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ARCHIVIO STORICO
LOMBARDO
GIORNALE
DELLA
SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
= e
SERIE QUINTA
ANNO XLIII — PARTE PRIMA
MILANO
SEDE Î LIBRERIA
DELLA SOCIETA FRATELLI BOCCA
Castello Sforzesco Corso Vitt. Em., 21
La proprietà letteraria è riservata agli autori dei singoli scritti
Come il Panormita diventò poeta aulico A8 1916-17
L Panormita quando dalla nativa Palermo si trasferì
nel 1419 sul continente a frequentare, dopo una breve
sosta a Firenze, gli Studî di Siena e Bologna, forse
aveva in animo di prepararsi all’esercizio o dell’avvocatura o degli uffici cancellereschi. Ma egli non s’era ancora rivelato a se stesso. La rivelazione gli venne dalla facoltà poetica, potente in lui e ingenita, che lo trasse inconsapevolmente a comporre
elegie d’occasione ora amorose ora encomiastiche ora satiriche, le
quali a poco a poco cresciute a libro formarono l’Hermaphroditus.
li libro uscì nel settembre del 1425 (1), con la dedica a Cosimo
de’ Medici.
Che significa quella dedica? un’aspirazione già affacciatasi
netta e definita alla mente dell’autore: l'aspirazione a un posto di
poeta aulico. La prima città, a cui appuntò il suo sguardo, fu Firenze, in quel tempo di tutte la più colta. Ma il tentativo coi Medici gli andò a Vuoto. Allora scelse un’ altra famiglia fiorentina, i
Tebalducci, e Si mise a corteggiarne un giovinetto di belle speranze, Giacomino. Nel 1426 incontratosi a Bologna col Barbaro, che
da Roma si restituiva a Venezia, parlarono de’ fiorentini; e mentre
il Barbaro esaltava i Medici, il Panormita magnificava i Tebalducci
e sopra tutti Giacomino, a cui voleva dedicare la sua musa. E infiammandosi esclama: « O otium, o animi tranquillitas! utinam te
« Iacobini gratia aliquando nanciscar » (2). Ma ‘anche Giacomino
gli fallì; onde rinunziò per sempre a Firenze.
Più che una famiglia in verità dovè apparirgli promettente
una corte.
(1) R. SABBADINI, Oltanta lettere inedite del Panormita, Catania, 1910, p.152-53-
(2) R- SABBADINI, Un biennio umanistico, in Giornale stor. d. letterat. ital.,
suppi. 6, 1903, P- 111, 113.
Ar-3. StOor. ZLomo., Anno XLliî, Fasc. i-ii. I
6 REMIGIO SABBADINI
La prima presa di mira fu quella di Mantova, al cui marchese
Gian Francesco Gonzaga lo raccomandò’ nel gennaio del 1426 l’Aurispa, levando alle stelle la sua valentia nello scrivere in prosa e
massimamente in poesia, nella quale non solo superava tutti i contemporanei, ma era anche da mettere alla pari con gli antichi (1).
La corte di Mantova non gli fu aperta: ed era naturale. Mantova
non doveva sentire il bisogno di un poeta aulico; e per l’istruzione
e l’ educazione dei figlioli del marchese possedeva tal precettore,
che il Panormita non era nemmeno degno di legargli i calzari:
Vittorino da Feltre.
Occorreva perciò rivolgere altrove gli sforzi, ed ecco che il
Panormita pensa alla corte di Ferrara. Qui l’aiutò Guarino, il quale
nel settembre del 1426 scrisse a Giacomo Zilioli, l'autorevole consigliere intimo del principe Estense, tessendogli l’elogio del. Panormita come scrittore di prosa e di poesia (2). Non è improbabile che
nel febbraio dell’anno successivo (1427) il nostro poeta abbia dato
una prima capatina a Ferrara, poichè scrivendo al Toscanella (3)
e a Guarino (4) mostra di avere una certa dimestichezza oltre che
con lo Zilioli, anche con Alberto Costabili, uno egli pure de’ più
cospicui personaggi del circolo ferrarese. Tra l’aprile e il maggio
poi del 1427 îl Panormita si recò per affari a Venezia e al ritorno
fece una seconda e più lunga fermata a Ferrara. Ivi si trattenne
coi « Mecenatuli », com’ egli li chiama, tra i quali saranno da riconoscere il Costabili e lo Zilioli. Il marchese, che era in villeggiatura, scrisse una lettera al dottor in leggi Niccolò Ariosto (VII) (5),
ingiungendogli di mettere a disposizione del nuovo ospite il proprio
giardino situato fuori le mura. Alla cessione si oppose risolutamente la suocera, una donna bisbetica, dell’Ariosto ; e così il Panormita, sebbene il marchese gli offrisse generosamente una delle
sue ville, se ne- ripartì senza conchiudere nulla.
I « Mecenatuli » ciononostante non lo dimenticarono (X]) ed
egli riannodò con loro le pratiche nel dicembre del 1427, quando
si trattava di trovare un istitutore per Meliaduce figlio del marchese.
(1) Ibid., p. 102.
(2) Epistolario di Guarino Veronese, Venezia, 191;, n. 371.
(3) R. SABBADINI, Un biennio umanistico, p. 116.
(4) Epistelario di Guarino Veronese, n. 391.
(5) Coi numeri romani in parentesi rimando ai documenti.
COME IL PANORMITA DIVENTÒ POETA AULICO 7
A Ferrara lo secondava Bartolomeo Guasco, che era ivi al congresso della pace quale inviato del Fregoso (1). E dalla lettera a
lui scritta dal Panormita (XVI) risulta che le pratiche erano prossime alla conclusione. Ma fortunatamente intervenne Guarino in
tempo : questa volta contro il Panormita (2). Perchè se Guarino lo
potè con entusiasmo raccomandare per un posto di poeta, si sarebbe ben guardato dal proporlo per istitutore. A istitutore fu invece eletto 1”Aurispa, certamente molto più adatto. Da ciò nacque
nel Panormita una « contractiuncula » verso Guarino (3), la quale
però venne ben presto dimenticata, in modo che un paio d’anni
dopo i due umanisti riallacciarono le antiche cordiali relazioni.
1} colpo, fallito a Firenze, a Mantova e a Ferrara, riuscì a Milano. Nel novembre del 1426 Giovanni Lamola, accompagnatosi
forse a Cambio Zambeccari, abbandonava Bologna per recarsi a
Milano in cerca di miglior fortuna (Il). A lui s’attacca subito il Panormita, conseguendo per suo mezzo dì avviare rapporti epistolari
con l’arcivescovo di Milano Bartolomeo Della Capra (Ill, X) e con
lo Zambeccari (XII, XIV), che aveva già ottenuto un ufficio alla corte
ducale come « quaestor aerarii ». E quei due furono i più efficaci
protettori del poeta, i due veri « Mecenates » (VI), in antitesi coi
« Mecenatuli » ferraresi. Il Panormita faceva sempre valere i suoi
titoli poetici. Chiedeva una presentazione al Visconti: e con che
altro poteva esser messo in vista presso di lui, se non con un
saggio de’ suoi versi? C'erano due elegie, e c’era l’H7ermaphroditus,
donde il principe sì sarebbe formato un giusto concetto della sua
abilità a celebrarlo. Poichè il Panormita si proponeva di cantare
le imprese del duca e cantando eternarle. Ma a questo bisognava
ozio tranquillo e tempo: ozio e tempo quali erano stati concessi
a Vergilio e Stazio (VII).
Le pratiche non furono brevi: esse si protrassero per più di
due anni. Ma finalmente ci si mise d'impegno l’arcivescovo Della
Capra, che allora come governatore ducale di Genova aveva grandemente aumentata la sua autorità ; e in data 9 aprile 1429 (XXIII)
presentò solennemente il Panormita ai segretari ducali Luigi Crotto
————_—————————————€" + “
(1) Epistolario di Guarino Veronese, n. 443.
(2) Ibid., nn. 431 432.
(3) R. SABBADINI, Ottanta lettere inedite del Panormita, p. 13, 129-30.
8 REMIGIO SABBADINI
e Francesco Barbavara : quel Barbavara che da ora in poi diventerà il « Mecenas » per eccellenza.
Forte di questa raccomandazione il Panormita va a Payia a
terminare gli studi giuridici (1) e a prender la laurea. Il primo dicembre del medesimo anno (1429) gli giunse la nomina ufficiale
del Visconti (2): « ipsum omnipotentem et immortalem deum ora-
« tum. facimus, ut gesta mostra praeteriti et futuri temporis pro
« sua clementia tanti faciat, ut a musis tuis extolli atque .il-
« lustrari mereantur », E fu, come si vede, nomina di poeta
aulico.
Tutte queste notizie, prima incerte e lacunose, vengono ora
innanzi al lettore ben definite e-coordinate in grazia di un discreto
manipolo di lettere nuove, alle quali ho accompagnato passi scelti
di altre lettere pubblicate qua e là, allo scopo di raggiungere la
continuità cronologica. E infatti anche la cronologia del Panormita
ci guadagna. Fino al 31 luglio del 1427 egli rimase a Bologna. Il
primo agosto successivo si trasferì a Firenze; di là, nel dicembre,
a Roma. A Roma trascorse tutto l’anno seguente 1428. Nella
primavera del 1429 lasciò Roma e per la via di Genova, deve
sì trattenne un poco (3) presso il Della Capra, andò a stabilirsi
a, Pavia.
REMIGIO SABBADINI.
(1) Epist. Gall, lI, n. 21
(2) Ibid., I, n. 3. |
(3) Alla fermata di Genova allude oltrechè Bartolomeo Guasco con e lanicae sortes », ancora meglio Cristoforo Scarpa da Parma in una lettera al Panormita, la quale si chiude con questo periodo: « Si quid egisti in iis tuis Ge-
« nuensibus vigiliis, me ceterosque tibi amicissimos fac participes » (BAROZZI e
SABBADINI, op. cit., p. 32). Questa lettera non è del 1427, com'io avevo supposto, bensì dei primi mesi del 1429, come ha dimostrato R. VALENTINI (in
Rendiconti d. r. Accad. dei Lincei, XVI, 1907, p. 461-64). Ma la tempesta minacciata dalle parole del Valentini « resta fortemente scosso tutto l’edificio cro-
« nologico di questo anno 1427 » (ib., p. 464) si è agevolmente dileguata al
fulgido sole dei nuovi documenti.
COME IL PANORMITA DIVENTÒ POETA AULICO ‘9
DOCUMENTI
I.
Carmina illustr. poet. italor., Il, p. 112.
(Antonius Panormita) Petro Lunensi respondet quod nolit describere
bella nostri temporis, tametsi splendida illa sint.
Scilicet Etrurii sunt inclita gesta senatus (1)
Et sunt anguigeri fortia facta Ducis (2).
Sunt et Aragonei prelustria prelia Regis (3),
Femina (4) Parthenope mascula bella gerit.
Ne morer, Ausonias omnis Mars efferat oras
Cogitur atque armis gens peregrina suis.
Magna quidem sunt hec et magno digna poeta
. Dignaque percupida posteritate legi....
Sed mihi nescio cur, sicut tu sicut et alter,
Maluerim ex bellis inde venire tonos....
Verum qualis erit Ducis elargitio vati ?
Qualia dic sodes premia Regis erunt?
Aut nulla aut certe quam parva simillima nullis
Et quibus haud chartas quas perarabis emas....
At tu, principibus qui iocundissimus extas,
Petre, fac ingenio par mihi munus eat.
Tunc mea magnanimos largos regesque ducesque
Evehet ad superos larga Thalia polos.
(Bologna 1425) (5).
(1) Firenze.
(2) Filippo Maria Visconti: lo stemma visconteo aveva una biscia.
(3) Alfonso d'Aragona.
(4) La regina Giovanna.
(5) L’anno di quest’Elegia è il 1425. Vi si allude ai torbidi nel regno di
Napoli del 1424 e alla guerra di Firenze e dell' Aragonese contro Milano del
1425. Non era ancora scoppiata la nuova guerra del 1426-27 tra Venezia e Firenze dall’una parte e Milano dall’altra, perchè in quegli anni Napoli fu tranquilla
e il Panormita non nomina Venezia tra i belligeranti. Inoltre l'elegia non esprime
nessuna fiducia nel mecenatismo del Visconti, dovechè le mire del Panormita
s'erano nel 1426-27 appuntate verso di lui,
IO REMIGIO SABBADINI
II.
Cod. Ambros. P 4 sup., f. 78; pubblicata in Barozzi e SABBADINI,
Studi sul Panormita e sul Valla, p. 25.
Antonius Panormita dulcissimo Johanni Lamole p. s.
Si vales gaudeo, nam quom tibi bene est, id quidem mihi dividue est.
Accepi proximis diebus ex te litteras sane officii et diligentie plenas, quibus satis superque docuisti quod mecum sepiuscule egeras vivo
sermone, scilicet te neque in amore neque in omni re diligentia a quoquam superari posse.... Sane non poteras me potiori aut cariori munere
adficere.... quam amicitia atque familiaritate Bar(tholomei) (1) archiepiscopi, viri non incelebris neque inlitterati....
Ecce quoad ocius quivi Hermaphroditon isti Principi (2) mitto....
Postremum ut iubes Guarino (3), Aurispe, Ambrosio monacho, Tuscanelle nostroque Aretino (4) et reliquis familiaribus nostris tuam abitionem (5) tueque vite rationem per epistolas comodum renuntiabo faxoque, ni fallor, uti summam rationem te ad hoc consilium compulisse
persuasum habeant. Tuque etiam officio tuo ne deesta,-de repente illis
epistolas dato, tute tuum casum exprimito ; etenim vehementer in eorum
ad me litteris admirati sunt, quam ob rem ad iillos silueris tam diu meque etiam inculpant measque litteras carpunt, que te quoque iam dudum
obticuerint. Vale mea suavitas.
Ex Bononia quam cursim kalendis decembriis (1426).
(1) Bartolomeo Della Capra arcivescovo di Milano.
(2) Filippo Maria Visconti.
(3) Guarino era allora a Verona.
(4) L' Aurispa, Ambrogio Traversari, il Toscanella e l'Aretino Carlo Marsuppini stavano a Firenze.
(5) Il Lamola scriveva a Guarino (Epistolario di Guarino Veronese, n. 455,
p. 637) l'ultimo di maggio del 1428, com’egli fosse a Milano da quasi un anno
e mezzo: vale a dire dal novembre del 1426. E questo combina con la data
della presente lettera del Panormita, dalla quale risulta che il Lamola stava a
Milano almeno dal 1° dicembre del 1426. Nella succitata lettera a Guarino (ibid.)
il Lamola afferma di essersi recato a Milano per esortazione « suasu » dell’ arcivescovo Della Capra e per comando « imperio » di Cambio Zambeccari. Probabilmente lo Zambeccari, lasciata definitivamente Bologna alla fine del 1426, si
trasferì a Milano portandosi seco il Lamola. Sullo Zambeccari vedi L. FRATI, in
Archivio storico italiano, serie V, to. XLIII, 1909, p. 367-374, e R. SABBADINI,
Ottanta lettere inedite del Panormita, (cfr. l’indice e p. 64, dove è detto che
morf nel giugno 1431).
COME IL PANORMITA DIVENTÒ POETA AULICO II
III.
Cod. Ambros. P 4 sup., fol. 77; pubblicata nelle Efisto/. Gall., II,
n. 23. Io seguo il codice.
Antonius Panormita Bar(tholomeo) archiepiscopo Mediolanensi v. cl. et
illustri p. s. d.
Non poteram equidem gratiori aut iocundiori nuntio affici, vir humanissime, quam eo qui proxime mihi ex Iohannis Lamole adolescentis
docti in primis et emendati litteris adlatus est. Siquidem enuntiant me,
quod magni semper extimavi quodque diu iam mirifice concupivi, tuam
gratiam inivisse....
Nunc ad Lamolam nostrum redeo. Is me per epistolas rogat, et
quidem tuo nomine, ut Hermaphroditum meum ad te quampropediem
mittam; ait enim incredibilem tibi sitim incessisse videndi et lectitandi
versus meos. Ego cum primum subsisterem, siquidem res admodum lasciva est, mox deinde certa ratione decrevi quicquid iam esset ad te
pro tuo iussu dimittere.....
Ex Bononia quam raptim kalendis decembriis (1426).
Reverendissimo in Christo patri et domino domino
BAR(TtHOLOMEO) DE La Capra archiepiscopo Mediolanensi domino meo.
IV.
Carmina illustr. poetar. Italor., Florentiae 1719, II, p. 113. Si legge in
molti codici, p. e. nell’Ambros. T 12, f. 71, del quale seguo la lezione.
Antonii Panormite Elegia ad Lamolam quod lacrimis Elegie motus fractusque ex Bononia nequiverit recedere. Idibus februarii (1).
Desine me placida verbis abducere terra,
Desine me domina dissociare mea.
Vera mones fateor pulchreque adducis Ulixem
Fortiter equoreas deseruisse deas.
Liquerit et flentem dux ut Troyanus Elissam,
Multa licet surdo spondeat ipsa proco.
Addis ad hec etiam, quod non ornatius ipse
Tullius aut gravius scripserit ipse Plato;
Denique quod possit firmos mutare Epicuros
Aut si quid toto firmius orbe fuit.
(1) libo febr. cod.
12 REMIGIO SABBADINI
Me quoque mutaras, nostra de mente puella
Deciderat, muros (1) linquere mentis erat.
Tum subeunt nostri presignia Cesaris (2) acta,
Que modo militia que modo pace gerat.
Quin et Mecenas (3) obversabatur ocellis,
Quem dis persimilem secula nostra ferunt.
Tum simul heroicos versus meditabar et ignes
Atque elegos animo destituisse fuit.
Sensit Amor mentem nostram retulitque puelle.
Quis divum frustra numen habere potest?
Flens Elegia venit, sic nostra puella vocatur:
Tum primum nostros vidit amica lares....
Termina :
Sunt hic preterea veteres fidique sodales,
Sanctius (4) hic meus est, hic Farafalla (5) meus.
Ergo vale et nostro scribis si quando Guarino,
Quam salvum nostro nomine redde virum.
(Bologna, 13 febbraio 1427).
V.
Cod. Bergamasco A II, 32, f. 91.
Antonius Panormita J(ohanni) s. p. d.
Fisicorum monumentis proditum est: si hominem lupi priores contemplentur, homini vocem adimunt. Hinc proverbium illud a veteribus
usurpatur: “ lupus est in fabula ,, (Serv. ad. Ec/.1X 54). Sed quorsum hec?
Nam profecto vereor ne quis te lupus aspexerit prior: ita vocis expers
effectus es et prope mutus. Etenim num iam renuntiare debueras an
litteras ex Guarino (6) dimiseris necne ét, si miseris, per quem miseris,
an per tabellarium proprium an per viatores? Rursum an (7) bibliotecario expoliendum tradideris librum meum (8) an expolitum iam emissurus sis propediem. Sexcenta tibi sunt litterarum argumenta, si modo
scribere aut loqui velis. Sed lupus aliquis te prior vidit, ut dixi, et
mutus dei gratia effectus es. Vale. Si loqui potes amico nostro, nos
ei (9) caris cariores face.
(Bologna, febbraio 1427).
(1) Le mura di Bologna. | (2) Il duca di Milano. | (3) Cambio Zambeccari.
(4-5) Sancio Ballo e Farafaglia due siciliani, studenti a Bologna.
(6) Forse una commendatizia per Ferrara. Infatti il Panormita si era recato
colà verso la fine di febbraio. Cfr. Epistolario di Guarino, n. 391.
(7) in cod. | (8) S'intenderà l’Hermaphroditus? | (9) et cod.
COME IL PANORMITA DIVENTÒ POETA AULICO 13
VI.
Cod. Ambros. P 4 sup., f. 90; pubblicata in Barozzi e SABBADINI,
Studi sul Panormita e sul Valla, p. 29.
Antonius Panormita Iohanni Lamole v. cl. p. s.
Redeunti mihi nuper ex Venetiis (ibi vero gentium vel maius ibi piscium aliquot dies egi negotiandi causa) reddite sunt littere ex te pluribus epistolis.... Quibus quoniam hodie per negotia non licet, mox quam
propediem respondebo et quidem syllabatim. Interea vero hosce ad te
versus (1) ex me perleges et fortassis voluptuosissime. Neque velim
existimes ita me Elegie illecebris irretitum, ut, si rem quam meo imo
nostro nomine inceptasti perficias, ex Bononia non possem decedere....
Quom vero per securitatem licebit Principi versus faciam quales
fortasse concupiscitis....
lac(obo) Modoetiensi (2) viro sane quam eloquentissimo mihique
admodum caro quam statim rescribam atque una Mecenatibus nostris
archiepiscopo Cambioque viris illustribus.... Item ex Guarino quicquam
accipies; nunc enim adhuc de via fessus sum...
(Bologna), X mait (1427) quam raptim.
VILO
Cod. Bergam. A II, 34, f. 38.v
A(ntonius) Pano(rmita) s. d. Lamole suavissimo.
Si vales mihi dividue est, ergo vale.
Ex re est, priusquam ad tuam veniam, paulo altius exordiar (3). Igitur quom iam dudum, ut nosti, cx Venetiis redirem, studui in via Marchionem (4) visere et salutare posse, quod quom (5) nobis abnegaretur,
siquidem rure Princeps agebat, quod potui, scribas et mecenatulos
quosdam meos subito salutavi; inter salutandum vero plurima contulimus, presertim que ad otium meique animi tranquillitatem attinerent.
(1) Probabilmente quando fu a Venezia diede una copia dell’elegia al Facio,
che la mandò agli amici veronesi. Scrive infatti nel 1427 da Venezia il Facio
a Jacopo Lavagnola: « Postquam per egregium Panormitam carmen, vobis a
« me transmissum, vobis maxime acceptum fuisse comperi.... » (cfr. Scritti vari
in memoria del prof. G. Monticolo, Venezia, 1913, p. 34).
(2) Giacomo Becchetti da Monz:, sul quale vedi R. VALENTINI, in Classici e
Neolatini, IQII, p. 350-71.
(3) exordiare cod. | (4) Il marchese di Ferrara. | (5) quum cod.
14 REMIGIO SABBADINI
Sunt hi quidem homines, mi Johannes, qui et ingenia poetarum quam
maxime foveant et ab studiis humanitatis non abhorreant meque, si potestas daretur, regem facere concupiscant. Res sane ita est. Proinde
me discedentem statim ipsius Principis ad dominum Nicholaum Riostum (I) epistole prosequuntur, in quibus ipsemet Marchio (nam legi litteras) ad sidera me laudibus efferebat meque suum usque in ulteriorem amicitiam profitebatur. Sed omissis his, demum Riosto suo imperabat ut mihi concederet hortos (2) suos, quos iuxta urbis pomeria
possidet amenos et apricos et musis aptissimos. Sed nostro infortunio
non potuit, quom (3) omnino posse speraret, impetrare hortos, quippe
qui fuissent Riosti socrus, mulieris improbissime, non ipsius, ut opinabatur, Riosti. Ea quidem anus edentula, quam dii disperdant, pro nihilo
Marchionis preces et iussa extimavit (4), ipsius etiam parvifaciens amicitiam. Quod cum innotesceret Principi, indoluit quidem ille causa mea,
dein mihi significat ut ex suis villam quam velim deligam (5) eamque
inhabitem nec mihi defecturam villam. Multa ad hec adiciebat, quibus
munificentiam et in me singularem Principis benivolentiam quis facile
animadvertat. Ego quidem spe Mediolanensi magis fretus, pro benemeritis in me suis Marchioni gratias egi peringentis meque ex Bononia
neque velle neque si velim posse decedere renunciavi.
Quorsum hec? Nam putaram, si hortos illos exoravissem, posse
per otium ac securitatem ad aliquot menses vitam deducere eoque loci
ducis Mediolani, dignissimi Principis, laudem pro tuo nec non Mecenatum
nostrorum mandato decantare. Qua ex causa tibi illas superioribus epistolis pollicebar describere: et fecissem mediusfidius, sed fata, ut vides,
obstiterunt. Verum hic inquis: cur in urbe non licet? Respondet Oratius: « urbs est inimica poetis » (cfr. Zfist., II, 2, 65-77) cumque sue
quoique (6) attribute sint cure (7), me quidem occupationes ac solicitudines conterunt (8) neque me mihi sinunt, ut aiunt, caput scalpere. Preterea res splendidissima est nec minus amplissima egetque, mihi credas,
exercitatione non parva. Item hic inquis: fac versus non quales per
otium scires (9), sed quales in mediis occupationibus potes. Sed, ut (10)
carmen alicuius est, “ non erat in planis cantandus versibus Hector ,;
utque duces ac reges militia, sic versu poete gloriam querunt, Nosti
quam minime avidus cupidusque siem ceterarum (11) rerum (12), gloriam
vero quam amplam quamve latam tantummodo inhio (13), generosi animi
(1) Niccolò Ariosto, dottore in diritto. Sostenne vari uffici in Ferrara e fuori.
Cfr. LiTtTA, Ariosto, tav. II.
(2) A questi « horti » allude Pier Candido Decembrio nell’invettiva contro
il Panormita: « Quid Ferrarienses hortulos a te tantopere deploratos dicam? ».
Cfr. Barozzi e SABBADINI, Op. cit., p. 28.
(3) quum cod. | (4) extimant cod. | (5) delegam cod.
(6) quoque cod. |(7) curare cod. | (8) conterrunt cod. | (9) scures cod.
(30) tu cod. | (11) ceterari cod. | (12) rerum om. cod. | (13) mito ced.
-—
COME IL PANORMITA DIVENTÒ POETA AULICO IS
inditium (1). Virgilius noster, ut poetarum doctissimus sic meo quidem
iuditio prudentissimus, Titurum suum brevissimum opus tris annos evigilavit, fruges vero quinque (2), Eneam certe compluris. Itidem Statius
poeta iocundissimus duodecim annos (7àebd., XII, 811) Thebem suam
continuit. Nos poetarum ultima feces (3) tam amplissimam materiam,
tam eximias istius Principis laudes prope divinas, atavorum proavorumque virtutes et fortitudinem uno, ut velitis, mense aut fortassis hebdomoda expediemus, quo quidem in tempore non dicam Cesaris, ut
înquis, virtutes, que innumerabiles sunt, perscribere sed ne numerare
quidem queamus? Quod si ex versibus meis solum aditum ad Principem
desiderant, iubetone (4) id potius pede an soluta oratione fiat. Scribam
igitur brevem epistolam ad Principem prosa oratione aut versu breve
quoddam (5), unde occasionem adeundi Cesarem habeam (6). Si vero
versus meos videre concupierit Cesar, exhibeam Elegiam, et “ Scilicet
Etrurii , (7) atque ipsum Hermaphroditum, ex quibus prospicere satis
poterit quid, si per otium liceret, pariture essent mee muse. Cesar Octavianus, Cesarum decus, quom (8) Virgilii ingenium ex quibusdam versibus, quos amatorios ediderat (9), admiraretur, illum singulariter amare
et observare cepit et voti compotem simul et otiosum fecit, ut ex otio
elegantiores versus facere pergeret, non ex versibus otium acquireret.
Et quidem est, ut prius poete otium inveneris, inde ex otio fructum
expectes.
Dabo itaque, si modo domino Cambio viro maximo nostroque Mecenati videatur, epistolam Cesari, ex qua quam brevissime potero illum
ad gloriam et immortalitatem et poetas diligendos exhortabor; mihi
quidem id faciundum videtur, nam tanti Principis laudes ad otium reiciende sunt: alioquin periture (10) carte videntur. * Non sunt implicite
prelia mentis opus ,. Mira mihi materia iam inventa est, quo Ducem
suosque fere omnes ad astra eveham, Venetos (11) vero deprimam utque ludibrio sint apud omnes gentes efficiam. Sed Bononie rem non
aggrediar, quom (12) ab incepto forem proculdubio destiturus. Hec omnia viro Cambio elegantissimo referas, non ostendas volo; quantumque
in te est stude sibi mentem et consilium istud meum persuadere meque
integrum sibi dede, ne animami quidem excipias. Faxo equidem mi Johanmes ne sua erga me beneficia pereant, modo, ut putas, mecum sint
muse; et aliquando rescribas ad hec quam potes citissimo, quo statim
ipse scribam ad Cesarem et ad Mecenatem simul. Nam si de ista ipsa
(1) vitium cod. | (2) Veramente sette | (3) fuere corr. in facie cod.
(4) iuueto ne cod. | (5) quodam cod. | (6) habeant cod.
(7) exhibeant eligiam et silicet Etrurii cod. Le due elegie, di cui qui abbiamo
prodotto estratti. | (8) quem cod.
(9) Questo particolare non si legge in nessuna biografia Vergiliana.
(10) periturare cod. | (11) Venezia era allora in guerra con Milano.
(12) quum cod.
16 REMIGIO SABBADINI
spe decideremus, ad alias atque alias nos fortunas:coniciemus. Ne dubita, nam, ni fallor, neque (x) Italiam neque me relinques, nam nobis
opus (2) erit “ mutare clipeos Danaumque insignia nobis aptare ,, (Verg.
Aen., II, 389). Proinde negotium accelerent Mecenates horteris, si
nobis immo Duci consulere desid(er)ant (3); ego quidem cicadas non
expectavero, ne certa pro vanis relinquam. ;
Hactenus mihi videor mentem et propositum meum, si non eloquenter, loquenter (4) et prolixe tamen aperuisse; tui officii erit rem
diligenter (5) et sine mora deducere et conducere, si Cesaris nostri gloriam et immortalitatem amas: alioquin necessum habeo propositum flectere atque alii adherere et ex cloaca aram quanpriam facere tenebrasque
illustrare. De his satis.
(Bologna, giugno 1427).
VIN.
Cod. Bergam. A II, 32, f. 38‘; cod. Ambros. M 4o sup.,, f. 35Y; pubblicata in Barozzi e SABBADINI, Op. cit., p. 30.
Antonius Panormita Johanni Lamole p. s. d.
Si vales gaudeo (6), nam valere te felicitatis mee pars est.
Obsignaveram ad te binas epistolas tuisque binis superioribus responderam, quom bine altere ex te mihi redduntur, singulare quoddam
diligentie exemplum. Ceterum id ipsum fere mihi significant quod et
priores, nisi quod Cambius magnus imprimis et preclarus vir havet
posse me (7) quandocunque volet accersere quemve in locum delegerit (8) collocare. Ego vero spondeo (9) iussis suis me obtemperaturum,
modo me prope dienì vocet aut avocet; nam “ kalendas grecas ,, (Suet.
Aug., 87) expectaturi non sumus(10) ne certa pro incertis postputaremus,
quod postreme et crasse quoiuspiam amentie est (11). Illud autem vere
vaticinor Cambium mihi sedem delecturum (12) mee meorumque dignitati
convenientem; tu modo quoius ordinis sim eum doctiorem reddas, demum facite ne, ut Iuvenalis ait, * mendicet in atria Clio , (VII, 7). Epistolas autem ex ipso Principe vehementer velim, quo apud parentes
et propinquos meos excusatus(13) e Bononia decederem. Sintque eiusmodi(14) littere cura, que honori meo undique conducant (15); alioquin
sine ignominia non possem studium intermittere. Laudes Frincipis et
Mecenatum nostrorum istic canemus et melius et uberius. Nam ubi (16)
(1) neque om. cod. | (2) opus om. cod. | (3) desidant cod.
(4) loquerer cod. (loquaciter ?). | (5) diligentem cod. -
(6) Si vales bene est A. | (7) habet me desiderare posse me B, ab me
desiderat posse me A. | (8) voluerit A. | (9) respondebo A. | (10) sumus om. 8.
(11) errasse quovis iam amentis est A. | (12) electurum A. | (13) excusatus
om. B. | (14) huiusmodi A. | (1j) condeceant A. | (16) ibi A.
COME IL PANORMITA: DIVENTÒ ‘POETA AULICO 17
melius illas (1) explorem? hic etenim me undique circumscribunt ut infinite
sic fastidiosissime quedam occupationes, quibus nullo pacto carere possumus et “ carmina, ut Sapho ait, (v. 14) sunt opus vacue mentis , (2).
Sed de (3) hac re prolixius in aliis epistolis disseruimus: Cambium
simul et Zaninum (4) illum virum dignissimum in celum usque, ut vis,
laudibus efferemus; * fortunati ambo, si quid mea carmina possunt ,
(Verg. Aen., IX, 446). Postremo si res cedat prospera tibique videatur, potes per internuntium specialem mihi rem omnem significare ; ex
eo quod mora nobis plurimum obfutura est. Ex Cambio litteras que me
fratribus, viris clarissimis, commendent exorato; faciat Cambius ut ex.
germanis suis binos equos commodati nomine habeam, quod factu facile est. Vale decus amicitie; valeat et Bar(tholomeus) pontifex Rome (5).
Ex Bononia XX iunti (6) (1427). Has item nemini hostendas volo.
IX,
€od. Ambros. H. 49 inf., f. 145‘; pubblicata in Barozzi e SABBADINI*
Op. cit., p. 27.
Antonius Panormita suo Jacobo Genuensi (7) viro docto et eloquenti s. d.
Facis ut amicum decet et frugi virum, Iacobe Genuensis, quippe qui
me contendis “ aram ex cloaca ,, (Cic. f. Planc., 95) quotidie facere et ex
tenui quodam homullulo Cresum et regem. Sic enim ex Lamole' nostri
viri tersissimi litteris accepimus....
Nunc abs te peto et si pateris etiam oro, fac ne Cambius noster
vir amplissimus Hermaphroditum a me petere pergat, nam ut nosti res
affatim turpis est et sanctissimi viri lectione non digna....
(Bologna, 1427).
(1) illam 2.
(2) Nel secolo AV questa è una delle prime volte che si cita l’epistola di
Saffo a Faone. | (3) ab B.
(4) Zanino Ricci’ consigliere ducale, morto nel maggio del 1428 (ctr. BarOZzi e SABBADINI, Op. cit., p. 37).
(5) Rome om. A. Se la lezione è esatta, ne deduciamo che l’ arcivescovo
Della Capra în questo momento era in missione diplomatica presso la Santa
Sede. La deduzione sarebbe confermata da una lettera posteriore (n. XV); ma
rimane incerto se si tratti della medesima missione o di due missioni distinte.
(6) La data è del solo Bergam. ì
(7) Giacomo Bracelli. Stava a Milano probabilmente per ragioni di studio.
18 REMIGIO SABBADINI
X.
Cod. Universitario di Padova 54I, f. 139".
A(ntonius) P(anormita) B(artholomeo) arch(iepiscopo) Mediolanensi et
magno ac prope singulari (viro) p. s.
Ni sperarem ex proximo te propius coramque et tenere et possidere, respondissem hercle tuis ad me suavissimis et vere principe viro
dignis epistulis verbosius atque syllabatimj mos mihi est, loquar ingenue, ne officio reddendarum epistularum a nemine vinci perpatiar. Ceterum quia ni fallor e vestigio te sum aditurus, quicquid exaraturus fui
reiciam ad vivos affatus. Interea vir humanissime peroptarim tecum
esse, tecum agere, te frui, te familiariter uti, tecum res serias scribere,
tecum causas excitare, denique ut Flacci versus est: “ tecum vivere
optem, tecum obeam libens , (Oa. III, 9, 24) et ut versibus pergam:
“ Non (1) ego si medius Polluce et Castore ponar In celi sine te parte
fuisse velim ,. Facit virtus tua clara quidem et insignis, que me adeo
allicit, adeo meos sensus ut ita dixerim inebriat, ut nisi te nihil aliud
desiderem nil somniem nihil sitiam. Tue igitur partis (2) et officii est
efficere ne hoc tam honestissimo desiderio tabescam. Que omnia ex
Jo(hanne) La(mola) apertius ac plenius accipies; cui fidem presta, loquetur enim ad te meis verbis meumque omne negotium ac fidem explicabit. Tu mi Mecenas vel potius Cesar fac nostro voto satisfacias;
ego quidem faxo ne unquam te peniteat officii aut liberalitatis tue. Vale
“ presidium et dulce decus meum , (7orat. Od. I, 1, 2) et me quia
potis es bea.
Ex B(ononia) quam cursim (1427).
XI.
Cod. Bergam. A II, 32, f. 40.
A(ntonius) Pa(normita) Lamole suo s. d.
Accepi tum ex te tum ex Cambio nostro Mecenate litteras non insuaves nec inelegantes quidem. Amabam equidem istum Cambium pro
sui animi prestantia, nunc pro sua singulari eloquentia et doctrina deamo
et colo. Sane vir magnus est et vere Mecenas alter, prout enim superior
Mecenas tum egregia (3) et eximia virtute, tum etiam eloquentia et sapientia preditus. Sed reiciamus huius nostri Mecenatis laudem ad otium:
tu sic accipe. Effecisti uti mecenatulos illos (4) abicerem ex meis cogi-
(1) Nam cod. | (2) partes cod.
(3) egregria cod. | (4) Allude ai ferraresi.
COME IL PANORMITA DIVENTA POETA AULICO 19
tationibus : facile quidem fuit persuadere volenti. Continebo igitur me
mecumque vivam ad aliquot tempus, quoad ista fortuna quam tu magnam putas perfruemur aut de spe decidemus. Tu vero fac solito solertior sis, ne pre longo desiderio tabescam. Si vero vanam spem hanc
fore prospexeris, amici officium feceris id ipsum mihi significare (1) simpliciter et luculenter: et erit in rem tuam, si alio flectam propositum.
Interea Florentiam petam Aurispe rogatu, Nicholai et Aretini (2)
nostri agamque Florentie apud eos totam estatem et, si me non evoces,
fortassis hyemem: atque (3) ita effugiam Mecenatulorum (4) importunitatem et molestiam. Tu per id tempus cura rem comunem quam diligentissime ; si minus fuerit felix hec tua diligentia, rem omnem ut supra
diximus aperte mihi renuntia: tum etenim enitar ut te ex Mediolano
abducam, qui me hinc non quieris (5). Tue ad me littere fac Bononie reddantur Cathalano (6), Bornii nostri germano, Albertorum mensario: is
ad me litteras emittet presto et securo. Hermaphroditus penes me iam
pridie non est. Ex Florentia scribam ad Cambium virum illustrem; interim “ heroum gesta valete Mecenasque tua cum probitate vale , ; tu
item vale mea suavitas. Valeat et Iacobus (7) mel nostrum.
Ex Bononia quam raptissime pridie kalendas augusti (1427). Cras
Florentiam peto.
XII.
Cod. Bergam. 4 II, 34, f. 29; pubblicata di sullo scorretto cod. Ambros. H 192 inf. f. 28 da R. SABBADINI, Offanta lettere inedite del Panormita, Catania, 1910, p. 97.
Antonius Panormita Cambio Zambecario viro clarissimo salutem.
Ut ego magnas habeo musis gratias que me tibi, Cambi vir primarie, cognitum et carum fecere, sic tu non minores virtuti ac probitati
tue debes, quippe que facit ut qui te nunquam viderint, te et venerentur
et diligant. Ego quidem is sum qui solum tue magnificentie tueque humanitatis nomine, quod sane preclarum est, te amare ceperim atque
ita amare, ut vel arctissimam propinquitatem magis non amem. Recte
quidem in proverbio Siculorum est: “ ut pisces hamo, sic virtute homines inescantur , (Cic. de sen., 44). Hec eo spectant ut intelligas a me
(1) singulare cod.
(2) niholai et arentini cod. S'intendono il Niccoli e il Marsuppini.
(3) atqui cod. | (4) mecenanclorum cod. Cioè i ferraresi. | (5) queris cod.
(6) Catalano La Sala, fratello del famoso giureconsulto Bornio, sul quale
vedi il FantUzzI, Scriftori bolognesi, VII, p. 254-59. Catalano La Sala nelle
lettere del Panormita è storpiato in LaseLa, Epist. Gall., III, n. 32.
Giacomo Bracelli,
20 REMIGIO SABBADINI
singulariter amari et observari, omniaque que in me sunt, vel ipsam
animam, tue egregie virtuti deberi. Tuarum vero partium est, si quidem
amor ultro citroque nos obligat, me mutua caritate complecti measque
musas (quod facis) toto pectore fovere. Sane cum sepe gratias pro bene
meritis pares ipse reddere non possim, muse suas partim immiscere
consuevere ; referuntque gratias et interdum (ut ita dixerim) feneratorias
quidem. Éa quidem natura musarum est ut erga poetas beneficia perire
non sinant. Sed de his satis; nanque exploratum atque compertum
habes, certo scio, compluris homines eosque magnos immortalitati vates
donasse, interdum etiam tenebras illustrasse.
Cetera vero que ad negotium nostrum attinent ex Lamola nostro
verbis meis accipies. Tu autem istius fortissimi principis glorie quam
diligentissime potes consule, necnon honori et comoditati mee. Vale
“ presidium et dulce decus meum ,,; et Iacobum Genuensem (1), quamquam eius ingenio et ornamentis non iniocundus esse debeat, mea etiam
causa ut diligas te etiam atque etiam rogo.
(Firenze, agosto 1427).
XIII.
Cod. Vatic. 2906, f. 40Y; pubblicata in Barozzi e SABBADINI, Op. cit.,
P. 34.
Antonius Panormita Johanni Lamole s. p. d.
Si vales ex re mea est, ego valeo. Emisse sunt mihi Florentiam
littere tue a Catalano (2) nobili mensario familiari nostro. Eas ego voluptuosissime legi, nam tardiuscule fuerunt et proinde ut fit solito aliquanto iocundiores....
Habet tibi gratias magnas hic eruditorum hominum grex totus pro
Cornelio Celso (3) tua diligentia tuaque sorte denuo comperto, habiturus
etiam ingentes cum et tua opera Cornelius hic noster mutilatus, ut nosti, curabitur complebiturque. Verum hec sit cura Nicolai (4) nostri v. cl.
Ego quidem proposito perstabo neque consilium prius flectam, quam
tute secus uti flectam monefeceris.... Invigila igitur, Mecenates ambi et
quamprimum occasio datur rem exple. Fac ne kalendis grecis aut cum
cicadis cantature sint muse....
(1) Giacomo Bracelli.
(2) Catalano La Sala.
(3) Il codice di Cornelio Celso scoperto dal Lamola a Milano nella basilica
di S. Ambrogio. Gli umanisti prima di questa nuova scoperta conoscevano un
altro codice di Celso, lacunoso, di provenienza senese, divulgato nel 1426 dal
Panormita e da Guarino (vedi R. SABBADINI, Storia e critica di testi latini, Catania, 1914, p. 310-12).
(4) Il Niccoli.
-
COME IL PANORMITA DIVENTÒ POETA AULICO 21
Florentie vero agam quoad secus tibi renuntiavero. Tu quo in loco
sis, litteris tuis non adicias, ni sedem istam mutaveris, et Zaninum et
Cambium viros illustres non nomine proprio sed Mecenates appella;
cumque sit opus, in nebulis loquere, quanquam nihil attigeris nostro
nomini obfuturum. Scis ubi gentium sim quave suspicione vivatur; Mediolanensis urbis nomen non modo exosum sed etiam suspiciosum (1).
Postremo fac Mecenas mihi respondeat ipseque met mihi mentem aperiat. Littere vero Catalano nostro suavissimo reddantur; is me facile
inveniet....
Hermaphroditus res nimis obscena mihi visa est quam viris gravissimis mitterem, sed auctorem pudet pigetque editionis. Sed di dabunt
ut et poeta ipso perfrui possint, modo di Cesarem nostrum fortunent.
Vale tu mea ambrosia et Iacobum Genuensem virum doctum et suavitatis exremplum ex me salvere iubeas.
Ex Florentia XX seplembris (1427) quam raftissime.
Ex Aurispa et Aretino (2) nostro salutem plurimamj ex Ambrosio
monacho vale.
XIV.
Cod. Ambros. H 49 inf., f. 154; pubblicata in Barozzi e SABBADINI,
Op. cit., p. 36.
Antonius Panormita Cambio lambecario viro magno s. p. d.
Noluerim ad te silere tam diu, Cambi clarissime, ne, quod Aristo»
telis sententia plerunque fit, silentium dirimeret amicitiam....
Aveo ego quidem tecum una vitam vivere tuisque suavissimis mo=
ribus coram atque diutius frui nec non Cesaris nostri egregias et eximias laudes versu describere.... Quis Robertum regem cogposceret, nisi
et a Petrarcha nescio quo non quidem poeta sed poetarum simia (3)
versibus celebratus sit ?... Ego quoque Cesaris tui nec non maiorum
suorum acta litterarum monumentis mandare vehementer volo.... Modo
tuarum partium sit mihi simpliciter, ut ingenuum virum decet, aperire
mentem ad hanc rem tuam quave in ren spe fruaris. Nam si quidem
longius expectaturi sumus resque demum voto non cedat, fient utique
vana que nunc aliunde mihi certa pollicentur....
Vale: musarum spes et Zanino tuo viro clarissimo sic me dedas
velim, ut in glebariis me suis adscribat.....
Ex Florentia quam cursim V. kal. octobris (1427).
(1) Perchè anche Firenze era in guerra a fianco di Venezia contro Milano,
(2) Il Marsuppini. ae
(3) Questo giudizio impertinente sul Petrarca fu più tardi.mitigato, sebbene
a denti stretti (R. SABBADINI, Ottanta lettere inedite del Panormita, p. 148)..
Arch. Stor. Lomb., Anno XLIIT, Fasc. T.II. 2
22 REMIGIO SABBADINI
XV.
Cod. Bergam. A II, 32, 1. 40.
A(ntonius) Pa(normita) Johanni Lamole s. d.
Jam dudum ex Florentia litteras ad te dedi pluribus epistolis, tum
etiam Cambio viro clarissimo haud paucis conscripsimus ambosque monefecimus omni de re que ad me attineret. Fasciculum vero litterarum
Thome Sarazanensi (1) viro consumato commisimus, quippe qui tunc
opportune Mediolanum se petere diceret. Ceterum vero tu olim ad me
non taces modo, qui mutus omnino factus es, quasi derigens, ut aiunt,
cum arrigere deberes. Cur rides, insulsissime omnium lenonum, qui (2)
quidem proverbio dignus es pro tua ista animadvertenda taciturnitate.
Sed omissis iocis, summa priorum mearum continebat; me fore duraturum expectaturumque pro Cambii iussu viri clarissimi, modo ne esset
frustra nobis mora producenda, quo fieret ut certa mihi consilia in dubia
aut fortasse incerta verterentur. Demum fidei diligentie et consilio domini Cambii negotium omne committebam. Habes summam superiorum
epistolarum, nunc audi ubi gentium sim, ne qua ex parte deesse videar
officio meo.
Rome sum. Quam, inquis, ob causam? Non quidem ut Rome religiosior fierem quam Florentie (Deus enim et Rome (3) benefacientibus
et (4) ubique est, neque is sum qui dentes ossa et vestimenta sanctorum
hominum adorem, sed animos eorum divinos et celì pulcritudine gloriaque pro virtutibus ac fide donatos), sed ut convenirem viserem atque
salutarem Bar(tholomeum) pontificem (5), virum primarium Cesarisque
nostri legatum tunc ad summum sacerdotem. Perdurum est eum non
videre neque. frui posse quoius (6) virtus et gloria te iampridem allexerit inflammaveritque. Verum opinio ac tempus me fefellit; decesserat
enim fere illis diebus e Roma desideratissimus vir (7) ad Cesarem rediens. Quod quam egre tulerim tute maxime coniectare potes, qui meum
erga virum illum ardorem ac desiderium nosti iam diu. Illud autem
egritudini nostre solaciosum fuit, comitas videlicet et humanitas Ant(onii)
‘ (xt) Tommaso Parentucelli, segretario del vescovo bolognese Nicola Albergati. Il Panormita lo conobbe a Bologna negli anni 1425-27 (R. SassaDINI, Of
tanta lettere inedite del Panormita, p. 157). Si saranno riveduti a Firenze nel settembre 1427, quando il Parentucelli vi passò con l'Albergati, che da Roma ritornava in Lombardia a riprendere i negoziati di pace tra i belligeranti (FANTUZZI, Scrittori bolognesi, I, p. 114-15.
(2) qui om. cod. | (3) Roma cod. | (4) et om. cod.
(5) L'arcivescovo Della Capra andò ambasciatore al papa nell'autunno del 1427.
(6) quouis cod. | (7) vir om. cod.
ui
COME IL PANORMITA DIVENTÒ POETA AULICO 23
Lusci Poggiique et Malpigle (1) nostri, virorum imprimis litteratorum
multorumque preterea quos non nosti nec sane reiciendorum quidem.
Qua benignitate ac gratia me susceperint, quo studio ac diligentia me
primoribus urbis curieque cognitum et carum fecerint, qua facilitate et
peritia mihi maximarum rerum ruinas ostenderint tum intra tum extra
muros, haud facile scripserim.
Sed missa hec eorum officia faciamus, que quidem peregregia
sunt nec mee magis quam eorum laudi narrari (2) videantur; eorum
ego persuasionibus, facile quidem persuadere est volenti, Rome hyemabo. Tu ea de re certior sis tuumque diuturnum silentium (3) expurges
centum totidemque suavissimis epistolis meque omni de re que ad negotium meum spectat quam verbosissime certiorem (4) reddas; et ne
de spe ista decidendum sit nobis atque alio animum vertendum, id est
aliunde mihi tibique consulendum. Postremo me Bar(tholomeo) pontifici,
Zanino Cambioque, viris illustribus et Mecenatibus nostris, etiam atque
etiam commississimum facito. lanuensem (5) nostrum virum suavissimum salvere iubeto verbis meis, ad quem etiam rescripsimus per Sarazanensem (6) suum. Tu cura tuam valitudinem et nostri animi tranquillitatem. Vale mea suavitas et littere tue fac ad me reddantur Albertorum nobilium mercatorum taberne (7). Item vale.
Rome quam raplim VIII decembris (1427).
XVI.
Cod. Ambros. H 192 inf., f. 36‘; pubblicata da R. SaBBaDINI, Offanta lettere inedite del Panormita, p. 129.
(Antonio Panormita a Bartolomeo Guasco).
Accepi litteras ex te heri Rome et quidem plenas suavitatis ac
singularis cuiusdam diligentie erga me tue....
Ceterum quidem ex lacobo Riolo (8) viro clarissimo litteras adhuc
non accepi, quibus ais ille me condocefaciebat omni de re que ad me
attineret. Expectabo igitur quoad per epistolas Principis (9) aut Rioli
certior fiam de negotio; quia si prius adventarem non arcessitus, concupiscentis nomen induerem, quod quantum a meis moribus sit alienum,
tute ipse pergnosti. Tunc autem per me non steterit quin Princeps et
Riolus noster optatum ferant.... i
(1) Niccolò Malpiglio, bolognese, era al presente occupato presso la curia
pontificia. Per le sue relazioni col Panormita, vedi BAROZZI € SABBADINI, op.
cit., p. 21. Cfr. FanTUZZI, Scrittori bolognesi, V, p. 145-147.
(2) narrare cod. | (3) scilenlentium cod. | (4) certiorem om. cod.
(5) Il Bracelli. | (6) Tommaso Parentucelli. |} (7) tabernare cod.
(8) Giacomo Zilioli, consigliere del marchese di Ferrara.
(9) Niccolò d'Este, marchese di Ferrara.
24 REMIGIO SABBADINI
Postremo me igitur domino Meliaducio (1) glorio adolescenti fac
etiam atque etiam deditum....
Rome quam raftim die celebrationis Sancte Lucie (30 dicembre 1427).
Apud mensas: numularias Albertorum (2), ad quas tu deinceps dirigas epistolas quas ad me missuri estis; ego interea quid ex me velit
Princeps illustris expectabo.
XVII.
Epist. Gall, )V, n. 15.
Antonius Panormita Carolo Aretino (3) v. cl. s. p. d.
Gaudentius Vanius (4), qui pariter ad te scribit et libelli sui quoddam quasi preludium mittit, a me pro egregiis virtutibus prolixe dili-.
gitur: mira quidem hominis continentia, morum sobrietas et incredibilis ardor ad studia litterarum et bonas artes. Facit ac monumentis
litterarum tradit quandam inter M. Tullium Ciceronem et M. Fabium
Quintilianum comparationem.... (5).
Vale decus nostrum et Nicolao Nicocli (6) et Ambrosio (7) monacho
viris clarissimis ex me salutem plurimam dicas.
Rome (primi mesi del 1428).
XVIII.
Epist. Gall., IV, n. 18.
Antonius Panormita Nicocli (8) suo s. p. d.
Johannes familiaris tuus et idem meus, vir modestus et prudens et
in omni genere diligendus, cui id dederas negotii ut me tuis cum litteris
conveniret Rome, inter ambulandum me offendit....
(Roma primi mesi del 1428).
| XIX.
. Epist. Gall., Il, n. 25.
Antonius Panormita Bartholomeo pontifici s. p. d.
Si vales bene est, ego valere opto. Factum est enim ut huius aeris
(1) Figlio del marchese di Ferrara. Si cercava per lui un istitutore.
(2) Abbacorum cod.
(3) Carlo Marsuppini. | (4) Storpiatura di Laurentius Valla.
(5) Questa primizia dell'originale e ardito umanista, dove Quintiliano veniva posto al di sopra di Cicerone, non ci è arrivata. Cfr. su di essa BAROZZI e
SABBADINI, Op. cit., p. 54-55.
(6) Storpiatura di Niccoli. | (7) Ambrogio Traversari. | (8) Niccoli.
COME IL PANORMITA DIVENTÒ POETA AULICO 25
malignitate febribus et adversa valitudine corriperer, non quidem solus,
sed sì quid ad solatium egrotantis attinet, cum decem ferme millibus
hominum. Multi vitam efflarunt, quanquam ‘aiunt neminem peste aut
malo morbo periisse; nos vero nunquam maiorem pestem.... (1) inspeximus quam Rome.... Interea vero siquid tua illa innata et predicata
benignitas, siquid tua in me benivolentia astruxerit delegerit atque firmaverit, cum ob alias cavsas tum ob id maxime tibi gratias habiturus
sum, quod ne denuo Romam revertar effeceris....
(Roma estate 1428).
XX.
Epist. Gall., IV, n. 25.
Antonius Panormita Miniato (2) dulcissimo s. p. d.
Ex litteris hisce tuis novissimis fateor egri plus quam voluptatis
accepi, nec tantum quod febriculas passus sis, quam quod febriens
Roma discessisti....
Ergoteles (3) noster meo imperio non quidem a fructu, ut tu scribis,
sed a malis aut pomis abstinebit et pila item lusoria, donec ab egritudine revalescat.... |
Cura igitur tuam valitudinem, que nostra est, et Antonium Pisciatinum nobilem negotiatorem ex me suaviter saluta et ex Ergotele....
Rome (estate 1428).
XXI.
C. Braccio, Giacomo Bracelli e l’umanesimo dei Liguri al suo tempo,
Genova, 1891, p. IS.
Lettera di Bartolomeo Della Capra a Filippo Maria Visconti nell’ occasione che costui celebrò le sue nozze con Maria di Savoia.
Illustrissime princeps ac preclarissimie domine noster,
Ad excellentie vestre conspectum veniunt generosi et egregii cives
nostri dilectissimi dominus: Andreas Bartholomeus Imperialis doctor legum insignis, Isnardus de Goarco, Bartholomeus Iustinianus, Gaspar
Marruffus, Dorinus de Grimaldis, Petrus Spinula quondam egregii Cipriani, sex legati nostri et cum. eis dilectus cancellarius noster Iacobus
de Bracellis, ut leticiam huius civitatis ex tam alto connubio conceptam
(1) E fu effettivamente epidemia di peste.
(2) Miniato da Lucca, sul quale vedi Barozzi e SABBADINI, Op. cit., p. 4I.
(3) Tommaso Tebaldi, soprannominato Ergotele, su cui dà ampie notizie
L. Frati, in Archivio storico italiano, serie V, to. XLIII, 1909, p. 359-67.
26 REMIGIO SABBADINI
adventu suo testentur et in his felicibus nuptiis celsitudini vestre congratulentur....
Data 1428, die XXV seft.
Ib. ro. Il Bracelli scrivendo a Giovan Giacomo Ricci dice: Subibat
animum meum memoria Zanini (1) ac domini abbatis fratrum quondam
tuorum, quorum ut eximias virtutes ita divina ingenia admirari adeo
solebamus, ut quos illis adequare possemus aut nulli aut perpauci admodum invenirentur. :
XXII,
Cod. Universitario di Padova 541, f. 137”.
Bartholameus Senensis (2) Antonio Panormite.
Non possum agendorum copia tecum esse longior; quare brevibus
respondebo epistule tue. Neque opera neque solicitudine defui, quo pontifex meus amicis pro te scriberet; et quibus quove studio causam tuam
susceperit, ex copia literarum quam iussit ad te mitti, cognosces. Dedisset pari modo literas Principi, nisi multas ad Franciscum et Alovisium putasset literas (3). Ego in hiis rebus et alii$ que tibi grata esse
putabo tueque rei aliquo pacto conducent, tunc tibi deficiam cum mihi
vita deficiet. Et utinam ita tibi voto tuo (4) succedant omnia, sicuti tibi
libenter omnia curaturus sum, Salutes Henrici (5) et Hergotilis suavissime mihi fuerunt; ipsis meo nomine pares reddas. Et Jeronimum Forliviensem (6) si non nosti, notum et carissimum habere velis: est mihi
loco fratris et neminem adhuc, Benedicto fratre (7) excepto, novi qui
ita in amore respondeat; ex eius consuetudine magnam voluptatem
capies.
Genue 9 aprilis (1429).
XXIII.
Cod. Ambros. H 49 inf., f. 79 (= 4); cod. Universitario di Padova
541, f. 136 (= P); pubblicata parzialmente in Barozzi e SABBADINI, Op.
cit., p. 4I.
Francisco de Barbavariis et Alvisio de Crottis ducalibus secretariis parte
(1) Per la morte di Zanino Ricci vedi sopra n. VIII.
(2) Stava al servizio dell'arcivescovo Della Capra, allora governatore a Genova.
(3) la lettera seguente. | (4) voto tuo] notule cod.
(5) 11 Panormita nell'Epist. Gall., II, n. 21 lo chiama « magister Henricus ».
(6) Era studente di legge a Pavia (Epist. Gall., III, n. 8).
(7) Benedetto Folco da Forli, ambasciator ducale nel 1431, fratello del
sunnominato Girolamo da Forlì (Epistol. Gall., ll, n. 14 e Osio, Documenti
diplomatici, II, p. 431).
—
COME IL PANORMITA DIVENTÒ POETA AULICO 27
d. B(artholomei) archiepiscopi Mediolanensis ducalis gubernatoris
Janue (1).
Spectabiles amici carì (2). Nolim putetis me hoc scribere quod ocio
abundem; nam his agendis sum positus ubi respirare non licet. Ceterum quia mihi quia vobis cure esse debet quemadmodum Princeps noster
sempiternus fiat et immortalis (3), non inutiliter sumpsisse hoc temporis
mihi videbor si efficere his literis vobiscum potero ut eius diuturna
fiat (4) et eterna maiestas. Non enim vos (5) fugit, ut cetera quantuncunque maxima, ita regum et ducum aliorumque principum fama obscuratur et decidit, nisi sint qui eam carminibus (6) et expolita atque gravi
oratione illustrent et eternam faciant. Eneas quia Virgilii ingenio et divinis illis carminibus lumen accepit (7), quasi viveret quottidie, “ volitat per ora virum ,; apud Ciceronem Achilles * fortunatus adulescens
iudicatur quod suarum laudum predicatorem Homerum invenit,, (f. Arck.
-24). Sic et multi “ quos numerare labor ,. Roma nostra omnium gentium domina, nisi scripta clarissimorum auctorum extarent, suis iustissimis laudibus fraudaretur et quemadmodum eius edificia cetera (8), que
«duratura perpetuo videbantur, ita eius gloria prostrata sepultaque iaceret. Princeps noster eiusque maiores qui tot preclarissimas res gesserunt nominis immortalitate dignissimas, nisi in alicuius poete aut oratoris commendationes inciderint, quo pacto alio fieri possint (9) in memoria vivorum sempiterni (10) non video. Omnia caduca sunt et intereunt (11) omnia, nisi que literis mandantur et memorie. Florentini nuper
in scriptis sua gesta redigi fecerunt sex libris distincta (12); Veneti
etiam sua scripta componunt et carmina quo se ipsos et civitates suas
immortalitati commendent. Et qui quidem quanto sua (13) facta extollent,
tanto et veteres et novas actiones nostras obscurare conabuntur. Leonardus Aretinus habuit pridem funebrem orationem pro Johanne Stroza (14)
equite flurentino, qua quantum Principi quantumque patrie nostre detrahat non ignorant qui legerunt. Quare, mi Francisce mi Alvisi(15),
(1) Bartholomeus archiepiscopus mediolanensis Francisco et Aloisio ducalibus
secretariis p. s. d. P.
(2) Spectab-cari om. P. | (3) fiat imm-et semp-P | (4) fiat diuturna P.
(5) nos P. | (6) carminibus suis P. | (7) acceperit P. | (8) cetera eius edif-P.
(9) possit P. | (10) sempiterna P. | (rI) et transitoria sunt P.
(12) Allude alle Historiae florentini populi di L. Bruni. Il 6 febbraio 1439 il
Bruni donò alla Signoria i libri VII-IX delle Historiae ; « già sono più anni »
aveva regalato i primi sei (E. SANTINI, L. Bruni Aretino e i suoi Hist. flor.
pop. libri XII, in Annali d. r. Scuola norm. sup. di Pisa, XXII, p. 9). I primi
sei furono copiati in un codice (BANDINI, Bibliot. Leop. Laur., I, c. 694) il 3I dicembre 1429; ma dalla lettera presente risulta che erano stati pubblicati qualche
tempo prima. | (13) corum P.
(14) Nanni Strozzi morì nel luglio 1426 (MuRatORI, R. I. S., XXIV, c. 185).
L'orazione s'incontra spesso nei manoscritti, p. e. Vatic. 5108, f. 31.
(15) Aloisi P.
28 REMIGIO SABBADINI - COME IL PANORMITA, ECC.
quid hec importent, considerare et acri vestro ingenio examinare placeat.
Mea nanque sententia esset, quando virum non haberemus qui ingenio
et devotione et literis immortalitati Principis nostri, qui detractoribus (1)
suis consulere et respondere posset, eum, etsi non mediocri at (a) maximo pretio, ex ultimis terrarum partibus redimeremus.
Est Papie celeberrimus poeta et orator eloquentissimus, Antonius
Panormita Siculus qui “ Theocriton antiquum renovat dulcedine vatem (3), quique is est qui Principem nostrum suis carminibus et exquisito atque optimo quodam dicendi genere inter ipsa astra collocare
possit. Nec aliud quam ipsa pura devotio in patriam nostram poetam
adduxit (4). Afficitur natura sua Principi, afficitur suorum memorie nec
quicquam in vita videt (5), quam eum posse per otium et quietem
suis laboribus suisque vigiliis illustrare. Neque enim eius carmina sunt
aut eius dicendi modus talis habetur, qui possit una cum charta perire;.
vivat sempiterno necesse est quem sui metri suavitas aut prosae orationis elegantia gravitasque tetigerit. Extant eius (6) versus quales
Phoebus vix superare posset, extant eius orationes et epistule, que ad
illorum antiquorum dignitatem omni ex parte accedunt. Vestre igitur
partes esse debent apud Principem, ne (7) divinus homo e manibus effluat, ne deseratur qui vos simul cum Principe nostro divinitatis hoc
est immortalitatis participes faciet. Credite mihi: “ fortunati ambo si
quid carmina sua (8) possunt ,. Quid enim pulchrius quid homine dignius, quam afficere donis, ornare (9) virtutes? modo vestra opera ita
sibi prospectum sit a(1o) Principe, ut in otio cum dignitate esse possit.
Ipse Mecenates, et vos Marronem, habebit (11); Princeps vero et Virgilium, ut Eneas, et Ovidium ipsum inveniet (12), qui spiritu illo poetico hunc virum afflasse mihi videntur. Non itaque tantum munus divinitus ut puto oblatum e sinu vestro (13) labi sinatis; modica mercede
Princeps (14) sempiternam immortalitatem et vos eternam vestri (15) nominis laudem redimere potestis. Ad quam facile Principem inducetis si,
ut tenemini et consuevistis, pluris gloriam quam ceteras res mortales
facietis. Ego vellem pro suis meritis vel solus posse succurrere; neque
dubito subvenirem (16) eius virtutibus si mihi ut vobis(17) esset apud
Principem subveniendi facultas. Hunc ergo colite hunc amate hunc strictissimis ulnis recipite in clientelam vestram: virum certe ut mea fert
opinio subsidiis vestris (18) patrocinioque dignissimum (19).
Ex Janua VIIII aprilis 1429 (20).
(1) detractionibus P. | (2) ac A.
(3) E’ un verso combinato di due guariniani; vedi Epistolario di Guarino.
Veronese, n. 346.
(4) adduxerit P. | (5) in vita tantum optare videtur P. | (6) poete P.
(7) ne hic P. | (8) sua carmina P. | (9) premiis ornare P.
(1o)ita sit prospectum a P. | (11)bhabebit et nos Maronem P. | (12)invenit A.
(13) nostro P. | (14) princeps noster P. | (15) et eternam vestri P.
(16) subvenire 4. | (17) ut vobis mihi P. | (18) nostris P.
(19) dignissimum. Vallete P. | (20) La data manca in P.
ca
Di alcuni figli meno noti di Francesco I Sforza
DUCA DI MILANO
UO il tia: (1) abbiamo avuto modo di rilevare come il
(xd N°, Litta nella sua genealogia degli Attendolo Sforza non
SA | sia riuscito a ricordare tutta la prole numerosa di
==. Francesco I, duca di Milano, parecchi figli del ‘quale
invero, anche perchè non lasciarono sensibile traccia nella storia,
sfuggirono alle ricerche pazienti del celebre genealogista, le cui
tavole riguardanti la casata sforzesca vanno quindi usate con molta
prudenza. L’aggiungere qualche notizia ai cenni scarsi o meno
esatti, che il Litta dedica a parecchi de’ figli dello Sforza ed il
porgere il frutto di qualche indagine intorno a quelli da lui affatto
ignorati ci è parso una modesta, ma non spregevole impresa per
l’interesse vivissimo, che suscita tutto quanto si riallaccia alla figura del grande capitano. Con tale persuasione abbiamo raccolto
ed ora verremo esponendo le notizie e le vicende di parecchi de’
figli meno noti di Francesco I Sforza, notizie che abbiamo tentato
di sottrarre all'opera dissolvitrice del tempo nella fiducia di portare un tenue, ma non inutile contributo alla biografia dell’insigne
condottiero, incuorati altresì dall’ autorevole invito, che anni sono
Rodolfo Renier (2) rivolgeva ad Emilio Motta (3) di dare un elenco
(1) Cfr. la nostra monografia intorno a Drusiana Sforza moglie di Jacope
Piccinino in Miscellanea di studi storici in onore di A. Manno, Torino, 1912, JI,
p. 163 e sg.
(2) Cfr. RenIER R., Osservazioni sulla cronologia di un’opera del Cornazzano, in
Giornale storico della letteratura italiana, 1891, vol. XVII, p. 142 e sg. alla p. 6,
n. s$ dell’Estratto. L'amico e collega Motta gradisca i sensi della più viva gratitudine pel largo e cortese aiuto, che volle darci durante le nostre ricerche. .
(3) Il Motta ne aveva espresso il proposito in quest'Arch., 1891, p. 275, 0. I.
30 ALESSANDRO GIULINI
documentato de’ figlioli del primo duca della dinastia sforzesca
« opera utilissima » intesa a rettificare ed a completare quanto gli
storici (1) ed i genealogisti, non escluso il Litta, hanno detto in
argomento.
è ° *
Vissuto in un epoca, nella quale la moralità era caduta tanto
in basso, che ne riusciva profondamente turbato l’ assetto della
famiglia, obbligato a condurre un’esistenza randagia, che continuamente esponeva il suo ardente temperamento ad ogni sorta d'’ insidie, Francesco Sforza pagò largamente il contributo all’ umana
fragilità, come purtroppo molti de’ principi e de’ condottieri del
suo tempo. E certo noi eviteremmo di sollevare il velo, che nasconde le miserie della vita intima di lui, se una troppo recisa
affermazione del segretario e biografo suo, Giovanni Simonetta,
non ci invitasse a ristabilire la verità. Il Simonetta nella Sforgiade, che il Litta (2) giustamente definisce « libro, che è ma-
« nifesto argomento della devozione di Giovanni alla famiglia
« Sforza », così si esprime ne’ riguardi del suo principe: « Mirum
« dictum est quam abtineret illecebris humanisque voluptatibus
« atque cupiditatibus » (3); giudizio che il Verri fece senz?’ altro
suo dicendo che Francesco Sforza « malgrado la scostumatezza di
que’ tempi..... fu sempre alieno dal disordine » (4). La numerosa
| figliolanza illegittima di lui, per non parlar d’altro (5), sta a pro-
(1) Il Cantù in quest Archivio, 1875, p. 179-80, n., volendo rettificare la
genealogia sforzesca, attribuisce a Francesco I solo dieci figli illegittimi e fra
questi erroneamente pone quel Mansueto, abate di S. Lorenzo in Cremona, che
gli era invece forse fratello naturale.
(2) Famiglie celebri ialiane, Simonetta, tav. II
(3) R. I. S., XXI, 778.
(4) Storia di Milano, Firenze, 1851, vol. II, p. 46. Il Giulini invece nelle
sue Memorie spettanti ecc., 2.» ediz., vol. VI, p. 565 è d'avviso perfettamente opposto e ricorda, a finan la numerosa prole illegittima dello Sforza e quanto
in merito alla causa della morte di lui asserisce il Da Soldo.
(5) La delicatezza dell'argomento ci sconsiglia dal riportare tutta la bibliografia, che serve a confermare il severo giudizio sulla vita intima di Francesco I;
nè l'episodio riferito dal SIMONETTA, op. cit., 69-70 e riportato poi dal MESSIA,
Nuova seconda selva ccc., Venetia, 1565, XXV, 40 e dal CamrigLIo, Storia di
Milano, Milano, 1831, vol. IV, p. 152 basta di certo a giustificare l'’erroneo giudizio sulla costumatezza dello Sforza.
—
DI ALCUNI FIGLI MENO NOTI DI FRANCESCO I SFORZA ZI
vare con tutta l’eloquenza dei fatti la falsità dell’affermazione degli
altrì autori sunnominati, che, se non sorprende nel Simonetta, storico aulico, non altrettanto ci fa pensare del Verri, il quale nella
prefazione alla Storia ds Milano (1) assicura i lettori suoi di non
« trascrìvere i giudizî già pronunciati » intorno ai principi, che
signoreggiarono sulla nostra patria e che egli si propone di rappresentare con colori diversi dagli usati finora. Della numerosa
prole spuria dello Sforza, che trova solo un raffronto in quella di
Bernabò Visconti e di Nicolò III d’Este, noi verremo adunque particolarmente trattando, omettendo di portare il nostro esame intorno
ai più noti figli legittimi, che lasciarono traccia profonda di sè
nella storia e che ci dispensano quindi da ogni pur fugace accenno
alle loro vicende.
Francesco Sforza procreò ben trentacinque figliuoli (2); dalla
prima consorte, Polissena Ruffo di Calabria, sposata nel 1418, ebbe
una sola figlia di nome pure Polissena, morta nel 1420; la terza (3),
Bianca Maria Visconti, lo rese padre di dieci, mentre i rimanenti
ventidue illegittimi nacquero all’insigne condottiero da varie donne.
‘Tra queste prediletta fu quella Giovanna detta « Colombina » (4),
donna oscura d’Acquapendente, il solitario ed inospite castello sforzesco del Reame, la quale, al dire dell’Anonimo Veneziano, lo
Sforza « apreciava molto » (5) e che gli diede cinque figli: Polissena e Sforza, morti in tenera età, altra Polissena, Drusiana e
Sforza Secondo. l
PoLIissENA, nata nel 1428, fu concessa nel 1442 (6) in moglie a
(3) Vol. I, p. 7.
(2) Della numerosa prole illegittima dello Sforza è pure fatta menzione in
una nota sincrona riportata dal CANETTA, Elenco storico biografico dei benefattori
delPOspedale Maggiore di Milano, Milano, 1887, p. 178.
(3) Nel 1424 aveva sposato una figlia di Giacomo Caldora, ma il matrimonio
venne sciolto l’ anno susseguente da papa Martino V. Cfr. RusierIi, Francesco
Sforza, Firenze, 1779, vol. I, p. s1.
(4) Cfr. la nostra Drusiana Sforza ecc., p. 164, n. 3.
(5) Archivio delle provincie napoletane, a. XVI (1891), p. 174 e sg.
(6) L’atto di promessa porta la data del 26 luglio; cir. ASM, Potenze Sovrane, Polissena Sforza, e non del settembre 1441, come vorrebbe la Cronica di
32 ALESSANDRO GIULINI
Sigismondo Malatesta, signore di Rimini, il ribelle e feroce suddito
della Chiesa, che sette anni dopo faceva strangolare la consorte per
« torre per mogliera la Isotta sua femina » (1), se pure non si
vuol prestar fede allo storico fanese Nolfi, che vorrebbe invece
Polissena morta di peste nelle braccia della cognata Margherita
d’Este (2).
Drusiana, venuta alla luce il 30 settembre 1437 in Artalto,
poco più che decenne serviva al padre suo per stringere uno di
que’ parentadi, che formavano tanta parte della sua politica ed
erano le fila, colle quali egli sapeva legare a sè gli amici e trasformare in docili strumenti gli avversari. Il 29 dicembre 1447 la
prometteva egli in isposa, con dote di diecimila ducati d’oro, a
Giano Fregoso, doge di Genova, e con bolla del 1° novembre
dell’anno successivo Drusiana, colla sorella Polissena e col fratello.
Sforza Secondo, veniva legittimata. Ma poco dopo, il 16 dicembre,
il Fregoso moriva e la giovinetta Drusiana restava vedova prima
ancora d’ascendere al talamo. Francesco Sforza pensò allora
di legare alla sua causa Jacopo Piccinino fidanzandolo a Drusiana
e prendendolo al suo soldo: gli sponsali furono celebrati con solennità in Pavia durante il carnevale del 1449. Dopo la rotta di
Monza il parentado veniva rotto ed il Piccinino chiedeva, ma non
otteneva, dal pontefice lo scioglimento della promessa nuziale ; più
tardi lo stesso Sforza domandava al papa la rottura del fidanzamento, ma nel 1459 il duca di Milano si mostrava disposto a concedere di nuovo la Drusiana al Piccinino, qualora il re di Napoli
avesse dato a quest’ultimo uno stato nel Reame. Nel 1463, essendo.
il Piccinino passato al soldo dei duca d'Angiò e divenuto padrone
di Sulmona, di quasi tutta la provincia di Chieti e del Molise, il
duca tornava ad offrirgli in moglie la Drusiana ed il Piccinino, desideroso di riconciliarsi stabilmente con lui, nell’ estate del’ 1464
‘Rimini, in R. 1. S., XV. Le nozze furono celebrate il 29 aprile taz e la
dote fu di quindicimila ducati d’oro oltre il corredo.
(1) Cfr. Fumi L., L'atteggiamento di Francesco Sforza contro Sigismondo
Malatesta con particolari sulla morte violenta della figlia Polissena, in quest'Archivio, 1913, p. 58 e sg. di
(2) Cf. Soranzo G., Due delitti attribuiti a Sigismondo Malatesta e una
falsa cronichetta riminese, in Atti del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti,
1914-15, LXXIV, parte 2.3
È
DI ALCUNI FIGLI MENO NOTI DI FRANCESCO I SFORZA 33
s'incamminava verso Milano, ove il 12 agosto era accolto come
un trionfatore. Drusiana, ormai ventisettenne, da Jacopo Piccinino
Visconti d'Aragona, principe di Sulmona e capitano generale del
Regno, veniva il giorno dopo condotta all’altare « parce et sine
s pompa », dice il Simonetta, in causa del lutto della corte sforzesca per la recente morte di Cosimo de’ Medici. La dote era di
trentacinquemila ducati d’oro oltre un ricchissimo corredo (1). Ritornato il Piccinino nelle sue terre del Reame, il 29 maggio 1465
Drusiana si metteva in viaggio per raggiungere il consorte, ma a
Francavilla riceveva la notizia che questi era stato imprigionato
per ordine del re di Napoli: si portava quindi a Teramo e di poi
a Pesaro presso lo zio Alessandro Sforza'in attesa di sgravarsi.
Il 27 luglio infatti metteva alla luce un bambino, al quale veniva
imposto il nome di Giacomo Nicolò Galeazzo. Malgrado il Pic-
«‘cinino sino dal luglio avesse lasciato la vita nelle carceri di
Napoli fu solo al suo ritorno alla casa paterna, ai primi di novembre, che Drusiana apprese la terribile nuova. Per qualche
anno non abbiamo più notizie di lei: solo nel luglio del 1468 la
troviamo tra le dame intervenute alle feste per le nozze di Galeazzo Maria con Bona di Savoia. Morta la duchessa Bianca Maria,
che sempre l’aveva circondata d’affetto e di cure materne, Drusiana
si ritirava nel convento di S. Agostino resistendo al fratello Galeazzo Maria, il quale, per ragioni d’indole politica, la voleva far
sposa di Spinetta Malaspina, marchese di Verrucula, che certo
non doveva essere un’ideale di marito (2): ma, facendosi sempre
più pressanti le insistenze del duca, essa nel 1469 se ne fuggì con
una serie di romantiche avventure-(3) a Trezzo e di là a Bergamo
unitamente alla figliastra Gabriella Piccinino (4), mentre le veniva
confiscata la sua tenuta di Moirago. Alla fuggitiva venivano così a
—_— &
(3) Cfr. la descrizione del medesimo in appendice alla nostra monografia
intorno a Drusiana Sforza ecc.
(2) .Cfr. la nostra monografia intorno a Polidoro Sforza in quest’ Archivio,
1914, p. 262, n. 1. .
.(3) Cfr. Drusiana Sforza, già cit.
. (4). Per le vicende di Gabriella,, stata poi affidata ad Antonia Sforza dal
Verme, cfr. Drusiana Sforza ecc. In una lettera del 22 marzo 1469 diretta al
duca è detto che « la disgraziata zovene se ne sta in grande tristeza e amaritudine p. Cfr. ASM, Potenze Sovrane, busta 816.
34 ALESSANDRO GIULINI
mancare i mezzi per condurre un’ esistenza circondata dal decoro
necessario per una dama della corte sforzesca, e, malgrado le replicate suppliche dirette al fratello Galeazzo Maria, la confisca
fu da questi sempre mantenuta. Trasferitasi a Padova, moriva
improvvisamente il 29 giugno 1474 e così la povera Drusiana, vedova ancor prima d’essere madre, chiudeva i giorni suoi in terra
d’esilio lungi dalla sua Milano, dove aveva trascorsi gli anni della
prima giovinezza fra gli splendori della casa paterna, ormai fune-
| stata dal regime tirannico del fratello Galeazzo Maria, dove aveva
conosciuto ed amato il valoroso condottiero a lei strappato dalle
esigenze brutali d’una politica crudele e spietata. La scarsa eredità
sua (giacchè negli ultimi anni, trascorsi fra le angustie e le strettezze della povertà, aveva dovuto mettere a pegno persino gli oggetti preziosi del ricco suo corredo nuziale) fu raccolta dal fratello
Sforza Secondo, conte di Borgonovo, unico superstite ormai dei
figli del duca Francesco e di Madonna Giovanna detta Colombina.
