novati (2), ed (i) Ci giovarono efficacemente per numerosi ritrovi in quell'archivio, i di- ligenti spogli dei principali notai milanesi curati dal marchese Vercellino Maria Visconti (t 1678) e coatenuti nei codici Trivulziani 1815-1824. (2) Le ferriere milanesi nei secolo XV e la casa Missaglia, in La Perseve- raiiia, 26 marzo 1902. lP.8 EMILIO MOTTA il nostro regesto meglio suffraga, fanno tuttora completamente difetto i documenti anteriori alla seconda metà del '3.x>, ed anche per quest'ultima si riducono a pochi di numero ed in parte dedotti da registri dell'archivio Civico Milanese, ora mancanti (i). I documenti più antichi sono due, e del Duecento (2). Le Consuetudini milanesi del 1216 alla rubrica « de rippis »^ riportano le voci « osbergiis et panzeriis >♦ tariffate denari 4 per libbra (3). Altro documento del 17 marzo 1232, fatto noto da assai tempo dal Mandelli (4), informa che volendo in quell'anno il comune di Vercelli concertare lo stabilimento nella città d'una fabbrica d'usberghi ne fece venire il fabbricante da Milano, certo Alamanno Rubei (Rossi) « osbergerii civitate Mediolani », cui concesse speciali privilegi alla condizione che dovesse « se et eius heredes « in civitate Vercellarum stare et officium Osbergariae facere ». Poi si salta addirittura al 1288, alle notizie fornite da Bonvesin da Riva (5) e da Galvano Fiamma nelle loro Cronache, laddove ricordano in Milano la gran abbondanza d'armaiuoli, che fabbricano armature dappertutto ricercate. I fabbricanti di corazze eranopiù di cento, e tenevano tutti ai loro servigi moltissimi operai intenti al mirabile artifizio delle « macchie » (« macularum artificio « mirabilli cotidie insistentes ») (6) ; coloro che facevano scudi ed arme d'altro genere erano poi innumerevoli. 11 Fiamma ripete ed anche copia i dati di Bonvesin, e specifica ciò che gli armaiuoli producevano : u loricas, thoraces, lamerias, galeas, galerias, cervel- (1) Sunti risultanti però da un diligente inventario del secolo XVII, quando quei registri erano ancora conservati, e dovuto al segretario Gian Giacomo della Chiesa, personaggio che per i suoi meriti, non ancora chiariti, verso la storiografia milanese, abbisogna di una nota biografica separata. (2) Avvertasi però che fino dall'anno 1066 è ricordo della via Spadari in Milano (cfr. Fumagalli, Vicende di Milano durante la guerra con Federico I im^ peratore, 2.^ ediz., p. 277, come da pergamena dell'archivio di S. Ambrogio). (}) Berlan, Liber consuetudinum Mediolani^ Milano, 1869, p. 75. (4) // Comune di Vercelli nel Medio Evo, lib. II, p. 60, riportato dal Casati,, dal Bòheim, dal Novati e da altri (5) BoN VICINI DE RippA, De magnalibus urbis Mediolani, ediz. Novati, Roma, 1898, p. 149 (dell'estratto). (6) Il GiULiNi, Memorie, IV, p. 711, riferito il passo soggiunge: « si ridu- « ceva (l'acciaio) ad essere splendido più d'uno specchio, toltone il sito dove si « ornava con figure che il Fiamma addomanda macchie ». Per la terminologia delle parti di armatura rimandiamo ai glossari dell'Angelucci. ARMAIUOLI MILANESI NEL PERIODO VISCONTEO- SFORZESCO 189 4t leras, collarias, cyrothecas, tybalia, femoralia, genualia, lanceas, « pilla, henses, pugiones, clavas et sunt omnia ex ferro terso et « polito ». Per la prima metà del Trecento assoluta mancanza di documenti, se ne togli la tariffa daziaria del 1340 alla quale si riferisce lo Schulte nella sua magistrale opera (i). Il « Capitulum ferri 1 aborati ^« et non laborati » riguarda quasi esclusivamente l'arte dell'armaiuolo (2). Vi sono descritte, oltre l'acciaio di Cantù e di Carate, le « arma de ferro nova » e « de ferro vetera », le « barbute » <:on e senza « magia », i « brazalles » di ferro e di cuoio, le corazze « de proba, de media proba ♦», e « de sorte », le « cerve- ^ lere nove et afaczate », e « desmasate », i capelli de ferro », i u u gomedeti » di ferro, le « sgienere » di ferro e cuoio « cum M cossironibus et zinogialis » le spade nuove e rotte, e i guanti di ferro. Pochi e non di grande importanza i documenti della seconda metà del Trecento (vedi i nn. 1-9 del Regesto). Al 1398 si riannoda la notizia, ripetutamente divulgata, dell'invio di armature al ■duca di Norfolk da parte del signore di Milano. Inutile per chi ci legge dare prove quanto famose fossero le officine milanesi all' Estero. Alle conferme così significative come ■quelle prodotte dal Novati (3), degli spagnuoli Giovanni de Mena e don Luigi Lopez de Mendoza, marchese di Santillana, che il fragore delle armi nelle battaglie di Granata (1431) e di Ponza {1435) (4) paragonavano allo strepito assordante delle ferriere milanesi, possiamo aggiungere la testimonianza di un poeta francese del Trecento, Eustachio Deschamps che paragona le daghe di Bordeaux e (i) Geschichte des miUelallerìichen Handels, ccc.^ Leipzig, 1900, I, p. 696. (2) ASM, Finanza (Atti di Governo, parte antica). Ne dobbiamo la copia alla cortesia dell'egregio signor A. Giussani dell'archivio di Stato. Qualche altro documento ci venne comunicato dal suo collega nobile Beno Della Croce. (3) La Perseveratila, loc. cit, Cfr. anche ({MQIX' Archivio, XXX, 1903, p. 155 {recensione di C. F. di B. Sanvisenti, / primi influssi di Dante, del Petrarca e Boccaccio stilla letteratura spagnuola). (4) È noto, pel Verri, Storia di Milano^ ediz. De Magri, 1840, II, p. 265, € per altri che il Carmagnola rimandò disarmati bensì ma liberi al duca di Milano, tutti i generali ed i soldati numerosissimi che aveva, fatti prigionieri nella vittoria del 1427. Il duca in pochi giorni armò di nuovo questi militi: due soli artefici di Milano gli diedero le armature per 4000 cavalli e 2000 fanti. 190 EMILIO MOTTA le spade di Clermont alle lame di Milano e di Damasco : De males dagues de Bourdeaulx Et d'espées de Clermont, De dondaines, et de cousteaulx D'acier qui à Milan se font, De haiche à martel qui confont De croquepois, de fer de lance, D'archegaie qu'on gette et lance, De faussars, espaphus, guisarmes, Puist-il avoir plaine sa pance, Qui me requerra de faire armes (i). Come ben osservò il Bòheim, seguito dallo Schulte (2), se le lame di Brescia, Toledo e Passau la vincevano su quelle di Milano, la fabbricazione delle corazze nella nostra città era la più perfetta, insuperabili anche dal lato artistico, tuttoché destinate in larga scala al commercio. Milano infine dominò il mercato di tutto il continente : la Tranciane divenne completamente tributaria. Ed a prova essi citano i passi fatti da Carlo V (1366-1380) e da Carlo VI (1380-1422) per r introduzione di armature milanesi in Parigi (3) e di una importante colonia d'armaiuoli lombardi in Lione, dove si mantenne fiorente anche nel secolo XVI. Nomi che figurano primi in ordine di data sono : « Martin de Tras », detto da Milano (1410- 1435), Giovanni, Tommaso, e Ambrogio da Milano (1414-1485), Antonio da Binago {1482), Simone « Basset » di Milano (1490-1494), Roboamo e Romano Orsini di Milano (1493-1530), Battista e Cesare fratelli Gambeo, pure di Milano (1543-1549) (4). (1) Poésies morales et historiques d'EusTACHE Déschamps, écuyer, Paris, 1832, p. 132 (riprodotto in Gaullieur, Uarmnrerie milanaise à Bordeaux^ '^^^It P- 61). (2) Bòheim, Die Waffen und ihre einsliae Bedeutung ini fVeUhandel, e Werke Maiìànder JVaffenschmiede (1889), p. 378; Schulte, op. cit., I, p. 148. (3) e U fist (Carlo V) pourveance de haubergons et azarans camails, four- « geiz à Milan, à grant foison apportés par deca par l'affinité de messer Barnabò, « lors seigneur du dict lieu etc. » (Christ. de Pisav!, Les faits du Roy Charles). (4) Nomi che il Bòheim cava da Rondot, Les artistes et les mailres des métiers étrangers ayant travaillé à Lyon, in Gaiette des Beaux Arts, 1885. Agg. ora GiRAUD, Docutnents sur Parmemement au nioyen dge, V e VI, Lyon, 1899; Chicco, / maestri d'arte italiani in Lione dal XV al XVII secolo, in 'Bollettino Ministeio Affati Esteri, novembre 1899. Per importazione d'armi milanesi a Toosa a;l i\6ì, cf r. ({m^sx' Archivio, XXXIII, 1906, p. 543. ARMAIUOLI MILANESI NEL PERIODO VISCONTEO-SFORZESCO I9I Dal nostro regesto risulteranno nuovi documenti per forniture importanti di armi ai re di Francia e d' Inghilterra, ai duchi di Savoia e di Lorena, a Massimiliano I imperatore. I da Vimercate, gli Arconati, i Carnago, i Missaglia, i Corio, i da Merate vedremo trafficare ed esercire fabbriche, fin dal principio del '400, a Brescia, a Napoli, a Venezia, a Roma, a Ferrara, a Mantova ed oltr'Alpi a Tours, a Bordeaux, ad Arbois ed in Spagna. E nelle armerie di Vienna, di Madrid e di Torino, nei musei di Parigi, di Berlino, di Zurigo, Berna, Lucerna ed altrove i capolavori eseguiti in Milano dai Missaglia, dai Negroli, dai Cantoni, dai Merate fanno tuttora la più bella mostra. I nostri regesti (e questo va particolamente segnalato) recano un nuovo ed abbondante contributo alla genealogia delle celebri casate dei Negroni da Elio, detti Missaglia, e dei Negroli, sì da modificare sostanzialmente i dati forniti dall'Angelucci, dal Bóheim, accettati dal Gelli. Forse in altro articolo suppletorio daremo al completo quelle tavole genealogiche ; occorre però fin d'oggi ret- tificare che per Pietro, capo stipite dei Missaglia, mancano tuttora documenti a provarlo armaiuolo (i). « Dominu^ Petrus de Negrou nibus de Elio » morì tra il 26 gennaio ed il 12 maggio 1428 (2). 11 figlio suo Tommaso, il primo a venir chiamato Missaglia nei documenti, fu realmente maritato con Giovannina da Venegono, ricordata già dal Bóheim (3). Figura nel 1430 (vedi Regesto n. 26) mentre del fratello suo Dionigi già si ha notizia un anno prima, per una curiosa causa di contraffazione di marchio di fabbrica promossa contro di lui dall'armaiuolo Aloisio da Boltego e segnalata dal Biscaro (n. 25). Tommaso non morì, come si è sempre stampato, (i) I Missaglia non si arricchirono soltanto con la fabbricazione e commercio delle armi, ma anche, essendo di sovente associati ad altri mercanti, col traffico di diverse altre mercanzie. Cosi nel 1430 Stefano de Vecchi doveva a Tommaso Missaglia lire lOO per mercato di oro in verga. Gio. Pietro, figlio di Dionigi Negroni da Elio, negoziava in corami nel 1469 e nel 1476 con Cristoforo e maestro Michele da Legnano (ANM, rog. I.» dicembre 1430, net, E. da Sartirana; rog. 21 luglio 1469 e 8 giugno 1476 not. Lancellotto Sudati e Boniforte Gira). (2) ANM, Rogiti di quelle date, del notaio Pietro Regna. (3) Werke Maiìànder ÌVaffenschmiede, p. 389; ANM, rog. 23 maggfo I4S7) not. Giacomo Brenna. 192 EMILIO MOTTA nel 1469; bensì avendo fatto testamento nel 1452 e figurando già defunto nel 1454, devesi ritenere decesso in quel biennio (i). Ne lasciò soltanto cinque, bensi nove figli e di nome Antonio, Gio. Pietro, Cristoforo, Cabrino, Filippo, Francesco (che fu anche in Francia), Ambrogio, Damiano e Catterina (2). Naturalmente è verso Antonio, il primogenito, lungamente vissuto a capo della casa, dopo la morte del genitore, che convergono i documenti più numerosi del nostro Regesto. E Milano gli decretò gli onori del famedio (3). Infeudato nel 1472 di Corte Casale egli ebbe più tardi anche titolo comitale (n. io8). Ignoriamo ancora in quale anno preciso, mentre un documento del 7 gennaio 1480 (notaio Gira) già ricorda Filippino d' Erba quale podestà di Corte Casale « prò magnifico co- ^ mite Antonio Missalia » (4). Dopo il 1514 non si hanno più notizie dei Missaglia, i quali, a quanto pare al Gelli, devono essersi ritirati dal commercio delle armature, o aver affidata la protezione dei loro interessi a speciali procuratori, quali un Cristoforo Caimi. Non abbiamo difficoltà ad ammetterlo ; anzi è probabile che ai Negroni siano subbentrati i Negroli, vedendoli seco loro nel 1504 in relazioni d'affari (n. 157 (5). Per i Negroli, che compaiono nel 1492, non mancano i nostri documenti di fare nuova luce, rivelando anzitutto il vero loro casato che era quello dei Barini, detti poscia de' Negroli (6), così come, in senso inverso, dai Negroni per sopranome, erano derivati i Missaglia. I Negroli non discendono affatto da Elio, come i più, senz*al- (i) Regesto n. 115 e ANM, rog. 20 aprile 1454, °ot. Gasparino Regna. (2) Reg. nn. 95 e 115. Per i singoli nomi cfr. l'indice alfabetico degli ar- maiuoli in fine di questa memoria. (3) Belgiojoso, Guida del Famedio, Milano, 1888, p. 151. (4) Veramente devono esserci stati, in quasi egual tempo, due differenti An- tonio del casato Negroni o Missaglia. Un primo figura già morto nel 1490 ed il secondo (il conte) è tuttora vivente nel 1495 (Reg. nn. 144 e 151). (5) Nel nostro Regesto non abbiamo fatto posto ad alcuni documenti per i Missaglia citati dal Gelli, Gli armaiuoli milanesi^ p. jO e sg., perchè non reca- vano luce sulla loro attività industriale. (6) Cfr. Reg. nn. 157-159. E diffatti l'antico stemma Negroli, della fine del Quattrocento, figurato nel prezioso e noto codice iTrivulziano n. 1590, reca un barile d'oro in campo celeste. I Negroni portavano una ruota ed una testa di Moro. ARMAIUOLI MILANESI NEL PERIODO VISCONTEO-SFORZESCO I93 cuna prova, finora hanno ammesso : essi nulla hanno a che vedere <:on quella amena terra della Brianza, e sono milanesi pretti. Che altrimenti, il Riva Finoli, assai versato in materia araldica, scrivendo di Elio e dei Negroni, non li avrebbe ignorati (i). Altri documenti intorno a questi celebri artefici, anche cavati dagli archivi di Simancas, reca il Bóheim, al quale rimandiamo (2). Occorre tuttavia tener presente il ricordo ch'egli fa della casa Negroli, situata in S. Maria Segreta, affrescata neh' interno dai pittori Giuseppe Meda e Bernardino Campi, e ciò sulla fede del Lamo. Ma quale casa era?... noi crediamo trattarsi della residenza del banchiere Cesare Negroli, donde venne il ramo dei feudatari e marchesi di Brembio nel 1583 e nel 1676. Dei Piccinino, dei Della Chiesa, dei Cominazzi e di altri insigni armaiuoli del Cinquecento, illustrati dall'Angelucci e dal Celli non ci occupiamo, gli archivi milanesi non avendoci finora svelati nuovi documenti (3) * * * Due parole, a chiusa, sulla demolita casa dei Missaglia. Non sembra dubbio che la sigla ben nota ai conoscitori di armature antiche che vi si vedeva scolpita sui pilastri ed anche nelle serraglie, fosse quella dei celebri armaiuoli. Ma come si spiega che quella casa recava anche traccie della nota impresa, la cresta coi raggi, del cardinale Ascanio Sforza (4), la di cui armatura, squisita fattura milanese, è conservata nell'armeria di Torino ? Si avverta che i Missaglia possedevano anche una casa sulla piazza del Castello, certamente di valore se richiesta a prestito dal duca (i) Elio e Villa Vergano, Milano, 1877, p. 13 e sg. (2) Die Mailànder Nigroli und der Augsburger Desiderius Coiman, die Waffenkùnstler Karl's V, in Repertorium fùr Kunstwissenschaft, Vili, 2, 1885. Agg. PicoT, Noie sur G. Pietro Negroli armurier à Paris au XVI« siede, in La Correspondance historique, giagao 1905. Lo ricordò, come è notorio, già il Brantòme. (3) Al momento di licenziare le bozze, apprendiamo dall'egregio dott. G Biscaro in Roma, tenere egli un materiale copioso sull'argomento da noi trattato. Facciamo voti che lo comunichi presto in (\MtsC Archivio. (4) Stando al Sant'Ambrogio, la casa al n. 17 in via S. Vittore al Teatro, già dei Vismara, venne assegnata al cardinale Ascanio, alla morte di Gio. Galeazzo Maria Sforza {Fra slemmi e imprese, in L'Unione, 1908, appendice n. 15). Arch. Star. Lomb , Anno XLT, Fase. MI. il 194 EMILIO MOTTA - ARMAIUOLI MILANESI, EC,C. di Milano nel 145 1 e vendutagli, sembra, nel 1468 (nn. 55 e 95), Anche in essa era deposito di armi. Noi sappiamo che i principali personaggi che capitavano a Milano od erano ospiti dei duchi si recavano a visitare le botteghe degli armaiuoli. Cosi nel 1492 gli ambasciatori veneti Contarini e Pisani furono « a veder la casa de uno armarolo, che se chiama « Antonio Missaja, homo richo, el quale tiene continue molti lau voranti, che fanno armature in casa sua con grandissima spesa. « In la casa sua è dapertutto armature de ogni sorte per molti mi- « gliara di ducati Costui fornisce ogn'uno quasi di tali arme » (i). Non visitarono dunque officine con fragore di martelli e fiamme avvampanti nelle fornaci (2). Ed ha ragione il Novati quando afferma che la casa di via Spadari servì ai Missaglia unicamente di privata abitazione, di bottega e di magazzeno dov'erano esposti all'ammirazione dei clienti i saggi delle loro fabbriche (fuori porta aggiugiamo noi), i campioni dell' industria loro (3), Casa troppa modesta per immaginarvi ristretta dentro tutta l'attività dei Missaglia, in quella Milano dov'erano : Arme da far poi guerra a tutto el mondo e cento campi armar con quel di Xerse (4). Emilio Motta. (i) La notizia venne data, per primo, dal Casati, donde la riprodusse il Bòheim. Agg. meglio Simqnsfeld, Itinerario di Germania dell'anno 1492, in Mi- scellanea Veneta, voi. IX, 1905 e Motta, in Periodico di Como, fase. 54, 1902. (2) Anche il cav. Arnoldo di Harff di Colonia, reduce da Gerusalemme nel 1497 e transitato per Milano, ammirava la gaia, industriosa città e le sue donne, le più belle tra tutte quelle incontrate nei suoi viaggi. Gli armaiuoli, i corazzieri, gli spadari occupavano tre distinte contrade (cfr. (\\xtsi' Archivio, XIII, 1886, p. 197). Per la mostra fatta dagli armaiuoli milanesi nella loro contrada, nella circostanza delle feste pel matrimonio di Lodovico il Moro con Beatrice d'Este, nel 1491, cfr. (\\itsi^ Archivio, XIII, 1886, p. 253, notizia ripetuta dal Gelli, dal Verga e da altri. (3) La bibliografìa intorno alla casa Missaglia, oltre i lavori del Gelli, del Moretti e del Beltrami, è abbondante, ma non è del nostro compito di produrla. La daremo forse più tardi, nella memoria suppletiva sui Missaglia e Negroli, estendendola a tutta la letteratura degli armaiuoli di Milano. (4) Taccone, Coronatione e sposalitio di Bianca Maria Sforma, Milano, Pa- chel, 1493. ARMAIUOLI MILANESI NEL PERIODO VISCONTEO-SFORZESCO I95 REGESTO (i). 1. — 137 J, agosto iS' Concessione d'immunità e di famigliarità fatta da Galeazzo Visconti a Simone Correnti, fabbricante d'armature, privi- legio confermatogli il 19 marzo 1395. ACM, Lettere ducali (mancanti) ; Gelli e Moretti, Gli armaroli milanesi. 1 Missaglia e la loro casa^ Milano, 1903, p. 2. 2. — ij8o, gennaio 2. Pavia. " Joannolus Vigionus magister armorum " Mediolani „ viene aggregato ai famigliari del signore di Milano. Società Storica Lombarda, Registro Lettere ducali (già Formentini). 3. — ijS2^ Inglio Ji. Pavia. Lettere di passo a favore del condottiero visconteo Henzmann di Grunenberg che si reca a Milano " causa " emendi certa arma „ per se e soci suoi. H. voN LiEBENAU, UrkunUen und Regesten zur Geschichte des S.t GolthardwegeSy Zurich, 1875, n. 202. 4. — ijSSì luglio J, Il paratico degli spadari figura il quindicesimo dei diciannove obbligati ad intervenire ai 5 di luglio di ogni anno alla oblazione da farsi in S. Margarita. ACM, Provvisioni ij8j;-88, pp. 19-20; Gelli, Gli spadai e i lansari di Milano, in Rassegna d'arte^ dicembre 1912, p. 186 ; Gelli e Moretti, op. cit., p. IDI. 5. — ^^p/, luglio ij. Lettera viscontea che concede immunità a Giovanni Meraviglia detto Animonus fabbricatore delle armi del signore di Milano. ACM, Lettere ducali (mancanti); Gelli e Moretti, op. cit., p. 3. 6. — 1394, febbraio 7. Si fa obbligo al paratico degli spadai milanesi d' intervenire a tutte le offerte che si fanno dal comune di Milano alle chiese. ACM, Lettere ducali i3gj-i4og, fol. 28 ; Gelli, in Rassegna diarie, 1912, p. 186. Abate del paratico era Antonio Busca. 1 " magistri a spatis „ elencati in questo documento sono : Antoniolo e Cristoforo de Bornengis de Rodello, Arditus de Canibus, Vercellino da Rodello, Beltrame Suganappi, Marcelo da Meda, Dionigi del Pozzo, Antonio Biffi, Beltramolo da Legnano, Anselmino de Machariis di Seregno,Giov. de Ferrari di Desio. 7. — ^39Sy febbraio 6. Concessione ducale agli " usbregarii si ve " magistri armorum „ di Milano, di poter tenere farina e crusca sulle armi lavorate (" panzironis et aliis operibus magie „) a fine di proteg- gerle dalla ruggine. ACM, Lettere ducali (mancanti) ; Gelli e Moretti, op. cit., p. 4. (i) Per brevità nelle citazioni useremo le abbreviazioni : ACM, Archivio Civico di Milano; ANM, Archivio Notarile di Milano; ASM, Archivio di Statò di Milano. Dove non è riportata la località del regesto intendasi Milano. Ig6 EMILIO MOTTA 8. — IJ9S, febbraio. Ordini del paratico degli spadai per cui chi comperasse all'estero " enses, coyros, astellas „ e simili per rivenderle, doveva notificarle all'abate della corporazione sotto pena di 12 soldi per cia- scun oggetto comperato o venduto, oltre alla perdita della somma pagata. ACM, Lettere ducali t^9S-i409, fol. 30; Celli e Moretti, op. cit., p. 105. Giovanni de Barzi da Desio era in quell'anno abate. Non figura più il Busca, mentre dei nuovi è menzionato un Marcolo " de Brusa- " navis „ di Lecco. 9. — 139^- Il conte di Derby, più tardi re Enrico IV, in procinto di entrare in lizza col duca di Norfolk a Coventry, manda a chiedere un'armatura a G. Galeazzo Visconti, duca di Milano, il quale non solo dà al cavaliere portatore del messaggio la libera scelta di tutte le sue, ma fa ancora partire con lui quattro armaiuoli milanesi, i migliori di Lombardia, aggiunge il Froissart, . Froissart, Chroniques (édition du Panthéon Ut ter air e), to. IH, p. 317 ; Meyrick. a criticai inquiry into antient armour, voi, II, p. 49, London, 1842 (i); Gaullieur, Uarmurerie milanaise à Bordeaux ati quinzième siede, Bordeaux, 1867, p. 7; Casati, Le antiche fabbriche alarmi milanesi, in La Perseveranza, 1871, l e 3 novembre ; Bòheim, Werke Mailànder ÌVaffenschmiede in den kais. Sammlungen (Jahrbuch dei Musei di Vienna, voi. IX, 1889), p. 377 ; Celli e Moretti, , op. cit. ed altri autori. 10. — 1401, maggio jo, Belgioioso. Passaporto ducale al famigliare di Pietro da Polenta per condurre armi da Milano a Ravenna, e cioè ^' elmettos sex fulcitos cum baneriis et reliquis : pectora IIII raxata cum " piastris : paria UH arnisiorum : paria sex brazalium, paria sex guan- * torum : celatas sex ; corzarinos sex : paria III scarparum de ferro et * sella una cum furnimentis „. Magenta, / Visconti e gli Sforza nel castello di Pavia, voi. II, p. 88. 11. — 1406, ottobre 6. Donato d'Arconate^ fil. q.m d. Antonio, abitante in porta Vercellina, parrocchia di S. Maria Segreta, " magister ab armis „ assume in lavorante " armorum „ Giovanni de Celarlo fil. qd.m Anto- niolo, in parrocchia di S. Mattia alla Moneta, da oggi a metà ottobre 1407 per lavorare nella città di Brescia " in eius magistri Donati staziona et " domo .... de arte sua armorum cuiuslibet generis et maneriey „. Dandogli alloggio e vitto in casa sua e mensili lire 2, soldi 16 imperiali; oltre che a Pasqua un paio " caligarum novarum et bene sufitientum „. ANM, Not Enrighino da Sartirana. 12. — 1410, maggio 2 Lettere ducali d'esenzione a favore di Onofrio de Servia qd.ra Accursio, "magister a lanceis, huius nostre civitatis ^ Mediolani „. ACM, Lettere ducali I4i0'i4ij, fol. 62. (I) Che ricorda usberghi di Milano, esistenti nel 1455 nell'armeria della Torre di Londra, ed in tavola colorata (XXXIV) riproduce sir Guy de Bryan e Bernabò Visconti, a cavallo. ARMAIUOLI MILANESI NEL PERIODO VISCONTEO-SFORZESCO I97 13. — 141S, marzo 21. Grida che vieta agli spadari di pulire le spade lungo le vie, e di tenervi qualsiasi ostacolo. ASM^ Reg. Panigarola CC, fol. 129. 14. — 1416, 12 marzo. Cittadinanza milanese concessa ad Angelo da Perugia, figlio del qd.m Giovanni, maestro da balestre. ACM, Provvisioni IV, fol. 5 t. 15. — 1418, gennaio 21. Domenico da Lecco promette di stare e lavorare " de arte magiarum „ con Bellono de Foppa fil. qd.m d. Giovan- nolo, a S. Babila fuori. Con paga di soldi 3, denari 3 imp., per quattro pezzi " panziarum „. ANM, Not. Giovanni Sansoni. 16. — 14^9, agosto 7. Paolo de' Capelli fil, qd.m d. Ottone, Luccolo de Nava fil. qd.m d. Giovanni e Antonino di San Donnino, fil. qd.ra d. Cristoforo, abitanti nella parrocchia di S. Bartolomeo, promettono di recarsi a Venezia " ad laborandum de arte a piastra „, nella bottega dei fratelli Albertino e Nicolino da Vimercate detti da Crema, del qd.m d. Jacobo. Con paga mensile di ducati 6 d'oro veneziani ed un paio di calze al de Nava, ducati 3 74 al Capelli e ducati 2 al San Donnino. I da Vimercate tenuti a fornire loro un letto completo, da poter portar nella loro casa d'abitazione, ma non alle spese cibarie e di abiti. ANM, Not. Antoniolo da Merate (i). 17. — 1423, aprile 2j. Petrolo da Fagnano abitante in S. Pietro in Campo Lodigiano assume Cristoforo Corio qd.ro d. Manfredino abitante a S. Lorenzo per lavorare " de arte armorum „ cioè " de spalaziis et " brazariis tantum „ ; pagandogli soldi 7 e denari 2 imp. per ogni paia " di spalazii „. ANM, Not. Ambrogio Spanzotta. 18 — 142J, ottobre 21. Peterlino figlio del qd.m Giovanni di Colonia, procuratore del nobile Carlo dei Pio di Carpi, riceve da Bondiolo de* Zerbi, abitante a S. Tecla, cedente a nome di ser Gio. Aloisio dei Maineri di Milano, " cassium sive elmettum unum pulcrum, finitum et la- * boratum argento saldato, et velluto, et sita, et panzieram unam azialis „. ANM, Not. Lorenzo da Montebreto. 19. — i42Sì novembre 9. Conto di Jacomino Ravizza e Giovannino da Corneno " magistri armorum.,, in Milano, per " due panceris fultis ^ come alla distinta, date in dono dal duca di Milano a " domino lacobo " Ezipazio miniti et Manno barillo „. Loro prezzo lire I35, soldi i, de- nari 4. ASM, Carteggio Visconteo (a). (i) A distanza di secoli è ricordato uu G. Angelo Nava morto nel 1587, spadaio detto il Moschino, e prediletto di S. Carlo Borromeo (cfr. Bollettino storico pavese, 191 3, p. 240). (2) Sotto la medesima data il Gelli, op. cit., p. 32, ricorda una supplica di a Bernardo armorero j) al duca Gian Galeazzo Visconti {sic) per ottenere da Ja- 198 EMILIO MOTTA 20. — 142S, novembre 28. Ordine ducale al consigliere Zanino Riccio, perchè provveda tosto un'armatura da presentarsi al figlio del re di Tunisi, e che sia " ad formam persone Bonifacii de Coconato familiaris " nostri et etiam grossiorem „ (i). Osto, Documenti diplomatici tratti dagli archivi milanesi, II, p. 163, Milano, 1869 ; Casati, op. cit. ; Bòheim, op. oit., p. 378. 21. — 1426, febbraio 2^. Antonio da Lodi del qd."' Pietro lavora " de " arte armorum „ a porta Ticinese, nella parrocchia di S. Lorenzo maggiore, sotto Giov. da Lomello, per la durata di due anni ed a soldi 5 i/, imp. al giorno, pagabili a fine settimana. ANM, Not. Ambrogio Spanzotta. 22. — 1426^ ottobre 27. Cristoforo Corio e Maffino da Fagnano, abitanti a S Lorenzo fanno società " de arte armorum piastrarum „. ANM, Not. Ambrogio Spanzotta. 23. — 1428, settembre ij. Il duca di Milano trasmette per mezzo di Bartolomeo Mosca a Giovanni Maroth " hanno imperiali „ una panciera insieme co '1 resto d'una intiera armatura. Osio, op. cit., II, p. 394. 24. — 1429, gennaio 4. d. Anrigolo d'Arconate, mercante milanese, e Ambrogio da Birago, armaiuolo, abitanti a S, Michele al Gallo fanno società per sei mesi pel traffico di armi. ANM, Not. Enrighino da Sartirana. 25. — 1429, aprile^ 9. Dichiarazione di appello da una sentenza del vicario del podestà di Milano, in una causa promossa dall'armaiuolo Aloisio da Boltego fil. qd.m d. Cristoforo, detto Borellino, a S, Maria Beltrade, contro Dionisio Negroni da Elio, pure armaiuolo. Aloisio si era querelato perchè Dionisio da qualche tempo segnava le proprie armature con un marchio perfettamente eguale a quello da lui adottato e prima di lui, per oltre 25 auni, dal padre suo Cristoforo da Boltego. copo Ravizza e da altri il oagamento di alcune armature fornite per un totale di lire 155, soldi I, denari 4. Evidentemente trattasi del medesimo documento sopra riferito, ma travisato. Come poi vi figuri un Bernardo, da noi non riscontrato nel documento, e che il Gelli congettura sia il primo documento da attribuire al Missaglia, lasciamo a lui di provare, scartando però senz'altro la sua congettura che questo Bernardo sia stato forse l'artefice delle armature del conte di Derby, di cui il Froissart, come s'è detto, sotto l'anno 1598!... . (i) Già fin dal 3 di novembre, come si ha da una lettera al Riccio, il duca aveva fatto comperare da Giovannino da Corneno, maestro d'armi in Milano un'armatura per il re di Tunisi, la quale costò lire 170 e soldi 5 imp. Il figlio del re poi doveva essere assai corporuto, perocché quei di Cocconato, stando al Dizionario del Casalis, hanno fama di complessione robusta e ben conformata. Gli invi delle armature erano fatte nella speranza di ottenere la liberazione dì alcuni prigionieri negli stati dell'Emiro, come infatti avvenne (cfr. G. Romano, Filippa Maria Visconti e i Turchi, in quest* Archivio, XVII, 1890, p. 588). ARMAIUOLI MILANKSI NEL PERIODO VISCONTEOrSFORZESCO I99 Si lamentava inoltre clie anclie un secondo marchio adottato, pare, da più lungo tempo, dal Negroni, costituisse, se non una perfetta contraffazione, una imitazione fraudolenta del vecchio marchio Boltego. ANM, Not. Lancellotto da Montebreto ; Biscaro, Due controversie in tema di marchi di fabbrica nel secolo Xl^, in quest'Archivio, XXXIX, 191 2, p. 335 e sgg. 26. — ^4Jo, giugno 2p. Società, duratura un anno, per la vendita e commercio delle armi fra Tommaso detto Missaglia dei Negroni di Elio; fil. qd.m d. Pietro, abitante in porta Romana, nella parrocchia dì Santa Maria Beltrade, e Bellino Corio fil. d. Aloisio, in porta Vercellina parrocchia dei SS. Naborre e Felice. Il Missaglia era tenuto a fornire per il valore di lire 2600 imp. in armi " videlicet coraziarum, hermitorum, ar- * nexiarum, brazalium, guantorum, spalatiarum, cellatafùm, „ più lire 2400 in moneta. Il Corio s' incaricava della vendita e dello spaccio delle armi nelle parti di Romagna e Tuscia, dividendo a metà il guadagno. ANM^ Not. Pietro Regna ; quest^ Archivio, XXVIII, 1901, p. 452 (i). 27. — J4J2, maggio ij. Petrolo da Fagnano qd.m d. Olino, a San Pietro in Campo Lodigiano, assume per anni otto Andriolo de Herba abitante in porta Vercellina, parrocchia di S. Nicolao per lavorare " de " arte faciendi curazias et alia arma „, ANM, Not. Ambrogio Spanzotta. 28. — I4yj, novembre 7, Promissioni fatte da Bernardo Solari fil. qd.m d. Pietro e da Bernardo Calvi fil. d. Ambrogio, maestri armaiuoli a S. Maria Segreta, a Tommaso Negroni da Elio, detto il Missaglia, di non più servirsi nell'esercizio della propria arte, dei marchi disegnati nell'inbreviatura notarile, che ciascuno di essi aveva rispettivamente cominciato ad usare da non oltre un anno, perchè quasi conformi od assai rassomiglianti al marchio Missaglia. Promissioni destinate a comporre la lite per contraffazione od imitazione fraudolenta del proprio marchio, che il Missaglia aveva promossso contro il Solari ed il Calvi e contro altri armaiuoli, dei quali viene ricordato Giacomino Ravizza. Curioso ! l'atto è redatto nella bottega di quell'Aloisio da Boltego che quattro anni prima aveva litigato, e per egual causa, col fratello del Missaglia. ANM, Not. Lancellotto da Montebreto ; Biscaro, op. cit., p. 338. (i) Il Gelli (non l'architetto Moretti) a p. 51 della citata loro opera, riportando questo e i due susseguenti regesti del 1436 e del 1458, nel mentre riconosce che risultano i più antichi riflettenti l'operosità artistica del Missaglia, stampa che vennero «e pure riferiti in una nota pubblicata nell'Archivio storico « milanese », non aggiungendo come era suo elementare obbligo, indicazione bibliografica più precisa e affettando quasi d' ignorarne la priorità. Non ci curiamo poi della velata malignità laddove, a proposito dell'archivio Notarile di Milano, parla di oc campo dei Missaglia e dei Negroli già occupato *t da altro studioso » I... 200 EMILIO MOTTA 29. — 1434) luglio 4. Il duca di Milano accompagna al conte Mati^ i:one il dono di due armature milanesi a ricambio di alcuni astori a lui regalati dal detto conte, " armaturas quas prò persona vestra studiose " fieri feci m US „. Osio, op. cit, III, p. 119. 30. — ^4J6, agosto 22. Società fra Manfredo da Bernareggio del qd."^ d. Minolo, a S. Protaso in campo, Aloisio de Boltego qd m d. Cri- stoforo, detto Borrelino, a S. Mattia alla Monetae Giovanni detto Barbua de Vergiate, qd.m d. Ambrogio a S. Giovanni in Conca " magister " artis magiarum et fatiendi panzerias et alia opera a magiis „. So- cietà duratura un anno ed indi a beneplacito. Il Bernareggio versava lire 1600 imp., il Boltego lire 900 : il da Vergiate s'obbligava di esercire l'arte sua nella bottega " ab armis ,, di presente tenuta da maestro Giacomo detto Zoppo, contigua a quella del Boltego, a S. Maria Beltrade, o in altra " stationa „, e " in emendo ferrum necessarium prò " arte predicta magiarum et in fatiendo fieri magias et magietas ac " panzerias, gorgielinos et alia opera magiarum „. Tenuto a tenere in bottega '* laboratores debitos et necessarios „. Ogni quattro mesi presentazione del bilancio ; l'affitto della bottega a carico delle parti per un terzo, altrettanto diviso il guadagno. ANM, Not. Lancellotto da Montebreto. 31. — 1436, IO novembre. Tommaso d.» Missaglia de Negroni di Elio " magister armorum „ crea suo procuratore Gaspare de Zugnio di Milano, onde esigere quanto gli spetta nelle parti di Catalogna, e Spagna, nella Gallizia e nelle altre terre dei re di Aragona, di Sicilia e di Navarra ed anche " magistri sancti Jacobi „ di Compostella. ANM, Not. Pietro Regna; quest'^rc/iit/io, loc. cit. 32. — 1436. Vien comperata un'armatura per Leonello d' Este da " mastro petro de Mediolano armarolo „ in Mantova. Venturi, Relazioni artistiche tra le corti di Milano e di Ferrara nel secolo XV, in quesV Archivio, XII, 1885, p. 230. Non può essere il Pietro Missaglia, come dubita il Venturi, perchè figura già morto nel 1430, come da precedente regesto e perchè di lui non abbiamo ancora alcun documento che lo affermi armaiuolo (i). 33. — 7<^^^,^f««fl/o 27. Il Missaglia rinnova società con Bellino Cerio, aggiungendosi i fratelli di costui Gabriolo, Anrico, Donato per il traf- (i) Gli armaiuoli milanesi vennero richiesti frequentemente di lavori e di servigi dagli Estensi. Alcuni tennero depositi d'armi a Modena, come Paganino da Milano, e impiantarono fabbrica a Ferrara quale Ottolino da Corneto nel 1463. Anche Francesco da Mera te pose stanza a Ferrara nel 1 481- 1482 : di lui più- avanti il ricordo. Per armaiuoli diversi ucl '400 a Mantova cfr. Bertolotti, Le arti minori alla corte di Mantova, in quest'Archivio, XV, i888, p. 547 e sg. Vi si ricordana ^ maestri Zonepio e Gian Pietro di Milano e Johanne da Lodi. ARMAIUOLI MILANESI NEL PERIODO VISCONTEO-SFORZESCO 20I fico delle armature in Milano e nelle parti del Meridionale, disponendo il Missaglia di lire 5333, soldi 6 e denari 8 imp. in contanti. ANM, Not. Pietro Regna ; quest'Archivio, loc. cit. 34. — J^4JS, marzo 22. Venturino Borromeo fil. qd.m d. Giovanni (i), a S. Maria Pedone, e Matteo Marliani qd.m d. Francesco, a S. Maria Segreta, stringono società per il lavorerio e traffico " coraziarum, ar- " nexiorum, brazialium, spallaziorum, guantorum, elmetorum, cellatarum " tam ferri, azialis et saldorum, quam magiarum ferri et azialis vide- " licet panzeriarum, franchalium, scosalium, gorazalinorum, nec non re- " talli magiarum veterum et novarum videlicet saldarum, camagiorum " petrarum et digitorum, omnique armorum magiarum azialis, ferri et " auricalchi „ Società duratura tre anni, con capitale di lire 9300 mo- neta vecchia, pari a lire 6200 imp. ovvero il Borromeo lire 4133, soldi 6, denari 8 e il Marliani lire 2060, soldi 13, denari 4. Commercio da curarsi dal Marliani nel suo fondaco, dando rendiconto annuale. Durante la società egli non potrà comperare " ad credentiam nec accipere prò " hac societate „ nessuna quantità d'armi oltre i ducati 200 d'oro. Pa- rimenti non potrà vendere senza consenso del socio armi per più di ducati 100, e non fare società con altri. Se detti soci avvisati fossero " de " aliquo lucro aut armamento fiendo in mittendo seu conducendo „ armature " ad partes inferiores seu ultramontanes „ e l'una parte si rifiutasse, possa l'altra tentare la speculazione. Fitto del fondaco : lire 40 imp. annue. ANM, Not. Gabriele Bulgaroni. 35. — 1438} aprile S' Antonio della Croce " magister armorum „ fil. q.m d. Francescolo, in porta Vercellina, nella parrocchia di S. Vittore al Teatro, confessa d'avere ricevuto da Donato da Pessina, banchiere milanese, la dote di fiorini 300, recatagli dalla sua sposa Am- brosina della Porta. ANM, Not. Franceschino Sommaruga. 36. — 1438, aprile 16. Giovanni Garavaglia ("de Garavalliis,,) qd."» d. Cristoforo, in S. Margherita, promette di lavorare in casa di Giovanni Corio, qd.m d. Daniele, a S. Naborre e Felice " de arnexiis a gamba " saldis et dare et consignare omnes arnexias saldas sive magia quas " faciet „ per anni due, prezzo a computo di lire 5, soldi 6, denari 8 imp. Ed oltre detto prezzo dare al Garavaglia " prò mercede laborium „ nei detti due anni lire ^, soldi 13 e denari 4 imp. e fornirgli gl'istrumenti del mestiere. ANM, Not. Lodovico Ciseri. 37. — 1438» maggio 12. Maffeo Stunz del qd.™ ser Negro di Bre- scia e Biagio di Giacomo di Val Sugana, cittadini ed abitanti di Trento^ si obbligano di sborsare ai fratelli Benedetto e Filippino da Molteno, (i) Per un Gentile Borromeo, maestro di scherma, cfr. (\\its\^ Archivio, XX, 1895, p. 1065. 202 EMILIO MOTTA milanesi, in cert :■ tempo ducati 566 ^/^ d'oro per pagamento di di armi, come alla specifica contenuta neiristrumento d'obbligo rogato dal notaio Antonio de Borgonuovo di Trento. ANM, Not. Enrighino da Sartirana. 38. — I4J^> agosto ig. Fatti per un anno tra Giovannino de Diviziis e Giacomino da Trocazano pel lavoro o arte " fatiendi seu fabricandi « celatas „. Il Trocazano percependo soldi 4 e denari 4 imp. alla set- timana. ANM, Not. Ambrogio Spanzotta. 39. — 1439^ marzo 4. Giovanni de' Correnti fil. qd.m d. Ardighino, in S. Maria Valle, si obbliga per quattro anni di lavorare a S. Maria Beltrade in casa di Tomaso detto Missaglia " ad faciendum spalazios '' saldos cum tarcha, et teneatur ponere adiutorium fuxine suis propriis ^' expensis „. Il Missaglia lo retribuiva con soldi 24 imp., moneta nuova, per ogni " parlo spalaziorum saldorum cum tarcha „. ANM, Not. Lorenzo da Montebreto. 40. — 1440, agosto j. Licenza accordata al maresciallo generale di Savoia, Lodovico di Acaja, di poter ritirare da Milano "paria 50 guan- * torum, celatas 50, paria 37 schineriarum et 38 bracialium, quorum * quidem armorum partem hic alias aptandam dimisit „. Osio, op, cit.. Ili, p. 210. 41. — i44it febbraio ij. Obbligo di' Martino de Cagnoni, Antonio de Cropello e Giacomo de Cropello, abitanti in Cimiliano, pieve di Bruzzano, verso Antonio de Negroni de Elio fil. d. Tomaso detto Missaglia, fil. qd.m d. Pietro, a S. Maria Beltrade, porta Romana, lire 19, soldi 19 imp. " pretio et mercato et occasione ferri per ipsum creditorem seu *'■ per alium eius nomine ipsis debitoribus dati et traditi et venditi „. ANM," Not. Gasparino Regna. 42. — i44Jì aprile 18. Dionigi Negroni da Elio, del qd.m d. Pietro, a S. Maria Beltrade, Maffeo de Maveri da Cormeno, Aloisio de Boltego e Giov. de' Spanzotti " fatiunt societatem de arte ferraritie „. ANM, Not. Lorenzo da Montebreto. 43. — I44S' Ludovico de Maineri acquista in Milano 'dall'armaiuolo Ausalia (e) un'armatura, d'ordine del marchese Leonello d' Este che ne fece dono al vescovo di Liegi (?). Venturi, Relazioni artistiche tra le corti di Milano e di Ferrara, in <\nQSi^ Archivio, XII, 1885, p. 230. 44. — 1446 maggio 14. Obbligo di lire 557, soldi 12 di Benedetto Capriata e Guglielmino Discalcio, sindaci e procuratori della terra di Fregarolo, vescovato di Tortona, verso d. Anrigolo da Arconate fil. qd." (i) Il Venturi ha, giustamente, il sospetto che il cancelliere ducale errasse nello scrivere il nome, invece dell'altro di Missaglia, Ma non è la data più antica, come si è veduto per i precedenti regesti, che si conosca riferentesi alla bottega di queir insigne armaiuolo. ARMAIUOLI MILANESI NEL PERIODO VISCONTEO-SFORZESCO 203 Ambrogio, porta Ticinese parrocchia S. Pietro in Corte, stipulante in nome proprio e di Ambrogio da Binago del qd.m d. Pietro " pretio et " mercato et occasione armorum, ferri et aziaiis „. ANM, Net. Gasparino Regna. 45. — I44T, febbraio 20. " Dominus Thomasius dictus Misalia de ^' Elio, armorerius „ fìl. qd.m d. Pietro, elegge in suo procuratore ad " causas „ il famigliare ducale, nobile Francesco da Lodi. ANM, Not. Lazzaro Cairati. 46. — 1447, ^narzo ji. Antonino da Corte fil. qd.m Gabriolo, a San Salvatore in Senodochio, porta Orientale, deve ad Antonio da Elio, figlio di Tommaso detto il Missaglia, a S. Maria Beltrade, lire 1600 per " mercato armorum „. ANM, Not. Enrighino da Sartirana. 47. — 1447, maggio 14. Il duca di Milano indica a Giovanni da Iseo il nome dell'ambasciatore che desidera gli sia spedito dal re dei Romani, e dice d'avere ordinato l'armatura chiesta da quel re " per la persona ^ sua et per uno corsero „ e così manderà " al conte de Sanberch **■ [Heiligenberg] l'armatura ch'el ne domanda per la persona sua „. Osio, op. cit., Ili, p, 557. 48. — 1447 ì novembre ij. Ordine perchè entro otto giorni per quattro miglia all'intorno della città di Milano facciano levare dalle traversere tutte le mole inservienti per le armi e per la carta e simili e facciano adottare invece di quelle le mole atte a macinare grani. ACM, Lettere ducali i44j'i4^o, fol. 8; Gelli, Gli archibugiari milanesi, Milano, 1904, p. 55. 49. — 144S, ottobre p. Grida che proibisce di portare fuori del territorio milanese qualsiasi sorte d'armi. ACM, Lettere ducali 1447-14S0 C, fol. 47 e B, fol. 163; Gelli e Moretti, op. cit., p. 5. 50. — 14S0, aprile i. Tommaso da Elio detto Missaglia e Antonio suo figlio vengono creati dal duca di Milano maestri " ad conficiendum, " fabricandum arma prò persona nostra et de ipsis curam oportunam " habendi „. ASM, Reg. ducale, n. 87, fo. 82 t. 51. — i4SOj aprile 22. Lodi. Il duca Francesco Sforza conferma le esenzioni a favore di Tommaso Missaglia e famiglia (i) ACM, Lettere ducali 14S0-SS, ^ol. 9; ASM, Famiglie^ Missaglia; Gelli e Moretti, op. cit., p. 33. (i) Esenzioni confermate ad Antonio e fratelli, suoi figli, ai 26 aprile 1467 e i.^ maggio 1487. L'originaria immunità, quale oriundo del Monte di Brianza, dev'essere degli 8 febbraio 1443, e doveva leggersi in un registro di Lettere ducali I4^j-i446^ idi. 205, ora mancanti nell'ACM (cfr. cod. Trivulziano n. 2122). Nel periodo dell'Ambrosiana Repubblica, stando al Ghinzoni (vedi (\u^sl' Archivio, XVII. 1890, p. 796), Cari mate era stato ceduto ad Antonio Missaglia in pagamento de' suoi crediti verso la repubblica. 204 EMILIO MOTTA 52. — 14SO, settembre p. Lettere ducali di famigliarità e di passo a favore di Cristoforo de Gallatiis di Cremona " magistro balistarum " azarii „. ASM, Reg. ducale, n. 87, fol. 115 (i). 53. — 14SI, gennaio 16. Milano. Concessione ducale a favore di " Jacominus Ambrosius et Johannes fratres de Medda magistri mor- " sium et speronorum „. Archivio Sforzesco di Parigi ; Mazzatinti, in <\\i^%\? Archivio ^ XII, 1885, p. 665 (2). 54 — 14S1, giugno 24. Lettera ducale a favore di maestro Giovanni Maffìoli, armaiuolo dj Milano, diretta ad Estore de' Manfredi, in Imola. ASM, Missive^ n. 5, fol. 17 t. 55. — I4SJ^> luglio 20. Cremona. Lettera del duca di Milano al Missaglia d' Elio : " perchè è necessario chel nostro Consiglio secreto per " le cose occoreno al presente stagha in la casa vostra nova che sta " suso lo pasque del castello nostro de Porta Zobbia „ disponga di metterla a disposizione (3). ASM, Missive, n. 5, foli. 46 t,, 54 t. e 55 ; Beltrami, Il Castello di Milano, p. 97 (4). 56. — I4S^- Conto arretrato di armature presentato dal Missaglia al duca di Milano. ASM, Missive, n. 6, fol. 201; Celli e Moretti, op. cit., pp. 34-35 che ne riportano le principali partite. 57. — 14S2, gennaio 26. A mezzo di lettera di Battista da Borgo, al duca di Milano, datata da Oleggio, " Battista de Penino magistro de " le lance il quale fa lavorare in Palanza diete lanze et altri lavori pel " il castello de Porta Zobia „ chiede licenza di poter estrarre dal Novarese quattro o cinque some di grano per settimana, onde mantenere il gran numero " de boche de lavoranti „ che ha. (i) Così, nel novembre 1448, e nel maggio 145 1 un Francesco da Viterbo è a Piacenza quale maestro da balestre (ASM, Reg. ducale, n. 85, fol. 549 t, e Missive^ n. 4, fol. 180 t. ; n. 6, fol. 56). Ma de' balestrieri, come degli schioppettieri e de' bombardieri, non è oggi nostro assunto di produrre i numerosi documenti d'archivio del '400: rimandiamo intanto alle belle pubblicazioni sulle armi da fuoco del compianto Angelucci. (2) Anche qui valga la riserva fatta nella precedente nota. (5) Da altra ducale del 25 luglio risulta che la casa veniva usufruita al pari di altra contigua di Francesco da Landriano, pel consiglio Ducale, per causa della peste e perchè la corte dell'Arengo, sua dimora, doveva occuparsi dalla duchessa Bianca. (4) Con altra ducale dei 17 novembre 145 1 lo si eccitava, tornando allora il duca a Milano e non volendo impacciare la corte dell'Arengo, a concedergli la sua casa sulla piazza del castello, « o almancho la parte denante verso la a piaza », potendo intanto il Missaglia abitare nel retro, e fino a quando lo Sforza ritornerà in corte {Missive, n. 5, fol. 290). ARMAIUOLI MILANESI NEL PERIODO VISCONTEO-SFORZESCO 205 ASM, Carteggio Sforzesco, gennaio 1452 (cfr. anche in data 18 gennaio 1451); Casati, op. cit.^ 1871) (i). 58. — I4S2, aprile jo. Francesco Sforza richiede ai castellani di Cremona quelle due corrazze " sono lì nella rochetta „ del castello e '* della persona nostra, quale sonno fornite de tucta maglia „. ASM, Missive, n. 7, fol. 116 t. (2). 59. — I4S2^ giugno 28. Domino Antonio Roveda de la Prina ed Ettore de Montemerlo, abitanti in Tortona^ sindaci e procuratori di essa città, promettono al nobile Gaspare del Conte, fil. del qd.m Giov. in porta Ticinese, parrocchia di S. Alessandrino in Palazzo, di sborsare, entro quattro mesi, lire 405 imp. per cento celate d'acciaio. ANM, Not. Gasparino Regna. 60. — I4S2> luglio ji. Patti tra Pietro Innocenzo da Perno, fil. d. Giov., a S. Maria Beltrade e Antonio Poppa, qd.™ d. Andrea, a S. Simpliciano " prò laborando de arte armorum „. Il Poppa tenuto per un anno a lavorare nella bottega del Perno a computo di soldi .... (3) giornalieri. ANM, Not. Antonio da Lomeno. 61. — I4S2, agosto ji. Quinzano. Missiva ducale al podestà di Cremona in raccomandazione di " maistro Sebastiano di Mayneri armarolo „ che tiene in Cremona " botega a ficto da quella nostra Comunità „. Perchè " povero et inhabile a pagare el ficto, volimo che siati cum li " presidenti et li confortati et pregati per nostra parte che vogliano per * nostro respecto et amore donare al dicto magistro Sebastiano el ficto *' de dieta botega „. ASM, Reg. Missive, n. 7, fol. 226. 62. — 14S2, settembre i. Confermata agli spadari di Milano la facoltà di tenere i loro banchi e morse avanti e presso le loro botteghe. ACM, Lettere ducali I4S0-I4JS^ fol. 84. 63. — i4SJì luglio II. Lettera di Cicco Simonetta all'oratore ducale, il vescovo di Novara, a Roma : " Vedereti per la copia inclusa quanto ^' ne scrive el mag.co domino Petroloyse de Boria (Borgia) nepote della (1) Nel medesimo gennaio 1452 si dovevano apparecchiare, d'ordine ducale, 12.000 lance da cavallo e 4000 da piedi. A Pavia ce n'erano già di a fornite a, 6000 da cavallo e 3000 da piedi. A Milano, in casa di Nicoiino CoDeoni, eranvene 3525 « arrestate », 1000 da cavallo, 1490 da piedi « non tornite » ; in tutto 14825 (Lettere dei Maestri delle entrate ducali; ASM, Carteggio Sforzesco I4p). (2) Nel medesimo Registro, a foli. 188-190, è un lungo elenco delle lance consegnate a diversi deiresercito sforzesco e sottoscritto da Giovanni Filippo de' Allegri. (3) Non è dato leggere la cifra ivi esposta. Del Perno è una supplica senza data al duca di Milano, pel conseguimento della dote di sua moglie Margherita, sorella di Antonio da Loraeno, sposata appunto nel 1452, ai 29 aprile (ASM, Sezione Storica, Famiglie, Faerno). 206 EMILIO MOTTA " Santità de Nostro Signore (Callisto III) per' alcune armature quale fa " fare qui in Milano per Antonio del Missaglia, per la qual cosa havemo " havuto da nuy el dicto Antonio, et caricatolo et comandato strecta- " mente chel facia fabricare diete armature in tucta perfectione che sa- " rano al numero de decesette. Esso Antonio s' è trovato haverne in '* casa dodece bellissime; quale manda al presente al prefato domina " Petroloyse; l'altre cinque saranno facte al fine de questo mese et le " mandarà dreto a l'altre subito, e così ne ha promisso liberamente de " fare. Al facto delle gabelle havemo ordenato et proveduto che per " tucte le nostre terre passino senza pagamento alcuno, che montarla " ben circa quaranta ducati „. ASM, Reg. ducale K, n. 2, fol. 195; Celli e Moretti, op. cit., p. 42 (i). 64. — /^//j luglio 16. Missive ducali ai Maestri delle entrate a favore di Antonio Missaglia che " più volte ha facto querela chel debe " bavere da la Camera nostra circha libre XVlII.°i, et che ha molti cre- " ditori, quali li menazono de farlo destenere et tarli damno et ver- " gogna „. Gli paghino 9000 lire imp. ASM, Missive, n. 25, fol. 198; Celli e Moretti, op. cit., p. 43. 65. — 14SS, settembre 12. Missiva ducale ai Maestri delle entrate con ^a quale si ricorda loro che in data 11 luglio scorso si era ordinato di mandare al Borgia, nipote del papa " et armorum ductorem „ 12 arma- ture fabbricate dal Missaglia. Provvedano per la fornitura di altre cinque consimili. ASM, Missive, n. 15, fol. 237; Celli e Moretti, op. cit., p. 43. 66. — 14SS, ottobre 12. Ordine del duca Francesco Sforza ai Maestri delle entrate perchè " a contemplatìone de la Serenissima Maestà del " Re de Franza „ (Carlo VII) diano facoltà e licenza a " Balzarino da " Trezo armorero de questa nostra cita, de conducere de questa nostra " cita in Franza due some videlicet 20 baioni de azale per uso de la " Serenissima Maestà del Re liberamente „. E annullino la " segurtade " quale dicto Balzarino havea data de non condure alcuni lavoratori " de l'arte sua fuora de la nostra iurisdictione, remanendo però sempre '* obligati li suoi in casu ch'el contrafacesse in menare o condure li la- " voratori contro l'ordini nostri „. ASM, Missive, n. 25, fol. 139; Celli e Moretti, op. cit.^ p, 5. 67. — i4S6ì gennaio io. Salvacondotto ducale, per 4 mesi, a favore di Giovanni da Castello, armaiuolo di Milano, la cui povertà " tanta est " ut vix ha beat „ di mantenere se e la famiglia sua numerosa. Salva- condotto prorogato di altri 4 mesi ai 21 maggio. ASM, Reg. ducale, n. 66, fol. 13 t. 68. — I4S6, maggio 14. Pier Luigi Borgia scrive al duca di Milano in Asti : " perchè abiamo bizogno di alchune armadure per potere so- (i) Per armaiuoli lombardi del '400 in Roma, cfr. Bertolotti, in questo Archivio, X, 1883, p. 114. ARMAIUOLI MILANESI NEL PERIODO VISCONTEO-SFORZESCO 207 " disfare alla volontà del A. S. P. et avendo facto cercare qui in Roma " et non abiamo trovato cosa che sodisfacia alla volontà nostra et perchè " Christofano del Missaglia na oiferto che di diete armadure a farà pro- " vedere dal fratello suo m.ro Antonio del Missaglia alla intentione no- " stra corno esso da noi è stato informato et però suplichiamo V. S. I. " che piazza di armadure 20 che per tutto lo territorio di V. S. preli- " bata passino franche „. ASM, Armi; Angelucci, Catalogo deW armeria reale, Torino, 1890, p. 195 ; Celli e Moretti, op. cit., p. 43. 69. — I4s6, giugno ij. 11 nobile Ambrogio d'Alzate, cittadino e mer- cante milanese, compera da Bonus Buzilerius cittadino di Bergamo, abitante a Cromo in Val Seriana, e da Zambono de Colarete fil. m.ro Pietro " lamas quinque mille ducentas spatarum spagniollarum in lamis cum " filadello, signat. cum buUis Ambrosio me fecit et aliis signis „ pel prezzo di soldi 8 e denari 4 per ciascheduna lama da consegnarsi in Pavia, daziate. Per le calende d'agosto 1000, e così successivamente altre 1000 in settembre, ottobre, novembre e dicembre. Le restanti 200 per le calende di gennaio 1457. ANM, Not. Ciacomo Brenna. 70. — I4S7, aprile 2'j.- Lodovico, duca di Baviera, raccomanda da Landshut a Francesco Sforza, duca di Milano, il suo armaiuolo Cuglielmo Hochenberger, recatosi nella capitale lombarda per acquistare armature pel suo signore. ASM, Potenze Estere, Baviera; Celli e Moretii, op. cit., p. 6. 71. — i4sSf aprile io. Supplica di Antonio Missaglia a Francesco Sforza, accolta benevolmente, contro una procedura criminale per via di inquisizione fatta da messer Baldassaie da Corte e messer Cedrion da Roma, in seguito alla quale l'Antonio era stato condannato, per certe armi date o non date ad Albertino da Cividale, alla multa di lire 960 imp. ASM, Reg. ducale, n. XVII, fol. 264; Celli e Moretti, op. cit., p. 42. 72. — 14JS, maggio 14. Il duca di Milano perdona a Cristoforo Missagha da Elio, cittadino milanese : " a contemplatione de toi fratelli a " quali siano affectionati per loro virtute, té havimo donata la vita, de " la quale havevi meritato essere privato per toi manchamenti comò " tu say „. ASM, Missive, n. 25, fol. 149; Celli, op. cit., p. 42 (i). 73. — 14^^, giugno jy. Pietro Innocenzo de Facino fil. d. Giovanni, a S. Maria Beltrade, promette a nome suo e del padre suo Ciovanni, a d. Pietro Beaqua, a S. Maria alla Porta, di consegnargli dentro la (i) Che aggiunge, la lettera ducale non informarci sul delitto da lui commesso. Solo si apprende che la grazia fu commutata nell'esilio fuori del ducato con l'obbligo di trovarsi a Roma entro il 14 giugno di quell'anno. Ed a quanto pare (sempre il Celli) Cristoforo se ne andò a Roma ed in quella città si die attorno per procacciare lavoro e guadagni al fratello Antonio. :?o8 EMILIO MOTTA festa d'Ognisanti io armature complete nuove alla foggia francese, e a Natale altre 2 armature consimili, a ragione di lire 32 per armatura. ANM^ Not. Giovanni Scazosi. 74. — i4S^t luglio ly. Antonio, Francesco, Ambrogio e Damiano fratelli Negroni da Elio, figli del qd.m Tomaso detto Missagiia, e suoi eredi, costituiscono in loro procuratore il venerando sacerdote Bartolomeo da Paderno, abitante in Lodi, a ricevere dal marchese Lodovico Gonzaga e da' suoi fratelli e nepoti " omne et totum id, quod dicti con- " stituentes habere debent, et in futurum habebunt a prelibatis 111. et * Mag.cis dominis occasione quarumlibet quantitatum armarum diversa- *' sarum manierum datarum per dictum qd.ni dom. Thomasium Missaliam " nunquam delende memorie genitori prelibati lil.ris d. Ludovici mar- * chionis et fratruum suorum „. Not. Giacomo Brenna. 75. — I4S9, gennaio 18. Pena per insulto fatto alla madrigna, condonata dalla duchessa Bianca Maria Sforza ad Antonio Ferriolo " lavo- '' ratore de spade „. ACM, Lettere ducali 14^0-148^, fol. 102 t. 76. — 7^60, giugno 21, Maestro Pietro e maestro Antonio da Milano " magistri a penagiis „, si recano con 1302 lancie e 5000 penne a " pe-' " nagiis „ a Pesaro. ASM, Reg. ducali, n. 100, fol. 69. 77. — 1460, luglio 24. Milano. Lettere di passo a favore di Giovanni Stadler di Ulma per condurre in Germania diverse armature che Bernardo di Winsternach, cameriere ducale, manda al genitore suo, nobile Ulrico di Winsternach. Le armature erano : toracem unum, corselium " unum, par unum arnesiorum, par unum brachialium, par unum spa- ^ laciorum, par unum guantorum, item celatam unam a viseria^ barbetum " unum, testeriam unam equi „. ASM, Reg, ducali^ n. 100, lol. 84; Schulte, Geschichte des mittellalierlichen Handels^ Leipzig, 1900, li, p. 52. 78. — 1460 circa. Circa il 1460 Antonio Missagiia e fratelli domandano al duca il pagamento dei loro crediti verso la Camera Ducale " altramente saria forza a dicti fratelli sarare la bottega et patire grande " vergogne e molestie „. il duca fa loro pagare un acconto. ASM, Sezione Storica^ Famiglie; Gelli e Moretti, op. cit^ p. 44. 79. — 1461^ gennaio 16. Lettere ducali di passo a favore di " magistro *• Laurentio de Assereto, armorario „. ASM, Reg. ducali, n. 100, fol. 160; Motta, in Giornale Ligustico, 1888, p. 230. 80. — 1461^ marzo 16. Missiva ducale a Francesco " de Axareto de " Vicecomitibus „ in Genova : " Uno maestro Antonio da Novara che ^' tene bottega darme nella città nostra de Pavia, al quale ad questi giorni " fecimo dare carico de far fare certe corazine per munitione de alcune " nostre forteze ne ha facto dire che avendo luy voluto levare da Zenoa '* uno magistro Ferino corazinero „ per condurlo in suo aiuto a Pavia, ARMAIUOLI MILANESI NEL PERIODO VlSCONTEO-SFORZESCO 209 essere stato costretto " per instigatione duno magistro Lorenzo diete " de Asareto ad dare securtate de aoo ducati doro che non debia venire ^* ad servire dicto magistro Antonio circa dieta fabricatione „. Sapendo detto Lorenzo essere stato " longo tempo familiare de la casa vostra, " et la casone che Iha inducto ad questo essere stato perchè ad questi '' dì hebbe molto a sdegno che cercando luy de volerne dare diete co- * razine, esso mJo Antonio se sia convenuto con nuy per manco pretio * che non volse fare luy „ procuri fare opera presso TAssareto aflBnchè non impedisca a maestro Ferino di recarsi al lavoro a Pavia, e faccia annullare la garanzia data (i). ASM, Missive^ n. 52, fol. 18 t. 81. — 1462, febbraio 22, Patti tra Enrico Vogt di Kempten e il mae stro d'armi Pietro Innocenzo di Faerno, del qd.m d. Giovanni, in Santa Jltaria Beltrade, per l'acquisto d'armi. Il Faerno consegnava, dentro la metà quaresima, ed al più tardi per Pasqua " payra duo bardarum ab " equo azalis, unus quorum sit et esse debeat a millite et alter a schu- ^* derio, et prò uno que payro dare debeat unum collum et unam teste- " ram, et ultra predicta dare debeat duas testeras et.payrum unum spalla *' ziorum que fiunt et fatiunt in summa duas croperas et duo pectorales " et duos collos et quatuor testeras et payros VI spallaziorum „. 11 tedesco tenuto a pagare lire 100 imp., cioè in ogni settimana lire 4 " us- " que quo erant complete diete res, et quando erant complete teneatur " dare id, quod restaverit usque ad eompletam solutionem dietorum * libr. 100 imp. „. ANM, Not. G. Scazosi ; Schulte, op. cit., II, p. 88. 82. — 1462, maggio 18. Il duca di Milano conferma i patti e le convenzioni seguite tra Antonio Missaglia e Filippino d'Erba con la comunità di Ganzo " prò azali et aliis metallis „, dei loro forni e magli in pieve di Incino. • ASM, Reg. ducali, V, fol. 333 ; Gelli e Moretti, op. cit., p. 44. 83. — 146J. Minuta di missiva ducale, non datata, ai Maestri delle entrate. Affinchè " dilectus noster Antonius de elio commodius et habi- " lius juvare se possit in fabricandis.... nostras armaturas „ gli siano assegnate sui primi denari delle entrate della città di Milano, del prossimo anno 1464, lire 13659 e soldi 6 imp. ASM, Armaiuoli. 84. — [1464]. Lettera ducale, senza data, ad Antonio Missaglia per l'invio di 53 armature integre alle genti d'arme nella spedizione contro Genova. ASM, Armi e Armaiuoli; Gelli, op. cit., p. 45, che rimanda al la- voro del Beltrami, Le bombarde milanesi a Genova nel 1464^ in questo Archivio, XIV, 1887. (l) La casa milanese degli armaiuoli Rotolo era fiorente in Genova nel *4oo (cfr. U. Pesce, Privilegio di marca d'un maestro spadaio genovese, in Rivista Araldica, marzo 19 12). Arch. Stor. Lomb., Anno XLI, Fase. I-II. 14 2IO EMILIO MOTTA 85. — 146S. Ottolino qd.™ Giovanni da Corneto da Milano impianta fabbrica d'armi in Ferrara. Venturi, op. cit., p. 233 e L*arte a Ferrara nel periodo dt Borso d'Este^ in Rivista storica italiana^ 1885, p, 744; Celli, Gli archibugiari milanesi, pp. 60 e 168. 86. — 1466, aprile 27. Lettera di Gian Pietro Panigarola, oratore milanese in Francia, al duca di Milano, circa la spedizione fatta di Francesco Missaglia a re Luigi XI che bramava di possedere un'arWiatura di fabbrica lombarda ; " zonse in queste parti del mese di marzo prox. " passato Francesco dil Missaglia per armar questo signore Re ; quanto * piacere la Maestà soa ne havesse credo quella per mie lettere lo habia " inteso : più volte lo ha facto andare in camera soa di giorno et di * nocte et quando andava a dormire ; adciò vedesse la persona soa et " cognoscesse el volere suo et Taptitudine, bisognava de l'armatura a " che non gli facesse male in modo alchuno ; perchè ha una persona " molto delicata „. E continua che il Missaglia aveva si bene compreso il desiderio di quel re, che " la prelibata sua Maestà fino qui ne restò " molto satisfata „. ASM, Armi e Armaiuoli; Casati, op. cit,; Bòheim, op. cit., p. 390; Celli, op, cit.^ p. 47 (che non cita il Casati). 87. — 1466, maggio 2S. Decreto di Bianca Maria e Galeazzo Maria Sforza. Avendo fatto assegnazione ad Antonio Missaglia di lire 20.000 imp. * super salle nostro pergaminorum annorum presentis et proxime " venturi 1467 „ per pagamento delle armature fornite a 100 uomini d'arme, e avendo Antonio bisogno di valersi della detta somma, gli si accorda facoltà di girare la detta assegnazione in tutto o in parte a chi meglio creda, ordinando ai Maestri delle entrate di prenderne nota. ASM, Fabbriche d'armi; Angelucci, op. cit., p. 195; Celli, op. cit., p. 45 (documento male ricordato da entrambi). 88. — 1466, maggio ji. Supplica di Antonio Missaglia al duca " tam '• quam frater et coniuncta persona de Zohanne Pietro Missalia absente " da questa vostra inclita città de Milano, chel dicto Zohanne Petro, già " più anni passati, è creditore de Stefano di Cerati de la cita de Alba, " de ducati 500 d'oro .... e perchè dicto Joh. Petro usque nunc per " obstinatione del dicto Stefano mai non ha possuto conseguire el de- " bito suo, et che Georgio di Granari citadino de Alexandria è debitore " del dicto Stefano di Cerati d'assai bona somma de denari „, supplica perchè per officio di Giorgio d'Annone, commissario in Alessandria, venga sequestrata la somma dal Granari dovuta al Cerati. ASM. Famiglie, Missaglia; Celli, op. cit., p, 45. 89. — 1466. Dalla " Ratio Antonii Missalie „ o nota dei conti ri- messa dal Missaglia al duca, risulta che in detto anno il duca doveva dargli, come residuo delle armature fornite, 30568 lire, 2 soidi, e 11 denari. ASM, Armaiuoli; Angelucci, op. cit., p. 195; Celli, op. cit., p. 45. 50. — [1466, circa]. Supplica, senza data, al duca [Francesco Sforza] di " Jacobino di Vitali magistro da chiodi da corazina „ in Milano, stato ARMAIUOLI MILANESI NEL PERIODO VISCONTEO-SFORZESCO 211 danneggiato anni sono da un suo lavorante che lo derubò " in molte * volte » di " assay quantitate de ricaì^ho „ Essendogli, in seguito an- dati male gli affari, per tema dei creditori si assentò da Milano, recandosi a Lione, donde ora è ritornato e dimanda salvacondotto per poter lavorare senza noie, ASM, Armaiuoli. 91. — 1467, giugno IO. Lettera del duca di Milano, dagli accampamenti della lega presso Faenza, al cameriere ducale Gallasso de' Gallassi, annunciandogli che manda al Missaglia " la misura per farne una cel- " lata quale vorissino prestissime. Però volimo che subito.... te debii ri- « trovare cum dicto Antonio e solicitarlo che ne fazi fare dieta celiata " senza dimora, al quale darai tuti li fornimenti gli andarà, cioè el " cetonino da fodrare et il texuto da laciare. Volimo appresso che tu "re mandi quelli doa para de fianchaletti secondo ti de bavere dicto " Petro Pagnano, fati a le devise de nostri stendardi novi „. ASM, Missive, n. 79, fol. 19. 93. — 146J, settembre j. ConcQssione ad Antonio Missaglia armaiuolo ducale di far costrurre un molino " tergendorum et erubigniando- " rum armorum „ presso la chiesa di S. Marco, con promessa in qua- lunque tempo se detto sito fosse abbisognato per altro uso al duca di Milano di rilasciare detto luogo e molino, con patto di pagare i miglioramenti come fosse giudicato conveniente ed onesto. ASM, Missive, n. 79, fol. 92. 93. — 146S, maggio 2j. Lettera di Marchino de Abbiate al duca ; A seguito di sua ingiunzione " che essendo facte le arme ordinate per * la Mayestà del Re de Pranza siano portate lì et cum esse debia ve- " nire mi et Francisco del Missalia „ significa " come le arme sono " fornite ma gli restano certi fornimenti de argento, li quali infallanter " sarano expediti et forniti tra domane et l'altro „ e sabato veranno dal duca " cum diete arme „. ASM, Armaiuoli. 94. — 1468, ottobre 7. Carta d'obbligo, a seguito di lettere ducali, di Ambrogio Panigarola verso Antonio Missaglia per due armaiuoli allontanatisi dalla sua bottega, recatisi in Francia (i). ANM, Net. Giacomo Brenna. (i) Giovanni da Castello e Cristoforo da Solaro, ambedue maestri d'arme e a laboratores » di Antonio Missaglia, sono debitori verso detto Missaglia, Giovanni di lire 75, soldi 8 imp., e Cristoforo di lire 150, soldi 10. Essi essersi assentati da Milano, recandosi in Francia « ad laborandum de dieta arte d. Il Missaglia asseriva essergli stati subornati da Ambrogio Panigarola, che a sua volta negava. Potè però ottenere lettere ducali costringenti il Panigarola a fare rientrare i due armaiuoli in Milano ed a pagare i loro debiti. Ora il Panigarola con atto notarile promette di curare il loro rimpatrio da qui alle calende di marzo prossimo o altrimenti di pagare. 212 EMILIO MOTTA 95. — 1468^ ottobre ij. Ricorso di Antonio Missaglia, a Cicco Simonetta, il quale dimanda che gli sia pagata una casa sulla piazza Castello che il duca di Milano voleva occupare, e si lamenta al tempo stesso che le caccie ducali invadano anche certi suoi terreni attigui al giardino del castello : " caxa che è in sula piaza del castelo, la quale " certamente me molto necessaria per li miei lavorerii e per li tempi " de le zostre, et perchè siamo molti frateli et etiam perchè la caxa * nostra in le arme non ne basta „. Nondimeno è " aparegiato a fare " cosa gli sia grata, ma perchè in quella caxa gli è alogiato mio co- * gnato cum molti fioli et sua famiglia et Iha fornita de viotualie et altre " cose necessarie per suo uso, bixognaria havere tempo congruo a " spazarla fin che fosse proveduto duna altra „. Il duca deliberando " de comperarla, bixognia chel me proveda del pagamento secundo sarà " extimata aciò ne potesse comprare un altra per scontro [de quela ». Aggiunge che Carlo da Cremona gli ha occupato " sotto umbra " de le cazie et piaceri „ del duca un terreno " chi è nel zardino poxo * lo castello de Porta Zobia ^, dal padre del Missaglia stato comperato pagando lire 11.400 a Galeotto Toscano. Lo Sforza voglia lasciargli " go- " dere liberamente dicto mio terreno, aut me daga uno contracanbio " vel lo pagamento insiema cum la suprascripta caxa, aciò non remanga " in tuto privato „. Aggiunge d'aver dato d'ordine ducale ad Antonio zenuese, Bianchino da Parma e Stefano dal Monte di Brianza " homeni d'arme „ del duca * una bona armatura per acaduno de loro e le loro arme vegie " che erano fracassate „ aver consegnate a Filippo Corio. ASM, Militare; Beltrami, // castello di Milano^ Milano, 1894, PP- 236 €598. 96. — 1469, gennaio 29. Ambrogio de Negroni da Elio del qd.m d. Tomaso, detto Missaglia, d. Filippo da Erba ambedue in porta VercelHna, parrocchia di S. Protaso in campo, dentro, e d. Cristoforo degli Odoni promettono ai fratelli Giov. ed Ambrogio Corio qd.m d. Daniele lire 1166, soldi 13, denari 4 imp. " occasione tante quantitatis armorum " per eos fratres creditores dictis debitoribus datis, tradictis, venditis et " consignatis „ (i). ANM, Not. Giovanni Scazosi. 97. — 1469^ giugno 6. Antonio Negroni Missaglia, cittadino, mercante * et armorerius „ riceve dal duca di Milano in donazione un molino * seu situm molandini „ situato e costrutto fuori di porta Comasina presso la chiesa di S. Angelo in Prato comune sopra il naviglio della Martesana " cum rodiginibus tribus a macinando et cum pariis tribus ** moliarum et oredegariis „ con obbligo di consegnare ogni anno, nella (i) Tra le signore milanesi, invitate alle feste nuziali di Bona di Savoia in Milano, ai 6-7 luglio 1469, figura la moglie di Ambrogio Corio, armaiuolo, abitante in porta Vercellina. Non vi manca quella di Antonio Missaglia a porta Romana (ASM, %eg. ducale K, n. i). ARMAIUOLI MILANESI NEL PERIODO VISCONTEO-SFORZESCO 213 festa della Natività del Signore al detto duca e suoi successori " elme- " tum unum sive celatam unam argento et auro fulcitam „ oppure l'e- quivalente prezzo. ASM, Reg. Ducale B B, fol. 188 ; Angelucci, op. cit., p. 195 ; Celli e Moretti, op. cit, p. 49. 98. — 1469, settembre jo. Il marchese Niccolò d' Este si obbliga di pagare a Giov. Vimercati armaiuolo di Milano, abitante in Brescia, 1400 ducati d'oro per armature, armi bianche e schioppetti da quegli ven dutigli. Venturi, op. cit. ; Celli, Gli archibugiari milanesi, p. 60. 99. — 1469, novembre 2j. Ducale a Ciovanni Ciapano: " La Maestà " del ser.mo sig. Re de Datia ne ha rechiesto una armatura per la per- " sona (sua) in la forma et de la mesura te dirà Anechino presente " exibitore. Perhò volimo che subito recevuta questa mandi per Antonio " del Missaglia et face faciere dieta armatura secondo intenderà de " dicto Anechino facendola fare bona et bella quanto sia possibile. Et " fornita la faray liberamente dare a dicto Anechino, o ad chi luy te " dirà de (dare) Et nuy la pagaremo ad esso Antonio „. ASM, Missive, n. 91, fol. 49; Celli e Moretti, op. cit., p. 53, che aggiungono : " forse, coperto da questa armatura del Missaglia, Cri " stiano, reduce da Roma, entrò nel castello di Milano, ospite del duca " Caleazzo Maria e poi a Bergamo e al castello di Malpaga ospite d " Bartolomeo Colleoni „ (1474). 100. — 1470, 20 gennaio. Ciò. Antonio de Serbelloni, a S. Babiia, riceve da Donato da Cazzaniga lire 50 imp. a tacitazione completa delle lire 600 imp. avute per il trafficare in spade ed altre mercanzie. ANM, Not. Protaso Sansoni. IDI. — 1470^ luglio 24. Pavia. Lettere patenti per anni cinque " de " familiaritate „ per Antonio Missaglia e quattro compagni. Celli e Moretti, op. cit., p. 48. 102. — 1470, agosto I. Patti dei carbonai Giuseppe detto Zambono di Vallenera, in Lesmo e Bornino Pedrazzoli di Val Camonica, abitant nel monastero di Basiano, pieve di Pontirolo, per la manutenzione de carbone al forno della ferriera di Filippo d'Erba e Damiano Negroni- Missaglia, situato in Ganzo, ANM, Not. Giacomo Brenna. 103. — [1470 circa]. Supplica senza data diretta al duca Galeazzo Maria Sforza da Jacobino Ayroldo " armorerus et nuncius „ del re di Francia, Luigi XI, inviato a Milano per far ricerca di valenti artefici " intendendo el serenissimo Re de Franzia fare fabricare alcune gen- " tile et belle armature per la persona sua et deli altri baroni, signori " et scuderi stano ad la Corte sua, et non havendo magistri che li para " debiano supplire „ manda " da la celsitudine vostra Jacobino Ayroldo " [milanese, già concesso in prestito dal duca al re di Francia] armo- " rero suo.... pregando affectuosamente et caramente la prefata S. V. " et per summo piacere la si degnasse mandare con esso Jacomino 214 EMILIO MOTTA " duodeci compagni instructi de fare armature.... con li loro instrumenti " apti a tale lavorerio offerendo molto ben meritarli et facta la opera " remandarli ecc. „. ASM, Armaiuoli; Casati, op. cit. ; Bòheim, op. cit., p. 370; Gelli e Moretti, op. cit., p. 7. 104. — J471, giugno 4. Lettera di Antonio Missaglia al duca, in risposta a sue che richiedevano l' invio a Pavia di " uno bono magistro " de li mei che toglia la mexura a la S. V. de una coraza et de uno * elmo „ per " zobia chi è domane „, di " 20 coraze de grande e picole * fornite cum fiancali e uno magistro che sortischa diete armature.... " Per adimplire la voluntate „ del duca " hogi cum ogni solicitudine et * diligentia metarò in ordine diete armature „ provvedendo di cavalli detti magistri, e * domane io le consegnarò a Pavia insiema cum * dicti magistri, ali quali bixognerà che V. S. gli proveda de alogiamento, * altramente dicti magistri non se conduriano „. Angelucci, op cit, p. 195 ; Gelli, op. cit, p. 51. 105. — I41I', giugno 29. Il duca ai Maestri delle entrate : " voi ve- * derite per l' inclusa supplicatione quanto ne richiede Antonio del Mis- " saglia, che vogliamo concedergli in contracambio del terreno che l'ha " poso el Castello nostro lì, le intrate et iurisdictione de la terra nostra " de Canzo con la Corte de Casale : il perchè volimo ve informate del * valore d'esso terreno et de quanto se ne cava de intrata, et così de * l'entrata pervene in la Camera nostra d'essa terra de Canzo et la * Corte de Casale et ce ne avisati per vostra littera insieme col parere * vostro „. Beltrami, // castello di Milano, p. 289. 106. — 1472, marzo 20 Missiva ducale diretta al re di Francia onde ottenere la liberazione di Jacobo detto Bichignola, armaiuolo mila nese, tenuto prigione sotto l' imputazione di avere introdotto armi nei domini di quel re per i nemici di questo, ASM, Missive, n. 108, fol. 210; Gelli e Moretti, op. cit., p. 7. 107. — ^472, giugno I. Pavia. Missiva ducale ai Maestri delle entrate circa la richiesta fatta da Cattaneo dei Cattanei, cittadino e mercante milanese, per l'esenzione e la facoltà " de potere tirare una o due " onze de acqua fora del navilio grande per la fabrica de le lame da " spade et lavori saldi d'armature „. Esaminata la richiesta, riferire se tale concessione sia " per cedere in in utilità de la camera „ ducale (i). ASM, Missive, n. 105, fol. 33 t. (i) Da susseguente missiva ducale, Gonzaga, 31 luglio 1472 (ibidem fol. 98), risulta ammessa soltanto in parte la domanda di « potere cavare (acqua) del na- « vilio de Porta Ticinese per giongere in la roza de Sancto Guiniforto ». Concesso a de potere fare el maglio sopra dieta senza concederli aqua corno luy « resta contento et così la exemptione limitata ». Avendo avvertenza « non « li concedere l'ultima parte che domanda, che alcuno non possa e comprare lame né simili lavori se non da luy, perchè questa gennaio ij. Lettera dì Antonio Missaglia al duea, at-^ torno a certi lavori da eseguirsi nella munizione del castello di Pavia Gelli, op. cit., p. 54. 117. — ^474i marzo 12. Patti tra i Maestri delle entrate ducali e Antonio Missaglia da Elio per Tamministrazione del naviglio della Martesana per un novennio. MoRBio, Codice visconteo-sforzesco, Milano, 1846^ pp. 419-422, 118. — i47Sì marzo ij. Lettera di Antonio Meraviglia al duca di Milano, informandolo della visita al castello di Milano, dove alloggia, del Bastardo di Borgogna : " domane vole andare ala centrata de le " arme et vole fare tore alcune misure de arme „. GiNGiNS, Dépéches des ambassadeurs milanais, I, p. 67 ; Beltrami, Il castello di Milano, p. 352. 119. — 7^7/, aprile 12. Villanova. Il duca a Gottardo Panigarola: " ha- " vemo commesso ad Antonio del Missaglia che faccia arnese, schinere " et franchali per li 111. mi Conte de Pavia et marchese Ermes nostri " figlioli „. Gli provvederai " del zettonino et altre cose, quali bisognano " per fornimento d'esse armi „. Porro, Lettere di G. M Sforza, in qnest^ Archivio, V, 1878, p. 268 ; Gelli, op. cit, p. 54 che non cita il Porro. 120. — 147S, luglio 12. Ordine ducale di pagare a Costantino da Va- prio il suo avere per diverse barde, fiancali, lancie dipinte e lavorate. Morbio, op. cit., p. 462. 121. — ^41St novembre 29. Società per compera e vendita d'armi in Milano tra Gerardo Rabbia ed Andrea da Meda. ANM, Not. Antonio Zunico. 122. — 1477, gennaio //. Società tra Antonio Missaglia a S. Maria Beltrade ed Angelino de Borri " traversator armorum „ a S. Stefano in Brolo, dura ura fino alle calende di gennaio 1479, indi e beneplacito. Nella società il Missaglia metteva l'usufrutto e godimento della sua " traverserà „ nel fosso di Milano, presso il monastero di S. Marco, che era di due " rodigini „ e col diritto d'acqua, valore fiorini 150. Il Borri prestava l'opera sua. Volendo, detto Angelino poteva fare lavorare i suoi due figli e altri tre lavoranti pratici " in dicto laborerio „ a computo di soldi 7 imp. per giornata. L'Angelino doveva versare del lucro annuo a computo di fiorini 150, valore della traversa, ritenendo per sé soldi 13 imp. giornalieri, piìi pagando figli e operaio, e altre spese. Il restante guadagno diviso fra le parti per metà. ANM, Not. Giacomo Brenna. 123. — 1471, marzo 21. Convenzione tra Gio. Pietro da Carnago, qd.m maestro Paolo, abitante in Napoli, Bernardino suo fratello e Francesco de' Cattanei fil. d. Albino, a S. Carpoforo, per l'esercizio della fabbricazione delle armi d'ogni genere " et maxime de illis armis de " quibus laborant et se exercent dicti fratres de Carnago „ in Napoli. Il Cattaneo si obbliga a recarsi a Napoli per due anni, ricevendo ducati 33 d'oro, annualmente, più la spesa del vitto. ANM, Not. Lazzaro Cairati. 2l8 EMILIO MOTTA 124. — \.i4n circa]. Supplica senza data diretta alla duchessa Bona di Savoia da Giovanni da Pampuro " magistro da corazze „ del qd."* duca Galeazzo. ASM, Sezione Sierica, Famiglie, P a m p u r i. 125. — ^47^, agosto 2'j. Invetttario delle armi esistenti nel castello di Pavia, con nota delle armature consegnate ad Antonio e Bernardino del Missaglia. ASM, Missive, n. 135, fol. 27; Magenta, / Visconti e gli Sforza nel castello di Pavia, II, pp. 396-398 ; Gelli, op. cit., p. 57. 126. — 147^1 agosto 28. 1 duchi di Milano ad Antonio del Missaglia: " Per remettere le nostre gente darme che sono stati spoliati in Ze- " noese havemc ordinato dargli de le armature dela nostra munitione, " videlicet armature integre ad quilli ne sono spoliati in tutto, et ad " quilli ne manca qualche pezzo remettere quella parte gli mancasse „. Eseguirà quindi gli ordini del conte Borella e di Michele Battaglia * to- " gliendo ogni cosa della nostra munitione, excepto quando li pezi man- " carano non fussino nella nostra munitione, daragli delli toy: et met- " teragli al nostro cuncto et nuy te li pagaremo secondo li pretii con- " sueti „. ASM, Missive, n. 138, fol. loi. 127. — 1478, settembre 21. Lettere di passo a favore di maestro Giacomo de Cantono " armorum faber ^ (i) al servizio ducale nella spe- dizione contro la ribellata Genova, per ricondurre da Serravalle e da Pavia dove erano state spedite due balle di armi di diverso genere * prò " armandis teutonicis „ e altre due balle d'armi consimili con 60 co- razzine. ASM, Armi; Gelli e Moretti, op. cit.^ p. io. 128. — 1480, aprile 23. Co)iferma del " nobil viro Antonio Missalie da " Elio „ ad armaiuolo ducale da parte di Bona e Gio. Galeazzo Maria Sforza: " perchè la fede, devotione e bontà tua è stata cognosciuta per " experientia verso il stato nostro.... nostra intentione è che tu servi nuy " et la Corte nostra de armature, sicomo hai fatto per lo passato, et " con quelli ordeni, corno solevi fare con la bona memoria del qd.^ " Ili.mo Sig.re nostro consorte et patre et del qd.m excell.mo sig." Duca " Francesco nostro socero et avo.... Tu non mancarài de la tua consue- " tudine et bontà et nuy faremo che remanerai ben contento de li toi " pagamenti et oltra hoc volemo che tu habii la tua consueta provvisione " ad computo de fiorini XII al mese per la toa honorantia „. ANGELUca, op. cit., p. 196; Gelli, op. cit., p. 55. 129. — 1480, settembre 14. Concessione ducale a Cristoforo de Capelli e Antonio degli Armaroli ", portandi ac transmutandi seu transmu- (i) Di suo figlio Bernardino sono riprodotte nelle tavole del Gelli le ar mature eseguite per Massimiliano I imperatore. Il Bòheim aggiunge notizie sul suo casato. ARMAIUOLI MILANESI NEL PERIODO VISCONTEO-SFORZESCO 2I9 " tari faciendi arma more theutonico fabricata ab apotecis suis in domo " seu fondico Thome de Tanciis theutonici, in tribus vel quatuor vicibus " tute, libere, ordinibus nostris in contrarium non attentis „. ASM, Reg. ducale, n. 120, fol. 18. 130. — 1480^ ottobre 11. Patti fra Giov. Pietro de Carnago e suo fratello Bernardino, abitante in S. Maria Segreta e Giovanni de Salimbeni fil. d. Cristoforo, a S. Mattia alla Moneta " magister artis fabri- " candi et Iaborandi arme „ per recarsi ad esercire in Napoli. ANM, Not. A. Zunico. 131. — 1480-1482. Francesco da Merate fornisce armi per la munizione di Castel Vecchio, che porta egli stesso a Ferrara, dove ponestanza. Venturi, op. cit., pp. 232-233 (i). 132. — 1481, luglio 9. Maestro Antonio da Seregno qd.m d. Gio. vanni, a S. Tecla, assume, per la durata di tre anni, Cristoforo dell'Acqua qd.m Marchesino, a S. Simpliciano, per lavorare " de arte gladiorum, " culteilarum et cultellorum „. Paga giornaliera di soldi 4 ^/j imp. nel primo anno, di 5 nel secondo e di 5 Y2 ^^^ terzo. ANM, Not. Gio. Gerolamo Candiani. 