SFORZA, chiamato Seconpo (1) per distinguerlo dal fratello dello
stesso nome morto in tenera età, era nato il 24 agosto 1433 a Grotta.
mare nelle Marche. Nel 1442 veniva promesso quale sposo a Maria
d’Aragona, primogenita del re di Sicilia, che aveva appena varcato
il secondo lustro (2): l’ unione non ebbe effetto e nel 1451 egli
impalmò invece Antonia dal Verme, nata da Luigi, conte di Bobbio,
uno de’ capitani più celebrati del suo tempo, e da Luchina, figlia
del Carmagnola, con dote di diecimila ducati (3): queste nozze, per
le quali il Filelfo compose un poemetto (4), erano state combinate
da Luigi dal Verme nel 1448, quando, abbandonato lo stipendio.
de’ milanesi, s'avvicinò allo Sforza (5). Di carattere instabile e fa-
(1) A torto il Cantù in quest'Archivio, 1875, p. 179, n., dice che il Litta
non fa cenno di Sforza Secondo « che pur doveva essere d'importanza »; l'insigne genealogista lo registra invece alla tav. 1 e IV: nell'ultima di queste anzi
parla difusamente della linea de’ conti di Borgonovo, che da Sforza Secondo
trae origine.
(2) Cfr. Osto L., Documenti diplomatici tratti dagli archivi milanesi, Milano,
1872, vol. III, p. 272-75, e quest Archivio, 1884, p. 78.
(3) Il duca Francesco ne dichiarava ricevuta a Luchina dal Verme, madre
della sposa, il 27 settembre 1451. Cfr. ASM, Potenze Sovrane, Sforza Secondo.
(4) Cf. Rosmini, Vita del Filelfo, vol. II, p. 99, n.
(5) Cfr. Lrrra, op. cit, Dal Verme, tav. II. Nella Cronica di Anonimo
Veronese (1446-1488), edita da G. Soranzo, Venezia, 1915, p. 13 si legge:
DI ALCUNI FIGLI MENO NOTI DI FRANCESCO I SFORZA 35
cinoroso Sforza Secondo attraversò molte peripezie : nel 1461 cercò
d’'ingannare il padre, deciso sostenitore dell’Aragonese, dando Tortona ed altre terre a Giovanni d’Angiò, che muoveva alla conquista
del reame di Napoli (1) ed allorchè nell’agosto il duca Francesco
s'ammalò gravemente e si sparse nel Piacentino la voce che egli
era morto, scoppiò una rivolta, che fu soffocata nel sangue e che
si ripetè nel gennaio dell’anno seguente capitanata dal conte Onofrio Anguissola, coadiuvato da Sforza Secondo e dal condottiero
ducale Tiberto Brandolino; Sforza fu tratto in arresto nella rocchetta di porta Romana, e, per le preghiere della moglie, ebbe
salva la vita, mentre l’Anguissola ed il Brandolino la perdettero,
e fu solo dopo tre anni messo in libertà (2). Ne’ primi del 1467
entrava egli al soldo de’ veneziani (3) e Francesco Maletta avvertiva il duca Galeazzo Maria che Sforza era fuggito da Lodi, dove
risiedeva da parecchio tempo e con seguito di cavalieri, balestrieri
e fanti s'era portato a Crema, ove « se trova anchora la femena
« sua col figliolo » (4). L’Anonimo Veronese (5) dice in proposito
che Sforza, dubitando del fratello duca, nel febbraio si portava a
Malpaga « a trovare el capitano Bartholomeo Coglione, dove fu
« assoldato con cavalli CCCCCC » (6). Qualche tempo dopo la
moglie di lui, Antonia dal Verme, d’ ordine del duca veniva tradotta a Milano ed essendo esso cagionevole di salute la duchessa
« .... la donna, che fu del Alvixi Dal Verme, li offerse sue terre et denari,
« che si stimava de molti ne havesse, et sua figliola per donna a Sforzino, di
« Francesco figliolo, che l’acetò poi ».
(1) Cfr. Cronica di Anonimo Veronese cit., p. 243.
(2) Cfr. quest’ Archivio, 1892, p. 881. Nel settembre del 1462 Sforza Secondo,
imprigionato nella rocchetta, s'era gravemente ammalato ed in preda al delirio
« come pazo ed insensato se agitava fuori del letto » così che la moglie si rivolgeva per farlo togliere dal carcere a Bianca Maria, la quale otteneva dal duca
qualche mitigamento nella pena. Cfr. ASM, Potenze Sovrane, busta 816, lett. 9
e 16 settembre.
(3) Cfr. Cerri L., / conti Sforza e il feudo di Borgonovo, in Archivio storico per le province parmensi, n. s. XV, 1915, p. 123 e sg.
(4) ASM, loc. cit., lett. 27,:28 e 29 gennaio 1467 da Lodi.
(5) Cronica di Anonimo Veronese, p. 243
(6) Pure lo Srino, Vita di Bartolomeo Colleoni, Venezia, 1569, p. 206, dice
che Sforza Secondo « disdegnando l’imperio di Galeazzo il fratello » passò coll’insigne condottiero bergamasco.
36 . ALESSANDRO GIULINI
inviava alla sventurata cognata la sua carretta pel trasporto (1).
Malgrado ciò, Sforza si lamentava col fratello che volesse spogliare
la moglie del possesso di Borgonovo, che era stato concésso in
garanzia della sua dote e diceva come avesse dovuto uscire dai
domini ducali « per paura che la vita sua como già a tuta Italia
« è noto », come i legami di sangue « et la grandezza del nome
« del comun padre » gli procurassero, anzi che i favori del fratello duca « perpetuo carcere o morte », come infine gli venisse
da lui. contesa l’ eredità paterna e concludeva invitandolo a far
« cosa digna da principe a rendergli la donna sua, la dote sua » (2).
E si rivolgeva pure alla duchessa Bianca Maria, della quale si affermava figlio « de amore et reverentia » pregandola d’ impedire
che gli venisse fatto soffrire « quello che ad uno rubello o turcho
« non se faria » (3). Verso la fine di quell’anno Sforza, lasciato il
campo de’ veneziani, ritornava nelle grazie del duca, che lo riammetteva nel possesso di Borgonovo e si proponeva d’assegnarli
trecento fiorini mensili di provvisione, di pensare al mantenimento
ed all’equipaggiamento de’ suoi uomini d’arme, del suo seguito e
di provvederlo in seguito d’una condotta presso di sè, del re di
Napoli o de’ fiorentini (4). Il 1° gennaio 1468 lo investiva infatti
del feudo di Borgonovo eretto in contea (5), ma non pare che venissero a cessare per questo le strettezze economiche, che travagliavano l’avventurosa e disordinata esistenza sua, poichè un anno
dopo (6) così scriveva al duca: « la candella de Sforza ha za con-
« sumato el mezo del verde e pocho lume mi resta ». Nel 1472
però era destinato a comandare un colonnello del primo corpo
dell’esercito ducale, che Galeazzo Maria Sforza intendeva d’adunare
(1) Cfr. CERRI, op. e loc. cit.
(2) ASM, loc. cit., lett. 22 marzo 1467 da Orzinovi.
(3) ASM, loc. cit., lett. 22 marzo pure da Orzinovi. Alla duchessa Bianca
Maria egli doveva essere gratissimo; fu in particolar modo pel suo efficace intervento che nel 1461 ebbe salva la vita. L'Anonimo Veronese, più volte citato,
così si esprime in proposito: «et si non fosse donna Bianca duchessa [il duca]
« l'averia fatto impiccare » (p. 243).
(4) Ivi, nota del 15 ottobre.
(5) Ciò in seguito a rinuncia fattane ‘da Sforza Maria, duca di Bari, che ne
era stato investito il 27 gennaio 2467. Cfr. ASM., Reg. duc. FF., f. 263. Nel
1486. venîva pure investito di Monte Ponzone: cfe. ivi, Reg. duc. 55, a
(6) Ivi, lett. 15 gennaio 1469 da Milano. |
sai
DI ALCUNI FIGLI MENO NOTI DÌ FRANCESCO I SFORZA 37
al confine veneto coll’obbiettivo d’assalire la Serenissima, progetto
bellicoso, che non fu poi tradotto in atto (1) e quindi nel 1472
lo troviamo chiamato all’ ufficio d’ammiraglio della flotta ducale
« ducalìis classis maritime capitaneus generalis » (2); in una lettera
diretta da Borgonovo (3) al duca certo Mattia, probabilmente altro
de’ famigliari di Sforza, diceva d’essersi portato a Genova unitamente a quest’ultimo per ispezionare « l’ armata et l’ esercito ma-
« ritimo » che « farà tremare el mare e la terra a solis usque ad
« occasum », d’aver visto a Savona le ventisei nuove galee ducali
e d’aver percorso la riviera di ponente: quella di levante veniva
invece visitata da Sforza in compagnia di Giovanni da Melzo (4)
« dignissimo zentilhomo et partisano dicatissimo » del duca. E
proprio pochi anni dopo, nel 1478, Sforza Secondo aveva l’incarico
di ricondurre all’ubbidienza Genova ribellatasi al governo ducale,
ma l’impresa sua non sortiva esito felice, mentre nel 1483, messo
a capo dell’esercito sforzesco inviato nel Parmigiano per domare
la rivolta dei Rossi di S. Secondo, raggiungeva pienamente lo
scopo e nell’anno susseguente veniva creato luogotenente generale nel Piacentino coll’ufficio di reprimervi l’insolenza dei feudatarî. Ritiratosi poi nel suo dominio di Borgonovo venne a morte
sulla fine del 1492 o negli inizi del 1493 (5) lasciando vari figli naturali (6), essendogli premorta in giovane età l’unica figlia legittima
Giovanna, nata da Antonia dal Verme. Sforza Secondo non ebbe
doti militari perspicue, tanto che il Litta, parlando della sfortunata
sua spedizione contro Genova, diceva che « del nome in fuora
(1) Cfr. quest'Archivio, 1876, p. 453.
(2) ASM, loc. cit., lett. 11 gennaio di Sforza a Cicco Simonetta da Piacenza
ed altra del 21 dello stesso mese al duca.
(3) Ivi, lettera 7 febbraio.
(4) Senatore e consigliere ducale, personaggio di solide virtù, ricchissimo
di censo ed amantissimo della patria. Ebbe posizione notevole durante il periodo
della Repubblica Ambrosiana. Cfr. ArGELATI, Bibliot. Script. Mediol., vol. II,
p. 919 e Famiglie notabili milanesi, Meli, tav. 1.
(5) II Bosso nella sua Cronica dà il 24 dicembre 1461 come data della morte.
(6) Essi sono: Francesco, nato da Margherita Borri; Giacometto, Leone e
Lucrezia da .una Maria ; Giovanna da una Polissena e Drusiana da una Maddalena. Cfr. CERRI, Op. e loc. cit.
Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc I-II. 3
38 ALESSANDRO GIULINI
« non aveva dell’avo le qualità ». A lui l’umanista piacentino
Antonio Cornazzano dedicava in nuova lezione la graziosa ed importante operetta sull’arte delle danze scritta per l’ alunna sua Ippolita Sforza (1).
.
os *
Altro spirito torbido fu Sforza MARIA, che il Litta dice nato
nel 1449 e quindi quartogenito tra i figli legittimi di Francesco
Sforza, mentre il Giulini (2) lo registra come secondogenito ed il
Corio (3) quale terzogenito. I documenti d’archivio non ci consentono di dare l’anno preciso della sua nascita. Ai primi d'aprile
del 1445 il re di Napoli, entrato nella lega italiana, per rafforzare
i trattati conchiudeva con casa Sforza due matrimonî: l’ uno tra
Ippolita, figlia del duca di Milano, ed Alfonso, figlio del duca di
Calabria; l’altro tra Sforza Maria ed Eleonora d’Aragona, sorella
del predetto Alfonso, bambina che raggiungeva appena il lustro (4),
destinata invece a portare poi il fiore della coltura napoletana alla
corte di Ferrara coll’unione sua con Ercole I d’Este ed a procreare
la « generosa erculea prole », dalla quale uscir doveva quell’altra
Eleonora, ispiratrice al Tasso delle liriche più ispirate (5). Nel 1464,.
con privilegio del 9 settembre, veniva investito del ducato di Bari
il futuro genero del re di Napoli, che un anno dopo, unitamente
al fratello Filippo Maria, muoveva da Milano con gran seguito per
accompagnare a marito la sorella Ippolita. Giunto alla corte aragonese, Sforza Maria, garzone sedicenne prestante della persona,
ispirava vivo amore alla giovinetta Eleonora (6), colla quale cele-
(1) Cfr. Mazzi C., Il « Libro dell’arte di danzare » di Antonio Cornazzano,
in Bibliofilia, XVIII, I e Silvestri M. A., Appunti di cronologia cornazzaniana,
in Bibl. stor. piacentina, V, p. 146.
(2) Memorie spettanti ecc., 2. edizione, vol. VI, p. 509.
(3) Storia di Milano, vol. III, p. 211.
(4) Cfr. CanetTA C., Le sponsalie di casa Sforza con casa d'Aragona, in
quest Archivio, 1882, p. 136 e sg., e FERORELLI N., // ducato di Bari sotto Sforza
Maria Sforza e Lodovoco îl Moro, pure in quest’Archivio, 1914, p. 390-91. La
dote fissata era di quarantamila ducati.
(5) Cfr. OLivi L., Delle nozze di Ercole d’Este con Eleonora d'Aragona, in
Memorie della R. Accademia di scienze e lettere di Modena, to. V, serie Il.
(6) Cfr. FERORELLI N., op. cit., p. 426 e pure quest'Archivio, 1915, p. 514.
E' proprio Sforza Maria il destinatario della fettera amorosa di Nicolosa, in data
DI ALCUNI FIGLI MENO NOTI DI FRANCESCO I SFORZA 39
brava gli sponsali: il matrimonio doveva essere perfezionato più
tardi a Milano, ove nel dicembre incominciarono le trattative pei
festeggiamenti, che in tale occasione dovevano aver luogo. Si decise d’attendere l’anno nuovo, ma, da prima la morte di Francesco |,
le esigenze poi della politica del nuovo duca, che voleva amicarsi
Ercole d’Este (1), resero impossibile l’avvenimento, malgrado Galeazzo Maria nel 1468, in adempimento de’ capitoli matrimoniali
conclusi dal padre nel 1457, concedesse in feudo al fratello la
città di Tortona (2). D'accordo col re di Napoli furono avviate
pratiche per ottenere dal papa l’annullamento delle nozze, ma per
ciò occorreva il consenso degli sposi. Per Eleonora si mise innanzi
che essa aveva acconsentito all’ unione non liberamente, ma per
ubbidire al padre (3): per Sforza Maria la concessione dell’assenso
fu assai meno facile e solo il 12 ottobre 1472 egli ebbe a prestarlo,
così che in base ad esso il 15 del detto mese fu emessa la bolla
papale d’annullamento del matrimonio. Relegato in Francia con
Lodovico il Moro per volere del fratello duca, dopo la morte di
questi fece subito ritorno a Milano colla speranza d’ assumere la
direzione degli affari del ducato unitamente ai fratelli, ma, delusi
12 ottobre 1457, conservata tra gli autografi della Trivulziana e da lady Morgan,
in L’Italie, Bruxelles, 1821, vol. I, p. 197 definita « une lettre.... vrai modèle de
« style passioné de ce temps »? Non inclineremmo a crederlo, data l'età quasi
infantile di Sforza. E neppure siamo d'avviso che l’autrice della lettera, ora ricordata, possa essere Nicolosa Castellani, moglie del potente signore bolognese
Nicolò Sanuti, conte della Porretta, che Sabbadino degli Arienti nelle sue « Porettane » chiama « donna bellissima, grat'iosa, venusta », i cui rapporti con
Sante Bentivoglio, signore di Bologna, sembrerebbero pure escludere la relazione
collo Sforza. Cfr. per Nicolosa Sanuti: CorneLLi G. B., Di Nicolò Sanuti primo
conte della Poretta, in Atti e Memorie della R. Deputazione di storia patria fer
le provincie di Remagna, serie III, XVII (1889), p. 10x e sg., e Giornale storico
della letteratura italiana, XXVI, p. 333 e 339. Crediamo piuttosto, anche pel
contesto della lettera, che si tratti della nutrice o di un’aia di Sforza Maria.
(1) Cfr. RATTI, Famiglia Sforza, vol. I, p. 98 e sg., e MuRrATORI, Antichità
Estensi, vol. Il, p. 231.
(2) Ir ASM, Potenze Sovrane, Modena stanno istruzioni del 16 agosto 1468
a Sforza Maria, conte di Valenza, che era stato inviato alla corte estense. Qualche
tempo prima, il 19 giugno, questi scriveva alla duchessa Bianca Maria: « il re
ds le contentissimo de darme la Ill.» Madona Elionora si che io pur spero
« che le cose passeranno benissimo ». Quale illusione 1 Cfr. ASM, Potenze Sovrane, Sforza Maria.
(3) Cfr. Piena, De principibus Atestinis historia, Ferrariae, 1585, p. 652.
40 ALESSANDRO GIULINI
nelle loro aspirazioni, Sforza Maria, Lodovico ed Ottaviano congiurarono contro la duchessa reggente insieme a Roberto Sanseverino e ad lbleto Fieschi. Sono note la cattura e le rivelazioni
di Donato Del Conte, avvenute il 25 maggio 1447, le vicende della
congiura subito domata, la fuga del Sanseverino, del Fieschi, dei
fratelli Sforza e la fine lagrimevole del giovane Ottaviano (1). Confinato nel suo ducato di Bari, Sforza Maria attese il momento propizio per riunirsi al Sanseverino, che, ritornato dalla Francia, aveva
sollevato e poi perduta Genova ; lo raggiunse (2) sulla riviera dì
levante, ove divampò la guerra civile in sul principio del 1479,
giungendo a Spezia con quattro galee di re Ferdinando il 4 febbraio (3); ma in Varese Ligure veniva a morte, appena trentenne,
il 28 luglio di quello stesso anno con sospetto di veleno (4).
| Se Sforza Maria, che il Filelfo indicava rispetto ai fratelli
suoi « dignitate praestans » (5) per l’ascendente, che esercitava su
di essi, era giunto a dominare Lodovico Maria ed il giovinetto OTTAVIANO, miseramente perito nei gorghi dell’Adda (6), non altret-
. (# Cfr. Rosmini C., Vita di G. G. Trivulzio, Milano, 1815, vol. II, p. 16-19
e 20-24. Per notizie sulla congiura cfr. oltre ASM, Sezione Storica, miscellanea,
busta 44 e Potenze Sovrane, Gian Galeazzo Maria, anche quest’ Archivio, 1886,
p. 764 e 1912, p. 420-21.
(a) Il 15 gennaio Sforza Maria scriveva da Bari al marchese di Mantova ed
il 12 dello stesso mese alla duchessa Bona giustificandosi di non essere uscito
dai confini assegnatigli ed annunciando loro d'essere risoluto a liberare la duchessa ed il figlio dall’oppressione di chi s’ arrogava la somma delle cose. Cfr.
ASM, Potenze Sovrane, Sforza Maria.
(3) Cfr. ASM, Potenze Estere, Genova, 1479.
... (4) In una lettera ducale del 29 agosto in ASM, Carteggio generale, busta
136, si parla di catarro ed è detto: « Li faremo fare uno -septimo honorevole
«. et pregare Dio li perdoni como ancora noi li havemo perdonato ». Pei particolari
del decesso cfr. PasoLini P. D., Caterina Sforza, Roma, 1893, vol. III, p. 67,
e la lettera del canonico veronese don Celso Maffei pubblicata dal Luzio, Lodovico
il Moro e Bona di Savoia in Corriere della Sera, 23 agosto 1913, nella quale
è detto il duca di Bari essere stato « veneno horridissime interempto ». Il GIULINI,
Memorie spettanti ecc., 2.° ediz., vol. VI, p. 635-36 dice pure che la morte di
Sforza Maria «e altri attribuiscono alla soverchia grossezza del corpo, altri a veleno ».
(5) Biblioteca Trivulziana, codice n. 873. Di Sforza Maria fa ‘pure cenno
l’ARGELATI, Bibl. Script. Mediol., II, 1389.
(6) Ottaviano, nato a’ primi di maggio del 1458: cfr. ASM, Potenze Sovrane,
Ottaviano Sforza, delegaz. 21 aprile 1458 in Guarnerio Castiglioni pel battesimo >
Potenze Estere, Mantova, lett. 4 maggio della marchesa di Mantova e Missive,
reg. 37, fol. 244. Nel 1466 ebbe .in feudo la pieve d’Incino, Reg. Duc. BB
=
DI ALCUNI FIGLI MENO NOTI DI FRANCESCO I SFORZA 41
tanto eragli riuscito per Ascanio e sopratutto per Firippo MARIA,
nato in Pavia il 22 dicembre -1448, uomo dall’indole tranquilla (1)
e dedito allo studio, che il poeta ed erudito Giorgio Valagussa
aveva educato all'amore per le lettere e del quale 1’ Argelati (2)
ricorda alcune composizioni poetiche conservate nell’Ambrosiana.
Filippo Maria anzi, secondo quanto lasciò scritto Donato Bosso,
oltre adoperarsi per riconciliare i fratelli rivoltosi colla cognata,
si ritirò addirittura in castello colla duchessa Bona e col piccolo
duca (3). I documenti del nostro archivio di Stato consentono di
considerarlo sotto il particolare rispetto delle vicende matrimoniali,
alle quali dovette acconciarsi per le esigenze inesorabili della
politica paterna (4). Nel 1454 venivano stabiliti gli sponsali tra Filippo Maria e Maria, figlia legittima del duca di Savoia, con istrumento del 13 settembre, rogato dal notaio Giacomo Perego; in
detto atto si fissava la dote in centomila scudi d’oro ed il duca dî
Milano s’impegnava, a matrimonio avvenuto, di creare il figlio Filippo Maria conte di Pavia e di Tortona, facendolo così capostipite
d’una linea cadetta della famiglia ducale con sovranità ed eventuale
successione nel ducato, Gli sposi erano ancora bambini e solo dopo
un anno i rapporti fra le due case principesche s’erano raffredati
tanto che si poteva parlare d’una eventuale unione di Filippo con
Eleonora d’Aragona, già promessa al fratello Sforza Maria. Nel 1461
tutto doveva essere rotto, giacchè Francesco Sforza non si mostrava
fol. 102, e più tardi Lugano. Nel 1474 con istrumento del 28 ottobre, rogato
dat notaio Giosafatte Corbetta, delegava il suo cancelliere Francesco Visconti,
segretario ducale, a prendere il possesso della terra di Sale. Scoperta la congiura,
alla quale aveva partecipato, Ottaviano se ne fuggi da Milano, e, giunto a Spino,
nel passare l’Adda affogò, da alcuni si crede ucciso per ordine della Reggenza,
dice il LirtA, op. cit., Attendolo Sforza, tav. V, mentre la duchessa Bona, parlando della morte del giovane cognato, scriveva d’aver sofferto molto « quanto
« per averlo alevato insino da puto lo amavamo come proprio fiolo ». Cfr. RoSMINI, Op. cit., p. 19.
(1) Marin Sanudo in un suo curioso ms. dal titolo: Parentadi de Italia,
conservato nella Marciana e che si può assegnare al 1497, dice che Filippo Maria
« fo huomo assai corpulento », il che spiega in parte la sua indole pacifica.
Cfr. il nostro appunto in quest'Archivio, 1915, p. 528. |
(2) Op. cit., vol. II, 1388-89.
(3) Cfr. Giutini, Memorie spettanti ecc., ediz. cit., vol. cit., p. 627.
(4) Cfr. il nostro lavoro su Filippo Maria Sforza in quest'Archivio, 1913,
p. 376 e sg.
42 ALESSANDRO GIULINI
alieno dall’unire Filippo Maria ad Anna d’Orléans, ma anche questo
disegno svanì. Nel 1465 Filippo Maria accompagna con Sforza la
sorella Ippolita a Napoli, ma egli rimane nella penombra cedendo
il posto al minore fratello. Amante del quieto vivere (1) Înon venne
bandito, come Sforza e Lodovico, da Galeazzo Maria e nel 1479 non
partecipa, come abbiamo visto, alla rivolta contro la reggente
Bona di Savoia. Quest'ultima anzi nell’anno susseguente s’affacendava per combinare un matrimonio tra il cognato e Gabriella di
Borbone, figlia del conte di Montpensier: trattative, che pyire ebbero esito negativo, mentre in un atto notarile del 4 aprile 1482,
rogato da Giosafatte Corbetta, si fa cenno di Giovanna Sanseverino,
sorella del principe di Taranto, come consorte di Filippo Maria
Sforza (2). Pochi mesi dopo, il 29 agosto, ottenuta la necessaria
dispensa pontificia, quest’ ultimo impalmava la cugina Costanza
Sforza, figlia di Bosio, conte di S. Fiora, e di Criseide di Capua
con dote di tremila ducati, come da istrumento del 15 ottobre dello
stesso anno a rogito dei notai Gio. Antonio da Cairate e Luigi de’
Sachi. Questa unione fu di breve durata, poichè Filippo Maria
moriva il 1° ottobre 1492 in Milano in parrocchia di S. Nicolao
« intus » (3) e veniva sepolto nella cappella dello Spirito Santo
nella chiesa di S. Maria degli Angeli. Nel suo testamento chiamava
erede generale il fratello Lodovico Maria, duca di Bari, lasciando
(1) Malgrado ciò, nel 1470 dal duca Galeazzo Maria era stato confinato nella
rocca di Melegnano, dalla quale il 18 settembre di quell’anno scriveva al crudele
fratello, chiedendo venia @ per li molti excessi ». Cfr. ASM, Carteggio, ad a.
(2) Cfr. quest'Archivio, 1915, p. 528.
(3) Nel 1477 Lodovico Gonzaga, marchese di Mantova, s'era interposto per
sopire le discordie esistenti fra i membri della famiglia ducale ed aveva ottenuto
che a Sforza Maria venisse assegnato il palazzo, che era stato di Tommaso da
Rieti, a porta Tosa; a Lodovico Maria la casa del cremonese Ziliolo de Bonizi,
già Corte di Barnabò, a S. Giovanni in Conca; ad Ascanio il palazzo, già di
Leonardo Vismara in via Fagnano; ad Ottaviano il pa'azzo di Francesco Premenugo, sul corso di porta Nuova, presso il monastero dell’Annunciata, divenuto
poi proprietà di Rinaldo d’ Adda; a Filippo Maria infine quello di Scaramuzza
Visconti, in porta Vercellina, nel cui giardino poi Ca-lo d'Amboise nel 1507, in
occasione dell’ entrata di Lodovico XII, re di Francia, faceva erigere un e ca-
« strum lineum », come nota il Muratto, Annalia, Mediolani, 1861, c. XIX,
p. 96 ed il Prato, Storia di Milano, in Archivio storico italiano, 1842, vol. III, p. 263
Cfr. pure GiuLINI, op. cit., vol. VI, p. 264. Già fino dal 1468 Sforza Maria in
una lettera del 18 giugno, da lui diretta alla madre, scriveva che il duca vole:a
=“
DI ALCUNI FIGLI MENO NOTI DI FRANCESCO I SFORZA 43
seimila scudi d’oro per la dote e mille pel corredo e le gioie alla
figlia legittima Bona, promessa a Gian Galazzo Visconti, conte di
Sesto Calende: aveva egli avuto anche un figlio naturale, Costanzo,
ignorato dal Litta, morto di otto anni nel 1479. Filippo Maria usò
il titolo di conte di Corsica, ma nell’istrumento portante le sue disposizioni testamentarie non gli viene attribuito alcun titolo (1).
Nel 1497 la vedova di lui, Costanza, passava a nuove nozze con
Claudio de Palude, conte di Ruppe e Parvapetra, barone di Varambon e di Villenoxel, ricco gentiluomo borgognone, al quale
portò in dote dodicimila ducati. Rimasta nuovamente vedova fece
ritorno in patria andando ad abitare nella canonica di S. Ambrogio : il 27 settembre 1541 testava a favore dell’Ospedale Maggiore
di Milano, ove moriva ottantenne l’II maggio 1546 in parrocchia
di S. Pietro sul Dosso (2).
®
è *
TRISTANO, di madre ignota, è di certo una delle figure più spic-
‘cate della corte sforzesca. Nato verso il 1422 (3) era quindi il
maggiore d’ età tra i figli maschi del duca Francesco e ciò, oltre
le sue qualità personali, spiega la parte notevole da lui presa ne-
‘gli avvenimenti politici e famigliari. Condottiero d’armi di qualche
fama, nel 1452 dal padre, che, udite le prime mosse de’ veneziani,
aveva guarnito parecchie rocche del milanese, era lasciato a presidiare Soncino con cinquecento cavalli ed altrettanti fanti. I veneziani piombarono su questa fortezza a’ primi di giugno sotto il
comando di Jacopo Piccinino intimandone la resa, che venne fatta
da Iristano in seguito ad accordi col Piccinino stesso, che lo trattò
con molta cortesia e lo lasciò andar libero verso Cremona (4). Leassegnargli una casa in porta Nuova « cioè quella de Premenuto » ed a Lodovico Maria « la casa de Isabetta de Robecho ». Cfr. ASM, Potenze Sovrane,
Sforza Maria.
(1) Cfr. in argomento quest'Archivio, 1913, p. 382, n. 7.
(2) Cfr. Canerta P., Elenco storico - biografico dei benefattori deli’Ospedale
Maggiore di Milano, Milano, 1887, p. 357.
(3) II Necrologio dell’ASM registra la morte di Tristano all'11 luglio 1477
e gli attribuisce l’età di 55 anni. Cfr. quest'Archivio, 189I, p. 275.
(4) Cfr. Gatantino F., Storia di Soncino, Milano, 1869, vol. I, p. 223. Nella
Cronica di Anonimo Veronese sopra cit., p. 35, è detto che Soncino cadde « senza
44 ALESSANDRO GIULINI
gittimato dal genitore (1).nel 1454 veniva promesso (2) quale sposo
a Beatrice d’Este, figlia naturale di Nicolò III e sorella di Borso,
duca di Modena, la quale era rimasta vedova di Nicolò da Correggio (3). Le sue nozze furono oltre ogni dire suntuose e diedero.
« strepito..... essendoli detto castello da li homeni dato contro volontà de Tri.
« stano Sforza, che dentro lì era ».
(1) La legittimazione è in data del 16 ottobre 1448: in ASM, Potenze Sovrane, Tristano Sforza troviamo cenno di ciò, ma.non abbiamo rinvenuto la
relativa bolla papale.
(2) L’atto di promessa, celebrato nell’Arengo di Milano, è del 18 novembre,
mentre del 28 settembre è il mandato conferito dal duca di Modena a Francesco
della Mirandola, conte di Concordia, per contrarre il matrimonio di Beatrice,
sorella del duca, con Tristano Sforza. Cfr. ASM, loc. cit. Il LITTA, Op. cit., Aftendolo Sforza, tav. I erroneamente dà il matrimonio avvenuto il 28 ottobre 1454.
(3) Beatrice era nata al marchese Nicolò III da una Anna, di cui s’ ignora
il cognome; nell’ottobre del 1448 fu data in moglie a Nicolò da Correggio, che
la lasciò vedova l’anno susseguente incinta d'un figlio, cui pure fu posto il nome
di Niccolò (1450-1508), che, se non fu un grande poeta, resta senza dubbio una
delle più tipiche figure di cortigiano del Rinascimento. Beatrice, che aveva notevole posizione nella fastosa corte milanese, sopravisse al marito e morì în Milano venendo poi sepolta in S. Angelo presso Tristano il 17 novembre 1497,
come prova E. Motta, 1! beato Bernardino Caimi, Milano, 1891, p. 17, n. 2,
mentre il Diario Ferrarese, R. I. S., XXIV, p. 350, riferisce la data del 29 novembre, il GALANTINO, op. cit., vol. I, p. 328-29 quella del marzo e Luzio-RE:
NIER, Nicolò da Correggio, Estr. dal Giornale storico della letteratura italiana,
vol. XXI, p. 205 e sg. e XXII, p. 65, il 17 dicembre dello stesso anno. Per il
testamento 3 aprile 1478 rog. Paolo Bosso, cfr. in Trivulziana, cod. 1817, fol. 276,
Beatrice era stata erede di Tristano unitamente alla figlia legittimata di questi, Elisabetta Margherita, posta sotto la tutela di Ercole I, duca di Modena, divenuta poi
moglie di Galeazzo Pallavicino, marchese di Busseto, colla quale ebbe a sostenere una
lunga e disgustosa lite, che venne vinta dalla figliastra, cui Beatrice fu costretta a
consegnare anche la Torre di Soncino, edificata da Tristano, dove aveva passato
col medesimo giorni tanto felici; così che al dire del GALANTINO, Op. e loc. cit.,
morì poco dopo d’ apoplessia settantenne « in umile abituro d'una via remota
« della capitale » e precisamente, possiamo aggiungere noi, in porta Nuova nella
parrocchia di S. Martino alla Noce. Il suo testamento del 15 novembre 1497 fu:
raccolto dal Zunico. Morendo dispose di quanto erale rimasto in Soncino a favore di Pietro Antonio Bassi, suo siniscalco, unico de’ famigliari rimastole fedele,
che la seguì nell’avversità tanto che « la calunnia volle fare di tale sentimento.
« di devozione il soggetto di una scandalosa novella ». Cfr. GALANTINO, Op. e
loc, cit., e per ulteriori notizie intorno a Beatrice SABBADINO DE LI ARIENTI, Gynevera ‘de le clare donne, Bologna, 1888, p. 398; Frizzi, Memorie per la storia
di Ferrara, Ferrara, 1848, vol. IV, p. 185; LITTA, op. cit., D'Este, tav. XI.
vi
DI ALCUNI FIGLI MENO NOTI DI FRANCESCO I SFORZA 45
luogo a grandi feste 1 ), che ebbero principio il 27 aprile 1455:in
Ferrara (2): per l’occasione composero epitalami il Filelfo, Guarino
Veronese ed il Mombrizio (3) ed il Cornazzano, che assisteva. all'avvenimento, ne fa cenno nel suo Libro sull'arte di danzare e chiama
Beatrice « regina della festa » (4), mentre il pittore ferrarese Nicolò Teutonico ne ritraeva la bella effige perchè venisse mandata
alla duchessa di Milano (5). Come più sopra ebbimo occasione di
dire, Tristano era uno de’ figli del duca tenuto in maggior 'cbnto,
perchè, quando nel 1464 quest’ ultimo contava di partecipare’ alla
crociata bandita da Pio II con una spedizione in Albania ed’ éleggeva a comandante della medesima Lodovico Maria, Tristano: èra posto a lato del giovanissimo capitano, che tale per l’età doveva essere
solo di nome (6); così nel 1465 veniva dal duca inviato alla corte’ di
Napoli per ottenere la liberazione del cognato Jacopo Piccinino ‘(7)
e nel 1468 ad Amboise a sposare per procura Bona di Savoia; destinata in moglie a Galeazzo Maria. Tre amni dopo, allorchè'l'agognata Imola veniva ceduta da Guidaccio Manfredi al duca di ‘Milanò,
era spedito a prenderne possesso Tristano (8), che Galeazzo' Maria
destinava poi al comando di seicento cavalli e di cento uomini
d’arme facenti parte di quell’esercito, che, come abbiamo detto; egli
preparava contro Venezia (9). A soli 55 anni l’ Ir luglio 1477 'veniva a morte in Milano in parrocchia di S. Fedele: l’Anonimo' Veronese (10) accenna a qualche sospetto d’ avvelenamento quando
dice che Tristano « homo prudentissimo et in cui mostrava quello
3) I
(1) Cfr. Morta E., Nozze principesche nel quattrocento, Milano, 1894.
(2) Cfr. Cronichetta di Lodi del secolo XV pubblicata ed annotata ‘da C. Casati, Milano, Dumolard, 1884, p. 48. Erroneamente il MurATORI, Antichità Estensi,
parte II, p. 213, parlando di queste nozze, chiama Tristano c uno de' figli le-
« gittimi » del duca di Milano.
(3) Pel « Librazolo de nuptiis domini Tristani » cfr. quest’ Archivio, 1886,
p. 46. !
(4) Cfr. SivesTri M. A. op. cit., vol. V, p. 154 € RENIER R., Op. cit., in
Giornale storico della letteratura italiana, 1891, vol. XVII, p. 142 e t:3 TAL
(5) Cfr. quest'Archivio, 1889, p. 404, n
(6) Ivi, 1886, p. 741-45.
(7) Ivi, p. 262.
(8) Cfr. Cronica di Anonimo Veronese cit., p. 290.
(9) Cfr. quest’Archivio, 1876, p. 454. (10) Op. cit., p. 326:
46 ALESSANDRO GIULINI
« Stato havere fiducia de giugno (?) MDCCCLXXVII se amala et
« subito more, credesi aiutato ». La vedova sua, Beatrice d°’ Este,
dalla quale non lasciò prole (1), gli fece porre sulla tomba un epitaffio (2).
Di PoLIpoRO, pure figlio naturale del duca Francesco, abbiamo
già avuto occasione di parlare (3) e quindi ci limiteremo a riassumerne brevemente le vicende personali. Nacque egli verso il 1442
da Perpetua da Varese, forse la damigella del seguito di Bianca
Maria, che quest’ultima in un accesso di gelosia fece, alla vigilia
delle nozze, rapire, condurre a viva forza in castello ed uccidere (4).
Nel] 1448 veniva legittimato da papa Nicolò V ed il 13 gennaio 1455
il duca Francesco costituiva Guiniforte Maletta suo procuratore per
concludere il matrimonio fra Polidoro ed Antonia Malaspina, figlia
di Spinetta, marchese di Verrucola. Polidoro risiedeva in Parma,
lungi dalla corte paterna, dalla quale lo teneva forse lontano la
gelosia di Bianca Maria, che pure aveva avuto tenerezze materne
per altri figli naturali del marito: ma Polidoro era nato da quella
Perpetua, che aveva fatto sorgere una grossa nube sull’orizzonte
‘coniugale, solitamente così sereno, de’ nostri duchi! (5). Nel 1465
pare fossero fallite le trattative con casa Malaspina, giacchè
(1) In una lettera al duca Galeazzo Maria del 10 ottobre 1472 Beatrice si
diceva prossima a divenir madre ed esponeva i suoi timori causati dall'età ormai
matura. La prole, se pur nacque, doveva di certo essere morta in età infantile,
poichè nessun traccia abbiamo trovato di essa negli atti d'archivio. Cfr. ASM,
Potenze Sovrane, Beatrice d'Este.
(2) Cfr. FoRCcELLA, Iscrizioni milanesi, vol. V, p. 7.
(3) Cfr. quest’Archivio, 1914, p. 257 € sg.
(4) Per Perpetua da Varese e per quest’ episodio della vita coniugale di
Francesco e di Bianca Maria ricordati ne' Commentari di quell’ acuto ed abile
narratore, che fu Pio II, cfr. quanto già abbiamo occasione di dire in quest’Archivio, 1914, p. 257, N. 3.
(5) La duchessa Bianca Maria altra volta si era acerbamente lagnata dell’infedeltà del marito allorchè invocò l’ aiuto del papa per richiamarlo ad una vita
‘più corretta ed a troncare la tresca con quell'Isabetta, che forse si può identificare colla madre di Giulio Sforza. Cfr. quest’ Archivio, 1914, p. 261, n. 2. L’energico proposito di Paolo II d’inviare alla corte milanese un messo papale impressionò assai il duca e forse non fu estraneo alla rapida sua fine. Nè Francesco Sforza,
DI ALCUNI FIGLI MENO NOTI DI FRANCESCO I SFORZA 47
se ne érano iniziate altre per dare a Polidoro in isposa una figlia
di Paolo Barbo, uno de’ più cospicui patrizî veneti, fratello di
Paolo Il (1); andate pur queste a vuoto, vennero riprese nel 1468
quelle coi Malaspina, ma non è dato di stabilire con precisione
quando Polidoro levasse dalla casa paterna la figlia del marchese
Spinetta, la quale convisse brevemente col marito, che venne a
morte in Milano il 9 febbraio 1475 a trentatre anni e fu sepolto
nel Duomo (2). La vedova di lui si ritirò negli stati paterni: Lorenzo de* Medici nel 1477 la consigliava a passare a nuove nozze,
ma i documenti non dicono con chi il parentado sia stato ideato
e se esso fu concluso.
Se Polidoro viveva lontano dalla famiglia sforzesca un altro figliuolo naturale di Francesco I, GiuLio, ricordato fugacemente dal
Litta e degli altri genealogisti di casa Sforza, aveva trovato benevola accoglienza presso la famiglia legittima del padre. Nato da
una Elisabetta od Isabetta (3), di cui s’ignora il cognome, fu investito del feudo della pieve di Brebbia e condusse in moglie la
figlia di Tommaso Grassi, il ricchissimo fondatore delle scuole
omonime di via de’ Ratti (4), Margherita, la quale, bambina affatto,
era stata promessa a Galeazzo Sforza Visconti, figlio naturale di
Lodovico il Moro, ignorato dal Litta e dal Ratti, colla dote di dodicimila ducati. Morto Galeazzo avanti il termine fissato pel matripur così proclive all'infedeltà, fu esente da gelose preoccupazioni e ne è prova
la cattura e la prigionia di Guglielmo VI, marchese di Monferrato. Cfr. G. DeL
CARRETTO, Cronaca di Monferrato, R. I. S., III, 1233, e Bollettino di storia subalpina, IV (1899), n. 3, p. 158.
(1) Cfr. pel Barbo quest'Archivio, loc. cit., p. 260, n. s.
(2) Per le questioni relative alla data del decesso e per le altre minute notizie intorno a Polidoro ed alla prole sua cfr. quanto già ebbimo a dire in
quest’Archivio, loc. cit.
(3) Essa aveva ricevuto in dono dal duca Francesco I una casa in parrocchia
di S. Giovanni sul Muro: era mai questa l’ Isabella de Robecho, alla quale il
duca nel 1465 faceva costruire una casa in Camposanto? Cfr. quest’ Archivio,
1894, p. 517 © 1895, p. 410, n.
(4) Cfr. il nostro studio su Tommaso Grassi, le sue scuole e le relazioni sue
cogli Sforza, in quest’ Archivio, 1912, p. 271 e sg. Una bella lapide, che lo ricorda, fu recentemente donata al civico museo in Castello. Cfr. SANT'AMBROGIO,
Una lapide Grassi del secolo XV presso Corsico, in Pagine d’Arte, II, 1914, n. 19,
P. 247 © S8-
48 ALESSANDRO. GIULINI
monio, Margherita fu data in moglie a Giulio Sforza, che pure
cessò di vivere il 15 gennaio 1495 in Varese lasciando prossima
a diventar madre la giovane sposa (1): nel suo testamento del
26 dicembre dell’anno antecedente chiamava erede la prole nasci-
(1) Rimasta vedova di Giulio, Margherita Grassi passava quasi subito a seconde nozze col condottiero ducale Francesco Trivulzio ; cfr. LIrra, op. cit,
Trivulzio, tav. III, col quale non ebbe certo lieta esistenza. Il PéLISsIER, in Les
relations de.Francois de Gonzague marquis de Manioue avec Ludovic Sforza et
Louis XII, Bourdeaux, 1893, p. 73-74, ha spigolato nel carteggio dell’ oratore
ferrarese alla corte sforzesca, esistente presso l'archivio di Stato di Mudena e da
esso ha tratto la notizia della morte violenta della Grassi. Dalle lettere del 1498
appare che Francesco Trivulzio, il secondo marito di Margherita, era assai geloso
e che forse essa era piuttosto leggera: « la era (dice l'oratore ferrarese) alquanto
« vana e il marito zelosissimo ». Un mattino il Trivulzio annunciò d'aver trovato morta la moglie presso di lui e scrisse in proposito al duca « una lettera
« molto confusa » tanto che dai più «e pr
GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA 93
che questo accordo si teneva per stabilito, quando il Medici, tenuto consiglio co’ suoi capitani, non volle per nessun motivo accettare la proposta di pagar denaro, e ciò per il timore che lo Sforza,
avuto Monguzzo senza combattere, adoperasse il suo stesso denaro
per muovergli guerra. Ma la vera ragione per cui il Medeghino
non volle firmare l’accordo fu precisamente per il rifiuto del duca
di accordargli il permesso di conquistare Chiavenna e la Valtellina.
Il duca, ben conoscendo di quali gravi conseguenze per lo stato
potesse riuscire il suo consenso di mover gnerra ai grigioni, alle
insistenze del Medeghino rispose sempre con un rifiuto.
I capitoli (1), rimasti adunque sospesi, furono mandati all’im-
(1) Di capitoli, quali li ha riportati il Missaglia, non ne ho trovati. Nella Sezione Storica, Condottieri, Gian Giacomo de' Medici, cart. 1, c'è una copia dei terzi
capitoli, senza data, che ritengo gli ultimi rimasti pendenti. Comunque sia, eccoli:
« Si contenta il s.r Marchese di Musso che la concessione de le infrascritte
terre per rispetto a redditi si facia per via di vendita, et la iurisditione etc.,
in forma di Feudo franco, extendendo il Privilegio in amplissima forma con
tutte quelle remissioni, gratie et derogationi si trovarano concesse ad altri, et
che si possano concedere, di sorta che possa ne le ditte terre tutto quello che
posseva lo Ill.mo s." Duca, con facultà di infeudare, et riconoscere li già infeudati riservato solamente la superiorità alla persona del s." Marchese et suoi
successori quali habbiano ad iurare di essere fideli a sua Ecc.3 et suoi legitimi
successori et suo stato et non più oltra, ma che non possi essere astretto esso.
s.7 Marchese et suoi successori contra sua volontà uscire de le sue terre, et
che tale concessione sia et trans.sca in ogni suo discendente masculo et legitimo, et in loro deffetto nei suoi fratelli e descendenti simili, et in chi lui o
suoi successori per qualunque via ne disponerà, et possa fare batere di qualunque sorte dinari, quali senza exceptione si habbiano ad spendere per tutto
il Ducale Dominio facendo subito fare le cride opportune, purchè siano alla
bontà de la Cecha di Milano, et che esso s." Marchese et suoi possano pigliare
soldo et acostarse per modo de capituli, lighe, pace, o federe ad altri principi,
mentre non vadano et siano contra sua Ecc.* et suo Stato, et che non sia astretto contra la confederatione ha con li potenti s.ri Svyceri et Grisioni sino
in caso che essi venessero contra il Stato di s. Ecc.*, che alhora facia il possibile non passano per le terre a lui concesse et ogni altra defensione che lui
potrà, et che si facia renunciare dalli figli dello Ill. s." Hieronimo Morono le
ragioni pretendono in Lecho et suo contado et possa esso s." Marchese piacendoli pigliar il consenso di S. M.tà
« A. presso ricercha esso s." Marchese la gratia et absolutione de ogni delitto
per lui, suoi fratelli, officiali, capitanei, et ogni altro suo servitore cussì soldato como altro con plena restitutione di fama et beni, ancora che non habbiano la remissioni da li offesi, ne li quali se intende Petro Reyna da Serono
et li altri si nominarano nel ter.° de quindici giorni, et che per inante tutti
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94 RINALDO BERETTA
peratore (1), e intanto si combinò tra le parti una tregua di tre
mesi, la quale se era utile al Medici per tenere il duca neutrale
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quelli gli servivano si habbiano como si fussero alli servitij di sua Ecc.s
« Che possa far condurre liberamente dal Dominio Ducale senza solutione
di datio, licentia, et altro impedimento ogni anno sino alla summa de mogia
quatro millia tanto per la via di Como, como per altro.
« Che possa pigliare de la gabella di Milano ogni anno sino alla suma de
. stara decemillia di sale per il prezzo costa a sua Ecc.2, et bisognandone di più
per quello prezzo che poi si convenerà, dando però aviso de dui mesi inanti, o
vero possa farlo condurre: da quello loco gli parerà per il Dominio Ducale
senza impedimento et solutione di alcuno datio, pur che in nissuno caso se ne
dia a subditi di sua Ecc.®
« Che se gli ceda le ragioni et diasse in forma di feudo como di sopra le
terre occupate etc.
« Che non permetta nel Dominio di sua Ecc.» congregar gente di sorte
alcuna ne per alcuna causa, ne passare per il detto dominio in danno et dea sturbo desso s." Marchese et terre goncesse.
« Che sua Ecc.® confirmi et habbia per rato tutte le concessioni fatte cussi
« per modo di gratia como di iustitia per esso s." Marchese o suoi officiali, maxime
« ne la lurisditione di Dondossola, come si fussero fatte per officiali di sua Ecc.2.
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« Si conteata esso s.r Marchese espedite che siano le concessioni suprascritte
et interinate dal R,mo Senato relaxare Dondosola et sua iurisditione havendo
però lettere da sua M.stà, supplicando sua Ecc.® ad confirmare li loro privilegij,
et non darli ad alcuno di casa Borromea, et ancora relaxare Monguzzo er plebe
de Inzino, et ogni altra terra, excetto le infrascritte, riservando però al s.r Battista suo fratello tutti li frutti di questo anno de tutti quelli beni ha fatto cultivare in quelli lochi et cussì ne li beni di messer Thomaso et nepoti di Centemero, atteso che se gli ha d’havere certi dinari, et questo si exeguisca rimosso ogni lite et altra cognitione, intendendo ancora che esso s.r Marchese possa
sumariamente et con ogni executione exigere li salarij, conventioni, et ogni
altro credito, tanto per causa di sale quanto per altra causa, ne li ditti lochi
che relaxa dandoli però ter.° honesto ad spazare Monguzzo et Dondosola. Item
di dare expediti ut supra ducati vintimillia et chiamarse sodisfatto di ogni altro
credito che habbia con sua Ecc.2, quali insieme habbiano ad essere il prezzo
della vendita de li redditi delle terre infrascritte:
« Quali castelle, terre er fortezze sono queste
Musso con la forteza, le tre plebi Superiori con la torre di Ologna, Rezonicho,
Menaso, Lenno, Insula, Argenio, Nescio et Belasio con tutte le sue plebi et
terre adiacenti, valle di Intellvo, Osthena, Le Cime, Valsoldo, Proleza con il
contado, Alimonta, Civena, Assio con la Vallassina, Corte di Casale, Squadre
di Mauro e di Nibiono, Malgrado et Valmagrera, Lecho col contado, tutta la
Rivera di Mandello, Lierna, Varrena, Bellano, Derfo, Corenna con tutte le sue
plebi, verre et pertinentie, Valsasina, Taegio, Montagna di Introzo, et Colego ».
(1) SANUDO, Op. cit., vol. 54, col. 29I, 295.
| ci
GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA 95
nella guerra che stava per intrapprendere, dall’ altra serviva allo
Sforza per vedere come sarebbe andata a finire l’arrischiata impresa del suo nemico, e quindi agire in conformità de’ suoi interessi. Il 3 febbraio da Musso il Medeghino sollecitava dallo Stampa
il salvacondotto e vi si univa un modulo del come doveva essere
redatto, e cioè in ampia forma da valere tre mesi per sè, suoi fratelli, e servitori così da poter andare e venire attraverso lo stato
e di poter passare anche all’estero presso qualunque principe. Voleva inoltre che si avessero a nominare in detto salvacondotto altri
quattro de’ suoi da poterli mandare a negoziare le cose sue, e cioè
il rev. fra David Bosso proposto di Domaso (1), messer Gio. Pietro
Calvasina, Filippo Ardizzoni, e Francesco Pusterla (2). Tuttavia per
potere più comodamente trattare l’accordo, il Medici, per mezzo del
vescovo di Vercelli, ottenne in seguito dal duca di prolungare di
altri tre mesi la tregua, ma ebbe ancora un reciso rifiuto per la
guerra di Valtellina (3).
Intanto il duca, sborsata la prima annata di quattrocentomila
ducati, riebbe il 15 febbraio il castello di Milano, e, superate alcune
difficoltà insorte pei contrassegni, al 26 marzo anche il castello e
la città di Como. Una parte degli spagnuoli che presidiavano Como,
licenziate dal comandante spagnolo, ai primi di marzo erano venuti
a porre i loro alloggiamenti a Cantù, dove verso quegli abitanti e
di altri paesi circonvicini (si erano spinti fino a Mariano) commi-
(1) Costui era e icconomo del Medico », e da 25 anni risiedeva nella prepositura di Domaso. Scoppiata la guerra, e visto che l’andava male pel suo signore,
pensò bene di lasciare in asso il Medeghino e di rifugiarsi a Como con la sua
famiglia. Tuttavia dai ducali fu trattato come un ribelle, e spogliato degli averi,
che aveva portato con sè del valore di circa 62 ducati d’oro, e cioè di 12 ducati in moneta, di 35 in collane, anelli e gioie, d’una mula e di altre cose.
Perciò il 17 giugno un suo parente, Egidio Bossi, supplicava il Bentivoglio a
non volerlo considerare come un ribelle, e che gli fossero restituite le sue cose
dal momento che erano stati perdonati tutti quelli che avevano lasciato il Medeghino anche dopo il termine stabilito nelle gride. Il Medici, per rappresaglia, non
solo fece saccheggiare la casa del prevosto fuggito, ma fece prigioniero in Lecco
un suo fratello, il quale era venuto per prendere un suo figliuolo quivi a scuola.
(ASM, Carteggio generale, giugno 1531).
(2) ASM, Carteggio generale, febbraio 1531.
(3) ASM, Potenze Estere, Svizzeri, cart. cit. E’ una carta senza data d.l titolo « Summa de la risposta quale si ha 2d far al cast.no de Musso ».
96 RINALDO BERETTA
sero ogni sorta di vessazioni. Il duca ne fu assai dispiacente, e
pur non concedendo a quelle popolazioni di difendersi colle armi,
come avevano chiesto, onde evitare maggiori guai, da Vigevano
scrisse al Bentivoglio di lasciarvi quelle truppe non più di quindici giorni, di provvederle di viveri, e quindi farle uscire dallo
stato. Nel frattempo il Medeghino fece pratiche per averle al suo
soldo, e, nonostante fossero dissuase dagli agenti del duca, vi andarono per la via di Monguzzo. Altrettanto fece con gli spagnuoli
già di presidio nel castello di Milano, benchè vi si opponesse il
protonotario mons. Caracciolo in nome di sua maestà, non volendo
nuova guerra in Italia. In tutto circa novecento spagnuoli (1).
I grigioni, impensieriti dalla voce che il Medeghino nei suoi
maneggi e preparativi operasse di concerto col duca, mandarono
a Milano Martino Bovellini perchè vedesse chiaro come stessero.
le cose. Se ne ritornava il Bovellini, latore ai suoi delle buone intenzioni del duca a loro riguardo, quando il Medici, al quale premeva far credere il contrario, sulla strada di Como, alla distanza
di sette miglia da Milano, lo faceva sorprendere, tradurre fuori
mano, e assassinare col figlio che l’accompagnava da quattro soldati di Monguzzo (2). Il duca, edotto dell’assassinio e fatta compiere un'inchiesta, con lettera del 4 marzo da Vigevano ingiunse
a Rocco Quadrio di portarsi tosto presso i grigioni e loro notificare, oltre il dispiacer suo per tale misfatto, quanto aveva detto
all’oratore grigione (3). Risposero i grigioni di credere allo Sforza
se avrebbero visto il Vistarini, che sapevano entrato in Como con
numerose truppe, o un altro qualsiasi invadere i possessi del Medici, e costringerlo a desistere dal fare la guerra in Valtellina (4).
I grigioni lasciarono comprendere come non fossero alieni dal
combinare un’alleanza contro il comune nemico. Lo Sforza prima
di romperla apertamente con Gian Giacomo volle prudentemente
vedere quale piega prendessero gli avvenimenti.
(1) ASM, Carteggio generale, marzo 1531; Giovio, op. cit., p. 174; CaPELLA, De Bello Mussiano, col. 1230; CAMPELL, op. cit., p. 188; MISSAGLIA,
op. cit., p. 64.
(2) CAPPELLA, Op. e loc. cit.; IECKLIN, op. cit., p. 99. L'assassinio sarebbe
avvenuto presso Cantù.
(3) ASM, Potenze Estere, Svizzeri, cart. cit.
(4) CAPELLA, Op. cit., col. 1231.
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GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA 97
Compiuto quell’assassinio, il Medeghino alle calende di marzo
entrava improvvisamente in Valtellina e faceva di sorpresa occupare Morbegno dal fratello Gabrio: le forze del Medici erano di
circa settecento uomini (1). Gian Giacomo il 14 marzo mandava a
dire ai cinque cantoni confederati, coi quali era in relazione di
amicizia, di aver invaso la Valtellina perchè provocato dai grigioni,
ai quali aveva chiesto cordialità di vicinanza e, dopo ottenutane
promessa, si erano invece armati contro di lui; domandava pertanto
che si avesse ad impedir loro il passaggio sul territorio dei cinque
cantoni (2). I grigioni non tardarono a prendere le armi e ad assediare il borgo, ma il 23 marzo subirono una piena disfatta (3).
Il Medeghino menò grande scalpore per quella vittoria, e volle che
nei suoi dominii si rendessero grazie a Dio con processioni, e se
ne desse notizia a tutte le corti.
Battista Medici da Monguzzo si portò subito a Milano ad informare lo Speziano. Questi con lettera del 25 informava a sua
volta il duca come il fratello del castellano era stato mandato da
lui « acciò a la giornata meglio sapesse come prosperavano le cose
« del s." Marchese quale gratia de Dio, ch’aiuta sua fede, haveano
« ottenuto, contra Grisoni secta Lutteriana, Morbegno dove pensava
« fortificarse et che li havea. 500. guastatori oltre li soldati che
(1) Che il Medici invadesse la Valtellina con diecimila uomini, come vorrebbe la lettera del Tschudi al Podestà e Consiglio di Glarona del 13 marzo,
non è esatto.
(2) TECKLIN, op. cit., I, p. 99; II, Texte, p. 159.
(3) Angelo Medici il 24 marzo così scriveva da Musso al fratello Battista :
« In questa ho hauto lettere dil signor Gabriel date questa notte in Morbegno,
< dove avisa esser morti et feriti infiniti de loro, sono stati morti più de 500
« et.sette o octo capitani de primi, tra quali è morto il capitano Teghano, et
€ lo .hano tirato dentro et sepulto con grandissimo honore, hanogli tolto più de
« scalle 300. Non è morto de nostri più che uno regazo et uno guastatore. Se
« si trovava dui dì più presto questi s.r Cesare (Maggi) uscire di Como, era
« l’ultima ruina di questa natione, quali però nè più nè manco serà ruinata per
« esser loro disolti et disfatti. Li nostri introrno sta notte col sucorso senza un
« strepito al mondo come l'ho avixato. Il messo venuto dice non havere trovato
« persona, cussì si ha che molte bandere de loro sono partite et andate a Traona,
« la valle d’Albito è abbandonata. Il s.r Marchese per tal cosa comanda che si
« facia processione per tutto il paese et si renda gratie a Dio, cussi mi comette
« che si debba avixare tutti li potentati » ecc. ASM, Sezione Storica cit., cart. 2;
MissaGLIa, Op. cit., p. 65 € Sgg.
98 RINALDO BERETTA
« sono . 600. che non manchano. Fortificato pensava lassarli circa
« .200. homini et con il resto andar prosperando rincontrandose
« poi con suo Cognato qual anche se dice havea da condurre
« fanti -;-, al credere del Dugnano non serano che . 800., et che
« al s." Baptista he parso avisarmi acciò a la giornata sapia quanto
fano et pensano di fare, si come quella persona li he quanto che
« niuna altra amica et patrona ». Soggiungeva che i fratelli Medici
nen pensavano « ad altro che essere boni servitori di V. Ex.it »,
e che perciò si ritenevano sicuri che il duca non avrebbe mancato
alla tregua dei sei mesi (1). Allo Sforza non poteva sfuggire, nonostante tutte queste proteste di fedeltà, che al Medeghino importava tenerlo buono e neutrale per poi a impresa riuscita imporgli
patti leonini, tanto più che cercava anche di intendersela di nascosto col re di Francia.
Se non che il bel sogno, che il Medeghino riteneva ormai realtà
doveva sfumare ben presto. I grigioni, esasperati, decisero di farla
finita col castellano di Musso: domandarono aiuti ai cantoni svizzeri, ì quali, tranne i cinque che si trovavano in buoni rapporti
col Medici, risposero all’appello (2), e con una forza di oltre quattordicimila combattenti alle calende di aprile scesero in campo contro
il comune nemico, risoluti a non deporre le armi fino a tanto che
non lo avessero annientato (3). |
]l Medeghino, alle prese con un nemico così potente, si diede
ad invocare aiuti da ogni parte col pretesto ch’egli combatteva in
beneficio della fede, ma nessuno si mosse nè allora nè in seguito
per quanto brigasse. Luv Sforza, mentre continuava a mantenersi
in buone relazioni cogli svizzeri e coi grigioni preparando il terreno ad un’alleanza, sottomano lavorava a indebolire sempre più
le forze del Medici. Egli ottenne dal re dei Romani che non gli
potessero arrivare dalla Germania i tanto sospirati lanzichenecchi (4),
(1) ASM, Sezione Storica, cit., cart. 2.
(2) CAMPELL, op. cit, p. 190; CAPELLA, Op. cit., col. 1231. I cantoni di
Lucerna, Uri, Svitto, Zug, Unterwalden non vollero parteciparvi per non perdere
l'amicizia del re di Francia e per motivi di religione. Cfr. Relazioni di Domenico Panizoni del 4 e 11 aprile in ASM, Potenze Estere, Svizzeri, cart. cit.
(3) CAMPELL, op. e loc. eit.
(4) Nella lettera dei grigioni a quei di Zurigo del 1° aprile vi si dice che
in Lecco stavano seicento spagnuoli e trecento italiani i quali attendevano i.
—
GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA 99
e il 10 aprile mandava a provare ai grigioni come ciò fosse avvenuto per opera sua (1). Da Carlo V provocò altresì un decreto da.
Gand del 22 aprile col quale si intimava al Medici di rilasciare gli
spagnuoli assoldati. Il Medeghino dovette far buon viso a cattiva
fortuna, e rilasciò quei veterani. Il 3 maggio si concentrarono a
Como, quindi vennero ad Erba, e di là due giorni dopo ad Inverigo. Quivi volevano fermarsi qualche giorno, ma, benchè si diportassero bene verso gli abitanti, il duca non vi acconsentì: se ne
vennero a Monza e di là passarono nel mantovano (2). In altri
modi cercò il duca di danneggiare il suo nemico: il 16 aprile il
Bentivoglio vietò ai carpentieri di Como di recarsi al servizio del
Medici, e alla domanda del Medeghino di poter trasportare grano
dal Piemonte attraverso il ducato, pronto a rilasciargliene la metà,
non solo rispose negativamente, ma saputosi ch’egli cercava di provvedersi sul bergamasco per la via di Chiuso presso Lecco, ottenne
dai veneziani che avessero ad impedirlo (3).
Il duca, che fin dal 7 aprile scriveva da Vigevano al Bentivoglio di essere più che mai contento che si andasse finalmente preparando l’occasione di « levarsi davanti agli occhi il castellano di
a Musso », di fronte alle vittorie degli svizzeri e dei grigioni che
ormai assalivano il Medeghino nel cuore del suo dominio (4), stimò
lanzichenecchi per entrare insieme in Valtellina. Si domandava perciò pronti
aiuti altrimenti i grigioni sarebbero stati costretti a ritirarsi. In un allegato, annesso alla medesima, del 30 marzo datato da Morbegno si dicevano a cinquemila
i lanzichenecchi in marcia. IEKLIN, op. cit., I, p. 100. Questa cifra è esagerata,
(1) Da Milano il Bentivoglio informava il 10 aprile il duca di aver incaricato Rocco Quadrio di dimostrare ai grigioni che « il ritorno de li lanziche-
« necchi che andavano al soccorso del Castellano di Musso essere proceduto per
« l'opera di V. Ex.s ». Il Quadrio doveva mostrare i relativi documenti. ASM,
Carteggio generale, aprile 1531.
(2) ASM, Sezione Storica cit., cart. 1.
(3) ASM, Carteggio generale, aprile 1531.
(4) Il Vistarini, nelle sue informazioni al Bentivoglio e al duca, notificava.
il 9 aprile che le forze del Medeghino in Morbegno (e cioè le compagnie
del Pellizzoni, del Grasso, di Domenico Matto, del Cardono, del Borserio, e due
di spagnuoli) si erano ritirate a Gera, Sorico, Damaso, Gravedona, Dongo; il
15 che Gian Giacomo abbandonava tutti questi luoghi tranne Gravedona dove
si fortificava; il 16 che i grigioni attraverso la Valsassina erano giunti fino a
Bellano ; il 30 che gli svizzeri e i grigioni erano padroni di tutte le terre del
lago, e si facevano giurare fedeltà, ASM, Carteggio generale, aprile 1531; Sezione
100 RINALDO BERETTA
giunto il momento di gettare la maschera e di combatterlo apertamente. Il 17 aprile avvertiva il Bentivoglio di aver spedito « il Pa-
« nizono con una Instruttione a quelli Capitanei Elvetij et Grisoni
facendoli intendere il mio bono animo, et con ringratiarli de le
« bone demonstratione loro verso nui, et per vedere in quello si
« vogliono risolvere circa il stabilire una intelligentia et bona con-
« clusione tra mi e loro alla ruina del Castellano di Musso » (1).
Le pratiche per giungere ad un’ alleanza cogli svizzeri e coi grigioni procedevano bene. Importava, per altro, di essere sicuri della
signoria veneta. Il duca aveva domandato aiuto ai veneziani, ma
questi si scusarono di non poterlo fare. ] grigioni mandarono allora verso la fine di aprile a Venezia dei loro messi a dire che
avevano stabilito di annientare il Medici per avere ucciso il loro
oratore, occupato Morbegno, e per altre offese, e domandare se si
intendeva soccorrere il castellano di Musso. Tutti questi movimenti
non sfuggirono al Medeghino, e mentre a Milano mandava: il fratello Battista per indurre il duca a concludere l’accordo rimasto
sospeso, rimettendosi parecchio in quello che aveva domandato,
dall’altro spediva a Venezia perchè la signoria volesse interporsi
presso il duca per conchiudere l’accordo e non si alleasse coi grigioni. Risposero i veneti che avrebbero fatto ogni buon officio, ma
non furono che parole, poichè il 6 maggio notificarono ai grigioni
di esser contenti dei loro progressi, e che al Medici avrebbero impedito sul loro stato qualsiasi rifornimento di viveri e di soldati (2).
Similmente Battista Medici non ebbe dal duca che dubbiose
risposte. Il Medeghino mandò allora a Vercelli il fratello Angelo,
il quale il 2 maggio così scriveva allo Sfoza: « Da poi che v. Ex.*
« ne ha fatto dare quelle dubiose risposte, e che anchora se sen-
« tiva da lei qualchi movimenti contra di noi, è parso a noi fraStorica cit., cartella 1. La ritirata di Morbegno costò al Medeghino la perdita di
non pochi de’ suoi, tra. i quali il Grasso. A Gravedona con seicento spagnuoli
e trecento italiani tentò frenare l’irrompere dei nemici cosi d’aver tempo di allestire il meglio possibile la flotta, tirarè ogni cosa in Musso, e aumentare le
truppe, ma dopo qualche giorno dovette abbandonare anche Gravedona. Non gli
rimanevano che le fortezze di Musso, Lecco e Monguzzo: ogni sua speranza di
vittoria era ormai nella sua flotta. Cfr. CAMPELL, op. e vol. cit., p. 190 e sgg.
(1) ASM, Carteggio generale, cart. cit.
(2) SANUDO, op. cit., vol. 54, col. 373, 379. -
GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA IOI
telli di mandarmi in qua acciò mi retrovassi in Loco più libero.
Del che ne ho voluto subito avisare v. Ex. et pregarla una altra
volta che la vogli considerare al bene et utile et honore suo
circa questa cosa, Et se più è suo interesse senza suo danno et
spesa di haver et s." Marchese mio fratello sempre a suo servitio
et così tutti li suoi fratelli et contra ogni persona del mondo
etiam con sicurezza chel non habbi a manchare a v. Ex.8 cha il
il volerlo disperare et darli causa di fare quanto potrà per accostarsi a altri, la prego a darme a me sua fede che io possi venire da lei et tornare securo che spero certo che ogni cosa si
assettarà et si adestrarà al volere et utile di v.°Ex.® purchè lei
si metti a cose honeste, come speriamo farà. Et io da lei veneria
in publico o in secreto come meglio li paresse, solo mi dubito
che v. Ex.a pensi di haverne il cortello alla gola, et che siamo
per questo astretti a tore da Lei ogni conditione, ma la sappia
che le nostre cose non sono anchora in termine che se ne debbi
fare così poco conto, ne che ne manchi parti o per una via o
per una altra, solo havemo uno avantagio noi fratelli per le presenti occasioni che potremo disponere del Marchese nostro fratello, cosa ché mai non havemo potuto sino a questa ora. Però
prego l’Ex.* v. a sapere tore l’occasione sin che la gli è. Noi
non possemo anchora credere che v. Ex.® si debbi movere per
aiutare l’inimici suoi et nostri, et facendolo la guerra durerà
poi anchora anni et anni ne so che fine haverà. La si pensa
forse che il Marchese sij assediato in Musso, ma la troverà che
lui ha fortificato el porto, et sì tene et tenerà contro tutto il
mondo, et tenendosi non si pò assediare el Castello che non
vadi ogni dì dentro et uscischi ciò che si vole. L’ho voluta avisare al longo d’ogni cosa. La prego mo a fare quello che è più
utile et honore suo che pò volere v. Ex.* di meglio che potere
senza sua spesa cacciare l’inimici suoi de Italia o travagliargli
et tenerli sempre con tale freno che non haverano ardire di uscire
a servitio di alcuno potentato contro di quella. Non nego che il
Marchese non sij stato troppo licentioso contro di quella, ma
essendo lei quello prudente principe che la è non ha da postponere l’utilità sua all’apetito del vendicarsi, tanto più recogno=
scendosi el p.t0 Marchese et volendogli servire lui e i suoi fratelli de quella maniera che possi o debba alcuno homo del mondo.
Arch Stor. lomb., Anno XITTI, Fasc, TI. 7
102 RINALDO BERETTA
« Ne altro mi occorre che basciargli la mano et recomandarmegli
« humilmente, pregando Dio che gli dij longa vita et felice ». Al
vescovo di Vercelli, assente, scriveva due giorni dopo: « Già tri
« dì sono gionto qua, et sperando di passar più oltra non gli ho
« scritto; hora che qua me intertengo aspettando Commissione del
« s." Marchese mio fratello quel che ho da fare, la saluterò con
« questa in nomine del s." Marchese et tutti noi. Et circa le nostre
« cose benchè adesso habiamo uno gran foco ale spalle, dico più
« xI1J.® tra Elvetij et Grixoni, però se nessuno altro non se ne
« impaza ne riportaremo presto indubitata victoria. Vero è che il
« s." Duca de Milano fa certi movimenti quali però sina a questa
« hora non hano passato le parolle et pensamo lo facci per farme
« condescendere ale sue voluntà, non con animo de aiutare questi
« luterani che non è suo caso, quali movimenti non ne dano se
« non gran dubio et disfavore. Ma la guerra si intertenerà longa-
« mente et fra tanto qualche cosa nascerà o se gli troverà qualche
« rimedio o per una via o per un altra. Et se la Ex.® del Duca
« vorrà fare il suo utile la cercarà che gli sijno servitori como da
« noi non mancarà. Altro non mi occorre che basare la mano a
« V. S. R.ma pregandola a mandar l’inclusa al R.m° Car.le nostro
« s.e et recomendarmi a lei humilmente » (1). Fatiche sprecate: lo
Sforza, cogliendo l’occasione propizia pensava ormai a disfarsi
del suo nemico. Chiarita, come sopra abbiam dettò, la politica di
Venezia in questo affare, il duca, che giorni prima aveva mandato
a chiamare i maggiorenti dell’esercito elvetico-grigione, il 7 maggio
firmò con questi un trattato di alleanza senza aspettare che finisse
la tregua, alla quale non credette di ritenersi vincolato, trattandosi
di riavere il fatto suo (2). Battista Medici aveva tentato fino all’ul-
(1) ASM, Carteggio generale, maggio 1531.
(2) L’alleanza non piacque all'imperatore più per ragioni politiche che religiose, giacchè dubitava di cospirazioni francesi in danno dello Stato di Milano
e dell’Italia. Il Gilino il 13 maggio da Gand informava di aver fatto osservare
all'imperatore che, avendo gli svizzeri e i grigioni occupati la maggior parte dei
luoghi posseduti dal castellano di Musso, il duca si era trovato costretto a quel passo,
pur avendone fatto partecipe del tutto il Caracciolo, « il che mal volontieri però
‘« havea fatto conoscendo esser di debito suo non condiscender a cosa di pari o
€ più momento senza comunicarla prima con sua M.tà et haver suo consenso ».
ASM, Carteggio generale, maggio 1531. Lo Sforza in realtà aveva pensato bene
di provvedere ai suoi interessi attenendosi alla teoria del fatto compiuto.
GO ogle E
GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA 103
timo di impedire quell’alleanza, ma non vi riuscì. Il Medeghino, per
questa mancanza di fede, si lamentò presso le corti, e a memoria
del triste fatto fece coniare monete nella zecca di Musso con la F
rotta (fracta fides) (1).
Nel trattato si convenne, per dirla in breve, che il Medici e i
suoi fratelli fossero dichiarati ribelli, e chi avesse osato portargli
soccorso sarebbe stato di comune accordo combattuto; che le terre
occupate dal castellano di Musso sarebbero ritornate al duca, tranne
Chiavenna e la Valtellina, purchè entro tre anni si pagassero trentamila renensi per le spese di guerra fino allora sostenute; che il
duca avrebbe preparate forze convenienti per terra e per acqua
con tutto il necessario per condurre a termine la guerra; che gli
svizzeri e i grigioni avrebbero concorso con duemila fanti sotto i
rispettivi capitani dei quali milleduecento da pagarsi dal duca; che
il castello di Musso con la torre del lago sarebbero stati distrutti
dalle fondamenta nè mai più riedificati (2).
Il Medeghino si preparò a sostenere l’urto decisivo con tenacia
e ardimento mirabile, pur non tralasciando di brigare da una parte
presso l’imperatore perchè inducesse il duca a venire ad un accordo di pace, e dall’altra presso il re di Francia incitandolo a calare in Italia alla conquista del ducato (3).
(1) MissagGLIA, Op. cit., p. 69; Maurizio MONTI, Storia di Como, Como,
1831, vol. II, parte Î, p. 116.
(2) TAGLIABUE, Il trattato del 7 maggio 1531, in Periodico della Società Storica per la Provincia e antica Diocesi di Como, Como, 1897, p. 17 e sgg. Un
altra copia del trattato esiste in ASM, Carteggio generale, maggio 1531. Il trattato fu poi successivamente ratificato dai rispettivi cantoni, Cfr. ASM, Carteggio
generale, maggio 1581; Potenze Estere, Svizzeri, cart. cit.; IECKLIN, Op. cit., passim.
(3) CAMPELL, Op. cit., p. 196 e sg. Dalla citata lettera del Gilino del 13 maggio si ha che « anchora como 2 giorni avante l'homo del Medeghino era stato
« da se (cioè dall'imperatore) a torre licentia col supplicarla di novo che le vo-
« lesse dare il consenso del accordo che vol fare con quella (cioè col duca), al
« che li ha risposto che prima faccia l'accordo, et doppo ritorni per 1l consenso.
« Ordinommi parimente (Pimperatore) ch'io scrivesse a v. Ecc. che volesse usar
« ogni diligenza per fare che detto Castellano accontentasse di pigliare qualche
« intrata nel piano et le restituisse le fortezze che tiene ». A Carlo V, diftidente
di quella guerra, premeva che si ven.sse ad un accordo di pace. Se non che lo
Sforza, legato coi grigioni e cogli svizzeri, non poteva concludere la pace senza
il consenso di questi, i quali avevano risoluto di farla finita col loro nemico.
D'altra parte l’annicntamento del Medeghino tornava di protitto al duca. Il 16 giu
104 RINALDO BERETTA
Il duca, in base al trattato, diede tosto mano ai preparativi. ll
giorno seguente ordinò il sequestro dei beni del Medici e dei suoi
seguaci, devolvendoli alla camera ducale, e incaricando a sopraintendervi Giorgio Maggiolino uno dei maestri delle entrate. Due
giorni dopo emanava una taglia sul Medeghino, e su tutti quelli
ch’erano con lui, ma che nessuno ebbe mai il coraggio di eseguire (1). L’8 maggio aveva inoltre eletto il Maggiolino quale
gno lo Sforza scriveva al Gilino perchè avesse a difendere presso l' imperatore
il suo operato, giacchè « per accomodarsi alli tempi et fuggire l’arme » aveva
desiderato nei passati mesi di venire a patti col Medici benchè non ridondasse a
suo onore, ma che avendo il Medeghino, durante le pratiche, ucciso l’ambasciatore dei grigioni col suo figliuolo, asssoldate le truppe spagnuole di Milano e di
di Como nonostante il parere contrario di mons. Caracciolo, e occupata la Valtellina, i grigioni e gli svizzeri gli mossero contro con un esercito di quindicimila
uomini. Gli svizzeri e i grigioni gli avevano perciò fatta più volte la proposta
di unirsi a loro, minacciandolo diversamente di chiamare in aiuto i francesi e
di spingersi fino a Milano e tutto devastare. Per evitare sì grave pericolo, tanto
più che il Medeghino aveva fatto correre la voce di intrapprendere la conquista
della Valtellina col consenso del duca, si trovò costretto a conchiudere il trattato
di alleanza e a mover guerra al castellano; guerra che tornava a beneficio di
tutta Italia, e a lui solo di grave danno per lc grandi spese che gli procurava.
Non taceremo, soggiungeva, che il Medeghino si offri di consegnare al re di
Francia tutti i suoi luoghi dietro altra ricompensa. E conchiudeva col dire di
essere pronto a venire a patti purché ponesse nelle mani di sua Maestà Musso
e Lecco. ASM, Carteggio generale, giugno 1531. In realtà le pratiche da parte
del Medici per un accordo durarono più o meno attive finchè, riconosciutosi
vinto, il 16 febbraio 1532 dovette accettare la pace che gli venne imposta dal
duca cogli svizzeri e coi grigioni.
(1) « Ihs
« M.D. XXXI. die X Maij
e (Omissis). Et perho per le presente in nome del prelibato Ill.mo et Ex,mo
sig.re s. Francesco Secondo Duca de Milano, etc. Per questa publica Crida,
bando, et comandamento se notifica ad qualunche cossì soldato ovvero officiale come privato, quali siano sopra li lochi et terre occupati dal dicto Gio.
Iacomo Medico o in altro locho a suoi servitij, di puoter venire in termine de
giorni quattro prox, mi sopra le terre de lo Ill.mo s. Duca senza pena per esser
« stato al servitio desso Medico ne sopra le terre et lochi occupati da lui.
e Che passato il detto termine quelli che si puotranno havere in le mane
« delli sopradetti, cos:ì soldati come altri, sarano irremisibilmente impicchati
« et quelli che si ritrovarano essere subditi di sua Ex.ia ultra che saranno im-
« picchati se gl'intendano essere confischati li beni,
« Che darà vivo Gioan Iacomo de Medici guadagnarà scuti tre mila cone tanti, quali sono in deposito presso messer Hieronimo Brebia thes.ro generale
f A
ì
GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA 105
commissario a ricevere il giuramento di fedeltà dalle terre già del
Medici coll’incarico di riscuotere nello stesso mese dai territori
AaA n
a’ f AA aa
di sua Ex.a et scuti 500 de intrata ogni anno, et più chel possi levare. X.
homini de bando banditi dal Stato di sua Ex.® per qual se voglia causa, oltra
che essendo esso bandito per qualunche causa, s'intenda ipso facto liberato. Et
chi lo amazzi guadagni la mità de tutte le predette cose.
« Che darà vivo Baptista Medico guadagnarà scuti due mila contanti, quali
sono in deposito come di sopra, et scuti tre mila de intrata ogni anno, et levarà
de bando otto homini banditi ut supra. Et chi lo amazarà guadagnarà la mità
de tutte le predette cose.
« Che darà vivo Gabriele Medico guadagnarà scuti mille contanti depositati
come di sopra et puotrà levare de bando quattro homini banditi ut supra. Et
che lo amazarà guadagnarà la mità de le predette cose.
e Sel sarà alchuna persona sij che si voglia, quale se ritrovi alli servitij o
sopra le terre occupate dal p.to Gio. Iacomo de Medici qual sia bandito dal
Stato de Milano per qualunche causa, che amazzi qualche persona de grado
che sia o sarà al servitio del dicto Medico, come sarebbe Capitaneo, Lochotenente, o Banderale, soa Ex.s lo cava de bando immediatamente, et sel non
sarà bandito sarà in facultà sua d’impetrar gratia per un altro bandito da soa
Ex.* per qual si voglia causa, et gli donarano li suoi beni se ne haverano.
« Sel sarà alchuna persona de quale grado o conditione che sia, che stia
alli servitij per soldato de dicto Gio. Iacomo Medico, quale se parta in dicto
termino di quattro giorni da lui, volendo, sarà acceptata nel medesimo grado
di soldo da soa Ex, ma passato dicto termino niuno sarà più oldito ne admesso, etiamdio che fosse tamborino o trombetta.
« Se farà alchuno che per quello modo meglio possa dia el Gastello di
Musso o la terra di Leccho in puotere di sua Ex.® guadagnarà scuti quattro
mila una volta tanto, overo quattro cento de intrata ogni anno come meglio
gli parerà.
e Sel sarà alchuno che con quale arte et modo se vogl a dia una de le nave
grosse del ditto Medico armate in puotere de sua Ex.* guadagnarà scuti trecento d’oro, ma se la abbrusarà o affondarà in modo che dicto Medico et suoy
più non se ne possi valere guadagnarà la mità de detti dinari.
e Chel non sia persona alchuna, o subdita o non, quale porti ne facci} portare ne condure sorte alchuna de vittuaglie ne monitione al dicto Gio. Iac.°
Medico et suoy frat.li, ne ad alchuno de lochi occupati da essi ne da suoy,
ne gli dia in ditto o in fatto sorte alchuna de adiutto, et chi contravevenerà oltra che incorrerà in la pena de rebellione essendo subdita, sia licito
ad qualunque persona cossì soldato de sua Ex. come non, ad fargli pregioni,
fargli fare la taglia come a boni pregioni di guerra, et più gli possano amazare senza pena alchuna. Et s'alchuna persona sarà corsapevole de tali fautori
et chel non gli manifesti a sua Ex.s overo al Cap.e0 de G ustitia, ch'el s'intonda incorrere in le medesime pene ».
‘a tergo) « Crid= contra Castellar um Mussij ». ASM, Sezione Storica cit., cart. I.
106 RINALDO BERETTA
occupati e che si dovevano occupare la somma di cinquemila scudi
d’oro del sole, e ciò per concorrere alle spese di guerra e per il
bene di liberarli da quel tiranno. Purtroppo da quei luoghi, come
il Maggiolino notificava da Como l’11 maggio, non si poteva riscuotere nulla essendo gli abitanti fuggiti, e poi perchè dove « sono
« stati et se ritrovino li soldati Grisoni et Svyceri hanno quasi
« consumpto ogni cosa ». A questo riguardo già dal 4 maggio il
Vistarini aveva reso noto che i paesi del lago erano tutti pelati e
abbandonati. Si dovette pertanto pensare altrimenti.
Si decise per prima cosa di togliere al Medici il castello di
Monguzzo coi possessi in Brianza nella persuasione che più facile
sarebbe poi stata la conquista di Lecco e del lago (1). Saputosi
che in Monguzzo non vi erano che pochi soldati, per essere stati
tolti nella maggior parte dal Medici per contrastare l'avanzata degli
svizzeri e dei grigioni, lo Speziano da Como mandò cinque coorti
ad occupare il castello. Se non che il Medeghino, essendosi ritirati i nemici dopo conclusa l’alleanza collo Sforza, vi aveva mandato nel frattempo il Pellizzoni con buon numero di soldati coll'ordine di ben fortificarsi e di resistere fino all’ ultimo, in modo
di dar tempo di porre Lecco in stato di miglior difesa e specialmente di poter raccogliere in Brianza il grano appena fosse giunto
a maturanza, giacchè vi era grande penuria per la carestia. Giunti
i ducali a due miglia da Monguzzo, e saputolo di nuovo ben presidiato è fortificato, sostarono aspettando i necessari rinforzi (2)
Il 21 maggio il duca elesse comandante dell’impresa di Mon-
(1) AI Curti, in Venezia, si scriveva il 29 maggio che il Medeghino sul lago
aveva maggior numero di navi armate, e che perciò si era deliberato di fare
ogni sforzo per togliergli prima di tutto Monguzzo, onde, assicurata quella parte
di territorio verso Milano, poter gagliardamente attendere alle cose del lago,
Musso e Lecco. Parimenti al Robio, presso la corte francese, il 10 giugno gli si
notiticava che il Medici era superiore per numero di navi e di uomini abili nel
navigare, mentre d'altra parte gli svizzeri e i grigioni erano poco adatti ad operazioni di assedio senza l’aiuto dei fanti italiani. Giudicatosi quindi poco conveniente attendere contemporaneamente a due imprese, si impose al Vistarini di
fermarsi colla flotta a Menaggio e colle truppe a Dongo in modo che, mantenendosi soltanto in questi due iuoghi, si potesse impedire al Medici di scorazzare
troppo liberamente sul lago, e intanto prendere Monguzzo. ASM, Carteggio generale, maggio e giugno 1531. )
(2) CAPELLA, Op. cit., col. 1233.
- î
GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA 107
guzzo il colonnello Alessandro Gonzaga, e, due giorni dopo, Gio,
Battista Carcano come commissario ducale. Al Vistarini il 30 maggio
fu imposto di attendere esclusivamente a Como e al lago (1).
Lo Sforza non si trovava preparato: aveva domandato aiuto
{soldati, polveri, ecc.) ai veneziani, ma questi, come pure al Medici
che invocava soccorso, non diedero che buone parole: Venezia
volle rimanere strettamente neutrale (2).
La formazione del corpo di operazione, al quale dovevano
partecipare due coorti di grigioni, fu infatti lunga e laboriosa. Le
compagnie dei soldati giungevano in ritardo e senza il numero debito, mancavano le paghe, i viveri, l’artiglieria, le munizioni; ora
mancava una cosa ora l’altra: deficienze che, più o meno, durarono
per tutto il tempo dell’assedio. Il colonnello e il commissario sollecitavano continuamente l’arrivo di quanto era necessario per potersi muovere, particolarmente dei soldati dei quali il Gonzaga ne
domandava almeno settecento per l’assalto e cinquecento per premunirsi alle spalle. Da notizie avute da un prigioniero, fatto in una
scaramuccia sotto Monguzzo, e da disertori si sapeva che il presidio era di circa duecento uomini, parte paesani e parte lucchesi
e sienesi, che il Pellizzoni incoraggiava facendo correre la voce
che da Lecco sarebbero arrivati in soccorso duecento lanzichenecchi,
Mentre in Anzano si veniva operando il concentramento delle forze
ducali, una gentildonna del paese, con licenza del Gonzaga, ottenne
di potersi recare a Lecco ad intercedere dal Medeghino la liberazione di suo marito prigioniero in Monguzzo per la sua fedeltà al
duca. Vi andò ma non potè parlare con Gian Giacomo nè coi fratelli: dal Dugnani seppe solo che suo marito non si trovava in quel
castello. Già prima e per mezzo dello Speziano, aveva ricorso al
Pellizzoni ma invano.
Arrivati i grigioni, i quali benchè in numero minore del convenuto pretesero paga completa (3), il primo di giugno si era de-
(1) ASM, Sezione Storica cit., cart. I.
(2) SANUDO, Op. cit., vol. 54, col. 438, 442, 458.
(3) Nelle istruzioni mandate al Panizoni l’ 11 giugno il duca si lamentava
che il capitano grigione all’ impresa di Monguzzo invece di 400 fanti non ne
avesse che 180, e che a Menaggio col Vistarini al posto di 800 non ce ne fossero che 400. Gli raccomandava di far in modo presso gli alleati onde si provvedesse
come si era convenuto nei Capitoli, e che i fanti svizzzeri, i quali dovevano
108 RINALDO BERETTA
giso di trasportare il campo sotto Monguzzo, ma giunta la nuova
della camiciata compiuta dal Medeghino sopra Musso e della sua
partenza colla flotta verso Lecco, lo Speziano, dubitando che fosse
per soccorrere Monguzzo, diede ordine di non muoversi fino a
tanto che si fossero conosciute le intenzioni del nemico. Finalmente
il 6 giugno, stante le insistenti lamentele degli alleati per tante
lungaggini (1), benchè non fossero ancor giunte tutte le truppe richieste, l’esercito ducale mosse verso Monguzzo e pose il campo
a Cavogno. Quivi si fortificò e, fatte le spianate, vi piazzò l’artiglieria in diverse riprese per battere le mura. Il 9 venne a Monguzzo il Bentivoglio con lo Speziano, seco conducendo i cavalli
della guardia ducale essendo stato sollecitato l’invio di una compagnia di cavalleggeri per il servizio di esplorazione al di qua e
al di là del Lambro, e si domandò la resa del castello. Rispose il
Pellizzoni che si sarebbe piuttosto lasciato tagliare a pezzi. Non
rimaneva che prendere il forte a viva forza. Nella notte con circa
duecentotrenta guastatori, sotto la guida di Benedetto da Omate a
ciò delegato dallo Speziano, si iniziarono i lavori di trincea per
avvicinarsi alle difese nemiche e atterrarle, ma essendone rimasti
morti e feriti parecchi molti vinti dalla paura fuggirono. Tre giorni
dopo il Bentivoglio era di nuovo a Monguzzo e potè constatare
come si erano già abbattute certe difese della torre e della muraglia, ma poichè i nemici si difendevano con tenacia e valore soraiutarlo nella guerra contro il Medici, fossero armati di archibugi, anzichè di
picche, necessari per respingere gli assalti, e che sopratutto si trovassero nel numero convenuto, poichè molti erano in paghe ma pochi in fazione di modo che
si restava sconfitti come avvenne nell’assedio del castello di Musso. ASM, Potenze
Estere, Svizzeri, cart. cit.
(1) Il Vistarini scriveva il 7 giugno al Bentivoglio dal campo di Menaggio
com’ egli facesse di tutto per trattenere i grigioni ch’ erano con lui, ma che
continuamente gli « attossicavano il core per l'impresa di Monguzzo dicendo
« che si mancava di afretarla ». Va notato che in quei giorni le operazioni di
guerra volgevano in favore del Medeghino tanto da impensierire gli stessi svizzeri e grigioni: egli aveva respinto i nemici che assediavano Musso, battuto i
grigioni a Dongo, e i ducali a Menaggio. IECKLIN, op. cit., I, p. 102 e sg.; II,
p. 165 e sgg. Marco Sittich da Ems, indotto dal Medeghino che voleva approfittarne della buona occasione, il 20 giugno inoltrò alla Ditta Federale in Bremgarten una proposta di mediazione da prendersi a mezzo suo o d«l papa tra i federati e il castellano di Musso. TECKLIN, op. cit., ], p. 104. La proposta non ebbe
seguito.
:
GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA 109
retti dalla fiducia che il Medeghino non avrebbe mancato di soccorrerli, trovò urgente l’invio di altre truppe e di polvere, avendone
i cannonieri già consumata più di ottomila libbre, con cento palle
“« de canoni de 50 »,
Il colle sul quale si ergeva il castello si può dire che quasi
da tre lati scende ripido sul pjano, e talora a picco come verso
Lurago. La parte che si prestava ad un attacco, e dove al tempo
del Medici si faceva la guardia di notte, era quella che prospettava
Erba e che declina dolcemente verso l’attuale cascina Enrichetta,
dove passa la strada che da Nobile conduce ad Anzano. La porta
che anticamente serviva di ingresso al castello si apriva verso
Pusiano, ma il Medici trovò più conveniente aprirne un’ altra con
ponte elevatoio dalla parte opposta. Da questo lato correva la
fossa, e il Pellizzoni rafforzò le difese elevando un bastione largo
15 piedi e tanto alto da coprire le mura dai colpi dell’ artiglieria,
una casamatta ed altre fortificazioni sapientemente concatenate.
La notte del 14 i guastatori coperti da gabbioni si avvicinarono
alla casamatta per zappare il bastione ma dovettero ritirarsi, feriti
la maggior parte, per i sassi che precipitavano dall’alto gli assediati. Si trovò il bastione più forte di quello che si pensava e la
fossa molto larga. Francesco Bernardino Pietrasanta, gentiluomo
milanese banderale del conte Gerolamo Crivelli, il quale temerariamente aveva voluto arrampicarsi sul bastione sventolando la
bandiera verso i nemici, rimase colpito a morte da un’ archibugiata. Era costui un prepotente. Giorni prima era venuto a contesa
con un soldato. Tutto pareva finito, quando poco dopo, a tradimento, .colpiva mortalmente alla testa con un colpo di spada il suo
avversario che stava giocando. Tal fatto irritò talmente i soldati,
tanto più che il Pietrasanta era dalla parte del torto, che il Gonzaga aveva cercato di farlo allontanare dall’esercito (1).
Ma benchè il Gonzaga scrivesse al duca il 17 che si andavano
« cavando li bastioni de li inimici per intrare in la fossa per torli
« certi fianchi con li quali si defensano », tuttavia il lavoro dei
guastatori si faceva sempre più pericoloso, e non pochi rimanevano
————————————
(1) Il MissaGLIa, op, cit., p. 76, scrive invece che il Pietrasanta era insegna
del conte Francesco Gallarato, e aggiunge ch'era « uomo non pur di gran cuore,
« ma sprezzatore di ogni pericolo ».
110 RINALDO BERETTA
uccisi, man mano che sì veniva avvicinando le difese vitali del
forte (1). Perciò molti fuggivano: il 14 erano scappati quelli incettati a Varese, e il 18 quelli della pieve di Vimercate, riparando
non già alle case loro ma al di là dell'Adda per non essere presi
e puniti. Si pensò allora di aggiungere ai rimasti un certo numero
di soldati grigioni, dando loro la paga di diciotto soldi al giorno.
Vi si lavorava di notte divisi in squadre, dandosi il cambio ogni
otto ore, ma il lavoro rendeva meno quando c’era il chiaro di luna.
D'altra parte gli assediati sì difendevano con grande vigore.
Il 21 in una sortita avevano ucciso, fra gli altri, « M.ro Maphio
» bombardero et ingignero ». Un disertore, fuggito dal castello il
giorno seguente, dava notizia che nel forte vi erano una quarantina di feriti, che la razione era stata ridotta da tre pani a due,
che il Pellizzoni incoraggiava i suoi promettendo che non sarebbero mancati dei soccorsi, e che vi si era inoltre costruita con legnami una seconda casamatta nella quale non si poteva entrare
« se non venghano fora del portello et adreto la muraglia, et in
« quella non vi possono stare più di quattro homini con la fossa
.« larga un brazo, et hanno piantato certi travi a una colombera
« con intentione de reparare et fortificare, dubitando che da quello
« canto non si batesse con l’artigliaria ».
Dell’arrivo di aiuti agli assediati erano giunti parecchie volte
avvisi ai ducali. Il 10 giugno da Olginate il Villanterio aveva avvertito, come di cosa certa, di una camiciata da parte del Medici:
si stette in armi tutta la notte, ma non ne fu niente. Si era riusciti
invece il 14 all’ una di notte a far prigioniero Bernardino da Tabiago « famero di stalla del Medeghino », che era partito da Lecco
con una lettera e con medicine pel Pellizzoni, accompagnato da un
certo Steffano, detto « marrano », servitore del Medici. Il Marrano
aveva l’incarico di domandare al capitano Nicola e a Galeazzo
Crivelli se fossero sufficientemente forniti di soldati e di munizioni.
Il Bernardino fu impiccato il 25, e Steffano riservato per uno scambio
(1) Tutte queste difficoltà contrariavano il duca, il quale non si aspettava
che la conquista dovesse andare così in lungo, e si lamentò col Gonzaga stesso
della sua negligenza, il quale con lettera del 22 dovette difendersi col dirc che
egli faceva tutto il dover suo e che si trattava di prendere un luogo difficile e
ben difeso.
i
GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA i III
di prigionieri col Medeghino (1). I ducali, onde premunirsi da qualsiasi colpo del Medici e comunque impedire l’arrivo agli assediati
di qualsiasi soccorso, fortificarono meglio il loro campo, inviarono
soldati ad Olginate aumentando il presidio di quella torre, e collocarono in Nobile la compagnia del capitano Bastiano Picenardi
di fresco giunta. Lo Speziano aveva insistito presso il duca di
presidiare altresì Civate, luogo rimasto indifeso dopo che il Gonzaga il 2 giugno aveva richiamato al campo il conte Crivelli co’
suoi fanti e co’ suoi cavalli, ma non se ne fece niente perchè al
colonnello premeva di non indebolire troppo le sue forze. Lo Speziano, tra l’altro, informava che il Medeghino sulle grosse navi armate « li homini ha preso nel monte de Brianza e tutti gli incatena ».
Che il Medici, nonostante tutte le precauzioni dei ducali, tralasciasse
di far pervenire dei soccorsi ai suoi non era nemmeno da pensarsi.
Il 28 infatti si riuscì a sorprendere ad Olginate una spia la quale
veniva a notificare al Pellizzoni come in quella notte il Medeghino
avrebbe mandato sedici some di farina, una di polvere, un barile
di polverino, ed una corda con nodi distanti l’uno dall’altro un
mezzo braccio per « songhiarsi con tutti li compagni di fora per
« lo ultimo remedio » alla volta di Lecco. Si vegliò tutta la notte,
scrive il Gonzaga, « expectando chi decta farina et polvere et pol-
« verino et songhia dovesse essere portato per chi per detta spia
« era facto intendere venire dentro così accompagnato da cento-
« cinquanta soldati con uno capitano qual veniva per loro governo ».
Il Carcano invece informava trattarsi di un carico di venti cavalli
con cinquanta archibugieri. Tanto il colonnello quanto il commissario ebbero ad affermare che, per quanto vigilassero, non si ve-
(I) ASM, Carteggio generale, giugno 1531. Dall'interrogatorio dei due prigionieri si potè sapere che in Lecco il Medici aveva più di trecento uomini, ma
soldati di guerra e pagati non erano che da 100 a 150, dei quali 70 lanzichenecchi di Michele Corso i quali giorno e notte facevano la guardia alla porta.
Vi era inoltre il Capuzo con 14 cavalli leggeri. Sul lago aveva 12 legni grossi,
4 brigantini, ed altre piccole barche montate da 150 a 200 uomini sotto il comando del Borserio. Complessivamente le forze totali del Medeghino erano da
400 a 500 fanti. In Lecco poi si diceva che si aspettava da suo cognato un soccorso di 400 lanzichenecchi, il capitano Sarra con mille spagnuoli, e altri soccorsi
dal Piemonte mandati dal fratello protonotario. Tuttavia riguardo ai lanzichenecchi era giunto il giorno prima in Lecco un messo il quale dichiarò che il re
dei romani non poteva lasciarli partire, avendo da pensare ai turchi.
112 RINALDO BERETTA
rificò nulla. In realtà quando i ducali penetrarono nel castello sì
constatò che quel soccorso, se non in tutto, almeno in parte era
riuscito.
La presa di Monguzzo andava troppo per le lunghe: l’onore
delle armi ducali ne soffriva, giacché gli svizzeri e i grigioni ne
movevano continui lamenti (1). Ma ormai si era agli sgoccioli, e i
soldati da una parte e dall’altra non tralasciavano di insultarsi a
vicenda appena il potevano. ll Bentivoglio, che di tanto in tanto
non mancava di venire a Monguzzo per sollecitare le operazioni
spinto anche da un certo amor proprio di spuntarla con onore
contro il Medici il quale gli aveva tolto quel castello, venne il 28
a vedere se non era il caso di tentare con successo l’assalto, giacchè si era bombardata la casamatta e la muraglia. Col Gonzaga e
gli altri capitani, unitamente al « Tantio, Mastro Bono et Ant.° spa.
« gnuolto ingigneri » e ai cannonieri, fece un sopraluogo, ma si
trovò necessario, essendo l’erta da salire alta diciotto braccia circa,
di continuare ad intervalli il bombardamento con piccoli pezzi, e
intanto entrare di notte nella fossa e zappare dal bastione tanto
di materiale che facesse scala al salire. Finalmente il primo di luglio il Carcano poteva scrivere al duca che, padroni della fossa e
ruinate le due casematte « di modo che da quello canto niuna cosa
« ne po offender se non sassi ali quali se li remedia senza dila-
« cione de tempo in far ponti de assi per andarchi coperto », non
restava che zappare il bastione e che se i guastatori fossero in
numero sufficiente non passerebbe domattina che si sarebbe padroni di Monguzzo. Tuttavia nella notte si lavorò tanto che la mattina seguente si decise l’assalto. Le compagnie dei capitani Picenardi e Guasto coi cavalli della guardia ducale vennero collocati
in Nobile pronte ad impedire, durante l’assalto, la fuga del nemico
o l’arrivo di qualsiasi soccorso, e ai grigioni si diede l’incarico di
custodire l’artiglieria. Il rimanente delle truppe fu schierato su tre
(1) Il 27 giugno il duca alle lamentele degli svizzeri rispondeva ch'egli aveva eseguito per terra e per acqua quanto si era concordato nei Capitoli, e
così pure riguardo alle paghe. Per i fanti svizzeri di Dongo osservava che benchè si dovessero punire per la loro disul'bedienza al comandante ducale, tuttavia
avrebbe dato loro la paga. Non voleva però altri svizzeri. ASM, Potenze Estere,
cartella cit. Il giorno seguente vennero a Monguzzo a verificare 1’ andamento
delle operazioni il Travers e il capitano di Sciaffusa. ASM, Carteggio generale,
giugno 1531.
GO ogle
GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA 113
file. Nella prima stavano le compagnie del Ruschino, Cellano, e
Mantegazza; nella seconda quelle del Favagrossa, Campana, ed
loseph; nella terza le altre del Crivelli, Lampugnani, Gallarati, e
Taverna. Le schiere dovevano soccorrersi a vicenda secondo il
bisogno. Il Pellizzoni, che non aveva ormai viveri e munizioni che
per qualche giorno, per mezzo del Picenardi domandò di arrendersi
salve però le persone e gli effetti, e di poter andare a Lecco. Tenutosi consiglio, il Bentivoglio intimò la resa a discrezione. Rispose
il Pellizzoni che tal resa implicava il diritto di fare impiccare tutti
i difensori, e che dovendo morire lo era meglio coll’armi alla mano.
Si venne all’assalto. I capitani, banderali, luogotenenti, e gli uomini
d’onore salirono valorosamente, ma non essendo prontamente seguiti dai soldati furono respinti con parecchi morti e molti feriti.
Fatte -riposare le truppe circa un quarto d’ora si tentò con maggior vigore un secondo assalto. Già venticinque uomini con due
bandiere erano montati sulle mura e gli altri seguivano, ma il nemico, il quale aveva innalzato al di dentro un parapetto, si difese
con tale energia con gli « archibusi, sassi, fochi artificiali, rotte
s d’artigliaria, cerchij di ferro, travi, et mille altri instrumenti »,
che l’uno non potendo soccorrere l’altro furono di nuovo ributtati
colla morte del Campana, del banderale del Gallarati colla perdita
dell’insegna, e di altri molti. Assai di più furono i feriti, tra i quali
gravemente il Favagrossa (1), il Lampugnani, e, leggermente ad
una mano, il Crivelli. Si voleva dal Gonzaga tentare un terzo assalto, approfittando della stanchezza del nemico, ma il Bentivoglio,
considerando che tra morti e feriti si erano perduti circa centocinquanta uomini (2) e ne sarebbero potuto mancare degli altri, e
che. qualora venisse in soccorso il Medeghino ricevere maggior
danno, deliberò di soprassedere e fare invece buona guardia intorno al castello con intenzione di rinforzare le truppe e di facilitare.l’espugnazione con l’opera dei guastatori, sperando con minor
danno di farsene padrone fra pochi giorni (3).
‘. L'assalto non sarebbe riuscito, secondo la relazione del colla-
...(2) Al Favagrcssa, nel comando della compagnia, il Bentiveglio sostituì un
fratello del Lampugnani. |
(2) Altre relazioni danno cifre minori. Il CAPELLA, Op. cit., col. 1234, € il
CAMPELL, Op. cit., p. 196, parlano di ottanta morti e numerosi feriti.
(3) ASM, Carteggio generale, giugno e luglio 1531.
Go ogle
114 RINALDO BERETTA
terale Giovanni Grasso che si trovava al campo, per mancanza dì
scale; se ne adoperarono due sole, sulle quali non potevano montare alla pari che due uomini a stento, di maniera che « a colpi
« de archibusate, fochi artificiali et sassate furono morti li primi
« et cascavano adosso ali altri. Tali effecti invilirono le nostre
« gente et se perse et p.° et 2° assalto ».
In realtà gli assediati si erano difesi con disperato valore.
Tra questi si distinse l’alfiere del Pellizzoni, Antonio Criminale, il
quale, mentre combattendo esortava i suoi, si vide cadere morto
il fratello, colpito da un’archibugiata in fronte. I soldati impressionati incominciarono a cedere ; l’ alfiere li riprese e preso il cadavere del fratello per una gamba lo precipitò dalle mura (1).
La situazione degli assediati era disperata: dagli ultimi contrassegni avuti dal monte di Civate non c’era più speranza di soccorso, e il castello tutto all’intorno era guardato dai soldati del
Picenardi e Favagrossa e dai grigioni. In quel terribile frangente
non si perdette d’animo il Pellizzoni: calmo e audace verso le due
di notte uscì in silenzio co’ suoi valorosi, passando dalla parte
dove stavano i grigioni, e mosse veloce verso Lecco, non lasciando
nel castello che pochi ammalati e feriti (2). Si accorsero i ducali
sul far del giorno della fuga dei nemici; li inseguirono ma inutilmente. Solo il Picenardi riuscì a fare sette od otto prigionieri. Da
un rapporto del 3 luglio si volle far credere che una sentinella
avesse visto uscire una cinquantina di uomini e che ne desse l’all’armi, ma poi più avanti, contraddicendosi, vi si dice che i ducali
sì accorsero della fuga solo verso le quattro e che inseguirono i
nemici ma senza poterli raggiungere. ll rapporto finisce col dire
che i nemici « havevano pur anchora vitualia per qualche dì, et
(1) MISSAGLIA, Op. cit.. p. 77.
(2) Da una lettera di Angelo Medici del 9 luglio si ha che lo stesso Medeghino, venuto a Monguzzo, avrebbe a cavato de fora tutti li soi sani et salvi ».
Questo particolare non trovo confermato nè da altri documenti nè dagli storici.
Si ricava inoltre che la strenua difesa del Pellizzoni raggiunse il suo scopo ch'era
quello di dar tempo per requisire il grano, appena giunto a maturanza, al di
qua dell'Adda verso Monguzzo, e che il castello per quant) in due volte battuto
con più di 15009 cannonate non si riuscì a sforzarlo, ma si dovette abbandonarlo
solamente perchè i guastatori avevano tanto scavato che i ripari e i SSSHOnE3 non
| potevano più star saldi. ASM, Carteggio generale, luglio 1531.
CÒ ogle -
GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA 115
« da. 6. dì in qua le è intrata vitualia et monitione che se li è
« trovato dentro li cavali da soma. Ne son morti et feriti assai de
« loro. Tutto quello che se li è trovato intro subito è stato sache-
« giato, però questi soldati si dano al diavolo che costoro se ne
“« sono andati così senza loro danno » (1).
Il Medeghino non dimenticò i suoi valorosi caduti in mano dei
nemici. Mandò un suo tamburino al Gonzaga colla proposta che
restituendo il capitano di bandiera del Pellizzoni con Francesco
d’Orsenigo, il Caravacca e gli altri feriti lasciati nel castello, egli
avrebbe rimessi altrettanti dei ducali a scelta. Le pratiche per lo
scambio dei prigionieri durarono parecchio, perchè il duca non
intendeva cedere il Caravacca. Ma il Medeghino rispose che senza
quello non concedeva nulla, e allora il duca cedette (2).
La presa di Monguzzo segnò la fine del dominio del Medìci
in Brianza, ma, se crediamo all’Angelo Medici (3), costò al duca la
spesa di ben cinquantamila scudi, tanto che dovette imporre un’altra volta in Milano il dazio della macina di uno scudo al moggio (4).
L’esercito ducale, da rassegna fatta il giorno seguente, era di
1248 uomini computati 180 feriti. Alcuni giorni dopo si trasportò
a Civate, fortificandovisi, per operare il concentramento delle truppe,
dovendosi completare le compagnie, e di tutto il necessario per la
conquista di Lecco.
Il castello di Monguzzo non fu lasciato in abbandono, ma si
pensò a presidiarlo e a ripararlo. Il 6 luglio fu comandato a Giovanni Savana di recarvisi con cento soldati, e di porsi agli ordini
(1) Che i soldati del Medici avessero fama di soldati del diavolo ce lo
conferma anche il BurIGOZZO, Op. cit, p. 508.
(2) Nel castello non dovevano essere rimasti che gli ammalati e i feriti
gravi. Riguardo al Caravacca, spagnuolo, il Medici non l’avrebbe mai cambiato,
scrive il Missaglia, col più valoroso soldato che avesse tra tutte le sue genti,
tanto era abile nel mestiere di fare la spia. Chi fosse poi Francesco da Orsenigo
non saprei dire.
(3) Dalla lettera cit. del 9 luglio.
(4) Scrive il Burigozzo che «e a dì 20 zugno, fu azonto alla maxina soldi
« 505 e azonto al vino, che ogni brenta de vino pagava soldi 32 (sic) a intrare
« in Milano de più del solito, che sono in tutto lire 5 al mozo a chi vorrà far
e masnare el gran; et così della segra e del meglio, zoè alla rata ». Milano si
turbò grandemente per questo sggravio, ma il 10 agosto si dovette inoltre
caricare i proprietari di fondi di un soldo in più la pertica. Cfr. Buricozzo,
Op. cit., p. $07 € Sg.
116 RINALDO BERETTA
del conte Gerolamo Crivelli: 1° 8 era già sul posto, dopo essersi
fermato il giorno prima a Giussano per far riposare i soldati stanchi
e spossati. Il Savana si diede tosto a riparare il castello, Il 22 agosto informava che era « rimesso al pristino stato salvo le ca matte »:
egli aveva allora 30 paghe con 25 soldati. I lavori non dovevano
tuttavia essere tanto innanzi, come lascerebbero supporre quelle
parole. Infatti il 28 settembre, dopo aver detto ch'egli faceva raccogliere vino sui fondi di messer Franchino da Mandello, beni devoluti alla camera ducale perchè serviva il Medeghino e al tempo
della, raccolta aveva trasportato a Lecco il grano e le bestie, scriveva al Bentivoglio che si lavorava a far restaurare il castello
« per la cui fabrica la plebe de Ayate di qua e di là dal Lambro
« sì è componita come per diverse mie ho advisato v. Ill. s. eccepto
« chel loco de Giusano per el quale quella mi commisse ch’io su-
« persedesse in dargli alcuna molestia per giorni sey, et così non
« solo ho sopraseduto per li sey giorni, ma per più di quaranta,
« ne mai hano perhò voluto darne una sola opera, il che oltra che
« poco me stimano, pare anche alli altri loci dessa plebe che gli
« sij fatto un poco de carico ». Domandava perciò come dovesse
comportarsi, e che qualora non si volesse che quei di Giussano
avessero a pagare denari, almeno gli mandassero operai come aiutanti ai maestri di muro. Il presidio mancava del necessario. Il
Savana insisteva perciò nelle sue lettere perchè si avessero a
provvedere letti, coperte, ecc, e l’ultimo di settembre domandava
di essere pagato perchè nè lui nè i suoi soldati avevano fino allora ricevuta paga alcuna. Di necessità egli e i soldati dovevano
arrangiarsi come meglio potevano : accusati di rubacchiare in paese
e nef dintorni rispondevano, e si capisce, che non era vero (1).
Il castello ebbe ancora un momento d'importanza negli avvenimenti guerreschi di quei giorni. Il 5 dicembre il Medeghino riprese Lecco al Gonzaga, e le forze ducali furono concentrate parte
a Como e parte a Monguzzo « per maior securtà de quelli lochi » (2).
Il Meroni scrisse che i terrieri dei dintorni di Monguzzo ottennero dal duca (non dice quando), mediante lo sborso di dodici
mila lire, di poter demolire il castello (3). Ciò. non ‘ho trovato.
(I) ASM, Carteggio generale, luglio 1531; Sezione storica cit,, cart, 2.
‘ (2) SANUDO, Op. cit., vol. 55, col. 250, 258.
(3) MERONI, op. cit., vol. II, p. 198.
© >
GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA 117
D'altra parte il Gianetti affermò che nel 1672 il castello esistesse
ancora abbastanza agguerrito e fortificato : l’asserzione non è esatta,
giacchè nel documento citato dall’ autore non si fa che riportare
lo stato del castello quando venne a morire l’ultimo dei Dal Verme (1).
Il castello di Monguzzo, dopo la pace del 1532, ritornò in pose
sesso dei Bentivoglio : demolizioni e trasformazioni avvennero via
via lungo i secoli a seconda dei gusti dei diversi proprietari, così
che oggi ben poco è rimasto dell’antico castello (2).
R. BERETTA.
Documento (3).
Capituli quali promette lo Illustrissimo Signor Antonio de Leyva Capi:-
taneo del Stato de Milano per la Cesarea Mayestà al Signor Io:
lacobo di Medici Castellano et Signor di Musso. °
1.0 Promette lo preditto Illustrissimo Signor Antonio confirmare al
. predicto Signor Castellano il castello di Musso et la torre de Ologna
et tutto il Paese, quale di presente possede per se et soi successori et
detti Paesi non si habbino ad reconoscere dal Stato de Milano in alchuna
cosa salvo nella superioritate del Imperatore, el Paese et laco di Como,
intendendo che la detta jurisdictione non si exstenda apresso di Como
a dece millia, valle Dinteler, Hosteno, Valle Solta, el Contado de Prolezza, Menasio et la Valle Arzonicha, le tre piebe, el laco di Sopra la
Rivera, Valle Sassina, Valle Magrera, Monguzo, la plebe de Inzino, la
corte de Casal et Vallassina con titulo de Marchese, et che lo predicto
Signor Castellano possa lassare tutte le jurisdictione, terre et altre cose
dette a chi a lui parirà tanto suo quanto extraneo, et tanto per ultima
voluntate, quanto per contracto intra vivi, et che non possa disponere
come di cosa propria, alienandoli et impegnandoli senza che habbia ad
richiedere la voluntate de alchuni Superiuri ne anchora de la Cesarea
Mayestà, purchè non ne dispone in inimici de essa prelibata Cesarea
Mayestà, et che possa disponere de detti loci et jurisdictione anchora
in uno extraneo.
a° Promette il preditto Signor Antonio pagare al preditto Signor
(1) GIANETTI, /) Castello di Monguzzo, Milano, 1888, p. 81; ASM, Feudi
Camerali, Monguzzo.
(2) GIANETTI, op. cit.; ASM, Feudi Camerali cit.
(3)»Dal cod. Trivulziano, 1523. E' la copia di una copia esistente a Parigi,
Arch. Stor. Lomb., Anno XLÎIIT, Fasc. I-IT. 8
118 RINALDO BERETTA
Castellano fanti cento ogni mese in tempo di pace per guardia det
castello de Musso, in ogni tempo et siando guerra per conservatione:
de detto Castello et Paesi tanto de più quanto serà il bisogno et beneficio de sua Mayestad Cesarea, così venendo alli danni Soi alchuni de
li Signori de la liga, che Soa Magestà lo adiuterà o vero li darà il
modo de defenderse.
3.° Promette il preditto Illustrissimo Signor Antonio fare bono al
preditto Signor Castellano scuti vintimillia per tanto che doveva havere
dal Duca Francesco Sforza, S.tà dil nuestro Signor, et Signoria de
Venetia, et li quali dinari furno spesi contra Francesi et Grisoni la
inmaggiore parte per beneficio de la Cesarea Majestà, et non dando al
predicto Signor Castellano la detta somma assignarla sopra li datii di
Como, o vero in altro loco de la ratta parte che importa la intrata de
detti dinari sino che sia satisfacto, o vero dargli in Alamagna altra
ricompensa.
4.° Che li scuti doe mille quale lo preditto Signor Castellano de
havere ogni anno da la Santità de nuestro Signor travaglierà tutto il
possibile per fare che li habbia.
5.° Promette lo preditto Signer Signor Antonio al predicto Signor
Castellano che per li scuti doe mille, quali li ha de dare la illustrissima
Signoria di Venetia ogni anno, che possa fare tanta ripresaglia sul
paese de detta Signoria che sia pagato, et in caso che prendesse il
preditto Signor Castellano qualche loco o terra de li preditti Signori
Veneti, dove si potesse cavare denari, che in quello caso possa scodere
tanto quanto importa la intrata de li detti doe mille scuti che seriano
scuti quaranta millia, ma essendo preso loco, terra, castello o vero
Città del preditto Signor Illustrissimo de quelli de li detti Signori Veneti,
non vole essere obligato dargli più de li scuti doe mille l’anno.
6.° Promette il preditto Signor Antonio dare al preditto Signor
Castellano di presente la terra di Lecho et soa jurisdictione et il ponte
libero in dono et senza altro obstaculo.
7.° Che darà al predicto Signor Castellano per esso et soi figlioli
venendo al servitio de la Cesarea Magestà una pensione honesta tanta
che se contentarà.
8.0 Chel predicto Signor Castellano, soi fratelli, Gentilhomini et
Soldati, che sono apresso di soa Signoria serano liberati da ogni bando
et altre condemnatione potesseno havere sino al dì de oggi et che li
serano restituiti li soi beni liberamente, et che li possano goldere così,
stando apresso di lui, come se si ritrovasseno in altra patria, con questo
che li habbia ad nominare in termino de giorni octo,
9.° Che harà un loco nel Senato per un suo Fratello.
10.° Che li concederà amplo Privilegio di potere battere denari nel
castello de Musso.
11.° Promette lo preditto Illustrissimo Signor Antonio al predicto
Signor Castellano che non li serà sminuito alchuno datio così di mereantia et di sale come di altro di quello ha nel paese di presente.
GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA 159
12° Che alchuno non se harà impazare de li soi subditi ne in soi
beni nel santo (1) Paese.
13.° Che venendo esto preditto Signor Castellano in guerra con
Grisoni, per essere al servitio di soa Magestà o per altro, che el
Paese che pigliasse alla spesa sua sia suo libero, et pigliandosi alla
spesa de soa Magestà che 11 Contado de Chiavena et Valle sia suo.
14.° Che darà al Signor Fortunato Cusano una pensione scuti ducento l’anno.
15.° Che se alcuno o sia subdito di presente o venesse alla servitù
di soa Majestà Cesarea et che si pretendesse habere ragione in alcuna
cosa o castello o terra ov valle de le preditte di sopra, promette lo preditto Signor Antonio al preditto Signor Castellano che la Cesaera Magestad
darà alli prefati o a qualunche dessi pretendenti habere ragione sopra
essi loci, castelli, Terre et Valle altra ricompensa in loco dessi, et che
al preditto Signor Castellano per tal cosa non serà dato molestia.
16.° Promette dare una honesta pensione alli Capitanei del preditto
Signor Castellano et maximamente alli Capitanei Io: Mella et Nicola.
17.° Che lo preditto Signor Castellano non serà astrecto condure
soldati senza che siano pagati.
18.0 Che occorrendo alla prelibata Magestà per qualchi besogni soi
lassare el Stato de Milano, o per pace o per altro, al Duca Francisco
Sforza, o al Rey Christianissimo o ad altra persona, che soa Magestad
reserverà lo predicto Signor Castellano con li soprascripti capituli.
19.° Promette lo predicto Illustrissimo Signor Antonio al predicto
Signor Castellano de fare dare da la Magestà Cesarea uno cambio al
Signor Hieronimo Morono in loco di Lecho.
20.° Che di presente lo illustrissimo Signor Antonio confirmarà el
tutto come di sopra et piu li dà lo squadron, lo medemo farà il Signor
Gaspar Frontzperg Colonello de Alamani, et anche promette che il serenissimo Rey de Ungaria et lo regimento de Hispruch conferirà tutto
lo soprascripto in tempo ‘honesto, et che soa Magestà inandarà la confirmatione del tutto per soi privilegi in tempo honesto.
1.° Promette lo predicto Signor Castellano, venendo alli servitù de
la prelibata Cesarea Majestà, che in termino de sei di proximi pigliarà
licentia da Francia et Venetiani et da qualunque altro ad chi fosse
obligato, et serà amico de li amici et inimico de li inimici de soa Majestà
et servirà lealmente et non miancharà del debito suo.
2° Promette il preditto Signor Castellano di dare il passo aperto
per la via de Alamagna, venendo il soccorso di Soa Magesta, et tarlo
passare liberamente et dargli victualie per soi denarì, et condurlo duve
lo illustrissimo Signor Antoniv vorrà.
3.0 Item promette de dare tre miile di turmento, sichale, et mill
(1) Forse per detto o hauto. Questo ed altri errori di trascrizione, che il lettore
potrà facilmente notare, forse si spiegano dal fatto che il copista fu un francese.
CO ogle
120 mR. BERETTA - GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA
per condurlo dove vorrà la excellentia del a Signor Antonio
qual li sia poi pagato honestamente.
4.0 Item promette somme doe mille di sale et mandarle come di
sopra, qual li siano pagate come di sopra.
5.° Promette de tenire il passo aperto acciò che li Mercadanti possano andare liberamente a comprare de ogni sorte Victualie et Grassi
et condurli ad Milano, a Como et in ogni lochi sottoposti alla cesarea
Majestà.
6.° Item che serva di presente alla Cesarea Majestà con fanti mille
et cavalli cinquanta a soe spese dove serà bisogno.
7.° Item promette come di sopra essere leale et fidele al Imperatore
et al predicto lIllustrissimo signor Antonio et fare quanto li serà coinandato per servitio di soa Magestà.
8.° Item promette el predicto signor Castellano che per osservatione et adimpimento de le predicte cose consignarà, per obstagio al
predicto signor Antonio, Domino Gabriel suo fratello, quale andarà dove
il predicto signor Antonio vorrà, et che il signor lo: Baptista tambene
suo fratello starà apresso di soa Excellentia servendo al modo li serà
vrdinato da soa illustrissima Signoria, et pro fide de le predicte cose
lo preditto illustrissimo signor Antonio et lo signor Io: Baptista di Medici, come mandatario del signor Io: Iacobo suo fratello et per lo quale
ha promesso de ratto, si sono sottoscripti di soa mane propria a dì
ultimo Marzo 1528 in Pioltello. Superscriptum Antonius de Leyva et lo:
Baptista De Medici et sigillata utriusque infra erat. Quoniam convenire
cum originali comperii in fidem manu propria scripsi signatum Politianus, |
Conforme èà la copie
WynNANTS, 1787.
3
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
OSSIA
CATALOGUS TOTIUS CLERI CIVITATIS ET DIOECESIS MEDIOLANENSIS, cum TAXA A SINGULIS sol.
VENDA PRO SUSTENTATIONE SEMINARII INIBI ERIGENDI —
compilato l’anno 1564.
ACCOGLIENZA fatta alla « Notitia cleri mediolanensi de
anno 1398 », pubblicata in quest’Archkivio (a. XXVII,
Sl i24 fasc. XXVIII, 1900) e la constatata utilità di simili
[gdo pubblicazioni, per far conoscere nei più minuti particolari l’ordinamento della diocesi milanese, mi indussero a trascrivere urm’altra statistica della diocesi di Milano, compilata nel 1564,
prima che S. Carlo Borromeo ne assumesse personalmente il regime. Da questo documento si rileva lo stato della diocesi nel
tempo antecedente alle molteplici soppressioni, alle unioni dei benefici, alle traslazioni di titoli, ecc., che il santo riformatore fece,
durante il suo non breve pontificato, per meglio provvedere alla
assistenza religiosa del popolo ed al riordinamento beneficiario
richiesto dopo un lungo periodo di stasi, la quale fu non ultima
cagione degli abusi, che il Concilio di Trento volle togliere, dando
ai vescovi le facoltà straordinarie per le riforme richieste dai bisogni locali. |
Il nostro documento fu redatto in occasione dell’erezione dei
seminari diocesani, ordinata dal Concilio con decreto del 15 luglio 1563 (Conc. Trid., sess. XXIII, de reformatione, cap. XVIII),
il quale imponeva una /assa su tutte le rendite beneficiarie e degli
altri enti dipendenti dall’autorità ecclesiastica, da stabilirsi da una
commissione speciale di delegati del Clero diocesano. Questo è il
ruolo definitivo, che al 5 ottobre 1564 era già ultimato (come rile
122 MARCO MAGISTRETTI
vasi dal verbale di consegna fattane al Cancelliere Arcivescovile
scritto in fine al documento con le sottoscrizioni autografe di tutti
i Commissari e del Cancelliere) e che agli effetti giuridici anche
civili fu pubblicato il 21 gennaio 1565 (Acta Eccl. Mediol, ediz.
Ratti, vol. III, col. 1261 e sgg.). Non fu questo però l’unico ruolo ;
altri ne successero (e nell’archivio della Curia Arcivescovile di
Milano, sess. AI, Seminarto, 3T, conservasi quello del 1572), tuttavia il nostro, come primo in ordine di tempo e anteriore ad ogni
innovazione, meglio degli altri rispecchia lo stato della diocesi (lo
si può asserire senza tema di smentita) quale fu dalla fine del
medioevo alla prima metà del secolo XVI, e servì anche di norma
alla ripartizione civile delle terre del Ducato di Milano (1).
Il ruolo che, nel 1564, nell’uso curiale da prima si chiamò « Liber
seminarii mediolanensis » (2), nelle successive revisioni dalla tassa
assunse il titolo più appropriato di « Catalogus totius cleri, ecc. ». ‘
Ma poichè nel docuniento originale ora manca il titolo (incominciandosi colle parole « L’Archiepiscopato di Milano », che sono le
prime dopo cinque fogli bianchi} ho creduto di poterlo supplire con
entrambe le diciture antiche, ritenendo arbitrario e superfluo
crearne uno di nuovo conio, non potendosi tener conto del titolo
« Canonicati de la Città e Ducato (ssc) di Milano » messo dal
not. Carlo Landoni, sul retto del primo foglio del manoscritto,
quando, non saprei per quali vicende, il documento pervenne
nelle sue mani, prima che lo vendesse al duca Gian Galeazzo Serbelloni, circa il 1778, il quale poi acquistò molti altri antichi documenti milanesi anche dal dott. Ignazio Lualdi, componenti la accolta Lualdi ora conservata nell’ archivio Sola-Busca, dove mi fu
dato di trovare e trascrivere questa antica statistica della diocesi
milanese.
lo non intendo mettere in rilievo l’importanza del « Liber Seminarii » per il contributo che esso può dare ancora alla toponomastica lombarda. Già il prof. G. Grasso, nel IV Congresso geo-
(1) Dal Compartimento territoriale dello Stato di Milano, pubblicato dalla
R. Giunta del Censimento dello Stato di Milano (10 giugno 1757) è facile constatare quale influenza avesse, ancora nel sec. XVIII, l'ordinamento ecclesiastico
su quello civile.
(2) Vedasi il verbale di consegna, col quale termina il documento.
GO ogle ù
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS 123
grafico italiano (1), e meglio ancora il prof. C. Salvioni, in questo
Archivio (a. 1904, vol. I, p. 372; a. 1913, vol. XX, p. 228), diedero
saggi del vantaggio che per tale studio si può trarre da simili
documenti; nè credo necessario rilevare le singole notizie che forse
potranno servire a precisare le divisioni giurisdizionali del contado
rurale milanese nei secc. XIV e XV (per i secc. XX-XII già scrisse,
con molta competenza, Ezio Riboldi, in quest’Archivio, a. 1904,
pp. 15-74, 240-302). A me basta far notare che nel 1564 i territori
della Geradadda e dell’Agro bergomense, spiritualmente soggetti
all'arcivescovo di Milano, a differenza degli altri del contado milanese, non presentano ancora una divisione per pievi, nelle quali
il « praepositus » o capo della canonica del capolguogo fosse
anche il capo del territorio plebano.
Il nostro « Liber Seminarii Mediolanensis », il quale consta di
66 fogli, con numerazione originale che ci assicura della sua integrità, è diviso in due parti (2): nella prima trovansi enumerati i
benefici più ricchi, cominciando dall’ arcivescovile, tassati per un
contributo non inferiore a L. 25 della moneta d’ allora; nella seconda parte seguono tutti gli altri (e sono i più) meno abbienti.
Questa parte è senza dubbio la più interessante per gli studiosi ;
perchè vi si riscontra, oltre la consueta divisione della città nelle
sei forte, una esatta enumerazione dei benefici del contado milanese, distinto per pievi, sotto il nome delle canoniche dei capoluoghi, queste indicate in ordine alfabetico: dopo queste pievi il
lettore troverà i benefici della Geradadda e dell’Agro bergomense,
intercalati però agli elenchi degli ospitali, delle scuole (confraternite)
e altri luoghi pii urbani, che alla lor volta sono distinti per fora.
Nella trascrizione del documento mi sono attenuto fedelmente
all’ortografia originale; ma poichè nella parte seconda non compaiono alle rispettive sedi i nomi dei benefici recensiti nella prima,
stimai pratico farne il richiamo, dando in nota il numero progressivo, che, a questo scopo, ho creduto opportuno di aggiungere agli enti tassati, i quali nel « Liber » ascendono a più di
(1) « Saggio di Toponomastica Sacra. - Sulla frequenza e sulla distribuzione
« geografica dei comuni d'Italia con nome derivato dalla religione e dal culto.
« Memoria del prof. Gabriele Grasso ».
(2) Nell'’originale è contraddistinta con titolo speciale solo la seconda parte
(vedi n. 188).
124 MARCO MAGISTRETTI
2200 (1), ancorchè si deducano alcuni benefici ripetuti, come a suo
luogo farò notare. I
Da ultimo osserverò, che il ruolo del 1564 enumera anche le
istituzioni esenti dalla giurisdizione arcivescovile, come le Commende e i Monasteri, i quali, a seconda delle rispettive entrate,
potranno facilmente trovarsi o in principio della prima parte, o dopo.
i benefici della Geradadda, verso la fine della parte seconda.
Marco MAgISTRETTI.
(1) Ex. gr., ai nn, 108, 143 € 375, si stabilisce una cifra totale di tassa rispettivamente per i sette Canonicati di Somma, per i ventitre Canonicati di Pontirolo e per i venti Canonicati di S. Maria della Scala (cfr. Notitia cleri de a. 1398,.
nn. 45, 60 e 17).
n n
du
Se
I0.
25.
30.
IS.
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
CER TSI
. L’Archiepiscopato di Milano .
Abbatia d’Arona
Priorato de de Calvenzano
Abbatia de Clarevalle
Item per la Superstantiaria
Abbatia de Sant’Ambrosio
Abbatia de Santo Simpliciano
Item per la Superstantiaria .
Abbatia de Santo Celso : ,
de Santo Dionixio .
de Santo Vittore
de Santo Vincentio .
de Santo Petro l’olmo
de Santo Petro Glassiato
de Campo morto
de Sant' Antonio
de Santa Christina .
de Clivate
de Grattasolia .
de Codelaco
de Canobio (1).
Mons: Danexo Crivello .
PP.ra de Bernate i
Priorato de Vulturio iégdiari
Priorato de Santa Croce
Prepositura de Santo Bernabate (sic).
Prepositura di Carsenzagho .
Priorato sub titulo Sancti Jemuli (2) .
Priorato di Brianzola (3)
Monasterio de Caxoretto regolare
(1) Cfr. Abbazie ai n. 68, 69, 147 e sgg.
(2) Vedi sotto il Priorato di Ganna, al n. 149.
di Caregnano .
di Baggio
del Castelazzo
di Nerviano.
di Baxiano (4)
(3) Vedi altri Priorati e Precettoria al n. 376 e sgg.
(4) Cfr. altri Monasteri, alla fine, al n. 1962 e sgg.
125.
126
36.
40.
45.
SS.
60.
65.
70.
72:
MARCO MAGISTRETTI
Ordine de’ Humiliati.
Prepositura di Brera . : è . © a
Vicoboldono
Miraxole . : .
Santo Spirito . i : ; ; ì
Santo Johanne.
Santo Calimero
Monforte .
Ottacij
La Canonica
Carugate .
La Trinità
La Canova : ì ; i i :
De Applano . i i i è ;
Domus Busti Garulphi : 9
Sancti Simonis .
de Blassono
de Viglevano
del Circulo ì ì P
Sancti Michaelis Modoglie
Prepositura de Varixio .
Sancti Laurentii de Carobiolo
» de Canturio .
» de Cistilago .
» de Carate
» de Carobiolo.
» de Sancto Gotardo
» de Ripalta
Sancti Michaelis et omnium s, lor Modoetie
wm de Cavenago : ì
de Putheo Vagheto (WÒ i
Domus Sancte Mariae Glaree Abdue .
Domus Sanctorum Petri & Pauli ut supra .
Abbatia de Santo Steffano .
Abbatia de Santo Eusebio
PP.ra de Santo Joanne Evang. de Hummidiati
Domus de Mediovico
ut ad librum 1537 (stre).
= 3x3z
Capitulum Ecclesiae Maioris Mediolani (1).
Ordinaria de d.no Alexandro Corte . o ba
Ordinaria de d.no Redolpho de la Croce
Il Cimiliarcato de d.no Francesco Sormano
42
45
94 16
(1) Lo stato completo delle Collegiate risulta dalle indicazioni contenute
nella parte seconda, dove faccio i richiami a queste indicazioni parziali.
—
7.
78.
79.
85.
dd.
So.
9I.
93.
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
Canonici Decumani.
Canonicato de D.no Bartholomeo Opreno . L.
A de d.no Ludovico Simoneta
ù de d.no Hieronimo d’Adda
Canonici de Santo Ambrogio Maggiore.
PP. de Santo Ambrosio del Rev. Balbo . L.
Canonica de Santo Nazario in Brolio.
PP.ra de Santo Nazario . ; . - Ji
Canonicato de d.no Julio Simonetta
5A de d.no Andrea Rotia
i de d.no Francesco Lecamo
i de d.no Innocentio Beneaviato
alias de d.no Camillo da Puo .
alias de d.no Fran,co Sola nunc D.ni
Oldrati . i . : Ù ; ; :
Cappella de la Ficvrana de d.no Fran.co Bernardo
Cavenagho
Canonica de Santo Georgio in Pallatio.
. PP.ra de Santo Georgio de d.no Lud.coGiramo L.
Canonica de Santa Maria Folcorino.
Canonicato del S." Enconomo (sic) alias dei q.m
S.r Francesco Caxato.
Canonica Sancti Laurentii Maioris.
PP.ra de Santo Laurentio . . î NSD
Canonica de Santo Calimero.
. Dino Hieromino Griffo . . : ; « La
Canonica de Santo Sepolcro.
Canonicato alias de d.no Francisco Bernardino
Sellanova . A È î i x x Abe
Canonicato de d.no Bonifatio Simonetta
Rettorie et Cappelle.
Rettoria de Santo Michel sotto il Domo . L.
de Santa Maria de Turre
de Santo Vittore a la Crocetta
‘de Santa Maria Pedone.
de Santa Valeria Ci e 3*
26
35
30
Si 18
14
127
D. 4
D. —
D. —
5
9
D. —
D. —
D. —
D. —
D. —
6
D. —
10
5 6
II
128 MARCO MAGISTRETTI
Una portione de la rettoria de Santo Thomaso in
Terra Mara alias de d.no Leone Parixio L. 25 S. 8 D. 8
L’altra portione de la rettoria ss.ta . . 30 12 —
100. Rettoria de Santo Vittore quaranta martiri . 25 —_ —
Rettoria de Santo Benedetto . ; i . 28 II 6-
Cononica de Santo Joanne de Monza.
102. Arcipresbiterato de S:to Joanne de Monza L. 30 S. 10 D.—
Canonicato alias de d.no Agostino Castilliono . 39 —
È de d.no Bonifacio Simonetta . - 45 — —
de d.no Merchior Scotto . : 35 — —
s de d.no Francisco Cermenato O); 37 3 —
107. PP.ra de Mezana del Ill.re Co. Francesco Belzoioso. . ? 3 ; . L. 28 S. 4 D.—
PP.ra de Santa Aneza de Sofia con li Canonicati 33 I5 —
Arcipresbiterato de Santo Georgio de Cornate
de d.no Galeaz Giussano’ . 50 8 —_
z1o. PP.ra de Sant'Ambrogio de Settara de d.no At
brosio Ferraro . 3 6 . 36 —_ —
PP.ra de Sant'Alessandro de Vessito . . 40 —_ —
Arcipresbiterato de Santa Maria al Monte . 48 —_ —
PP.ra de Castelseprio . : ; : ; . 30 — —
Canonica de Gorgonzola.
Z14. Clericato de Santa Maria de Colciellata . L. 25 S.—- D.—
Canonica de Segrate.
115. Rettoria de Santa Maria de Pantiliate . L. 30 S.—- D. —
i de Santo Georgio de Limidi . +. 30 — —
Canonica de Santo Zenono de Decimo.
117. PP. de Decimo. . . .°.. LU 45 S. 6 D.—
Canonica de Roxate.
118. Rettoria de Santo Zenono de Vermezzo . L. 47 S.—- D.—
A de Santo Eugenio de Sporzano de. D.
Paulo Portalupo . 3 ; . 65 9 —
de Santo Quirico de Gudo . . . 28 — —
Canonica de Caxorate.
.12I1. PP." de Caxorate de D.no Galeaz Vesconte L. 36 S. — D. —
Rettoria de Santo Michel de Bexate . i . 4I II —
(1) Cfr. il seguito, più innanzi, nel censimento delle canoniche rurali, alla
lettera M « Canonica di S. Giovanni di Monza ».
:
423}.
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
Canenica de Sante Juliano in Stratta.
PP. de Santo Juliano in Strata 3 - JL
124. Rettoria de Santa Maria de Pairana de d.no
125.
428.
129.
130.
I3I.
134.
135.
136.
137.
prete Christoforo de ..... (1) parroco de
Santo Fermo in Curte . ; i )
Prepositura de Bruzano
A de Beolco.
Rever. Alexandro Lecamo sipante de Mizuno
in Geradada . 4 A : 4 3 .
Cassiano.
D.no Jo. Batta. Bagnolo Rectore de Casirate L.
Pagazane.
Arcipretato de Pagazano de d.no Galeaz Vesconte . s ‘ s i ; ; a UG
Bollate.
PP.r de Santo Martino de Bollate . WU
Cappella de Brenna conla chiesa dePozzolo L.
Cappella de Bernaregio plebe de Viniercato
de d.no Antonio Confanonerio
Cappella de Santa Maria de Caxate novo unita
cum Caxate vechio, Canonica de Massalia
Canonicn de Sante Vittere de Ro.
PP.r de Rò de dno Hieronimo Castiliono L.
Chiesia de S.ta Maria celestina de Mazenta L.
Canonica de Missalia.
Prepositura de Missalia . 3 : so «li
PP.ra de Aplano . i - «La
Cappella de Santo Antonio de Brivio de d.no
Leone de Vimercato ‘
PP.ra & Cappella de ARABO alias del R. ° Rozza
(1) Questa lacuna può essere completata: de ‘Rossi, v. n. 439,
cordata questa parrocchia urbana di P. Ticinese.
37
40
40
55
40
40
30
36
26
48
26
45
30
25
42
60
26
129
\O
16
dove è ri-
130 MARCO MAGISTRETTI
140. PP.ra de Santo Stephano et Agnexa de Garlate 33
» de Santo Stephano de Olgia Olona. 27
n deSantoJohanneEvanga de Pontirolo [con
li canonicati, de d.no Leonida da Melzo 40
» deArzaghoded.noPetrupauolo Carchano 30
145. n» de Rivolta de d.no Alexandro Criminato 30
Rettoria de Santo Petro et Paulo de Vailate 30
147. Abbatia de Miramondo, ; i ; ca La 1180
» de Sexto Calende 250
Priorato de Gana . 300
150. Hospitale Magior di Milano (1). ì . L. 7200
n de Santo Gerardo de Monza 36
È de Santo Joanne de Vimercato (2) 40
Monasteria Monialium (3).
153. Monasterio Magiore . . . L. 522
z di Santa Redegunida: 282
Ifs. ; Orono. i 3 186
3 di Santa Margarita i : 132
; Novo (4) 118
; de le Donne Vergine 228
n de le donne Vetiere. 234
160. si di Santa Aguexa 183
i de Santo Apolinare , ZIO
s de Santo Bernardino 220
; del’Anuntiata 40
ù d’Abia grasso ; P 190
165. n de Vigientino . i ‘ 40
n de Santa’ Cattarina in borgho 117
ù de Santo Jacomo in Porta Comana 38
} de Santo Michele a Sant'Ambrosio 30
ù Lantaxio 65
170. ; Bochetto . 90
2 de Santa Maria Valle 70
i sopra il Muro . 116
(1) Vedi sotto, al n. 526.
(2) Seguono tre fogli bianchi.
(3) Vedi altri Monasteri femminili, dopo il n. 1978 e s
(4) Al n. 474, in P. Vercellina, si ricorda la. « Rettoria de S. Vincentio
monasterio novo », da non confondere colla Canonica di S. Maria Nova o della
Scala, fondata nel 1383.
CÒ ogle x
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
Monasterio intus Vineam . L.
de Sant'Agostino de Cambiago
175. Ù de Santo Petromartire . : ;
, de Santo Dominico . i . .
3 de Sexto . è
S de la Cavaira
ni de Loynate
So. i de Torba . i
a de Santo Vittore de Medda
4 de Lambrugo . ; -
A de Cairate . : i ; ;
3 de Brughora . ; 3 è
185. ” de Santo Nazaro de Bélusco con
le unioni
de Sant'Andrea d' inciio
de Santa Maria de Canturio (1)
— Il —
NOTTA DE LI BENEFICI
QUALI NON ASCENDONO A LA SOMMA DI L. 25 DE Tassa
Capitulum Ecclesiae Maioris Mediolani.
188. Arcipresbiterato de la Chiesia magiore de d.no
Fabio Angleria . . : ; ; i.
Item per la sua Ordinaria.
190. Archidiaconato de d.no Ferrante da la Cove
Primiceriato de d.no Redolpho da la Croce .
Prepositura de d.no Alesandro Visconte
con la sua Ordinaria .
Decanato de d.no Christophoro Cafbano
195. Ordinaria de d.no Andrea Rozia.
alias del Barengo.
del R. Francesco Sormano
de d.no Ludovico Airoldo alias Cardatii
de d.no Stephano Tortorino . .
de d.no Francisco da Castello
de d.no Jacomo Francesco Cardano
alias Airoldi
200.
87
40
47
ZI
40
42
35
45
97
50
60
100
140
3I
185
24
20
S. 16 D.
S. 8 D.
13I
| o
| uu
(1) Seguono 6 pagine in bianco; ma un tratto di linea, d’inchiostro uguale
a quello del testo, indica che questo all’atto della consegna era già stato completato.
132 MARCO MAGISTRETTI
Ordinaria de d.no Gaspar di Bianchi alias Puthei 3 S. 18 D. —
4 de d.no Jo. Battista Pozzo. . . 32 5 —
i de d.no Battista Cermènati. ù . INI —_ —
205. n de d.no Francesco d’Acquato . . I 6 —
A de d.no Resta alias d.ni Antonii de la
Cruce : è è IR 14 —
2 de d.no Dionisio de Vinidcao : .- 14 —_ _
i de d.no Joanne Andrea da la Cruce . 12 16 —
; de d.no Jo. Antonio Boninpertico . 4 12 5
2I0. îì de d.no francisco Gotio . ì . 4 6 5
; de d.no Nicolao de Pazeda 7 . I 1I —
ù de d.no Paulo Hieronimo Castilliono 17 18 —
x d.ni Pioltini et fructus sunt R. Girami 17 IO —
L d.ni Fraucisci de Solis : i . 12 16 ___
2/5. ; de d.no Jo. Battista Settara ; . II 12 4
È de d.no Joseph de Castilliono (1) . 13 19 3
Canonici Minores Mediolani (2).
217. Canonicato de d.no Marc’ Antonio Pechio. L. 16 S. — D.—
nunc d.ni Galeazij de Pechiis.
j de d.no Deodato da Oxio s 3 5 —
" de d.no Gabriel Aliprando I I 6
A de d.no Francisco Cermenato . 5 IO —
220. Ù de d.no Jo. Jacomo Taegio I I 6
de d.no Bernardo Vimercato . 5 10 —
Cappella de S.to Claudio de d.no Alberto Piola 3 II 8
Obedientiari].
224. Obedientiarija de d.no Jo. Battista Cermenato L. 1 S. 12 D. —
4 de d.no Bartolomeo Bossio. . 5 ai» 5
5 de d.no Filippo Porro . ; I 12 —
A de d.ni Berncrdino et Lanzalotto
da Vimercato unita ala rescidentia (3) del Domo. . 2 14 —
i de d.no Jacomo Filippo Mezabarba 3 8 —
230. 6 de d.no Alessandro Serennio . 10 2 —
(1) Cfr. sopra altri tre benefici, ai nn. 72-74.
(2) I canonici del soppresso Capitolo di S. Tecla, da non confondere con
gli Officiali (notai, lettori, mazzeconici) i quali, non avendo prebende o benefici
propriamente detti, qui non furono recensiti: per egual ragione qui non vediamo
i Custodes, chierici alle dipendenze del Cimiliarca (cfr. BeROLDUS, Orto, etc., ediz.
Magistretti, p. 35).
(3) Si allude ai due benefici Corali di patronato Vimercati, fondati da Gio.
Andrea Vimercati, Ordinario della Chiesa Milanese, | 1548..
GO ogle
LIBER SEMINARII : MEDIOLANENSIS
Obedientiarija de d.no Pompeo da la Cruce L.
# de d.no Paulo Zuchano
P de d.no Melchior Bilia .
a de d.no Jo. Ambrosio Scola
235 i alias de d.no Brando Castilliono .
5 alias ‘de di no Aless.° Sanseverino
Canenici Decumani.
237. Arcipresbiterato de Decumani . x La
de d.no Christophoro da la Ciuséi
Canonicato de d.no Jo. Antonio .Boninpertico .
de d.no.... (sic) alias del Vergiato .
de d.no Quinto Fabio Cabiano.
de d.no Michel da Sala
de d.no Hieronimo d’Adda (1).
de d.no Bernardino de Leonardi
de d.no Paulo Panigarola . .
245. de d.no Donato Carchasola ;
Rettoria de Lambrate de d.no Ambrosio da Rò
Cappella de Calvairate de d.no Aless.o Seregno
Cappellani Ecclesiae Majoris Mediolani.
‘348. Cappella Ducale de d.no Hieron.0 Castigliono L.
È " de d.no Battista de Zaini .
250. È ù de d.no Johanne Sorexina .
ù de S. Nicolao et Catterina de d.no Thomaso Buxero .
É Ducale de Santo Galdino de da no Filippo
Cremenolfo . i ; i :
A » de d.no-Hieronimo Pancerio
pa de Sant'A mbrosio de d.no Hieron.° Bosso
Sanctissimi Corporis X.pi de d.no Jo.
Ambr. Posca
de d.no Jo. Petro Castigliono
de S.ta Agnesa de d.no Donato Cafcasdia
Ducalis alias d.ni Jo. Marie de Concoretio
alias d.ni p.bri Ambrosij de Fenegroe
de S. Georgio de d.no Orlando Zampana
alias de d.no Cipriano da Cuxuno
Sancti Leonardi d.ni Stephani Olgiati.
alias de d.no Lanzalotto Ferraro .
alias de d.no Carolo de Mainerij .
25f.
260.
Boaunuana ll nweoe6b
Petro Pauolo Cittadino
s Joanne Biffo. . .
275. È Andrea de Clapis
Bartholomeo Bosso
8 b-J ® xAlberto Raxino
378. Cappella de Vincemala de d.no Franc.° Balbo L.
de Santa Cattarina de d.no Christoforo
da la Cruce 3
280. 5 de S. Hieronimo de quelli dai Dezio, de
d.no Jo. Ant. de Negri .
ù de S. Christophori . Ì
all’ altare de Santo Andrea .
Canenica de Santo Nazario in Brolio (2).
283. Canonicato de d.no Stephano Oliva . a:
Bernardo Canocua.
Pompeo Fondulo .
Gotardo Pagano .
a Dionixio Vimercato
alias del Vergiato
de d.no Franc. Bernardino Calicnagio
s Francisco Cuxano.
% s; Josepe da Sala
290.
292. Cappella de Santa Maria de d.no Jo. 23000 Visconte . L,
de Santo Mateotiiano de d.no Baar:
dino Vimercato
5 de Santo Donato
295. P de Santo Matroniano . i
»n
(1) Vedi al n. 78 la Prepositura.
(2) Vedi ai nn. 79-85 la Prepositura e sei Canonicati.
;
PS
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aullanalal
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
Cappella de Santa Catherina + cè, a. 8
de Sant'Ambrosio de d.no Trajano Ruglerio
de Santo Christophoro i
de S.ta Maria de d.no Franc. Cusano (1) 3
Canonica de Santo Georgio in Pallatio (2).
300. Canonicato de d.no Jo. Petro Ratagio =. L.
305.
Julio da la Guarda De) I 0
Jo. Battista Varexino .
Michel Beccaria ‘
Jo. Antonio Tetamanzo
Hieronimo Florentia
Maino da Pozzo
Jo. Battista Castilliono.
Marc'Antonio Ghiringhello .
Georgio de Ratazij
dl
bd è Dda muiwWwWu
310. Cappella de Santo Ambrosio et de i Tre Maggi
de d.no Hieronimo Guenzato L. 4
all’altare grande sotto titolo de Santo
Georgio de d.no .Michel Beccarja 6
de Santo Hieronimo de d.no Francisco
Marliano . ; " 3 . 6
i de Santo Jo. Battista . SS « 9
Canonica de Santo Stephano in Brolio.
314. Prepositura de Santo Stephano . ; 2 Sl ». «è
ì n Jo. Antonio Serennio . . 15
; » Christophoro Zerbo . . 8
320. Battista Pattellano : . 16
Cappelle in Sante Stephane.
321. Cappella de Santo Christophoro de d.no Andrea
Jacobono . : L. 6
de Sant'Antonio de d.no Bart. a Cisiaglio 4
de Santa Lutia de d.no Christophoro
Ferraro . . 3 x x + TI
(1) Vedi al n. 86 la Cappella della Florana.
(2) Vedi al n. 87 la Prepositura.
GO ogle
135
S.- D.-
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S- D.—
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S. 15 D. 3
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12 5
19 8
I —
S.it D.—
7 3
36 ; MARCO MAGISTRETTI
. Cappella de Santo Martino alias D. BADHSIRC
Filaghi : i s “a
325. n de Santa Maria dela Stella de d.no Fransl cesco Porro : s
n° de Santo Vincentio de dm no Christophoro Landriano . . i .
Canonica de Santa Maria Folcorino.
327. Prepositura de Santa Maria de d.no Stephano
Leinato . i . ; .. L.
item per il suo Canonicato
Canonicato de d.no Ambrosio Ferraro
330. A i Ottauiano Cittadino ,
5 i Camillo Alfero
A A Thomaso Magno .
È alias de d.no Joseph Cuxano (1)
Canonica de Santo Laurentio Maggiore (2).
334. Canonicato de d.no Andrea Rozza . i Li
» Joseph de Regibus
A n Francisco Bernardino Bosso
» alias de dino Ambrosio Legnano .
Ò de d.no Jo. Antonio Castigliono.
alias de d.no Francisco Brunello
de d.no Jo. Ambrosio Balbo '
È Herculino de Varexio .
A Camilllo di Matii .
Ù Bartolomeo Bosso .
alias de d.no Deodato di Bianchi
nunc d.ni Maximiliani Grotte.
ù de d.no Francisco Cattanio
s A Ludovico Brughora .
la
340.
* az 3 s
347. Cappella Visitationis Sancte Marie ad Elisabeth
de d.no Francisco Borono . L.
; Sancti Jo. Baptistae de d.no Anibal del
Conte
A Sancti Petri alias d. ni Braiielii
J50.' 4% Sanctorum Thomae Nicolay et Adriani
n° d.norum Ambrosij Crispi et Marci
de Briosco
(1) Vedi al n. 88 altro Canonicato,.
(2) Vedi al n. 89 la Prepositura.
GO ogle 7
5 S. 4 D.
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5 S. — D.
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2 —.
12 17
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LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
Cappella Sanctorum Cosme et Damiani d.ni Baptistae de Aprillis . ; E.
a S.et Hippoliti & Cassiani d.ni Martini de
Maxochis .
S.ti Joseph d.ni Joannis dé Mantegatijs
S.tae Marie d.ni Cipriani de Stampis
Canonica de Santo Calimero.
355. Prepositura de Santo Calimero de d.no Vespaxziano Acurtio . : Li
Canonicato de d.no Bartolomeo Tolexano 1)
Cappella Sante Mariè d.ni Francisci de Leuco .
È Santi Antonii siue Antonini (o Georgii)
de Blanzate
Canonica de Santo Sepelcro.
359. Canonicato de d.no Ludovico Giramo (a) . L.
Cappella Visitationis seu Conceptionis de d.no
Francisco Bernardino Selanova
Canonica de Santo Bartholomee.
361. Canonicato del R. D. Hieronimo da Pozo . L.
i de d no Battista Varezio .
ì A Pre Ambrogio Ratagio
sl z Bonifacio Simonetta
365. Cappella Principis de d.no Bartolomeo.... (sic)
che habita a Santo Joanne sopra il muro L.
Un’altra cappella in eadem ecclesia
Canonica de Santo Martino al Corpo:
367. Canonicato de d.no Hieronimo Caluo . i le
; ù Julio Gallarato .
z ; Petro Francesco Biragho
L alias de d.no Petro Cabiano
Canenica de Santo Prothasio ad Monachos.
371. Una portione de la Rettoria de Santo Prothasio
de d.no Hieronimo Pancerio . i Sai
Un'altra portione de la Rettoria ss.t8 de d.no....(sfc)
(1) Vedi al n. 90 altro Canonicato.
(2) Vedi ai nn. 91-92 altri due Canonicati.
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3380.
332.
385.
390.
395.
MARCO MAGISTRETTI
Cappella Sancti Jacobi in eadem ecclesia . L.
Alia cappella Sti Rochi d.ni Ambrosij Segazoni
Canonica de Santa Maria de la Scalla.
R.di D.ni PP.tus & Canonici Sancte Mariae de la
Scalla. : ; 9 : ; } Gu
Priorato de Portexana. D.ni Ambrosij Caxati L.
Preceptoria de Santo Antonio de Canturio d.ni
Francisci Cermenati. do CR
Priorato de Santo Bartolomeo de Tei20:. ‘
z de Santo Dominico de Trezzo ;
Retoria de Santa Christina in antedicto loco .
s de Santa Maria et Laurentio de Chignolo alias de d.no Francisco Cuxano .
Porta Orientale (1).
Ecclesia Sancti Jacobi de Raude alias d.ni Francisci Cademusti. . 4 î ». UL:
Rettoria de Santa Maria Passarella d.ni Michaelis Souici . ; ; . ;
Item pro Cappella Sancti Time i sw
Rettoria de Santo Saluatore in Sinadochio d.ni
Bapt. de Aprillis
Clericato in detta chiesia d.ni Hier.mi de Coloniis
Rettoria Sancti Simplicianini Mediolani d.ni Bal.
dasaris Ferrari]
Item pro Capp.* S.ti Calanchi in uidicia tedlebia
Capp.3 ne la ss.ta chiesia de d.no Gabriel Porro
Rettoria de Santo Vitto in Pasquirolo de d.no
Thomaso Magno
; de Santo Petro l’Orto de d.no htoniù
Airoldo . ; .
i de Santo Martino in Compita de dino
Francesco Lomatio .
3 de Santo Raffael de d.no Alberto di Galli
de Sancto Babile de d.no Ales." Frigerio
Altra portione de la ss.ta rettoria de d.no Jo.
Angelo Porono ì : :
Altra portione de la ss.t8 rettoria La d.no Ber
nardino Glussiano (2)
4 S. 16
8 A
350 S. —
Io S. 13
16 —
13 5
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II —
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16 5
4 16
13 5 4 14
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4 16
4 6
6 19
5 10
13 a
6 Ba
6 8
5 —
17 —
II
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»
(1) Gli ospedali, le confraternite e luoghi pii della città di Milano sono
posti in seguito, al n. 2015 e sgg. sotto le rispettive porte.
(2) Vedi sotto, al n. 4I0, una quarta porzione.
5.
4II.
415.
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
Cappella de Santo Blasio de d.no Michele Sovico L.
Rettoria de Santo Zenono in lai de d.no
Ambrosio Fidele . ; .
Cappella de Santo tephano brésno il Coperto de
Santo Zenono d.ni Francisci Buzii 1 .
Rettoria de Sancto Paulo in Compito per una
portione 5
Un’ altra portione de la ss.ta “Satonia D. ni | Danielis Ranchati ‘
Cappella de Santa Maria et Santo Michele de
d.no Gabriel Scotto
Clericato nela Chiesa de Santo Michel sotto il
domo de d.no Jo. Antonio Zauatono è
Rettoria de Santo Stephanino in Brogogna de
d.no Ambrosio Brebia ..
x de Santo Primo de d.no Battista Varezio
È de Santo Georgio al Pozobianco d.ni
Filaghi . é 4 .
u de Santo Martino in Crecho de d.no
Francesco Caratello i
Cappella de Santo Sirro in Santo Romanò de d.no
Bartolomeo Galiasco
2 de Santa Maria de la Stella .
. Alia portio rectorie Santo Babille d.ni Antonii
de Nigris (1) . s
Retterie et Cappelle di Porta Romana.
Rettoria de Santo Johanne in concha . si
Una cappella in detta chiesia alias d.ni Johannis Parisi] ;
Rettoria Sancti Satiri Mediolani i
Cappella Sancte Barbare in ss.ta beclenia
Rettoria de Santo Michel muro rotto de d.no
Donato Carcasola 3
> de Santa Euffemia per una dine
de d.no Hieronimo Oldano
Un’ altra portione de la ss.ta Rettoria de d.no
Hercole Ghisolfo . é .
Cappella de Santo Bernardo cuer Santa Vero:
nica de d.no Paulo Dalfinono
È de Santa Cattarina de d.no Paulo Casteletto
(1) Le rettorie di S. Michele sotto il Dorno, S. Maria
dicate sopra, ai nn. 93 € 94.
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20 5
18 3
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8 4
di Turro, sono
3140 MARCO MAGISTRETTI
420. Rettoria de Sancto Zenono de d.no Jo. Batta
Castano . . i (Li
Clericato de Santo joanne Gugiarollo de d.no
Hieronimo Guenzato i
Un’altro clericato in detta Chiesia alias de d.no
Andrea Vimercato . SA ° A
Rettoria de Santa Maria Beltrada sai una portione de d.no Matheo Bonetto
Un’altra portione de la sudetta rettoria de d.no
Paulo Ello 1 . :
425. Cappella de Santo Joanne È vengelisia. in detta
chiesia de. d.no Jo. Maria Cattanio .