133 — 1482, gennaio 14. Il nobile Gio. de' Ferrari d'Agrate abitante in Voghera deve a Giacomo da Cantone, a S. Maria Beltrade in Milano, lire 700 imp. moneta vecchia, per 100 corazzine e 100 celatine vendutegli. ANM, Not. Boniforte Gira. 134. — 1483^ aprile is. d. Filippo d' Erba deve ad Antonio de' Se- roni, a S. Maria Segreta, stipulante a nome del fratello suo Cristoforo, lire 1059, soldi io imp. " occasione et prò resto armaturarum completa- " rum vigintique et cum suis fiancalibus „. ANM, Not. Boniforte Gira. 135. — 1483, Il duca di Ferrara, non bastandogli l'opera di Francesco da Merate, ricorre a Milano per rifornire di lavoratori l'officina ferrarese, e per avere da un altro armaiuolo, di nome Biagio, nuove armature e barde per gli armigeri della schiera guidata da messer Nicolò da Correggio, cui toccò l' infausta sorte d'essere in un fatto d'arme spogliati dai nemici. Venturi, op. cit., p. 234 136. — 1483^ agosto 79. Giov. Antonio Forti di Bassignana s'obbliga verso Giacomo da Cantimo, sopraricordato, per lire 50 imp. prezzo di una armatura " fulta integraliter cum suis fiancalibus „. ANM, Not. Boniforte Gira. 137. — 1483. Martino del Pizo, maestro d'archibugi da Milano, con- trae società in " arte armorum „ con Jacopo Magnanini modenese. Rivista militare italiana, a. IV, voi. Il, p 50 ; Quarenghi, Tecno-cronografia delle armi da fuoco italiane, Napoli, 1880, p. 118. (i) Nel 1485 il da Merate lavorava in Ferrara ad un'armatura pel marchese di Mantova (vedi (\\iqsx^ Archivio, XV, 1888, p. s$o)- 220 EMILIO MOTTA 138. — 148J, maggio 6. Società per la fabbricazione e vendita delle armature in Bordeaux, stipulata per un ventennio tra Estienne Daussonne, Ambroys de Caron et Glaudin Beilon, natifz du pays de Mylan en Lombardie et Pierre de Sonnay natif de la duché de Savoye (i). Gaullieur, Uarmurerie ynilanaise à Bordeaux au quinzième siede (Extr. de la Revue d^ Aquitaine), Bordeaux, 1867, p. 7 sgg. ; Bòheim, op. cit., p. 379. 139. — 14S7, gennaio 2. Il nobile Aloigi da Cusano del qd.m Azzone, a S. Maria alla Porta, cittadino e mercante milanese, riceve dal magnifico d. Ruffino de Murris generale tesoriere|del duca Carlo di Savoia e suo oratore presso il duca di Milano, in una parte ducati 1000, ed in un'altra parte ducati 200 a piena tacitazione delle spese per tante armature, che il Cusano promette consegnare entro un mese al gran scudiero del duca di Savoia. Vi è ricordato col Cusani un Giacomo de* Bossi armaiuolo milanese. Le armature erano provvedute dal duca per servirsene contro il marchese di Saluzzo e consorti^ suoi ribelli. ANM, Not. Lucchino Appiani. 140. — 1488. Tra i paratici milanesi che fecero la prima oblazione per l'erezione del Lazzaretto figurano anche quelli dei " spadariorum, " prò quo vocetur Antonius de Serenio per medium ecclesiam maio- " rem „, e degli " armoririorum, prò quo vocetur D. Antonius de Mis- * salia „. Beltrami, // Lazzaretto di Milano, Milano, 1899, P- 7^- 141. — 1488, luglio IO. Pietro Martire di Corbetta fil. qd.^ domino Ambrogio pattuisce con maestro Antonio della Porta, a S. Maria Beltrade, per entrare al suo servizio e lavorare " de arte imborniendi " spatas „. ANM, Not. Boniforte Gira. 142. — 1489 e I49y. Armature fatte dal Missaglia per ordine di Lodovico il Moro e donate a Ferrando ed Alfonso d'Este. Venturi, op. cit., p. 235 (2) ; Gelli, op. cit.,. p. 60 (3). (1) Società che non durò che cinque anni, essendosi sciolta nel 1490. Il Beilon forse ritornò in Italia. 11 Caronni, sollecitato da Gastone de Foix, si stabilì nella parrocchia d'Escoussans, dove ebbe beni, si ammogliò e fece testamento ai 4 settembre 1502. Per maggiori particolari sulla sua operosità e vita rimandiamo all' interessante opuscolo del Gaullieur, il quale male traduce però il Caron in Karoles, mentre trattasi evidentemente di Caronno ovvero di Ambrogio da Caronno. Anche l' infrancesato Daussonne deve corrispondere a d'Ossona; il Beilon a Belloni. Il Bòheim aggiunge (togliendolo dal Gìossaire archéologique del Gay) che il Caronno, dimorando nella sua signoria d'Arbi en Benanges, vendette a Chartroise (forse al duca Lodovico di Chartres, futuro re Luigi XII) una co- razza ungherese. (2) Il Trotti, oratore estense a Milano, giudicava il Missaglia « sì piacevole « e savio che quiunque el tene in palma de mano ». (3) Tra gli armaiuoli lombardi emersi in Urbino nel '400 e '500 notansi ARMAIUOLI MILANESI NEL PERIODO VISCONTEO-SFORZESCO 221 143. — 1490, gennaio 2j. Ordini ai lavoratori di spade e coltelli di non lavorare fuori delle loro botteghe in tempo di pioggia, neve e nebbia. ACM, Provvisioni, 14SI-1493, fol. 179. 144. — 1490, agosto 9. Testamento di Gabriolo de Negroni da Elio fil. qd.ro d. Antonio, abitante in Cantù. Lascia al Duomo di Milano fiorini io; al fratello Aloisio fiorini 100 " ex denariis partis mee merchantie " fareritie que comuniter exercetur per nos fratres „. A Donato Negroni, nipote suo e figlio di Aloisio, lire 200 imperiali, ed erede universale istituisce il figlio suo legittimato Giov. Francesco. Gli si faccia inoltre celebrare un annuale, a lire 5 imp., per la durata di 25 anni. ANM, Rog. not. Paolo Bossi. 145. — I490f agosto 2j. Gio. Ambrogio d'Angera fil. qd.m d. Cri- stoforo (i) si mette a bottega presso i fratelli maestri Antonio e Cristoforo de' Sereni a S. Maria Segreta per lavorare " de arte armaturarum et " armoreriorum „ per dieci mesi. ANM, Not. Boniforte Gira. 146. — 1491, febbraio ij. Essere stata fatta società tra d. Aloisio Cusano qd.m d. Azzino per una parte, Pietro Antonio da Possano qd.™ d. Giovanni e fratello Cristoforo per un'altra e Francesco de Cattanei fil. d. Cattaneo per una terza parte " causa et occasione cuiusdam ** mercati facti per dictos de Possano et de Cattaneis cum Ul.mo Prin- " cipe domino Duce de Lorena, in quo promiserunt dare dicto Duci ar- *^ maturas 50 fultas et cum bardis et penagiis, stochis et zorneis dama- ** sebi ad divisam prelibati ducis, et ferrros, lantias et testeras prò pretio " scutorum 35 auri et in auro regis prò qualibet ipsarum armaturarum " cum suis fornimentis conductis et consignandis in Lorenna „. Inoltre tenuti a dare altre otto armature " duplas, fultas utsupra salvo quod " zornee et barde „ dovevano essere dipinte e cioè le barde ad oro e le giornee " rechamate argento supra aureato „. Promisero pure di condurre al detto duca altre merci " subtilles et arma, et cursitos 50 et " corizinas 50 cum cellatis prò pretio videlicet dictorum cursitorum et " corrizinarum ad computum scutorum quatuor cum dimidio regis auri * et in auro prò qualibet earum, cum celiata sua „, armature e merci da consegnarsi al più presto possibile, le quali otto armature valevano scudi 100 del re ciascheduna. Il Cusano aveva partecipato per 6350 lire tra merci e contanti, indi insorse vertenza d'affari tra i soci. Ora BerSebastiano di mastro Antonio da Cremona dal 1489 al 1520, mastro Piero da Milano, armaiuolo nel 1517, e Giacomo di ser Giovanni da Como, « spadario « sive armarolo », dal 1321 al 1540. Cfr. Scatassa, io Arte e Storia, n, 15, 1905, e (\\x^si^ Archivio^ XXXII, 1905, p. 484. (i) Per un Cristoforo d'Aogera a armifex », rifugiatosi a Brescia, dopo aver terito alla mammella certo « Ira de Percis », intercedeva il Missaglia presso i duca di Milano, con una supplica, senza data però (Celli e Moretti, op. cit., P- 44). 222 EMILIO MOTTA nardino Missaglia fil. d. Aloisio, abitante in Cantù, ed attualmente a Milano, nella parrocchia di S. Michele al Gallo, quale procuratore di Pietro Antonio da Possano, denuncia il Cusano perchè lo faccia citare se ha pretese per detta società. ANM, Not. Paolo Bossi. 147. — 1492^ agosto 26 e sgg. Procedimento incoato contro l'armaiuolo Gio. Pietro Bizozero, imputato' di subornazione di operai. ASM, Militare e fabbriche d'armi; Angelucci, op. cit., p. 196 Gelli e Moretti, op. cit , p. 8 e sgg. (i). 148. — I49S^ aprile 77. Worms. Gabriele e Francesco da Merate si obbligano con Massimiliano 1 imperatore a costruire, su un posto loro assegnato nella città di Arbois, in Borgogna, e verso T indennizzo di 1000 franchi e di 1000 fiorini d'oro, un'ofiScina d'armaiuoli e di fornirla di tutto il necessario " Moyennant les quelles choses le dit messire Ga- " briel sera tenu de forgier et livrer chacun au roy ou a ses commis * la quantité de 50 harnois de guerre acompliz bien fais à la mode " de Bourgogne et de bonne estoufe, marquiéz de la marque ordonnée " pour les dits harnois, qui se forgeront au dit Arbois et pour chacun " des dits 50 harnois ilz lui bailleront les pieces suigans assavoir: l'armet, " la currache, arnois de gambes, une paire de grans gardes, une paire " de garde-braz et une paire de gantelletz; chacun des dits harnois " pour le pris et somme de 40 francs monnay de Bourgogne. Item aussi " 100 armetz de teste, garnis de banière pour le pris de io francs piece. * Item 100 oieces de grant-gardes pour le pris de 5 francs et 100 paires * de garde-braz pour le pris de 40 francs monnaye dite „. BoEHEiM, op: cit., p. 379 che si vale dei documenti pubblicati nei voi. I (n. 197), II e V del medesimo Jahrbuch dei Musei imperiali di Vienna (2). 149. — 149S'» aprile 2j. Lettera di Filippino Fieschi, castellano di porta Giovia, a Lodovico il Moro. In esecuzione di lettere ducali, aver conferito con " quelli magistri che lavoreno nele arme et barde del (i) 11 Gelli rileva i nomi seguenti di armaiuoli : Francesco da Merate, Giacomo de Cantono, Galeazzo da Verderio, Ambrogio dell'Acqua, Francesco da Vi- mercate, Giovanni Gariboldo, a magistri ex armis», Francesco Boli tega, Gio. Antonino da Albairate, Antonio e Cristoforo fratelli de S a m a l i i s [forse i Missaglia], Gio, Marco Meraviglia, Domenico Negroli e nipote, Giovanni Salimbene, Giov. de Faerno, Giovanni degli Ambrosioni, Gabriele da Sedriano, Michele da Pigino, « magistri ab hipotecis armorum », Gio. Giacomo da Vimercate, Beltramo Stucchi, Francesco da Locate, Francesco Piatti, Francesco Besana, Maffiolo de Ravagnasco, « laboratores armorum ». (2) Da essi risulta che le notizie sui fratelli da Merate sono tutt'altro che scarse, come sembrò al Gelli (op. cit., p 11). Specialmente nel 1507, all'occasione della sua calata a Roma, l' imperatore fa presso di loro importanti acquisti. Nel 1508 e nel 1509 Gabriele si trova a Venezia d'incarico di Massimiliano. Ambedue gli armaiuoli lavorarono in Arbois di sicuro fino al 1509. ARMAIUOLI MILANESI NEL PERIODO VlSCONTEO-iiKORZESCO 223 « Ser.mo Re de Romani.... Magistro Zoanne de Costantino dice fornirà " le barde fra ceto giorni et mag.ro Leonardo dice haver fornito dal " canto suo ; solo che gli manca le franze et doy cordoni. Magistro Jo. " Pietro da Barnaregio dice fornirà la curacina fra 8 giorni. Mag.ro " Ferrando dice haver fornito dal canto suo et magistro Francesco da " Merate dice fornirà le arme infra tre giorni „. Fatta loro istanza di " lavorare et giorno et nocte senza perditempo „. ASM, Armaiuoli; Celli e Moretti, op. cit., p. 11. 150. — 149S, aprile 2S. Lettera da Worins dell'imperatore Massimiliano a Lodovico il Moro : " noi havemo ben saputo et inteso da Ga- " briel vostro armorero lo bono volere et affectione quale haveti con- " tinuamente de compiacerne et medesimamente de la licentia che haveti " dato a Francisco fratello de esso Gabriel de restare sotto noi et in * nostra obedientia. Del che vi ringratiamo molto et ricercamo che per- " severando in vostra bona affectione voi vogliati dare licentia al dito " Francisco de levare in vostro paese et signoria servitori et operarii " del suo mesterò per aiutarsene in lo facto del dicto suo mesterò. El ** che ne facesi piacere grat."". ASM. Militare] Gelli e Moretti, op. cit., p. 12 (i). 151. — i49St luglio II. Atto di causa nella querela mossa dal magnifico conte Antonio de Negroni da Elio detto Missaglia, del qd.m Tomaso, contro il magnifico d. Gaspare Trivulzio e consorti suoi in Locate. ANM, Not. Antonio Birago. 152. — 1496, giugno 24. Tra le persone che contribuirono alla fabbrica di S. Maria della Sanità colle rispettive oblazioni assegnate, parte in generi per una data porzione dell'edificio, e parte in denaro si annovera: " D. Gabriel de Canova armorerius prò una columna libr. VI, '* s. o. d. I „. Beltrami, // Lazzaretto di Milano^ p. 72. 153. — 1496^ novembre ji. Bartolomeo Calco scrive al duca di Milano che " li fioli del qd ™ Antonio del Missaglia „ domandano se nella licenza concessa " de possere condure mercantie ad Genevra li sono " anchora incluse arme „. ASM, Giustizia civile, parte antica, cart. 268. 154. — 149^1 agosto 2. Cristoforo da Mandello del qd.m Mafteo promette di stare con maestro Baldassare da Busto, figlio di maestro Ambrogio, a S. Satiro " et laborare cum eo de arte speronorum „ per un anno. ANM, Not. Boniforte Gira (2). (i) Il Gelli opina trattarsi dei fratelli Francesco e Gabriele da Merate; lo avrebbe facilmente affermato, consultando il lavoro del Bòheim che sembra ignorare. (2) Nel 1498 novembre operai erano inviati a Vogogna « per dar forma a a quella fabbrica d'armature et artagliarìe » (cfr. Bianchetti, L'Ossola inferiore, I, p. 429 e II, p. 450. 224 EMILIO MOTTA 155. — 1499^ marzo 4. Grida a favore di Giov. Angelo e Sebastiano fratelli Missaglia contro i perturbatori e guastatori dei loro edifici di " certe minere de ferro alla perfectione de lavorare „ situati nella Corte di Casale, pieve d' Incino. ASM, Missive^ n. 211, fol. 93; Gelli e Moretti, op. cit., p. 57. 156. — //02, novembre 8. Il nobile Giov. da Birago e Gandolfo.figlio del conte Giov. Gambarana, abitanti in Gambarana, contado di Pavia, promettono allo spettabile signor Aloisio da Trivulzio del qd.m Pietro, a porta Ticinese parrocchia di S. Pietro in Caminadella, come al tutore del magnifico d. Renato Trivulzio del qd.m mag.co d. Fran- <:esco, ducati 24 a lire 4 imp. per ducato, e soldi 24 imp., per " occasione ** unius armature fornite ab armigero, et unius spatae, sopravestarum " duarum diversorum colorum, et parli unius fiancaliorum a bardino, ^' per dictum d. Aloysium tutorem utsupra datis debit. datis ac vendit. ^' Que omnia erant prefati mag.ci d. francisci „. ANM, Not. Andrea Birago (i). 157. — 1J04, marzo 14. Il nobile Gio. Angelo Negroni de Elio del Mi ss ali a fil. Antonio, a S. Maria Beltrade, investe a titolo di locazione ^* Aloysium de Barinis dictum de Negrolis fil. domini Dominici,, in S. Lorenzo fuori " de apotheca una cum cameris duobus in solario su- " per ipsam apothecam et portam et fuxina una in domo „. Affitto per sei anni, e per fiorini 60 annui pagabili a Pasqua. ANM, Not. Cosma Brenna. 158. — iSOSf maggio g. Gio. Giorgio da Desio (2) riceve da " d. Do- *' mi nico et Hieronimo fratribus de Barinis dictisde Negrolis» fil. qd.™ -d. Giovanni, abitanti a S. Lorenzo e a S. Maria Beltrade lire 130 imp. per completa soluzione di certi molini " seu bonorum „, situati a San Lorenzo maggiore fuori, che tengono in affitto da detto da Desio (3). ANM, Not. Cosma Brenna. 159. — 7/0/, settembre 22. Maestro Gio. Antonio da Bregnano fil. qd."' d. Giovanni, a S. Simphciano, promette a d. Andrea de Barini^ detto de Negroli, figlio e procuratore di Domenico, che ** die sequenti recedei (i) Da istrumento 16 maggio 1537 (ANM, not. Gervasio Biglieni) risulta -che il defunto Gio. Antonio de' Balestrieri aveva dato in pegno a d. Gio. An- drea del Pero « zachum unum malee ferri cum scarsellis sive manicis » per uno scudo e 24 soldi imperiali. (2) Il Gelli, op. cit., p. 15, ricorda una supplica di Pietro da Desio, e may- « stro de aste de veratoni che fu genero de Dionisio da Viganore quale tra « luy et suoi predecessori per spatio de anni LX hano servito alla ducale mu- « nitione de dieta arte ». La supplica, senza data, non può essere della prima metà del secolo XVI, bensì della seconda del XV. (3) Un altro atto del 2 giugno 1505 del medesimo notaio tratta delle con- troversie insorte tra le parti soprascritte per certe spese fatte in detti molini dai Negroli. ARMAIUOLI MILANESI NEL PERIODO VISCONTEO- SFORZESCO 225 * a Mediolano et ibit ad civitatem Romae atque ibi exercebit se et per- * sonam suam in arte seu exercitio armorum, que exercetur per dictum " dominum Andream „. ANM, Not. Cosma Brenna. i6o. — iSOT^ febbraio 7. Morte di maestro Antonio de Baregio * spadarius „ abitante a S. Maria Beltrade di Milano, d*età di settanta- sette anni. Motta, in c\^^%^ Archivio^ XVIII, 1891, p. 263. Ai 9 aprile 1503 era morta Angelina de la spada, moglie di Ambrogio da Gorla " ma- * gister ab ensibus „ di trentaquattro anni. 161. — //07, febbraio 18. Lettera di Bernardino Missaglia, armaiuolo, al marchese di Mantova, per ordine del quale si trovava in carcere coi ferri ai piedi, perchè non aveva finito in tempo Tarmatura, comandatagli per il re di Francia. Scrive invocando la libertà, essendo già da quasi un mese privo della bottega. Il ritardo fu per l'infermità dei suoi genitori. Promette, se libero, di finirla in tre o quattro mesi e la farà così bella che mai ne sarà vista eguale per far maggiore onore al Gonzaga, che la deve regalare al re di Francia, e renderà conto del denaro avuto. Se Io si lascia ancora languire prigione il ritardo sarà sempre maggiore. Bertolotti, Le arti minori alla corte di Mantova, in qutsi* Archivio^ XV, 1888, p. 1057 (I). 162. — ijio, novembre 29. Testamento di Francesca dei Negroni da Elio, figlia del conte Antonio e vedova di Merlino Maggi, in S. Naz- zaro in Brolo. Eredi i suoi figli Giov. Antonio, Alessandro, Bartolomeo, Lodoviiro, Castellano e Francesco. ANM, Not. Giov. Evangelista da Liscate. 163. — ijii, febbraio ij. Divieto di vendere corsaletti e pettorali senza licenza del Senato. ACM, Lettere ducali isoj-isi2y fol. 177. 164. — ijii, marzo io. Maestro Filippo de Grampis fil. qd.n» d. Giovanni, a S. Maria Beltrade, e maestro Gio. Angelo Litta fil. qd,™ d. Cristoforo a S. Mattia alla Moneta, promettono a " domino Ricardo de ^ Jermingham „ fil. qd.m d. Giovanni, procuratore del re d'Inghilterra, che si recheranno in Inghiltera " ad exercendum personas suas in, et " de arte fabricandi arma cuiuslibet generis et maneriei, completa a ca- ^ pite usque ad pedes ab uxu et prò uxu persone prefati Ser.^ì Regis „. Loro salario annuo: scudi 200; obbligati a condurre seco tre maestri (i) A p. 555 il Bertolotti aveva già date altre notizie su questo Missaglia, detto dall'Armari a, cui era preposto, e che fin dal marzo I498 risulta già al ser- vizio dei Gonzaga. È questo il medesimo individuo citato dal Gelli, op. cit., p. 58, ma del quale non gli è stato possibile stabilire i rapporti di parentela con Antonio Missaglia? Ne era abiatico, come dal doc. 17, febbraio 1491» addietro riportato. Arch. Stor. Lomb., Anno XLI, Fase. I-II. 15 226 EMILIO MOTTA " computato uno traversatore, bonos et aptos ad faciendum unam ar- " maturam bonam „. Capitando loro di eseguire armature per altre per- sone che non per il re, ne tengano il guadagno. Morendo^uno dei maestri, obbligati a rimpiazzarlo con altro. ANM, Not. Domenico Spanzotta. 165. — 1513^ novembre 24. Bernardino e fratelli Negroli " armaroli " milanesi » consegnano in dogana di Milano 14 balle " de armature " bianche cioè pecti docento „ e ne pagano il dazio di uscita " le quali " balle sono state condocte a ripa sopra la barca de Joh. Francesco " di Porto Venere „. ASM, Militare; Angelucci, Le armi del cav. Raoul Richards alla Mostra dei metalli artistici in Roma, Roma, 1886, p. 160 ; Bòheim, op. cit., p. 392; Gelli, op. cit., pp. 77 e 79 (che non cita TAngelucci). 166. — ijió^ marzo 8. Patti tra d. Andrea de Negroli fil. d. Domenico, in porta Ticinese, a S. Lorenzo fuori, in nome proprio e del padre, e Giovanni da Landriano, fil. qd.°i d. Antonio e figlio suo Antonio, pure a S. Lorenzo. Antonio tenuto a lavorare " ad apothecam dicti de Ne- * grolis » non lavorando per altri. Tariffa di pagamento : " Primo per paro uno brazali d'omo d'arme " bene ordinati soldi 30; per uno paro brazale d'homo d'arme facti in " torno soldi 50; per una dopia (?) d'omo brazali da giostra soldi 14; " per uno paro de brazali d' homo d'arme ornate (?) de daretro et de " dentro lire 4; per uno paro de brazali ala spagnola spigorate (?) " lire 5, soldi io; per uno paro de brazali ala spagnola sol.... lire 4; per " uno paro de brazali ala spagnola spigorata (?) et armate de dentro " con l'ala lire 7, soldi io imp. „ (tariffa di calligrafia quasi indecifrabile). ANM, Not. Francesco de Vergo. 167. — iS^9t maggio 2j. Transazione tra Gerolamo Porro e con- sorti col paratico degli spadari di Milano. ANM, Not. Francesco de Vergo. 168. — iJJ^y ottobre 2S, 27 e jo. Quittanze di numerosi armaiuoli milanesi e loro eredi a favore di d. Aloisio Negroli qd.™ d. Domenico, a S. Maria Segreta, del fratello suo Andrea nonché dei nipoti Paolo e Gio. Pietro figli qd.m d. Nicolò, fratello di Aloisio Negroli, per pagamenti rateali " super illis denariis receptis per prefatum ohm dominum " Nicolaum de Nigrolis et d. Petrum Franciscum de Restis procuratorio " nomine prefati d. Nicolai de Nigrolis et consortum, a domino Andrea " de Sormano agente nomine Christianissimi regis Francorum super " debito ipsius Regis versus magistros armarolos Mediolani occasione " alacretorum seu cursetorum „ consegnati da detti armaiuoli, come da istrumenti stipulati (i). ANM, Not. Filippo da Liscate. (i) Sfilano qui, in lungo corteggio, i principali armaiuoli di Milano. Coraechè fuori del Quattrocento, campo limitato alle nostre indagini, non ci addentriamo in maggiori particolari, e ciò valga anche per il susseguente regesto dell'anno ARMAIUOLI MILANESI NEL PERIODO VISCONTEO-SFORZESCO 227 169. — J>V/, ottobre 27, d. Aloisio Negroli fil. qd.™ d. Domenico, a nome anche di Paolo e Giov, Pietro fratelli Negroli nipoti suoi, figli del 1535. Ci basii riferire qui i nomi, perchè altri, interessandosi del Cinquecento, li abbiano presenti per necessari riferimenti, allargando le ricerche nell'ANM. Vi figurano però già nomi cospicui, quali, ad esempio, quelli dei Biancardi, dei Figini, dei Seroni, dei Piatti, ecc. Eccoli: * Maestri Giuseppe e Giov. Maria Cavezzali fil. di maestro Pietro. * Maestro Gio. Ambrogio Grossi fil. qd.m d. Donato. * Maestro Battista Piatti fil. d.. Ambrogio. •Maestri Biagio, Vincenzo e Tommaso Piatti qd.™ d. Francesco. * Domina Jacobina de Vayroni fil. qd.m mag.ro Biagio e vedova di maestro Francesco da Govenzate. *Franceschina Poppa fil. qd.m d. Nicolao, vedova di Gio. Antonio da Intra. Gio. Antonio de Pigino fil. qd.m d. Matteo. Domina Benedicta de Clivio fil. qd.m maestro Giovanni, vedova di Gio, Maria di Cassan Magnago. •Maestro Bonaventura da Lissone fil. qd.m d. Stefano. Maestro Cristoforo da Lodi fil. qd.m maestro Agostino. Domina Giovannina della Croce, tutrice dei figli qd.m maestro Cristoforo Salimbeni. •Maestro Ambrogio de Cavallerii fil. qd.m d. Giovanni. *Gìo. Antonio de Galliciis fil. qd.m d. Andrea. •Dom. Ambrosio da Oppreno fil. qd m d. Andrea. •Dom. Francesco da Mozzate fil. qd.m d. Pietro. Dom. Giorgio da Lesmo fil. qd.m d. Giov. Ambrogio a nome dei fratelli Giov. Ambrogio e Battista da Varedo fil. qd.m d. Francesco. Dom. Gabriele de Grassi fil. qd.m d. Giovanni (?), a nome anche dei fratelli Giov. Pietro, Gio. Antonio e Gerolamo. •Battista da Cogliate fil. qd.m Antonio. *Dom. Ambrogio da Oppreno, sopra citato, a nome di Ambrogio da Riva e Gio. Angelo da Gallarate. Maestro Aloisio Biancardi, fil. qd.m maestro Antonio (Agostino?). •Carlo de Borri fil. qd.m Bernardo, a nome di Cristoforo Besana. Dom. Gio. Giacomo Negroli fil. qd.m d. Filippo. Dom. Giov. Pietro Meraviglia fil. qd.m Giov. Marco, questi due ultimi ì più forti creditori nelle cifre di lire 294 e lire 391, soldi 8, sulle quali percepirono lire 88, soldi 4 e lire 93. Maestro Alberto da Vimercate fil. qd.m d. Francesco. Domina Johannina de Mazzatorti di Piacenza, vedova di maestro Lorenzo da Rho a olim resegarii », erede del qd.m Gio. Ambrogio da Rho ar- maiuolo. * Maestro Bernardo de Serono fil. qd.m d. Antonio (Agostino?) riceve lire 130, soldi IO. Dom. Francesco da Lomazzo fil. qd.m d. Pietro Antonio, come procuratore dei figli ed eredi qd.m d. Ambrosio Negroli lire 99, soldi $ imp. 228 EMILIO MOTTA fratello suo qd.m Nicolao per una parte e d. Bernardino de Sereni fil. qd, d. Ambrogio e m.ro Carlo Borri fil. qd.m d. Bernardo, a S. Maria Segreta, per l'altra, si rimettono al compromesso di Ambrogio da Oppreno per le loro vertenze di crediti. Ai 30 il Borri dichiara d'aver ri- cevuto dairOppreno, a nome Negroli, lire 50 a parziale soluzione della differenza, come dal compromesso. ANM, Not. Filippo da Liscate. 170. — iJJ^t ottobre jo. Maestro Alberto da Vimercate, fil. qd.™ d. Francesco, a S. Maria Beltrade, promette di dare ad Aloisio Negroli fil. qd.™ d. Domenico, a S, Maria Segreta " celatas a copela 26 fornitas " et merchantescas prò saldo debiti quod cum ilio tenet „. ANM, Not. Filippo da Liscate. 171. — iJJJ, agosto 2S e 26. Altre quittanze di diversi armaiuoli milanesi a favore di Aloisio Negroli e dei nipoti suoi Paolo, Battista, Pietro e Giuseppe fratelli e figli del qd.n» Nicolò Negroli per causa " qua- " rumcumque quantitatum armaturarum per dictos armaroUos datarum, *'■ traditarum, venditorum et consignatarum Ill.mo Generali Grimaldo prò * Christianissimo Rege Francorum „, cioè " alacretorum sive corsetorum '' cum suis fornimentis „ date, vendute e consegnate nel mese di gen- naio dello scorso 1525 (i). ANM, Not. Filippo da Liscate. 172. — iS39ì agosto 7. Esenzione per i dodici figli a favore di Bernardino Saroni, fabbricatore d*armi. ACM, Lettere ducali iS47-ijJSi fol. i. 173. — IS46, novembre 22. Scipione, fratello naturale'di d. Melchione de Campagnoli fil. qd.m d. Agostino, promette di stare con d. Hieronimo Negroli qd.m d. Francesco, a S. Maria Segreta, " ad discendum artem ^' armorum „» ANM, Not. Gervaso Biglieni. 174. — iJ4yf marzo 21. Altri patti tra Gerolamo Negroli e Marco (i) Sono qui ripetuti molti dei precedenti armaiuoli delle quittanze del 15 31, perchè trattasi sempre di pagamenti rateali, per conto del re di Francia, Riportiamo quei nuovi, avendo apposto un asterisco a quei della lista del 153 1, figu- ranti eziandio in questa del 1555 : Battista de Monti fil. qd.m maestro Angelo. Gio. Antonio Biancardi fil. d. Aloisio, Gabriele de Manzoli fil. qd.m d. Lorenzo. Gio. Ambrogio Calvi fil. qd.m Gio. Pietro per gli eredi del qd.m Lodovico Bolgioni. Domina Marta de Prinis fil. qd.™ d. Matteo, vedova di Gio. Ambrogio Negroli. Domina Giovannina della Croce vedova di Gio. Pietro Panigati, quale tutrice delle figlie del qd'.m d. Giov. Salimbeni. Dora. Giov. Ambrogio de Cantone fil. qd.m J. Antonio. ARMAIUOLI MILANESI NEL PERIODO VISCONTEO-SFORZESCO 229 Antonio de l'abbate fil. d. Giov. Domenico, aS. Alessandro in Zebedia, Lavoro, per due anni, * in arte fabricandi armas „ a soldi 12 la giornata. ANM, Not. Gervaso Biglieni. 175. — ////, luglio 24. Sentenza arbitramentale pronunciata dal giureconsulto Signorolo Omodei (i) tra Filippo, Battista e Alessandro fratelli Negroli per una parte e Francesco Negroli del qd.™ Gio. Giacomo, loro fratello per l'altra, mercanti d'armature. ANM, Not. Gerolamo Terzago (Pur troppo nella sentenza manca la indicata lista dei vari debitori " prò armaturis „). 176. — ij6j, agosto ly. Il " magnificus dominus „ Domenico Negroli qd.™ magnifici d. Nicolao, in porta Ticinese, nella parrocchia di S. Mau- rilio, anche a nome dei maestri Gio. Paolo e Gio. Pietro, suoi fratelli, vende al magnifico signor Francesco da Velate fil. mag.co d. Vincenzo, a S. Babila, la terza parte della nave " seu uree „ chiamata S. Ambrogio, ancorata nel porto di Genova * cum apparatu nautico, tormentis et mu- " nitionibus etc, „ per prezzo di lire 3333, moneta genovese (2). ANM, Not. Francesco Biancardi. Indice degli Armaiuoli (3)- Abbate (P) vedi Antonio de Vahhate. Acqua (Dell') Ambrogio. . . D (Dell') vedi Dell'Acqua Airoldi Jacobino . . . Albairate Gio. Antonio d' Ambrosioni Giovanni degli Angera Cristoforo d' . . Angera Gio. Ambrogio d' Antonio de l'abbate. . Arconate Anrigolo d' » Donato d' Armaroli Antonio degli . Assareto Lorenzo . . . 147 103 147 147 145 145 ^74 44 n 129 79 Baregio Antonio da . . . . .160 Barini de vedi Negroli. Barzi Giovanni, da Desio ... 8 Bellonì Claudino 138 Bernardo armorero 19 Bernareggio Giov. Pietro . . ,149 Besana Cristoforo 168 » Francesco 147 Biagio armaiuolo 13$ Biancardi Aloisio 168 D Gio. Antonio .... 171 Bichignola Giacomo detto . . .196 Biffi Antonio 6 Binago Ambrogio da 44 Bizzozezro Gio. Pietro .... 24 Bolgioni Lodovico 171 Bolitega Francesco ...... 147 Boltego Aloisio da . . . . 25, 42 (i) Cfr, A. Lattes, Due giureconsulti milanesi : Signorolo e Signorino degli Omodeij in Rendiconti Istituto Lombardo, serie II, vol.XXXII, 1899, p. 1017 e sgg. (2) AlPatto di vendita di questa nave, per una terza parte proprietà dei Negroli, è unita la convenzione del i.® gennaio 1565 tra Francesco dà Velate e com- pagni in Anversa, e il Negroli pel noleggio di detta nave. (3) I numeri segnati in quest'indice corrispondono a quelli del Regesto. 230 EMILIO MOTTA Boltego Cristoforo da .... 28 Borellino vedi Boltego. Bornengi Antonio de, de Rodello. 6 » Cristoforo de, de Rodello 6 Borri Angelino . 122 » Carlo 168, 169 Borromeo Venturino 34 Bossi Giacomo 139 Bregnano Gio. Antonio da . . .159 Brusanavi Marcolo, di Lecco . . 8 Busca Antonio . . . . . 6 Busto Baldassare da 154 Calvi Bernardo 28 » Gio. Ambrogio 171 Campagnoli Scipione . . , . 173 Cani Ardito de 6 Canova Gabriele 152 Cantono Giacomo da. 127, 155, 147 » Gio. Ambrogio da . .171 Capelli Cristoforo 129 » Paolo 16 Camago Bernardino 130 » Gio, Pietro 123 Caroles vedi Carotino. Caronno Ambrogio da . . . .138 Cassano Magnago Giov. Maria da 168 Castello Giov. da . . . . 67, 94 Cattanei Cattaneo ... 107, 146 » Francesco . . 125, 146 Cavalieri Ambrogio .... 168 Cavezzali (o Caverzali) Gio. Maria 168 Cazzaniga Donato da 100 Celarlo Giovanni de . . . 11 Colarete Zambono de. . . .69 Coliate Battista da 168 Como Giacomo da 142 Conte (Del) vedi Del Conte. Corbetta Pier Martire da . . .141 Corio Ambrogio 96 » Anrico 33 » Bellino . . . , . . 26, 33 » Cristoforo i?» 22 fi Donato 53 » Gabriolo 35 » Giovanni 33- 5^ Cormeno (de) vedi Maveri. Corneno Giov. da 19 Corneto Ottolino da, di Milano . 85 Correnti Giovanni 59 » Simone i Costantino Zoanne de 149 Cremona Sebastiano da ... . 142 Croce (Della) vedi Della Croce. Cusano Aloigi 139, 146 Daussonne vedi Ossona. Del Conte Gaspare 59 Dell'Acqua Cristoforo . . . .132 Della Croce Antonio . . . . . 35 Della Porta Antonio 141 Del Pozzo Dionigi ..... 6 Desio (da) ; vedi £ar{i, Ferrari. Di vizi is Giovannino de ... 38 Erba Andriolo da 27 Facino Pier Innocenzo .... 73 Faerno Giovanni da 147 » Pier Innocenzo; vedi Perno. Fagnano Maffino da 22 » Petrolo da .... 17, 27 Penino Battista da 57 Perno Pier Innocenzo . . . 60, 81 Ferrari Giov. de, da Desio ... 6 Ferriolo Antonio 75 Ferrando magistro 149 Pigino Gio Antonio 168 » Michele 147 Poppa Antonio 60 » Bellono IJ Possano Cristoforo da 146 » Pietro Antonio da . . .146 Galizzi Giov. Antonio de' . . . 168 Gallazzi Cristoforo $2 Gallarate Giov. Angelo da . . . 168 Garavaglia Giovanni 36 Gariboldo Giovanni I47 Giacomo detto Bichignola; vedi Bichignola. Giacomo detto Zoppo . . . . 50 ARMAIUOLI MILANESI NEL PERIODO VISCONTEO-SFORZESCO 231 Giovanni de Costantino; vedi Co- stantino. Gorla Ambrogio da 160 Govenzate Francesco da . • . .168 Grampi Filippo de. .... . 164 Grassi Gabriele 168 j> Gio. Antonio . . 168 » Gio. Pietro 168 » Girolamo 168 Grossi Giov. Ambrogio ... 168 Intra Giov. Antonio da ... 168 Landriani Antonio. . Lecco Domenico da . Legnano Beltramolo da Leonardo magistro Lissone Bonaventura da Litta Giov. Angelo . Locate Francesco da . Lodi Antonio da . , 3> Cristoforo da . Lomello Giovanni da 166 15 6 149 168 164 147 21 168 21 Machariis Anselmino de, di Seregno 6 Maffioli Giovanni 54 Maineri Sebastiano 61 Mandello Cristoforo da . . . .154 Manzoli Gabriele de . . . . 171 Marliani Matteo 54 Maveri Maffeo de Cormeno . . 42 Meda Andrea da . .... 121 » Giacomo Ambrogio da . . 53 » Giovanni da 53 » Marcolo da 6 Merate Francesco da . 131, 135, 147, 148, 150. » Gabriele da . . . 148, 150 Meraviglia Giovanni 5 w Giov. Marco. . . 147 » Giov. Pietro . . . 168 Milano Antonio da .... 76 3> Pietro da'. . , 52, 76, 142 » vedi Corneto {da) Ottolino. Missaglia Ambrogio 115 » Antonio. 41, 46, 50, 64, 65, 68,71,74,78.82-84.87-89, 91,92,94,95,97,99,101, 104,105, 108,112,114-117, 122, 125, 126, 128, 140, 142, 144, 151,155,157. Missaglia Bernardino . . . 125, 161 » Catterina . . .115 » Cristoforo 115 » Damiano . . . 108, 115 » Dionigi 25, 42 » Donato 144 » Filippo 115 » Francesco ... 93, 115 » Gabrino . . . .115, 144 » Gio. Angelo . 155, 157 » Giov. Francesco . -144 » Gio. Pietro . . . 115 » Sebastiano . , • • ' 5 5 » Tommaso 26, 28, $1, 33, 59, 41,45,46, 50, SI, 55,115 > vedi Bernardo armorero > 9 Samaliis. Molteno Benedetto 57 » Filippino 57 Mozzate Francesco da . . . 168 Munti Battista de 171 Nava Luccolo da . . 16 Negroli Aloigi. 157,158, 168,169-171 » Alessandro . . .175 » Ambrogio . . 168 » Andrea . . 159, 166, 168 » Battista . . . 171, 175 » Bernardino . . . .165 » Domenico 147, 157-159, 166, 168, 169, 170, 176. » Filippo 168, 175 » Francesco . . 173-175 yi Gerolamo 158, 168, 169, 175, 174 » Giacomo ... 175 » Gio. Ambrogio . . 17$ j) Gio. Giacomo . . 168, 175 » Gio. Paolo . 168, 17 j, 176 » Gio. Pietro . 168, 171, 176 » Giuseppe . . 171 232 EMILIO MOTTA - ARMAIUOLI MILANESI, ECC. Negroli Nicolao . . i68, 171, 176 Negroni da Elio ; vedi Missaglia. Novara Antonio da 80 169 138 124 94 14 168 168 147 168 168 137 Porta (Della); vedi Della Porta. Pozzo (Del) ; vedi Del Po^j^o. Rabbia Gerardo. ..... 121 Ravagnasco Maffiolo da ... . 147 Ravizza Jacomino 19, 28 Rho Gio. Ambrogio da ... . 168 Riva Ambrogio da ..... 168 Rodello Vercellino da , . . . 6 » ; vedi Bornengi. Rotolo 80 Oppreno Ambrogio da . Ossona Stefano d' . . . 168, Pampuri Giovanni Panigarola Ambrogio . Perufiria Anselo da Piatti Battista . . . D Biagio. . . . » Francesco . . 3> Tommaso » Vincenzo. . Pizo Martino del . . . . Salimbeni Cristotoro . .. . . 168 » Giovani . . 130, 147, 171 Samaliis Antonio de ... . 147 » Cristoforo de . . . , 147 San Donnino Antonio ... 16 Sedriano Gabriele da 147 Serbelloni Giov. Antonio . . . 100 Seregno Antonio da . . 152, 140 » ; vedi Machariis (de). Seroni (Sarono) Antonio. . 154, 145 » Bernardino. , . . 168, 172 » Bernardo .... 168, 169 » Cristoforo 145 Servia Onofrio da . . . . 12 Solari Bernardo 28 » Cristoforo 94 Spanzotti Giovanni 42 Stucchi Beltramo 147 Suganappi Beltrame 6 Trezzo Balzarino da . . . , 66 Trocazzano Giacomino da . . . 58 Varadeo Battista 168 j> Giov. Ambrogio . . . 168 Verderio Galeazzo da. . . . 147 Vergiate Giovanni da . . . 30 Vigionus Johannolus . . . 2 Vimercate Albertino da .... 16 » Alberto da . . . .170 » Francesco da. . . . 147 » Giov. Giacomo da. 98, 147 » Nicolino da .... 16 Vitali Jacomino . 90 Viterbo Francesco da 52 VARIETÀ Una sentenza dei consoli di Milano, dell'anno 1150. CORRENDO alcune pergamene, mentre attendevo a ricerche intorno alle istituzioni comunali di Milano nei secoli XI e XIII ; mi capitò fra mano questa sentenza del tribunale Consolare, dell'anno 1150, inedita, e non certo priva di interesse. I nomi dei magistrati non sono tutti nuovi ; per la massima parte ce li dà anzi il Giulini nel volume " IX della sua classica opera (i) : tuttavia posso portare anch' io il mio modesto contributo all'elenco già noto : i nomi ignorati prima d'oggi, ho con- trassegnati con asterisco. Ecco l'elenco : Robasacco Giudice. *Amizone di porta Romana. •Giovanni da Rho. Ottone della Sala. Guglielmo Scaccabarozzo. Aurico Palliano. Oberto dell'Orto. Girardo Cagapisto. La pergamena, esemplare benissimo conservato, lacunosa in qualche punto soltanto, e non d' importanza ; copia autentica del- (i) Sarebbe desiderabile che dei consoli milanesi si facesse un elenco sistematico e, fin dove è possibile, completo, dalle origini fino al loro scomparire; forse si potrebbe arrivare a qualche conclusione positiva circa l'origine della ma- gistratura. Bisognerebbe tenere calcolo anche di tutti i documenti in cui questi nomi appaiono, e vederne la disposizione. Intanto si confronti : Giulini, Memorie storiche di Milano nei secoli bassi^ voi. IX (ediz. principe) ; A. Ratti, Ermete Bonomi, ecc., in qucsV Archivio, XXII, 1895, p. 326 e sgg. ; E. Riboldi, Le sentente dei consoli milanesi, in quQSt* Archivio, XXXI, 1904, pp. 222-22$, e XXXII, 1905, p. 277. 234 VARIETÀ l'originale, che apparteneva all'antico monastero benedettino di San Pietro in Gessate (i); ci riporta per esteso l'epilogo di una lite svoltasi davanti al tribunale dei Consoli di Milano, fra gli uomini di Linate (2) da una parte e i fratelli Omobene dall'altra. Non voglio entrare in un esame minuto delle singole parti del documento ; non sarebbe qui il luogo, e mi allontanerei troppo dall'argomento : osservo però di sfuggita come appaia evidente dal contesto, che nel consolato milanese, esitesse una gerarchia (3), se non stabilita con norme di fatto, instituita di diritto, per consuetudine. La sentenza è firmata soltanto da Robasacco, giudice console, a quanto sembra il più autorevole, se non addirittura il primo dei suoi colleghi ; qualcosa di simile al nostro presidente di tribunale. La questione a cui qui accenno, è, come ognuno vede, piena di conseguenze per l'ulteriore svolgersi del consolato, e per l'inne- starsi lento e graduale della forma podestarile. La lite che i consoli giudicano, non ha in se nulla di particolare. E* una delle tante cause (4), di cui troviamo menzione nei documenti dell'epoca, riguardanti ribellioni di rustici contro i signori, i u domini » : una delle tante affermazioni di quest' indi- pendenza, che gli abitanti dei comuni rurali propugnano (5), e che il maggiore comune, fedele alla sua politica di graduale espan- sione, accoglie e favorisce. Difatti gli uomini di Linate, e per essi i loro decani, chiamano in giudizio davanti ai consoli di Milano, i fratelli Lorenzo e Pietro Omobene, quali violatori dei diritti della comunità. I rappresentanti degli uomini di Linate affermano invero cha i predetti fratelli « faciebant trabium in ipso loco » ; il che « eis « facere non licebat »; pretendevano inoltre che la masnada dei due fratelli dovesse « iurare salvamentum di ipso loco indeferenter » sia che abiti in quel luogo, sia che no; protestano infine essere loro (i) Linate e tutti i ben? dei dintorni, ad eccezione della posizione Boscana, pervennero all'Orfanatrofio Maschile a datare dalla soppressione dei benedettini del monastero di S. Pietro in Gessate, avvenuta il 20 aprile 1772. (2) Linate è un piccolo paese (frazione del comune di Mezzate) e conta quattrocentocinquantaquattro abitanti. (5) A proposito di questa gerarchia consolare, come fattore di ulteriori trasformazioni comunali, vedi Volpe, Studi sulle costituiioni comunali a Pisa, Pisi, 1902, p. 279 e sgg. ; il Franchini, Saggio su Vistituto del podestà, ecc. (4) Ctr. Lattes, Diritto consuetudinario delle città lombarde, Milano 1889, p. 389. (5) Cfr. Lattes, op. cit., p. 387 e sgg. VARIETÀ 235 diritto di eleggersi un campare proprio, senza intervento dei fratelli né di un loro messo che l'investisse dell'ufficio : e producono testimoni. Scorrendo la pergamena, il nostro pensiero ci richiama subito la famosa rubrica del L. C, « de oneribus districtis et con- « ditionibus » (i); nell'esordio della quale lo scrittore nota (2) con rammarico, come, a' suoi tempi, i signori avessero ceduto parte dei loro diritti o per danaro o per altre cause ; e come i loro discendenti impugnassero qualche volta tali contratti, e molestassero i rustici. Il moto di reazione nelle campagne contro i diritti feudali dovette sorgere assai presto (3), e forse il nostro documento ce ne offre uno dei primi esempi. Soffocato momentaneamente dall'imperversare della guerra col Barbarossa, il movimento risorse dopo, più gagliardo nella pace, tanto che ai primi del secolo XIII si cerca di porre un argine alla fiumana invadente e pericolosa ; che, sulle prime, il comune accentratore aveva pure alimentato. Ma torniamo al nostro documento. In esso troviamo menzionato, per ben tre volte, il trabium. Che cosa è il trabium ? Nessuno dei glossari medievali da me accuratamente consultati, conosce il termine nella forma ch'esso assume nel documento, bensì altre, che forse le sono affini. Il vocabolo trabium ricorre tre volte : due nelle forme rispettivamente di accusativo e di nominativo, la terza in quella di ablativo; e appare sempre declinato come un sostantivo neutro della seconda. Dal contesto non possiamo cavare senso alcuno. A me sembra che ci troviamo di fronte a un termine prettamente campagnolo, col quale, forse, in alcuni paesi della Lombardia, si indicava una speciale « conditio » che i signori imponevano ai rustici ; voce ora interamente scomparsa dal linguaggio, come avvenne per molte altre (4). Ma se è facile arrivare a questa ipotesi, non è altrettanto facile determinare con esattezza a quale forma di prestazione (5) si possa riconnettere il trabium. I decani del luogo affermano recisa- (i) L. C, ediz. Berlan, rubrica 52 a e sgg. (2) L. C. cit., rubrica 52 &. « Dominorum qui cum suis rusticis de parte e banorum et aliarum compositionum danda prepigeruat ». Accetto senz'altro la correzione proposta dal Lattes, op. cit., p, 357, nota 97, e p. 371. (3) Vedasi a questo proposito l'opuscolo oramai introvabile del Volpe, Questioni fondamentali sull'origine e svolgimento dei comuni italiani^ Pisa, 1904. (4) Cito, per esempio, la parola bragania, che indicava una speciale forma di coutratto, e della quale mi occuperò tra breve, diffusamente. (5) Per la differenza tra « onera e condiciones », cfr. Lattes, op. cit., p. 377, e fonti ivi citate. 236 VARIETÀ mente, che i fratelli Omobene non possono « facere trabium », perchè non è loro lecito ; e i fratelli Omobene, dal canto loro, confessano che non lo esercitano né spetta loro di esercitarlo ; Robasacco infine sentenzia « ne trabium fiat ». L'etimologia della parola, per quante ricerche abbia fatto, mi è ignota. Non credo sia da riconnettersi a un possibile « fcrabeare » o « traviare w, accennante a un diritto di passaggio; e tanto meno poi da farsi derivare da « trabea », che in lingua rustica significa « tenda » (i). Qualcuno mi potrebbe osservare a questo proposito che la seconda ipotesi andrebbe benissimo. Difatti subito dopo si parla della masnada e del * salvamentum « loci » : ora non ci sarebbe difficoltà alcuna a intendere che l'attendarsi degli uomini al servizio dei due fratelli, riusciva molesto agli uomini di Linate. Ma non è una interpretazione accettabile : io non ritengo consono agli usi dei tempi l'accamparsi all'aperto di una masnada che stava benissimo nella casa del « dominus » ; e poi questo divieto avrebbe fatto parte del « districtum », mentre il « trabium » ne è del tutto escluso : infatti, i fratelli dichiarano che non fanno il «trabium », né lo possono esercitare; aff'ermano recisamente invece, che la masnada loro non può giurare il « salii vamentum », « propterea quia districtum habet in ipso loco ». Io tenderei (dò qui una mia ipotesi per quel che vale), a riconnettere il « trabium » del documento, alla forma « trabeatum » (2) e alla forma « trabes », di cui troviamo cenno nel Du Gange, e che significa il luogo ove si raccoglie il fieno. Penso che il « trabium » sia una parte speciale dell'erbatico (3), diritto che i signori eser- citavano su larga scala in Lombardia ; e che più propriamente si riferisca al taglio dei fieni nei prati della comunità; prestazione che certo doveva costituire un danno non lieve per i rustici di Linate, i quali, non appena possono, affermano la propria libertà. Mi pare indubitato, ad ogni modo, che qui si accenni a un onere che o i fratelli Omobene (4) o altri signori prima, devono avere eser- (1) Du Gange, s. v. , la « cronaca Sicardi », la « cronaca bonacursi », e la « cronaca Jacobi de Voragine », La notizia della formazione di queste società militari, la quale chiude il capo, sta come qualchecosa di aggiunto o meglio di distaccato dal resto, e non ci dice donde l'abbia tolta. Dal contesto pare evidente che questa notizia non l'abbia affatto ricavata dai cronisti da lui citati. (2) Osserva giustamente il Ferra] che man mano che l'eco di quegli epici avvenimenti si affievoliva nel tempo si vennero formando delle leggende e delle tradizioni il cui sviluppo va cercato in scrittori poco noti dei secoli XII e XIII. Molte fonti del Duecento che sarebbero come anelli di congiunzione tra la storiografia di quel secolo e derprecedente sono pressoché ignote; poche sono quelle che conosciamo di quel periodo di trasformazione interna. Cfr. Ferraj, Ben\o di Alessandria e i cronisti milanesi del secolo XIV, in ^till. Ist. stor. ital. cit., 1889. (5) V. Rossi, op. cit., p. 45 e P. Rotondi, Milano e Federico Barbarossa, Milano, 1876, p. 148, dissero il fatto non nuovo, e trovarono nientemeno per le società militari a Legnano un anello di congiunzione nel corpo scelto de' cento militi milanesi che nel 1037, durante l'assedio di Milano da parte di Corrado, diedero molto da fare agli imperiali colle loro scorrerie in campo aperto !... L'AnNONi, Monumenti della prima metà del secolo XI, spettanti all'arcivescovo di Milano Ariherto, Milano, 1872, p. 125 e sg., poi affermò che il « carroccio milaa nese era sempre accompagnato, custodito, difeso da un ordine speciale di mior Irzia attinente la fanteria ». L'asserzione non corrisponde a verità, quale la si desume dai cronisti. La più antica descrizione che si conosca del carroccio milanese, è quella che si legge in Arnolfo, sotto l'anno 1039, ma nessun cenno ivi si fa di un corpo speciale, attinente la fanteria o la cavalleria, delegato alla sua difesa. E cosi nulla troviamo in proposito né nei due Landolfi, né in tutti gli altri cronisti italiani e stranieri. Per quello che ci riguarda da vicino, e cioè il 246 VARIETÀ pure il Giulini, scrivendo che il racconto del Fiamma si rende tanto più verosimile in quantochè, dopo questi tempi, si trova più d'una di queste società militari in Italia sì di nazionali che di esteri (i). Tuttavia, nonostante tutto il rispetto che si deve al nostro storico, penso che tale congettura non poggi su solido fondamento. Infatti perchè a Milano sui primi anni del secolo XIII si trovano costituite società militari, quali la società nobiliare dei Gagliardi, in opposizione a quella popolare dei Forti (2), non vuol dire che dovevano esserci a Legnano nel 1176, di fronte al silenzio assoluto di tutti i cronisti e documenti contemporanei. La creazione di queste società o compagnie militari era un avvenimento nuovo e sing lare nella milizia milanese : come avrebbero potuto proprio tutti passarlo sotto silenzio? Nemmeno Bonvesin della Riva cronista di ben altro valore che non sia il Fiamma, e a questi anteriore di un mezzo secolo, non ce ne fa parola. Bonvesin, il quale si era pure proposto di narrare le grandezze della sua città, come avrebbe potuto dimenticare novità così gloriose, egli che ricordò le imprese della società dei Forti, quando i milanesi uscirono in periodo della dominazione del Barbarossa, si veda la spedizione dei milanesi nel II 57; l'uscita in campo dei milanesi contro l'imperatore nella primavera del 1160, nel luglio contro Lodi, nell'agosto contro l'imperatore a Carcano; la resa a discrezione dei milanesi nel 1162; la spedizione dei milanesi nel 1168 contro il conte Guido di Biandrate, e quella del 117 5 partita in soccorso dell'assediata Alessandria : orbene in tutti questi avvenimenti non si legge nei contemporanei che ci fossero corpi speciali di militi o di fanti, delegati d'ufficio alla difesa del carroccio, tranne la comune fanteria delle porte cittadine. Il carroccio, giova ripeterlo, viaggiava sempre in mezzo alla fanteria, come richiedeva del resto la pesantezza del carro e il trainare lento dei buoi : i « pedites d, cioè i popolani, ne erano in guerra i naturali custodi, sostenuti da schiere di (p. 37). Ma e perchè allora negli altri combattimenti contro i tedeschi, nei quali Alberto non poteva non avere preso parte, il nome del giussanese è da tutti ignorato, se tanto era il suo valore, il suo senno ? Del resto anche per Legnano Targomentazione del Rossi manca di consistenza, secondo il noto adagio che col volere provare troppo non si prova niente, potendovisi opporre che la vittoria di Legnano fu si grande e sì memorabile, ch'era impossibile totalmente dimenticare Alberto che fu il salvatore del carroccio. Perciò è sempre ameno il Rossi quando continua a scrivere che a il nome però di Alberto, il » non può indicare una schiera nel senso di compagnia o società particolare, ma semplicemente di truppe valorose ed esperimentate, dal momento che il cronista la usa anche per i militi di Verona, di Brescia, di Novara, e di Vercelli. In terzo luogo la specificazione di « militi « milanesi » con tutta verosimiglianza deve essere presa nel senso (l) Sul valore storico di questi due cronisti si vedano: le prefazioni alle cronache pubblicate, in R. I. S., to. VI e to. Ili, e in M. G. H., to. V e to. XXVII DucHESNE, LiUr pontificalis, to. Il, Paris, 1891 ; Giesebrecht, Geschichte der deutschen Kaiserieit, voi. V e VI, Leipzig, 1895; Balzani, Le cronache italiane nel medio evo, 3."' ediz , Milano, 1900. 250 VARIETÀ di collegati, giacché più avanti il cronista li chiama lombardi, come ha ritenuto lo stesso Muratori ne' suoi Annali (i). Di più se si avesse a prendere 1' « electa Mediolanensium bellatorum militia » nel suo stretto significato, escludente i « pedites », e allora dov'era la fanteria, della quale pure ce ne doveva essere intorno al carroccio, dal momento che Bosone non ce ne parla, mentre, al dire di altri cronisti coevi, la resistenza della fanteria causò la sconfitta dell' imperatore ? Romualdo al contrario dà esplicitamente tutto il merito della vittoria alla fanteria « pedestris multitudo n, stretta intorno al carroccio « cum paucis militibus ». In queste espressioni non so come si possono ravvisare i trecento del Carroccio e i novecento dellla Morte. Innanzi tutto perchè il cronista non lo dice, e poi perchè una schiera di novecento militi, di non molto inferiori ai militi imperiali assalitori (2), Romualdo non la poteva dire composta di pochi militi, come la pedestre moltitudine non poteva essere di soli trecento, giacché il fatto che la fanteria di Brescia e di Verona era rimasta in città, come notano gli Annales mediolanenses, dimostra che la maggior parte dei popolani atta alle armi era, in quel grave momento, uscita in campo col suo carroccio. A meno che Romualdo abbia voluto dire pochi quei che erano molti, e moltitudine quei che erano pochi. 11 che ci sembra assurdo. Breve ma esatto, il cronista milanese degli Annales (3) scrive che le milizie, le quali stavano da una parte del carroccio, furono sconfitte in tale maniera che fuggirono quasi tutti i bresciani, e degli altri, i milanesi compresi e dei migliori nota il codice pubblicato dal Muratori, ne fuggirono una gran parte. Ma gli altri (« ceteri ») insieme alla fanteria milanese si strinsero intorno al carroccio e virilmente pugnarono da mettere in fuga il nemico. E chiaro che nella parola « ceteri » il cronista viene a comprendere non i soli milanesi, ma anche quella parte di collegati (lodigiani, novaresi, vercellesi, piacentini, bresciani, e quei della Marca) che (i) Muratori, Annali, Lucca, 1765, voi. VII, p. 16 e sg. (2) Cfr. Annales mediolanenses, in 7^. /. 5., voi. VI, col. 1192 ; Gueterbok, op. cit., p. 20 e sg. ; Giesebrecht, op. cit., voi. V, p. 785 e sgg. (5) Sul valore di questa fonte si vedano : le prefazioni alla cronaca pubbli- cata in R. I 5., to. VI, e in M. G. H., to. XVIII ; Giesebrecht, op. e loc. cit. ; Balzani, op. e loc. cit. L'ultima edizione curata degli Annales mediolanenses ma- iores è quella di Holder-Egger, sotto il titolo di Gtsta Federici 1 imperaioris in Lombardia auctore cive viedioìanensi, Hannover, 1892, che corrisponde ai mss. di Parigi e di Londra. VARIETÀ 251 non vollero fuggire. Tutti costoro « steterunt iuxta carocerum cum « peditibus Mediolani et viriliter pugnaverunt >». L'azione della fanteria milanese nella resistenza suprema, oltre che dal nostro- cronista, è specialmente menzionata da Romualdo di Salerno, da Goffredo da Viterbo, e dal Tolosano. Ognuno vede la differenza grande che passa tra la narrazione del Fiamma e quella di questi cronisti coevi, e particolamente del nostro milanese, testimonio oculare, il quale nello scrivere protestò di volere « ea que vidit et veraciter audivit ad utilitatem posterorum « scribere ». Era mai possibile che il cronista nostro non avesse a fare proprio alcun cenno di cose così insolite, quali la formazione di società o compagnie militari milanesi, le quali diedero alla sua città la gloria del trionfo? L'età di Federico Barbarossa fu un periodo epicamente grandioso per i comuni e per l' impero che vi attaccarono ciascuno tradizioni particolari. Il valoroso e tenace imperatore visse nella tradizione germanica, quale rappresentante della sua razza, come quegli che un giorno uscirà co' suoi fedeli dal suo campo dorato di su il Kifihauser, e farà grande il popolo tedesco sopra tutti gì altri. Era pure naturale che anche da noi la grande vittoria di Legnano per la quale, dopo tante lotte, fu finalmente e definitivamente fiaccata la prepotenza imperiale, dovesse venire col passare degli anni abbellita o deturpata, come si vuole, da tradizioni leggendarie. La storia è la cronaca, il grigiore quotidiano: la leggenda è il sentimento, la poesia della storia. E così i militi collegati e la fanteria milanese si sublimarono nella tradizione leggendaria nei novecento della morte e nei trecento del Carroccio. A Federico Barbarossa, che in quel giorno alla testa dei suoi fece prodigi di valore, gli venne opposto un Alberto da Giussano, gigantesco, invincibile, ponendolo alla testa della terribile falange dei novecento. A rendere più strepitoso il trionfo dei collegati da una parte si fece arrivare sul campo di battaglia a combattere con l' imperatore le truppe pavesi, dall'altra si fece miracolosamente partire da Milano dalla tomba dei santi martiri Sisino, Martirio, e Alessandro, dei quali in quel giorno ricorreva la festa, tre colombe alla vista delle quali il nemico terrorizzato finalmente si diede alla fuga (1). (i) Pagani, Le antiche commemorazioni della battaglia di Legnano secondo i documenti autentici raccolti e consultati^ Milano, 1876, p. 9 e sg. 252 VARIETÀ III. Il Fiamma ebbe fama di dotto, e la sua autorità si mantenne finche sorse un nuovo astro, Bernardino Corio, la di cui Storia milanese, pubblicata a sue spese nel 1503 e scritta in volgare, doveva assurgere a grande celebrità presso i contemporanei. Riteniamo perciò interessante nel nostro caso un confronto sia pure alquanto sommario ma sufficiente, fra il Fiamma e le altre fonti da lui derivate per vedere ciò che di personale si introdusse dai vari cronisti e storici di cose mi'anesi nella fonte primitiva del dome- nicano (almeno finora possiamo ritenerla come tale), dalla quale ci pervenne la tradizione che ci interessa. I cronisti della seconda metà del XIV e del XV secolo attinsero, più o meno, alle cronache del Fiamma. Per quello che riguarda il nostro argomento, e cioè la presenza a Legnano delle compagnie militari, abbiamo sul finire del Trecento la cronaca Flos florum (i), già attribuita ad Ambrogio Bossi, ed ora da qualche studioso a Pietro Paolo da Vimercate, ma forse ancora d' ignoto autore (2), nella quale non si fa altro che ricopiare il racconto della Chronica maior. Di cronache quattrocentesche, le quali facciano menzione delle compagnie descritteci dal Fiamma, non ne abbiamo. Nella ChroHica di Milano, pubblicata dal Porro Lambertenghi {3), in quella di Donato Bosso (4), e nella storia del Merula (5) si accenna solamente all'episodio delle colombe. Due storici milanesi, fioriti sullo scorcio del secolo XV, meritano particolare attenzione : il Calco e il Corio. Essi servirono di fonte a non pochi storici posteriori i quali trattarono delle cose nostre. II Merula era stato chiamato in Milano al tempo di Lodovico il Moro perchè scrivesse la storia di Milano. Lui morto nel 1494, Tristano Calco ebbe 1* incarico di continuarne il lavoro. Se non che egli, che da poco tempo aveva riordinata la biblioteca pavese e potè così conoscere nuove fonti, stimò oppouftino di rifare completamente la storia del predecessore. Il Calco diede (1) Mss. Braidense AG. IX. 35, fol. 151. (2) Torelli, La cronaca milanese travestito da frate minore, si portò a Lodi per incarico del governo veneto a trattare la pace con Francesco Sforza : ufficio che sostenne con molta abilità. Mandato poi in esilio, in seguito ai dissidi sorti fra la republica ed il fratello suo, morì sul principio del 1463. Oltre ad un maschio, Marco, che fu poi patriarca d'Aquilea e cardinale, ebbe due figliuole: Polissena, andata sposa nel 1471 al cugino Pantaleone Barbo, ed altra, di cui si ignora il nome, divenuta moglie di Alvise Barbo, fratello del suddetto Pantaleone. Cfr. Litta^ op. cit., tav. Ili e IV. Nella lettera dell'oratore Gerardo Colli, che pubblichiamo in appendice al \\i al miglioramento individuale che alla riforma sociale, mentre i gesuiti, pur non perdendo di vista questo intento, vollero allargarsi in un campo assai più vasto, mirando all'azione religiosa come ad una conquista. Ed è naturale che in un secolo tutto pieno di impeti cavallereschi e di gesta eroiche, questi nuovi paladini della Chiesa delle idee degli antichi di fronte alle idee dei protestanti, dovessero incontrare più larghe adesioni, e come nella pugna si posero nettamente BIBLIOGRAFIA 285 alla testa per validità di armi e tenacia di forze, riempissero di sé la vita del '500. Ora precisamente perchè i barnabiti sorgono con gli stessi scopi dei gesuiti e quasi contemporaneamente, sarebbe stato opportuno che si fosse posto in rilievo la diversità dei mezzi nella lotta contro il luteranesimo e si fosse data la ragione storica, che pur vi deve essere, della necessità della loro origine. Da questo raffronto sarebbe sprizzata tanta luce da irraggiare l' intero lavoro e si sarebbe individualizzato meglio il concetto informatore dell'ordine barnabitico, concetto che nell'opera del padre , Premoli s'intravede un po' vago. E forse allora noi avremmo dato di questi religiosi un giudizio diverso da quello, certamente incompleto, che mons. Crivelli, vescovo di Tagaste e giàj inquisiture nel processo contro la congregazione Barnabitica, esprimeva a Paolo III col dire che presso loro predominava la bontà sulla dottrina, di guisa tale da poter loro applicare il detto di Giobbe : " Vir simplex « et rectus „ (i). Che del resto a poter entrare nel pensiero innovatore dello Zaccaria, il quale prescelse S. Paolo come ispiratore della nuova congregazione, forse si potrebbe vedere un ideale assai alto in lui, quasi vo- lesse riformare lo spirito della Chiesa e della società alle massime di quell'apostolo delle genti, che diventava anche l'ispiratore dei protestanti. Le opposizioni, incontrate dallo Zaccaria ai primordi della sua azione, accennerebbero appunto negli intenti suoi a qualche cosa di più alto che non apparisca dalla storia del Premoli. Certo il fondatore dei barnabiti non fu dotato di quella vigoria di spirito, che ebbe il Loyola, il quale portava nel campo religioso la combattività del soldato sul campo di battaglia, ma, ad ogni modo, considerato sotto questo punto di vista, la sua iniziativa acquisterebbe nel movimento del pensiero religioso del tempo un valore ben più notevole. Luigi Fumi. NSTiTUT d' EsTUDis Catalans, Anuarì MCMXI'XII, any IV, Barce- lona, 1913. Col solito organamento, di cui già segnalammo il valore interno ed esterno, (2) esce ora alla luce il quarto Annuario dell'Istituto per gli studi catalani, e contiene la prova della vita di tanto insigne associazione (1) Vedi p. 65. (2) Per gli altri anni vedi quest'Jrc/?wio, XL, 191 3, p. 428. In qu vi! Annuario fu adottata dali'Institut una riforma tipografica, che consiste nella doppia qualità di carta. Una è comune alla prima parte del volume, la storica, alla letteraria, e alla giuridica ; l'altra lucida, è speciale per l'archeologica, ove stanno ricche illustrazioni grafiche. La cosa si ripete nella Cronaca in fine al volume nella stessa misura. Il perchè economico, si comprende, ma iL volume non guadagna in estetica. 286 BIBLIOGRAFIA Studiosa pel biennio 1911-1912, che riveste nuova importanza cial fatto che detta Società è in via di adottare una differente divisione interna, quale conviene alla sua cresciuta operosità e alla divisione stessa del lavoro fra i vari gruppi di ricerche. Fu riconosciuto il bisogno, che pur io avevo da queste pagine additato, d'una sezione speciale per la lingua catalana (i), d'un' altra per le scienze, mentre il nucleo primitivo della istituzione si determina in sezione storico archeologica, con attribuzioni assai vaste; così ognuna delle sezioni lavorerà autonoma nel proprio campo e di comune concerto coopereranno *a ciò che è d'interesse generale, come nell'organar la biblioteca di Catalogna, nel fissar norme per l'ortografia catalana da adottarsi nelle varie pubblicazioni sociali, nell'adattamento de' locali. Tuttociò ha pur voluto il suo tempo pel necessario coordinamento del vecchio coi nuovi organismi ; ma non ha pregiudicato la consueta attività sociale, come si rileva dall' installamento della biblio- teca ricca di ben 130.000 volumi, dalla compilazione di quaranta magnifiche fotografie di grande formato rappresentanti il " Conventus tarra- " conensis „ le quali furono esposte all'Archeologica romana del 1911,(2), dalla continuazione dagli scavi d' Empuries, dagli studi sulla scoperta basilica cristiana del terzo secolo dedicata a S. Lorenzo in Mallorca, dal metodico spoglio degli archivi catalani, de' quali è ora in cura dell'associazione quello d'Urgell, Né soffriron ritardo le pubblicazioni, delle quali ormai sono in dominio degli studiosi il terzo e ultimo volume' de Le Monedes catalanes del^Botet Sisó (il primo risale al 1911); il secondo de VArquitectura Romanica a Catalunya, dovuto alla cooperazione di Puig Cadafalch, Goday y Falguèra ; il primo delle Obresd'Auztas March dei Pagés che inaugura in modo lusinghiero la serie dei testi che l' Istituto si propone di dare in luce, Nel ragguagliarci di tutto questo le due relazioni presidenziali, che abbiamo sott'occhio, notano con giusto compiacimento il favore che l' Insti fui incontra presso gli stranieri, che sentirono anche il bisogno di visitarlo e conoscerlo da presso, l'attività de' pensionati che manda all'estero in missione scientifica a Munchen e ad Amburgo, come a Roma, l'incremento del suo tesoro librario che ultimamente dal conte di Lavern ebbe in dono tutti i manoscritti delle grandi e immortali opere di Jacinto Verdaguer. Fatti speciali questi che in modo molto chiaro ci fanno sicuri del sempre maggior incremento che avrà la scientifica corporazione catalana, cui anche enti pubblici largheggiano il proprio efficace favore. A quelli altrove notati aggiungo ora che la camera di Commercio e Navigazione (recente trasformazione della Cambra de Comer9) si ritiene * hereua directa de la " gloriosa Junta de Comerg y de les seves impulsions de cultura " en les quals hi ha que cercar, en l'ultim ter9 del sigle XVIII, els (1) Vedi quest'Archivio cit., p. 431. (2) Nella Crònica de la seccia arqueològica àtW Attuari a p. 697 si dà conto, ed è interessante, del X Congrés de Historia de VArt a Roma. BIBLIOGRAFIA 287 " veritables origens de la renaixen^a catalana „, eredità culturali^ che sarebbe bene anche da noi fossero sentite da enti analoghi, almeno in città, come la nostra, in cui la tradizione d'una attiva vita di traffici e di industrie non fu mai scompagnata da quella d' una florida cultura. Oltre le relazioni citate interessano noi da vicino, anche le memorie e la cronaca d.Q\V Institut ; le quali, sviluppando la storia della civiltà catalana, hanno si larghi contatti con quella della nostra. E già delle quattro indagini che costituiscono la sezione storica doW Annuario, la prima sul governo di " Matheu de Moncada y Roger de Lluria en la " Grecia catalana „, dovuta al Rubió Lluch, tocca frequentemente degli Acciajuoli, specialmente di Nicola e di Raineri, che spogliarono del ducato d'Atene i catalani ; la seconda, a proposito d'un processo per sa- crilegio contro gli ebrei di Osca, rileva la crudeltà di Giovanni, principe ereditario d'Aragona, in un processo puramente indiziale, in confronto della serenità del padre Pietro III in occasione simile; la terza illustra i viaggi di re Martino, l'ultimo e il piìi catalano de' re catalani (1396-1402), i quali interessano molto la Sicilia ; la quarta, d'argomento moderno an- ziché medievale, inizia una serie di studi sulla Catalogna durante la rivoluzione francese, partendo dalla proclamazione di Carlo IV re di Spagna, e giungendo alla guerra del Rossiglione. Delle cinque memorie che formano la parte archeologica, accenno di volo alle prime tre, di cui una su alcune stazioni preistoriche in provincia di Barcellona, un'altra sui templi d'Empuries, ed una assai minuta sulle sculture antiche del " conventus tarraconensis „, per arrestarmi sul lavoro del valente segretario dell' Insiitui, il Pijoan e su quello del nostro Aru. Joseph Pijoan studia le mmiature dell'Ottateuco nelle bibbie roma- niche catalane, riprendendo lo studio del Reuss e partendo dalle sue indagini sulle illustrazioni al libro d'Ezechiele nella Bibbia di Roda e in quella di Farfa che è, a dire del catalano, sorella gemella (" germana bessona „) dell'altra. Pel che è importante vedere il seguente passo, che traduco dal testo, come quello che forma il punto pivi interessante dell'argomentazione (pp. 476-477) : " Si è lanciata l' idea che la Bibbia di '* Farfa tosse stata copiata in Italia da un amanuense spagnuolo, e " valendosi di un modello spagnuolo, e •Julia Dertona. 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Un famoso concorso [quello indetto nel 1796 dall' a Ammistrazione generale della Lombardia» sul tema; « Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità d* Italia »]. •PLATYNAE historici liber de vita Christi ac omnium pontificum (A. 1-1474), a cura di Giacinto Gaida. — Rerum Italicarum Scriptores, edizione Fiorini, fase. 124. Città di Castello, 19 14. — Vedi Schorn. * PONGIGLIONE (V.). La polizia piemontese alla caccia dei patrioti nella provincia di Cuneo dal 182 1 al 1848. — Bollettino storico-bibliografico subalpino. Supplemento Risorgimento, n. II, 1914. Notizie parecchie interessanti la Lombardia. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 325 PRATO (A. del). Contributi di Parma per il Duomo di Milano. — Aurea Parma, maggio-agosto 191 3. Imposta prelevata a Parma da Galeazzo Visconti per la costruzione del Duomo. •RATTI (A.). Di alcune recenti donazioni [Schiapareili, Osnago e Marietti] fatte alla biblioteca Ambrosiana. — Rendiconti Istituto Lombardo, voi. XLVI, fase. XVIII-XIX, 1914. RATTI (L.). Il ministro Prina (cento anni dopo la sua morte). Milano, A. Val- lardi, editore, 1914. RAVA (L.). Rosmini e Manzoni. — FanfuUa della domenicay XXXV, 51, Regesto mantovano : le carte degli archivi Gonzaga e di Stato in Mantova e dei monasteri mantovani soppressi (Archivio di Stato in Milano), a cura di Pietro Torelli, Voi. I (Istituto storico italiano e Istituto storico prussiano), Roma, Loescher, 1914, in-8, pp. xv-455 (« Regesta chartarum Italiae », n. 12). REISSNER (A.). Historia der Herren Georg und Raspar von Frundsberg. Nach der 2. Auflage von 1572 hrsgeb. von K. Schottenloher. Leipzig, R. Voigtlànder, 191 3, in-8, pp. 154 [a Voigtlànders Quellenbùcher », 66]. *RENIER (Rodolfo). Recensione di Federico Gonfalonieri, Carteggio, parte 2.% ediz. Gallavresi. — Giornale storico della letteratura italiana, fase. 188-189, p. 435 e sg. RICCI (Corrado). Note d'arte. I. Un quadretto del Greco a Bergamo. — II. 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Pittori messinesi post-Antonelleschi ; IV. Scuola palermitana. — Rassegna d^Arte, dicembre 191$. A pp. 216 per il pittore Vincenzo da Pavia, intorno al quale vedi lo studio dedicatogli dal prof. Cosentino neW Archivio storico siciliano, 191 5. SCHERILLO (M.). Verdi e Milano. — Cultura Moderna, 15, XI, 191 3 (Milano, A. Vallardi). SCHMIOT (J.). Zum Jubilàum des Toleranzediktes von Mailand. — T>er Katholik, I, 1913. SCHOLZ (O.). Die Hegesippus- Ambrosi us-Frage. Diss. inaug. In-8. Breslau, 1914. SCHORN (G. J.). Die Quellen zu den « Vitae Pontifieum Roraanorum » des Bartolomeo Platina. — Ròmische Quartalschrift, 191 3. SCHÒTTLE (d.r Gustav). Die Munzfàlschungen von Masserano und Crevacuore und ihre Einfuhr nach Deutschland ums Jahr 1620. — Berliner Mùn^blàtter, n. 143, novembre 1913. La falsificazione di monete di Masserano e Crevacuore e la loro introduzione in Germania nel 1620 (Vi è ricordo anche di un Bartolomeo Cumona, di Omegna sul lago d'Orta). "^ 328 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO SCHULTHESS (O.). Neue ròmische Inschriften aus der Schweiz. — An^eiger Jùr Schwei:^er. AlUrtumskunde, voi. XVI, fase. I, 1914. A p. 39 iscrizione romana in S. Quirico di Minusio (presso Locamo). SCHUPFER (F.). Il diritto privato dei popoli germanici, con speciale riguardo al« l'Italia. Città di Castello, Lapi, 1913, in-8, pp. vi-587. SCHWEITZER (d/ Vinzenz). Zum Prozess des Kardinais Giovanni Morone. — ReformaiionsgeschichtUche Studien und Texte (Mùnster i. W,), fase. 2I-22| P. 45 e sgg., 1913. Schweìzerisches Kunstier-Lexikon. Herausgegeben mit Unterstùtzung des Bundes und kunstfreundlicher Privater vom Schweizerischen Kunstverein. Redigiert unter Mitwirkung von Fachgenossen von dj Carl Brun. Supplement (Erste Lieferung). Frauenfeld, Huber, 1914, in-8 gr. Prima dispensa del Supplemento al a Lessico biografico degli artisti della Svizzera », che va da A. a Franchino. Molti i nomi di artisti della plaga ticinese-comasca, come già nelle precedenti puntate del Lessico, da noi segna- late a suo tempo. SÉRÉDA (V.). Novyi pòdlinnik Leonardo. — Stdryé Gody, ottobre 191 5. e La Madonna Benois :» di L. da Vinci. SEVESI (p. Paolo). I Vicarii ed i Ministri Provinciali della Provincia Bresciana dei Frati Minori della Regolare Osservanza. Pavia, scuola tip. Orfanelli, 1914, in-8, pp. 56. •SFORZA (Giovanni). Ortensio Landò e gli usi ed i costumi d'Italia nella prima metà del Cinquecento. — Memorie della R. Accademia delle Sciente di To- rino, serie II, voi, LXIV, n. 4, 1914. La caratteristica figura del piacentino Laudi, uno degli scapigliati della letteratura del '500, come lo disse il Graf, è qui illustrata nei suoi rap- porti coi Malaspina, coi Lucchesi, colla letteratura; e lo Sforza segue il Laudi nel bizzarro giro che fa per l'Italia, ed ha così frequente occasione di ci- tare città e personaggi della Lombardia. Sforza. — Autotype Facsimiles of miniatures and borders from the Book of Hours of Bona Sforza, Duchess of Milan, in the British Museum. Introd. by G. F. Warner. London, Milford, 191 3, 65 tav. 4°. •SIMONETTI (Giuseppe). Lettere inedite di Girolamo Tiraboschi e Ireneo Affò a eruditi Correggesi. — Atti e Memorie della R. Deputazione di storia patria per le Provincie modenesi, serie V, voi. VIII, 191 4. *SOLMI (Arrigo). La formola della « Mancipatio » nei documenti piacentini del secolo VIII. — Archivio storico italiano, dìsp. 4.», 191 3. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 329 SOMMI PICENARDI (G.). Lettere inedite di Giuseppe Baretti a G. Biffi. — Rassegna Naiionah, 16 gennaio 1914. * Soprintendenza (R.) ai Monumenti di Lombardia. La cappella di S. Giovanni Battista nella chiesa di S. Pietro in Gessate in Milano. Relazione. Milano, tip. U. Allegretti, 1914, in-8 ili., pp. 39. SORIGA (R.). A proposito di alcune stampe italiane inedite della raccolta Malaspina. — La Bibliofilia, XV, 12. Statuti dei Lago Maggiore e della Valle d'Ossola (sec. XIV). Voi. I : Castel- letto Ticino; Arona, Invorio inferiore; Paruzzaro e Montrigiasco ; Vergante, Lesa e Meina ; Intra, Pallanza e Vallintrasca, a cura di Emilio Anderìoni e Pietro Sella. Roma, 191 4 (a Corpus Statutorum Italìcorum », n. 6). STEMPFLE (p. Bernardo). Le iscrizioni delle campane che annunziarono a Roma l'agonia di Torquato Tasso. — Arte t Storia, febbraio 1914. STÒCKLEIN (H.). Beitràge zu Antonio Abondio. — Archiv fùr Medaillen und Plakettenkunde, fase. II, gennaio 1914. * Storia Italiana. Catalogo 87 della Libreria Ermanno Loescher & C° (W. Re- genberg), Roma, 88, Via Due Macelli. Roma, cooperativa tipografica Manuzio, 1914, in-8, pp. 336. I. Storia Italiana in generale. — II. Storia e topografia regionale e municipale (in ordine alfabetico delle località) [cfr. specialmente le voci: Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lago OvCaggion, Lodi, Lombardia, Mantova, Milano, Novara, Pavia, Pi^^iighettone], — III. Viaggi in Italia. STRACHEY (L.). Henri Beyle. — Edinburgh Review, gennaio 1914. * STRADA (M.) & TRIBOLATI (P.). Varianti inedite di monete di zecche italiane appartenenti alla collezione M. Strada di Milano. — %ivista italiana di numismatica, fase. I, 1914. Zecche minori del Piemonte, fra le quali Novara e con diverse con- traffazioni di monete milanesi. STRONG (H. A.). Some notes on Virgilius Maro grammaticus. — The Classical Review, voi. XXVII, n. 5. Osservazioni sulla cronologia e sulla patria. — Nel medesimo fascicolo aggiungere Fowler (W. W.), Virgil, priest of Apollo? STÙCKELBERG (E. A.). Eme apokryphe Heilige des spàten Mittelalters. — Archiv fùr Religionewissenchaft, Bd. XVII, Heft, MI (Leipzig, 19 14). Una santa apocrifa del tardo Medio Evo. Trattasi di S. Eurosia che ha culto in diverse località di Lombardia. 330 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO STUCKELBERG (E. A.). Luganeser Miniaturen. — Die Schweii di Zurigo, 19 14, p. 212. Miniature in libri corali (del 1685-1686), già del convento di S. Maria degli Angioli, ora nella biblioteca Cantonale di Lugano. Vi figurano i nomi di fra Bonaventura da Varese e di fra Ferdinando da Vico Morcote. •SURRA (Giacomo). Imitazioni e reminiscenze nelle poesie del Giusti. — Giornale storico della lettera,tura italiana, fase. 190-19 1, 1914. Cfr. p. 118 e sg. per l'influenza del Porta sul Giusti. V * SUSTA (Josef). Die ròmische Kurie und das Ronzii von Trient unter Pius IV [Medici]. Aktenstùcke zur Geschichte des Konzils von Trient. IV, Band. Wien, Alfred Hòlder, 19 14, in-8 gr., pp. xx-616. TACCHI VENTURI (P.). Il vescovo Gianraatteo Giberti nella fqga di Bernardino Ochino. — Civiltà Cattolica, 64, 4, 191 3. Pubblica una lettera inedita del Giberti, vescovo di Verona, dei 26 settembre 1542,3 fra Francesco da Calabria, vicario dei Cappuccini nella provincia di Milano, la quale è un documento importante per l'ultimo periodo monastico dell'Ochino. TAGLIALATELA (A.). Pensando alla « Gioconda » — Bilychnis (Rivista di studi religiosi, Roma), gennaio 19 14. * TAMASSIA (Nino). La conversione dell'Innominato. Nota manzoniana. — Att{ Istituto Veneto, to. LXXIII, parte II, 19 14. *TARAMELLI (T.). Ricordo dello Spallanzani come vulcanologo. — Rendiconti Istituto Lombardo, voi. XLVL fase. XVIII-XIX, 1914. * — Il paesaggio della a Gioconda » e 1' „ Ctisani, s 190 1 w „ Ctisani, 16 1908 » „ L, Palazzi, io ELENCO DEI SOCI 353 Calvi nob. dott. Gerolamo , . . Campi avv. Emilio, deputato al Parlamento Canevali prof. cav-. Fortunato Capasso prof. cav. Gaetano, pre side del R. Liceo Manzoni Caporali dott. Vincenzo. . . Cappelli dott. Adriano, direttore del R. Archivio di Stato . Capretti cav. Flaviano . . . Cardani rag. comm. Paolo . . Camelli comm. Ambrogio . . Carones cav. Agostino . . . Carotti dott. cav. Giulio . . Carozzi ing. Luigi t Casanova Giuseppe .... ■•* Casati conte dott. Alessandro (so ciò benemerito) .... Casati conte Gabrio .... Casati Negroni contessa Luisa Casnati dott. Giovanni . . . Castelbarco Albani conte Alberto Castelbarco Albani conte Costanzo Castelbarco Albani conte Giuseppe Castelbarco Albani principessa. Castelli Maria dott. Franco Cavallari Cantalamessa prof.ssa Cavallazzi Giulia arch. Antonio . . . Caversazzi dott. Ciro Cesa-Bianchi ing. arch. Paolo Chiodi ing. Cesare Cian dott. prof. cav. Vittorio Cicogna conte Giampietro . . . Cicogna conte Mario Cipolla conte comm. prof, Carlo. Circolo Filologico Milanese . . Clerici ing. Carlo Cochin Enrico, ex deputato alla Camera Francese Collino dott. prof. Giovanni . . Colombo prof. Alessandro . . . 1894 Milano, via Clerici^ i 1902 „ 1913 Breno V. Monti, 23 i.Qfò2, Milano, via F.lli Ruffini, 11 1889 Varese per Viggiù. 1892 I9I3 Parma Brescia, via A, Tagliaferri 1888 Milano, via Leopardi, 32 I90I „ Cercata, j 1909 „ „ Cappuccio, 7 1883 „ „ Solferino, 22 1902 viale Vittoria, 11 1886 „ vicolo Pusterla, i 1906 „ via Soncino, 2 I88I I9I3 „ corso Venezia, 24 „ via Soncino, 2 I90I „ „ Princ. Amedeo, 11 1906 „ „ Princ. Umberto, 6 1909 „ „ A. Appiani, 7 1909 „ „ Princ. Amedeo^ i 1904 „ „ Princ. Umberto, 1902 „ „ Meravigli, 12 I9I2 Torino, Villa della Regina I9II Milano, via Bigli 18 A 1906 Bergamo 1879 Longone Como) al Segrino (prov. di I9I0 Milano, via Pietro Verri, 14 1900 Torino, via Berchet, 2 1874 Melano, via Manforte, 2^ 1902 „ Monforte, 23 1900 Firenze, via Lorenzo il Magnifico, 8 1904 Milano, via Clerici, io 1904 „ Broggi, IO 1904 Parigi, Quai d'Orsay, 23 1906 Pinerolo, Scuola Tecnica 1903 Vigevano Arch. Stor. Lomb., Anno XLI, Fase. MI. 23 '"^ 354 ELENCO DEI SOCI Colombo cav. Guido, archivista di Stato 1886 Milano, vta s. Maurilio, 20 Comi ing. cav. Antonio .... 1904 „ „ Piacenza, 9 Conti dott. comm. Emilio, senatore del Regno 1878 „ „ Monjorte^ 26 Conti ing. comm. Ettore . . -. 1903 „ „ Aurelio Saffi, 2/ Corbella can. cav. Pompeo . . 1901 ,, „ Lanzone^ 28 Comaggia-Medici march, Carlo Ottavio 1899 T> » Cappuccio^ 21 Corti march. Gaspare .... 1909 „ corso Venezia, 22 Cremona (Municipio della città di) 1904 Cremona Crespi comm, Cristoforo . . . 1888 Milano, via Borgonuovo, 18 Crespi Mario 1904 „ „ Manzoni, io Curii Antonio 1908 ,, „ Durini, 24 Cusani-Confalonieri march. Luigi, R. Ambasciatore 1908 Washington (U. S. A.). D'Ancona prof. comm. Alessan- dro, senatore del Regno . . 1901 Firenze, piazza Savonarola ^ 2 Da Como avv. Ugo, deputato al parlamento 1912 Brescia Da Ponte nob. cav. Pietro . . 1874 ,, Del Mayno Simonetta contessa Carolina 1913 Milano, via Crocefisso, 12 De Conturbia nob. Luigi Carlo . 1910 Como, via A. Volta, / Decio dott. Carlo 1900 Milano via Passarella, io De Francisci nob. dott. P. E. . 1903 „ „ s. Maria Valle, 7 De Herra nob. aw. Cesare . . 1892 „ „ Gesù, 7 Della Croce nob. cav. avv. Ambrogio 1909 Vigevano Della Croce nob. Beno, archivista di Stato 1908 Milano, corso Buenos Ayres,iy Dell'Acqua sac. Carlo .... 191 4 „ via Ouadronno, j8 De Marchi dott. cav. Marco . . 1903 „ „ Borgonuovo, 2j Demetrio (di) Cadmo 1907 Trieste, via Rossini, 20 De Si moni ing. comm. Giovanni 1888 Milano, via Carducci^ j2 Donini prevosto Cesare .... 1910 Brignano d'Adda (Bergamo) Doniselli dott. Alfredo .... 1895 Milano, via Monte NapoL, 22 Dozzio dott. Stefano 1910 „ „ Bigli, io Esengrini Gian Andrea .... 1912 „ „ Bigli, 19 Facchi Gaetano ........ 1901 „ „ Durini, 18 Facheris avv. comm. Giovanni, senatore del Regno .... 1908 „ „ Bigli, ig Ferorelli dott. Nicola 1912 „ „ Via Senato, io Ffoulques Jocelyn Constance . . 1906 LoudraW, Pelham Cresce -it, 11 Fiorani dott. nob. Pier Luigi. . 1909 Milano, via Rovello^ i Fogolari dott. Gino 1900 Venezia, RR. Gallerie «-' ELENCO DEI SOCI 355 Foligno dott. prof. Cesare . . . Fontana ing. Vincenzo .... Fornasini cav. Gaetano . . . . Fossati prof. Felice Foucault di Daugnon conte Francesco • Friedmann Coduri prof, Teresita Frisiani nob. dott. Carlo . . . Frizzi dott. comm. Lazzaro . . Frova dott. cav. Arturo . . . Fumi comm. conte Luigi, diret- tore del R, Archivio di Stato Gabba avv. comm. Bassano . Gaffuri ing. cav. Paolo . . . Gaggia mons. Giacinto, vescovo di Brescia Galeati prof. Giuseppe . . . Gallarati Giuseppe, archivista di Stato Gallarati Scotti nob. dott. Tom^ maso Gallavresi dott. cav. Giuseppe Galli sac. prof. Emilio . . . Galli Emilio Galli dott. prof. Ettore . . . Galli dott. sac. Giuseppe .' . Garovaglio Adele ved. Rognoni Gatti dott. comm. Francesco . Gazzola sac. Pietro .... Ghisalberti cav. Annibale . . Giachi arch. comm. Giovanni Giorgi di Vistarino conte Carlo Giovanelli cav. uif. Enrico, Regio Economo dei Benefici vacanti in Lombardia .... Giulini conte comm. Alessandro Giulini nob. Giuseppe . . . Giussani ing. cav. uff. Antonio Glissenti avv. cav. Fabio, diret tore dell'Archivio di Stato Gnecchi cav. uff. Ercole. . . Gnecchi comm. Francesco . . 1900 Oxford, villa Ausonia 1905 Torino, piazza Vitf. Em., 12 19 IO Brescia 1903 Milano, via Pinamonte, 11 1879 Crema, piazza Frane. Grassi 1906 Milano, via Carlo Ttnca, ij 1890 „ piazza s. Ambrogio, 2 1874 „ via Monte di Pietà, 18 1902 Verona, Trento) via Caprera i (Borgo 1908 Milano via Senato, io 1882 „ „ s. Andrea f 2 1900 Bergamo, via s. Lazzaro^ i 19 IO Brescia 1914 Cremona, via S. Mattia^ 4 1886 Milano, via Manforte^ /p 1904 „ „ A. Mansoni, jo 1900 „ „ Monte NapoL, 28 1901 „ „ Manin, 27 191 3 „ „ Mascheroni, / 1900 Cremona, piazza Roma, i^ 1906 Milano, Collegio s. tarlo, corso P. Magenta 1908 „ via Pantano, ij 1889 „ piazza P. Ferrari, io 1903 „ via Zebedia, 2 {presso il p. Manzini) 1900 „ „ s. Maurilio, ig 1879 „ „ s. Rajfaele, 3 1908 Rocca de' Giorgi (prov. di Voghera), circond. di Pavia 1902 Milano, corso P. Vittoria, 4^ 1893 „ „ Magenta, jo 19 13 „ vias. P. irò all' Orio,! s 1907 Como, piazza Roma, 7 1908 Brescia 1878 Milano, via Monte di Pietà, i 1878 „ „ Filodrammat., io 356 ELENXO DEI SOCI Gramatica mons. dott. Luigi . Grassi avv. cav. Virgilio . . ' Greppi nob. Alessandro . . Greppi nob. avv. Emanuele, se natore del Regno . . . Greppi nob. Enrico. . ' Greppi conte comm. Giuseppe senatore del Regno . . . Greppi nob. Lorenzo .... Guerrini sac. prof. Paolo . . Guicciardi nob. cav. ing. Diego Hoepli comm. dott. Ulrico. . ^Hortis Attilio Isambert dott. Gastone . . . Jacobovitz comm. Rodolfo Rémy Jacini nob. dott. cav. Stefano. Joel comm. Otto Johnson comm. Federico . . Labadini comm. rag. Ausano. ' Labus avv. comm. Stefano . Landriani Martini contessa Anto nietta Lanzoni Giuseppe Lattes dott. prof. Alessandro ' Lattes prof. comm. Elia (socio benemerito) . . . Lepetit dott. Emilio . Lechi conte dott. Teodoro . . Litta-Modignani nob. Alessandro Litta-Modignani march. Gaetano Lizier prof. Augusto, R. Provveditore agli Studi Locatelli mons. Carlo, proposto di S. Stefano Locatelli sac. prof. Giuseppe . Lùling ing, Emilio Luzio cav. Alessandro, direttore del R. Archivio di Stato Luzzatto avv. comm. Carlo Vit torio, R. Prefetto . . . Magistretti can. dott. Marco Magistretti prof. Piero . Magnaguti conte Enrico. Magni dott. cav. Antonio Majnoni d'Intignano march Achille 1912 Milano, Bib/.ca Ambrosiana 1902 „ via Clerici, 7 1873 „ „ s. Antonio, 12 arch 1882 ») „ s. Antonio^ 12 1908 " . „ Monjorte, 26 1873 » „ s. Antonio^ 12 1874 w „ s. Antonio, 12 1909 Brescia , Curia Vescovile 1909 Milano, via Monte NapoL, 22 1900 w „ XX settembre^ 2 1874 Trieste Biblioteca Comunale 1904 Parigi, i6g, boni. Haussmann 1902 Milano, via Gioberti, 8 1904 » „ Lauro, 3 1908 ,, „ Borgonuovo, 11 1905 » corso P. Nuova, ij 1909 V viv Bazzoni, 8 1873 w „ s. Andrea, 8 1904 Sovico-Lambro (Milano) 1894 Mantova 1900 Torino, via Vitt. Amedeo II, 16 1897 Milano, via Princ. Umberto, 28 1909 „ „ Cernaia, 2 1912 Brescia, corso Vitt. Eman., 43 1901 Milano, via Durini, i; 1908 „ „ Pantano, i 1911 Pesaro 1908 Milano, via Laghetto, 17 1909 Bergamo, Biblioteca Civica 1908 Milano, corso Venezia, 62 1900 Mantova 1908 Udine 1896 Milano, via Arcivescovado, 16 1882 „ corso s. Celso, 13 1910 Faenza 1900 Milano, via Annunciata, 79 1902 „ Palazzo Reale ELENCO DEI SOCI 357 Majnoni d'Intignano nob. Gero- lamo 1909 PiNEROLO, Scuola di Cavalleria Majocchi prof. mons. Rodolfo . 1896 Pavia, Collegio Borromeo Malaguzzi Valeri dott. conte Francesco 1900 Milano, via Durini, j8 Mangiagalli prof. comm. Luigi, senatore del Regno .... 1902 „ „ Asole, 4 Mannati Vigoni nob. Teresa . . 1905 „ „ Fatebenefrat, 21 Manzoni dott. prof. Giovanni. . 1910 „ „ Cernaja, 11 Mapelli nob. Gerolamo .... 1898 „ „ Borromei, 2 Maraini avv. comm. Clemente . 1907 Roma, via Boncompagniy io Marazzi conte Fortunato, generale, deputato al Parlamento 1907 Brescia, via Cairoli, 14 Mariani dott. Giuseppe . . . . 19 11 Milano, viale Manforte , 7 Marietti dott. Antonio .... 1895 » ^^^ Borgospesso, 21 Marietti dott. cav. uff. Giuseppe 1892 „ piazza s. Sepolcro, j Maroni avv. Rodolfo 19 io „ via Clerici, i Martinengo Cesaresco contessa Evelina 1913 Salò Mattoj Edoardo 1908 Milano, corso P. Nuova, ij Mazzi prof. cav. Angelo . . . 1901 Bergamo, Biblioteca Coìnunale Medici di Marignano marchese Gian Angelo 1912 Napoli, Reggia di Capodimonte Meli Lupi di Soragna nob. Antonio 1906 Milano, via A. Manzoni, 40 Melzi d'Eril nob. Benigno . . . 1908 „ „ Pantano, 3 Melzi d' Eril contessa Teresa . 1909 „ „ Manin, 19 Menclozzi nob. dott. Antonio . . 1908 „ „ Gesit^ 21 Meraviglia-Mantegazz,a marchese ing. Saule 1906 „ „ s. M.FulcorÌMa,20 Mezzanotte ing. Paolo .... 1910 „ „ Borromei, i Mina ing. Enrico 1902 Monza, via A. Manzoni, 16 Mira Giovanni 191 4 Milano, via Moscova, 16 Molteni sac. dott. Giuseppe . . 1912 Seregno, Scuola Tecnica Co- munale Monneret de Villard arch. Ugo . 1909 Milano, via Coito, / Monteverdi dott. Angelo . . . 1909 Cremona, via Orfanotrofio, 2 de Montholon-Fè d'Ostiani contessa Paolina 1909 Brescia Monticelli Obizzi march. Luigi . 1909 Milano, corso Venezia, 14 Moretti prof. arch. comm. Gaetano 1892 „ Bastioni Manforte, ij Motta ing. Emilio 1879 „ „ Vittoria, j^ Muller Carlo * . 1902 Intra Museo Storico-Artistico del Verbano 1911 Pallanza Mylius cav. uff. Giorgio . . . 1905 Milano, via Montebello, 32 Nava ing. arch. comm. Cesare, deputato al Parlamento . . 1900 „ via s. Eufemia, zp 358 ELENCO DEI SOCI Negri sac. Luigi, preposto . . Negri Vincenzo Nicodemi dott. Giorgio . . . Nizzoli dott. cav. Achille Nogara dott. comm. Bartolomeo Noseda cav. Aldo . . . Novati dott. prof. comm. Francesco Oberziner prof. Giovanni Occa aw. Luigi. . . . Odazio di Castel d'Isola Fusara conte ing. Ernesto. . . Odescalchi nob. sac. Luigi. Oldofredi Tadini conte Gerolamo Orano prof. avv. Domenico Orombelli nob. Marco . . Ostinelli dott. Giuseppe. . Padulli nob. Giulio . . . Paleari avv. Giovanni . . Parravicini di Persia march. Gè rolamo Parrocchetti nob. Antonio . . Pasinetti sac. Severo preposto Pedrotti dott. Pietro .... Pellegrini dott. sac. Carlo . . Peregalli avv. Eugenio . . . Pestalozza nob. dott. Uberto . Petraglione prof. Giuseppe . Piantanida avv. Alberto . . Pietrasanta prof. Pagano . . Pio di Savoia principe Giovanni Pirelli comm. ing. G. B., senatore del Regno , ' Ponti march, comm. Ettore, sena tore del Regno . , Porro prof. avv. E. A. . Postingher cav. cap. Teodoro Premoli padre Orazio . . Prinetti conte Emanuele . Prior D. H PuUé conte comm. Leopoldo, natore del Regno . . . Putelli prof. Raffaello . . Radice Fossati ing. Carlo . Ramazzini dott. Amilcare . Rapazzini ing. Guido . . . se 1909 Rosate 1908 Milano, via s. Antonio^ 20 1914 Gallarate 1913 Pegognaga (Mantova) 1896 Roma, via Viti. Colonna, 40^ interno^ 12 1900 Milano, corso P. Romana^ g 1879 „ via Borgonuovo, 18 1903 „ „ Manin, j 1907 „ „ s. Nicolao, IO 1896 „ corso P. Nuova, p 1909 „ via s. Maria Segreta j j 1906 „ Palazzo Reale 190 1 Roma, via Bonella, ój 1910 Milano, via Manforte, ij 1903 „ „ Brera, 19 1906 „ „ Monte di Pietà, ij 1903 „ „ Boccaccio, 4 1909 „ „ Filangeri, 12-14 1909 „ Bastioni Monforte, 7 1909 Bergamo, via Pignolo, yy 1906 Rovereto (Trentino) 1898 Milano, Can. di s. Calimero 1909 „ via Leopardi^ 8 1904 „ piazza s. Sepolcro, i 1905 Bari, via Argiro, gj 1906 Milano, via Senato, 14 1890 „ „ Boccaccio, 2S 1884 „ „ Borgonuovo, 11 1903 „ „ Ponte Seveso, ig 1873 „ „ Pigli, II 1909 „ „ Solferino, 22 1906 Rovereto (Trentino) 1905 Roma, via Cliiavari, 6 1906 Milano, via Manzoni, 4J 1906 Varese, Villa Litia 1873 Milano, via Brera, 19 19 13 Venezia, S. Cassiano, iSjS 1907 Milano, via Cappuccio, 13 1879 Modena, contrada Ganaceto, 4) 1910 Milano, via s. Andrea, s ELENCO DEI SOCI 359 Ratti dott. mons. cav. Achille, Prefetto dell'Ambrosiana . Ratti dott. Luigi . . . . . Redaelli dott. Carlo .... Regazzoni Giuseppe Max . . Renier prof. comm. Rodolfo Rezzonico dott. cav. Giulio . Ricci dott. comm. Corrado. . Ricci prof. dott. Serafino . . Rigogliosi sac. Carlo, prevosto di S. Lorenzo Richard arch. Giulio F. . . de Ritter-Zàhony nob. Ivan . Riva prof. dott. cav. Giuseppe Rivetti sac. Luigi Rizzini dott. Oreste .... Rocca prof. sac. Luigi . . . Rollone prof. Luigi .... Romano dott. prof. Giacinto . Roncalli sac. Angelo .... Ronchetti rag. Agostino . . Rossi sac. prof. Davide . . . Rossi dott. prof. comm. Vittorio Rougier avv. Carlo .... Ruberti cav. Ugo . . . . |^ Riibsam dott. cav. Giuseppe . Rusconi sac. dott. Pietro . . Sala Trotti nob. Mina . . . Salvioni prof. dott. Carlo . . Sanvisenti dott. prof. Bernardo Sassi de' Lavizzari nob. ing. Fran- cesco^ Savio sac. prof. Fedele . . . Savoldi ing. arch. prof. Angelo Scaravaglio Alessandro . . . Segafredo prof. Giacomo . . Segre prof. Arturo .... von Seidlitz d.'^ VValdemaro, cons intimo 'Seletti Ida (socia benemerita) Sepulcri dott. Alessandro . . Seregni prof. cav. Giovanni . Sertoli nob. Francesco . . . Signori ing. cav. Ettore. . . Silvestri comm. Emilio . . . Silvestri comm. Giovanni . . 1895 Milano, via Ambrosiana 1906 „ „ Bigli, I 1898 „ „ Cusani, 18 1907 „ „ Manzoni f ji 1890 Torino, corso Vitt. Em., pò 1906 Melano, via s.Spirito, 13 1902 Roma, piazza Venezia^ 11 1898 Milano, via Statuto, 2j 1911 „ Canea di s. Lorenzo 1905 w corso Venezia, j2 1908 „ via Borgontiovo, 4 1898 Monza, casa Cambiaghi 19 13 Chiari, Biblioteca Morcelliana 1908 Milano, via Solferino, 28 1900 „ corso Magenta, j 1897 »; viale dei Mille, 14 1889 Pavia, R, Università 1909 Bergamo, Episcopio 1893 Milano, piazza s. Ambrogio, 2 1901 GoRLA Minore, Coli. Rotondi 1894 Roma, via Mecenate, ig 191 1 Milano, corso P. Romana, ly 1899 QuisTELLO (Mantova) 19 12 Regensburg 1904 Milano, corso s. Celso, 2y 1909 „ via Bigli, 21 1900 „ „ Ariosto, 4 1900 „ corso Venezia, 62 1905 „ „ Monforte, js 1901 Roma, via del Seminario, 120 191 1 Milano, piazza Mentana, 7 1907 „ corso P. Romana, 9 1897 Lodi, R. Liceo 1902 Torino, via V. Amedeo II, ij 1903 Dresda, Cosel-Palais - 1914 Milano, via s. Marta, 19 1902 „ „ Borgonuovo, 2j 1897 V » Spig^f 2S 1909 „ „ s. Andrea 12 1901 Cremona, Giudo Grandi, i 1902 Milano, corso Venezia, 16 1901 „ corso Venezia, 16 360 ELENCO DEI SOCI Silvestri Volpi Bianca Maria Simeoni prof. Luigi . . . Sina sac. Alessandro. . . Sioli Legnani Conti Gigina Soderini conte Edoardo. . Sola conte Gian Lodovico . Solmi prof. cav. Arrigo Somaglia (della) conte Gian Già corno , Sommi Picenardi nob. dott Gian Francesco Soragna Melzi march. Luigia Sormani Andreani conte Pietro senatore del Regno . . . Steffens dott. prof. Francesco Stefini dott. Attilio Stucchi-Prinetti ing. Luigi . . Talamoni sac. dott, prof. Luigi Tallachini avv. Vittorio . . Tarsis conte Paolo .... Tencajoli Oreste Ferdinando Terruggia ing. cav. Amabile Terzi conte Giuliano .... *• Thurn e Taxis (S. A. R. il prin cipe di) (socio benemerito) Toeplitz Lodovico Tonni Bazza ing. Vincenzo . Treves Tedeschi Virginia . . Trivulzio principe Luigi Alberico • Trotti Bentivoglio march. Lodo vico, senatore del Regno Ubertalli avv. Gian Paolo . Uboldi Ferdinando . . . Venini Antonio Verga dott. prof. cav. Ettore Vergani dott. cav. Giovanni Vergine Giuseppe . , . . Vigoni nob. Giulio, sen. del Regno t Vigoni nob. comm. ing. Giuseppe, senatore del Regno . . . . ** Villa Pernice donna Rachele Vimercati Sanseverino conte Gaddo 1904 Milano, carso Venezia, 16 1901 Modena, R, Liceo Muratori 1912 Pllno Camuno (Val Camonica) 1909 Milano, via Vivaio^ 11 1907 Roma, Principessa Clotilde, 7 1909 Milano, corso Venezia, 22 1914 Pavia, R. Università 1907 Milano, corso P. Romana, ij I90I 1896 „ via Cerva, 42 „ „ Manzoni, 40 1874 „ corso P. Vittoria, 2 1902 Friborgo (Svizzera), me Saint Pierre, 20 I9I2 Celana (Bergamo) Collegio Pareggiato 1908 Milano, via Manzoni, 4^ I90I Monza, Seminario Arcivescov. 1906 Milano, piazza P. Ferrari, io 1906 „ via s. Paolo, i 1906 „ „ Spontini, 4 1900 „ A. Saffi, 17 1909 Brescia 1914 Regensburg 19 14 Milano, piazza Castello, 28 1913 Roma, via Flavia, 6 1905 Milano, via Mario Pagano, 6j 1900 „ piazza S.Alessandro, 4 1873 il via Bossi, I 1908 n „ Torino, ji 1909 » corso P. Romana, 82 1897 )> via s. Maurilio, 21 1895 )t „ s. Antonio, 21 1899 n piazza s. Ambrogio, 2 I9I3 Brescia , via Trieste, 30 1874 Milano, via Fatetene f rat., 21 1882 » „ Fatebene/rat.t 21 1895 » „ Ctisani, ij 1906 Vajano Cremasco (Provincia di Cremona) ELENCO DEI SOCI 361 Visconti dott. Alessandro . . . Visconti march. Roberto . . . Visconti di Modrone conte Giuseppe Visconti di Modrone conte Guido Carlo • . . . Visconti di Saliceto conte Alfonso Visconti Venosta march. Emilio, senatore del Regno . . . Vistalli sac, Francesco . . . Vitali sac. comm. Luigi . . . Vittani dott. Giovanni . . . Volpe prof. dott. Gioachmo . Volta nob. aw. cav. Zanino . Vonwiller cav. Alberto . . . Weil comandante M. H. . . Weill-Schott dott. Gustavo. . Zanelli dott. prof. Agostino . Zanoni dott. Luigi 1908 Milano, via Crocifisso, 6 19 12 „ „ BorgonuovOt j 1902 Cerva, 44 1904 „ „ Carducci, 3 1904 Cernusco sul Naviglio 1874 Roma, via Lucullo, 6 1913 Chiuduno (Bergamo) 1886 Milano, via Vivaio, 7 1902 „ „ Senato, io 1906 „ „ E. Praga, 8 1878 Pavia 1909 Milano, via Beretta^ 8 1905 Parigi, me Rabelais, } 1908 Milano, via Manforte, 42 1900 Roma, via Cavour, ijo 1909 Como, R. istituto Tecnico. ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA Adunanza generale ordinaria del giorno i8 maggio 191 j. Presidenza del PREsroENXE prof. F. Novati. La seduta è aperta alle ore 14.30. Sono presenti 18 soci; rappresentati per delegazione i soci ; dott. Emilio Anderloni, ing. Antonio Giussani, mons. preposto Carlo Locatelli, prof. Serafino Ricci. Si legge e si approva il verbale dell'assemblea del 19 gennaio 1913. Il Presidente intrattiene i soci sulle pubblicazioni sociali in corso e si diffonde sul programma delle onoranze che Milano prepara per il 1914 allo storico Giulini. A queste onoranze il Municipio concorre con un sussidio di lire 6000. La Commissione nominata dal Comune farà murare in Castello una lapide, ed ha affidato al consocio nostro conte Alessandro Giulini la pubblicazione di una biografia dello storico insigne di Milano, alla quale faranno seguito due memorie inedite di lui, una sulle mura di Milano e l'altra sulle chiese di juspatronato regio. La Commissione ha anche deliberato di istituire un " premio Giulini „ per una monografia di storia milanese, incaricando la nostra Società di fissare le norme del concorso. Il Presidente ricorda i soci defunti : il Vice-Presidente avv. Emilio Seletti e il conte Cavagna-Sangiuliani, Consigliere di Presidenza, il march. Carlo Guerrieri-Gonzaga, il comm. Enrico Bertarelli, il cav. Giuseppe Gavazzi, il dott. Giuseppe Ferrarlo ed il conte senatore generale Rinaldo Taverna^ uno dei soci fondatori, riservandosi di commemorali nella prossima adunanza. Il dott. Gallavresi legge quindi il Rapporto dei Revisori del Consuntivo sociale del 1912, che viene approvato a pieni voti (vedi Alle- galo A). ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 363 Segue la votazione dei nuovi syci, e riescono eletti all'unanimità i proposti candidati : Adami capitano Vittorio, Botta Gustavo, Casati Negroni contessa Luisa, Del Mayno Simonetta contessa Carolina, in Milano ; Nizzoli cav. dott. Achille, in Pegognaga, e Putelli prof. Raffaello in Venezia. L'adunanza è sciolta alle ore 16. Il Presidente F. NOVATI. // Segretar io E. Motta. 16 maggio 1^1^. Allegato A. Egregi e cari Consoci, Com' è ormai una constatazione quasi banale, la solidità delle nostre mo- deste finanze sta a paro (e non è fortuito rapporto) colla pertetta tenuta dei libri e dell'amministrazione. Invero, malgrado la deplorata scomparsa di numerosi soci, l'aumento delle spese di stampa in seguito alle nuove tariffe e la prosecuzione o l'avviamento d' importanti lavori, il nostro Bilancio può ancora dirsi florido. La perdita sulle esazioni delle quote (tre sole su quattrocento) è ridotta a tale inezia da soddisfare i critici più arcigni. Accanto al fondo Lattes è venuto a prender posto quello per il premio Formentini e ce ne furono cortesemente comunicati i conti che, grati del mandato conferitoci, vi invitiamo ad approvare col Consuntivo sociale. G. C. BuzZATi, G. Gallavresi, A, Annoni. Adunanza generale ordinaria del giorno 4 gennaio 1914* Presidenza del Presidente prof. F. Novati. La seduta è aperta alle ore 14.20. Del Consiglio di Presidenza sono intervenuti il Vice-Presidente nob. senatore Emanuele Greppi, il Consigliere nob. Guido Gagnola e il Vice-Segretario dott. Giovanni Bognetti. Ha scusato l'assenza il Se- gretario ing. Emilio Motta. Sono inoltre presenti 28 Soci effettivi e si sono fatti rappresentare con regolare delegazione i soci Anfosso, Bruschetti, Buzzati, Carotti, Colombo, Gian, Fumi, Giussani, Labadini, Locatelli, Luzio, Mannati, Vi- goni, Monneret, Nizzoli, Renier, Savoldi, Vittani. Si legge e si approva il Verbale dell'assemblea del 18 maggio 1913. 364 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA Il Presidente legge, fra l'attenzione e il consenso dei presenti, i) seguente discorso : Dovremo noi ripetere, egregi Consoci, in vituperio dell'anno testé spirato, servendoci delle parole del poeta onde s'illustra l'età napoleonica, la notissima imprecazione contro l'anno decimoterzo di un secolo fa? Alfin sei morto, o maledetto e rio Anno decimoterzo, anno alle genti Portator della piena ira di Dio, Anno carco di sangue e di lamenti ! Forse l' invettiva sarebbe soverchia, giacché l'anno dalla cifra malaugurata se ha portato all' Italia un corredo di guai, le è stato generoso insieme di non comuni compensi. Ma per quanto è di noi, non sapremmo lodarcene davvero. Esso ha trascinato via con sé una schiera eletta di amici e consoci nostri ; ed i suoi colpì, com'era inevitabile, sono caduti sopra molti che, appartenendo da lunghi anni alla Società Storica, rappresentavano per lei appunto quel che delle famiglie è il nodo più intimo e caro, la tradizione domestica. Ormai di coloro che 59 anni sono dettero opera a fondare il sodalizio, ben pochi sopravvivono: subentrano (egli è vero) per naturai legge di vita, alle fiaccate energie, forze novelle, da cui molto è concesso attendere, ma pur non è senza vivo rammarico che noi scorgiamo rientrare nell'ombra dei visi amati e venerati che non rivedremo mai più. Primo a lasciarci, quando l'anno contava poco più d'un mese (15 febbraio), è stato il dottor Giuseppe Ferrano, socio antico per data, ma che raramente avevamo veduto in mezzo a noi. Il valentuomo faceva parte del tabellionato milanese e per la stima di cui godeva, era da molti anni stato eletto presidente del Consiglio Notarile. In altri tempi aveva preso parte assai attiva alla vita cittadina ; Milano l'aveva veduto consigliere comunale ed anche assessore : Monza l'elesse sindaco, e sotto la sua amministrazione più utili iniziative vennero avviate e condotte in porto. A Monza egli amministrò pure con senno e solerzia l'Opera Zucchi, e dappertutto raccolse stima ed ammirazione per l' integrità, lo zelo, la capacità addimostrata. Agli studi storici non par che rivolgesse in parti- colare le sue cure, sebbene possedesse una buona biblioteca ed assai si interessasse di quanto riguardava il patrio Risorgimento, Ebbe invece molto genio per la musica, e fu consigliere del nostro Conservatorio, al quale legò una preziosa raccolta musicale. Il Ftrrario apparteneva da vari anni alla Società, ma egli non era solito frequentarne i ritrovi, e quindi pochi fra noi lo conoscevano ; la sua sparizione non poteva quindi essere molto avvertita. Ma un vero vuoto ed un dolore oltre- modo sensibile ebbe ad arrecarci la sin troppo attesa scomparsa, seguita il primo aprile, dell'avvocato Emilio Seìetti. Con lui difatti è sceso nella tomba l'ultimo autorevole rappresentante del passato, quasi direi il depositario della storia del nostro sodalizio. Sebbene non avesse fatto parte del gruppo dei soci fonda- tori, il Seletti era entrato nella Società fin dal primo anno di sua vita (1874). E quindi sotto la presidenza del conte Giulio Porro-Lambertenghi aveva conseguito l'ufficio di vice segretario. Eletto poi segretario nel 1876, quando dopo la ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 365 morte del conte Porro, si costituì una nuova Presidenza col Cantù alla testa, egli tenne l'onorevole e faticoso incarico fino al 1900, nel qual anno, essendosi il Calvi dimesso dalla carica di presidente, lasciò l' ufficio al Motta, assumendo quello di consigliere, E tale rimase sino a due anni sono, quando, sparito il marchese E. Visconti, la fiducia e la stima dei soci lo vollero vice presidente. Tale l'attività spesa del Seletti nel campo sociale ; ma le sue molte benemerenze meritavano un più ampio ricordo ; e questo ci siamo sforzati di fare in uno scritto apposito che in questo stesso Archivio vede la luce (i). Nei medesimi giorni, in cui è scomparso il Seletti, noi abbiamo pure perduto (5 aprile) un altro collega, il conte Antonio Cavagna di S. Giuliano. Il Cavagna era da pochi mesi stato chiamato dal voto dei nostri soci a far parte del Consiglio. Anch'egli, al pari del Seletti, era stato un appassionato, jnfaticabile raccoglitore ; ma portato di preferenza a coltivar gli studi storici ed economici, soprattutto in questo campo aveva largamente mietuto, quando ancora era facile trovare una messe. Alla Zelada di Bereguardo, sua villa prediletta, egli era venuto così formando una biblioteca addirittura insigne, giacché concorrevano a costituirla quasi duecentomila volumi, a cui si aggiungevano oltre tremila mss. fra membranacei e cartacei, e circa quindicimila opuscoli concernenti la storia d'Italia e dei municipi italiani. Quali sorti sian per toccare a questa ingente colle- lezione di documenti, noi ignoriamo. È possibile che vada dispersa e sarebbe questa una jattura non mediocre. È lecito far voti che rimanga almeno riunita e conservata fra noi quella frazione di così insigne suppellettile che riflette peculiarmente la storia di Pavia e della Lomellina. Antonio Cavagna Sangiuliani di Gualdana era nato il 15 agosto 1845 in Alessandria della Paglia da antica e nobile famiglia vogherese. Adottato nel 1853 dal conte Antonio Sangiuliani di Balbiano, de' signori di Mede, ne assunse il nome. Studiò legge e si laureò nel 1872. Ma nel 1861, interrotti gli studi, s'era arruolato quale soldato semplice, nel Reggimento dei lancieri d'Aosta. Il 24 giugno, memoranda giornata ne' fasti di quel Reggimento, ei si distinse così da essere promosso al grado di sottotenente onorario del Reggimento stesso. Fin dal 1862 il Cavagna si era dato agli studi storici, e sebbene più tardi buona parte dell'attività sua tosse assorbita dalle occupazioni della vita pubblica e dalle molte cariche amministrative che ebbe a sostenere, pure non li trascurò mai. Le sue numerose pubblicazioni, varie di carattere, si rinvengono tutte registrate ne' cataloghi ch'egli stesso ne venne pubblicando tra il 1888 ed il J905. Non sarebbe certo il momento questo di passarle in rassegna ; staremo dunque paghi a ricordare come fra di esse meritino speciale attenzioni le a memorie » di storia patria intitolate L'Agro Vogherese, uscite a Casorate Primo in quattro volumi tra il 1890 ed il 1908 : i / regesti di carte storiche lombarde, che comprendono in un volume diviso in due parti gli spogli di documenti pavesi ; e la descrizione, non condotta a compimento (essa si arresta alla lettera M), della Raccolta di Statuti Italiani che il Cavagna aveva con tanto amore costituita. (i) Cfr. Necrologia, p. 371. 366 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA > Cinque giorni dopo il Cavagna, addi io aprile, si spense un patriotta insigne . il conte Carlo Guerrieri Gonzaga. Il Guerrieri, nato ottaniacinque anni fa, apparteneva ad un' illustre famiglia mantovana, che l'aveva ancor giovinetto mandato a Vienna nelle guardie nobili dell' imperatore. Ma il giovine che si dilettava a far trasalire il vecchio Ferdinando, cantando in anticamera cogli amici l' inno a Pio IX, non era uomo da rimanere ad oziare in palazzi imperiali. Egli non tardò, come il fratello Anselmo, a darsi tutto alla causa italiana, e divenne uno dei più ardenti seguaci di Garibaldi. 11 Luzio in un bellissimo medaglione accolto nel Corriere della Sera, ci ha dipinto le vigilie di quei generosi fratelli che l'Au- stria escluse da tutte le amnistie anteriori al 1857, e di cui mise sotto sequestro i patrimoni. I Guerrieri Gonzaga passarono in Isvizzera il decennio della reazione e furono Mazziniani ardenti fino al 1859. Allora deposero la soggezione al potente agitatore. Carlo entrò nell'esercito: militò fino al 1866, poi lasciò le armi per la politica. Fu deputato, scrittore di giornali, polemista abile e forte. Amator vero delle classi diseredate, quando, stanco di combattere, si ritirò nel suo Palidano, vi consacrò un'attività ancor giovanile al bene dei suoi contadini. Era nel Senato dal 1883. Non meno nobile figura di quelk del Guerrieri Gonzaga è l'altra del conte Rinaldo Taverna, spentosi egli pure il 7 maggio. Degno erede della gloriosa famiglia milanese, da cui era nato nel 1839, a vent'anni, il Taverna emigrato in Piemonte, interrompeva gli studi per entrare nella Scuola Militare d' Ivrea, da cui uscì pochi mesi dopo col brevetto d'ufficiale dell'esercito sardo. E nel 1861 prese parte alla campagna delle Marche, dell' Umbria e del Napoletano : fu alla presa di Perugia, all'assedio di Ancona, al combattimento di Mola di Gaeta. Non meno colto che valoroso, il Taverna seppe conseguire la stima dei suoi superiori che gli vollero affidare parecchie importanti missioni. Cosi nel 1868 fu inviato in Prussia a studiare l'organizzazione militare di quel paese : nel 1870 fu a Roma segretario particolare del generale Alfonso di Lamarmora, luogotenente del Re e, tre anni dopo, addetto militare alla legazione italiana in Berlino. Nel 1874 lasciò l'esercito per darsi alla vita pubblica. Eccolo a Montecitorio in qualità di deputato del IV Collegio di Milano, e poi, quando s' introdusse lo scrutinio di lista, qual rappresentante del Collegio di Monza. Nel 1890 passò al Senato, dove prese un luogo distinto ed ebbe l'incarico di Relatore del Bilancio della Guerra. È noto come nel '91 la sua nomina ad ambasciatore italiano a Berlino fosse già stata decisa, quando un'improvviso avvenimento la fece annullare. Il Taverna dopo d'allora non s*occupò più di cose politiche, rivolse la sua attività alla Croce Rossa, di cui fu eletto Presidente. E per quindici anni spiegò una lodevole attività in questa carica cospicua, procacciandosi collo zelo mostrato nel terremoto di Messina e di Reggio e la campagna d'Africa nuovi titoli alla riconoscenza nazionale. 11 nostro funebre ufficio non è ancora terminato. Ai io di luglio un altr'uomo politico di alto valore si è spento; l'onor. Pietro Carmine; bella figura di parlamentare, scomparso nel momento in cui uomini della sua tempra, dell'elevatezza sua, non sono davvero facili a sostituire. Egli era nato il 13 novembre 1841 a Camparaua (Monza). Rivoltosi agli studi d'ingegneria, si fece tosto apprezzar nel suo campo, .\ppena quarantenne, nel 1882 fu mandato alla Camera quale rappre- ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 367 sentante del III Collegio di Milano, collo scrutinio di lista, e poi collo scrutinio uninominale, del Collegio di Vimercate, che gli fu sempre fedele. Fu membro, relatore d'importanti commissioni : ministro di lavori pubblici e delle finanze, dovunque spiegando le più belle doti di rigido ed esperto amministratore. Il Carmine non ebbe tempo né agio d' attendere agli studi delle lettere. Pure quel sentimento di affettuosa venerazione che negli animi colti si conserva sempre, quasi direi involontariamente, verso le memorie domestiche, lo spinse, alquanti anni or sono, a ricercare e mettere alla luce le modeste pagine che un Giovanni Francesco del Sasso Carmine, dottore di leggi, nato a Milano nel tardo Cinquecento, da Agostino, ricco ed onorato mercante di Cannobbio, aveva dettate intorno a questa ridente borgata ed alle iamiglie che nel secolo XVI vi dimoravano. Lo scritto del vecchio professore dell' Università torinese fu dato alle stampe dal Carmine con molta eleganza di tipi, e l'edizione, fuori commercio, è testé venuta ad arricchire le nostre collezioni sociali, grazie al benevolo interesse del consocio comm. Labus (i). Un mese all'incirca innanzi che la morte rapisse il Carmine, essa ci aveva tolto un altro socio degnissimo di stima nella persona del venerando cav. Giuseppe Gava^ii, che ha legato il suo nome allo sviluppo ed ai progressi dell' in- dustria serica tra di noi. Uomo attivo e geniale, il Gavazzi aveva tenuto con lode molti pubblici incarichi, come quello della deputazione in nome dell'Italia alla Conferenza Internazionale del 1864, per il taglio dell'Istmo di Suez. Studioso di materie agrarie, fu dei primi ad additare l'esistenza di focolari filosserici in Italia, Egli cercava poi sollievo alle gravose sue cure nella numismatica e sopratutto s'era addentrato nella cognizione della zecca milanese. Di lui, che ebbe ufficio di consigliere della Società Numismatica Italiana, la dotta rivista da questa pubblicata accolse più studi, assai notevoli, intorno alle monete di Giancarlo Visconti, al fiorino d'oro di Galeazzo Visconti, al grosso inedito di Giangaleazzo Visconti per Verona. Altra perdita inattesa fu pur quella che toccammo il i.» maggio, quando il comm. Enrico Bertarelli, industriale stimato e sagace, che amava le cose belle, i viaggi in lontane regioni, da cui riportava impressioni interessanti che piacevasi descrivere in libri garbati, si sottrasse violentemente agli assalti di una fiera malattia. Ed ai primi di luglio scendeva nel sepolcro, tra il compianto dei buoni, monsignor Bernardino Nogara, che le belle doti d'animo e d'intelletto, nudrito di classici studi, avevano innalzato a cospicua dignità nel Capitolo del Duomo. Ultimo per ordine di tempo nella mesta rassegna ci si of?re il conte Lorenzo Sorniani Andrcani Verri, spentosi settantenne l'undici luglio. Nel compianto patrizio milanese, primogenito del conte Alessandro, che aveva condotto in moghe, trasformando cosi in affinità di sangue i vincoh stretti d'amicizia che congiungevau da tempo ai Verri i Sormani, D. Carolina, figiia di Gabriele, unico maschio nato da Pietro Verri e da Vincenza Melzi, la nobiltà schiettissima della (i) Informazione is lorica del Borgo di Cannobbio e delle Famiglie di esso Borgo, composta da Giovanni Francesco Del Sasso Carmine, Dottore in Legge, Varese, Arti Grafiche Varesine, senza data, ma 1912, in-8, pp. 157. 368 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA Stirpe si manifestava con le più squisite doti dell'animo e del cuore. Spirito elevato, caritatevole, amante di tutto quanto era bello e buono, ma schivo di parere, di metter in mostra il proprio valore, il conte Lorenzo ha condotto una vita semplice e modesta, attendendo alla gestione della sua larga fortuna, pago alle gioie familiari, ai conforti dell'amicizia. Appassionato di musica, egli fu membro della Società del Quartetto ; tenne l' ufficio di consigliere al Conservatorio : e per' trent'anni resse la Presidenza del Pio Istituto Filarmonico. A rendere omaggio agli avi illustri, di cui riconosceva con modernità di sentire i meriti grandi e il dovere di farli apprezzare degnamente dagli studiosi, egli insieme al chiarissimo suo fratello il senatore Conte Pietro, che oggi ci onoriamo di avere de' nostri, dischiuse liberalmente gli archivi familiari, già fugacemente aperti al Custodi ed al Cusani, al ncstro Greppi ed a chi parla. Se il Careggio dei fratelli Verri riuscirà, una volta compiuto, mirabile specchio dove si riflette e rivive tutt'un'età, il merito dovrà esserne in buona parte attribuito a Colui che, degno erede di essi, volle e seppe far opera che onorasse insieme a loro Milano e l'Italia. Alla memoria del conte Lorenzo Sormani vada dunque un saluto commosso e riconoscente da tutti noi. Il rempo incalza e nel ricordo di tanti eletti perduti il nostro discorso s'è a lungo trattenuto. Saremo più rapidi nell'accennare all'attività sociale nel campo degli studi durante questi ultimi mesi. Procede con alacrità sufficiente la stampa della seconda parte del Repertorio Diplomatico Visconteo. Siamo giunti ormai al trentesimo foglio e s'è raggiunto l'anno 1378. Col 1379, si chiuderà il tomo secondo. Il terzo abbraccerà le an- nate 1 380-1403. Anche il quarto volume del Carteggio di P. ed A. Verri è in lavoro, e dentro l'anno comparirà certamente alla luce. Ma un lavoro più rapido e di molta utilità sta ora assorbendo le nostre forze. Oramai la serie quarta àoìV Archivio Storico Lombardo è chiusa e se ne desidera generalmente dagli studiosi tatti un' Indice diligente che permetta di valersi del notevole materiale storico accumulato in tanfi volumi. Poiché a questa poderosa fatica già s'era, in compagnia del dott. G. Bonelli, una prima volta dedicato il dott. G. Vittani, la Presidenza della Società erasi rivolta ancora a lui, sperando che potesse nuovamente prestarle il suo prezioso concorso. Ma il Vittani non ha potuto per varie ragioni accedere a questo voto. Tuttavia, desideroso come sempre di far cosa gradita alla Società, ha accolto l'invito di sovraintendere allo spoglio dei volumi déìV Archivio e di far da guida e da consigliere ad alcuni volonterosi giovani ch'egli stesso ha indicati. In siffatta maniera l'Indice della quarta serie drlV Archivio sarà presto eseguito e la stampa ne verrà iniziata probabilmente verso l'autunno. Un'altra impresa di carattere bibliografico e pratico è pure stata vagheggiata in questo frattempo dalla Presidenza, la quale desidera consultarvi intorno alla sua attuazione. Il trasloco a cui la Società è stata costretta, quantunque sia stato eseguito con tutta la diligenza necessaria, ha però recato qualche po' di disordine ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 369 nella nostra Biblioteca. Questa poi si è venuta negli ultimi tempi notabilmente aumentando, sia per acquisti, sia per doni, primo fra tutti quello dell'insigne collezione Ermes Visconti. Riusciva dunque indispensabile attendere a rinnovare in parte la catalogazione della nostra suppellettile letteraria, aggiungendo i nuovi acquisti e togliendo vecchie lacune. Ma dacché questo lavoro d' incontestabile utilità si vien facendo, è sembrato che potesse addirittura eseguirsi in modo da venir posto alle stampe. Così non solo i nostri Soci saranno in grado di conoscere, senza dover lasciar il loro scrittoio, di quali opere dispone in loro servigio la biblioteca sociale, ma, poiché la massima parte di questa biblioteca concerne la storia lombarda, il Catalogo a stampa diverrà la più solida base di quella Bibliografia Lombarda, in servizio della quale già da tanto tempo il solerte nostro Segretario-Bibliotecario sta lavorando. Tutte queste intraprese peseranno certamente in maniera non lieve sopra il Bilancio sociale. Ma il nostro sodalizio, sebbene la morte falci troppo rapidamente nel suo campo, è in condizioni favorevoli, e, non allontanandoci mai dalla via presa, siamo sicuri di poter a tutto provvedere. D'altra parte gli aiuti non mancano da parte di amici e di benevoli. Già l'anno scorso uno di essi, il conte dottor Alessandro Casati, ha voluto fare un dono infinitamente prezioso alla Sodetà, assicurandole il possesso delle Memorie inedite del conte Giuseppe Corani, delle quali egli stesso si farà, e giova sperar presto, insieme con noi zelante e Botto illustratore ed editore. Ed in questi ultimi mesi appunto il nostro ottimo Consocio ha voluto dar novella testimonianza dell'affetto che lo lega alla Società ed agli studi storici, acquistando per farne dono alla nostra Biblioteca nella vendita Philipps di Londra un codice di mano del secolo XIV, che, male indicato nel catalogo della collezione e messo all'asta come racchiudente un'opera anonima ed ignota, ci si è rivelato invece come quel celebre manoscritto delle storie di Arnolfo e di Landolfo, che, posseduto un tempo dalla biblioteca della Metropolitana, dove il Puricelli l'aveva veduto e studiato, ne era poi uscito sul cadere del sec. XVIII, sparendo senza lasciar traccia di sé. È dunque un cimelio singolarissimo di storia milanese quello che ci ritorna dalle brume di Cheltenham, e noi dobbiamo essere ben grati all'amico generoso che liberalmente lo ha ri- scattato e ricondotto in patria, longis e finibus exul. Anche un'altro singoiar atto di liberalità ci piace qui segnalare. S. A. il Principe Regnante di Thurn-Taxis, non immemore che la sua stirpe trae origine dalle nostre terre, ha degnato inviare alla Società un'offerta di lire cinquecento, come segno di simpatia per gli intenti che essa si propone. Questa prova di benevolenza ci è stata particolarmente gradita, e la Società si unirà certo alla Presidenza nell'esprimere al munificente Sovrano la sua viva gratitudine. Cessati gli applausi che hanno accolto le parole del Presidente, il comm. Labus, prendendo occasione della commemorazione testé fatta delTon, Pietro Carmine ricorda come T illustre e compianto socio avesse pubblicato, pochi mesi innanzi la sua fine, un volume molto interessante sulla sua patria, Cannobio, di cui narrò le vicende storiche, corredate da cenni sulle famiglie notabili del luogo. Si augura che tale volume possa entrar a far parte della nostra Biblioteca e, dietro preghiera del Arch. Stor Lomb., Anno XI. I, Fase. I-lf. 24 37° ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA Presidente, assume l' incarico di far le pratiche opportune perchè ciò avvenga. Il Vice-Segretario dà lettura del Conto Preventivo per l'anno 1914 ed esso è approvato all'unanimità, senza discussione. Il Presidente illustra la proposta di proclamare soci Benemeriti, in relazione all'art. X dello Statuto, S. A. R. il principe di Thurn e Taxis e il conte dott. Alessandro Casati. Confida che all'assemblea appariranno pienamente giustificate le proposte del Consiglio. L'arch. Annoni, facendosi interprete del sentimento di tutti i soci, propone che esse vengano approvate per acclamazione e che particolari grazie vengano rese al conte Casati per l'atto munifico, di cui il Pre- sidente parlò nello sua relazione. L'assemblea acclama a soci Benemeriti S. A. R. il principe di Thurn e Taxis e il conte dott. Alessandro Casati. Si procede alla nomina delle cariche sociali. Fungono da scrutatori i soci prof. Seregni e dott. Visconti. A Vice-Presidente in surrogazione del compianto avv. Emilio Seletti, è eletto con 45 voti su 46 mons. dott. Achille Ratti, già Consigliere di Presidenza. A Consigliere, in surrogazione del fu conte Antonio Cavagna-Sangiuliani, è eletto con 37 voti su 42 il prof. Giovanni Bognetti, già ViceSegretario. Sono confermati a Revisori per il Bilancio dell'anno 1913 i soci si- gnori : arch. Annoni, prof. Buzzati, prof. Gallavresi. Infine riescono eletti soci con voti unanimi i due candidati proposti ; principessa Ernestina d'Hohenlohe Ratibor, in Castello di Sartirana (Pavia), e prof. cav. Arrigo Solmi, in Pavia. La seduta è tolta alle ore 15.20. // Presidente F. NOVATI. Il Vice-Segretario G. Bognetti. NECROLOGIA EMILIO SELETTI. (n. 29 settembre 1830 f 1 aprile 1913). Era vezzo molto diffuso presso i nostri cronisti del buon tempo antico, quando si accingessero a celebrare le origini, i fasti, le sventure della terra, ond*avevano tratto i natali, quello di esaltarla sopra qualunqu'altra con un ragionamento eh* a loro pareva trionfale ed a noi oggi richiama sulle labbra un sorriso. È indubitabile (essi dicevano con grande sussiego) che V Europa è la più cospicua parte del mondo. Ed è indubitato del pari che 1' Italia tiene in Europa il primo luogo. E chi ardirebbe porre in dubbio che la Lombardia non debba esser giudicata la pili bella tra le regioni italiane ? Ma in Lombardia non v' ha terra migliore che Milano (poniamo Milano, ma il nome poteva variare) non sia. Sicché Milano è la più bella città dell* Europa, anzi del mondo. Come si vede, il ragionamento non fa una grinza! Così messe a posto le cose, il buon cronista colla coscienza tranquilla passava a narrare quanto gli premeva far sapere. Era questa una manifestazione molto ingenua, puerile anche (se vi piace), d'amore municipale, di tenerezza per la piccola patria, per il nido ove ognuno era nato ; ma di questa tenerezza un poco angusta, un poco piccina, non sarebbe proprio il caso di farsi beflfe. E l'amore al luogo nativo che in Italia, come dapertutto altrove, ma forse meglio che altrove, seppe accendere le più sante, le più nobili fiamme di fede, d'arte e di scienza. Bonvesin da Riva per esaltare la sua patria diletta, Milano, s'appaga d*un ingenuo sillogismo che può farci sorridere, ripeto. Ma date il concetto stesso in mano a Dante ; fate che il magnanimo poeta, a compiangere le sorti della penisola di- venuta ostello di dolore, privata della corona che la rendea donna di 372 NECROLOGIA province, lievochi questo amore per la terra nativa, che gli sembrava (ma non era) sparito dal cuore degli Italiani; ed ecco avrete l'episodio più sublime forse della cantica seconda, l'incontro fra Bordello e Virgilio: sul balzo del Purgatorio, illuminato dagli ultimi raggi del tramonto, vedrete il baldo cavalier medievale, tutto sdegnoso ed in sé raccolto, dal leonino sembiante, sorgere ad abbracciare Virgilio, non appena l'ombra ignota che gli si accosta ad inchiederlo del cammino, gli si disvela concittadino.... « O Mantovano, io son Sordello, Della tua terra ». E l'un l'altro abbracciava. E in queli' istante che l'alta fantasia del vate divino unirà in un ideale amplesso l'anima lombarda e l'antico alunno di Roma, ai suoi occhi molli di lagrime apparirano sfumate all'orizzonte le pure linee dei colli fìesolani, da cui l'odio di parte lo teneva lontano. L'amor della piccola patria, ripeto, è stata fonte nobilissima, feconda e pura delle più nobili manifestazioni del genio italiano : come le terzine dell'Alighieri, dobbiamo a lui il Duomo di Milano, il campanile di Giotto, 1 cento mirabili templi, onde ancora esultano le città nostre, così belle e così lusinghevoli nella malìa de' profondi ricordi. Certo la pas- sione intensa recò anche i suoi danni ; congiunta alle cause politiche, agli avvenimenti non ponderati né ponderabili, rese più faticoso il cammino dell' idea nazionale, ritardò l'unificazione della penisola che altrove era stata più rapida, fomentò il regionalismo. Ma, benedetto l'amore al borgo, al villaggio, alle tradizioni semplici e caratteristiche, note per pia e quasi religiosa osservanza di domestiche consuetudini! Oggi a noi, sra- dicati, non rimane che la mesta cura di raccozzar quanto resta del passato, di coglierne gli echi sempre più languidi^ colla trepida speranza che l'irruente cosmopolitismo non ci tolga in breve ogni ricordo di una vita piena di bellezza, di grazia, di bontà. Il Valentuomo, del quale oggi qui si é voluto con nobile senso di gratitudine devota ricordare le singolari benemerenze (i), ha mostrato tutta quanta la vita (che fu lunga e serenamente operosa) quest' inalte- rabile attaccamento al patrimonio di memorie, di tradizioni, che gii avi ci hanno tramandato e che noi dovremmo, a nostra volta, trasmettere, ma non trasmetteremo, ahimé, integro, ai nepoti. Benché nato a Milano, ed alla città nostra, dalla quale mai non seppe staccarsi, affezionatissimo, Emilio Seletti ebbe sempre in cuore Busseto, la piccola e graziosa cittadina emiliana, donde i suoi erano oriundi, dove suo padre era stato cresciuto ed allevato con amorosa diligenza dallo zio canonico, Pietro, archeologo e filologo non oscuro; dove aveva la vecchia casa, dove ogni pietra (i) Quest'elogio è stato pronunziato nella Casa di Riposo per Musicisti il 5 aprile 1914, dietro invito della Presidenza, in commemorazione del primo anniversario della mone di E. Seletti, che era stato benemerito Presidenie della Casa stessa. NECROLOGIA 373 gli narrava la sua storia. E benché si dedicasse a varie occupazioni, e dagli studi legali, che abbracciò, traesse partito per assumere uffici fruttuosi, ed anche nel campo degli studi allargasse assai le sue perlustrazioni ed all'archeologia ed alla numismatica attendesse con singolare sol- lecitudine, tuttavia non dimenticò giammai di riunir e collegare quanti documenti, quanti ricordi gli si presentassero relativi a Busseto. La sua terra nativa non aveva mai trovato chi ne raccontasse le vicende gloriose o tristi attraverso i secoli ; il Seletti si propose di rimediare a questa dimenticanza ; ed infatti, quando dopo parecchi anni di tacita e laboriosa preparazione, ei si trovò a buon punto, diede mano a colorire l' impresa. E nel 1883 uscivano a Milano, per i tipi Bortolotti, tre volumi intitolati: La città di Busseto capitale un tempo dello Stato Pallavicino, Memorie storiche raccolte da E. S. Ed esse erano dedicate, " tributo d'amore e di " onoranza,,, all' " ottima madre „ dello scrittore. La città di Busseto, capitale un tempo dello Stato Pallavicino.... Busseto una capitale ? Sicuro, capitale microscopica di uno de' cento staterelli, in cui il feudalismo aveva sminuzzata l'Italia, ma insomma, ca- pitale. Ed è appunto questa dignità la quale a terre molto maggiori non è toccata, che ha dato alla storia del borgo posto sulle rive dell' Ongina, a pochi chilomeiri dal Po e da Cremona, che se ne vantava genitrice, un'importanza alquanto maggiore di quanto ci si potrebbe immaginare. A Busseto s'è venuta costituendo, già sul finire del secolo X, una dinastia baronale fiera e potente, che ha esercitato la sua azione sopra una gran parte d'Italia e non d'Italia soltanto: un Oberto di schiatta langobarda, ci si fa innanzi di fra la caligine del secolo X : conte di Palazzo, investito di larghissimi domini, padre di quattro figliuoli, da cui disceser le famiglie degli Estensi, dei duchi di Brunswick, dei Malaspina, dei marchesi di Massa, dei Pallavicino. Ed è appunto il potente marchese Adalberto II, fondatore vero della dinastia pallaviciniana, che agli inizi del Mille è in possesso di Soragna e di Busseto, di cui fabbrica la rocca, rimasta fin al 1851, anno in cui venne stoltamente distrutta, testimone dell'antichissima nobiltà del borgo. D'allora in poi la storia di Busseto si confuse con quella della famiglia che la reggeva : famiglia insigne per splendore di fatti, per valore guerresco ; ed il Seletti si è piaciuto far trascorrere dinanzi ai suoi lettori con forma piana e succinta i principali eroi concittadini : a cominciare da quell'Adalberto, che l'epitafio suo cele- brava come un nuovo Achille ed un Ettore redivivo, che aveva sgombrati i barbari d'Italia, lottando contro Corrado il Salico: pervenire a quell'Oberto che accompagnò Enrico IV a Canossa, e diede primo ai suoi discendenti quel soprannome di Pelavicino^ che ben riflette nella rude sincerità del significato, come questi signori fossero soliti ingrandirsi ed arricchire. Ma sa tutti i Pelavicini torreggia Uberto, il gran marchese, che, amico di Federico II, fu il suo destro braccio nella lotta contro i comuni lombardi : lo accolse ospite a Busseto durante l'assedio di Parma, e crebbe a tanta potenza da farsi signor di Cremona, e da infliggere ai Parmigiani, troppo orgogliosi della sconfitta data a Federico II, una rotta paurosa, 374 NECROLOGIA seguita da crudelissime rappresaglie. Alleato di Buoso da Dovara e di Ezzelino da Romano, Uberto resse Piacenza, Cremona, Milano, giunto al sommo d'una grandezza che forse non ebbe allora rivali. Uberto è il piìi grande certo fra i Pallavicini, e dopo di lui, lo storico di Busseto non ha più modo d'imboccar l*epica tromba: dopo la figura di quell'eroe dantesco, che fa meraviglia non vedere dall'Alighieri esal- tata anche con con un rimbrotto o una maledizione, la dinastia va oscurandosi in uomini di minore rilievo. Del resto, tutta la storia di Busseto impallidisce tra le piccole competizioni dei secoli XV e XVI : finché le mutate condizioni politiche della penisola non vengono a distruggere la minuscola signoria emiliana, incorporandola, mercè l'avidità de' Farnesi, allo stato di Parma. Anzi d'allora in poi Busseto non ha più storia. Ma, come osservava l'ottimo Bussetano, " l' importanza di molte " nostre città non sta sempre nella vasta estensione del territorio, o " nella moltitudine delle popolazioni loro, sebbene nella serie degli av- " venimenti, che in esse succedettero ; negli uomini illustri, che per mo- " destia o per contrari eventi, non salirono in fama oltre la cerchia " de* nativi castelli ; nei monumenti, infine, poiché le nostri arti la- " sciarono nobili impronte, si può dire,' ovunque fu qualche centro di " popolazione italiana „. Sicché, esaurita la narrazione degli avvenimenti politici, restava allo storico larga messe ancora da raccogliere ; e forse per lui come per i suoi leggitori la più ubertosa e la più grata. Si trattava difatti di mettere in luce con amorevole diligenza le forme più nobili ed elevate dell'attività intellettuale paesana : descrivere le opere geniali dei dotti, dei poeti, degli artisti. E Busseto in ciò non era davvero inferiore a verun'altra terra d' Italia Nel fulgore di gloria, che nei suoi tempi mighori ebbe ad irradiare dintorno a sé Parma, novella Atene, anche la cittadina emiliana fu ravvolta. Essa vide sorgere tra le sue mura un'accademia di lettere greche, l'Emonia; ed alle dotte riunioni prender parte uomini come i fratelli Vitali, l'abbate Eletti e, astro maggiore di tutti, Ireneo Affò. Né minor lustro le veniva da un altro suo figliuolo, quel bizzarro " Anonimo „ che illustrò la professione del cerretano e ne divulgò le lodi in tutt' Europa congiuntamente alle proprie (i). II. Pur non fu qui la sua « vera gloria „. Essa le é venuta dall'arte più fascinatrice : la musica. Uno scrittore straniero, in cui le doti più squisite della fantasia e dell'ispirazione poetica si accoppiano mirabilmente alle qualità di storico (i) Di Buonafede Vitali, l'autore della Lettera in difesa del Salinbanco, diretta a Scipione Maffei, morto il 2 ottobre 1745, il Seletti dà copiosi ragguagli nell'op. cit., voi. II, p. 139 e sgg. NECROLOGIA 375 e di critico, descrivendo, alcuni anni or sono, la giovinezza d Wolfango Mozart, ha tratteggiata una pittura incantevole della città dove il sommo musicista ebbe a vedere la luce. Il De Wizewa (giacché di lui appunto intendo parlare) ci presenta la vecchia Salzburg, chiusa dal severo cerchio delle sue montagne, irrorata dal Salzsbach, che la traversa impetuoso, come tutta fremente verso il 1756, l'anno in cui nella stretta Getreidegasse aprì gli occhi l'autore del Don Giovanni, d'armonie musicali. In quell'atmosfera tepida e molle, tuti' impregnata d'umidità, da ogni parte risonavan concerti ; alle melodie che uscivano dal maestoso palazzo del Principe Arcivescovo, o dalle sale delle ricche case patrizie, rispondevano i ritornelli strimpellati gaiamente nelle retrobotteghe dei mercanti della strada dei Grani. Dapertutto si improvvisavano concerti ed accademie ; negli ambienti più doviziosi come nei piìi modesti la musica costituiva il divertimento, il riposo, la consolaziono di tutta la vita. Dapertutto si era sicuri d' imbattersi in un pianoforte, in una spinetta, o, in mancanza di meglio, in una chitarra ; in uno, insomma, di quegli strumenti, vari di forma e di natura, che oggi riempiono la piìi grande e la più bella sala del Museo di Salzsburg, Vedendoli riuniti colà, pressoché tutti ammutoliti oramai, ma ben tenuti, lucidi, intatti, si pensa con meraviglia che hanno quasi due secoli di vita. E non ve n'é alcuno che sia di lusso: son tutti modesti; ma tanto più e' interessano, perchè rievocano più al vivo la familiare e placida esistenza di cui sono stati compagni e testimoni, e conservano più fedele l'eco dell'anima dei loro vecchi possessori, che fu semplice, borghese ed onesta al pari di loro! Or anche a Busseto noi potremmo con un po^* di fantasia applicare la smagliante pittura che il De Wizewa ha colorita di Salzsburg. Giacché come sulle rive del Salzsbach spumoso, si suonava e cantava assiduamente su quelle dell'Ongina, e non meno delle tortuose viuzze della città tedesca echeggiava d'armonie la larga strada fiancheggiata da portici, che divide in due il luminoso borgo emiliano. Busseto era fin dal Seicento un piccolo centro musicale. Fin d'allora due buoni cittadini. Fedele ed Apollinarda Vitali, avevano morendo lasciata un'annua rendita alla chiesa di S. Bartolomeo, perchè vi si istituisse un'orchestra vocale- istrumentale per accompagnare le funzioni religiose. La Cappella, così stabilita nel 1627, continuò a vivere d'allora in poi; anzi, grazie a nuovi lasciti, si potè più tardi affidare al maestro che la reggeva, l'incarico obbligatorio d'erudire i giovani del paese nell'arte dei suoni. E per questa guisa, come il Selciti ci narra, era seguito che da Busseto uscissero senza posa dei valenti allievi che s'acquistavano lode nell'esercizio della musica. Così per più di dugent' anni si mantenne colà il culto della gaia scienza che raggiunse il suo apogeo al principio dell'Ottocento, quando la liberalità illuminata di Antonio Barezzi finì col trasformare Busseto in una vera accademia di Filarmonici. " Non un Bussetano (esclama il buon Seletti) che non sapesse di musica ! „. O non avevo dunque ragione di chiamar Busseto la Salzsburg ita- liana. Se la città tedesca nel 1756 vedeva nascere Mozart, la emiliana, cinquantasett'anni più tardi, dava la vita a Giuseppe Verdi. 376 NECROLOGIA III. E' bello, è commovente ricercare le tracce della cura benevola, onde l'entusiasmo musicale della Busseto del tempo, circondò gli inizi del suo grande figliuolo, e nel contadinello nato nell'umile osteria delle Roncole, presagì una gloria futura dell'arte. I filarmonici municipali, dai più au- torevoli ai più umili, gli si fanno intorno amorosamente ; il Barezzi^ checché siasi favoleggiato in argomento, certo senza veruna fatica si indusse ad accoglierlo in sua casa, poiché questa era, come il Seletti, che la sa lunga in proposito, ci afferma : " gratuito conservatorio di mu- " sica „ ; e lo soccorse poi con liberalità inesauribile, e finì col dargli ciò che aveva di più caro al mondo, la sua figliuola. iVla come ci piace anche quel semplice Stefano Cavalletti, che nel '21 si affaticava dattorno alla rustica spinetta destinata ai primi tentativi del Verdi fanciullo, e dopo averne rifatti i saltarelli, " impenati a corame „ ed adattata anche la " pedagliera „, si dichiarava con gravità ben pagato dell'opera sua, poiché aveva veduta " la buona disposizione del giovinetto „ ad impa- rare la musica! Povero Cavalletti, egli era come la vedova del vangelo: aveva portato in offerta il suo minutum, e quel minutum gli ha certo conquistato grazia in cielo e gliela mantiene presso di noi! Qualità parte in questa gara di liberalità modesta, senza ostentazione, ma anche più preziosa, abbian avuta i Seletti, io non starò a ripetere qui. Presso il concittadino domiciliato a Milano, il professor Giuseppe Seletti, padre d'Emilio, Giuseppe Verdi dicianovenne trovò la più cordiale ospitalità, quando ottenne di portarsi qui per continuar gli studi: e forse fu la buona signora Augusta, la genitrice d'Emilio, che coi materni suoi conforti temperò l'amarezza dei giovine respinto agli esami. E il dabben professore, che cercava conforto alle noie dell'insegnamento ginnasiale nella poesia e nella letteratura, e che ricordava le belle tragedie rimaste inedite ne' suoi cassetti, scritte a Busseto, quand'era Dasindo Uraneo e Vice custode dell'Emonia, avrà sospirando ricordato all'esordiente come la carriera artistica fosse pur troppo piena di spine ! Così in quell'atmo- sfera domestica ed affettuosa il Verdi riprendeva coraggio. E più tardi fu ancora l'ospitale casa dei Seletti, donde il buon professore s'era im- maturamente dipartito, che accoglieva il giovane maestro, felice della sua unione con Margherita Barezzi, e ne ascoltava ben presto i singulti disperati, poiché fortuna crudele gli strappava a un tempo dalle braccia e la sposa e i figliuoli. Della gloria di Giuseppe Verdi Emilio Seletii, che l'aveva veduta crescere e ne seguì con animo commosso la mirabile ascensione, fu celebratore fervoroso e costante. Ma egli era al pari del suo amico, d'una tempra schietta e rude: che non poteva piacersi della gaz- zarra invereconda con cui dai molti si va cercando la fama; o per dir meglio la scimmia della fama, la popolarità (che è cosa ben diversa NECROLOGIA 377 dalla fama), che dura un giorno, ed è, come dice il vecchio proverbio toscano, simile al vin di fiasco,: la mattina buono e la sera guasto. Il Seletti si sforzò sempre di dimostrar al Verdi una devozione intensa ; gli fu, sinché visse, di aiuto e di consiglio in molte e gravi faccende; e come si piacque erigergli un modesto monumento nel secondo volume della sua Città di Busseto, narrandone i casi ed illustrandone le opere, così, lui spento, in questa Casa di Riposo pei Musicisti diede opera diligente ed amorosa per costituire il Museo Verdiano, impareggiabile complesso di documenti, e di ricordi, dei quali sembra uscir fuori, rediviva, la immagine del Genio che seppe con le note tradurre i singulti d'Otello e le risate di Falstaff. E' dunque ben giusto che quest'ultima sua pie- tosa fatica venga solennemente riconosciuta e lodata: è giusto che un ricordo duraturo rimanga ad additare ai visitatori quest' illuminata e sconfinata devozione che volle estrinsecarsi in tante guise e che all'ul- timo ambì manifestarsi erigendo un monumento nel monumento, e nella sala del Museo restringere i testimoni di quella gloria che aveva veduta " sorgere, brillare, immortalarsi „. Così operando, l'illustre Consiglio d'Amministrazione ha compiuto e nobilmente compiuto il proprio dovere, riconosciuti i meriti del suo compianto Presidente, dell'amico, del cooperatore. Ma Emilio Seletti ha già la sua ricompensa e così fulgida, così bella, che niun'altra potrebbe pareggiarla mai. Piìi d'una volta, vi sarà accaduto, visitando una insigne pinacoteca , d' abbattervi ad un quadro ove sia raffigurato qualche illustre personaggio, di cui il nome basta per farvi restar inamobili, sui due piedi, a susurrar tra voi: " Egli era dunque tale? „. E spesso dietro questa figura, che occupa lutto il dinanzi della tela, e vi affascina, o severa o soave, o sorridente o pensierosa, vi sarà accaduto di vederne delineata un'altra, nello sfondo, in una penombra discreta: un viso ignoto, dolce e buono, cogli occhi rivolti all'altra immagine in atto d'amichevole e piena dedizione. Chi sarà egli mai ? Qual cuore ha battuto sotto quelle spoglie modeste ? La storia non ce ne dice nulla (troppe altre cose dee ricordare la storia) o ci ripete un nome che non risveglia alcun'eco in noi. È l'amico, il " necessario „, come si dicea dai Latini, colui che confortò ii grande nelle tristezze e nelle sventure, con- divise le sue gioie. Questa parte toccherà in avvenire al Seletti. Si dirà di lui: " fu l'amico di Verdi „. E niun elogio potrà esser mai para- gonabile a questo. IV. Pagato con la stampa dell'opera sopra Busseto il suo tributo alla patria, il Seletti si rivolse con ardore rinnovato a quelle discipline archeologiche che preferiva. Entrato fin dal tempo della fondazione, a far parte della Consulta Archeologica; chiamato poi a lavorare nella Commissione per il Museo Municipale d'Arte, egli si diede con singolare 37^ NECROLOGIA attività ad arricchire il patrimonio de' patri monumenti, esplorando at- tentamente la città ed il suburbio in traccia di lapidi, di frammenti, di memorie d'ogni genere. E quando le collezioni archeologiche dal Governo cedute al Comune passarono nel Castello, il Seletti si dedicò con ardore al loro riordinamento. Frutto di quest'attività bene impiegata rimangono due volumi, che il Seletti pubblicò a proprie spese colla collaborazione di V. Forcella, Le Iscrizioni Cristiane di Milano anteriori al IX secolo ed I Marmi scritti del Museo Archeologico di Milano^ usciti alla luce rispettivamente nel 1897 ^ ^^' 1901. Entrambe queste opere hanno reso de' servigi segnalati agli studiosi ; ma non faremo certo offesa alla memoria del nostro compianto amico, e collega, lamentando ch'egli troppa stima facesse del collaboratore che s'era scelto, il quale, pur troppo, ben diversamente da lui, era animato non già da ideali scientifici, ma da fini bottegai, e mal rispose spesso alla fiducia addimostratagli. Ad ogni modo i due volumi pubblicati a cura del nostro Seletti costituiscono ancora il più solido o, per dir meglio, l'unico lavoro di ca- rattere illustrativo e scientifico che in tanti anni sia comparso alla luce intorno alla ingente suppellettile monumentale ed artistica del Castello Sforzesco. Del suo attaccamento alla città nativa il Seletti ha voluto dare un'ultima e preziosa testimonianza col legare morendo le varie sue collezioni a parecchi fra gli Istituti scientifici comunali. E così, come la raccolta archeologica è entrata ad arricchire il Museo Artistico del Castello, la biblioteca è passata a far parte della libreria Comunale, gli autografi e i manoscritti son venuti in possesso dell'Archivio Storico Civico. E dapertutto rimarranno monumento della operosa diligenza del loro raccoglitore. Il quale si è spento con filosofica serenità, rassegnato ad una necessità ineluttabile, di cui da lungo tempo attendeva con animo sicuro l'evento. La morte dell'ottimo collega è stata così degno coronamento d'una lunga vita, bene spesa, in onorati esercizi: ed a me essa ha richiamato al pensiero una stampa tedesca di mezzo secolo fa, uscita dalla pensosa matita del Retel. Rappresenta dessa l'interno d'una vecchia torre; il campanaro, grave d''anni, è asceso, come sempre, lassù al cadere del giorno, per suonare VAve Maria, e, stanco della faticosa salita, s'è abbandonato sopra un vecchio seggiolone, vicino alla finestra. E' l'ora del tramonto; il sole declina dietro il colle ed illumina con gli ultimi raggi la campagna fiorente e calma; un cardellino posato sul davanzale, trilla il saluto al giorno che scompare.... E il buon vecchio cede al sonno, sonno che non avrà risveglio. Uno strano aiutante difatti si è a lui sostituito nell'opera quo- tidiana; la Morte incappucciata ha preso il suo luogo..,, è lei che suona YAve Maria,... Così muore il giusto; così è morto Emilio Seletti, plenus dierum. Pace ed onore alla sua memoria venerata. F. NOVATI. NECROLOGIA 379 Elenco degli scritti a stampa di Emilio Seletti (i) 1. Commemorazione del pittore Stefano Bareg^i da Busseto. Milano, tip. Colombo, 1859. 2. Appendice documentata alla commemorazione del pittore Stefano Bareggi. Milano^ tip. Colombo, 1859. 3. Parole lette sulla tomba del conte Massimiliano Cesare Stampa marchese di Sonano. Milano, tip. degli Ingegneri, 1876. 4. Iscrizioni alla memoria di alcuni personaggi dell'illustre casato dei conti Stampa marchesi di Sonano. Milano, tip. Editrice Lombarda, 1877. 5. Lettera al prof. G. Mongeri sulla fondazione della chiesa di Baggio, in BuUettino Cons. Arch., II, 1875, p. 12. 6. Lettera alla Consulta Archeologica circa alcune lapidi spettanti al monastero di Chiaravalle, in B. C. A., II, 1875, p. 11 1. 7. Lettera a proposito di un documento in cui è ricordato Leonardo da Vinci, in B. C. A., II, 1875, p. 114. 8. Lettera a proposito della scoperta di una Necropoli a Terrazziamo, in BuUettino Cons. Arch., III, 1876, p. IO 3. 9. Lapide al conte G. Porro Lambertenghi, in qaQSt\4rchivio^ XIII, 1886, p. 732, 10. La città di Busseto capitale im tempo dello Stato Pallavicino. Milano, tip. Bortolotii, 1883, tre voli. 11. Scrittura del Questore Casnedi al Gran Duca per li soccorsi allo Stato di Milano. Milano, tip. Bortolotti, 1884. li. Necrologio di M. Cafi, in ({\xtsi' Archivio, XXI, 1894, p. 303. 13. Necrologio di D. Muoni, in quesi* Archivio, XXI, 1894, p. 533. 14. (E. Seletti e L. Beltrami). L'arco dei Fabbri, antica pusterla di Milano, in (\\itsx^ Archivio, XV, 1888, p. 372. 15. Iscrizioni Cnstiane in Milatio anteriori al IX secolo, edite a cura di V. Forcella e di E. Sdetti. Codogno, tip. Editrice di A. G. Cairo, 1897, in-4, p. 278. 16. Marmi scritti del Museo Archeologico. Catalogo. Milano, tip. Confalonieri, in-4, pp. 348. 17. Giuseppe Verdi bielle memorie del suo Museo, Catalogo, in Casa di Riposo per Musicisti: Fondazione G. Verdi. Milano, officine G. Ricordi & C, s. a., pp. 5 3-66. (i) Si escludono dal presente Elenco le Relazioni ed i Verbali della Società Storica Lombarda ch'egli scrisse e inseri nei volumi di quQsV Archivio, dal 1886 al 1897, perchè già indicati negli Indici del periodico. O B» E? I« Et pervenute alla Biblioteca Sociale nel I semestre del 1914 Beltrami L., Elogio di Galeazzo Alessi da Perugia di Filippo Alberti, per Nozze Annoni-Morelti. Milano, tip. 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ARCHIVIO STORICO LOMBARDO ARCHIVIO STORICO LOMBARDO GIORNALE DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA SERIE QUINTA ANNO XLI — PARTE SECONDA MILANO SEDE DELLA SOCIETÀ Castello Sforzesco LIBRERIA FRATELLI BOCCA Corso Vitt. Em., 21 1914 La proprietà letteraria è riservata agli autori dei singoli scritti IL DUCATO DI BARI sotto Sforza Maria Sforza e Ludovico il Moro (da documenti inediti del R. Arciiivio di Stato, dell'Ambrosiana e della Trivulziana in Milano) Sommario : I. Concessione del ducato. — II. Valore della concessione e presa di possesso. — III. I castelli di Bari e di Palo del Colle. — IV. Il governatorato di Azzo Visconti rispetto all'amministrazione, ai privilegi, allo stato economico e commerciale ed a speciali avvenimenti di Bari, Modugno e Palo. — V. Matrimonio e divorzio di Sforza Maria Sforza con Eleonora d'Aragona ed esilio del duca a Bari. — VI. Successione di Ludovico il Moro; nuovi governatori e vicende del ducato durante e dopo la calata di Carlo Vili ; fatto d' arme presso Toritto, Grumo e Binetto. I. Concessione del ducato. 1^ 1°^- -^- g -T^'>— A concessione del ducato di Bari fatta da Ferdinando I d'Aragona agli Sforza, sul principio della seconda metà del secolo XV, ha notevole importanza per le circostanze da cui venne determinata e per T influenza esercitata nelle relazioni fra Milano e Napoli. Conchiusa la pace di Lodi nell'aprile del 1454 e costituitasi la lega italica nell'agosto dello stesso anno, il duca Francesco Sforza ritenne, con giusta ragione, che, senza l'adesione degli aragonesi alla lega, non era possibile escludere vigorosamente l'ingerenza straniera dagli affari politici della penisola. Le sue pratiche ebbero pieno successo nell'aprile del 1455, e condussero a rendere l'unione vieppiù solida con le trattative, iniziate nel successivo mese di 390 NICOLA FERORELLI luglio, di due matrimoni fra Ippolita Sforza e Alfonso d'Aragona, e fra Eleonora d'Aragona e Sforza Maria Sforza. I contratti di nozze si stipularono nel 1457, e con essi si convenne, fra l'altro, che Eleonora avrebbe ricevuto in dote, due mesi prima di andare a marito, quarantamila ducati ed una « certa intrata annuale », per vivere a corte « honorevolmente w (i). Quali benefici effetti recassero agli aragonesi tali vincoli è generalmente conosciuto. Senza la forte e sincera amicizia di Francesco Sforza, re Ferdinando difficilmente avrebbe conservato il regno durante la prima congiura dei baroni, quando Giovanni d'Angiò vi scese a contendergli il trono. Sconfitto a Sarno nel 1461, egli si rese subito conto del maggiore pericolo che gli creavano gli intrighi con cui Luigi XI di Francia si adoperava a strappargli l'appoggio del pontefice e dello Sforza. Certo, del pontefice conosceva i tentennamenti, e, quantunque, verso la fine dell'anno, vi fosse una sosta nella campagna apparentemente a suo favore, dovette riconoscere inevitabile la sua rovina, qualora lo Sforza gli venisse meno. Gli occorreva quindi nulla lasciare intentato per non perdere così valido baluardo. E, senza dubbio, non altro bisogno lo spinse sul principio del 1462 ad invitare, con le più tenere e più affettuose espressioni, Sforza Maria Sforza a recarsi a dimorare nella corte di Napoli ed a promettergli « talle stato che V. Ex. ne sera ben contenta w. Se l'ofi'erta può mettersi in rapporto con l'obbligo di costituire a sua figlia Eleonora un'annua rendita, ai termini del contratto nuziale del 1457, non è a dire che nel '62 si parlasse o vi fosse la possibilità dell'unione coniugale dei due sposi, stante la loro tenera età. Ad ogni modo, promise di dare al genero « per uno principio.... u tucto lo stato che el principe de Rossano tene in Calabria, cioè « lo principato de Rossano, lo ducato de Squillacio et lo contato « de Montalto con tutti altri luoghi et terre che esso principe de « Rossano possedè in dieta provincia », e « cum el tempo assai ma- (i) Reg. Due, A. n. I alias RR., e. 52 e sgg. ; Potenic Sovrane, Sforza Maria, , 19 agosto 1464. IL DUCATO DI BARI SOTTO SFORZA MARTA SFORZA, ECC. 393 una di esse era Gioia del Colle. È ricordata in cifra in una lettera del 26 settembre 1464, a proposito della sua « bella forteza », e del bisogno di provvedere ad un altro castellano, oltre a quelli di Bari e di Palo (i). Ed è anche fuori di dubbio che tre furono le città che dalFAcquaviva dovevano passare allo Sforza. Di Conversano, già ricordata e della cui unione a Bari si era dato affidamento, non trovasi più cenno. Invece, nel 14 gennaio 1465, lo stesso Da Trezzo riferiva a Milano di avergli alcuni osservato « che se cum questo ducato se gU havesse potuto agiungere Be- « teta et Cassano, seria uno bellissimo stato, et meglioraria molto « de intrata, perchè quelle sonno due bone cose ». Ma, se egli rispondeva loro che « non gli bisognava fare penserò, perchè erano « del conte Julio », è opportuno considerare che scriveva ciò nella chiestagli relazione sui redditi e sulle spese del ducato e che accennava a Bitetto e Cassano dopo Bari, Modugno e Palo. Dato il riserbo richiesto dall'affare, e dovendosi, d'altro canto, dire pure qualche cosa sul resto del dominio, si renderebbe alquanto attendibile l'ipotesi che quelle fossero le due città di cui ignorasi il nome. Aggiungasi che, nel riepilogo finale della relazione, si affermava che circa la « giunta che V. S sa.... queste altre terre •♦ tute confinano con Bari » (2). Perciò è che, nel 29 agosto 1464, potevasi comunicare al duca di avere il re ricevuto le lettere speditegli in ringraziamento di quanto erasi degnato di fare « verso lo 111. Sforza Maria in crearlo u duca de Bari et darli la possessione del ducato cum adiungerli « quelle cinque terre », ossia Modugno, Palo, Gioia e, forse, Bitetto e Cassano. In quel giorno, inoltre, erasi già compilato « lo priviu legio del dicto ducato », e se ne inviava a Milano la copia, mentre non era parso a Sua Maestà e all'ambasciatore di mandarne «< l'ori- « ginale, perchè non essendo el camino qua nel reame ben securo « per lo robare che se fa, et venesse lo cavallaro per desgratia « male capitare, trovandose dicto privilegio quale porla capitare « in mano del conte Julio, se haveria ad seguire grande scandalo « per respecto ad quelle tre terre che la S. V. sa, le quale manco M ho poste in dieta copia : ma quando el signor re se ritrovarà in « loco che ad mi para poterlo mandare securo, lo mandarò ". Ed (i) Fot. Est. Nap., « apud Pallietam », 26 settembre 1464. (2) Fot. Est. Nap., Venosa, 14 gennaio 1465. 394 NICOLA FERORELLI aggiungevasi che frattanto « la Ex. V. ad suo piacere et voluntà, « et così me ha dito el signor re eh' io scriva, pò mandare ad pi- « gliare la tenuta de Bari, Modogno et Palio, ad le quale terre, et « precipue a Bari, Sua M.^à dice non haverli posti officiali né ca- « stellano fermi, aspectando che la Ex. V. le mande ad fornire ». Viceversa delle altre tre città non bisognava parlare prima che non si « adaptarà el facto del conte Julio » (i). Come intanto si prometteva, il privilegio originale della concessione del ducato fu mandato a Milano nel io settembre 1464 per mezzo del cavallaro Battistino (2). Ma esso porta la data del 9 settembre, non del 29 agosto, ed accenna soltanto a Modugno e Palo, senza menzionare le altre tre terre. È quindi da ritenerlo una seconda redazione di quello del 29 agosto, fatta previo il ducale consenso alla nota omissione e fermo sempre restando il proposito di ottemperare a tempo propizio alle promesse esposte; senza di che nel 26 settembre non si sarebbe accennato alla fortezza di Gioia ed alla necessità di un altro castellano, ne si sarebbe riparlato del male portamento delFAcquaviva e dell'intenzione di spogliarlo dei suoi beni. Senonchè sembrerebbe che Ferdinando d'Aragona avesse in animo di non concedere altro. Sta il fatto che, sebbene il DaTrezzo confidasse ancora nel 4 ottobre 1465 di ottenere quanto erasi convenuto e, nel 1466, il governatore del ducato, Azzo Visconti, brigasse per annettervi Corato (3), Valenzano, Bitritto, Triggiano, Capurso, Loseto, Ceglie e Carbonara (4), in sostituzione delle terre delFAcquaviva, già tornato nelle grazie del sovrano, null'altro fu più aggiunto alle tre città di Bari, Modugno e Palo in favore del primo duca Sforza Maria Sforza. II. Valore della concessione e presa di possesso. Il privilegio del 9 settembre 1464 non è andato perduto, come alcuni hanno ultimamente asserito, ma conservasi in copia nell'ar- {i)Pot. Est. Nap., e apud Guastum Amonis », 29 agosto 1464. (2) Pot. Est. Nap., « apud flumen Asinelle », io settembre 1464. (3) Pof Est Nap.j Bari, 15 maggio 1466. (4) L. Pepe, Storia delle successioni degli Sforzeschi negli stati di Puglia e Calabria, Bari, 1900, p. 7. Cfr. Pot. Est. Nap., Venosa, 13 gennaio 1466. IL DUCATO DI BARI SOTTO SFORZA MARIA SFORZA, ECC. 395 chivio di Stato in Milano insieme con gran parte del carteggio e degli atti riguardanti le vicende del ducato (i). In esso Ferdinando d'Aragona dichiara che ha Sforza Maria Sforza fra le persone più care e sempre lo ha amato e tenuto in luogo di figlio al pari di Eleonora, promessagli in isposa, sia per il vincolo di parentela, sia per la sua indole singolare e sia per gli innumerevoli benefici ricevuti dal padre Francesco, benefici tanto grandi, « ut orationi « digne complecti nequeant ", ed a causa dei quali si professa obbligatissimo e nutre il proposito di mostrarsi in seguito vieppiù grato. Perciò ben volentieri dona in perpetuo a lui ed ai suoi legittimi eredi e successori di entrambi i sessi la città di Bari e le terre di Palo e Modugno con i loro castelli, casali, uomini, vassalli, redditi dei vassalli, feudi, feudatari, subfeudatari, angari, perangari, dogane, diritti delle dogane e qualsiasi altro diritto derivante dall' utile dominio, con le case, possedimenti, oliveti, vigne, giardini, ecc.' ecc., col banco della giustizia per la cognizione delle cause civili e gli altri diritti, giurisdizioni, ragioni, ecc. spettanti di consuetudine e di legge o in altro modo alle dette terre, e con titolo di ducato. Dichiara poi di considerare la donazione alla stregua di feudo nobile, con l'obbligo del servizio feudale o adoa, con la giurisdizione civile e criminale, con la piena potestà del mero e misto impero e della spada, e con l'esercizio della medesima giurisdizione mediante ufficiali fedeli e provvidi, e giudici, assessori e notai di atti. Rendendo ciò a tutti noto, ed annullando qualsiasi altra anteriore disposizione contraria alla presente, accorda che Sforza Marin e i successori portino il titolo di duca di Bari in tutti gli atti e scritture, e godano dei favori, libertà ed onori dei baroni e dei duchi, ma si riserva i servizi a lui ed agli altri eredi dovuti secondo l'uso e la consuetudine del regno, e tutti quegli altri diritti spettanti a lui ed alla sua curia per ragione del supremo dominio, come ha già e deve avere in dette terre e nelle altre del regno. Si riserva inoltre i giuspatronati e i benefici delle cappellanie e le collazioni e le presentazioni delle medesime. Infine prescrive di denunziare in Curia la (i) Pepe, op. cit,, cap. I, e L. Rollone, recensione del lavoro del Pepe, in q\iesi'A''chivio, XXIX, 1902, pp. 412-422. 11 Pepe non credette opportuno fare riceche nell'archivio di Stato di Milano, ed il Rollone, che vi fu, non riusci a trovare che pochissimi documenti. 396 NICOLA FERORELH morte di ogni legittimo duca, di prestare omaggio e giuramento di fedeltà e di pagare un annuo tributo (i). Questi i termini essenziali della concessione. Naturalmente si volle presto conoscere anche l'entità dei redditi e delle spese. Nel 14 gennaio 1465, il Da Trezzo ne mandò da Venosa una relazione, attenendosi a quanto gli avevano riferito messer Antonio Guindano, fratello del reverendo fra Gabriele, e messer Antonio da Elio, primi segretari del defunto principe di Taranto, ed unendovi le informazioni avute da Giacomo Facipecora che era stato al servizio dello stesso principe. Ma, a dare un quadro ordinato e meno monco, bisognerà tener anche presenti le notizie forniteci dai privilegi di Bari approvati nel novembre del 1463. Scriveva che « non se poria determinatamente dire la intrata « de Bari è tanta : perchè la dogana non valle sempre ad uno « modo, ma comunemente computando l'uno anno cum l'altro, valle « sey in septemila ducati, et quando più », a seconda che « li u mercadanti siano ben veduti et accarezati ». Per aumentarne gli incassi occorreva ordinare che « tuti li oley che nascono nel du- « cato non se habiano ad infondecarse che a Bari >», come faceva il principe. A costui i cittadini solevano donare ogni anno nel giorno di Natale trecento ducati « per strena >» (2). Di altre entrate non era da fare stima. 11 castellano percepiva settanta ducati all'anno, aumentati a centoventi dal re, il quale teneva trenta uomini d'arme o « paghe », a due ducati « per paga » al mese, e provvedeva a tutte le spese (i) Reg. Due, P. alias Q., e. 290 e sgg. « Privilegium ducatus Bari Ser.™' « Regis Ferdinandi in IH. Sfortiam Mariam Vicecomitem eius generum ». Riportiamo l'ultimo tratto : « Datum in nostris felicibus castris propre Castrum a Amonis per nobilem et egregium virum Benedictum de Balsamo de Pedec monte locumtenentem spectabilis et magnifici viri Honorati Gaietani Fundorum a comitis, huius regni logothethe et prothonotarii, collateralis consiliari! et fidelis « nostri plurimum dilecti, die octavo mensis septembris MGCCCLXIV regnorum a nostrorum anno septimo. Rex Ferdinandus — Inichus Mag. Camer. — Regi- « str. in Cane, penes Cancellarium in registro septimo ». Si osservi che l'atto è del 9 settembre, non dell'S, come è qui riportato. L'errore devesi al copista della cancelleria sforzesca. Nell'originale la data era in cifre romane, Villi, ed al copista dovette sfuggire l'ultima asta. (2) Nei privilegi del 1463 e nel carteggio del 146 j si accenna soltanto a duecento ducati. IL DUCATO DI BARI SOTTO SFORZA MARIA SFORZA, ECC. 397 del castello. Gli stipendi del capitano e degli altri ufficiali erano a carico dell'università. Il capitano riceveva allora trentacinque once all'anno, pari a duecentodieci ducati, mentre riusciva a pren- derne soltanto diciotto dal principe, giacché questi riteneva per sé dodici delle trenta once date dall'università. Certo, tenuto conto degli stipendi comunemente pagati, sembrerebbero esorbitanti duecentodieci ducati al solo capitano, se non risultasse che essi venivano divisi con l'assessore e col mastro o maestro d'atti. Gratuita era l'abitazione. Per provvedere a questi emolumenti ed a quelli dei « surgenti overo servienti w, dei maestri giurati, dei guardiani delle porte di mare e di terra e di altre persone, l'università riscuoteva, per mezzo di due commissari, i proventi delle cause civili e criminali, lasciando a favore del regio fisco quanto dovevasi per delitto di eresia, di lesa maestà, di sangue, di furto e di omicidio. Incassava anche i diritti di carcere : cinque grana se il carcerato fosse barese, dieci se forestiere, e per chiunque tari cinque, se si andasse nelle prigioni del castello. Sulle pene pecuniarie derivanti da istrumenti o altre obbligazioni, si riservava tre tari per oncia, e su quelle del « periurio » o del « giuramento » cinque tari per oncia. Altri proventi traeva dai dazi e dalle gabelle, come pure dalla bagliva col suo banco di giustizia. Palo aveva « intrata de oglio » circa mille e duecento ducati, e cioè mille ducati quale prezzo di duecento salme annue date da circa diecimila « pedi de olive » di un feudo, e ducati duecento « per essere tuti li citatini tenuti a macinare loro olive allo tra- « pito del signore w. Inoltre la « ballia » si vendeva venticinque once all'anno, e da grani e censi potevansi ricavare altri cinquanta ducati. Il castello era a cura del sovrano che vi aveva venti « paghe " a due ducati l'una, mentre sotto il principe il castellano riceveva trentasei ducati all'anno, ed i soldati avevano un ducato e mezzo al mese con grano e vinu. Al capitano l'università passava cinquanta ducati che riducevansi a trentasei, se consegnati al principe. Questi percepiva i proventi delle cause civili e criminali. Poco prima il re aveva concesso ad " uno domino Angelo de Juvenazo » il feudo di « Reharo », da cui ricava vansi da duecento a trecento ducati all'anno, ma potevasi ricuperare. Modugno invece era « terra grassa, grossa et importante, ma « quasi de nulla intrata ». Tenuto conto di tutto, anche della u giunta che V. S. sa », 398 NICOLA FERORELLl ossia dei redditi delle altre tre città, si raggiungeva circa la somma di dodicimila ducati all'anno, e Sforza Maria Sforza avrebbe così avuto « uno bono et bello stato, per la reputatione et importantia « de Bari, che è una digna terra, disposta ad fare cose assay « quando bisognasse » (i). Tuttavia tale preventivo dovette presentarsi abbastanza ridotto quando, più tardi, si trattò di andare a prendere possesso delle sole tre note città del ducato. Il Da Trezzo, sempre vigile, fece allora, come asseriva nel 29 settembre del 1465, « cum bone et « honeste parole intendere alla M.