Rettoria de Santo Matheo Monede de d.no Batta
Settala
Cappella de Santa Maria in detta he de d.no
Jo. Petro di Ré da elio (sic).
Rettoria de Santo Andrea muro rotto insiema
con Santo Joanne Laterano .
A de Santo Joanne a fonte unita con il
Capitulo de Santa Tegla de Milano
430. È da Vigentino de d.no Ambrosio de
Cresppi (sic) . è. : .
Clericato de Santo Vincentio de Settara de d.no
Georgio Settara et Cesare Simonetta .
Clericato de Santo Stefano al Centenarolo de
d.no Raffael Caxato ;
Un clericato ne la chiesia de Viginunò aula
con il Monasterio de la Maddalena (1)
Cappellani Ducali in Santo Celso.
434. Cappella Ducale in Santo Celso de d.no Jo. Antonio Boninpertico . : è, Lo
s ut s.* alias de d.,no Bonaventura Castilliono . ; . ‘
i ut s.* de d.no Alesandro da l’Acqua .
Ù ut s.s alias de d.no Cesare Cresppo (sic)
si ut s.* de d.no Francesco detto l’Erborina
Retterie et Cappelle de Porta Ticinesa.
439. Rettoria de Sancti Petro et Firmo in S.to Petro
in corte de d.no Christophoro di
Rossi ? ;- «Li
440. » de Santa Maria al Circulo de d.no Jo.
Ant.° Pozobonello per una portione
(1) Vedi sopra, al n. 95, la Rettoria di S. Vittore alla Crocetta.
—
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10
IO
00 .
00 co|
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
Un’ altra portione de la detta rettoria de d.no
Galeaz Ferrario . i L.
Rettoria de S.to Quirico de d.no Hentico Pissina
Cappella de la Purificatione in detta chiesia de
d.no Ambrosio di Scoperti
Rettoria de Santo Petro in Campo Lodigiano de
n d.no Battista Marliano
445. Un' altra portione dell’ antescritta settoria ‘alias
: de d.no Hieronimo Luppo
Rettoria de Santo Petro in Caminella (sic) de
d.no Blasio Brandino
è de Santo Vitto al Carobio de d.no Bat- .
tista Varexo . ù
i de S.° Sebastiano de d.no Galeaz Foppa
Un’ altra portione de la ss.ta Rettoria de d.no
Hieronimo da l'Acqua
450. Cappella de Santo Tranquilino in la siualta ‘chie!
sia de d.no Hieronimo Guenzato .
5 de Santo Jo. Battista in detta chiesia
de d.no Jacobo Bosso . .
i de Santa Cattarina in detta chiesia alia
de d.no Ott.no Briuio . s é
A de Santo Martino in detta chiesia de
d.no Hercole Pusterla
RE Ducale in Santo Sebastiano de dino
Bartolomeo da Monte (1)
455. Rettoria de Santo Vittore al Pozo de d.no Hieronimo Caxola
s de Santo Alesandrino in Pallatio de d.no
Francisco Ghiringhello .
» de Santo Maurilio alias de d.no Frati
cesco Barengho i
ù de S,to Sisto de d.no Jacoma Gallarato
Cappella de Santo Gothardo ne la detta chiesia
de d.no Hieronimo Guenzato
460. vz (sic) in Burgo Lactarelle alias d.ni Ambrosij
Legnani
Cappella de Santo Boniforto sopra il Navilio de
d.no Bernardino Sola . a .
Rettoria de Santo Alesandro in Zebedia de d.no
Francisco Marliano 3 : .
Un’ altra portione de la ss.ta Rettoria de d.no
Joanne Prata .
!
(1) Vedi sotto, al n. 471, altra Cappellania.
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472.
S75
480.
MARCO MAGISTRETTI
Cappella de Santo Martirio seu Magno et Ogni
Santi in detta ss.ta (sic) chiesia L.
x de Santo Dionisio in detta chiesia
Rettoria de Sancto Michel la Cluxa de d.no Alesandro Martignono per una portione
Un'altra portione de la ss.ta rettoria de d.no Jo.
Angelo Marliano . . 5
Cappella de Santo Petro & Paulo ne la chiesta
de S.ta Catharina de d.no Georgio Branzalio
Rettoria de Santo Ambrosio in Solarolo de d.no
Jo. Petro Senagho . .
Cappella de S.ta Maria in S.to Michele la Cluza
a de Santo Sebastiano in Santo Seba-
‘ stiano de d.no Francesco Pinello .
Rettorie et Cappelle de Porta Vercellina.
Rettoria de Santo Petro sopra il Dosso de d.no
Jo. Antonio Zauattono . «© La
de S.to Petro Linti (sic) de d.no Georgio Ozeno
; de Santo Vincentio Monasterio Neo
alias de d.no Joanne di Galbexij,
adesso de d.no Rocho Ruscha
Cappella de Santo Stephano a la Banchetta de
d.no Stephano Tortorino
Rettoria de Santa Maria Porta de d.no © Mapheo
da Monza. ° £
Un’ altra portione da la detta Rettoria del d.no
Ambrosio da Bexana
Cappella de Santo Chiristophiorolii in detta cuiegia
de d.no Thomaxo Magno . A
Rettoria de Santo Vittore a Trenno de d.no o Juliano di Fideli. i
Un'altra portione de la sudetta Laion; de d.no
Galeaz di Castoldi . i 5 .
Cappella de Santa Liberata in detta chiedià. alias
de d.no Leone Parisio
Rettoria de Santa Maria Pedone de dici Tacobo Cassagho.
”
123
IO
est ante descripta, attento did end lib, 25 (1)
Cappella de Santa Maria in Santa Maria ss.ta de
d.no Quinto Fabio . 7
. I6
12
17
17
15
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IO
(1) Vedi sopra, al n. 96, dove è censita anche la Rettoria di S. Valeria, appartenente a questa porta.
Go ogle _
si.
$95-
500.
503.
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
Cappella de Santo Zenono et Stephano sopr’al
Pasquerio de Santa Maria Pedone
de d.no Alessandro Cogno . L.
de quelli di Zeppi ne la ss.ta chiesia de
D.no Batta di Boni.
Rettoria de Santo Nicolao de d.no Frane: o Curcano
de Santo Joanne sopra il muro de d.no
Francesco Banfo ;
Cappella de Santa Cattarina in Santo Joanne sopra il muro de d.no Bart. Banfo
.di quelli di Trecci de d.no Andrea Gazolo
de Santo Bartholameo de d.no Thomaso Canobio . ;
Rettoria de Santo Vittale de d.no È vanveliata
Cittadino . ;
Cappella de Santo Paulo in deita oifesia de d.no
Batta Castello .
Rettoria de Santo Lorencino in civilate de d.no
Basilio Ferraro :
de Santo Petro la I de da no Cispar
Antonio Scaco.
Cappella de quelli da Castello in iena chiesi
de d.no Christophoro Aplano
Un'altra cappella in detta chiesia de S.ta Maria
de l’Assumptione de d.no Arcangelo Bosso
Clericato de Santo Martino Moneda de d.no Camillo da Cabiate siue d.no Julio Scarabotio
Cappella de Santo Georgio et Benedetto in S.to
Johanne sopra el muro alias de
d.no Joanne da Castigliono .
Ducale de Santo Johanne ad bilcosa
de d.no Benedetto Rotta ?
Un’ altra cappella de Santo Joanne de d. no
Joanne Simonetta
Cappella de l’Annuntiata in Santa Maria Pedone
de quelli di Scacabarotij de d.no
Benedetto Baretta .
de l’Anuntiata Ducale de d.no Galcaz
de Ferrari
Rettorie et Cappelle de Porta Cumana.
Rettoria de Santo Cipriano, de d.no Cipriano Arconato . 4 4 « SL
Cappella de Santa Maria in detta chiesia .
Rettoria de Santo Michel al i de d.no Benedetto Marliano. ; :
16
16
12
IO
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IO
144
sIo.
SIS.
520.
S3S.
MARCO MAGISTRETTI
Cappella de Santi Clemente ‘et SISBIA de d.no
Francesco Balbo . : 3 > Li
Rettoria de Santa Maria Segrera (sà de d.no
Jo. Angelo da Peregho . :
4 de S.to Marcellino de d.no Batta Luyno
Cappella de Santo Blasio in detta chiesia alias
de d.no Jo. Maria da Concorezzo.
Rettoria de Santo Joanne quattro facie de d.no
Agostino da Rippa. a
Cappella de Santa Barbara et Penibisicone in
detta chiesia, de d.no Jo. Petro di Medici .
Un'altra cappelle in detta chiesa intitulata Santo
Georgio de Cauenago : :
Rettoria de Santo Carpophoro de d.no Pratica:
sco Gotio .
Un'altra portione de la detta reina de R. Nail
Cappella de Santa Maria de d.no Jac. Reyna
Un’altra cappella in detta chiesia de Santo Jac.®
et Philippo de d.no Batta Bussero
Un'altra cappella in detta chiesia de Santo Carpophoro de d.no Antonio di Negri
Rettoria de Santo Prothasio in campo de fora,
de d.no Georgio di Passeri .
i de Santo Michel in campo de dentro de
d.no Michel da Sala
” de Santo Nazaro Predasanta de d.no
Nicolao Pazeda )
Clericato de Santo Thimotheo in delta ii de
d.no Paulo Landriano
Un'altro clericato in detta chicsia
Cappella siue clericato de Santo Prospero de d.no
Cesare Simonetta
ì de Santa Catherina in Santo Thomaso
in Terra mara alias de d.no Geminiano (I) .
” de Santo Spirito in la sua chiesi de
d.no Petro di Re da ello .
Hospital de Santo Joanne in l’olio unito con YHospital grande . i
Cappella de Santo Jacomo et Christoplioro in
Santo Simpliciano alias de d.no Orpheo de Mittis.
A de Santo Martino in Santo Siiblicisno
alias de d.no Jacomo Zampana
15
15
14
6
IO
16
IO
16
II 5
(1) La Rettoria di S. Tomaso (due porzioni) è tassata sopra ai nn. 98 e 99.
LIBER SEMINARI MEDIOLANENSIS
Cappella de Santa Catharina in detta chiesia L.
530. . de Santa Fedeindetta chiesia de Santo
Simpliciano de d.no Jo; Paulo Gariboldo .
A de Santo Girardo in detta chiesi de
d.no Galeaz de Ferrari .
: de Santo Joanne ut s.8 de d.no Hieco:
nimo Guenzato.
a” de Santo Michele in Santo Simpliciano
de d.no Jo. Antonio Porro . ‘
a de l’Anuntiata in detta chiesia de d.no
Bartholameo Cattaneo 7
535. de Santo Blasio de Siluano de d.no
‘Battista Cermenato .
Rettoria de Derghano de d.no Arifonis Albertino
Cappella de Santo Ilario de d. no Paulo Baggio.
Retterie de Porta Noua.
533. Capp.® siue clericato in S.te jacomo sopra il Corso
‘* di porta Noua de d.no Camillo Alferro L.
Rettoria de Santo Eusebio de d.no Jo. Petro di
Redaello . .. |.
5g. Cappella de Santa Cattarina: in dea chiesîa de
d.no Jo. Pietro dì Redaello
Rettoria de Santo Silvestro de d.no Jo. Antonio di Ralui .
È de Santo Domino a ad Maciam D.
Pauli Zucani -
Cappella di S.ta Maria Madel» in 1 detta chicsla
Rettoria di Santo Petro Cornaredo de d'no Fran-
. cesco Marliano.
S4S. Cappella de Santa Catt® ‘et Nicolao in ‘Santo Petro Cornaredo de d. no Jo. Anto Puruxello
Rettoria de Santo Andrea ad Pusterlam nouam
de d.no Francesco Caxola
; de Santo Fidele de, d.n no Hieronimo di
| Tessera.
Cappella di Santa Catherina” ne la detta clieala
de d.no Marc’antonio Pechio.
‘'Un’altra cappelta in detta chiesia de Santo Paulo
et Joanne de d.no Hieronimo Pancerio
350. Rettoria de Santo Martino Noxigia -de d.no Barsua ‘ tolomeo! MAgnchello:
ina sig Ego 3 0.0 La
145
6 S. 10 D. 5
8 7 7
5 4 cs
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3 8 —
7 8 II
13 2 II
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3 S.to —
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SSS.
s6o0.
s62.
SOS.
S70.
S75.
so.
MARCO MAGISTRETTI
Rettoria de Santo Vittore quaranta martiri de
d.no Bartolameo Gaiasco (1). L.
de S.to Bened.° de d.no Henrico de Righi
de Santo Stephanino Noxigia de d.no
Jo. Maria Cattanio . .
Cappella de Santa Catharina in della ni de
d.no Marc’antonio Ghiringhello
Un'altra cappella in detta chiesia.
Rettoria de Santa Margaritta, de le nonaché
Cappella de Santa Maria in Santa Anastazia
Rettoria de Santo Laurentino in Torrigio de d.no
Battista da Figino .
Cappella de Santo Hieronimo in delta chiesi del
d.no Figino :
de Santo Dalmatio, de d.no Nicolao Castello . ;
de Santi Jacomo et Philippo in detta
chiesa de d.no Hieron:mo Dugnano
n
»
Canonica de Santo Stephane d’Aplano (2).
Canonicato de d.no Nicolao Vixentino.
» n Hieronimo Cattia .
Item per un’altro Canonicato
Canonicato de d.no Hieronimo Fontana
Jo. Jacomo Ferraro
Jo. Arigelo Terzagho .
Jo. Batta Bilia . .
Francesco da la Croce.
Marc’Antonio Maioraggio
Paulo da Carcano.
Bartolameo Concino
Jo. Batta Pozzo
Zacharino Piantanida .
Petromartire d’Aplano. .
Batta Ferraro
Gaspar d’Aplano .
Francesco Guasco.
Alberto Landono .
È Alessandro Solaro. s
a
EI LI agora lava babo
Saérastia ecc.*° ed Aplano de d.no Don.° Carcano (3) 3
detto, che qui fu ripetuta, forse, per errore.
(2) Vedi al n. 137 la Prepositura.
(3) Ai nn. $12 e sgg. altri benefici della plebana; simili spostamenti si verificano anche in seguito: basterà quindi aver messo il lettore sull'avviso.
au/id Al 0 |1aulowi1 004 eu
D.
1
HI Ioale HITTTITTTIT{T{@
(1) Questa Rettoria è già ricordata al n. 100, insieme a quella di S. Bene-
585.
590.
S9S.
605.
LIBER SEMINARI MEDIOLANENSIS
Rettoria de Rodello de d.no Cesare Pagano L.
A de Santo Alessandro de Mozate de d.no
Paulo Palumbo ; ; .
i de Santo Saluatore de Oltrona le d.no
Jac.* Ferraro . = È «
de Santa Maria de Cirimido de d.no
Aloisio Carcano
de Santo Vitto de Lomazo de duo Ga-
"briel Carcano .
Un'altra portione de la sudenà imtiolia i d.no
Geruasio Carcano . .
Rettoria de Santo Abondio de Ciro
de Santa Maria de Veniano inferiore de
d.no Batta Carcano,
de Santa: Agatha de Bulghero de d.no
Basilio Ferraro ) P
de Santo Martino de Castelnouo de d.no
Bernardino Guenzato .
Beneficio campestre de Santo Petro è Bragasio
de d.no Jo. Petro Malacrida .
Rettoria de Santo Remigio de Filiario de di no
Thomaso Cortelicio.
Una cappella ne la chiesia de Saniò Remigio de
Filiario
Rettoria de Santa Maria dé enenio de duo
Bartolomeo Ghioldo ; i
Rettoria de Santa Maria de Caibonate de d.no
Francesco Guardo .
de Santo Petro de Dare de d.no Agosto Criuello .
Cappella de Santo Georgio de Turate de: d.no
Francesco Ber.no Sellanoua .
Rettoria de Santo Georgio de Luragho Marinodo
de d.no Jacomo da Villa
de Santo Quirico de Fenegrò de d.no Jo.
Batta Bilia
de Santa Maria de Gievsate de dn
Baldesar Aplano
de Santo Quirico de Locate de dui
Hieronimo Catt.* (sic)
Cappella de Santo Laurentio in detta Cigs du
d.no Leone Lissono.
Rettoria de Santo Martino de tinaie abbate de
d.no Alberto Landono .. . ì
Cappella de S.to Laurentio de d.no And.* di Clerici
”
”
IO
16
12
14
12
147
148
ér0.
6IS.
616,
620.
625.
630.
‘ MARCO MAGISTRETTI
‘ Rettoria siue cappella de Santo Jacomo de Fenegrò de d.no Aloisio da Carcario L.
n siue cappella de Santi Ambrosio et Antonio de Turate de d.no Battista Caimo .
Cappella de S.to Laurentio seu Mauritio de Turate
Rettoria de Santa Maria de Binagho de d.no Petro da la Croce
Cappella de Santa Agatha de Binagho di dino
Greco de Castiliono i ‘
A de Santa Maria in Santo Quirico de
Lochate de d.no Cesare Mozone .
A siue. clericato de Aplano alias de d.no
Bonauentura Castigliono
A de Santo Petro siue Michele de Aplano
de d.no Jacomo de Ferrari
È de Santo Georgio de Aplano de d.no
Nicolao Cattia . ;
Un altro clericato de d.no Avibrosio Balbo
Canonica de Santo Alesandro Angleria.
PP." de Angleria de d.no Christophoro Carpano . i : i de ha
Canonicato de d.no ‘Tionaté Besozzo = e
ù A Matheo de d.no AO (i)
da Besozzo
” 5 Alberto Roberto .
” s Eramberto Besozzo
Bartolameo Bosso.
Cappella de Santo Antonio in. Santo Alesandio
d’Angleria
Cappella sive rettoria de Nibiono de d.no Da-
. nesio de’ Nobili . 3 ) ‘ ? La
Rettoria de Santa Margaritta da Menia
x de Santo Joanne. Evangelista de Merf callo de d.no Stepheno ‘Pusterla .
ù de Santo Antonio de Orliano
de Santo Martino Monate . sa UO
Clericato de Santo Martino Monte (sic)
Cappella de Santa Caterina d’Arona de dino
Jac.o Ruscono . . >»
Clericato de Santa Maria d' Arona
Canenica de Santo Vittore d'Arsago.
PP. d’Arsagho ‘de d.no Nicolao de d.no Nicolao.
Castigliono « ; ; « Ubi
©» I WWW
I9Q S.
12
D.
LIBER SENINARII MEDIOLANENSIS
Canonicato de d.no Petropaulo Bosso .- . L.
5 i Druxiano de Moroxolo.
x A Emilio de Schianto (sic)
4};. Ù 3 Jo. Angelo Bosso .
A i Francesco Pozzo .
ti a Ambrosio Visccnte
Rettoria de Santo Gaudentio de Vinagho de d.no
Jo. Antonio Cardano . » «E.
s de Santo Petro de Quinzano con la
Cappella de S.to Antonio nela medema chiesia de de d.no Steph. Gallo
149. n de Santo Alesandro de Montenate de
d.no Jo. Antonio Clivio .
i de Santo Laurentio de Sumiragho de
d.no Jo. Antonio Sorexina
i de Santo Vincentio de Menzago de d.no
Ambrosio Visconte.
de Santo Michel de Mornagho de d.no
“Atigelo Caxola.
Cappella seu rettoria de Santa Maria di Gandia
de d.no Jo. Battista de la gexa
645. Rettoria de Santa Maria de Caxorate de dino
Hieronimo Margutio
; de Santa Maria de Bricieno de da no i
Luca Visconte . ;
î de Santo Siro de Albizagho de. d.no
Marc’Antonio Ghiringhello
Cappella de Santo Damiano et Cosmo de Ar:
sagho d.no Francisco Castigliono .
Clericato de Santo Ambrosio Michel et Sirro 7
Arsagho
Canenica de Santo Petro et Paulo d'Abia guazeno.
659. PP. d’Abia guazono ded.no Mar’Ant.Moneda L.
Canvnicato de d.no Henrico da Vicoseprio.
; a Cesare Pusterla .
È Camillo da Castano
Rettoria de Santo Petro et Paulo d'Abia guazono
de d.no Bernardino da Valle.
Canonica de Santo Vittore d’Arcisate.
6;5. PE. d’Arcisate de d.no Jo. Batta Cermenato L.
Canonicato de d.no jJacomo Muzono
4” ::. Stor. Lomb , Anno XLIII, Fasc. I-II.
JI
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II
N "N
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IO
16
1I
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N
150
660.
665.
675.
680.
6085.
MARCO MAGISTRETTI
Canonicato de d.no Ferrante da la Croce . LL.
; n Paulo Camolo
ù n Andrea Pedacino .
È i Cesare Mozono
de Jo. Ambrosio Rigono .
de d.no Bernardino Pelegrino . b}
n ; Hieronimo da Biumo
i È Prothasio Cardano
È x Andrea de Clapis
» È Hieronimo Buzo
» i Franc.° Buzo figliolo de d.no
Donato
A a Baldesar da Trezo
Ù Li Ottorino Blanco
5 È Jacomo Biumio
5 - Jo. Stephano de Judici.
È É Nicolao de Bianchi
Camillo Rigono
lle pro cappella Sancti Georgij de Lisio:
Canonicato de d.no Jo. Luca Rigono
Rettoria de Santo Martino de Viglue de d.no
Hieronimo di Bianchi . ; , L.
Cappella de Santa Maria de Guadrona d’Induno
de d.no Francesco Quattropani
Rettoria de Santo Petro d’Induno de d.no Jacomo Mozono .
Cappella siue priorato de Saliio Elia dé Viglue
de d.no Batta Vegiù
Rettoria de Santo Antonio in Salito Viltore d' Arcisate de d.no Paulo Comolo. ; s
Domus Sancti Fidelis de ponte d.ni Bara
Placentini .
Rettoria de Santa Maria de Use de d. no Francesco Ruscono .
Cappella de Santo Petro de Ligunilo
Canenica de Santo Alessandro de la Plebe (1).
PP.r: de Santo Alessandro de la Plebe. 3 db;
Canonicato alias de d.no Gotardo Bellaboca
n ; È Jacomo Stracia
5 5 = Dionisio Settara .
» ” È Jacomo Santagada
(1) Cioè l'odierna « Pieve Emanuele ».
2
12
IO
10 PU
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
Rettoria de Santo Ambrosio de Rozano de d.no
Baldesar Urbino . 6 » iL
690. è de Santa Maria de Torrigia del ss.to
Urbino 8
Canonica de Santo Jeanne de Assio.
691. PP.ra de Santo Joanne de Assio de d.no Jacomo
Filippo Sormano . ; i . ;> La
Canonicato de d.no Michel Beccaria
; x Jacomo di Conti
. È Hieronimo Curiono
69;. a 3 Jo. Batta Giussano
. i Francesco Sormano
) Pagano da la Gesia
lia de d.no Paulo da la Torre
2 de d.no Jo. Angelo Vimercato . _
700. n 3 Cesare Bosso I
1 alias «de d.no Francesco (sic) 2
Cappella de Santo Calimero siue Clemente in la
ss.ta chiesia de d.no Ottauiano Curiono . 3
, de Santa Valeria in comune de Adsio
de d.no Juliano Giussano —
Cappella de Santo Ambrosio de Sormano de monte Syon de d.no Ambrosio Rodello . L. 4
705. Rettoria de Santo Cosmo et Damiano de Rozagho de d.no Antonio Zucha . 2
Cappella de quelli di Gariboldi de d.no Agostino
Sormano 2
” de Santi Apolinare et Mateinio de Valle
Bruna con la
cappella de Santo Fidele ne la
chiesia de Santo Michele de Olimpo
de d.ni Matheo et Aloisio da Vixino 4
Rettoria de Santo Alesandro de Lusnigho (sic) de
d.no Sebastiano Canderina . . —
710. Cappella de S.t0 Primo in S.to Joanne de Asto 3
Rettoria de Cayo de Valassina de d.no Nazario 2
Canonica de Santo Petro d’Aliate.
712. PP. de Santo Petro d’Aliate diuixa in due parte
una de d.no Anibal Taliabò, l’altra de d.nv
Andrea de Clapis . ; > di #5
Canonicato alias de d.no Benar (cià Massalia
II
16
12
ea)
152
715.
720.
730.
735.
MARCO MAGISTRETTI
Rettoria de Santo Geruasio et Prothasio de d.no
Francesco di Riboldi ì « (ba
A de Santo Petro et Marcelino de Bexana:
per una portione de d.no Ambr.° da Corte
l’ altra portione de la sudetta rettoria de d.no
Julio da Riua .
Item per la cappella de ‘Santa Catherina
Cappella de Santa Catterina de Bruscò cum Tabiagho de d.no Gaspar di Maueri
È de Santo Martino Castelatio de d.no
Petro martire Confanonerio .
Rettoria de Santi Ambrosio et Vittore de Briosco de d.no Hieronimo Cassiano .
i de Santo Antonio de Triuultio de d.no
Georgio Scotto.
È de Valle de d.no Micino da Caxate
î de Villa Raparia de d.no Franc.® Riboldo
Cappella siue rettoria de Caloè de d.no Dionisio
Boldizono . , ‘
. Rettoria de Santo Cervo et “Piottazio Ù
Vergo, seu Santa Catharina de Vergo de d.no Francesco Besozo
ù de Santo Sirro de Monte de d.no Jo.
P.ro Lombolato
» de Cazano de d.no Jo. Maria de Tonsi
A de Souico de d.no Francesco Iximbardo
Cappella de Santa Maria ne la detta chiesia
Rettoria d' Albiate de d.no Orlando Pelizaro
5 de Santo Simpliciano et Ambrosio de
Caratte diuixa in due parte: una de d.no Annibal Taliabò et l’altra de d.no Ambr.° Scolla
Cappella de quelli di Bugi in detta chiesia de
d.no Francesco Perbono.
Rettoria de Santo Nazario et Celso de Verano
de d.no Dionisio Giussano 3
Item per la cappella de Santo Joanne in Baladia
Cappella de Santa Maria de Caladroe de d.no
Xph.° Briosco . ;
Rettoria de Santa Maria de Vedupio de d.n no Jo.
Petro di soldi .
Cappella de Verano con la cappella de Santo Qui.
rico de d.no Jo. Andrea Giussano
Rettoria siue cappella de Santo Jacomo et Filippo
de Giussano de m. Marc’antonio Giussano .
Cappella siue rettoria de Santo Stephano de Giussano de d.no Francesco Giussano :
17
16
(@))
o. 12
12
IO
3-
74).
750.
760.
705.
770.
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
Canonica de Santo Petro de Brebia.
740. PP-ra de S.to Petro de d.no Andrea de Clapis L.
Canonicato de d.no Hermoletto Besozzo
Ù Antisberto Besozzo
RA Julio Brebia .
A Alesandro Brebia .
: Antonio Cocho
s Joanne da Villa
È Lanzalotto Besozzo
a Antonio Besozzo .
n Preciuallo Besozzo
i Hieronimo Besozzo ;
si Petro Besozzo da Bardello.
A Paulo Santello
i Filippo Besozzo
x Jacomo Baldetio
; Baldesar Besozzo.
alias de d.no Hippolito Besozzo
de d.no Melchion Besozzo.
Mazeconiato in detta chiesia . .
Cimiliarcato ne la chiesa de Sancto Alessandro:
Cappella de Santa Margherita in Santo Petro de
”
Brebia de d.no Ant.° M.s Besozo .
de Castel de Brebia de d.no Galeaz Pechio
Rettoria de Santo Martino de Ispera de d.,no Antonio Brambato : . È.
Capp.* de S.ta Maria de la Purifficatione de Cocho
Rettoria de Santo Laurentio de Biandrono
” de Santo Stephano de Bardello de d.no
Bernardino Besozo .
de Santo Martino de Cardana de d.n0
Batta Ixella
de Santo Vitto de Bogno de è. no Pre
ciuallo Besozzo ; i
de Santo Quirico de Trinate de d.no
Hieronimo Cattanio. A
de Carmixio de d.no Franc.° Bassa .
de Santo Jacomo Comabio de d.no Princiuallo Besozzo
de Santo Vitto de Tiauedéna de: d.no
Jo. M.+ Cugiono
de Santo Simpliciano seu Sebafiianò de
Cazagho de d.no Jo. Batt.® Viguerio
de Santo Antonio de Gauirate de d.no
Gabriel Lanciauegia
[lan
basis]
I 00 | vi
153
N Ji
o.
154 MARCO MAGISTRETTI
Rettoria de Santo Petro et Paulo de Inarsio LL.
775. Clericato de Santo Protasio de Brebia de d.no
Paulo Santello. :
n de Santo Nazaro de Turre de d.no he
ronimo Besozzo .
" de Santo Martino de Monte.
E di Malgherio
Canenica de Santo Alessandro de Besozzo (I).
779. Cappella de la Decollatione de Santo Joanne de
Besozzo de d.no Joseph Besozzo L.
È de Santa Maria de l’Anuntiata in detta
chiesia
a de Santi Antonio et Amb o de Hesszo
S de Santo Vittore et Blasio de Besozzo
D. Pauli Santelli :
È de Santa Maria Madalena de B'escaso.
de Santa Maria et Antonio de Besozzo
de d.ni Gentile de Besozzo et Jacomo Ant. de Castel da Besozzo.
Canonica de Santo Martino de Bollate (2).
785. Canonicato de d.no Francesco da Può e Je
È L Francesco da Preda
; ; Cesare Bosso.
Andrea Buzella
Gaspar Vittale
790. ” : Bartolomeo da Er!
* A Cesare Pagano
Jo. Antonio Vespolito.
ù ; Fabritio Landriano
Francesco Sola .
795. ù a Quinto Fabio Cabiano.
Rettoria de Santo Eusebio de Garbagnate de
d.no Jo. Angelo Carnagho . e
Cappella de Santa Maria rossa de Garbagnate de
d.no Ludovico Castigliono ì
de Santo Guglielmo de Villafranca del
sudetto Castilliono . i .
de Santa Maria in Santo Martino de Bollate de d.no Jo. Antonio Cazinigha
»
”
(1) Vedi al n. Ir la Prepositura.
(2) Vedi al n. 130 la Prepositura.
| sli
13
DION do NOreonm WA 4 +=
IO
U.
ii 9°)
13
e]
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS 155
80. Rettoria de Santa Maria de Cexate alias de d.no
Jo. Maria Reyna . A . L. 8 S.- D. —
A de Santo Geruaxio et Prothasio de Novate de d.no Andrea Bugellino . 7 - —
ì de Santa Maria de Senagho con Senaghino de d.no Francesco da Può. i > 26 _ —
Cappella de Santo Bartolomeo de Boliate de d.no
Batta Boltrafio. : s A 5 . 5 197
Canonica de Santa Maria de Bruzane (1).
804. Rettoria de Santo Vincentio de Brasullo de d.no
Guglielmo Taegia . i Li. rrS.— D. —
a de Santa Justina de Affori de d.no F rancisci Frigerio . | 6 —_ --
” de Santo Saluatore de Coriano de
d.no X.phoro di Bianchi - 5 2 —
i de Santo Nazaro et Celso de Bresso®,
de d.no Benedetto di Pescara . 8 —_ --
de Santo Martino de Niguarda de d.no
"Fiaincesco Miradeno ; 7 — -
Cappella de Santa Maria de Pracentenano alias de
d.no Santino di Riboldi da Bexana 1 15 —
3810. 5 de Santa Maria de Bruzano de d.no
Batta del Maìno . : i . 2 8 —
Item per il suo Can.to de Bruzano ) . 2 10 —
Canonica de Santo Alesandro, Sexino et Martirio de Briuio.
PP.ra de Briuio ded.no Christoph.*di Marchetti L. 20 S. — D. —
Canonicato de d.no Hercole Ghisolfo . i . 10 — _
n z Francesco Borrono 6 16 —
815. ù si Josepho di Segurri 4 12 —
x x Bernardino da la Croce I 13 8
= Leone Vimercato . 3 to —
Item per la cappella de Santo Ant.° in Brivio (a) 8 — —
Canonicato de d.no Alessandro da l’Acqua. 5 — —
820. i Jo. Antonio de Dotio 4 IO —
Item per la rettoria de Merate 9 — —_
Canonicato alias de d.no Vincentio Vimiencato 2 8 —
Canonicato et Mazaconiato alias de d.no Jo Antonio Scotto . . 4 16 —_
Custorija de Briuio de d.no Ambrosio: Marliano 3 Io —
425. Canonicato de d.no Francesco di Negri . . 6 14 —_
(1) Vedi al n. 125 la Prepositura e al n. 811 un Canonicato ; ma nel 1398
eranvi altri cinque Canonicati dei quali qui non restano traccie.
(2) Vedi al n. 138 altra (?) Cappella di S. Antonio di Brivio.
156
S}0.
d};.
838.
SLS.
Sq0.
650.
MARCO MAGISTRETTI
Rettoria de Santo Georgio de Vizagho de d.no
Benedetto Molgula . ; = 0
; de Santo Damiano d’Airuno de d.no
Fermo Brambilla
a de Santo Marcellino de Inibersaglio de
d.,no Arcangelo da Caxate
; de Santa Maria de Merate alias de
d.no Francesco Caxato .
Cappella de Santo Joanne evangelista in Salita
Alesandro de Robiate de d.no Ambrosio Airoldo , i
ui de Santo Stephano de Nouate de d.no
Arcangelo Caxato
Rettoria de Santo Floriano de Verdenio de. d.no
Michele di Scotti
* de Santo Vigilio de Calcho de no
Battista de Rippa .
Cappella de Santo Ambrosio de Ciicho dla de
d.,no Raffael Vimercato .
Rettoria de Santo Martino de Castronsgho de
d.no Hercole Ghisolpho . ; ì
Cappella de Santo Jacomo de Paderno de d.no
Antonio Airoldo
; seu rettoria de Santo Zenone de Porchera de d.no Hercole Ghisolfo
Canonica de Santo Petro de Beolco (1).
Canonicato de d.no Jo. Antonio da Dotio . L.
5 : Jo. Antonio Airoldo
i » Jo. Pietro di Re
È i Jacomo Filipo Airoldo .
h Andrea Jacobono .
alias de d.no Raffael Vimercato
ò Jo. Antonio Scotto
de d.no Battista Capra
”
n
”
”»
Canonica di Bellano.
PP. de Bellano de d.no Julio di sali 2 E
Item per il suo canonicato. ; .
Canonicato d.no Jo. Antonio Borello
n alias de d.no Francesco Magno
Cappella de Santo Jo. Battista
i de Santo Antonio
È de Santa Madalena et Caihieima:
Rettoria de Santo Laurentio de Mugiasca .
(1) Vedi al n. 126 la Prepositura
(GÒ ogle
IO
ND | »W 4
009 o w
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
Canonica de Santo Saluatore de Barzanore.
854. PP. de Barzanore de d.no Guido Biragho L.
Canonicato de d.no Francesco da Pirouano
i A Battista Caponagho
È, n Ambrosio da Corte
i iù Franc. Bernardino da Nava
È Julio Simonetta
S60. Cappella de Santo Blasio ut s.ì de d.no Jo. Antonio Pirouano.
> de Santo Vittore seu Siluatore de d.no
Francesco Pirouano i ;
Canonica de Santo Vittore di Corbetta.
$62. PP.r di Corbetta de d.no Franc.° di Marconi L.
Item per un canonicato . 1 3 ;
Canonicato de d.no Jacomo Visconte .
N65. s alias de d.no Francesco Caxato
i de d.no Christophoro Borro
i » Jo. Antonio Porro
A a Folco Spinella
ù î Jo. Angelo di Berri
s70. i n Francesco Pozzo .
» Battista Landriano
S alias de d.no Hieronimo Cattia
Cappella de Santo Jo. Batta in Santo Vittore dotata per d.no Joanne di Borri
i de Santo Jo. Batta et Antonio in detta
chiesia de d.ni Jo. Ant.° et X.phoro
de Borri i
d75. E de Santa Maria Madalena uu preuosto
de Santo Vittore et de d.no Jac.° Filippo Borro
Rettoria de Santo Martino de Mazenta de d.no
Federico Criuello
Un’altra portione de la sudetta rettoria de d.nu
Bartalomeo Peregho _
Rettoria de Saata Maria de Viiugolo de d.no
Siluio Resta
Cappella de Santo Nazaro et Celso: in detta de
sia de d.no Antonio Maria Cattaneo
850. Rettoria de Santo Petro d’ Abia grasso (sic) de
d.no Hieronimo de Fanno
Un'altra portione de la sudetta rettoria de d.n0
Francesco Sinibissio
Cappella de Santo Ambrosio d’ Ab grasso de
d.,no Andrea Pionno
5 de Santo Antonio d’Abia grasso glia de
d.no Dionisio Francono .
Go ogle
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157
D. 3
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D. —
3
5
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SE;.
£090.
SyS.
900.
905.
MARCO MAGISTRETTI
Rettoria de Santo Andrea de Casterno de d.no
Filippo Raxino. ; Je:
Un'altra portione de la siidlerta rettoria de d.no
Ludovico Predasanta
Rettoria de Santa Magia de Bestazzo i dn no Je
como Terzagho :
Cappella de Santa Maria de Mazenta de d.no
Ludovico di Medici.
Rettoria de Santo Remigio de Sidriano de d.no
Jo. Maria Ghisolpho
Cappella di Santa Maria d'Albairate de d.no LA
tonio Cadamosto
Rettoria de Santo Georgio d’ Albairate de d.no
Antonio Caregnano.
Un'altra portione de la sudetta retionia de duo
Carlo di Cani .
Cappella de Santo Joanne de Albairate de dino
Antonio Cadamosto.
A de Santo Vitto de Bestacio de d.no Jo
Maria Nidaxio .
Rettoria de Santo Jo. Batta de Cisliano ue d.no
Ott.no Mozato . é
n de Santo Nazaro et Celso de Baregio
de d.no Pompeo Gilassiato
SE de Santo Nazaro et Celso de Mercallo
de d.no Baldesar Crivello
Clericato de Santo Salvatore de Mercallo de d.no
Hieronimo Parpagliono .
i de Santo Georgio ne ia sudetta de d.no
Dominico Glussiano
Cappella de Santo Bartolomeo de Ossola de d.no
Ambrosio di Medici i
i de l’Anuntiata in Santa Maria de Mexero de d.no Gaspar Settara -
Clericato de Santo Innocentio de Mexero de d.no
Battista Crivelo
Una cappella ne la chiesia de Santo Vivtore de
Mazenta
Rettoria de Santo Christo phoro de Ossona de
d.no Hieronimo Romano
Cappella Ducale in Abbiate grasso de di no Rigo:
stino Aplano
Monasterio sive Cappella de Santa Maria Celestina mendicante (1)
(1) Vedi al n. 135 la chiesa di S. Maria Celestina di Magent:.
[2
18
IO
22
14
II
‘1
IO
IO
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
Canonica de Sante Joanne de Cexano.
906. PP.'radeCesano de d.no EminioRitio alias(sic) LL.
Canonicato de d.no Jo. Battista Lodi .
È i Bernardino Beolco
; A Gaspar Bosso A
010. ui z Battista Alfero
ù ; Carolo Varexio
i alias de d.no Petro de Zuchi
— ———»
Rettoria de Santo Geruaxzio et Prothasio de Romano banco de d.no Jacomo Antonio da Monte ; i »«. Li
È de Grancino con la cappella de Corsico
de d.no Jo. Battista da Lodi.
9IS. : de Santo Sebastiano de Vighignolo de
d.no fra Paulo da Mariano
i de Santa Margarita da Settimo de d.no
Agostino Morono x
A de Sant Ambrosio de Trezano de d.no
Hieronimo Pozzo
: de Santo Apollinare de Baggio de: d.no
Jo. Paulo Baggio ;
de Santa Maria de Gheregnano de d.no
"aédi Filippo Mezabarba
920. Cappella sive rettoria de Santo Desiderio d’Asagho de d.no Bernardino Mantegaza .
Cappella Ducale de Santo Antonio de i
de d.no Francesco di Vaghi . .
Canenica di Crenna.
Canonicato de d.no Hieronimo di Moneda . L.
; a Francesco Scolla .
i Donato Beacqua . .
925. Rettoria de Santo Zenono de Crenna de d.no
Francesco Sperono . 4
12
13
Il
159
HI
Ii
6
Canonica de Santa Maria al Monte (1) cen la Canonica de Castigliono.
Canonicato de d.no Ambrosio Piantanida . L.
Arcipresbiterato de ARET de d.no i
Castigliono
Cappella de Santa Maria noua de Castigliono ce
d.no Joanne de Castigliono
I5
I5
9
S. — D.
(1) Al n. 112 è tassato l’ Arcipresbiterato di S. Maria al Monte per L.
48.
160 MARCO MAGISTRETTI
Cappella Sacratissimi Corporis X.pi d.ni EIMURDI
Castillionei È le
930. Un'altra cappella come di sania de di no Jo. Antonio Castigliono i
Cappella de Santo Nicolao et Bernardini de Ca
stigliono 4
n de Santa Maria, Stephano et Laurentio
de Castigliono de d.no Hieronimo
Item pro alia cappella ut supra
Cappella dell’Assumptione in Santo Uaurenio de
Castigliono de d.no Jo. Petro Castiono
93}S. 4 de Santa Maria de Castiono de d.no
Joanne de la Stella .
17
13
4
6
Canonica de Santo Joanne Evangelista de Castelseprio.
936. PP. de Castelseprio de d.no Jo. Petro Hormexino (I) : ? : ; + db,
Canonicato de d.no Alesandro Natiizioio.
A A Stephano Pusterla
ù y Scipion Bracello . 7
940. x i Hieronimo Codegha
Li ; Jo. Antonio Carnagho .
ì ; Petropaulo Bosso. .
Ù i Cesare Bosso. 3
» alias de d.no Hieronimo Cattia.
ZLS- A de d.no Francesco da Castilliono
” s Gabriel da Castiono .
Canonici in fcudo minore.
9.47. Canonicato de d.no Filippo Castiono . = Ly
A î Leonardo Castiono
"i ù Jo. Donato Carnagho .
950. , " Jo. Angelo Carnagho .
n 5 Joanne Borghetto .
952. Cappella dotata per d.no Prete Beltramo . L.
È de Santo Paulo de Castelseprio de d.no
Antonio del Conte . :
; de Santa Maria fora de le porte de Castelseprio .
y;S. a de Santo Leonardo et Anno n Venegono inferiore d& d.no Ludovico
del Conte .
(1) Vedi al n. 113 la « Prepositura di Castel Seprio » è tassata per L.
N N
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1
50.
960.
970.
973.
960.
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
Cappella de Santa Maria de Venegono inferiore
de d.no Francisco da Limidi. ; «» «Ls
Rettoria de Santa Maria et Michele da Venegono
ss.to del ss.to d.no Francesco
Cappella de Santo Nazario de Vicoseprio de d.no
Jo. Antonio Castagliono
ò de Santa Maria de Vicoseprio de d.no
Alessandro Martignono .
1 de Sant’Ambrosio de Morazono siue
rettoria de d.no Barthalomeo Castiono
Rettoria de Carono de d.no Jo. Andrea Serbelono .
Cappella de Santo Barthalonieo de Rouate de d.no
Batta de Machi
s de Gornate Inferiore de d.no \Ginne da
Castiono
A de Santo Michele de Gormdie Superigre
. Rettoria de Santo Petro et Paulo de Lonate Ceppino de d.no Antonio Castiono
” de Santo Stephano de Tradate de d.no
Melchion Bilia .
Cappella de Santo Sepolcro de Tradate de d. lo:
Dominico Tradato .
> de Santa Maria de Tradate de ia
Bartholomeo Pusterla
Un’altra cappella de Santa Maria de Tradate de
d.no scolastico (sic).
Rettoria de Santo Pancratio de Vedano de d.ni
Batta Buzo et Franc.° Castigliono
a de Santo Martino de Carnagho de d.no
Bartholomeo Bosso.
Cappella de Santa Maria de Cariglio de d.no
Christophoro Bosso. j . ;
Canonica de Santo Petro de Cliuio.
Arcipretato de Cliuio de d.no Bern.do di Judici L.
Canonicato de d.no Francesco di Judici
È ì Jacomo Buzo
ò x Jo.Petro Besozzo da Bardello
3 Jo Antonio Castigliono.
Rettoria de Santo Sirro de Cliuio de d.no Hieronimo Buzo
Cappella de Santo Martino de Cliuio de d.no | Hieronimo Buzo
Un’altra cappella de Cliuio ie d.no ‘Martino Cattia
II
12
(i YI
16
II
16I
IO
IO
162
9SI.
985.
990.
99).
MARCO MAGISTRETTI
Canonica de Santo Vittore de Canobio.
PP.ra de Canobio de d.no Francesco Mantello L.
Canonicato de d.no Jo. Maria Thomacino .
= Thomaso Cigalino
i Bartholomeo Cerretto .
Francesco Pontio .
> Gaspar Mantello .
7 ; Jacomo Rainoldo .
D) = ®3
3
Item per la rettoria de Brisago . i Ue
Cappella siue rettoria de Placio .
Rettoria seu cappella de Canero.
A de Valle Canobyna. 3
B de Valle Vedascha de d.no Camillo di
Gerardi . ?
i seu cappella de Trarego. con la Ha imida
data per li huomini de la rettoria
de Vigiona con le primitie
Cappella de Tronzano .
A de Pino
-
4 S.- D.
4 —__
3 16
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4 sis
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15 S. 17 D
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I 2
3 —__
4 6
5 16
— 8
— I
(continua).
ia una delle tante poesie inedite del Lancetti da lui
{i trascritte e ordinate in un volume, che, secondo l’in-
| ij tenzione sua ultima, avrebbe dovuto passare alle
> fiamme, ma che viceversa l’ Olivieri, suo figliastro,
donò con molti altri manoscritti al Corio e che ora conservasi
nella biblioteca Ambrosiana, si ricava l’anno e il giorno della nascita, fatto variare da quanti se ne occuparono fra il 1766 e 1768 (1).
À pag. 327 di detto volume, si legge con la data 3 gennaio 1804
una poesia dedicata al suo natalizio che comincia con le parole:
Oggi è il tre di gennaio, e in questo dì Trenta sett’anni fa Mia madre (requie a lei) mi partorì.
Ma questa data non toglie completamente il dubbio che sia nato
in altro anno e cioè nel 1768 poichè così scrisse egli stesso nel foriguardante la sua carriera e nel processo che ebbe a subire nel
"23; mentre dall’ interrogatorio del 17 risulterebbe nato nel ‘67.
(1) Chi più di proposito finora si è occupato del Lancetti è GiuserPE MaNACORDA, / rifugiati italiani in Francia negli anni 1799-1800, sulla scorta del
« Diario » di Vincenzo Lancetti e di documenti inediti degli archivi d’ Italia e
di Francia, Torino, 1907, in-4 gr., pp. 226, estr. dalle Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, serie II, to. LVII, Su questo lavoro cfr. A. BuUTTI,
in quest’Archivio, a. XXXV, fasc. XVIII, 1908, p. 375-88. Vedi nello stesso
fascicolo CARLO SALVIONI, Lettere di Carlo Porta a Vincenzo Lancetti, con un’appendice di una lettera a Tommaso Grossi, p. 340-355. Cfr. inoltre il nostro art.
Lettere inedite di Ugo Foscole a Vincenzo Lancetti, in Rivista d’Itaiia, dic. 1915
ove si corregge qualche inesattezza del Manacorda e al nome Biografia degli
italiani viventi, Lugano, Veladini, 1819.
Aggiungiamo all’ ultimo momento l'art. di G. MANACORDA, 4 proposito di
V. Lancetti, massone, poliziotto e letterato, in Rivista d’Italia, maggio 1916, nel
quale trovansi varie notizie riguardanti la massoneria e molte indicazioni bibliografiche. Ci tengo a dichiarare che io non ho mai detto che il Lancetti fosse
massone fin dal 1800 e che il Manacorda sostenne esplicitamente che il Lancetti
era « irreligioso ma non massone » senza determinare l’anno a cui si riferiva.
GO ogle
164 ANGELO OTTOLINI
Nacque dunque il 1767 o 68 dacche lui stesso lo fa variare
fra questi due anni e a Cremona da Carlo Lancetti, uomo versato
negli studi ed economici e letterari così che quando per opera di
Pompeo Neri, fiorentino, venne stabilendosi in Lombardia il pubblico censimento fu nominato fra i primi cancellieri censuari in
Cremona (1).
Passò il padre nel 1774 a dirigere la grande amministrazione
di casa Andreani a Milano, e quivi rimase con la famiglia fino al
1785, anno in cui fece ritorno a Cremona; nel 1798 fu elevato a
prefetto di quel dipartimento e si spense nel 1809. Vincenzo, che
aveva seguito le vicende del padre, ebbe, si può dire, la prima istruzione a Milano ove frequentò le scuole di s. Alessandro sotto la direzione del padre Ciani e del padre Ciceri e quelle di Brera sotto il
Parini. Con tali maestri e con l’inclinazione naturale alle lettere e
al sapere si sviluppò in lui giovanissimo il desiderio ardente di
eccellere e di imporsi, di conquistare un posto non comune nella
repubblica letteraria, e forse sarebbe riuscito se invece di assecondare l’indole sua avesse saputo contenerla in limiti più ristretti.
Con una certa amarezza dovette più tardo riconoscerlo lui stesso,
allorchè comprendendo che oramai il miraggio della glotia gli sfuggiva per sempre, nelle lunghe sere invernali del 1812-13 ricopiava
parte de’ suoi versi condannandone moltissimi alle fiamme e vi
premetteva una prefazione che merita d’ esser nota per quanto
riguarda la sua natura, i suoi studi, le sue prime prove nel campo
dell’arte. Scrive dunque l’autore a chi legge, proemiando alla raccolta di versi che secondo il testamento doveva essere abbruciata (2).
La natura mi ha dato una inclinazione invincibile ad ogni sorta di
studio, e un tal piacere alle applicazioni della mente, che sembrava volermi essa destinare con questo mezzo a render forse qualche importante servizio alla società. Ella mi dotò sopratutto di una immaginazione così vivace ed ardente, e mi diede un tale squisito sentimento
per il bello, e per l'armonico, che io debbo pur troppo vergognarmi di
esser poi riuscito sì poca cosa.
(1) Cfr. /nteressi Cremonesi, n. 64, 1° giugno 1889 e quest'Archivio, a. XVI,
1889, p. 514. :
(2) Ci fu mostrato, insieme agli emblemi massonici, dal sig. Guido Olivieri,
discendente, come si disse, dal Lancetti.
ù
NOTE PER UNA BIOGRAFIA DI VINCENZO LANCETTI 165
Di otto anni io aveva scarabocchiato un sonetto, e mal copiato con -
la matita alcuni disegni del Bibiena; lodi a tredici anni mi compartiva
il P. Ciani maestro di umane lettere nelle scuole di S. Alessandro in
Milano pei versi latini e italiani che io sottometteva al di lui giudizio,
e le correzioni amorose che ne’ due anni seguenti mi andava facendo
il P. Ciceri, maestro di poesia nelle scuole medesime, per una quasi
intera traduzione in versi sciolti sdruccioli che io feci dell’ Eneide a’
quei giorni.
Ai principio de’ miei sedici anni volli passare alle scuole di Brera
ove poscia frequentai diligentissimamente fino a tanto che la mia famiglia non si restituì a Cremona, mia patria, locchè avvenne quando
contava già il 18° anno. Ma la mia diligenza, l’affezione mia fu tutta
verso il grande Parini, e il giudiziosissimo P. Soave, e intanto io non
trascurava affatto le altre lezioni filosofiche, matematiche, legali e simili. in quanto le cognizioni che io ne acquistava parevanmi dover servire a farmi un buon poeta: gloria alla quale l'animo mio supremamente aspirava. All’ epoca stessa accadde che io per la prima volta
mi innamorai, e buon per me che la giovine era essa pure affezionatissima ai begli studi, e mi eccitava continuamente, e aggradiva con
entusiasmo i versi che io andava quasi ogni giorno tributandole. Le
disgrazie di mio padre lo obbligaron a rimpatriare e misero me nella
necessità di avere impiego, e supplir con esso ai bisogni della famiglia
e miei. La carriera degli impieghi, le vicende politiche sopravvenute in
Lombardia, la parte che vi «bbi, le occupazioni importanti cui mi vidi
chiamato, la necessità di acquistare miglior dottrina nella scienza amministrativa, e nella ragione di stato, l’urto delle opinioni, la successione
delle circostanze, il bisogno della famiglia mia propria, i pericoli che
ebbi a provare, non disseccarono del tutto la mia vena poetica, ma la
dimmuivano notabilmente.
Nel 1785, ritornato col padre a Cremona, cominciò la sua lunga
carriera-di impiegato, il che non gl’impedì di coltivar la poesia e
di stampare i primi suoi saggi poetici nel 1791, pei tipi del Manini,
Le idee che provenivano di Francia avevano trovato anche in Cremona buon terreno ed ebbero nel Lancetti un ardente sostenitore.
Era stato infiammato alla democrazia dall’abate Giuseppe Vairani,
contro il quale più tardi, nel luglio del 1797, scrisse sonetti che
sono un libello anzichè una satira, perchè, venuti i francesi, il Vairani divenne nemico del nuovo ordine contro il quale ogni giorno
pubblicava un foglio o in prosa o in versi. Questi consistevano in
Sonetti al Popolo ed uscivano in Cremona dai torchi del Noce. Il governo volle che gli si opponessero armi uguali ed il Lancetti ebbe”
l'ordine di scrivergli contro. Cominciò con sonetti, la maggior parte
Arck, Stor. Lomb. Anno XLIII, Fasc. I-II. ll
Go ogle
166 ANGELO OTTOLINI
dei quali venne stampata in Cremona con la data di Brescia e finì
con le Jettere di un soldato Lombardo sugli opuscoli dell’ab. Gius.
Vasrani. 11 Vairani rispose con altri sonetti senza nominar il Lancetti il quale a sua volta replicò anche con epigrammi.
In questo frattempo coltivò anche l’idea di scrivere un poema
su Napoleone, di cui ci ha lasciato un frammento su La presa di
Mantova (1) con la data del 27 agosto 1797, ma tale opera smise
quando seppe che il poeta Fr. Gianni stava scrivendo il suo Bonaparte.
Alla tine del 1797 lo troviamo a Milano e comincia a partecipare alla vita politica. Tutto infiammato di idee rivoluzionarie fa
parte del Circolo costituzionale {2) ove si davano convegno il Fantoni, il Ceroni, Giov. Pindemonte, il Foscolo, ecc., e la sera del
2 novembre declama la sua ode // Circolo costituzionale in cui ricorrono i versi:
Sacri al Genio possente
Che fra noi Libertà dal ciel conduce
Qui noi stringe desìo di spander luce
Sovra l’ignara gente.
Di libertade il tempio
Son queste mura, e sacerdoti e figli
Noi sprezziamo per lei pene e perigli
Con maestoso esempio (3).
Il 9 dicembre recita le stanze « ]l congresso de’ fiumi sulla
libertà italiana » alla presenza di Giov. Pindemonte e dei Labindo.
Gli applausi giungono all’entusiasmo: la poesia è subito stampata:
in due giorni se ne fanno tre edizioni in italiano e una in francese. Le predizioni messe in bocca di Proteo nello spazio di due
anni si avverano e di ciò compiacendosi il Lancetti, trascrivendo
più tardi la poesia, vanta il suo spirito profetico dicendo « est deus
« in nobis » (4). Qui inneggia alla libertà che si consegue col coraggio nazionale e alla caduta del potere temporale.
(1) Mss. Lancetti presso l’Ambrosiana, vol. Poesie, p. 75.
. (2) Cfr. G. Mazzoni, A Milano cento anni fa, in Nouova Antologia, fasc. 636,
î6 giugno 1898, p. 579 e sgg.
(3) Ass. cit., p. 190-9I.
(4) Mss. cit., p. 199.
—
NOTE PER UNA BIOGRAFIA DI VINCENZO LANCETTI 167
Vuol tempo il tempo, e libertà non vola
Ove il coraggio pria non le apra il calle;
Non è dell’Alpi il re, non l’Austria sola,
Che stringano all'Italia e fianchi e spalle:
Altri nemici in scettro e in spada e in stola
E di croci segnati azzurre e gialle
Le è forza rovesciar, cadran, cadranno,
L’ Italo suol più non avrà un tiranno.
1 vari fiumi delle varie regioni concordi acclamano alla libertà
e all'unità della patria che si raggiunge con l’aiuto della Francia
e Proteo profetizza:
O tutta Italia in libertà risorta
Mirar dovrete ed ogni giogo infranto
O tutta schiava ancor, e tutta assorta
Nelle miserie, nel dolor, nel pianto:
Ma il destino vuol che libertà le torni;
E tu disponti, Italia, a sì bei giorni.
Pure in morte del generale Duphaut, a cui era stata promessa
in isposa Carolina Bonaparte, la futura moglie del Murat, inneggiando alla libertà, inveisce contro il potere temporale del papa
accordandosi con l’Alfieri nell’affermare:
Il papa è papa e re; dessi odiar per tre.
Anche questa poesia, scritta nei giorni 10 e II gennaio 1798,
fu recitata al Circolo costituzionale e propriamente la sera del 20;
anche questa fu applaudita come tutte le enfatiche declamazioni (1);
ne fu subito approvata la stampa; ne furono tirate due edizioni
in-8 in tre giorni ed ebbe l’onore di essere musicata dal torinese
Brusano.
Quando sopraggiunsero i rovesci delle armi francesi e il Lan.
cetti, per sfuggire alla prigionia, emigrò con molti in Francia lasciando a Milano la moglie prossima a sgravarsi, era capo della
1* divisione del Ministero della guerra. Di questo suo esilio lasciò
ricordo nel Diario pubblicato dal Manacorda, lavoro non ricco di
(1) Cfr. il giornale // Circolo costituzionale, Milano, 1797-98. Sono diciotto
numeri che vanno dal 21 dicembre al 4 marzo: qui si dà relazione delle varie
proposte, dei lavori letti e dell'entusiasmo provocato.
168 ANGELO OTTOLINI
casi e di azioni, ma importante per le persone che vi sono nomi.
nate. Dimorando a Grénoble coi più fervidi giacobini italiani il
Lancetti cominciò il 12 pratile dell’anno VII (maggio 1799) un
poema elegiaco Le Lamentazioni, di cui ci rimangono otto cantiche. Il poema era d’ argomento malinconico: al dolore di aver
dovuto lasciar la patria e la moglie incinta si aggiunse la falsa
notizia che il figlio natogli era sopravissuto solo sei giorni. La
diceria gli somministrò e passioni e pensieri, onde per dar sfogo
all'animo suo turbato scrisse queste lamentazioni che, cominciate
a Grénoble, furono continuate dalla metà della quarta cantica fino
alla settima a Parigi e gli ultimi versi vergati il 27 fiorile anno
VIII (17 maggio 1800) quando trovavasi ai bagni ad Aix in
Savoia.
Mentre trovavasi ad Aix gli giunse l’ordine di raggiungere la
legione italica al cui stato maggiore apparteneva e ritornato quindi
in Italia non pensò più ad ultimare il poema che doveva risultare
di dodici canti. Nominato dal governo provvisorio vice direttore di
marina con la retribuzione di cinquemila lire, mentre prima della
emigrazione in Francia come capo della 1* divisione del Ministero
della guerra era retribuito con novemila lire; fece le sue rimostranze
e venne poco dopo eletto segretario generale del nuovo Ministero
della guerra con seimila lire di stipendio. Da quest'epoca cominciò
a brigare con ogni mezzo per salire; s’inscrisse nella Massoneria
e raggiunse i più alti gradi; coltivò la poesia e l’erudizione; pubblicò un poema l’Areostiade che aveva incominciato sul finire del
1783; un poemetto epico-lirico sull’Ztalza incoronata per |’ incoronazione di Napoleone nel maggio del 1805 e moltissime altre cose
e di qualsiasi natura; preparò pure un poemetto in versi sciolti
Haiti o l'isola di San Domingo che fu rivisto e ritoccato dal Foscolo (1) al cui giudizio fu sottoposto e che doveva comparire sotto
l'arcadico nome di Eridanio Cenomano. Il Lancetti, qual segretario
centrale del Ministero della guerra, fu presidente dell’ufficio di
compilazione del codice militare, a cui pure, come capo della quarta
(1) Cfr. L. Corio, Haiti o l'isola di S. Domingo, poemetto inedito di Vincenzo Lancetti con note di Ugo Foscolo, in Vita Nuova di Milano, a. I, 1876,
p. 8, 36, 61, 71, 86, 120, 139; C. Cantù, U. Foscolo paralipomeni, in quest'A4rchivio, 9. III, 1876, p. 78. Postille e poemi del Lancetti.
NOTE PER UNA BIOGRAFIA DI VINCENZO LANCETTI | 169
sezione presiedeva il Foscolo; codice che, come è noto non venne
poi ultimato (I).
Dal 1802 in poi il Lancetti, nominato direttore dell’ archivio
generale del Ministero, attende più che altro alle sue pubblicazioni
e al suoi studi e rimane indisturbato per tutta la dominazione napoleonica e con poche noie anche sotto il nuovo governo, data la
sua natura remissiva. Era il Lancetti, dice benissimo il Manacorda
che ne ha studiato e compreso come nessuno l'animo e la tendenza (2), un rivoluzionario d’occasione più che di profonda convinzione; si era trovato travolto dalle cose a far la parte di vittima politica, quasi senza saperne il perchè : la sua filosofia della
vita è tutta compendiata in quelle curiose riflessioni da lui confidate al suo Diario sotto la data 14 fruttidoro. Alla fin fine (egli
chiedeva a se stesso) perchè sono io qui solo, esule, povero? Ho
sempre ubbidito, comandasse l’imperatore o i demagoghi francesi!
Non sono un individuo pericoloso (diceva compiacendosi) e pur
troppo, dobbiamo aggiungere, non era neppure un cittadino maturo alla vita pubblica.
Nel continuo mutar bandiera, nella mancanza di ogni idea,
nel facilismo poetico, troppo era ancor figlio di quel frollo settecento che contemplò con l’indifferenza dell’ estraneo il grande
dramma tra ciò che fu e ciò che sarà, il quale si svolgeva dopo
Il ’96 sotto i suoi occhi tra francesi e austriaci, concordi solo nell'opprimere e spremere il popolo, cui non restava che la virtù di
saper sempre ubbidire. Indole mitissima, amante dei divertimenti
e sopra tutto del teatro, impenitente cacciatore di gonnelle, amante
però del quieto vivere casalingo e dei buoni piatti paesani, fuggì
con orrore i turbolenti che abbondavano fra gli esuli. Firmò la
petizione per l’indipendenza e l’unità d’Italia, solo perchè altri la
firmavano, senza capir bene l’importanza dell'atto, pago che gli
amici approvassero il suo operato. Ufficiale dello stato maggiore
sì preoccupò molto più dello stipendio e dell’acquisto delle spalline
e del cappello che non di affrontare a lancia e spada il nemico.
(1) Cfr. L. Corio, Rivelazioni storiche intorno ad Ugo Foscolo, Milano, Carrara, 1873, p. 28 e il Progetto, p. 113 e sgg.
(2) Op. cit., p. 132. Ciò ci compiaciamo di affermare avendo altrove rile»
vato qualche inasattezza, e da lui trascriviamo quasi parola per parola }’ indole
e il carattere del Lancetti.
170 ANGELO OTTOLINI
Consigliato dai direttori a proseguire la carriera militare, colla
lusinga del posto di ispettore generale al Ministero della guerra,
esita ad accettare, perchè non sa quanto gli daranno di stipendio.
Quanto al resto, in un periodo di esaltazioni e di pazzie, il Lancetti merita lode per la sua equanimità: irreligioso, e massone (1), non vuole, d'accordo col Foscolo, che si perseguitino i
preti, perchè equivale a rafforzarne il partito; troppo debole per
difendere la patria, ha pure qualche pensiero affettuoso per essa,
quando teme che se ne faccia mercimonio in una nuova Campoformio e protesta in cuor suo, vedendo manomesse e non ben
custodite le opere d’arte che i francesi hanno predato all'Italia.
Delicatissimo negli affetti domestici, nonostante le frequentissime
scappate extraconiugali, ha spesso accenti commoventissimi di dolore per la lontananza della sposa e dei figli; egli sogna la sua
famiglia, i suoi bimbi, si commuove alla vista dei genitori che
hanno presso di sè i loro bambini, piange se un dramma gli presenta una situazione simile alla sua.
Data questa sua natura e questo modo di concepir la vita, si
comprende come si sia benissimo adattato ai vari governi. Quello
‘spirito guerriero e liberale che sembrava gli ruggisse nell’animo
durante i primi anni della rivoluzione francese, non era veramente
sentito, si era a poco a poco affievolito per lasciar luogo alla indifferenza in fatto di politica, all’ambizione in fatto di letteratura.
Ed eccolo compor versi su versi, tragedie, commedie, libretti d’opera, poemi, tradurre dal francese, dal tedesco, dall’inglese attraverso traduzioni francesi (2), scrivere romanzi, occuparsi di filosofia
e di storia, pubblicare almanacchi col diario onomastico degli eroi
e riviste di libri usciti nel Regno Lombardo, e una guida dei viaggiatori in Italia con carte geografiche, e le biografie cremonesi e
(1) In questo non ci accordiamo col Manacorda al quale sono sfuggiti i
documenti esistenti nell’archivio di Stato in Milano, de’ quali dovremo parlare,
e lo dice non massone e a ragione, se si riferisce solo al 1800 e non a tutta
la vita. Per quanto riguarda la massoneria cfr. anche GaeTtANO CRESPI, 1) patriotismo di Carlo Porta, Milano, 1908, p. 6-7 ove il nome del Lancetti compare
sotto la penna del Porta nelle ricevute che questi rilasciava quale cassiere di una
loggia massonica, e l'articolo nostro cit., p. 867-68.
(2) Tradusse Woodstock ossia il Cavaliere dello Scott; nella nota premessa
al manoscritto si legge: « dichiaro che ho tradotto dal francese e non dall’ inglese », 18 giugno 1828.
7
NOTE PER UNA BIOGRAFIA DI VINCENZO LANCETTI 17!
la psewdonimia, scrivere insomma « de omnibus rebus et de qui-
« busdam aliis » (1) e sotto il suo nome e di Eridanio Cenomano,
e di Franco Splitz chirurgo (2) e di Timolao accademico Filopatride
e sotto l’anagramma di Vittore o Vittorio Calmetti (3).
Riconfermato direttore del R. Archivio di guerra dal Feld Maresciallo conte di Bellegarde, continuò fino al 1840 nell’opera sua,
senza avere quelle soddisfazioni a cui ambiva. Non fu difatti un
modello di impiegato e più preoccupato degli studi suoi che dell'ufficio, attese ad allargar la sua coltura (4) e a nuove pubblicazioni. La sua serenità ebbe un piccolo turbamento, la prima volta,
nel 1817, allorchè subì, il 17 febbraio (aveva allora cinquant'anni,
dice nell’interrogatorio) un processo in cui si mirava a stabilire la
sua conoscenza e relazione con l’abate Ottavio Albicini e se con
lui avesse parlato di società segrete. Più grave amarezza subì nel
1823 quando si vide arrestato col figlio Carlo Alberto e sottoposto
a un lungo esame, esame che merita in gran parte d’esser riprodotto perchè serve a illuminare l’aggregazione sua alle società segrete e la parte che vi ebbe.
(1) C. SALVIONI, in quest’Archivio cit., p. 340, n. 2.
(2) Il CAMERINI, in Avvertenza alle Satire di T. Petronio Arbitro volgarizquite da V. Lancetti, Milano, Daelli, 1863, p. x1, dice: « il Lancetti prima d°es-
« sere un polistore fu chirurgo », ma non è vero; come rilevasi dalle stesse
sue atfermazioni non si occupò mai di medicina; adottò la parola chirurgo col
pseuionimo di Franco Splitz per adombrare il suo nome.
(3) Vedi l'elenco delle opere in D. Copara, Cenni mecrologici sul letterato
V. Lar:cetti, Monza, Corbetta, 1855, e in MANACORDA, Op. cit. j altro ne aggiunge
il BUiT:, Op. cit., p. 377; aggiungi i manoscritti conservati nella biblioteca Ambrosiana e nella biblioteca di Cremona, intorno ai quali ultimi vedi quest'Arch.,
a. XVI. 1889, p. 514; le carte che si trovano nel Museo del Risorgimento di
Milano e nel Civico di Pavia.
(4: Intorno alla poca serietà scientifica del Lancetti cfr. F. NovatI, Della
vita e delle opere di M. G. Vida, in Sedici lettere di M. G. Vida, lavoro magistrale
inserito in quest'Archivio, a. XXI, 1899, p. 195, 5, € specialmente la p. 7 e sgg.
Anche nella pseudonimia ricade in vari errori. A_p. iv scrive: « Il mio illustre
« amice Ugo Foscolo ebbe la mortificazione di udir fischiata in Milano la sua
« bella tragedia il Tieste, per aver indotto un personaggio ad invocare l’ aiuto
« de' Salamini ». A parte il fatto che doveva scrivere Aiace e non Tieste, non
è vero nemmeno quanto dice; cfr. A. MAnzI, Foscolo, la censura teatrale e îl
governo italico, in Rivista d'Italia, maggio-giugno 1912.
172 ANGELO OTTOLINI
Esame 5 Maggio 1823 (1).
1° Sulle generali.
R. Sono V. Lancetti del defunto Carlo e della defunta Francesca
Bussetti, nacqui a Cremona; fino dall’ anno 1797 domicilio in Milano,
conto 55 anni, sono ammogliato in seconde nozze con Catterina Maria
Pugni di Milano, ho due figli da me concetti con Antonia Piatti ora defunta ed era prima mia moglie, sono direttore provvisorio dell'Archivio
dell’ex-ministero di guerra del cessato Regno, Cattolico, non sono stato
assoggettato a nessuna censura criminale, e soltanto fui sei o sette
anni fa dalla direzione di polizia di questa città, involto in una inquisizione politica pel contatto in cui venni col Canonico Albicini, parmi
di Forlì, e con qualche altro individuo, di cui al presente non mi soccorre il nome. Di questa vicenda io mi sono qui pienamente giustificato
presso l’autorità investigantc.
2° S'egli sappia immaginarsi il motivo per cui fu chiamato vanti
la commissione.
R. Ho esaminato con ogni cura la mia coscienza e non saprei da
me rammentarmi un argomento che avesse potuto suggerire la mia
chiamata avanti la Commissione; a meno che questa non amasse di
ritrarre da me una qualche notizia, che riguardasse il contatto da me
già menzionato, in cui mi sono ritrovato col canonico Albicini.
3° S' egli abbia appartenuto a società segrete.
It. Non nego di avere appartenuto alla segreta Società dei Massoni,
essendo nell’anno 1801 o 1802 stato ascritto alla loggia composta per
la massima parte di francesi, e che portava il titolo il felice incontro,
titolo che questa loggia cambiò dopo la venuta del Principe Eugenio
èx-vicerè d’ Italia con quello di Carolina. Ho sempre con amore coltivato lo studio della filosofia, e segnatamente quelle parti della medesima che si occupano delle dottrine le più astratte, e trascendentali. La
lusinga di ritrovare nella Società Massonica degli argomenti che potessero appagare il mio desiderio di fare delle scoperte in questa specie
di studii, fu la precipua causa impellente che mi mosse ad aggradire
l’ invito a me fatto di appartenere alla Massoneria, invito che io aveva
precedentemente disagradato perchè proveniente da persone che io non
stimava. Due furono le persone che m’introdussero nella Loggia massonica, l’uno era l’in allora colonello e capodivisione al Ministero della
Guerra, ed attuale Tenente Maresciallo Austriaco Conte Mazzucchelli, e
l’altro era il Capitano Parma Veneto, Io ho percorso tutti li gradi massonici; fui venerabile ed oratore di Loggia, ottenni il trigesinio secondo
(1) Trovasi nell'archivio di Stato di Milano fra le carte Lancetti. La parte
trascritta è conforme in tutto all’originale.
-
NOTE PER UNA BIOGRAFIA DI VINCENZO LANCETTI 173
grado, e fuì pure membro del Grande Oriente d’Italia. Prima ancora,
che queste provincie ritornassero sotto il dominio austriaco io mi sono
ritirato dalle unioni massoniche perchè in queste l'animo mio non ritrovava ciò che bramava, e continuava soltanto ad essere membro del
Grande Oriente d’Italia. Non restami che di esporre una verità certamente già nota, che la Massoneria, cicè per quanto almeno io ebbi
campo di conoscerla, non si è giammai impacciata nè di oggetti politici,
nè di oggetti religiosi, e che anzi studiavasi di comprimere coloro che
avessero dato qualche saggio di un’indole irrequieta e smaniosa di innovazioni, impervcchè ella è la prima legge, da cui non può dipartirsi
il Massone, di essere suddito ubbidiente del legittimo suo governo.
4° S'egli abbia mai appartenuto alla società denominata L'Ordine
di Cristo.
R. Non solo non appartenni a questa società, ma nè anche so che
essa abbia esistito.
5° S'egli però sappia che dalli Massoni di Milaro andavasi in
traccia di notizie relative ad una sccietà denominata | Ordine di
Cristo o i Templari.
R. Conosco il grado massonico chiamato dei custodi del Tempio,
o dei Templari, ma non so che vi fosse una società diversa dalla Massoneria, che avesse assunto il nome di Templari o dell'Ordine di
Cristo, nè tampoco mi è noto, che li Massoni di Milano si volessero
procurare delle notizie sul conto di questa società.
6° Che i Massoni dl Milano ed esso signor esaminato in ispecialita, si volessero procurare delle notizie sul conto de’ Templari e
dell'Ordine di Cristo emerge alla commissione epperciò lo si eccita
a voler esaminare in proposito la sua reminiscenza.
R. Ignoro che i massoni di Milano abbiansi voluto procurare delle
notizie relative ai Templari od ali Ordine di Cristo e dichiaro parimenti dal lato mio, che qual Massone io non ho avuto desiderio di
ottenere*queste cognizioni. Non ristarò a indicare due mie supposizioni,
che potrebbero per avventura aver dato argomento a ritenere l’emergenza, di cui ho sentito favellarmi in questa interrogazione. Negli ultimi
tempi del Regno d’Italia si aveva divisato di introdurre una riforma
nella Massoneria per allontanare certe persone credute indegne e per
abolire certi usi.ridicoli. Era io pure membro della Comissione a tale
oggetto istituita e il progetto da questa compilato doveva essere presentato al Principe Eugenio; ma la cessazione del Regno fece cessare
ogni pratica relativa. Ecco la prima supposizione mia, che potesse aver
dato adito alla confusione dei nomi e ritenere che la Massoneria si fosse
occupata o dei Templari o dell'Ordine di Cristo, ciò che non regge
in fatto, giacchè in questa riforma neppure riscontransi questi due nomi
e solo ambivasi di stabilire un grado tutto proprio, che lungi dal poter
essere ai membri del Grande Oriente Italiano conferito da quelii di
GO ogle
174 ANGELO OTTOLINI
Francia, fosse a noi del tutto particolare, e spettasse a noi di conferirne
ad altri, cosicchè per tal modo si avrebbe fatto cessare l’influenza che
il Grande Oriente di Francia esercitava su quello d’Italia. Ma di questo
grado ideato non erasi stabilita la denominazione nè stabiliti gli estremi.
Passo ora a far menzione del secondo fatto che potrebbe aver dato luogo
a ritenere quanto mi fu contestato. Sotto il cessato Regno io divisavo
di comporre la storia della letteratura militare, per cui mi facevano mestieri moltissime requisizioni, che io cercava di ritrarre ovunque sul conto
pure degli ordini militari ed è certo che io ho chieste delle informazioni
dalle persone più colte anche sul conto dei Templari in quelle parti per
cui lo si doveva risguardare ordine cavalleresco.
7° S' egli possa indicare le persone dalle quali volle ritrarre le
notizie fatte sull’Ordine dei Templari (1).
R. Dal Salfi (2) e da Leopoldo Zuccoli.
8° S'egli abbia fatto indagare notizie sull'Ordine dei Templari in
Portogallo.
R. No, in Portogallo non ho rapporto o conoscenza.
8° (3) S’egli conosca Innocenzo Vincenzo Tassi.
R. Conobbi molti anni addietro certo Taxi e non Tassi, scultore di
professione che mostrava grande entusiasmo per la massoneria e che
dicevasi volersi trasferire in Portogallo ed anche in America per esercitar la scultura e confidava molto nell’assistenza dei massoni.
9° S’egli abbia avuto corrispondenza col Taxi.
R. Mi pare mi abbia. scritto una lettera o due dal Portogallo e
d'avergli: risposto. Mi sovviene anzi che prima di partire da Milano il
Taxi 16 o 18 anni fa volle dichiararmi suo erede nel caso naufragasse.
10° Su quale argomento si aggiravano le lettere scrittegli.
R. Mi parlava del viaggio e d’aver trovato dei benefattori che l’avevano assistito.
11° S'egli abbia dato al Taxi qualche incarico relativo all’Ordine
dei Templari. i
R. È facile che incaricassi il Taxi di annunciarmi quelle notizie che
fossero atte a farmi conoscere se quella società sussistesse in Portogallo, aggiungo che in cuel tempo avevo in animo di scrivere la storia
della massoneria.
(1) Da questo punto abbreviamo alquanto l’interrogatorio riportando solo la
parte più importante e senza mutar le parole.
(2) Vedi sul Salfi, B. ZumBini, Sulle poesie di V. Monti, Firenze, Le Monnier, 1886, p. 305. Appendice II: Relazioni tra il Monti e il Salfi.
(3) Così è ripetuto nell'originale.
NOTE PER UNA BIOGRAFIA DI VINCENZO LAKCETTI 175
12° Se il Taxi gli comunicasse le notizie relative alla massoneria
di Portogallo.
R. Affermo avermi il Taxi partecipato notizie sulla massoneria del
Portogallo e d’avermi nominato |’ Ordine ci Cristo.
13° Il Taxi asserisce aver avuto da Lei l’ordine dì rintracciare
notizie intorno all’Ordine di Cristo o dei Templari prima della sua partenza di Milano.
R. In tanta lontananza di tempo non posso ammettere nè oso escludere quanto il Taxi asserisce.
14° Ebbe l’esaminato ad esporre al Taxi il desiderio di ottenere
delle notizie sull’Ordine dei Templari in una unione massonica.
R. In loggia massonica è vietato parlare, alla presenza di gradi inferiori, di un grado più elevato e perciò inclino ad escludere che in loggia
si abbia di ciò parlato. Il Taxi non aveva che il terzo grado, ossia di
maestro.
15° Se questo ragionamento dovesse valere l’interrogato non
avrebbe dovuto parlarne al Taxi nè in Loggia nè fuori — eppure risulta che parlò col Taxi in proposito.
R. Benchè il Massone di un grado meno elevato non possa conoscere ciò che costituisce la sostanza di un grado più elevato, non è vietato ch'egli abbia la notizia della esistenza di gradi più elevati. Al Taxi
raccomandai di comunicarmi tutte quelle scoperte che avrebbe fatto intorno alla massoneria e posso perciò aver a lui nominati dei gradi massonici più elevati al suo.
16° L’ esaminato ha voluto ritrarne delle notizie sull’ Ordine di
Cristo.
KR. Ripeto che aveva in vista di ottenere notizie che mi sarebbero
riuscite utili nella compilazione di opere letterarie.