^^ del Re che nel privilegio de la « concessione de Bari non se contene che '1 gli conceda altro se « non comò generaliter se concede all'altri baroni, excepto che li « concedeva la dohana », e pregavalo che « gli piacesse ingras- « sarlo meglio et adiungerli li fochi, perchè quello faceva in questo « lo faceva ad un suo figliolo -. E ne ebbe risposta affermativa con nuove larghe promesse, giacché il sovrano gli assicurava che H quando questo non bastasse, sa che '1 carico suo è di providere « in tale modo ad esso signor Sforza et sua figliola, che possano « vivere comò richiede la condizione df. ogniuno de loro, et che « tanto gli mancarà quanto mancasse al ducha de Calabria suo fi- « gliolo ». Infatti fu subito redatto il privilegio con cui concedevansi « li fuochi et lo salle », il che aumentava le entrate « de « parecchie et parecchie centenara de ducati » (2). Da quanto si è esposto risulta che, non ostante l' insistenza di Ferdinando d'Aragona, decorse più di un anno dalla concessione del 9 settembre 1464 alla data della presa effettiva di possesso. Da una parte vi contribuì la promessa dell'aggiunta di nuove terre, promessa eh' era intimamente legata con le vicende della guerra, dall'altra vi concorsero le trattative per la celebrazione dei matrimoni convenuti, sebbene da Milano si affermasse sempre di avere più a cuore la suprema e totale vittoria del re. Certo non devesi negare che tale vittoria costituisse per Io Sforza la migliore garanzia per l'avvenire dei suoi due figli, ne può escludersi che in egual misura gli premesse il trionfo della saggia e forte sua poHtica italiana. Si consideri che, alla notizia dell'acquisto delle (1) Pot. Est. Nap., Venosa, 14 gennaio 1465, e « Polisa » del Faci pecora ; Gov., Feudi Imp., Bari, Capitoli vecchi. (2) Pot. Est. Nap., Napoli, 29 settembre e 4 ottobre 1465. IL DUCATO DI BARI SOTTO SFORZA MARIA SFORZA, ECC. 399 terre e dei beni del principe di Taranto, ritenne ciò « cosa piutosto « miraculosa et data da Dio che per virtù huinana », e scriveva al Da Trezzo : « Pensa tu stesso, Antonio, quanta pò essere stata « et sii ogni dì più l'alegreza et consolatione nostra che in un « tracto et in un puncto inopinato et insperato sia seguita tanta « Victoria et felicità et exaltatione alla M.^à ^lel signor Re, che sola « habii posto el sigillo et data la totale Victoria de quello reame, « et rivoltate le cose de S. M.^à ^ja tribulatione et travaglio in u quiete et pace » (i). E nell'ottobre del 1465 asseriva con viva soddisfazione essere « le cose de quello reame reducte in modo « che tucte le scripture et profecie sonno Deo dante reuscite al de- « siderato fine et bene, quiete et perpetuo stabilimento del stato di « S. M.tà » (2). Ma già Ferdinando d'Aragona riteneva sin dal giugno del 1464 approssimarsi « el tempo de potere col nome de Dio metere ad u effecto li parentati contracti, maxime perchè spera cum la gratia « de Dio le cose del regno serano poste in talle effecto che se « potrà vivere cum piacere et senza una malinconia né affanno w; e proponeva la prossima primavera(3). Rimandato questo termine al giugno del 1465 (4), si giunse poi al settembre, quando alla volta di Napoli partirono con gran seguito Ippolita, Filippo Maria e Sforza Maria Sforza (5). Celebrato e consumato, fra memorabili e solenni feste, il matrimonio di Ippolita col duca di Calabria, Sforza Maria che allora (i) Poi. Est. Nap., Milano, 50 dicembre 1464 (minuta). (2) Ibid., 21 ottobre 1465 (minuta). (5) Pot. Est. Nap., , 29 agosto 1464, e Napoli, 14 settembre 1465. ' 400 NICOLA FLRORELLI contava appena sedici anni, fu creato duca di Bari; e, come erasi stabilito, si sarebbe messo subito in viaggio per andare a prendere personalmente possesso del ducato, se la nuova di alcuni casi di peste ivi constatati non l'avesse indotto a tornare invece a Milano con Filippo Maria (i). Per lui fu mandato il governatore Azzo Visconti il quale, a tenore delle istruzioni date al Da Trezzo, partì da Napoli verso il 5 ottobre * cum tute le expeditione necessarie « per habere la libera et expedita posessione del tuto » e con u quelli ricordi, advisi et monitione w che sembrarono dovessero « essere casone de satisfare alla M.^à del re, allo 111. signor duca « et ad sì medesimo w (2). E il giorno 12 ottobre, di sabato, fu celebrata a Bari la cerimonia della consegna del ducato nella chiesa di S. Nicola, presso l'altare della Croce. Sedutisi, a destra dell'altare il magnifico uomo Petromarco De Giptiis di Teano ed alla sinistra Azzo Visconti, presenti il clero, numerosi testimoni, i sindaci eletti dai nobili e dai popolani e molti altri intervenuti, il Visconti consegnò al De Giptiis una lettera del 27 settembre 1465 con la quale il sovrano notificava a costui di aver concesso il ducato allo Sforza con privilegio del 9 settembre 1464, e con conferma del 27 settembre 1465, e gli dava incarico di provvedere, quale regio commissario, al doppio giuramento dovuto per la circostanza dalle tre città. Poscia lo spettabile dottore Giorgio di Castiglione, vicario del Visconti (3), lesse una seconda lettera con la quale, in data 3 ottobre 1465, questi veniva creato dallo Sforza governatore del ducato, ed infine altra lettera del 30 settembre con la quale il re ordinava ai capitani, castellani e cittadini di Bari, Modugno e Palo di lasciar prendere allo Sforza e a chi per lui effettivo dominio delle loro terre, di accettare gli ufficiali da eleggersi dal nuovo signore e di ubbidirgli in tutto ; e, benché il privilegio di concessione allora non venisse presentato, perchè ancora privo dell'esecutoria, dichia- rava che vi suppliva con la sua regia potestà (4). Ciò premesso, il (i) Pot. Est, Nap.f Napoli, 20, 28 e 29 settembre, 4 e 27 ottobre, e 6 no- vembre 1465. (2) Ibid., 4 ottobre 1466; e Milano, 21 ottobre (minuta). (5) Missive Ducali, reg. n. 61, e. 403 t., 24 settembre 1465. (4) L'esecutoria nella consueta forma si ebbe nel 30 ottobre 1465. Vedi Pepe. op. cit., p. 5. IL DUCATO DI BARI SOTTO SFORZA MARIA SFORZA, ECC. 4C(I De Giptiis fece venire avanti a se i sindaci dell'università eletti dai nobili e dai popolari, prese cognizione dell' istrumento di loro nomina e di quella dei loro due sindaci universali, Filippo de Filippuccio e notaio Matteo de Raynaldo, e li invitò ad inginocchiarsi ed a ripetere per tre volte, toccando con le mani il libro dei vangeli posto sulle sue ginocchia, la formula del giuramento di fedeltà a re Ferdinando. Poi, levando la destra, li baciò tutti e li esortò a prestare il giuramento di fedeltà al duca Sforza Maria, Sforza, portandosi davanti ad Azzo Visconti, ponendosi in ginocchio davanti allo stesso e toccando con le mani il libro dei vangeli. Al che seguì anche Io scambio del bacio e, subito dopo, il clero intonò il « Te Deum », accompagnato da tutti i presenti e dal suono dell'organo e delle campane. Dell'atto si compilarono tre istru- menti (r). (i) Gov.j Feudi Imp., Bari^ 1465, 12 octobris : « Consignatio cìvitatum Barri, « Palli et Modonii facta per officiales S. domini Regis Azoni Vicecoraiti ». Del primo istrumento che si rilasciò ad Azzo Visconti, fu notaio il cancelliere Roberto de Perillo. L'atto venne sottoscritto dai seguenti testimoni. (Sottoscrizioni autografe) : », affermava, per altro, di essere ciò avvenuto con la sola « difficoltà », da parte dei baresi, di volere la conferma dei loro privilegi direttamente da Francesco Sforza, da Bianca Maria e da Sforza Maria Sforza, e perciò e per « far reverentia w ai nuovi signori la detta commissione si sarebbe messa in viaggio. Ma sembra che essa sospendesse la partenza, altrimenti Azzo Visconti non avrebbe sentito il bisogno di inviare a Milano, nel dicembre del 1465, il tesoriere Agostino da Cusano e il suo famiglio e cancelliere Bernardino con « li capitoli de queste terre et con « instructione de le cose agitate et trovate qua per mi, e così la « notta compita de le intrate et spexe di questo dominio », e con l'esortazione a Francesco Sforza ed a Sforza Maria di scrivere « qualche cosa a questa comunitade confortandoli »» (i). Rispetto ai capitoli, ognuna delle tre città presentava quelli ottenuti e goduti prima del 12 ottobre 1465 ed i nuovi che riassumevano i vecchi, e che, probabilmente per la loro compilazione e per la mancata previa approvazione del governatore, dovettero determinare la rinunzia al preannunziato viaggio dei quattro commissari a Milano. La « instructione », portata nel dicembre dai due messi e recante il titolo di « Ricordi sopra alcuni capitoli di ft Barri f, ci mostra che per Palo e Modugno si raggiunse agevolmente l'accordo, tanto più che i vecchi capitoli concessi da Alfonso d'Aragona e dal principe di Taranto, « così quili de Modugno et « Palio come de Bari », non consideravansi « cose che importano »; e per i nuovi, se Modugno pretendeva principalmente l'esclusione di ufficiali baresi, si aff'ermava che circa quelli « de Palio et de « Modugno non me pare se gli faccia altro secondo la loro de- « crettatione, ma se pur lo nostro 111. Signore ne vole tenere par- « ticolare informatione, vu}^ Angustino da Cusano potereti infor- « mare d'ogni cosa la S gnoria Sua, et così Bernardino, secondo « la informatione a vuy più diffusamente data ». (i) Pot. Est. Nap., Bari, 31 dicembre 1465 (è dato il 1466 a nativitate). 414 NICOLA FERORELLI Gravi furono invece le contestazioni con i baresi, principalmente per i capitoli 5.° e 16.0 dei privilegi concessi da Ferdinando d'Aragona nel 26 novembre 1463. Questi privilegi, contenuti in sessantasette capitoli, sommariamente pubblicati dal Petroni e citati e ricordati da altri, ci offrono un interessante quadro della città con notizie sull'organizzazione amministrativa e giudiziaria, sul com- mercio e su notevoli persone ed avvenimenti contemporanei. Ma se da una parte, come osservava il Visconti, « ben che parano cose « asai, non gli è però cosa tropo importante », dall'altra, fra tutti essi, u uno solo he che importa », cioè il capitolo quinto col quale re Ferdinando dispensava per cinque anni la cittadinanza da qualsiasi contribuzione fiscale e specialmente dalle collette ordinarie e dalla strenna, ossia dal dono di duecento ducati alla festa di Natale. E col capitolo 16." donava all'università « la balliva », o « baylia la quale he una iurisdictione de danni datti et de far « conciar le contrade de la cittade, et cercha la provixione de le M victualie, la qual baylia se vende circha quindece o XVI onze »» all'anno. Ed appunto, come degli altri privilegi, anche di queste esenzioni i baresi chiedevano la conferma col primo dei nuovi capitoli. Il governatore vi si oppose. Egli asseriva che il re aveva osservato la concessione solo nei primo anno, nel 1464, mentre nel 1465, riscosse le collette « con bon modo », dicendo di essere allora gravato « circha il maritagio de madonna Elionora ». Ed affermando di sperare, in quanto alla bagliva, « con bon modo per « via de li amici redurla in breve a la Camera Ducale », aggiungeva : « A concedergli la confirmatione de la dieta franchigia che « dura ancora tre anni me pare che seria tropo, ma, a farli qualche u bona commoditate per captar benivolentia in quisti principii, el « parer mio sena non pagassero per quest'anno (13 ottobre 1465- « 12 ottobre 1466), et dopo fossero obligati a fare quello che si « serva in le altre terre di questo reame » (i). Trattavasi adunque di interessi non trascurabili, e l'università volle far valere i propri diritti. La questione si protrasse per quasi un anno. Una lettera del 12 maggio 1466 sottoscritta: « Universi « cives Barenses », raccomandava a Galezzo Maria, « eorum do- (i) Gov., Feudi Imp., Bari, « Instructione ecc. j>. IL DUCATO DI BARI SOTTO SFORZA MARIA SFORZA, ECC. ' 415 « mino benignissimo », un certo Nocento partito per Milano -con un memoriale « de alcune nostre facende » (i). E forse in grazia dell'opera di questo signor Nocento, si riuscì a raggiungere l'ac- cordo, e la franchigia fu concessa per due anni invece che per uno solo, e cioè per gli anni 13 ottobre 1465-12 ottobre r467, che, con gli altri due anni decorsi dal 26 novembre 1463 al 12 ottobre 1465, costituivano quattro dei cinque anni di esenzione dal paga- mento dei contributi. I nuovi privilegi della città di Bari vennero approvati da Sforza Maria Sforza nel i.» ottobre 1466 a Milano ed è opportuno qui riportarli nel transunto rimastoci : I. Rilascio dei fiscali alla città di Bari per due anni. II. Confirmatione dalli privilegi. III. Che li giudei non imprestino ai cittadini più che tari sette e mezzo l'anno. IV. Che non sia molestata la città di Bari di dare alloggio a persona alcuna fuorché al re padrone. V. Che tutti li mercanti negozianti nella città di Bari siano trat- tati comò li Venetiani. VI. Che siano trattati franchi quelli che concorrono nelle tre fiere a comprare o vendere due giorni prima e due giorni dopo la fiera. VII. Che non si entrino nella città vini forestieri. VIII. Che tutti li privilegiati della città di Bari siano soggetti alli officiali ordinari, IX. Che tutti li cittadini di Bari siano trattati franchi in ogni pai te come li altri cittadini di quei luoghi ove capitano. X. Che li mercanti Milanesi, Genovesi e Ragusei siano trattati in Bari comò li Venetiani (2). Anche sul capitolo riguardante gli ebrei Azzo Visconti aveva richiamato in modo speciale l'attenzione del duca. I baresi avevano già chiesto invano a Ferdinando d'Aragona, coi capitoli 61.® e 65.^ dei privilegi del 26 novembre 1463, disposizioni ostili alla numerosa e florida colonia ebraica, intorno alla quale, da lungo tempo dimorante in città, si danno esaurienti notizie nel mio volume sugli (1) Poi. EsL Nap., Bari, 12 maggio 1466. (2) Pepe, op. cit., pp. 13 e 14. 4l6 NICOLA FERORELLI ebrei dell'Italia meridionale. Essi tornarono nel 1465 ad insistere specialmente sulle operazioni di prestito, con lo scopo evidente di eliminare la concorrenza ebraica da un campo di sfruttamento in cui i mercanti e i capitalisti italiani non israeliti coglievano impunemente frutti eccessivi con una esosità ed ingordigia senza pari in tutta la regione e nel resto del regno. Pretendere che non si prestassero più di sette tari e mezzo all'anno, equivaleva a permet- tere solo il piccolo prestito. Tuttavia il Visconti credeva di avere « assai honestamente satisfato a l'una parte et a l'altra, benché « essi giudei meritano esser favoriti, perchè sono bono nombro « in questa cita et uttile a la dohana, et però se parirà al nostro « 111. duca se preterischa questo capitolo in quanto fusse contra « li privilegii d'essi zudei, mi sforzar© de tractare questa cosa con « li cittadini con qualche bon modo che sera ad satisfactione de « l'una parte et de l'altra ». Né ebbe da meno quanti altri vi portavano rilevante contributo al commercio. Suggeriva al duca di « tractare con la M.^à del siu gnor re resti contento che li mercatanti Zenovesi comò soi vasu salii et Raghusei comò suoi benivoli siano trattati comò Mila- « nesi et Venetiani, con dire a S. M^^ che la concessione non vene « a far preiuditio a le sue dohanne convicine, perchè ninno Zeno- « vese praticha né he solito pratichare a le bande de qua, né altri « Raghoxei molto pochi, et per questa concessione forse ne verrà « qualchuno, et pratichando lor di qua la S. M^à p\ìi presto ne « conseguirà utilità che altramente ». E frattanto, mentre dava incarico ad Agostino da Cusano di esporre a voce le principali cause dello scarso reddito delle dogane, egli, nel gennaio del 1466, si recava a Venosa ad ossequiare il re e ad ottenere da lui provvide disposizioni. Gli constava che u le police de le dovanne de li baroni del reame non erano ob- « servate ne le terre del demanio » per ordine dato nella Regia Camera della Sommaria dai maestri delle entrate, il che « non era « altro se non levare in tuto li merchadanti da Baro, et per con- « seguente la dovana, perché le robe conducte a Bari hariano pa- « gato due dovane, e per il simile ogni ferro tolto a Baro in ogni « locho dove capitava ne le terre del demanio era perso et posto u in contrabando ». Inoltre, perché i veneziani di Bari commerciavano largamente in salnitro, si era prescritto, nei luoghi ove quello producevasi, di non venderlo a chi volesse portarlo a Bari, e ciò IL DUCATO DI BARI SOTTO SFORZA MARIA SFORZA, ECC. 417 gli sembrava fosse avvenuto <» ad instantia de certi citadini de « Trano, quali hanno grandissima nemicitia con li cittadini de Baro, « et voriano, potendo, levar li merchadanti de Baro per haverli a « casa loro ». Comunicate tali novità al re, questi se ne mostrò malcontento, e con molte promesse e con mille buone parole gli assicurò di voler subito disporre che, nel tornare a Napoli, due maestri delle entrate gli andassero incontro a Salerno, acciocché per l'avvenire i baresi fossero favoriti e non maltrattati. Si occupò anche di un certo Colla di Bari, cui, con regia concessione, era stato dato l'ufficio di « protontino ». ossia di console di mare. L'annua provvisione di quaranta once doveva prelevarsi dai redditi della dogana ; e, per eliminare tale aggravio, il Visconti ottenne di imporgli « silentio » e di obbHgarlo a rinunziarvi con la donazione di dieci once. D'altronde di questo officio del « putretino " o « prothontinato », come lo troviamo altrimenti ricordato (i), era stata chiesta ed approvata la soppressione col capitolo 36.° dei privilegi del 26 novembre 1463. Se quindi si fosse ripristinato, « ninno « maior dispiacer ni ingiuria haria potuto fare a li cittadini de M Baro ». Ed a carico della dogana erano parimenti ventitre once annue da pagare ai mazzieri ed ai cappellani di S. Nicola; ma non gli fu possibile averne l'esonero (2). In quanto poi al feudo di « Reharo » in territorio di Palo, espose che D. Angelo da Giovinazzo era uomo molto arrogante e che sarebbe stato causa della « destructione de « Palo »; seppe quindi indurre il sovrano a revocargli il feudo a vantaggio del ducato, compensandolo con « qualche contracambio ». Infine, con la relazione del 13 gennaio 1466 da Venosa a Francesco Sforza, egli aggiungeva che, « non havendo mai potuto sapere, non « obstante più fiate ne habia fatto opera, qual fussero le terre del u districto de Bari, li ho al presente rechesto », è che « la prefata « M.fà me ha fatto dire comò sia a Napoli farà vedere ne li Ar- « chivii quale sono le terre del dicto destricto, et che tute de bo- « nissima voglia li concederà, et così me ha concesso la gabelletta (i) Dai Visconti nella lettera da Venosa del 15 gennaio 1466, e nei pri- vilegi di Bari del 26 novembre 1465. (2) Gli fu risposto che « Sua Maestà solle sempre reservare in se tuti li « iuspatronati, et non dimeno a la dovana tccha a pagare li capellani et ma- « zeri ». Pot. Est. Nap., Venosa, 13 gennaio 1466. Arch. Stor. Lomb , Anno XLl, Fase. III. 27 4l8 NICOLA FERORELLI « del sale se vende a la giornata a li homeni de lo 111. signor duca» « Le tratte se le reserva in sì ». Tanto zelo dovette apportare*indubbiamente benefici frutti. In- discutibile interesse avrebbe avuto senza dubbio la nota delle entrate inviata a Milano nel dicembre del 1465, se ci fosse stato possibile rintracciarla. Ci son rimasti soltanto alcuni dati sommari dell'amministrazione dei due primi anni. In quanto al sale, ne furono trovati nell'ottobre del 1465 tomoli cinquecentoquarantasei, e cinque stoppelli e mezzo, venduti a tari due e grana dodici il tomolo. Poscia si dettero a Palo, Modugno e Bari tomoli duecentoventotto e mezzo, il cui prezzo nel 4 agosto 1467 non erasi ancora riscosso, e si presero in due volte tomoli quattromila novecento cinquantaquattro per essere venduti « a la « giornata », che importavano once quattrocento ventinove, tari dieci e grana otto. La salina di Bari produsse centododici tomoli, ed altro era in preparazione. La dogana rese dal 13 ottobre 1465 al 31 agosto 1466 once trecentoquarantotto, tari otto e grana uno. Il governatore aveva. a suo debito once milleottantuno, tari ventisei e grana undici, ed a suo credito once milleottantuno, tari diciannove e grana sedici. Non c'era ancora il conto delle entrate di Palo, essendo stato lungamente ammalato l'erario o fattore del 1466. Solo conoscevasi che nel 1466 dal feudo ducale di circa diecimila ulivi si erano ot- tenute centoventidue salme di olio del valore di centoventidue once. Altre terre avevano reso centodiciotto tomoli di frumento e quindici di orzo. Pel 1467 si sperava maggior raccolto, e si era sicuri, facendo « una bona spexa per conzare dieta possessione »^ di ottenere « la migliore entrata » del ducato (i). Benché si sperasse di compilare subito il conto generale delle entrate di Palo e di inviarlo a Milano per mezzo di Agostino da Cusano, questi non partì che nell'agosto del 1468. Ebbe l'incarico di riferire a voce la causa del ritardo della partenza e recò seco,, come scriveva il governatore, « quilli più dinari ha potuto bavere « et li conti della administratione sua et mia de queste intrate et u uno quinterneto dove he notata la intrata et uscita integralmente « de tuto questo dominio, et boli dato la copia del quinterneto del (i) Pot. Est. Nap., Bari, 20 luglio e 4 agosto 1467. IL DUCATO DI BARI SOTTO SFORZA MARIA SFORZA, ECC. 4J9 « debito et credito mio qual mandai per Bernardino a V. S., et « li conti della dohana et del salle venduto a menuto et de ogni « dinaro receuto et speso per lui ». Ebbe anche un memoriale « de cosse assai qualle sono necessarie », che « sono de tal natura « che meglio se pono dire che descriverle ». E nella lettera consegnatagli dal Visconti il 2 agosto, si aggiungeva che, « essendo li « homeni de Palo poveri, et per questo et per essere loro molto « affictionati a questo stato, li havemo uxato agevoleza, et però « sono restati debitori, ma alla fine de questo mese che vene sa- « tisfarano in tuto. Per el simile la comunitate delli gentilhomini de « Baro restano debitori per le colte de certa quantitate per casone « de certa differentia hanno con la universitate del populo per le « colte, la qualle in breve se deciderà et da poi satisfarano in « tuto » (i). È proprio spiacevole per la storia economica delle tre città il non aver potuto trovare i summenzionati documenti del 1468. Ad ogni modo, va data lode all'operosità di Azzo Visconti, sebbene qualcuno abbia allora cercato di screditarlo. Egli appunto, nel 7 novembre 1467, dopo avere mandato il resoconto di due anni, dal 13 ottobre 1465 al 12 ottobre 1467 per mezzo di Bernardino, faceva delle giuste proteste. Scriveva a Bianca Maria, « che a me u pariria imposibile V. S. potesse bavere nessuna sinestra oppi- « nione di me, et quando mi vera penserò nyuno de gabare quella, u alora Dio me toglia la vita; et ze V. S. si recorda bene ho più « fiate et con instantia rechesto se mandase qua uno dovanero fi^ a dato et uno factore a Palio perchè a la dovana et alle posses- « sione invero se pò commettere fraudo et in grosso et secreta- « tamente ; nel resto non è possibile che in queste intrate si possa u commettere fraude ; et questo non appreso de la S. V. a la quale « non poria achadere niuno suspecto di me, ma apresso di quili « che voleno parire veri servitori con dire male d'altri devia es- « sere chiareza che io non voglio agabbare il patrone, ma sia con « Dio habia più la gratia de V. S. et de li suoi fioli et dicha chi « voglia » (2). Pare che Agostino da Cusano e Simone de Calco non fossero estranei a lanciare o ad accreditare qualche accusa. (i) Pot. Est. Nap., Bari, 2 agosto 1468. (2) Ibid., 7 novembre 1467. 420 NICOLA FERORELLI Infatti, con lettera del 4 agosto 1467, Simone de Calco elogiava a Sforza Maria i due doganieri, cittadini di Bari, specialmente il figlio del notar Stefano, e sosteneva di non dare ascolto all'università di volere per doganieri persone di altre città, adducendo che non sarebbe stato possibile tenere ufficiali forestieri con lo scarso stipendio assegnato. E, d'altro canto, il Cusano, pochi giorni dopo, nel 17 agosto, comunicava allo stesso Sforza Maria, che avendo u intexo che a la V. S. he stato scrito de voleri giongeri a la do- « vana uno dovanero », ciò gli sembrava « spexa superza », ed assicurava che, a suo giudizio, poteva fidarsi dei due doganieri in servizio (i). Che se poi si volesse considerare l'opera del Visconti in rapporto alle popolazioni, non si troverà a lodarsene meno. Per desiderio di Francesco Sforza, egli, appena in Puglia, raccolse interessanti notizie sul governo delle precedenti signorie e principalmente del principe di Taranto ; e, nel trasmetterle a Milano, rilevò che il popolo era contento del modo con cui veniva trattato e che di ben poco aveva da lamentarsi. Agli studiosi non deve sfuggire un sì eloquente documento, che riportiamo in appendice (2), in prova della nota rapacità dello stesso principe ; e certo sembrerebbe che il popolo fosse di facile contentatura, se non si scorgesse nel Visconti il proposito di indurre il duca a voler presto accaparrarsi la benevolenza dei sudditi, come del resto ebbe spesso ad esprimersi in altre corrispondenze e memoriali. In realtà nulla ci parla di suoi atti tirannici e vessatori ; quando nel maggio del 1467 fu riconfermato nella carica di governatore. Bianca Maria e suo figlio Sforza affermarono di avere avuto prove in molte circostanze della sua singolare rettitudine, prudenza e integrità, e della sua saldissima fede e devozione, e di non dubitare che continuerebbe a governare rettamente e lodevolmente (3). Inoltre un caratteristico episodio dette modo ai baresi di esaltarne a Milano l'opera sagace, e di provare la loro viva riconoscenza pel suo governo che chiamavano paterno. La notte del 27 (i) Pot. Est. Nap., Bari, 4 e 17 agosto 1467. (2) Vedi doc. I. Del principe di Taranto si conservano in questo archivio di Stato di Milano {Gov., Feudi imp., Bari) alcuni capitoli inediti e sconosciuti concessi alla città di Bari. (3) *^^f- -^"^-^ ^^' ^^^^s ^^' ^' 9» ^- '75 ^ ^SS- IL DUCATO DI BARI SOTTO SFORZA MARIA SFORZA ECC. 42I febbraio 1468, fu nella piazza di Bari scassinata e rubata per circa trecento ducati di merce la bottega di un veronese, mercante di panni. I sospetti caddero su messer Morello da Rieti e su Ettore Caracciolo di Napoli, uomini d'arme e persone « scandellose et u de malia natura » ; ma, per mancanza di indizio sufficiente, Azzo Visconti, invece di arrestarli, preferì invitarli a casa sua. E quelli vi si recarono, decisi a commettere delle violenze. Ed infatti, lasciati giù alla porta alcuni servi armati, e, con un cognato ed un altro uomo armato, saliti dal Visconti che li ricevette alla presenza di due cittadini, mentre il resto della famiglia era a pranzo, messer Morello si mise a guardia della porta della sala ed Ettore Caracciolo assaltò il governatore prima con parole e poi con la spada. A caso giunsero in queir istante tre persone prive di armi, ed avventatisi tutti gli uni contro gli altri, due dei tre ultimi arrivati furono feriti, e il terzo, avviluppatosi intorno al braccio la cappa, si gettò fra il Morello e il Visconti, il quale potette cosi sfuggire ai colpi contro di lui menati, e poi, essendo al rumore accorsa l' intera famiglia, riuscì a rifugiarsi in un' altra sala ed a salvarsi. Come egli racconta, gli assalitori « presero pagura et usi- 't rono de casa sequiti dalli miei fine alla piaza. In uno movimento « fo saputo per tuta la terra quisto caso, et dicevasi per molti che " io hera morto, il che commosse generalmente tuta la terra a re- " more et ad arme, et tuti venerono da me, et senza esserli co- '« mandato andarono a serrare le porte de la terra. Io in dispiacere « de molti gentilhomeni et citadini mi redusse al castello, et meser « Georgio armatosi con alchuni delli miei et molti del popullo « seguitarono meser Morello et Hector che erano montati a ca- .. vallo per fugirsene. Et trovate le porte serrate, se salvarono in « una casa vota apresso alla piaza. Gli altri suoi scamparono diu savedutamente. Io vedendo la bona disposizione de tuta la terra, " montay a cavallo et seguito da ogniuno anday alla piaza et « con faticha puotè repparare che questi ribaldi non fossano morti « a remore de popullo. Perchè li fo forza renderse per presoni, ù et menati a casa mia, non mi si potea deffendere de tanti pr^ u gherii quanti me erano facti che allora senza altro espectare li « impichase per la golia. Pur li feci redure in castello, et senza « tormento confessato loro el furto et quello trovato in loco molto li ochulto in casa de Hector, el sabato seguente che fo alli cinque 422 NICOLA FERORELLI « del presente (marzo), li feci tagliare la testa a tuti duy et con « tanto piacere et contenteza generalmente de tuti quisti gentilhou mini et citadini quanto dir se possa ». Continuando nella sua relazione a Bianca Maria, aggiungeva: « 111. mia madona, de questo « caso in vero ne ho hauto grandissimo dispiacere et affanno, ma « haver vista la dispositione generalmente de tuta questa terra, « certo molto m'è piaciuto et pareme che per ogni modo V. 111. S. li u debia scrivere rengraziandoli, che lo meritano, perchè ultra lo « effetto la dimostratione fo singolarissima. Era troppo più lo af- « fano loro chel mio del mio mal proprio et del perichulo in che « era stato, che invero fo grandissimo ; ma Dio non li parse ha- « vesse meritato questo malie, et cossi per questo et per el bene « de questa terra me adiutò insema con el glorioso meser sancto « Nichola » (i). Senza dubbio, egli non esagerava. I cittadini nel riferire per loro conto l'accaduto alla stessa Bianca Maria con una lettera sottoscritta : « servi et vassalli universi cives Barenses », affermavano di aver assunto tale energico atteggiamento « sì per la obligacione u havemo ad V. 111. Signoria et irrefrenato amore, sì per la bontà u de ipso gubernatore quale vere se pò dire sia nostro et de tucto « el ducato universal patre » (2). Migliore attestato di stima adunque e migliore elogio non si potrebbero ricercare per Azzo Visconti. L'episodio d'altronde fu causa di provvedimenti di notevole importanza. Da una parte la fama dei giustiziati era tanto pessima, che correva la voce aver essi avuto in animo non solo di uccidere il governatore, ma anche di saccheggiare poscia le botteghe e le case degli ebrei con l'aiuto « de certi giovani che più fiate havevano carezati et de certi rof- « fiani ». E, quantunque con la scomparsa di queste due « male « spine » fosse seguito tanto bene da potersi dire essere la città « uno heremitorio et quieta et neta de homini malivoli et iniqui », sembrò necessario all'università decretare, previa approvazione ducale, che « nissuno presuma per lo advenire maritare sol fìlliole « in simili homini che non hanno amore, carità, né fede w, e di fare pubbliche processioni e rendere grazie a Dio ed al « glo- (i) Pot. Est. Nap., Bari, 7 marzo 1468. (2) Ibid., IO marzo 1468. IL DUCATO DI BARI SOTTO SFORZA MARIA SFORZA, ECC. 423 « rioso corpo de sancto Nicola, quale de continuo ora per questa u cita » (i). D'altro canto, Bianca Maria, avendo protestato presso Ferdinando d'Aragona, notificandogli che « quello è facto contra Azo Ve- « sconte nostro affine et locotenente de Bari, reputiamo essere facto u contra de nuy », lo pregava di provvedere in maniera che non più si commettessero simili disordini (2). Ebbe in risposta deferenti e cortesi espressioni, ma per mezzo di Antonio da Trezzo seppe avere il re osservato che, essendo i due giustiziati suoi soldati e « homeni de conditione », bisognava tenerli in prigione a sua disposizione (3). Ciò ebbe in « singolare dispiacere ", e si mostrò disposta, se a Napoli lo desiderassero, a punire il governatore col rimuoverlo dal suo ufficio o in altro modo (4), e raccomandò a costui « che, quando mai accadesse simile cosa o altro caso et in- « conveniente grave et importante, prima che tu proceda a puni- « tione alcuna, debii avisare la M.^à del re et governarte in tuto u et per tuto comò per la M.^à Soa te sarà commisso, perchè vo- « lemo te rezi et governi in tuto secondo la voluntà soa ». E contemporaneamente rispose ai cittadini di Bari, comunicando loro di avere appreso molto volentieri l'accaduto, ed assicurandoli che « se prima ve amavamo et ve havevamo cari per ogni respecto, « mo, havendo veduto per vera experientia quanto amate la tranci quillità et bene de quella cita et 1' honore et reputatione de la ti M.^» del re et nostro et de Sforza nostro figliolo, remanemo molto « più contente et satisfacte de vui : et commendandove ampiamente « de quello havete facto, ve confortiamo a volere fare el simile in « l'avenire et insieme con el nostro governatore attendere a ben u vivere et bon governo de quella cita et ad obviare quanto più u sera possibile che simili inconvenienti se seguino » (5). Del saggio governo di Azzo Visconti ben poco conoscesi dopo l'esposta aggressione. Nel maggio del 1468 egli inviava a Milano notizie sul Turco e nel settembre gli venivano raccomandati la (1) Vedi p. prec, nota 2, (2) Pot. Est. Nap., Milano, 27 marzo 1468 (minuta). ($) Pot. Est. Nap., Napoli, 15 aprile 1468. (4) Pot. Est. Nap., Milano, 14 maggio 1468. (5) Ibid., 20 aprile 1468. 424 NICOLA FERORELLl moglie ed i figli di messer Giovanni Magro di Bari (i). Infine, nel marzo del 1469, tentava di risolvere l'intricata questione del credito che Tommaso Alferio vantava con pubblico istrumento verso l'università .di Bari. Egli esortò i cittadini a pagare, ma ne ebbe formale rifiuto. 1 baresi con « mille bestiali parole » asserivano che « questo è « debito antiquato, et che per le costumanze del reame ogni inu strumento non renovato in capo de XX anni è nullo, et che u hanno privilegii de non essere attenuti a tali pagamenti, et che « dicti privilegii li sonno costati molte centenara de ducati, et che « pagando questo totalmente restariano desfacti, perchè hanno de " molti debiti de tale natura corno questo a miliara de ducati, che « pagando questo debito li saria forza pagare li altri ». Ed alle osservazioni loro fatte dal Visconti, che l' istrumento era ancora valido, e che il duca di Milano e Sforza Maria gli avevano ordinato di dar ragione all'Alferio, risposero « che sapevano el duca de « Bari non li voleva fare forza, et che loro confessaveno li suoi « antecessori bavere facto questo instrumento solempne et bene « cauto, ma che lo havevano facto sforzatamente, perchè alora era « qua uno Gabriello Burnaresco, quale tiranezava questa terra, et M che luy mandò una fusta a robbare uno navilio dove erano suso « certi panni de mercadanti veronesi, et che da poi volse che u questa comunitate li pagasse, et non havendo loro el modo, de- « stennì de molti citadini, et che finalmente li fu forza fare queste « obliganze, et che per questo meser Jacomo Galdara, el principe « de Taranto et de pò la M.^^ del re che li forono de poi signori, « may non hanno voluto condescendere a farli pagare questo de- " bito, posto che più fiate li sia domandato, et che molto se tro rt vano inganati del penserò loro, che ora el duca de Bare sotto « el quale speravano meliore tractamento, li volia fare questo ol- « tragio ». La vertenza, come ben si comprende, andò per le lunghe. Si mandò da Bari a Milano un incaricato dell'università poco dopo il 16 marzo 1469, e poscia un sindaco nell'agosto, cui non volevasi dare piena facoltà di conchiudere un accordo (2). Ignorasi se alla fine il debito venisse pagato. (i; Pot. Est. Nap., Bari, 5 maggio 1468, e Milano, 10 e 15 settembre 1468. Nel 16 febbraio 1468 si raccomandava ad Agostino de Rubeis, ambasciatore milanese in Napoli, l'abbadessa di Santa Scolastica di Bari, sorella di Gilberto de Marsilia. (2) Pot. Est. Nap., Bari, 16 e 21 marzo, e 7 agosto 1469. IL DUCATO DI BARI SOTTO SFORZA MARIA SFORZA, ECC. 425 In quanto ad Azzo Visconti, egli partì da Bari con passaporto del 30 novembre del medesimo anno e si recò in Lombardia (i). Pare che non vi ritornasse più. Nel gennaio del 1472, suo figlio, Gaspare Visconti, andava a Napoli in qualità di « Viceduca de « Barri per certa differentia che hanno U homini de Barri col conte « Julio », e per trasmettere notizie sugli armamenti navali del Turco neir impresa contro Corfù (2). Dati i suoi rapporti con casa Sforza e data la lunga dimora fatta alla corte napoletana da Gaspare, il quale, nel 1467, per una grave caduta da cavallo, fu amorevolmente assistito dal padre (3), Azzo Visconti non poteva ottenere migliore compenso dell'opera sua che la nomina di suo figlio a successore nel governo del ducato di Bari. V. Matrimonio e divorzio di Sforza Maria Sforza con Eleonora d'Aragona ed esilio del duca a Bari. Devesi alla minore età di Sforza Maria Sforza, se finora non si è trovato alcuno accenno del suo intervento negli affari del ducato. Egli lo resse per mezzo dei genitori, e, dopo la morte del padre, ebbe come sola governatrice e amministratrice la madre Bianca Maria, la quale poteva perciò, nel maggio del 1467, confermare Azzo Visconti nella carica di viceduca o governatore e richiedere ai castellani, i fratelli Favagrossa e Nicola da Foligno, che rinnovassero il giuramento di fedeltà e ricevessero nuovi contrassegni. Benché le terre di Bari, Modugno e Palo del Colle gli fossero state concesse in compenso degli aiuti dati al sovrano da Francesco Sforza^ non devesi dimenticare che l'amicizia delle due case erasi cementata con i noti due matrimoni, e che quindi l'unione coniugale con Eleonora d'Aragona era intimamente connessa con quella concessione e costituiva un atto di notevole importanza politica. (i) Pepe, op. cit., p. 7, nota i. (2) Pot. Est.. Nap., Nipoli, 24 gennaio 1472. (3) Ibid., 12 settembre 1477. 426 NICOLA FERORELLl Certo, la sua tenera età di sedici anni non impedì che nel 1465 si celebrasse il suo matrimonio a condizione che si consumasse dopo qualche tempo a Milano. Coli* interessantissima relazione inviata al padre intorno all' ingresso fatto in Napoli con Ippolita, Filippo Maria e numeroso seguito, egli racconta che nel 14 settembre, usciti da Aversa, si incontrarono con « madonna Elionora et la « mogliera del duca di Malfi sua sorella con qualche LX donne, « tutte vestite de bruna o berretino o morello, alhabito neapolitano « e con il mantello a le spalle; madonna Elionora era la prima ve- « stita de una camora de drappo d'oro morello, et una turcha de « velluto morello de sopra, et una cathena d'oro a parechie fiUe « al collo, corno è quella che porta domino Antonio Cincinello. In- « contrate tutte due insieme, madonna Elionora tochò et basiò la " mano ad domina nostra sorella et ley basò domina Elionora per « mezo la bocha, et madonna Elionora un'altra fiata tochò et basò « la mano ad d. duchessa, et cossi cavalcassemo un pezo, tenendo M le signorie loro continuamente le mano loro iuncte insieme: perchè « d. Elionora non haviva cavallo che andasse bene a suo modo « et d. duchessa la fece montare suso uno di soy w. Giunti poi in città alle ore ventuna ed entrati in Castel Capuano, alle ventitre, « in conspecto de tutte le donne et de molti signori », fu redatto r istrumento della dote di Ippolita e poco dopo, « cioè ad hore « XXIIII, fo contracto el matrimonio de mi Sforza con madonna « Elionora » (i). Indubbiamente, egli seppe ispirare vivo amore alla sposa, allora quindicenne. Merita appunto ricordare che, essendo atteso a corte col fratello la sera del 19 settembre, madonna Eleonora « andò « cento volte alle fenestre per vedere se Sforza veneva et haveva « dispiacere perchè non veneva cossi presto », mentre desiderava « pur qualchune de le carezone vede fare alcuna volta dal duca u de Calabria aUa duchessa: ma lo illustrissimo Sforza non le può « ancora fare tanto grosse per l'età che non gli corrisponde » (2). Le trattative per festeggiare le nozze a Milano cominciarono nel dicembre (3). Si stabilì di attendere il prossimo anno; ma, se la morte di Francesco Sforza fu causa di ritardo nel 1466, la con- (i) Pot. Est. Nap., Napoli, 14 settembre 1465. (2) Ibid., 19 settembre 1465. (3) Pot. Est. Nap., Foggia, 20 dicembre 1465. 427 dotta del nuovo duca Galeazzo Maria verso Ferdinando d'Aragona rese ben presto impossibile l'avvenimento. Nel 27 aprile 1467 An- tonio da Trezzo constatava con rammarico che « lo 111. signor « ducha Galeaz è de altra natura che non fo el signore condam « suo patre, et quanti vengono de là tuti affermano questo me- « desmo » ; ed a proposito dell' insistenza con cui era stato chiesto il pagamento di alcune somme occorse per l'acquisto di Genova, scriveva a Bianca Maria avere il sovrano, fra le altre virtù, quella di essere « piacentissimo : ma quando el vede quello se gli scrive « per parte del signor ducha in questa materia del dinaro, cioè « che non mandandoli quisti dinari l'amicitia non porla durare fra « loro, pensi Vostra Ex. de che animo se trova la M.^à Sua, coli gnoscendo che tale amicitia sia fondata in XXV mila ducati, el « pagare de li quali non t^nto gli rincresce per respecto al denaro, u quanto per el modo cum el quale si domandano ». E trovava quindi opportuno metterla al corrente delle voci che già circolavano in corte intorno ai due matrimoni. « Pare ad quisti che de « la parenteza facta fra vuy, ne habiati havuta la megUore parte, « però che dicono che vostra figliola aspecta de essere regina et « soi figlioli re de questo reame ; et non se sa che stato né titulo u debba bavere madama Elionora sua primogenita né suoi figlioli « per essere mogliere al vostro terzogenito : la quale hano potuta « et poriano, quando volessero, maritare in loco che seria regina; « et che quantunche questa tale parenteza sia- stata utilissima ad u questo signore re per essere stato molto bene ayutato dal signore « vostro consorte in la adversità sua; tamen quando dieta paren- « teza fo conclusa le cose de la M.^^I del signor re Alfonso start vano in modo che non se potè iudicare la facesse per bisogno, « ma per proprio amore et bona voluntà che aveva alla casa vo- « stra ». E termina: « Se esso signor ducha vostro figliolo vo- « lesse bavere quella consideratione che '1 doverfa, dicono che Sua « Exc. parlarla de questo signore re altramente et meglio che non « fa, et e' gli portarla più reverentia che non pare che '1 gli porta, « et estimarla più questa amicitia che dinari » (i). Il grave linguaggio, ripetuto non meno vigorosamente in altre circostanze, indusse il duca a giuocare abilmente d'astuzia. Sta il (i) Pot. Est. Nap.^ Napoli, 27 aprile 1467. 428 NICOLA FERORELLI fatto che, secondo i capitoli matrimoniali del 1457, Francesco Sforza s'impegnava di dare, alla sua morte, in feudo a Sforza Maria, una città del ducato, tranne Milano e Pavia, e di indicare la città prima che il matrimonio si consumasse. Il successore Galeazzo Maria avrebbe dovuto, al raggiungere il quindicesimo anno di età, approvare e ratificare con giuramento l' impegno (i). Ma Galeazzo Maria non ne era stato richiesto; e, mettendo ciò bene in evidenza, egli, tuttavia, deliberava, sul principio del 1468, di concedere al fratello Sforza la città di Tortona. Però pretendeva che il re consegnasse a lui i quarantamila ducati assegnati in dote ad Eleonora, u perchè siano impigati in Lombardia et dove li piace » (2), e che frattanto inviasse la sposa a Milano. Senonchè re Ferdinando faceva di Tortona « poco caso, maw xime per la natura del duca che sena de torglila quando gline « venesse voluntate »», e, rispetto alla richiesta dei quarantamila ducati, quegli si era « diportato in tal modo circa '1 debito de li denari « de Zenoa, che essa M.^à non se gli obligaria de dare cento du- « cati per non bavere a fare cum luy de simile cosa » (3). Inoltre, conoscendone i maltrattamenti verso la madre, non si mostrò disposto ad inviare Eleonora, « in loco ch'ella havesse ad stare ad u discretione sua, che è certo non la tractaria meglio che '1 se facia « la Celsitudine Vostra (Bianca Maria), ma assai pegio », a meno che Bianca Maria non si stabilisse a Cremona insieme con Sforza Maria Sforza (4). AÌ'finchè quindi la parentela avesse effetto, biso- gnava provvedere « che Sforza habia ad bavere altro che quello « che '1 ha ; et qui se tenne chel duca Galeazo mai gli darà cosa « che vaglia tre dinari » (5). Senza dubbio, a causa delle vive insistenze della madre, la quale tentò di trasferirsi a Cremona (6), il duca volle mostrarsi propenso ad annuire alle richieste del re, ed inviatogli una ambasceria gli rese poi noto con lettera, ed a voce, mediante Turco Cincinello, che, nel concedere al fratello Sforza la città di Tortona, (i) Pot. Sovrane, Sforza Maria Sforza, e Pro dote 111. d. Elionore ». (2) Pot. Est. Nap., Napoli 26 agosto 1468. (3) Ibid., 9 maggio 1468. (4) Ibid., 14 aprile 1468. (5) Ibid., 9 maggio 1468. (6) Ibid., 8 maggio 1468, e Milano, 14 maggio 1468 (minuta). IL DUCATO DI BARI SOTTO SFORZA MARIA SFORZA, ECC. 429 in feudo nobile e gentile, « con lo suo contado, districto et terri- « torio et le forteze et contado con sua iurisdictione, mero et mixto « imperio », se non si ottenesse annualmente l'entrata di diecimila ducati d'oro, pari a quarantamila libre imperiali, egli vi avrebbe aggiunto « delli lochi circonvecini tanto che bavera integramente u dieta summa de ducati X milia ». Ma dichiarava, che, « quando « nuy gii dessimo un'altra citade con altratanta intrata, esso sia « obligato renuntiare questa et acceptare quella » (i). Tuttavia a Napoli, e il re e il suo consiglio più segreto si convincevano intanto che il duca, benché « mostra desiderare queste « noze, niente de meno non se ne cura né voria se facesse », e d'altronde lasciarono intravedere di non aver più « bona voluntà, « ma più presto mirano altrove » (2). Pur troppo questa era la verità, e, quantunque il Cincinello progettasse che Eleonora, invece di Sforza, prendesse Galeazzo per marito (3), nel 1472 fu deciso senz'altro il divorzio ; e, per conservare l'amicizia fra le due case, si escogitò l'espediente di trattare l'unione coniugale di Giangaleazzo, allora di pochi mesi, figlio di Galeazzo, con Isabella figlia del duca di Calabria e d' Ippolita Sforza. 11 duca affidò il duplice incarico, con mandato e con istruzioni del 23 febbraio 1472, a Turco Cincinello ed a Giovanni Andrea Gagnola (4), ingiungendo loro che, volendo « giuchare sul securo », dovessero ottenere dal re la promessa di inviargli a Milano Isabella nel termine di un anno, invece che di sette anni, come prima aveva stabilito. Ed al vescovo di Novara, nel comunicargli, nel 22 marzo, che quanto prima i suoi due incaricati si sarebbero recati a Roma per ottenere le dispense dal papa, raccomandava di non farle rilasciare se in esse non fosse inclusa la detta condizione e di tenere Sua Santità « adlenita et addolcita, ad ciò poi, quando M se gli parlarà de le dispense, sia più facile ad consentirle » (5). Ma presto cominciò a circolare la voce di trattative di matrimonio fra Eleonora ed Ercole duca di Ferrara. Già prima del 20 marzo, Ugulot de Facino era giunto a Napoli recando il ritratto {I) Pot. Fst. Ndp., Pavia, 4 agoslo 1468. (2) Pot. Est. Nap., Napoli, 26 agosto 1468. (3) Pot. Est. Nap., Cremona, 2 giugno 1468. (4) Pot. Est. Afap.f Pavia, 25 febbraio 1472. (5) Pot. Est. Roma, Vigevano, 22 marzo 1472. 430 NICOLA FERORELLI del nuovo sposo ed affermando essersi il suo signore dato « in u anima et in corpore et misso el stato in protectione » del re (i). E nel 24 aprile Francesco Maletta riferiva a Galeazzo, che il sovrano diceva « tanto bene et in comendatione de messer Hercule, u che più non se poria dire de uno Dio et al presente nulla cosa « più desidera che disolvere questo matrimonio per parergli de « locare sua figlia in loco et in stato che gli meta ad tanto pro- « posito cum le altre amicitie che ha, che poi forsi possi fare de u Italia quello che vuole ». Ed, aggiungendo che « novamente il « duca Hercole ha mandato qui duy suoy cum due casse piene « de veluti et de bolcati per vestire madonna Eleonora et pare « quodammodo la cosa sia conclusa », considerava che « per l'apeu tito et desiderio smesurato che hanno questi, overo venirano ad « tuto quello che domanda V. S. de uno anno, overo volendo loro « de presenti lo divorilo de madonna Leonora, et dovendoglielo « concedere V. Sublimità, forsi veniriano ad compiacerve de quelle « cose che fin qui non hanno voluto consentire » (2). E non aveva torto. Poiché' il consenso al divorzio era stato subordinato alla conclusione del matrimonio di Giangaleazzo con Isabella, il duca di Milano volle trarne profitto e seguì il consiglio del Maletta, mostrandosi riluttante a dare il suo assenso, se non si accettasse la condizione di inviargli a Milano Isabella nel termine di un anno, invece che al raggiungere l'età di dodici anni, come preten- devasi a Napoli (3). Ciò valse a rendergli maggiormente ostile il re il quale formulò contro di lui numerose accuse, fra cui V inadempimento degli impegni del padre verso il fratello Sforza, perfino il proposito d' impadronirsi del regno : e si mostrò risoluto ad escluderlo dalla nuova lega che allora costituivasi in Italia (4). Per l'opposizione dei ministri si venne a più miti consigli; e, nel principio del giugno, il conte di Maddaloni asseriva che « se V. E. facesse « pur cum effecto qualche cosa grata e piacevole a la M.tà del re, u cioè il divortio de madonna Leonora, saria facile cosa bavere « poi el re ad vostri propositi r. D'altra parte, mentre gli minacciavano di togliere il ducato di Bari a Sforza Maria, se man- (1) Pot. Est. Nap.y Napoli, 20 marzo 1472. (2) Ibid., 24 aprile 1472. (3) Pot. Est. Kap., Pavia, 8 msggio 1472 (minuta). (4) Ibid., 28 mjggio 1472. IL DUCATO DI BARI SOTTO SFORZA MARIA SFORZA, ECC. 43I casse il chiesto consenso, e mentre gli mostravano che il papa era disposto a rilasciare la necessaria dispensa, purché Eleonora di- chiarasse davanti ad alcuni testimoni di non aver mai desiderato tale matrimonio, al che quella annuiva « per obedientia del padre », trovarono modo di comunicargli che il re « voleva vedere farlo « per la via et cym voluntà de V. Celsitudine et del duca de Barri », e che « V. Celsitudine faria el meglio ad farsene de bona bocca M et donare quello che non poteva vendere » (i). A mitigare gli animi lavorava indessamente l'ambasciatore Francesco Maletta, conscio ormai dei |« multi pericoli che poteriano u occorrere quando fra voi dui signori non fusse bona amicicia, « inteliigentia et unione », e convinto che il duca desiderava « re- « manere bono figliolo, parente et colligato » del sovrano. Grazie ai suoi buoni uffici, specialmente presso il conte di Maddaloni, il segretario ed Ippolita Sforza, riuscì ad ottenere ciò che il suo signore desiderava circa i rapporti col duca di Urbino. Nel darne la lieta notizia, scrivc^va che, in quanto al divorzio ed al nuovo matrimonio, si prometteva di non maritare Eleonora « senza vostra .< saputa et consentimento et ad persona che sera ad commune «< proposito et beneficio », e di mandare a Milano madonna Isabella u in capo de VII, Vili o X anni », come anche bramava la madre Ippolita (2), Veniva spedita la lettera nel 16 giugno; e in tal giorno a Milano si minutava quella con cui Galeazzo acconsentiva alla dissoluzione del matrimonio e trovava opportuno giustificarsi dei gravi e numerosi addebiti fattigli. Ed è a credere che circa l'annullamento del matrimonio alla fine aprisse chiaramente l'animo suo. Dichiarava che, « se dessimo una cita al duca de Bari, li altri nostri fratelli M vorriano el medesimo, et poi nostri figlioli, et così successive che u se veneria a smembrare questo stato » (3). Si augurava pertanto che in tal modo « se venerano ad redolcire li animi de l'una parte « et l'altra, et viveremo insieme comò debe fare il figliolo col padre »'. Dopo qualche giorno, coH'arrivo della lettera speditagli da Napoli (3) Poi. Est. Nap., Napoli, 5 giugno 1472. (2) Ibid., 16 giugno 1472, (3) Pot. Est. Nap., Pavia, 16, 20 e 21 giugno 1472. La lettera minutata nel 16 e copiata nel 20, fu spedita nel 21, prima che giungesse quella mandata nel 16 da Napoli. 432 NICOLA FERORELLI il i6, avendo conosciuta la benevole disposizione del re a suo riguardo, rispondeva subito accettando ; e, poiché così toglievasi di mezzo ogni « rugine et dissidio », domandava in grazia che Isabella gli fosse consegnata fra sette anni, « per posserla allevare in « li nostri costumi de qua », e che Eleonora sposasse persona la quale « non faccia per noi né contra noi, salvo se non facessemo u contra la predetta M.^à q contro quello tale che la se maritasse, « non essendo provocati da lui ». Pregava inoltre di lasciare a Sforza Maria il ducato di Bari e chiedeva di regolare comuni i rapporti politici con Venezia ed altri stati (i). Si discusse benevolmente su tutto, e rispetto alla conservazione del ducato di Bari a Sforza, benché Ferdinando d'Aragona si opponesse, « dicendo che dando equivalente stato, o pagando el debito « pretio, el dovesse rehavere », il Maletta gli osservò che .. non « era ben facto ad levare saltem de presenti Barri al dicto duca : « prima perchè la iustitia noi vole, per essere dato Bari ad esso u duca, et non a madonna Elyonora, come dice il privilegio, et non .< solum per contemplatione de essere genero, ma per li meriti del « padre ; secundo per non desperarlo, facendogli perdere la mo- « gliere et lo stato appresso et attribuire cariche in uno tracto a « V. E. et ad S. M.^à- tertio per non mostrare diffìdentia tra questi « stati et mostrare de fare tanto caso de roba; quarto perchè gli « era honore et reputatione bavere uno fratello de V. S. per feu- « datario ». E con queste e molte altre degne ragioni lo indusse « a remanere contento de lassarlo ». E contemporaneamente dichiarava essere già tempo di scrivere all'arcivescovo di Novara « che « disponesse S. Santità a la separatione del matrimonio » {2). L'accordo era finalmente raggiunto, e, regolate le diverse questioni politiche, re Ferdinando, la sera del 14 luglio in Castel Capuano, in uno « loco assay secreto » ed alla presenza di Ippolita Sforza, del duca di Calabria, del conte di Maddaloni, del segretario, di Turco Cincinello, di messer Pasquale e di Francesco Maletta, giurava su un'ostia consacrata, nelle mani di Francesco Maletta, l'esatto adempimento di quanto erasi convenuto (3). Intanto nel 31 luglio Galeazzo delegava Giovanni Andrea Ca- (i) Fot. Est. Nap., Pavia, 25 giugno 1472. (2) Pot. Est. Nap., Napoli, 11 lug io 1472. (5) Ibid., 14 luglio 1472, e , dal quale, come ricorda una iscrizione, fu nel 1488 costruita la torre Viscontina del castello (5). Si può così dire che, dopo Azzo Visconti, si ebbero per governatori: Gaspare Visconti, Benedetto Castiglione, Ippolito Sforza, Giovanni Ermenzano e di nuovo Gaspare Visconti. A quest'ultimo Ludovico il Moro dette per successore nel 1492 Antonio Macedonio, che seppe entrare nelle grazie del duca mediante i meriti della moglie Sarra, giunta da Napoli a Milano in compagnia d'Isabella d'Aragona nel 1488. Ma, essendo quegli morto prima di raggiungere la residenza, lo sostituì col figlio Paduano Macedonio, il quale prese possesso dell'ufficio non prima del 10 giugno, dopo che il sovrano acconsentì a derogare al privilegio concesso ai baresi di non porre in città come ufficiali persone di Napoli (6). (i) Pepe, op. cit., p. 17. (2) Poi. Est. Nap.j Bari, 12 marzo 1483. (3) Pepe, op. cit., p. 17 e sg. (4) Pot. Est. Nap., Villanova, 6 dicembre 1485, e Pepe, op. cit., p. 21. (5) Pot. Est. Veti , Venezia, 6 e 27 settembre 1487, e Pepe, op. cit., pp. 25 6 34, <^he riporta l' iscrizione. (6) In tale circostanza Ludovico il Moro, oltre al re, al duca di Calabria, e ad Antonio Stanga, scrisse anche all'università di Bari, pregandola vivamente che IL DUCATO DI BARI SOTTO SFORZA MARIA SFORZA, ECC. 439 Il Macedonio nell'ottobre del 1493 inviava ampi schiarimenti intorno ai « mancamenti di notario et altrio » e, per provvedere contro costoro, « digni di cognitione et castigatione », si davano ordini opportuni all'ambasciatore Antonio Stanga (1). E sotto di lui, nel 17 settembre 1493, si tornava a sollecitare la nomina di un nuovo capitano a Modugno « per essere vicino el fin del anno « di quello in carica, oppure la conferma di costui, perchè « non « sarebbe multo a proposito, essendo la terra piena de populo, « tenere la cosa cossi sospesa » (2). Vi fu eletto da Gaspare Visconti il dott. Giovanni Maleno di Rossano nel gennaio del 1494, e confermato nel febbraio (3'. E per la morte dell'arciprete della stessa città, avvenuta nel giugno del 1493, ^^ beneficio restato vacante fu domandato al re ed ottenuto da messer Stefano di Bari, dottore e uditore del cardinale di Napoli, il quale, con volontà e consentimento del re, lo impetrò dal papa. Ma, avendo poi l'università di Modugno allegato che il beneficio conferivasi dall'arci- vescovo di Bari alla persona per la quale essa supplicasse, ed allora per Don Grisanzio, ed essendo cosi sorte delle contestazioni, venne nominato arbitro della sentenza il cappellano maggiore di Sua Maestà. Nel 23 aprile 1494 il duca desiderava che si esortasse il sovrano a confermare don Grisanzio ed a proibire all'altro di continuare a rendersi molesto (4). Inoltre, essendo necessario provvedere in Bari alla nomina del « maestro mercato » per la morte di Francesco Castilliano, famigliare di Ascanio Sforza, il suo sostituto Andrea Orlando, milanese, chiese e nel settembre del 1493 ottenne per se l'ufficio che <♦ non importa altro se non essere presidente overo admini- « strare ragione sopra tri mercati che se fanno l'anno in Bari, e « secondo se dice non se cava mai da Vili fin in X ducati « l'anno w (5). Nel dicembre i milanesi ivi residenti desideraper sua compiacenza si contentasse derogare ai propri privilegi, ?, quando il re li sottrasse al dominio sforzesco, '^ acteso lo optimo guberno et li beneficii receputi da u V. 111. Singnoria, et speramo malora in futurum recepere, U quali " sono digni de memoria che nulla lingua humana li poria espriu mere >? (7). (i) Vedi p. prec, nota 5. (2) Pot. Est. Nap., Milano, 4 dicembre 1494. (3) Pot. Est. Nap., Napoli, 22 febbraio 1495. (4) Ibid., 19 marzo 1495. (5) Ibid., marzo (senza giorno) 1495. (6) Pot. Est. Nap.y Bari, 22 marzo 1495. (7) Ibid,, 13 marzo 1495, e Vigevano 2 e 5 aprile 1495. 444 NICOLA FERORELLI Il sei marzo il Macedonio con Alessandro, capitano dei balestrieri, e con Antonio Borsello e Giovanni Antonio Gastellazzo passò a Palo a riprendere possesso della città e dei « cavalli et pollitri et stalloni et racza ", e furono " veduti tanto volontere quanto dire u se possa n dal popolo, che affermava di " dare tanta laude a Dio u omnipotente de la gracia inci bave concesso essere retornati socto u lo dominio de V. III. S., socto alla quale bavemo speranza u vivere et morire >>. Ognuno mise la biscia viscontea u in le beii rete ??, e nel paese non vedevasi altro che u bisse, autem voleno " essere vassalli de V. S., et gli è più terre che ano alzato le '» bandere de V. S. . et ognuno grida : Sforza, Sforza ". E, come rilevasi da una loro supplica del 28 marzo, firmata " Vassalli miu nimi homines terre vostre Pali », avevano ben ragione di rallegrarsene, giacché, con lo stabilirsi degli ufficiali regii, il castellano di Bari fece donare dai Palesi al re Alfonso cento ducati, cui se ne aggiunsero sessanta di spesa per i due sindaci mandativi a pretenderli, ed, inoltre, avendo essi pagato al Sartirana, senza ottenere ricevuta, sette once, ed avendo il sindaco speso per la " cavallariza n dodici once, il regio tesoriere non aveva voluto riconoscere tali pagamenti. Avevano anche da lamentare che'^ogni giorno mandavansi cinque o sei persone in prigione a Bari u et u questo per straciarinci, dicendoni che questo haviti che siati u sforzeschi che havite mille bisse in corpo per homo ^ (i). A guardia della porta d'ingresso del castello venne riconfermato Giu- sto di Pisa, posto da lui occupato da circa trentatre anni. Egli non riceveva stipendio da sette mesi, dal settembre 1494, e chiedeva nel 14 marzo 1495 di essere pagato (2). In quanto ai cavalli, tenuti in nome del re Alfonso da Nicola Mascabruno con l'aiuto di Spagnolo de la Piazza e di Giacomo Guazzone di Bari, ne erano stati portati via ventitre per donarli alla signoria di Venezia. Nel 7 marzo erano ancora a Taranto, una delle poche città restate nelle mani degli aragonesi. Quando si sparse la voce di un possibile saccheggio alle razze del re, il Mascabruno fu sollecito a metterle tutte in salvo in paese, ritirandole dalla campagna ; e, in compenso, dal Macedonio che nel 6 marzo le prendeva in consegna (i) Fot. Est. iVap., Palo, 7, 15 e 28 marzo 1495. (2) Ibid., 14 marzo 1495. IL DUCATO DI BARI SOTTO SFORZA MARIA SFORZA, ECC. 445 previo inventario, venne lasciato alla direzione della cura di esse insieme con Spagnolo Piazza e Giacomo Guzzone di Bari e con Antonino Borsello e G. Antonio Castellazzo, i quali due ultimi rioccupavano allora l'ufficio lasciato quando il Mascabruno vi giunse a nome del re. L'inventario, compilato dal Piazza, dal Guzzone e da Giova?mi Angelo Francischino, fu spedito a Milano, e nell'unita relazione asserivasi di esserci stati quaranta parti con la nascita di diciotto poliedri maschi e ventidue femmine, di trovarsi circa centoquaranta giumente pregne, altre duecentoquaranta da monta, pochi stalloni, e due poliedri calabresi di razza di bella presenza, che, soffrendo dolori alle gambe anteriori, potevansi adibire solo a stalloni. Aggiungevasi che i poliedri chiusi nelle stalle erano magri, perchè non erasi seminato, v' era perciò mancanza asso- luta di erba, orzo, paglia e vettovaglie, ritenevasi prudente non mandare a pascolare per la campagna i cavalli, tanto più che i soldati avevano ovunque mangiato ogni cosa, e, per il trasporto di quelli che si desideravano a Milano, occorreva munirsi di speciali lettere patenti. Si dava anche la notizia avuta da un mercante milanese, giunto a Bari da Rossano, dell'ottimo stato della " razza nova et stalloni » di là, di cui aveva cura un gentiluomo del luogo da parte degli aragonesi (i). Del tutto Lodovico il Moro provò vivo piacere, n - potevasi meno rallegrare di quant'altro avveniva frattanto a Bari. 11 viceré delle Puglie, « Gabriele de Labret, monsignor de la Sparre », si recava in Bari a ricevere il giuramento e l'omaggio da parte della comunità, e in tale circostanza parlò « honorevolmente » di lui e comandò che tutti ubbidissero al viceduca Paduano Macedonio. Inoltre rilasciava lettere patenti, una per il libero pascolare della razza equina nelle solite « defese », e l'altra per riavere i cavalli tolti da re Alfonso, ed i poliedri venuti da Calabria e, come si intravvede, sequestrati. In secondo luogo provvedeva per il ricupero di quanto era stato rubato dai cittadini agli ebrei nel saccheggio dato alla giudeca poco prima, per il valore di circa diecimila ducati Infine, si occupava della resa del castello, ben difeso e tenuto da Bernardino Poderico di Napoli. Scriveva il Macedonio al duca nel 22 marzo 1495 di avere avuto il viceré col castellano « de multe et strecte pratiche », e. (l) Pot. Est. Nap.y Palo, 7614 marzo 1495 ; Vigevano, 265 aprile 1495 446 NICOLA FERORELLI di essere giunto ad un accordo, i capitoli del quale eransi mandati al re di Francia, « cum pacto habiano ad tornare dicti capitoli « expediti infra termine de otto iurno : fra el quale tempo dicto u castellano tegnirà el castello per re de Franza, et passato lo teru mine, et dicti capitoli non venendo expediti, eh' il castellano sia « in sua libertà v. Egli ignorava il contenuto dei capitoli, né sapeva prevedere quanto sarebbe successo; e mentre consigliava che il castello, alla sua resa, fosse tenuto dai francesi, riferiva che del cardinale di Aragona e del'a principessa di Altamura, moglie di don Federico, ivi rifugiati, il primo era partito verso Taranto con salvacondotto di re Carlo (i). Certo, Ludovico il Moro, nella speranza che la resa avvenisse presto, aveva già concesso ad Antonio de Lucia di Atella « la castellania et governo del castello de Bari », del che quegli fu sollecito a ringraziarlo nel 25 marzo (2). Ma l'accordo a cui accennava il Macedonio non ebbe seguito, e solo verso la fine di aprile si ottenne la capitolazione col minacciare il castellano di impiccare suo fratello Giovanni Antonio Poderico, arrestato a Napoli e condotto all'uopo a Bari (3). Tuttavia i Francesi vi si stabilirono da padroni, e, sin dal principio dell'aprile, il conte di Caiazzo, avendo per la terza volta domandato al re la licenza di inviare a Milano i cavalli e chiesto la concessione del castello per quando sarebbe stato preso, non riusciva a « cavare altro, né l'una né l'altra cosa '?, e stimava che u l'animo suo sia de non darlo » (4), e nel f8 maggio il Macedonio avvisava di essersi il re impossessato di Rossano e di avere ugual (i) Pot. Est. Nap., Napoli, 19 marzo 1495, e Bari 22 marzo 1495. (2) Pot. Est. Nap., Atella. 25 marzo 1495. (3) Pepe. op. cit., p, 25. (4) Pot. Est. Nap., Napoli, 3 e ^ aprile 1495, ^ sommari tale data. A causa del rifiuto di lasciar partire i cavalli per Milano, il conte di Caiazzo ritenne opportuno scrivere prima del 6 aprile a Bari alle persone del duca signatarum nobilibus viris Federico et Christoforo de Favagrossis fratribus civibu? Crernone ac ducalibus castellanis diete arcis Bari, facta in lingua materna per manus mei nolarii subscripti de mandato mag.ci et generosi viri domini Az^nis Vicecomitis ducalis generalis locumtenen tis dicti ducatus et civitatis Bari ac terrarum Pali et Modunii etc. Imprimis: Balestre cinquanta de ligno fornite. Balestre diecesepte de azaro fornite. Fusti trentauno de balestre lavorati. Fusti quaranta de balestre non lavorati. Teheri deceotto de balestre lavorati et quattro non lavorati. Balestre doe de azaro rotte. Mazzi dui de tusti per fare archi. Mezza cassa de filo per fare corde de balestre. Banchi sei et tilaro uno per" imponere balestre. Molinelli quaranta dui forniti et septe senza corda. Crocchi otto de ferro per carecare le balestre ad leva et cinti nove con li crocchi. Cassette vintitre piene de vertuni et corba una grande piena de vertuni senza ferro. Itein coraze quindece scoverte et doe schiavate. Coraze undece coverte, et vinticinque rotte. Maniche doe de maglia et para quattro de fiancali. Para trenta de schinere, vinti de amisi, diece de brazali et vintidoe de guanti. Spallaroli vintidoi, celate vintisei, el- 464 NICOLA FERORELLI niecti nove, con otto fornimenti de rame, bavere undece, tariconi diece tristissimi, tarechette sepie de ligno, una col coyro et una de spaco. Spate diece, ronche vinte, azecte trentaotto et ferri quattro da schiavarine. Lanza una iannetta, lanze vintinove da fanti : altre lanze cento senza ferro, ferri de lanze quarantanove, dui fassi de dardi et una carrata de martelletti. Item bombarde nove de ferro da ceppo, bombardella una col ceppo, spingarde quattro de ferro col ceppo et una senza ceppo. Spingarde doe con li cavalietti de ferro, uno scoppetto di terrò. Zerbottane septe de ferro. Cavalletti sei de ferro per le zerbottane. Cavalletti sei de ferro per le spingarde. Code vintiotto de bombardelle de ferro. Zerbottane tre de ferro rocte. Ballocte decenove de piombo per le spingarde. Cassa una grande piena de polvere. Botte septe piene de sulfuro, uno archone et doe botte piene de salinitro. Tine cinque per fare lo salnitro. Conzo uno per pistare la polvere. Ire verricole con le brache, et tre senza brache. Taghe diece grande et tre piccole. Pezi undici de corda grossa et marza. Casse doe de chiodi de mezo brazo. Item de biscotto tristo cantara vintiotto, rotoli vinti. De ferro vecchio thomoli septanta. Bucti quattro de miglio vecchio. De fave vecchie thomoli tredeci. Botte sei piene de sale. De vino marzo et de acito salme cinquanta cinque. De oglio grosso, et chiaro salme doe et meza. Tre cistoni de paglia per tenere lo grano. Uno thomolo, dui mezi thomoli, et uno stoppello de ligno ferrati per mesurare lo grano. Doi molini grandi per macenare lo grano et doi altri molini piccoli da macenare ad manu. Una ir.astra per fare lo pane et tabole septe per portare lo pane allo fumo. Botte ottantasei per tenere lo vino. Una bocte grande et doe pile de petra grande per tenere oglio. Una botte piccola per lo vino. Botte trentadue vecchie. Imbuto uno de ligno per mettere lo vino alle botte. Tine tre de ligno per tramutare lo vino. Mazi dui de cerchie per consare le botte. Barili cinque vecchi et mezo staro de rame per mesurare l'oglio, Item Cavalletti per le lectiere trentadoi, tabole quarantaotto per le diete lectiere, altre tavole de apeto dudece. Quattro tavole per uno letto da campo. Banco uno armato. Banchi decenove non armati. Sacconi nove de canavazo per li letti. Matarazi otto vecchi. Piomazo uno. Rotoli vinti de lana in uno sacco. Schiavine quarantacinque. Manti dui. Carreche tre da sedere. Cancanelli quarantaotto de ferro. Tabole quattordece duple tra piccole e grandi per mensa. Dischi cinque per mangiarece, et banchetti dui da scrivere. Uno vestimento di tela per lo prehete quando dice la messa, una campana sopra la torre mastra et uno campanello allo cortiglio. Casse otto de noce et de apeto. Doi scringhi ferrati, de li quali uno è chiavato pieno de scripture. Uno armario de ligno. Una banca de cancellarla et uno arcevanco. Item fasso uno de ferro novo et bastuni sexantauno non ligati. Pezi quattro de azaro comò IL DUCAIO DI BARI SOTTO bFOKZA MARIA SFORZA, ECC. 465 balestre. Dui pezi grossi de ferro, de altro feiro rupto extimato some dee. Para vincinque de ferri per presoneri. Una staterà grande de ferro col suo peso. Mezo barile de centre. Dui battaglii de campana. Una catena grossa per lo ponte. Tre catene per gli schiavi. Lanterne cinque de osso. Mezo barile de chiodi per ferrare cavalli, sferre septe vecchie de cavalli, paro uno de bilanze grande de ligno. Una palanga de ferro per rompere lo muro. Rote quattro de carretta. Cassa una de cavicchi de ferro. Doi ferri pizoli per bollare li cavalli. Una mola grande con le maniche de ferro per arrotare cortelle. Tre altre maniche senza mola. Uno ronchetto. Uno zappono. Una zappa rotta. Pale cinque de ferro nove et una rotta. Tre falzuni da prato vecchi et una falzetta. Una mannara marza. Una serra. Doe asse. Tre martelli da chiavare. Ferri quattro da piana. Guer.... tre mezani et uno grosso. Martelli quattro et tre piconi per tagliare petre. Caze tre da murare Capofoco uno de ferro grande et dui piccoli. Caccano uno de rame et uno cucumo. Caldare tre grande et doe mezane. Dui caldaroni pizoli rutti. Doe patelle sane et tre rotte. Uno tripedo, uno spito, un altro tripiede per io bacile, sicI hio uno de rame grando et doe azepte rotte. Item barili quattro de chiodaria voyti. Barili sei marzi. Trabi cinque grandi et sei piccoli. Meza olla de rasina. Pelle deceotto de montonina. Feste cinque de sole. Una valice grande. Scale quattro portabele et rotoli cento de assongia. Item doe testere de ferro da cavallo et cinque testiere per le brighe. Doe pare de barde et reste tre de ferro. Remi vinticinque di galea. Doe tende piccole. Ancora una piccola, catena una grossa, et anello uno de ferro col chiodo. Et uno banchale francese con otto figure. Cum autem tacta essent descriptio predicta et inventarium dictarum munitionum, arinorum et rerum, supradicti Federicus et Cristoforus castellani diete arcis Bari, constituti in testimonio publico, ad interrogationem prelibati domini Azonis stipulantis nomine et prò parte dicti incliti domini Sfortie Marie ducis Bari etc, confexi fuerunt voluntarie, non vi, dolo, malo, metu, fraude, aut deceptione aliqua circumventi, se munitiones, arma et res predictas recepisse, et habuisse, habereque penés se, et sub eorum custodia et gubernatione intus in dieta arce tenere. Ut itaque premissis omnibus et siiigulis fides indubia adhibeatur, petente dicto domino Azone prò cautela et certitudine incliti ducis prelibati, factum est de bis presens instrumentum. Actum in dieta arce Bari presentibus nobilibus viris Ambrosio Perrense de Rubo, notarlo Stefano notarli Antonii, Pitrello Sparatello et Nicolao notarii Stefani de Baro, testibus ad premissa vocatis specialiter atque rogatis. {Sii^n. labelL). Et Ego Robertus de Perillo de Baro publicus ubiiibet Apostolica atque Imperiali et Regia ructoritate notarius ac IIArch. Stor. Lomb., Anno XLI, Fase. III. 30 466 NICOLA FERORELLI l.mi domini Federici de Aragonia predicti Ser mi regis secundogeniti generaiisque locumtenentis provinciarum Terre Bari, Terre Hydrunti, et Capitanate cancellarius, qui descriptionem et inventarium dictarum munitionum, armorum et rerurii feci, licet non ita ordinate et seriose, et supradicte confexioni facte per prefatos castellanos de earum receptione, presens una cum prenominatis testibus intertui, instrumentum hoc exinde confeci et inventarium predictum seriosius ordinavi, manuque propria scripsi et subscripsi et in hanc publicam formam redegi, meoque solito signo sive karactere prò more regni huius in fine signavi etclausi, rogatus et requisitus in fidem omnium et singulorum premissorum. Ambrosius Perrensis de Rubo testor. Notarius Stephanus notarii Antonii de Baro testaiur. Petrellus Sparatellus de Baro predictorum fateor. NicoLAUS notarii Stephani de Baro predictis interfuit et subscripsit. {Governo, Militare, p. a. Piazze forti ^ Comuni^ Bari). III. Inventario e consegna delle munizioni del castello di Palo. (13 ottobre. 1465). In Dei nomine amen. Ex quo virgo parens sancta enixa est mundo seculorum regem anno millesimo quatricentesimo sexagesimo quinto, indictione quartadecima, die dominico tertiodecimo mensis octobris. Pateat universis quod hec est descriptio sive inventarium munitionum armorum et rerum inventarum in arce terre Pali de provintia terre Bari sub custodia et gubernatione Alexandri de Catiniano de Megianeo conservatoris et cavarrecti sistentis in dieta arce et per eum assignatarum magnifico et generoso viro domino Azoni Vicecomiti locumtenenti et gubernatori ducatus et civitatis Bari etc, vel de eius mandato Stefano Conte suo famulo, cum dieta arx fuit assignata illustri et inclito domino Sfortie Marie Vicecomiti duci Bari etc. vel dicto domino Azoni nomine dicti illustris ducis recipienti. Que descriptio facta est in lingua materna hoc modo videlicet: Imprimis balestre vintiquattro de ligno fornite, balestra una de azaro, banchi dui, molonelli cinqui et cinti quattordeci forniti per carecare balestre, telieri sei de balestre senza fusti et fusti vinticinque senza telieri, fusti quattro non lavorati, mazi vintitre et polliche duecento septanta de spaco per fare corde de balestre. Cassette IL DUCATO DI BARI SOTTO SFORZA MARIA SFORZA, ECC. 467 diece piene de vertuni con li ferri et doe altre cassette non piene in tucto, cassa una de aste de vertuni senza ferro. Item arme vecchie et schiodate zoè panzere doe, para doe de scarpe, para dudece et mezo de schinere, para diece de amisi, coraze doe fornite con li elmecti, piecti nove et falde sei de coraza, para sidici de brazaii, spallazi dece, celate dece et elmecti vintitre, para octo de guanti, corazina una coverta^ tariconi tre et rotelle doe, lanze quattro senza ferro et ronconi diece tra boni et tristi. Item bombarde otto di ferro con dui ceppi, bombardelle quattro di ferro con li ceppi et un'altra senza ceppo, bronzine quattro piccole, scoppecto uno di metallo, spingarde doe de ferro, scoppetti sei de ferro, bombarda una et scoppetti cinque rupti, cassette quattro et barili dui de polvere, barili dui et mezo de sulfo in pondere rotoli cento, carratello uno de salinitro in pondere rotoli ducento ottanta uno. Item una verga de trabucco con le soe casse, un altro paro de casse per la verricola, ferri dui per lo trabucco, pierni sei grandi et piccoli per la verricola, doe marofionde de spaco, taghe quattro con le rotelle et una senza rotella, sartio uno grosso et dui sottili. Item de frumento thomoli vintiquattro et mezo, de vino marzio et de acito extimato salme vintiquattro, de oglio chiaro stare quattro et de oglio grosso stare cinque, de sale tristissimo thomolo uno, dui mezo thomoli de Ugno ferrati per mesurare la biada, granaro uno grande rupto per ventolare lo grano, dui farnari rupti per cernere la farina, fazatore quattro et una gramola per fare lo pane, botte vintitre per tenere lo vino, bocte quattro grande per tenere l'aglio, bocte diece senza fundo et un'altra sfassata, dui tini de ligno grandi et uno piccolo^ barili quindici tra boni et tristi, imbuti doi per ponere lo vino alle botte, mezo staro de rame per mesurare l'oglio, tenaglia una grande de ferro per consare le bocte, incini doi de ferro et coltello uno marrazo per conzare le botte. Item centimoli dui novi in ordine ad macinare, molini dui vecchi, mula una. Item lectiere tre con li banchi per lo lecto, sacconi dui de canavazo, matarazi sei vecchi pieni de lana, pexi cinque di tela listata che foro matarazi vecchi, capizali quattro, schiavine vinte bone et triste, coverta una de lecto de canavazo, destri doi de ligno. Item campana una grande et un'altra piccola, ampolletta una per le bore (i), martello uno di ferro per horilogio, lanterna una de ferro per fare luminarie. Item casse doe grande vecchie, cassette sei piccole bone et triste, banchi otto de apeto piccoli et grandi, tavole doe per mensa con li tristelli et una piccola senza tristelli, armario uno de ligno et carrecha una da sedere. Item serre sei tra grande et piccole, maniche de ligno lavorate per serre septe, (1) clessidra. 468 NICOLA FERORKLL'l asse cinque de ferro per lavorare Ugnarne, martelli dui per chiavare, guerdolo uno grosso, spinole doe grandi et quattro piccole, scarpello uno de ferro, zappa una piccola vecchia, ancudina una de fabro, maze doe grosse di ferro, para quattro de tinaglie per la forgia, rosina una da menescalco, azecta una, par uno de mantici per la ferrarla, li ferri per lo fornimento di un altro paro, par uno de mantici piccoli per aurefece, martelli dui per aurefece, martello uno et caze doe per fabricare, picono uno et martello uno per tagliare petre, mola una piccola con le maniche de ferro per arrotare cortelle et un'altra mola piccola senza maniche. Item caldare doe grande et una piccola, caldara una rotta senza manico, tripedo uno di ferro, et camastra una, caccavo uno de rame, patelle doe rotte, spiti tre de ferro, gractacaso uno rupto, mortaro uno di petra, celate tre con maniche per implire acqua, maniche octo de caldare et de sicchio vecchie, maniche doe de fersola, cantata una de rame rotta, cerchie cinque de ferro per galecte, lucerna una de ferro. Item de ferro novo et vecchio rotoli seycento octanta octo, de ferro rupto libre cinquanta, de piombo libre docento, cerchie tre di ferro per ceppi de bombarde et un altro piccolo, testa una de ferro per lo carro, cerchie doe grande de ferro per le rote de lo carro, barile mezo de aguti, pale cinque de ferro rotte et una per lo fumo, barile uno per polire le panzere, para cinque de ferri da tenere li presuni, catena una grossa de ferro per lo ponte, catena una per ligare li schiavi, pali tre di ferro grossi et uno piccolo per rompere lo muro, forcina una de ferro, sbarra una de ferro per lo portello. Item lampa una de rame per lo altare, campanello uno piccolo per la messa, candeliero de ottono, ycone quattro de ligno vecchie con certe ymagine. Item trabi sei grossi de apito et quindici mezani, quartara una piena de trementina, merco uno di ferro per senghale, falzuni dui vecchissimi, freno uno et briglie doe rotte, chiave una de ferro per la cisterna, scale tre de ligno portabile, par uno de bilanze grande de Ugno, lanterne septe de osso bone et triste, libre quattro de candele de sivo molto vecchio, caveghia uno de ferro per lo tarpito, incini doi de ferro per li Ascoli, catinazi tre de ferro mobili con le soe chiave. De quo quidem inventario, seu rerum predictarum descriptione facta per me Robertum de Perillo de Baro apostolica atque imperiali et regia autoritate notarium ac cancellarium illustrissimi domini Federici de Aragonia regii secundogeniti et locumtenentis etc, requirente dicto domino Azone ducali locumtenente etc., assumptum est hoc exemplum quod scripsì ego idem Robertus nihil addito, mutato vel detracto, brobavique et in fine meo solito karactere fideliter signavi. (Biblioteca Ambrosiana, Z. 226 sup.)