17° S'egli possa escludere di avere avuto la notizia della esistenza
di una società denominata i Templari ossia i Cavalieri di Cristo.
R. A mia notizia nun giunse l’esistenza di questa società.
Così si chiude il primo interrogatorio: altro ne ebbe a subire
nel luglio dello stesso anno e nulla essendo risultato a suo carico
venne lasciato libero. Ma l’accusa vera del suo arresto pare sia
stata di altra natura, oltre quella d’aver appartenuto a società segrete. E la si deduce dagli stessi suoi scritti e ricordi che ha voluto lasciare intorno a questo fatto. Nel testamento, scritto il 9 luglio 1839 e pubblicato il 1° maggio 1852 dice:
Un’ ignominiosa calunnia ha esposto me e ciascun individuo della
mia famiglia dall'anno 1823 a questa parte a molte e dolorosissime umiGO ogle
176 ANGELO OTTOLINI
liazioni. Le persecuzioni e le trame della invidia mi hanno più volte
inquietato e danneggiato.
Anche queste parole sarebbero piene di mistero se non soccorresse una nota esplicativa, da lui stesso aggiunta, ad un sonetto
che trovasi a pag. 484 del volume di versi conservato manoscritto
nella biblioteca Ambrosiana, sonetto già pubblicato dal Corio (1)
e che merita d’esser riprodotto:
Sulla calunnia contro ine sparsa.
SONETTO.
Con più d’undici lustri in sul preterito
Vivuti sempre in pregio ai galantuomini
Con fama d’uomo probo e d’uom di merito,
Degno dell’ onestà degl’ onest’ uomini: -
Cader tutto ad un tratto in tal demerito
Che ne freme l’onor sol che si nomini («&)
E saper che tale onta non merito,
E iniquo esser per ciò chi me ne abbomini
Veder la stima altrui conversa in odio,
E la gente fuggirmi al par d’un etico,
Eppur sentirmi intemerata l’anima.
È de’ miei giorni il più tristo episodio:
È cosa in ver da diventare eretico:
Ma l’innocenza mi conforta ed anima.
22 luglio 1823.
(a) Fu questo il più funesto anno della mia vita, perchè l’imprudenza di mio figlio fermatosi tre giorni a Barcellona quando da Livorno
senza mio assenso risolse di andare in Inghilterra, poi tornato a Milano
senza eseguire il mio progetto, fece credere a tutti che vi andasse mandato, e quindi fosse spia, ed io per conseguenza venni pure come spia
considerato, mentre eravamo due sventurati.
Tale accusa di spia venne ed è in parte ripetuta malgrado
non abbia in sè alcun fondamento. Ma il popolo allora l’ha creduta e anche l’Austria: il popolo lo evitava perchè lo vedeva strisciante con l’Austria mentre era stato favorevole alla rivoluzione
francese e ardente oratore dei circoli costituzionali; l’Austria perchè
temeva in lui il Venerabile delle Loggie, il Buon Incontro e l’Im-
(1) L. Corro, Notizia intorno a V. Lancetti, in La Vita Xuova, Milano,
1876, p. 9-11.
NOTE PER UNA BIOGRAFIA DI VINCENZO LANCETTI 177
perial Carolina e la Real Augusta. Così il Lancetti senza colpa
cadde in disgrazia e degli uni e degli altri e non riuscì più ad
acquistarsi simpatie. Era del resto alquanto versipelle ed opportunista in causa della sua filosofia del quieto vivere, e lo comprovano
anche le varie dediche de’ suoi libri (1) ma, come rilevasi dagli
stessi atti segreti, non era una spia.
- Sotto la data del 17 settembre 1826 leggesi:
Il nome Lancetti vedesi compreso nell’elenco dei carbonari rimesso
nel maggio 1822 (2). In questa avendo con nota 1° maggio 1823 ricusato
dalia direzione generale d’essere informata’su tutti quegli eventuali rimarchi, a cui la condotta di Vincenzo Lancetti avesse dato occasione
dopo la rivolta di Napoli, ebbe il riscontro 3 giugno 1823 dello stesso
Signor Direttore Generale nei seguenti termini: « Vincenzo Lancetti impiegato presso l'archivio del cessato Ministero della guerra, benchè fervido massone, ed attaccato entusiasticamente ai principî rivoluzionari,
ed in seguito al cessato Governo, non si sa, che dopo il cambiamento
di governo e durante la rivoluzione di Napoli e del Piemonte abbia dato
motivo a sospicioni sul di lui conto, vivendo quasi esclusivamente a sè ».
Nulla di più rapporto a Vincenzo Lancetti presentano gli atti della Commissione, nè fu possibile di trovar traccia della circostanza mentovata
nell’ossequiato foglio dell’ E. V. che pel sunnominato abbia la Polizia e
specialmente l’assessore Pagani dimostrato favorevoli riguardi; se forse
non si riferiscono a Carlo Alberto figlio, che nel 1823 con passaporto
limitato ad un viaggio a Livorno, passò a Barcellona, essendosi poi al
suo ritorno assentati da Milano li fratelli Luigi ed Ercole Conti Belgioioso
ed il giovine Bellerio. Su quest’argomento esistono in atti tre note della
direzione generale, firmate le prime due dall’assessore Pagani in assenza
del S. direttore, ma dal tenore delle medesime, nè dalle ricerche cui
diedero luogo, fatte dalla Commissione alla Polizia, si scorge alcun motivo di sospetto favore pel figlio Lancetti. E qui torna opportuno di far
cenno delle confidenziali notizie ora raccolte sul conto di Vincenzo Lan-
(1) Il 14 ottobre 1805 dedica al Principe Eugenio l'opera: « Delle qualità
« e dei doveri degli impiegati pubblici »; il 3 agosto 1815 si rivolge con lettera dedicatoria a S. E. Enrico conte di Bellegarde; il 20 febbraio 1840 invia
una supplica a S. M. per ottenere licenza di dedicargli il dizionario militare e
cavalleresco.
(2) È uno strascico del processo in cui fu coinvolto anche il suo concittadino G. Montani, sul: quale cfr. il nostro articolo in quest'Archivio, anno XLII,
fasc. IV, 1915, parte II, correggendo, come ci avverte l’avv. Guido Coggi, suo
discendente, la data di nascita in 1785 e non 1789, come abbiamo scritto seguendo il Vannucci, il Giordani e lo stesso Coggi, e quindi la durata della sua
vita in 47 anni, non 43.
178 ANGELO OTTOLINI
cetti. Costui sotto il passato governo dalla pubblica opinione veniva
giudicato uno spione in rapporti eminenti cui offrisse un mezzo per
esercitare lo spionaggio la stessa sua qualità di massone. L’ opinione
pubblica non cangiossi dippoi, venendo agevolmente in oggi creduto
che egli abbia sempre continuato il mestiere di delatore negli oggetti
che più interessano la polizia; anzi gli si fa carico di avere nello spionaggio esercitato altresì il figlio Carlo Alberto, attribuendosì al viaggio
di costui a Barcellona un fine politico; ed era voce, che al suo ritorno
dalla Spagna rassegnasse alla Polizia quelle lettere che aveva colà ricevute dai rifugiati Italiani, alcune delle quali pei Conti Belgioioso e
per Bellerio, supponendo a costoro che gli fossero state perquisite, per
cui nel timore di politiche investigazioni si allontanarono dallo stato.
Lancetti padre, che nei primi suoi anni a Milano godea pei suoi lumi
e pel vivace suo ingegno molta estimazione, fu indi mal veduto nella
società, per ciò ben s’accorse che non gli conveniva di più oltre frequentarla. Lancetti figlio è segnato a dito, e da tutti evitato,
Un accenno al disgusto e al poco aiuto che ebbe si nota anche
nella biografia che ci ha lasciato e che doveva comparire nell’ A4/-
manacco dei Letteratt del Regno d’Italia per l’anno 1824, sotto il
nome di Franco Splitz Chirurgo, uno dei suoi pseudonimi. Leggesi
infatti a pag. 38:
Lancerti Vincenzo. — Se la Biografia, che questo scrittore chiamò
Cremonese dalla sua patria, venisse da altri imitata per le altre città,
valendosi di tutte le antiche memorie sì edite che inedite, sì private
che pubbliche, sì della nazione che delle famiglie, non è dubbio che le
storie locali ne ricaverebbero amplissimo lucro, e che ogni cittadino
andrebbe lieto di veder illustrati i fatti della sua prosapia, e i nomi dei
suoi maggiori spesso a lui medesimo ignoti. Ma arrischierebbesi con ciò
solo di rieinpir la casa di libri di questo genere, tanto amplamente il
sig. Lancetti vi si è versato. E’ ben vero che pochi altri, a nostro avviso, possono trovarsi di tanta pazienza muniti, quanta ne ha egli mostrata, e puchi altri sarebbero nel caso di scriver, com’egli, e si con
garbo, così la gloria letteraria, come la militare, così la civile che la
ecclesiastica al tempo stesso. Checchè sia di ciò, egli pare che anche il
Lancetti, o mal soddisfatto dalla vastità del suo disegno, o indispettito
delle spese e fatiche senza alcun compenso fin qui da lui sostenute,
abbia sospesa la pubblicazione della Brografia cremonese, giacchè dopo
un quaderno del terzo volume posto in luce nella state del 1822 non
sappiamo che altro ne abbia egli stampato. Quand’io rifletto agli onori
che la città di Bergamo, di Brescia, di Verona, di Vicenza ecc., fecero
con medaglie, busti, pensioni e simili a coloro che le illustrarono co”
loro scritti ed ingegni, e che odo non avere il Lancetti nulla ottenuto
di tutto ciò dalla sua, convei la chiama, nobilissima patria, seppure non
NOTE PER UNA BIOGRAFIA DI VINCENZO LANCETTI 179
ne abbia anzi ricevuti gravi disgusti, come parvemi potersi inferire da
alcuni cenni della Bibblioteca italiana, e come ritoccherò nel prossimo
articolo del conte Litta, io ne trasecolo. Ma così vanno le cose di questo
mondo, e sopra tutto in questa Italia. Ben mi duole che il sig. Lancetti
abbia preso a tradurre la lunga opera della Storia della filosofia moderna
del valente professore di Gottinga D.' Buhle, la quale per quanto sia
bella, è un dispiacevole monumento di vaneggiamento della umana sapienza, egli che con la sua traduzione del difficilissimo Petronio Arbitro
ci mise in sapore di assai più importanti lavori anche in fatto del tradurre. Ma chi può consigliare o, dirigere siffatti cervelli?
Così scriveva dell’opera sua e di sè stesso, forse per non urtare la censura che aveva qua e là castrato il manoscritto della
traduzione della Storta della filosofia moderna di Giov. Amedeo
Buhle come rilevasi dal manoscritto stesso che contiene anche le
. castrature e la nota della censura con la data 31 agosto 1822 N. 2296.
In quest'opera il Lancetti fu coadiuvato da altri traduttori quali
Gaetano Barbieri e Benedetto Perotti; ad essi dovette ricorrere
dice lui stesso perchè
parte per malattia, parte per stanchezza, andava troppo lento e lv
stampatore aveva premura
Dal manoscritto si nota apertamente quale sia la parte da assegnare a ciascun traduttore. Anche dalla sua nota biografica sì rileva disgusto e malcontento e per non esser tenuto nel debito conto
e per non aver avuto nessun soccorso nella sua grande impresa,
soccorso che non era stato negato ad altri, in altre città.
L’Austria, che si valse dell’opera sua finchè lo credette opportuno, non apprezzò mai nè riconobbe la sua attività e non mancò
di richiamarlo al dovere. Già in un rapporto del 1825 dava pessimi
ragguagli sulla organizzazione degli archivi e in causa del disordinato Lancetti; così con lettera del 16 gennaio 1830 ne biasimava
e disapprovava la condotta.
Cercò il Lancetti di propiziarsi il governo austriaco, ma, poco
fortunato ne’ suoi amori politici, non ebbe i compensi sperati. Ecco
che nel 1835 tenta di accostarsi all'Austria col dedicare un'opera
a S. A. L, ma la dedica non è accettata; si legge infatti:
N. 1745.
Pres. II 9.mbre 1835.
L’Imp. e R. Presidenza di Governo con disp. 9 corr. N. 858646 in
180 ANGELO OTTOLINI
vita a far restituire al Sig. Direttore Vincenzo Lancetti l’opera che accludqe del medesimo con dichiarazione che S. A. I non ha trovato di
permettere la dedica.
N. 1766.
Al Sig. l'incenzo Lancetti
Cap. di LI R. Archivi.
S. E. il Sig. Conte Hartig Presidente dell’ I. R. Governo con suo
dispaccio 9 andante N. 8586 ha incaricato questa Direzione generale di
restituire la supplica che ebbe ad umiliare a S. A. I. il Serenissimo
Arciduca Vice Re ed annessasi di Lei opera colla dichiarazione che ha
proferta a S. A. con rispettato dispaccio 31 8.bre p. p. N. 11255 V. R.
ha trovato di non permettere la dedica a suo figlio.
Lo scrivente in adempimento degli ordini avuti dalla sua superiorità rende a Lei e la supplica e l’opera suaccennata delle quali vorrà
accusarne ricevuta.
Li 15 9.bre 1835.
ll Direttore Gener.
VIGLEZZI.
Finalmente nel 1840 consegue il trattamento normale che aveva
più volte chiesto e che gli era sempre stato negato; ma l’ottenne
per pochi giorni poichè gli viene comunicato il 19 novembre e il
28 dicembre dello stesso anno deve cedere ad altri, al Vitali, l’archivio che gli era stato affidato.
Nessuna soddisfazione potè avere, nemmeno quella di possedere l’ambita medaglia quale premio della lunga opera sua. Leggesi
nel foglio di referato 2740:
Altezza imperiale!
- Il rispettato rescritto di Vostra Altezza Imperiale 19 p. p. mese
N. 4415 richiama rapporto sulla petizione di Vincenzo Lancetti non contemplato nell’ ultima sistemazione degli Archivi il quale allegando la
lunga da lui percorsa carriera invoca il fregio di una medaglia d’onore.
Ha già avuto occasione questa Presidenza di indirizzare a Vostra Altezza Imperiale in data del 26 p. p. mese N. 2171 una documentata consulta relativa al supplicante, nella quale colla trasmissione degli atti
relativi si notavano le taccie da esso incorse nell’esercizio delle sue
funzioni; e si opinava che non fosse il caso di applicargli per la liquidazione del suo trattamento normale il favore delle direttive austriache
non sussistendo nel Lancetti il possesso dei requisiti voluti dalla sovrana
risoluzione 12 settembre 1824, la quale permette solo che si invochi il
beneficio delle direttive austriache per chi ha servito con diligenza,
-— -
NOTE PER UNA BIOGRAFIA DI VINCENZO LANCETTI 18I
con fedeltà, con onoratezza. Riferendomi pertanto alle cose in
detta consulta esposte ed al parere già in essa esternato sulla non applicabilità al Lancetti delle normali austriache per un più largo trattamento di pensione in confronto di quello portato dai regolamenti italiani, mi pare sommamente che non possa esser il caso di invocare
per lui il fregio di una medaglia d’onore, e con tale riverente avviso
mi faccio premura di retrocedere ossequiosamente la supplica Lancetti.
SPAUR. Milano, 7 maggio 1841.
Il 4 giugno 1841 l’istanza viene licenziata, gli si nega, riferendosi al dispaccio del 23 p. p. mese n. 5315, la medaglia d’onore e
si dichiara non essere il caso d’invocare a favore del Lancetti
l'implorata distinzione.
Dopo sì misero compenso alle dotte fatiche si potrà ancora
ritenere il Lancetti una spia dell’Austria ? A noi ripugna l’ animo
a crederlo tale e i documenti riprodotti crediamo ci diano ragione :
in lui non v'è che uno spirito ossequientissimo a tutti i governi,
smanioso di popolarità e di gloria. Ma purtroppo quella gioria e
popolarità che con tanto animo aveva cercato non fu che una vana
chimera, un’ombra che si allontanò sempre più da lui. Messo in
pensione trovò ancora conforto negli studi e s’ abbandonò totalmente alla manìa del bibliofilo quasi potesse, attaccandosi ai libri,
rendere più duratura la sua fama. Accumulò così libri su libri
spendendo in essi tutto quello che aveva; si narra anzi che la
moglie gli vuotasse le tasche prima che uscisse di casa, perchè
trovandosi senza denaro si temperasse. Carico d’ anni poi e negietto da tutti, si spense in Milano il 18 aprile 1851, lasciando la
vedova Maria Pugni alla quale il governo austriaco il 1° ottobre
dello stesso anno assegnò una pensione di lire 2243,85 a datare
dal 19 aprile.
Non fu il Lancetti, come si è detto, nè un uomo politico nè
un grande scrittore nè un grande erudito : ebbe la manìa e la
smania di riuscire e tentò tutte le vie. S’accorse presto di non
aver la stoffa dei tribuno e tanto meno l’animo ardito del guerriero,
e si distolse dalla politica; perseverò nello studio della poesia e
ne coltivò tutti i campi senza emergere in nessuno; si smarrì nella
erudizione e nelle traduzioni; coltivò |’ amicizia dei potenti e dei
grandi cercando di farsene sgabello per salire, e non avendo forza
propria fu man -mano lasciato in disparte.
Arci Stor. Lomb., Anno XLII, Fasc. I-I[. 12
182 ANGELO OTTOLINI
Il suo nome che non sonò mai alto mentr’ era vivo, è legato
tuttavia alla pseudonomia, alle Memorie intorno ai poeti laureati
d’ogni tempo e d'ogni nazione e alla Biografia cremonese, opere
che si consultano ancora e non senza profitto.
ANGELO OTTOLINI.
Stato personale di Vincenzo Lancetti (1).
Cognome e nome. Lancetti Vincenzo.
Anno di sua nascita. 1768.
Luogo di nascita. Cremona.
Religione. Cristiana.
Studi percorsi dove e in quali anni. Primi studi sino alla Fisica e Metafisica in Milano dal 1775 al 1784. Istituzioni civili, Belle Arti ed Anatomia parte in Milano dal 1780 al 1784, parte in Cremona posteriormente.
Gradi accademici ottenuti dove e quando. Nessun grado per opposizione
della madre che gli impedì di andare a Pavia. E’ però membro di
varie società letterarie d’Italia.
Lingue che possiede e particolari cognizioni. La latina e la francese
quanto l’italiana. Conosce le scienze politiche, la diplomazia, la
storia, la poesia e la letteratura e ne ha dato vari pubblici saggi.
Coltiva anche la filosofia trascendentale.
Se nobile, ammogliato, vedovo od ecclesiastico. Ammogliato in 2.8 nozze.
Figli a di lui carico, quanti e di quale età. Un maschio d'anni 22, una
femmina d'anni 17 dalla prima moglie, una fanciulla d’anni 1o dalla.
seconda.
Altre persone a suo carico. Una sorella a Cremona, un nipote a Milano.
Propri mezzi di sussistenza ed alire circostanze speciali. Nessuno eccetto.
l’ impiego.
Epoca delPalunnato. Nell'anno 1785.
» del primo impiego provvisorio. 1786.
» del primo impiego stabile. 1795.
» dell'attuale impiego. 1814.
» anni di servizio. N. 33, mesi n. to.
Impiego attuale. Direttore dell’I. R. Archivio di guerra.
(1) Dall’Archivietto (ASM), anno 1814-1819, cartella 62.
(GÒ ogle
NOTE PER UNA BIOGRAFIA DI VINCENZO LANCETTI 183
Nominato da qual autorità. Da S. E. il conte feld maresciallo de Beliegarde, Plenipotenziario di S. M. I. R. A.
Soldo stabile. Lire italiane 5000.
Data del decreto. 31 ottobre 1814.
Numero del decreto. 4641
Data, 1° novembre 1818.
Firma. Vincenzo LANCETTI.
Trafila degli anteriori impieghi sostenuti e retribuzione
annessavi. |
1785 sino al 1787 impiegato all'Ufficio degli Argini dugali di Cremona.
L. 4.10 milanesi al giorno.
Alunno (contemporaneamente al sudetto impiego) nell’Intendenza
del Censo, poi nella Regia Intendenza politica, indi commesso ispettore di polizia presso la medesima L. 2 al giorno.
1791. Scrittore bimestrale presso la R. Delegazione del Censo fino all'aprile 1794.
1794. Ufficiale aggiunto alla Cancelleria Municipale. L. 1400.
1796. Membro del Municipio di Cremona di cui fu Presidente due volte.
L. 1800.
1797. Dichiarato al posto d’ufficiale aggiunto alla Cancelleria municipale.
L. 1400.
1797, 11 agosto. Nominato Protocollista dell Amministrazione Dipartimentale. L. 1500. .
1757, 1.° settembre. Vice segretario generale al Ministero della guerra
a Milano. L. 3000.
1798. Capo di suddivisione. L. 5000.
1799. Capo della prima divisione L. 9000 oltre il trattamento in natura
d’aiutante generale.
1799. Fatto capitano aggiunto allo Stato Maggiore Generale dell’Esercito,
grado e carica da lui tenuta e rinunziata quando tornò al Ministero
di Guerra. Egli la conservò senza quiescenza intermedia e la esercitò in Francia, sia come rappresentante de’ Cisalpini emigrati, sia
come capitano Relatore al Consiglio di Guerra. Fece la guerra del
1800 in tal qualità.
1So0. Vice direttore di Marina, segretario centrale al Ministero dì
Guerra. L. 6000.
1802. Direttore dell’Archivio Generale al Ministero. L. 5000.
184 ANGELO OTTOLINI - NOTE PER UNA BIOGRAGIA, ECC.
1805. Confermato. L. 5000.
1807. Fatto comulativamente direttore delie scuole militari del Regno.
L. 5000.
1810. Aumentato di emolumento. L. 6000.
18rr. Caposezione delle scuole nella 3.3 Divisione del Ministero. L. 5600.
1814. Referendario presso il Commissario Imperiale Tenente Maresciallo
Marchese Sommariva. L. 5000.
1814, 31 ottobre. Rimesso Direttore dell’Imp. R. Archivio di guerra. L. 5000.
Go ogle i
VARIETA
——PT ————@&
Due lettere del cardinale di Pietramala a
Gian Galeazzo Visconti (1390-91).
mesa UE anni or sono, in questo stesso Archivio (1) noi abbiamo
I data fuori una lettera scritta dai fiorentini il 4 agosto 1391
f al doge di Genova per rispondere all’annunzio che quel
| principe s'era affrettato a comunicar loro della rotta toccata sulle porte d’Alessandria all'esercito guidato dal conte Giovanni
d’Armagnac, e della morte di questo generoso baron francese ch’essi
con tanto spreco di denari e di politici maneggi avevano persuaso
a scendere in Italia, ond’ annientare la potenza di Gian Galeazzo
Visconti (2). Ed allora abbiamo osservato come la catastrofe inattesa che travolse il d’ Armagnac e le sue truppe, avesse riempito
di giubilo i partigiani del signore di Milano, i quali ne presero
animo a stimolare costui a continuar con più gagliarda insistenza
la guerra contro la republica toscana, privata del maggiore de’ suoi
appoggi e timorosa dell’avvenire. Tra coloro i quali si mostrarono
più preoccupati di accender l’animo del Visconti, fu il cardinale
Galeotto di Pietramala, il quale da Avignone, dove allora viveva,
indirizzò al Conte di Virtù una lettera tutta vibrante d’odio contro
Firenze, e di gioia per la morte del d’ Armagnac, che di Firenze
s'era fatto il campione.
Ma questa lettera non era la prima che il cardinale avesse
inviata al Visconti. Già parecchi mesi innanzi, quando, cominciata
(1) Vol. XX, a. XL, 1913, p. 304 e sgg.
(2) Per la calata del d' Armagnac, vedi le note, loc. cit. Non vogliam
tacere che notizie pregevoli reca anche il GiuLinI, Mem. spett. alla storia di Milano, Milano, 1856, vol. V, p. 764 e sgg.
186 VARIETÀ
la guerra, gli eserciti milanesi s'erano venuti indugiando nel molestare i bolognesi, nell’aiutare i senesi, senza prendere un’ offensiva diretta contro Firenze (1), Galeotto aveva rivolto al principe
lombardo altri gravissimi avvertimenti. Ei gli faceva presente come
fosse vana la speranza di domare i fiorentini, insino a chè non si
colpissero al cuore. Faceva mestieri che il vessillo della vipera
sventolasse sulle sponde dell’Arno, che i tremebondi mercanti soliti
a tessere frodi nelle sale del Palazzo vecchio, scorgessero dall’alto
delle torri le campagne percorse dai cavalli viscontei, le messi
arse e distrutte, gli agricoltori trascinati prigionieri colle braccia
legate dietro il dorso.... Soltanto allora, dinanzi a questo pauroso
spettacolo, essi avrebbero deposto l’ardimento e si sarebbero persuasi che la frode e l’astuzia non potevano più sottrarli al meritato
castigo.... « A Firenze, a Firenze! » tale il grido che gli amici
di Gian Galeazzo facevano, interprete il Tarlati, echeggiare al suo
orecchio.
Chi era dunque questo porporato che manifestava un così intenso livore contro la repubblica di Firenze, che toscano sposava
con tanto calore la causa del Visconti, e la faceva addirittura sua?
Galeotto Tarlati, detto « il cardinale di Pietramala », aveva succhiato col latte l’odio contro i fiorentini. Egli apparteneva a quella
celebre famiglia aretina che, dopo avere signoreggiato in patria,
s'era trovata di fronte, avversario formidabile, il comune fiorentino.
Sempre avida d’allargare i propri domini, di allontanare dai suoi
confini i pericolosi e turbolenti rappresentanti dell’antica feudalità,
Firenze aveva mossa ai Tarlati una guerra senza quartiere, cercando d’annichilirne la potenza, come aveva distrutta a poco a
poco quella de’ Guidi, degli Ubaldini e di tant’altri signorotti minori. Costretti a difendersi incessantemente contro l’implacabile
avversaria, i larlati davan senz’esitare l’aiuto loro a tutti i nemici
di lei; in tutte le guerre, grosse o piccine, che Firenze ebbe a sostenere durante il secolo decimoquarto contro i suoi vicini, essa si
trovò ognora di fronte i signori di Pietramala (2). Ed anche nel
(1) Cfr. GIULINI, op. cit., vol. cit., p. 752 € sgg.
(2) Non riuscirà senza interesse udir qui come Firenze significasse il proprio
sdegno contro questi suoi piccoli ma irreconciliabili nemici. Nell'ottobre 1384 il
Sire di Coucy, che, abbandonata Arezzo in balia de’ fiorentini, s’ era messo in
cammino verso la volta di Venezia, aveva fatto sapere ai fiorentini stessi come
Bartolomeo da Pietramala avesse molestato le sue truppe, mentre passavano attraverso le terre di lui, e fatti uccidere in Anghiari taluni soldati mandati în cerca
di viveri. A siffatte lagnanze così il 24 novembre la Repubblica rispondeva per
Go ogle :
VARIETÀ 187
1390, non appena che il Visconti s'era deciso a bandire la guerra
contro di essa, egli aveva ritrovato ne’ Tarlati degli alleati modesti, ma fedeli, tanto più fedeli quanto più la caduta d’Arezzo nelle
granfie de’ fiorentini aveva esasperato il loro abborrimento ed accresciuti i loro terrori (1).
Galeotto, che combattendo Firenze colla penna intendeva venir
in soccorso de’ congiunti suoi che l’assalivano colla spada, aveva
giovinetto abbracciata la carriera ecclesiastica. Adorno di belle doti
morali ed intellettuali, egli era salito prontamente in corte di Roma
alle più cospicue dignità: Urbano VI l’aveva creato cardinale diacono di S.Agata (2). Ma la sua fortuna durò poco. Scoppiato lo
scisma, il feroce pontefice lo prese in sospetto; credette, a ragione
ovvero a torto non sapremmo decidere, che avesse preso parte al
complotto ordito in Genova per sottrarre a morte i cardinali che
egli voleva sacrificare alla propria vendetta; ed il Tarlati in pericolo di finir male dovè cercare scampo nella fuga. Recossi egli
allora a Pavia, quindi ad Avignone, dove, rinnegando il passato,
riconobbe come vero pontefice l’antipapa Clemente (3). Ripagato
—-< -—-. —-- — —
mano di C. Salutati: e Verumtamen non est nova nobis huius extinguende fa-
@ milie iniquitas perfida et iniqua perfidies. Tales se semper omnes solent omni-
« bus exhibere. Sub mellifluo lepore verborum insidias struunt, cunctis nocent,
« fidem rumpunt, et dum aliquid rapiant, ne Deum curant, nec coram hominibus
a erubescent, ut non immerito duo nomina fuerint eisdem a mzioribus attributa.
« Vetustiori quidem vocabulo T’arlati vulgariter appellantur, quo nomine putrefacta carie ligna terebrisque corrosa iuxta nostram consuetudinem vocitamus.
Ut isto nomine detur intelligi, licet extrinsecus appareant incorrupti, quales
soleant in occultis operum penetralibus reperiri. Moderniori vero nomine de
PetramaJa dicuntur. Vere quidem, de petra, hoc est duritie et obstinatione
malorum. Genus enim istud detestabile semper dolis et offensionibus intentum,
nulli servit, nisi forsitan ut decipiat, vel aliis afferat nocumentum; nulli servit,
nisi forte perversis; nulli servit, nisi maiorem potentiam vercatur. Hii sunt
turbatores pacis, insidiatores viarum, mercatorum spoliatores, peregrinorum
he micide et infomes latronum principe et fautores. Non ergo miretur vestra
sublimitas, si tales fructus ex ipsorum amicicia reportatis ». R. Arch. di Stato
di Firenze, Signori, Carteggio, Missive n. 20, c. 39 B. è
(1) Intorno all'acquisto d’Arezzo fatto dai fiorentini ed ai vani tentativi de’
Tarlati per impedirlo, cfr. P. DuRRIEU, La prise d'Arezzo par Enguerrand VII,
sire de Coucy, en 1384, in Bibliothèque de PECc. des Chartes, XLI, 1880, p. 167.
(2) Cfr. CarDELLA, Memorie storiche de’ cardinali della Santa Romana chiesa,
to. II, Roma, Pagliarini, 1793, p. 285-86.
(3) Cfr. CARDELLA, op. e loc. cit. E vedi N. VaLoIs, La France et le grand
Schisme d’Occident, Paris, 1896, to. II, p. 118, 158. Dalla corte di G. G. ViA n
188 VARIETÀ
da costui colla dignità cardinalizia di s. Giorgio in Veélabro, Galeotto
non lasciò più la Francia, donde continuò, fin che gli durò la vita,
a tramare insidie contro i due suoi nemici maggiori: Firenze ed
Urbano (1).
Le due lettere del Tarlati al Visconti si sono conservate in
più codici del tempo (2). Esse dimostrano, come altune altre uscite
dalla penna di lui, che ci sono pur essé pervenute (3), come i contemporanei avessero ragione di lodar l’irigegno e la dottrina del
porporato aretino (4). Per noi poi offrono un intèerésse anche più
sconti, ove s'era rifugiato, Galeotto nell’agosto 1386 indirizzò in unione al cardinale di Ravenna, suo compagno di sventura, una violentissima requisitoria
contro Bartolomeo Prignano (H. V. SAUERLAND, Aktenstilcke, p. 827) ai bolognesi.
(1) Egli sopravisse però al Prignano parecchi anni, e fra i principali promotori della creazione di papa Beriedetto XIII, in favore del quale scrisse nel
1394 una lettera ai romani. Vedi CARDELLA, op. cit., loc. cit.; VatoIs, vp. cit,
to. III, p. 89. Sulla data della sua morte, che si vuol seguita nel 1396, e sul
luogo dove avverne non possediamo notizie sicure.
(2) Esse si leggono nel codice della Nazionale di Parigi Nouv.-Acq. Lat. 1152,
C. 9 B-IO A, nel cod. Vaticano Lat. 5221, c. 82A, nell’ Ambrosiana c. 141 inf.,
c. 3 B, ecc. Della lettera destinata a porger rallegramenti al Visconti per la morte
dal conte d’ Armagnac ha fatto fuggevol menzione in una nota il VALOIS, op.
cit., to. II, p. 187.
(3) Una sua lettera al re di Francia è stata edita da MARTENE - DURAND,
Veter. scriptor. et monum., ampliss. collectio, to. VII, p. 543 € Sgg.-; la lettera ai
romani in commendazione di Benedetto XIII si legge nella stessa Amplissima
collectio, to. I, c. 1544.
(4) Ser Gorello d'Arezzo nella sua cronaca in versi de’ fatti d’ Arezzo dal
1310 al 1384, narrando dell'andata di Carlo di Durazzo in corte di Roma, scrive
che colà nessuno mostrò di favorirlo, a cominciar dal Pontefice (MuraTORI, R.
1. S.. to. XV, c. 851):
Solo l’accolse con gratioso manto
D’aiuto, de favore e buon consiglio
«E ciascun altro el dileggiava tanto),
Di Pietramala quel Cappel Vermiglio
Famoso de virtù oltra l’etate.
Ch' egli si dilettasse di studi classici prova poi il fatto che possedeva un
codice racchiudente più trattati ed orazioni di Cicerone; come si rileva dalla
epistola LXV di Giovanni da Montreuîl, il quale bramava ardentemente di farsene
possessore: « Volumen vero praedictum (scriveva il celebre preposto ad un vescovo
« ignoto) in quo libri Morales TuHii pluresque orationes suae continentur, habuit do-
« minus Albanensis ab executione celebris memoriae domini Curdinalis de Pe-
« tramala, et fuit proprium domini cardinalis Ebredunensis, scriptum, quod aiunt,
« litera nec antiqua nec nova, et satis correctum respectu tamen incorrectionis
Go ogle
VARIETÀ 189
vivo, se sì rifletta quanto siano scarsi nel sec. XIV i documenti
politici di carattere privato e come poca cosa ci sia giunta della
grande attività diplomatica che si svolse dattorno a Gian Galeazzo
Visconti.
{ Francesco NOvaTi.
I
G. Cardinalis de Petrantala ad Comitera Virlutuni.
Princeps illustris et domine mi. Jam vestra benignitas sic me ulnis
sue caritatis amplexa est, iam sic in vestra salute mea et meorum salus
est conclusa, ut ego michi ipsi suaserim quicquid ex me audieritis non
suspicaturum aliunde quam ex sincere fidei fonte manasse. Nec vereor
seu adulator arguiì, qui, proprii periculi ‘sollicitus, duin vobis consulere
nitor (si tamen hoc verbum non temere dictum sit) propriam salutem
quero. Fama est, clarissime princeps, quod si iisdem viribus, quibus Bononiam et alia emulorum petistis, petiissetis Florentiam, huius belli arcem
et caput, iam de vestris hostibus esset actum, nec ipsorum exercitus vestros fines intrassent, nec ad Patavinorum auxilium se armasset Germanorum furor, sed, menibus suis inclusi, frustra aliorum, providissent
saluti, de proprio desperantes. Nunc cernentes exercitus vestros aut
circa Bononiam aut Montem Policianum aut intra senenses terminos
fatigari, diluvio externarum gentium amenissimam patriam nostram inundare sunt conati, adeo ut, nisi quod obmissum est reparetur veri satis
simile sit aliarum nationum gentes ipsorum opera in detrimenta vestra
concitari. Hec autem sic vulgata sunt, ut ea pariter et prudentes et insipientes, senes et juvenes utriusque sexus, denique ipsi hostes clamitent. Ergo, magnanime domine mi, tollite moras, et quicquid non rite
factum est, reformate: alios hostes vestros crebris insultibus lacessite:
arcem vero hostiunì, Florentiam ipsam, valido exercitu circumdate. Illic
hostem vestrum putatote ubi Florentia est. Sentiat vester hostis non
Paduam non alia a magnifico vos revocasse proposito, sed in dies animum crescere ad vendictam. Illa, illa urbs petenda est, unde pecuniarum
auxilia prodeunt, unde erumpunt fraudes, unde armorum gentibus sub-
« aliorum ». Fon. pe MonsteROLIO, Epistolae selectae, in MARTENE-DURAND, op.
cît., to. III, ep. LXV, c. 1434. Come ci apprende un’altra lettera di Giovanni,
tuttora inedita, che si legge a c. 42A del cod. Lat. 13602 della Nazionale di
Parigi, la quale com.: Si forte, venerands pater mi...., il prezioso codice gli fu
tolto da altri.
Giovanni aveva poi mantenuto col Tarlati ottime relazioni mentre era vivo
ed a lui s'era rivolto per confutare l’opinione del Petrarca che fuori d'Italia non
si potessero rinvenir nè oratori nè poeti. Cfr. A. THomas, De Joannis de Monsterolio vita et operibus, Parisiis, 1883, p. 36, 105 e sgg.
GO ogle
190 VARIETA
venitur: nichil erit impossibile eis, dum eorum ager sine hoste erit, dum
nudus agricola solvet ad occasum boves quos ad solis ortum ligaverat;
dum lanarum colos trahent ruricole mulieres; dum lucrum diei avarus
sed quietus mercator numerabit ad vesperum. E contra possibile nichil
si de muris victricia signa vestra cognoverint; si vestrorum equorum
hinnitus et tubarum clangores de propriis laribus exaudiant; si eorum
agrestibus viderint manus post terga ligari; si pecorum armenta vestris
militibus dentur in predam, si incendii fumus eorum nares offenderit.
Tunc infide mercantie erunt, nec promissum reddent; tunc nequaquam
auxilia petentur ab his qui inopes erunt auxilii atque consilii: tunc tellus
inculta cum fenore non reddet semen; tunc pestilens civis non fenerabitur fratri suo, qui creber suos est in avarissima civitate. Non Bononia,
non Padua inde auxilia sperabunt, ubi miseri cogentur et alterius miseriam spectantes, quid de se agant consulent. j
Hec omnia, mi domine, etsi omnes, ut dixi, per vicos claruent et
plateas, tamen his proximis diebus a duebus servitoribus vestris de
Florentia michi notificata fuere, que duxi vestre celsitudini intimanda
hiis litteris, cui me humiliter recommendo.
Dat. Avinione, die XIII mensis novembris.
CARDINALIS DE PETRAMALA.
II
Eiusdem Cardinalis ad prefatum Comitem.
Nichil unquam audivi letius, magnanime princeps, nihil intellexi iocundius, quam quod nuper vestre littere attulerunt, pestiferam illam
barbaroruni congeriem, que ductu comitis Ariminiaci in vestri exitium
ad florentinorum stipendia militabat, Italorum vestrorum manu, parva
sed forti, fore deletum. In quo quidem tum pro multis vobis nobisque
qui pendemus ex vobis, tum pro hoc uno agende sunt gratie Omnipotenti, quod iusticiam vestram sic manifestis signis omnibus palam fecit,
ut hostes vestri nisi mentis oculos amisissent, iam veniam de preterito
postulantes, colla vestro levi ac benigno iugo summittere debuissent.
Sed adeo exoculata eorum mens est, ut fortune ludibriis (1) imputare
non dubitent quicquid pro eorum disciplina Deus in vestri victoria ordinavit. Sic ad unum secuntur in omnibus que mundi sunt, non que Dei,
Vos vero, mi domine, oro in oppositam partem vos vertite, et quicquid
visibiliter per vos actum est invisibili Omnipotentie ascribite. Terruit
Deus vestrorum cordia hostium, debilitavit manus, terga vertit; vestris
quoque militibus mentes dedit magnificas, manus incitavit, in sceleratorum perniciem addidit pedibus velocibus alas et ad ultimum illis ministris egit que acta (2) sunt omnia. Gracie igitur omni honore omnique
(1) Cod. delubriîs.
(2) Cod. actu.
(O ogle °
VARIETA IQ1
cultu agende sunt sibi et dum victoriam efficacissimis signis pollicetur,
amplectenda est. Jam a tergo tuta sunt omnia, iam Patavini hostes debilitati sunt; ubi parte gentium vicinarum terrarum dimisso presidio, in
Tusciam cum rAeliquis est vertenda manus. Illic bellum extinguatur ubi
.ortum habuit; illic victoria habeatur, ubi sunt hostes; illic pena infligatur, ubi scelera sunt patrata. Plura dicerem, nisi quia alias me recolo
scripsisse; et quia sic in omnibus mature agitis, ut meo aut cuiusquam
non egeatis impulsu. Valete feliciter, de hostibus vestris victor. Avenion,,
XVII augusti.
] paramenti e gli arazzi donati dall’arcivescovo
Stefano Nardini alla Metropolitana di Milano.
pese ieR1Ico di curia fino dal 1447, Stefano Nardini, di Forlì,
Sil per l’abilità spiegata nella trattazione dei negozi della
i CAS [a chiesa ottenne successivamente, sotto ì pontificati di NiMie: colò V e di Callisto III, gli uffici di protonotario e di
referendario. Nel 1461 Pio II lo creò arcivescovo di Milano, Ma la
sua elevazione alla cattedra di s. Ambrogio non ebbe il significato
della missione che il capo di una diocesi è chiamato a compiere
personalmente per gli interessi spirituali del proprio gregge, bensì
di un premio ai segnalati servigi resi nella curia di Roma; ove il
Nardini, promosso cardinale nel 1471 da Sisto IV, continuò a prestare la propria indefessa attività anche di poi e sino all’epoca
della sua morte avvenuta nel 1484 (1).
I lauti proventi del cumulo delle prebende e degli uffici gli
consentirono di costruirsi in Roma presso Monte Giordano un suntuoso ed artistico palazzo, indi chiamato del Governo vecchio, e di
fondare, nelle case attigue, un collegio per gli studenti poveri, che
da lui prese il nome di « Sapienza Nardini ».
Dei suoi rapporti con Milano altro non si sapeva di notevole
(1) Le notizie della sua vita, desunte, oltre che da quanto ne scrissero il
CARDELLA (Mem. stor. dei Cardinali, III, p. 183), il Sassi (.4rchiep. Mediol. Series, III, p. 904), MarcHEsi G. B. (Vita virorum illustrium Foroliviensium, Forli,
1786, p. 70) e Lanciani (Arch. Stor. Rom. d. st. patr., VI, p. 464), dai registri
vaticani, sono state riassunte da G. ZiPPeL nelle note alle vite di Paolo Il di
Gaspare da Verona e Michele Canensi (RR. II. SS., nuova ediz., to. III, parte
XVE, pp. SI, 144, 185 e 314). La notizia della sua morte al 22 agosto 1484
ci è data dal diario romano di Gaspare Pontani (RR. II. SS., nuova ediz., to. III,
parte Ila, p. 44.
Go ogle
192 VARIETÀ
all’infuori dei frequenti carteggi avuti con Francesco e Galeazzo
Maria Sforza fra il 1463 e il 1471 sopra diversi oggetti che interessavano la curia romana e il ducato (1). Non si avevano notizie
intorno ad una sua dimora, sia pur breve, a Milano; ove egli si
era fatto rappresentare da vicari « in spiritualibus » e « in tem-.
« poralibus ».
Tre atti del notaio della curia arcivescovile, Giampiero Ciocca,
accertano la presenza di Stefano Nardini a Milano nel 16 ottobre
1468 e nel 29 e 31 ottobre 1469. Nel secondo dei tre atti il Nardini
accenna alla imminente sua partenza per Roma. Sappiamo dallo
Zippel (2), di una legazione del Nardini in Francia nel 1467, la
quale durava ancora nell'estate dell’anno seguente, È probabile
che la presenza dell'arcivescovo di Milano il 16 ottobre 1468 coincida con l’epoca del suo ritorno in Italia dopo compiuta la legazione.
Il difetto di sue notizie nei registri pontifici durante il 1469 fa credere ch’ei si sia trattenuto in Lombardia fino a tutto il mese di
ottobre di quell’anno, in cui si restituì stabilmente a Roma.
Il 16 ottobre 1468 l’arcivescovo, dopo la messa e i] solenne
pontificale celebrati in Duomo, fece donazione al capitolo, intervenuto nelle persone del preposto Zanotto Visconti e degli ordinari
Cristoforo Grasso, Aniceto Crivelli, Piero da Novate, Giulio Casati,
Antonio Calvi, Ardigino Bossi, Piero da ...., Beltramolo da Novate, Luigi Corio, Leonardo Piatti e Martino da Cazzago, di un
pallio d’altare, un piviale, tre pianete, tre frontali, una « crociera »
per pianeta, ventuno tra « frixii » e « cavecii de frixi » d’oro, un
cappuccio per piviale, una mitria con la sua custodia di cuoio, due
crocette « per portare in ante » e « per mettere al collo », una
croce d’argento ed un messale miniato. L'elenco, già predisposto
in volgare ed inserito nell’istrumento notarile dei paramenti e arredi sacri offerti al capitolo della Metropolitara, descrive sommariamente gli oggetti più importanti.
L’atto del 29 ottobre 1469 reca la disposizione « mortis causa »
fatta dal Nardini a favore della stessa Cattedrale di Milano, di tutte
le cose mobili, argenterie e oggetti preziosi di sua proprietà, che
all’epoca del suo decesso si sarebbero rinvenuti nelle case dell’arcivescovato. A questa disposizione, di carattere generale, fece seguito, due giorni dopo, una nuova donazione alla Cattedrale, di una
serie di diciotto arazzi (« arasie »), che l’atto descrive accuratamente indicandone le raffigurazioni e le dimensioni. Il donante
(1) Pasror L., Geschichte der Piipste, II, 1904, pp. 210, 264, 276, ecc.
(2).1. <., p. 144.
(O ogle
VARIETÀ 193
dispose che fossero subito consegnati a Giovanni Braschi « paterio »
al Verziere, affinchè li munisse di una fodera di « tela de amitto »;
proibì, pena la scomunica, che si dessero a prestito ad altre chiese
oltre le basiliche di s. Ambrogio, di s. Nazzaro e di s. Stefano,
nelle ricorrenze delle rispettive solennità (1).
Il Sassi parla del dono fatto dal Nardini al Cimiliarca della
Metropolitana, di una « opulentam divitemque archiepiscopalium
« indumentorum suppellectilem », e in particolare di una mitria
ricchissima, adorna di perle e di gemme che san Carlo Borromeo
era solito portare nelle solenni funzioni, e di un libro liturgico di
gran prezzo, messo ad oro e a colori (2). Sembra per altro che il
Sassi non abbia conosciuto il testo dei tre atti di donazione. Egli
si sarebbe fatto eco della tradizione che attribuiva al Nardini il
dono della mitria. Quanto al messale miniato è probabile che il
nome dell’offerente vi figurasse disegnato nel primo foglio, insieme
allo stemma e fors’anco alla sua effigie.
Degli altri oggetti descritti nel primo istrumento crediamo che
possa identificarsi il « pallio per lo altar maggiore de razza cum
« la passione de Christo, lavorato de oro et argento et seda », come
corrispondente al noto pallio di fattura e disegno fiamminghi, che,
sebbene barbaramente mutilato nella parte inferiore per adattarlo
alle mutate dimensioni dell’altare, costituisce ancora uno dei più
rari ornamenti della sagrestia del Duomo di Milano. Rappresenta
tutta la Passione, dalla salita al Calvario, alla Risurrezione. Le
vesti dei personaggi sono ricchissime e adorne di gemme. Nel prelato effigiato in ginocchio dovremmo ‘riconoscere |’ arcivescovo
Nardini (3). La coincidenza del ritorno dalla legazione di Francia
(1) E’ notevole-che l'atto, qualificato donazione, con cui il Nardini nel-4-10 giuguo 1480 (R. Arch. di Stato-di-Roma ; protocolli nel notaio Gamillo Beneimbene,
1467-1484, c. 184-186) destinò le rendite del suo ‘grande palazzo a vantaggio
dell'ente «« sapientia » ch'egli si ‘proporfeva di istituire nelle case annesse, appare
stipulato « in dicto pealatio, in secunda aula seu .camiera paramentorum dicti
« R.mi Cardinalis ». Ciò dimostra che oltre agli arazzi e.paramenti donati alla
cattedrale di Milano, il Nardini -altri ne aveva comperato per ornamento della
propria residenza.
(2) Op. cit.. p.:907.
(3) L’arazzo è -ato descritto -da - De Mauri (E. Sanasino) (L’iArte della tappeizeria e degli arazzi, Manuale ‘Hoepli, e L’amatore di arazzi e tappeti cantichi,
Toriîfio, Lattes, 1908, "pp.:47’e-48). Il De Mauri riferisce .che tanto iquesto, di
stile fiammingo, come un altro raffigurante-la deposizione -dalla croce, ma .di
stile masteghiesco, - pure -appartenente»dila-sagresria «del Duomo, . si -attribuiscono
all'arcivescovo Nardini o al suo successore Giovanni Arcimboldo.
194 VARIETÀ
con l’offerta del pallio recante il ritratto del donatore, induce a
ritenere che il Nardini avesse portato con sè il pallio medesimo,
eseguito dietro sua commissione in qualcuna delle più rinomate
officine di tappezzerie di Arras, di Bruges o di Gand (1).
L’identificazione di questo arazzo oltre alla mitria e al messale, fra la serie dei paramenti ed arredi descritti nell’atto del 1468,
ci fa deplorare la scomparsa degli altri oggetti, in particolcre del
piviale di « tafeta » celeste a stelle d’oro, avente il fregio dorato
con figure di santi e il « capirone » a tessuto d’oro con la rappresentazione dello sposalizio della Vergine. Nè è meno a deplorare
la scomparsa dei diciotto arazzi dell’ultima donazione. Basta considerare i soggetti di taluna delle scene in essi contenute, quali la
nave di s. Pietro, l’adultera coi suoi accusatori, la storia di Susanna,
il martirio di s. Stefano, le storie di s. Eustachio in mare e nel bosco, e la trasfigurazione di Gesù Cristo, per intravvedere l’importanza artistica che doveva presentare questo complesso di raffigurazioni. Non abbiamo alcun dato per argomentare se questi arazzi
fossero, al pari del pallio della Passione, stati eseguiti nelle Fiandre
sopra disegni di artisti di quella regione, o se invece fossero stati
lavorati a Milano sopra cartoni di qualche pittore italiano, dai maestrì tappezzieri fiamminghi dei quali si hanno notizie per il periodo
dal 1450 al 1486 (2).
' G. Biscaro.
(1) Non è senza interesse, a proposito dell’importazione che in quell’ epoca
si faceva dalle Fiandre a Milano, di arazzi e di tappezzerie, un atto notarile del
18 gennaio 1459 (ASM, protocolli di Antonio da Sartirana), con cui a richiesta
di Gio Ambrogio da Venzago, Guglielmo fu Giovanni e Melchiorre fu Pasquale
« de Garneris », di Tournai di Piccardia, dichiararono ch’ erano venuti dalla
loro città natale a Milano, dietro invito del Venzago « causa portandi et osten-
« dendi certum designum regis Alesandri et certas alias tapezarias Il], mo domino,
« domino.... duci Mediolani et Ill me domine, domine ducisse consorti eius ».
Tra le serie di arazzi uscite dalle officine di Tournai gli storici delle arazzerie
fiamminghe ricordano anche quella con le storie d’Alessandro (De Mauri, L’amatore, ecc., p. 107). i
(2) MunTz (Histoire de la tapisserie, Paris, 1890), MaALAGUZZI-VALERI ( Ricamatori e arazzieri in Milano nel Quattrocento, in quest’ Archivio, XIX, 1903,
p. 34) e De Mauri (L’ amatore, ecc., p. $I) danno molte notizie, desunte dal
carteggio della cancelleria sforzesca, intorno a tappezzieri francesi e fiamminghi
che lavorarono a Milano nella seconda metà del sec. XV. Essi fanno i nomi di
Giovanni da Borgogna (1450-1463), Levino Herselle di Fiandra, Giovanni Felici,
Pietro .Aloni, Guglielmo Barvere e Nicolò, tutti di Piccardia, al servigio della
corte ducale (1463). Intorno ad alcuni dei maestri ricordati dai suddetti’ strittori
Go ogle si
VARIÉETÀ 1935
DOCUMENTI
(Archivio notarile di Milano; protocolli del notaio Giampiero Ciocca).
I
Milano, 1468, ottobre 16.
MCCCCLXVIII. Indictione secunda, die dominica, XVI, mensis octubris. R. d. S. archiepisaopus M. post missam et pontificales per eum
celebratos in Ecclesia sua M. donavit ipse Ecclesie infrascripta sua bona
que consignavit Venerabili Capitulo ipsius Ecclesie, in quo fuerunt d.
Zanotus de Vicecomitibus prepositus, Christoforus de Grassis, Ancietus
de Crivellis, Petrus de Novate, Iulius de Caxate, Antonius de Calvis,
ed ad altri tappezzieri stranieri residenti a Milano, abbiamo trovato negli atti notarili del tempo le seguenti notizie:
I. Protocolli del notaio Protaso Sansone. a/. 1454. VI. 30. « Magistri loane nes Leureux (il Giovanni Felici dei documenti sforzeschi) fq. Toussayn, idest
« omnium sanctorum et Johannes de Croxetis fq. Filippi » si collocano per un
anno in casa dei « Magistri Petrus de Zardinis fq. Iohannis et Ichannes de Bre-
« gundia fq. Vincentii, socer et gener », tutti della parrocchia di S. Babila « ad
« laborandum de arte et artificio ministerii faciendi tapeziarias » contro compenso
di 26 scudi nuovi di Francia per Giovanni Leureux e di 14 scudi per Giovanin
« de Croxetis » oltre il vitto e l'alloggio.
bj. 1457. N. 30. Simili patti fra « Magister Jacobus Dours filius Petri » e
i fratelli Pietro « de Zardinis » e Giovanni « de Bregundia » til Giovanni da
Borgogna dei documenti sforzeschi).
2. Prot. dello stesso not, 1460. V. 5. Pietro « fq. Petrioli de Medelbeurch »,
della parrocchia di S. Babila, si confessa debitore di 2 fiorini verso « Gerardo
« fq. Petri de Hare », della stessa parrocchia. — teste « Iohannes de Bregonia fq.
« Vincentii ».
3. Prot. dello stesso not. 1464. IV. 23. « Alardinus Alman fq. Michelis »
si colloca per un anno in casa di « Nicolaus de Campis fq. Zanes et Jacobus de
« Dursis fq. Petri », della parrocchia di S. Babila, « magistri celonorum seu pa-
« norum de raxiis » per lavorare « in dicta arte que faciunt de celonis seu pa-
« nis raxiis », contro compenso di scudi 18 di Francia, oltre il vitto e l'alloggio.
4. Prot. dello stesso not. 1464. V. 29. « lohannes Leureux [de felicis — în-
« ierl.]} fg. Tousani de Pichardia » costituisce suo procuratore il fratello Ugo
per l’esazione di un credito verso il proprio suocero Giovanni « Locquemale »-
e di un altro credito di 6 scudi da Martino Corville « domino de Greviler »
per eguale importo da lui prestato a Giacomo figlio di Martino, scolaro a Pavia.
— teste « Iobannes de Haveron f. Ovardi et Iohannes de Tremol:a filius fohan-
< nis, ambo hab, in civitate Tornacensi ». |
196 VARIETA sa
Ardiginus de Bossis, Petrus de ...., Beltramolus de Novate, Aloysius
de (‘oyris, Leonardus de Platis et Martinus de Cazago omnes Ordinarii,
facientes maiorem partem dicti Capituli, qui ea consignant prefato d.
Antonio cimiliarcha conservando cum aliis bonis sacristie.
[1] Uno pallio per lo altar magiore de razza con la passion de Christo
lavorato de oro et argento et seda foderato de tela azurra cum uno
lenzolo subtile dela grandeza del deto pallio per sua conservatione.
[2] Uno piviale de tafeta celestro, tutto pieno de stelle de oro cun
li frixi da parte de oro cum figure sei: et de drieto el capirono cum
uno bello angelo, foderate de tela nigra.
{3] Una pianeta de veluto cilestro afigurata cun la croce doro et
crucifisso, dove sono figure septe: et in piedi larma del R.mo nostro
Sig. arcivescovo, de drieto: et davante una croce de veluto verde, et
e foderato de tela verde.
[4] Una pianeta de veludo verde afigurata cun la croce drieto doro:
dove e la historia dela passione de Christo cum figure sedeci: et a piede
larme del prefato R.mo monsignor, et de nanti una croce de veluto rosso
afigurato in biancho, cum fodra de tela verde.
{5] Una pianeta de veludu rossa afigurata in biancho con la croce
de drieto doro dove e la resurrectione de Christo cum figure sei: et in
piedi larme dei prefato mons. et demnante una croce de veluto verde
afigurato, cun todra de tela verde,
{6] Uno frontale daltare de seda, lavorato de stele doro et in mezzo
uno razzo de10, cum una franza verde biancha €t rossa.
{7] Uno altro trontale de altare rosso: cum septe raggi doro, cum
una franza verde biancha et paonaza.
[8] Uno aitro frontale de altare rosso pieno de mezze stelle doro
cum una franza rossa: biancha: verde: et torchina.
[o} Una crocit ra doro per pianeta cum tre figure poste in carmesino
et doe stelle suxo le crociere.
fto] Uno frixo doro per pianeta de nanti cum due figure simile alla
soprascripta crociera.
{11} Frixi octo doro cum tre figure per ciaschedun frixo.
[12) Et altri octo cavecci de frixo doro: per uno paro de dalmatiche
con soi fornimenti de maniche et colare.
{13} Uno paro de frixi doro longhi con tre figure per ciaschadun
frixo per un piviale.
[14] Uno capirono d’oro per dicto piviale cum figure cinque doro
e la desponsation de nostra dona.
{15] Uno frixo doro largo cum figure tre: per pianeta.
(26) Una mitra reformata de novo cum multe perle azontegle et
li quatro -doctori de la ghiexia belitissima: et uno belitissimo zafiro.
{17) Una casetta coperta de cuoro nova per dieta mitria cum larme
del prefato R.mo Monsignor e cum argento intorno.
{r8] .La crocetta per portar in anti refatta de novo. cum angumento
de oro et argento, et buttoni undece molto belli.
Go ogle :
VARIETÀ 197
[19] Una crocetta tutta de oro cum quatro perle et una catenella
de oro, beletissima per mettere al collo quando si celebra in pontificale.
[20] Una croce de argento cum lo crocifixo cum li quatro evangelisti che è in dui pezi, videlicet cum uno pede largo dove sono larme
del prefato R.mo Monsignor.
{21] Un missale pontificale tutto ameniato ad oro coperto de veluto
carmesino afigurato.
Actum in sacrastia septentrionali Ecclesie maioris.
Il
Milano, 1469, ottobre 29.
MCCCCLXVIII. indictione III a die dominico X XVIII, mensis octubris.
R. d. d. S. archiepiscopus M. habeus ut dixit se transferre ad Curiam
Romanain et si casus mortis sue acciderit, quod deus avertat, volens
ut dixit de bonis suis disponere reliquit et donavit causa mortis Ecclesie
sue M. omnia mobilia bona et argenterias et iocalia que dimittet et
reperientur in domibus suis archiepiscopalibus M. — Actum in aula archiepiscopali.
III.
Milano, 1469, ottobre 31.
Donatio pannorum arasie per R.dun d. S. archiepiscopum facta sue
Mediolanensi Ecclesie.
MCCCCLXVIII, indictione III, die martis XXXI, mensis octubris.
R.dus in Christo patre dominus, dominus Stephanus miseratione divina
favente Mediolanensis Ecclesie Archiepiscopus ex mera devotione et
liberalitate sua donavit et donat prefate ‘sue Mediolanensi Ecclesie
infrascriptos decem octo eius R.mi d. Stefani Archiepiscopi pannos
arasie ad ornatum ipsius ecclesie sue, mandans quod primo et ante
quam illis utatur, consignentur Johanni de Braschis paterio super Viridario Mediolani per eum Iohannem aptando cum tellis de amittis pro
eorum conservatione et mandans universis et singulis eorum pannorum
gubernatoribus et conservatoribus presentibus et futuris sub pena excommunicationis ipsos pannos non accomandandum nisi Ecclesiis sancti Ambrosii mayoris, sancti Nazarii et sancti Stefani in br..liv pro honorando
solempnitatibus que fiunt in ipsis Ecclesiis, qui panni sunt hec.
[1] In primis drapus unus arasie pulcherrimus contestus sita cun
navicula Petri in medio et multis figuris intus et cum arbore habente
crucifigum super et cum armis tribus prefati R,mi d. Archiepiscopi super
ipsa navi, brachiorum VI. in longitudine et brachiorum V. in latitudine.
[2] Itenr drapus .I. arasie contestus sita auri crucifixo in medio et
tribus Mariis ad pedes et tribus aliis figuris maschulinis ad pedes ab
alia parte cum arma prefati R.mi d. Archiepiscopi snb pedibus dicti
crucifixi. brach. III.or et trium cum dimidio.
Arcà Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. I-II. 18
198 VARIETÀ
[3] Item banchalia quatuor contesta site cum tribus armis pro singulo prefati R.mi d. Archiepiscopi seu pro singulo eorum tenentibus a
duobus angelis cum testa mortui in pede cuiuslibet arme et literis sub
capite mortui -dicentibus: memorare novissima. longitudinis brach. VIII.
et latitudinis brach. I. cum dimidio pro quolibet.
[4] Item drapus unus contestus sita cum Jesu Chisto in medio ad
adulteram et accusatoribus ad latera prout in Evangelio et cum arma
prefati R.mi d. Archiepiscopi sub pedibus Jesu Chisti, brach. IIIILor cum
dimidia ab omni labere.
[5] Item drapus .I. cum historia Susane contestus sita cum arma
prefati R.mi d. Archiepiscopi in pede in medio. longitudinis brach. XII
et latitudinis brach. III. pulcherrimus et cum armis prefati R.mi d. Archiepiscopi in capitibus supra.
[6] Item drapus I. arasie contestus site habens in medium Virginem
Mariam cum crucifixo in gremio et sex sanctis ab latere et duobus angelis ad spatulas, longitudinis brach. III. et latitudinis brach. duorum.
[7] Item drapus .I. arasie contestus site auro et argento cum Jesu
Chisto in medio portante crucenì et duobus flagelatoribus ad latere. ‘ongitudinis brach. trium et latitudinis brachii .I. cum dimidio.
[8] Item drapus .I. arasii contestus site auro et argento cum Virgine Maria in medio et filio in brachio et duabus sanctis Virginibus ad
latere, largitudinis brach. IIII.or et latitudinis brach. .I. cum dimidio.
[o] Item drapus .I. arasie cum deo patre in medio habente coronam regiam et septrum Imperiale in manu et ad pedes eius cum agno
tenente librum in gremio dei Patris et cum pluribus figuris ad latere
et cum quatuor Evangelistis. cum armis duobus ad latere super prefati
R.mi d. Archiepiscopi. longitudinis brach. III.,m et latitudinis brach. duorum et quarte uniers.
[10] Item drapus .I. arasie contestus sita cmm historia Sancti Stefani lapidati et cum armis duobus prefati R.mi d. Archiepiscopi ad latere
super, longitudinis brach. trium et latitudinis brach. I. cum dimidio.
[11] Item banchale .I. contestum sita cum anunciata et duobus armis prefati R.mi d. Archiepiscopi, longitudinis brach. quatvor et quarte
unius et latitudinis quartum trium.
[12] Item banchale .I. eiusdem longitudinis et latitudinis cum sancto
Austachio in navi et armis duabus prefati R.mi d. Archiepiscopi.
(13) Item banchale .I. cum sancto Austachio in nemore in medio
et armis duobus prefati R.mi d. Archiepiscopi, longitudinjs brach. trium
cum dimidio et latitudinis quartarum trium.
[14] Item drapus .I. arasio contestus sita cum Jesu Christo volante
in Orto et tribus apostolis dormientibus et Juda et fariseis. cum armis
duobus R.mi d. Archiepiscopi, longitud:nis brach. tiium et latitudinis
brach. I. et trium quartanu.
[15] Item frontale I. drapi arasie contestus sita cum tribus armi prefati R.mi d. Archiepiscopi longitudinis brach. VIII etlatitudinis tertie unius.
Actum in aula sua archiepiscopatus M.
VARIETÀ 199
Don Paolo della Silva consultore di Governo e
storico del diritto.
an uno studio di Pasquale del Giudice intitolato Gabriele
Verri e la Storta del Diritto in Lombardia, (1) vediamo
i delinearsi la figura dell’ insigne milanese dal punto di
vista dello scienziato e dello storico. Uomo eminente
per cariche gerite nello Stato milanese, detto allora Lombardia
austriaca, egli appartiene a quella corrente di dotti uomini e di
patrizi che, per quanto conservatori, sentivano tuttavia la necessità
di innovare con nuovo sangue giovanile la vita del diritto. La
massa del diritto minacciava di divenire inerte e di isterilire se
non si rinnovava. La metà del sec. XVIII presenta già nella vita
del diritto milanese due tendenze novatrici. Da un lato la tendenza
alla codificazione del diritto positivo, dall’altro lo studio del diritto con
metodo scientifico. La storia del diritto, intesa nel suo vero significato,
rappresenta infatti l'essenza del pensiero giuridico in veste scientifica. La tendenza alla codificazione è un fatto provato ormai;
e sebbene fosse in parte secondato dal Governo, pure non doveva
sortire effetti definitivi che verso la fine del sec. XVIII (2): lo
studio scientifico della storia del diritto doveva ricevere il maggiore
e più vivo impulso proprio dal conte Gabriele Verri. Egli non solo
elenca le fonti dello « jus municipale »; ma eleva la sua trattazione
compiendo un’opera di critica storica. Era la grande corrente novatrice che in Milano trascinava le menti elette verso il rinnovamento del metodo storico. Lo stesso Giulini non trascura di accennare a qualche punto di storia giuridica come lo prova una sua
lettura sul fallimento tenuta all’accademia dei Trasformati (3). Erano
in somma maturi i tempi, se lo stesso Verri elogia l’istituzione
nell’Ateneo pavese di una cattedra di storia del diritto affidata in
quei tempi all’eruditissimo Pasquale Garofolo (4).
(1) Rendiconti del R. Istituto Lombardo, serie Il, vol. 42, 1909, p. 904 e sgu.
(2) Cfr. Visconti, Note sul diritto d’ interinazione nel Senato Milanese, in
quest'Archivio, 1909, appendice doc. VIII. Lo sTEsso, La codificazione del Processo civile a Milano durante la prima dominazione austriaca, in Rivista di Dirilto Civile, 1914, p. I € Sgg.
(3) Giulini Giorio, Ragionamento sulle leggi che riguardano i falliti, in
quest'Archivio, 1876, p. 6 e sgg.
(4) DEL GIUDICE, op. cit., p. 910.
Go ogle
200 VARIETA
Non deve recar dunque maraviglia, se fra i più colti magistrati
dello Stato milanese si trovi qualcuno che ‘tenta qua e là di far
oggetto di indagine storica il patrio diritto. Il giureconsulto e consultore di Governo don Paolo della Silva, in modo più modesto
assai che non il suo collega G. Verri, tentò raccogliere in un volumetto la storia del diritto pubblico milanese. Egli sentì che voler
prender d’assalto e di fronte l'enorme materiale offerto dal solo
diritto milanese, sarebbe stata opera troppo grandiosa a cui non
dovevano bastare le sue forze e il cumulo degli affari di Stato. Limitò
perciò il suo compito al diritto pubblico. Ma l’opera, terminata
mentre era podestà a Cremona e datata infatti in questa città il 31 luglio 1759, rimase inedita. Ne accenna il Cusani nel vol. IV della
sua -Storia di Milano (1) che lo definisce un erudito lavoro sgraziatamente rimasto inedito.
L’operetta del Silva fu probabilmente scritta dietro l’esempio
dato da Gabriele Verri e certo era nelle intenzioni dell’autore di
pubblicarla: ma saran sorte nuove circostanze a fargli rimettere
il pensiero di una pubblicazione immediata; fin che, passati gli
anni, non avrà avuto, il vecchio giureconsulto, volontà di pubblicare un lavoro ormai sorpassato. Due manoscritti sono conservati alla biblioteca Ambrosiana e uno di questi contiene alcune varianti, sebbene entrambi sian segnati dalla medesima data, e caratterizzati da una gran copia di correzioni di mano dell’autore medesimo ‘2): il che significa che questi non era contento ancora dell’opera sua e l’andava ritoccando qua e là memore del precetto
classico che un libro, una volta scritto, dovrebbe dall’autore esser
riposto per nove. anni prima d’esser pubblicato. Anche il titolo
del libro non è quale lo dà il Cusani: questi lo riporta incompleto:
mentre l’incontentabilità del Silva si esercitò anche contro il titolo.
Infatti il ms. originale reca questa intitolazione: « De | iure publico
« | Civitatis et Ducatus Mediolani | mutila quaedam et hiantia |
« usibus | Don Pauli De Silva | I. C. C. Mediolani et Reg. Duc.
« Senatoris ».
Il manoscritto corretto toglie « et hiantia », trasporta il
« Mediolani », collocato dopo « I. C. C. », e lo mette dopo il « Sena-
(1) Cusani, Storia di Milano, IV, p. 199 e nota 1.
(2) Ciò è provato dalla dichiarazione seguente posta sopra un foglio bianco
in principio del volume: « Le correzioni fatte nel presente ms. sono di pugno
« dell’autore medesimo Don Paolo Silva a me molto ben noto.
« firm.t0 BELLATI ».
VARIETÀ 201
«toris », indi aggiunge di proprio pugno « ac Cremonae Praetoris »
per indicare la carica di cui era insegnito intorno al 1759 (1).
Segue poi un elogio in versi evidentemente scritto dal cardinale Angelo Durini al nostro. Probabilmente il Silva avrà dedicato
il ms. al Durini e questi avrà risposto con l’elogio che il Silva
mise in testa alla copia da lui corretta: viene la prefazione al
lettore e in ultimo il testo dell'opera a cui l’autore premette il
famoso passo: « Turpe Patricio et nobili, ius, in quo versatur
«ignorare »: detto che Pomponio attribuisce a Quinto Mucio,
I. a $ 4 3 Dig. I, 2). Lo scopo del giurista era sufficientemente
caratterizzato da questo detto: egli voleva che il patriziato si occupasse del diritto, e specialmente pubblico, onde governare con
saggezza secondo le idee del tempo in cui ai soli patrizi doveva
incombere la responsabilità del governo.
Il testo è latino e anche nella forma noi vediamo riconfermata
la imitazione del Verri, che scrisse il suo Prodromus appunto in
latino. E anche questo è segno del forte spirito conservatore che
animava i vecchi patrizi e giureconsulti milanesi. Essi sdegnavano
la lingua volgare per rivestire le loro giuridiche dissertazioni: e
dire che proprio nel 1760 il Giulini mandava fuori la sua storia di
Milano in italiano; e l'aver usato il volgare non impedì certo al
grande storico di esser nominato storiografo di Milano (2).
Ma la mentalità di molti magistrati milanesi del secolo XVIII
è ben nota, senza che qui ci si indugi; e il loro spirito conservatore fu già osservato (3). Comunque il Della Silva scrisse il suo
volumetto prendendo le mosse dall’anno 1162 risalendo fino ai suoi
tempi e studiando l’avvicendarsi delle varie magistrature milanesi
e il loro trasformarsi nelle vicende subìte dallo Stato nel corso dei
secoli. L’opera del Silva merita d’essere considerata e studiata con
interesse perchè potrà portare molta luce non solo sulle condizioni
del diritto pubblico milanese, ma sopra tutto potrà servire per co-
(1) Si possono consultare i due mss. alla biblioteca Amtrosiana sotto le seguenti segnature: P. 175 (con varianti e correzioni autografe) e P. 260 (questo
ms. è inserito in una raccolta miscellanea di mss. del sec. XVIII, riguardanti la
storia milanese). | |
(2) Cfr. la prefazione alla Storia del GiuLini nell’edizione del 1854, vol. I,
Pp. XV, XVI.
(3) E’ nota l’influenza reazionaria esercitata da Gabriele Verri, dall’arciv. Pozzobanelli e da Corrado de Olivera, tanio che dopo la morte di costoro fra il 1782-84,
le riforme si poterono effettuare rapidamente. Visconti, La pubblica amministrazione nello Stato Milanese durante il predominio straniero, Roma, 1913, p. 45.
202 VARIETÀ
noscere lo stato della scienza del diritto nella metà del sec. XVIII.
La storia del pensiero giuridico milanese, nel periodo di rinnovamento, che ferve proprio in quell’età, è ancora da fare e certamente
potrà riuscire assai interessante e istruttiva e molto vi potrà contribuire la conoscenza dell’operetta del Silva. Se le forze mi basteranno, potrò (a cose calmate e se i fati saranno a noi propizi)
tentare una indagine in questo senso nella speranza di poter gettare un po’ di luce su tale materia. È conosciuto e studiato tutto
il rinnovamento scientifico ed economico a Milano; ma il pensiero
giuridico fu trascurato; eppure in mezzo a tante manifestazioni retrive dei giuristi milanesi (1) non mancano sprazzi di luce che indicano come pur nella compagine serrata del diritto entri l’aria
vivificatrice della scienza moderna. E’ incredibile come i politici,
gli economisti corrano; e come nella corsa si lascino indietro i
giuristi! Comunque, se noi vogliamo dare un rapido e sintetico
sguardo all’opera del senatore Della Silva non possiamo non constàtare come sia questa molto inferiore al Prodromus del Verri. Vi
manca l’acume e lo spirito critico che si ammira nel Verri: invano
sì ricercherebbe l’osservazione originale che dia vita alla storia,
vi è in cambio l’esposizione chiara e diligente di istituti di diritto
pubblico, sui quali converrà certamente ritornare in altra sede. Noi
diamo in appendice un passo, quasi un saggio, del volumetto del
Silva riguardante alcune osservazioni sue sulla guerra di successione di Spagna e sul diritto da parte dello Stato dominante di
levar soldati in Lombardia ; osservazioni che, dati i tempi attuali,
possono non essere prive di qualche interesse.
Il.
Don Paolo de Rido della Silva nacque a Domodossola da antichissima famiglia ossolana, che si presume discendente dal casato
potentissimo dei Clermont in Francia (2). Alla sua nobiltà don Paolo
teneva assai e molto eruditamente e diligentemente ne disserta nelle
allegazioni presentate al collegio dei Nobili Giureconsulti per otte
nerne la iscrizione (3) nel 1726: e più tardi, quando nel 1770 si istituì
(1) Cfr. Visconti, La codificazione del processo civile, cit., p. 5.
(2) Cfr. BazetTA N., Storia di Domodossola e dell’ Ossola superiore, Domo.dosscla, IQII, p. 190. Sulla vita e opere del Silva si hanno notizie in monografie frammentarie: manca ancora un lavoro, condotto con metodo, che metta
in luce la sua figura come magistrato e giurista in rapporto al suo tempo.
(3: ASM, Fondo Religione, parte moderna, cart. 2138.
Go ogle
VARIETÀ 203
il tribunale Araldico, egli presentò una eruditissima dissertazione
sul proprio stemma, che il re d’armi, Giuseppe Casati, con relazione
27 settembre 1770 approvò con molti elogi (1). Tal relazione è
redatta infatti (strana cosa) in volgare, con buon metodo e con
gran copia di documenti. Dopochè il Silva ebbe ottenuto la iscrizione nel Collegio dei Giureconsulti, incominciò la sua carriera nei
pubblici uffici. Nel 1753 lo vediamo avvocato fiscale e nel 1749,
invocando i servizi prestati, sollecita dal governo il titolo di
conte trasmissibile agli eredi (2). Nel 1753 si fa innanzi a chiedere un posto nel Senato: la meta a cui un patrizio illuminato tendeva con tutte le proprie forze (3). Non pare tuttavia che ottenesse
tanto presto l’ambita carica, perchè prima ricevette la nomina a
capitano di giustizia, altro gradino per giungere a conseguire il
grado senatorio (4).
Sulla scorta dei documenti ufficiali non è difficile ricostruire
il profilo di questo magistrato ligio al suo dovere e al servizio
verso lo Stato al quale diede tutta intera la sua attività fino alla
più tarda vecchiezza. Nel 1756, con dispaccio datato da Vienna il
24 maggio e comunicato dal governo di Milano l’11 giugno, il giureconsulto don Paolo della Silva si vede finalmente promosso senatore e il 21 giugno giura « inginocchiato nanti S. E. il signor
« marchese Corrado de Olivera Consigliere intimo attuale di Stato
« delle loro M. M. Imperiali, Presidente del Senato e Pro gran
« Cancelliere nella Lombardia Austriaca » (5). Subito dopo vien
(Ii ASM, Araldica, P. A., Fam. Nob. Occorr. Partic. Sf.- Sn., cart. 114.
In quest'occasione ricorda il Silva un’ antica iscrizione esistente nel suo castello
di Crevoladossola e che il Bazetta (op. cit., p. 194) riporta. Tale iscrizione trovasi
nella così detta Sala Verde in cui, a dire del Silva, si teneva giurisdizione anteriormente al 1381 nel quale anno la Val d’ Ossola passò in dominio di Gian Galeazzo Visconti. Il Silva la trascrive così:
Dont non ghe l'ustitia no ghe paze,
Turbase lo mondo e de Virtil se spola
EI mato senorezza, lo savio taze
Va rotato che ancora ai tempi del Silva v'era una pittura rappresentante una
figura umana simboleggiante la Giustizia. Cfr. anche MorBio, /talia e Francia,
Milano, Ricordi, 1873, p. 295 € Sgg.
(2) ASM, cart. 114 cit., lettera 12 maggio 1749.
(3) ASM, Silva (della) Paolo, in Uffici Giudiz. Milano, Senato, Senatori.
Lettera del duca di Silva Tarou:a datata da Laxemburgo il 7 giugno 175; al
sig. governatore generale conte Pallavicini.
(4) ASM, cart. cit, documento in data 19 giugno 1756.
(5) ASM, cart. cit., R. Disp. 20 maggio 1756 e Il giugno 1756: giuramento 2I giugno 1756.
Go ogle
204 VARIETÀ
destinato alla podesteria di Cremona (1). Cremona e Pavia per
antico diritto godevano dell'onore particolare d’avere un senatore
podestà: e a questa carica si solevano inviare i meno anziani
fra i senatori, preferibilmente quelli di prima nomina. Fu durante
la sua podesteria che egli condusse a termine il volumetto di storia
delle istituzioni di diritto pubblico in Lombardia. Da Cremona il
Silva passò a Mantova nella qualità di presidente del consiglio di
giustizia e sembra che questo nuovo ufficio ottenesse nel 1760, come
appare da una lettera del Kaunitz in data 1° settembre 1760 (2).
Nel 1760 consegue il titolo di consigliere intimo (3). Ma fu tre anni
dopo che il Della Silva raggiunse il massimo grado a cui un magistrato distinto poteva pervenire. Il 25 aprile 1763 fu da Maria
Teresa nominato consultore di governo. Il titolo era precisamente:
« Consultore presso il Governo Generale della Lombardia Austriaca ».
Il 25 aprile da Vienna il Silva riceveva, probabilmente dal Kaunitz,
una lettera d’elogio che riportiamo in appendice specialmente pel
modo curioso con cui l’elogio è fatto, modo che certo non torna
ad onore dei nostri ex padroni, gli austriaci, giacchè troviamo espressioni di questo genere certo offensive alla nostra dignità: « è per-
« suasa S. M. ch’ella, tuttochè nazionale, abbia quella forza di
« spirito e quel fondo di vera onestà che si richiegono per essere
« superiori a tutti gli attaccamenti e le contemplazionil... » (4.)
(1) ASM, cart. cit., documento 22 giugno. Da una minuta diretta al presidente del Senato: si dice che il decreto di nomina a podestà è pronto e si domanda se si dovrà spedire all'interessato il decreto « che, come dice il fun-
« zionario estensore della lettera, suole abbassarsi con anticipazione a fine di
« lasciargli il tempo necessario a fare i suoi preparativi, oppure se dovrò so-
« spenderlo ritenendo ch'egli continuar deve secondo le sovrane disposizioni
« dello Ill. S. nell'esercizio della carica di Capitano di Giustizia sino a tanto
« che non venghi nominato il di lui successore nella medesima ».