Isabella d'Este e i Borgia

著者
Alessandro Luzio

 SONO già molt'anni che l'Hófler deplorava non posse- dessimo ancora una storia critica di Alessandro VI : la quale dovrebb' essere preceduta da una serie di esatte ricerche su questioni di dettaglio, insignificanti in apparenza, in realtà decisive per un sicuro giudizio su papa Borgia (i). Il voto deirHòfler non è stato per anco adempiuto, né certo io m'arrogo d'assumere un carico così grave anche per gli omeri più poderosi. Mio proposito è di pubblicare testualmente, e d'illustrare con la maggior sobrietà possibile i molti, importanti documenti inediti che su Alessandro VI e i suoi figli si conservano nell'archivio Gonzaga. Le amichevoli relazioni di Rodrigo Borgia con la corte di Mantova risalivano all'epoca di Lodovico Gonzaga e Barbara di Brandeburgo. Come mai questa gentildonna specchiatissima e quel principe oserei dire ideale; perchè al mecenatismo artistico associava virtù domestiche patriarcali, concepissero così viva amicizia pel torbido e lussurioso spagnuolo, sarebbe difficile spiegare : se non si tenesse presente che il grande favore prodigato al Borgia da papa Calisto III, l'avvenire luminoso ch'era facile presagire per lui, dovevano naturalmente rendere inclini a blandirlo tutti i signori d'Italia. (i) Don Rodrigo de Borja und scine Sóhne nelle Denkschriften della I. R. Accademia di Vienna del 1889 : a ihr muss cine Reihe von hòchst genauen und « umsichtigen, quellenmàssigen und kritischen Untersuchungen von Detailfragen e vorausgehen. Es ist beinahe alles controverse » (p. 168). 470 ALESSANDRO LUZIO Certo, Rodrigo Borgia, appena assunto a vice-cancelliere, ne die notizia a' suoi amici di Mantova con una lettera, che rivela la maggiore effusione di cordialità, né è perciò da confondere tra le consuete partecipazioni di cerimonia (i). Il concilio mantovano del 1459 rassodò con i familiari rapporti di molti mesi (doc. I) l'intrinsichezza tra' Gonzaga ed il Borgia: sebbene l'ingenuo Schivenoglia, nella sua cronaca mantovana, con strano presentimento del futuro rilevasse già il sinistro sembiante di Rodrigo, mal dissimulato dallo sfarzo cardinalizio. <« Lo viceu chanzelero era de anii 25 et de uno aspeto de fare ogne male. « Quando volìa andar a la corte del santo padre fidìa accompa- « guato con forsi 200 o 250 chavalii con gran pompii ». Finito il concilio, divenne più frequente e affettuoso l'epistolare commercio, a cui dava sopratutto materia la passione venatoria del cardinale, sempre voglioso di ottener da* Gonzaga e buoni falconi e perfetti levrieri (2). Nella lunga sosta, fatta nel 1460 a Siena da Pio li, il sollazzo, della caccia serviva al Borgia per ingannar gli ozi d'un soggiorno tedioso (3): ma l'indole sensuale bollente di lui prorompeva già sfrenata in meno innocenti occupazioni, tanto da provocare un aperto, solenne rabbuffo del papa (4). L'orator mantovano, che se (1) Fabriano, j ottobre 14/7. a È piazuto a la S.tà de N. S. de crearce et e publicarce vice cancellerò de la S. R. C, la quale cosa havemo voluto noti- . Cfr. Pastor, Geschichte der Pàpste, voi. I, p. 846. (2) Lett. da Roma, 26 gennaio 1460, a Barbara per ringraziarla di falconi velocissimi. Aveva ritenuto il portatore di essi, « aciò che inpari queste campagne « de Roma per saperle insignare alla ili. S. V. se qualche volta venesse in qua ». Si sottoscrive di sua mano « El vostro compadre que a la S. V. se commanda a R. Car. de Valen. vicecanc. ». — Lo stesso giorno, ringrazia il suo compare Lodovico per un falcone perfetto; « pigliamo in queste campagne romane con . Su' due primi fidanzati di Lucrezia Borgia, cfr. il Diario del Burcardo nella nuova edizione del Celani {%. I. S. del Muratori)^ voi. II, p. loi ; e lo studio del Feliciangeli Il matrimonio di L, Borgia con G, Sfor:(a, Torino, 1901, p. 6. ISABELLA D ESTE E I BOR(;lA 4,9 che allo splendore dell'apparizione dello Sforza aveva contribuita la corte di Mantova, prestandogli ori, collane, perchè figurasse più degnamente quale sposo della figlia del papa: e in realtà avevan usato i Gonzaga a Giovanni questa delicata attenzione, perchè pregati da lui (i) e desiderosi di accaparrarselo meglio per la pratica già intavolata del cardinalato di Sigismondo. IL Neil' impazienza di riuscire i Gonzaga avevano commessoqualche passo falso : s'erano anzitutto rivolti a Giuliano Della Rovere, dimenticando che ciò bastava ad alienare l'onnipotente Ascanio Sforza, del quale il futuro Giulio II mirava a sbarazzarsi con insistenti pressioni sul papa, perchè addirittura lo privasse dell'alloggio sontuoso in Vaticano (2). Avevano inoltre i signori di Mantova spedito emissari anzichenò goffi, che, per quanto « stravestiti da M todeschi », avesser cercato strappar subito la vittoria brigando attorno in nome dei parenti illustri, vantati da* Gonzaga in Germania, s'erano attirati solamente le beffe in una corte, dove occorrevano sei mesi almeno di tirocinio per imparare le arti volpine curiali (3). Anche Carlo Canale si meravigliava dell' imperizia manto^ vana nella trattazione di cose assai delicate: tanto più che i Gonzaga della linea dominante erano fiancheggiati da congiunti gelosi, interessati a controminare le loro aspirazioni. 11 vescovo Lodovico^ per esempio, che si rodeva anche lui dell'ambizione di conseguire la porpora a preferenza del nipote, redarguì il Canale perchè s'in- gerisse in tali faccende, mostrando di conoscere a fondo i segreti accordi avviati col papa, a base di danaro : un'offerta di quindici (i) Con leu. 15 marzo da Pesaro, lo Sforza aveva chiesto al marchese ff qualche collana o sua o vero de m.a sua consorte j>. (2) Disp. 28 luglio 1493 di Giovanni Lucido Cattanei. — Disp. 8 giugno di Piergentile Varano : a Sa la S. V. le pratiche sue esser sempre state cura Sam- « piero in Vincula inimicissimo de Aschanio, i 1 qua! è quel governa Roma», Dunque bisogna amicarselo o sarà vano sperar il successo nella pratica del cardinalato di Sigismondo. (3) Curiosa lettera anonima da Roma, 8 giugno 1493 : tutti a Roma, yì è detto, deridevano come « maschara » quell'inviato mantovano. 480 ALESSANDRO LUZIO mila scudi sonanti. « V. E., esclama il Canale (lett. 8 giugno 1493) « può considerare : non havemo facto parole fra nui et za se .« sapeno ». Raccomandava pertanto che a Mantova si serbasse più fedelmente il segreto; e concludeva che per assicurare il cappello cardinalizio di Sigismondo non si guardasse « a roba, né a « dinari, dinari » {bis testuale). La spesa fatta sarebbe risarcita ad usura da' vantaggi futuri. Al tempo de uno altro Papa che venesse, dio ce guardi quello che nui habiamo, V, S. poterebbe non solum bavere questi che dispenderete ma de li altri piacendo a dio Sono alcuni che dispenderiano più de 50 ni. due. per haver uno suo filiolo et fratello, sì che V. E. non stia per denari de farlo (lett. 11 settembre 1493). Il Canale era allora ospite deirarcivescovo di Valenza, villeggiante a Caprarola: e si faceva eco delle critiche, che all'indirizzo del Gonzaga sentiva lanciare nell'w entourage w borgiano. Si censurava che non avesse offerto de' vistosi presenti a madonna Lucrezia (1); si censurava che nell'accogliere gli ambasciatori del Turco il marchese Francesco avesse esagerato le antiche tradizionali simpatie della casa per il sultano (doc. Vili); e oltrepassando i confini della semplice cortesia avesse esibito addirittura le chiavi della città al messaggere ottomano. Il marito di Vannozza aveva insomma sposato tutti gli interessi de' suoi figliastri ; felice di veder cominciata per essi la più esuberante vendemmia nella vigna del Signore. Sulle nozze del Gandia con Maria Enriquez, celebrate il 24 agosto 1493 a Barcellona, il Canale trascriveva di suo pugno una lunga relazione, la quale indugiavasi a magnificare le solenni accoglienze de' reali di Spagna, a quel bastardo papale. Eran ad aspettarne l'arrivo i più alti dignitari : stava preparata « per la persona de lo S.*" Duca una mula « grisa molto bella, guarnita tutta di brochato », ed egli, sontuosamente vestito, con una ricca collana di « baiassi w, un « bellis- « Simo diamante in la beretta », fu messo in mezzo « de l'infante « de Granata, quello re gioeno de Granata et del Duca de Cardona (i) Lett. II settembre 1493 : « Essendo qua in Caprarola lo R. Archiepi- « scopo de Valenza et io.... se disse cerno V. S. IH. essendo cunato del S. Jo. e da Pesaro.... dovea pure apresentar la sposa ». Anche nel 1497 (lett. 2 ottobre) Carolus Canalis divenuto Soldanus di Tordinona esordisce : a a li dì pas- ci sati stando in camera cum Mons. nostro R. de Valenza /). ISABELLA d'eSTE E I BORGIA 481 « et così lo acompagnavano per la strada che si chiama longa.... a sino a lo palatio dove stava lo Re et la Regina et lo S. princep « suo filio Quando furon davante a lor maestade, lo S. Re se u levò in pede et lo S. Duca se inzenochiò et li basò la mano et u simelmente fece alla Regina et cusì parlò a lor maestade dignau mente. Et fato questo venne lo S. Princep che stava in una u altra camera in el dicto palatio et venne insiemi cum la sposa « per mano Lo S.'" Duca la disposò inanti a sue Maestade et « non la basò perchè è usanza non fare simile cose come se usa « in casa nostra de basare » {lett. senza data del Canale, tra le minute del 1493). Quando persino i reali di Spagna inchinavansi a questi « par- « venus », chi poteva dubitare che a tutti i Borgia dovesse sorridere il più luminoso avvenire ? Del duca di Gandia, scriveva G. Lucido Cattaneo, ch'egli era, nel recarsi a Barcellona per la cerimonia nuziale, partito di Roma carico di bottino, e che l'anno prossimo tornerebbe a farne dell'altro : per don Gioffrè si venti- lavan pure dei progetti di matrimonio, che avrebbero, chi sa mai, potuto persino procacciargli l'investitura di Bologna, donde sarebbero espulsi i Bentivoglio (disp. 3, 6 agosto 1493 del Cattanei) ; pel Valentino infine si preparava la porpora, conferitagli dopo un lungo e burrascoso concistoro, in cui fu sanata con artifici indegni r illegittimità della sua nascita, proclamando in apposita bolla la fedeltà di Vannozza al suo primo marito officiale (i). Sull'insurrezione della parte migliore del Sacro Collegio contro le imposizioni di Alessandro VI dava gustosissimi particolari il Cattanei (18-23 settembre, 3 ottobre 1493) : e conforta il vedere (i) Le due bolle del 19 settembre 1493, con la prima delle quali si dichiara Cesare Borgia figlio legittimo di Domenico d'Arignano e Vannozza Cattanei, salvo ad affermar poi nella successiva bolla tutto il contrario, son pubblicate dall'HARRisoN-WooDWARD. C. Borgia, Londra, 191 3 (uno de' pochi libri inglesi di storia italiana del Rinascimento, che non sieno superficiali compilazioni, o plagi impudenti di roba nostra). Que' documenti sconvolgono anche la comune opinione che Giovanni duca di Gandia fosse nato prima di Cesare, poiché Alessandro VI pretende che, rimasta Vannozza vedova dell'Arignano, a dilectum « fiM^m ncb. virum Johannem de Borgia.... procreavimus ». Cfr. la nuova edizione del Diario del Burcardo, a cura del Celani (voi. I, p. 562): ivi si troverà la prima bolla del 19 settembre, in una lezione più corretta di quella offertaci dall'Harrison-Woodward (p. 406), che ha saltato un paio di righe, rendendo inin- telligibile il testo. Arch. Star Lomb., Anno XLI, Fase. III. 31 482 ALESSANDRO LUZIO come al postutto le brutture de' Borgia destassero così fiere e sdegnose proteste. Alessandro VI, minacciato di scisma, spiegò per la prima volta gli artigli, adombrando, con oscure minacele a' riottosi, il vero esser suo. Ah voi non volete cardinali « de simile sorte ? « ebbene io ne farò altrettanti a vostro dispetto : vedrete chi è papa Borgia ! La candidatura di Sigismondo Gonzaga, patrocinata dagli oppositori di Alessandro VI, capitava quindi in mal punto; prescindendo poi dalla consueta ragione, che inceppava spesso le bramosie de' Gonzaga: la mancanza di denaro pronto, alla mano. Gian Lucido aveva sperato di supplire con garanzie.... dando persino in pegno se stesso !.... Ma le più sperticate promesse eran cambiali, che si scontavano difficilmente al banco borgiano. L'accorto ambasciatore suggeriva perciò che si accarezzasse molto Lucrezia : le si prodigassero tangibili prove di deferenza, di gratitudine, poiché in lei si aveva un'alleata veramente decisa a favorire la pratica cardinalizia, per ora fallita, del protonotario. Tutte le prime lettere di Lucrezia Borgia o a lei relative s'aggiravano anche nel 1494 su questo porporato « in fieri w, affidato alla protezione della bionda fanciulla. Giovanni Sforza (lett. i.° marzo 1494 di F. Brognolo) hammi poi dicto che tutte queste donne, le quali hanno quello adito che volano al Pontefice et precipue m.na sua consorte la quale da ogni canto intendo essergli molta accepta, non li poriano venire de miglior gambe, et certo che intendo per la età sua la ha grande inzegno. Ho voluto dir questo a la E. V. perchè la sapia che la magior parte che voleno conseguire gratia di qua passa per questa porta et già m' è stato cignato che non serria male a usarh qualche gratitudine.... La già governante di Lucrezia, Adriana Mila (doc. V), protestava in una lettera graziosa a F. Gonzaga che Sigismondo le era caro quanto il suo ili.™» Farnese (il futuro Paolo III) ; lo stesso giorno, la sposina Borgia prometteva che mai cesserebbe di « inu stare et importunare » per il suo raccomandato. Isabella d'Este in que' mesi aveva compiuto il voto fatto, pel primo suo parto felice, d'un pellegrinaggio al santuario di Lo- reto (i). Aveva sostato anche a Pesaro, professandosi riconoscente (l) Cfr. Feliciangeli, Isabella d'Este Gonzaga a Camerino e a Pioraco, negli Atti della T>eputaiione storica marchigiana del 19 12. S'annodarono allora cortesi BORGIA 483 allo Sforza e a Lucrezia per le accoglienze, di cui, in loro assenza, la si era egualmente colmata ; né aveva trascurata l'occasione di perorare pel cognato protonotario. Ma F. Brognolo crudamente da esperto cortigiano la ammoniva a lasciar da parte le officiosità, non accompagnate da positive dimostrazioni. El ce bisogna denari et non lettere.... Io scrivo molto largamente a la E. V. et senza rispecto de persona, parendomi non poder erare a dire la verità (disp. 3 aprile 1494). 1 Gonzaga dovettero alfine risolversi e darsi attorno per trovare una somma da spedire a Roma, alla prima richiesta del papa, insieme a succolenti regali di carpioni, di formaggi e a ricchi presenti di gioie (i). Alessandro permise sorridendo che si distribuissero i formaggi anche alla sua favorita, ma per un ritegno di pudore, di cui bisogna tenergli pur conto, s' irritava che la sua tresca con la bella Giulia Farnese venisse apertamente riconosciuta, e vietò pertanto che si dessero a lei i gioielli mandati in dono, u et pour cause », da' signori di Mantova (disp. 5 maggio 1494 dall'inviato G. Benedetto). Le zoglie non le ho ancora presentate a queste madonne per essere lor state occupate in certe noce che sono fate qua dove erano invitate: presentar© la sua a la mogliere del S.*" Zohanne, l'altra credo rapporti tra Isabella e i Varano, che le facevano poi omaggio di prosciutti.... chiedendo in cambio de' versi ! — Lett. di G. Cesare Varano, 14 aprile 1499 ; e lett. di Venanzo Varano, del 9 luglio 1499 : « Venendo Vincenti© presente ex- « hibitore là per alcune fecende, prego V. S. che per lui mi voglia mandare a qualche cosa nova o del Thebaldeo o de Seraphino, come mi promese quando « fui lì, che mi farà cosa gratissima, offerendomi fare il medesimo verso V. S. « quando mi accada cosa alcuna nova.... j>. (i) Disp. 27 marzo 1494 di G. Brognolo, che dà conto della distribuzione fatta in corte romana de* carpioni e formaggi spediti da Mantova, col plauso del papa. Nel ricevere que' presenti, molto opportuni per la quaresima, Alessandro VI « se voltò verso uno di suoi et comiseli in spagnolo, ita tamen eh* io a intesi, che ne dovesse far parte et a Valenza et a le donne. Alhora io dissi : « Padre Sancto, a la V. B.ne se ne fa pocha parte per darne anche a li suoi, a Cominciò a ridere et disse : voi fati bene ». A Lucrezia e a Giulia Farnese*toccaron due forme per una. — Quanto al denaro, lo stesso Brognolo, in un successivo disp. del 4 maggio riferisce che il papa gli disse « che dovesse pur scrivere a la E. V. che per hora non mandasse a gli denari ma li tenesse cusi, che sempre in sei zomi si poterìano mandare ». 484 ALESSANDRO LUZlO de riportarla a casa perchè il pare ad esso S.r Zohanne che la non se debba dare a madona Julia, certificando chel Papa l'havèria a male. [Ognuno dice] questo papa esser mendace et non observare fede. Le tre donne predilette in varia misura da Alessandro VI : Adriana, Giulia e Lucrezia (i), lasciarono Roma l'ultimo di maggio del 1494. Furono benissimo accolte in Urbino : e 1*8 giugno giun- sero a Pesaro, con Giovanni Sforza « sano, lieto et gagliardo »» (sua lettera da Pesaro, 9 giugno). A sentir lui l' impazienza de' sudditi nel salutar la sposina era apparsa indescrivibile : Non credo che li s.ti patri in el limbo stessine in tanta expectatione de lo advenimento de Christo. Per hogi et per domane attenderemo ad bali, representatione, egloghe et comedie et poi ad altro se darà opera.... Le tre donne sottoscrivono unite il 15 giugno una caldissima commendatizia per la vedova di non so che « Pietro mantuano » (2) : il marchese Francesco non solo mostravasi disposto a compiacerle ma il 13 luglio le invitò tutte quante a Mantova, protestando di aver cara Lucrezia quanto la « quondam »» sorella Margherita. L' invito non fu accolto, perchè molte circostanze concorsero a frastornarne l'accettazione. Giulia e Adriana, scriveva lo Sforza il 23 luglio, « avisate dal R.^o S. Card, da Farnesio chel SJ^ An- « gelo suo fratello.... laborabat in extremis se partero de qua ali « 12 del presente ». Egli ha ordine dal papa di cavalcare. « Impossibile seria essendo le cose de Italia ne li termini che « sono, ch'io né M."^ mia consorte per non lassare la terra sola », ci assentassimo. Stava per piombar sull'Italia il ciclone dell'invasione francese, e tutte necessariamente le piccole cure della misera vita pubblica del tempo sparivano dinanzi ad avvenimenti, che avrebbero fatto, per interi secoli, pesare sulla penisola il loro influsso nefasto. (i) Le lettere cancelleresche di Lucrezia in quel tempo son firmate: (12 marzo 1494): la firma autografa, spropositata, in una lettera del 27 maggio è « Soror obedien. Lucretia « Sfortia Borg.a Pisausari (sic) etc. manu propria ». (2) Si chiamava Lodovica ; e « Andriana Mila de Ursinis S. D. N. nepos », Lucrezia, Giulia Farnese dicon di lei, « qual continuo havemo amata et tenuta « da matre et sorela ». Tornò a raccomandarla Alessandro VI con breve del 12 aprile 1496. ISABELLA d'eSTE E I BORGIA 485 m. Ventenne appena, Isabella d' Este non poteva misurare con precoce senno la portata di quegli avvenimenti, de' quali sopratutto la colpivano e commovevano gli aspetti esterni, or abbaglianti or terribili, strani sempre e dilettosi per una donnesca fantasia giovanile. I corrispondenti mantovani, che conoscevano ormai la sete di novità della marchesa, ambivano di saziarne le brame co' più diffusi, coloriti ragguagli. Morelletto Ponzoni le narrerà per esempio quanto Carlo Vili si compiacesse nel far ritrarre da buon pennello le sembianze della sorella di lei. Beatrice (i); Niccolò Strozzi s'indugerà a descrivere l'abbigliamento con cui Ferrante d' Este ap- parve a Firenze, a fianco del re di Francia (2); Lorenzo Boccamaza, alias Pierio Romano, farà fede degli slanci marziali di papa Alessandro, che avrebbe pur voluto riscuotere i quiriti dalla lor torpida inerzia, per indurli a valorosa difesa contro gli invasori francesi (3). (i) Lett. di Morelletto da Novi, 17 settembre 1494 : Il re ha mandato apposta . Fu messo subito dopo il re ! Moltissime lettere scrisse lo stesso Ferrante a Isabella, dalla Francia e da Napoli, sulla spedizione di Carlo Vili. (3) Lunga lettera del Boccamaza, da Roma, 19 dicembre 1494 : ove sono riassunte due arringhe di Alessandro VI al popolo, da lui convocato, perchè « cognoscendo el sangue romano non possere comportare « le prepotenze dei francesi sperava che mtti come lui volessero prima a morire et essere tagliati a ff pezzi » che cedere. Intimiditi da' birri i quiriti risposa o d'essere pronti a seguire il pontefice nella resistenza. A' 6 dicembre furon radunati di nuovo da Alessandro VI : a: e quanto in l'altro concestorio lui sospirava, remaneva in a estasi ecc. tanto in questo rideva, dellegiava, gavazava e pugne va ». Chiamò dappoco i romani, ed incuranti dell'onor loro e delle loro donne: i soldati italiani in genere, « non boni se non per munstra » ; farebbero invece i suoi spa- 486 ALESSANDRO LUZiO Recatasi nel gennaio 1495 a Milano, per assistere al parto della sorella Beatrice, Isabella sentì tutto il profondo turbamento che in lei, uscita di sangue aragonese, doveva produrre la vergognosa rovina della dinastia di Napoli (i); invano sforzatasi a mendicar grazia da Carlo Vili col tramite di Clara Gonzaga, contessa di Montpensier (2). Pel marchese di Mantova sorgeva ora la necessità di decidersi tra' francesi e la Lega italiana, che andava formandosi: ed è bello vedere come la giovane sposa del Gonzaga fosse già adoperata per premere sul Moro, acciocché col fascino della sua soave bellezza, delle sue insinuanti maniere, ottenesse pel marito dal neo duca di Milano la condotta di capitano dell'esercito « in fieri » (3). Ma come un « leit-motiv » in tutte le pratiche del tempo della corte mantovana ritorna sempre, tramezzo alle più complicate e vitali negoziazioni politiche, l'uggioso tema egoistico di quel cappello cardinalizio per Sigismondo, che era diventato quasi un' osgnoli le più nobili prove. I francesi avevan mietuto facili allori . All'ambasciatore francese avrebbe Alessandro VI rivolta la mi- naccia che a farria pentire i>il re: avendo con sé a tutta Italia ». (i) Cfr. quQsV Archivio, XVII, 1890, p. 622. (2) Lett. 28 settembre 1494 di G. Brognolo : in cui riferisce un colloquio col re Alfonso, che avrebbe desiderato sentire da Francesco Gonzaga^ col mezzo della sorella Clara, se Carlo Vili si fosse raffreddato nell'impresa d'Italia. In quel colloquio il Brognolo udì il re amaramente lagnarsi della insaziabile voracità e venalità d'Alessandro VI : » che provocava Tatteggiamento scorretto di donna Sancia, sposa di Gioffrè, chiamata da poro a scandalizzare e illeggiadrire il Vaticano. Se fanno varii commenti ( disp. 14 maggio 1496 dello Scalona ) in questa corte. Chi dice che N. S. per compassione che Sua S.tà ha a la R. M.tà [di Napoli] l'ha voluta allievare di questa spexa, et tirarseli a casa. Chi dice che per intendere N. S. l'apparato grande de francesi pian piano se va tirando li figlioli a casa, pensando forsi quando se la veda stretta di mutar pensiere.... Chi dice che per intendere essa m.a essere de suprema bellezza delibera haverla apresso, come sJ^ che desidera vedere et ha piacere de una bellissima creatura.... [I piìi credono all'incostanza politica di Alessandro; lo Scalona parlò con l'oratore regio che dissegli] : che questo è stato un suo apetito qual per alcune rasone che li habbia allegato la m.tà R. e cossi la ser.ma Regina.... mai non se ha potuto dominar né divertire, che per ogni modo se la vole a casa e presso sé. Questa cosa etiam che fin bora non sia vista comincia ad ingelosire la figlia m.na di Pesaro et non gli piace puncto, parendoli de haver un parangone apresso che sii apto a macharla grandemente per molti canti. A li Cardinali novi non piace similmente questa festa perchè pagarano per ciascuno de loro più de un miaro e mezo de ducati de donarli e per comprarle alcune belle cose, cum le quale N. S. deliberarà hono- rarla in questa sua venuta. Lo Scalona mandò il 20 maggio a Isabella una lunga, piccante descrizione dell' ingresso di donna Sancia : che aveva nella sua comitiva ben sei buffoni, « dui del regno et quatro familiari palladi tini ». Quanto a lei, lo Scalona osservava : Veramente non reusisse di quella belleza era facta. Imo la m.a de Pesaro supera. Sia come se voglia in gesti et aspectu la pecora se disponerà facilmente a la vogha del lupo. Ha etiam alcune sue donzelle che non degenerano puncto de la m.a si che se dice publicamente che la sarà una bella scola. [Le era innanzi] il Principe de Squilazo filio del Papa cum uno saio nigro a la spagnola, bruno in viso et altrimente lascivo, capelli longi che tirano alquanto in rosso et bereta de veluto nigro in capo, suso uno zanetto fornito de veluto nigro cum fornimenti a la spagnola, et è de età de 14 in 15 anni.... M.a Principessa vestita nigro a la napolitana, cum maniche de rens longe et large lavorate a la spagnola, suso un zanetto liardo apomelato posta in mezo a la m.» da Pesaro et a l'oratore de Spagna et è de età de anni più de 22, bruna naturalmente, ochii che tirano in gazolo [glauco], naso aquilino et molto ben fardata e che a mio iudicio non me farà mentire. 490 ALESSANDRO LUZIÒ Lo Scalona che ne' suoi dispacci protestava, emulo dei Cat- tanei, di raccogliere per norma costante soltanto « advisi de buon « e autentico loco », si scusava se non poteva scrivere spesso, assorto com'era « ad unire cervelli de questi indiavolati preti » (disp. 4 luglio 1496) : specialmente per quell'eterno dibattere le condi- zioni del cardinalato di Sigismondo. Costui, che aveva allora presieduto alla fabbrica della Madonna della Vittoria, ove s'era collocato pomposamente il superbo quadro mantegnesco, oggi ornamento del Louvre (i), smaniava d'afferrare la porpora; ma lo Scalona ribadiva che, senza il depo- sito in banca della pattuita somma di scudi, non potevasi sperare nel successo. Ogni volta che se intendi il banco bavere l'obligatione presso, sarà uno stimulo al Papa forai per publicar più presto per la gola del denaro ad che cum gran avidità ha l'ochio e cuore. [La somma andava così ripartita] : Primo a N. S. due. XV m. da esser pagati quando se publicarà Card.l« : secundo al R.mo Datario..., due. 1500 da esser pagati fra tre mesi, e questi sono megliori denari de li primi ; tertio al banco che promette due. 150 (disp, 7 luglio 1496). Seguendo con occhio maligno l'ascensione vertiginosa de' ba- stardi del Borgia, lo Scalona enumerava a Isabella tutti i pingui benefici che già ammassavano, e prospettava le possibili eventualità di sempre più largo bottino per essi (disp. 13 settembre 1496): Per far che questi figlioli del Papa non se habino invidia adesso se dubita de la vita del Card, di S. Georgio, del quale succedendo la morte Valentia bavera il Camerlengato, il pallazo, che altre volte fu della b. m. del Cardinale di Mantoa, che è bora il più bello di Roma, et il meglio de benefitii soi, per il che V. E. può pensar quanto la fortuna spira ad questi marani. 11 Gregorovius, lode al vero, ha capito a rovescio questo dispac* ciò dello Scalona, interpretando così : « poiché si vuole evitare che M questi figlioli del papa divampino per gelosia tra loro, la vita « del cardinale di S. Giorgio (Ratiaele Riario) è in pericolo » (2). (i) Cfr. il mio articolo néìV Emporium del novembre 1899. (2) Lucrezia Borgia, traduzione italiana, p. 100. Falsa del pari è l' interpre- tazione che nella pagina antecedente il Gregorovius dà ad un altro passo, chia- rissimo dello Scalona : » un probabile delitto tramato da' Borgia : ma in realtà l'esistenza del Riario era solo minacciata dalle sue 'malferme condizioni di salute!... Lo prova il successivo dispaccio dello Scalona, 17 settembre : Questi dì poi è stato in dubio de la vita per esser iudicato tisico il Car. de S. Geòrgie... Dio ha vogliuto che esso s.re Car.ie è reducto ad bono termine de salute. 11 18 settembre rettifica ancora, annunciando che Ascanio Sforza avrà il camerlengato, Cesare la vice-cancelleria; cosi quegli si « preparava una via al Papato, come già ha dato grande prin- « cipio et tuttavia li attende ». Alessandro VI, pur essendo robustissimo, andava soggetto a febbri frequenti, delle quali credeva prudente purgarsi con cassia: più gravi erano gii svenimenti e le minacce di sincope, che facevano non di rado trasalire, per la loro non ben consolidata fortuna, i figlioli (disp. 7 novembre 1496 dello Scalona) : Questa mattina doppo consistoro gli è venuto uno de li suoi accidenti, che figUo e figlia sono lì concorsi. Intendi cioè Lucrezia e il Valentino: Giovanni duca di Gandia, nominato gonfaloniere della Chiesa contro gli Orsini, era in campo. Secondo lo Scalona (disp. 37 ottobre 1496) : Il Papa Ila protestato havuta la Victoria del stato de Ursini volerlo dare ad S. Chiesa et non al figliolo, che poco si crede però.... 11 Papa è tanto tumido et inflato de questa electione facta del figliolo che non sa che si fare, et lui manibus propriis volsi la matina conciarli la penna nel capello et cusirli una zoglia de grande valuta. Il suo beniamino cominciava però ad essere già il cardinale di Valenza, delle cui prodezze venatorie si ringalluzziva tutto. Al sentirlo discorrere della valentia de' suoi cani, il papa « effu- « samente rideva » (disp. 3 dicembre 1496). Tutta la corte era piena delle glorie di questi levrieri meravigliosi venuti da Mantova : gli spagnoli, avidi di doni, supplicavano per averne anche i cato il cervello a facende » è notevolissima : dacché dimostra com'egli, più bramoso che altro di sfogare gli immoderati appetiti della giovinezza, non curasse di vedersi sorpassare dal duca di Gandia ; ben confidando nella propria energia e nella tenerezza del padre, che a momento opportuno riguadagnerebbe il tempo perduto e affermerebbe i suoi diritti di primogenito. Il suo asserito disinteresse dagli aff'ari va del resto inteso « cum « grano salis », poiché non rifiutava il suo appoggio a chi cercasse valersi della sua influenza per efficaci commendatizie; e una lettera firmata « C. Card. Valent. » del 29 gennaio 1497 è una calorosa ISABELLA D ESTE E I BORGIA 493 perorazione latina per Pietro Simone Isilerio, che ambiva alla pre- tura di Mantova. Non a torto dunque insisteva G. C. Scalona di far molto assegnamento su questo giovane pieno d'avvenire, che aveva « il Papa « in pugno » ; chi sa che i Gonzaga non potessero acciufifar col suo mezzo quel tal cappello cardinalizio ! A prevenir tuttavolta l'amarezza delle delusioni, l'ambasciatore aveva da tempo scetticamente fatto riflettere che molti rappresentanti d'illustri case non desideravan punto di « essere Cardinale, parendoli esser aggregate « al.... collegio persone che non sarian degne d'esserli Capellani » ; individui « abietti e famelici », su cui Ascanio Sforza contava di formarsi un saldo partito per la sua vagheggiata ascensione al papato (disp. 9 novembre 1496). IV. Il 1497 ci presenta due tra le più fosche e nefande pagine della storia borgiana : la violenta rescissione del matrimonio di Lucrezia con Giovanni Sforza ; l'assassinio del duca di Gandia. Già dal due maggio 1496 lo Scalona aveva visto addensarsi le prime ombre sulla felicità coniugale del signore di Pesaro. Annunciava anzi che Giovanni era partito da Roma, disperatissimo, e non vi sarebbe più ritornato « lassando la moglie sotto il manto '< apostolico » (i): una frase certo gravida di significati maligni! Ma nel gennaio 1497 assicurava che Giovanni, restituitosi a Roma per le insistenti premure del papa (2), si trovava soddisfattissimo e della sposa e del suocero (disp. 27 gennaio) : Lo S. de Pesaro se raccomanda a V. E. assai et ogni dì più se resente de buone demonstratione e grandi careze. La mogliere se trova mo' ben contenta et impacisse de lui. (i) Altri accenni oscuri conteneva l'anteriore disp. del 28 aprile, ove è detto che Giovanni a forse ha in casa quello che altri non pensano d. Per l'accusa d' incesto, lanciata da G. Sforza ad Alessandro VI, cfr. Gregorovius, L. 'Borgia, p. 105. (2) Infatti Giovanni scriveva a' Gonzaga, da Pesaro il 15 gennaio che an- dava a Roma sollecitato da ripetuti brevi . Prova evidente che il matrimonio con la Tiepolo era già concluso nel '500. (3) Disp. 25 gennaio 1497 dello Scalona: Virginio Orsini e a li 16 et 17 . Il papa pretestava già l' impotenza maritale di Giovanni. (2) Cfr. Diario del Burcardo, voi, II, p. 42. ISABELLA D ESTE E I BORGIA 497 Da Roma si ha corno la consorte del S.'" Zohanno da Pesaro era intrata in uno monasterio. El Papa gli ha mandato el barisello per haverla et dice de volerla maritare in uno altro.... (disp. di Silvestro Calandra, da Urbino, 12 g^iugno 1497). Nella mente di lui era già fisso il pensiero di darla ad altro marito : magari inviandola pel momento in Ispagna col fratello duca di Gandia, forse perchè obbliasse quel signore di Pesaro, di cui pareva così fortemente invaghita (disp. 7 giugno dello Scalona) : [Il duca di Gandia] se trasferirà in Spagna dove condurà la sorela maritata in Pesaro, perchè se spera de divorcio al quale N. S. è molto inclinato e talmente che non solum ofterisce lassare il dote al S. de Pesaro ma donarli qualche cosa più ultra. Ancora non se intende che fructo habia facto m.™ Mariano in questo caso doppo l'andata sua a Pesaro. Qui me pare che dal canto del Papa se stii in terminis che nulla sit senza copula. Se Giovanni Sforza avesse accettato con bel garbo la rescissione del matrimonio, avrebbe dunque potuto guadagnare non la sola dote di Lucrezia, ma anche un discreto gruzzolo per giunta : la sua ostinatezza nel respingere le proposte del pontefice provocò l'invenzione oltraggiosa della sua pretesa impotenza. A questa calunnia credevan così poco i cognati di Mantova, che già prevedendo r inevitabile scioglimento del suo legame con Lucrezia, si offriva da' Gonzaga allo Sforza un nuovo parentado. Il marchese Francesco faceva scrivere a Giovanni il 7 ottobre : Havendo noi inteso essere stato dato la sententia circa il disolvere il matrimonio cum la donna vostra et la S. V. restare disligata e in sua libertà [aspetti a riammogliarsi] perchè noi gh farimo bavere forse tal partito che la S. V. bavera causa de restarne sempre contento.... {Copialettere riservalo, lib. 7). Non contento di questa prima « avance », Francesco Gonzaga tornò a rinnovare la profferta nel novembre, ottenendo dallo Sforza la dichiarazione che, quando realmente egli fosse prosciolto da' suoi vincoli con Lucrezia Borgia, non scorderebbe mai di ricorrere ai suoi amatissimi cognati (lett. 7 dicembre). Io son pur corno prima, né de la cosa mia fin questa bora è facto altro ad Roma. Se la dissolutione se farà et ch'io appHchi. l'animo ad coniugarmi un'altra volta [si consulterà col marchese Francesco]. Arch. Stor. Lomb., Anno XLI, Fase. ITI. 32 49^ ALESSANDRO LUZIO Volevano forse, a Mantova, offrirgli Clara Gonzaga, vedova Montpensier? Per lei veniva allora ventilato un altro progetto degno d'una gentildonna, che era entrata nella casa dei Borboni. Si pro- poneva cioè di darla a Lodovico Sforza : ma il progetto incontrava insormontabile ostacolo nell'avversione del re di Francia pel duca usurpatore di Milano (i). E forse perciò che si pensava di dirimere ogni controversia, sposando Clara ad un altro Sforza? Non mi sembra affatto probabile: più verosimile è pensare a qualche figlia naturale di Francesco ; ma i documenti non chiariscono di chi venisse offerta la mano a Giovanni col mezzo di fra Girolamo Redini : bizzarro tipo di asceta e di intrigante politico, che Francesco Gonzaga adoperò spesso in ardue missioni, salvo più tardi a rinnegarlo e far pesare su lui un' immeritata disgrazia. Il Redini intraprese, per codesto oscuro disegno mantovano, un vinggio apposta a Pesaro e Urbino : accontandosi là con Giovanni, qua con Elisabetta. In una lettera da Gubbio, 12 aprile 1498, riferiva che per amore della sempre rimpianta sua prima consorte, Giovanni, conversando con la duchessa d' Urbino, s'era dichiarato dispostissimo a sposare una seconda Gonzaga. Modestamente soggiungeva il Redini che, avendo egli trattato anche quel primo matrimonio, la sua mediazione era riuscita accettissima allo Sforza anche adesso : '1 primo suo matrimonio fu cum la f. m. de M. Madalena tractato per man de frate Hieronymo et che per bon signo ha cum suo gran piacere e confidanza che quest'altro gli sii proposto per mezo di frate Hieronymo.... Ma non vole determinar altro, finché '1 non sii ben sicuro d'esser legittimamente sciolto da lo infelice suo papalesco matrimonio, del quale in breve sperava esser chiaro per non imbrattar sé et altri.... Prega la Ex. V. che' tenga secretissima questa cosa, perchè sapeti voi altri Signori cum chi haveti a fare. Fra possanza et veneno; di l*uno si ha ad temere, de l'altro puocho fidare.... (i) Disp. di Jacopo D'Atri, da Venezia, 17 febbraio 1498, che dà estratti d'un processo da cui risultava che in Francia « cum ordine dil Duca di Ferrara » un « gran maestro » del re procurava « che M.na Chiara se contentasse essere « mugliera dil Duca de Milano e che già essa ad questo assenteria ». Ma non vuole il re e inpazarsi » con chi non ha fede. « Il Duca de Milano da poi se « retrasse et rivocò questa pratica ». Non tutto era dunque campato in aria,^ come parrebbe dallo scritto del Pélissier, Les amies de L. Sforma nella %évue historique del 1891. ISABELLA D ESTE E I BORGIA 499 Il Redini si riserbava di esporre « a bocca » altre cose più delicate : e da questo documento scaturisce evidente che la rescissione del matrimonio, proclamata il 20 dicembre 1497, come il Gregorovius asserì, e il Pastor conferma (i), veniva per lo meno ancora giudicata oppugnabile dallo Sforza, insofferente che per disfarsi di lui Alessandro VI lo svergognasse e coprisse di ridicolo in faccia al mondo. V. Nell'oscura tragedia, che il 14 giugno 1497 funestò Ales- sandro VI, si volle implicare anche Giovanni Sforza, accusato di aver per vendetta armato la mano de' sicaii del duca di Gandia : ma fu vano sospetto, poiché egli allora, divorante a marcie forzate la via tra Pesaro e Milano, era impigliato in troppi viluppi, e troppo atterrito, per aver agio di macchinar da lontano un colpo così arduo e rischioso. Il Moro con sua lettera del 22 giugno 1497 comunicando a Isabella d'Este le notizie avute da Ascanio sul misterioso fatto, non avventurava nessuna congettura su' possibili autori (2) : ma pochi giorni dopo chiedeva alla marchesa che gli spedisse a Milano un messo fidissimo (3) ; né ci è dato stabilire se ciò dimandasse per prevenirla della grave decisione che i veneziani prenderebbero in breve, di cassar suo marito da lor capitano generale, o non piuttosto per darle altre informazioni gelose sulla morte del Gandia e sugli scandali del Vaticano. (i) Gkegorovius, op. cit., p. 105; Pastor, op. cit., voi. III, p. 594. (2) Doc. IX. — Per la letteratura dell'argomento, cfr. Luzio-Renier, Relazione inedita sulla morte del duca di Gandia (dello Scalena) nQÌV Archivio romano di storia patria^ voi. XI, p. 309; Pastor, op. cit, voi. Ili, pp. 575-387, 894-896; Diario dQ\ Burcardo, voi. II, p. 44; Harrison-Woodward, op. cit., p. 115. (3) « y/i.'«^ et Ex. D.na Cognata et soror cordialissima^ a Perchè havemo ad far intendere a la S. V. alchune cose che sonno di mod mento, voressimo che la S. V. ne mandasse secretamente et subito la più ft- « data persona che la se ritrova apresso, ad ciò pessimo far questo effecto.... a Mediolani, 24 iunii 14^"]. d El vostro fratello carissimo L. M."" ». (Sottoscrizione autografa). 500 ALESSANDRO LUZIO Secondo i documenti mantovani, tra le versioni più disparate incrociantisi circa l'assassinio del duca, quella che faceva risalire il delitto all'animosità degli Orsini (i) ebbe in definitiva il conforto dell'autorità stessa di Alessandro VI. Egli non cessò mai dall' investigare sul delitto : e certo da ciò si sarebbe astenuto se. gli si fosse quandochessia affacciata al pensiero la possibilità d'un fratricidio ! La guerra implacabile agli Orsini, perdurata fino agli ultimi mesi di vita di Alessandro VI, prova luminosamente che in essi ravvisava gli uccisori del suo secondogenito. A quanto ci apprende un dispaccio del 21 febbraio 1503 di G. Lucido Cattanei, il papa affermò netta questa sua convinzione al re di Francia medesimo. Luigi XII cercava stornare il nembo da casa Orsini e prenderla sotto l'egida sua: Alessandro VI s'oppose energicamente col dire che, « essendo insanguinata prima « casa Ursina contra casa Borgia, e poi Borgia contra Ursini », non era « conveniente né honesto » che que' capitali nemici gli stessero « su li ochi ». L'allusione non può che riferirsi all'assassinio invendicato del Gandia : e ci rappresenta l'espressione del decisivo convincimento del papa. Il quale aveva dapprima oscillato tra le ipotesi più contradittorie : or accusando gli Orsini, ora i loro stessi rivali, i Colonna (2) ; ora il cardinale Ascanio Sforza, preso specialmente di mira dalle informazioni del Sanudo {Diari ^ voi. I, coli. 710, 843). Ma del fratello del Moro non mostrò mai il pontefice di poter diffidare sul serio, tantoché indi a poco s'adoperò egli stesso a riconciliare casa Sforza con Francesco Gonzaga. Il frate diplomatico Girolamo Redini s'era spinto da PesaroUrbino sin a Roma per assestare in una sola volta parecchie faccende : scandagliare se il pontefice pigliasse ombra di un altro matrimonio di Giovanni Sforza con una Gonzaga ; ottenere quel be- (i) È la tesi, giustamente sostenuta dall'HòFLER, op. cit., p. 168. Disp. di Silvestro Calandra, da Urbino, 12 settembre I497 : o El Papa è certificato chel a S/ Paulo Ursino è stalo causa de la morte del Duca de Candia, benché prima « dubitava chel fusse stato el S/ Duca (d'Urbino) > ; il quale veniva ora ri- chiesto come capitano contro gli Orsini. Cfr. Al visi, C. Borgia duca di Romagna, Imola, 1878, p. 37. (2) Cfr. disp. 29 agosto 1498 del Cattanei. ISABELLA D ESTE E I BORGIA 5OI nedetto cappello cardinalizio per Sigismondo ; riamicare il Moro con Tex-capitano de* veneziani. Le lettere del Redini ci svelano quanto in que' maneggi si dovesse airaccorta influenza d' Isabella d* Este. Se non era ancor giunta ad imporsi al marito, violento, irriflessivo, loquace, ella però veniva omai apprezzata nel suo pieno valore da chi, vedendo chiaro nella tortuosa politica del tempo, raccomandava caldamente al Gonzaga di attenersi al consiglio di così saggia consorte.... e occuparsi un po' meno d'altre donne, di cani, cavalli, ecc. Signor mio (con molta schiettezza esclama il Redini, 20 aprile 1498) vi dico per amor di Dio siati savio e ritenuto, non vi precipitati : li tempi vi servono, siati cauto. Meteti subito ordine a le cose vostre, non tardati a limitar le spese inutile che vi sono a vergogna e danno : non tardati, ch'io sciò quel che vi dicho, le zente d'arme tenitile racolti et acarezati li cavali lezeri, li provisionati et fantarie ; lasati per amor di Dio le bestie et atendete a le cose honorevole. Voi seti al primo homo de Italia se voi voleti, adesso è '1 tempo vostro. Io sciò ciò che vedo e ciò eh' io sento.... El mi creppa el core vedendo tanta bontà che in voi si trova sia circumvenuta da tanta malignità de tristi e ingratissimi. Non vi incresca però d'esser bono sempre, ma siati etiam cauto, che '1 bisogna. E di nuovo il 27 aprile, riferendo che il papa aveva parlato a lungo con mons. Ascanio e Marchesino Stanga, i quali assicuravano le ottime disposizioni del Moro a suggellare un' amicizia cordiale, soggiungeva : Quella prego si sapia ben governare e consiliarsi con chi l'ama. Non vi posso dire e '1 tacere mi preme fin a l'anima. Cum la S. de la ill.ma M.a vostra Consorte siati certo di non poter errare né cum quelli di quali lei vi assicura potervi fidare. Sapiati che sua S. ce conosce tutti e scià a qual canto e passion ciascun penda. Prego etiam V. Ill.ma S. che gli faccia bona compagnia e tengala contenta comò sciò che fate, perchè in verità ultra che '1 vi sia utile al corpo et a l'anima questo vi è grandissimo honore e fati apiacere a tuta Italia, e chi altro vi persuade sono traditori e ribaldi expressi..,. Con Isabella teneva addirittura il Redini un linguaggio entusiastico, garantendo che delle sue lodi era piena la corte romana: Illjna M.na niia oss.ma^ .... A me par che a Roma meglio se intendano le virtù, zentileze et tutte l'altre optime parte di V. Ex. et più siano apreciate et 502 ALESSANDRO LUZIO laudate che non sono a Mantua. Non per adular vi scrivo ma perchè in esse delectarvi più vi s'accendi il core et l'animo. A lo ill.mo S. vo- stro consorte caro io scrivo de molte cose.... Prego quella che operi che lo si vadi retenuto, che veramente se lo è savio le cose sue se adaptaranno bene et honorevolmente, et el fratel suo sarà Cardinale indubitatamente. El povero Signor ha da guardarsi molto da li suoi più che da altri. Qui se intende tutto el bene e '1 male del mondo : per amor de Dio guardasi bene de chi si fidi^ perchè qui atrovo che qualcuno de suoi che ha ditto a modo suo anci l'ha messo suso fantasie metendogli in suspecto questo e quello da l'altro canto gli hanno dato la pichiata. Non mi maraviglio zia che lui da venetiani sia casso, non mi meraviglio che '1 fratel suo non sii Cardinale, non mi maraviglio che sii delezato et ditto che non ha né stabilità né cervello. Ma me stupisco e tengo per miraculo che '1 povero Signore sii vivo e che di lui si faccia pur mentione in cosa alcuna honorevole, tanto è stato et è da alcuni de' suoi tradito, smachato et sbeffato e qui e altrove. Me ne dole fin a l'anima, ma spero che Dio sarà tutor suo e la Madonna, comò che sempre sono sta. Pur bisogna che etiam lui sii savio e mostri che l'ha inzegno e ch'el non è matto come che l'hanno voluto dipinzere, e ch'el sappia tener in sé qualche tratto e ch'é falso e se mentino li ribaldi per la gola quali dicono ch'el vino gli chazi tutti li secreti fuor di buocha. Traditorazi, aperdonatime, Madonna mia Ill.maj che scrivendo me achorozio da mia posta ; sciò che vi do affanno per lo amor che portati al S." e perché ogni vergogna e mal suo è etiam vostro. Ma habiati patientia : queste sono cose da non tacere aciò siati più avertiti e cauti in futurum.... Romae, XXII aprilis, 1498. Ded.mus servulus Don HiERONYMUs heremita. Il marchese Francesco fu a Milano nel maggio: e degli accordi conclusi col Moro ragguagliava il legato cardinale Giovanni Borgia, con lettera del 29, dicendo d'avervi tanto più di buon grado aderito, perchè « ne son confortato da la S.^» (^e N. S. et da la V. R. S. « SI comò el Ven. Don Hieronymo heremita me ha facto intendere « ultimamente » (Copialettere, lib. 157). Con esuberante gratitudine, offriva a' Borgia il suo stato, il suo sangue, assicurando il Papa (in una lettera del primo giugno) d' aver narrato al Moro tutti i colloqui di Sua Santità col Redini (cfr. doc. X). « Inter alia quae cum eo locutus sum enarravi quan- « topere Sanctitas vestra, remisso ad me Don Hieronimo heremita, « hortata sit ut ad eius stipendia me conducerem.... ». ISABELLA D KSTE E 1 BORGIA 503 VI. Lo scioglimento del matrimonio di Giovanni Sforza, la morte del duca di Gandia fecero turbinare nel cervello di papa Alessandro i più disparati, bislacchi progetti sull' avvenire de' due figli sovra ogni altro diletti, Cesare e Lucrezia. Poco invero mostrava preoccuparsi della vedova dell'ucciso e degli orfanelli infelici : l'importante per lui era di spianare la via, perchè sempre più alto assorgessero, al Valentino e alla divorziata Lucrezia. El Papa (scriveva beftardamente Silvestro Calandra, da Urbino, 3 ottobre 1497) voi chel Card, de Valenza renuntia el capello al fratello e voi che lui toglia la mogliere del fratello e circa de dar la moglie del S. Zohanno da Pesaro al figlici del principe de Salerno. Questo è de li belli barati che fa Sua S.tà Benché il Valentino, afflitto dal morbo vergognoso dell'epoca (i), non losse per allora in condizioni di pensare a nozze, la voce che donna Sancia passasse anche offlcialmente da GiofFredo a lui (suo drudo) con lo scambio del cappello cardinalizio, era creduta a Bologna, donde un fido segretario de' Bentivoglio, Cristoforo Poggio, scriveva a Mantova il 19 gennaio 1498 : Mons. de Valenza ogni di se exercita ne le arme et demonstra voler essere galiardo soldato. Et credasi che deposito lo habito.... habia ad pigliar per molglie la cognata principessa. Et benché il caso para assai diforme, pure non ho voluto tacerne cum V. S. et forsi presto quella intenderà essere commessa la causa del divorilo cum il marito fratello del dicto, el quale desegnano pigli lo archiepiscopato de Valenza in scambio.... (2). E di nuovo il 2 marzo : per non ci essere cavalcata da Roma non ho altro di novo di là ^e non che quello Peroto camariero primo de N. S. quale non se ritrovava intendo essere in presone per bavere ingravidata la figliola de S. S.tà M.na Lucretia. Intendo etiam el Car.^e Valenza non esser per deponere el capello per non bavere risposta de Spagna secondo el de- (i) Disp. del 25 settembre 1497 '^^ Milano, di Donato de Preti a Isabella d'Este : t mon. de Valenza è ritornato del Reamo da incoronare il Re Fedrìco « et anchora lui è amalato del male francese ». (2) Cfr. Pastor, op. cit., voi. Ili, p. 440. 504 ALESSANDRO LUZIO siderio suo, circa el stato del q. Duca de Candia, quale li S.™» Re et Regina de Spagna voleno specti al figliolo et come catholici hanno di- suaso tal depositione. Non scio mò quello sucederà. E il 18 marzo : El R.mo Valenza persevera in dire de voler deponere lo habito et già lo haveria facto, se da li S.mJ Re et Regina de Spagna non li fusse dissuaso, li quali dicono non voler consentire S. S.tà gli dia cosa alcuna de quello del q. Duca de Gandia, né etiam de quello de SM Ecclesia, e pur se crede non obstante questo lo deponerà cum animo de satisfare ad la intentione sua cum el megio del S.mo Re Federico. Come si vede, al Poggio dobbiamo uno dei documenti più gravi per la moralità di Lucrezia: l'annuncio cioè che, mentre aspettava di veder deciso dal padre a chi la sua mano sarebbe assegnata^ si consolava facilmente con un cameriere di Sua Santità della disperazione provata pe' mancati abbracci di Giovanni Sforza (i). L' amor loro non era rimasto infecondo, ma V audace drudo era stato tradotto in prigione e forse trucidato dal Valentino, in un impeto furioso della sua truculenta natura. Il cameriere si chiamava Perotto : identico certo con quella vittima del Valentino, di cui l'oratore Cappello, veneziano, narrava con terribile evidenza, che il « sangue saltò in la faza del Papa », mentre invano lo riparava sotto il suo manto (2). Sia per naturale curiosità donnesca, sia per l'ovvio riflesso che Lucrezia era un involontario strumento politico nelle mani di Alessandro VI, Isabella d'Este seguiva avidamente le matrimoniali vicende della Borgia : i corrispondenti di Roma e Bologna non tralasciavano di tenerla al corrente di quanto si buccinasse di scandaloso, di enorme. A detta del Poggio (4 febbraio 1498) madonna Lucrezia avrebbe voluto sposare il duca di Gravina: 1*8 giugno pa- revan sicure le nozze. (1) I due dispacci del Poggio, 21 febbraio e 2 marzo 1498, furono editi dap- prima, per mia communicazione, dal Pasolini, Caterina Sforia, Nuovi documenti^ Bologna, 1897, p. 20 (cfr. Pastor, op. cit., voi. Ili, pp. 308, 455). (2) Cfr. Diario del Burcardo, voi. IH, pp. 73, 513 ; Sanudo, Diari, voi. I, col. 883, voi. Ili, col. 846 ; ViLLARi, Machiavelli, 2.* ediz., voi. I, p. 286. Era o Petrus Calderon, Perottus nuncupatus », Del tutto gratuiti i dubbi dell' HarRISON-WOODWARD, Op. cit., p. I25 ISABELLA D ESTE E I BORGIA 505 El parentato fo concluso tra il Papa e li Ursini cioè col duca de Gravina. Resta bora che si venga ad la executione. Alcuni sono de opinione che non habia ad bavere effecto et cbel motivo del Papa solo sia stato per far callare el Re Federico a fare per paura quello che in sin qui non ha voluto consentire : che dono Alfonso suo nepote pigli m.* Lucretia, dando el dicto Re uno stato.... el principato de Salerno.... cum certe conditione in caso cbel dicto D. Alpbonse morisse senza figlioli. Il che sino ad qui non ha voluto fare il dicto Re, el quale dice che li pare cbel Papa lo voglia cazar del reame senza colpo de spada, volendo in questo modo ad poco ad poco pigliar ogni cosa. E il 15 giugno : Del parentato fra el papa e gli Ursini non se ne parla più.... Intendo tractarsi quello del Re Federico cum Don Alfonso, ma ce è chi non lo crede sino a tanto cbel Papa non sia certo dal S.re Furlì se conchiuda cosa alcuna, perchè potendo fare parentato cum lui lo farà più volontieri come più securo asai che questi altri de qua, et come sento offerisce tal condictioni et tractasi per tale che non seria gran facto gli reusisse. Supergiù le stesse informazioni mandava G. Lucido Cattanei da Roma : che ne' suoi dispacci 7 e i6 giugno, 20 luglio, scopriva l'astuto gioco d'Alessandro VI, infingentesi di non tenerci molto ad aver l'aragonese per genero, col solo intento di raggiungere, così, più agevolmente lo scopo. Il matrimonio, infausto per Alfonso di Bisceglie, venne infatti concluso proprio in quei giorni: ed è al Cattanei che debbiano la descrizione delle scenate volgari, accadute in Vaticano, dove nella baraonda delle feste nuziali due vescovi buscarono una frotta di pugni, e lo stesso Alessandro VI corse manifesto pericolo di vita « nel mezo de le spade », sguainate da contendenti pochissimo rispettosi di Sua Santità! (i). Allogata Lucrezia con un altro marito provvisorio, urgeva ora d'accasare il Valentino, già pronto a deporre la porpora ; l'enormità d'un matrimonio fra lui e donna Sancia aveva finito per repugnare allo stesso pontefice, che oscillava adesso tra una Borbone e un'Aragonese. Mons. Ascanio rivelò al Cattanei (disp. 20 luglio 1498) che Alesandro VI aspirava ad aver per nuora una figliola di Clara Gonzaga, vedova del Montpensier : poco curandosi delle op- (I) Disp. del Cananei, 8, 12 agosto 1498. 5C»6 ALESSANDRO LUZIO pidsizioni che l'audace progetto incontrerebbe di certo nelPorgogliosa corte di Mantova e in Francia. II concistoro del 17 agosto fu destinato frattanto a sanzionare la secolarizzazione del suo bastardo cardinale: che vi comparve per l'ultima volta a recitare, passabilmente impacciato, una lezione già scritta. Il dispaccio 18 agosto del Cattanei è del più alto interesse storico, poiché dà un sunto delle dichiarazioni di Cesare, assai più fedele che non il tardo racconto dello Zurita (i). Protestava di voler deporre la porpora.... per la salvezza dell' anima sua ; e il papa, con assai goffa simulazione, si riservava a deliberare su cosa da gran tempo decisa, come tutti i cardinali sapevano. Immemore ormai dell'ucciso duca di Gandia, e de' costui figlioletti orfani, che abbandonava alla protezione del re di Spagna (disp. 18 agosto del Cattanei), Alessandro VI aveva raccolto ogni sua tenerezza sul Valentino : consentendogli tutto e plaudendo beato alle sue prodezze di « toreador », sebbene quegli esercizi violenti non fossero senza pericolo, ed anzi più d'una volta fosse Cesare caduto in malo modo, destando nel padre e negli spettatori spavento indicibile (disp 29 agosto del Cattanei). Ma qualche giorno di letto bastava a risanarlo : e riprendeva subito ad accarezzare più fervidi que' sogni di grandezza, che già ogni cortigiano esperto gli vedeva trasparire dalla fronte, traendone auspicio di speranze o di timori. « Credo tramarà gran cose « e castigarà li suoi inimici », mormorava il Cattanei (disp. cit. 29 agosto). Tutto era subordinato al viaggio di Cesare in Francia: per apparire nel maggior possibile sfarzo alla corte di Luigi XII, egli invocò l'assistenza cortese de' suoi « amici » di Mantova. Il 30 agosto, in una garbata lettera di suo pugno, confessa che per « onorarsi » oltr'alpi gli occorrono de' buoni cavalli della razza gonzaghesca, la più celebrata allora d'Europa. Manda a prenderne dal suo fido Sancto Creus, « però che in tucto sforniti ce trovamo 4< de corseri belli et ad nui in tale andata convenienti recurremo u ad quella ». Più che un dono di cavalli, pensava il Valentino di procacciarsi l'adesione della corte di Mantova a' suoi disegni matrimoniali con una Montpensier : ma l'opposizione recisa di Clara era così conosciuta a Roma da non consentire V illusione che qualsiasi officio (i) Annales de la Corona de Aragon, Zaragoza, 1610. ISABELLA DESTE E I BORGIA 507 potesse spezzare un'insormontabile repugnanza, determinata e da legittima fierezza di gentildonna e da sincero affetto a Lodovico il Moro (disp. 31 agosto del Cattanei). Con frase argutissima osservava il Cattanei esser tale il lusso ostentato da Alessandro VI negli apparecchi del viaggio di Cesare, che « non li bastarla un altro papato >», per far bello il suo bastardo, a rovina d' Italia. L' oratore mantovano non sapeva persuadersi come Ascanio Sforza, testimonio di quei preparativi, s' illudesse ancora : tutti i suoi dispacci, concernenti il viaggio e il soggiorno di Cesare in Francia, sono semplicemente meravigliosi per la ricchezza e la novità de' particolari, spesso attinti dalla bocca stessa del papa e da' carteggi che pervenivano in Vaticano ad Ales- sandro VI, impaziente di apprendere ogni mossa di Cesare. Il Cattanei vede e descrive tutto con obbiettività stupenda : nel darci la lista interminabile del sontuoso corredo di Cesare, non dimenticherà gli oggetti più intimi e prosaici, che pur si era tentato di nobilitare con la straordinaria ricchezza ; ci mostrerà la figura di Cesare, butterata già dal mal francese (di che dovrà tener conio chi parli de' suoi ritratti, senza enfasi di retore ammiratore d'una leggendaria « bellezza »); additerà appunto in queste tracce d'un morbo ripugnante la causa del rifiuto, meno ostinato di quanto si crede, opposto dalla figlia di Federico d'Aragona alle insistenti richieste matrimoniali de' Borgia. Carlotta d'Aragona, che lungo tempo perseverò « in dire che « per cosa al mondo non voleva esser chiamata la Cardinala », {disp. di J. d'Atri, Roma 12 febbraio 1499) finì per rimaner con- quistata dal fascino personale di Cesare : e fu improvvida tenacia del padre suo 1' aver voluto, Con irremovibile diniego (i), suggel- lare il fato della dinastia aragonese a Napoli (disp. del Cattanei, 27 febbraio, 7 marzo 1499). VII. Per quanto Isabella d'Este amasse tenersi in riserbo co' Borgia, provocandone anche qualche indiretta rimostranza, come vedemmo. (i) Cfr. VoLPiCELLA, Federico d* Aragona e la fine del regno di Napoli nei ijor, Napoli, 1908, p. 21 ; Villari, op. cit., voi. I, p. 277. 5o8 ALESSANDRO LUZIO le necessità cortigiane la sospingevano spesso a quegli atti d'offi- ciosità, che costituivano un legame da cui era poi arduo districarsi senza sollevare risentimenti e rancori. Carlo Canale, elevato a « Soldano de la SM de N. S. », la premurava l'S dicembre 1498 a prender seco come damigella un'Acerbi, nipote di lui: rammentava d'aver avuto gran servitù con Eleonora d'Aragona, e al richiamo così opportuno della venerata memoria materna, Isabella avrà difficilmente saputo resistere. Ella, dal suo canto, per l' incipiente Grotta voleva sfruttare quanto più fosse possibile le dovizie dell'Urbe difese dalla gelosia de' Conservatori ; e poiché Antonio Maria della Mirandola era riu- scito a porre le mani su una « cosa bellissima w da offrirle, si trattava precisamente di trovare il modo nella primavera del 1499 di ottenerne l'esportazione da Roma. « Gli è la scomunica in con- « trario del non poterse cavare w, la avvertiva Antonio della Mirandola ; malgrado la licenza data dal papa, « li Conservatori de Roma u me la farian togliere », se la dogana ne avesse sentore. Consigliava perciò di valersi de' muli, con cui il marchese di Mantova soleva spedire a Roma i suoi prelibati carpioni : nessuno avrebbe osato frugarli ; le antichità sarebbero state protette ... dalla ghiottornia (lett. 21 febbraio 1499). Obbedendo a' suggerimenti di Antonio della Mirandola, Isabella raccomandava a Jacopo d'Atri che per eludere ogni difficoltà si valesse del patrocinio borgiano (29 marzo. Copialettere, ììh. io): Sapeti quanto siamo apetitose de quesie antiquità.... Bisogna usare arte in condur [la tavola marmorea] fuori di Roma per rispecto de li Conservatori. Ve intèndereti cum qualche uno de quelli Cardinali nostri amici, comò seria Borgia o S.ta Prasede, instando che cum uno suo mullo coperto de la divisa sua la mandassero. Saluti e cortesie erano spesso scambiate tra lei e Lucrezia : le cui menome peripezie della nuova vita coniugale con Alfonso di Bisceglie le eran fatte conoscere da' solerti corrispondenti ro- mani. Di un aborto avvenuto in febbraio del 1499 e delle sue cause la ragguagliava il Cattanei (disp. del 18); Jacopo d'Atri confermava il fatto, dicendolo provocato dalla vivacità di Lucrezia (disp. del 23). « Scrizando cum una sua damigella cascò et tirosela adosso »». 11 papa era inconsolabile del nipotino perduto. Più ancora però fu turbata Sua Santità, alcuni mesi dopo, dagli ISABELLA d'eSTE E I BORGIA 509 eccessi scandalosi a cui trascorreva GiofFre Borgia : intorno al quale sentiamo, con vera sorpresa, dal Cattanei come Alessandro VI, benché l'avesse legittimato con bolla del 6 agosto 1493, pubblicata dal Pastor (p. 885), non lo riguardasse né punto né poco per naturale suo figlio, accusando evidentemente Vannozza di un'infedeltà col proprio marito o con altro innominato rivale (disp. del 30 giugno 1499). Vizioso e arrogante, Gioffrè corse rischio, in uno de' suoi bagordi notturni, di fare l'istessa fine del duca di Gandia : tra la svergognata nuora e il pontefice si scambiaron allora recriminazioni, pochissimo lusinghiere per l'una e per l'altro. Il disconoscimento di quel figlio udì il Cattanei dalla bocca stessa del papa, quando nell' agosto del 1499 improvvisamente Alfonso di Bisceglie lasciò la sposa. All' inopinato passo lo spingeva il timore che la calata de' francesi avrebbe importato di ne- cessità la conquista non del solo ducato di Milano ma anche del reame di Napoli : che perciò l'avvenire della sua casa era minacciato irreparabilmente dalla imminente continuazione della impresa di Carlo Vili. Il papa non l'aveva dissimulato ad Ascanio Sforza medesimo, che s'era atteggiato ad incredulo, tantoché Sua Santità aveva finito per esclamare ridendo : che il fratello del Moro voleva emulare la cecità degli Aragonesi di Napoli (disp. Cattanei, 16 giugno 1499). Tra l'ambasciatore spagnolo, indignato della politica francese de' Borgia, e Alessandro VI la tensione era così violenta, che Garcilasso de la Vega non s'era peritato di gridare in viso al pontefice, com'egli avrebbe di certo finito per degradarsi a cappellano di Luigi XII, e dalla nuova invasione gallica sarebbe torse ridotto un giorno a rifugiarsi, supplice, in Ispagna, sopra un modesto « burchiello » (disp. Cattanei del 2 agosto 1499). Il papa rispose del suo meglio : ma intanto, prosegue l'orator mantovano, Don Alfonso marito de m. Lucretia questa notte se n'è fugito in terra de Colonesi verso el Reame. Lei se ne arise intesa la cossa, più se ne riderà el Sig, de Pesaro, pur al Papa rincrese asai, pensando a l'honor e ad altro. Una volta lei per la secunda fiata è grossa. Ne' Diari del Sanudo (voi. II, col. 1040) è aff'ermato che Lu- crezia piangeva di continuo per la partenza di Alfonso, u insalutato u hospite »: precisamente l'opposto di quanto, parrebbe de « visu », asseverava il Cattanei. A chi credere ? 5XO ALESSANDRO LUZIO Una sola cosa è certa : che per riparare in qualche modo lo scandalo di quell'inesplicabile fuga, Alessandro VI nominò Lucrezia reggente di Spoleto, ordinando che anche Gioffrè s'allontanasse da Roma, neir intento di dare una lezione al re di Napoli, mostrandogli cioè che il papa era capace di emanciparsi dall' affetto morboso pe' figli (disp. Cattanei, del 9, 18 agosto 1499). La preziosa confessione su' natali di Gioffrè, che il Cattanei avrebbe attinto dalle labbra del papa, s' incontra nel dispaccio del 21 agosto : ma per quanto esplicita l'affermazione, non precisa però su che si basasse il convincimento di Alessandro VI.... molto proclive ad annullare le sue medesime bolle, in tema di paternità. Il re di Napoli, nella lusinga di staccare il papa da Luigi XII^ credette prudente trattare un ravvicinamento col Vaticano : e indusse Alfonso di Bisceglie al ritorno funesto sotto il tetto coniugale. Un gentiluomo, de' più provetti e fidati della sua corte, fu mandato a Roma con l' incarico di riamicare il pontefice, riconducendcgli il genero : la riunione de' coniugi parve preludere a una nuova orientazione politica (disp. Cattanei del 19, 23 settembre). Eran simulazioni trasparentissime (i), poiché tutti gli occhisi volgevano alla Francia per l'avvicinarsi del nembo, che nuovamente si sarebbe di là rovesciato sulla penisola. Giuliano Della Rovere, dimentico dell'odio antico, s'era fatto strumento dell'ambizione borgiana : anche lui ridotto a mal partito dalla sifìlide, nelle sue lettere viste dal Cattanei, magnificava i preparativi belligeri di Luigi XII (2). Il Valentino medesimo dava al marchese di Mantova il preavviso della spedizione vicina : incoraggiandolo a fruire delle eccellenti disposizioni del nuovo re di Francia, anziché trescare col Moro, che meglio valeva abbandonare alla sua sorte (iett. da Susa, 17 settembre 1499, firmata « Cesar Borjia de Franza »): Il re « me ha « commesso debia da sua parte scrivere a la E. V.... de venirli « incontro et sirà da essa optimamente receputa et honorevolmente u tractata ». (i) Secondo il D'Atri, disp. da Roma, 12 febbraio 1499, ^^ P^P^ proseguiva segrete trattative anche col Moro « per non esserli ancora observato cosa alcuna « de Franza ». (2) Disp. di Francesco Malatesta, Firenze, 23 luglio 1500: a El cardinal « S. Piero in Vincula è molto agravato per le brotole e doglie del mal franzoso « et di qui gli è andato uno medico et dubitase grandemente di la vita sua ». — Cfr. disp, Cattanei del 30 agosto 1499. ISABELLA DESTE E I BORGIA 51 1 Ora appunto cominciò tra Gonzaga e Borgia una lotta d'astuzie finissime : mascherata da dimostrazioni d'amicizia tanto più loquaci quanto piìi profonda e indomabile era l'avversione negli uni, più giustificata la diffidenza negli altri. In quelle schermaglie spiegò Isabella qualità diplomatiche più assai che il rude marito, maldestro e violento. All'ambasciatore francese, che, indettato probabilmente dal Valentino, l'avea accusata di eccessivo attaccamento agli Sforza, faceva Isabella rispondere in questa istruzione, conservataci dal lib. IO del Copialettere : D.no Donato de Pretis, .... Volemo ben che respondiate alla parte che ve ha dicto schrizando il m.co Ambassatore Regio che la vorrà venire in questa terra a visitarne et dimandarne perdono de quello che l'ha dicto de nui, credendo fussimo sforcesca, perchè la è mo' chiara che siamo bona francese, direti alla S. S. che acceptamo molto volontieri la offerta sua, et che venendo ne farà gran piacere et vederemola di bon core, ma che non bisognarà ce chiedi perdono de la opinione sua perchè confessamo non haverla havuta falsa, essendo nui state al S.re Duca Ludovico afifectionatissime quanto si potesse immaginare sì per la coniunctione che havemo cum Sua Ex. comò per le chareze et demonstratione et honori havemo sempre recevuti da lei. Ma doppo che 'l co- minciò a tractare male lo ill.mo S.r nostro consorte cominciassimo anchora nui a demettere Taffectione nostra, corno quelle che non miramo se non al beneficio de Sua Ex. senza alcuna passione. Cossi cognoscendo la dispositione sua verso la M.tà del Christianissimo siamo sempre state unite cum lei facendone francese, et bora siamo in supremo grado bona francese per le demonstratione et honori facti per la M.ti Sua al p.to S. nostro consorte, et quando la S. S. sera qua cognoscerà che se nel passare suo ne trovò ben disposta che bora siamo dispositissime et tutta vestita di ziglii et a ley ne raccomandate. Mantucy XVI octob. 1499. 11 galante francese si profondeva in iscuse, rispondendole da Venezia 2 novembre 1499 : Suplie a Madame tres humblement qu'elle me pardcnne la mauvaise oppinion que j'ay eu d'elle. A ceste heure qu'elle est toute bonne fran- 9oise je suis tout son tres humble serviteur. AccuRsius Maynerius. Il Valentino stesso nelle sue lettere si firmava devotamente « compare », perchè era già cosa intesa che nel prossimo parto 512 ALESSANDRO LUZIO della marchesa egli avrebbe levato al sacro fonte il nascituro (i). Indiscreto cercava il Valentino di svaligiare addirittura il guardaroba de' Gonzaga, chiedendo per suo uso gli alloggiamenti da campo, che gli sarebbero riusciti comodissimi nella spedizione di Romagna : ma Francesco lasciò alla moglie T incarico di levarselo d'attorno con le più belle scuse del frasario cortigianesco (2). Vili. Un fatto assai contrastato dagli storici (3) è il tentativo d'av- velenare il papa, intrapreso da due forlivesi, indubbiamente mossi da desiderio di stornare la tempesta che stava per piombare anzitutto sul minuscolo stato di Caterina Sforza. Se la fiera virago fosse o no isiigatrice o conscia almeno del disperato disegno è arduo decidere : ma i documenti mantovani recano prove sincrone di quel tentativo, avvenuto nel 1499, poco dopo che in Vaticano s'era, con gran pompa, celebrato il battesimo di un figlio di Lu- crezia e Alfonso di Bisceglie (4); e solennemente suggellata la pace tra Alessandro VI e Giuliano Della Rovere col fidanzamento di Angela Borgia al nipote del futuro Giulio li, Francesco Maria (5). I due sicari romagnoli s' eran messi in testa di avvelenare Alessandro « cum presentarli una lettera » piena di tossico fulmineo : ma la loro sventatezza li tradì anzi tempo, denunziandoli al pontefice, già messo in sospetto per l' inopinata partenza del car- dinale Riario da Roma (disp. Cattanei, del 21, 24, 26 novembre 1499). (i) Gregorovius, op. cit., p. 394. (2) Lett. di Francesco ad Isabella, da Coito, 30 otobre 1499 • ^ ^1 Card. « Borgia ne recerca li nostri allogiamenti da campo per il Duca di Valentinois « a cui non voressirao dire de no, né voressimo anchor privarcene noi per an- « darli poi mendicando ». Veda lei di cavarsela, dando « qualche trabacha de « quelle vechie ». Lo stesso giorno scrive al cardinal Borgia : « La SA de N. S., la R.ma ». Tanto valeva nominare il Valentino apertamente, come fece il Calmeta in un dispaccio dello stesso giorno, a Elisabetta d'Urbino, da lei communicato immediatamente a Isabella (i). Anche il papa rimase agghiacciato dal fatto inaudito (disp. del Cattanei, 19 lugUo 1500): affanno ha recevuto de le ferite de D. Alfonso e l'ha fatto portar sopra le sue camere a 30 scalini e heri mandò a dimandar l'ambasator « Alfonso ducha de Viselli genero de la S.tà de N. S. et consobrino de V. 111. S. » — Un a paro de cani boni attaccatori » dimandava direttamente Alfonso al marchese Francesco l'S f^embre. — De' cortesi ricambi ci ragguaglia la lettera del Canale, 9 febbraio 1500: •. Il padre di Lucrezia, convinto che i cieli gli assicuravano una longevità invidiabile, a dispetto di tutte le predizioni astrologiche, s'occupò unicamente di pescare per la ventenne vedovella un terzo marito, caldo ancora il cadavere del secondo. Interessanti, come sempre, son su ciò i dispacci deh Cattanei : ij agosto isoo. L'è intrato el nono anno del Pontificato del Papa presente, quale se ne aride de questi astrologi e dice lui che l'ha a vivere altri nove anni. Diseli uno : porla essere, ma cum travalio in lo papato. Disse lui e sempre l'ha ditto e più volte nel passato: che l'ha a star 18 anni in pa- pato in tutto, e quellui quale li predisse chel dovea esser Papa li affirmò questo e chel doveva far un filiolo suo Re!... Tamen queste sono cose reservate a Dio e già uno Papa Johanni 21.° dicea el simile d'esso e morite a Viterbo, essendoli minato una casa adosso. Sia come (i) PASTOR,op.cit,, voi. Ili, pp. 455-456; Sanudo, op. cit., vol., Ili, col. 671. (2) Disp. del Cattanei, 12 agosto 1300. 522 ALESSANDRO LUZIO si volia, fa gran designi e più chel non faceva nanti il caso e periculo suo.... [La prigionia d*Ascanio gli giova, perchè Luigi XII per ritenerlo, cederà ai papa in molte cose]. 4 settembre. Ei Papa ha mandato fora la filia e nora e tutti excepto Valentia perchè al fine ne riceveva affanno (i) e pratica de mandar essa filia in Franza e molto alto, non so sei gè reusirà, benché per haver denari del dotte e bona suma e Cardinali faran quelli franzosi ogni cosa. 77 settembre. Ho scritto de la praticha tene el Papa in Franza per mandar la filia et in alto logo.,.. Lei dice non voria andar in Franza et è sta businato alcune parole de D. Alfonso [d'Este] benché.... esso D. Alfonso voria forsi andar più alto e lo Papa se l'ha quello paese de Romagna forsi pensa altro.... XI. Mentre cadeva spento Alfonso di Bisceglie, s'apprestava Cesare Borgia a colpire anche il primo cognato, signore di Pesaro. Costui, presentendo V uragano inevitabile, aveva sulla fine del 1499 fieramente dichiarato di voler soccombere con le armi in pugno (2) : ma lo scettico Cattanei prevedeva al contrario che Giovanni avrebbe rinunciato ad un'inutile difesa, e avrebbe in ogni caso preferito di accordarsi col Valentino anziché colla serenissima repubblica di Venezia (disp. 16 dicembre '99) : [Me dice] uno homo da bene al qual dà credito asai el S.r de Pesaro che lui gè ha fatto intendere aposta che vedendosi non poter resistere a Valentia.... Tè melio che se acordi cum lui che cum Venetiani, perchè se questi lo spossessano, egli non potrà mai più ricuperare il suo dominio, mentre col Valentino era più ragionevole sperare un rivolgimento di cose. (1) Il Valentino l'aveva interamente soggiogato: e lo spettacolo della figlia vedova Taffannava.... non già la vista dell'omicida I (2) Cfr. Feliciangeli, Sull'acquisto di Pesaro fatto da C. Borgia, Camerino, 1900, p. 79. Lett. di Giovanni Sforza al cognato del 28 dicembre 1499 • ^ P^^ « le continue menazze fa questo figliolo del Papa » teme sempre ; e io me pre- . u Nui siamo el refugio de tuti : né possemo, né sapemo refutar « alcuno.... ». Ciò importa spese enormi : « né sapiamo più sopra « qual lato voltarsi ». In una successiva minuta del quattro ottobre, con incalzante terrore confessa : « siamo a la similitudine de quelli che sono con- « ducti a la forca, che uno vede apicar l'altro senza prestarsi « aiuto ». Rivela d'aver mandato a Pesaro 50 fanti, « che è uno zero », perché almeno lo Sforza salvi la vita, dacché ingannato da' Colonnesi (i) non può altrimenti scampare al suo fato. 11 marchese Francesco soggiunge di voler anche lui, come il Bentivoglio, soccorrere con maggior efficacia Faenza, quantunque gli resti il dubbio angoscioso che i francesi giochino doppio gioco ; cercando cioè con infernale astuzia il pretesto di ingoiare Bologna, Ferrara e Mantova, sotto veste di favorirne l'ostilità al Valentino (Minute, 4 ottobre) : El Papa designa, et veniralli facto chi presto non H obsta, tolto Pesaro.... dilatare le fimbrie a suo modo. [Il Bentivoglio] pensa non manchar a Faenza.... et da francesi non gli è interdicto questo né velato, anci copertamente aslargatoli la mane, ma mal si può sapere de chi fidarsi ; et dubio grande è che non sia, come si suole dire, una tracta messa a fin de fare saltar homo, dipoi apunctarlo et darli adosso.... Dubitamo assai che non lateat anguis in herba et che el Re de Pranza non facia bora col mezo del Papa quello che non li para esser licito a lui a la scoperta.... et cum tal modo et via cerchi de sminuire el resto de le forze de Italia, talmente chel ne sia el vero patrono, cum designo che dipoi el Duca de Ferrara, m. Zohanne Bontivoglio et nui li siamo in preda ad ogni suo volere, et se per bora faremo alcuna mossa attaccarne fra lui et Venetiani et fra poco spacio levarsene denanti.... Mandassimo el S.r Piero Gentile [Varano] al Sj Duca de Ferrara a svigiarlo et ricordarli el comune periculo et pregarlo comò el (i) a El povero S.re è rimasto ingannato sotto la tede et promesse de Co- « lonesi, quali rao' hano lacto tregua col Papa per quatro mesi, interveniente a : prepararsi a subire un'indegna proposta matrimoniale. La stella del Valentino pareva toccar lo zenith ; i corrispondenti d'Isabella d'Este descrivevano con entusiasmo l'en- trata solenne di Cesare in Pesaro. A cavallo suso uno bello corsiero.... havea in dosso uno sagliono de panno d'oro et raso cremesino ornato de certe liste de veluto nero cum uno bellissimo stocho cinto, in testa havea uno capello arzentino peloso cum uno penachio bianco largo (2). I fuorusciti, che da ogni parte traevano alla corte gonzaghesca come a loro rifugio, cominciando dall'espulso Giovanni Sforza, acuirono 1' odio d' Isabella e di suo marito pel Borgia e pe' loro fautori. Quell'odio non ebbe più limiti, quando i signori di Mantova (1) Lett. 27 settembre e 25 ottobre 1500 da Ferrara di Piergentile Varano. (2) Feliciangeli, SulVacquisto di Pesaro, p. 99. 526 ALESSANDRO LUZIO si videro costretti all'atto odioso, umilinnte di disdire l'ospitalità concessa alle vittime di quella bufera politica (i). Anche Lucrezia Crivelli, per cui aveva implorato speciali riguardi l' imperatrice Bianca Maria Sforza dovette lasciar la città e rifugiarsi a Canneto su'l'Oglio (2). Pure, un nobile scatto di fierezza ebbero i Gonzaga contro o stesso Valentino, allorché o per sé o per un suo scherano fece rapire una gentildonna mantovana che si recava a marito negli stati occupati dal nuovo signore. Del 25 febbraio 1501 è la protesta pel « rapto commisso ne le confine de le terre de la S. V. contra « M.a Doratea moglie del mag.<^o Zoanni Baptista Carazolo ». Andava a marito sicura; « cosa veramente trista damnabile et odiosa « apresso chiunque ha scintilla » d'onore. Con ossequiosa frase, che celava di certo un'ironia, la lettera esprimeva la sicura fiducia che a tale obbrobriosa soperchieria fosse estraneo il Valentino, « essendo lei magnanimo et cupido di gloria ». Si domandava perciò che venisse provveduto all'onor della sposa: e quanto fosse ben collocata questa fiducia può attestare un epi- (1) Minuta di Francesco a Giovanni Gonzaga, del 2 febbraio 1501 : « Li . (2) Lett. di Bianca Maria, Innsbruck, 20 giugno 1 501 : « Havendo nui in- « teso che la dilecta nostra Lucretia de Crivelli si ritrova de lì a Mantoa con a el filio de lo ili. nostro barba L. Sforza ne ha parso convenire a l'officio (T nostro che ne la presente calamità ve la ricomandamo si per respecto di ep o a nostro barba come etiam per le virtude sue et siugulare ingenio et indole del a puto, el quale da tuti è a nui grandemente commendato r. ISABELLA D ESTE E I BORGIA 52 gramma anti-borgiano citato dal Pastor tra' molti che contiene il codice vaticano 3351. L'uno d'essi s'intitola: « de Dorothea a « Caesare Borgia rapta »: né v'ha dubbio che si riferisca alla gentil donna, che nobilmente Isabella e Francesco tentaron strappare dalle male branche di Cesare, Sforzi vani purtroppo, perchè, neppur quando fu per sempre infranta la potenza del Valentino, si riuscì a scoprire dove fosse nascosta quella vittima della libidine del duca... o di taluno de' suoi seguaci (i). L'atteggiamento ostile de' Gonzaga non sfuggì al Valentino e ad Alessandro VL col mezzo del Bentivoglio, chiesero nettamente che il marchese di Mantova chiarisse i suoi intenti, e si valesse della fiducia che il suo nome riscuoteva in Faenza per dissuadere cittadini e Signore da un'inutile difesa. Importantissima a tale riguardo è una lettera del 13 febbraio 1501 di Giovanni Bentivoglio a Francesco : Essendo recercato e molto strecto da la S.^à de N. S. et dal Chr.mo S. Re et etiam da lo ili mo S. Duca Valentino ad volerme interponere cum faventini et operare cum loro piglino qualche acordio bone cum (i) Nel Copialettere 168 del marchese Francesco v'è una lettera del 2 marza 1501, con cui si esprimono alla duchessa d'Urbino le più vive condoglianze per « la prava et iniqua captura de M.a Dorathea da Crema, quale è stata educata « da lei [Elisabetta] tanto teneramente ». Promette Francesco alla sorella di adoperarsi pel riscatto col duca Valentino : ma non s' illude del risultato, a Non ce sapimo che effecto ne seguirà né che sperarne, intendendo la ill.ma S. de Ve- ocunients relatifs au règne de Louis XII, Montpellier, 1912, p. 282, sotto il titolo « une ViC- « time de Cesar Borgia », che riguarda precisamente la moglie del Caracciolo,, invano rivendicata dal Senato veneziano col mezzo dell'ambasciatore francese Accurso Maynierl... Certo il Valentino faceva « gran scuse de innocentia » (come il marchese Francesco scriveva il 18 marzo al desolato sposo di Dorotea,. Copialettere 169): ma chi poteva allora pigliarle sui serio? 528 ALESSANDRO LUZIO esso Duca, ho mandato ad Castellobolognese il protonotario mio figliolo per fare tale effecto, et havendoli dato principio ritrovo li animi de quelli faventini alquanto duri, unde il p.to S. Duca me fa instantia voglia operare cum V. E. sia contenta mandare uno suo ad persuadere ad quelli homini et al Sje tale acordio et confortarli ad succonbere cum bona conditione, più presto che expectare la forza de le arme cum la ruina del tutto. Il quale homo de V. E. habia adiutare la pratica cum lo Prot. mio figliolo, quale ritrovarà in Castello bolognese. Et perchè ad mi parerla più in proposito il redurre la pratica in assetto che star in tanto periculo, intendendo maxime questa essere la intentione del Ch.nio Re, prego la E. V. non li gravi mandare uno subito cum bona commissione ecc. I copialettere gonzagheschi non ci hanno serbato la risposta del marchese Francesco a queste esortazioni del Bentivoglio ; ma dovette essere o apertamente negativa o scaltramente evasiva, avendosi troppa ragione di dubitare che il Signore di Bologna mettesse uno zelo sincero in quelle sue interposizioni pacifiche. Non era egli forse che a mezzo del fido segretario Cristoforo Poggio s'era industriato a racccattare tutte le voci ostili pe' "Borgia, e a sobillar contro Cesare i capitani francesi ? (i). Non era forse (l) Disp. del Poggio, da Bologna, 6 gennaio 1501 : « Qui etiam è Ro- te mulino del Duca Valentino, quale recerca stantie in Castelo Bolognese per « Mons. d'Alegra e gli è stato resposto non potersi per la streteza del loco. Non ff credo però venga il p.to Mons. d'Alegra per essere sdegnato col Duca.... « La valle de Lamone è quasi tuto reducta a la devotione de Faenza et ». ISABELLA d'eSTE E I BORGIA 533 il capo dicendo : lo più bel honorar si è Io obedire [Un tale lo deride osservando che il parentado sarà a danno di Venezia: "perdenti Cer- " via e Ravenna „]. Alessandro era fuor di sé per la gioia, vedendo dileguato il timore, ond'era stato per parecchi giorni assillato che le subdole arti del « cardinale di Roano » potessero frastornare il maritaggio di Alfonso con la figliola. La prosperità lo rendeva più accessibile a propositi degni di un pontefice: e piace udir dal Cattanei (ii agosto) come Alessandro VI vagheggiasse in Romagna non soltanto ingrandimenti e fortificazioni a beneficio del Valentino, ma anche opere grandiose di bonifica a vantaggio de' sudditi. Il papa voleva cioè andar di persona in Romagna, sostando a Cesena, parendoli essere m mezo del stato del filiolo e suo pensier e che nullo signore li sia là dreto se non lui^ vivendo tanto come el spera de vivere e lo dice ogni dì, et ultra l'ampliatione del dominio intende bonificare quello paese e vole e dicelo de far uno borgo integro cum uno castello in mezo e pallatii da Cesenna sina al Porto Cesenatico et etiam agrandir Cesenna e far novi designi e forteze in quelle terre. Intanto però bisognava dissanguare l'erario, per appagare le bramosie dell'Estense, che da spregiudicato politico mercanteggiava l'onore della sua casa. El scrive (disp. del Cattanei, 22 agosto) lo ill.rao Duca de Ferara al Papa una bonissima lettera circa il matrimonio novo concludendo bene e che dio ha tocato il core de S. S.t* ad illuminarla a ponere il sangue suo in casa sua et che dio volesse fusse digno ecc. Ma Remolino notava sarcasticamente che coteste eran parole: il duca pretendeva assai in tangibili benefici e il papa (concludeva il Cattanei) cederà « se ben gè andasse la mitria pontificale ». D. Lucretia a l'usanza de Spagna sina qua ha mangiato, come vedova, in terra, zoè in vasi da terra e maioliche. Mo' ha principiato a mangiar in argenti, come quasi non più vedoa. 11 corredo per Lucrezia importava spese favolose : si vuotava il palazzo apostolico di tutti gli arazzi (i) ; veniva persuaso spinte (i) Cfr. Gregorovius, op cit., p. 196: non senza errori, per esempio, dove legge e in due anni * va corretto a in decel ». 534 ALESSANDRO LUZIO o sponte « questo e quell'altro signorotto e gentilhomo romano » ad andar a Ferrara, per scortarvi la sposa. Non meno lussuosi preparativi faceva Ercole I : tali anzi da ingelosire una dama come Isabella, che non avrebbe volentieri veduto sfuggirsi la palma dell'eleganza signorile. Il fedel Prosperi le riferiva il 3 ottobre con grande riserva : Se lavora certe scoffie che vano carriche de zoglie et altre cose cavate però da la forma de quelle che già fece fare quella dolce e felicis. m. [di Eleonora d'Aragona] Ma prego V. S. non curi de parlarne troppo cum veruno.... Se intende anche lei bavere de gran zoglie et digne et essere in ordine da regina.... La S. V. adoperi mo' lo inzegno suo aciò la di- mostri de chi fo figliola et se la non bavera tante tante zoglie che le sue non comparano mancho ben poste de quelle de l'altri.... Il Prosperi insinuava timidamente, che, cercandosi per far corona a Lucrezia, delle damigelle leggiadre, aveva delle figliole pur lui da proporre. Le mie « pute », dice con adorabile candore, non mancano di « qualche poca gratia, ma belle non sono ». Per decidere sulla scelta (4 novembre) il duca stesso all'impensata andò insieme ad un medico per le case de' gentiluomini ferraresi, che si disputavano l'onore di contribuire alla corte di Lucrezia. Grandi apparecchi si facevano naturalmente per le rappresentazioni teatrali, in cui il genio di Ercole d' Este doveva sfolgorare trionfante dinanzi a tutta Italia, come il più sontuoso mecenate della risorta commedia classica (disp. 11 ottobre del Prosperi): Lo apparato de le ccmedie se è levato de sala grande et drizasse suso el palazo de la Ragione facendo uno arco che andarà da li pozoli bassi de marmoro al cantone de dicto palazo per andarli de corte senza smontar le scale et la sala grande restarà expedita da ballare in ma- scara et fare triuniphi. La curiosità d' Isabella d' Este era, da tutte queste notizie, al più alto grado acuita : nell'apprendere pertanto che tra la solenne ambasceria mandata a Roma per condurre la sposa a Ferrara vi era certo « Prete », familiare di Niccolò di Correggio, cronista sgrammaticato, ma vivacissimo e pettegolo quanto mai, gli rivolse le più calde raccomandazioni, perchè esercitasse con lei l'ufficio di- « reporter », tutt'occhi e tutto orecchi. Il Prete annuì volonteroso, enunciando in una lettera del 12 ottobre da Ferrara il suo prò gramma di gazzettiere zelante: ISABELLA DESTE E I BORGIA 535 Io seguirò la ex. M.na Lucretia corno fa il corpo l'ombra, e siate certa che io vi saperò dire quanta stampa formi il... suo pede in terra e dove li ochi non poteranno atingere io andarò col naso. I correspondenti de' banchi, se bene l'uno è al Calerò e l'altro in Ingliterra si par- lano con questa bella arte del scrivere : le lor lettere sempre contenano due parte, la prima il traficho, la seconda le nove ocurente. Cosi farò io con la ex. V., el conto de la mercantia sera la parte de la ill.^re co- gnata, le nove serano le acidentie de la catervata compagnia.... Aciò che la E, V. giudichi quello ch'io farò a Roma, hor che non ò ancora passato Ferrara, già vi do notizia comò questa Madona porta con fazoUi coperto el pecto in sino a la gola.... va senza rizoli tuta modesta, danza volunteri danze nove e porta la persona con tanta suavità che pare non si mova. Questo vi manda el Prete per una lettera venuta da Roma a uno amico suo da uno di nostri negociatori. 11 Prete tenne parola, come ognuno sa, per le sue lettere, già edite, assai scorrettamente (i) a dir vero, dal Gregorovius : e via via che proseguiva il viaggio per Roma mandava a Isabella dispacci meravigliosi per le impressioni colte dal vivo sulla società contemporanea. A Firenze, per esempio (disp. da Siena, i8 dicembre), volse vedere Madonna di Forlì [Caterina Sforza]. Tuti li altri andavano a la Nonciata, io andai a lei. Trovai una donna grossa da la testa in zuso tanto che non ni saperla dare il parangono, vestita de negro in corpo con uno scosale negro, volto lisato colorito che mi pareva vedere uno spechio, alegra, el capo conzo con dui velli che cadeno in suso le spalie, una donna da boti tempo, bella mano delicatissima, pare tochare uno zebelino.... Appena vista in Roma Lucrezia, s'affrettò a descriverne l'abbigliamento in una lettera, che ha dato occasione al Gregorovius di stranissimi equivoci, dovuti in parte alla cattiva scrittura del novellista ferrarese, ma in parte non piccola anche alla scarsa diligenza dello storico tedesco, non sempre famigliare con la nostra lingua cinquecentista (disp. 24 dicembre). L'abito suo era morello, le maniche strete comò se usavano dece anni fanno, talgiate atraverso la bernia fodrata de zebelini talgiata da tuti dui li canti ma non fin a fondo e teneva fora le braze. La conzatura de testa era una scofia di velo verdo con uno friso d'oro batuto (i) Già rilevato dal Pastor, op. cit., voi. Ili, p. 309. Cfr. Luzio-Renier, Il lusso d'Isabella d'EsU, p. 27 ; e l'opuscolo del Beltrami, La guardaroba di Lucrezia Borgia, Milano, 1905. 536 ALESSANDRO LUZIO intorno e uno per mezo la scrima orlato di perle di qua e di là non molto grose, al colo uno filo di perle asai grosse con uno balascio desligato non molto grosso né molto bello colore. La lenza nigra simplice^ el trezato a la guisa. Possavasi sopra al brazo de uno cavalero antico vestito de veluto negro con una catena e una bella fodra de zebelino. Non so chil sia.... Questo ve so bene dire chel non gè Inseva la fronte (i) ma la gema avea bene pigliato la tblgia, l'è una zentil niadona e gratiata.... Isabella d' Este, nell'attesa di quelle notizie da Roma, faceva beninteso anche lei i preparativi più ansiosi : chiamando persino a raccolta amici gentiluomini di Brescia, perchè fornissero di collane e di oggetti preziosi di comparsa il suo seguito. Per esempio a Giulio Martinengo scriveva il 15 gennaio 1502 : [volendo a Ferrara] coniparere più onorevolmente che potremo non solum per la persona nostra ma de la nostra familia desideramo ritrovare qualche cadene d'oro ultra quelle che sono state facte a posta et ritrovate qua.... [Spera] poter ritrovarne in Brixia dove sapemo es- serne copia per la multitudine de li gentilhomini gli sono.... Ebbe infatti da Brescia tre catene d'oro magnifiche : e anche altri amici la soccorsero, perchè nelle imminenti feste ferraresi ella avesse, se non ad ecclissarla, almeno a sopportar con onore il confronto con la cognata, a cui Alessandro VI si compiaceva, sfrontatamente, di paragonarla! (2) Aveva poi Isabella sull'esempio paterno, procurato pur essa di cavar da Lucrezia qualche vantaggio sensibile : a cominciare da quel cappello cardinalizio, che papa Alessandro si ostinava sempre a far sospirare a casa Gonzaga. In una sua istruzione a Borso da Correggio, facente parte della comitiva ferrarese inviata a Roma, chiedeva nettamente Isabella che Lucrezia non lasciasse il Padre Santo, senza prima supplicarlo (i) Cfr. Gregorovius, op. cit., p. 201, che traduce: a questo so io di certo « che al nostro Cardinale Ippolito (?!) scintillavano gli occhi; ella è dama se- « ducente e veramente graziosa ». (2) Lett. di Gerardo Saraceno, da Roma, 26 ottobre 1501 (edito Gregorovius, op. cit., p. 410) : « Ultimamente si parlò de lo Illustrissimo sig. Don Alff fonse et di la sua vita, natura, dispositione, et qualità et parimente di la pre- « fata 111. Duchessa, la quale molto fo comendata et laudata da sua Santità et e di belleza et di prudentia, adducendo molte comparatione et di la Illustrissima « Marchesana di Mantoa, et di la Duchessa de Urbino, facendoni intendere che e epsa Duchessa è di età di anni vintedui liquali finiranno a questo aprile in el « quale tempo anche lo Illustrissimo Duca di Romagna fornirà anni vintesei ». ISABELLA d'eSTE E I BORGIA 537 che la gli facesse gratia de questa promotione acciò che giongendo a Ferrara potesse portare cosa de tanta satistactione al s.^c suo consorte et a lei de tanta et magiore reputatione che verun*altra la potesse havere. Ultra l'utile che la ne consequeria insieme cum tutta la casa de Borgia per la benivolentia et obligo gii ne senteria questa ili. Casa de Gonzaga, la qual è stata sempre et è gratissima verso chi la honora et benefica et che in ogni evento se poteriano valere de la persona et stato de lo ilj.mo S. Marchese, che non è de pocho contrappeso al stabilimento de la grandeza del S/ Duca suo fratello.... credemo che il Pontefice per mandarla in tutto contenta, respectata et honorata facilmente condescenderà ad compiacerla.... Nui se ritrovaressimo la più contenta et felice donna del mondo.... (lett. 7 dicembre 1501). XIll. Le nozze della Borgia a Roma furono celebrate con tutta la pompa corrispondente alla smodata gioia del papa per quell'unione, che assicurava alfine degnamente l'avvenire della figliola (disp. 26 di- cembre del Cattanei) : Non pare al Papa che mai el facesse cosa più relevata a l'honore e stabilimento de li filioli, de questa : e fu fatta crida chel Papa dirla la messa, darla la benedictione et indulgentia plenaria, monstrando la lanza e Veronica et altre reliquie. Fra gii spettacoli predisposti, vi sarà, soggiunge il Cattanei, una naumachia. Ai vincitori era fissato il premio di duecento ducati : la palma sarebbe decretata agii assalitori della nave nemica, se in due almeno fossero riusciti a penetrarvi. Non essendo possibile in tanta ressa contentar tutti (ij, gli ambasciatori, come sempre, si disputavano il passo per assistere alle feste : e ad uno de' contrasti più curiosi e violenti trascorsero gli oratori veneziano e sabaudo, il 25 dicembre. El Papa (disp. del Cattanei del 27) volse che l'ambasator venetiano fusse in cappella lo dì de Natale et fece dir a l'ambasator del Duca de Savoia non ce venesse quello dì, ma lui se apresentò in publico al Papa e fece grande e non poca querela, dicendo lo S." suo non meritava (i) Per gli alloggi si ricorse a un sistema molto economico (disp. cit. del Cattanei) : « La spesa de l'allogiar quelli sono venuti non sera molta, perchè li > per F errara, onde giudicar co' suoi occhi se i predisposti « trionfi » appagassero il suo finissimo gusto estetico, ritornata al palazzo Estense scriveva, con sprezzante severità, al marchese Francesco: Montai in carretta circundando la terra: vidi li archi che se fanno in certi cantonali ; la beleza de quali non scrivo per mio honore. Incontrai (i) L'altro breve riguardava certo beneficio di Cipata... la patria leggendaria del Folengo. (2) Nelle cit. Notizie di Isabella Esteme, docc. LXVII-LXXIII. ISABELLA d'eSTE E I BORGIA 54I poi una caretta carica di venetiani, quali andavano barchegiando per Ferrara, facendo spectaculo assai ridiculo.... Prevede che malgrado la pompa sfarzosa l'ingresso di Lucrezia Borgia a Ferrara non riuscirà gran cosa di bello « per non vederli u ordine né apparato »>. Secondo gli usi nuziali anzichenò inverecondi d'allora, Isabella conclude che ella con fratelli e sorelle si apparecchiavano « di fare la maitinata a li sposi, secretamente però « et cum pochi ». Allude con ciò al baccano festoso, con cui i congiunti all'indomani della prima notte solevano salutare le giovani coppie, penetrando indiscreti ne' segreti d'alcova, messi in piazza con crudità boccaccesca. Questa costumanza spiega appunto, per chi se ne meravigliasse, la franca disinvoltura usata dal cancelliere d'Isabella il 3 febbraio nel darne notizia al marchese Francesco.... (i). Un senso di freddo incombeva su quelle nozze, che a tutti parevano degradanti per gli Estensi ed erano perciò accompagnate da foschi presagi, che almeno in parte l' avvenire per fortuna d'Alfonso smentì. Isabella non poteva non dividere anche più acutamente d'ogni altro quelle apprensioni pel fratello e per casa d'Este: e s'augurava perciò che la « corvée » de' sorrisi obbligati, de' sollazzi tanto più sgraditi quanto più chiassosi, cessasse presto, consentendole il ritorno a Mantova presso suo marito, presso il suo Federico, vezzoso fanciullo di un anno e mezzo, ch'ella ricordava in ogni sua lettera con tenerezza infinita. Il marchese Francesco le dava la baia, ora dicendole che Federico non si ricordava più di lei (2); ora avvisandola che il bambino era impermalito dell'abbandono materno. Chiestogli infatti che direbbe al ritorno della mamma, Federico « cominciò a menare molto forte di la mane u su la tavola, sì che credemo che 1* habia animo di fare le sue M vendette.... « (lett. del marchese Francesco, 5 febbraio) (i) Lett. 5 febbraio: « questa nocte el S.r Don Alphonso ha dormito cum « D. Lucreiia sua moglie, senza alcuna ceremonia precedente et per quanto ho « inteso ha e minato tre millia, benché ancor non ne habi parlato cum alcuno « dì loro. Non gli havemo facta la maitinata corno scripsi tra ordinato, perchè a a dire il vero sonno pur queste noze fredde » Cfr. i disp. del Cattanei, 25,27 maggio 1499, sulle svergognate lettere del Valentino e di Luigi XII al papa, r indomani delie nozze di Cesare con Carlotta d'Albret. (2) Lett. I.'' febbraio : « Se la S. V. fa poco conto di lui, lui ni fa manco « di lei, perchè non se ne ricordi più come sei non l'havesse mai veduta.. » 542 ALESSANDRO LUZIO Ad astenersi dal comparir con la moglie alle feste ferraresi era stato indotto il marchese Francesco da gravi ragioni politiche.... anzi da una fenomenale paura. L'imperatore Massimiliano aveva anzitutto, come sempre, tuonato a vuoto contro gli Estensi per quell'alleanza con Alessandro VI, conclusa senza chiedere il suo permesso. [Sua MM, leu. 2 novembre 1501 di Agostino Somenzio da Bolzano, è] Ili grande adniiratione e displicentia per el parentado facto e le cose acceptade per epso'con graveza et pregiuditio de sua M.tà senza par- ticipatione sua. Non altrimenti infjrmava Giovanni Gonzaga, da Innsbruck, 28 gennaio 1502, con una lettera in cifra, aggiungendo tuttavia che a rabbonire Massimiliano sarebbe bastata.... un'abbondante elemosina per le vuote sue casse. Circa le cose di Ferrara sono stato in alcuni parlamenti cum persone che credo me habiano diete le infrascripte parole corno ministri de lo Imperatore : che quando il Duca volesse darli 100 m. ducati che! se faria opera che lo Imperatore gii perdonaria il tutto et ultra di questo gH faria rehavere il Polecine de Ruigo et il Duca non haveria a pagarne alcuno insino non havesse il Polecine realmente. Questo non ho da lo Imperatore, ma da optimo altro loco. La S. V. poterà mo' cum quella dexterità farlo intendere al S. Duca gli parerà, et sopra tutto cum quello più secreto modo sia possibile, perchè io ho ciò in sacramento et m spetie ciò sia secreto a Venetiani, perchè venendoli a notitia la S. V. seria ruinata una cum mi suo servitore.... I malumori imperiali erano già ragione sufficiente, per Francesco Gonzaga, di non presenziare le feste ferraresi : ma una lettera strana da Bolzano, 9 dicembre 1501, di tal Matteo Marino di Busseto, lascia credere addirittura che nell'animo del marchese di Mantova si fosse insinuato il sospetto d' un infame tranello, a cui poteva esporsi, partecipando incauto a quelle nozze borgiane. Papa, Francia, Veneziani (asseriva colui) pensano forse durante i tripudii della corte estense in onor di Lucrezia « inva- « dere et ocupar Ferrara et pigliar V. E. S.... presuponendosse, « presa la persona di V. E. S. essere presa Mantua: che non po- « teria impedirse per lo ì\\.^° socero di V. S. corno meno potente u de li inimici.... ». I tre alleati si spartirebbero così la preda : ISABELLA D ESTE E I BORGIA 543 Ferrara a' Venetiani; Mantua, Reggio, Modena et Bologna al Chr.n^o; al Papa, Cervia, Ravena et il stato de Urbino e Camerino cum quello dil Prefecto ; et per essere li tre prenominati di natura che le magior parte de le loro actione conducono con fraude, inganni e tradimenti [sarà opportuno] che per niente quella debia andare in persona a tale noze, perchè così V. E. S. se asecura la persona, el stato, et conserva li designi de la C. M.tà et forse rompe quelli de li inimici. Senza queste recondite paure riescirebbe difficile spiegare l'astensione di Francesco Gonzaga dalle solennità ferraresi: dove ovvii riguardi di parentela e di buon vicinato reclamavano ch'egli figurasse accanto alla moglie, anziché lasciare a lei sola l'onore e l'onere della rappresentanza della sua casa. XIV. I cortigiani, che accompagnavano Isabella, ripetendo senza ambagi i commenti susurrati ne' loro crocchi, prodigavano, ne' dispacci a Francesco, le più ditirambiche adulazioni per la sua consorte : le assegnavano incontrastata vittoria sulla cognata e su quante altre dame erano concorse alle abbaglianti feste nuziali della Borgia e d'Alfonso. Tenuto pur conto della evidente parzialità di que' giudizi, non si può in essi disconoscere un gran fondamento di vero : la marchesa di Cotrone, educata alla spagnola, era dopo tutto estranea agli influssi delle corti dell' alta Italia, né avrebbe calpestato per semplice piaggeria la verità, quando istituiva raffronti tra quelle dame alle quali si trovò mescolata per caso. Il 2 febbraio scrive che Isabella supera tutte* « di bellezza et bel sembiante M et gracia et di ogni cosa » : se la sposa l'avesse saputo, avrebbe procurato di far il suo ingresso a Ferrara « a lume di doppieri >•. II 5 febbraio mandava a Francesco Gonzaga questa entusiastica lettera : .... Abiando forsi mal dormito questa nostra ill."ia sposa la nocte che vene fra la bataglia dil marito et la stracheza di la via, stete a levarsi sino a le XVIIII ore et dipoi di aver facto una breve colacione vene in sala acompagniata da li inbasiatori, onde trovò molte damisele che a Sua S. espectavano, vestita di una veste a la franciosa di oro tirato et una sbernia di raso morello, listata di oro batuto a liste strecte, ove herano ligate alcune prede et perle, assai rica, foderata di arme- lini, et in testa portava una schofia, fornita di baiasi et perle, et una 544 ALESSANDRO LUZIO sfilza di zoie al colo. Non estete tropo che vene la mia ex.'"» patrona, vestita di una richa veste ricamata a sieve di oro tirato, al collo portava una sfilza di perle grosse, in mezo uno grosso diamante, in fronte una richa lenza di zoie di grant valuta ; insieme cum lei la ilj.ma Duchesa di Urbino vestita di una camora di veluto nigro tuta tagliata et ligata cum certe cadenele di oro batuto, molto bene addobata. Per mia fede, ex.roo S.^e mio, arivata che fo in sala la ex.ma vostra consorte, li ochi di tuti forono converse in quela parte onde lei passava. Arivata che fo fra le dame, parse uno sole che cum suo splendido ragio tute le stele obscurase. Ben voglio, V. Ex. mi conceda, abiando io vista la prova, possedere lo parangone di tute le dame del mondo et di tuti li homini. Fra le altre cose che Dio bene merito le à conseso, è riputato per questa più che per alcuna altra esere felicissimo, apresso poi siando da lei tanto amato che altro da lei non si sente: o dio, fuse io pure a Mantua. Et credo che una ora mille ani li para eserli ; et sono certo che il primo o il secondo giorno di quadragesima vorà andar là. Tuto questo giorno se consumò in baiare fino a la note, et poi andarono a la comedia, de la quale non so fare relatione perchè non li fui. Tutavia chostoro che sono estati dicono le vostre essere più belle et de maniere aparato. Il più bello che sia estato e vedere queste madone di la casa di Este et di Bologna che ano tanto brochato tagliato et tanti ricami de oro che pare che qui sia la miniera. Jere fo Vegneri, non si fece altro che la comedia, in la quale per riverentia dil giorno le da- misele herano vestite per la magiore parte di negro. Alchuni di questi zentilhomini spagnoli credo andarano a vedere la sua festa et fare riverentia a V. Ex. : tanto sono estati informati di sua grandeza et magnanimità. Per tuta questa corte non si sente altro che dui bufoni che Gridano la realeza di la marchesana di Mantua, vestiti di due vesta che li à donato : una di rasso morelo et l'altra di brocatello canzante, assai belle. Infine, signore mio, le laude di le feste serano tute di ex^cia di mia patrona et per consequens di V. Ex.... Questa sera cenarano cum la mia Madona il ambasatore di Pranza et la duchessa di Urbino et tute queste dame mantuane. Chiamasi il ambasatore Rochabreti, et è molto servitore di V. Ex.... So che sarà più mediante le careze che Madama li fa.... 11 6 febbraio faceva un accenno sarcastico all'invisibilità di Lucrezia, che sprecava un tempo infinito per la « toilette » ; la marchesa di Cotrone in questa sua critica s'accordava con Isabella che scherzosamente aveva scritto a Francesco : « dona Lucretia « sta tanto a levare et vestirse che vincerla li occhi a la duchessa « de Urbino.... non voglio tacere in mia conimendatione eh' io sempre « son la prima levata et vestita » (i). La marchesa di Cotrone (i) Doc. LXXII,. di quelli editi dal D'Arco. ISABELLA DESTE E I BORGIA 545 narrava il successo trionfale ottenuto da Isabella col suo canto leggiadro : « a pregi de questi signori cantò dui soneti et uno « capitolo, de che questi signori forono tanto contenti che più non « se potria dire ». Se prima eran due i buffoni a gridar le lodi della marchesa di Mantova, « mo' sono tri perchè a l'altro lì è « stato donato da lei un'altra bella vesta ». Anche le sue gioie « sono state estimate più belle che quelle che di la sposa se « vedeno ». A coronare la decretata superiorità d'Isabella sotto ogni rapporto, il fedel segretario di lei. Benedetto Capilupi, raffroi\tava a tutto vantaggio della sua padrona i modi serbati da Lucrezia Borgia, Elisabetta d' Urbino e dalla marchesa, nel ricever gli ambasciatori e nel risponder loro con discorsetti d'occasione, fini, garbati. Respose alta voce cum tanta ellegantia et prudentia chel seria bastato ad ogni consumato oratore.... [Anche la duchessa Elisabetta] saviamente respose.... L'ultimo parlare fu a Donna Lucretia, la quale se bene ha praticato più homini che non hanno vostre moglie et sorella, non agionse però un gran pezo alle prudenti risposte loro. Goda V. Ex. che m.a sua consorte ha lassato a tutti questi ambassatori et S." mirabile odore et ne la spurcissima comedia de beri (i) fu notata tanta ve- (i) La a Cassina » che il D'Arco confuse con la « Cassaria » I... Nella sua lett, del 9 febbraio, non pubblicata dal D'Arco, scriveva Isabella su quella rap- presentazione : «Prima uscì la musica dil Tromboncino cantando una barcel- », negando ricevimento persino a quel fior di gentiluomo che era Niccolò di Correggio. Il 26 maggio avvisa che quattro cavalieri ferraresi, destinati al servizio di Lucrezia, avevan chiesto licenza, perchè male veduti « et pegio acarezati », da chi non amava che i suoi connazionali spagnoli. Fu risposto a' .dimissionari che pazientassero : come a sua volta pazientava il duca, che per quella benedetta questione dell'assegno a Lucrezia si trovava in lite aperta col papa, sobillato dalla figliola. Tra Roma e Ferrara s' impegnò una gran scaramuccia di let- tere e di brevi : un mercantesco stiracchiar di cifre tra Alessandro VI, che esigeva non meno di dodicimila ducati l'anno, mille al mese ; ed Ercole I che non intendeva darne più di ottomila l'anno. Il vecchio duca, che a buon conto aveva il 16 maggio chiesto a Isabella quale « provisione » le assegnasse il marchese Francesco (i), si sarebbe arreso « prò bono pacis » ad accordare diecimila ducati ; dividendo il male a metà, come soglion dire i sensali (I) A volta di corriere rispose Isabella il 18 maggio, precisando che tutto sommato ella aveva ottomila ducati l'anno da spendere (cfr. Lusso d'Isah ecc. cit., p. 52). Volendo, come sempre, lavorare di fantasia, dove non la soccorrevano le pubblicazioni del Renier e mie, da lei svaligiate, la signora Cartwright, Isabelìa d'Este, voi. I, p. 225, suppone che la marchesa di Mantova ricorresse allora al padre per aiuto « for help in her dificulties » ; e al suo solito, ha mostrato semplicemente una mirabile levità di giudizio, poiché quella lettera.... significa precisamente l'opposto 1 Era un puro e semplice riscontro a una domanda del duca Ercole, che non voleva allargare i cordoni della borsa con la nuora a Ferrara, quando la sua figliola a Mantova si contentava di una a provvisione » inferiore, e sapeva tuttavia sostenere egualmente lo splendore della sua corte. Isabella aiutava perciò il babbo nella lotta contro la nuora : e la signora Cartwright ha perduto una bellissima occasione di risparmiarsi un a qui prò quo ». ISABELLA DESTE E I BORGIA 55 1 ^lett. 3 giugno del Prosperi). Ma Lucrezia pareva inflessibile, a detta del Prete, che su quella vertenza riferiva a Isabella frasi <:aratteristiche, raccolte dal labbro della Borgia. Ammesso alla confidenza di lei, certo in grazia del suo abito ecclesiastico, dava il Prete curiosissimi particolari sulla vita della Borgia, interamente trascurati dal Gregorovius : 4 giugno IJ02. La S. V. sera avisata corno questa S.ra continua pur in la sua vita: olde mese a 17 18 bore, veste de negro, e dice vele portarlo in fino a la venuta de lo Ill.mo s. Suo. Aloza al zardino la prima stanzia aparata de coltrine, imo paramento da leto de raso alexandrino, una tavola grande e tapede, la seconda tuta coperta de veluto verde, tapede in terra senza letèra, a uno cantone uno dusero (i) de veluto alexandrino con certi lavori de oro largi una spana, per sedere li soy matarazi coperti de raso a la divisa sua cosovi de pano d*oro 4 e altri asai de sorte. A le 21 bore ese in questa camera dove se vede cbi li va, cbe sone perbò pocbi. El più solicito è Don Ferando, cbe fa il morto con Nicbola. Io li vò, in vero me acareza asai. L'altro came- rino dove la dorme e manza è parato de spalere alte de raso a la dovisa e tute sono fate a gropi con Iranzete de oro.... sparavero de cambraia sopra il suo leto tuto coperto de tapetti.... Poco è cortizata, ancora non ba parlato a nisuna de quelle pute nove, non sta troppo contenta. Il S. Duca ta il sordo de la sua provesione, lei non vole mancbo de due. 12 millia, me à dito anci cbe più tosto starà così e cbe V ba scripto a la Santità del Papa e cbe per lei non se cura, ma solo per la compagnia.... El S. Duca à tolto Jac.° da San Segondo ad 8 due. el mese, spesa per dui cavali e due bocbe.... El S. Duca tuto il dì leze lui e '1 S. Nicbolò [da Correggio] liberi franzosi, fa depinzere a Belfiore in capitoli tuta la vita de Filocolo e Bianzefiore, cbe in vero* sera bella fata per mano de boni maistri. Ordinariamente la S.ra porta una veste de tabi d'oro negra talgiata per longo e ligata con seda. Leze lauriola (?) molto bene in quella lingua, leze forte. Ozi sono stato da lei et à ancora lei una caseta de scripture de varie persone, gè à mesedato dentro, ne à strazato asai, ò dito cbe la S. V. fa ancora lei conserva de tal cose, dice ne piglia piacer qualcbe volta a lezere.,.. U giugno. Heri el S.^^ Ducba tornò da Monisterolo, due el fa lavorare a furia e quasi l'à meso tuto per terra e dice vole tornare sabato pur là a solicitare, dove al presente è mala stanzia da caldo e senzale.... La corte de la signora sta senza piacer alcuno ; percbè la vole così, non la posso intendere. La voleva andare a stare a Belfiore. G*è (i) Dorsale. 552 ALESSANDRO LUZIO Slato amorzato in la Ionie, tal che Tuno e l'altro à presso la moscha, non à possuto digando lui voler stanziare e a furia li fa depinzere la storia de Filoculo, invero che sera bella, m.<» Lazaro è il m.» Già se comenza a fare preparamento per cuna per la creatura ^nascerà, e già ne sono facti asai desegni, ma non li vano; credo vorrà fare cosa stupenda, già se fanno lavoreri, non posso intender comò siano fati, ma sausarò tanto chel saperò. Quando due campane non s'acordano la non va bene ogni dire : corno ho conzo li fati mei, farò. Se aspecta la resolutione del Papa che comanda la provesione, non vole mancho de 12 minia ducati, dice inanti vole stare così e che questo non farà pur per li soi, e per lo piatto, la monstra grande animo, ma me pare che l'abia a fare con uno sordo. M.» Angella à asai melgiorata, e resto de le donne stanno pur così, credo non vederà la faza insino al dì dei iudicio. M.a Teodora credo non vederà secco le nespoli (i) : non posso scrivere ogni cosa. Don Ferando li sono stati interdite le vie perchè mi pare facesse forto con Nicola senza peccato : la comessione è ve nuta dal s,»* Duca tal chel camino non si fa così spesso. Io me ne sto cola Mora e tal volta parlo a la mia mocicha che sta a la camera. Pur heri sira me dise che la s.ra stava in lasivie con Nichela, tute due in bagno, e poi che sono fora teneno el perfume abasso piìi de una bora stanno in camisse moresche con scofione, non li va persona salvo questa mocicha, me bisogna fare corno se fa a li puti, ogni dì gè mando qualche cosa da manzare e a ciò che la s.^a non se guasta l'ò pregata che la sii contenta che l'ami da fiola e così la chiamo, m'è stato concesso.... {Lettera senza data). La partita de scrima fra il S. e la Signora è stata dispiacevole, non à voluto condesendeie a la sua voluntà de la pro- visione. Io sono stato a le strete seco cum la Signora, me à dito che inanti la morirà de f a m e che tore dece millia ducati. El S. Duca à dito che sei gè metese Dio el Papa chel noi farla mai. Intanto che le mosche son rimaste a Ferara. El Papa gè à scripto al S.r uno breve e uno altro a la fiola : el soprascripto dice dilecte in Christo filie nobili mulieri Lucretie Borgie Estensi Ducisse. Sua S."*» me lo dette e me lo fece lezere et è per la provisione.... Don Fernando à comessione non andare se non due volte a la corte per bon respecto, El S. Duca me mandò sabato de sera a dire che la non venesse che lui voleva andare da lei per tore licentia. La me respose chel farla melgio asetare le cose sue e stare poi alla sua stanzia, con gran mosca» la non cura niente. Credo che la T(eodora) non li starà, sempre sono a le mane. 29 giugno [La sciagura piombata su Elisabetta d'Urbino ha coster- nato tutti. Lucrezia] mi domandò se avea auto lettera da la S. V. del caso ocorso, dissi de non, lei monstra aver grandissimo adispiacere e (i) Ossia l'.