(2) Cfr. Visconti, La pubblica Amministrazione, cit., p. 214.
(3) ASM, Araldica, P. A., Cons. di Cons. di Stato G. Z., cart. 31, documento 22 gennaio 1761. Il Silva ricorda questa sua nomina a consigliere intimo
attuale di Stato avvenuta nel novembre del 1760 in una sua opera ms. conservata a Domodossola nella biblioteca Galletti, avente per titolo Memorie della famiglia della Silva, datata a Milano l' 8 di agosto del 1780 « giorno nel quale
« comincio a nominare l’anno novantesimo della lunga e disastrosa mia vita ».
Quest’ opera fu cominciata a pubblicarsi dal Bustico in Zllustrazione Ossolana,
Bollettino della biblioteca e musei Galletti, 1911, fasc. 2-6.
(4) La nomina a consultore ; i carteggi e dispacci relativi trovansi in ASM,
Uffici Regi, Governo, Consultori e Segretari di Stato, cart. 81. La lettera sopra
citata è nella medesima cartella e non è firmata. Trattasi evidentemente di una
copia.
Go ogle _
VARIETÀ 205
Il senatore Perlongo doveva sostituire il Deila Silva nell’ufticio
di presidente del consiglio di giustizia in Mantova. Se non chè nel
1765 troviamo ancora il Nostro a Mantova gravemente ammalato
di angina e di altri malanni, come si desume dal carteggio col governo tenuto dai due medici curanti dottori Valcarenghi e Moscati (1).
E da notare la sollecitudine del governo verso il malato e gli auguri di riprender presto il posto che occupava con tanto onore.
Dopo questa data non ritroviamo altre notizie di lui che otto anni
dopo (2) quando il Silva domanda un passaporto e commendatizie
presso il residente austriaco di Torino per potersi recare in quella
città ad ossequiare il nuovo re. Infatti nel 1773 saliva al trono
Vittorio Amedeo III e il Silva voleva presentarsi al re di Sardegna
« trovando troppo preciso quest’atto di venerazione ad un nuovo
« sovrano anche di Domodossola; nella qual provincia la mia casa
« ha le origini, suoi fondi e residui di sostanze lasciategli dai suoi
« maggiori » (3). Vien dallo stesso Kaunitz la risposta che non
solo è favorevole, ma vi si aggiunge che gli si concede la licenza
di recarsi a Torino per favorire « questo benemerito ministro a
« cuì la meditata corsa servirà anche di qualche respiro » (4).
Nel 1774 troviamo un carteggio fra il nostro e il Firmian: il
Silva erasi recato a Domodossola dalla qual sua terra mancava da
più di venti anni. Descrive le accoglienze avute da quella popolazione, accenna ai suoi possedimenti « avanzi d’anticaglie d’una
« famiglia che va a terminare in breve », e in ultimo parla perfino
del cattivo raccolto dell'uva in quell’anno. Questo dilungarsi in
particolari privati dimostra la considerazione e l’intimità che
godeva presso il governo (5). Nel 1776 il Silva cade nuovamente
(I) ASM, cart. 81 cit. Non credo sia questi il celebre Pietro che si sarebbe
laureato in Pavia nel 1758 e avrebbe salito la cattedra in quell'ateneo nel 1763.
Credo piuttosto sia il padre Bernardino che fu un rinomato chirurgo. Cfr. su
Pietro Moscati la memoria di P. Pecchiai nella rivista L’ Ospedale Maggiore,
n. 11, novembre 1913. Pietro Moscati è anche ricordato dal Verri in occasione
di un viaggio fatto col Beccaria nel 1768 (Carteggio cit., vol. Il).
(2) Nelle epistole di Pietro Verri al fratello Alessandro, troviamo menzionato il Silva insieme col senatore Pecci e altri, fra cui il Verri medesimo, come
facenti parte di una giunta nominata nel giugno del 1769 all’epoca dell'arrivo
dell’imperatore, giunta in cui trattavansi affari di economia pubblica e di finanza,
nell'interesse dei popoli e del loro benessere (vedi Carteggio di Pietro e Alessaudro Verri, a cura di E. Greppi e F. NOVATI, vol. II, 1910, p. 352, 334.
(3) ASM, cart. 8I cit., lettera 22 agosto 1773.
(4) ASM, cart. 8I cit., lettera 7 ottobre 1773.
15) ASM, ‘cart. 81 cit., lettere 16 e 23 settembre, 14 ottobre 1774 al conte
Go ogle
206 VARIETÀ
ammalato; ma vediamo il Kaunitz stesso felicitarsi del suo ristabilimento in salute. Egli scrive infatti: « ora che esso si trova in
« grado di ripigliare il filo degli affari, ho un doppio motivo di
consolarmi seco lui e collo stesso governo per la conservazione
« di un ministro benemerito ed attivo nonostante la grave sua età
« e le fatiche sostenute nel corso della sua vita » (I).
Infine nel 1789 sì accenna a lui come a un magistrato già collocato a riposo (2) dopo una vita lunga passata completamente in
servizio dello Stato. Il Bazetta, nella sua opera pregevole riguardante la storia di Domodossola, lo fa morire il 15 dicembre 1784:
tale data non sembra corrispondere con le memorie che si hanno
di lui posteriormente alla presunta data della sua morte: per cui
convien senz'altro ritenere come data certa di sua morte il giorno
18 maggio 1789 (3).
Esaminando il profilo di don Paolo della Silva, quale appare
dai documenti ufficiali, risulta dominante in ]ui un elevato sentimento del dovere dovuto più che ad amor di patria, nel senso
odierno, a un attaccamento scrupoloso al sovrano come capo dello
Stato e della gerarchia nobiliare. Egli ha un concetto tutto aristocratico dei suoi doveri verso il governo e delle cariche a cui fu
chiamato dalla sovrana volontà. Questo sentimento, unito a una
spiccata scrupolosità e diligenza nell'adempimento dei molteplici
uffici, lo rese caro al governo che si servì di lui largamente. Era
un uomo all’antica, alla maniera del Verri e di molti altri di quel
tempo: forse già era ormai un avanzo d’altra età di fronte a
nuove correnti di pensiero più vive, che l’« Enciclopedia », giunta
e divulgata anche in Lombardia, aveva in noi come risvegliato (4).
Ma la sua diligenza si vede anche nelle opere storiche da lui
scritte: è scrupoloso nella ricerca per quanto poco profondo e poco
critico nella scelta delle fonti; ma è preciso nell’indagine storica
&
di Firmian. Il viaggio a Domodossola fu descritto dallo stesso Silva in una epistola latina che si conserva ms. all’ Ambrosiana e che fu edita e volgarizzata
dall'avv. G. Pagani (vedi Viaggio da Milano alla Val d' Ossola fatto da Paolo
della Silva nel 1774, in Verbania, 1911, p. 31, 65, 99). E' un centone storico
della regione Ossolana e contiene la glorificazione della sua famiglia.
(1) ASM, cart. 81 cit., lettera 15 maggio 1776.
(2) ASM, cart. 81 cit., documento 20 maggio 1789.
(3) BAZETTA, Op. cit., p. 525; vedi CusANI, op. cit., vol. IV, p. 199 e la
lapide in S. Marco a Milano.
(4) Cfr. Rota, L’Austria in Lombardia, Milano, 1911, cap. III, p. 143 e sgg.
Go ogle i
VARIETA 207
delle memorie della sua famiglia e in questo si vede il suo spirito
tenacemente conservatore e aristocratico (I).
Così in brevi tratti ho creduto conveniente, come studio preliminare, rievocare una figura di magistrato che, per quanto sia inferiore a Gabriele Verri, pure, insieme con lui, completa quell’accolta di menti elette e di oneste coscienze, che rappresentano gli
ultimi guizzi di una tendenza fortemente conservatrice nella vita
pubblica e che tuttavia operano con grande zelo e attività per lo
Stato e pel. principe a cui hanno giurato intera fedeltà (2).
ALessaNDRO VISCONTI.
(1) Oltre alla memoria ms. citata più sopra e conservata nell’ archivio di
Stato di Milano, si confronti un altro volume ms. sulle Memorie della famiglia
deila Silva, conservato nella biblioteca Galletti a Domodossola e ricordata dal
BAZETTA, Op. cit., p. 525 non che la citata epistola del suo Viaggio nel 1774. Ma ciò
che caratterizza il suo spirito ultra conservatore sono due opere anonime, ma sue
per indubbi segni, conservate mss. nella biblioteca Universitaria di Pavia. Sono
le Noctes cimmeriae e l’altra opera: « Discordie | sua notizia dal 1750 al 1780
« sua Serie | Negli anni seguenti | osservazioni di N. N. N. |. In Milano anno
« MDCCLXXXVIII », La seconda è una violenta critica in senso reazionario
della politica del Governo austriaco in Lombardia nella seconda metà del secolo XVIII e particolarmente della politica ecclesiastica di Giuseppe II fra il 1781
e 1785. La prima, cioè le Noctes, è Ja descrizione di un regno fantastico per criticare ordinamenti civili, giuridici e religiosi dello Stato di Milano. L’opera è inspirata a un concetto molto reazionario e quindi ricca di particolari interessanti.
Cfr, Bustico, Mss. ossolani esistenti nelle biblioteche pubbliche e private d’ Italia,
in Illustrazione ossolana, 1912, fasc. 3-4.
(2) Non credo in questa sede conveniente diffondermi maggiormente con
abbondanza di particolari biografici, sull’ attività e vicende del nostro giureconsulto. Mi basti per ora accennare al suo profilo accontentandomi di qualche
scorcio: la sua biografia mì può servire al più per illuminare la sua opera di
giurista, che è quanto può realmente interessare come storia del pensiero. Finora
il Silva ebbe qua e là l'onore di qualche frammentario studio, purtroppo limitato
e pubblicato su riviste di scarsa diffusione, ma tali ricerche hanno lasciato il
tempo che han trovato. Il Bustico ci ha tramandato un diligente elenco di
op:re manoscritte del Nostro, ma non completo. Comunque, il Silva merita
d'esser studiato specialmente come punto di riferimento per la ricostruzione
della storia del pensiero giuridico nel sec. XVIII: studiandolo sotto altri aspetti,
si finirebbe col far opera sterile e si contribuirebbe ad aumentare la miole indigesta di curiosità araldiche, biografiche, genealogiche: ciarpame storico e non
scienza.
LO ogle
208 VARIETÀ
Appendice Prima.
Nel riprodurre questa piccola parte dell’opera del Silva a titolo
di saggio, noi seguiamo la lezione del testo corretto dall’ autore,
notando in corsivo le varianti e le correzioni di suo pugno e riportando in nota le parti del primo testo che non fu corretto.
I.
LA GUERRA DI SUCCESSIONE DI SPAGNA (tI).
e. 64. Anno ifaque 1700 obiît Carolus II (2) cuius mors late tota
Europa excitavit incendium successionem în Regna Zispaniarum illisque
adiacentes provincias sive in Europa sive in Asia, Aphrica et America hinc
Arciduce Carolo Austriaco mox Carolo VI Imperatore electo inde Philippo
Borbonto sibi deposcentibus (3).
Bellum hoc diversas in partes universam traxit Europanm implacabilibusque odiis involuit uf mu/lus fere ex Principibus fuerit qui contra
Ludovicum XIV quem magnum appellamus Francorum regem vires non
(1) Questo passo tratta anche della questione se sia permesso far leve forzate di truppe complementari fra gli abitanti di Lombardia per completare gli
etfettivi di reggimenti diminviti di numero in seguito a perdite riportate nei
combattimenti. Egli nega questo diritto da parte dello Stato sovrano allegando
il fatto che la Lombardia si era redenta dall’onere del servizio militare mediante
il pagamento di una tassa apposita (Diaria e Diarietta).” Un ms. conserv.to all' Ambrosiana (Miscellanea di Storia Milanese, P. 260) ci fa noto infatti in che
condizioni fosse il Bilancio militare nel 1761: « Per quanto poi la cassa militare
« concerne, siccome tutta la sua dote in L. 6.937.091 consiste cioè a dar 300.000
« fiorini che di sussidio annualmente corrisponde la Camera e in 5.118.791 lire
« procedenti dalla Diaria o Diarietta e dal Mensuale e con questa sostener debba
« il peso di ristorar le fortezze e d'assoldare, vestire, alloggiare e pascer le truppe
« e somministrare alla cavalleria gli opportuni foraggi, cosi non è verisimile che
« per le sole vestimenta consumi oltre la metà di essa dote, caricata, come già
« dicevamo di tant’altre spese che questa di lunga mirano soverchiano » (Dissertazioni intorno alle rendite dello Stato di Milano, p. 161. Però il Silva se nega le
leve per l’esercito di prima linea, non esita ad ammettere che pei bisogni della
patria si faccia ricorso alla milizia forese e urbana, vera milizia di seconda linea
e progenitrice della milizia territoriale con compiti di imera difesa del territorio.
(2) Paucos post menses a pragmatica modernae relatae diei 5 Ilan. 1700
obiit Carolus II.
(3) Philippo Borbonio Duce Andegavensi, seu Filippo V Hispaniarum rege
et Archiduce Carolo Austriaco Hispaniarum itidem Rege III inde Carolo VI
Imperatore electo sibi deposcentibus.
Go ogle n
VARIETA 209
exaruerit suas, ui omni conatu magnis fanti principis ausis valide desisterit (1).
Huius nos pars fuimus, immissis in /faliam etiam a Rege Ludovico (2)
et ab Imperatore Leopoldo florentissimis exercitibus a quibus multos
in annos protractum bellum.
c. 65. Ut a Gallis Allobrogum ducem abduceret Caesar eiusque
Forcerati, qua ratione transitus a Gallis in Italiam et ab Italia redditus
in Gallias Francis intercluderetur, foedus anno 1703, Anglis urgentibus
et Batavis, iniere quod “ Quadruplice Alleanza , vocarunt cuique
anno 1705 accessit Carolus III eoque (3) conventum confecto bello Alexandriam, Valentiam, Mortariam, Lumellinam ac Vallem Sesitanorum
Ducem habiturum.
e. 66. Dum hunc Ducatum Galli et Hispani tenebant, evocati anno
1706 primum fuimus ad supplementa Legionibus Gallorum et Hispanorum, quod hoc anno 1759 nobis refricatum est exemplum ut tria hominum millia conscribi faferemur (4) in supplementa Regiminum Clericei
et Luzzani.
Pustulati de crimine cuius poena non esset mors naturalis vel civilis nomen dare militiae alias cogebantur, nec eos milites conscriptc -
res respuebant. Paulatim difficiliores isti se nobis praebuerunt, unde
ego pro Fisco scribens ad Senatum declamabam, quo factum, ut anno
1753. Conscriptores iterum nomina istorum reciperent ea tamen conditione, si delati de crimine nulla notati essent infamia quam vel ob delicti titolum vel ob poenae quam iam subissent, qualitatem contraxissent. Ex quo ingravescere coepit internecinum bellum quod postremis
his annis Augustissimae Dominae (5) intulit Borussorum Rex ferocissimus paululum quo ad delictorum titulos remitti, placuit, recepique w/:
a Romanis alias factum, etiam fures, crumenisecas, effractores, et huius
farinae homines, tanta /amen corporum disquisitione ef censura (6) ut
ex eorum caterva, quos vel e carceribus offerebamus, vel regionibus
perlustratione consecuti fueramus, vagos, desides, laboris impatientes,
crapulae otioque deditos, pauci ad modum conscriberent, his, quia statura non iusta, illis, quia impetigine, scabie vel quo alio leviori licet
corporis morbo aut vitio affecti (7) reiectis eo fortassis consilio ut
viam sibi facerent (8) ad supplementa etiam ex honestis patriaeque utilibus, licet invitis, conscribenda.
(1) nullo fere ex principibus qui sortem alterius ex Competitoribus non
fuerit secutus.
(2) a Gallorum Rege Ludovico XIV.
(3) eodemque.
(4) traderemus.
(5) nostrae.
(6) factum.
(7) vitio tenerentur.
(8) Duces Militares.
210 VARIETÀ
c. 67. Si halia ratione habitus fuisset delectus uti ego datis ab hoc
Cremonensi Praetorio ad Seren. Administratorem et ad Senatum literis
narrabam longe minori regionis damno finem fuissemus consecuti quia
alia ad impediendum delectuni proponeremus (1) statum nostrum pecunia
ab omnibus oneribus militaribus, diario nempe extraordinario subsidio
se redimisse: neque enim militare cogi potest, qui tributa ea mensura
pendet qua militibus praebenda stipendiaque errogari et reliqua ad
exercitum necessaria pro modo Provinciae, quae ad tributum confert
parari queunt. Si tanta apud nos esset hominum copia ut agrorum culturae et caeteris civilis societatis par foret ac (2) superessent qui militia
occupari possent frobarent consilium atqui vel (3) seponenda cogttatio
augendorun commierciorum el aliud interimittenda cultura agrorusm quibus ex fontibus diarium confluit subsidium, vel abiiciendum consilitmi (4).
Nec in exemplum trahi possunt acta anno 1705: labellum enim compescere tunc opportuit e/ dura imperia pati, sive quia ab hoste sumenda
non suni exempla, sive quia nobis tunc obiicebatur eum delectum ad necessariam patriae defensionem haberi, milites non extra provinciam a
mandandos, sed intra huius fines aut circa illos retinendos (5). Praeterea nundum tunc in unum coacta fuerant onera omnia militaria quod
tactum anno I707 quo post restitutum Caesari Ducatum in extraordinarium Diarium subsidium consensimus quibuscumque in opus militiae
necessariis exequatum.
Demum Gallos ipsos et Hispanos difficultate rei perspecta, hanc abiecisse cogitationem, delectu intermisso, neglecto, mox penitus derelicto.
e. 68. De caetero quotiens ab hostibus conatibus tuenda fuit patria,
desiderari se non permisit Provincia, obiectis etiam corporis suorum
civium, quin crediderimus, nos hac solutos lege e/iam post Diarium iwdictum subsidium etideo saepe vidimus conscriptas hac, illaque occasione
cohortes militum urbanorum et castellanorum agrestium easdemque
Martis opera facere, arcibus praesidio esse, uti fawcis ab kinc Austris
factum (6) stipendiis tamen ex regio aerario awf ex arca diariae eisdem
depenso agrestis seu forensis miilitia ineunte saeculo XVII primum instituta (7) iussis civitatibus oppidis et castellis delectum habere, Deuces.
(1) proponeremue videlicet statum hunc. | .
(2) et adhuc.
(3) aut.
(4) non abiiciendum consilium: atqui aut necessaria ad culturam agrorum
unde diarium subsidium conflatur, intermittenda, ‘aut seponenda cogitatio de
supplemento Legionibus conscribendo.
(5) nec in exemplo esse possunt acta anno 1705: labellum enim compescere tunc opportet, cum nobis obiiceretur eum delectum ad necessaria patriae
defensioneni haberi, milites autem non extra provinciam amandandos, sed intra
illius fines, vel circa illos retinendos.
(6) nostra aetate factum.
(7) Stipendio ex R. Aerario capsaque Diariae eisdem depenso. Agrestis seu
VARIETA 2II.
sibi deligere (1) qui sub imperio Tribunorum militarent, istique iussa
generalis militiae, Magistri fecerunt quorum eligendorum arbitrium sibi
Gubernator reservavit.
Urbana paulo post conscripta eodem ordine iisdemque gradibus ac
privilegiis plena Vicario Provvisionum Mediolanensis civitatis congregationique militari permissa illius administratione ef /uic aller praeest
militiae generalis praefectus. Cum haec militia dimittur, Indultum proponi
solet quo leviorum criminum co tempore a militibus patratorum aboletur memoria.
II.
VERSI ENCOMIASTICI DEL CARDINALE ANGELO DURINI POSTI IN
FRONTE AL MANOSCRITTO CON CORREZIONI AUTOGRAFE DI
Don Carto DELLA SILVA.
(Ambrosiana, wmss. P. 175).
Ecc,mo D.no Paulo de Silva ex Intimis Actualibus Consiliariis Status
SS. II R. A. MM. in Mediolani Gubernio consultori dignissimo Angelus
Derinus Archiepiscopus Ancyranus.
Astreae Alme Geni, saecli lux unica nostri,
Iuris honos, Patriae dextera, norma Fori,
Legimus Insubrico quae tu de jure notasti,
Res Patriae quantas parva papyrus habet?
Haec docuisse puto Themis, aut didicisse fatetur,
Nam prius oraclis nihl habet illa Tuis,
Atque indignatur tristes exosae latebras,
Queis premis immensi grande laboris opus.
Quod Romae bisquinque Viri, spartaeque Lycurgus
Cecropijsque Solon, Tu potes esse Tuis.
Appendice Seconda.
LETTERA DEL DUCA DELLA SILva TAROUCA AI. GOVERNATORE
PALLAVICINI RIFLETTENTE LA DOMANDA DEI. l. C. C. Don
PAOLO DELLA SILVA PER OTTENERE LA CARICA DI SENA:
TORE MILANESE.
(ASM, Uffici Giud. Milano, Senato, Senatori. — Silva (della) Paolo).
Ricevo col venerato foglio di V. E. de 29 prossima scorso, il meforensis militia tempora antiquior est illa urbis Mediolanensis, ineunte enim
saeculo XVII illa instituta.
(1) constituere.
Go ogle
2152 VARIETA
inoriale dell'Avv. Fiscale Don Paolo de la Silva col quale si fa egli ad
implorare dal!a reale Clemenza di S. M. la cattedra senatoria vacata
per la morte del fu Reg.te Marchese de Regibus. Nell’ accennarne alI'E. V. la corrispondente ricevuta, non posso che riferirmi a quanto in
tale proposito ho già avuto l'onore di significarle con altra mia antecedente, dandomi ora quello di |rotestarmi cen perfettissimo ossequio
Di V. E.
Laxemburgo 7 Giugno 1753.
Div.mo Obbl.mo Ser.re
IL DUCA DE LA SyLva TAROtUCA.
A S. E. Il Sig. Gov” Generale
Conte Pallavicini.
Il.
COPIA DI LETTERA SENZA FIRMA (PROBABILMENTE DEL KAUNITZ)
AL DELLA SILVA FELICITANDOSI DEGLI ONORI A CUI PERVENNE.
(ASM, Uffici Regi P. A. Governo, Consultori e segretari di Stato, cart. 181).
Ill,mo ed Ecc,mo Signore,
E’ giunto V. E. a quel sommo di Gloria a cui possa mai aspirare
un suddito, che abbi impiegata con !ode buona parte della sua vita al
real servigio, giacchè persuasa S. M. ch’ella tuttochè Nazionale abbia
quella forza di Spirito e quel fondo di vera onestà che si richiegono
per esser abitualmente superiore a tutti gli attaccamenti e le contemplazioni, che si portano dalla nascita e si contragono con le successive
clientele, si è degnata di darle clementissimamente la più luminosa
prova della Reale sua confidenza con destinarla a coprire la vacante
importantissima carica di consultore presso il Governo generale della
Lombardia Austriaca, tuttochè il sapere, e la costumata esperienza dell’E. V. abbino avuto gran parte in questa sovrana determinazione,
quello però, che ha fatto la maggior forza nell'animo benefico di S. M.
è stata la fiducia, che ripone nella di lei probità, disinteresse, qualità
sopra tutte necessarie in codesti Paesi. Più che perla di lei promozione,
felicito dunque V. E. per questa sì vantaggiosa testimonianza che le
rende l’Augustissima Sovrana, e certo, che colli di lei Lumi, e colla di
lei fermezza, saprà corrispondere adequatamente a sì graziosa aspettazione della M. S., oferendomele senza riserve non solo in tutto ciò che
aver possa relazione alla sua nuova carica, ma che sia per riguardarla
nel suo particolare pieno di ottime speranze, e di perfetto ossequio sono
Di V.ra Ecc.za
Vienna 28 Aprile 1763.
(non firmato).
LO ogle 5
VARIETÀ 213
Paolo Frisi a Bologna nel 1761.
IETRO VERRI, nelle Memorie storiche appartenenti alla vita
e agli studi di Paolo Fyist (1), ricorda che l’illustre
matematico barnabita, trovandosi in Roma nel 1760, ebbe
dal papa Clemente XIII l’incarico di esaminare la questione circa «le controversie che allora più che mai si dibattevano
* in Roma fra i bolognesi e i ferraresi dipendentemente dal Reno
« ed altri fiumi e torrenti di quelle Legazioni ». Attese con l’usata
diligenza a quell’incarico e stese un suo progetto (2). Ma, come
suole spesso succedere da che mondo è mondo, quell’ attestato di
stima che il sommo pontefice aveva dato al P. Frisi, il quale non
(1) Di queste Memorie la prima edizione è del 1787. Già prima del Verri
avevano onorato la tomba del Frisi il Condorcet nella prefazione fatta per l’elogio frisiano di Maria Teresa, un anonimo con un Elogio di Paolo Frisi senza
indicazione nè di luogo nè di data, e il P. Iacquier dei Minimi con un elogio
letto in Arcadia e stampato a Venezia nel 1786.
(2) Secondo il BertoLDI (Memorie per la storia del Reno di Bologna, Ferrara, 1807) il Frisi non avrebbe fatto altro che modificare alquanto un progetto
gia noto di Gabriello Manfredi, pubblico professore di matematica nell’università
di Bologna, per cui egli chiama quel progetto « Manfredi-Frisio » (p. 117). Da
quanto asseriscono il Verri e l'anonimo, il P. Frisi proponeva un progetto suo e
l'anonimo aggiunge che egli accettava l’idea del Manfredi di utilizzare il Cavo
Benedettino, e suggeriva di continuarlo « pel tratto di sette miglia fino alla Ba-
© stia, attraverso alla minore sezione della valle di Marmorta ». Calle lettere che
qui si riporteranno, appare evidente che il Manfredi non avesse molta parte in
quel progetto. Ciò è confermato dalle stesse parole che il Frisi pone nella prefazione al suo libro intitolato: Del modo di regolare i fiumi e î torrenti principalmente del Bolognese e della Romagna, Lucca, 1762 c che qui riportiamo: « Ritrovandomi in Roma nell’estate dell’anno 1760, e venendomi ingiunto da
Personaggi sutorevolissimi di distendere qualche piano, che conciliasse nel
miglior modo i vantaggi delle Provincie interessate, ho proposto di raccogliere
tutte le acque del Reno e degli altri Torrenti negli alvei vecchi del Cavo
Benedettino, e del Primaro, continuando il Cavo Benedettino alla Bastia, e alia7gando e arginando il Primaro dalla Bastia fino al mare. Nè con ciò ho preteso di farmi il merito di proporre una novità: anzi ho sempre creduto che
lo stesso Progetto di accomodare e rettificare gli alvei vecchi dei fiumi, fosse
naturalmente suggerito a ciascuno della stessa constituzione dei fiumi e del
terreno. Ho pensato solamente di combinare il sollievo del territorio bolognese
colla sicurezza del Polesine di S. Giorgio, lusingandomi sncora che la provincia
Aa A a
(a)
Do)
Arzh. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. I-IT. 14
LO ogle
214 VARIETÀ
contava allora se non trentadue anni, parve eccessivo ad alcuni e,
o per voglia di nuocergli o per manìa di succedere a lui nell’onorifica commissione, tanto fecero presso uomini influenti alla corte
di Roma che per poco il celebre matematico monzese non fu
messo interamente da parte.
Era egli tornato al suo Collegio di S. Fridiano in Pisa e attendeva alla stampa del secondo tomo delle sue Dissertazioni (1), e,
sebbene non ignorasse che incominciavasi a minargli il terreno,
non se ne dava molto pensiero, come rilevasi da alcune sue lettere
al P. Paolo Filippo Premoli Generale dei Barnabiti (2), che si conservano autografe nell’archivio romano di S. Carlo a' Catinari,
La prima dice così: « B. P. (3) devo ringraziare rispettivamente
« V. Paternità molto Reverenda della licenza 4), che mi ha voluto
« favorire. Presto s’incomincierà la stampa del libro, che sarà de-
« dicato al Serenissimo di Genova (5), mio antico padrone e amico,
« di Romagna e le valli di Comacchio non aveva fino allora incontrato alcuna
e opposizione ». Gabriele Manfredi, fratello di quell'Eustachio che lasciò bel nome
tanto nelle scienze quanto nella poesia, era succeduto al fratello nel 1742 nella
sopraintendenza delle acque del bolognese; è celebrato dal Frisi in un E/ogio annesso al libro che abbiamo citato come il più grande algebrista che abbia avuto
l’Italia, « quello che ha chiamato di là dei menti e dl mare il calcolo differenziale
« e integrale ». Morì ottantenne a Roma il 13 ottobre 1761 in seguito a disagi sopportati nella visita che dovette fare alle Palude Pontine. « Poche ore prima di
« morire (dice il Frisi nell’ Elogio citato) r.iccomandò la causa delle acaue al
« Signor Eustachio Zanotti ».
(1) Il primo pubblicato a Lucca nel 1759 porta questo titolo: Paulli Frisii
Mediolanensis Clae. reg. Congr. D. Paulli in Pisano Gymnasio pubblici Professoris,
Bononiensis, Beroliniensis et Petropolitanae Scientiarum Academiae Socii ete Dis=
sertationum variarum. Tomus primus, Problematum praecessionis aequinoctiorum
multationis terrestris axis, aliarumque vicissitudinum diurni motus geometrica solutio,
cuius specimen a Regia Berolinensi Scientiarum Academia anno MDCCLVI praemium obtinuit, etc. Tanto il primo che il secondo furono pubblicati per incoraggiamento del conte Donato Silva, milanese.
(2) Cremasco, figlio del conte Paolo e della contessa Teresa Grifoni S. Angelo. Fu Generale dal 1755 al 1761. Mori a Crema nel Collegio di S. Marino
il 21 marzo 1771.
(3) Cioè Benedicite Pater, intestazione di regola presso i Barnabiti quando
si scrive a un Superiore.
(4) Di stampare il volume sudetto.
(5) Agostino Lomellino fu doge di Genova nel biennio 1760-2. E°’ autore
di molti sonetti di argomento astronomico. V. Levati, I Dogi di Genova, Genova, I9I5, P. 45-52.
Go ogle î
VARIETÀ 215
il quale ha già graziosamente accettato la dedica. Se la dissertazione (I) già rivista non potrà portare un volume uguale al
« primo tomo, ve ne aggiungerò delle altre che darò umilmente
« al R. P. Proposito per poi pregare V. P.tà M. R. delle licenze
« consecutive. Ma prima bisogna che veda sul fatto quanti fogli
« mi potrà dare la dissertazione medesima. Poco pensiero mi
« ha dato il progetto del Canonico Fantoni (2), perchè se vi è un
- progetto ineseguibile e immaginario, è quello di un alveo retti-
« iineo per tantì e così grossi influenti dove e come il Fantoni (8}
lo vorrebbe tagliare. Di maggior conseguenza potrebbero essere
« le nuove che mi sono arrivate ultimamente della salute di Noa stro Signore (3). Spero però di avere nuove migliori. La prego
« di fare i miei rispetti a” RR. PP. Assistenti e distintamente al
« P. Marietti (4) e con baciarle la mano La prego di sua paterna
« benedizione. Pisa, S. Fridiano, 17 del 1761. 1). Paolo Frisi ».
Venti giorni dopo le cose parevano prendere una piega ancor
migliore: scriveva infatti allo stesso P. Generale: « B. P..... Devo
« inoltre ringraziare V. P. molto Rev. dell’ importante nuova, che
« mi ha favorito di Nostro Signore e dell’ altra del P. Caraccioli.
« Avendo io supplito la di lui cattedra per tre anni, ora essa re-
« sterà per me, e così avrò finito la Metafisica e la Filosotia Mo-
« rale. E’ concertato di sostituire in mie vece il P. Antonioli delle
« Scuole Pie, che per dieci anni ha letto logica. ll Sig. Card.
« Conti (6) sembra disposto a chiamare alla visita ancora il P. Pe-
(1) Questa dissertazione è intitolata: De ingequalitatibus Motus Plunetarum
cvinium in orbitis circularibus atque ellipticis.
(2) Al progetto del Frisi contrapponevasi oltre un piano del dott. Romualdo
Bertaglia ferrarese, un altro del dott. Pio Fantoni bolognese, modificato in parte
dal P. Domenico Santo Santini, chierico regolare dei Ministri degli infermi. In
favore di questo terzo progetto erasi dichiarato prima di morire (1761) il medesimo Bertaglia.
(3) Clemente XIII.
(4) E’ il P. Carlo Francesco Marietti, milanese (1727-1789). Fu provinciale
in Lombardia dal 1755 al 1858.
(5) Pare che il P. Caraccioli insegnasse analitica all’università pisana, mentre il P. Frisi dall'anno 1755 era colà nominato professore di metafisica e morale. Ora, avendolo supplito nella cattedra di analitica per tre anni, il P. Frisi
sperava di dovergli succedere în questa cattedra più confacente alle sue inclinazioni. Il che di fatto avvenne; nell’anno seguente 1762, pubblicando quell’ operetta d'idrostatica che abbiamo citato, egli compare come professore ordinario di
matematica.
(6) Il card. Pietro Paolo Conti, nobile camerinese, aveva ricevuto la porGo ogle
216 VARIETÀ
« relli (1) € questa sera comunico al sig. Ambasciatore la risposta
« data al Marchese Niccolini, che gli ha fatto delicatamente la pro-
« posizione senza lasciargli comprendere di qual parte venisse vera-
« mente. Aspetto da Bologna una serie di fatti, che un perito ha
« raccolto e sopra i quali travagliano ancora Eustachio Zanotti (2)
« e Marescotti, per confutare per ogni parte il progetto del Fan-
« toni. Forse l’ interesse pubblico porterà di stampare di nuovo
« qualche cosa. Ma V. P. M. R. sarà informata anticipatamente di
« tutto. Me le rassegno con tutta l’ubbidienza e baciandole rispet-
« tosamente la mano la prego di sua paterna benedizione. Pisa,
« S. Fridiano, 8 febbraio 1761 ». _
Ancor meglio si mettevano le cose alcuni giorni dopo: « B.
« P.... ora la prego, scriveva al P. Generale Premoli, di volermi
« accordare la licenza per stampare due altre operette o tutte e
« due o una sola, secondo che riuscirà il volume della prima dis-
« sertazione (3). Le prima operetta ha per titolo: Opuscula Mathema-
« tica de Problematibus Isoperimetricis, de motu corporum, de afpau rentiis opticis Planetarum ecc. L'altra : Meditationes Metaphysicae.
« Se V. P. M. R. è contenta le consegnerò al R. P. Proposito. Il
« nostro Perelli per mezzo del Marchese Niccolini ha introdotto
“« un opportuno carteggio col sig. Card. Conti, e, senza far compa-
« rire nessun altro, ha a quest'ora screditato abbastanza il progetto
« Fantoni. A Bologna incominciano ad aprir gli occhi colla scrit-
« tura del Montanari, e quando si faranno girare le scritture mie
« e degli altri, tutto il fuoco si risolverà in nulla. Con ciò le bacio
« rispettosamente la mano e la prego di sua paterna benedizione.
« Pisa, 11 febbraio 1761 ». |
pora nel 1759. Fu nominato da Clemente XIII visisatore apostolico nelle provincie di Bologna e di Ravenna « affinchè sotto gli occhi di lui e colla di lui
« autorità li rendesse legalmente manifesto il vero e il falso dei punti combat.
« tenti e rispettivamente propugnati con ardor massimo fra le Parti ». Queste
parole sono tolte dalla sua Relazione del Cardinal Conti Visitatore dell’Acque della
Provincia di Bologna, Ferrara e Romana alla Santità di nostro Signor Papa Clemente XIII stampata a Roma nel 1764.
(1) Tomaso Perelli (1704-1783) di Arezzo, professore insigne di matematica
nell'Università di Pisa. Il card. Conti gli affidò difatti « la prescrizione e la di-
« rezione delle funzioni geometriche e idrometriche, e di tutti quei rilievi, che
« nel corso della Visita occorrer potevano ». Relax. citata. Era quindi il matematico della visita, e fu il Frisi, come egli stesso dice in una lettera che si cierà più innanzi, che propose il Perelli per tale ufficio.
(2) II confidente, come abbiamo veduto, del dott. Gabriello Manfredi.
(3) Furono difatti stampate tutte e due.
VARIETÀ 217
Cessando il P. Premoli dalla carica di Generale nella primavera di quell’anno 1761, cessano anche le lettere del P. Frisi a lui
conservate nell’ archivio di S. Carlo; per buona nostra sorte ne
abbiamo trovato altre ancora del Frisi sempre intorno allo stesso
argomento delle acque nella biblioteca Corsiniana, sebbene non
autografe. Appartengono esse alla copiosissima collezione epistolare
di mons. Bottari che in quella biblioteca ‘gelosamente si conserva
e gettano non poca luce intorno agli intrighi di coloro che avversavano il P. Frisi cagionandogli grave disgusto. Il Verri affermò
nelle sue Memorse che il celebre barnabita visitò prima del 1762
le provincie di Bologna e di Ravenna, ma dalle lettere che riporteremo si vedrà come potè esser fatta quella visita. Non è poi nemmeno esatto che egli pubblicasse il suo piano nel 1762, poichè
l’operetta allora pubblicata era più che altro uno studio « del corso
« e delle regole dei fiumi » che può esser detto ancora il sunto
delle lezioni ch’ egli in quell’ anno, fatto professore di matematica
all'università di Pisa, aveva creduto opportuno di fare sopra una
scienza ch’è quasi interamente, come egli dice, propria dell’Italia
« Les auteurs italiens se sont distingués dans cette partie », scrisse
il chiarissimo sig. d’Alembert « et c’est principalement à eux qu’on
« doit le progrés qu'on y a faits » (1). Facendo speciali applicazioni de’ suoi principî ai luoghi del Bolognese e della Romagna
egli espone il suo progetto nella nota questione e la confronta
con alcuni altri e ciò più per semplice informazione che per altro (2).
Nel maggio 1751 tuttavia, quando il card. Conti col prof. Perelli e con altri dava principio alla visita, il P. Frisi al suo progetto giutamente teneva. Era egli nel Collegio di S. Carlo a Firenze quando
ricevette dal card. Conti la lettera seguente : « M. R. Padre. Sarà
« chiamata V. P.t ad intervenire alla visita da me già incominciata, allorchè si dovrà esaminare la linea da l-i proposta. Le
« ne avanzo intanto questo preventivo avviso, affinchè possa Ella
« intanto prepararsi per esser pronto d’incamminarsi a questa
« volta ad ogni nuovo avviso, ch’io sarò per darlene, e col solito
« mio desiderio di servirla Le auguro ogni compita felicità. Di V.
« P.tè ecc. Ravenna per le Mandriole li 16 maggio 1761 ».
Il piano del P. Frisi consisteva « nell’inalveare il Reno pel
—— ——_—_
(1) Del modo di regolare ecc. Prefazione, p. iv.
(2) « Gli altri potranno poi dire e scrivere, e fare ciò che stimeranno a
« proposito, ch’io non lascerò l’ Algebra taciturna, e la quiete de’ miei piccoli
« studi per ritornare allo strepito d'una questione a cui rinuncio interamente ».
Loc cit., prefazione, p. VII.
Go ogle
218 VARIETÀ
« Cavo Benedettino e condurre altre acque nel Primaro »; piano
concepito in Roma, com’egli dice in termini generali, coll’ espressa
riserva di fissar poi le cadute dell’ alveo, gli sbocchi, e il modo
con cui si potesse continuare il Cavo Benedettino attraverso alla
valle di Marmorta dopo che ci fossero fatte le debite operazioni
sulla faccia del luogo. Ora egli vedeva che non si voleva tener
conto di tale sue risorse e così ne scriveva all’ amico suo mons.
Bottari: « ]l],mo e R,mo Sig. Sig. Padron Colendissimo. Non voglio
« lasciar partir il degnissimo nostro P. Rosasco (1) senza conse-
« gnargli una lettera per rinnovarmi nella preziosa memoria di V.
« S. Ill ma e Rev.ma e ripeterle gli attestati della mia gratitudine
“« e della mia stima, Il mio dovere sarebbe stato di scriverle subito
« dopo la mia partenza da Roma. Ma sono andato sempre diffe-
« rendo da un ordinario all’altro perchè volevo pure darle qualche
« nuova delle nostre acque e vedevo che le nuove non potevano
« essere che eterne e arrabbiate mormorazioni. Mi hanno rovinato
« quel poco che io avevo fatto in Roma. La Sacra Congregazione
« mi ha fatto entrare, senza alcuna mia previa ricerca, in un de-
« creto, senza che nè il Cardinal Prefetto nè Mons. Segretario si
« prendesssero poi il pensiero di farlo osservare. ll Card. Visitatore
« ha limitato quel decreto al dover io intervenire al solo esame
« del mio progetto, nè è mai comparso alcuno a invitarmi e otte-
« nermi dal nostro Governo (2) le licenze opportune. La visita è
« incominciata al rovescio (vuol dire da quel punto dove doveva
« finire); e come se non dovesse finir mai, o non avesse altro
« oggetto che il nulla. Il Cardinale visitatore mi scrive or ora
« di prepararmi alla Visita. lo avrei mille ragioni di non andarci
« per tutte le cose antecedenti e perchè so che è già preso il par-
« tito di concludere per nulla. Pure bisogna andarvi per sottrarsi
« alle dicerie di coloro che condannerebbero un progetto subito
« che l’autore non fosse comparso a renderne ragione sul luogo.
« Partiro fra pochi giorni. V. S. Ill, ma e R.ma potrà indirizzare i
« suoi ordini stimatissimi a Bologna colla mansione S. Paolo. La
« prego di voler aggiungere ora un’altta grazia a tant’altre che mi
(1) E' il P. Gerolamo Rosasco (1722-1725) di Trino (Piemonte). Chiaro
letterato, diede alle stampe il Rimario toscano (Padova, 1763) e Sette dialoghi
sulla lingua toscana (Torino, Stamperia Reale, 1777); le sue profonde cognizioni
linguistiche gli meritarono l'aggregazione all'Accademia della Crusca. Il P. Rcsasco recavasi nel 1761 a Roma, sua stanza ordinaria, essendo colà segretario
del P. Generale Premo!li.
(2) Di Toscana.
.
LI
VARIETÀ 219
ha compartite in Roma, cioè di mettere a’ piedi dell’Em.mo Sig. Card.
Neri (1) e dell’ Em.mo Signor Card. Andrea (2) 1’ umilissima mia
venerazione e la riconoscenza, che avrò sempre per tanta bontà,
colle quali hanno essi voluto onorar il mio soggiorno in Roma.
Finalmente offrendoLe tutta la piccolezza mia e implorando la
continuazione della prezioza sua grazia, le bacio rispettosamente
la mano, e con tutto lo spirito mi soscrivo di V. S. Ill. ma e
Rev.ma. Firenze S. Carlo 25 maggio 1761. Um.mo Dev.,mo Obb,mo
serv. Paolo Frisi ».
Con pari franchezza aveva risposto al card. Conti: « Em.mo,
R.s0o Sig. Pron Col.mo, Il veneratissimo foglio dell’Em. V. de’ 16
corr,t° mì è arrivato in un tempo, che incominciavo a pensare d’abbandonare l’affare delle acque e invece portarmi a Genova per presentare a quel Serenissimo il secondo Tomo delle
mie Dissertazioni che ora gli ho dedicato. Non solamente perchè
in mezzo alle più rette intenzioni, che ho sempre avuto d’esser
utile a tutti che mi avevano fatto entrare in quest’affare, mi vedevo assai poco fortunato; ma ancora perchè sentivo incominciate le operazioni sul tratto inferiore di Primaro, ch’ entra sostanzialmente nel mio progetto per la deviazione del Lamone,
e per l’arginatura sulla diritta, e per qualche rettificazione, che
vorrei proporre sulla sinistra per maggiormente assicurare le valli
di Comacchio. Ora prevenendomi gli ordini stimatissimi dell’ E.
V. di prepararmi per intervenire all'esame del mio progetto, io
resto pronto e disposto e pospongo ben volontieri al dovere di
servirla e ubbidirla per quanto la mia salute potrà promettermi
il naturale desiderio di ritornare all’algebra taciturna e alla quiete
dei privati miei studi. Con ciò le bacio umilmente il lembo della
sacra porpora e con tutta la maggior venerazione me le offro,
e mi soscrivo. Dell’Em.za V.a ecc. ».
Bisogna dire che le influenze di coloro che accompagnavano
il card. Conti potessero molto su di lui, il quale per tutta risposta
avvertiva il P. Frisi di incominciare a trasferirsi a Bologna in attesa di nuovi ordini: scrivevagli infatti in data del 30 maggio da
Ravenna per le Mandiole: « M. R. P.re, L’intervento di V. S.tà al-
« l'esame che si farà della sua progettata linea, dalla Bastia sino
al Cavo Benedettino, non dovrà molto trattenere in queste parti
né lungamente distrarla dalle altre sue virtuose occupazioni.
Siamo ora in vicinanza di S. Alberto per proseguire in breve
it) È il card. Neri Corsini, creato da Clemente XII (Corsini) suc zio.
{2) Andrea Corsini, cardinale dal 1735, nipote del precedente.
Cal
220 VARIETA
“
“
la visita all’insù del Primaro. V. R. potrebbe intanto trasferirsi
al suo Collegio di Bologna (S. Paolo) da dove sarebbe più a
portata di essere alla Bastia, allorchè colà ci accosteremo. Sarà
però necessario ch’ella mi faccia sapere il suo arrivo in Bologna,
in attenzione di che e delle occasioni di servirla, di vero cuore
mi confermo. Di V. P.tà ecc. n.
Un’ osservazione astronomica aveva già suggerito al P. Frisi
di portarsi nella detta Bologna, donde scriveva al card. Conti la
seguente: « Lo stimatissimo foglio dell’Em. V. dei 30 dello scorso,
=
mi fa esser ben contento d’ aver prevenuto i di Lei ordini con
portarmi a Bologna per osservare il passaggio di Venere sotto
il sole; dimani si farà nelle forme l’osservazione. Ma dopo non
saprò che mi fare trattenendomi in questa città. Oltre di ciò V.
E. ben vede che il lasciarmi osservare un piccolo pezzo della
mia. linea è lo stesso che il non lasciarmelo osservare punto.
Le sette miglia che si contano dalla Bastia al principio del Cavo
Benedettino, non riguardano che una piccola parte del piano già
concertato in Roma. Nè io potrò più parlare sulle mie proprie
osservazioni, se per tutto il tratto inferiore di Primaro e per
tutto il Cavo Benedettino dovrò attenermi alle osservazioni degli
altri. Però se V. E. mi vuole permettere di venir subito alle Alfonsine e dare un’occhiata ai luoghi già osservati a quest’ora e
accompagnare superiormente le osservazioni, riputerò una fortuna particolare il poter vedere e ascoltare quanto bisogna e terminare accademicamente la presente questione con dare in iscritto
il mio debole sentimento. Quando V. E. non lo giudicasse a
proposito, le chiederò rispettosamente la permissione di far un
breve giro per le campagne a modo mio e per mia semplice curiosità per ripassar subito gli Apennini. E in un caso e nell’altro
la pregherò con tutto il maggior calore di continuarmi sempre
l'onore dell’ alta protezione sua che imploro umilissimamente
baciandole il lembo della sacra Porpora, e con tutta la venerazione e il rispetto sottoscrivendomi della. Em. V. ecc. Bologna
S. Paolo, 5 giugno 1761 ».
Pur troppo anche questa lettera trovò inflessibili gli avversari
di Paolo Frisi, e il card. Conti non potè che confermare le determinazioni prese e a permettergli quello che a nessuno poteva essere negato. Ecco la sua lettera:
“
“
« Molto R. P.re. Ho tutto il piacere che altre cause abbiano
già condotta la P. V. in codesta città, ove quando le piacerà
trattenervisi, la renderò intesa del quando saremo per accostarci
al sìto divisato nell’altra mia del 30 scaduto. Circa l’ intervento
Di n
VARIETA 221
di V. P. all’esame della sua linea dalla Bastia al Cavo Benedettino non è variabile la determinazione presa, ed a Lei partecipata. Se però vorrà Ella per sua propria soddisfazione e arbitrio
fare in altre parti le sue ossservazioni non avrà bisogno di esser da me autorizzata, essendo libero ad ognuno di riconoscere,
esaminare l’ andamento dei fiumi, la qualità delle campagne, le
loro situazioni e declivi, nè per ciò fare dovrà incontrare ostacolo chi è dotato non meno di dottrina che di prudenza come è
la P. V. Io la informo intanto che a misura della considerazione,
che ho della virtù sua è il mio desiderio di servirLa, le auguro
per fino tutte le migliori felicità. Di V. P. ecc. Dalle Alfonsine,
8 giugno 1761 ». |
Evidentemente quanto accadeva di disgustoso per il P. Frisi
nen dipendeva dal card. Conti che con le espressioni più cortesi
procurava di rendere meno amara la delusione dell’illustre matematico. Questi dal canto suo, grato di quelle cortesie, rispondevagli nel modo più urbano, sebbene l’animo suo dovesse trovarsi in
non poca agitazione, aprendogli come avrebbe fatto coll’ amico
mons. Bottari, con tutta semplicità il proprio sentimento.
« Em.m0 e Rev.mo Principe Sig. Pron Col.mo, Ringrazio con
tutto lo spirito V. Em.? delle espressioni umanissime colle quali
mi ha voluto onorare nella sua veneratissima dell’8 del corrente.
lo veramente non avrei mai pensato a distendere qualche convenzione tra le due parti intervenute (bolognesi e ravennati), se
in occasione della casuale mia gita a Roma Nostro Signore non
me lo avesse ordinato, siccome non avrei mai pensato di inter.
venire alla visita se non fosse stato il decreto che la Sacra Congregazione ha fatto in tempo della mia assenza da Roma e che
io non ho cercato ad alcuno. Ora che quel primo decreto più
non deve aver luogo e che non serve più a nulla ch'io resti per
qualche giorno tra la Bastia e il Margone, stimo di prevalermi
della permissione opportuna che V. E. si è degnata di benignamente accordarmi. Resterò sempre con tutte le obbligazioni per
la bontà che in tante occasioni V. E. ha dimostrato di favorirmi
e per giustificarle in qualche maniera la mia riconoscenza umilissima Le spedicso il primo Tomo delle mie Dissertazioni che avevo
già destinato di presentarle personalmente quando avessi avuto
l'onore di baciarle il lembo della sacra Porpora e di mettere a’
suoi piedi i sentimenti di venerazione e rispetto coi quali mì
sottoscrivo di V. E., ecc. Bologna S. Paolo, 12 giugno 1761 ».
Le lettere conservate dal Bottari intorno a questo tratto della vita
del P. Paolo Frisi finiscono’ qui. Poichè il Verri ed altri asseGo ogle
222 VARIETÀ
riscono che l'illustre barnabita visitò i territori in questione del
Ravennate e del Bolognese, bisogna conchiudere che tal visita egli
non la facesse che per conto suo, « en amateur », mentre invece,
a termini del decreto della Sacra Congregazione che egli ripetutamente ricorda, avrebbe dovuto accompagnare il cardinale in tutta
la sua visita e in modo ufficiale. Non sappiamo quali furono i pretesti accampati dagli avversari del P. Frisi per ottenere che i terimini di quel decreto non fossero osservati, ma è certo che una
parte di responsabilità è da attribuirsi al Perelli, che, come dice
il Verri, « nella questione delle acque bolognesi non aveva preso
« quel fermo e libero partito che (il P. Frisi) sì aspettava » (I).
E’ anche certo che il Perelli nel corso della sua visita e nella
Relazione diretta « all’ Eminentissimo e Reverendissimo Signor
« Cardinal Conti sopra il Regolamento dell’ acqua delle tre Pro-
« vincie di Bologna, Ferrara e Romagna » in data del 1° febbraio 1763 (2), per compilar la quale era stato mandato a Roma e
vi si trattenne ben undici mesi, contrapponeva al progetto del P.
Frisi un progetto suo propria. ll progetto Perelli esaminato insieme
con gli altri dai matematici Jacquier e Leseur, religiosi Minimi, non
fu approvato perchè « mancante delle qualità necessarie », e per
essere il « metodo dell’esecuzione esposto a moltissimi pericoli » (3).
Ma il fatto non dispiacque per questo meno al P. Frisi, ed è naturale
che i rapporti fra lui e il Perelli non fossero più così cordiali come
prima. Tuttavia questo raffreddamento non impedì che il Frisi
sulla tomba del Perelli dettasse un opuscolo intitolato : Lettera del
Sig. Abate Frisi intorno agli studi del Sig. Tommaso Perelli, in
cui mette in giusto rilievo le benemerenze dell’amico suo nel campo
scientifico. La lettera inviata al Fabroni ed inserita nel Giornale
dei Letterati (4) è tanto più preziosa per questo che essendo il
Perelli restio per naturale indolenza (5) a dare alle stampe il frutto
dei propri studi, poco o nulla di questi noi sapremmo se non ce ne
informasse con molta diligenza il P. Frisi dimentico dei passati
disgusti.
Quella commissione circa le acque del Reno non ebbe per allora alcun effetto pratico. Il progetto del P. Frisi insieme con gli
altri per il momento non trionfò. « Tuttavolta, dice il Verri, vi
(1) Memorie ecc., p. LXxxIv, ed. 1325.
(2) Vedi BeKTOLDI, O, cit., p. 120.
(3) BeRTULDI, Op. cit., p. 121.
(4) Tomo 53°, Pisa, 1781.
(5) VERRI, Memorie ecc., p. LXxxIV.
(O ogle îi
VARIETÀ 23
a acquistò il Sig. Frisi, oltre alcune rimunerazioni una efficace
« raccomandazione del Papa in favore del Sig. D. Antonio Fran-
« cesco ‘(suo fratello minore) cui venne conferito un pingue cano-
- nicato nella Basilica di S. Giovanni di Monza » (1).
Più tardi ebbe pure la soddisfazione di vedere che, ritornandosi ad esaminare la questione delle acque del Reno, la S. Congregazione Generale delle acque con decreto del 2 giugno 1767,
in seguito a nuove consulte di detti idraulici, tra cui il P. Antonio
Lecchi della Compagnia di Gesù, parecchie idee del suo progetto
venivano accolte (2), poco al P. Frisi importando se anche qui si
dimostrava « qual sia la sorte di tutti quelli che hanno proposto
« e sostenuto qualche utile progetto in Italia; di essere contra-
« detti a principio per ogni parte e di essere appena ricordati
« quando il progetto è stato riconosciuto generalmente come
- buono » (3).
Orazio PREMOLI.
-— ————— ——-——
(1) Questo canonico Frisi è l’autore delle pregevolissime Antichità della
chiesa monzese, pubblicate nel 1794.
(2) BERTOLDI, Op. cit., p. 126 e sgg.
(3) Frisi, Opere, Milano, 1783, to. III, p. 400-401.
BIBLIOGRAFIA
Guipo Mengozzi, // Comune rurale del territorio lombardo-tosco (Saggio
di ricerche storico-giuridiche), I. Torino, Bocca, 1915, pp. 58. Estratto
dagli Studi Senesi, vol. XXXI.
La ricca fioritura di lavori dedicati negli ultimi quindici anni ai comune rurale ha portato senza dubbio molta luce sull'argomento; ma il
Mengozzi nota a ragione come, per studiarlo in modo esauriente, le
indagini si debbano estendere più che finora non si sia fatto. Ed in un
saggio, destinato a quanto sembra a servire d’introduzione ad ulteriori
scritti, si occupa appunto del problema preliminare del metodo e della
comprensione del tema.
Elementi fondamentali e costitutivi del comune rurale sono in generale il territorio, la popolazione, la parrocchia ed il vincolo giuridico;
i quali elementi tutti nondimeno ricevono, nel nuovo organismo, parziale
modificazione e novello assetto. E ciò in modo diverso a seconda che
si tratti di comunità rurali sorte su basi territoriali già antiche, o di
comunità create da quello stesso movimento sociale per cui raggiungono
le nuove guarentigie, o di colonie fondate dalle vicine città. Queste ultime, che spesso rivelano la loro origine già dal nome (Borgofranco,
Villafranca...), esigerebbero trattazione del tutto particolare. Onde l’A.
sì limita per ora a considerare i primi due tipi.
I comuni del primo gruppo (ad es. Arliano nel Lucchese) sono contraddistinti dalla presenza di una pieve, e questa appare generalmente
fondata (dal III o IV secolo dopo Cristo) su di un ben più antico organismo civile, il fago. L’A. si diffonde qui a lungo sulle circoscrizioni
pagensi, anteriori a suo credere alla stessa dominazione romana sulla
penisola. Per ciò che concerne l’organizzazione del pago, non v’è soluzione di continuità fra l’evo antico ed il medio: persistono anche sotto
le barbariche dominazioni le terre comuni (conciliaricia, interconciliaricia,
viganalia, communia), il vincolo giuridico fra domini e vicini (usus terrae, loci consuetado, fabula), persiste sinanco l’ antica interdizione del
vicino trasgressore, sotto il nome di fadw/e pagana. Sopravvisse altresì
nel medio evo qualche secolare confederazione di fagi, o conciliabulum:
tale il Frignano e verosimilmente la Garfagnana.
(O ogle °
BIBLIOGRAFIA 225
L’A. aggiunge che, nell'Italia settentricnale, il pago resistette vittoriosamente anche al latifondo. Antichi latifondi suddivisi in pievi corrispondenti agli originari pagi sarebbero, a suo avviso, la Martesana e
la Bazana. Temiamo, a dir vero, che qui il Mengozzi abbia interpretato
in senso troppo largo certe ipotesi cautamente esposte dal Riboldi nel
suo studio su £ contfadi rurali del Milanese, edito in quest’ Archivio nej
1904. Se anche esistettero nell’ età romana, come è ben probabile, dei
fundi marteciani, nulla dimostra che essi abbracciassero tutto quel distretto a cui secoli più tardi appare estesa la denominazione; ed ancor
più problematici sono i limit], recenti e remoti, della Bazana.
Senza insistere su questo particolare argomento, notiamo come
l'autore richiami pure opportunamente l’ attenzione sulla zona deserta
(ager arcifinius) che spesso circondava il territorio di un’ antica civilas.
Questi tratti incolti, divenuti poi demaniali, avrebbero agito nell’ età
di mezzo come valvola di sicurezza contro la pressione delle incursioni e delle ripetute divisioni e suddivisioni di terre fra gli invasori.
L'ager comfascuus o arcifinius dovette pure servire di frequente ai sovrani come riserva per concessioni di beneficî ai loro fedeli ed ai loro
ufficiali, tanto più che simili zone solevano essere attraversate da in:-
portanti strade.
Concludendo su questa prima parte, la tenace persistenza delle circoscrizioni romane sembra fuori di dubbio, cosicchè nulla vieta d’ammettere che non pochi comuni rurali trovassero non diciamo il loro
germe, ma se non altro la loro base territoriale nell'antico pago o nella
pieve che lo continuava.
Altri sorsero invece, come si è detto, dallo stesso movimento impetuoso dell'età comunale. A tale proposito l’ autore si rifà molto addietro, e, ripetendo in parte cose ben note, considera il crescere, i[
suddividersi, il disgregarsi delle famiglie marchionali, comitali, vicecomitali, nonchè il sorgere di speciali consorzi gentilizi fra i discendenti
ed eredi di singoli capostipiti. Più nuove sono alcune sue acute osservazioni sulle sedi dei grandi possessi feudali ed ecclesiastici, sul castello
e sugli oneri di costruzione e difesa di forti imposti ai dipendenti, su
districtus e sulle prestazioni. Intorno ad ogni castello si formava un
piccolo esercito permanente, reclutato fra individui di condizioni sociali
diverse, non esclusa la servile; e questa classe di mi/iles, sebbene inferiore a quella dei sslifes propriamente detti, ebbe poi un’importanza
decisiva nell'origine e nella vita del comune, in seguito al processo di
dissolvimento delle organizzzioni comitali. Indeboliti gli ordini superiori,
sì presentò necessariamente, a guarentire la pace della popolazione,
un’altra classe o meglio una moltitudine organizzata; e da questa
sbocciò il nuovo ordinamento comunale. Tale la conclusione del Mengozzi. alla quale si può forse solo obbiettare una soverchia generalita.
La preesistente organizzazione della corte signorile, la parrocchia,
l'influsso suggestivo o direttamente attivo del comune cittadino furono
poi fattori i che determinarono l’ordinamento e, per così dire, la forma
Go ogle
226 BIBLIOGRAFIA
di governo del comune rurale. E fra questi fattori il secondo sembra a
noi, come ad altri, particolarmente notevole. Lo stesso Mengozzi infatti
avverte a ragione che “ dall'assemblea generale dei vicini davanti alla
“ chiesa alla nomina degli ufficiali pubblici, si ritrova, in tutte le mani-
“ festazioni di attività sociale e giuridica del comune costituito, un’imi-
“ tazione precisa delle forme e dei sistemi ecclesiastici, che riproduce-
“ vano in gran parte, alla lor volta, gli ordinamenti del periodo aureo
“ del governo di Roma ,.
Speriamo che su questo punto come sn altri (che avremmo avuto
caro veder sin d’ora più largamente trattati, anche con rinuncia a digressioni per avventura supe: flue su temi collaterali) il dotto e valente
autore abbia presto occasione di ritornare in quella più ampia trattazione, che gli verrà agevolata dal materiale già raccolto sulla campagna
italiana nel medio evo.
GIOVANNI SEREGNI.
Versa Ettore, I Consigli del Coniune di Milano, note storiche. Estratto
dali’ Annuario storico statistico del Comune di Milano, Milano, Stucchi
e Ceretti, 1914, in-8 gr. con 18 ill. c 51 pp.
Le origini del Consiglio del Comune si possono ricercare nella generale assemblea cittadina adunatasi nel 1045 per l'elezione dell’arcivescovo al sorgere del Comune stesso, assemblea rimasta depositaria del
potere per lungo vo!gere di anni e dalla quale dipendeva l’elezione dei
Consoli, del Podestà, degli altri magistrati comunali e l’ approvazione
degli Statuti. Raccoltasi dapprima nel Teatro romano, indi in varie
chiese, dopo il 1233 fu convocata nel Palazzo della Ragione, allora costruito, in piazza de’ Mercanti. Riuscendo incomodo e difficile il riunire
tutti i cittadini l'arengo od assemblea generale non si radunò più che
per argomenti di sommo momento : per trattare gli altri il podestà sceglieva ugni anno ottocento cittadini, che venivano interrogati in misura
più o meno ampia a norma dell'importanza degli oggetti da discutere:
il Consiglio, oltre attendere all’amministrazione del Comune, faceva affermazioni solenni di sovranità riconoscendo nel 1128 Corrado imperatore ed eleggendo Pagano della Torre capitano del popolo allorchè
nacquero le fatali discordie fra nobili e popolani. Questa nuova magistratura, che doveva lentamente trasformarsi nella signoria assoluta,
rispettò l'antica forma repubblicana malgrado Torriani e Visconti andassero accentrando ogni potere ed il Grande Consiglio si continuò a
radunare con una certa frequenza, ma ispirando le proprie deliberazioni
ai desideri dei nascenti signori e più che altro per ratificare decisioni
gia presc. Così nel 1294 il Consiglio insisteva presso Matteo Visconti,
capitano del popolo, perchè accettasse l'ufficio di vicario imperiale, che,
abilmente riluttante, non voleva ricevere dall'imperatore. Fu tra il 1317
ed il 1330 che fu apportata una riforma radicale all’ antico consesso,
poiche il 14 marzo di quest’ ultimo anno il podestà Guiscardo de GruGo ogle — °
BIBLIOGRAFIA 227
melio ordinava ai novecento cittadini del Consiglio Generale di radunarsi nel palazzo civico per conferire il potere ad Azzone Visconti, che,
malgrado il già avvenuto consolidamento del dominio della sua casata,
veleva riceverlo dalla rappresentanza popolare e per confermare e
pubblicare alcuni statuti, che sono il primo codice della giurisorudenza
n'ilanese dopo le molto rudimentali Consue/udiui del 1216. Questi novecento, nonostante il silenzio dei documenti in proposito, pare venissero
eletti dai capo-famiglia delle singole parrocchie: come vedenmo erano
convocati dal podestà, che in presenza deil’ affermarsi della signoria
aveva perduto il carattere di capo del Comune non conservando che
il potere giudiziario nel medesimo pur essendone però sempre il prinpale magistrato.
li verbale di quella solenne seduta, il più antico ed uno dei pochissimi sfuggiti all’azione deleteria del tempo, conservato nel nostro Archivio Storico Civico, ci rivela come avvenivano le discussioni e l’altro
del 1349, nel quale è registrato il riconoscimento a signore di Milano
deli’arcivescovo Giovanni Visconti dopo la morte di Luchino, riveste
un'importanza peculiare perchè determina il diritto di successione ereditaria nella famiglia dei Visconti, dichiarando che, dopo la morte di
Giovanni, la signoria dovesse passare alla discendenza mascolina di
Matteo. Come si vede era un'ultima larva di sovranità popolare rispettata dallo stesso Gian Galeazzo quando nel 1395 fu dall'imperatore
Venceslao investito dell’autorità ducale: ma sotto il governo di lui, organizzatore mirabile, avviene la distinzione fra i due poteri politico ed
amministrativo, sino ad allora confusi. Negli Statuti promulgati nel 1339
il vicario ed i XII di Provvisione, che già appaiono in un documento
del 1272, figurano nominati direttamente dal principe; erano, cosa notevole, muniti d’ indennità per ogni giorno di residenza in ufficio ed il
vicario veniva scelto, sino alla riforma avvenuta all’inizio del sec. XVI,
tra i forestieri affinchè fosse estraneo alla consorteria ed agli interessi
locali. Il Tribunale di Provvisione, che aveva dunque attribuzioni meramente amministrative, risiedeva nel palazzo di piazza de’ Mercanti
verso il Cordusio e da quegli anni incominciano le ordinazioni conservate nell-Archivio Storico Civico in bella serie, dalle quali si rileva
come questo corpo amministrativo si possa in qualche modo paragonare
alla nostra Giunta Comunale, ma con attribuzioni più vaste, esercitando
pure il potere giudiziario nelle cause interessanti l’amministrazione civica e con giurisdizione più larga estendendosi essa non solo alla città,
ma altresì al ducato. Il Consiglio dei Novecento negli Statuti del 1396
appare eletto dal duca nel concorso del Tribunale di Provvisione, il
quale ultimo però veniva ordinariamente delegato a farne la nomina
dal principe: i consiglieri dovevano avere più di venti anni, essere dei
migliori cittadini e rimanere in carica un anno o più a beneplacito del
duca: dal Consiglio era escluso il clero e ne facevano invece parte di
diritto i giureconsulti, i siilifes, i notai addetti agli uffici degli Statuti
del Comune.
228 BIBLIOGRAFIA
Giovanni Maria Visconti ridusse il consesso a settantadue membri,
dodici per ciascuna porta della città, col probabile intento di rendere
più attiva l’opera della rappresentanza cittadina e di stringere sempre
più i suoi vincoli col potere esecutivo, che risiedeva nel Tribunale
di Provvisione ; ma il successore di lui, Filippo Maria, ripristinò i Novecento, che alla morte sua vennero adunati nel primo anno della Repubblica Ambrosiana per confermare l’elezione dei Capitani e Difensori
della Repubblica stessa e quindi per respingere le proposte di pace
messe avanti dalla Serenissima. e per autorizzare prestiti sui beni del
Comune per la prosecuzione della guerra. Nessun segno di vita invece
il Consiglio dà durante il governo di Francesco Sforza e raramente appare convocato sotto il dominio di Galeazzo Maria e di Lodovico il
Moro: assume solo importanza durante il ducato di Massimiliano Sforza,
che a compensare i gravi sacrifici imposti alla cittadinanza per soddisfare le esigenze degli Svizzeri concesse nel campo amministrativo riforme, che il Verga giustamente definisce d’una liberalità incredibile
per que’ tempi. Concesse cioè ai cittadini milanesi di eleggere centocinquanta elettori, i quali alla lor volta dovevano nominare i XII di
Provvisione ed il vicario, che pure per l’innanzi sarebbe stato scelto
fra i milanesi, Coll’avvento dei francesi il vicario rimase di nomina del
principe, che lo doveva prendere da una terna proposta dai Centocinquanta, ai quali però rimase la nomina dei XII di Provvisione: alle sedute del Tribunale interveniva un regio luogutenente. Fino al 1518, e
cioè fino alla riforma, che prende nome dal Lautrech, il Grande Consiglio della città conservò un carattere schiettamente democratico, come
appare dagli elenchi de' consiglieri, davvero preziosi per lì’ onomastica
milanese, dai quali si rileva la cordiale collaborazione delle varie classi .
sociali nell’amministrazione della pubblica cosa.
È colla riforma del Lautrech che il Consiglio assume carattere aristocratico: i Centocinquanta istituiti da Massimiliano Sforza sono ridotti
a sessanta scelti dal Lautrech fra i membri delle principali famiglie
della nobiltà milanese devote ai francesi coll’unico mandato di eleggere
il Tribunale di Provvisione lasciando in teoria sussistere il Consiglio
dei Novecento. Ed il Tribunale di Provvisione talora spontaneamente
convocava il corpo de’ sessanta suoi elettori per averne l'avviso intorno
a questioni di pubblico interesse così che venne diffondendosi il concetto che i sessanta rappresentassero l’antico consiglio de’ Novecento,
concetto giuridicamente affermato poi nelle Nuove Costituzioni di Carlo V.
Questo Consiglio dei LX, detto ormai dopo il 1541 Consiglio Generale
o Cameretta, va a poco a poco assumendo i suoi caratteri ed i suoi
poteri e l’ ufficio de’ componenti suoi, detti decurioni, va diventando
perpetuo e quasi ereditario. La Cameretta man mano riunisce in sè le
più elevate funzioni dell’amministrazione civica e diventa l’ organismo
I —
BIBLIOGRAFIA 229
cittadino più potente dopo il Senato, così da tenere in via stabile una
ambasciata a Madrid e nel 1635 crea la Milizia Urbana, che doveva
servire alla difesa della città e che era composta di seimila militi reclutati fra i diciotto ed i cinquant’anni, divisi tn sei Terzi o reggimenti
comandati ciascuno da un Maestro di Campo: è la guardia nazionale
sorta, come si vede, assai prima di quanto comunemente si opina e
dèstinata a rendere grandi servigi ne’ tempi di guerra e nelle pubbliche
calamità riunendo essa tutte le classi sociali all’intento di farle collaborare al comune vantaggio, indice sicuro, dice il Verga, di quello spirito
onesto ed attivo, che operò sempre anche sotto l'oppressione spagnuola.
E della Cameretta l’A. tesse l’elogio ricordandone l’azione energica sopratutto nel ristabilire l’industria ed il commercio, così spaventosamente
decaduti, coll’istituzione del Supremo Consiglio di Commercio, il quale
servì a vincere i pregiudizi, che ostacolavano ogni opera di riforma e
e di progresso. Con Giuseppe II nel 1784 viene istituita la Congvegasione di Patrimonio composta di diciotto membri, de’ quali parte doveva
appartenere alla borghesia, tutta da eleggersi dal Governo su terna
presentata dal Consiglio Generale: è un’ affermazione di principio democratico, che riconduce 1’ amministrazione cittadina alla primitiva
forma: essa veniva a sostituire la Congregazione dei Conservatori del
Patrimonio, che provvedeva al disbrigo degli affari comunali, che non
fossero dell’anno in corso e che era scelta in seno al Tribunale di Provvisione. Fu nel 1786 che s’addivenne ad una riforma generale, che s’associava a quella dell’amministrazione delle provincie lombarde, ne’ capoluoghi delle quali venivano costituite altrettante Congrazioni Municipali presiedute da prefetti. Nella Congregazione di Milano il Prefetto
sostituiva il vicario, di cui conservava gli eccezionali trattamenti onorifici ed era coadiuvato da otto assessori, de’ quali tre appartenenti
alla borghesia eletti direttamente dal Governo, anzi che dalla Cameretta,
ma qualche anno dopo Leopoldo II ricostituiva la Congregazione Municipale ripristinando l’ufficio di vicario di Provvisione, che fu affidato
a don Francesco Nava, l’ultimo della serie, che dovette poi rimettere
il potere nelle mani dei rappresentantt della rivoluzione.
Nel 1796 per opera del Bonaparte entrava in carica la nuova Municipalità ed era chiamato a presiederla il Serbelloni, che col Visconti e
col Porro rappresentava la piccola frazione del patriziato convertita
alle idee yepubblicane. Ne facevano pure parte il Verri ed il Parini;
l’azione coraggiosa di quest’ultimo contro le intemperanze della demagogia inperante ben presto lo costrinse a lasciare sdegnosamente le
aule del Comune. Durante la prima Repubblica Cisalpina (1797-1799)
veniva costituita una nuova Municipalita composta di ventotto membri,
della quale facevano parte, tra gli altri, il marchese Giulio Beccaria, il
pittore Albertolli, lo storico Pietro Custodi ed il celebre medico Paletta:
Arch Stor. Lomb., Anno XLIIT, Fasc. I-II. : 141
GO ogle
230 BIBLIOGRAFIA
era essa la magisiratura popolare destinata a servire d’unione tra governanti e governati. Colla ristaurazione austriaca del 1799 abbiamo
una nuova amministrazione civica denominata Congregazione Delegata
per la città e provincia di Milano, composta di persone d’incontestabile
competenza amministrativa, ma devote all’antico regime e presieduta
dal Nava, l’ultimo dei vicari di Provvisione, col titolo di prefetto e regio delegato. La Congregazione Delegata durò fino al maggio del 1800,
quando, avvicinandosi l’esercito del Bonaparte, fu sostituita da una
Reggenza di sette membri investita di tutti i poteri in nome dell’imperatore d'Austria; ma il Bonaparte abolì la Reggenza e nominò l’.4wmministrazione Municipale e Dipartimentale d' Olona a lato della quale
stava un commissario governativo. Colla legge 24 luglio 1802 la Repubblica Italiana istituì il Consiglio Comunale, che aveva un presidente e
che eleggeva la Municipalità composta di nove membri, la quale si costituiva il 25 ottobre dello stesso anno. Durante il regno d’Italia modificazioni sostanziali erano introdotte, e, pur lasciandosi sussistere-i consigli comunali, si concentravano nel podestà le funzioni attribuite già
alla Municipalità, riservando ai sei Savi di deliberare sugli argomenti
portati alla loro discussione dal podestà medesimo, il quale non dirigeva le adunanze del Consiglio Comunale, che aveva un proprio presidente: a podestà fu eletto il conte Antonio Durini, che a lungo ed
in varie riprese resse le sorti del Comune.
Colla seconda dominazione austriaca ha luogo un’altra riforma fondata sul principio, già inaugurato da Maria Teresa, che la rappresentanza civica doveva essere costituita da tutti gli estimati del Comune:
dei sessanta consiglieri assegnati a Milano due terzi dovevano essere
scelti fra i possidenti estimati almeno per duemila scudi, il resto fra
industriali e commercianti; l'accettazione del mandato obbligatoria. I
Consigli venivano convocati da un regio delegato. ed il potere esecutivo risiedeva nella Congregazione Municipale composta dal podestà,
eletto dal sovrano su terna proposta dal Consiglio, e da sei assessori,
quattro possidenti estimati e due negozianti. Agli ultimi di settembre
il podestà conte Cesare Giulini, che era successo al Durini, ritornava
a capo della rinnovata amministrazione, della quale facevano parte
membri delle principali famiglie del patriziato ad i rappresentanti delle
più cospicue ditte dell’industria e del commercio cittadino. Siamo ormai
vicini allo spiegarsi delle aspirazioni nazionali, che si formano e si concretano durante la podesteria del conte Gabrio Casati, il cui governo
culmina nel fortunoso periodo delle Cinque Giornate e che lascia poi
il posto a don Paolo Bassi, il quale diede prova d’ illuminato civisme
assumendo le redini del Comune in uno dei più difficili momenti e lasciò
dopo pochi mesi l’ ufficio ingrato sostituito dal Pestolazza, eletto dal
Go ogle
BIBLIOGRAFIA —. 231
Radetzky, che provvide d’autorità a costituire |’ amministrazione cittadina di fronte ai reiterati rifiuti degli eletti dal Consiglio, facendo così
svanire anche questa tenue larva di sovranità della rappresentanza
comunale. AI Pestolazza succedeva nel 1856 il conte Giuseppe Sebregondi, ultimo podestà di Milano nominato dal governo austriaco.
La storia della nostra civica magistratura dal 1859 in poi è storia
troppo recente perchè l'A. s'abbia ad indugiare troppo a ricordarla: il
6 giugno 1859, all'indomani del solenne plebiscito di Milano, la Congregazione Municipale, data l’eccezionalità del momento, s’aggregava come
collaboratori straordinari Alessandro Porro, Giovanni d’Adda e Cesare
Giulini, abiatico dell’antico podestà; così, dice il Verga «i cittadini rap-
« presentanti dell’ antico regime tendevano le braccia ad uno de’ più
« fulgidi campioni del patriottismo lombardo, ad uno de’ più attivi pro-
« pagatori dell'idea nazionale durante il decennio » e Vittorio Emanuele II chiamava all’ ufficio di podestà il conte Lodovico Barbiano di
Belgioioso. Nell’anno successivo venivano indette le prime elezioni amministrative in base alla nuova lista elettorale ed il 1° febbraio s’insediava il nuovo Consiglio, da cui usciva l’amministrazione Beretta, alla
quale la Milano nostra deve l’impulso iniziale alla sua rifioritura economica ed edilizia.
Ettore Verga, che per le particolari attitudini e per la ragione dell'ufficio coperto meglio d’ogni altro era indicato a tessere la storia della
rappresentanza civica, ha assolto degnamente l’assunto con questa suo
studio, che si legge con vivo interesse nell’Annuario sforico-stalistico
del Comune di Milano dell’ anno 1914, studio commendevole anche ne’
riguardi dell’iconografia de’ recenti ed anche de’ meno remoti amministratori deila città. E giacchè abbiamo accennato a questo non ultimo
pregio del lavoro del chiaro direttore del nostro Archivio Storico Civico
non possiamo trattenerci dall’esprimere un desiderio, che crediamo largamente condiviso da quanti professano il culto per le antiche memorie
cittadine e cioè che ai ritratti dei podestà, con tanta cura ed amore
riprodotti dal Verga, s'aggiungano in opportuna raccolta quelli dei
vicari di Provvisione, la cui serie non sarebbe troppo difficile ricostruire con diligenti indagini presso le famiglie del nostro patriziato,
delle quali sono usciti gli antichi capi della rappresentanza cittadina.
ALESSANDRO GIULINI.
Go ogle
232 . BIBLIOGRAFIA
Cesare Manaresi, ZI Registri Viscontei, Milano, Palazzo del Senato.
MCMXV, (Orvieto, tip. M. Marsili), in-4 gr., pp. LIT-172 con una
fototipia.
Il volume, in signorile e severa veste tipografica riproducente sulla
copertina e nel frontespizio l’artistico stemma visconteo che fa parte
del monumento di Azzone Visconti conservato presso il principe Trivulzio e intercalato di un fac-simile con belle miniature della prima
pagina del registro n. 2 (Elias C.), si apre con una sobria e significativa
dedica del sovrintendente conte comm. Luigi Fumi al Ministero dell’Interno, e con una dotta prefazione del dott. Cesare Manaresi alla cui
attività e intelligenza si deve il lavoro.