\ngelini dovrà presto andarsene. ISABELLA D*ESTE E I BORGIA 553 COSÌ tuta la sua corte, et àme dito che la pagana cinquantamillia du" cati non l'avere mai cognosciuta, e dove la poterà con fati e parole non li mancharà mai. La sta a Belfiore benché el S. non voleva, pur li à compiaciuto, dove ne va mai persona de cortesani salvo el Zopo (i), sta sempre suso e mai non è cavalcata salvo una volta, leva a l'usato, a hore i8 manza, pensati comò va la cena. L'k fato una veste de za- beloto a tute le donzelle con le maniche large a la francese ogni cosa in credenza. La fa fare una cuna che '1 ligname monta due. ducente, voleva mandarli il designo ma non lo posso avere, fa grande aparechio de cose d'oro, me à dito che la spenderà due. io millia a questo oarto. (Continua) Alessandro Luzio, (i) Allusione indubitabile ad Ercole Strozzi, il poeta, che era roppo e go- deva già la confidenza della Borgia. VARIETÀ Un'audace falsificazione del Bianchini. L chiarissimo padre Fedele Savio ha già recentemente (i) mostrato quale serio fondamento abbia la qualifica di " celebre falsario », dal Porro nelle sue annotazioni al Codex diplomaticus Langobai'diae (2) attribuita a quel notaio Giovanni Battista Bianchini (3), che, pur dotato di larga erudizione storica, approfittando della vanità di quanti a lui ricorrevano, inventò carte, falsificò documenti allo scopo di far rimontare a remota antichità le origini delle famiglie de' tronfi ed ignoranti suoi clienti. Il Bianchini, che l'Argelati non si peritò di chiamare « vir de republica literaria optime meritus » (4), lasciò alla biblio- (i) Cfr. qatsi^ Archìvio, XL, 191 3, p. 28 e sg. (2) Historiae patriae monununta, Codex diplomaticus LangahardiaCy edito ed annotato dal conte Giulio Porro Lambertenghi. p. 137. (5) Nato a Pallanza nel 161 3, mori nel 1699. Fu ripetutamente abate del Collegio de' Causidici di Milano e cancelliere del Luogo Pio delle Quattro Marie. Il De Vit, // La^o Maggiore^ 1880, voi. II, parte II, p. 65, pur ammettendo le falsificazioni del Bianchini, cerca d'attenuarne le colpe e ritiene che sia assolutamente da es:ludere che possa essere stato giustiziato in seguito a regolare condanna, come altri avrebbe affermato. L'amicizia sua col noto Galluzzi, che ebbe a subire tale sorte nel 1685, può aver dato credito alla voce, facendolo confondere con quest'ultimo: evidentemente la notizia sarebbe diventata di pubblico dominio, qualora avesse avuto serio fondamento, data l'estesa e cospicua clientela dell'operoso notaio, e non sarebbe certo sfuggita agli scrittori contemporanei, co' quali doveva essere in relazione personale. Per il famigerato Galluzzi cfr. G. TiRABOSCHi, Riflessioni stigli scrittori genealogici, Padova, 1789; Muratori, Antichità estensi, to. I^ p. 37, e quest'Archivio, loc. cit. (4) Bibliotheca scriptorum medioìanensium, to. I, parte II, e, 177. VARIETÀ 555 teca del monastero di S. Ambrogio in Milano libri e manoscritti, che, dispersa quest'ultima sulla fine del secolo XVIIl, passarono poi in buona parte alla biblioteca Trivulziana. Fra le opere manoscritte di lui, ora possedute dal principe Trivulzio, vi è una Genealogia Cribellae gentis (i), dedicata dall'autore a don Giorgio Crivelli (2), signore di Uboldo, abate di S. Elisabetta in Magenta e perpetuo commendatario di Bernate (3), che contiene tre documenti, più avanti da noi riassunti, i quali sono un classico esempio di falsificazione e che servono, se pur v'è d'uopo, a ribadire il giudizio severo del Porro, del Rajna (4) e del Savio. La genealogia de' Crivelli riguarda particolarmente il ramo di Uboldo, al quale apparteneva l'abate don Giorgio, ed è appoggiata a documenti riportati per esteso dall'autore. Un esame anche superficiale del filo genealogico stabilito dal Bianchini sorprende il lettore pel fatto di trovare tra gli ascendenti del personaggio, a cui è dedicato il manoscritto, un Lodovico, aulico imperiale, marito di Beatrice Gonzaga, figlia di Luigi 1, signore di Mantova, fondatore della dinastia gonzaghesca, ed un Gio. Giorgio, governatore di Tortona, unito in matrimonio nientemeno che con Lodovica Amedea di Savoia, figlia di Amedeo V, detto il Grande. Siamo corsi subito a vedere in base a quali documenti venivano affermate queste principesche alleanze, resi dubbiosi dal fatto che esse (i) Codice Triv. 1782. (2) Figlio di don Giovanni e di donna Anna dei marchesi Menriquez. Nel 1662 fu ammesso nel collegio, nei Nobili Giurisperiti: mori nel 1702. Suo fratello era Ferdinando, che, ascritto al S. M. Ordine Gerosolimitano, fu insignito della dignità di gran priore di Capua e si rese defunto nel 1726. Questo ramo dei Crivelli, signori di Uboldo, si estinse appunto con lui ed i beni, col nome e collo stemma, passarono in eredità ai Villani di Lodi pel matrimonio d'Isabella Crivelli, sorella di don Giorgio e di don Ferdinando, col marchese Alessandro Villani. Cfr. Famiglie notabili milanesi, Villani, tav. V. (5) Uberto Crivelli, papa col nome di Urbano 111 (f 1187), con bolla del 24 dicembre 11 86 eresse la chiesa di S. Giorgio in Bernate in abazia di canonici lateranensi, dotandola largamente con beni allodiali e conferendo poi il patronato della stessa ai suoi fratelli germani e loro discendenti. Da tale dotazione trasse origine l'abazia o priorato di S. M. della Pace in Magenta di 'patronato Crivelli, soppressa colla legge del 1867. (4) Cfr. quest'Archivio, Vili, 1881, p. i e sg. 556 VARIETÀ non hanno riscontro nelle successive generazioni, per le quali appaiono del resto nomi cospicui del patriziato milanese. Ma l'autore aveva pensato a rispondere al nostro dubbio riportando i due seguenti istrumenti, di cui teniamo brevemente parola. 11 più antico di essi è un rogito del notaio milanese Rinaldo de Porris del 3 gennaio 1330 (i), nel quale si parla di un « dominus Passaguadus de « Hortu » procuratore « dominae Beatricis filiae Magnifici domini « Ludovici Mantuae Domini ac Imperialis Vicarii et uxoris legip- « timae generosi viri domini Ludovici de Cribellis Domini terrae « Uboldi ac Imperialis Aulici », abitante in Milano nella casa maritale, situata in porta Vercellina nella parrocchia di S. Pietro « intus u Vineam » (2). Il rogito ora citato non fu rinvenuto, malgrado ogni diligente ricerca {3), nel .nostro archivio Notarile, il che non sarebbe sufficiente per farci dubitare dell'autenticità del documento stesso conoscendo quanti istrumenti siano andati perduti : ma il Litta (4) fra i diciotto figli assegnati a Luigi Gonzaga non annovera Beatrice, che non è nominata neanche dall'Aliprandi, dallo Schinevoglia e dal più diligente dei cronisti mantovani, l'Amadei, autore di una importante ed inedita storia locale. Neppure nel testamento di Luigi I Gonzaga, raccolto il 26 maggio 1359 dal notaio mantovano Zanino de Millo (5) e riportato per esteso nella genealogia gonzaghesca del notaio Daino, condotta sui documenti d'arphivio con rili) Codice Triv. 1782, fol. 208 e sg. (2) È la casa, di cui fa cenno il Bianchini nella prefazione alla genealogia de' Crivelli. Indirizzandosi all'abate don Giorgio e parlando della medesima cosi si esprime : « antiquissimam domum incolis in qua olim Urbanus tertius Cri- « bellus summus pontifex cum fratre Georgio ascendente tuo hac in urbe velut « in propria degebant : et in qua etiam coeteri oranes maiores tui propriam fi- « xamque sedem seraper habuerunt » La casa de' Crivelli, posta nell'attuale via Cappuccio, è quella segnata col civico n. 13 : passò per eredità ai Villani e .da questi, per permuta, agli Attendolo Bolognini, che la trasmisero pure per eredità agli Stanga Trecco, ne' quali rimase sino a qualche anno fa. (3) E ne siamo grati all'egregio archivista signor Bonomini. Negative riuscirono pure le ricerche ne' riguardi di questo e dell'altro istrumento del 1348, fatte negli archivi del Gran Priorato di Lombardia e Venezia e del Gran Magistero del S. M. Ordine di Malta ; credevamo dovessero essere stati presentati quali documenti di prova nel processo di recezione del 1409 per Giorgio Crivelli, commendatore di S. Croce in Milano e figlio della pretesa principessa sa- bauda maritata in casa Crivelli. (4) Famiglie celebri italiane, Gonzaga, tav. II, (5) Cfr. quest'Archivio, XL, 191 3, p. 163 e sg. VARIETÀ 557 gorosità scientifica e con scrupolosa veridicità (i), la pretesa sposa dell'aulico imperiale Lodovico Crivelli appare fra la numerosa fi- gliuolanza legittima e spuria del primo signore di Mantova. Tutto ciò ci induce a credere alterato dal Bianchini il rogito de Porris, ed in questo nostro giudizio siamo rafforzati dall'esame dell'altro istrumento, di cui più sopra abbiamo fatto cenno. Mediante questo atto del 2 marzo 1348, ne' rogiti del notaio milanese Signorolo de Cisnuscolo, Lanfranco de Settala ed Ambrosino de Cittadini, amministratori del Luogo Pio delle Quattro Marie, accusavano di ricevere dal dottore Defendente Crivelli, figlio del fu aulico imperiale Lodovico, procuratore « praestantis mulieris dominae dominae u Ludovicae dictae Amodeae filiae q.™ Excelsi domini Amodei u dicti Magni comitis Sabaudiae et uxoris legitimae egregii et ge- « nerosi militis Domini Georgii de Crivellis Praefecti perpetui Arcis « et Civitatis Dertonae et Comitatus eius fratris suprascripti Domini « Deffendentis » l'importo « legati facti ab Excelsa et praestan- « tissima muliere Domina Comitissa Isabella de Beaugen matri ip- « sius donnae Ludovicae favore suprascripti Loci Pii prò salute « et requie animae suae et praedicti Excelsi Comitis Amodei eius u mariti et in alia parte alios florenos 200 prò elemosina data per su- « prascriptam Praestantem mulierem dominam Ludovicam ipsius dou mini Deffendentis cognatam favore ipsius Loci Pii ut distribuentur « pauperibus prò salute et requie animae suae et animarum supra- (i scriptarum parentum suorum atque Excelsorum Dominorum Edo- « vardi (2) et Aimonii (3) pariter Sabaudiae Comitum ac Thomae (4) « et Joannis (5) omnium fratrum suorum atque etiam Praestantis- « simarum mulierum DD. Bonae (6), Beatricis (7), Anetis (8), Cat- (i) Cfr. G. Daino, Della origine e genealogia di casa Gonzaga, codice Tri- vulziano 1179. (2) Nato nel 1284, morto nel 1329: successe al padre nel 1323. Cfr. GuiCHENON, Histoire généalogique de la royale maison de Savoje, Turin, 1777, to. I, P- 347 e sg. (3) Nato nel 1291, morto nel 1342 : successe al fratello Odoardo, che non aveva avuto prole maschile. Fu padre di Amedeo VI, detto il 'XI, 1881, p. 55. (2) L'ultimo, per quapto ne sappiamo noi, è Porcellini, op. cit., \\ 89, n. i. APPUNTI E NOTIZIE 587 " Saul „ (i). E' tuttavia anche lecito supporre che, se la sposa fosse stata veramente bella, l'oratore si sarebbe contentato di non dirne niente. Insomma il giudizio del Colli può, almeno, rafforzare il dubbio che il Centelli stesso par incapace di scacciarsi dall'animo come inammissibile, e dar notevole 'peso a certa sua avvertenza. Secondo la tradizione, Caterina Cornaro era bellissima. Così, proprio, la dice il Sanudo (2), e da questo semplice e forse più che sufficiente aggettivo s'arriva.,., in diverse tappe alla descrizione del cano- nico Guecello Tempesta (3), altro leggiadro esempio di.... secentismo quattrocentesco. Per il contrasto col secco " pocho bella et pichola „ del nostro oratore, non sarà inopportuno ristamparla qui : " Catai ina " dell'età allora di quattordici in quindici anni, era oltre ogni credere " bellissima : la fronte un chiaro cielo, le guance un giardino di rose., ** corali le labbra, perle i denti, neve il collo, ligustri e latte il seno * pieno e ritondetto, ebano le ciglia, stelle ardenti le vaghe luci degli " occhi ed oro le chiome, che in rete d'oro tenea con grazia raccolte „ (4). Anche il Centelli poi è generoso nelle lodi : anche per lui la Cornaro era " una delle più fresche, più amorose e più avvenenti fanciulle " che fossero tra le lagune „ (5); aiizi, poco oltre, " la più avvenente „ delle figlie di Venezia (6); anch' egli parla di bellezza famosa (7), re- gale (8), e sa farne un certo ritratto (9). Nondimeno, come abbiamo avvertito, dopo aver già accettata una " statura mezzana „ (io), anche a costo di smorzare i colori forse un po' romantici della sua opera, nota che " nella costante affermazione, traverso quattro secoli, delle (i) Dispaccio di Gerardo Colli, oratore sforzesco a Venezia, al duca, Venezia, 27 agosto 1468. I docc. sono dell'Archivio di Stato di Milano, Potenze Estere, Venezia, 1468. (2) Op. e loc. cit. (3) A questo l'attribuisce il Centelli, e sarà indubbiamente. Noi la togliamo da Miscellanea di elogi funebri e cenni biografici, necrologie^ ov' è un opuscolo per nozze Rota-Luccheschi, contenente noti:{ie intorno a Catarina Corner, Treviso, tip. Andreola, 185 1 : son due lettere a Ranuccio Benci, entrambe da Treviso, runa del 27 agosto, l'altra del io ottobre i486, e alcuni ragguagH sulla vita della Cornaro dopo il ritorno da Cipro, con la firma G. C. T. La descrizione si legge in fine della seconda lettera. (4) Cfr. De Mas Latrie, op. cit., p. 182, u. 5. Per altre qualità, cfr. ColBERTALDi cit. dallo stesso e dal Centelli, Caterina Cornaro e il suo regno, Venezia, 1892. (5) Op. cit., p. 43. (6) Op. cit., p. 64. (7) Op. cit., p. 49. (8) Op. cit., p. 66. (9) Op. cit., p. 57. iio) Op. cit., p. 57. r 588 APPUNTI E NOTIZIE " grazie della Cornaro, la esagerazione può.... aver avuto larga parte, " gli esaltatori movendo sempre da un'identica premessa : la leggenda " della gara di beltà in palazzo ducale „, e par che in fine si contenterebbe di un " bella „ (i). Allora, via, tra un " bella e di statura mez- " zana „ e un " pocho bella et pichola „ ci può essere il posto anche per una sola questione di gusti.... non esclusi i politici. Gerardo Colli al duca, Venezia, 2 luglio 1468, Preterea scripsi per un'altra (2) corno lo re de Cipri havea facto pareutato con D. Marcho Cornaro et he vero. Ho voluto intendere la cosa più subtilmente da uno mio amico, et trovo che lo orator del p.to re he venuto qua et ha dicto a la S.a comò Io re havea molti parentati per mano, maxime che lo re Ferando li offeriva una sua figla, item V. Cel.e li offeriva la sorela (3) et che luy ha voluto preponere lo parentato de D. Marcho Cornaro a luti li altri extimando non haver tolto una figla de privata persona ma figla de la S.a de Venetia. Lo Principe rispose che li piaceva dicto parentato et che veramente poteva extimare haver facto parentato con la S.» Ma non he però che a lo intrinsecho non si siano fatto befe de dicto re et credano siano state parole de D. Marcho lo quale per voler saglire tropo alto si extima sera posto a basso. B.ne adviso V. Cel.e che questo tal parentato vole dir et importar altro, però che licet facino dir la dotta de due, Cm tamen li LXXXm vano per spesa consumata per scontro de debiti ha dicto re con li Comari, li XX"i si pagano per D. Marcho in questo modo: prima li dà hi casa vostra da sancto Paulo (4) in pagamento de due. XII^ ; item li dà due. Vili"! tra gioie et vestiti. Econtra lo re asicura D. Marcho per la dotta de due. C"i sopra Famagosta. Et cusi V. Ex. vene ad pagare una parte de dieta dotta cioè la casa, et per l'altra sancto Georgio ho la comunità de Zenoa. Et in questo facto vi vole et deve haver bona adverteniia però che chi non li provede scorre pericolo che tuta quella ysola non devegna in mano de la S.'^, et si Savoyni fusero homini si advederiano del suo expresso errore però che questa brigata li demostra da uno canto favorirli et adiutarli contra V. Cel.e da l'altro li tractano corno pecore, et licet costoro demostrano haver grande umbra (1) Op, cit., p. 135. (2) Non l'abbiamo trovata. (3) Questo contraddirebbe alle nostre prime parole; ma sarà vero? (4) Più d' uno t.aprà forse risolvere questo dubbio : il Beltrami, La », comprendeva un territorio molto più vasto deirodierno, e cioè la maggior parte della pianura padana, estendendo le sue propaggini anco nell'Italia centrale. A poco a poco, il significato della parola andò sempre più restringendosi, fino a delimitarsi nettamente nel territorio compreso fra le Alpi, il Po, il Ticino e il Mincio. E* vero che, nell'odierna divisione compartimentale dell'Italia, sono compresi nella Lombardia il Vigevanasco, la Lomellina e l'Oltrepò Pavese; ma tale inclusione ha carattere puramente amministrativo, né fisicamente si possono dire lombardi i tre distretti succitati (i). Il fenomeno inverso, invece, è avvenuto per il Piemonte. Dal significato primitivo ed originario di territorio « ai pie de' Monti », cioè delle Alpi Cozie, esso passò gradatamente a indicare tutta la regione compresa fra le Alpi, l'Appennino, il Ticino e la Trebbia, la quale si può considerare omogenea non solo per il rispetto fisico, ma anche per quelli politico e storico (2). Lasciando a parte la divisione amministrativa dell' età augustea (3), io mi limito a considerare le grandi partizioni dell'epoca longobardica e di quelle franca e postfranca. Che era infatti il ducato di Italia Neustria? che era il marchesato d'Ivrea? Il ducato di Italia Neustria (o dell'Ovest) era una delle grandi divisioni del regno longobardico, e comprendeva quasi tutta l'Alta Italia ad occidente dei Ticino ; mentre quella ad oriente si chiamava ducato di Italia Austria (o dell'Est) (4). Distrutto poscia il regno longobardico per opera di Carlomagno, questi abolì i ducati, e al loro posto creò le contee, che abbracciaci) Cfr. F. M. Pasanisi, Testo di Geografia per le scuole secondarle superiori, Roma, 191 3, voi. II, p. 60. (2) Cfr. Ferdinando Gabotto, / Municipi romani dell' Italia Occidentale alla morte di Teodosio il Grande (voi, XXXII della Bihl. Soc. Stor, Subalpina), Pinerolo, 1907; e dello stesso, Storia dell'Italia Occ. nel Medio Evo,!, capo i.» (voi. LXI della Bibl. Soc. Stor. Subalp.), Pinerolo, 1911. (3) Vigevano, allora, faceva parte dell' Insubria o Calila Transpadana (Regio XI). (4) Cfr. B. Baudi di Vesme, Origine romana del comitato longobardo e franco^ in Boll. Stor.-Bibl. Subalp., a. Vili, 1905 ; e dello stesso, Le origini della feudalità nel Pinerolese, (voi. I della Bibl. Soc. Stor. Subalp), Pinerolo, 1899 , p. I, n. 1.^ Altri ritengono che il fiume divisorio fra i due ducati sia l'Adda ; cfr. Arcangelo Ghisleri, Testo-Atlante di Geografia Storica Generale, parte l, Medio Evo, Bergamo, 1889, p. 23. 6oO ALESSANDRO COLOMBO vano un territorio meno esteso, e le « marche » (o contee di confine), di estensione maggiore delle prime, perchè più esposte alle minaccie di nemici esterni. Tali furono la marca di Ivrea e la marca in Italia (di Torino). Ed anche la marca d' Ivrea, che si trovava al nord del Po, ebbe per suo estremo limite orientale il fiume Ticino ; e Vigevano, naturalmente, con Lomello (vera Lomellina) e Novara, ne fece parte. Come si vede, il Ticino fu sempre considerato un « gran fiume separatore » (così il Po nel suo corso inferiore, ed in parte del medio) (i); e quindi, a buon diritto, il Ticino è ancora considerato dai geografi come il naturale e storico confine fra due regioni o compartimenti ben distinti : il Piemonte sulla destra (ove pure trovasi Vigevano) e la Lombardia sulla si- nistra (2). La seconda questione, che non manca di avere una grande importanza anche per noi, è quella che concerne le origini del u comune » in genere, ed in ispecie del « comune italiano ». Tre' teorie, o meglio tre « scuole » sono sorte al riguardo : quella che vede nel comune una continuazione del municipio romano ; quella che riconosce il comune un prodotto u ex novo " del medievo ; e quella più recente, del comune « signorile ». La prima ebbe per suo principale sostenitore il Savigny (3) ; ed essa ritiene che l'antico « municipium » non scomparve punto sotto l'azione delle invasioni barbariche, ma, sopravvivendovi, per opera specialmente di Ottone 1 (il quale introdusse nella magistratura, prima formata solo da romani, l'elemento germanico) assunse in seguito l' aspetto del co- (i) Ho appena bisogno di ricordare, al riguardo, la classica divisione di Gallia Transpadana e Cispadana ; e, venendo ad epoca più recente, quella di Repubblica Transpadana e Cispadana, unite poi nella gloriosa Repubblica Cisalpina. (2) Né valgono, a sostegno del « lombardismo » di Vigevano e suo terri- torio, le prove delle costumanze e della glottologia : poiché qui noi siamo in un paese di confine, e quindi è molto naturale che esso risenta meglio dell'influenza di Milano, più vicina, che non di Torino, più lontana. D'altra parte, a rigor di termini, non vi sono differenze sostanziali fra dialetti lombardo, piemontese, ligure ed emiliano, essendo tutti egualmente gallo-italici. Resterebbe la pronuncia o cadenza: ma chi volesse bene studiare il dialetto vigevanese, troverebbe che questo, per tale rispetto, si avvicina assai di più al piemontese che non al lom- bardo. (3) F. C. Savigny, Storia del Diritto Romano nel M. E. (trad. dal ted. di Emilio Bollati), Torino. 1854, I, cap. V. LE ORIGINI DEL COMUNE DI VIGEVANO, ECC. 6oi mune medievale. La seconda, che pare ormai la prevalente, vede invece nel comune stesso un qualche cosa di nuovo, « enucleato « in genere dalla libertà, dallo sviluppo del commercio, dal molti- « plicarsi dei rapporti di civiltà, e in ispecie dalla evoluzione av- « venuta nel campo economico per lo sviluppo della ricchezza « mobiliare che, indipendentemente ed a fronte della ricchezza « terriera, è venuta acquistando un grande valore » (i). La terza (l) V. Franchini, Saggio di ricerche su V Instituto del Podestà nei Comuni Medievali, Bologna, 1912, pp. 12-3. L'opera del F., oltre che per Io scopo prin- cipale per cui fu scritta, è degna di essere consultata da chi voglia avere un'idea abbastanza esatta e completa degli ultimi risultati sulla tanto discussa questione delle origini comunali italiane (Introduiione). Accettando la definizione del Patetta (in Studi storici e note sopra alcune iscri:(ioni medievali, estr. dalle Mem. R. Acc. Se. Lett. e Arti in Modena, s. Ili, voi. Vili, Modena, 1907), essere cioè il comune medievale sorto solo quando i cittadini, di comune accordo, si considerano nel loro insieme come un corpo politico ed amministrativo, che direttamente o per mezzo di speciali rappresentanti esercita funzioni d'autorità e compie atti d'imperio; l'A. osserva che giova anzitutto distinguere il comune da altre forme associative, che con esso hanno nulla a che vedere : come alcune spiccate e larghe facoltà riconosciute al popolo (ad es., ratifica dell'elezione de' vescovi o de' parroci, facoltà d'intervento nell'alienazione de' beni ecclesiastici o dema- niali), talune forme di condominio, taluni usi civici, i quali e le quali, più che l'esistenza vera del comune, attestano quella di un bisogno vago di associazione, e si possono ritrovare anche in epoca molto anteriore all' insorgere del comune stesso. Ed aggiunge : perchè si abbia il vero comune « è necessario, essenziale « che la compagna, la , osserva che differentissime invece furono le linee di formazione : perchè, . 604 ALESSANDRO COLOMBO critica del Volpe si ritorna, volere o no, alla scuola di coloro, che ritengono il comune un prodotto completamente nuovo del Medievo (i). Quale delle due (o tre) opinioni è più nel vero ? Data la complessità del fenomeno comunale, non dovuto alla volontà di un principe, e tanto meno all'opera tumultuaria e contemporanea di una rivolta contro il sistema sociale fino allora imperante, io credo sia più logico e conforme alla realtà storica adottare, in siffatta dibattuta questione, una via di mezzo. E però, studiando le origini di ogni comune, sia grande che piccolo, è bene conoscere di quello le condizioni politiche, economiche e morali antecedenti alla sua trasformazione, e vedere quanto di vecchio vi sia rimasto o si sia gradatamente modificato, e quanto invece vi sia stato introdotto di nuovo. Mi spiego. Ritenuto che uno de' fattori più importanti del comune medievale sia la sopravvivenza dell'ordinamento romano (2) in non poche città dell'ex-im- (i) Il Franchini, op. cit., p. 11, nota i/S ricorda altre classificazioni delle diverse teorie sulle origini comunali. Cosi lo Sclopis, Storia della Legisla:^. italiana, Torino, 1863, v. I, p. 136, presenta tre diverse scuole : a) quella di coloro che ritengono il comune una creazione di Ottone I, come il Sigonio, il Maffei, il Sisraondi ; b) quella di coloro che considerano il comune come una trasformazione del municipio romano, quali il Muratori, il Savigny, il Pagnoncelli ; e) quella che fa derivare V autonomia comunale dalle immunità concesse ai vescovi dagli imperatori, come il Leo e 1' Eichorn. II Fertile, Storia del diritto italiano, li, Torino, 1897, p. 8, invece riduce tali teorie a due, cioè del municipio romano e del fatto nuovo, e suddivide quest'ultima in tre altri gruppi, secondo che il comune è fatto derivare dagli ordinamenti di Ottone I (Sigonio e MafFei) o dalla signoria vescovile (Eichorn, Leo, Balbo, Bethmann-Hollweg, ecc,} o dalle istituzioni dell'epoca carolingica (Maurer). (2) Coloro che cercarono, per così dire, di abbattere la dottrina della sopravvivenza del « municipium » furono il Bethmann-HoUweg, il Leo e l'HauIe- ville ; dimostrando, i due primi, che le curie finirono completamente sotto i Longobardi, ed il terzo che di irrilevante importanza furono le traccie lasciate nel Medievo dai municipi! romani. Tuttavia non si può negare, in modo assoluto, ogni e qualsiasi legame tra « Municipium » e è infine indicato, come esistente tra Pavia e Lomello, da Ammiano Marcellino (cfr. F, Ambrosolt, Amm. Marc, Storia, Milano, 1829) ; e poiché io ritengo che tale luogo si debba identificare con la a Mutatio Duriis », cosi è probabile che già nella metà del sec. IV dell'e. V. esistesse anche a Domo una biforcazione, e quindi una strada più breve tra Pavia e Novara, la quale, a metà circa del suo percorso, incontrava la nostra Vigevano (avanzo di detta strada, la via di Barcina ; cfr. il mio lavoro : La fondaT^ione della Villa Sforzesca ccc.^ in Boll. Stor.-Bihl. Subalp., a. 1899, pp. 369-7OJ. LE ORIGINI DEL COMUNE DI VIGEVANO, ECC. 609 un avanzo della medesima, nel nostro territorio, sarebbe la così detta « Via della Regina »> (i). Vigevano, però, non si presenta unicamente tagliata da questa strada, diretta, come si vede, nel senso di sud a nord; una seconda, non per certo arteria di grande comunicazione allora (2), la intersecava quasi ad angolo retto da est ad ovest, unendo fra loro, in modo più breve, i due « municipii »> di Milano e di Vercelli. Ed anche di questra strada è facile rintracciare le antiche vestigia nel territorio vigevanese : ricordo senz'altro la « Via del Porto » (3) e la cascina « Braghettona » (4) per il tratto da Vigevano a Milano, e la già mentovata « Via di Griona w per quello da Vigevano a Vercelli. Ed eccoci all'altra prova a sostegno dell' antichità di Vigevano. Imperocché, come è evidente che l'incrocio delle due strade suddette, conducenti rispettivanjente e per opposte parti ai quattro municipii (poscia diocesi) più vicini (1) Simone del Pozzo, nel suo libro deìVEstimo (ff. 160, 174 v., 175 v, e 319), ne ricorda due cou questo nome, l'uua a sud e l'altra a nord della città. La prima corrisponde a quella, ancor oggi detta « strada della Regina », e corre parallela e a destra della provinciale che da Vigevano, per Gambolò-Tromello-CtiobianoLomello, conduce per una parte a Valenza ed Altssandria, per l'altra a Pieve del Cairo e Tortona (la cosi detta a strada di Genova »), presso il cavalcavia della ferrata Milano- Alessandria : una stradicciola campestre su fondo naturale, che unisce la vicinale di S. Marco con l' altra pure vicinale di Fogliano. La seconda non porta più ufficialmente il nome di « strada della Regina j>^ sì bene di ). (i) N. Colombo, op. cit, pp. 93-94. (2) Senza ricorrere al problematico Carino, « vetustissimo scrittore », del CoRio, Storia di Milano, I, Milano, 1856, p. 7, secondo cui nel 222 circa a. C, per ordine del senato romano, il console M. Claudio Marcello avrebbe fatto costrurre sulla riva destra del Ticino un castello, appellato del tesoriere Giovanni Filippo de' Biffignandi) ; cfr. il mio Alloggio ecc., p. 31 e n. i.a (4) È il tratto a nord della città della già ricordata rimase però sempre, almeno fino a tutto il XIV secolo, nel cosi detto « castello d. (5) Cfr., per tutti, il mio citato lavoro: Vigevano e la Repubblica Ambrosiana ecc., passim. 6l6 ALESSANDRO COLOMBO si rispecéhia anche nel suo dialetto, nelle sue abitudini e ne' suoi gusti, lo provano a sufficienza. Infatti il famoso Ingone « de loco « Berclido », discendente da una famiglia beneficiaria di regii vassalli, mentre appare in un coi suoi tre figli, Uberto, Risbaldo ed Oberto, possessore di una gran parte di territori nel comitato di Bulgaria, fra i quali Bercleto, Treblado, Neura e 1' unito castello di Vigevano (Vicogiboin), nell'anno 969 in seguito a riconferma con diploma imperiale {i), non risulta che sia diventato in seguito conte o capitano o con altro titolo signore di Vigevano; e tanto meno lo divennero i successori di lui (2). Non a torto quindi il prof. N. Colombo fa la seguente importante osservazione: « Ciò « proverebbe in modo indiretto che realmente Vigevano nei se- « colo XI potè evitare ogni signoria di persona, e ne verrebbe « luce di riconferma al.,, diploma imperiale del 1064 (^)» favorevole « alle nostre libertà comunali » (3). Ma v' ha di più. Se bene si studiano le origini delle varie famiglia vigevanesi (4), si vede chiaramente che non è mai esistita in Vigevano una vera nobiltà feudale (5); ed anche quelle poche, le quali possono sembrare di (i) Il diploma, già da noi citato, fu concesso da Ottone I il 18 aprile 969, mentre si trovava in Calabria da me dettata, e nella a Introduzione », contenente le principali regole grammaticali e lessicali. (3) Griona, ad esempio, festeggia in modo particolare S. Marta (29 luglio); il vecchio Bronzone con l'unito sobborgo di Sardegna la Natività di M. V. (8 settembre) ; Strata col suo sobborgo di Giacchetta la Madonna del SS. Rosario (i.» domenica di ottobre). Mercanti e Costa non hanno una propria speciale solennità. (4) La chiesa di S. Margherita, detta comunemente « del Carmine » per la Confraternita omonima in essa esistente ed istituita nel 1602 con approvazione del vescovo Marsilio Landriano, venne rifabbricata, a spese degli abitanti di Valle, nel principio del seeolo XVJ, essendo stata distrutta la omonima, più antica, per completare le fortificazioni della terra. Cfr. Brambilla, op. cit., pp. 184-5. LE ORIGINI DEL COMUNE DI VIGEVANO, ECC. 619 che, nella Vigevano « nuova » (i), il primitivo quartiere di Costa si era suddiviso in tre, comprendendo oltre l'antico gli altri due, che con questo hanno una certa affinità, Valle e Strata. E come la festa, doveva pure essere in comune l'impresa. Simone del Pozzo, che dell' origine e significato de' quattro rioni principali della città ha potuto dare una spiegazione documentariamente sicura (2), ricorda solo che Strata avea per simbolo « vna uia »», mentre tace affatto di Costa, e quanto a Valle aggiunge che « non poneua « cosa alcuna ». Orbene, se noi imaginiamo tale « via » riprodotta, nello stemma della contrada di Strata, in salita su di un poggio o colle o costa, ci appare chiarissima la fonte donde scaturirono, per così dire, i nomi de' due quartieri derivati dal più antico di Costa : una altura infatti presuppone sempre una valle, né è fuori del caso che l'una e l'altra siano percorse da una strada. Ma v'ha di più. La festa di Valle è detta anche dell' « ània » (= anitra) e della « carna silèsta »» (= carne celeste, cioè non bianca come quella degli animali domestici) ; e però noi abbiamo un altro elemento per completare l'impresa succitata : l'anitra selvatica passante (3). La seconda grande festività popolare, sempre in ordine cronolo- (i) Con questo nome, lo dico una volta per sempre, io intendo la Vigevano sviluppatasi fuori della cerchia antica del castello, e compresa fra le nuove mura visconteo-sforaesche, rimaste pressoché intatte, con le sue sette porte e la antistante fossa, fino al principio del secolo XIX. Cfr. G. B. Sesti, Piante delle Città, Piane e Castelli dello Stato di Mitano, Milano, 1707, p. 17. (2) Estimo, f. 300, nel margine in alto : « Cesarino ante me si scriueua e Cicerino, et in archiuo li era vn libro di quello estimo siue strata oue li era « depinto vn Cicero ; e cusi bergonzono vn Bronzo sotto vn Camino, cauando « il nome de tal porte da vna significatione cusì fatta; petra latta non li era, «- S. Martino eraue S. Martino, Strata vna uia, ualle non poneua cosa alcuna. « Ma io dopo il mio tempo ho questo quartero appellato Cesarino, honestandolo « di più bel nome che prima ». Cfr. il mio Alloggio ecc., p, 22 e sg. (3) Che vi fossero molte anitre selvatiche ne' pressi del borgo, e che queste d'inverno si spingessero nell'interno stesso delle mura, offrendo buona cacciagione agli abitanti, lo ricorda Simone del Pozzo, il quale, accennando alla fossa che esisteva nella Piazza del Duomo prima che questa fosse costrutta dal Moro (la fossa dell' antico castello), così scrive : « .... oue ora è la pariete della Piazza (cfr. Pietra de' Giorgi e Preda de' Giorgi nel Vogherese ; le famiglie Pietra e Preda), anche perchè riflette con maggior fedeltà la voce popolare (Prialà), Tutt'al più, se si volesse aver la ragione della parola « Predalate », la si dovrebbe ricercare nel genitivo singolare femminile di a Predralata » o a Petralata ». LE ORIGINI DEL COMUNE DI VIGEVANO, ECC. 62 1 valle (i). E' logico quindi che ]*antica festa del quartiere, la quale doveva ricorrere Tu novembre, sia stata trasferita al 20 agosto in omaggio al Dottor Serafico ; pure io osservo che il popolo indica più comunemente tale festa col titolo poco simpatico, ma suggestivo, di « fèsta dal diàval » (= del diavolo) o « di coran » (== delle corna), e che l'uno e le altre hanno ben poco a vedere col santo che si vuol onorare (2). Per V impresa di detto quartiere Simone del Pozzo è abbastanza esplicito : « S. Martino eraue S. Martino », cioè lo stesso santo guerriero a cavallo (3). Ultima da considerare, sempre per la sua ricorrenza, è la festa di Cicerino o della Madonna de' Sette Dolori (terza domenica di settembre). Anche qui la data, non il motivo, è da ritenersi più tosto recente (4). Basterà per ciò ricordare che il popolo chiama « festa 'd Sisrin » la stessa solennità, e che il dialettale « Sisrin » (diminutivo di sisar =cece) riflette molto bene la dizione letteraria conservataci dal nostro del Pozzo per il vecchio e caratteristico quartiere (5), la cui im- (i) Tale chiesa, ora sussidiaria della parrocchia di S. Ambrogio (Cattedrale), fu al pari di quella del Carmine distrutta per lasciar posto alle nuove fortificazioni di Vigevano, e quindi ricostruita una seconda volta nella prima metà del secolo XVI, ed una terza volta, nella forma attuale, l'anno 1672. Cfr. Bram- billa, op. cit., p. 99 ; M. GiANOLio, De Viglevano et omnibus episcopis, Novara, 1844, pp. 55 e 129. (2) Nella ricorrenza della festa di questo quartiere si suole esporre, dinnanzi alla porta della chiesa, un quadro rappresentante il nostro Santo in piedi sur un cocchio trainato da cavalli ed avente legato a una ruota il diavolo ; ma un tal fatto, a nostro avviso, non può essere sufficiente a spiegare 1' origine dell'appel- lativo popolare di a festa dal diaval ». (5) Così è generalmente rappresentato questo Santo, nell' atto appunto di tagliare con la spada metà della sua cappa per offrirla al povero di Amiens, onde questi si coprisse e riparasse dai rigori dell'inverno. (4) La chiesa dell'Addolorata, in forma più pìccola dell'attuale, venne co- strutta dal vescovo Odescalchi nel 1613 ; un secolo dopo circa, nel 1722, essa veniva rifatta ed ampliata da monsignor Marino Sorniani, Cfr. : Brambilla, op. cit., p. 147; GiANOLio, op. cit., p. 132; e il mio articolo: I frammenti di un aitare in legno scolpito nella chiesa dall'Addolorata in Vigevano, in Riv. Arch. Lomb., a. 1906, fase, i.*' (5) Notisi ch'io scrivo sempre « Cicerino », e non « Cesarino x> o « Ce- « sarèa », come si chiama cggidì la via, che ricorda e continua in parte nella Vigevano a nuova » l'antico quartiere del a vicus », per il fatto che quello è il vero ed originario nome. Più tardi, e causa una tradizione che io stesso ho dimostrata priva di fondamento storico (cfr. il mio articolo : Una postilla, in 022 ALESSANDRO COLOMBO presa, secondo la testimonianza del suddetto autore, era « vn Cicero », cioè un ramoscello, o meglio la pianta medesima di tale leguminosa (i). E' vero che i vigevanesi usano pure il nome di « festa « dal Cavalin » (= del Cavallino per la succitata sagra, e molti vedono in ciò un ricordo del famoso cavallo bianco, su cui l'imperatore Carlo V avrebbe fatto dalla porta di questo quartiere, anziché da quella di Bronzone, il suo solenne ingresso nella nostra città (2) ; ma io penso più ragionevolmente che, accanto al cece, nello stemma di detto quartiere raffigurasse eziandio un cavallo passante, o per lo meno una testa di cavallo. Riassumendo: diversi sono gli elementi costitutivi del Comune vigevanese, né va escluso a suo tempo anche quello signorile (3) ; e quantunque manchino le prove documentarie attestanti l'anno preciso, il motivo occasionale ed il nome o i nomi degli autori dell'importante avvenimento storico, é certo che questo deve essere ascritto alla metà circa del secolo XI, e che fu una conseguenza diretta del notissimo moto di Milano, del quale fu anima dapprima l'arcivescovo Eriberto d'intimiano, e quindi il nobile Lanzone da Corte {4). Ce lo conferma, in modo non dubbio, il più volte citato Viglevanum, a. 1909, fase. 4.°), fu ribattezzato o, secondo quanto scrive Simone del Pozzo, venne « honestato » del nome di « Cesarino » o a Cesarèa » ; e il nuovo titolo ebbe fortuna, per una lontana somiglianza col primitivo. (i) Del Pozzo, Estimo, f 319V. : a Porta Cesarino.... è statto prima per a me scritto (cfr. f 50:», cit.) che si soleua scrivere Cicerino, e sopra vno extimo e antiquo li era depinto vna pianta de Cicero, onde par che tal extimo siue quar- « tero a tal ligume fose denominato d. (2) La tradizione venne fra Taltro raccolta anche da Stefano Boldrini, in o una sua bella poesia in vernacolo dal titolo appunto : Ra pianta del Cavalin - K'af ari 'd Carlo V Imparatùr, pubblicata a scopo di beneficenza nel 1886. Per la storia ricordo che S. M. Cesarea venne nella nostra città la sera del 14 marzo 1533, ed ivi si fermò presso la corte del duca Francesco II Sforza fino a tutto il 22 dello stesso mese. "Cfr. (oltre la già citata mia Postilla) : N. Colombo, Carlo V a Vi- gevano, in Vigevano e le sue feste, numero unico uscito nell'ottobre 1895 (Tip. e Libr. Botto), e di nuovo in. Viglevanum, a. 1909, fase. ^.^) non che le opere ivi citate. (3) Cfr. Guasco di Bisio, op. cit., p. 1771. (4) A. Amati, Ariberto e Lanzone, ossia il risorgimento del Comune di Milano, Milano, 1865 'f F- Schupfer, La società milanese all'epoca del risorgimento del Comune^ Bologna, 1870; R. Bonfadini, Le origini del Comune di Milano, Milano, 1890 ; Io., Milano nei su$i monumenti storici, 1, Milano, 1885, pp. 67-118. LE ORIGINI DEL COMUNE DI VIGEVANO, ECC. 623 diploma dello imperatore Enrico IV dell'anno 1065, della cui au- tenticità non è più lecito dubitare, per i motivi che diremo. Gli argomenti più importanti, a mio giudizio, che potrebbero addurre i sostenitori della falsificazione di questo diploma, sono i seguenti : a) la mancanza della « recognitio » del cancelliere enriciano e della riproduzione del monogramma regale; b) la disparità tra Tanno in cui fu emesso il diploma (è comunemente ritenuto il 1064) e l'indizione segnata nel medesimo; e) l'inesattezza degli anni di ordinazione e di regno dell'autore; d) il fatto di essere tale diploma noto solo nella copia trascritta in quello più generico dell'imperatore Ludovico il Bavaro, il quale, a detta del prof. Rodolfo Malocchi (1), u non badava tanto pel sottile ai documenti che gli « si presentavano per ottenere da lui concessioni e privilegi : a lui « premeva accontentar tutti e farsi degli amici, per poter resistere « ai disastri che gli andava scavando la sua politica funesta ». E per vero, se si dovesse poggiare tutto l'edificio della libertà comu- nale vigevanese unicamente sulla copia del diploma enriciano conservatoci da quello, troppo tardivo ed incompleto, di Ludovico il Bavaro, che è poi lo stesso edito dal Biffignandi (2) e, dietro lui, dal Bòhmer (3) e da altri storici (4), tale edificio offrirebbe un fianco assai debole all'opera demolitrice della critica; ma io ebbi la fortuna di rinvenire, nell'Archivio Civico di Vigevano, un'altra copia, se non di molto più antica, più attendibile e più completa della già nota, scritta sulla stessa pergamena e dalla mano stessa, che ricopiò il diploma di Enrico VII, le lettere di Amedeo V conte di Savoia e il tanto contrastato diploma di Ludovico il Bavaro-: pergamena da me già fatta conoscere agli studiosi nel lavoro su « Amedeo V di Savoia e il suo vicariato in Lombardia » {5). Ho detto: più attendibile e più completa; e mi spiego. Esistono pur troppo, nella copia che io seguo e riproduco (vedi Appendice, documento I), oltre ai guasti prodotti dal tempo, altri non meno (i) Pergamene pavesi ecc., citt., pp. 27-8, (2) Op. cit,, pp. 255-6 {Appendice). (3) Ada Imperli Selecta, n. 63. Innsbruck, 1870. (4) Oltre che nella copia cart. di Simone del Pozzo, Estimo, f. 661, il diploma si può vedere in Nubilonio, op. cit., p. 9 e, in ediz. parziale, in N. Colombo, op. cit., p. 22. (5) In Miscellanea di Studi Storici in onore di A. Manno, voi. II, Torino, 1912, pp. 299-307. 624 ALESSANDRO COLOMBO gravi dovuti a una mano ignota, la quale, credendo di far meglio risaltare alcune lettere tendenti a scomparire, diede una strana interpretazione a molte parole, rendendo così più difficile la ricostruzione dell'originale perduto; ma per compenso la copia stessa, dotata di tutti i requisiti voluti e necessarii all'autenticità di un diploma imperiale di quei tempi, dimostra che essa fu estratta da un'altra più antica, se non addirittura dall' originale medesimo. In essa, infatti, trovasi la « recognitio >» del cancelliere dell'imperatore, la quale, come si è detto, manca nella copia del Bavaro : « quod « vt uérius credatur et diligencius obseruetur. roboratum manu « propria et sigilli nostri soliti himagine figuratum reddi lussimus. u GRegorius Vercellensis Episcopus. et Cancelarius vice Anonis « Archiepiscopi, et Archycancelarij recognoVj » ; trovasi l'attestazione dell' esistenza nell' originale del sigillo e del monogramma del re con le parole: « Sigillum domini », e « Signum domini « Heinrici regis (M) Inuictissimi ", monogramma riprodotto poi a parte con sufficente esattezza (i); trovasi che non esiste in effetto discordanza fra datazione, indizione ed anni di ordinazione e di regno. Come è noto, Enrico IV di Franconia era stato eletto o, meglio, ordinato re il 17 luglio 1053, succedendo al padre suo il 5 ottobre 1056, in età di anni cinque, prima sotto la reggenza della madre Agnese di Poitiers (fino al 1062), e poi di Annone arcivescovo di Colonia (quello appunto citato nella nostra copia) e di Adalberto di Brema (fino al 1065). Orbene, tenendo come fermo che Tanno di ordinazione, segnato nel diploma enriciano, è il XIII (e non X, come portano erroneamente la copia del Bavaro e le edizioni, unendo malamente il « tercio », letto « tercii », con « Hen- « rici » che precede, anziché con « decimo » che segue) (2), e d'altra parte non essendovi alcun dubbio sull'anno di regno (nono), non solo è tolta la discordanza di cui sopra, ma si ha eziandio modo di (1) Il fac-simile, in grandtzza naturale, è preceduto dalle seguenti parole: « Istud signum est in illa littera Imperiali que incipit. In nomine sancte et in- « diuidue trinitatis. etc. ». (2) La formola e tercio decimo » (al pari di « quarto decimo », ecc.) per » o « vigevanasco w altre conquiste e sottomissioni; e come noi sappiamo da documenti sicuri, benché tardivi, che Gambolò (3) e Cilavegna (4) fecero sempre parte del nostro territorio, così non è improbabile che Cassolo, Gravellona e qualche altro borgo siano entrati, in quel tempo, nella zona d' influenza del comune di Vigevano (5). Relativamente breve fu (i) Cfr. E. Anemùller, Geschichte der Verfassung Mailands in dm lahren Wj^-niy, Halle, 1881 ; e recens. di P. Del Giudice, Di un recente opuscolo intorno la prima costitu:(ione di Milano, in Rend. R. Istituto Lombardo, Serie II, voi. XV, fase. XII-XIII (Milano, 1882). (2) Cfr. N. Colombo, op. cit., pp. loo-i. (3) Cfr. il mio lavoro : Vigevano e la Repubblica Ambrosiana ecc., capo VIII e Appendice^ doc. 13." (4) Ibid., capo IX e Appendice, doc. 22.° (dai Capitoli della resa : « Item « quod locus Cilauenie supponatur jurisdiciioni Viglevani, sicut alias fuit.... Vo- « lumus fieri quod justum est.... »). (5) Che Vigevano, almeno nella 2." metà del secolo XIV, non solo non LE ORIGINI DEL COMUNE DI VIGEVANO, ECC. 629 però il periodo delle conquiste : Vigevano si trovò ben presto di fronte a una potente rivale, che a spese de' conti di Lomello cercava di ingrandirsi nella regione fra il Po ed il Ticino; e le ostilità, incominciate forse per semplici quistioni di confine, finirono per far cadere il nostro comune, a varie riprese ma solo temporaneamente, sotto la preponderanza di Pavia. Io non voglio negare che Vigevano ed il suo agro, verso la metà del sec. XII, siano stati in effetto della giurisdizione pavese; i documenti illustrati dal prof. Malocchi ed i racconti de' cronisti sincroni lo provano a sufficenza. Però tanto le cronache che le carte dimostrano, in pari tempo, che tale predominio non fu mai gradito ai vigevanesi, i quali, appena lo potevano, sempre lo scossero, ricorrendo naturalmente per aiuto a Milano. Una, forse la prima, di siffatte rivolte deve essere avvenuta nell'anno 1157. Per ben comprenderla converrà richiamarci alla storia generale di quell'epoca. Nel 1152 era salito al trono di Ger- mania un uomo di indiscusso valore e di energia non comune : Federico I di Svevia, soprannominato il « Barbarossa ». Pieno egli la mente delle idealità di Carlomagno e di Ottone 1, viste le condizioni miserissime in cui si trovavano la patria sua ed il vicino regno d'Italia, considerato allora come un'appendice necessaria della corona teutonica, si propose l'arduo compito di « alzare l'autorità « regia ed imperiale al massimo grado di potenza, rivendicare i « suoi diritti perduti o caduti in trascuranza, far rispettare la legge, « ristabilire l'ordine e la pace » (i). Perciò, dopo aver speso i primi due anni del suo regno nel pacificare la Germania e nel rinforzar quivi la autorità della propria casa, rivolse finalmente le sue cure all'Italia, accogliendo con lieto animo gli inviti, che da ogni parte appartenesse al contado di Pavia, ma fosse a sua volta capo dì un proprio «distretto » o « contado », è provato da una lettera di Giangaleazzo Visconti, in data da Pavia 25 settembre 1385 e inserita al f. 34 v. degli Statuii (cod, membr. ms., in Arch. Civ. Vig.), con la quale si accompagnava un decreto minacciante pene contro gli esportatori di biade in terra nemica. La lettera, diretta al Vicario di allora in Vigevano, Guidone de' Cambiatori di Reggio, ordina in- fatti di far pubblicare il suddetto decreto « per terram nostram Viglevani, ce aliasque terras districtus nostri Viglevani vobis (cioè al Vicario) suppositas ». Cfr* N. Colombo, op. cit., p. 107. (I) COMANI, op. cit., p. 240. Arch. Stor Lomb., Anno XLI, Fase. TV. 40 630 ALESSANDRO COLOMBO della penisola gli venivano dai signori feudali e da non poche città, gli uni e le altre minacciate di continuo dalla strapotenza de*^ milanesi e del re di Sicilia. Come già ho fatto osservare, Milano in questo tempo si era oltremodo ingrandita a danno de' suoi vicini ; e suoi avversarli acerrimi erano specialmente la città di Pavia ed il marchese Guglielmo di Monferrato. Non è qui il caso di rifar la storia (del resto assai nota) della prima discesa di re Federico ; solo mi pare opportuno avanzare un' ipotesi : e cioè che dopo la distruzione di parecchi castelli del milanese e del novarese (i), come il Barbarossa diede al marchese di Monferrato Asti e Chieri, che avea espugnate col di lui aiuto, ed assediò e distrusse Tortona, alleata di Milano e vera spina nel cuore del marchese stesso e di Pavia; così concesse (1154?) a quest'ultima città, fra Taltre terre della Lomellina e della Bulgaria, Vigevano, la più importante di tutte per il suo valore economico e militare (2). Se ciò non fosse, non si comprenderebbe né l'assedio dell'anno 1157, né il diploma imperiale dell'S agosto 1164. Comincio dall'esame del diploma; perchè esso, quantunque di data alquanto posteriore, dimostra non solo l'esistenza di un'ante- cedente analoga concessione ai pavesi, ma si può in certo qual modo considerare come un effetto dell'assedio del 1157 e della conseguente perdita, per parte di Pavia, del borgo di Vigevano ed altri luoghi vicini, il cui possesso assai premeva all'imperatore fosse solennemente riconosciuto alla sua fedele alleata. Il suddetto diploma, già fatto conoscere dal Robolini (3) ed illustiato pure dal Maiocchi (4), non esiste più in originale; tuttavia le copie, che ancora si conservano (5), sono autentiche ed escludono la possibilità di (i) Rosate e Abbiategrasso ; Galliate, Trecate e Momo. (2) Del ce castello di Vigevano », al principio del secolo XIII, così parla appunto Sire Raul (in Muratori, 1(,. I. SS., VI, 1196): « .... castrum fortissi- . Come si vede, insieme con Vigevano noi troviamo elencati altri paesi già appartenenti al comitato di Bulgaria ed alcuni de' quali, come Cilavegna, Cassolo, e forse anche Albonese e Nicorvo, facevano parte dell'agro nostro. E mentre le parole: « conferma nel M possesso delle terre già spettanti » a Pavia, provano in modo chiaro una precedente concessione nel 1154; il fatto stesso della conferma è per noi la dimostrazione più convincente che la suddetta concessione del 1154 non ebbe punto valore. Ma neanche la rinnovazione del 1164 pare abbia avuto miglior fortuna. Nel 1191 infatti, addi 7 dicembre, il figlio e successore di Federico 1, Enrico VI, rinnovava a Pavia le medesime concessioni del padre suo; ed anche di tale diploma, di cui esiste copia cartacea nell'Archivio Civico di Vigevano (i), non si può mettere in dubbio V autenticità (2}. Che tobre 1519, 23 aprile 1437, io aprile 1470 e 13 febbraio 1515, in Pergamene Comunali, busta V, n. 247 (già fondo dell'Archivio Vecchio del Comune di Pavia, ora nel Museo Civico di Storia Patria id). L'originale, perduto, ci è descritto con sufficiente esattezza dalle copie aut. succitate: pergamenaceo, con sigillo aureo pendente e portante sul recto l'imagine dell' imperatore e sul verso la città di Roma, con relative leggende. (1) Casella lii, cartella 2: Privilegi, II, i.^, i. La copia fu estratta da Si- mone del Pozzo, che si recò espressamente a Pavia addi 12 novembre 1554, come ne fa fede la notazione posta in principio della copia stessa: « 1554. Die « Xjj Nouembris. Reperitur ad Cancellariam M.ce Comunitatis Papié in Archiuio « scripturarum eiusdem offitij adesse librum seu volumen decretorum, et litterarum « diuersarum copertum cartono et Carta menbrana, et in ipso libro siue volu- « mine jnter celerà adesse in fo. 68. Priuilegium tenoris prout jnfra, videlicet />, (2) Cfr. N. Colombo, op. cit., p. 46; K. Maiocchi, op. cit., p. J2-3. 632 ALESSANDRO COLOMBO significa ciò ? Che in effetto i pavesi non poterono mai esercitare un reale dominio sul nostro comune, dal momento che sentivano il bisogno di farlo rinnovare ogni tanto (ma questo si vedrà meglio nel secolo seguente, durante il regno di Federico II); e che i vigevanesi, quando loro si presentava l'occasione propizia, servendosi certo dell' aiuto di Milano, si ribellavano e tornavano, almeno in apparenza, a vivere liberi. Dico in apparenza; perchè, pur conservando il diritto di eleggersi i proprii magistrati e di governarsi secondo i proprii statuti (i), era fatale che gravitassero nell'orbita della potente e vicina Milano. Un esempio di ciò abbiamo nell'as- sedio del 1157. Nella prima sua discesa in Italia Federico 1, dopo aver fatto alcune vendette contro diversi comuni amici di Milano ed aver cinto la corona imperiale a Roma, non osando assalire la potente capitale della Lombardia, perchè troppo scarso di forze, si era limitato a porla al « bando dell' impero » ; e quindi, ripassate le Alpi, dovette restar assente dalla penisola per circa tre anni, occupato da affari più pressanti in Germania. Di tale assenza approfittarono naturalmente i milanesi per prendersi la loro rivincita ; e, fra le imprese più notevoli dell'anno 1157, i cronisti sincroni annoverano l'espugnazione del castello di Vigevano e la riedificazione di Tortona (2). Che Milano ci tenesse a possedere Vigevano era naturale : aver in mano questo castello voleva dire esser padroni della riva destra del Ticino, ed in caso quindi di dividere le forze degli alleati pavesi e monferrini. Perciò, non appena fu riedificata Tortona, Milano riprese con maggior vigore la guerra; ed allestito nel mese di giugno del 1157 un grande esercito, « exercitum mirabilem » scrive Sire Raul (3), lo concentrò tutto quanto nel nostro territorio. A tal fine erano stati costrutti in precedenza due ponti sul Ticino (4), certo di fronte a Vigevano ; ma prima di assalire (i) Gli antichi « Statuti », che tuttora si conservano nell'Archivio Civico di Vigevano, risalgono soltanto al 4 ottobre 1392; ma non v'ha dubbio che ne esistessero altri, prima di quelli largiti da Giangaleazzo : lo prova, indirettamente, un inciso al capo 318, fol. 44 degli « Statuti » suddetti. Cfr. N. Colombo, op. cìt, p. 184. (2) Chronicon Placentinum, in Muratori, R. I. SS., XVI, 42$ : « Anno Chri- « sti MCLVII Mediolanenses ceperunt castrum Vigevani et Terdonam reaedifi- «^ caverunt ». (3) De rebus gestis Friderici I, in Muratori, R. L SS., VI, 1178-9. (4) Ottone di Frisinga, Gesta Friderici, in Muratori, R^. I. SS.y VI, 735-6: li: origini del comune di vigevano, ecc. 633 il castello, ove si sapeva che s'erano rifugiate molte truppe pavesi insieme con quelle del marchese di Monferrato e di altri sette marchesi, disposte ad opporre una valida resistenza, l' esercito milanese simulò una diversione su Gambolò, senza dubbio per indurre a battaglia campale l'esercito avversario, comandato dal marchese Guglielmo in persona. Riuscita inutile tale mossa, i milanesi presero e distrussero il castello di Gambolò, e quindi posero regolare e stretto assedio al luogo di Vigevano. Ottone di Frisinga, che è appunto quello che ci fa sapere come a capo dell'esercito alleato, cinto d'assedio in Vigevano, fosse il marchese Guglielmo, dice che la piazza venne alla fine costretta ad arrendersi « artificiose » ; Ottone Murena (1), da cui apprendiamo come i Pavesi, prima di rinchiudersi coi loro alleati in Vigevano, avessero tentato un'inutile resistenza al passaggio del Ticino per parte dell'esercito di Milano, aggiunge che l'assedio durò « per tres dies ». Più diffuso nella narrazione è il già citato Sire Raul, il quale, dopo aver fatto cenno della mossa diversiva su Gambolò, scrive che i milanesi posero l'assedio a Vigevano il giorno stesso, in cui distrussero quel borgo; e continua: «...castris suis circumdederunt locum M de Vigevani ita, quod nemo poterat ingredi vel exire. Et cum « per aliquot dies eos obsedissent, et intus clausos tenuissent, « deficientibus eis victualibus, reddiderunt castellum... et dederunt u obsides ducentos, quos eligere voluerunt Destructo itaque « castello, regressi sunt Mediolanum maximo triumpho ». Non voglio insistere sul particolare della distruzione del castello, confermata dagli Urspergensi (2) e dal Chronicon Sicardi (3), mentre « Mediolanenses mox reaedificata Tardona, Papiensium renovant bellum, duobus a super Ticinum fabricatis pontibus, fines eorum irrumpunt, oppidum quoddam « Vingevum, ubi multi ex ipsi simul cum marchione Gwilhelmo fuerunt, obsi- « dione vallant, ac tandem artificiose ad deditionem coactos, pacera petere et « obsides dare compellunt ». (i) Htst. rer. Jaud. /in Muratori, R. 1. SS., VI, 995 : « Tandem Papienses..,. « resistere non valentes usque ad Vigenali castrumsemper tamen se defendentes « fugare, ac intus se recipientes obstitere. Ad Mediolanenses, circa ipsum ca- « strum venientes, per tres dies eum obsiderunt j>. (2) Burchardi et Cuonradi Urspergensium Chronicon, in M. G. H. SS., XXIII, 346: a .... Vegevalum et alia Papiensium opida munitissima predictarum urbium « presidiis funditus destruxerunt » (sott.: « Mediolanenses »). ■ V (3) Muratori, R. I. SS., VII, 599: « Anno Domini MCLVII Mediolanenses « castrum Papiensium nomine Vegevalum destruxerunt ». 634 ALESSANDRO COLOMBO non ne fanno cenno i due Ottoni ed il Chronicum Placentinnm ; perchè, tutto al più, tale distruzione si sarà limitata allo smantel lamento di qualche opera difensiva accessoria, costrutta dai pavesi durante il tempo del loro dominio in Vigevano. E vengo piuttosto air esame di due passi, rispettivamente desunti da Ottone di Frisinga e da Sire Raul, i quali per me sono assai sintomatici, provando essi l'avversione dei vigevanesi per una sudditanza comunque a Pavia. Il cronista imperiale osserva infatti, che gli assediati furono costretti « artificiose ad deditionem » ; ed il cronista milanese aggiunge, che la resa venne chiesta dagli assediati stessi, « defi- « cientibus eis victualibus ». A parte che la mancanza delle vettovaglie può essere stata determinata anche dal fatto, che gli assedianti aveano così bene bloccata la piazza, da rendere impossibile qualsiasi rifornimento dal di fuori ; io dubito che, a rendere più grave tale penuria, abbia contribuito il rifiuto degli abitanti a fornire in qualunque modo i viveri. Ma v'ha di più. La parola « arti- « ficiose w lascia sottintendere un inganno o tradimento; il quale non è spiegabile, se non con una segreta intesa fra gli assedianti e quelli di Vigevano, a danno del marchese di Monferrato e de' pavesi suoi alleati. Comunque sia è facile supporre che, durante il non lungo assedio, scoppiò tra le mura di Vigevano una rivolta popolare (i), la quale costrinse gli assediati n pacem petere et « oblides dare », per evitar di essere presi, come si suol dire, tra due fuochi. Delle vicende successive di Vigevano, ove si faccia eccezione del già ricordato diploma imperiale del 1164 e di un altro, pure rilasciato da Federico I, addì 24 maggio dello stesso anno, a favore della nobile famiglia dei Biffignandi (2), nulla dicono gli storici (i) Più addietro, parlando della Porta Recoverata, ho accennato a una insurrezione di vigevanesi contro i pavesi dominatori, la quale, secondo Simone del Pozzo, avrebbe dato origine al nome della porta stessa ; e poiché di detta insurrezione è ignoto 1' anno, è lecito il dubbio che essa sia scoppiata appunto nel II 57. (2) Sebbene non si possa accettare, come verità indiscussa, tutto quanto scrive il Biffignandi (op. cit., pp. 47-8 e 58-9) a proposito della sua famiglia, certo è che essa è una delle più antiche e notevoli della nostra città. La forma più antica del nome di questo casato sembra sia quella di a Biffignano » o « Biffignani » (cfr. il mio lavoro : Di un'alleania tra Milano e Vigevano nei 127^, in quest'Archivio, a. XXVIH, fase. XXXII; dove però io sostengo, forse non LE ORIGINI EEL COMUNE DI VIGEVANO, ECC. 635 sincroni ed i documenti ; e però noi non possiamo supplire alla lacuna se non ricorrendo ai due diplomi suddetti, e alle deduzioni <:he da essi è facile trarre, dopo un breve esame degli avvenimenti generali dell'epoca. Il rapido risorgere della fortuna di Milano nel Nord -Italia era stato favorito dall'assenza forzata del Barbarossa negli anni 1156-58; ma quando egli, nel giugno del '58, fece ritorno nella penisola con un forte ed agguerrito esercito, le città nemiche della metropoli lombarda, ed in ispecie Pavia, ripresero ardire, fornirono all'imperatore aiuti non indifferenti di denaro e di armati, e così lo posero nella fortunata condizione di poter rapidamente umiliare Milano, e dare in pari tempo esecuzione pratica al suo vasto disegno politico con le famose « leggi di Roncaglia ". 11 periodo che va dalla seconda Dieta di Roncaglia al nuovo assedio e successiva distruzione di Milano (1162), segna pertanto l'apogeo della potenza federiciana; ed a questo tempo appunto devesi ascrivere la restaurazione del predominio pavese in Vigevano. Ma questa volta, oltre la ineluttabile forza degli eventi, pare abbia non poco contribuito il favore della parte imperialista nel nostro comune, rappresentata dalla già detta famiglia de' Biffìgnandi e suoi ade- renti. E se, come non crediamo vi sia serio motivo per dubitare (i), troppo esattamente, un'opinione contraria) ; la sigla, o abbreviatura, è « Bifì. » o « de Biff. ». Cfr. Sacchetti, op. cit., p. 90; e per la prova dell'uso promiscuo, in uno stesso doc, delle forme « Biffìgnandi » e « Biffignano », il voi. V dei Conti de' Tesorieri (1450-56), ff. iiov., 122 e 125 v., in Archivio Civico di Vì- gevano, cas. I. (l) Di questo tanto contrastato diploma manca, naturalmente, l'originale. La famiglia del causidico Costantino Biffìgnandi ne possiede però due copie : l'una cart. non autentica, della fìne del secolo XVIII, e con un fac- simile del sigillo imperiale ; l'altra a stampa, del principio del secolo XIX. li prof. N. Colombo, accennando a questo diploma o editto (op. cit., p. 145, n. i.-^\ ne nega in modo assoluto l'autenticità, ritenendolo a un pesce che puzza dal capo » ; ed io stesso, in diverse mie pubblicazioni (cfr. per tutte : La chiesetta di S. Giorgio martire ecc., p. 12), ho ribadito la medesima opinione. Ma è da sagì^io mutar consiglio ; e dopoché, per squisita cortesia della famiglia Biffìgnandi, mi fu possibile studiare il documento che la riguarda, ho dovuto in gran parte ricredermi per ragioni, dirò cosi, d'ordine esterno e d'ordine interno. Intanto è chiaro che, se la manipolazione del nostro diploma fosse opera esclusiva dello storico e giurista Pietro Giorgio Biffìgnandi (come il famoso pseudo-cronista Ingramo ; e di questo stesso giorno, pure dal Monastero di S. Salvatore a iuxta Papiam », è un altro diploma di Federico I ai Ferraresi, edito dal Muratori, ^nt. liaU M. Aevi, IV, pp. 257-8 (Milano, 148 1). Notisi che nello stesso anno 1164, e sempre da Pavia, l'imperatore concedeva pure diplomi di riconferma di nobiltà alle famiglie Sannazzaro, Olevano, Lomello e Malaspina (Robolini, op. cit., IH, LE ORIGINI DEL COMUNE DI VIGEVANO, ECC. 637 ed i comuni. Infatti, dal diploma in questione risulta che i Biffignandi, « fideles ac devoti erga... S. R. Imperium », erano feudatarii u de Castro Buccellae », una località non molto lungi da Vigevano, presso la costa del Ticino (i), e che in un momento non bene p. 157 e sgg.). Ancora. Fra i testi presenti all'atto suddetto, oltre a quelli citati nel diploma di Ferrara, è ricordato in più un « Petrus de Laumello » ; e benché un personaggio di tal nome non risulti dai documenti finora noti sui conti di Lomeilo (cfr. M. Zucchi, Lowé/Zo (476-1796), in Mise. stor. ital., s. Ili, t. IX, 1904, pp. 275-375 ; G. BiscARO, I conti di Lomeilo, in quest'Archivio, XXXIIl, II, pp. 35i-88j F. Gabotto, Sui conti di Lomeilo, in Boll. Stor.-Bihl. Subalp., XII, pp. 58-64, e Ancora sui conti di Lomeilo, ibid., XIV, pp. 89-95), non v'ha dubbio che egli debba ascriversi a tale famiglia ; che, come bene osserva il Gabotto, et è assai probabile che già nella seconda metà del secolo XII essa fosse e assai più numerosa e divisa in rami di quanto appaia dalle carte conosciute ». Né mancano infine la riproduzione del . Passata poi la Buccella in proprietà di altri, non escluso anche il Comune, i Biffignandi continuarono a godere del loro diritto per il tratto di costa del loro ex-feudo ; ma poiché anche il Comune era ab antico investito di identico diritto (cfr. diploma di Ludovico il Bavaro;, s'intende per tutto il resto della costa del territorio vigevanese, è facile supporre che ai Biffignandi stessi, non che ad altre famiglie (ad esempio, i Quaglia), sia stato dal Comune medesimo, in progresso di tempo, ceduto in enfiteusi tale diritto dietro il pagamento di un annuo canone. In tal modo, e non come dice il prof. N. Colombo, op. cit., pp. 144-5, si può spiegare e la nota marginale a f 551 del libro dell'^i/two di Simone del Pozzo, e un passo degli antichi Statuti riguardante i redditi comunali dell' anno 1470. Scrive infatti il nostro Cancelliere : « Questa casata, ciò è biffignandi et BiffiG gnandi mazolli, goldeno il Piscare oro sopra le giare del Ticino quanto è il e territorio di questa Città, delle quale pagano fiorini io. per vna d'esse casate, « abenchè sieno tutte vna, ma distinte in tal nome, e tal fleto è della Comu- « nità di Vigeuano et è diuiso tra essi: penso io ch'ogni masculo habia soldi 32 « per vno ». E negli Statuti, a f . 110: a Glarie ticini que soluuntur per paren- « tellam illorum de biffignandis, libr. uiginti octo et soldos sidecim quolibet anno. « Glarie que soluuntur per parentellam illorum de qualia, libr. viginti octo, soldos sidecim quolibet anno ». Uguale canone, per i Biffignandi ed i Quaglia, abbiamo noi trovato anche ne' Conti de' Tesorieri della metà del secolo XV; cfr. la mia Chiesetta di S. Giorgio ecc., loc. cit. (2) Nel febbraio 1 164 Federico I era a Fano ; di qui passò a Parma, dove trattò la questione della Sardegna ; e quindi a Pavia, ove fu colto da febbri terzane, per cui dovette rinunciare all' impresa di Sicilia, consigliato a ciò anche per la mone dell'antipapa Vittore IV. Cfr. Muratori, Annali, all'a. 1164. (5) Maiocchi, op. cit., p. 15. LE ORIGINI DEL COMUNE DI VIGEVANO, ECC. 639 ligia a Pavia, cioè che nel nostro comune abbia avuto sempre preponderanza il partito imperiale o « ghibellino? » Ho già fatto osservare che una tale ipotesi non è possibile ammettere in modo assoluto: vi si oppone il diploma di Enrico VI del 7 dicembre 1191, col quale, come si è detto, venivano rinnovate a favore di Pavia le concessioni del Barbarossa ; rinnovazione evidentemente superflua, qualora, per il riguardo almeno di Vigevano e luoghi del suo « agro », non fossero intervenute delle novità dal 1164 al 1191. Ma v'ha di più. In Vigevano di fronte alla fazione imperialista esisteva, non meno potente di questa, la popolare o « guelfa» (i); e se dessa, al momento in cui si stringeva nell'Italia settentrionale la famosa « Lega Veronese w, incorporata poi, se non addirittura assorbita dalla « Lega Lombarda », non ebbe forza bastante per far scuotere il giogo pavese (tanto è vero che il nostro comune non figura fra quelli aderenti alla prima Lega Lombarda), è certo che dopo la battaglia di Legnano (29 maggio 1176) riacquistò maggiore gagliardia ed ardimento, e per qualche tempo fece sentire la sua influenza negli affari del comune. Dico : per qualche tempo; perchè, verso la fine dell'autunno 1191, Vigevano col suo agro ricadde di nuovo sotto l'egemonia pavese, ed Enrico VI rati- ficò il fatto compiuto col più volte citato diploma a favore della fedele alleata di suo padre. Un documento del 24 agosto 1198, esistente nel Museo Civico di Storia Patria in Pavia e fatto conoscere per la prima volta nella sua interezza dal prof. Malocchi (2), parla di sincera e devotissima (i) L'esistenza de' partiti guelfo e ghibellino in Vigevano è provata da do- cumenti della prima metà del secolo XV; cfr. il mio lavoro: Un contributo alla storia di Facino Cane, in Boll. Stor.-Bihl. Subalp., V, pp. 320-1 ; e, più particolarmente, il già cit. : Vigevano e la Repubblica Ambrosiana ecc., capo Vili. (2) Op. cit, pp. 13-7. Il documento, in Perg. Coni., I, n. 28, e di cui il M. dà solo la riduzione italiana, rimase ignoto al Robolini, op. cit., Ili, p. 206, il quale perciò dovette limitarsi alle pure testimonianze del Corio, op. cit,, I, p. 175, e del Chronicon Sicardi, loc. cit.. Chi pel primo ne diede notizia fu il prof. Carlo Magenta, / Visconti e gli Sforma nel Castello di Pavia, Milano, 1883, v. I, p. 748, n. 3.a; ma egli, fidandosi unicamente de* regesti di Siro Comi, sbagliò la data (4 settembre 1178, anziché 24 agosto) e non indicò che, invece di un diploma imperiale, trattavasi di un compromesso fra i due Comuni di Pavia e di Vigevano: onde la critica, fino a un certo punto spiegabile, di N. Colombo, op. cit., pp. 467). 640 ALESSANDRO COLOMBO fedeltà che gli uomini abitanti « locum Veglevani », sopra tutti gli altri del territorio di Pavia, avrebbero dimostrato verso il comune di quella città, prestando i più grandi e pesanti servigi ed affrontando ogni genere di pericoli a prò' della repubblica pavese ; aggiunge che gli uomini stessi si sarebbero obbligati con giuramento di far costruire nel castello una tosse « cum tribus parietibus » dell'altezza voluta dai rettori del comune di Pavia, di farne riparare un' altra secondo gli ordini de' rettori medesimi, non che di spurgare il fossato del castello suddetto e di fabbricare le mura intorno all'uno e all'altro; ed infine, ciò che è più interessante, che avrebbero mantenuto, difeso e conservato lo stesso castello per la grandezza e l'onore del comune di Pavia, ed obbedito sempre al comando de' suoi rettori. Quale compenso a tutto ciò il console Beltramo Cristiani, d'accordo coi suoi colleghi di Pavia Lanfranco Beccaria, Montenario Porzio, Gualfredo Torricella e Guglielmo Pietra, riunito il consiglio de' Credenzarii di questa città, avrebbe decretato « locus Veglevani deinceps.... Burgus civitatis Papié », cioè che per l'avvenire tutti gli uomini abitanti nello stesso borgo avessero e possedessero, da parte del comune di Pavia, tutti gli onori e tutte le libertà e utilità spettanti al borgo di una città, e specialmente questo che il fodro venisse esatto nel modo fe nel tempo di quello da esigersi dagli abitanti di Pavia ; ed a compimento del suesposto lo stesso console Cristiani, a nome di tutto il comune pavese, avrebbe fatto la solenne investitura de' consoli e del consiglio di Vigevano, quelli in numero di sei, e questo composto di cinquantadue membri. Io non voglio negare l'autenticità di tale atto o compromesso, e tanto meno sostenere, come fa il Biffignandi (i), che esso fu « illegittimo, violento e nullo ». In effetto, nell'ultimo decennio del secolo XII, Vigevano fu legata, volente o nolente, a Pavia ; e però la dichiarazione del console Cristiani si deve solo ritenere una conseguenza diretta del diploma imperiale di Enrico VI del 7 dicembre 191 1, il quale, come si è visto, conferiva a Pavia il diritto di nominare in Vigevano i consoli del comune e di Giustizia. Più tosto mi sembra opportuno ricercar il perchè della elevazione di Vigevano al grado di « Burgus u Civitatis Papié », con tutte le conseguenti utilità e franchige. Io (i) Op. cit., p. 64. LE ORIGINI DEL COMUNE DI VIGEVANO, ECC. 64I non credo che soli moventi di ciò siano stati, per parte de' pavesi, il riconoscimento della antica (stcl) fedeltà ed obbedienza degli abitanti di Vigevano, la promessa loro di nuove fortificazioni, e la constatazione de' disagi patiti e de' pericoli corsi da essi; più positivo, più immediato deve ritenersi l'intento de' reggitori di Pavia: cattivarsi il favore della maggioranza della popolazione vigevanese col lustro di una dignità, che in fondo voleva nascondere o, meglio, attenuare una soggezione vista sempre di cattivo occhio. Perciò il compromesso del 24 agosto 1198 ha per noi tutta l'apparenza di un atto di opportunismo politico; e quali ne siano stati i risultati ultimi, vedremo trattando delle vicende del nostro comune nella prima metà del secolo XIII. Ma l'importanza del documento in questione, oltre che per la prova della dipendenza in allora di Vigevano da Pavia, è data pel fatto che esso è il primo, il quale ci tramandi i nomi de' consoli e de' compartecipi al governo del nostro comune. Che Vigevano, al pari degli altri comuni italiani, abbia avuto le sue magistrature (Parlamento o Arrengo, Consiglio Generale, Consigli particolari e Consoli) fin dall'inizio del suo libero reggimento, non v'ha dubbio ; ma mentre per molti comuni piemontesi e lombardi la prima apparizione della magistratura consolare è comprovata da documenti della prima metà del sec. Xll (i), per Vigevano i documenti stessi fanno difetto, e solo verso la fine di questo secolo (il che non esclude che vi siano stati anche prima), in un atto che proverebbe l'incipiente decadenza della nostra libertà comunale troviamo elencati i primi nomi dei rettori o consoli, in numero di sei, e quelli di cinquantadue cittadini, che senza dubbio costituivano il Consiglio Generale o « della Campana » (2). Gioverà ricordare i sei. Essi sono : Guglielmo del fu Maltalento, Alberto de' Mercato, Giacomo de' Michele, Boto Morsello, Guido Rampini e Boto Guenzio. ■ (i) Cfr. Franchini, op. cit., pp. 298 e 306-7. (2) Fra i cognomi ricordati più di una volta nel documento sono degni di nota, anche perchè compaiono, più fardi, fra i primarii della città, i seguenti : Coco (4), Ferrari (5), Cotta (2), Morselli (2} e Podesiu, scritto malamente « Po- « gexio » (2). Figurano una volta sola: Busi, Ciocca, Del Prete (= Previde), Fasolo, Forno, Natale, Ottone Bello, Rodolfi, Valerio, Vitale, ecc. Hanno importanza storica : Umberto de Candida, certo un lontano parente del famoso Pier Candido, e Giovanni Del Pozzo, senza dubbio della stirpe del nostro Cancelcelliere. Nessun cenno, invece, de' Biftìgnandi (o Biffiguani). 642 ALESSANDRO COLOMBO E qui sarebbe il caso di parlare del modo come funzionava il comune vigevanese. In un mio lavoro su Bianca Visconti di Savoia (i), valendomi de' capitoli concordati fra la Signora ed i reggitori di Vigevano, non che di notizie frammentarie estratte dai Convocati del Consiglio di quel tempo e dagli Statuti del 1392, io ho cercato di dare una breve notizia dell'* ordinamento politico » del nostro comune sulla fine del secolo XIV. Un egregio critico ha voluto muovere qualche appunto a diverse mie affermazioni al riguardo (2): ed io pure ammetto di essere incorso allora, involontariamente, in qualche inesattezza (3); ma ciò non toglie che, nel suo complesso, il comune di Vigevano funzionasse in quell'età nel modo come da me fu descritto. E poiché è ragionevole supporre che la madre del conte di Virtù abbia ben poco mutato dell'antico ordinamento comunale nostro, alla stessa guisa che il figlio suo avrà, nelle sue linee generali, tenuto presenti le vecchie leggi e consuetudini del luogo per la compilazione dei famosi « Statuti »» del 1392 (4) ; io credo opportuno richiamarmi pure a quel mio lavoro, per poter dare un cenno più completo della primitiva organizzazione politico-sociale del comune vigevanese. Anche da noi, evidentemente, il potere supremo era esercitato da tutti i cittadini riuniti in un' assemblea popolare, detta Parlamento. Ma questa forma di consiglio troppo incomoda e tumultuosa fu, al pari che altrove, ben presto abbandonata, eccetto che per le occasioni più importanti; e un tardo esempio di essa abbiamo trovato nel 1476, quando, per comunicare al popolo la notizia del (i) Bianca Visconti di Savoia t la sua Signoria di Vigevano (i^Si-i^S^), in Boll. Società Pavese di Storia Patria, I, 1901, pp. 296 99, (2) F. Fossati, Le prime notiiie di una scuola pubblica in Vigevano^ in in ({ìi^si^ Archivio, 1912, p. 156 e sgg. (3) Così nell'aver asserito che i a Consoli » venivano scelti, generalmente, nel seno de' XII Sapienti; nello avere compreso questi ultimo fra gli « uffia ciali del comune » ; nell'aver limitato a due il numero de' a servitori jb. Quanto al modo di computare i 56 « ex hominibus Vigleuani raaioris facoltatis, « qui fdtiant offitia communis i> (uno de' punti più bersagliati dal mio cortese critico), dirò più avanti. (4) Ciò non toglie però che essi siano riusciti « distinti e diversi » da' precedenti, non sappiamo in quale anno concessi e la cui esistenza, oltre che dall'inciso già ricordato della lettera giangaleazzina del 19 agosto 1383, è chiaramente attestata dai verbali consigliar! del 2 maggio 1378, 21 e 23 maggio '379 (cfr. Fossati, loc. cit. ; e Convocati Cons. Generale, voi. J, a. 1575-80). LE ORIGINI DHL COMUNE DI VIGEVANO, ECC. Ò43 u dolendissimo >» ed « infelicissimo caso » deirassassinio del duca Galeazzo Maria Sforza, non che per prendere d'urgenza i provve- dimenti opportuni, il podestà di allora Bonaventura del Maino convocò la sera del 26 dicembre il Consiglio Generale, cui intervennero, oltre i consoli « ac plusquam due partes consiliariorum diete terre », eziandio « quamplures alii de populo, licet non sint de Consilio » (i). A luogo e veci di tale assemblea si usò quindi radunare più comunemente una parte della medesima, la rappresentanza cioè de' capi di famiglia ; ed a seconda de' luoghi essa prese nomi diversi : Consiglio Maggiore, Consiglio Generale, Consiglio Generale della Campana, ecc. Nei « Convocati » nostri, dal secolo XIV in poi (2) è detto « Consilium Generale communis Viglevani », ed anche u Conu silium Generale communis et hominum terre Viglevani ; e tale dovette essere sempre stato il nome suo. Lo troviamo normalmente costituito, in età più tarda, di sessanta membri (3) ; ed i cinquantadue abitanti del borgo di Vigevano, i quali, insieme coi sei consoli, ricevettero la solenne investitura della loro carica dal Console di Pavia nell'agosto 1198, ci dimostrano che, su per giù, anche allora il Consiglio Generale doveva aggirarsi intorno a quella cifra. Ne in sostanza diversi da quelli dell'età susseguenti furono, in origine, il modo di elezione e di convocazione di questo Consiglio, la durata sua in ufflrio, le attribuzioni e le prerogative ad esso spettanti, la procedura nelle discussioni e nelle votazioni ; e fino a tanto che non si istituì il Podestà o Pretore, esso venne presieduto per turno da uno de' Consoli. E noto poi che, accanto al Consiglio Maggiore, nei comuni italici si moltiplicarono i Consigli Minori o Particolari, per il disbrigo degli affari correnti e le incombenze più delicate e pressanti ; uno di questi in Vigevano, e certo di data antica, è quello che nei proprii « Verbali », dal XV secolo in avanti (4), (1) Cfr. il mio lavoro : Come fu partecipata a Vigevano la morte del duca Gaìea-{io Maria Sfor:{a, in Viglevautim, a. I, fase. 1.° (2) Voli. 5i,daira. 1375 all'a. 1775 {Inv. Gen. dell'Arcìi. Civ. Vig. art. 52, § i) ; cartacei ; i primi alquanto logori dall'umidiià, e con qualche interruzione o kcuna, specie ne' tempi più antichi. (3) Fu ridotto ne' seccli XVI e XVII, causa la diminuzione della popolazione, a 40; cfr. il mio articolo: / preparativi per Vìngiesso di Monsignor Odescalchi in Vigevano, in Boll Stor.-Bihl. Supalp., Vili, 1903, p, 215, n. 2.^ (4) Voli. 46, dall' a. 1434 all'a. 1774 {Inv. Gen. Arch. Civ. Vig. art. 53, S i) ; cartacei ; abbastanza ben conservati, eccetto il I (1434 e J474) logoro in principio dail'umiaità, con diverse lacune (inanca il IH voi.). 644 ALESSANDRO COLOMBO viene chiamato « Consilium Duodecim Sapientum terre Viglevani », non che « Consilium Duodecim Presidentum » o « Provisionum ». Esso pure veniva convocato e presieduto da' Consoli; i quali, pertanto^ appaiono i veri capi del governo, almeno fino a che la loro autorità non fu menomata da quella podestarile. Il documento del 1198 ci fa sapere che il numero loro era di sei, e pare durassero in caicar un anno ; i convocati o verbali di cui sopra li riducono a due, e si rinnovavano di tre in tre mesi. Quanto al Podestà o Pretore, esso appare alquanto tardi presso di noi : il primo ad essere ricordato dai documenti è certo Paracho (o Predocco) Marcellino, milanese, nel 1221 (i). Altri « officiali » del comune, oltre i consoli, come risulta dal mio lavoro surriferito, erano : il Canepario o Canevario, vale a dire una specie di economo e tesoriere, eletto di tre in tre mjssi, il quale aveva 1' obbligo di registrare le entrate e le spese della comunità, di esigere le taglie e di fare alla fine del suo esercizio il bilancio ; i Razionatori, in numero di due ed eletti ogni semestre, i quali dovevano rivedere i conti del Canevario ; i Notai, in numero di due e nominati ogni trimestre, con l'incarico di stendere i verbali delle sedute consigliari, di registrare gli atti stipulati dal comune e di tenere un registro delle spese fatte da esso, per venire poi, ogni mese, raffrontato con quello del Canevario ; il Procuratore o Sindaco, che restava in carica pure tre mesi ed èra tenuto a patrocinare le cause ed i diritti del comune ; gli Estimatori, in numero di due e rinnovantisi ogni semestre, i quali attendevano alle stime e perizie della comunità, specie per gli affitti e gli incanti; i Circamaculi, cioè quelli addetti ad « inquirere seu u circhamagiare caneuarios, notarios et omnes offitiales communis »; ed infine i Raspi, ossia i « signatores mensurarum et pensarum », e specialmente delle farine. Tutti i sopra ricordati costituivano le cariche maggiori (« offitia communis ») e ricevevano paga durante il loro ufficio; seguivano, quali cariche minori: il Notaio de' Malefici ; i Servitori od addetti al servizio del Consiglio Generale e de' Dodici ed a quello de' consoli (in numero di due, tre ed anche quattro) ; ed il Sagrestano o Precone, il cui compito preciso era quello di annunziare, premesso il suono della (l) Un primo elenco de' Podestà o Vicari di Vigevano fino all' a. 1466 (escluso il Marcellino) fu da me fatto nel più volte citato lavoro : L'alloggio del Podestà ecc., pp. 24 6. LE ORIGINI DEL COMUNE DI VIGEVANO, ECC. 645 campana, tutte le adunanze consigliari, non che le grida e le altre ordinanze dell'autorità. Che tali uffici (i), coi nomi e con le at- tribuzioni identiche a quelle da noi indicate, esistessero fin dalle origini del comune vigevanese non si può dire con sicurezza ; certo è però che alcuni di essi troviamo già formalmente costituiti nel principio del secolo XIII. Infatti, in un documento pavese delFii gennaio 1221, fatto conoscere la prima volta dal bene spesso citato prof. Maiocchi (2), insieme col nome del primo noto podestà di Vigevano, il milanese Marcellino, sono ricordati due economitesorieri (camerarii) del nostro comune, certi Marchesio Bonaldo e Guidone Canevacio, due procuratori, Lanfrancaccio de' Dia e Nicola Lazzari, e un nunzio. Guido de' Dia, figlio del suddetto Lanfrancaccio. Ma lo stesso documento e un altro del successivo 2 ottobre 1222 (3) ci dicono qualche altra cosa di ben più importante. Io avrò modo di ritornare su di essi nel corso del presente studio. Per intanto mi preme di far notare che, nel gennaio del 1221, due inviati pavesi cercarono inutilmente di far adunare il Consiglio del comune di Vigevano « dentro la chiesa edificata nel « castello w, affinchè vi si potesse dar lettura e fare la consegna delle missive imperiali, che dichiaravano il comune stesso soggetto alla città di Pavia; e che di nuovo, nell'ottobre del 1222, altri inviati della stessa città e per il medesimo motivo, ma non con migliore fortuna, tentarono di farsi ascoltare, « sulla piazza pubblica del luogo « di Vigevano », dai consiglieri e dagli uomini « del castello e della « villa yf. Evidentemente, nel primo caso, si vuole alludere al Con- (i) Ecco come va corretto « l'elenco » de' 36 uomini, costituenti all'epoca di Bianca di Savoia gli 0: ufficiali maggiori j> del Comune, fossero essi eletti per tutto l'anno nella prima seduta del a consilium novum », come accennavo a propendere io, oppure via via che scadevano i precedenti, come vuole il Fos- sati, op. e loc. cit. : Consoli . N. 8 Canevari 0 Tesorieri . 4 Razionatori . 4 Notai . 8 Procuratori 0 Sindaci . 4 Estimatori . 4 « Circamaculi » 2 « Raspi » . 2 Totale ^. ló (2) Op. cit., pp. 28-33. (3) Op. cit., pp. Arch. StoT •. Lomb., 37-40. Anno XLI, Fase. IV. 41 646 ALESSANDRO COLOMBO sigilo Generale de' 60 (o 58), che di solito si radunava nella chiesa di S. Ambrogio « in Castro » ; nel secondo, invece, si comprende che vi fu un inutile conato di riunione dell' assemblea popolare (o parlamento) sulla piazza antistante la chiesa suddetta : difFatti il documento del 1221 ci dice che, non appena i due inviati di Pavia, Marco de' Fara e Guidotto da Vigevano, si accinsero a fare atto di consegna delle lettere imperiali, « tutti gli uomini di quel luogo^ M fuggendo qua e là ricusarono di riceverle, protestando di non « volerne mai più sapere ». Dove si trovasse poi la chiesa di S. Ambrogio « in Castro », cioè la « domus », fu da me già provato in altri lavori (i): nella contrada o quartiere di Bronzone; ed essa prospettava la piazza maggiore (o « forum »), esistente all'incrocio delle due strade principali, che, tagliandosi ad angolo retto, congiungevano rispettivamente le quattro porte del borgo già descritte ed identificate. Sulla piazza stessa, e non molto discosto dalla chiesa di S. Ambrogio, trovavasi pure il « palatium communis » (2). La divisione infine del borgo per quartieri o contrade, di cui ho parlato in addietro dando anche un cenno delle imprese loro, note o probabili, è una prova che per il servizio militare in guerra il popolo armato si riuniva secondo i quartieri stessi, aventi ciascuno il proprio gonfalone e il proprio capitano, il quale alla sua volta dipendeva da' consoli. E come è facile ricostruire i gonfaloni delle singole contrade tenendo presenti le imprese o divise delle medesime ; così dallo stemma del borgo, poscia città, si ricava il gonfalone comunale : di rosso al castello d'argento coperte d'una porta del campo, sormontato da una torre finestrata e merlata di due pezzi, affiancata dall'aquila dell'Impero (3). È tempo ormai di riprendere la storia delle vicende del nostro comune, interrotta alla fine del secolo XII, non solo per far conoscere la durata e la natura efifettiva del predominio pavese su di esso nella prima metà del secolo seguente, ma eziandio per discu- (i) Cfr. specialmente: La chiesetta di S. Giorgio ecc., p. 9. (2) Cfr.: Ualloggio ecc., p. 16, n. i.» (3) Cfr.: Vallogglo ecc., p. 23 e n. 5." Dello « stemma» di Vigevano ha parlato, ma in modo alquanto inesatto, il prof. Pietro Pavesi nella sua memoria presentata all'Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, ed edita quindi nel Boll, della Soc. Pavese di Storia Patria, a. IV, 1904, p. 198: Stemmi e sigilli comunali usati nella provincia di Pavia (per Vigevano, pp. 216-7). LE ORIGINI DEL COMUNE DI VIGEVANO, ECC. 647 tere della autenticità o meno di alcuni diplomi imperiali, in apparenza fra loro contraddttorii, e dimostrare in pari tempo la vera causa della lunga contesa fra Milano e Pavia per il così dette « possesso di Vigevano ». Né di questo periodo, per buona ventura, fanno difetto i documenti e le memorie de' cronisti. Lo dico subito : il pomo della discordia fra le due acèrrime rivali, e la cagione di non pochi guai per il nostro Comune, fu il « ponte sul Ticino ». Nell'anno 1201, così narra Sire Raul (i), e nel giorno 22 di maggio, un esercito assai agguerrito (avea con sé il « Carroccio »} e composto di milizie raccolte ne' tre quartieri milanesi di Porta Ticinese, Romana ed Orientale, non che nella campagna e fra gli alleati comaschi, novaresi, vercellesi ed alessandrini, venne a porre l'assedio a Vigevano. Questo luogo era allora in possesso di Pavia, che vi teneva forte presidio; e Milano, approfittando dello stato di debolezza in cui si trovavano l'Impero ed il Regno (reggenze di Costanza e di Innocenzo III in Italia, lotta civile tra Filippo di Svevia ed Ottone di Braunschweig in Germania), avea rinnovato per le solite cause politiche, sociali e commerciali la guerra con la sua secolare nemica (2). Naturalmente il primo colpo fu diretto contro Vigevano, alleata per forza con Pavia ed il cui dominio, per le ragioni già dette in addietro, assai premeva a' milanesi, i quali inoltre potevano ivi contare sull' appoggio più o meno palese del forte partito popolano o guelfo. E l'assedio fu lungo (sei settimane, dal 22 maggio al 7 luglio) e la difesa accanita; tanto che i Milanesi, per aver ragione de' loro avversarii, dovettero ricorrere a de' rinforzi e sostenere non pochi cruenti assalti. Infine il castello fu preso e, al solito, distrutto, ed il presidio fatto prigioniero. Il Fiamma (3), che ci racconta più brevemenre questo episodio, dà il numero esatto de' prigioni pavesi : 1200 ; ed aggiunge : « Mediola- « nenses.... pontem de Vigevano construunt ». La guerra, con varie vicende e brevi intervalli di tregua, durò a lungo : verso la fine (i) Muratori, %. I. SS., VI, 1 195-6. (2) Cfr.: CoRio, op. cit., I, p. 338; G. Giulini, Memorie spettanti alla storia, ecc. della città e campagna di Milano, Milano, 1855, v. IV, p. 134-5- E per quanto riguarda la nostra città: Nubilonio, op. cit., p. 14-5: Biffignandi, op. cìt., p. 65-7. (3) Manip. florum, in Muratori, R. /. 55., XI, p. 661. Lo stesso numero di prigionieri è confermato dal Cor io e dal Nubilcnio. 648 ALESSANDRO COLOMBO deiranno 1212, in una ripresa della medesima, Vigevano, che era caduta di nuovo in mano de' pavesi, fu riconquistata da Milano ; finche nel 1217, non per stanchezza od esaurimento di forze de* belligeranti, ma più tosto per la vicina minaccia di Federico II, il quale, vittorioso in Germania del suo competitore Ottone, già si apprestava a far valere i suoi diritti anche in Italia, si venne alla pace, che fu preparata a Campo Morto, e quindi discussa e firmata in Piacenza fra i rappresentanti di questa città e di Milano da una parte e quelli di Pavia dall'altra. Il Poggiali (i), il Giulini (2) e il Robolini (3), gli storici principi delle tre città interessate, riferendosi al racconto inesatto dell'a. del Chronicon Placentinum (4), dicono non bene che fra i patti della pace era quello « che i milanesi rilasciassero per dieci anni « ai pavesi il castello di Vigevano » (5). Il prof. Malocchi (6), che ha avuto modo di vedere il documento esistente in orig. nel Museo civico di Storia Patria in Pavia, corregge però e spiega l'involontario errore de' suddetti autori; e noi crediamo opportuno di riportare le parole precise dell'a., per fare poi le osservazioni del caso. Notisi che il documento, redatto in Piacenza nel palazzo del Comune e alla presenza de' consoli di giustizia e di molti testimonii, fra cui un Pietro Besugo e un Uberto de* Porta « de loco Veglevani » (7), porta la data del 20 dicembre 121 7. L'antefatto è così riassunto dal Malocchi: « Lanfranco de Ponte Carali, podestà di Piacenza (8), (i) C. Poggiali, Metn. Star, di Piacenza, t. V, p. 108, Piacenza, 1758. (2) Giulini, op. cit., IV, pp. 247-8. (5) Robolini, op. cit., IV, i.^, p. 96. (4) Muratori, R. I. SS, XVI, p. 458. (5) Lo stesso dice il Muratori, Annali, ad a. 1217; e naturalmente, dietro lui, il nostro Biffignandi (op. cit., p. 68). (6) Op. cit., pp. 21-3. Per l'edizione completa del documento, di cui l'orig. trovasi in Perg. Com., I, n. 40, cfr. L. C. Bollea, Documenti Arch. Pavia relativi a Voghera, I, pp, 236-41 (doc. LXXXViI), Pinerolo, 1910 (in Bibl. Soc. Stor. Suhalp., voi. XLVI). (7) Il Besugo e il Porta dovevano essere a cittadini pavesi », al pari di e Guidotus de Veglevano », che nel documento stesso appare come « uno de' « consoli di Pavia ». A proposito di Pietro de' Besugo osservo, che il cognome è lasciato in bianco nel regesto del Maiocchi, e compare invece nella edizione del Bollea; ma probabilmente deve interpretarsi per « besucio » =Besozzi? (8) Il Chronicon Placentinum (loc. cit.) lo chiama : e « quarto », è facile spiegare l'errore di chi attribuì il nostro diploma ai 19 agosto (o 14 set- tembre) 1209, ritenendolo quindi a buon diritto apocrifo (cfr. N. Colombo, op. cit., p. 47). Come si vede, si ripete lo stesso caso che per il diploma di Enrico IV del 1065, con la differenza che là si tratta dell'anno di ordinazione (ce tercio de- cimo j>) e quivi della vera e propria data (« Millesimo Ducentesimo Nono decimo »). Per la ediz. del diploma federiciano, cfr. E. Winkelmann, Acta Imperii inedita, Innsbruck, 1880, I, p. 139, n. 141 ; Bollea, op. cit, pp. 242-44 (doc. LXXXIX) ; per il regesto: Maiocchi, op. cit., pp. 23-6. (3) Cfr. Maiocchi, op. cit.. pp. 26-7. Di tale diploma, ricordato dal Robolini con errore di data (i.o dicembre '20 ; op, cit., IV, i.», p. 100), non esiste l'originale. Se ne hanno peiò due copie nel Museo Civ. Stor. Pav., l'una nel libro degli Statuti, i. XXXIII e sgg. (sotto la data, pure erronea, del 1° dicembre 1220 ; anno, non giorno, pure mantenuto dal Maiocchi), e l'altra del i.° ottobre 13 19 in Perg. Cotti., IV, n. 247. (4) Cfr. Maiocchi, op. cit., p. 47. Manca l'originale; esistono invece, nel Museo Civ. Stor. Pav., quattro copie, l'una nel libro degli Statuti^ f. XLI e Fgg., e l'altre del 1437, ^47° e 15 is in Perg. Cornuti., IV, n. 247. LE ORIGINI DEL COMUNE DI VIGEVANO, ECC. 655 in parte citati) del 20 dicembre 1217 (i), 11-13 gennaio 1221 (ove è inserito pure un diploma imperiale del 23 novembre 1220) (2), 24 febbraio 1221 (3), 1° marzo id. (4), 2 ottobre 1222 (con inserzione di altro diploma imperiale del 13 maggio id.) (5) e 28 novembre-i* dicembre 1230 (6). 1 documenti vigevanesi sono soltanto tre: due diplomi dello stesso Imperatore, l'uno del 21 dicembre 12 19 e l'altro del 20 ottobre 1220, e un atto pubblico del 19 novembre 1227 (7). Che cosa dicono, in sostanza, i documenti di Pavia? Che Vigevano aveva sempre fatto parte del territorio pavese, e quindi spettava di diritto a quella città. Il contrario, naturalmente, dimostrano i documenti di Vigevano. La questione è, come direbbe ora un legale, « elegante »; ed io credo che non tutto il torto, allora, fosse dalla parte de' vigevanesi, e per conseguenza de' loro alleati e protet- tori, i milanesi. Con questo non voglio asserire, come fa il prof. N. Colombo (8), che « qui deve essere entrata un po' di manipo- u lazione » ; manipolazione non ci fu ne per Pavia né per Vigevano : entrambi i comuni si basavano su documenti perfettamente in regola ; ma mentre Vigevano, più debole e perciò tendente all'aiuto di Milano, si valeva del suo diritto, Pavia non vantava che la forza e la pre- (1) È quello relativo alla pace fra i milanesi e i piacentini da una parte e i pavesi dall'altra, già ricordato a proposito del a ponte di Vigevano ». (2) Vedi l'ampio regesto in Maiocchi, op. cit., pp. 28-32; e Porig. in Museo Civ. Pav., Perg. Comun.^ I, n. 45. (3) Regesto in MAioccm, pp. 53-5. Manca di tale atto l'originale; esiste, n€l Museo cil., copia perg. aut., » de' comuni italiani in quel tempo, specie di quelli che passavano per maggiori ; e quindi da queir episodio « puramente umano » non è lecito inferire, come fa il prof. Maiocchi, che « la asserita indipendenza di Vigevano non fu saputa « sostenere sin dal secolo XIII da* milanesi, che ne avevano tutto l'inu teresse (i). Davanti alle prove e ai documenti addotti dagli am- « basciatori di Pavia, i milanesi dovettero rinfoderare i loro sofì- « smi (disseppelliti poi dal Biffignandi e compagnia), limitandosi, 4t ad onta della pretesa indipendenza di Vigevano, a far di Vigevano M Stesso oggetto di mercato coi pavesi ♦>. Lungi adunque dal conchiudere, come vorrebbe il sullodato autore (2), « che Vigevano « realmente, se non sempre di fatto, certo di diritto fu soggetta a « Pavia, e che non è da accogliersi tanto facilmente la tesi, con « tanto calore difesa dagli scrittori vigevanesi, dell'indipendenza il della loro città, o della soggezione soltanto a Milano » ; io credo che, pur riconoscendo nelle parole di Simone del Pozzo: « sono « ignari delle cose patrie coloro che parlano di soggezione a Pa- << via, provando tutti i documenti che Vigevano fu sempre de* M milanesi w (3), un effetto delle non sempre felici gare campanilistiche di allora, la tesi della reale indipendenza del comune vigevanese viene in modo luminosa provata dai documenti presentati e discussi, e da quelli che dovremo tuttavia render noti e criticare; e poiché una non meno reale dominazione pavese in Vigevano ci fu verso la fine del secolo XII e principio del XIII, questa si deve intendere così come da noi già fu detto: saltuaria e punto gradita ai vigevanesi. Se poi questi abbiano finito col preferire, o meglio acconciarsi a un « predominio milanese », ciò sarà dipeso, oltre che da ragioni economiche, dalla probabile circostanza che, almeno nelle forme, Milano avrà sempre saputo non solo rispettare le « li- (1) L'esame sereno e coscienzioso dell'atto 28 nov.-i." die. i2_?o dimostra il contrario ; anzi, a nostro avviso, avevano completamente ragione i due cittadini milanesi Goffredo Pirovano e Alberto da Concorrezzo, il primo nel sostenere « che Vigevano era un luogo a sé ed una regalia dell' impero » (sed. 28 no- vembre 1230), il secondo « che il luogo di Vigevano era regale ed indipendente « e alleato de' milanesi, che non lo occupavano affatto e che non davano perciò « molestia ai pavesi » (sed. 29 nov. 1230). (2) Maiocchi, p. 48. (3) Cfr. N. Colombo, op. cit , p. 48. Arch Stor. Lonib., Anno XLT, Fase. IV. 42 662 ALESSANDRO COLOMBO <4 berta comunali n di Vigevano, ma lusingarne eziandio qualche piccola vanità. Valga, per tutti, il fatto della partecipazione del nostro comune, nel 1227, alla seconda Lega Lombarda. Ho già detto che l'anno 1267 segna, per Vigevano ed il suo agro, l'ultimo di dominio pavese. Però nel 1275, e sempre per la questione del ponte, che i milanesi aveano « di nuovo » fatto costruire sul Ticino nel 1268, Pavia fece ancora un tentativo per impadronirsi del nostro castello ; e quella volta fu aiutata dal marchese di Monferrato, da' nobili fuorusciti di Milano e da alcuni soldati spagnuoli. Il Giulini (i), che ricorda questo episodio, narra come gli alleati de' pavesi, dopo essersi impadroniti del ponte, facendone prigioniero il presidio, ed avere espugnato il borgo di Galliate, il 18 gennaio del detto anno 1275 vennero ad assalire Vigevano, che si difese gagliardamente, prendendo in quell'occasione le armi anco le donne, e come in aiuto degli assediati mossero tosto i milanesi, guidati dal loro stesso podestà ; ma, prima che arrivasse il soccorso, l'esercito nemico si era di già allontanato. Dopo di allora, pare che Pavia non abbia più cercato di occupare Vigevano. Ad ogni modo, per impedire altri attentati simili, il nostro comune chiese ed ottenne di far parte « del popolo di Milano e della Credenza di S. Ambrogio », stringendo con questa, il 3 febbraio 1277^ una specie di trattato di alleanza offensiva e difensiva {2). E così, con questa forma larvata di dedizione. Vigevano si legò definitivamente alla fortuna della grande metropoli lombarda, subendo dapprima la signoria de' Torriani, e poscia quelle de' Visconti e degli Sforza. Con l'anno 1277 si può adunque ritenere chiuso il periodo della libertà comunale vigevanese. Ma poiché il partito, che a buon diritto meriterebbe il nome « degli indipendenti », quantunque ora camuffati da ghibellini ed ora da guelfi, cercò bene spesso di sol- (i) Memorie ecc., IV, pp. 624 5. Copia quasi testualmente tale A. il BiffiGNANDi, op. cit., p. 79; il quale, sotto la data del 1272, riferendosi a un racconto di Simone del Pozzo riportato dal Sacchetti, op. cit., pp. 40-41, e dove non è punto indicato l'anno, pone ancora una a conquista di Vigevano ^ per parte de' pavesi, e la successiva loro cacciata per opera della gioventù vigevanese stessa ribellatasi (è il famoso episodio della ; quanto al canone comunale, esso è al presente di annue L. 21,54. E qui credo opportuno notare che, con atto 4 dicembre 191 2, la famiglia Biffignandi ha concesso in affitto per anni trenta, e pel corrispettivo di L. 700 annue, tutto quanto concerne i diritti di pesca dell'oro ad essa competenti al sig. Paulus Langeveld del fu Pietro, nato e domiciliato in Hardingweld (Olanda). 666 ALESSANDRO COLOMBO Dopo quello di Ludovico il Bavaro, nessun altro privilegio o conferma di franchigie comunali Vigevano chiese ed ottenne dalla munificenza imperiale. La maestà del « Sacro Romano Impero » era ormai caduta tanto in basso, che poco o nulla venivano stimate le sue concessioni ; e d'altra parte, tramontata completamente Tetà gloriosa de' comuni italiani, le varie piccole signorie ad essi succedute si avviavano a raggrupparsi in veri principati. Con ciò non si vuol dire che anche da noi sia al tutto taciuta la vita municipale ; ma, comen ei grandi comuni, essa bene spesso si ridusse a una funzione puramente amministrativa, benché del comune antico avesse conservato tutte le forme, le cariche e le leggi. Ultimo bagliore di libertà politica fu il breve periodo della così detta « Repubblica Vigevanese » (i), sorta, dopo la morte dell' ultimo Visconti, ad imagine e somiglianza dell' « Aurea Repubblica Am- u brosiana ». Alessandro Colombo. DOCUMENTI (2) I. Enrico IV, re dei Romani, dichiara i borghi di Vigevano, SiRPi, Preducla e Venticolonne liberi ed esenti da ogni giurisdizione o signoria, sia laica che ecclesiastica, SALVO I diritti dell'impero (..?..,..?.., 1065). JN nomine sancte et indiuidue Trinitatis. Heinricus dei gracia rex Romanorum : Semper Augustus. Predecessores nostri Reges et Imperatores sicut in ystorijs, et Regum gestis repperimus Regna, et Imperia eorum decorauerunt. et statum rei publice magnificauerunt. Cum Justis peticionibus fidelibus conscilijs suorum fidelium Jndubitanter crediderunt. (i) Cfr. il mio lavoro, già citato: Vigevano è la Repubblica Ambrosiana nella lotta contro Francesco Sfor:^a (agosto 144'j giugno J449). (2) Riporto quivi la edizione definitiva. Quanto alla edizione critica (fonti, varianti, ecc.), rimando al mio lavoro, dì prossima pubblicazione: " Cartario di a Vigevano e del suo Comitato ». Nel contempo, mi è grato esprimere la mia riconoscenza all'On. Amministrazione Comunale di Vigevano, per avermi lasciato sempre libero accesso all'Archivio, ed alla egr. Famiglia Biffignandi, per avermi messo a disposizione tutte le carte del suo privato archivio. LE ORIGINI DEL COMUNE DI VIGEVANO, ECC. 667 Quapropter, ommnium Sancte dei ecclesie fìdelium, presencium silicet^ ac tuturorum nouerita Vniuersitas qualiter, prò anima patris nostri nostrorumque remedio. Interuentu quoque fidelis nostri. D. A. hamaburgenssis Archiepiscopi, dignum diximus, ut cofirmaremus et Corroboraremus secundum predecessoruni nostrorum Regum, et Imperatorum precepta prò huius Significationis munimine, Cunctis hominibus de Vico Vigleuan. et Syrpi. et preducla. et Viginti colupne. Cunctisque fiiijs. filia- buSque eorum. necnon et heredibus eorum omnibus, ut ab Aiimanis exeant. Vt nùllus scilicet Dux. Archiepìscopus. Episcopus. Marchio. Comes. Vicecomes. Gastaldio. Sculdasius. nuUaque regni persona, in €orum domos Arbergare. Toloneum. uel aliquam. pubhcam fulcionem, dare eos cogat. nec eos. nec eorum posteritatem, placitum custodire compleat, nisi secundum nostrum placitum. Siquis ergo de eorum rebus mobilibus. et inmobihbus. aliodijs, seruis et Ancillis sine legali Judicio eos desuestire, uel Jnquietare ausus fuerit. Auri cocti Mille libras se compositurum sciat. dimidium nostre Camere, et dimidium predictorum ocorum hominibus cumteue post illos, illorum future posteritati. quod vt uerius credatur. et diligencius obseruetur. roboratum manu propria et sigilli nostri soliti himagine figuratum reddi Jussimus. GRegorius Vercellensis Episcopus. et Cancelarius vice Anonis Archiepiscopi, et Archycancelarij recognoVj, Dat Anno dominice Jncarnacionis. M." LXV.» Jndicione. llj.a Ordinationis uero domini Henrici tertio. decimo. Regni autem eius nono. Act. MAideburc feliciter. Sigillum domini. Signuni domini Heinrici regis (M) Jnuictissimi. IL Federico I, imperatore, conferma ai fratelli Gherardo, Ortensio e Bernardino de' Biffignandi, di Vigevano, GLI antichi loro PRIVILEGI ED IMMUNITÀ, E CONCEDE PER I DISCENDENTI TUTTI IN PERPETUO IL DIRITTO DI PESCA dell'oro sul Ticino (24 maggio 1164). In nomine sancte, et indiuidue Trinitalis amen, F(r)edericus Dei gratia Romanorum Imperator semper Augustus, et ad perpetuam rei memoriam. Decet generosos viros, qui prò S. R. imperii dignitate, et splendore strenue depugnantes se resque suas ignito zelo deuouerunt. Imperiali clementia dignos censeri, et amplioribus beneficiis, honoribusque liberaliter circumplecti. Qua propter cum nobiles, fortesque viri Gherardus, Hortensius, et Bernardinus fratres de J^iffignandis non modo fideles, ac devoti erga nos, et S. R. Imperium extiterint; Sed etiam inter tot, ac tanta bellorum discrimina se ultro obiicientes cum propriis homi- nibus Sculdasiis, et Harimannis de Castro Buccelle opem, et auxilium nostris copiis tulerint, propriisque sumptibus generose extructo supra 668 ALESSANDRO COLOMBO Ticinum ponte exercitui nostro viam aperuerint; Nos attendentes tam preclara eorum merita, tatnque grata erga S. R. Imp. Summe deuotionis^ et fidelitatis obsequia ex Imperatorie Celsitudinls consueta omnes glareas super Flumen Ticini prope Vigleuanum cum jure auri piscandi, omnibusque emolumentis, accessionibus, et comodis tenore presentium dictis fratribus de Biffignandis, et post illos eorum future posteritati perpetuo in feudum damus, concedimus et liberaliter impertimur, districte inhibentes sub obtentu fauoris, et gratie nostre ut nullus Archiepiscopus, Episcopus, Dux, Marchio, Comes, Vicecomes, Gastaldio, Sculdasius^ nullaque alia regni persona, cuiusque tandem status, et conditionis existat super dictis glareis, eorumque jure, et exercitio aliquo modo eos perturbare, impedire, aut molestare presumat. Insuper omnes piscationurn redditus jura venandi, et molendi, pedaticum, pascua, sylvas, omniaque priuilegia, immunitates, libertates, exemptiones^ honores, jurisdictiones, gratias, et concessiones ipsis eorumque familie datas, et factas per divos Predecessores nostros in Castro Buccelle, eiusque districtu ratas, et gratas habentes presentis rescripti patrocinio de plenitudine Potestatis Regìe Roboramus, confirmamus, ratificamus, ac de nono concedimus, et innovamus. Nulli ergo hominum Liceat hanc nostre erga generosos viros et de S. R. Imperio optime meritos benignitatis ac clementie paginam infringere vel ei ausu temerario contraire, quod qui facere presumpserit gravem nostre indignationis offensam noiierit incurisse, in cuius Rei testimonium presentes litteras edi et nostre Maiestatis sigillo jussimus communiri. Huius autem rei testes sunt Corradus Mogulatinus Archiepiscopus, Rinaldus Coloniensis Archiepiscopus, Christianus Curie Can- cellarius, Albertus de Aldigerio, Mainardus de Marchisio, Henricus de Bonuicinis, Rodulphus Donaldi, Petrus de Laumello, et alii quam plures. Signum Domini (M) Frederici Romanorum Imperatoris inuictissimi. Ego Christianus Curie Cancellarius vice Domini Rainaldi Coloniensis Archiepiscopi, et Italie Archichancellarii recognoui. Actum est anno Domini Incarnationis Millesimo centesimo sexagesimo quarto indictione XII. Regnante Domino Frederico Romanorum Imperatore gloriosissimo anno Regni eius XII Imperi vero Villi. Datum Papié apud Sanctum Saluatorem IX Kalendas Junii feliciter Amen. III. Federico II^ re dei Romani e di Sicilia, dietro supplica DEL SIGNOR GuiDO DI BlANDRATE E DI TUTTI I VlGEVANESI, DICHIARA I MEDESIMI LIBERI ED ESENTI DA OGNI GIURISDIZIONE o DOMINIO, CHE NON SIA l' IMPERIALE (21 di- cembre I219). JN nomine domini Amen. FRIdericus dei gracia. Romanorum Rex. semper Augustu-, Et Rex LE ORIGINI DEL COMUNE DI VIGEVANO, ECC. 669 Sicilie per presentes scripturas notificamus vniuersis, tam presentibus quam futuris, Quod ad supplicacionem domini Guidonis de blandrato fidelis. nostri Vegleuanensis, cum vniuersis hominibus habitantibus ibi, uidelicet tam locum, quam homines in nostrum dominium recepimus, volentes, et presentis scripti auctoritate mandantes, Quatenus, nuDus sit qui homines ipsos offendere, uel aliquatenus molestare presumat, cum enim in nostrum dominium fuerint recepti, Volumus. vt nec Mediolanenses, necPapienses, nec Vercellenses, vel Nouarienses, seu quecumque alia persona, homines ipsos. uel locum ipsum. ad sui Jurisdictionem et dominium suum cogere presumat, sed semper sint in dominio nostro, Et sub nostri defensione securi. Data aput Hagenove XIJ " Kalen. Jauuanj Indice. VlIJ.a IV. Federico II, re dei Romani e di Sicilia, riceve sotto la SUA speciale custodia e protezione il castello di Vigevano e gli uomini in esso abitanti (20 ottobre 1220). jN Nomine Domini amen. FRIdericus dei gracia. Romanorum Rex. semper, Et rex Sicilie, Vniuersis fidelibus suis ad quos littere iste peruenerint, graciam suam et bonam voluntatem, Notum uobis facimus, quod nos attendentes merita, et grata obsequia, que homines de Vegleuano fideles nostri, hactenus nostris progenitoribus et nobis exhibuerunt fideliter et deuote, et parati sunt Jugiter exhibere. Ipsos homines cum omnibus bonis suis que nunc habent, uel dante domino Justo modo poterunt adipisci, et castrum memoratum sub nostra et Regni nostri custodia, et protectione suscepimus, Statuentes, ut decetero Castrum ipsum, quod semper fuit Imperij Camera specialis, hominesque habitantes in eo. ab aliqua Ciuitate uel persona, non debeant rnolestari, Qua propter uobis, sub obtentu gracie nostre, et pena Quingentarum Marcharum auri, firmiter precipientes mandamus, Quatenus, eisdem hominibus si eis opus fuerit, et uos postulauerint, Jnpendatis, auxilium, consilium, et fauorem, contra eos, qui uellent ipsos in rebus, uel personis indebite et preter iusticiam molestare, nostras litteras et mandata cum tempus exegerit taliter inpletun^, quod nos proinde fidelitatem vestram, et deuocionem possimus merito commendare, et dicti homines nobis teneantur perpetuo obligati. Data in Castris, prope Furlinum. (Tredec.) Xl\].o kalen. Nouembrium. Indice. VlIJ.a M.o CC.o XX.o 670 ALESSANDRO COLOMBO V. Enrico VII, re dei Romani, mentre riconferma ai VigevaNESI I loro privilegi DI LIBERO COMUNE ANNULLANDO OGNI E QUALSIASI' OBBLIGO FEUDALE, ACCORDA Al MEDESIMI IL DIRITTO DI PEDAGGIO ED ALTRI REDDITI E PROVENTI CAMERALI " PER REFORMACIONEM BURGI ET CaSTRI „ (5 marzo 131 1). Jii Nomine Domini Amen. Hcinricus Romanorum. dei gracia. Rex Semper Augustus. Vniuersis sacri Romanorum Imperij fidelibus presentes litleras inspecturis gratiam suam et omne bonum. Decet maiestatem regiam subiectorum suorum profectibus Vbique Consulere, ac eorum commodis Salubriter prouidere. Hinc est, quod deuotis instantius suplicatonibus dilectorum fidelium nostrorum et imperij. Comune Vegeuani fauorabiliter annuere cupientes. omnia priuilegia sibi concessa per dine memorie Antecessores nostros. Videlicet Fridericum Romanorum Regem. Sub data in castris prope fohum. XIIJ.o kalend. nouembris Indicione VlIJ.a M. CC. XX. et eciam apud hagenouen. XIJ.® kalend. Januarij, ac priuilegium eisdem concessum per Heini icum quondam Re manorum Regem prout rite et per inde tradita sunt et concessa Ratificamus. et Auctoritate Regia confirmamus. Et Vt dictum comune tanto liberius regaiibus obsequatur. et intendat Beneplacitis quo se minus senserit. alieni dominij cuiuslibet vinculis ilicitis. a.igatum. omnes obligaciones per ipsum comune factas. Prius ocasione potestariarum vel aiiarum causarum. Nobilibus. Viris quondam Gullelmi Marchionis Montisferati iniperpetuum. Guidoni de Ture prò vita sua, necnon landulfo buro ad certum tempus. vel alij, cuiuscumque persone cassamus. et in irritum Reuocamus. Ac Nulas esse decernimus de plenitudine Regie potestatis. Sane quia per Nuncios dicti comunis coram nobis propositum extitit, quod iamdudum, pedagium in Burgo predicto per reformacionem dicti Burgi, et Castri ibidem quod imperio pertinet et. auicinis eorum districtum esse dinoscitur colligere consueuerunt. Suplicantes Maiestati Regie tam humiliter. quam instanter vt dictu.m pedagium eisdem confirmare et concedere dignaremur, Nos ex uberioris dono gracie dicto comuni Vegeuani clementer concedimus et hberaliter indulgemuS quod huiusmodi. pedagium sub modo, et quantitale quibus. prius recipere solebant in antea. teneant et coligant com alijs consuetis. Redditibus et percitenientibus, nobis vel. imperio ibidem pertinentibus vsque ad nostre beneplaciium. voluntatis. Itaque de pedagio Redditibus et prouentibus. Burgum et castrum predictos firment, Muniant et refor- ment. Nulli ergo omnino. hominum liceat hanc Nostre confirmacionis et concessionis paginam infringere vel ei ausu temerario contraire. Quod qui facere presumpserit grauem nostre indignacionis offensam se nouerit LE ORIGINI DEL COMUNE DI VIGEVANO, ECC. 67 1 iiicurrisse. Jn cuius rei testimonium presentes literas Scribi, et nostre Maiestatis sigillo iussimus communiri. Data Mediolani. IIJ.o non. martij Indie, nona. Anno Domini Millesimo. Trecentesimo Vndecimo. Regni nero Nostri Anno Tercio. Sigillum Domini. VI. Ludovico IV, imperatore, riconferma ai vigevanesi le loro FRANCHIGIE COMUNALI, COSÌ E COME FURONO CONCESSE DA Enrico IV, Federico II ed Enrico VII, dei quali riporta PER intero I rispettivi DIPLOMI, CASSA OGNI E QUALSIASI LORO OBBLIGO FEUDALE, E CONCEDE AI MEDESIMI, IN PERPETUO, IL DIRITTO DI ESTRAZIONE DELLE GHIAIE DEL TlCINO E PER QUEL TRATTO DEL LORO TERRITORIO, CHE NON AVRÀ APPARTENUTO AD ALCUNO (16 luglio I329). LVdouicus dei gracia. Romanorum Imperator, semper Augustus. Ad perpetuam rei memoriam. Et si cunctis Imperatorie claritatis celsitudo gracijs profluentibus, beneficijs quoque copiosis esse debeat, ex ìargiflue sue pietatis, debito graciosa, Jlios tamen conuenit amplioribus raunificentijs, ac gratis fauoribus circumplecti, Qui cunctis temporibus res, ac personas periculis innumeris exponentes. Cum sacri Imperij fidelibus pondus diei et estus subire minime trepidarunt. Venientes, itaque ad nos, Prudentes viri, Consules, Conmune, et Homines loci de Veglenano (sic), fideles nostri dilecti. Qui diebus suis summe dilectionis femore, magnalitate operum erga nos, ac sacrum Romanum Jmperium, multipliciter claruerunt, Supplicantes humiliter et deuote, Quatenus, ex Imperatorie celsitudinis, consueta clemencia, ipsis omnia priuilegia, emunitates, libertates, exempciones, honores, et concessiones, quascumque factas. datus. seu concessas, ipsorum pre(jecessorum nostrorum, sub quacumque forma, concessione, seu expressione, uerborum, per diuos predecessores nostros Jmperatores Romanos, confirmare. Ratificare, Approbare, ac etiam de nouo concedere dignaremur. Quorum priuilegiorum omnium tenor sequitur in hec verba.... {seguono i diplomi di Enrico IV, Federico II ed Enrico VII) Nos itaque considerantes ignite deuocionis zelum, quo dicto Conmune, et nostre Camere homines peculiares dicti loci de Vegeuano, intepida erga nos, ac sacrum Romanum Jmperium, multis iam retrotemporibus, viguerunt, ipsorum desiderijs et affectatis peticionibus, ostium augustalis clementie reserantes, omnia priuilegia, emunitates, libertates, beneficia, gratias, honores et conces- siones, datas seu concessas per diuos principes, Jmperatores Romanos predecessores nostros. Conmuni et hominibus antedictis, que in suprascriptis priuilegijs continentur, gratas et ratas habentes presentis scripti 672 ALESSANDRO COLOMBO - LE ORIGINI DEL COMUNE DI VIGEV. patrocinio roboraiiius, confirmamus, approbamus, ratificamus, ac etiam de nouo concedimus, et innouamus, Jnsuper infauorem dicti Conmunis et hominum, omnes potestarias, Vicariatus factos per quoscumque super Conmune, et homines predictos, personis quibuscumque, et specialiter, per Nobilem Viruni Berhtoldum, Comitem de Nyfìen, olim in partibus ytalie nostrum Vicarium factos Calcino de Turniellis, ac lukino vicecomiti, preterquam factos per nos Represalias quoque concessas contra ipsum Conmune, et homines, Conmunibus, et hominibus Mediolani, Papié Verzellarum, et aliarum Ciuitatum quaramcumque, et Conmunitatum, tenore presencium. penitus reuocantes, nullius obtinere volumus roboris, firmitatem, que omnia et singula annullamus, cassamus, et Jrritamus, cassa et Jrrita esse volumus ipso facto, Ad bec esuberancia pietatis, omnes Glarias, que huc vsque accreuerint, uel accrescent, imposterum. super flumen Ticini, siti interritorio loci sev burgi predicti, si nulli alij de Jure pertineant, Conmuni, et hominibus supradictis, ipsorumque successoribus, cum omnibus emolumentis, et comodis, perpetuo in feodum concedimus et donamus, inhibentes, sub obtentu fauoris et gracie nostre, ne quis eos cuiuscumque status existat, super dictis Glarijs, aliquo modo molestet, impediat, uel perturbet. Nulli ergo omnino hominum liceat hanc Ratifficacionis, Approbacionis, Confirmacionis, ac etiam none Concessionis, paginam infringere, Aut ei ausu temerario contraire, Siquis autem contravenire presumpserit, preterindignationem nostrani, penam Centum Marcarum auri puri, quarum medietatem fisco idest nostre Jmperiali Camere, Reliquam uero Iniuriam passis applicar! uolumus, ipso facto se nouerit incursurm,Incuius rei testimonium presentes litteras conscribi, et nostre Maiestatis Sigillo iussimus conmuniri. Datum Papié, Sextodecimo mensis Julij, Sub Anno domini, Millesimo Trecentesimo, Vigesimonono, Indiccione duodecima, Regni Nostri Anno Quintodecimo Imperij vero Secundo. Sigillum Domini. Isabella d'Este e i Borgia Continuazione vedi fase, precedente, pp. 469-553. XVI. ULTIMA lettela del Prete dimostra qual dolorosa impressione provasse Lucrezia per l'iniqua spogliazione de' duchi d' Urbino, che l'avevano accolta con tanti onori, con tanta cordialità nel suo passaggio pe' loro stati e ricevevano in premio questa ricompensa da casa Borgia. Al pari di lei si vergognavano de' procedimenti del Valentino gli spagnoli rimasti a Ferrara : ogni uomo onesto doveva invero sentirsi le fiamme al viso, pensando che un bastardo di papa espelleva uno de' signori più cortesi e adorati dai sudditi, dopo averlo cullato con artifici in una improvvida sicurezza, per meglio colpirlo inerme nel sonno.
 Udimmo da Cristoforo Poggio (disp. 26 gennaio 1501) come già all'anno innanzi risalissero le trame indegne borgiane, non soltanto per spodestare, ma uccidere addirittura il duca d'Urbino con l'opera di abbietti traditori, di cui allora il popolo afifezionato al suo signore avrebbe voluto fare immediata giustizia. Che le sleali macchinazioni avessero proseguito, sino alla finale vittoria dell'usur- patore, ci attesta una lettera importante di Annibale Bentivoglio da Bologna 30 giugno 1502 :