La prefazione ci mostra il largo e pro ondo studio dell’autore nel
preparare e condurre a termine il lavoro. Se è interessante per quello
che ci narra intorno all'opera spiegata da Francesco Sforza per il ricupero degli atti de’ suoi predecessori, spinto dalla necessità di rintracciare le carte o le copie di esse per poter ben governare lo Stato,
poichè, come è noto, l’archivio visconteo conservato nel castello di
porta Giovia andò distrutto alla morte di Filippo Maria, ed alle vicende
storiche dei registri, lo è in particolar modo per le notizie che, nel
preparare il volume e nel disbrigo dei doveri d’ufficio, ha potuto raccogliere sui notai che rogarono per i Visconti da Azzone a Filippo
Maria, e per averci fatto conoscere altri quindici tascicoli, già riuniti in
un registro e poi divisi e sparpagliati per le varie sedi dell’archivio,
i quali contengono il sunto e talvolta la copia di atti viscontei politicamente assai importanti, e rimasti finora sconosciuti agli studiosi. E’
questo, nota giustamente il Manaresi, uno dei risultati più manifesti e
più soddisfacenti dell’opera che si va compiendo nell’ archivio di Stato
in Milano per la reintegrazione dei fondi. E a proposito del quarto
fascicolo, che si riferisce ad atti rogati dal notaio pavese Giovanni
de Oliariis, lA. ha trovato modo di discutere sulla data del celebre
testamento di Gian Galeazzo Visconti e venne a conchiudere, dopo
acuta disamina, che quel testamento fu rogato da Giovanni de Oliariis,
principale rogatario, e da Andriolo de Arisiis, rogatario in sottordine,
tra il 26 novembre 1399 e il 30 giugno 1400, e ciò contro quanto ebbe
ad affermare l’Osio che l’attribuì al 1397.
I registri inventariati sono diciasette: i primi otto appartengono
a Catelano de Christianis (il primo e il secondo sono copiari, il terzo
copia di copiario, rl quarto, il quinto e il sesto copiari, il settimo e l’ottavo breviari), e susseguentemente due a Donato de Cisero de Herba
(copia di imbreviature), tre a Gian Francesco Gallina (breviari), due a
Lorenzo de Martignonibus (copia di imbreviature), e gli ultimi due sonò
fascicoli cancellereschi, e perciò di natura affatto diversa sebbene anche
questi racchiudano atti di grande importanza. Sono registri originali
dell’epoca viscontea i cinque copiari di Catelano de Christianis, i quali
appartennero alla cancelleria dei Visconti; sono formati di fascicoli pure
7 7
BIBLIOGRAFIA 283
dell’epoca viscontea, ma riuniti insieme a registro in un tempo poste»
riore, i breviari del medesimo e quelli di Gian Francesco Gallina; sono
copie di imbreviature notarili eseguite al tempo di Francesco Sforza
quelli che recano gli atti di Donato de Cisero de Herba e di Lorenzo
de Martignonibus; e del secolo XVI la copia del copiario, oggi perduto,
di Catelano de Christianis. Va notato inoltre che Catelano de Christianis e Gian Francesco Gallina furono notai e segretari di corte e rogarono esclusivamente pel duca; furono invece notai pubblici e rogarono
contemporaneamente per la corte e per i privati Donato de Cisero
de Herba e Lorenzo de Martignonibus.
I diciasette registri contengono complessivamente ben 1566 atti che
vanno dal 1372 al 1447. Ad ogni registro si premette la rispettiva
descrizione, e di ciascun atto, colla data di tempo e di luogo, vien dato
un breve ma compiuto sunto, senza trascurare gli atti inserti, riproducendo, quando non erano monchi od errati, i titoli quali erano nel
registro, formandoli in lingua italiana negli altri casi. Per la forma diplomatica gli atti contenuti nei registri, anche quando sono redatti da
notai di corte, non si allontanano dagli atti notarili fra privati, coi quali
hanno in comune, tranne forse un’unica eccezione, lo stile “ a nativitate ,
e l’indizione costantiniana. Segue in appendice la descrizione degli atti
di tre copiari, oggi perduti, del notaio Catelano de Christianis, dei quali
finora nessuno ebbe notizia. Il volume si chiude opportunamente con
un indice cronologico e con un repertorio alfabetico. Riguardo alle
indicazioni bibliografiche, per ciascuuo dei documenti, il Manaresi credette bene di astenersi, perchè tranne in casi sporadici, non avrebbe
dovuto fare altro che ripetere sempre gli stessi nomi di L. Osio e di
G. Romano.
Il volume, a differenza dei noti lavori dell’Osio, del Romano, e
della Società Storica Lombarda aventi uno scopo storico, è d’indole
essenzialmente archivistica, ed è di così evidente importanza che non
val proprio la pena di spendere parole in proposito. Tutti coloro ì qualì
hanno rapporti di studio col grande archivio milanese non potranno a
meno di accoglierlo con soddisfazione, perchè se faciliterà agli archivisti
le ricerche interne, non sarà di minore utilità come guida agli studiosi
ai quali fornirà inoltre facile e copiosa inesse di notizie. “ A ben poco,
“scrive il Fumi, servirebbero gli archivi senza buoni inventari e questi,
"una volta fatti, a pochi giovano se non vengono resi di pubblica
“ragione. Tanto più utile ne sarà la divulgazione, quanto meglio varrà
‘“sia a fornire i dati sicuri della consistenza totale delle serie, come
‘cogli inventari sommari o generali, sia a riassumere i titoli o la sostanza
“degli atti singoli, come con gli inventari descrittivi e gli analittici ,.
Pertanto questo primo volume della serie dei Aegesti e Inventari ci fa
vivamente desiderare gli altri aventi con esso relazione: in tal modo
avremo la pubblicazione sistematica degli avanzi dell’archivio visconteo,
opera archivisticamente buona e di grande vantaggio agli studi.
Dal 1908 vi è nel Palazzo del Senato una silenziosa e fervida opeGo ogle
234 BIBLIOGRAFIA
rosità di riordinamento del vasto materiale colà accumulato, applicandovi il principio scientifico delle provenienze. Si tratta, in altre parole,
di far ritornare le carte nelle loro serie originali, scomposte coll’ arbitrario sistema peroniano, come vuole la ragione storica. Lavoro lungo,
paziente, irto di difficoltà che richiede gran cautela e particolari cognìzioni, per non dover poi, in dati casi, rifare un lavoro già fatto. Certamente che il sistema peroniano, colle sue classi artificiali e colle sue
voci copiose, dà a prima vista il senso di una pronta e facile praticità
nell’uso quotidiano delle ricerche, ma è un’illusione perchè ha il gravissimo ed insanabile difetto di aver scompaginato i fondi originari, dove
le carte si richiamano e si illustrano a vicenda. Le carte così distaccate
vengono a perdere il nesso logico coi loro correlativi, potendo riuscire
talvolta a dare di un fatto un concetto monco od errato, mentre è soltanto su una completa ed esatta conoscenza delle fonti che si fondano
gli studi storici, che non vogliouo essere facili ed incompleti articoli di
notizie o di curiosità storiche e genealogiche. Perciò siamo convinti che
il sovrintendente Fumi, assecondato da un’eletta schiera di valenti collaboratori, lascerà nell’Archivio di Stato in Milano un’orma di vera e
auratura benemerenza.
R. BERETTA.
FERORELLI N., Gli ebrei nell'Italia meridionale dall’età romana al secolo XVIII. Torino 1915, in-8, pp. xxn-258.
Gli studî di storia delle colonie israelitiche in Italia, tanto utili per
la conoscenza delle condizioni economiche nell'età di mezzo e nel periodo del rinascimento, sono ora molto in onore. In generale però, specialmente per il mezzogiorno, essi si restringono a monografie locali, o
a indagini su brevi periodi storici. L’ A. ha avuto il merito di darci
un’organica storia degli ebrei nelle province d’Italia meridionale, fino
al secolo XVIII, sfruttando accuratamente lavori particolari e qualche
opera più lata (quella, per esempio, dei Pisano-Verdino e lo studio del
Tamassia sulle colonie giudaiche fino all’epoca sveva) e ciò coordinando
su copioso materiale di notizie derivate direttamente da documenti degli
archivi di Napoli e di Milano e di biblioteche napoletane. ll ricchissimo
materiale inedito dà molto pregio all’opera, che si raccomanda anche
per ordine, chiarezza e facilità di esposizione.
. Riassunta l’opinione corrente sull’epoca in cui gli ebrei presero stabile dimora nell'Italia meridionale (nello stesso tempo che a Roma, cioè
dopo l’espugnazione di Gerusalemme fatta da Pompeo nel Gg av. Cristo)
PA. nota l'isolamento che li caratterizza da altre comunità, e la tenace
conservazione del tipo arcaico. Nel sec. VI gli ebrei di Napoli dànno la
misura della floridezza raggiunta da alcune colonie, mostrandosi fra i
principali artefici della resistenza a Belisario: nè variano molto le condizioni loro sotto i greci e i longobardi. Poco si sa delle colonie giudaiche
Go ogle
BIBLIOGRAFIA 235
nei quattro secoli seguenti e al tempo della Signoria normanna: migliorò
senza dubbio il loro stato economico, tantochè nel sec. XIII pagavano
il 5“ celle imposte dello Stato. Passate le giudeche alle dipendenze degli
episcopii, si turbò la tranquilla esistenza degli ebrei, sì da impensierire
Enzico VI e Federico II, che ne limitarono i tributi, vietarono di molestarli e di estorcere loro danari: il secondo specialmente intuì la speciale funzione che essi potevano avere nella vita finanziaria del paese;
si che dal tempo suo gli ebrei cominciano ad essere in realtà i banchieri ufficiali del regno. Gli angioini invece, secondando nel clero il
riacceso ardore per le conversioni, richiamarono persino in vigore il
c.stume obbligatorio su quanti professavano la “ iudaica obstinatione ,.
Il principio del sec. XVI segna il limite massimo delle persecuzioni
contro le colcnie giudaiche, costrette ad asserragliarsi nelle case durante la settimana di passione. Re Roberto e Giovanna I iniziarono
un'opportuna azione di difesa, che continuò sotto Ladislao e Giovanna Il,
1 qgvali fissarono anche l'interesse legale; enorme (40 e 50 per cento) e
pur tuttavia accolto con viva soddistazicne, per le misere condizioni
d'allora. Ma la crescente prosperità degli ebrei provoca leggi restrittive,
abrogate poi per l’utile funzione economica di banca che le giudeche
esercitavano nello stato. Alfonso I d’Aragona fu veramente amico e
pictettore degli ebrei: tantochè anche numerosi lombardi (ricordiamo
due nomi noti nella storia giudaica, Graziadio e Maestro Jacob) si recarono nel regno di Napoli, diventato per gl’israeliti il più ospitale paese
d'Europa. Il re interponeva pure i suoi uffici presso il duca e la duchessa di Milano, per mezzo di Cicco Simonetta, a favore di Consiglio
epreo di Pavia, in causa con Leone di Lodi, per « certi cunti del banco
elcre in Milano »; la duchessa di Calabria raccomandava alla duchessa
di Milano sua madre un Macstro Vitale ebreo, suddito carissimo e fecele; e supplicava poi il duca di esentare Benedetto da Cremona da
paganierti d’imposte.
L’A. esamina minutamente le condizioni di vita degli ebrei meridional: nella seconda metà del quattrocento: distingue la gindeca dal ghetto,
ricstra l’organizzazione delle giudeche, colla sinagoga la scuola e il
cmiterc; si.occupa delle discipline e specialmente delle lingue straniere
insegnate (sotto una certa vigilanza ecclesiastica) nelle scuole ebraiche;
e finaimente tratta dei maestri del culto, degli uffici civili, degli schiavi
e deila costituzione famigliare ebraica. Un capitolo a parte è dedicato
alle professioni, alle arti, alle industrie e al commercio (notevole l’attività giudaica nell’arte e nel commercio del libro); ed accurate indagini
c’ illustrano l’occupazione preferita dai più, ‘usura: le licenze dei banchi,
i tassi di sconto, la forma, le condizioni del prestito su pegno o senza
pegro, e perfino i tentativi di fondar società a fine di monopolizzare
ll prestito.
Meno importante, perchè meno nuova, ma non priva d’interesse, è
la parte del libro che tratta delle relazioni fra cristiani e ebrei sotto
gli aragonesi e specialmente dopo di loro: storia di persecuzioni e di
Go ogle
236 BIBLIOGRAFIA
saccheggi miserevoli, che culminano dopo la calata di Carlo VIII, fino
ad arrivare al famoso decreto d’espulsione del I510, susseguito da un
altro, più ampio, nel 1541.
I secoli XVI e XVII si caratterizzano per una sistematica ed implacabile caccia ad ebrei e ad ebraizzanti; e la fortuna loro parve solamente risorgere sotto Carlo di Borbone, che nel 1740 bandiva un invito
agli ebrei di qualunque luogo, perchè si portassero nel regno, assicurando loro notevoli libertà ed ampii privilegi. Disgraziatamente, l’opera
del re fu ostacolata su ogni verso: ai primi ritorni di famiglie ebraiche
seguirono nuovi e più dolorosi esodi; e solo col 1830 può dirsi che le
colonie ebraiche si ristabilirono definitivamente nel napoletano.
A.C.
GaLtLoni P., Sacro Monte di Varallo, Varallo, tip. Zanfa, 1914, in-8, con
ill, 2 tav. e 415 pp. -
Fu verso il 1481 che il padre Bernardino Caimi, milanese, di cui
PA. ha pubblicato anni sono la biografia, veniva autorizzato con rescritto
pontificio ad accettare la donazione del Monte e del convento in Varallo
fattagli dalla Vicinanza Varallese. Il Caimi, secondo la tradizione, aveva
portato da Gerusalemme una croce formata da legni di que’ paesi, che
formò oggetto di venerazione nella maggiore cappella del Sacro Monte.
Il Galloni passa in rassegna le varie cappelle antiche e colla scorta
de’ documenti le riporta alla forma originale ideata dal fondatore, che
aveva seguito l’ ordine dei fatti della passione del Salvatore, quali si
sono svolti ne’ Luoghi Santi, ed esamina le opere di pittura e di scoltura e particolarmente quelle di Gaudenzio Ferrari, che segnano la
fase più attiva e gloriosa dello svolgimento artistico del monumento.
Il secondo periodo è invece legato al nome del gentiluomo milanese
Giacomo d’Adda, che unitamente alla moglie sua Francesca Scarognini
fondò il seminario di Varallo, fece erigere a sue spese la cappella della
Creazione e formare il grandioso progetto contenuto nel Libro dei Mi
sferi, progetto che non va attribuito a Pellegrino Pellegrini, ma piuttosto
a Galeazzo Alessi secondo l’avviso espresso in proposito da Luca Beltrami, che ebbe ad esaminare il Libro di recente donato dall’ora defunto
marchese Luigi d’Adda Salvaterra al municipio di Varallo.
Il Galloni chiude questa sua ottima monografia intorno al Santuario,
di cui è benemerito conservatore, studiando quale sia stafo l’ influsso
esercitato dal celebre architetto perugino, e, seguendo il progredire e lo
svilupparsi dell’opera artistica, tratta d’ogni cappella e del tempio, quali
oggi stanno, con larga copia dì documenti ricostruendo abilmente la
storia dell’insigne monumento valsesiano. Nè ultimo merito del chiaro
A. è quello d’attirare l’attenzione degli studiosi sulle prime manifestazioni della carriera artistica di Gaudenzio Ferrari.
A. G.
Go ogle È
BIBLIUGRAFIA 237
ALBERTO SERAFINI, Giro/amo da Carpi, pittore e architetto ferrarese (1501-
1506). Roma, 1915, Fratelli Bocca, in-8 gr. illustrato.
Esamino qui questo pregevolissimo lavoro per ciò che riguarda la
Lombardia. | Nel quadro “ La Vergine col Bambino ,, della cattedrale di Ferrara
(fig. 1), PA. osserva che “ il Bambino alquanto rigidetto, conserva re-
“ miniscezze boccaccinesche, e ci mostra come l’ artista non fosse ri-
“ masto indifferente alle pitture del palazzo di Lodovico il Moro in
“ Ferrara , (p. 16). Infatti i putti rappresentati in queste pitture (VzxTURI, Storia dell'Arte Italiana, vol. VII, parte 38, fig. 849-80) presentano
delle somiglianze col Bambino del quadro del Carpi.
Nel polittico dell'ateneo di Ferrara (fig. 91-92), in cui l'A. vede ta
collaborazione di più artisti, cioè i Dossi, Benvenuto di Garofolo e, pel
lavoro di finimento, il Carpi, pur attribuendone il disegno generale al
Dosso, c’è, nel gruppo de’ Santi, assegnato dall'A. al Carpi, una figura,
quella di S. Giovanni, di cui si scorge solo una parte, il busto, che mi
fa pensare all’angelo della Vergine delle Roccie di Leonardo al Louvre
(VENTURI, Op. cit., parte 43, fig. 626). Essa ricorda nella testa (viso ovale,
fronte triangolare, capelli a riccioli leggermente bipartiti sulla fronte e
scendenti sul collo, occhio alquanto socchiuso e mesto) e nella spalla
(abito a pieghe angolari) la bellissima figura vinciana di Parigi volta
meno di profilo, cioè quasi di faccia, anzichè di tre quarti, verso l’osservatore. Come spiegare questo tipo leonardesco ? Il Carpi avrà visto la
Vergine delle Roccie che è ora a Parigi, o una copia di questa, o si
tratta d’una somiglianza casuale ? Se il Carpi, come, secondo l'A. “ non
“è imprubabile , (p. 312) fu a Milano nella sua giovinezza, vi fu dopo
il 1301, mentre, che accenni l’A., non fu mai a Parigi; egli potrebbe
quindi aver visto la Vergine delle Roccie del Louvre a Milano, poichè,
secondo il Beltrami (“la Vergine delle Roccie di Louvre è dipinto ori-
“ ginale di Leonardo da Vinci, in Rassegna d’ Arfe, maggio 1915) non
sì sa “ in quale modo la tavola del Louvre sia entrata nel patrimonio
“ del re di Francia ,, risultando da nuovi documenti che questa tavola
“ non è quella che si credeva ritirata e portata a Parigi da Luigi XII
nel 1499. Non parlo dell'esemplare di Londra, rimasto a Milano fino al
1785 (Beltrami, artic. cit.), perchè il S. Giovanni del Carpi assomiglia
assai più all’ Angelo del quadro di Parigi che a quello del quadro di
Londra.
L’A. estende l’opera di finamento del Carpi nel polittico di Ferrara
al “ S. Giorgio di destra ,, anzi ritiene la “ costruzione , di questa figura
“ più prossima a quella che noi conosciamo solita nel Carpi che a quella
“ del Dosso ,. E nota che se si confrontasse questo S. Giorgio con
quello della Pinacoteca di Brera in Milano del Dosso “ si sentirebbe
“ la grande differenza che corre tra le due pitture , (p. 224, n. 1).
Infatti il S. Giorgio del Dosso (MaLaguzzi-VALERI, Cafalogo della I. Pie
nacoteca di Brera, con cenno storico di C. Ricci, tav. XXIX, p. 221) è
(O ogle
2358 BIBBIOGRAFIA
diverso da quello del Carpi, specialmente nell’ espressione del viso; e
giustamente rileva l° A.: “ l’immagine sentimentale e malinccnica del
“ Santo cavaliere coincide con la tendenza psico'ogica che si osserva
“ in tante figure isolate di Girolamo , (fig. 93, p. 221-26).
Il ritrattto di Alfonso I d’Este della Galleria Estense di Modena
(fig. 30), attribuito dal Venturi a Battista Dossi, e al Carpi dall’ A., il
quale suppone che questo ritratto abbia servito a Tiziano per quello
che il Vecellio fece dello stesso Alfonso I circa due anni dopo la morte
di questi, e che il Carpi copiò nel quadro della Galleria Pitti (fig. 29).
“ Le due teste appaiono identiche ,, osserva con ragione l’A. (p. 206)
assomiglia, secondo me, nell’ atteggiamento e in alcuni particolari a
uno del Bassano (Giacomo da Ponte) nella Pinacoteca del Castello
Sforzesco a Milano (ll piccolo Cicerone Moderno, n. 7; Le pitture del
Castello Sforzesco, tav. XIV). In entrambi i ritratti il braccio destro
è lievemente piegato e la mano impugna nello stesso modo il bastone
del comando; i bracciali dell’armatara si assomigliano così come i bianchi sbuffi delle maniche, e la lumeggiatura dei metalli avviene “ in linea
“ retta parallelamente alle membra umane che essi coprono, distribuita
“ quasi sui medesimi punti ,, (p. 108), come rileva l’A. pel ritratto di
Modena e per gli altri affini (Ateneo e Cattedrale di Ferrara). Ricorda
questo ritratto del Castello Sforzesco anche un altro del Carpi, quello
di Gerolamo Falletti (?) nella Galleria Corsini a Roma (fig. 31), e specialmente nel braccio sinistro appoggiato sul fianco e negli sbuffi delle
maniche, brevi e bianchi. Il Falletti (?) posa la mano destra su un gatto
accovacciato su due libri, motivo che richiama un po’ quello del libro
e del cagnolino nel ritratto del Pordenone nella Pinacoteca del Castello
(op. cit., tav. XIII). Al Carpi dà lA. anche il ritratto di Tommaso Mosti
dell’Accademia di Venezia (fig. 32), attribuito at Dosso, e lo confronta
con quello dello stesso personaggio dipinto da Tiziano, ora alla Galleria
Pitti, il quale prova, secondo l’A., che il ritratto del Mosti del Carpi
non è andato perduto, come si credeva. E’ un ritratto tizianeggiante,
del tipo di quello del conte Antonio Porcia del Tiziano a Brera (* La
Pinacoteca di Brera , in //usfraszione Italiana, Natale 1913-14, p. 33;
cfr. MALAGUZZI, Op. cit., p. 98), che il Frizzoni confronta con quello di
Francesco Maria della Rovere agli Uffizi (MaLaGuZZI, op. cit., p. 99).
Nel ritratto di un giovane cavaliere del Prado (fig. 35), in cui l'A.
vede l’influsso parmigianinesco subìto dal Carpi, io scorgerei un po’ la
imaniera del Lotto, quale appare nel ritratto di giovanetto della Pinacoteca del Castello Sforzesco (op. cit., tav. VIII), sia per la finezza dei
lineamenti, l’ illuminazione laterale del viso, lo sguardò penetrante, la
pupilla fissa a sinistra, lasciando scoperto il bianco dell’occhio a destra,
il taglio della bocca e del mento, che per l’eleganza del collarino bianco
rivolto sul nero del vestito, largo nel Carpi, stretto nel Lotto, ma in
entrambi ricamato e appuntito agli angoli. Ambedue i giovani tengono
davanti un libro.
La testa del S. Girolamo in S. Paolo di Ferrara (fig. 21) assomiglia
(O ogle i
BIBLIOGRAFIA 239
:ssai, sembrami, a quella di vecchio della maniera di Tiziano a Brera
(Il piccolo Cicerone moderno, n. 1, La Pinacoteca di Brera, tav. XVII).
Neli“ Adorazione dei Magi , in S. Martino di Bologna (fig. 18-19), dipinta nel 1530, secondo l'A. “ una delle cose più importanti e più certe
“ che abbia eseguito Girolamo Carpi ,, (p.64) e nella quale “ continuano
“ commisti gli elementi ferraresi-dosseschi; come si sente più accentuata
“ l’espressione parmigianinesca di qualche figura , (p. 65), l’A. vede
“ nella posa forzata del re inginocchiato avanti al Bambino molta affi-
“ nità con quella della simile figura nell’ ‘Adorazione dei Magi’ già ap-
® partenente al cardinal Monti ed ora nella Galleria di Brera ,, (p. 74).
Possiamo ora dal Carpi pittore al Carpi architetto. Questi, secondo
l’A., avrebbe conosciuto le opere di Bramante sino dalla giovinezza in
Lombardia: “ secondo la testimonianza del Vasari fu eertamente in.
“ Pavia, e non è improbabile che arrivasse sino a Milano , (p. 312).
La pianta dell’edificio nello sfondo nel quadro “ Il miracolo di S.
Antonio , del Carpi (fig. 184-85) che, secondo l’A., è una “ correzione
* classica-bramantesca , alla chiesa di S. Francesso in Ferrara di
Biagio Rossetti, trova riscontro, a parer mio, in quella parte centrale
del S. Satiro di Milano, ideata da Bramante (MaLaguzzi-VALERI, La corte
di Lodozico il Moro, II, fig. 45); le due piante si corrispondono perfettamente nella navata centrale, nella crociera e nel coro, sia pel disegno,
per le proporzioni e pel nemero delle campate (cinque in entrambe), e
differiscono solo nei sostegni: colonne nelle piante del Carpi e pilastri
nel S. Satiro. O
Il cortile del palazzo Naselli - Crispi in Ferrara (fig. 155.60) è, secondo me, di carattere bramantesco della maniera lombarda: archi alti
e stretti, pilastri leggeri e slanciatì, a specchi rientranti (nel piano superiore), finezza di sagome, motivi decorativi propri del Bramante lombardo; caratteristiche tutte che si vedono nelle costruzioni bramantesche
di L: mbardia (vedi MaLacuzzi, op. cit.). L'idea delle mezze conchiglie
nelle finestre del pianterreno, derivate forse, secondo l’A., dalle nicchie
cel catino a mezza conchiglia dell’ esterno della chiesuola di S. Ptetro
in Montorio di Donato Bramante (p. 335, n. 1), appare anche nel Battistero di S.Satiro a Milano (MaLaguzzi, op. cit., II, gg. 83) ove le conchiglie, come nel palazzo Naselli, si aprono verso l’alto -entro nicchie
arehitravate, meatre nel tempietto di S. Pietro in Muntorio si aprono
verso il basso entro nicchie senza architrave, come quella dell’arco di
Giano quadrifonte al Foro Boario a Roma, da cui forse tolse Bramante
questo motivo. Anche il motivo dei tondi disposti a semicerchio intorno
alie finestre dello stesso pianterreno, potrebbe forse, secondo me, derivare da Bramante, che ne fece uso nelle sue fabbriche lombarde, sia
sotto forme di finestrelle, come in S. Maria delle Grazie (arconi delle
cupole) e in S. Satiro di Milano (testata del transetto) (MaLaGuzzi, op.
cit., fig. 219 e 46-47; cir.la facciata della chiesa dei Miracoli a Venezia),
che come semplici motivi decorativi, ad es. la porta della chiesa di
S. Maria di Piazza a Busto Arsizio (MALAGUZZI, op. cit., fig. 342).
Go ogle
240 BIBLIOGRAFIA
L'ordine dorico del cortile del palazzo Spada a Roma (fig. 172-4)
ha, a mio parere, una grande affinità stilistica con quello superiore del
primo cortile dell'ex monastero di S. Ambrogio a Milano (ora Ospedale
Militare) dal Malaguzzi messo a confronto con un disegno bramantesco
dell’archivio di Stato di Milano (op. cit., fig. 293 e 256). A parte le dimensioni diverse, più piccole nel cortile milanese, c le finestre inserite
nelle arcate di questo, i due ordini si assomigliano moltissimo nelle
proporzioni degli archi e dei pilastri, nelle sagome, nelle cornici e nei
capitelli, nei parchi oggetti dei pilastri. Della pianta della chiesa di S.
Giovanni Battista in Ferrara (fig. 187-88) “ Bramante aveva sviluppato
“ il tipo nel gran piano per S. Pietro, che presentava poi analogie co-
“ struttive con quello di S. Lorenzo in Milano ,, (p. 398). Questa pianta
è “ un quadrato inserito in una croce greca con cupola centrale ,,
(p. 398), che al Carpi “ permetteva di creare, agli angoli rientranti della
“ croce medesima, quattro cappelle quadrate (fig. 187) con funzione di
“ contrafforti ai pilastri della cupola, distribuendo equamente sugli archi
“ di esse la spinta che la cupola molto alta doveva formare sui pilastri
“ dei grandi arcòni che la reggono , (p. 300). Analogo infatti è il concetto fondamentale della pianta e della struttura del S. Lorenzo in Milano, colle sue quattro torri quadrate agli angoli rientranti della croce
greca, absidata, come in S. Sofia di Adrianopoli (MonNERET DE VILLARD,
“ Note di archeologia lombarda ,, in quest’Arckivio, a. XLI, 1914, fasc. I-II,
p. 55 e 69) e nel S. Pietro, secondo il disegno di Michelangelo, che corrisponde, in forma molto diù semplice, a quello di Bramante.
Fra gli allievi del Carpi l’A. pone Pellegrino Tibaldi, che avrebbe
studiato le architetture del Carpi a Ferrara. “ La conclusione si trae
“ dall’analogia stilistica esistente fra le opere architettoniche del Tibald»
“ in Milano c quelle del Carpi in Ferrara , (p. 412). Mì sembra invero
che qualche nota dello stile del Carpi si possa trovare ad es. nell’ordine
inferiore del cortile del palazzo arcivescovile e della chiesa di S. Sebastiano e in alcune parti della chiesa di S. Fedele a Milano, il primo
certamente, la seconda dubitativamente e la terza in parte del Pellegrini (MaLacuzzi, M:i/ano, Bergamo, 1906, parte II, p. 41, 43 e 47); gli
gli archi, i pilastri e i capitelli dei due primi monumenti ricordano nelle
linea e nelle proporzioni la maniera del Carpi nell’ordine inferiore dei
palazzi Naselli Crispi a Ferrara e Spada a Roma; la disposizione delle
pietre intorno agli archi del cortile del palazzo arcivescovile richiama
quella della parte dei due palazzi sopraricordati, non che di quelle dei
palazzi Genta e Bentivoglio a Ferrara; i piedistalli delle colonne della
chiesa di S. Fedele, alti e severamente sagomati, con un coroncino
nella parte superiore, ricordano quella dei pilastri della chiesa di S. Giovanni Battista a Ferrara (fig. 189)
Arturo Frova.
(O ogle i
BIBLIOGRAFIA 241
A. Copazzi, Contributi alla Storia della Cartografia a°Italia. IV. Carte
topografiche di alcune pievi di Lombardia di Aragonus Aragonius
Brixiensis (1608-1611), Firenze, tip. Ricci, 1915, in-8, pp. 157 con 24
figure e 4 tavole. (“ Memorie geografiche pubblicate come suoplemento alla Rivista Geografica Italiana dal dott. Giotto Dainelli ,,).
Dai volumi degli Atti di Visita, conservati nella Curia Arcivescovile
di Milano, la Codazzi ha potutoraccogliere un gruppo omogeneo di vecchie carte topografiche, riguardanti le pievi di Lecco, Oggiono, Incino e
Missaglia, da permetterle uno studio. Le carte sono di un Aragonus Aragonius, mediocre pittore bresciano, che nel primo decennio del ’600 si trcvava in Milano al servizio del card. Federico Borromeo al quale prestava
anche l’opera sua di ingegnere come risulta da numerose sue piante
di chiese. Per Oggiono e Lecco si ha la sola carta generale della pieve
(16081, per Incino (1610-11) e per Missaglia (1611) si hanno altresì le
carte delle singole parrocchie: migliori per fattura sono quelle della
pieve d’Incino, le meno curate quelle di Missaglia delle quali manca inoltre
carta della parrocchia di Torrevilla. Queste -carte furono delineate in
occasione delle visite pastorali del card. Federico, e si trovano rilegate
nei rispettivi volumi, tranne quelle della pieve d’Incino che stanno a sè,
essendo andato disperso il volume che le conteneva. Sembra che il
Borromeo, uomo santo e colto, avesse intenzione di avere una rappresentazione grafica particolareggiata di tutta la diocesi, e l'ipotesi, messa
innanzi dall’autrice, ha molto del verosimile giacchè anche il Bescapè,
vescovo di Novara, faceva stendere e stampare in quegli anni la carta
della diocesi novarese. La mancanza di altre carte dell’Aragonius Ja
si può ascrivere o alla sospensione del progetto o alla dispersione delle
medesime, come da seri indizi ha potuto constatare la Codazzi.
Le carte sono disegnate su fogli rettangolari dalle dimensioni che
si aggirano in media sui cm. 32 X 43: solo per le carte di pieve, e per
rara eccezione in tre carte di parrocchia (Missaglia, Nava, Casatenuovo),
furono uniti insieme due fogli per ottenere una misura di cm. 43 X 64.
Sono a colori: per l’orografia è usato un colore giallo-verde, che impal.
lidisce fino a divenire quasi bianco quanto più elevato è il rilievo del
terreno; per i laghi l’azzurro intenso, per i corsi d’acqua l’azzurro che
si trova disposto lungo la linea mediana di una striscia bianca che sta
ad indicare il solco della valle. Le case e le chiese sono bianche coperte
da tetti di color rosso. Sui fianchi dei colli e lungo i corsi d’acqua sono
disposte a profusione delle piante. Nello spazio eccedente dei fogli, o
dove meglio lo riteneva opportuno, l’Aragonius rappresentava quindi
l'azzurro del cielo o dei castelli, e disegnava le cartelle coi nomi dei
inoghi, la distanza delle singole località dal centro parrocchiale o pievano, o altre spiegazioni che riteneva opportuno di dare. Per indicare
l'orientamento della carta tracciava, benchè non sempre, due righe
incrociantesi generalmente nel centro del disegno. Le carte sono prospettiche e panoramiche. L’Aragonius delineava innanzi tutto le cartine
242 BIBLIOGRAFIA
delle parrocchie: si recava sui luoghi e per prima cosa schizzava la direzione del corso d’acqua che vi osservava, poi delineava le accidentalità
del terreno, in seguito collocava le sedi abitate nella disposizione che
gli poteva venir suggerita da un occhio di paesista, da ultimo sulla
carta esplicativa segnava la distanza dei singoli luoghi in miglia e suoi
sottomultipli, valutando le distanze in linea retta, invece di calcolarle,
secondo l’uso di allora, seguendo le strade. Ma il guaio si è che le
disegnava senza una scala fissa, operando con un criterio molto empirico: aveva davanti dei fogli di misura presso a poco uguali, ma, varia
essendo l’estensione delle singole parrocchie, veniva con ciò ad aumentare la scala quanto più la parrocchia era piccola e a diminuirla quanto
più era grande: fatto ciò localizzava i punti cardinali in corrispondenza
all’orientazione delle carte. Ne avvenne di conseguenza che le carte
delle pievi, da lui compilate ricorrendo alle cartine già fatte e senza
badare che non erano tutte alla medesima scala, ebbero alterati i corsi
d’acqua nel loro percorso e ì diversi paesi nella loro situazione, e la
superficie dei laghi e le loro grandezze sformate. Hanno pertanto maggior
fedeltà di rappresentazione le carte di parrocchia che non quelle ci
pieve. Tuttavia, nonostante i loro difetti, le carte dell’Aragonius rimangono notevoli non solo perchè ci offrono uno dei primi tentativi, tra
di noi, di rendere in modo non convenzionale la forma del terreno, e
di aver introdotto nella rappresentazione cartografica quel movimento
nel paesaggio che fino aliora era stato esclusivo della pittura, ma ancora
perchè costituiscono la prima rappresentazione particolareggiata della
regione briantina e ci ricordano alle volte (come per le paludi e per certe
località che più non sussistono) delle condizioni che il tempo e l’opera
dell’uomo hanno modificato e trasformato. Questi pregi la Codazzi
seppe così bene intuire ed illustrare col suo studio da ottenere il “ Premio
Moise Lattes di fondazione Elia Lattes ,. Nella prima parte ci presenta
uno “ Sftudio complessivo delle carte , (le carte di pievi di Lombardia -
estensione della regione delineata dalle carte - data delle carte - l’autore
delle carte - scopo che diresse le delineazioni - caratteri esteriori delle
carte - la scala: valore del miglio - rapporto tra le carte di parrocchia
e le carte di pieve - il disegno orografico - il disegno idrografico - particolari antropogeografici - rapporti tra le carte dell’Aragonius ed alcuni
schizzi anteriori conservati in Curia - come è rappresentata la Brianza
nelle migliori carte di Lombardia dal 500 all’800), e nella seconda parte
un’ “ Esame particolare delle singole carte ,,. In appendice vi aggiunge
l° “ Elenco dei nomi ricordati nelle carte dell’Aragonins; “La rappre-
“ senltazione dei laghetti briantes nelle carte di Lombardia dal so0o alia
“ fine del 700; , e un “ Elenco delle carte e schissi topografici conservati
“ner volumi degli “ Atti di Visita (Archivio della Curia arcivescovile di
“ Milano), disposto secondo l'ordine alfabetico delle Pievi ,,.
La Brianza, amena e interessante regione finora troppo imperfettamente studiata, ha finalmente avuto una degna illustrazione per la cartografia antica. L’autrice si appresta, com'’ella scrive in una nota, a darcì
e
(O ogle
BIBLIOGRAFIA 243
un altro lavoro ricavandolo dall’esame dei documenti raccolti nei citati
volumi degli Atti di Visita. Senonchè essa lamenta che in quell’archivio
oltre alla tirannia dell’orario fissato per lo studio, non vi siano nè
indici nè cataloghi che facilitino le ricerche fra quei più che duemila
volumi, giacchè non merita il nome di repertorio quel coso tenuto lì
a maggior dispetto di chi voglia consultarlo, e che le indagini siano
rese ancor più difficili. dal fatto che nei volumi, i quali portano incollati
sul frontespizio un cartellino con delle date che vorrebbero indicare
gli estremi limiti di tempo al quale si riferiscono gli atti contenuti,
capita talora di incontrarvi delle carte e magari delle pergamene che:
con quelle date nulla hanno a che fare. Non c’è che dire: la Codazzi ha
pienamente ragione. All’inconveniente della ristrettezza dell’orario si potrebbe facilmente ovviare coll’aprire l'archivio non da mezzogiorno alle
due del pomeriggio, ma alle dieci come tutti gli altri uffici di Curia:
si avrebbe così il vantaggio di due ore di tempo messo a disposizione
degli studiosi, e specialmente di quei preti che calano a Milano dai
lontani paesi della diocesi per ricerche riguardanti le loro parrocchie.
Ma quello che più si impone si è che all’archivio presieda non un
addetto qualunque, la cui mansione sia soltanto quella di levare le fedi
per coloro che vi ricorrono, ma un vero archivista il quale lavori con
criterio scientifico a schedare, a compilare inventari sommari e analitici, ecc. Lavoro lungo e paziente, senza dubbio; ma è pure evidente
che se non si incomincia si rimarrà sempre allo s/afu quo. E' semplicemente strano che un'archivio, sotto diversi aspetti così importante,
sia lasciato in tale stato, mentre d’ufficio si inculca ai parroci di tenere
ben ordinati i loro archivi parrocchiali. Diciamolo francamente, tutto
questo, mentre oggi pubblici e privati archivi si vanno con lodevole
gara scientificamente riordinando, non fa certo onore alla Curia Arci»
vescovile di Milano.
R., BERETTA.
Il primo Parlamento Elettivo in Italia. Memoria del prof. Luigi Rava,
presentata nella seduta del 2 marzo 1915 alla classe di scienze morali nella R. Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna. Bologna, Gamberini e Parmeggiani, 1915.
A degnamente celebrare la cinquantesima ricorrenza annuale dalla
proclamazione del Regno d’Italia, il nostro Parlamento deliberò, come
è ben noto, la stampa dei volumi delle Assemblee del Risorgimento. La
preziosa raccolta comincia dal 1826. In seguito lo stesso Parlamento
decideva (Legge 22 giugno 1913, n. 759) di pubblicare anche gli atti
delle Assemblee che riguardano il periodo 1797-1825. La cura della
nuova pubblicazione venne affidata ad una Commissione che risiede
presso la Reale Accademia dei Lincei e che è presieduta da Luigi Luzzatti. Un interessante prolegomeno ce ne viene fornito da questa MeLO ogle
244 BIBLIOGRAFIA
moria del prof. Rava, la quale fa seguito ad altra Memoria che l’Autore presentava nel 1914 alla stessa Accademia, sulla Costituzione Cispadana. Come anche il titolo mette in rilievo, codesto della Repubblica
Cispadana in Bologna fu il primo parlamento elettivo che si riunisse
in Italia: ciò che lo addita in particolare all’ attenzione degli studiosi,
Eppure i verbali delle discussioni giacquero finora dimenticati nell’Archivio di Stato di Bologna e i principali scrittori di Storia del nostro
Risorgimento mostrano dai frettolosi cenni su quell’ Assemblea di non
averla tenuta nel debito conto.
Il Rava si prupone di colmare la lacuna scrivendo la storia del
Parlamento Cispadano, ed ora comincia col farcene conoscere la parte
più viva, le discussioni: al qual proposito giustamente osserva che esse
sono “ la voce del primo parlamento composto di politici, di scienziati,
“ di soldati, di patriotti italiani, che vedremo poi emergere o anche ri-
“ fulgere di gloria nei Parlamento Cisalpino, nella Consulta di Lione,
“ mel Senato e nel più alti uffici del Regno italicc, e seguire e aiutare
“ nobilmente ed efficacemente la fortuna di Napoleone, che degli uo-
“ mini dell’ Emilia e dell’opera loro nel governo fu saldo e costante
“ ammiratore ,.
La Memoria è divisa in quattro parti: nelle prime due sono seguite
e riassunte sui verbali le discussioni del Consiglio dei Sessanta e del
Consiglio dei Trenta, quali erano stati eletti in base alla Costituzione
Cispadana, con evidente imitazione del Consiglio dei Cinquecento e del
Consiglio degli Anziani, organi legislativi del Direttorio.
La più importante fra le discussioni, quella che occupa anche un
maggior numero di sedute e dà luogo ai più vivaci dibattiti, si aggira
intorno all’Imposta progressiva, che per ragioni politiche e finanziarie
trova nel Consiglio dei Sessanta caldi fautori, ma che è respinta dal
Consiglio dei Trenta. Eco della discussione è un opuscolo, che il Rava
riporta integralmente, di Luigi Compagnoni, professore di diritto costituzionale (è la prima cattedra di tale disciplina in Europa) nell’ università di Ferrara. Egli è avverso all’ imposta progressiva. Questa fu poi
sostituita da un prestito forzoso,
La terza parte è una raccolta di documenti che non avevano trovato posto nelle due parti precedenti (Il testo della legge sul prestito
forzoso. — Le istruzioni per la riscossione del prestito nelle provincie
della R. cispadana. — Il manifesto per le elezioni dei Deputati cispadani. — Gli eletti di Bologna agli uffici pubblici. Aprile 1797. — Gli
eletti delle provincie cispadane al Parlamento cisalpino: Novembre 1797).
Da ultimo sotto il tito!o: La fine della R. Cispadana, l’Autore mette
iu luce quanto vi fu di lodevole nell’opera di quel parlamento, “I deputati cispadani, egli scrive, si mostrano franchi nelle procedure nuove
della, vita parlamentare, e preparati alle discipline necessarie per regolare le discussioni: costituiscono bene l’ufficio presidenziale; danno a
ispettori di sala scelti fra luro la cura della polizia interna; prescrivono
la regola per le tribune pubbiiche; pongono le norme per la chiusura e
E î
BIBLIOGRAFIA 245
per le votazioni; regolano la verifica dei poteri; affrontano il problema
grave dei rapporti col potere esecutivo, con l’altra camera legislativa,
coi cittadini (diritto di petizione); interpretano e integrano con finezza
giuridica la Costituzione del 1797; sollecitano il generale Bonaparte a
mantenere la promessa fatta per l’ unione delle Romagne, mirano a
formare uno Stato libero di maggior ampiezza territoriale; discutono la
politica ecclesiastica; sorvegliano e frenano la vendita dei beni delle
chiese; iniziano, cauti, la legislazione civile; affrontano per necessità
di cose il problema urgente delle finanze ,,
Un così aperto elogio riveste tanto maggior valore pensando alla
breve durata (due mesi!) del Parlamento Cispadano, e all’ averlo formulato un autorevole parlamentare quale è l’on. Rava. Tanto che sarebbe forse un cedere allu spirito ipercritico l’andar notando, proprio
sulla traccia di quei riassunti che lo stesso Autore ci fornisce, le facili
inesperienze, le piccole ingenuità, e qualche frivola discussione di quel
primo parente dei nostri Parlamenti. Forse codesti nèi sono inevitabili
in tutte le assemblee, spiegabilissimi nel periodo del loro tirocinio ; del
che ci persuadiamo tanto più ricordando, come già fu detto, che di quel
piccolo Parlamento facevano parte uomini destinati a ben maggiori
prove nei più vasti campi della Cisalpina e del Regno italico : quali il
Paradisi e il Veneri, il Nobili, il Luosi, il Ricci e il Guastavillani.
G. B.
Arch. Sto”. /omb., Anno XUTIT. Fasc I-Il. do
BOLLETTINO DI BIBLIOGRAFIA STORICA LOMBARDA
(dicembre 1915 - giugno 1916)
n —— _2aq-—-
._ I libri segnati con asterisco pervennero alla Biblioteca Sociale.
AGLIARDI (card. ANTONIO) & MORETTI (dott. ANDREA). Cortese polemica religiosa tra due filosofi cristiani. Carteggio di or fa mezzo secolo. Bergamo,
C. Conti, 1915, 2 voll. [v. Moretti].
* ALAZARD (Jran). Recensione di Malaguzzi-Valeri, La Corte di Lodovico il
Moro, to. 2°. — Revue historique, marzo-aprile 1916 a p. 370-372.
*ALBERS (B.). II Monachismo prima di S. Benedetto. I monasteri : loro istitu-
‘. zione, governo ed abitanti. Cassiodoro e la sua fondazione monastica nelle
Calabrie. — Rivista storica Benedettina, a. X, fasc. XLV-XLVI, 1915.
* ALLOISIO (sac. Enrico). La mia famiglia. Noterelle storiche-genealogiche. Brescia, tip. dei Figli di Maria, 1916, in-8, pp. 52.
AMBROSII (SancTI) mediolanensis episcopi hexaemeron libri sex, a cura di G.
Batt. Pecorella. Palermo, tip. G. Spinnato, 1915, in-8, pp. 8.
ANDERSON (A. ].). The admirable Painter, a study of Leonardo da Vinci, London, Stanley Paul & C.°, 1916.
ANDRYANE (ALessanpro FiLippo). Memorie di un prigioniero di stato allo
Spielberg: capitoli scelti e annotati cou prefazione di Rosolino Guastalla.
Edizione illustrata. Firenze, Barbèra, 1916, in-16 fig., pp. x11-254.
* ANGELINI (Luici). Affreschi trecenteschi scoperti in Bergamo. — Rassegna
d'Arte, gennaio 1916.
ANTONA-TRAVERSI (C.). Note foscoliane. — Fanfulla della domenica, nn. 7,
12, 13, I916.
*L’« Archivio storico italiano » e l'opera cinquantenaria della R. Deputazione
Toscana di Storia patria. In-8. Bologna, Nicola Zanichelli, 1915.
Se ne riparlerà.
LO ogle uni
BO:.LETTINO BIBLIOGRAFICO 247
* Archivie sterice per la citta, circondario e diecesi di Lodi. Anno XXX:V,
ottobre-dicembre 1915. In-8 gr. Lodi, Tip. Borini-Abbiati, 1916.
BaronI (avv. Giovanni). Storia delle ceramiche nel Lodigiano [cont.:
Libertà, importanza e condizione della produzione lodigiana. I Paratici. —
I trattamenti daziari. — Gli sbocchi al commercio flelle maioliche lodigiane].
— AGNELLI (Giovanni). Monasteri Lodigiani: Umiliati; Ognissanti di Fossadolto. — Bibliografia. — Necrologie [G. B. Morandi, Francesco Novati].
ARNÒ (C.) Per la storia della battaglia di Novara (1849). — Rivista storica
del Risorgimento italiano, VII, 6, 1914
* Atti della visita pastorale del vescovo Domenico Bollani alla diocesi di Brescia
(1565-1597) raccolti e illustrati con note e appendici storiche dal sac. prof.
Paolo Guerrini, archivista vescovile. Volume primo. Brescia, Editrice « Brixia
Sacra », MCMXV, in-8, pp. xvi-209-vii (Biblioteca storica di « Brixia Sacra >, n. 3).
AUVRAY (Lucien). Le « Vetus codex longobardicus » de Baluze, autrefois conservé à Ta Chambre des comptes de Paris. — Moyen Age, gennaio-giugno 1915.
Uno dei volumi della collezione Baluze alla biblioteca Nazionale (vol. 17)
contiene trentasei documenti (undici diplomi imperiali e vent cinque lettere pontiicie), dal IX al XIV secolo, relative a stabilimenti religiosi dell’ Italia settentrionale. Se in questo volume il Baluze non precisa d’onde egli abbia estratti
questi documenti, si può tuttavia stabilire tanto dai riferimenti ch’egli dà nei suoi
Capitularia regum francorum quanto da una nota dell'abate de Camps, che si tratta
di un Vetus codex longobardicus, conservato nella Camera dei conti ed altri indici permettendo inoltre di stabilire che si tratta d’uno dei due registri conservati
negli archivi del castello di Pavia e trasportato nel 1499 0 1500 a Parigi, dove sì
conservano negli archivi della Camera dei conti. L’Auvray, chiarito con precisione questo problema, dà la lista dei trentasei documenti copiati dal Baluze e
riproduce il testo di tre bolle di Gregorio IX, una di Francesco IV e una di
Giovanni XXX, fin qui rimaste inedite.
Barocco (Il) piemontese: soggetti architettonici ricercati e scelti da G. C. Dall’Armi, e corredati di notizie storiche e illustrative. Torino, G. C. Dall’Armi
(Silvestrelli e Cappelletto), 1916, in-4 fig., p. 8, con 12 tavole.
BASTICI (A.). L'eco di Valsugana, brillante episodio della divisione Medici in
Tirolo nel 1866. Crema, Plausi e Cattaneo, 1915, in-16, pp. 19.
BAZZETTA (Nino). Vittime politiche dell'Austria in Italia. Pavia, tip. popolare,
1915, in-8, pp. 4 (« Unione generale degli insegnanti italiani per la guerra
nazionale »: sezione di Pavia, n. 4).
BELTRAMI (AcHirce). L. Annaei Senecae ad Lucilium Epistularum moralium
libros -xM1 ad codicem praecipue Quirinianum recensuit A. B. Brixiae, typis F. Apollonii, MCMXVI, in-8, pp. x1v-402.
Go ogle
248 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
* BELTRAMI (Luca). Il padre di G. B. Crespi, detto il Cerano, allievo di Bernardino Campi, ed altre notizie su pittori lombardi. — Rassegna d'Arte,
febbraio 1916.
— Leonardo da Vinci e Cesare Borgia (MDII). Milano, U. + Allegret, MCMXVI,
in-4 gr. ill., pp. 26.° e
Pubblica la lettera patente rilasciata dal Valentino a Leonardo come ingegnere generale della Romagna. Riproduzione in fac-simile dell'originale
pergamena, scoperta ora nell’archivio della duchessa Joséphine Melzi d'Eril.
* — Nuove opere d’arte nei Musei del Castello Sforzesco di Milano: III. Il ritratto di Frangois Girardon del pittore A. Rigaud, IV. Madonna e Bambino:
dipinto di scuola lombarda. — Rassegna d'Arte, marzo 1916.
*— v. Città di Milano.
BENOÎT (G.). Les armes de Léonard de Vinci. — Bulletin trimestriel de la Société d’archéologie de Touraine, 1915, 1.09 trimestre.
D'or à trois pals de gueules; celles qu'on attribue è Léonard au chateau d’Amboise ne sont pas de lui.
BENSO (Giutio L.). Adelaide Cairoli. — Rassegna nazionale, XXXVII, 202, 1915.
* BERNAREGGI (prof. sac. ApRIANO). Il clero negli eserciti, I cappellani militari.
— Scuola cattolica, aprile 1916.
A pp. 404-410 notizie per l'ordinamento ‘avanti le guerre del Risorgimento nazionale nel Regno Lombardo-Veneto e negli Stati Sardi. Cfr. il
fascicolo di febbraio p. 179 e 188 per la parte più antica.
* BERTARELLI (dott. AcHILLE). Inventario della Raccolta formata da Achille Bertarelli Volume III: L'Italia nella vita civile e politica. Bergamo, Istituto
italiano d'arti grafiche, 1916, in-8 gr., pp. 170.
Ne riparleremo.
BERTONI (G.). Un nuovo trovatore italiano : Girardo Cavallazzi. — Romania,
XLIII, 172.
Identificato con quel Girardo Cavallazzi di Novara che fu console di
giustizia in patria nel 1247.
BETTELINI (d." A.). Il parco civico. (già Ciani] « di Lugano: ::Lugano, tip. Luganese, Sanvito & C., 1916, in-4 gr., pp. 30 e 16 tavole (« Società Ticinese
per la conservazione delle bellezze naturali ed artistiche », fasc. VII).
BISCALDI (Luigi). Frascarolo : memorie storiche. Vigevano, tip.- pio istituto Derelitti, 1915, in-8, pp. 80.
BLANCHE {C. A, ). La decorazione abi documenti, ufficiali della feputbiia Ci
salpina]), — La Lettura, aprile 1916. | vicri ug È
(o ogle
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 249
BOFFITO (Giusepre). Bibliote:a degli scrittori barnabiti (chierici regolari di S.
Paolo): biografia, bibliografia, iconografia. Fogli di saggio, nn. 1-8. Firenze,
stab. tip. Aldino, 1915, in-8 fig., pp. 121.
BOFFITO (Giuseppe) e NICCOLARI (P.). Bibliogratia dell’aria: saggio di un repertorio bio-bibliografico italiano di meteorologia e di magnetismo terrestre.
Disp. 2-3. Firenze, tip. Giuntina, 1916, in- 4, PP. $7-IS1.
" Bollettino dellia Civica Biblieteca di Bergamo. Anno X. In-8 gr. Belvita:
Bolis, 1916.
N. 1, gennaio-marzo 1916. Mazzi (A.). Gli « Annales Italiae » di G. Michele Alberto Carrara. — Appunti e notizie: I doni [del conte comm. Giulio Marenzi]. — Invenzione della bomba o granata [inventore il bergamasco
- Francesco Zignoni da S. Giovanni Bianco, nell’assedio di Torino, 1640]. —
Un credito di Torquato Tasso (1585). — Almanacchi (bergamaschi). — Affreschi trecenteschi (nel soppresso Monastero di S. Marta). — Dipinto di
Saverio Della Rosa. — Mazzi (A.). Nota bibliografica [Le monete piacentine,
di P. Falconi]. — Doni alla Biblioteca nel 1915 [importante la copiosa raccolta di almanacchi di diverse città italiane, 152 voll., 52 opuscoli].
BOLOGNINI (Giòrcio). Verona nel novelliere di Matteo Bandello. — Atti delPAccademia di agricoltura, scienze e lettere di Verona, 1915.
BONARDI (Caro), La monografia heiniana di Tullo Massarani. (Estr. Annali
del R. Istituto tecnico G. B. Della Porta). Napoli, tip. L. Pierro, 1916, in-8,
pp. 85.
“ BRENTANI (Luigi). L'insegnamento pubblico a Bellinzona nei sec. XV e XVI.
— Indicateur d'histoire suisse, n. 4, 1915.
Il presente studio è una specie di sunto di quello già inserito nella
Rivista pedagogica di Roma (dicembre 1915). Tra i maestri, provenienti
quasi tutti dalla Lombardia, sono a notarsi nel 1509 Aronne Battaglia di
Treviglio, già ricordato dall’Argelati, dal Mazzucchelli e dal Casati, e Bono
Mauro di Bergamo, il commentatore del Vitruvio stampato dal Cesariano
in Como nel 1521 (cfr. la Vita del Cesariano del De Pagave, edita dal
Casati, Milano, 1878).
— La storia artistica della Collegiata di Bellinzona. Con ill. — Ind:cateur d’antiquités suisses, vol. XVII, fasc. IV, 191;.
Anche in nuova edizione illustrata, con prefazione di Francesco Chiesa
(Lugaro, tip. Luganese, 1916). Vi avrebbe lavorato il Rodari.
‘ Brixia Sacra. Bollettino bimestrale di studi e documenti per la storia ecclesiastica bresciana (direttore il sac. d." Paolo Guerrini). In-8. Brescia, 1916.
Anno VII, n. 1, gennaio-febbraio. GRAZIOLI (p. LeonIipa). Del P. Lorenzo Maggio e della sua ambasciata in Francia, 1587 (con ritratto). — Aneddoti, notizie e' varietà: Un busto del cardinal Quirini di Antonio Calegari;
Go ogle
250. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
L'ultima lettera di Tito Speri; Giuseppe Losio; Per la storia della guerra
Nomine accademiche (all'ateneo di Brescia).
Anno VII, n. 2, marzo-aprile. GuerrINI (P.). Note di agiografia bresciana. I. Una dissertazione inedita di mons. Onofri intorno a S. Alessandro
presunto martire bresciano. — GaUTHEY (J. C.). Sanctus Gaudentius Brixiensis
episcopus et notarii. — GUERRINI (P.). Il vescovo Fortunato Morosini giudicato da un cronista contemporaneo [il p. Alfonso Cazzago]. — Aneddoti,
notizie, varietà: Il trombettiere comunale nel cinquecento; Un esame di
canto gregoriano nel cinquecento; Stefano Pasini musicista bresciano del
seicento; Per il Servo di Dio P. Fortunato Redolfi, barnabita bresciano
(1777-1850); Il primo maestro di Cesare Arici [l' abate Francesco Vega
Spagnuolo]. — I nostri lutti (P. Fedele Savio; don Omobono Piotti).
* BROILO (F. di). Ancora dello stemma di Vannozza Borgia de’ Cattanei [di
Mantova]. — Rivista araldica, aprile 1915.
* BRUNELLI-BONETTI (B.). Una commedia padovana del cinquecento. — Atti e
Memorie della R. Accademia delle scienze e lettere di Padova, vol. XXX.
E' il Parto supposite di Giacomo Pinetti, bresciano (1583).
° BUCHI (ALsert). Kardinal Schiner und die Reformbewegung. — Zeitschrift
fur Schweizer. Kirchengeschichte, a X, 1916, fasc. I.
Il cardinale Schinner ed il movimento per la riforma.
BUSCARINI (dott. ULISSE). Origini e fondazione dell’Ospedale Civile di Piacenza
(1471). Piacenza, A. Bosi, s. a. [1915], in-8, pp. 56 (cfr. Boll. stor. piacentino, n. 5, I9I5, P. 235).
Il B. illustra l'opera spesa dal duca Galeazzo Maria Sforza a pro dell’erigendo Ospedale e le misure da lui prese contro quei rettori e ministri
degli antichi ospedali che mal si piegavano alla riforma del loro concentramento nell'ospedale civile.
* BUSTICO (Guino). La storiografia Ossolana. — Rassegna Nazionale, 16 dicembre 1915.
* — Banditi nell’Ossola durante e dopo il periodo spagnuolo. Domodossola, tip.
Porta, 1916, in-8, pp. 11.
® — Il privilegio del Sale nell’Ossola (1378-1815). Domodossola, tip. Porta, 1916,
in-8, pp. 14.
*— La Valle Antrona nell'opera « Piedmont » di Estella Canziani. Domodossola, tip. Ossolana, 1916, in-8, p. 16.
— La fortuna di Vittorio Alfieri. — Rivista ligure di scienze e lettere, XLIII,
I (1916).
Il teatro patriottico di Milano. Prime rappresentazioni alfieriane a Milano.
Go ogle
BOLLETTINO BIBLOGRAFICO 251
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Torino, stamp. Reale, ditta Paravia, 1916, in-8 fig., pp. 6. (Estr. Atti della
società piemontese d’archeologia e belle arti).
CALDERINI (AristiDE). Attilio De Marchi. — Rivista di ia classica, fasc. II,
aprile 1916 [v. Pascal).
CALVI (T.). Eroine e patriotte del risorgimento italiano. — Secolo XX, fasc. 6, 1915.
Teresa Confalonieri, Adalaide Cairoli, Cristina Belgioioso, Clara Maffei.
CAMPOLIETI (N. M.). L'anima nazionale nelle lettere dei volontari lombardi di
Luciano Manara. — Putria e colonie, IV, 3, 1915.
CANTÙ (Cesare). Una lettera inedita, pubblicata per cura di Adolfo Mabellini.
Fano, tip. Letteraria, 1915, in-8, pp. 10. [v. Sammarco].
*CAPASSO (Gagrarno). Emilio Dandolo e la guerra di Crimea. (Estr. dal fasc.
di marzo 1916 della Rivista d’ Italia). Roma, tip. Unione editrice, 1916,
in-8. da p. 423 a p. 450.
CAROTTI (Giutio). Sculture italiane di tutti i tempi. Bergamo, Istituto italiano
d'arti grafiche, 1915, in-8 fig. (Strenna a beneficio del Pio istituto dei rachitici di Milano).
Catalogo generale numerico delle edizioni G. Ricordi e C. Vol. I-III. Milano,
Ricordi, 1915, in-8, 3 voll, pp. 1536.
"Catalogo. — v. Collezione Napoleonica.
Cattaneo. — Il pensiero di Carlo Cattaneo, scelto dalle migliori sue pagine a
cura di Enrico Rébora. Lanciano, G. Carabba, 1916, in-16, pp. x111-210
(« Scrittori italiani e stranieri »).
CAVALLI (AnTONIO). Il fenomeno associativo dai «€ Collegia » antichi alle « Corporazioni Medievali ». Roma, tip. dell’Unione editrice, 1915.
* CECCOLETTI (A.). In memoria della contessa Clementina Raineri Biscia Pepoli
nel primo anniversario della morte. Bologna, Cacciari, 1915, in-8, pp. 127
con IO ritratti e IO tavcle.
Richiamiamo l’ attenzione del lettore al capitolo dedicato alla famiglia
Pepoli. Niente però di nuovo. — Agg. Supino (I. B.). Nuovi documenti
sulla tomba di Taddeo Pepoli, in Archiginnasio, nn. 1-2, 1916.
* CERRI (L.). Un celebre navigatore del Po [Pasino Eustachi] e i navaroli piacentini del secolo'XV. — Bollettino storico piacentino, novembre-dicembre 1915.
Analisi della bella pubblicazione del prof. Luigi Rossi, edita nel Boll.
stor. pavese, cavandone quanto di più interessa Piacenza.
CHABERT (L.). Virgile, maitre d’énergie. — Revue des études anciennes, 1915,
ottobre-dicembre.
252 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
* CIAN. (VittORIo). Isabella d’ Este alle dispute ‘domenicane. — Giornale slorico
della letteratura italiana, fasc. 200-201, 1916.
* CISORIO (Luici). Elio Giulio Crotti e Gregorio Oldoini di Cremona, Girolamo
| Claravacco di Pizzighettone, poeti umanisti del cinquecento. Cremona, tipe
della « Provincia », 1916, in-8, pp. 74.
Saggio di maggior lavoro sugli umanisti cremonesi meno noti, che
l’A. gi ripromette di condurre a termine in avvenire non lontano, e sarà di
non dubbia utilità per gli studi e gli studiosi.
* Citta di Milano. Bollettino municipale mensile di cronaca amministrativa edi
statistica. Anno XXXII, fol. ill, Milano, 1916.
N. 1, gennaio. I vigili del ‘fuoco a Milano (Gli incendi ed il servizio di
prevenzione e spegnimento nel passato e nel presente). — Rievocazioni storiche: 4) Ricorrenze centenarie (1816); è) Milano negli scrittori italiani e
stranieri [Madame du Bocage, 1757, Giuseppe Baretti, 1766]; c) Milano nei
suoi poeti (Carlo Porta). — Rievocazioni.... comiche (Un trentennio di vita
comunale in caricatura, 1884-1913). — Musei ed Archivi municipali.
N. 2, febbraio. I vigili del fuoco a Milano. Gli incendi ed il servizio
di prevenzione e spegnimento nel passato e nel presente. (Parte II: L' organizzazione contro gli incendi nel passato). — Rievocazioni storiche : 4) Ricorrenze centenarie (1816); 2) Milano negli scrittori italiani e stranieri (La
Lande, 1766); c) Milano ne’ suoi poeti (Il Carnevale). — Musei ed Archivi
municipali (acquisti e doni).
N. 3, marzo. Rievocazioni storiche: 4) Ricorrenze centenarie (aprile 1816);
b) Milano negli scrittori italiani e stranieri [Duclos nel 1767]; c) Milano
nei suoi poeti (Il Teatro al tempo del Parini). — Musei ed Archivi municipali (doni ed acquisti). — La vita intellettuale a Milano (Lettere, storia, arte).
N. 4, aprile. I vigili del fuoco a Milano (cont.). — Rievocazioni storiche : 4) Ricorrenze centenarie (1816); è) Provvidenze d'altri tempi contro
la carezza del pane (1847 e 1853); è) Milano negli scrittori italiani e stranieri (Piozzi, 1784); 4) Milano nei suoi poeti (Il Duomo). — BELTRANI (L.).
La scuola ‘superiore d’arte applicata nel Castello sforzesco. — Musei ed Archivi municipali (doni ed acquisti).
*CLERICI (G. P.). Un punto oscuro della vita di P. Giordani ora finalmente
chiarito. — Bollettino storico piacentino, settembre-ottobre 1915.
* Collezione Napoleonica e Milanese del dott. Luigi Ratti {Catalogo illustrato].
Milano, casa di vendita Lino Pesaro, 1916, in-8 gr., pp. xv-224 e 28 tavole.
Precede la biografia del già nostro consocio dott. L. Ratti (1834-1915 3;
a cura di Alfredo Comandini. >
* CoLomBano (S.), — Il XIII Centenario di S. Colombano. — Rivista storica benedettina, a. X, fasc. XLV-XLVI, 1915, p. 474-75. À
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 253
COMANDINI (ALrrepo). L'Italia nei Cento Anni del secolo XIX giorno per
giorno illustrata. Dispensa 75%, in-16 ill. Milano, Antonio Vallardi, 1916.
Cronologia storico-aneddotica dal 5 aprile al 31 maggio 1860 (progetto
fantastico dell'ing. Predeval per un piazzale patriottico a Milano; inaugurazione della Corte di cassazione a Milano; ai prodi francesi nella lorò partenza dalla Lombardia [v. Collezione]. :
* Commentari' dell’ Ateneo di Brescia per l’anno 1915. In:-8. Brescia, tip. Apollonio, 1916.
FornasiInIi (Gaetano). Libri e collezionisti di libri. — GLISSENTI (FaBIO). Relazione sui lavori dell'anno 1914. — BonEetLI (GiusePPF) Il grande
archivio della beneficenza bresciana. — CaPRETTI (FLaviANO). L’interdetto
di Paolo V a Brescia. — Gtissenti (F.). Versi giovanili di Giuseppe Zanardelli per le nozze Sedaboni-Pellegrini 1853. — Rizzini (ProsPERO). Hlustrazione dei civici Musei di Brescia. Catalogo di maioliche e nielli.
* Comune Di MiLano. — Annuario storico-statistico per il 1914. Aa XXXI.
Vol. I della seconda serie. In-4 ill. Milano, Stucchi e Ceretti (1916).
Precede lo studio del dott. Ettore Verga: I Consigli del Comune di
Milano. n:
*CONFORTO DA COSTOZA. Frammenti di storia vicentina (anni 1371-1381), a
cura di Carlo Steiner. Città di Castello, Lapi, 1815, in-4 (A. I. Scriptores,
nuova edizione, fasc. 140).
CURTI (AntONIO). La battaglia del Mincio (8 febbraio 1814). — Secolo XX,
fasc. XII, 1914.
* D. Altre carte piacentine nell'Archivio Silvestri di Calcio. — Bollettino storico
piacentino, settembre-ottobre 1915, p. 232-33.
D'ANCONA (Paoto). Un frammento della tomba di Maria di Serbia, opera di
Matteo Sanmicheli [a Casale Monferrato]. — L' Arte, a. XIX, fasc. I.
* DAZZI (M. T.). Intorno alla nascita di Albertino Mussato. — Archivio Muratoriano, n, 16, 1915.
Agg. Belloni (A.). Dante e Albertino Mussato, in Giornale storico della
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DE CESARIS (G.). Nuove fonti pariniane: L' e Educazione » di G. Parini e i
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DEGLI ALBERTI (M.). Observations à la note du premier mars 1859 sur les dispositions à prendre pour assurer en cas de guerre la jonction de l’ armée
frangaise avec l’armée sarde. — Rassegna storica del Risorgimento, II, 1, 1915:
DEGLI AZZI (G.). Per una nuova importante pubblicazione dell'Archivio di Stato
milanese. — Rivista delle biblioteche e degli àrchivi, XXVI, 5-10.
Tratta del volume J Registri Viscontei del dott. C. Manaresi.
LO ogle
254 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICC
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27 aprile 1859 al 15 marzo 1860. Roma, Società editrice Dante Alighieri,
1916, in-16 pp. xXxI-514.
*— Di una pretesa contraddizione nel racconto dell’uccisione di re Aiboino nella
« Historia Langobardorum » di Paolo Diacono. — Memorie storiche Forogiuliesi, a. X, fasc. 3° [1916].
DE SARLO (Francesco). Tito Vignoli, psicologo. Bologna, tip. Emiliana, 1916,
in-8. pp. 30. (Estr. Rivista di psicologia).
DONATI (GiovaxnI). Dizionario dei motti e leggende della moneta italiana, pubblicazione fatta a cura del Circolo numismatico milanese, con prefazione di
Serafino Ricci. Milano, Crespi, 1916, in-8, pp. vmi-go. (Estr. dal Bollettino
italiano di numismatica).
Do:e e corredo di una signorina Clarense del sec. XVII. Lettera del nob. dott.
Giorgio Sommi Picenardi al cav. avv. Pietro Maffoni, sindaco di Chiari, ed
unita risposta. Chiari, tip. ed. G. Rivetti, 1915 {cfr. Commentari dell Ateneo
di Brescia, 1915, p. 412].
Matrimonio di Lelio Maffoni con Elena Bigoni, nel 1691.
DUBOIS (A) & DE RUGGIERO (Fr. G.) barriabiti. Compendio della vita dei
beato Francesco Saverio M. Bianchi, sacerdote barnabita : ricordo delle feste
centenarie 1815-1915. Roma, tip. Unione ed., 1915, in-16 fig., pp. 43.
OURR (E). Die auswartige Politik der Eidgenossenschaft und die Schlacht bei
Marignano. Ein Beitrag zum Ursprung und Wesen der schweizer. Neutralitàt. Basel, Helbing, 1915, in-8, pp. 45.
La politica estera della Svizzera e la battaglia di Marignano. Contributo
all'origine ed essenza della neutralità svizzera.
DURRIEU (comte Paul). Les écrits en frangais d'un historien génois au temps
de Louis XII, Alessandro Salvago. Paris & Nogent le-Rotrou, impr. Daupeley-Gouverneur, 1914, in-8, p. 18. (Extr. Annuaire- Bulletin de la Société de
l’histoire de France, a. 1914).
FABBRETTI (OLiveroTTO). Bricciole maroncelliane; da documenti inediti, Città
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“ FAGGI (ApoLro). Il parere di Perpetua e la concezione dei « Promessi Sposi ».
— Giornale storico della letteratura italiana, fasc. 199, 1916.
FERRETTI (Giovanni). Tre lettere inedite di Pietro Giordani (1842-43). — Rf.
vista Ligure, 191;.
* FOURNIER (Paut). Bonizo de Sutri, Urbain II et la comtesse Mathilde d’après
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Bibliothèque de PÉcole des chartes, maggio-ottobre 1915 [1916].
Cfr. gli appunti in quest'Archivio a p. 277.
(O ogle
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 255
FREGNI (Giusezpe). Di una antica iscrizione che trovasi nella pieve di Terzagni,
in comune di Piadena, provincia di Cremona, e che dice: Sator, arepo,
iemet, opera, rotas: lettura e commenti. Modena, soc. tip. modenese, 191,
in-8. pp. IS.
FRIO DA PISA. Il Romagnosi pretore a Trento. — La Lettura, febbraio 1916.
Ripr. in Libertà di Piacenza del 7 febbraio 1916. Articoletto illustrato
senza alcuna novità.
*G. (R.). Il restauro dell’Arengario di Monza. — Rassegna d’Arte, febbraio 1916.
* GABOTTO (Ferpinanpo). La politica di Amedeo VIII in Italia dal 1431 al 1435
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tip. Armani e Stein, 1915 in-8, pp. I1I. (Estr. Nuova Antologia).
* GASPAROLO (F.). Carte riguardanti ‘le entrate e dazi delle pievi di Cisano,
ducato di Milano (1470). — Note di spese di viaggio tra Alessandria e Milano sul finire del sec. XVI. — Eredità di Giovanni Filippo Ottobelli (erede'
Ospedale Maggiore di Milano, 1696). — Rivista di storia ed arte d° Alessandria, fasc. 59-60 (1916) a p. 383, 386 e 390.
GELLI (Iacopo). Divise, motti, imprese di famiglie e personaggi italiani. Milano;
U. Hoepli, 1916, in-16 fig., pp. x1-699.
Per la Lombardia lavoro afiatto incompleto, nè scevro d'errori. Ne riparleremo forse.
* GENUARDI (Luicr). La « lex et consuetudo Romanorum » nel Principato longobardo di Salerno. — Archivio storico napoletano, N. S., a. I, fasc. IV, 1916.
* GHENO (A.). Bibliografia genealogica italiana. Parte prima. Famiglie. — Rivista
araldica, marzo-aprile 1916. [Cont. Cima a Colonnesi].
* GHILINI (ALEssanDRO). Annali di Alessandria, annotati e documentati da Giovanni lachino, editi a cura della società di storia della provincia di Alessandria. Vol. IV, disp. 102 105 (fine del vol. IV). Alessandria, tip. succ.”
Gazzotti, 1915, in8 gr., p. 273 a 331.
GIANNANTONI (Gioac4Ùno). Isabella d'Este: quattro episodi drammatici. Roma,
casa ed. C. Brioschi (tip. ed. Nazionale), 1915, in-8 fig., pp. (77).
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Loescher, 1916, in-8, p. 129.
GRANDI (O.). Ippolito Nievo scrittore e soldato. — Rassegna nazionale, 16 dicembre 1915. [v. Nievo].
(O ogle
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Volume Quinto. — Rivista italiana di numismatica, a. XXVIII, fasc. TILL
IV (1916). o
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GUASTALLA (RosoLino). Le denominazioni delle strade pavesi. Pavia, tip. succ.
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GUERRINI (L.). Lamartine secretaire de Légation (à Florence, 1325- -26) — La
Revue de Paris, 15 novembre 1915.
Sua corrispondenza col generale Pepe 1826, e sue relazioni con ManzonÌ.
' .
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in-8, p. 326.
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N. 1, gennaio. La futura Edolo-Tirano. Note retrospettive d’ attualità
politica. — Per le nòsse de Tone e de Gnés [parte la più fiotevole della
quasi inedita composizione giocosa che il dotto arciprete G. 8. Guadagnini
recitava nel vernacolo camuno, sulla fine del sec. XVIII].
N. 2, febbraio. CARNEVvALI (TuLLo G.). Il medagliere Canevali a Breno.
— D'Amico (Gino). Alcuni avvenimenti del 1797 in Valcamonica descritti
da un contemporaneo.
N. 3, marzo. CARNEVALI (T. G.). Il medagliere Canevali a Breno (fine).
— D'Amico (Gino). Alcuni avvenimenti del 1797 in Valcamonica (fine).
:V. 4, aprile. Guistanpi (GugLIELMO). Glorie patriottiche d’ ieri. La
spedizione « camuna » del 1848 nel Trentino. — LUccHETTI (PANTALEO).
Dante in Valcanionica.
————
(1) Ne è direttore il sac. dott. Romolo Putelli, valoroso illustratore della
natia Valcamonica, cui ha consacrato un’ ampia, riccamente documentata storia,
ricordata già in questo bollettino bibliogratico e della quale l’.Archivio nostro
darà, speriamo, ampio resoconto, per penna più competente della nostra. Del
Putelli è pure l'interessante studio sulle Relazioni commerciali tra Venezia ed il
Bresciano nei secoli XIII e XIV comparso lo scorso anno nel vue Archivio
Veneto.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 257
LAENG (G.). Fra Idro e Garda: storie, leggende e scene della valle di Ledro.
— ‘Rivista mensile del Touring, n. II, 1915.
LAZZARESCHI (d.' EucenIo). Francesco Sforza e Paolo Guinigi. Contributo di
documenti inediti. Lucca, Baroni, 1916. in-8, pp. 21.
LtoxarDo Da Vinci. — v. Anderson, Beltrami, Benoit, Gronau, Mona Lisa, Psriodico di Como.
LEONE (AnDpREA). A proposito di alcune recenti guide dell'Ossola. (Estr. La Geografia). Novara, Istituto geografico De Agostini, 1915, in-8, pp. (8).
LESCA (G.). Frammenti inediti di A. Manzoni. — Rassegna Nazionale, 16 dicembre x915 [v. Pellizari].
LEVI (E.). Scoperte tassesche. — Fanfulla della domenica, XXXVII, n. 52.
A. proposito del ms. vaticano illustrato dal Vattasso.
LINGUEGLIA (dott. PAOLO). Conferenze e discorsi. Faenza, editrice Salesiana
(due volumi).
I. A. Manzoni e G. Carducci. — L'editto di Milano. — II. Altruismo ed
egoismo nel sistema di R. Ardigò. — Gli insegnamenti della vita di G. Verdi.
LOCATELLI MILESI (GiusepPPE). Ergisto Bezzi: il poema di una vita: studio
storico-biografico, con 84 lettere di Giuseppe Mazzini. Milano, Sonzogno,
1916, in-8, p. x111-447 con $ fac-simili e 15 tavole.
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ecclesiae primatialis toletanae. — Archivio ibero-americano, I, 3.
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* LUGANO (P.). L'edifizio cirsterciense dell’abbazia di Rivalta Scrivia presso Tortona (con 15 ill.). — Rivista storica Benedettina, a. X, fasc. XLV-XLVI, 1915.
Agg. del medesimo A. la continuazione del suo lavoro sui Primordî
deltanbazia di Rivalta, in Julia Dertona, fasc. 47°, 1915.
MAINERI (B.). I precedenti e le conseguenze della guerra del 1859 nelle lettere
famigliari di un deputato al « Subalpino ». — Patria e colonie, di Milano,
n. 7, I9I5.
° MALAGUZZI VALERI (FraNcsscO): Sul miniatore Frate Antonio da Monza (con
g illustrazioni). — Rassegna d'Arte, febbraio 1916.
MANNUCCI (L.). Per una similitudine manzoniana. — Fanfulla della domenica,
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* MANTEGNA. — Un Mantegna nella Galléria Estense. — Diigine d’arte, 15 maggio 1916.
258 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
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La casa del conte Arrivabene in via Frattini.
MANZONI (A.). Gli Sposi Promessi, per la prima volta pubblicati nella loro integrità di sull’ autografo da Giuseppe Lesca. Napoli, Perella, 1916, in-8,
pp. xvi-833.
— Il fiore dei Promessi Sposi e della Storia della colonna infame, con note illustrative di Luigi Venturi. XI. edizione. Firenze, Bemporad, 1915, in-16,
pp. vilI-296.
— Gl’inni sacri e le odi, con note ad uso delle scuole, per cura del proi. Francesco Zublena. Torino, libreria edit. Internazionale, 1916, in-16, pp. 78.
Manzoni. — v. Faggi, Galletti, Giubbini, Guerrini, Lesca, Lingueglia, Mannucci,
‘ Momigliano, Novati, Nulli, Parodi, Pellizari, Rossi.
* MARCHETTI LONGHI (Giuseppe). Il patriarcato di Aquileia, il papato e l’impero
fino alla prima metà del secolo XIII. — Nuovo Archivio Veneto, 10. XXXI,
parte Ì, 1916.