 La Ex. del S. Duca Valentino ha facto pigliar miser Dolce secretano de l'ill.mo Duca de Urbino et li ha facto tagliare el capo perchè li haveva promesso oltra el stato de p.to S. Duca darli ancora ne le mane la persona sua et quella del S.re Prefetto.

 Non bastava al Borgia aver sospinto in esilio l'infermo Gui- dubaldo : era anche la vita di lui e del successore, Francesco Maria della Rovere, che avrebbe voluto spezzare d'un colpo, con la complicità de' traditori, meritamente puniti della lor fellonia.
 La fuga di Guidubaldo potè compiersi a stento, nelle più tragiche condizioni, descritte da Isabella, il 1.° luglio 1502, alla cognata Clara.

 [Scampò] cum due persone et non più, non senza manifesto peri- culo de la vita. Questo per fidarse lui del Duca Valentino che gli faceva demonstratione di carnale fratello et tale che ogni homo sincero et netto da inganni ne seria rimasto in la trapola...

 Chiudeva, invocando la giustizia di Dio e del re di Francia : e nel suo sdegno era certamente tanto più energica e schietta, quanto più doveva colmarla di raccapriccio il pensiero che a questo usurpatore del ducato d'Urbino ella stava per stringersi di parentela. Il progetto di sposare a Federico Gonzaga, nato nel maggio 1500, la figlioletta del Valentino, era sorto, quando i due fidanzati erano ancora lattanti (disp. 14 dicembre 1501 del Cattanei) : " S*è principiato a rasonare che una filiola unica d'esso Valentia " se darà a l'ili, filìol de V. S. „. Sulle prime quel progetto fu lasciato cadere, perchè non pareva ancora assodata la fortuna del Valentino : anzi lo si diceva roso, come udimmo, da oscuri presentimenti di morte precoce.
 D'altro canto, allora Isabella vagheggiava di maritare una sua figliola in Ispagna : su questo disegno s'era confidata con l'ambasciatore Emanuel; e costui aveva promesso di assecondarla, purché anche Federico fosse stato promesso a una fidanzata spagnola. Ce n'è prova questa lettera latina, scritta dall'Emanuel ad Isabella, proprio nel luglio 1502, quando diventavano più insistenti le pressioni per il parentado col Valentino.

 Illjna Dfta, Oblivioni non tradidi quod Ex. V. mihi commisit circa matrimonium D. filie vestre, cuius hucusque responsionem habere non potui quoniam Rex et Regina D.^i mei propter mortem Principis de Gallez lugebant. nunc tamen ab eorum Majestatibus habui litteras quibus intelligo eisdem gratissimum esse prefatam D.nam jn eorundem regnis virum ducere, eique qua possibile fuerit humanitate et amore favere ut latius re ipsa videbitur. Denique ut brevi concludam D. V. ISABELLA d'eSTE E I BORGIA 675 reddo certioreni eos qui ante meum huc adventum matrimonium non contraxerant jam uxores duxisse. Itaque oportet de aliis cogitare, ad quod duo necessaria sunt : primum intelligere si viginti et quinque millia ducatorum que pM D.na in matrimonio suo habere debet, ut ex parte Ex. V. inteilexeram, an sit eos secum delatura, nam cum in tali loco parva res sit, et in Hispania non sit consuetudo post contractum matrimonium quicquam postulare, multo melius erit ea primum dare, alioquin enim non ita res bene convenient. Aliud vero et quod magis importat est: Si D. V. dabit filium vestrum primogenitum, qui cognati sororem in uxorem ducat. Quod si convenerit, spero Ex. V. in eo posse servire ea re que voluntati V. D. et ipsius status securitati piene satisfaciat; quod ego profecto desidero, idque omni opera qua poterò procurabo. Et quod E. V. in re ista scribere voluerit, id mihi determinatum scribat. Nam si in eo quod ego ad D. V. scribam dubium non erit, aequum est multo minus esse in iis, oue E. V. scripserit, alias enim nil in Hispania boni fieri poterit. Foelix valeat D. V. Daf. Ulme, julij die VI, UDII Ad mandata et servycia E. V. paratissimus Don JoANNES Emanuel. L'Emanuel si professava nemicissimo a' Borgia : l'aveva perso- nalmente oifeso un atto di Alessandro VI, che per favorire il Troche aveva tolto un canonicato a un figliolo dell'ambasciatore. In una lettera da Innsbruck, 27 febbraio 1502, lo si dichiarava avverso agli Estensi... appunto per la parentela contratta co' Borgia. L'Emanuel non aveva esitato a dire sul viso a Giovanni Gonzaga che, se il duca Ercole non si fosse prestato con la nuora a ottenergli risarcimento solenne da papa Alessandro, non avrebbe trascurato alcuna occasione di nuocergli. Volgendosi sarcastico all'attonito Giovanni, aveva esclamato : « vi pare ch'io vi parli fra li « denti? »» (lett. di G. Gonzaga). Ora il fatto che Isabella tenesse segreti accordi con l'Emanuel per un eventuale matrimonio de' suoi figlioli in Ispagna, depone abbastanza de' suoi sentimenti d' avversione ad un'alleanza co' Borgia. E invero, per quanto si fosse insensibili allora a certe atrocità, a forza di sentirne raccontare ogni giorno (i), aveva certo profondamente commosso Isabella la voce corsa che il truce Borgia avesse minacciato suo padre stesso di morte : e gli avesse pugnalato, se (i) Sulle tragedie di casa Baglioni cfr. doc. XII. 676 ALESSANDRO LUZIO non tra le braccia, in faccia sua un mal capitato ecclesiastico (disp. da Venezia 12 novembre 1501, Ex loco S.^' Job, di « fr. Seraphinus « de Gazolis Mantue, p.^ì loci guardianus n): El sig. Valentinos nelli zorni passati dette cum un pugnale nel petto ad uno eclesiastico in presentia del Papa e de molti prelati, et represo duramente dal Papa, sdegnato minacioli se non cessava farli el simile, la qual cosa summamente è despiazuta a tutta la Corte. Item ha spazate el S.r de Faienza cum un pocho de veneno. Ma dopo le nozze di Lucrezia e Alfonso d'Este, come rifiutarsi al parentado col Valentino ? Isabella e suo marito curvarono il capo all'ineluttabile : trattative formali vennero avviate nella primavera del 1502; il marchese Francesco rimise all'abile consorte l'arduo incarico di condurle a compimento. Tra le minute d'Isabella v'è questa diretta a Onorato Agnello il 2 giugno : Carlo vostro nepote ha refferito a lo ill.mo S. nostro consorte'et a noi il ragionamento che ha avuto cum voi la ex. del Sj Duca di Romagna et lo discurso che poi ha facto cum lui Remolino secretano di quella. Purché i partiti proposti siano onorevoli si stringerà volentieri il parentado. Carlo Agnello ritornò subito a Roma per meglio chiarire le intenzioni del Valentino : e lo zio Onorato lo rimandò a Mantova con le migliori assicurazioni, attinte dalla viva voce di Alessandro VI, avvalorate da uno scritto di Cesare. In lettera di suo pugno (i) dichiaravasi felicissimo di un vincolo che avrebbe rinsaldato la « comensata amicitia »; e Isabella a volta di corriere (19 giugno) rispose ossequiosa, lasciando in arbitrio del Valentino di porre il parentado sotto gli auspici di Francia e dell' Impero. Fra questi scambi di cortesie e di impegni cadde appunto come fulmine l'occupazione d'Urbino: il cuore avrebbe imposto uno scatto sdegnoso, una rottura violenta ; la fredda ragione politica intimava di dissimulare non solo, ma di trar partito dall'altrui nau- fragio per arraffare i maggiori possibili personali vantaggi. Era la morale del tempo... forse ahimè di tutti i tempi : il Machiavelli in gonnella, che reggeva Mantova, non poteva sottrarvisi; la abbelliva però, ammantandola con la pietà femminile e col vi- (1) Mantova e Urbino, p. 127. ISABELLA d'eSTE E I BORGIA 677 vissimo amore dell'arte. Come già dal ricalcitrante Alessandro VI era giunta a carpire concessioni d'anticaglie (i): così, appena passato il primo sbalordimento per la impensata catastrofe d'Urbino, la marchesana di Mantova corre col pensiero a due cimeli squisiti, che potrebbe ottenere facilmente dal Valentino, refrattario ad infatuamenti per l'arte classica. Febbrilmente, chiesto l'assenso de' cognati d'Urbino, Isabella ne scrive al card. Ippolito d'Este (minute 30 giugno 1502) : Lo S.i Duca de Urbino mio cognato haveva in casa sua una Venere antiqua de marmo picola ma molto bona... et cossi uno Cupido quale gli donò altre volte lo ill.mo s. Duca de Romagna... Io che ho posto grande cura in recogliere cose antique per honorare al mio studio desideraria grandemente haverli.... Sua Ex. non se delecta molto de antiquità et per questo facilmente ne compiacerà altri. Ma perchè io non ho domesticheza cum lei ecc. Ippolito, che a Roma viveva nell'intimità del Valentino, e incurante del turbine scatenato dall' ambizione borgiana, dilettavasi di escogitare imprese lambiccate per i suoi copricapo (2), secondò volonteroso la sorella: ben presto la rese felice con l'annuncio del dono delle due statue, fattole di buon grado dal Valentino e dal papa {3). (i) Il cardinale di S. Prassede le scriveva il 28 settembre 1500 che, sebbene il papa fosse « molto duro in simile licentie » di estrarre antichità romane, aveva pur fatto un'eccezione per Isabella. Un anno dopo, ella richiese ad Onorato A- gnello una colonna antica, di cui questi voleva valersi per ornare la tomba di un suo fratello arcivescovo. Per vincerne le resistenze gli dice (20 settembre 1501): a Facilmente potereti retrovar in Roma altra cosa ad ornare la dieta ^sepoltura.... « La carestia che è di qua de simil cose et la copia che vui haveti lì » la fa insistere. Quando ci fossero difficoltà per l'esportazione si valga a de la ili. m.* « Lucretia nostra cognata et sorella hon. ». {2) Lett. ad Isabella d'Ippolito d'Este, Roma, 17 giugno 1502: non scrive di sua mano, sebbene a dapoi ch'io son qui in Roma me sia facto ex. te cancellerò « per rispecto del S.r Don Alphcnso ». Le manda un'impresa a che novamente ho « facto in una petaphia da mettere su la beretta ». Se le paresse una « sempietà » gliela spiegherà. Ma spera che la capirà subito e a la si conformerà a eoa me.... Sopra ciò è stato facto un sonetto che dapoi che dio è dio credo non « sia stato composto el migliore al mio proposto ». Cfr. Alvisi, op. cit., pp. 5 34- 536, e lo studio del Venturi nolVArch. storico dell'arte, voi. I. p. i sgg. (3;} Lett. di F. Brognolo, 3 dicembre 1302: il papa ha negato ad Isabella certa riserva di un benefìcio, ma in cambio o: li faria in ogni modo haver questo c( Cupido e de li altri se bisognarà », Arch. Stor. Lomb., Anno XLI, Fase. IV. 43 678 ALESSANDRO LUZIO
 I messi del duca di Romagna erano frattanto a Mantova per accordarsi con Isabella sul matrimonio progettato : dibattendone le condizioni, rispetto alla dote, alla relativa sicurtà necessaria per l'adempimento del contratto, ma sopratutto rispetto a quel cappello cardinalizio di Sigismondo Gonzaga, ritornello obbligato de' più vari negoziati con Alessandro VI e i suoi figli.
 Isabella di sua mano scrisse al Valentino di essersi perfettamente intesa col messo inviatole, e colse l' occasione per giovare non soltanto all'amica del cuore, Emilia Pia di Montefeltro, ma anche a Dionisio Agatoni, minacciato di confisca de' beni, per aver tenuto lealmente fede a' duchi d'Urbino.

 Ill.mo D.no Duci Romandiole manu D.nae
 Ill.me. M. Francisco ( 1 ) poterà rendere bon testimonio alla S. V. de quanto piacere me sia stata la fede che l'ha preso di me circa le commissione date al dicto m. Francisco.... Esso ha anche cognosciuta la bona dispositione del S.r mio.... la certifico ch' io non mancare mai in cosa alcuna per conservare lo amore fra le S. V., parendomi chel sia a proposito de l'uno et l'altro, corno più difusamente ho parlato a m. Francisco, al quale supplico V. S. vogli prestare fede cossi circa questo come circa alcune cose ch'io desiderarla bavere da lei et circa le cose de M.a Emilia quale gli raccomando assai et cossi se digni perdonare a m. Dionisio che ha accompagnato quel che alhora era suo Signore.... 3 luglio 1502.
  (1) Cioè Francesco Troche, dacché il march. Francesco scriveva il 12 luglio al Ghivizzano: e Trocio è stato qui et ni ha dicto chel S.r Duca di Romagna e ha parlato cum la Chr.ma M.tà di fare parente cum nuy et che quella si ne a contenta tee. ». Ad un altro Francesco, al Cobarubias, cameriere del Valentino, si trovano intestate parecchie commendatizie di Cesare e del cardinale Borgia, nel carteggio urbinate del 1502. Sulle pratiche d'Isabella a favore di Emilia Pia ed altre vittime della spogliazione dei Montefeltro, cfr. Mantova e Urbino, p. 155 sg.

 In altra minuta del 7 luglio si firma « al servitio de V. S. « prompta Isabella manu propria » ; e queste offerte miravano a disarmare le diffidenze del Valentino, per le trame di cui Mantova, diventata refugio degli espulsi signori, era il centro. Tutti i fuorusciti, vittime di Cesare, s'apparecchiavano a seguire il Gonzaga a Milano, sperando dietro 1' egida sua poter indurre Luigi XII a risarcirli in qualche modo per le sopraff"azioni borgiane (lett. d'Isabella al marito, 13 luglio 1502):

 El S.r Duca di Urbino era già preparato al partire, el S.re de Pesaro et tutti li altri forausciti ecclesiastici deliberono venire ancor loro, cossi tutti seranno a la coda de V. S.

 Temendo appunto che il marito, con la sua impetuosa sincerità, scoprisse troppo l'ostilità sorda della corte di Mantova per il Valentino, Isabella lo scongiurava con ansia adorabile di sposa innamorata ad andar « ritenuto.... perchè adesso non si sa di chi a fidarsi... In li stabilimenti di stati, come sa quella non se guarda " allo interesse del compagno, né ad inimicitie » precedenti. Bisognava perciò non mai dimenticare che da un uomo, capacissimo di « macchinare contra quelli del sangue proprio », e* era tutto da paventare: frenasse dunque Francesco gli ardenti moti dell'animo, disciplinasse meglio la sua condotta e la sua parola, sopratutto facesse sorvegliare la manipolazione de' cibi e l'apprestamento delle bevande, onde il veleno borgiano non facesse su lui pure le sue orribili prove. Non sorridesse per carità delle sue trepidazioni donnesche, perchè una saggia cautela ispirava i suoi detti, « la « malignità de loro è assai magiore chel timore mio e animo de " V. S... Voglio che più presto Lei si turbi con me, che io bavere « causa de piangere insieme col nostro puttino » (i). Una lettera dell'imperatore aveva allora allora acc?'esciuto le preoocupazioni d'Isabella. Massimiliano scriveva da Ulma w pridie « Kalendas Julii 1502 » (30 giugno) che per opporsi alle macchinaci) Mantova e Urbino^ p. 157, e il doc. XXXVII di quelli editi dal D'Arco. Il marchese Francesco aveva prevenuto questi desideri e consigli d'Isabella, poiché da Asti le aveva scritto il 18 luglio di rabbonire l'inviato del Va- lentino. « Se ben gli fusse stato qualche parole che nui havessimo usate in favor « del S.r Duca de Urbino [dica che] la passione del cugnato ne ha fatti tran- « scorrere, quando lui tochasse a la S. V., ma che per questo voglirao esser... . Questo documento è ineffabilmente squisito, perchè prova come nel cuore d'Isabella l'amore dell'arte traboccasse a tal segno da farle prodigare de' baci alla statua di Michelangelo, donatale dal Valentino. Così, almeno, credo doversi interpretare l'accenno malizioso e delicato del marchese Francesco. 68o ALESSANDRO LUZIO zioni francesi e tutelare l'Impero voleva metter in campo gran forze... immaginarie (doc. XIII) ! Isabella il 26 luglio, ricevuta queste lettere imperiali, confessava al marito d'esser stata assai perplessa se inviarle parendomi da uno canto che quando per disgratia fossero intercepte... potessero portar periculo a la S. V. [né contenendo d'altra parte] se non zanze et speranze consuete et da far ruìnare ogni persona che tiene pratica cum loro. [Incarica Marchetto Cara, famoso cantore,] qual è persona fidata et discreta gè le presenti occultamente in camera, né mi posso contenere per la gelusia che ho di la vita et honore suo che non la su- piichi cum tutto il cuore che lecte che le haverà vogli subito brusarle insieme cum questa. [Non ne parli a nessuno — non le risponda se non] cum qualche modo che non se possi intendere, quando la lettera fosse intercepta. [Si acconci col Re e voglia] sincerissimamente servirlo.... et troncar tutte le altre pratiche, quale come lei é informata sono sempre state vane, che comò molte volte ho ditto a la S. V. purché lei salvi la persona et stato ne debbe bastare in queste revolutione.  Il Re, potente, magnanimo, gli è ben affetto : non si lasci casa Gonzaga sviare dalle frasi vuote di Massimiliano ! — Questi prudenti consigli erano tanto più opportuni, inquantochè ad Isabella un abile agente, il Grifione, mandato a spiare i passi del Valentino, lasciava facilmente intravvedere come costui edotto delle trame ordite a suo danno col re le avrebbe presto con fulminea mossa sventate (1).

  (1) Lett. d'Isabella al marito del 3 agosto 1502: « il Griffone riferi fra l'altro chel Duca Valentino se retrova cum la persona sua ad Urbino et spesso va a caza cum leopardi scognoscuto in frotta de li soi vestiti ad una livrea et coperti il volto de cendale... et che l'ha facto ruinare in Arimine il domo et alcune case che haveriano potuto offendere la rocca ».

 Dell'arrivo del Borgia a Pavia, delle grandi dimostrazioni a- morevoli fattegli dai re ebbe Isabella copiosi ragguagli, tanto dal Prete, da Nicolò di Correggio e da Morelletto Ponzoni che accompagnavano il duca di Ferrara, recatosi ad ossequiare Luigi XII (2), quanto da' mantovani Ghivizzano e Alessandro da Baesio, accorti seguaci del marchese Francesco.

  (2) Cfr. lett. di Niccolò di Corregio, da Milano 8 agosto 1502, in Luzio Renier, Niccolò da Correggio, nel Giornale storico d. letteratura ital., vol. XXI , p. 240, e doc. XV per le lettere di Morelletto Ponzone.

 Questi reprimeva così male l'interna collera, che se dovessimo credere a' Diari del Sanuto (voi. IV, col. 299) sarebbe scoppiato addirittura un alterco tra lui e i) Valentino. « E questo perchè « [Cesare] intese dito Marchexe straparlava de lui che era ba- « stardo e fio de un prete; in modo che ad invicem se desfidono « e volseno dimandar el campo al Re »». Si aggiunge che Francesco Gonzaga si sarebbe vantato di volere nel singoiar certame liberar Italia da quel bastardo oppressore con un buon colpo di spada.... ma probabilmente son tutte fioriture romanzesche, ricamate attorno al fatto reale d'una mal celata avversione. Ad Isabella in ogni caso non solo non giunse notizia di questa pretesa disfida, ma e Alessandro da Baesio e il marito stesso s'affrettarono a dar assicurazioni... delle grandi carezze scambiate col Valentino. Illustris consors carissima, La S. V. voglia subito e cum ogni celleritate mandare la nostra barca cum tutti quelli remi che la po' operare a Pavia... Et questo per servirne a lo ili. S. Duca de Romagna, quale beri sera per stafetta gionse qui, et hoggi se havimo acarezati et abrazati insieme, ofFerendose l'un l'altro da boni fratelli et così insieme cum la Chr.ma M.tà ha- vemo consumato tuto questo giorno a ballare e banchettare bora a casa de m. Theodoro Triulzo, bora a casa de 1' Episcopo de Novara, Postdimane se altro non occurre credemo partirse per venir a la S. V. quale desideremo vedere e godere insieme cum el nostro putino, el quale la S. V. basarà da parte nostra.... Mediolani VII Augusti IS02. L'indomani aggiungeva che pazientasse Isabella « per due u giorni » di ritardo nel suo ritorno a Mantova : sperava di portarle un'eccellente notizia : « el capello al nostro comune fratello « Mons. » e narrarle per disteso « quello che accadde circa a le « cose del Duca e Duchessa de Urbino ». Non si capisce, dopo ciò, come e quando sarebbe potuto avvenire l'alterco, con la conseguente disfida che sarebbe stata composta per l'intervento del re. O si tratta di una diceria interamente cervellotica, o fu una tempesta in un bicchier d'acqua. Francesco Gonzaga non era cieco al postutto, tanto più dopo le ripetute raccomandazioni della moglie per non comprendere che uno scandalo, un éclat avrebbe nociuto a lui stesso, senza riuscir di giovamento a' suoi bersagliati congiunti : e pur fremendo nel doversi inchinare al Valentino, vide bene non esservi altro partito 682 ALESSANDRO LUZIO possibile che superarlo nella simulazione, dinanzi alle grandi prove di favore largite dal re di Francia a quel « fio de un prete ». La deferenza di Luigi XII pel Valentino faceva in verità stupir tutti ; al pari di Niccolò di Correggio, anche il suo Prete sgranava gli occhi nell'osservare come Sua Maestà non sdegnasse assistere alla cena di Cesare: « volse che cenasse lì proprio in lo suo loco e *i stete lì in pedi tanto che Tebe cenato. Comandava li fusse poru tata mo' questa mo' quella cosa: mai non fu visto tanto favore »>. Era poi andato alle sue stanze per parlargU addirittura in maniche di camicia (lett. 7 agosto), rimanendovi « per una bora » con infinito piacere 1 Che potevan fare i principi italiani, se non piegarsi a lor volta? 11 duca di Ferrara per esempio fu urtato dalla mancanza di riguardi del Borgia, che nemmeno sentì il dovere di restituirgli la visita.... ma dovè ingozzare raffronto, e consolarsi con gli altri signori nelTavvertire i segni da cui poteva dedursi non fosse pienamente sincero lo smaccato favore di Luigi XII pel Valentino. II Ghivizzano, oratore gonzaghesco, assicurava che di sottomano i francesi non celavano l'avversione per Cesare, contro il quale avrebbero volentieri marciato per spossessarlo della Romagna (disp. da Asti, 9 luglio) ; e frattanto sconsigliavano il marchese di Mantova dall'imparentarsi con lui. Ultimamente (disp. del 15 agosto) la M.tà Chr.nia me ha dicto la S. V, sia ben advertente a le cose del parentado, attento che vostro figliolo non ha più che uno anno et la figliola de Valentinos ne ha tre et che di qui a là Dio sa quello che sarà : che la S. V. se voglia sopra il tutto ben intendere et non se fidare molto largamente. Per il che la S. V. se dignarà intender bene quanto gli dirà il gentilhomo che viene [vareleto de camera nominato Giodolo, quale in verità è homo da bene et di bono rispetto et tutto factura de Mons. de la Tremogha, quale è anche corao compagno de suo figliolo] et anco considerar bene quanto scrivo a quella, et tanto più quanto è non essere per bocca mia. Traspare evidente da ciò il doppio gioco de' francesi col Borgia. Per quanto Luigi XII rifuggisse dal sostenere apertamente il duca d'Urbino, non poteva tuttavolta non impietosirsi della sua sorte ; e sperava di aver trovato un modo purchessia per tenere almeno a bada il Valentino. Quale fosse non sapremmo precisare ; perchè interamente generica è la lettera di commendatizia pel suo valletto di camera che Luigi XII rilasciava il 15 agosto : ISABELLA d'eSTE E I BORGIA 683 Mon cousin. J'ay veu ce que m'avez escript et ouy vos gens en ce qui'lz m'ont dit de vostre part, sur quoy j'ay incontinent fait parler au due Vrbin lequel s'en va presentement devers vous et pareillement ung des gens de mon cousin le Due de Vallentinoys et oultre de ce vous envoye Guyot des Roches mon varlet de chambre porteur de cestes, auquel vous adjousterez foy de ce qu'il vous dira comme vous feriez à ma propre personne. Et à dieu, mon cousin, qui vous ait en sa garde. Escript à Pavye le XV.me jour d'aoust LOYS ROBERTET. Alla qual lettera se ne accompagnava un'altra del là Trémouille diretta, sempre il 15 agosto a Isabella : Madame, je me recommande à vostre benne grace tant que je puis, vous priant que me tenez pour excusé que ne vous suys alle veoir. Et sy n'eust esté l'affaire en quoy j'estoye, laquelle vous a peu compier Mons. le Marquis, je y feusse alle, car j'en avoye autant d*envye que de chose que j'euz jamais. Et ne laisserez pas pour cela de penser qu'il y ait homme au monde qui voulsist plus faire de service à vous et à Mons. le Marquis que je feroye. Madame, le Roy envoye l'ung de ses varletz de chambre devers Mons. le Marquis pour l'affaire que vous savez, qui est la plus estrange que je veiz jamais. Il vous parlerà plus au long de toutes choses, vous priant que le croyez de ce qu'il vous dira. Et au seurplus me mandez vos bons plaisirs ecc. Escript à Pavye ce jour de Notre Dame d'assumption Le pleus que tout vostre De la Trémouille. Le due lettere acquistano speciale valore per le chiose, di cui le muniva il Ghiyizzano: Son stato in continuo exercitio per la expeditione del S.'" Duca d'Urbino, 11 quale havea deliberato a tutto suo potere parlare cum la M.tà Chr.ma nauti la partita sua. Pur per ultima conclusione ha hauto risposta se ne deba venire a Mantua dove sarano tractate le cose sue. Per il che dicto S. Duca ha deliberato partirse damatina a bonhora et venirsene per nave di longo a Burgoforte, acompagnato da uno gen- tilhomo mandato da la M.tà Chr.ma a la Ill.nia S. V.... cum comissione di fare tanto quanto per la S. V. gli sarà imposto, non preterendo li comandamenti suoi. Ultra che questo gentilhomo habia hauta bona instructione a bocha da la M.tà Chr.n^a me presente, similiter Mons. de la Tremoglia l'ha bene instructo e amaestrato in presentia mia d'ogni 684 ALESSANDRO LUZIO cosa che possa occorrere in simile caso.... La S. V. sia ben advertente de non se fidare tanto in le demostratione et opere de Valentino, che anche la non sapia retinere qualche tratto in mane, dimonstrando che la intentione luoro sia per ogni modo lassare venire a Mantua il S.^ Duca de Urbino, cum fargli buona chiera, lassandolo volendo lui dormire cum la ducissa et far comò gli piace, acciò che esso Valentino habia causa de condescendere più facilmente a li acordii et partiti quali siano in mente di V. S., advertendo per niente non venire ad alcuno atto di confessione sino a tanto che luoro non venghino a qualche partito honesto et raxonevole, sopra le quale cose la E. V. se dignarà per honore et beneficio suo far in tutto bona consideratione, perchè cussi è il parere de la M.tà Chr.ma et de Mons. de la Tremoglia (15 agosto). In altro dispaccio del 17 aggiungeva il Ghivizzano avergli detto chiaro il Là Trémouille « non essere in tutto ben assettate u le cose tra Valentino et questa M.^^ Chr.^^ » : si comprende pertanto come fosse d'interesse della corte francese ostacolare da un lato il parentado tra i Borgia e i Gonzaga, e sorregger dall'altro il duca d'Urbino contro le bislacche pretese del suo spogliatore, incaponitosi nel chiedergli che desse un addio al mondo... e alla moglie, per confessata impotenza, entrando nella carriera ec- clesiastica. A ciò allude senza dubbio la frase del La Trémouille sullo stranissimo affare... che in Mantova si sarebbe dovuto dibattere. Allorché il 6 settembre il duca d'Urbino abbandonò Mantova, lasciò al marchese Francesco la copia della lettera, di ugual data, ch'egli aveva indirizzato al re.... sulla falsariga di quanto gli aveva ingiunto di scrivere il La Trémouille. Ivi è detto appunto che Guidubaldo, col beneplacito di Luigi XII, intendeva ritrarsi nell'asilo offertogli da' veneziani, confederati di sua maestà. Questi maneggi, che si andavano disegnando a suo danno, non potevano certo sfuggire al Valentino, benché, non amando i francesi e avendo corso pericolo d' essere ucciso da un loro buffone, rimanesse di sovente tappato nelle sue stanze, sotto pretesto di un indeterminato malessere (disp. 17 agosto del Ghivizzano) : Valentino hozi non è ussite de camera, fingendose alquanto ama- lato, benché credo che il male sia ne la testa più presto che in altro loco. Ciò non gli impediva però lo stesso giorno di indirizzare di tutto suo pugno alla marchesa Isabella una commendatizia pel _ ...i-»iJ ISABELLA d'eSTE E I BORGIA 685 Remolino (i), inviato nuovamente a Mantova, non tanto per la questione del parentado, quanto per vedere se i Gonzaga si decidessero a far sloggiare que' fuorusciti, la cui presenza era una continua minaccia per le sue aspirazioni a Bologna. Il Valentino aveva ottenuto da Luigi XII una lettera esortatoria al marchese di Mantova per lo sfratto degli esuli : ma il 29 agosto da Genova il Ghivizzano rivelava che il La Trémouille parlandogli in gran secreto, come « intrinsico de la M.^à Chr.™» „^ gli aveva detto che i Gonzaga non stessero affatto a curarsi delle proteste del Borgia. Il re non pensava punto a « sforciare » il marchese Francesco, quand'anche gli avesse scritto in senso opposto per compiacere alle insistenze di Cesare; il quale, per piaggiare il Gonzaga facevagli dire: <• che poco extimava alcuno di suoi inimici, ma ben tene u conto et extimatione de la S. V. » e proponeva un abboccamento per quando da Asti sarebbe tornato in Romagna « per il camino u de Ferrara ». Il Ghivizzano in altro dispaccio del primo settembre (2) ripeteva dunque che non si fidassero troppo. Isabella e Francesco, delle grandi profferte del Valentino, a proposito del matrimonio. Mi par cognoscere esso Duca non proceda in tutto sinceramente ma solo mi par comprendere vorebe venire a merito di schaciare li suoi inimici da Mantua, e far poi quanto al parentado il suo commodo. Tutto sommato però Isabella e il marito, pressati dairinteresse immediato politico, si decisero per i più intimi accordi col Valen- (i) « ///."«<» Signora iatnquam soror hon., € El exhibitore de la presente serra M. Michael Remolins mio consigliere , ma v'amiamo sempre teneramente (24 agosto 1500]. Non per nulla Sabbadino de Arientis informava continuamente la marchesa di Mantova su' maneggi de' Bentivoglio per schermirsi ISABELLA d'ESTE E I BORGIA 689 dal Borgia e possibilmente ingannarlo con sapienti dilazioni (i). Come Isabella fronteggiasse l'ardua situazione, lasciamo da lei medesima esporre al marito : Illmo Domino Nostro Ili. "10 Signore, Essendo ritornato Ambrosio cavallaro da la Excellentia V. senza sue lettere al sigje Zoanne, lui come quello che aveva fatto fermo proponimento de andare a Bologna anchora che non havesse licentia da V. Excellentia, come non ha havuto, el zorno de tutti li Santi adimpitte la voluntà sua. In quello dì essendo venuta madona Laura et havendola recercata, che era de lui, la me rispose, haverlo lasciato in casa. In l'ora del vespro, me n'andai ad Santo Francesco ac- compagnata dal Rev.wo Monsig.re et dal messo del sig.^e Duccha de Romagna cum multi altri gentilomini nostri; in questo instante, per quello che puoi s' è verificato, el signore Zoanne partite de casa suso la muUa senza stevali cum uno stafiero, et Bernardino suo a cavallo fingendo de andare verso el Te ad spasso, et giunto che'l fu a la porta de Cereso rimandò il stafiero indrieto cum cummissione che '1 andasse dal Gatino et si facesse dare mezo ducato et quelle lettere gli haveva ordinato per mandarle a Bologna. Questo fece per inganare el stafiero ació non sapesse dove la havesse andare, poi se aviò lui cum epso Bernardino cum li cavalli che prima erano ordinati in sette poste. Giunta madona Laura la sera a casa et retrovato el sig.r^ Zoanne partito, subito mandò uno suo al cautelano per farmelo intendere, et doppo anchora sopravenne el Gatino confirmandone el medesimo. Quanta displacentia ne pigliasse, la Excellentia V. lo può comprendere, sapendo che l'era alieno in tutto da la voluntà sua, et facilmente poterla essere causa de dare ombreza al sig.re Duccha de Romagna. Subito mandai per il Milanese e significatoli il tutto, mi parse che lui insieme cum Benedicto Capilupo et Brognolino andassino ad notificarlo al messo del predicto sig.re Ducca, et lo certificassero cum il testimonio de epso Brognolino quale de commissione de la excelentia V. haveva facto intendere al sig.re Zoanne, che, nullo modo, dovesse andar a Bologna, questa andata sua esser contra il volere de la signoria vostra et mio; et ditto messo gli rispose^ che già erano quattro ore che lo sapeva, credesi col mezo (i) Lett. di Sabadino, da Bologna 28 novembre 1502: sulle diffidenze de' Bolognesi per i patti vantaggiosi, offerii dal papa. « Questa è reputata presso « questo populo cosa de sì gran meraviglia chel pare ne sia qualche cuperto e dolo... che un tanto fuoco d'arme et de rainaccie inopinatamente de un tanto « potente pontifice si presto extincto sia ». Lett. i dicèmbre, sulle manovre dilatorie de' Bentivoglio : « Chi ha tempo ha vita, interim può orire de belli ac- « cidentì. A li intelligenti pare che noi siamo infra barri, ma presto se ne adir vederemo, cum sit chel Duca non può star sopra la spesa grande de la gente « d'arme senza operare et consumando il paese suo : bisogna vadi oltra overo « venga in qua ». 690 ALESSANDRO LUZIO de Alphonso Spagnolo quale fu veduto parlarli in santo Francesco al vespro, et si extima che'l observava li andamenti del sigje Zoanne. Et instandoli il Milanese et li altri da parte mia ad volerne scrivere al sig.re Ducca suo et testificare cum sua Excellentia la inocentia de vostra signoria et mia, per essere seguito il caso senza saputa et centra il volere nostro, lui promise de farlo voluntieri et fidelmente, subiungendo, che'l si rendeva certo che questo non haveria ad esser causa de impedire la praticha dil parentado. Rimasto in questa resolutione, la nocte vene da me et dissemi che l'haveva facto novo pensiero, quale era de andare più presto al sig*re ducca che scriverli, perchè meglio et più compitamente satisfarla a boccha che cum lettere, et confirmatoli per me il medesimo, la nocte propria ad ore octo partitte de qui, dove ha lassato tutti li panni et robbe sue, promettendo de ritornare fra tri giorni. La dimostratione usata per me con il sig.re Zoanne è stata in bavere fatto publicar una crida, che essendo andato il Sig." Zoanne a Bologna centra il voler de la Excellentia V., non sij alcuno subdito di essa, sij che si voglia, che ardischi seguitarlo per soldato sotto pena de la forcha et confiscatione de tutti i beni, et se alcuno già 1' avesse seguito et non ritorni fra il termino de sei dì doppo la ditta crida, caderà irremissibilmente in la medesima pena. Dil tutto mi è parso darne haviso a la Excellentia V. aciò che la sappi come sij passata la cosa ; et io insieme cum Federico, quale sta benissimo, in la bona gratia sua ce raccomandiamo, et prego la vegli salutar, in nome mio, tutta quella sua compagnia. Manine III novembris ijoS. {Copialettere^ Libro 14). L* agente di Cesare Borgia era Enrico Corberano, col quale stava dibattendo Isabella i patti per la dote, la sicurtà, ecc. (i). (i) Mantova t Urbino, p. 128 sg. Doveva essere un gentiluomo amabilissimo, perchè la marchesa gli promise il suo ritratto, che il Corberano non cessava di reclamare con lettere insistenti, per esempio questa, politicamente notevole, scritta dopo il bellissime inganno di Sinigaglia : a III ma ti Ex.^a. S.ra mia, « La V. E. per lettera de rill.mo S. Duca intenderà quanto sia operato et a se epera ad perdure ad bone effecto le pratiche comensate, le quale spero che « con sua immensa satisfactiene se conduceranno prestissimo, ad che io come « affectionate suo servitore non mancare mai usare quella diligentia ecc. ecc. « El retracto che V. E, me premette supplico quella voglia fare che lo « habia presto, perchè una delle desiderate coseaspecte al mundo è diete retracto... « Saxoferrato die IIII januarij i)Oj. a Deditissimo servo a CORBERAN « PS, Sapia la S. V. 111. ma che ad questa bora se ha nova da la S.tà de e N. S. bavere presi Io R.^o Car.Je Ursino ecc. ». ISABELLA d'eSTE E I BORGIA 69I Michele Remolino da Imola 4 novembre riferiva alla marchesa le impressioni raccolte dal Corberano, che sferzando i cavalli a rapida corsa era già arrivato presso il suo signore. Il Corberano s'era fatto garante col Duca del « bono et sincero animo de S. V. I. u al quale conresponderà con tali effecti che parerà null'altra cosa M haver forza a perturbarlo ». Il Valentino accettava le scuse per l'improvvisa partenza di Giovanni Gonzaga « per cognoscere da l'amico non poterse cavare « se non la voluntà sua o bona o trista ». Eppoi eran « passi persi » quelli di Giovanni ! Il Valentino « non lo cura ». Il Corberano sarebbe presto tornato a Mantova, per ripigliar le pratiche matrimoniali e condurle a termine Sarebbe, diceva il Remolino in altra lettera del 6 novembre, bastato accordarsi nella cauzione di 25 mila ducati di banco e « banco bono », perchè la stipulazione fosse definitivamente suggellata a « confusione de « quelli h^nno havuto a despiacere tal nostra confederatione ». Isabella accettò difatti la cifra de' 25 mila ducati : e per tro- vare una solidissima banca mandò a Firenze Vincenzo Bonzani da Lorenzino de' Medici. Avendo questi sollevato difficoltà per dare la cauzione, un altro agente, Lodovico Brognolo, venne spedito al Valentino con l'istruzione seguente importantissima : Instructio L.ci Brognoli ad ducem Romandiolae. Lodovico Brognolo: nel ritorno de Vincentio Bonzani mandato a Fiorenza per ritrovare la securtà de bancho richiesta per lo ill.mo S.r Duca di Romagna de li XXV. m ducati, casa quo manchasse dal canto nostro chel parentato de sua figliola nel nostro primogenito non avesse loco ecc. ce ha exposto che doppo multe pratiche et partiti imposti non è stato possibile ritrovare la dieta securtà di bancho senza il pigno in mane per la longheza del tempo et altre rasone che adducono bancheri, ma chel m.co Lorenzino di Medici, al quale avea facto capo et quale ha facto tutto il sforzo suo per servirne s'è offerto fare la securtà cum tutte le facultà sue a l'ill.mo S.r nostro consorte che l'attenderà tutto quello chel prometterà a lo ill.rao S.r Duca di Romagna per li dicti XXV. m ducati o per parte d' essi corno se vorrà. Unde volemo che tu vadi al p.to S.r Duca et da parte nostra gli referischi quanto qui de sotto se contenerà : Primo visitarai, salutarai et ne racomandarai a S. E. congratulandoti in nome nostro de l'accordo o sia apunctamento facto cum Ursini et Bolognesi, quando sia cum utile et honore de S. E. corno crederne debba essere, perhò che de ogni prosperità sua per lo amore gli porta il S.re Marchese et nui ne sentimo piacere. 692 ALESSANDRO LUZIO Secundo gli farai intendere che anchora che corno dicessimo a m. Corberano judicassimo molto difficile il ritrovare questa securtà di bancho, maxime non volendo!^ se non in Fiorenza, Genua et Roma, dove il S.'^ Marchese ha mancho praticha che non a Venetia et Milano, exclusi dicti doi loci dal p.to S.*" Duca, nondimeno per dimonstrarli in tutto la sincerità dell' animo nostro mandassimo Vincentio nostro ca- merero, quale è fiorentino, a Fiorenza cum lettere efficacissime al m.co Lorenzino nostro amico et compatre, col favore et mezo del quale cum altri nostri amici et parenti de Vincentio è stato facto ogni extremità per bavere tal securtà, ma che non è stato possibile haverla senza pigno, et questo non per pocho credito dil S.re Marchese ma per servare il stile dil bancho per rispecto dil credito chel perderia cum quelli cum quali fanno facende, quando se intendesse che havessino questa obligatione senza li dinari o pigni più che sufficienti in bancho, anchora che havessino multe altre secureze, et chel non è da farne prova altroe^ perhò che in ogni loco et cum ogni altro S.re anchora se haveria questo rispecto : et però declarata a la Ex. S. la difficultà de la securtà de bancho Io pregarai da parte nostra che procedendo in questa pratica cum quella liberalità che fa il S.re nostro et nui et desyderando venire a la conclusione sii contenta acceptare la securtà nel modo che la si può dare: et quando la voghi sopra le persone et facultà de li amici nostri, gè la daremo in Fiorenze o forsi in Roma o in Genua, et quando la se contentasse de Ferrara et Milano, corno doveria essendo Milano de la M.tà Ch.raa comò è et sotto la protectione de la quale sono il S.r Duca et S.re Marchese : et Ferrara de parenti comuni, gè la dares- simo sufficientissima et così bona et secura comò seria forsi de bancho, et meglio seria divisa in due o tre parte, et circa questi tri loci de Milano, Ferrara et de Fiorenza farai instantia di avere il consenso suo perchè a Genua et Roma non seria cossi facile. Ma perchè el te poterla dire che dovessimo mettere li pigni al banco, responderai che non tuonano se non argenti et zoglie. De argenti chel scia bene che non è signore in Italia che ne babbi in tanta summa, et havendola non seria honesto che in questi tempi alcuno signore se ne privasse per metterlo in bancho per tanto tempo, il quale in questo megio o per guerre o per altri debiti privati poterla fallire. De le zoglie ultra che seriano del medesimo rispecto de li argenti, dirai che a parlare liberamente cum S. Ex. anchora che nui ne habiamo per molto magior summa non comportaressimo mai che ne fussimo prive in lo fiore de la gioventù nostra, perchè non le godendo in questi dece o dodici anni manco le goderessimo doppoi che se aproximaressimo a la vecchieza. Sì che gli concluderai cum dextro modo che non veniressimo al partito di pigni. Poterai subjungere a S. Ex. che l'è il vero che la securtà di bancho è più expedita al pagamento, ma che crederne che la non seria però cossi secura corno sarìa a tuorla sopra le facultà de homini richi perhò chel Banco facilmente può fallire, ma le facultà obligate non ponno mai essere allienate in pregiudicio de V obligo che ISABELLA d'eSTE E I BORGIA 693 hanno. Sei te dicesse che questa fusse stata richiesta dil Pontifice et non sua et che seria necessario andare da la S.ti Sua, dirai che tu non hai comissione: ma che la Ex. S. poterà scriverli et poi avisarni o cum lettere o cum messi de la voluntà del Papa et sua, perchè venendo a cose rasonevole nui poi mandaressimo a la Ex. S. et a Roma cum il mandato de concludere. Sei se contentasse de tuore le diete securtà comò di sopra proponemo, ritornarai bene instructo dil loco dove le voria, simelmente ritornerai quando il pigliasse assumpto de scrivere al Papa. Tertio, recircharai il p.to S.r Duca se del quesito gli facessimo fare la prima volta che m. Corberano ritornò a S. Ex. de la dote, cioè che intentione era la sua de darli ultra questi XXV.™ ducati, ogni volta che la figliola venesse a marito, ha mai havuto risposta da la S.tà de N. S. a chi el disse scriveria : et non havendola havuta, lo pregarai gh replichi aciò che simul et semel cossi de la securtà come de la dote se possi risolvere, et noi intendere comò habiamo a governami. Ultimo loco: se tu vedesti che non fusse per acceptare le securtà p.te poterai comò da te ricercarlo se quando Mons. Prothonotario ritrovasse X.m ducati contancti fra 4 06 mesi se contentaria de operare cum N. S. chel fusse promosso al Cardinalato et nondimeno concludere il paréntato col nome et promessa de la dote da esser specificata adesso, et pagata quando la putta venesse a marito. Ceterum soUicitarai cum dextreza el S.^" Duca ad expedire Bastia- nello cum li cavalli promessi al S.' Marchese. Tu sciai la commissione che hai dal S.re per acconzare Cesaro da Gonzaga col S.re Duca. Volemo che in nome de la Ex. S. et nostro lo preghi chel sii contento acceptarlo ali servicii suoi et tractarlo honorevolmente, perchè la Ex. S. ne serra ben servita et nui gli ne faremo la securtà per esser figliolo di tal patre et lui di tali costumi et virtù ornato chel non ce farrà vergogna. Mantue VII nov. i$02. Con la moglie del Valentino, con la futura suocera del suo Federico, non mancava naturalmente Isabella di compiere i debiti offici di cortesia; e Jacopo d'Atri, passato ambasciatore in Francia, le riferiva da Blois 26 gennaio 1503: « visitai la duchessa de Ro- « magna, la quale pur assai più humana che bella me parse com « prendere, ma desiderosissima in tutte le cose servire et gratifi- « care la E. V. n. xvm. Il verso manzoniano « cadde, risorse e giacque », si applica perfettamente alle vicende del Valentino, tra la fine del 1502 e Arch. Sior. Lomb., Anno XLI, Fase. TV. 44 694 ALESSANDRO LUZIO Testate del 1503. Salvatosi miracolosamente dall' estremo pericolo, che aveva pesato su lui per la diserzione de' suoi capitani, Cesare Borgia parve assurgere a più sinistra grandezza col « bellissimo inganno » di Sinigaglia, a cui servì di preludio lo squartamento di Ramiro de Lorqua. Isabella ne scriveva al marito il 3 gennaio 1503 : El S.r Duca de Romagna ha facto tagliare la testa al S.« Ramiro suo gubernatore et lassato tutto un dì su la piazza de Cesenna. De la causa variamente se parla: ma credesi sii stato per suspicione de pratica cum qualche potentia in quelli movimenti de Romagna. La Ex. Sua è poi partita da Cesenna assai repentinamente et driciata verso Fano cum lo exercito.... Dell' inganno teso dal Valentino a' condottieri ribelli venne Isabella informata a puntino (doc. XVI) dal duca medesimo, dal cognato Giovanni, da' molti agenti mantovani disseminati per 1' Italia centrale; ed ella — intenta proprio allora a vagheggiare pel suo studiolo quadri squisiti del Francia, e bronzi stupendi delV Antico (i) — plaudì al successo se non con 1' indifferenza cinica del tempo, con quella parziale atrofia del senso morale, a cui neppur lei, creatura dell'età sua, poteva sfuggire. Le violenze fe- roci, le subdole astuzie erano moneta corrente : i più specchiati cavalieri del Rinascimento non sdegnavano di macchiarsene. In que' giorni stessi a Mantova la marchesa fu quasi immediata spettatrice di un assassinio ordinato da Alberto di Carpi, gentiluomo e diplomatico de' più riputati nelle corti d'Europa. Isabella d'Este che avrebbe potuto e dovuto far giustizia dell' omicida, dopo avervi su riflettuto.... preferì di chiudere un occhio e lasciar sfuggire Alberto di Carpi al minacciatogli arresto (2). Se la moglie stessa del Valentino si scandalizzava che costui avesse con astuti infingimenti allettato prima e inesorabilmente (i) Cfr. lettera dell'Antico, del 29 gennaio 1503, edita da U. Rossi nella Rivista Numismattca del 1888. Il Gattico scrìveva da Bologna, 6 dicembre 1502, ad Isabella : . ISABELLA D ESTE E I BORGIA 7OI buon motivo che nessuno poteva garantire se davvero V avvenire di Cesare fosse per sempre distrutto (i), considerarono tacitamente troncato ogni impegno, checché ammonisse la Francia, consigliando di affrettare la stipulazione del contratto, col far assegnare in dote alla fidanzata « li stati de Imola, Faenza e Forlì » (disp. di J. d'Atri, IO ottobre 1503). D'altronde il Valentino rese per suo conto pan per focaccia, dacché per guadagnare Giulio II affacciò subito il progetto di maritar la figliola, non più a Federico Gonzaga, ma a Francesco Maria della Rovere: ex- promesso di Angela Borgia; a quello sposo che i marchesi di Mantova accarezzavano come genero, nato e fatto apposta per la loro primogenita Eleonora. Era insomma un conflitto, che si disegnava già subito reciso, a sfatare la simulata amicizia della ventura : e si può immaginare con quale trasporto accogliessero così Isabella come Francesco le notizie, mandate loro da ogni parte, sulle felici restaurazioni de* principi spodestati dal Borgia. A Giovanni Sforza il marchese Francesco chiedeva scherzosamente un dono di fichi e d' ostriche da Pesaro, ove l'ex-dominante poteva ritornare senz'armi; e Giovanni rispondeva, 25 agosto, che la caduta del Valentino 1' aveva quasi fatto guarir per incanto (« ho hauto tanta alegreza ch'io spero « de dare repulsa al mio male »). Rientrando nel suo stato, vi sarà corno factore (2) de V. E. per essere lei patrona del tute et de la mia persona propria, pregandola se altro la intende del dicto Valentino che pur el sii morto ad volermene dare qualche adviso, che la me farà sin- gulare apiacere. I Caetani narravano, dal loro canto, a Isabella, ospite cortesissima nell'esilio di Mantova, il felice riacquisto di Sermoneta (lett. io (i) Caratteristico è il tentativo del marchese di Mantova di voler salvare , nel naufragio de' Borgia, il cappello cardinalizio di Sigismondo, spacciandolo come già concesso di fatto dal papa defunto ! Scriveva perciò questa curiosa lettera : a: Al S/^ Mantuano dil T>tica Valentino, a Ni ricordamo che il Sje Ramolino ni disse già che la santa memoria del e pontifìce p. havea creato nostro fratello cardinale e che era restato de publia cario reservan dosilo in pecto sol per volere certe cautioni da noi ». Dunque l'elezione è valida, irretrattabìle ; sollecita in proposito la testimo- nianza del Valentino, a cui professerà gratitudine eterna per tanto favore!.... (21 settembre). (2) Il Gregorovius, op. cit., p. 427, lesse « come factura », alterando il senso. 702 ALESSANDRO LUZIO settembre di Guglielmo Caetani): alfine la giustizia di Dio li aveva ristorati; il popolo li aveva accolti con acclamazioni di giubilo. Il castello « fabricato in mia absentia.... cum circa mille bocte de artigliarla « non già de bronzo ma d'oro » s'era arreso : ed egli l'offriva a Isabella come cosa sua; a lei che con « immensa benignità w aveva ascoltato e lenito i lamenti degli esuli, commovendosi tutta a' loro infortuni. I tristi giorni son dileguati: « Mantua è quella che questa « felicità mia fa imperfecta ». I Gonzaga seguivano con interesse le pratiche avviate dalla moglie e dalla sorella di Cesare Borgia per la costui liberazione : della prima diceva l'ambasciatore d'Atri che « come donna savia » faceva « tale demonstratione per sua grande virtù » (disp. da Lione 5 gennaio 1504) sebbene nel luglio 1503 avesse nettamente ricusato di riunirsi al Valentino (i). Di Lucrezia riferiva pure che aveva scritto al Re di Francia « efficacemente » per il fratello (disp. del 13 gennaio). (i) Disp. di J. D'Atri da Lione, 8 luglio 1503: annunciante la venuta « qua « de un homo del Duca Valentinoys, el quale fa instantia che gli sia mandata « sua mugliera. Et il Re, per quanto se intende, non la sforzarà, ma farà ogni a instantia aciò che gli habia ad andare, et quando essa faci resistentia Sua e M.tà gli darà licentia da Bles et levaralla dal governo de Madamma Claudia sua « figliola 3>, — Disp. IO luglio: « Quello ch'io scrissi essere venuto qua di Duca « Valentinoys è stato Artese et venuto principalmente per menare la duchessa « in Italia: ma secondo se dice, pare ch'essa habia poca voluntà de venirli. El « Re farà ogni opera per farglila venire, insino ad levarla dal governo de la figliola, « ma forza non gli se farà ». — Disp. 14 luglio : a Mons. de Sans è andato a da la Duchessa Valentinoys ad confortarla ad andare da suo marito: non so a quello farà ». — Disp. i agosto: Arrese questa matina è andato ad vedere « la duchessa sua, la quale non volendo andare dal marito el Re gli promette « farli dare la figliola », (s'intende darla al padre). — Disp. 17 agosto: e Artese a è retornato da la Duchessa de Valentinoys, quale dice essere inferma et poca « voluntà pare habia de venire in Italia ». — Sorvenne intanto la catastrofe : la notizia della morte del papa giunse a Luigi XII il 23 agosto; il 2 settembre, udì col e magior piacere dil mondo » la sollevazione di Urbino a favore de' Montefeltro ; l'Artese, che si trovava a Lione, era insultato da' « putti che gli a gridavan dietro marrano et molte altre villanie » (disp. 2 settembre del D'Atri). Con Isabella mantenne sempre la moglie del Valentino cortesi rapporti. Il D'Atri scrive per esempio da Blois, 11 maggio 1505: o la Duchessa Valentinoys.... per « esser M.ma virtuosa et perchè se ricorda fuorsa de quella pratica del parentato 0 monstra porlarve grande afiectione ». A che Isabella rispondeva il 51 maggio d'amarla come « carnai sorella ». Su' rapporti con la figliola del Valentino cfr. doc. XXIII. ISABELLA D ESTE E I BORGIA 703 Naturalmente, quando parve che il Valentino, prosciolto da papa Giulio, potesse riacciuftar la fortuna, il marchese Francesco simulando una generosità non sentita, si sbracciò nelle più larghe profferte di ospitalità, di aiuto.... con l' arrière pensée di acquisire alla sua scuderia i più bei cavalli del Borgia !.... Cesari de Gonzaga Cesare : havemo inteso cum nostro gran piacere che il S.r Duca Valentino è in sua libertà, del che volemo ti congratuli seco in nome nostro, et apresso perchè non siamo amici di fortuna gli offerischi quando il non habia miglior loco da reponere li soi cavalli et jumente li vogli mandare a casa nostra, perchè serrano ben atese e nulla gli mancarà, siano che numero si vogliano et per quanto tempo gli piacerà, se ben gli avessino a star sempre. E perchè ni è dicto che S, S. è per andar in Franza cum Mons. Legato volemo che cum ogni istantia et ogni amore lo inviti a casa nostra, a recognoscere le cose sue et acceptar l'honore che desyderamo farli.... Poggibonsif 8 die. ijoj. Eran semplici frasi : importunato dalle preghiere di Lucrezia « prò fratre pie laborantis » potè il marchese Francesco, />ro/orwa, supplicare il papa e persino il duca d'Urbino a prò' di Cesare Borgia; ma alle costoro ripulse crollò indifferente le spalle, osservando che nulla gli importava ornai del caduto (i). Della rovina del Valentino tutti si sentivano felici i Signori d'Italia, come d'un meritato castigo all'insolenza di troppo rapida fortuna. Se pur qualche lezione inclinavano a trarre da quella misera fine, era unicamente per meditare sull'inefficacia e l'instabilità del favore di Francia {disp. J3 marzo 1504, da Firenze, di Fr. Malatesta): Li S." de Italia debono specchiarsi in questo caso et tener modo di poterse aiutar per se stessi perchè li favori ultramontani sono molto falaci. XX. Ferrara però non decampava dalle sue simpatie francofìle : Alfonso d'Este credette, anzi, nel corso del 1504, necessario recarsi (i) Sulle sorti del Valentino nel 1505-04 si veggano i dispacci interessantissimi del Cattanei; cfr. Mantova e Urbino, p. 152, e Rivista d'Italia cit., p, 844; Gregorovius, L. Borgia, p. 450; Yriarte, C. Borgia, Parigi, 1889, voi. II, p. 193 sgg. 704 ALESSANDRO LUZIO di persona a Parigi; e la sua decisione appariva tanto più singolare, inquantochè da un lungo, arduo viaggio oltr' Alpi dovevano sconsigliarlo le condizioni ormai non più liete della salute del padre. Ercole I s' accostava a gran passi alla tomba : col declinare delle sue forze vitali, cresceva il fervore religioso, istillatogli dalla antica ammirazione per il grande suo suddito, Girolamo Savonarola. Nel 1504 ad es. emanò, secondò il Prosperi, una grida severissima contro certi usi di maschere, che favorivano il malcostume e la svergognata licenza delle donne galanti. Esigeva nelle rappresentazioni teatrali, sacre per lo più, (nel 1504 si die il Josef) un grande silenzio e raccoglimento (lett. del Prosperi, 29 marzo, 4 aprile). Malgrado questa rigorosa castigatezza, imposta dal vecchio duca, non infrequenti concessioni eran fatte tuttavia a' liberi sol- lazzi cortigianeschi, di cui compiacevasi Francesco Gonzaga, divenuto a poco a poco l'idolo delle damigelle ferraresi... e della loro padrona. Quanto infatti più riservata pareva voler restare Isabella rispetto alla cognata, tanto maggiori dimostrazioni di vicendevole tenerezza cominciavano a scambiarsi tra la Borgia e il marchese di Mantova. Se ancora non le si affacciava il sospetto di men che lecite relazioni tra loro, una consorte gelosa aveva abbastanza di che adombrarsi di que' trasporti d'ammirazione, d'affetto, che eran tali da suscitare diffidenza legittima... dati i notori precedenti scabrosi di Lucrezia nel periodo romano. Oggi invero nessuno può più revocare in dubbio la gravità delle fredde annotazioni del Burcardo, che descrive la celebre orgia di donne svergognate fatta in Vaticano sotto gli occhi del papa e di Lucrezia: o ce li mostra entrambi, qualche giorno dopo, intenti ad ammirare prodezze di stalloni inferociti, « cum magn o « risu et delectatione >» (voi. II, pp. 303-304). L' amante del cameriere Perotto non poteva da un moment o all'altro convertirsi in un fior di virtù: e la sua condotta a Ferrara, come acutamente intuì il Villari nel suo Machiavelli^ voi. I, p. 247, nel far la tara all'apologia del Gregorovius, dimostra precisamente che la Borgia serbava ancor molti vizi del sozzo ambiente in cui era cresciuta. Le sue damigelle, per piacerle, blandivano naturalmente i ISABELLA DESTE E I BORGIA 705 penchants della duchessa. Nella primavera del 1504 i marchesi di Mantova andarono a Ferrara per le feste consuete di S. Giorgio; e poiché Francesco dovè subito assentarsi, le donzelle di Lucrezia si riunirono per mandargli un indirizzo collettivo di desolato rimpianto. Si dicevan semi-vive addirittura per esser prive « del suo « benigno, humano, mansueto et divino conspecto », delle sue « diu vine virtute, excelsi et angelici costumi di V. S. ». Specialmente « Madonna Angella et M.» Pollixena (Malvezzi] sempre sonne vigi- « lante et fervente in gratificarli et a suoi gratissimi imperii non « tardare » massimamente « quando contemplemo la affectione li « porta la nostra ex."»* duchessa, quale non non mai cessa in « omni confabulatione haver di se dulcissima memoria ». (Lett. 8 maggio, firmata : deditissime ex."i^ ducisse domicelle). In un'altra lettera dello stesso giorno, e della stessa grafia, « Polissena ex."»® Ducisse socia » schizza un quadretto delizioso della corte ferrarese : La sera passata lo ex.mo Duca fece uno convicto ellegante de là dal pozolo a la Ex.^a Marchesana et a la S.", dove si ritrovò fra li altri M.o Zacharia, il quale dipoi la partita de V. E. cum multo favore et zioia è salito fora di la grotta et in epso convivio era capo de taula. Ornato havea il capo di una fiorita zirlanda, che in verità, si dire lice, pareva il Dio vechio de Amore. Il nostro Duca sedeva in medio de le domicelle più venuste et formose et tutte che ivi erame haveamo le zirlande. Ma omni piacere poco fo grato a la Ex. S.»^« et a me suoa serva, poi che V. 111. S.rJa non li era presente,... Un mese dopo, quando il viaggio di Alfonso in Francia e in Inghilterra, la cagionevole salute d'Ercole I, e l'ambizione del card. Ippolito facevan temere qualche « novità » a danno della futura duchessa, tutte le speranze di Lucrezia si concentravano sul cognato di Mantova, col quale parrebbe essersi data convegno in uno de' paesi rivieraschi del Po. Marcantonio Gattico scriveva a Francesco il 6 giugno esser rimasta Lucrezia consolata dalla promessa del Gonzaga di recarsi subito a Revere in caso d'urgenza: che ogne modo de qua ad Revere io me ne veneria sempre da quatro bore et lei serria di poi qua in uno subito.... Tutti se sono offerti a la S.r« in casu chel Duca mancasse di mettere e l'anima e la vita per servitio suo et maxime el Cardinale.... ancora che le brigate però non se ne affidi Multe altre cose me reserbo a dire a boca ch'io non ardisco scrivere, in conformità che tutta questa cita sera in favore 706 ALESSANDRO LUZIO de la S.™ quando però intendano gridare Turco sula piaza, che sine ipso factum esset nichil. Credeti al Catino, S.re mio, che vui solo poteti più in questa cita che tutta la casa estense unita inscieme. [Lucrezia estenuata non può scrivere]. Tra' due cognati v*era scambio diversi; il 14 luglio Lucrezia, dolendosi con Francesco di sentirlo indisposto, ne accetta benigna la scusa se non ha potuto inviarle « li sonetti secondo me promise u perchè con suo disconcio non vorria consequire nisuna cosa » (i). In ottobre Francesco fu invitato a fare un'escursione a Comacchio per trovarsi con la cognata: a nome di costei, lo supplicavano le galeotte donzelle, in ispecie la Polissena Malvezzi, più calorosa d'ogni altra nel rendersi interprete de' desideri di Lucrezia. Da bravo, ella diceva, mostri il marchese di Mantova (7 novembre) « che esso la ama da propria sorella cordialissimamenie ». Per carità venga presto « per posserni gaudere.... et recuperare il tempo « in li apiaceri persi ». Lucrezia è a lui tutta « dedicata ». E di nuovo, con più significante reticenza, il 12 novembre : venga presto, « ho da riferirli de multe cose, quale non porrei u scrivere »». Nelle lettere autografe, Lucrezia, ordinariamente fredda e scialba con altri, mostrava a Francesco un grandissimo affetto. Se scriveva a Isabella, firmava ossequiosa: «desiderosa servir V. S. » con il cognato era deditissima sorella, quanto sorella e serva. Esigeva imperiosa che Francesco esaudisse senza discutere i suoi desideri, le sue raccomandazioni : dolevasi, come d' un affronto, delle resistenze che incontrasse. P. e. avendo nell'autunno 1504 il marchese Francesco fatto imprigionare come traditore un Antonio da Bologna, Lucrezia Borgia s' impermalì che alle sue preghiere in favor di costui non fosse seguito l'immediato effetto della liberazione. In una lettera tutta autografa dell'S novembre si stupisce di non aver ottenuta la grazia invocata. Non posso si non restar non dico molto admirata ma mal contenta che la non mi corresponda come mi credeva persuadendomi potere da (i) In risposta a una lettera del io di Francesco, che si dice malato perchè a privo de lo aiere de Ferrara a me tanto conforme e di la conversation di V. « S. a me tanto grata s. Si scusa se non scrive di sua mano e non le manda « quelli sonetti che gli promisi » (Copialett., Lib. 182). ISABELLA D ESTE E I BORGIA 707 lei optinere gratia de la vita de milli homini non che d'un solo anchor che li havessi nociuto non solo ne la roba ma anche nel stato. [Ciò le ridonda a poco onore! dunque subito] a la receputa di questa la se degni farmi presente del p.to m. Antonio per homo morto e de tutta sua robba.... e questo serra causa de corroborarmi e fortificarmi in la bona speranza che tengo in V. S. Era davvero un'eccessiva pretesa in que' tempi, in cui i malsicuri signori si senti van costretti da' frequenti attentati a provvedere con spietata severità alla propria sicurezza personale. Lucrezia non ammetteva che- un suo desiderio non fosse legge per il galante cognato: offesa del rifiuto toccatole, esigeva ammenda solenne. Ma il marchese Francesco non s'arrese, a quanto pare, dacché il Tebaldeo (i) dovè espressamente tornare a Mantova per cotesta vertenza, che mise assai di malumore Lucrezia. Lo seppe a sue spese Polissena Malvezzi bruscamente licenziata da un giorno all'altro ; lei la dama tanto espansiva nelle let- tere, che abbiamo visto, al marchese Francesco. Quali motivi reconditi avevano mai determinato l'improvvisa disgrazia della Malvezzi ? Il Prosperi (i* gennaio 1505) da prudente cortigiano os- servava : La causa non la scio.... ma tengo che sua Ex. gli habii havuto gran ragione per conoscerla sapientissima (?!). Noi abbiamo invece ragione di credere che la Malvezzi fosse messa alla porta, unicamente perchè... un po' troppo curiosa nello spiare le mosse della duchessa, e troppo libera forse nel parlare di quanto vedeva. Ci dà il diritto d'affermarlo il constatare che anche assente da Ferrara, e ritornata alla sua Bologna, ci teneva ad essere prontamente informata sui flirts di Lucrezia e ne spacciava tra' suoi conoscenti le poco edificanti notizie. Bologna j dicembre ijoó, lett. cifrata di Giovanni Gonzaga al fratello : La Polissena nostra fu eri sera a cena qui mecho et fra li altri ra- gionamenti me disse che essendo venuto nova al Duca di Ferrara de la fuga dil Duca Valentino epso Duca di Ferrara corse alla camera de la Duchessa sua consorte per dirgelo et ritrovette lei et il Cardinale soli parlare insieme, dil che ne ristette molto suspeso esso Duca di Ferrara. (i) Il 2 dicembre 1504 il marchese Francesco ne scrive lungamente al Tebaldeo (Copiaktt., Lib. 184). 708 ALESSANDRO LUZIO 9 dicembre. Havendo mandato per Madona Polisenna per intendere chi gli haveva dicto quella cosa de Ferrara la me rispose che uno messo fidato che andava inanti e indreto da la Duchessa a lei gè lo aveva dicto et che l*aspectava de hora in hora uno messo cum nove de là et che la me faria intendere quanto el dicto gè reportaria. Questa sospettata tresca tra Ippolito e la cognata era interamente campata in aria: la voce che piacque diffonderne alla Malvezzi prova soltanto le sue disposizioni alla maldicenza, che di certo provocarono il licenziamento dell'anno innanzi. Nel gennaio 1505, più assai che da questi piccoli o grossi cancans di corte, tutti gli animi furono preoccupati dall'avverarsi d'una catastrofe lungo tempo temuta: la morte d'Ercole I. Secondo il Prosperi (26 gennaio 1505) : « il suo fine fo uno spirare senza « altra turbatione de facia », placidissimamente. 11 letto era circondato da' figli, che si diportarono pel momento « cum unione, « pace et amore » ; smentendo almeno allora le apprensioni, che dovevano in breve ricevere così spaventosa conferma. Giulio d'Este porse al fratello Alfonso la spada, emblema del dominio che ormai gli spettava. Toccava veramente l'onore di presentargliela al conte Uguccione (de' Contrari) « primo barone di u questo Stato », ma in sua assenza lo supplì volonteroso il fra- tello bastardo del neo Duca. Lucrezia, che alfine raggiungeva l'ambita dignità suprema in Ferrara, partecipò con tutte le sue grazie più seducenti alle feste dell'incoronazione d'Alfonso. La Duchessa che prima era stata a li pozoli a vedere el triompho... se gli fece incontro fina a l'ussio et inclinata cum facia alegra de l'uno e l'altro gli volse basare la mano. Lui la substene ed abrazata la bas- si© et a mano a mano se condusseno fina al foco.... Sarebbe facile su' dispacci ferraresi, pervenuti da vari corrispondenti a Isabella, ricostruire tutto il cerimoniale svoltosi allora nella capitale estense per condurre dapprima pomposamente al sepolcro il duca estinto, e festeggiar poscia il successore. Ne' funerali si spesero seimila ducati : il cadavere fu esposto al pubblico con la u carratera de 20glie a la gamba » (la giarrettiera); in elogio del suo magnifico principato prodigò tutti i più bei fiori ISABELLA d'ente E I BORGIA 709 della eloquenza umanistica Niccolò Panizzato (lett. 28 gennaio 1505 del Prosperi). Più assai degli apparati sontuosi in onore di Alfonso, che incatenavano lo sguardo di attoniti spettatori, interessavano Isabella le notizie riflettenti l'attitudine del fratello negli inizi del suo principato. Qual parte avrebbe assegnato alla consorte nell'amministra- zione? Quali innovazioni avrebbe introdotto per corregger gli abusi, infiltratisi, come sempre suol accadere, nella lunga vecchiaia del predecessore? Non solo il Prosperi, ma il segretario Benedetto Capilupi andato espressamente a Ferrara come rappresentante della marchesa, aveva incarico di riferire su questi argomenti con speciale diligenza. Ed entrambi ci rendon l'eco fedele delle voci che correvano tra' cortigiani, spauriti e trepidanti di una imminente disgrazia o speranzosi di sorti più liete. Il Prosperi galantuomo gioiva che Alfonso avesse ordinato una revisione generale amministrativa, esigendo che tutti gli officiali dovessero d'ora in poi star al syndicato, la quale parte è stata commendata et multo è pia- ciuta a tuta questa cita per le extorsione et magnarle grande introducte nel passato (lett. 24 febbraio 1505). Tremavano invece i non lodati autori delle « magnane » : e tra questi duole di trovare il poeta Ercole Strozzi, odiato a Ferrara per le sue rapacità, quanto caro a Lucrezia per lo zelo di arcani offici, che in breve esamineremo. Alfonso era sinceramente innamorato ormai di Lucrezia : i primi atti del suo principato dimostrano con qual deferenza intendesse trattarla, ove fosse veramente adatta a divider con lui il peso del governo. « L'à remesso lo examine de le suplicatione a la duchessa » (annunciava il Capilupi a Isabella il primo febbraio) : cioè le istanze de' privati al principe. L'avrebbero assistita nello spoglio e nelle dehberazioni il card. Ippolito, Niccolò da Correggio e altri cortigiani ; Niccolò Bendidio le veniva assegnato per segrerario particolare. Il Prosperi soggiungeva il 17 marzo che in quelle sue prime prove di amministratrice la duchessa, a quanto dicevasi, mostrava « ingegno e bona gratia ». Perchè l'etichetta aulica e le distanze non frapponessero impacci all'intimità coniugale il duca Alfonso fece subito stabilire più Arch. Stor. Lomb.^ Anno XLI, Fase. IV. 45 710 ALESSANDRO LUZIO rapide communicazioni segrete tra gli appartamenti. Alfonso (scrive il 31 gennaio, il Prosperi) fa alzare lo coperto de la via secreta che va in Castello, credo per poter andare e far venire Mad. a le camere sue, quando gli piacerà senza descendere in castello e per via più coverta. E di nuovo il 14 febbraio : Anche ha facto fare una lumaga quadra per la quale sua Ex. vuole poter venire de dieta via [coperta] in la piaceta senza far aprire la corte ni il castello et cussi de nocte come de dì. E infine il 27 marzo : Il S.re ha fornito le stantie sue de la via coverta e lì se retira quando non vuole fastidi da veruno... Sono lochi zentili e da vedere tante brigate quanto se vuole, et fra l'altre cose danno bello vedere a quella piaza, che per essere supra quelli volti et depincte da ogni fazata a l'antica dimonstra uno arco romano. Et mentre che lui è lì veruno non gli può andare se non cum licentia o alcuni che ha una chiave a mo' quelle de H inclaustri de frati. Sobrio ed economo, non intendeva che il bilancio di corte fosse gravato di spese superflue : esigeva ad ogni modo che andassero almeno a beneficio deirelemento locale ; perciò a poco a poco cominciò ad eliminare tutti que* forestieri e quelle forestiere (leggi : spagnoli) che Lucrezia aveva condotto seco a Ferrara. « V. S. (esclamava il Prosperi nell'annunciarlo il 4 giugno a Isa- ii bella) judicarà secondo il iudicio ne fa la più parte »: che cioè Lucrezia vedeva mal volentieri queste novità, tanto più avendo a temere che taluni poeti e cantori suoi favoriti, il Tebaldeo, il Tromboncino, fossero presto o tardi licenziati dall'inesorabile* Alfonso. Ma in quel primo anno del suo regno di duchessa, Lucrezia non sembrava occuparsi che delle sorti del Valentino (i) : gli incidenti della vita ferrarese la lasciavano quasi indifierente, tutt'assorta com'era nel seguire la vicende dell'amato fratello, pel quale osò persino invocare il magnanimo perdono del duca d'Urbino. (i) Da lei certo B. Capilupo avrà udito la fiaba che riferiva nel suo di- spaccio da Ferrara 3 febbraio I505: « El Duca Valentino è pur liberato et se è chiamato F, Gonzaga dallo Strozzi nel poemetto Ande (e. 49). Lo Strozzi padre poi aveva nel 1490 cantato l' Epitalamio : « prò diva Isabella sponsa ad maritum Mantuae e principem ». (i) Lett. del Prosperi 6, 15, 16 febbraio 1507: i cardinali Narbona e Cornaro « ballano in camera de la Duchessa ». Anche il Prosperi si prova a descrivere del suo meglio i vestiti di Lucrezia. ISABELLA DESTE E I BORGL\ 715 d'ambascia, procurando alla bella afflitta le consolazioni di Francesco Gonzaga? Veramente il duca Alfonso, sia pur ruvido e brusco nelle forme, dava prove di speciale 'delicatezza di sentire ne' riguardi della consorte ; aveva per esempio vegliato gelosamente perchè la notizia dell'uccisione del Valentino (i) non le giungesse se non gradatamente, per evitare un brusco contraccolpo sulla salute di lei, da cui promettevasi di veder coronate . al più presto le sue speranze di padre. Il Prosperi ci rivela in una lettera del 22 aprile 1507 questa gentile attenzione d'Alfonso: Per una staffata il S.^e scrive de mano propria essere verificato il Duca Valentino vivere et victorioso... Alcuni estimano chel Sj* habij facto tal lettera per confortarla. ILei come savia finge] creder quello che vuole il S.^e. Quando non si potè più occultare la sciagurata fine di Cesare, un frate eloquente fu inviato dal duca a Lucrezia, perchè la preparasse a sopportare il colpo virilmente. 11 Prosperi assicura che sul momento non le si vide cader dagli occhi una lacrima : ma le sue damigelle attestavano come dì e notte si crucciasse, chiamando a nome l'adorato fratello (25 aprile). Anche Isabella d'Este provò il bisogno di esprimerle cordiali condoglianze, alle quali Lucrezia rispose con proteste di riconoscenza vivissima (6 maggio): Rengr atio quanto più posso quella della doglianza chelli è piaciuto fare con meco in questo mio caso il quale vado tollerando con patientia.... Avrà mai pensato Isabella che i conforti più efficaci alla Borgia provenivano già* da suo marito Francesco? Lo scambio di messi segreti tra Ferrara e Mantova col tramite di Ercole Strozzi, che fingeva di scrivere a suo fratello Guido, cominciò per lo meno nell'estate del 1507 : lo pseudonimo di Zilio si trova già rammentato furbescamente in una letterina di Ercole, che ha appunto importanza perchè concorre a provare luminosamente l'intrigo ordito sotto le sue ali compiacenti. IlLmo et ex.^o S.^e mio obs.^o Non ho rimandato quello messo per fare ogni opra de bavere ri- (i) Per la morte del Valentino, cfr. doc. XX. 7l6 ALESSANDRO LUZIO sposta della lettera de ni. Guido, che se non fosse stata travagliata de mente M.a Barbara 1* haveria mo' havuta perchè Zilio non resta de sollicitare... Ferrarle die XXVII augusti MDVII. Schiavo fidelissimo Hercule Stroza. Per Madonna Barbara non vuoisi già, come a prima vista parrebbe, intendere l'amata d'Ercole, la Torelli, ch'egli tra breve avrebbe condotto clandestinamente all' altare, ma sì la stessa Lucrezia, per sviare ogni sospetto, nel caso che la colpevole corrispondenza fosse stata sorpresa dal vigile Alfonso. Il quale non era facile a lasciarsi buttar polvere negli occhi: e insieme al fratello Ippolito manifestava da qualche tempo una sorda irritazione pel cognato di Mantova. Il malumore originava dai piccoli attriti inevitabili tra corti vicine : solite a bisticciarsi per offese suscettività, specialmente nel caso che l' un principe avesse accettato a' suoi servigi un familiare licenziato, o fuggito, dall'altro. Tra Mantova e Ferrara v'erano appunto allora in corso parecchi di questi incidenti : Ercole Strozzi per poter meglio continuare l'opera sua di mezzano amoroso s'era sbracciato in pratiche conciliative tra Estensi e Gonzaga, e assicurava d'aver ritratto buon frutto dalle sue accorte parole. IlLme et ex.me Prin.... So che V. S. bavera preso admiratione ch'io non gli habia risposto di quanto la mi commise che io referisse per sua parte a lo ill.mo S.*" Duca mio et.... r.nio s.^ Cardinale, tuttavia spero la restarà satisfacta non essendo causata questa dimora se non per bene. 'Come giunsi feci l'ambasciata de V. S. allo ill.mo s.' mio et al r.mo s.' Cardinale, sepe- ratamente però : unde nacque tanta induggia, perchè Sue S."e disseno de essere insieme et che di comune consenso mi ordinariano quanto io havesse da rispondere. Successe eh' io fui indisposto alcuni giorni, et da poi le maschere, in modo che la cosa è andata in lungo sencia che vi sia stata neglicentia. Hora Sue Signorie mi hanno commesso ch'io ringratii V. Ex. della bona dispositione sua verso loro et che la certifichi che nel bene mai se lassarano vincere da lei, purché la voglia persistere in quella sua bona opinione et non li dare ogni altro dì causa de dolerse. Oltra le cause sopradette del mio tardare a scrivere a V. S. è anche stato che comprendendo li prefati ili. m» S.^' miei bene disposti ISABELLA DESTE E I BORGIA 7I7 verso V. Ex. non mi è parso molto necessario l'accelerare la risposta. Alla bona gratia de V. S. de continuo me raccomando. Ferrarie die li Januarij ijo8. Servus humillimus Hercules Stroza, Allo illmo et exj'^o S/e mio obs.^o lo S.re Mar se de Mantua. Ma che il giudizio dello Strozzi fosse troppo ottimista è provato dal fatto che gli irritanti battibecchi continuarono direttamente più aspri tra la cancelleria gonzaghesca e la estense. In lettera del 14 gennaio 1508 il marchese Francesco si lagna che a Ferrara accolgano suoi servi fuggiti (cosa ch'egli mai non farebbe, « non ca- « pendo nel cor nostro così ville acto »): in altra del 13 marzo si meraviglia che i cognati, pur protestando amichevoli disposizioni, finiscano poi per palesare immutato « animo de cercar nove « contentioni » [Copialettere, Lib. 199). Per troncare gli incresciosi dibattiti, dovettero porsi in mezzo i cortigiani più fidi e prudenti : Benedetto Brugi fattor generale del duca di Ferrara e Tottimo Bernardino de' Prosperi. Quegli il 16 febbraio garantiva d'aver trovato Alfonso inclinatissimo alla conciliazione, onde consigliava il marchese di Mantova d' inviare a sua volta un abile messo a Ferrara, con l'incarico di fare una bona bugada, mettendo tute le cose passate per niente et che per alcuno tempo più non se ne havesse a parlare né recordare, et dipoi passati questi disturbi Sua Ex. havesse ad venire a stare otto zorni cum la Ex. V. domesticamente et di poi quella venese a stare qui qualche zorno cum la solita sua domestegeza per dimostrare a cadauna persona la vera e bona intelligentia haveseno le S.rie vostre.... Il Prosperi, affannato nelF onesto desiderio di veder la pace tra padroni egualmente cari al suo cuore, scriveva il 17 febbraio a Isabella (trasmettendole una lettera per il marito) : A ciò la alligata venga salvamente et presto la mando per le poste sotto questa adrizandola a V. S. perchè come può esser certa V. Ex. voria veder saldare cum augumento de amore la reconciliatione del S.^" Duca vostro fratello et Sj mio cum lo ill.mo S.re March, suo consorte, quale ho per un altro singulare patrone, che Dio ce ne presti la gratia, acciò li maligni et insidiatori restino confusi et che vediamo tuti questi nostri S.ri vivere consolati insieme cum V. S. 7l8 ALESSANDRO LUZIO Malgrado però tutti questi sforzi di cortigiani dabbene la pace era tutt'altro che suggellata: la tensione durava ancora nell'aprile 1508, quando Lucrezia era vicina a un nuovo parto e per l'aspet- tato erede ducale si facevano i più grandi preparativi di feste a Ferrara. Si temevano anzi tali scoppi di gioia popolare tumultuosa, che molti prudentemente escogitavano già di porre al riparo gli atti pubblici e privati da qualche esiziale falò d' esultanza (disp. 25 marzo del Prosperi). Le brigate hano già cominciato a governare in locho securo libri et scripture publice et private che sogliono stare in lo palazo de la Ragione et in li officij per tema non fossino brusate. Costretto dall'urgente necessità di giustificarsi con la Serenis- sima a far una corsa a Venezia, il duca lasciò ordine che, se nella ^a breve assenza il fausto evento s' avverasse, Lucrezia non ne mandasse affatto l'annuncio al marchese di Mantova !... E' a questo punto che cominciano le lettere superstiti di Zilio: le quali nella grafia, nella carta, nell' inchiostro, in tutti i segni esterni si riconoscono senza fallo come scrittura d'Ercole Strozzi, per chi le paragoni con lettere firmate di lui, serbate nella stessa cartella (E. XXXI, 3, busta 1242). Pel contenuto basterà sottolineare i punti più significativi : o frammettere altri documenti sincroni ferraresi e mantovani, perchè appaia a luce meridiana la relazione, colpevole almeno moralmente, di Francesco Gonzaga con Lucrezia, così infervorata nella sua passione da non reprimerne gli slanci, neppur quando le prossime gioie della maternità avrebbero dovuto imporle un esterno rispettto a' suoi doveri di sposa, al suo pudore di donna. Oh forse aveva ella ragione di credere che Francesco Gonzaga non fosse estraneo... al lieto evento che si sarebbe fra breve compiuto ? Da accenni di Zilio parmi si debba escludere questo sospetto : la felicità piena era bensì da' due cognati sospirata e promessa, ma non parrebbe ancora raggiunia. Ma sentiamo senza altre superflue premesse le loquaci confidenze di Zilio, il quale molto appropriatamente aveva scelto gli pseudonimi di Camillo per designare Alfonso d'Este e di Tigrino pel card. Ippolito, ben degno d'esser così nominato dopo il feroce accecamento di Giulio! M. Guido mio car-^no. Ho havuto la vostra con tutte le mie et quella ISABELLA D ESTE E I BORGIA 719 de M.a B. che stano benissimo. Ho dato la sua a lei et l'altre al foco (i): ho inteso da Ja. (2) quello vi fu detto et ne havemo conferito M.a Bar. et io. Lei ninna volta ha dato commissione a M. che vi parli se non che lui disse che volea tentare de condurvi a Ferrara aciò vi repacificasti con Camillo et con Tygrino, et che quando facesse questo li parea fare grande impresa. Lei lo laudò et se vi raccordate io ve scrissi che lui ve ne dovea parlare. De retracto lei non gè ha detto cosa alcuna, ma dice che lui ne ha uno et che potria essere che per consigHo de M.a Lena (3) havesse facto quella offerta et che voi ha vele facto bene a risponderli per il modo havete facto. Li dole che siate stato infermo, tanto più che quello male habbia vetato il scrivere et più il venire vostro. Se voi venivi vi seria stato caro vintecinquemillia ducati et più : non ve potria exprimere la passione ne ha preso, sì perchè vi vedeva volunteri,sì perchè non havete mai risposto, che ne havete facto stare in anxia de sapere la causa. Se voi faceste come vi ho detto più volte alla fine comprendereste che io vi consiglio da vero servo che vi sono. Io volea che dissimulasti con Camillo et con Tygrino sino inanzi che vi fosse stato tolto quello vostro (4), che 50 non 1* haveriano mai facto, et bora che la cosa è ridotta qui judicaria fosse meglio anche a dissimulare che quando facciate altramente costoro ogni giorno cercarano offendervi hora in una cosa, bora in un'altra. M.a B. dice che vi scriva da sua parte che a lei pareria faceste questo che vi scrivo : voi sete prudente et intendete meglio de noi: pur l'amore che ve si porta ni fa raccordarvi el parere nostro. Non po' nocere et po' giovare, et quando non giovi in altro vi giovarà con M.a B. che vi certifico che v'ama: li spiace questa vostra tepideza, ma li piace che sete secreto, oltra mille altre parte che lauda in voi; foste pur venuto che vi ho augurato diece volte le gotte. De havermi scripto mio cugnato che voi havevi detto a Ja. che non volevi più scrivere de vostra mano per una certa rasa (5) che havevi inteso, fu vero che Ja. gè lo disse; non gè disse già che rasa fosse quella. Solo li disse quanto vi scrivo et è stato bono che lui me advisasse perchè la cosa andava più in longo, ni lui faria tristo officio, sì perchè so vi ama voi et me extremamente. M.a B. si è maravigUata che non gU haveti scripto a lei : sei vi pare, come mio cugnato viene, è bono li scrivate, et se vorrete vi si rimandarà sempre le lettere (6). (i) Le precedenti lettere dello Strozzi furon dunque da lui stesso distrutte, appena le riebbe da Mantova! (2) Forse si allude al Brugi. (3) Isabella d'Este. (4) A lagni del marchese Francesco per certo suo a regazo » fuggito, ed accolto dal card. Ippolito, allude B. Brugi in lettera dell'S marzo 1508. (5) Rasa, voce dialettale per frode, raggiro. (6; Lettere dunque compromettenti le autografe di Francesco a Lucrezia : e infatti nell'Archivio Estense di Modena non ve n'è neppure la più lontana traccia! 720 ALESSANDRO LUZIO Io veggo tanta bona dispositione in M.a B. che amandovi come so sapete che io vi faccio, voria che una volta fosti contento, ma il mio sollicitare non vale se voi manchate de soUicitudine. Io sono per exponerli mille vite per servirvi, che non ho altro dio al mundo che voi et mai mi trovarete se non sincerissimo in servirvi. M. B.a vi si raccomanda infinitissime volte et dice che facciate ogni cosa perchè vi possa vedere. Credo la S.ra nostra partorirà alla fine de questo : bora la sta bene, me vi raccomando di continuo. Mio fratello m'ha scripto da Roma che vi raccordi de un cavallo : come vederete per la qui inclusa. Tuttavia non vi sinistrate che sencia quello vi siamo servi de core. Ferrarie die XXIII Mariij ijo8. Vostro ZiLIO. Al mio m. Guido fratello. M. Guido mio car.mo. Roggi ha inteso M.a Barbara per una lettera che m'ha scripto mio cugnato che voi havete febre, et subito me ha com- messo che io mandi il mio ragazo con lettere a visitarvi : ho indriciato questa a mio cugnato che ve la mandi per Ja. Le dole assai del vostro male, et dice che vi prega poi che havete la commodità de advisarmi farli intendere alle volte come state et che non è così poco amorevole come sete voi. Ogni giorno ragionemo de voi et vi stringe a fare ogni opra per reconciliarve con Camillo perchè per ogni conto è meglio repacificarvi. Il Duca andò a Venetia beri con pochissimi. La causa credo sia perchè voleano gente. La Duchessa si expecta di bora in bora che habbia a partorire : dice M.a Bar. che se non vi advisasse li perdonate et accep- tate il bono animo (i). Quando vi bisogni bora airóni advisate che li manderò a Pietro del Bruno o a mio cugnato ove più vi piacerà, che ho dato ordine de haverne: et più dì sono ve ne haveria mandato se non fosse la causa sapete de Camillo. Me vi raccomando infinitissime volte et simile fa M.a Bar. Ferrarie die II aprilis ijoS, Tutto vostro ZiLlO. Al mio fratello carjtio m. Guido. (i) È ridicolo questo espediente di scusare la pretesa Barbara se non potrà annunziare il parto... di un'altra! ISABELLA D ESTE E I BORGIA 721 Il parto di Lucrezia avvenne il 4 aprile 1508: nacque quel giorno « Deum Soboi es » (come cantava nel suo Genethliacon lo Strozzi) Ercole II d'Este, in cui finalmente dopo tanti aborti vedeva Alfonso assicurata la continuazione della dinastia. La partecipazione officiale della duchessa fu portata a Mantova da Bernardino de* Prosperi per la sola Isabella ; l' inviato se ne scusò col mar- chese Francesco, certo per ordine di Lucrezia, con una letterina del 6 aprile, in cui annunciando la sua missione limitata personalmente alla marchesa soggiungeva: Il simile anche haria facto cum V. Ex. ma per non se essere scripto a S.re ni a potentato alcuno per lei ni a nome del S.^ Duca se non questa lettera che epsa ha facto qui non gh è parso de pigHarne più prosumptione, lassandone del resto la cura al p.to Sje suo consorte, quale se crede ne farà il debito officio cum V. E... E infatti da Venezia, 5 aprile, Alfonso scrisse al marchese Francesco : Essendo noi hozi advisati da Ferrara come la nostra ill.^a consorte.... beri ad bora XXI e megia ni parturite un figliolo maschio et che lei et il patino stanno bene... [lo annuncia ecc.]. Questi documenti collimano perfettamente con la lettera, che or inseriamo, dello Strozzi: egli rinnovava le scuse di Lucrezia, desolata di non aver potuto, per gli ordini tassativi maritali, communicare al diletto cognato la novella del parto felice. M. Guido mio car.mo. Essendo io andato a Lugo per torre la moglie del Conte Lorenzo (i) che era aggiunta lì da Pesaro, M.a Barbara ha mandato a posta per me, et comissome che vi scriva che quantunque la me havesse facto advisarve che non vi maravigliaste se non vi significava cosa alcuna del parto delia 5.''^ Duchessa tuttavia voiea per vostra contenteza advisarvelo, ma che Camillo non volse et similmente Tigri no. Da poi Camillo si consultò di scrivere lui et che lei se n'è dogliuta con loro dicendoli che la fano fare questo errore contra ogni debito, et gli ha detto che se intende che vi dogliate che vole ad ogni modo mandare publicamente un suo a fare sua excusa: et che quando a quest'ora non vi fosti dogliuto che vi dogliate in modo che possa venirli alle orecchie acciò possa mandare da voi. Se Bernardino (2) che è venuto da M.a Lena (3) ne refererà qualche cosa subito chel sia (i) Strozzi: altra prova evidente dell'identità di Zilio con Ercole. (2) De Prosperi. (3) È lampante qui la riprova che si tratta d'Isabella d'Este. 'y22 ALESSANDRO LUZIO qui mandarà. Volea mandarmi bora, gli ho detto che non è bono che io venga al presente perchè parerla che io venesse per questo. Non potreste credere quanta displicentia ha di tale errore et della perfidia di Camillo, vi fa intendere che è vostra et che non è persona volubile et che li comandate et vi vederla se fosse possibile molto volunteri. Dice che Camillo va domane via per le poste in Francia, vi si raccomanda infinite volte. Degnative de rispondere et della visitatione vi scripsi per l'ultima mia et per questa. Me vi racco- mando de continuo et simile fa vostra comatre. Ferrane die Villi aprilis ijoS. Vostro servo ZiLlO. Al mio quanto fratello car.nio Guido Cito cito. L' andata del duca Alfonso in Francia fu precisamente stabilita allora; Benedetto Brugi l'annunciava quasi contemporanea- mente a Zilio, scrivendo il io aprile : Lo ill.mo S.i^e mio mi ha comesso che io fatia intendere a la Ex. V. come mercori prossimo a dio piacendo se partirà da Ferrara per an- dare in Franza al Ch.mo Re. Si può immaginare dopo ciò con quale ardore il marchese Francesco si affrettasse a diradare possibilmente tutte le ombre di malumore e di rancore, che oscuravano i suoi rapporti col duca di Ferrara. Benedetto Capilupi fu mandato apposta a prodigare espressioni gratulatorie per la nascita d'Ercole : proteste d'amicizia cordiale, fraterna. Alfonso le accolse benevolo, fiducioso (lett. ii aprile del Capilupi) : dissemi credere veramente tutto quello gli diceva per esservi nato uno figliolo, et perchè il voleva essere tutto de V. Ex. alla quale havea facto scrivere per il factore corno havca deliberato andare in Franza et partire domattina... Poi lui medemo mi condusse a vedere il puttino et fecelo mudare, qua! è bello et ben compito d'ogni cosa. Con gioia sincera festeggiava il Prosperi la pace ormai conclusa, scrivendo a Isabella il 12 aprile : Da mio compatre D. Benedetto V. S. bavera la bona nova de la reconciliatione de li Signori nostri, la quale invero è sta facile mo* a persuaderla al S.' Duca per la bona opera che ha facto epso mio ISABELLA D ESTE E I BORGIA 723 compare dopo il batimento del factore et mio. [Si mostrò Alfonso lietissimo delle congratulazioni del M.se Francesco e delle sue] alegrece del figliolo nato. Ho predicato da ogni canto il nobile et signorile dono che me ha facto la S. V. per la bona nova gli portai et dictogli anche quello ch'io ho perso dal S.^ Marchese per non haverli portato una simile lettera. 11 che ho facto per il debito mio et per dimostrargli la bona mente che tiene le S.rie V. non tanto a li fratelli et cugnati ma anche alla S.^a Duchessa. Et per quanto mi è dicto tuti si sono pentiti che non me fosse dato una simile lettera a Till.mo Sig. Marchese. Quest'ultima frase conferma a capello le lagnanze di Lucrezia sulla perfidia di Camillo e di Tigrino, che avevan pensatamente voluto impedirle una diretta partecipazione della nascita d'Ercole al marchese Francesco. Partito il duca Alfonso per il suo viaggio di Francia, la puerpera Lucrezia aspettava che Francesco Gonzaga volasse a Ferrara per consolarla: Ercole Strozzi sollecitava il pigro e pavido amante, perchè troncasse ogni indugio, assicurandolo che sarebbe beato quanto mai potesse bramare. M. Guido mio car.mo. Ho avuto una vostra de mano de uno de li vostri, et inteso la causa perchè non havete scripto de vostra mano, che ne è dispiaciuto per il vostro male, che non potria dirvi tanto della affectione vi ha M.a Barbara che non ne fosse più, per quanta servitìi vi ho che lei vi ama assaissimo et asai più di quello che forsi voi pensate, perchè se judicasti che la vi amasse quanto vi ho sempre detto, sereste più caldo che non sete in scrivere et in tentare de venire ove lei fosse. Vi do la fede mia che vi ama molto et se voi continuate per li modi che io vi saperò mostrare se non haverete lo intento vostro doleretive de me che vi do licentia, non vi dirla una cosa per un'altra per tutto il mundo et son certo non habbiate servitore al mundo che facesse per voi più che me per quanto si extendeno le mie forze, sì che mostrate amarla caldamente che non vola da voi alcuna altra cosa Quando mi risponderete non mi rispondete circa questa parte, perchè* non voglio chel pari chel vi bisognino li sproni ad inanimarvi ad amarla, che so li parerla l'amasti poco. Ponete ogni diligentia in procacciare de venire da lei, che vederete quante carreze la vi farà et allhora comprenderete se io vi dico anche meno di quello è. M'ha facto sopratenire il messo perchè vi volea scrivere di sua mano, ma anchora gli vanno gli occhi attorno per la debelleza (i). Vi si rac- (ij di puerpera. 724 ALESSANDRO LUZIO comanda asai et dice che Camillo prima che se partisse li disse che havea piacere reconciliarse con voi et che voi tentate de farlo perchè potrete subito venire ove lei sera. La voria che io venesse da voi et poi non sa lassarmi partire da lei per sua compagnia. Scrivete a lei in ogni modo aciò non pari che siete freddo, me vi raccomando, vi scrivo un'altra mia da potere monstrare (i), vi suplico quanto più posso che vogliate mostrarmi che mi amate fori del generale. Mia moghe vi si raccomanda et vi raccorda ad essere suo compatre al tempo (2). Di novo mi raccomando ecc. Die XXV aprilis 1508. Ho detto a Jan. che parli con voi de la mia faccenda per raccor- darvela... Tutto vostro ZiLIO. Al mio fratello carjno Guido Stroza. L'inverecondia di Lucrezia si denuda interamente in questa lettera del suo mezzano : che sollecita il cognato all'amplesso dell'amata, fresca di parto, pur di cogliere l'opportunità propizia, offerta dall'assente marito. Era veramente così malato Francesco Gonzaga in guisa da non potersi consentire quell'escursione ferrarese: o ripugnava al suo carattere, in fondo, leale un'indegnità cosi aperta ; o lo ratteneva fors' anche il terrore per quegli Estensi, pronti a infierire ne' più stretti congiunti, come ammoniva l'ombra di Parisina decre- pitata col suo Ugo e il tragico spettro di Giulio e Ferrante, sepolti vivi? Non so : certo tra l'aprile e il giugno del 1508 Francesco Gonzaga non si mosse da Mantova ; il duca Alfonso con celerità straordinaria tornò di Francia il 13 maggio, indossando il lutto per la morte dello zio Lodovico il Moro (3) ; la mattina del 6 giugno. (i) Esiste precisamente un'altra lettera del 25 aprile, firmata Ercole Strozzi: era lettera ostensìbile, tanto per non far sorgere pettegolezzi in corte e sospetti tra' famigliari de' Gonzaga su questo continuo viavai di messi ferraresi. (2) Altra luminosa riprova che la M.« Barbara delle lettere di Zilio non è la Torelli, ma la duchessa 1 (3) Lett. 13 maggio del Prosperi sul ritorno d'Alfonso: « Pensi V. E. chel a primo salto fo a la S.'^* duchessa, et al figliolino suo, quale .ha trovato cum « miglior capitale che non lo lassiò x>. Altra lettera del Prosperi, del 29 maggio: « Se hebbe dominica matina publicata la nova del fine de la vita del Duca Lu- « dovico, la quale credo habij dato dispiacere a multi de nostri, ma più al Ba- ISABELLA D ESTE E I BORGIA 725 Ercole Strozzi giaceva crivellato di ferite sulla pubblica via, con le stampelle al fianco ! (i). XXll. Il sospetto che s'affaccia subito al pensiero, dopo i documenti ora scoperti, è che Alfonso avesse subodorato l'indegno mestiere a cui lo Strozzi acconciavasi con Lucrezia, e avesse voluto con fulminea vendetta toglier di mezzo un galeotto impudente. In una lettera del 2 dicembre 1507 Ercole aveva protestato al marchese di Mantova (per provargli la sua arrendevolezza in certa transazione di affari): « Se sono per exponere la vita per V. S. mille u volte rhora molto meglio le exponerò la robba » ; e questa frase lascia, a creder mio, trasparire evidente il pericolo che Ztlio affrontava ogni giorno, per favorire la tresca di Lucrezia. L'ipotesi della vendetta di marito offeso, da parte di Alfonso d'Este, è senza dubbio più seria e più verosimile che non l'altra, accreditata sinora (2) d' un suo preteso affetto deluso per Barbara Torelli. In realtà non si capisce perchè, se Alfonso d'Este avesse veramente bramato la Torelli, non avrebbe tentato altra via di possederla, e di sbarazzarsi d' un rivale così poco moralmente fiero com'era lo Strozzi. Una lettera di lui al marchese di Mantova ci svela che bassi interessi lo guidarono anche ad impalmare la donna del suo cuore. Il documento è tanto più prezioso, perchè scritto alla vigilia del matrimonio segreto : lU.mo et ex.mo S.re... Perchè è mio debito conferire cum V, Ex. tutti li miei pensieri per averla in loco de mio dio non che S.re i'adviso come per molti et molti respecti mi è forza a pigliare per moglie la mia M.» Barbara. Li rispecti dirò a bocca a V. S. uno giorno, et sono certo « rone et a cui haveva recevuto carecie e piaceri da Sua S. Il S.re veste de « bruna, ma se lo faccia per questo caso o per altra cosa non lo scio. Lui è « fuori de servitù et de li affanni de questo mondo ». (i) Luzio-Renier, La coltura d'Isabella, p. 203 : lett. 6 giugno di B. Prosperi, (2) Il Litta per esempio non sa decidersi tra due versioni ugualmente infondate : che Lucrezia innamorata di Ercole Strozzi Io facesse uccidere per gelosia della Torelli ; e che Alfonso ordinasse l'uccisione del poeta, per vendicarsi di Barbara, rapita alle sue brame!... (Famiglie, Bentiyoglio, tav. IV, e Strozzi, tav. V). Arch. Slor. Lomb., Anno XLI, Fase, IV. 46 726 ALESSANDRO LUZIO dirà che io ho raggione et sia certissima che non mi lego sencia molte cause. Mi dà in dote entrata per septecento ducati d'oro in Bologna, cosa netta, ma questo è il meno che mi muove. La supplico me ne dia bona licentia. L'uno e l'altro di noi sera sempre a ser- viti! de V. Ex. alla cui gratia di continuo mi raccomando, basandoli le mane in mio nome et in nome de la sua M.» Barbara. Ferrarle die XXILI sept. ijoy. Servus Hercules Stroza. Quali moventi reconditi spingessero lo Strozzi a legarsi, non osava scrivere : che fossero ignobili, se non bastasse l'accenno volgare alla dote, a cui egli pretendeva di non dare molta importanza, varrebbe a provarcelo il severo giudizio, pronunciato allora su quel maritaggio, da un galantuomo di antico stampo : Bernardino de' Prosperi. Egli scriveva a Isabella d'Este il 26 settembre 1507 : Heri se publicoe come m. Hercule Strozo era facto marito de m. Barbara, la quale secundo intendo ha de dote due. X.™ et cussi mo* haverano matre et figliola cum roba et se in tuto non gè sera l'honore, ad ogni modo il curre una stagione, che li poco se gli pensa per li moderni, ma ogniuno a suo modo?... (i). Che cosa intende dire il Prosperi con quella frase « haverano « matre et figliola cum roba » ? Una cosa semplicissima : Lorenzo Strozzi, fratello d'Ercole, aveva, come vedemmo dalla lettera 9 aprile di Zilio, sposata Costanzìa Bentivoglio (2), figlia di Barbara di primo letto. Uno sconcio pasticcio, giustamente deplorato dal Prosperi, compievasi dunque con le seconde nozze della Torelli : in quanto essa diventava cognata di sua figlia, mentre Ercole si cambiava in padrigno del fratello. La mostruosità de' rapporti di parentela si complicava con de' conflitti d'interesse, che Ercole Strozzi credeva assestati vantaggiosamente, mercè la fissazione della dote di Barbara in 700 ducati d'oro d'entrata « in Bologna ». Ma que' conflitti risorsero subito all'indomani della catastrofe del 6 giugno 1508: Barbara (i) La sua rigidezza di uomo di vecchio stampa affermava il Prosperi anche nel 15 IO (lett, io febbraio) censurando le caricature contro i veneziani affisse per Ferrara: Non bisogna offealer i nemici, na^ .«« Cugnata et soror hon. Essendo andate beri alcune de le mie donzelle al monestiero de S.ta Katarina da Siena a visitare quelle religiose cum la Mirandolina, la quale era inclinata de volere intrare in dicto monesterio deliberorno tre de loro, videlicet epsa Mirandulina, la Isabella mantuana et la Liona de Mosto, de non se volere partire de lie, che volseno essere aceptate da le diete religiose, et se ne veneno cum la girlanda in testa a casa, facendomi intendere il desiderio suo, quale era totalmente de andare in dicto monasteri©. Assai le volssi dissuadere a non volerli andare cusì presto, perchè se poteriano mutare de fantasia, et che essendo loro tre quelle che me gubernavano mi era necessario a fare altra prove- (i) C*è qualche furbesco rapporto col falconiere, di cui parlava Lorenzo Strozzi nella sua lettera del io febbraio 1509? Non si può né affermare né escludere. (2) Lett. del Prosperi, 20 febbraio 15 io: « Sore che sono intrate in lo novo H monasterio de S. Bernardino : Sor Lucretia q. del Duca Valentino in questo è « professa ». Vedasi l'articolo del Ricci, // figlio di C. Borgia, in Rassegna Contemporanea, anno II, n. 11. (5) Cfr. quest* Archivio, Serie III, XVIII cit., p. 425. 746 ALESSENDRO LUZIC sione, et che anche mi pareva prima de fare intendere a la S. V. questo desiderio de la Isabella et cusì a suo patre Mi respose lei de non volere dififerire et che aveano ordinato de andarli dimani che è marti, pur mi voglio sforzare di farle differire più che io poterò se il sera possibile, ma vedendo la ferventia sua pur de volerli andare mi pare de compiacerle et non volere essere causa di romperge questo suo desiderio et salvatione de le anime loro. Il tutto mi ha parso significare a la S. V. a la quale mi arecomando. Fèrr. UH aprilis ijijCognata et soror (nulla d'autogr.) Lucretia Ducissa Ferr. Era diventata così osservante delle pratiche esterne del culto Lucrezia, che anche a tavola si faceva leggere libri edificanti. Nel 1513 dando a Prospero Colonna un convito veramente borgiano per l'enorme quantità di vivande, tutte di magro, ond'era com- posto essa lo fece precedere, perchè tutto fosse in carattere, da canti chiesastici. La lettera, in cui il Prosperi narra di quel convito (i), accludendone il menu interminabile e indigeribile, ci dice che prima cura di Lucrezia all' avvento di Leone X si era stata quella di farsi rinnovare dal nuovo pontefice le indulgenze plenarie ottenute da Alessandro VI per sé e 25 famigliari a sua scelta (2). La figlia di papa Borgia aveva un modo tutto suo di intender la religione cristiana : appena udita la morte di Giulio II, s'affrettò a visitare non so quante chjese, per ringraziar Dio d'aver liberato il mondo da siffatto suo vicario ! Non le venne in mente di recitare un requiem per il defunto : ne di perdonare al nemico, come pur sarebbe stato obbligo elementare di buona cattolica (3). Presso Alfonso non sembra eh* ella mai perorasse perchè un atto clemente troncasse alfine le pene della prigionia de' fratelli. (1) Lettera del Prosperi 2 aprile 15 13 (doc. XXV), (2) « El papa confìrmoe la indulgentia plenaria a la S.ra Duchessa, clie « l*hebbe da Papa Alexandro per sé e per XXV che la elegesse, quale Sua S.i"»» « ha distribuito secundo g'è parso, ma anche a noi altri non ni è mancato con- « solatione spirituale, che dio ne sia laudato sempre ». (5) Lett. del Prosperi 25 febbraio 1513 : s'aUietan tutti che Giulio II sia andato « a guerrezare in altre parte.... La duchessa andete a multe giexie cum « boa numero de done a rengraciarne la divina M.tà ». ISABELLA d'eSTE E I BORGIA 747 Lo tentò Isabella più volte, ma invano (i) : la Borgia che avrebbe potuto spiegar assidua influenza a favor di que' miseri, si limitò ad assister, non vista, a un loro colloquio col capitano che li visitava ^lett. del Pròsperi, 21 giugno 1510) : Non voglio tenir più V. S. suspesa per la nova ch'io gè scripsi de advisarla, quale gè piacerla. Uno amico me dixe che la Duchessa col Barone e Hier. Ziliolo erano stati a visitare Don Ferrando e don Julio veneri p. et confortatoH ambi dui facendoli bon animo de una presta liberatione. [Fatte indagini] trovo ben che forono a vederli et ad audirli parlare col capitaneo ma non che epsi dentro potessino veder loro de fori, et per quanto me è dicto D. Ferrando se ne sta alegro, grasso et cum la solita gratia sua ; D. Julio pur alquanto più suspeso et poco macilento, ma deM'animo et col passeggiar solito suo. Checche blaterasse Aldo, nella dedica delle poesie dello Strozzi, esaltando in Lucrezia Vacerrimum judicium, Vacumen summum tngenii ; ammirando la gravità e prudenza ond'ella presiedeva ai pubblici negozi (« cogitur nam apud te Senatus w) in realtà nella direzione dello stato ferrarese non esercitò mai la Borgia alcun serio ascendente personale ; mandò completamente deluse le speranze del marito, che pur avrebbe voluto veder sua moglie rinnovare gli esempi di Eleonora d'Aragona a Ferrara, di Isabella d'Este a Mantova, El S.re (lett. del Prosperi del 12 dicembre 1509) ha dato X di nostri primi presso la S.ra Duchessa, li quali si reducono da lei et consultano le cose et provisione che se hanno a fare per la cita et per provedere al campo.... Et dicesse che Sua S.ria ze vole remettere le facende in mano de epsa, come haveva Madama, tutavia non vedo altro. 11 13 dicembre conferma che nulla si vede dell' operosità di Lucrezia : ripete i timori espressi già dal 2, quando osservava ; Non gè vedo quello ordine et quelli capi et consigli ch'io vidi in la guerra nostra 1482... (i) Lett. ad Isabella da Ferrara, di S. Cantelmo, 2 luglio 1508: a Quanto « al facto de mutar pregione al S.r D. Ferante io cum bon modo ò roto il « gacio cum il S."* mio dicendo che abenchè il suo delitto non meritasse pur « el Iraternalle amore strengia V. S. a pregarla che fusse conteuta meterlo di a sopra. Me rispose che non era in tristo luoco e che V. S. venirla a far fieli « a Frara e che parlarissimo inseme. Altre volte gè ne ho parlato... et non ne ha « mai voluto sendr nula, ma questa volta non se butate via secundo l'usato.... ». 748 ALESSANDRO LUZIO Qualche lustro conferì la presenza di Lucrezia alle feste date nel 151 1- 12 in onor de' francesi prima, in sollievo poi de' prigionieri condotti a Ferrara dopo la battaglia di Ravenna ; tra* quali brillava Fabrizio Colonna, malgrado l'età matura, tutto ringalluzzito in mezzo alle damigelle della corte estense. Una di esse l'aveva stregato, e lo stagionato ganimede si sfogava a dedicarle sonetti^ capitoli.... Per le sue feste, le sue galanterie, il soggiorno di Ferrara faceva allora venir l'acquolina in bocca del pari a francesi e spagnoli (doc. XXV) : ma ad onta delle enfatiche manifestazioni in sua lode da parte degli ospiti riconoscenti, nulla rivela mai che Lucrezia seguisse e dominasse gli avvenimenti con la passione e l'accortezza politica della cognata ; tutto in lei denotava superficialità, incertezza di criteri, incapacità d'azione. Alfonso, che alla sorella confidava ogni suo pensiero, e l' in- vitava per esempio nel 1513 a ottener destramente dagli emissari imperiali e dal duca di Milano, comune nipote, la restituzione di Modena (i) finì per riguardare sua moglie semplicemente come una macchina da figlioli e averla cara soltanto per la sua fecondità continua, se non sempre felice. Assistito com'era dal fratello Ippolito, lasciava Alfonso tanto più volentieri in disparte la moglie : le affidava tutto al più la gestione di modesti affari economici, quando le enormi spese di guerra rendevano necessari de' prestiti onerosi e de' pegni umilianti (2) ; o le commetteva il disbrigo di piccoli dettagli d'ammi- nistrazione, in assenza del cardinale e del duca. Così avvenne nel 1518, allorché ne' dispacci del Prosperi vediamo Lucrezia compiacersi di intercalare alle sedute co' ducali (i) Lett. di Alfonso, 10 settembre 1513. La prega a perorar la sua causa col Gurgense : Isabella a: è un altro mi ». Parli pure al duca Massimiliano Sforza. « V. S. porrla persuadere al p.to S. Duca che la restitutione di Modena seria « non poco a proposito di Sua Ex. per rispecto di Parma et Piasenza.. potrìa a esser causa di più facile resolvere del Pontefice in la restitutione di diete « terre ». (2) Lett. d'Isabella a Lucrezia del 2 aprile 151 3 : le rimanda e una perla 4 grossa »,data in pegno a Mantova, durante la guerra con Giulio II: « Le cose . — Risposta di Lucrezia del 14 aprile: « Le zoglie che ci ha mandato V. S. honorae ranno molto il S.i Duca in questa andata a S. Zo. Laterano de N. S. ». ISABELLA D ESTE E I BORGIA 749 consiglieri le lezioni del figlioletto precoce Ercole, versatissimo già nel latino (i). Eran dolci compiacenze materne, che supplivano ormai i divertimenti mondani, da cui ogni giorno più si andava Lucrezia staccando. Non più amava con le sue donzelle curiosare alle finestre del palazzo, cianciando su' passanti (2) : non più la bizzarra audacia delle vesti, anzi una tendenza severa a infrenar il lusso e i pervertimenti della moda (3) ; limitate d'assai le feste sontuose, del resto poco meno che intollerabili a chi era avvezzo al brio della corte di Mantova (4). Appena qualche giullaressa, più idiota che altro come Caterina Matta (5), aveva Lucrezia serbato dell'antica costumanza di premiare bufi"oni osannanti al suo nome. Letture ascetiche, meditazioni sui miracoli di Dio e de' santi, sulla necessità di espiare i falli commessi (6), visite a chiese e (i) Cfr. Isabella d'Este nelle tragedie della sua casa, p. 30. Il Du:a, « de (f poche parole e (avvezzo) de lui parlar manco », secondo il Prosperi, (disp. 26 novembre 15 18), fini per addossarsi anche la corvée delle udienze, trovandoci gusto (lett. 6 settembre 15 18): « La ex.t>a del Sje persevera de bene in meglio « in la audientia et examine ogni matina... il monstra pigliarsine piacere maxime a de l'audientia, come me ricordo dire vostra matre de jocundissima memoria « et invero la è cosa signorile et de contento grandissimo a subditi et a chi la (( dà sei tutto ben si considera et a vedere che veruno può persuaderse de potere a troppo cuni Sua S."a ma tuti andare quasi al paro ». Certo, Alfonso non si sarebbe piegato a questo carico, se la moglie ne lo avesse, con la sua speciale abilità, esonerato. (2) Lett. del Prosperi, 8 gennaio 1508: Madonna se ne sta quasi tuto il « giorno al fenestrone de la sala grande, dove.... ha fato serar de tapezarie et li « cum le sue done et cum le altre curiale pigliano piacer de vedere e de voler « conoscere quante [maschere] vanno intorno... ». (3) Cfr. Luzio-Renier, // lusso d'Isabella d'Este, p. 27, e doc. XXV. In genere, Lucrezia era portata negli ultimi anni a molta severità nel far rispettare leggi e regolamenti; lett. del Prosperi, 16 maggio 15 18: « La S.ra Duchessa è « restata al governo et expedi tione de quanto occurre qui al presente. Vero che a cum Sua S. se stringe a le volte li magistrati de la terra, secondo che accade « a conferire le cose. Et sin qui se sono squassati alcuni presi senza lume la a nocte, in modo che ognuno assai se guarda de non incaparli ». (4) Lett. da Ferrara, 5 febbraio 1518 di G. Tommaso Manfredi ; descrivendo le feste della duchessa esclama : a Per esser io uso a quelle di V. E. mi gene- « rano tanto fastidio queste che mi pare mill'anni » di tornar magari in Ungheria! (5) Cfr. su costei Luzio-Renier, Buffoni, nani e schiavi dei Gonzaga, p. 41. (6) Sua lettera al marchese Francesco del 24 gennaio 1519 su certo miracolo : >, di pieno accordo con tutte due) e ordina che il richiedente abbia la terra che domanda e 1' altra parte la terra che il primo cede, ciascuno nello stesso modo e nello stesso rapporto giuridico, come aveva prima la sua, a fitto, in feudo o quale allodio : nei nn. 2.8 aggiungesi una somma di danaro a completare i valori che si permutano. Alla seconda delle parti la terra viene attribuita « prò henscontro » o « incontro », parola notevole che vale evidentemente in contraccambio e che si usa altrove nel senso di contradote, quindi in modo analogo (Fertile, Storia dei diritto italiano, IV, §111, nota 27). Dell'ingrossazione non si ha più alcuna traccia negli statuti di Pavia del sec. XIV e non fa alcun cenno il Robolini nelle sue Notizie. In questa occasione è opportuno ricordare che se ne ha qualche notizia, per quanto scarsa, intorno allo stesso tempo anche per Cremona. Ivi si incontrano pure almeno negli anni 1208-10 degli u ingroxatores comunis », in numero di due, ma essi appariscono nei documenti con attribuzioni alquanto diverse : nel 1208 e nel 1210 una vendita di terra si fa da laici ad ecclesiastici col consenso e col precetto degli ingrossatori; nel 1209 i due ingrossatori costituiscono un tale loro « missus ad intrare in tenutam " di certe terre, per la contumacia dei canonici a cui prima appartenevano le medesime (^Cod. diplomat, Cremonae, edito da L. Astegiano, V. I, pp. 212-213, nn. 85.92; li, 183, e Muratori, R. L S., VII, 646). Qui non abbiamo dunque alcun cenno relativo al particolare ufficio da cui quel magistrato prese il nome, ma l'identità di questo e l'uguaghanza del tempo permettono di concludere che l'istituto sia sorto anche a Cremona in forme e con intenti uguali alle altre città lombarde. Alessandro Lattes. 756 VARIETÀ DOCUMENTO. Anno dominice incàrnationis millesimo ducentesimo decimo indictione tertia decima die veneris primo mensis ianuarii, in presentia Ottonis Rubbe ingrossatoris terrarum constituti a comuni Papié, Syndicus monasterii Theodotis postulavit unam peciam prati Cavalchi de Tro- niello nomine infrascripti monasterii propter statutum ingrossamenti, positam in territorio Zenevreti in prato burnengo, et est pertice tres et tabule septem, coherent ei a mane rivus a meridie infrascriptum monasterium a sero Mussus Gonbertus ab aquilone Monasterii sancii Bartholomei in strata et erat eius feudum ex parte Tortorum. qui infrascriptus Otto, visa infrascripta pecia prati et visa infrascripta pecia prati infrascripti monasterii que iacet in territorio infrascripti loci in prato pertenasco et est pertice tres et tabule seplem, coherent ei a mane filii Henzilerii de Cella nova a meridie et aquilone monasterium Theodotis a sero in parte infrascriptus Cavalcus et in parte Nicolaus Muricula et erat allodium infrascripti monasterii, pronunciavit per sententiam ut predictum monasterium de cetero habeat et teneat infrascriptam peciam prati que erat infrascripti Cavalchi per allodium propter statutum ingrossamenti absente ipso Cavalcho, et ipse Cavalchus habeat et teneat prò henscontro infrascriptam peciam prati que erat infrascripti monasterii per feudum ex parte infrascriptorum dominorum, habendo ipsi domini idem ius et locum in ipsa petia prati quod et quem habebant in illam quam infrascriptus Syndicus postulaverat. Infrascriptus Otto plures cartulas inde fieri iussit. Interfuerunt testes Henricus Sagia et Syghelbaldus de Bellese testes. Ego Rufinus de Manicella sacri palatii notarius hanc cartam scripsi. (R. Arch. di Stato di Milano, Pergamene varie: Pavia, fascio 206). Note di identificazione degli altri documenti. 1210 7 agosto Pergam. del Mon. di Pusterla fas< io 188 „ 14 novembre „ „ „ del Senatore „ 203 1211 7 giugno „ „ „ di S. Bartolomeo „ 190 1224 8 dicembre „ „ „ di Pusterla „ 188 Ingrossatori 1210 agosto e novembre Bernardo de Roglerio. 121 1 „ Martino Cristiano. 1224 „ Bignoto de Zuminasco. Parti 1210 agosto II monastero di S. Teodota e Gio- vanni Breoni. „ novembre II monastero di S. Pietro in Ciel d'oro e Ottone de Caneva nova. 1211 „ La chiesa di S. Michele maggiore e S. Bartolomeo. 1224 „ Monastero di S. Teodota e Lo- franco Rapa. Località Notai VARIETÀ I2IO agosto Zenevreto. » novembre Bardabiago. 121 1 » Spayrano. I2I2 „ Zenevreto. I2IO agosto Iacopo de Sancta Mustiola » novembre Olderico Pastorino. I2II 1224 » (manca nelle copie). » Ziiio de Zuminasco. 757 Un problema di storia vigevanese. INO dei punti nien discussi e men discutibili nella storia vigevanese sembra l'affetto che gli antichi abitanti della città, sudditi degli Sforza, nutrirono per questi lor duchi, e in primo luogo per il Moro. Scrittori e tradizione son concordi nelì'attestare simile affetto, e la concordia scende, a tacer di Simone del Pozzo, il famoso cancelliere, dal cinquecentista Sacchetti, il quale in una iperbolica apoteosi di Lodovico affermò che i Vigevanesi non potevano ricordare « sine dolore w la morte di quel duca che fu « urbis, sin minus conditor, certe quidem refector, u amplifìcator, et, ut ita dicam, reaedifìcator, vere pater patriae, non « dominus, amator, non dominator.... » e che « denique, ut rei exitus u in execrabili illa inauditaque Helvetiorum perfìdia docuit, Vigleu vanensium salutem suae ipsius vitae anteposuit, quae si longiuscula « fuisset non multum sane nunc foret, quod Viglevanum caeteris In- « subriae oppidis invideret » (i), dal Sacchetti, diciamo, fin proprio a noi: sullo scorcio del 191 1 un conferenziere non solo ammoniva i suoi uditori con parole volanti, ma poi anche stampava che Vigevano u dovrà in eterno ricordare » il Rinascimento « ad onore di quel « Moro, con tanta ingratitudine oggi obliato, che lei riduceva a « città a lei donava scuole e fecondava i campi, lei favoriva d'in- « dustrie, di commercio e d'agricoltura razionale, e lei eternava in « insigni monumenti coi più celebri artisti del tempo, mentre la M pace, ottenuta e mantenuta con la forza potente e pronta e con « l'arte di stato, rendeva gioconda la vita fino al più umile degli « agricoltori » {2). Qui, ognun lo sente, parla non già Io storico (i) Sacchetti, De Vigìevano Encomium, in Appendice alle Memorie storiche del BiFFiGNANDi, Vigevano, 1870, p. 350 e sg. (2) Rossi Case, La nostra educazione fisica, in Corriere di Vigevano, io di- cembre 191 1, n, 53, Arch. Star. Lomb., Anno XLI, Fase. IV. 48 758 VARIETÀ raccolto, circospetto, obiettivo, bensì il conferenziere che nei placidi ozi d* un pomeriggio festivo rilascia la loquela a sgorghi fantastici e dietro il carezzevole romor dell'onda scorre.... alle gio- conde isole Fortunate. Ma il fatto è significativo : dimostra che cosa, poco più poco meno, è divenuto il Moro per noi vigevanesi. Or come va che nel 1499, piombati giù i nemici, Vigevano li ricevette, si direbbe, con piacere, non solo, ma poi (ch'è tanto peggio ! ), quando lo Sforza tornò e già varie terre del ducato Tavean di nuovo ricevuto, soffocò un moto a lui favorevole, gli serrò le porte in faccia e resistette alle sue armi tenacemente, ostinatamente, sfidandone l'ira e la rabbia devastatrice fin sull'orlo d'una rovina terribile, forse irreparabile, dalla quale potè a stento salvarsi col riscatto di ben 10.000 ducati ? Si tradiscono dunque, si respingono, si voglion rovinati e morti i benefattori per cui nutriamo in petto devozione, gratitudine, amore eterni nei secoli? Ecco il problema. . *^ Dire risolutamente, con l'animo franco da ogni incertezza, che quel memorabile affetto è un'induzione leggera ed erronea degli scrittori, come se unicamente dai progressi innegabili che Vigevano fece al tempo e per l'opera di Lodovico, essi, contro ogni verità e senza curarsi d' indagare quanto gli esaltati progressi costarono ai cittadini, abbiano creduto lecito arguire che questi amavano il famoso duca, non sembra possibile. Già, se non impossibile, sarebbe stato certo difficile che una simile tradizione d'affetto riuscisse a imporsi tirannicamente a tutti quanti, soffocando ogni altra voce, ogni altra considerazione discorde ; ma poi conserviamo ancora memoria di fatti che quella tradizione paion confermare saldamente in onta ai dubbi più ragionevoli. Che nel gennaio del 1489 il consiglio comunale deliberasse di regalare una « bacilla n, un « bronzino » (i) e alcuni « drapos » (2) alla duchessa quando fosse arrivata a Vigevano, non è cosa da rilevare come prova d'affetto o di devozione : è l'offerta solita, ne sappiamo quanto fosse spontanea. E lo stesso convien pensare (i) Si pensava di spendere L. 800. Convocati del Consiglio Generale, 22 gennaio 1489. Le fonti a cui attingiamo son questi Convocati e quelli del Tribùbanale dei XII di pro-vvisione, tutti conservati nell'Archivio civico di Vigevano. Guasti di varia natura li rendono purtroppo molto lacunosi. (2) C. C. G., 25 gennaio e i." (?) febbraio 1489. 41 VARIETÀ 759 delle feste per la nascita di qualche principino o per altre.... gioie della casa regnante (i). Ma più diffìcilmente sapremmo negar valore a una deliberazione presa fra il 14 aprile '99 e i primi del successivo maggio, anche se non volessimo concedergliene quanto alla prima lettura sembrerebbe meritarne. Sia pur essa scaturita, diciam magari sfuggita, dall'animo dei consiglieri in un'ora di viva commozione per un grande benefizio ricevuto, in una di quelle ore in cui l'animo nostro preso e dominato da un unico sentimento ama con accorata tenerezza, con devota gratitudine una persona da cui siam stati beneficati^ non solo, ma crede d'averla ad amar sempre, dimentico di riflettere o restio a dar peso alle riserve che si potrebber fare sulla spontaneità e generosità del benefizio, illuso che nessuna circostanza futura come nessun ricordo del passato riuscirebbe a togliergli il pensiero del bene ricevuto ! Ma anzitutto non pare che il consiglio fosse troppo facile né a illudersi né a largheggiar in ringraziamenti più o men fervorosi, in proteste di devozione o in promesse di fedeltà a scadenza più o men lontana. Correndo, per esempio, il maggio del 1488, il duca, « in compensatione one- « rum supportatorum et que in dies supportantur per homines et u comunitatem Viglevani w, propone d' esimere il comune dalla tassa cavalli ; « multum caripenderet » però che facesse costruire un « tuburium » nella chiesa di S. Ambrogio: egli fornirebbe il disegno e i mattoni. Il consiglio risponde asciutto asciutto : invece di quella tassa pagherò, se crede, 400 ducati ; ma della fabbrica non intèndo occuparmi (2). Poco dopo si ritenta la prova. Ambrogio Ferrari, « ducalium laboreriorum comissarius », il 22 maggio annunzia al consiglio che, per compenso dei tanti oneri, il signore concede al comune L. 5000 imper. sulle proprie entrate del 1492; aggiunge però che vuole si abbatta la nuova chiesa inalzata nel castello e si adopri il materiale per costruire il tiburio in S. Am- (i) Tr. XII, 25 e 28 gennaio 1493. Nel secondo consiglio si dice espressimente che i falò vennero deliberati in conformità degli ordini ducali. Anche la deliberazione del 25 di far falò può essere stata presa o per ordini non accennati o perchè si sapeva che gli ordini sarebbero venuti. I falò, le processioni, le scampanate per il matrimonio di Bianca con Massimiliano furon ordinati (Tr. XII, 1° dicembre 1493). I regali ai nunzi che portavano le buone notizie erano consuetudinari. (2) C. C. G,, 18 maggio 1488, Di alcuni fatti ricordati nel presente articolo abbiamo già toccato in qualche altro lavoro. Vedi, per esempio, quest'Archivio, a. 19 14, fase. l-II. 760 VARIETÀ brogio : « multum caripendit et carum habet " che il comune ne faccia le fondamenta per il i" ottobre; egli darà la calce. Ma quello non s'arrende: offre di cedere al duca le entrate dei forni negli estimi di Costa e di Valle per otto anni, a cominciar subito da allora ; incaricarsi di abbattere la chiesa o di costruire il tiburio, o solo le fondamenta, o altro, no ! E delle 5000 lire imperiali non un ringraziamento, una parola ! In secondo luogo la deliberazione cui ci riferiamo è tale, che non può né ridursi a un semplice atto di formale cortesia, né lasciar supporre malanimo recondito o appena indifferenza. Ciò sente, crediamo, da sé chiunque la legga, tanto più ricordando da quali continue e ingenti spese era allora tormentosamente dissanguata Vigevano. Certo nulla é impossibile a questo mondo, e mai verrà fissato l'estremo limite della viltà umana ; ma difficilmente, secondo noi, potrebbe alcuno sentenziare : il consiglio comunale, liberato da qualche peso gravissimo, afi"errò cupidamente il beneficio e in compenso dei denari ebbe il vile cinismo d'invocar dal cielo ogni benedizione sur un principe di cui avrebbe in quel medesimo istante sperato e invocato, con ben altra sincerità, la rovina, e che si sentiva pronto a tradire. O le amabili consuetudini dei principi erano ben radicate e fiorenti anche tra i sudditi? Per lo stato del volume in cui gli atti furono raccolti, non possiamo più sapere che cosa il Moro avesse concesso ai vigevanesi, ma la deliberazione del consiglio, non ostante le lacune, riesce ancora abbastanza chiara e significativa. Leggesi infatti: « Quibus » auditis prefati D. Consiliarij.... amorem (?) et benignitatem p. t* « 111.™' et Ex.™'.... Ex. Sue infinitas retulerunt et refferunt semper « gratias offerentes se cum personis et facultate semper ad obse- « quendum mentem p.*' 111.™' [et Ex.™'?] principis orantes ad Deum « omnipotentem ut dignetur (?).... 111.™' principis conservare augere « et defendere ac manutenere in bona.... » ; Ordinano che si facciano elemosine a varie chiese « quae « omnes dicant missas et officia per totam ebdomadam dantes et « referentes gratias infinitas omnipotenti Deo creatori nostro de « tanto dono et gratia qui omnipotens Deus dignetur p.^'^™ IH.™ M principem nostrum in omni prosperitate w (i) ; si inserisca la lettera ducale nel volume degli statuti « ad per- « petuam rey memoriam » (2); (i) Il verbo manca. (2) Non l'abbiamo trovata. < VARIETÀ 76 1 Filippo Vastamigli porti a Milano 7 od 8 braccia « drapi fini » a un amico del comune, come gli sarà ordinato dai consoli e dagli ambasciatori, e lo ringrazi ; si scrivan lettere al duca « referentes infinitas gratias Ex* Sue u de tanto munere facto comuni » : gliele porterà lo stesso Vastau migli (i). Ne è tutto qui. Chi volesse insistere a ribadir con fatti ancora ignoti che i vigevanesi sudditi del Moro amavano questo lor principe, potrebbe noverar altri ringraziamenti, altre proteste di devozione, potrebbe, meglio, illustrar come essi prepararono la resistenza contro i Francesi. E giacché noi intendiam cercare non di sostenere una tesi ma di risolvere un problema, otterremo senza dubbio la facoltà di metter qui innanzi ciò che può agevolare il compito proposto, imparzialmente. Faremo dunque, più che altro, perchè basta ed è.... economica, Tenumerazione degli argomenti favorevoli alla tradizione e soprattutto, a così dire, la cronaca rapida scheletrica, ma, quanto è possibile, compiuta dei provvedimenti presi contro i nemici. Subito intanto avvertiremo che solo rare volte il consiglio tentò di sottrarsi a qualche ordine ducale troppo, forse, gravoso : ordinariamente fece, sembra, del suo meglio per eseguire la volontà del Moro (2), Tr. XII, 6 aprile 1499 (3). La notizia che si ricava da questo consiglio è indiretta : oratori andati a Milano per chiedere il compenso spettante ai proprietari delle case abbattute nell'estimo di Costa ove fu costruito il « revellinum arcis nove », non hanno potuto ottenerlo, mancando della procura dei creditori {4). Tr. XII, i.° maggio (5). Una lettera ducale del 27 aprile, por- (1) C. C. 6r., cons. successivo a quello del 14 aprile 1499. Poiché si delibera anche di mandar copia della lettera ducale al capitano della Lomellina a prò « obviandis expensis », forse doveva trattarsi d' una concessione per la tratta dei grani. (2) Nel 1493, desiderando Lodovico far costruire certe mura per l'amplia- mento del comune, domanda se questo sarebbe disposto ad assumerne il carico : il consiglio risponde che « libenter compiacerei a tal desiderio, ma chiede d'es- serne dispensato perchè e hoc est onus insupportabile comunitati » : TV. XII, I.» marzo 1495. (3) Per maggior speditezza indichiamo nel testo la data dell'adunanza del consiglio onde ricaviamo le notizie. (4) Per scrupolo dobbiamo avvertire che si ignora quando il rivellino fu costruito : crediamo, da non lungo tempo, perchè l'espropriazione non potè non essere un grave provvedimento di difesa. Il debito confermerebbe la nostra sup- posizione, se la camera non fosse stata lentissima nel pagare. Così ignoriamo in quale misura la detta camera concedesse tali indennità. (5) Sono insieme anche alcuni membri del consiglio generale. 762 VARIETÀ tata a Vigevano il 30 successivo da Baldassare da Casorate, dice che per fortificare certe terre del dominio occorre tagliar legna nei boschi del Ticino. Partito il Casorate, Bianchino de Palude, castellano e commissario di Vigevano, ha ordinato ai consoli che per il 2 maggio provvedano un certo numero di « laboratores » per tagliare quella legna nella valle del fiume « super finibus Vigle- « vani w. I consiglieri ordinano « mentem 111.™» principis omnino « observari debere et transmitti personas idoneas ad p.^o"» ^ m « D. Baldasarem Mag.^ Sue habeant notificare bonam voluntatem « et fidem diete comunitatis ipsam comunitatem recomitendo M." « Sue et inteligant et instructionem habeant ab eius M.» quid « agendum sit super premissis et quicquid ab eo reportabitur refe- « rant comunitati seu agentibus prò ea ut super eis debita provisio « fieri possit ». Mandano Girolamo Cocchi e Filippo Vastamigli. C. C. G., primi di maggio (i). Una lettera ducale, del giorno 2 pare, trasmette disposizioni « de reparatione et fortificatione « fienda terre Viglevani >». C. C. G., ?. Si danno disposizioni per i lavori : illeggibili. Tr. XII, IO maggio (2). Si leggono lettere ducali « commenda- « torie de bona mente hominum terre Viglevani circha reparatio- « nem terre predicte imponentes quod cum celeritate reparatio « predicta fiat » : ordine di mandar uomini nella valle del Ticino a tagliar il legname occorrente. E poiché Eugenio de Concorecio si lagna che nei terreni a lui toccati nell'incanto della Podazera son già stati abbattuti molti alberi, e non vuole se ne taglino altri, « sed quilibet supleat prò sua ratta », il consiglio manda un servitore da quei ^ laboratores » affinchè risparmino « prò nunc » il ricorrente e « aliter provideant prout campariis ducalibus vide- « bitur ». Di più ordina « pobias grossas » dell'incanto di Gian Giacomo da Cassolo « incidi debere et reduci prò ponendo in re- « paratione predicta ». Tr. XII, 25 maggio (3). Giorgio Trabessen di Boemia (4) « du- (1) Per lo stato miserando del volume, più volte non possiamo che indicare le date approssimativamente. (2) Con « adiunctis » del consiglio generale. (3) Veramente dice 0: consilium dominorum duodecim deputatorum super « negocijs reparationum fiendarum ad terram Viglevani », ma i nomi son quelli dei XII di provvisione. Perciò indicheremo i consigli di tal commissione col solito Tr. Xll. Anzi, avvertiamo qui, per sempre, che più volte nel consiglio intervenne un numero di persone assai maggiore di dodici : certo, per la gravità dei momento e per il bisogno di provvedere con sollecitudine saranno interve- nuti, oltre i consoli, anche membri del consiglio generale, come abbiamo già visto. (4) Detto altrove Giorgio Teutonico. VARIETÀ 763 « calis ingignerius super fabricha reparationum, transmissit instruc- « tionem prò reparationibus fiendis terre Viglevani » e vuole si provveda subito. Il consiglio ordina « provisionem fieri quod mens « Ill.™> principis nostri exequatur et debita provisio circha predicta M fieri » : il legname tagliato per le fortificazioni si trasporti in paese e s'impieghi ove occorre ; si trovino carri, « laboratores », creta, paglia e quant'altro è necessario ; Rolando Quaglia e Bar- tolomeo Cassinario vadano a Milano « ad petendam comparitionem « hominum et aliorum qui habent interesse ad adiuvandum fieri 4i dictam reparationem secundum ordinationes ducalles et contra « illos de Barbavariis ». Di più elegge Niccolò Chiesa, Domenico Ragni, Rolando Cocchi, Ubertino Silva e altri « prout D. consu- « libus videbitur et prout expediens ponen. ad illa exercitia prout « ipsis videbitur et prout erunt apti ». C. C. G., maggio (?). Sembra per le richieste del citato ingegnere, il consiglio ordina « prò una vel duabus vicibus » un lavoratore per casa. Tr. XII, 28 maggio. Occorrendo fascine e altro legname, delibera che si prendano nei boschi del comune; che Giampietro Parona provveda lavoratori oltre il Ticino, e che i consoli scelgano « personas idoneas qui teneant contum de laboratoribus, de lignis « et de conducta ». Come « contrascriptore » del comune, con Filippo da Crema ingegnere ducale, nomina Michefino Podessi. Tr. XII, 31 maggio. Conforme a lettere ducali del 28, si deve provvedere all'alloggio di 50 stradiotti albanesi coi loro cavalli. Il consiglio s'accorda con tre osti, uno dei quali ( « ad signum pu- « teum » ) darà a 25 (con 25 cavalli) « lectos, piumacios, copertas « et massariciam grossam et stallam » per 12 fiorini il mese. Non doveva esser, questa degli alloggi, una bisogna da potersi sbrigare agevolmente. Il capitano degli stradiotti, certo signor Mercurio, cominciò presto a lagnarsi : egli voleva stare non presso osti, ma « in aliqua domo comoda ». Ed ecco il consiglio a cercar d'accon- tentarlo, deliberando, sembra, di prendergli una casa per lui, a 5 fiorini il mese (i), e un'altra per il cavallo e un uomo, a mezzo fiorino (Tr. XII, 2 giugno). Ma il signor Mercurio non è ancora a posto, e chiede sei tovaglioli, sei « scudele », sei « quadreti » con « certis aliis fulcimentis defficientibus » : meno male che " hoc « petit amore et non obligatione diete comunitatis » ! Il consiglio pensa a sodisfarlo, almeno in parte, ordinando che i proprietari (i) In fine dell'atto s'avverte che il proprietario non vuol dar la casa, per- chè dice che vale di più. 76^ VARIETÀ della casa datagli gli provvedano il « peltro »; il coi; une fornisce due tovaglie, quattro « mantillis » e un « guardanapole » (Tr. Xll^ 7 giugno) (i). Tr. XII, 2 giugno. Si nomina Domenico Ragni « prò solicita- « tore comunitatis circha reparationem et ligna », per un teiiipa indeterminato. Tr. XII, IO giugno. L'ingegnere Giorgio di Boemia avverte il consiglio che, per mandato del duca, si deve fortificare « opidum « et seu moenia Viglevani », onde chiede legname e quant' altro possa occorrere, notando « quod lignamen conductum super pla- « teis Viglevani non sunt sufficientes (sic) prò principio dando (2) u et quod vult de grossioribus et longioribus prò faciendo dictum « opus ». Tr. XII, 16 giugno. I consoli, esponendo che Filippo da Crema e Gabriele Madii hanno comprato 50 legni a un fiorino, chiedono si paghino, come pure, sembra, che si paghi altra legna. Tr. XII, 20 giugno. Avendo poco prima il solito ingegnere ordinato che entro dieci giorni si fosse provveduto al legname necessario, e avendo il suo « luogotenente » Gabriele ripetuto l'ordine, i consiglieri deliberano che si prenda il legname esistente nei dintorni e, non bastando, si prenda ove se ne trova « solvendo « tamen illa ligna quae erunt particularium personarum ita quod « nemini fiat iniuria »; « ordina verunt etiam prò adimplenda mente « Ill.roi principis nostri circha dictam reparationem acci pi de Hgnis « opportunis predictis (?) reparationibus ubi erunt et prout erunt « signati » da Filippo da Crema e da Gabriele, «« et quod solvantur « ad ipsorum inzigneriorum extimationem »: esecutori dell'ordine, i consoli. Tr. XII, 23 giugno. 1 consoli espongono che il commissario Bianchino ha detto « quod sibi videtur bonum prò securitate » di Vigevano ordinar guardie notturne, e che essi già la notte precedente ne ordinarono sedici; di più che l'ufficiale al campanile chiami dette guardie. Il consiglio risolve che i ponti delle porte si alzina ogni notte e l' appaltatore Domenico Colli Quaglino (3) abbia a (1) Che la presenza dei soldati recasse poi altri danni, non solo è facile e ovvio immaginarlo, ma è documentato. Il 2$ agosto si espone in consiglio che i provvisionati danno molti guasti alle vigne e alle piante da frutta, onde quello ordina a debìtam munìtionem fieri » ai capi perchè vi mettan riparo, « aliter e comunitas facient (jic) debitam provisicnem » {Tr. XII, 25 agosto). (2) Sarebbe questo un accenno a negligenza del comi ne nel provvedere ? (3) Fra le tante cose che il comune metteva all'incanto c'era la manuten- zione dei ponti delle porte. VARIETÀ 765 metterli in ordine nel termine di due giorni, sotto pena di 100 ducati. Inoltre delibera che i consoli ordinino persone idonee da distribuirsi, per la guardia notturna, alle porte e agli altri luoghi « prout « erit expediens et quod alia provideant et faciant quae circha u premissa erunt opportuna et cum consensu et favore M.^» D. u comissarij suprascripti » : i « portinarii » eletti dovranno star alla custodia senz'interruzione, chiudere le porte ogni sera e con- segnar le chiavi al podestà. Tr. XII, 26 giugno. II consiglio delibera che si ordini un uomo in ciascuno degli otto estimi per le guardie notturne alle porte e agli altri luoghi ov'è opportuno « et circha predicta bonam adhiberi « diligentiam ». Tr. XII, 3 luglio. Avendo l'ingegnere Giorgio chiesto, per il 4, 500 « lavoratori », fascine e legname, il consiglio ordina si provveda tutto ciò che è conveniente per le riparazioni « ad omnem « requisitionem dicti inzignerii ». Tr. XII, 4 luglio. Essendo venuti in città molti « lavoratori « forensi » per lavorar ai ripari, il consiglio ordina che il tesoriere provveda i denari per pagarli, come anche per pagar i maestri, i « soprastanti », ecc. Tr. XII, 17 luglio. Nuo-^ro ordine che l'esattore dell'aggiunta alla tassa del sale dia a Filippo da Crema i denari necessari « prò « fabrlcha reparationis ». Tr. XII, 19 luglio. Il consiglio riafferma la necessità di provvedere alle guardie, « quia vulgo dicitur quod bona custodia re- « pellit mallam venturam v, e per conseguenza ordina « precipi « debere de hominibus Viglevani ad rottam qui debeant facere deu bitas et bonas custodias et de die et de nocte », incaricandone Filippo Vastamigli. C. C. G., luglio (i). Si delibera di chieder al commissario Bianchine certe agevolazioni, « atentis oneribus gravissimis impositis « comunitati Viglevani », e di mandar una commissione al duca e a Galeazzo S. Severino « exponendo onera comunitatis Vigle- « vani prò reparationibus que fiunt terre Viglevani et quod Georu gius Teutonicus ducallis ingegnerius cotidie innovat tot dessi- « gnia deruendo domos et alia onera gravia et insuportabilia et « quod de novo dessignavit fieri muros ab utroque latere roche u Nove usque ad murum terre Viglevani grossitudinis brachiorum u quinque sive septem adeo quod impossibile erit suportare dictas (i) Consiglio successivo a quello dell'i i luglio e anteriore a quello del 29. 766 VARIETÀ « expensas, et etiam impetrent omnes expensas tam operis quam « lignaminis ponantur in defalchatione expensarum diete reparau tionis », aggiungendo tutto queir altro che crederà conveniente allo scopo. C. C. G., agosto (?) (i). Il « capitaneus » Bianchino ordina che si provveda V alloggio per due « squadreri » e dodici cavalli. 11 consiglio risponde « quod comunitas gravata (2) est multiplicibus « expensis et quod quando Ex.» Ill.^ì D. D. nostri ducis Mediolani u scribet, quod offerunt paratiss. exequi semper mentem et volun- « tatem Ex.« Sue etc. toto posse comunis ». Tr. XII, 2 agosto. È necessario « spaciare » il fosso presso la torre di Costa e scavare quello lungo il muro da costruire presso porta Nuova : il consiglio dispone che si comandino ogni giorno oitp uomini per estimo fino a nuovo ordine. Tr. XII, 5 agosto. 11 Moro sta per giungere a Vigevano, e il consiglio delibera di mandargli una commissione che gli esponga i pesi a cui la terra soggiace per i lavori imposti dagli ingegneri (3): non conosciamo l'esito. Tr. XII, 7 agosto. « Pro faciendo fossatum a fossato roche « Nove usque ad turrim Coste », si delibera d'assoldar 4000 persone. Tr. XII, 14 agosto. Si nomina una commissione per provvedere Talloggio di 24 bombardieri e circa 400 provvisionati che debbono venire a Vigevano. Tr. XII, 15 agosto. Avendo T ingegnere Giorgio imposto che « domus et hedificia existent. extra portas Viglevani et apud repa- « rationes et fortilicia brachia sexaginta duo vel circha diruantur u prò securitate terre Viglevani », si invitano i proprietari ad eleggere uno o due « homines fidedignos extimatores » per valutare, insieme con Filippo da Crema, quei fabbricati: il giorno dopo sarebbero stati abbattuti. Inoltre si ordina a Giovanni Previde, appaltatore della costruzione del muro fuori porta Nuova, che a velociter exequatur oppus.... et primo construat muros cum suis (i) Consiglio tra il 29 luglio e il 19 agosto. (2) Veramente dice « grata d. (5) « . . . . mitendum est ad Ex.am Suam narando de muro tante grossitu- « dìnis quem inzignerij preceperunt neri apud portam Novam et de fossato terre «Viglevani apuJ murum Coste alias repleto terreno (?) per illos qui spaciabant . Finalmente manda Rolando Quaglia e Cristoforo Rodolfi a Milano: « requirent quod omnia bona Viglevani « possint portari et transmitti Mediolanum sine dacio (sic) solutione « et quod postea reducantur Viglcvanum ». Tr. XII, 22 agosto. Siccome « oportet fieri provisionem terre u Viglevani prò reparatione murorum et prò custodibus ponendis « ad portas terre Viglevani et aliis necessariis ad dictam repara- « tiorìem », il consiglio ordina che Gian Giacomo Porta e Francesco da Brescia « vadant circhumcircha terram Viglevani et provideant " quod teragii sint ordinati ita ut anditus liber sit secundum formam « statutorum Viglevani precipiendo personis qui habent eius (sic) ti domos ibi contiguas ubi non est aptum quatenus aptari faciant « ctc. et item videant ubi muros egent reparatione quod sint repa- (l) Il 19 agosto il commissario capitano Bianchino e precepit in pieno ff Consilio et prò Consilio et prò tota terra quatenus sub pena heris et persone « nuUus audeat recedere a terra Viglevani nec conducere aliquas robas extra « dictam terram absque speciali liccntia p.t» D. Capitanei ». 768 VARIETÀ « rati et ordinati de presenti ». Così delibera s'aggiunga ai custodi del campanile uno o due altri compagni che faccian « custodias » giorno e notte, notificando coi dovuti segnali quanto accade d'ora in ora; e similmente ai custodi di ciascuna porta altri quattro uomini scelti da Filippo Vastamigli per turno, « ad rottam prout sibi melius « videbitur et de melioribus ». Tr. XII, 25 agosto. Il consiglio ordina « distribuì et dispensari « contestabilibus et capis ordinatis ad custodiam portarum et « murorum terre Viglevani octo inter corazinas et corsset. prò « singulo contestabili, qui sunt n.® decemocto postas »; inoltre che, col permesso di Bianchino, si rompa « trabatam unam pontis porte « Bergonzoni.... prò securitate diete porte ». Tr. XII, 28 agosto. Si presenta al consiglio la seguente lettera, datata da Milano, il 27 : u Dux Mediolani etc. « Dilecti nostri. Mandando nuy li M. Antonio Maistrello nostro « familiari gii habiamo comisso el ve facia intendere alchune cosse « de l'amore che ve portamo et de le provisione che nuy facemo u et sucorse ne vengano in tavore nostro contra nostri inimici : « per questo voi hareti ad prestarle fede quanto a nuy proprii et u statevi tuti de bono animo » (i). I consiglieri ringraziano il sommo Dio « et congratulantes de « bona nova retulerunt et reflferunt ingentes gratias p.^o D. D. u nostro duci Mediolani et p.^o D. Antonio exorantes omnipotentem « Deum ut dignetur p."'" 111.™ principem nostrum et statum suum « et nos omnes ab omni malo conservare et ab inimicis nostris « defendere » (2). Tr. XII, 29 agosto. « ...fuit expositum qualiter in tallibus casibus u guerre presentis omni meliori modo etc. utile erit quod elligantur « personas idoneas que accedant ad 111."! principem nostrum Ex.® « Sue narando fidelitatem comunitatis Viglevani et requirant su- « cursum et adiutorium ab Ex.^ Sua ita quod terra Viglevani con- « servari possit recom.<^o Ex.^ Sue ipsam comunitatem ». Perciò il consiglio manda al duca Leonardo Colli, Rolando Quaglia, Domenico Tegamali e Luca Vastamigli, i quali gli riferiscano la suddetta deliberazione « et eidem coniittant comunitatem Viglevani et omnia « alia faciant prout eis videbitur melius cedere in utilitatem comuu nitatis Vigleviini semper servando mentem p.^' 111."»» principis (i) A tergo: « Prudentibus viris potestati comuni et horainibus Viglevani « nostris dilect.is ». (2) Ignoriamo di che si trattasse. VARIETÀ 769 « nostri ». Di più elegge un'altra commissione formata di otto cittadini e dei consoli, « semper cum officialibus ducalibus », « ad « gubernum et conservationem terre Viglevani semper in beneficio Ill.'^i principis nostri etc. et terre Viglevani ». Tr. XII, 31 agosto. Si avverte che i Francesi « aplicuerunt u Mortariam et quod providendum est » : il consiglio ordina che gli oratori eletti nel consiglio generale della settimana vadano a Milano dal duca « et eidem recomittant Ex. Suam (sic) et petant « consilium ausilium et favorem ». Ecco dunque tutta una lunga serie di fatti innegabili dai quali si potrebbe creder lecito concludere che senza dubbio i vigevanesi amavano il loro duca: non si mostraron essi fino all'ultimo giorno disposti a serbarglisi fedeli ? Or come va che, al contrario, al primo apparire d' un trom- betta nemico, spalancarono le porte? Forse c'era in Vigevano un partito antisforzesco così grande che, giovandosi magari d'una naturale incertezza nei reggitori, seppe prendere il sopravvento? Ma dunque, almeno almeno, la celebrata generosità del signore munifico si riversava non sull'intero paese, bensì sur una piccola minoranza, mentre in tutta l'altra gente covava un implacabile spirito di ribellione pronto a divampare? Del resto va notato che non si sa di moti, di ribellioni, di turbamenti : il medesimo consiglio che aveva preparato la difesa, quel medesimo non se ne giova e s'arrende immediatamente. O forse Vigevano cedette perchè ormai ogni resistenza riusciva inutile? Non ci pare che la storia di quei fieri nostri antenati permetterebbe troppo facilmente una simile ipotesi; ma essa poi cade all'urto di una assai ovvia obiezione: quei devoti sudditi del Moro non solo accolsero, si direbbe con animo lieto, i nemici, ma l'anno dopo resistettero al Moro stesso vittorioso, quando da altri era già stato accolto come liberatore dal mal governo straniero, e nessuno prevedeva il tradimento di Novara : gli resistettero sino al punto di farsi promettere all'orrendo saccheggio delle milizie. Che per un singolare beneficio della fortuna il dominio francese sia riuscito per Vigevano tanto tanto più vantaggioso dello sforzesco? Non pare nemmeno questo. Gli scarsi ricordi, che sopravvissero nello scempio e nella rovina dei volumi d'allora, ci han fatto l'im- pressione che i francesi sieno stati accolti con piacere, ma che la 770 VARIETÀ vita sotto di loro non sia proprio divenuta... giocondissima. Vediamoli : essi pure giacciono inediti e non mancano d'interesse. C C. G., I settembre (i). Quest' atto nella parte sostanziale merita d'essere riportato com'è. Son presenti i consoli e 48 consi- glieri. « Expositum fuit qualiter hodie bora tertiarum vel circba « advenit Viglevanum tubicen nomine Serenissime Mayestatis regis « Francie et prius sono tube premisso notificavit qualiter Serenis- « simus rex Franchorum vult dominium (?) terre Viglevani et ultra « et sai vis personis et bonis etc. et cum optimo tractamento et « requisivit aliq. ex melioribus et utilioribus diete terre Viglevani u accedi ad capitaneum locumtenentem p.^J Serenissimi regis et ita « aliqui accesserunt ad prefatum locumtenentem et habito coloquio « cum eo conclusionem fecerunt prius accedere ad 111."' D. D. Io. « lacobum Trivulcium locumtenentem generalem Serenissimi regis li Franchorum et eo reverenter visitato inteligere mentem suam et « petere exempt. et alia bona et utilia prò comunitate Viglevani « et prout ipsis ambassiatoribus melius videbitur cedere in utili- « tatem comunitatis Viglevani ». Furon eletti Leonardo Colli, Girolamo Cocchi, Bassano da Parona, Cristoforo Colli, Giov. Antonio Griffi, Matteo Tegamali, con la facoltà d'accordarsi secondo crederebbero meglio nell'interesse del comune. Quindi il consiglio ordinò « fieri publicum proclama quod non sit aliquis qui audeat vel pre- « sumat accipere aliquid violenter alieni persone nec terrigene nec u forensi sub pena etc. » ; nominò sei persone « ad faciendum cau pitula una cum suprascriptis ellectis » ; stabilì doversi richiedere « capitaneo predicto ut vellit prò regimine terre Viglevani aut « confirmare officialem presentem aut alium constituere prout M.*^ « Sue videbitur ». Tr. XII, 2 settembre. Si delibera di far una bandiera « con- « decentem » con le armi del re di Francia. Tr. XII, 3 settembre. Avuta comunicazione che il capitano dei francesi « requisivit arma sforciecha evelli et cassari et arma -t p.^i Ser.*"' regis Franchorum imponi et depingi in locis publicis u et consuetis », il consiglio ordina « predicta exequi ad unguem u secun lum mentem » del re e del suo capitano. Inoltre « prò « obviandis schandalis » manda una commissione d' otto membri al capitano per informarlo de' tanti « excessibus et robariis factis u et que fiunt in terra et territorio Viglevani et de promissione « facta quod quilibet sit salvus in honore in bere et in persona », pregandolo che voglia con pubblico bando provvedere ad evitar (I) Nel voi. del Tr. XII. VARIETÀ 771 Ogni danno sia ai terrigeni che ai « forensi », « et quod non velit u audientiam dare hominibus malignis qui cupiunt malignare ». Finalmente dispone che vengan ritirate secchie, « barelle " e quant'altre cose servivano per i bastioni, e che i consoli pensino agli utensili necessari ai francesi. Tr. XII, 3 settembre (altra seduta). Sempre perchè « multe inu solentie facte fuerunt in Viglevano in derobandis et capiendis u certis bonis », manda al Trivulzio altre due persone, che, insieme con gli ambasciatori della città, se vi saranno, lo preghino si degni « scribere et mandare et providere quod ulla fiat novitas nec « accipiantur ulle robe nec bona alicuius persone cuiusvis condi- « tionis » finché egli non sia venuto a Vigevano ed egli stesso o il re non abbian dato ordini : a et hoc prò obviandis schandalis et u semper observando mentem maiestatis regie et Ex.* Sue ». Non c'era dunque da esser troppo sodisfatti del cambio ! C. C. G., 4 settembre (i). Il 4 è giorno di perfetto idillio. Nel consiglio generale, presenti i consoli e 41 membri, Leonardo Colli riferisce sull'ambasceria. Giunti innanzi al Trivulzio, conte e luogotenente generale del re, « eidem recomisserunt comunitatem Vi- « glevani tamquam fidelissimam regie Mayestati », ed ebbero « graw tissimam audientiam et optimum responsum ». I capitoli non furono confermati perchè il Trivulzio « propter ingentes occupationes « exercitus » rimandò la bisogna di quattro giorni, ma provvide per il podestà. Il quale infatti, presente, esibisce le lettere del suo ufficio. I consiglieri « laudaverunt gratum responsum » e deliberarono d'accettare il pretore e farlo giurare secondo le norme degli statuti, non dimenticando nemmeno di pagargli il conto presso Rolando Quaglia oste « ad signum capelli » (2). Si leggono le lettere ch'egli ha « et ita eum acceptaverunt et acceptant prout in « p.t's litteris continetur ». Pasquino Bossi , luogotenente del console Colli, avverte d'aver ricevuto ordine di sostituire alle armi sforzesche le francesi e di far due bandiere : il consiglio stabilisce si eseguisca « et omnia alia fieri et exequi que sunt bone « mentis Serenissimi regis ». Cosi fissa di mandar altri due ambasciatori dal Trivulzio perchè venga impedita ogni molestia, se il Vastamigli e l'Alasia non porteranno disposizioni su ciò (3). In ul- (i) Nel voi. del Tr. XIL (2) Avvertiamo però che era antica consuetudine offrir un pranzo ai podestà che arrivavano. (5) In un altro atto dello stesso giorno {Tr. XII, 4 settembre) si dice che questi due riferirono d'essersi presentati al Trivulzio e d'aver avuto » : u contentaretur M quod comunitas elligeret in quibus locis et partibus vellet am- « plifìcari dieta terra et quid vellet ipsa comunitas ab ipso 111.™° u D. prò faciendo dictam amplificationem, quod ipse multum incli- « natum (sic) est comunitati ». Il consiglio stabilisce di far prendere le misure necessarie e calcolare poi la spesa (2) e, il 5, di scrivere al Moro (3). Non sappiamo la conclusione, ma è evidente però che una parte della spesa, almeno, doveva ricadere sulla città. E forse appunto per ciò il 9 agosto il consiglio delibera di cercar 1000 fiorini, da impiegare a prò munitione terre Vigleu vani n (4). L' accordo a ogni modo non dovette esser facile : il 6 ottobre par che il consiglio mandi una commissione allo Sforza per vedere che cosa desidera rispetto all'ampliamento (5). Nell'aprile del 1492 il duca ordina che al palazzo comunale si mettano colonne, anzi che pilastri ; vengono a costare L. 16 imp. runa. Poi u vult quod terrenum (?) apotecharum et domorum que « prosternuntur in platea » si misuri per ogni singola bottega e casa (6) ; poi ancora che un uomo tenga i conti di tutta la calce che si porta a Vigevano, sempre per i lavori della piazza (7). Le (i) V. il nostro Appunti t noie per la storia economica di Vigevano, in Vigìevamim, a. 19 13 e seg. (2) C. C. G., I luglio 1489. (3) C. C. G., 5 luglio 1489. (4) C. C. G., 9 agosto 1489. (5) C. C. G., 6 ottobre 1489. (6) Tr, XII, 28 aprile 1492. (7) Tr, XII, 3 maggio 1492. A. Colombo, La Pia^a Ducale, detta del Duomo, in Vigevano e i suoi restauri, in UArte, a. V, 1902, p. 249, accenna a compensi dati dal Moro per i danni che il comune ebbe a soffrire dalla costruzione della piazza ; ma quanto egli dice lascia almeno il dubbio se i compensi corrispondessero ai danni. E la protesta del 29 agosto 1496 ne legittimerebbe dubbi! Ambrogio da Corte, incaricato di fissar l'indennità, lo aveva fatto 776 VARIETÀ spese a cui sottostava la città dovevano essere tante, che il Moro stesso pare se ne preoccupasse. Infatti il 24 luglio '92 due oratori tornati da Milano riferiscono ai XII che Lodovico « vult subvenire « comunitati de ducatis mille prò anno uno ut comunitas posset u hedificare palacium comunitatis et habitationem prò D. potestate « noviter diruptam de mandato p.^» 111.™» D. Ludovici " (i). Sarà comodo, forse, costringer gli altri a rovinarsi per abbellirci la casa, degnandoci, tutt' al più, di concedere qualche prestito ; ma non sappiamo veramente se sia il modo migliore per acquistarci la gratitudine di quei disgraziati ! E i mille ducati devon essersi ridotti a 400 lire imp. (2). Intanto il vicario impone al consiglio di con tanta larghezza, che, scrissero i Vigevanesi al Moro, a sentendose la fide- « lissiraa comunità vostra de Vigevane et altre singolare persone de essa comuc nità enormente (sic) lese de la sententia latta de la piaza nova de Vigevano e per il M.co Messer Ambrosio da Curte, et dessiderando ditta vostra comunità e che dieta sententia sia revocata adciò se manifesta la lesione de dieta comu- « nità », vi mandiamo il giureconsulto Francesco del Pozzo perchè ottenga la revoca (copia della lettera in Archivio civico, cartella 76, u. 5). In sostanza sembra che per compenso di quelli e di altri danni lo Sforza abbia poi esentato il comune dalla tassa cavalli. E del resto quando nel 1542 Vigevano chiese al governo la riconferma di tale esenzione, mise innanzi argomenti cosi forti da ottenerla; e nell'esposizione degli argomenti si legge appunto: epu- :^ione Ferrarese di storia patria, voi. XXII, fase. Ili, 1913. Una grande interprete verdiana, Maria Massari Waldmann. — Elenco delle opere di Giuseppe Verdi rappresentate a Ferrara. * BERETTA (sac. Rinaldo). Porto d'Adda e la Madonna della Rocchetta. Notizie storiche. Carate Brianza, tip. Moscatelli, 19 14, in-8, pp. 66 e 2 tavole, BERNICOLI (L.). Arte e artisti in Ravenna. — Felix Ravenna, n. 13, 1914. Ricordati : Giovanni e Gio. Antonio Bossi da Campione, maestro Gio. Antonio Regazzini da Como e maestro Bernardino suo figlio. * BERRÀ (àj Luigi). L'Accademia delle Notti Vaticane fondata da S. Carlo Bor- romeo. Roma, Bretschneider, 1914, in-8, pp. 94. Cfr. i cenni bibliografici nel precedente ifascicolo di c^xx^sx^ Archivio, pp. 592-93- 792 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO * BERTARELLI (dott. Achille). Inventario della Raccolta formata da Achille Bertarelli. Volume I : Italia geografica. Bergamo, Istituto italiano d'arti grafiche, 19 14, ia-8., pp. XIV-418. BERTARELLI (L. V.). Guida d'Italia del Touring Club Italiano. Volume I : Piemonte, Lombardia, Canton Ticino. Con 38 carte geografiche, 18 piante di città, 9 piante di edifici. Milano, tip. Capriolo e Massimino, 1914, in- 16, pp. 724. V'è annesso un volumetto: L'arte in Italia dai secoli più remoti ai tempi nostri. Sguardo d'insieme al Piemonte, alla Lombardia e al Canton Ticino, Torino, Milano, pp. 235 (Giulio Carotti, Paolo Revelli e prof. For- mento). BERTAUT (JuLEs). L'Italie^ vue par les fran^ais : Rabelais, I. Du Belloy, Montaigne, Saint-Didier, De Brosses, I. I. Rousseau, etc, in-i6. Paris, Libr. des Annaìes politiques et litUraires, s. a., (191 3). BERTOLDI (dott. G. B ). La provincia di Brescia : Notizie generali sulla provincia, la città e il comune di ^Brescia; notizie sugli altri centri principali; cenni storici; uomini illustri; appendice sui comuni della provincia. Novara, Istituto geografico De Agostini, 19 14, in-8, pp. 118. BERTONI (G.). Per il testo di una lauda. — Fanfuìla della Domenica, XXXVI, n. 50. Propone emendamenti ai testi editi dal Salvioni da un codice di Como. * BETTONI (Francesco). Tebaldo Brusato. Romanzo storico bresciano. — r Brixia. Illustrazione popolare bresciana, a. I, n. 1 e sgg., 1914. BIANCALE (Michele). A proposito del Baschenis. — L'Arte, fase. I, 191 3. BIFFI (dott. Giovanni). — La Ghita del Carrobbio: racconto storico popolare. Como, Unione tip. R. Ferrari, 191 3, in-4, pp. 97. BOCCARDI (R.). Carlo Alberto nelle lettere d' un testimone della sua morte [Luigi Tinelli, di Laveno]. — Nuova Antologia, i gennaio 1914. BOEZIO - NAUMANN (H ). Notkers Boethius. Untersuchungen ùber Quellen und Stil. Strassburg, Trùbner, 191$, in-8, pp. x-116. * BoiTO. — Camillo Boito. Con ritratto. — Pagine d'Arte, giugno 1914. Agg. la commemorazione dellMng. F. Magnani in Edilizia moderna, giugno 19 14. Bollettino della Civica Biblioteca di Bergamo. Anni VII-VIII. In-8. Bergamo, Bolis, 1913-14- Anno VII, 191^, n. y. Pinetti(A.). Francesco Zuccarelli e il suo soggiorno a Bergamo. — Pesenti (G.). Il e Liber Pergaminus » di Mosè del Brolo. Testo critico, versione e note. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 793 Anno VII, n. 4: Locatelli-Milesi (A,). Notizie del pittore 'Cri- stoforo Roncalli. — Mazzi (A,). Una cantonata presa dalla Magnifica Bina nel 1560. Anno Vili, 1^14, n. i : X. Come venne in luce la a Pulcella » dì Voltaire tradotta da Vincenzo Monti (cont. nei fase. 2-4). — Pinetti (A.). Lettere pittoriche inedite di mons. G. Bottari e del conte Giacomo Carrara. Anno Vili, n. 2 : Mazzi (A.). Un predecessore d'Ottavio Trento, podestà e capitano di Bergamo. — Locatelli (G.). Raccolte d'alcuni scritti di Lesbia Cidonia. Anno VlIIy n. ^-4: Mazzi (A,). Per la biografia dell'architetto Giacomo Quarenghi. — Raccolta degli incunabuli della Civica biblioteca. Bollettino storico per la Provincia di Novara. Anno Vili, in 8, Novara, tip. Cantone, 19 14. Fase. I: Pellini (S.). Un modenese ammiratole di Prina. — Massia (P.). Il nome personale Romano nei nomi locali biellesi. — Leone (A.). Bibliografia per la storia della provincia di Novara. Fase. II: Poma (C). Gli elementi etnici del Novarese verso il Mille. — Pellini (S.). Saggio di un epistolario priniano con altri documendi inediti o rari. — BusTico (G.). Pittori ai confini d'Italia. — Leone (A.). Bibliografia novarese [recensione della bell'opera del Massara su Pier Lombardo il maestro delle senten'j^e']. Fase. Ili: Sella (A.). Federico Tonetti. — Pagani (avv. G.). Miscellanea novarese di Lazaro Agostino Cotta [all'Ambrosiana] con note illustrative {continua). — Leone (A.). Bibliografia per la storia della provìncia di Novara. Fase. IV-V, luglio- ottobre 1^14: Massia (P.). Per il nome locale di Orio. Cenni storici. — Poma (C). Un episodio seicentesco nel Principato di Masserano. — Pagani (avv. G.). Miscellanea novarese di Lazaro Agostino Cotta [all'Ambrosiana] con note illustrative. — Viglio (A.). Un manipolo di manoscritti bazzaniani inediti. — Leone (A.). Bibliografia per la storia della provincia di Novara. Bollettino della Società Pavese di storia patria. Anno XIV, 1914, in-8 gr. Pavia, Mattai & C. editori, 1914. Fase. II, giugno 1914: Invernizzi (C). Riforme amministrative ed economiche nello Stato di Milano al tempo di Maria Teresa {continua). — Robsi (L.). Gli Eustachi di Pavia e la flotta Viscontea e Sforzesca nel secolo XV. — BoLis (M.). L'accademia scientifico-letteraria ticinese. — SòRiGA (R.). Il processo del cittadino Pietro Moscati. — Bollettino bibliografico. — Notiiie ed appunti [Per il XXV anniversario della morte di Benedetto Cairoli (episodi del 1851- $3). — Per la storia dei Cairoli nella poesia e nell'arte. — La Collezione dei Classici Metafisici e il suo ideatore, 1819 (Defendente Sacchi). — Notizie sulla R. Scuola militare di Pavia, 1805-1815. — La cripta di S. 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