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1251 (cont. e fine). — .4rchivio della R. Società Romana di storia patria,
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* MENGOZZI (Guipo). Il comune rurale del territorio lombardo-tosco. Saggio di
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Vedi i cenni bibliografici in quest'Archivio a p. 224.
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* MEYER (K.). Ein Mailandisches Kapitulat vom Iahre 140. — Anqeiger frir
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Un capitolato sviezero-milanese del 1450.
* MODORATI (Luici). La Corona ferrea, 1866-1916. Monza, scuola tipografica
Artigianelli, 1916, in-8, pp. 76.
Origine e culto della Corona. — Re e Imperatori coronati dalla Corona
terrea. — Vicende della Corona. — Dello stemma di Monza.
MOMIGLIANO (ATTILIO), TOFFANIN (Giuseppe), PELLIZZARI (Acne). Polemiche manzoniane. (Estr. La Rassegna). Napoli, Perrella, 1916, in-8, pp. 38.
Mona Lisa. — Monograph on Leonardo da Vinci's « Mona Lisa ». London,
1915, in-4, pp. IV-51 € 4 tav.
GO ogle :
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO | 259
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1786-1853. London, Spottiswoode, 1914, in-8, pp. 1v-35,
Monza. — Per la Bandiera del Comune (Relazione del Sindaco [E. Riboldi] alla
Giunta e al Consiglio Comunale. Monza, Cooperativa tipografica operaia,
1916, in-4, pp. II, € 3 tavole.
— v. G.(R.) e Modorati.
MORETTI (Anprea). La parola di Dio e i moderni Farisei, appello al sentimento
cristiano. Ristampa con cenni biografici. Bergamo, C. Conti, 1915 [v. Agliardi].
* MUSSI (can. dott. Luici). Alcune memorie di Mons. Francesco Maria Zoppi,
primo vescovo di Massa. Assisi, tipogr. Metastasio, 1916, in-8 gr., pp. 7.
Mons. Zoppi, nativo di Cannobio, degli Oblati di S. Carlo, già parroco
di S. Pietro in Caminadella e preposto di S. Stefano in Milano, qui morto
vescovo titolare di Gerra e canonico della Metropolitana nel 184I. Sue lettere al canonico dott. Pietro Reschigna, pure lombardo e morto a Massa,
canonico teologo della cattedrale.
NAPOLEONE. — Alla prima espositione di « Napoleonica » in Milano. — Pagine
d’Arte, n. 5, 1916,
In occasione di questa mostra, organizzata da Antonio Curti, a benericio
del Comitato milanese per i bisogni della guerra, la rivista Napoleone, diretta dalo stesso Curti, ha pubblicato un fascicolo speciale.
NATALI (GiuLio). Idee, costumi, uomini del settecento: studi e saggi letterari.
Torino, soc. tip. ed. Nazionale, 1916, in-8, pp. 356.
— Il pensiero religioso di Giuseppe Parini. — Bilychnis IV, 11-12.
Saggio del volume Idee, costumi, uomini del settecento, che ha ora veduto la luce.
— Il Bramante letterato e poeta. — Rivista ligure di scienze e lettere, XLII, 5-0.
NEERA. Crepuscoli di libertà. Romanzo. — La Lettura, novembre 1915-aprile 1916.
L'azione si svolge in Milano nel periodo 1847-1848.
NICODEMI (Giorgio). La pittura milanese dell’ età neoclassica. Milano, A)fieri
& Lacroix, 1915, in-8 gr. ill., pp. 174 € 64 tavole.
I. Le origini del movimento neoclassico. II. La pittura a Milano nella
seconda metà del Settecento. III. Martino Knoller, Giuliano Traballesi.
IV. La società artistica nella quale l’Appiani e il Bossi svolsero la loro attivvità. V. Andrea Appiani, Giuseppe Bossi. VI. I continvatori della tradizione
neo classica.
*— Un dipinto significativo di G. Paolo Lomazzo. — Rassegna a'arte, aprile 1910.
NIEVO (IrpoLito). Le confessioni di un ottuagenario. Firenze, Salani, 1916,
in-16, 2 voll. [v. Grandi).
260 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO.
NIGRA (Costantino). La rassegna di Novara. (Versi). Bologna, N. Zanichelli,
° 1926, in-8, pp. 15.
* NOVATI (Francesco). Spigolature da una raccolta d’autografi (Beccaria, Foscolo,
. Manzoni). Collezione Medici di Marignano. — Giornale storico della letteratura italiana, fasc. 200-201, 1916.
* NULLI (Siro ArTILIO). Echi platonici nei tentativi filosofici di A. Manzoni. —
Rendiconti Istituto Lombardo, vol. XLIX, fasc. V, 1916.
OTTOLINI (AnceLo). Lettere inedite di U. Foscolo a V. Lancetti. (Estr. Rivista
d’Italia). Roma, tip. Unione editr., 1915, in-8, pp. 10.
OTTONE (prof. Giuseppe). Il saccheggio di Gambolò durante l’invasione austriaca
(3 giugno 1859) in una relazione dimenticata. Vigevano, tip. Borrani, 1915,
°’ in-8, pp. 11.
* PACHECO Y DE LEYVA (ENRIQUE). Breves noticias sobre los principales Archivos de Italia è Institutos hist6ricos extranjeros establecidos en ella. — Boletin de la Real Academia de la Historia, marzo 1916.
A p. 289-300: Milan (Archivio di Stato, Biblioteca Ambrosiana, Braidense, Trivulziana). A pp. 302-303: Mantua (Archivi Gonzaga e di Stato).
PANTANELLI (d. Guipo). Le prime persecuzioni austriache in Italia. — Giornale del mattino di Bologna, 18 marzo 1916.
PARODI (E. G.). Il primo viaggio di Virgilio attraverso l’ Inferno. — Fanfulla
della domenica, XXXVII, 28.
— e Gli Sposi Promessi ». — // Marzocco, n. 4, 1916.
A proposito della pubblicazione del Lesca.
PASCAL (Carto). Attilio De Marchi. Commemorazione. Milano, Paravia, 1916,
in-8, pp. 42.
In appendice, un'accurata bibliografia degli scritti del commemorato,
compilata dall’egregio nostro consocio dott. A. Calderini. [v. Calderini].
* PASCHINI (Pro). I patriarchi d’Aquileja nel sec. XII. — Memorie storiche forogiuliesi, a. X, fasc. 1-3, (1916). |
La chiesa d’Aquileja esercitava anche i diritti metropolitici sopra i ve-
. scovadi di Como e di Mantova.
PASETTI (C.). Giovanni Battista Palletta. — L'Ospedale Maggiore, di Milano, 1915.
— Riforme e provvedimenti che l’ amministrazione dell’ ospedale Maggiore di
Milano fece nel 1845 per dare una migliore assistenza agli ammalati. (Estr.
.. Buon Cuore). Milano, s. tip., 1916, in-16, pp. 21.
* PASINI-FRASSONI (FERRUCCI). Libro d’oro del ducato di Renata, ,—— Rivista
araldica, febbraio, marzo e aprile 1916. 4
Go ogle
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO' 261
Castiglioni (inilanesi). — Chiesa (della) oriundi dalla Lombardia. —
Crivelli. — Cunio (Barbiano). — Curioni (oriundì milanesi). — Dragoni (Cremona). — Erba (Como). — Fachini (Mantova). — Ferracci o Ferrazzi (oriundi lombardi).
“PATETTA (Feperico). Di alcune poesie di Gaspare Tribraco in onore dei Gonraga. — Atli R. Accademia delle scienze di Torino, vol. LI (1916).
* PECCHIAI (Pio). Questioni archivistiche. — Gli Archivi italiani di Roma, a. III,
fasc. I, gennaio-marzo 1916.
Esposizione dei criterî dal P. seguiti nel dare ordine all'Archivio degli
Istituti ospitalieri di Milano.
*PELLEGRANI (Antonio De). Genti d'arme della Repubblica di Venezia. I con-
‘dottieri Porcia e Bruguera (1495-1797). Udine, tip. Del Bianco, 1915, in-8
gr. ill., pp. 320. |
PELLIZARI (A.). Gli Sposi promessi. — Un grande avvenimento letterario: come
il ms. degli « Sposi promessi » fu liberato dalla reclusione. — — Giornale
Italia, 27 novembre e 18 dicembre 1915.
A proposito della’ recente pubblicazione di G. Lesca.
‘Periodico della Società storica per la provincia e antica diocesi di Como.
Fasc. 86-87. In-8 gr. Como, Ostinelli, 1916.
Scotti (prof. Giulio). L'antica famiglia varennate degli Scotti. —
MostI (SANTO). Compromessi politici del 1854 e 1859. — Lo stesso. Curiosità letterarie-$toriche artistiche. Serie 3* ed ultima: Gioviana- VincianaRaffaello Sanzio d’Urbino. — CERUTI (dott. ANTONIO). Cartario pagense di
Chiavenna (continuazione anpi 1178-1187).
PICCIONI (L.). Ugo Foscolo contro i giornalisti. — Fanfulla della domenica,
XXXVII, 31. |
CA gg. nei no. 33 € 41: ANTONA-TrAveERsI (C.). Noterelle foscoliane; nel
Ù Li 34: Rava (L.). Per il € Timocrate » di. U. Foscolo ; nel n. 36: Orto-
"Lai (A.). Note foscoliane. .
PICCO (Erauia)i Virtù italica: don Enrico Tazzoli. Seconda lisuamipa stereotipa.
Torino, Paravia, 1916, in-16, pp. 95. (Edizione per l'istituto nazionale delle
‘ biblioteche del’ soldato). ST
“ PICOTTI (G. B.). Tra il poeta ed il lauro: Pagine della vita di Agnolo Rali.
ziano. Parte II. — Giornale storico della letteratura ala, fasc. 196-197 ( 1915).
-
SE ‘ Agnolo Poliziand ei Gonzaga. ua va nen, i pai
«2 ai vi’ ee
* PLATYNAE Historici. Liber de Vita, Ghuisti. ac è omnium sona . Rerum
Italicarum Scriptorum, ediz. Fiorini, tomo III, parte I, in-4. Città di Castello,, ti Lapi, 1g; (fase. faze). So SHIT Hd Adi ee TE bef CIPaIlA. pro LUO ati ha
Arch. Stor. Lomb., Anno XLIIF, Fasc. i-Ii. 17
A
262 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
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Milano, Sonzogno. In-16, p. $ì. (« Biblioteca universale », n. 470).
* PREMOLI (p. O.). Due lettere del p. Giovenale Saccchi al p. Giambattista Martini. — Rivista musicale Italitina, vol. XXI, fasc. IV (1915).
Il p. Sacchi, barnabita, nto a Milano nel 1727 e mortovi nel 1589 è
noto per i molti libri suoi prégevoli riflettenti la musica. ll’ p. Premoli fa-
.rebbe cosa buona illustrando Il suo carteggio, ch'egli ricorda conservarsi
nell'Archivio di S. Carlo a’ Catinari in Roma.
* — I pennacchi del Domenichino in S. Carlo a’ Catinari. Roma, stab. tip. Befani, 1915, in8 gr. ill, pp. 14.
Pennacchi frescati nella cupola con le Virtù cardinali, d'ordine dei Bar=
nabiti. Il soggetto è allegorico, anzi l’allegoria si estende a S. Carlo Borromeo cui l’ artista allude setvendosi delle varie parti dello stemma famigliare del santo e delle imprèst di casa Borromeo (1630).
* — Maria di Savoia (1594-1656). (Estr. dalla Rassegna nazionale, fasc. 1-12). Fi
renze, 1915, in-8, pp. 37.
Per la gita di Maria di Savoia, figlia di Carlo Emanuele I, a Milano
per visitare la tomba di S. Carlo Borromeo, nel 1642, cfr. p. 26-27.
QUAINI (Giovanni). S. Savina, matrona lodigiana: discorso pronunciato nell’istituto di S. Savina in Lodi fl 31 gennaio 1916. Lodi, tip. Borrini-Abbiati,
1916, in-8, pp. 12.
* RAINA (Pio). Per chi studia l'Equicola. — Giornale storico della letteratura italiana, fasc. 200-201, 1916.
RASI (P.). In memoria di Giovanni Canna. Venezia, 1915.
* RATTI (dott. Luici). — v. Collezione Napoleonica.
RAVA (Luigi). Le prime persecuzioni austriache in Italia: i deportati politici cisalpini del dipartimento del Rubicone ai lavori forzati in Ungheria e alle
tombe di Sebenico, 1799-1800, con riproduzioni di antiche rare stampe. Bologna, Zanichelli, 1916, in-8, pp. 176. (Estr. Rendiconto della R. Accademia
delle scienze).
— La prima missione diplomatica del marchese Visconti- Venosta. — La Le
lura, 6, 1915.
RIBOLDI (E.). — v. Monza.
RICCI (Conrapo). Bramante pittore, da un articolo pubblicato nel 1902 mella
rivista Cosmos catbolicus. Roma, Descite, 1916, in-8 fig., pp. 11. (Estr. 4/-
manacco illustrato delle famiglie cattoliche).
* Rivieta di storia, arto, archeologia della Provincia di Aleccandria. Fasc. LIXLX, In-8. Alessandria, tip. Gazzotti, 191€.
Go ogle i
BOLLETTINO. BIBLIOGRAFICO 263
Nava (E.). Carlo A- valle e Stefano Gioseffo Aliora, — CHIABORELLI (C.).
Notizie sulla famiglia Scati. — GasParoLo (F.). Sei documenti del sec. XVII
riguardanti il feudo di Fontanile Acquese. — Campora (B.). Tomaso Conte,
di Novi Ligure, podestà e castellano di Capriata d’ Orba sul principio del
sec. XX. — Gasparoto (F.). Feste in onore di Napoleone | celebrate dalià
Massoneria Alessandrina negli anni 1809 e 1812. — Lo sesso. Magistrature ed Offici del Comune di Alessandria (secoli XVI-XVIII). — Memorie
e notizie [v. sotto Gasparelo].
ROLLONE (Luigi). La provincia di Milano. Terza edizione, riveduta, corretta e
ampliata. Torino, ditta Paravia, 1915, in-8 fig., pp. 70 con tavola.
R08SI (Arnocro). Ultime epigrafi. Appendici (Una lettera manzoniana). In-8.
Perugia, Unione tipografica cooperativa, 1916.
ROTA (C. M.). L'antico Comitato Laudense. Studio storico-critico-coreografico
dal sec, VIII al secolo XII. Saronno, 1915.
SABBADINI CR.). Ancora le orazioni finte di Plinio. — Rivista di filologia e di
istruzione classica, a. XLIV, fasc. I (1916). |
SADA (C.), Lettera aperta al sindaco di Milano presidente della commissione pel
coronamento del duomo. Catania, tip. C. Galàtola, 1915, in-4, pp. 7.
SALZA (A.). Note biografiche e bibliograficte intorno a Paolo Rolli, con appendice di sei lettere al Muraiori. Perugia, Unione tip. cooperativa, 1915, in-8,
pp. 60.
- SMIMANCO (A.). Lettere di Nicola Castagna a Cesare Cantù. — Rivista Abruzqese, XXXI, 3 (31916).
* SANTA MARIA (sac. Carro). | vari stemmi del Governo Milanese e Lombardo.
— Rivista Araldica, gennaio-marzo 1916.
*— Appunti di araldica e assiografia ecclesiastica. — ‘Rivista Araldica, febbraiomarzo 1976.
Stemmi di abbazie (S. Ambrogio, S. Simpliciano (a p. 89). S. Agata in
Cremona, Chiaravalle, S. Pietro in Gessate, S. Maria alla Scala in Milano
(p. 63-64).
* SCAVINI (Caraste FarpinANnDO). Una rarissima a nErnta di Fontana e Carcano.
— Pagino d’Arte, n. 2, 1916.
L'Aurora del XX settembre 1870.
Seiwoizerisches Kinetler-Lexikon. Rediegiert von D.' Carl Brun. Supplement,
ITI* Lieferong. In-8 gr. Frauenfeld, Huber, (1915). -
Come nelle precedenti dispense, abbondanti sono le citazioni di artisti comacini anche in questo fascicelo di supplemento [Moretto-Z, e A-Birmann].
(O ogle
254 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
SELLA (A1TILIO). Le rappresentazioni sacre in Valsesia. Novara, tip. S. Gaudenzio, 1916, in-8 fig., pp. 64.
* SERENA (A.). Un insigne amico di Venezia [Tullo Massarani). — Atti Istituto Veneto, to. LXXIV, fasc. X (1916).
SFORZA (Giovanni). Papa Rezzonico studiato ne’ dispacci inediti di un diplomatico lucchese. — Memorie della R. Accademia delle scienze di Torino, vol.
LXV (1915).
Dispacci dell'agente della Repubblica lucchese, mons. Filippo Maria Buonamici, presso papa Clemente XIII (Carlo Rezzonico, 1758-1769) (1).
* SOLMI (Arnico). Le leggi più antiche del Comune di Piacenza. — Archivio
storico italiano, fasc. n. 279, 1916.
— Il.diritto di superficie nei documenti italiani del medio evo. — Rivista di
diritto civile, a. 1915, n. 4. 9
Studio condotto su tre documenti piacentini tratti dagli Ospizi civili.
STAMPINI (E.). Il codice bresciano dî Catullo. Torino, Bocca, 1916, în-8, pp. 48.
STERN (prof. ALFRED). Die Berichte des Obersten Luvini, ausserordentfichen
cidgenòssischen Bevollmachtigten in Mailand, aus dem Jahre 1848. — Politisches Jahebuch der schweizer. Eidgenossenschaft, XXIX, 1915.
I rapporti dei colonello Luvini, ticinese, inviato straordinario svizzero
a Milano, nel 1848. .
Storia di un croato: satira antiaustriaca del 1848, riesumata per cura del rag. Giovanni Comini di Brescia. Brescia, Geroldi, 1916, in-16, pp. 24. (Nella commemorazione delle X giornate di Brescia, 1916).
* Supplemento al volume L’ Ospedale Maggiore e i suoi benefattori. Milano, tip.
Parravicini, 1915, in-4, pp. 13.
* TARAMELLI (Torquato). Di Giovanni Maironi da Ponte e di altri naturalisti
bergamaschi del secolo scorso. — Rendicogti Istituto Lombardo, vol. LXIX,
fasc. VII-VIII, 1916.
Gli altri naturalisti sono Lorenzo Rota, Antonio Curò, Asciano Varisco
e Giovanni Piccinelli.
TRIBOLATI (Pierro). Il primo « Filippo » di Maria Teresa coniato nella recca
di Milano. — Bollettino italiano di Numismatica, n. 5, ottobre-dicembre 1915.
* VALMAGEGI (Luigi). Pindaro e Parini. — Bollettino di filologia classica, giugno 1916.
VEDRANI (ALsERTO). Un grande naturalista trentino: Fefice Fontana. Lucca, tip.
ed. G. Giusti, 1916, in-8, Pe 97
’ s v*ur.;: 3 n
TO e È
. î 3 x 2003 a
(1) Agg. ORLANDINI (U.). Ex libris Rei in Rivista Araldica, marzo 1916.
LO ogle É 5
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO — 265
VENTURI (ApoLro). Storia dell’arte italiana. VII. (La pittura del quattrocento)
parte IV. Milano, U. Hoepli, 1915, in-8 fig.
* VERGA (dott. Errore). I Consigli del Comune di Milano. Note storiche. Milano, 1916, in-4, pp. SI. |
Cfr. i cenni bibliografici in quest'Archivio a p. 226.
* Vigievanum. Rivista della Società Vigevanese di lettere, storia ed arte. Anno
IX, fasc. V, in-8. Vigevano, tip. Borrani.
Ottobre-dicembre 1915 (uscito 1916). OTTONE (prof. GiuserPe). Filippo
Sassetti nelle Indie. — DeLL’Orgo (sac. C.). La mendicità sbandita (1714-
1839). — Fossati (prof. FELICE). Appunti e note di storia economica di
Vigevano (continuazione : anni 1450-99). — .,°, Musa Paesana. — OTTONE
(G.). Un poeta vernacolo vigevanese di un mezzo secolo fa (Stefano Boldrini).
* WIENER (Lz0). Commentary tho the Germanic Laws and Mediaeval documents.
Cambridge, Harvard University Press, 1915, in-8 gr., pp. x11-224.
ZAMBETTI (can. Giovanni). La Biblioteca del Capitolo Cattedrale di Bergamo.
Bergamo, 5 ottobre 1915. Bergamo, Secomandi, s. d.
* ZANCHI (Francesco TERENZIO, bergamasco). La prima guerra di Massimiliano
contro Venezia. Giorgio Emo in Val Lagarina 1507-1508 (Commentario).
Padova, Crescini, 1916, in-8 gr., pp. 70.
Edito dal conte Carlo Emo, con note biografiche intorno all’A. a prefazione dell’opuscolo.
ZICCARDI (G.). Intorno al Torquato Tasso di Carlo Goldoni. — Studi di lette»
ratura italiana diretti da Erasmo Percopo, vol. IX-XI, (Napoli, 1909-1915).
t
APPUNTI E NOTIZIE
+. MUSEI ED ArcHIvI DEL CasteLto. — Dal “ Lollettino statistico
del Comune di Milano , togliamo le seguenti notizie relative all’ incremento dei Musei ed Archivi nel Castello sforzesco, a partire dal gennaio del 1915:
Museo Artistico ed Archeologico. — Sono entrati a far parte delle
collezioni i seguenti oggetti: Un quadro del sec. XV, proveniente dalla
collezione Piccinelli di Bergamo : rappresenta la mezza figura della Vergine, nell’ atto di porgere un fiore al Bambino, che sta in piedi su di
un parapetto; offre un particolare interesse per la tecnica dell’ esecuzione, giacchè mentre la carnagione del volto e delle mani della Vergine e di tutto il corpo del Bambino son dipinti sul tessuto, i capelli e
i panneggiamenti sono, del pari che il fondo, a ricamo serico, completato da piccoli ornati metallici, dischi, mezze sfere, fiorami. Il pittore si
è accordato colla tecnica del ricamo così fiorente in Lombardia nei se- coli XV- XVIII, Il dipinto è ‘della maniera dei pittori lombardi Bergognone e Bevilacqua.
Un quadro di scuola veneta proveniente dai soppressi edifici annessi al cimitero della Moiazza,
Per legato della signorina Ida Seletti, un’antica copia della S. Anna
di Leonardo al Louvre: il ritratto del chirurgo Fioravanti di Daniele
Crespi; una sacra famiglia di scuola veneta; una Madonna col Bambino, ricamo in seta di Rosa Baroni, 1761.
Una serie di ritratti dallo scorcio del sec. XVIII sino alla fine del
XIX, provenienti dalla famiglia Menclozzi che fu tra le più antiche di
Milano, tra i quali meritano essere segnalati: il ritratto ad olio del
cav. Filippo Guenzati, del pittore Carnevali, detto il Piccio, 1841, e quello
della signora Giuseppina Coridori, opera di Eliseo Sala, 1842. Altri sono
interessanti per i costumi dell'epoca
Coi fondi del legato della contessa Luisa Morelli di Popolo, vedova
del conte G. Galeazzo Visconti di Rosasco, fu acquistata una “ Sacra Famiglia ,, di Daniele Crespi, uno dei dipinti di questo artista che ebbero
maggioe voga; una Vergine col Bambino e S. Antonio di G. B. Crespi,
Go ogle
APPUNTI E NOTIZIE 267
detto il Cerano; il ritratto dello scultore Francois Girardon (1629-1715)
dipinto nel 1689 dal suo amico Hyacinthe Rigaud (1659-1743), ritrattista
in voga alle corti di Luigi XIV e Luigi XV. Queste dipinto, di gran valore
e interesse, proviene dalla raccolta dell’ incisore milanese Giuseppe
Longhi (1766-1831).
Un bassorilievo del secolo XV, proveniente dalla cascina Lavagna,
raffigurante la facciata dell’ antica chiesa di S. Maria maggiore di Milano, sotto la protezione della Vergine, colle figure dei santi Pietro e
Giovanni e un’iscrizione ricordante il legato di un fondo fatto da Tommaso Grassi alla Fabbrica del Duomo.
Un mobile di noce întagliato, dell’epoca sforzesca, cospicuo esempio
dell’arte dell’intaglio in Milano nel secolo XV, ottimamente conservato,
proveniente da un oratorio a Radecesio (Lambrate) di pertinenza della
mensa arcivescovile. Acquistato coi fondi Morelli di Popolo, come pure
wh letto intagliato e dorato del sec. XVIII.
Per la collezione di abiti e stoffe un abito completo maschile di
panno finamente ricamato, e di buonissima conservazione, appartenuto
al Consigliere aulico G. Rollando Rampini, 1790.
Nella sala delle oreficerie è entrato un tabernacolo, splendido lavoro
dell’oreficeria milanese del principio del sec. XV, in argento massiccio,
dorato in molte parti, finamente cesellato e smaltato. La iscrizione, disposta sopra una fascia a smalto, attesta come l’oggetto d’arte sia stato
eseguito per la chiesa di S. Lorenzo di Voghera, e la data del lavoro
corrisponde alla tradizione che il cimelio sia dono di mons, Pietro Giorgi
chiamato nel 1391 alla sede vescovile di Voghera. Il tabernacolo venne
quindi eseguito negli anni in cui la scuola della cattedrale cominciava
a spiegare le sue caratteristiche fioriture gotiche prese ad esempio dai
cesellatori; infatti tutti gli elementi decorativi hanno corrispondenza
colle cornici trilobate, i doccioni, le cuspidi, i trafori del nostro duomo.
(Acquistato coi fondi Morelli di Popolo). \
Un cofanetto in ferro, ageminato d’oro, rinchiuso in custol'ia di
legno intarsiato, lavoro del sec. XVI.
Saggi diversi di maioliche milanesi del sec. XVIII e sei terrecette
antiche persiane, smaltate.
Nella sezione archeologica:
Una testa femminile in marmo d’epoca romana ; anfore di terracotta,
rinvenute durante i recenti scavi per la fognatura in via Palazzo reale;
materiali di scavi (spade galliche, vasi di terracotta, ecc.), rinvenuti a
Carpianello ; una urnetta cristiana del VI secolo, in pietra calcare, recante in una delle faccie minori l’iscrizione: LVX M)) XP° TVS che
sovrasta al simbolo della croce fra due colombe: proviene da Agrate
Brianza; monete di bronzo, romane, provenienti dagli scavi di Socna
in Libia.
Le raccolte numismatiche hanno avuto un notevolissimo inceemento
con ottocento dei sigilli che costituivano la pregiata collezione del dott.
Luigi Ratti. Acquisto interessante anche del punto di vista della storia
Go ogle
“x
268 APPUNTI E NOTIZIE
di Milano, comprendendo la serie dei sigilli della Repubblica francese,
cisalpina, italiana, del Regno italico e i massonici dell’epoca napoleonica,
della dominazione austriaca e della città di Milano. E’ entrato pure in
questa sezione il conio antico che serviva a coniare i ducati d'oro del
duca Galeazzo Maria Sforza.
Galleria d'Arte Moderna. — ‘Tra i numerosi acquisti menzoniamo :
“ L’epidemia , dipinto ad olio di Lorenzo Viani; ritratto del pittore
Formis, dipinto ad olio da E. Magistretti; dipinti di A. Piatti, A. Gallotti “ lago di Misurina ,, Egidio Riva, Guido Zuccaro; due quadri di
Stefano Bersani: “ Alba sul lago , e “ Molino della linosa ,; acqueforti di Frattino, Agazzi, Vigetti, Conconi, Stanga, Beccaria, Rayper,
Turletti, Avondo, Fontanesi, Bertea, Quadrone e Grosso; disegni di
A. Bucci; parecchi studi del Fontanesi; un autoritratto del pittore Cherubino Cornienti (1816-1860), tela di grandi dimensioni raffigurante il
giovane artista al lavoro, reca la firma e la data 4. XI. 1843; un
grande disegno di Luigi Sabatelli, rappresentante Caronte che tragitta
le anime all’inferno, una delle grandi composizioni che il Sabatelli disegnò per essere incise all’acqua forte; un ritratto ad olio, in costume
del Seicento, dipinto da Mosè Bianchi. Infine nella scultura: la statua
“ Caino , dello scultore Ripamonti; una statua di Bassano Danielli
“ignara mali ,, e un busto femminile in marmo dello scultore Emilio Bisi.
Nell’ ingresso della sala delle ceramiche fu collocato il ricordo al
marchese Carlo Ermes Visconti proposto dalla Commissione dei Musei
e deliberato dalla Giunta all’indomani della morte del benemerito ordìnatore delle collezioni artistiche del Comune in Castello. Consta di un
medaglione in bronzo, con iscrizione dettata dal prof. Francesco Novati:
SOPRA IL TESORO D'ARTE | IN QUEST’ AULE ADUNATO | VIGILI VENERATA L'EFFIGE | DI CHI A DECORO DELLA PATRIA | LO RACCOLSE E CUSTODÌ PRIMO.
Archivio Storico. - Per via di doni e di acquisti l'Archivio storico sì e
arricchito di un bel numero di documenti, per esempio: un gruppo di pergame":e e carte riguardanti le famiglie Correnti, e Lampugnani di Palazzolo Milanese ; altre relative a proprietà del Luogo pio di S. Corona; un
dec:eto origimale del duca Francesco II Sforza, con firma autografa, 26.
IV. 1523, con la grazia fatta ad un condannato per omicidio; vari manoscritti di materia medica e provvidenze contro il colèra ed altre epidemie;
carte relative all’arciduchessa Maria Beatrice d’Este e al suo ingresso in
Milano; tutti i documenti Seletti relativi a Busseto e Stato Pallavicino, in
aggiunta alla cospicua collezione già lasciata all'Archivio del compianto
nostro cav. Emilio Seletti, e cioè : biografie di illustri bussetani, manoscritti di Giuseppe Seletti (poesie e commedie), manoscritti storici e archeologici del canonico Pietro Seletti, documenti intorno a chiese, conventi e Opere pie di Busseto. Infine un manoscritto originale con tabelle demografiche del Magistrato della Sanità in Milano nel sec. XVII.
La Raccolta Portiana si è arricchita con un manipolo di otto at
tografi di Carlo Porta frammisti a un centone di poesie manoscritte, la
maggior parte in dialetto milanese, e a copie sincrone di versi del ManGo ogle
APPUNTI E NOTIZIE 269
zoni, del Grossi, del Pellizzoni e d'altri. Inoltre con due acquerelii del
Migliara rappresentanti “la nomina del Cappellan , e un episodio del
“Lament del pover Marchionn ,.
Nella Raccolta cartografica, topografica e iconografica sono entrate alcune vedute milanesi di D. Aspàri che mancavano, di mado che
oramai la serie degli Aspàri nell’ Archivio Civico può dirsi completa.
Inoltre parecchie incisioni del Dal Re, autore ben rappresentato in
quella raccolta, due acquerelli del Sanquirico con scene del Teatro della
Scala e un bel ritratto ad olio dell’architetto Leopoldo Pollak.
Nell’ Archivio storico sono entrate anche le sei chiavi delle Forte
di Milano presentate il 18 giugno 1702 a re Filippo V, fuori di Porta
Ticinese, dal Vicario di Provvisione, Filippo Maria Visconti.
La Biblioteca dell’ Archivio si arricchì con acquisti di pubblicazioni rare, grazie alla dotazione che da alcuni anni il Comune ha concesso a questo Istituto.
Museo del Risorgimento. - Rapido e intenso è stato l’incremento del
Museo del Risorgimento nazionale. Vi è entrato l’intero archivio personale
del barone Generale Camillo Vacani, contenente, fra l’altro, il copialettere
dilui, dal 1813 al 1861, gran numero di lettere a lui dirette da sovrani,
generali, austriaci e francesi, uomini politici, magistrati, scienziati e artisti; carteggi relativi alla missione del Vacani per la definizione dei
confini verso la Lunigiana, 1843; disegni e rilievi di fortificazioni in Ispagna; una miscellanea di manoscritti e disegni sulle strade ferrate italiane
e straniere, memorie sulla laguna di Venezia e sulla sistemazione del
Danubio presso Vienna; il corso di lezioni tenute dal Vacani ai figli
dell'arciduca Carlo (1833-34). Di particolare interesse per gli studi milanesi sono i numerosi documenti orginali che riflettono la partecipazione, molto attiva, presa dal Vacani, al rinnovamento edilizio di Milaro
e alle discussioni per la sistemazione della piazza del Duomo e per la
stazione ferroviaria.
L’ Archivio del Museo, già così vario e cospicuo, si è arricchito
con: memorie e carteggi, in parte inediti, di Angelo Brofferio; diciassette lettere di Cesare Correnti a Giuseppina Appiani, da Torino, 1849,
interessanti per originali considerazioni filosotiche sull'Oriente; due
lettere autografe del maresciallo Radetzki; una lettera di C. Cavour,
giugno 1852, sulle dimissioni del Ministero D'Azeglio ; due lettere autografe di Vincenzo Gioberti al Massari, da Bruxelles 9 aprile e 17 giugno 184I.
Importanti documenti furono acquistati alla vendita delle collezioni del compianto ing. Carlo Clerici; un carteggio di trecento lettere
indirizzate a G. B. Containi Constabili, che fu uno dei primi cinque
direttori della Cisalpina, le quali si riferiscono particolarmente al periodo 1796-1804; lettere di J. Lambertenghi e ]. Mancini, membri del
Direttorio cisalpino, del 1797; del Somenzani, Prefetto deì Reno sotto
il Regno italico; del General Vignolle, del Cardinal Consalvi; documenti
relativi a G. B. Tarchini, segretario aulico nel Regno Lombardo-Veneto
Go ogle
270 APPUNTI E NOTIZIE
sei lettere dei fratelli Bandiera, dal luglio 1843 al giugno 1844, riguardanti la cospirazione della Società Esferia. L'ultima, firmata dai due
fratelli e da N. Ricciotti, può ritenersi una delle ultime che abbiano
scritto, giacchè, sette giorni dopo, venivano traditi e fatti prigionieri;
due lettere di Giuseppe Mazzini a Nicolò Fabrizi, 1* e 21. XI. 1850, lumeggianti il contrasto nei metodi dei due cospiratori; lettere di Manfredo Fanti, D. Cucchiari, Giacomo Medici, tutte al Fabrizi, alcune delle
quali contengono molte notizie sulla guerra di Crimea; una lettera
26. IX. 1838, firmata /osé Garsbaldi, in portoghese, scritta a Brajo, nel
Rio Grande del Sud, al Maggiore Bernardo Pirez a Piratimim, circa
un carico di grano che Garibaldi gli inviava pei repubblicani di Rio
Grande; lettere di Felice Orsini, dall’Ongaro, A. Poerio, G. Montanelli,
G. Tamburini.
Nelle raccolte iconografiche sono entrati: quindici figurini, ad acquerello, provenienti dall’ armeria Uboldi, rappresentanti le uniformi
dell'esercito italico: molte stampe, figurini di costumi, ritratti di Napoleone e di militari napoleonici; un ritratto ad olio del generale Fontanelli, dall'originale di Andrea Appiani; un bel ritratto ad olio dell’abate
Luigi Anelli; una raccolta di ritratti fotografici di ufficiali combattenti
nel 1859; un quadro ad olio di F. Zennaro: « la battaglia di Bezzecca ,.
Un acquisto cospicuo è stato quello di una bandiera della Repubblica italiana, in seta tricolore, con frangia e ricami d’oro, recante da
una parte lo stemma della Repubblica, quale fu decretato nel maggio 1802,
e la leggenda: * Repubblica italiana — guardia del Presidente ,,, dall’altra: “ Bonaparte Presidente allo squadrone di granatieri a cavallo:
disciplina-subordizione ,. E' una delle quattro bandiere distribuite nel
gennaio del 1814 alle Tuileries dal Primo Console.
Si è di molto arricchita la Biblioteca del Museo con acquisti e
doni; essa, come è noto, conta oramai più di quindicimila pubblicazioni
relative al risorgimento nazionale. Ha pure progredito la Raccolta
speciale intorno a Napoleone III, fondata dal senatore Luca Beltrami.
‘Nel Museo si è avviata una Raccolta di documenti, cimeli e pubblicazioni relativi alla guerra attuale e già ha ricevuto parecchio materiale.
Dei numerosi acquisti fatti all’ asta delle collezioni del dott. Luigi
Ratti il “ Bollettino, promette di dare una particolareggiata descrizione
in uno dei prossimi fascicoli.
+e MONACO DI VILLA, snilanese. — Fra i legati ai quali Ottone IV
ci Germania, dopo la sua incoronazione in Aquisgrana (12 luglio 1198),
diede pieni poteri per trattare con Innocenzo III, c’ era anche, assieme
ad un prete aquileiese, diventato cappellano del cavalleresco Riccardo
Cuor di Leone, un Monaco di Villa, cittadino di Milano. [Mensorie sforiche Forogiuliesi, a. X, fasc. III, p. 354].
si
APPUNTI E NOTIZIE 271
+°, RuceERINO pa Mirano. — Nel fasc. 3-4, vol. XXXVIII dell’Archivio della R. Società Romana di storia patria si è compiuta la pubblicazione dell’interessante memoria del Marchetti-Longhi intorno alla legazione in Lombardia di Gregorio da Monte Longo negli anni 1238-1251.
E’ ora da aggiungervi l’ altro studio di Pio Paschini: Ciociari ed altri
italiani alla sua corte, quand’era patriarca di Aquileia (tf 1269) (1). Costantemente a fianco del Montelongo sin dal principio del patriarcato
noì troviamo il suo osfiario Rugerino di Milano. Nel 1254 il patriarca
concesse a costui in feudo retto e legale sette mansi e mezzo nel territorio di Forni, ch’erano stati di Warnerio d’Artegna, traditore della chiesa
e che per il tradimento di lui erano ritornati possesso diretto del patriarcato. Egli compare spesso nei documenti degli anni successivi, finche nel suo testamento del 31 agosto 1269 il patriarca si professò debitore verso di lui di quattromila libre di grossi Veneziani e dispose perchè gli fossero pagati.
In quel testamento è ricordato anche un altro milanese: Giovannino
gn Adrigo giudice, quale servitore (2).
s°o PER LA BIOGRAFIA DI BartoLoMEO CoLLeoni. — Il Colleoni se ne
stava nel suo castello di Malpaga meditando un’ impresa grandiosa, che
gli consentisse di chiudere degnamente la sua carriera militare, allorchè
nel 1467 gli si porse l’occasione di partecipare alla lotta, che s’andava
ad impegnare nel centro d’Italia coll’obbiettivo di combattere il re di
Napoli.
Bartolomeo Colleoni parte con mezzi proprî, parte con quelli de’
fuorusciti fiorentini e della Serenissima mise insieme un esercito di
ottomila cavalli e seimila fanti e mosse contro la Toscana (3), forse
anche attratto a questa nuova spedizione dalla lusinga d’ impadronirsi
del ducato di Milano (4). Invaso il Bolognese si trovò il Colleoni di
contro l’esercito alleato de’ fiorentini, del papa, del re di Napoli e del
duca di Milano, di cui era capitano generale Federico d’ Urbino. Venuti
a Molinella (5) * loco sicurissimo et molto atto per rinfrescar li cavalli
s e per le giente d’arme , (6) le due schiere si scontrarono il 25 luglio
(1) In Memorie storiche Forogiuliesi, X, fasc. IV, 1915, p. 492.
(2) Certamente è noto che nel codice ambrosiano R. 71 Sup., contenente
rime provenziali, v'è una e Nenia de obitu Gregori} de Monte Longo Patriarche
Aquilei », codice membranaceo del sec. XIII.
(3) Cfr. Ricorti E., Storia delle compagnie di ventura in Italia, Torino,
1815, to. III, p. 206 e sg.
(4) Cfr. Rosa G., Bartolomeo Colleoni di Bergamo in Archivio storico italiano, s. III, to. IV, p.* I, 1866, pp. 170.71.
(5) La battaglia si denominò anche della Ricardina. Cfr. Spino P., Historia
della vita et fatti di Bartolomeo Coglione, Venezia, 1569, p. 204.
(6) Cfr. Cronaca di Anonimo Veronese edita da G. Soranzo, Venezia, 1915,
P. 250.
272 APPUNTI E NOTIZIE
in una mischia sanguinosa, nella quale Bartolomeo fece prodigi di valore (1) pur rimanendo indeciso l'esito del fatto d'arme.
Già ormai vicino alla vecchiaia, il Colleoni ammalava gravemente
per le fatiche sostenute durante la battaglia, tanto da far temere della
sua esistenza (2); a quest’episodio della vita sua, sul quale sorvola
il biografo Spino, si riferiscono appunto alcune lettere venuteci fra mano
esplorando quella ricca miniera, che è il Carteggio generale del nostro
archivio di Stato. In essa sono messi in rilievo alcuni particolari di
qualche interesse, che potranno tornar utili per una moderna biografia
del grande condottiero bergamasco.
L'oratore milanese a Roma, Agostino de’ Rossi, pochi giorni dopo
la battaglia di Molinella scriveva al suo duca: “ Quisti dì passati face-
“ vano li oratori venetiani et quisti Cancelleri de Bart.° Coleoni insieme
gran fumo de zanzare digando chel suo campo cazava el nostro per
tutto et che li nostri erano fugiti quasi tutti li fanti da pede et più
de CXKXXV homini d’arme et andati a loro in modo chel non era
dubio et havariano a discretione et facevano gran menazate , (3). Più
tardi lo stesso oratore avvertiva che il Colleoni “non poteria stare
“ peso et anche luy de la persona sua sta amalato , (4), notizia,
che l’oratore fiorentino presso il duca di Milano, Angelo della Stufa (5),
confermava poi in modo più preciso: “ B. Coglione nel termine che è
“ non ha a campare di questo male et quando ben campasse rimarra
“ in modo della vita non sara da farne mai più stima veruna , (6).
E qualche giorno dopo in una lettera diretta al duca (7) venivano dati
questi curiosi particolari intorno alla malattia del Colleoni: “... uno
“ giovine bolognese che vene questa matina intro nella camera de Bartolomeo insieme col suo barbiere et tocco luy tenere la candela et
che Bartolomeo si fece tagliare li peli de la barba intorno alli labrì
perche li peli de luno labro pungevano l’altro et luy non li poteva
patire et dicta che ad pena poteva parlare et che pare morto benche
ancora habia fiato et più dice che vide nel catino el sangue chel haveva smaltito fuori si che credo chel se ritrovaria assai più contento
“
=
(1) Ctr. Bonomi G. M., 1) castello di Cavernago e i conti Martinengo Colleoni, Bergamo, 1884, p. 4I.
(2) Cfr. NicoLini G., Lettere di Pietro Cosimo de Medici a Otto Nicolini in
Archivio storico italiano, 1897, fasc. II.
(3) Cfr. ASM, loc. cit., busta 136, lettera 3 agosto 1467.
(4) Ivi, lettera 16 agosto.
(5) Cfr. quest'Arehivio, 1886, p. 756.
(6) Cfr. ASM, loc. cit., lett. 21 agosto.
(7) Ivi, lett. 23 agosto di Giovanni Bianchi.
Go ogle l E
APPUNTI E NOTIZIE 273
* chel non fa sel fosse ad Malpaga al governo de quelle soe cose la ,.
I soldati colleoneschi intanto tumultuavano e la Serenissima inviava
Geronimo Barbarigo, il quale con promesse riuscì a sedare la sommossa
così che Bartolomeo in poco tempo ricuperava la salute (1) smentendo
ì neri pronostici degli avversari suoi e poteva poi far ritorno alla sua
Malpaga a trascorrervi gli ultimi anni della vita nel geniale consorzio
de migliori cultori delle arti e delle lettere.
A. GIULINI.
+ IL TIPOGRAFO PARMENSE ANNIBALE Fossio ALLIEVO DEL VALDARFER.
— Come già lasciava trapelare il chiar. dott. Gerolamo Biscaro (2), le
ricerche nell’Archivio notarile di Milano, da lui forzatamente interrotte
pei suo trasloco in più alta sede a Roma, continuano da parte nostra
onde potere di comune accordo più tardi presentare in questa (vista
un vero “ corpus , illustrativo della storia della tipografia nel ’400.
Ma «ggi non ci sembra dovere rimandare la notizia di un documento, x°ecentemente scoperto, che oftre un particolare interesse per i
nomi che vi figurano.
Ai 9 agosto 1476 “ domînus Christotorus Valdarter de Ratispona. i
del q.m Pandòlfo, abitante in P. Cumana, nella parrocchia di S. Nazzaro Pietrasanta assumeva’ in apprendista per due anni Annibale, figlio
di Filippo “ de Fosio , del q.® d. Andrea di ed in Parma, abitante in
Porta Custina, parrocchia di S. Silvestro (3).
Coll’ autorizzazione e garanzia del padre, Annibale si obbligava di
andare ad abitare con il Valdarfer, e “ laborare et personam exercere
cum ipso domino Christoforo in arte et exercitio componendi et disponendi litteras pro stampandis libris et eidem domino Christoforo
‘ obedire in limitis et honestis et laborare temporibus debitis et fi-
“ delis esse ,,, Per contro maestro Cristeforo prometteva “ ipsum An-
“ nibalum instruere totis ejus viribus in arte predicta , prestandogli
* cibos et potus , per detto tempo, oltre ad una mercede di L. 50 imperiali; inteso che trascorsi sei"tesi, e diportandosi bene Annibale, ed
& lui occorrendo abiti o scarpe “ pre nécessitate ejus persone ,, detto
Cristoforo glieli fornisse, deducendone l' importo dalle L. 50. Tenuto
al risarcimento dei danni per inadempimento di lavoro o per cose
illecite commesse. I patti vennero rogati dal notaio Gaspare Maria Rasini, e tra i testi figura un altro tipografo ben conosciuto: “ dominus
“ Petrus Antonius de Burgo dictus de Castiliono , del q.m Antonio,
che allora abitava nella parrocchia di S. Maria Passerella.
o de. el. I INC PECE TETORE TIZIO s.
(1) Cfr. NICOLINI, op. e loc. cit.
(2) Panfilo SA e gli sez cola stampa a Milano, in quer Archivio,
fasc. I-II, 1915.
(3) A patti trait Valdarfet ‘è i° fratelli ‘Sant! RUESO: set” 1477” gii ‘iccennammo (A. S. L., fasc. IV, 1900). sil
274 ‘APPUNTI E NOTIZIE
Ora, a parte la curiosità di tali patti (di consimili per Milano non
ci consta siansi già editi) il documento ci rivela nel giovane apprendista un futuro distinto tipografo parmense, Annibale Fossio, Fosius,
Foxo o come altrimenti si sottoscrive nelle sue edizioni di Venezia de}
1485-1487 (1). E forse neppure si sapeva ch’egli fosse stato allievo del
Valdarter. Ve lo indirizzò forse il compatriota Antonio Zarotto ?....
E, giacchè siamo sul tema’ di tipografia, ricorderemo che il Della
Santa, non molto tempo fa, ha rinfrescata la memoria di Bonino de’ Borini, il tipografo dalmata che lavorò anche a Brescia (1480-81) (2). Ma
questa volta non discorre di lui come tipografo, per il quale nuove ricerche negli archivi veneziani riuscirebbero affatto infruttuose per già
compiuta esplorazione sistematica, ma ne illustra con abbondanza di
. documenti la sua importante missione di “ confidente, della Repubblica
di Venezia a partire dal 1497 da Torino, da Lione e dall’Italia. “ Fede-
“ lissimo e onesto suddito di Venezia , egli non è da confondere con
altri tipi di agenti secreti, veri avventurieri, quali l’ing. militare Basilio
della Scola ed altri. Curiosa e nuova, a nostro parere, la notizia che il
Bonini s’era dato alla vita ecclesiastica, ottenendo dei benefizi e salendo
nel 1501 alla dignità di decano del capitolo del duomo di Treviso.
Non è il caso d’intrattenerci oltre intorno alle ultime vicende del
Bonini, rimandando all’ uopo alla bella memoria del Della Santa: aggiungeremo soltanto ch’egli sembra abbia cessato di vivere nel giugno
del 1528 (3).
E. M.
eo CASTELLANI DI CARIMATE. — Del castello di Carimate, oggid?
splendida villeggiatura di nobile famiglia lombarda, ha trattato con
largo corredo di documenti il compianto archivista P. Ghinzoni in quest Archivio (XVIII, 1890, p. 789 e sgg.), illustrando specialmente il soggiorno fattovi da Massimiliano I] nel 1496, nel suo incontro con Lodovico il Moro.
Possiamo ora aggiungere che vi erano casteliani Bonifacio de Nava
nel 1462 e Zristano da Carcano nel 1475. ll primo figura procuratore
speciale della magnifica Catterina Beccaria del q.® Lancellotto e vedova,
(1) Cfr. Arrò, Saggio ‘di memorie sulla tipografia parmense, Parma, 1793,
p. xLn1 e le Giunte e correzioni al Saggio del Affò del Pezzana. Parma, 1827,
P. 33. (2) Il tipografo dalmata Bonina de’ Boninis « confidente » della Repubblica
di Venezia, decano della cattedrale di Treviso in Nuove Archivio Veneto, vol.
XXX, 1915.
(3) Raccomandabile altresi il lavoro del dott. Giorcelli, infaticabile ricercatore della storia del suo Monferrato, sui Tipegrafi di Alessandria 0 di Valenza
del secolo XV e tipografi monferrini dei secoli AV 0 XVI che stamparono in Ve
nezia, in Rivista di storia di Alessandria, XXIV, 57 (1915).
n
APPUNTI E NOTIZIk 275
di Scaramuzza Visconti, abitante nel detto castello, usufruttuaria di
tutti i beni del marito (1). Del secondo, figlio del q.m Bernabò de Carcano, personaggio non sconosciuto del periodo sforzesco, si ha un istrumento di vendita di beni, in data 7'marzo 1475 (2).
ee ARAZZI DI Gastone DI Foix? — Non v'è chi non conosca gli avanzi del monumento di Gastone di Foix, duca di Nemours, morto ventiduenne nel 1512 alla battaglia di Ravenna.
Possedeva egli dei bei arazzi ?.... dovremmo ammetterlo a giudicarne
da un istrumento 9 gennaio 1516 (3), per il quale il magnifico e “ stre-
“ nuus armate militie miles dominus Zinianus de Feragutis galicus ,,
del q.m Giovanni, abitante allora in Milano, a nome degli eredi di Gastone ovvero “ ill.mi nunc q.® domini de Foys olim ducis de Nemors ,,;
confessa d’aver ricevuto dal reverendo dottore decretorun Lodovico da
Landriano, figlio del q.m mag.co Antonio (4) preposto di Viboldone, scudi
80 d’oro ed in oro del sole per completo saldo “ illarum petiarum trium
* tapazarie de quibus in prefata ordinatione [di Benedetto Albriono,
“ vicario di giustizia di Milano] fit mentio, die hodie facta ,
I celebri arazzi illustranti la battaglia di Pavia al Museo Nazionale
di Napoli, dovuti a Bernardo van Orley furono oggetto di studio da
parte di diversi, dopo che l’arch. sen. Luca Beltrami li fece conoscere
mediante una delle sue solite splendide pubblicazioni illustrate. L'argomento è stato recentemente trattato dal dott. Ernesto Gagliardi, in Zurigo (5): i sette arazzi, riprodotti in nitide eliotipie, di formato più ridotto, vennero da lui sottoposti ad un minuta analisi secondo il loro
valore non soltanto artistico, ma anche storico ed iconografico che giudica importante.
E. M.
*, PER LA BATTAGLIA DI Marignano. — Delle letture fatte l’1I febbraio scorso all’Académie des inscriptions et belles lettres notiamo quella
del conte Durrieu intorno alle miniature in grisaille eseguite ad illustrazione di una parafrasi di venti versetti del salmo XXVI, in onore della
vittoria di Marignano (1515). Il poema e le miniature erano state ordinate dalle regine Luisa di Savoia e Claudia di Francia, madre e moglie
di Francesco I a Goffredo il Batavo, autore delle grisailles del manoscritto di Chantilly.
(1) ANM, rog. not. Giosafatte Corbetta, 15 novembre 1462.
(2) ANM, rog. not. medesimo. x
(3) ANM, not, Gio. Ambrogio Castani.
(4) Il noto tesoriere ducale, assassinato da Simone Arrigoni.
(5) Die Schlacht ven Pavia auf den Teppichen des Museums zu Neapel. Zorich, 1915 e 1916, in-4 ill., 2 fascicoli (« diana der. Feuerwerker-Gesellschaft », 1915 € 1916). '
276 APPUNTI E NOTIZIE
Il Durrieu, autorità riconosciuta in materia d’arte, fin dal 1894
aveva, in collaborazione con Marquet de Vasselot, fatto conoscere il
manoscritto delle Oratsons de Cicéron en francois di Stefano Le Blanc,
pure dedicato a Francesco I e nel quale l’ unica miniatura rappresenta
Francesco I che carica gli svizzeri a Marignano (1). E’ nella Nazionale
di Parigi ed è opera probabilmente del miniaturista Bartolomeo Guetty.
Tuttochè nota nei suoi particolari la celebre battaglia dei giganti,
descrizioni inedite della medesima, saranno sempre le ben accolte. Noi
richiamiamo p. e. l’attenzione su quella del cronista comasco Francesco
Muralto, ma ben inteso non quelia prodotta nella stampa de’ suoi Awsali (Milano, 1861, p. 196), bensi quella assai più dettagliata contenuta
nel codice trivulziano, forse autograto, del Muralto. Altra notizia coeva
leggesi nel diutile del notaio milanese Filippo da Liscate, altro codice
della Trivulziana, per non citare, per oggi, le diverse poesie a stampa
sulla Roita de Sgutzari, rarità bibliografiche delle quali doviziosa va
quella biblioteca (2). . A E. M.
1 CONFALONIERI OREFICI NEL ’500, — La nota ditta di oreficeria Contalonieri deve avere origini ben antiche, trovando che nel 1548 già eravi
in Milano un “ gioielierius , Gio. Giacomo Confalonieri, figlio del q.m
. d. Giov, Pietro, abitante in Porta Orientale nella parrocchia di S. Paolo
in Compito (3). . ac
Chiedian:0: dove fini il prezioso codice contenente la matricola degli orefici milanesi del 300 già posseduto dal marchese Gerolamo d’Adda
e da lui e dal Cafti reso noto ? (4). E quello similare del ’400 già della
biblioteca Landau emigrò esso pure in America ?...
ee ATTESTATO DI MORTE DEL PADRE Onorrio Branpa. — Nel suo
bel lavoro sulla Storia dei Barnabiti (Roma, 1913, p. x1) il p. Premoli
ricorda che ad una storia dei barnabiti aveva posto mano nel sec, XVIII
il ben, noto p. Branda. Ben noto per quella guerricciuola tra lingua e
dialetto da lui suscitata e sfuriatamente combattuta a pasquinate, a bosinate, a libelli, sicchè di libri ed opuscoli stampati allora c’è da riempire
(1) Vedine la riproduzione nel loro lavoro Les Manuscrits à miniatures des
Héroides d’Ovide traduites par Saint-Gelais et un grand miniaturiste francais du
XVI sitcle, in L’ Artiste di Parigi, maggio-giugno 1894. Di questa traduzione
dei Discorsi di Cicerone s'è pur i il Delisle nel Journal des Savants,
agosto 1900.
(2) Per gli svizzeri a Novara ea Marignano vedi anche Biiivezo ANT.
GeoRrgIO, Discorsi di filosofia militare, Milano, 1629, p. 229-30 e a: Quesiti militari, Roma, 1606, p. 13 e 165..
(3). ANM, Rog. 21 I. 1548, notaio Gervaso Bilieai. ò
(4) D'Appa. Indagini sulla. Libreria di Pavia, spetta: 1879 *e CAFFI in Ì
RR 1880, p. 594 e sgg. E meat e Sa
Ì È
APPUNTI E NOTIZIE 277
un buon scaffale. Non è nostra intenzione darne la bibliografia, il che
hanno già curato il Mazzuchelli ed altri (1): crediamo invece non inutile
riferire l’elogio funebre che del frate battagliero sta sotto la data del suo
decesso negli Atti del Collegio di S. Alessandro. Ce lo ha favorito il
cortesissimo preposto parroco don Luigi Manzini. .
Ex Act. Coll. S. Alexandri
7 feb. 1776.
“Summo, iustissimoque omnium nostrum dolore extremum diem obiit
* P. D. Paullus Onuphrius Branda aetatis annorum 66 omni eruditionum
* genere clarissimus, ut innumerì ab ipso in lucem editi libri testantur,
“ sanctissimae vitae vir, religiosae vitae tenacissimus semper custos
“ virtutum omnium et perfectionis vivum exemplar, unde ne dum nobis
* sed omnibus carissimus erat, summoque habebatur in honore.
“* Toleratis autem per annus plures valetudinis incomodis, ac prae-
* sertim gangraena in crure sinistro, ob cuius pertinaciam iteratas vi..
* vae carnis lacerationes, et sectiones admirabili animi fortitudine, ve-
“ reque heroica patientia sustinuit; tandem gravissimo tuelationis morbo
* afflictus, Divinis omnibus mysteriis expiatus quae ipse tempestive
* expostulavit, summaque animi devotione suscepit, placidissime quievit
* in Domino. Dies noctesque in officiis pietatis transigebat tanto animi
“ ardore et spiritu contentione, ut intuentes ad pietatem excitaret. Tanta
“ erat humilitate ut abiectissime de se sentiret, et inutilem servum se
* crederet, et huic Collegio se tantum oneri esse dictitaret. Tanta erat
“ obedientia ut ne dum prompto animo Maiorum vel aequalium, sed et
“ inferiorum voluntatem et iussa semper faceret. Lenis erat, et mitis in
“ omnes, in se unum rigidissimus, adeo, ut ne autumnalibus quidem fe-
“ riis ullum unquam levamen sibi concesserit.
“ Summo zelo animarum saluti nullis parcens laboribus impense
“ deservivit, sive pluribus editis asceticis libris, sive exemplo, sive au-
* diendis confessionibus.
“ Porro tot cumulatum meritis fidentissime speramus ea nunc ipsum
“ trui caelesti gloria, ad quam in dies singulos festinare totis viribus
“ studuit ,.
+°. l'egregio dott. Diego Sant'Ambrogio richiama la nostra attenzione su di una testinionianza della sagacia del compianto nostro Presidente, prof. Francesco Novati, nella rispluzione di intricati quesiti
storici, che vien resa dal sig. Paolo Fournier, in un dotto articolo da
lui pubblicato sul vescovo Bonizone da Sutri nella Bidliothique de l'Ecole
des Chartes (maggio-ottobre 1915).
(1) Collezioni abbastanza complete di Brandana e Antibrandana stanno nelle
nostre biblioteche. Quella forse più copiosa che è in Trivulziana appartenne al
poeta Tanzi. Anche la nostra Società possiede molti di quei componimenti, per
lascito del marchese Visconti.
Arch. Stor. Lomb., Anno XLIIT, Fasc. I-Il. 18
(O ogle
278 APPUNTI E NOTIZIE
Nel commento che il Novati fece all’Obifuario della Caliedrale di
Cremona (in quest Archivio della. 1880), soffermandosi egli alquanto sui
resti dell’ iscrizione funeraria al vescovo, oriundo di famiglia cremonese,
Bonizone da Sutri, di cui tessè in breve le vicende, espose l’ avviso
che, dopo gli oltraggi sofferti da Bonizone nella persona a Piacenza in un
tumulto popolare, Sì da averne mozzate le orecchie, il naso ed essergli
stati tolti barbaramente entrambi gli occhi, l’ardito prelato cremonese
non sia morto, come vollero taluni, nel 14 luglio 1089, ma sia sopravvissuto molti anni ancora, tantochè il Locati, iù Campi e ìl Vairani nelle
Iscrisioni cremonesi fissarono la di lui morte all'anno 1114.
Di questo ritardo di ben venticinque anni alla data 1089 tenuto per
ammissibile dall’Ughelli, dal Sanclemente e dal Ciacconio, lo stesso professor Novati si mostra dubbioso, ma non esitò il chiaro scrittore ad
assegnare la data della morte del vescovo Bonizone, ad a.cuni anni certamente dopo quella data del 1089, pel fatto che non poteva ritenersi
supponibile che il forte polemista dell'autorità papale nella lotta per le
investiture, scrivesse la sua memoria is. Ugorem, il trattato de Sacra.
mentis e il suo Liber de vita christiana nel breve intervallo di un solo
anno, quando cioè si ammettesse che non già in detto anno 1089 ma
in quello successivo venisse egli a mancare di vita, come era stato supposto da alcuni scrittori in relazione alla nomina del suo successor nella
diocesi di Piacenza.
È appunto di questa erudita chiosa ed attestazione che il Fournier
rende elogio al defunto Presidente della nostra Società e ne diamo
qui notizia a titolo d’onore e ricordanza per i lettori del nostro Archivo.
1°, BARTOLINO DA Novara. — Sotto il titolo A:vendicaszione nobiliare
leggiamo a p. 59 del fasc. I, 1916 della Rivista araldica quanto segue: “ Bertolino de Ploti da Novara, architetto militare del XIV secolo che costrui il meraviglioso castello Estense a Ferrara, propagò in questa città
la sua famiglia ascritta al patriziato, insignita del titolo di conte ed
estinta nel conte Agostino Novara (7 10 agosto 1787), il quale lasciò erede universale il Comune di Ferrara. A Gualdo, nel ferrarese, esiste
da tre secoli e più una famiglia Navarra i cui ascendenti diretti furono
chiamati alternativamente Novarra e Navara. Con buoni argomenti l’attuale rappresentante della famiglia Navarra, cav. Francesco, già ufficiale.
del R. Esercito, cav. Mauriziano ha ottenuto con R. Decreto motu proprio
dal Re V. Emanuele III la rinnovazione del titolo di conte e la nobiltà
ferrarese. Ha inoltre ottenuto con altro d. reale l’aggiunta del cognome
Ploti a quello Navarra,trasmissibile al proprio nipote colonnello Ugo Sani».
‘»° L’egregio consocio arch. U. Monneret de Villard ci segnala che
un Baldassare da Vigevano ha firmato le miniature del codice contenente
le Istorie di Trogo Pompeso della biblioteca di sir Th. Phillipps a Cheltenham (n. 3353). A nostro avviso trattasi di un miniatore finera sconosciuto.
Go ogle n
APPUNTI E NOTIZIE 279
e", Il dott. Ferretto continua in Pagine d’arte (n. 4, 1916) le sue
comunicazioni di fonti dell’arte ligure. Notiamo:
1609, maggio 2. Giacomo Solaro, pittore, paga al Rettore di S. Torpete
l’ affitto della loggia di S. Torpete che tiene in locazione sin dal- l'aprile 1608.
1665, novermbre 13. Maestro Luca Carlone presenta il conto dei restauri
nel neftare stucchi e pitture, nel palazzo di Gio. Francesco Grimaldi
posto nelle vicinanze di S. Francesco.
+*. Per iniziativa della società “ La Letteraria e Amici dei Monumenti , la quale conta già parecchie benemerenze in fatto di memorie
storiche e di cimeli d’arte sottratti alla distruzione o al deturpamento,
si è addivenuti alla costituzione di un Comitato permanente in cui oltre
alla Società proponente sono rappresentate la Società Storica Lombarda,
la Società degli Artisti e Patriottica, la Famiglia Artistica e la Società
degli Architetti lombardi.
Il Comitato si propone di esercitare un’opera vigile e quanto è
possibile preveggente perchè, pur tenendo conto delle indeprecabili
esigenze a cui dà luogo il rinnovarsi della vita cittadina siano rispettate le vestigia del passato che parlano spesso un eloquente linguaggio
anche sotto modeste forme. Il Comitato, valendosi del prestigio che gli
conferisce l’essere interprete del pensiero di così autorevoli associazioni, curerà in particolar modo che l’opinione pubblica sia in tempo
avvisata e possa quindi pronunciarsi in merito a temuti danneggiamenti
prima che questi abbiano un principio di esecuzione.
Con intenti almeno parzialmente analoghi la Famiglia Artistica indisse nello scorso aprile una esposizione di quadri, di pastelli, di acqueforti, intitolata “ Milano vecchia e nuova , e trovò gran concorso dì
artisti e di visitatori. Delle due medaglie d’oro assegnate alle opere
migliori una toccò al pittore Eugenio Marana per il suo “ Cimitero della
Mojazza », l’altra ad A. Fossombrone per il suo pastello “ Corso Vittorio Emanuele ,. Parecchi artisti esposero impressioni di luoghi o dò
speciali atteggiamenti di vita milanese ormai scomparsi e di qualche
interesse storico. Non è improbabile che l’esposizione sì ripeta e in
maggiori proporzioni.
.*. Alla “ Pro Cultura , di Milano, nello scorso febbraio si iniziò,
in continuazione del corso di Sforia milanese, una serie di monografie
sulla “ Vita milanese del seicento nei Promessi Sposi di A. Manzoni ,
tenute dal nostro consocio prof. sac. Emilio Galli. I temi trattati, continuando le letture nei mesi successivi, furono: “ Milano edilizia e trafficante ,, I due Borromei ,, “ Aristocrazia e popolo ,, “ Letteratura e
scienza nella Biblioteca di don Ferrante ,, Politici, guerrieri e governatori ,. Lo stesso professore tenne, in continuazione del corso di
storia della rivoluzione francese, conferenze su “ Il Direttorio e la
230 APPUNTI E NOTIZIE
conquista della Lombardia ,, * Le difficoltà del nuovo Governo in
Francia e la campagna del Bonaparte in Italia ,, * La conquista francese della Lombardia , e “ I governi rivoluzionari in Italia ,.
L'Archivio storico lombardo spera di potere, in un tempo non lontano, dare del prof. Galli un suo utile e desiderato studio su Mi/aso
siel Seicento.
«*, NUOVI MANOSCRITTI LOMBARDI ALLA NAZIONALE DI PARIGI. —
H. Homont, con costanza ammirabile, continua ad offrire nella 2Bibltothéque de l’Ecole des chartes l'inventario dei nuovi acquisti di manoscritti
tatti dalla Nazionale di Parigi. Nei fasc. 1-5 del 1915 egli ci offre quello
per gli anni 1913-1914 che noi spigoliamo per la parte lombarda.
Il ms. lat. 2446 Recuei! de pièces originales relatives à l’histoire de
France et PItalie (1370-1803) contiene a fol. 17 lettere patenti di Francesco I, re di Francia e duca di Milano, confermanti i privilegi dei Gerolomitani di S. Sigismondo fuori le mura di Cremona (13 giugno 1516).
Il ms. franc. 11218 contiene una lettera di Tiraboschi (Milano, 23
maggio 1791). Il n. 11267 dei Documents originaux relatifs a la mission
aupres de Francois-Marie Sforce, duc de Milan, a° “ Albert Merveilles, gentilhormme ordinaire de la Chambre du Roy ,, (1532-1533). Notiamo ancora:
n. 22250, fol. 115 “ Relation des motifs qui ont élevé le cardinal Odescalchi au pontificat , (Innocenzo XI); n. 22200, lettere di F. Odorici,
Paciaudi; n, 22301 (6), priorato di S. Giacomo di Pontida (Bergamo);
n. 22334, Melanges sur l° histoire a’Italie, tol. 87, investitura del ducato
di Milano accordata da Carlo V a Filippo di Spagna suo figlio; fol. 200,
sonetto “ Au Roy sur le secours que sa Majesté donne à Mantoue ,, firmato “ Chanvallon ,,; fol. 418 “ Notizie concernenti l’originaria fondazione dell’I. R. Istituto Lombardo di scienze, lettere ed arti ,, (1846).
+. Nel Catalogo n. 309 (libri, stampe, autografi) della nota libreria
antiquaria P. Luzzietti, di Roma (maggio 1916) figurano tre manoscritti
d’interesse lombardo.
N. 291. Diploma di cittadinanza romana concesso a Pietro Antonio Casari nato in Roma, figlio di Sante Casari Milanese 1712 (L. 250).
N. 321. Il trasformato. Comedia di Quintilio Lucino Passalaqua da Como,
Can.ico della Cattedrale e dottore di leggi. L’ Anno M. DCViij coll'occasione delle feliciss.me nozze che fra gli Illmi SS.ri il Sig. Honorio Gallio, e la Sig.» Lveretia Odescalca furon fatte. Autografo
di 208 pag. in-4 (L. 100).
N. 321 bis. Statuta Civitatis Mantuae. Sec. XVI, di oltre 200 cc. in-fol.
(L. 75).
e» Dalla Relazione del bibliotecario della Comunale di Bologna, il
prof. Albano Sorbelli, che con tanta dottrina ed amore dirige 1° ArchiGo ogle :
APPUNTI E NOTIZIE 281
gianasio, bollettino della medesima, entrato col 1916 nel suo undicesimo
anno dì vita (fasc. 1-2, p. 7), apprendiamo che fra i molti donatori del
1915 va particolarmente notato l’on. Luigi Rava per gli interessantissimi
manoscritti di Pietro Tamburini del sec. XVIII.
+, Nei prossimi fascicoli della Revue Historique vedrà la luce un
lavoro di Eugenio Griselle su Carlo Gonzaga, duca di Nevers e la successione di Clèves-Juliers (1).
«ee Per scempio vandalico e mera inciviltà l’esercito austro-ungarico ha distrutto il borgo di Loppio fra Mori e Riva nell’atto di doverlo
abbandonare definitivaménte all'esercito italiano. In tale distruzione è
scomparso quel gioiello di antichità e di arte ch'era la villa dei conti
Castelbarco-Visconti-Simonetta; ed è stato disperso e incendiato |’ archivio preziosissimo di quella famiglia patrizia, che conteneva pergamene
che risalivano al 1100, autografi di Carlo V, documenti vari illustranti
la storia della regione. [Gli archivi italiani, a. III, 1916, fasc. I, p. 73,
Roma]. (2).
+ Nella seduta della R. Accademia dei Lincei, del 20 febbraio
scorso, il Luzzatti ha dato notizia dello stato dei lavori della Commissione per lo studio e pel commento delle carte costituzionali e politiche
dal medio evo al 1831, commissione sorta sotto il patronato dell’ Accademia e da lui presieduta. Egli illustrò due documenti che appariranno
nei volumi di prossima pubblicazione sulla Repubblica Cisalpina ; nei
quali documenti, alla vigilia di Campoformio, i Venezianize i Cisalpini
mettono in rilievo la necessità assoluta per l'Italia di non dare all’ Austria l’Istria e la Dalmazia, Bonaparte non tenne conto di quei consiglì
e fece il funesto trattato di Campoformio. Oggi l’Italia unita e concorde
è erede dei voti degli italiani del 1797. [Rendiconti Acc. Lincei, fasc. 1-2,
1916, p. 85].
0° I CARTEGGI DELLA GUERRA ALL'ARCHIVIO DI STATO DI BRESCIA. —
Togliamo dalla Provincia di Brescia del 21 maggio scorso: “ La raccolta
dei carteggi autografi della guerra istituita presso l’Archivio di Stato,
non è più un'iniziativa, ma un fatto che felicemente si compie. Sindaci,
parroci e famiglie hanno inviato in questi mesi cartoline, lettere, fotografie dei militari morti in guerra, e la manifestazione di intelligente
premura nell’opera di raccolta e trasmissione di tali documenti fa prova
di un senso storico e patriottico del quale è legittima la compiacenza.
(1) Ai Dardanelli cadeva Giovanni Loew, della École des chartes donde ne
era uscito promosso nel 1912 colla sua bella tesi consacrata a Luigi principe di
Mantova, duca di Nevers.
(2) Ricordi di quella storica villa, accompagnati da vedute illustrate, si leggono, a cura di A. Zucchini, in La Lettura, marzo 1916.
Go ogle
282 APPUNTI E NOTIZIE
“ Come era stato facile prevedere, l'interesse di tale scrittti è già
ora ben diverso e maggiore di quello che avevano modestamente pensato i loro autori. La cartolina illustrata, che porta l’ultimo saluto, sporca
di terra per le continue esplosioni di granate sulla trincea, la lettera a
linee barcollanti, perchè scritta appoggiando la carta sul calcio del fucile, sul chepy, o sul tamburo, non sono più carte che si possono toccare senza brividi di religiosa commozione. Vi è un notes-diario attraversato da una baionettata, e qualche pagina non si può svolgere perchè troppo intrisa di sangue.
“ Il contenuto non è sempre informativo di notizie guerresche, ma
è sempre istruttivo dei sentimenti che reggono il cuore dell’ uomo nei
giorni supremi. Sotto le varie parole e talora.incolte espressioni, si può
dire che i capisaldi del pensiero sono: famiglia e religione.
“ Quali assistenze gli studi di storia del Risorgimento saranno per
procurare ai morti di questa guerra, oggi non è possibile di stabilire;
ma se anche per la maggior parte dei caduti la modestia del ceto sociale e del grado militare non renderanno facile il ritrovo di documenti
che ne assicurino con precisione i ricordi, questa raccolta governativa
dei loro scritti resterà reliquiario, a cui nipoti non immemori potranno
muovere in visita come a pellegrinaggio pio. La conservazione di modeste carte private nel Regio Istituto, che ha per funzione quella delle
carte del Governo, è già di per se provvedimento non privo di significato, quale segno di riconoscenza nazionale a chi per la Patria ha
dato la vita.
“ Non tutte le persone chiamate a collaborare alla raccolta hanno
naturalmente cooperato in grado uguale, e ve ne furono anche di quelle
che diedero nessun contributo; ma di tali casì probabilmente scusabili
col minor grado di cultura delle persone, non hanno impedito che la
Direzione dell’Archivio raggiungesse almeno in parte, per altre vie, la
finalità propostasi, e conferirono miglior merito ai volonterosi che risposero all’appello, dimostrandosi aiutatori efficaci.
“ Meritano menzione distinta per quantità, qualità e diligenza di d
contributo, i Municipi di Calvisano, Carpenedolo, Cremona, Lonato, Rivolta d’Adda, Salò e Soresina; ma, naturalmente, anche il parroco di
una piccola pieve, come quella di Presegno, o di un sobborgo come le
Fornaci, che ha fornito solo uno o due carteggi, perchè soltanto uno o
due furono i morti della sua giurisdizione, non può certo dirsi in difetto
di collaborazione. Anche a questi benemeriti si fa doverosamente pervenire un segno dl grazie, e i loro nomi verranno pubblicati in appositi elenchi.
“ Quanto alla collaborazione degli ecclesiastici, si può augurare che
alla fiducia di cui la Direzione dell’Archivio ha loro dato pubblica prova,
procurino di corrispondere con un impegno maggiore.
“ Come è noto, la raccolta è sotto gli auspici del Ministero dell’Interno e i Prefetti di Brescia e di Cremona vi hanno dichiarato il loro
personale interessamento. Il Ministero della Guerra ha permesso che
=
APPUNTI E NOTIZIE 283
gli Uffici Notizie contribuiscano con le opportune informazioni; e così
mentre l'Archivio di Stato, con i cortesi aiuti della Presidenza della
Sottosezione di Brescia, -prende qui direttamente le indicazioni di cui
abbisogna (e si compiace della perseverante attività di quelle distinte
signore e signorine mobilizzatesi volontarie della guerra), la Sottosezione di Cremona si tien in rapporto con l'Archivio e gli ha con accuratezza eseguito un vistoso lavoro di spoglio.
"* Opere di corredo alla raccolta dei carteggi sono:
“ urto schedario speciale bio-bibliografico dei caduti, che un impiegato dell’Archivio redige sui quotidiani e riviste;
“ e una collezione di stampe occasionali, come i Manifesti pervenuti dal Comitato presso il Ministero dell’Istruzione, il Quaderno fer
i soldati edito dai medici di Milano e i fogli Per i so/dati e il popolo,
pubblicati dall'Istituto Piemontese per le Biblioteche dei soldati. La Direziocne Centrale dell'Ufficio Notizie inviò i propri regolamenti ed istruzioni; e alto, ambito dono, il Comando Supremo spedì direttamente i
propri volumi.
“ Forse mai una raccolta archivistica si è trovata in così immediato
contatto con la vita della Nazione. E’ un piccolo Pantheon dei nostri
Morti per la Patria ,.
Troppe volte la nostra penna deve scorrere tra i segni di lutto, in
memoria di buoni consoci, di cari amici e di valenti studiosi della storia
nostra che la morte travolge, inesorabile. Nel decorso di un anno quanti
ci hanno lasciati, oltre il nostro Presidente! Rivolgiamo a tutti il nostro
mesto ricordo.
Primi in ordine di data il nob. Alessandro Litta Modignani, il dottore
Antenie Biagi di Cremona ed il comm. Emilio Silvestri. Il dott. Biagi è stato
un modestissimo studioso di provincia, il quale dopo avere dato buon
saggio di sè nello studio della paleografia, ed avere anche pubblicato
anonimo un suo scritterello nelle primissime annate dell’ Archivio, si è
poi ridotto a modesta vita senza lasciare di sè altra traccia che quella
di un cittadino onorato.
Alessandro Litta Modignani, gentiluomo colto e cortese, fece parte
della Commissione Araldica Lombarda, e in questo suo ufficio diede
prova di non comuni qualità. 3
Emilio Silvestri ({ 10 maggio 1915), cresciuto in mezzo all’agiatezza
€ portato a vivere di una esistenza tutta mondana, ha saputo costantemente unire alle qualita più brillanti del gentiluomo l’amore e la deferenza per gli studi storici. Divennto per eredità possessore del castello
di Calcio, gia feudo dei conti Secco, il Silvestri deliberò di riordinare
quell'’ammasso di carte che il castello stesso racchiudeva, testimone delle
passate grandezze de’ suoi antichi possessori, egli affidò questa cura al
dott. Bonelii, il quale seppe egregiamente compiere il lavoro, e l’/uven
284 APPUNTI E NOTIZIE i
tario dell'Archivio Silvestri di Calcio, di cui due volumi videro la luce,
rimane a testimoniare del suo mecenatismo e della sua cultura (1).
‘ In Aosta, dove s’era recata a villeggiare, si spegneva improvvisamente il 28 agosto 1915 Ida Seletti, unica figlia del compianto nostro Presidente avv. Emilio Seletti, che per tanti anni fu tanta parte dell’opera
nostra. Essa che ad onorare la memoria del padre, ci fu generosa in
vita di cospicua donazione, in morte, ubbidendo certo alle supreme volontà paterna, legò al Civico Archivio Storico, alla nostra Società strettamente connesso, Di lei e del prof. Giovanni Collino, caduto nel medesimo agosto, vittima di una disgrazia alpina presso Fenestrelle, il nostro
Archivio ha già commemorato la inattesa scomparsa (III, 1915, p. 532).
Seguiva il conte Gabrio Casati, della illustre famiglia milanese che
ebbe tanta parte nella storia nostra antica e moderna. Era suo avo il
conte Gabrio Casati, presidente del Governo Provvisorio di Lombardia,
Gran Collare dell’Annunciata e padre Luigi Agostino, senatore del Regno. Era benemerito della storia del Risorgimento per le pubblicazioni
tratte dai documenti del suo archivio privato, prima fra di esse le
Letiere e Memorie di Federico Confalonieri (1890), marito appunto della
virtuosissima di lui prozia Teresa Casati Confalonieri. Il Casati, che
era dotato di buona cultura storica attinta all’ ambiente famigliare, nel
quale era tradizionale il culto delle patrie famiglie, per lunga serie
d’anni fece parte della Commissione comunale, che sovraintende al Museo del Risorgimento. Dal 1905 era membro corrispondente della R. Deputazione di storia patria di Torino; appartenne dal 1881 alla nostra
Società.
A lui tenne dietro un altro distinto gentiluomo, nostro socio sino
dal 1909, il marchese Gerolame Parravicini di Persia.
Successivamente spegnevasi in Livorno il 3 novembre un socio ricco
di dottrina e di pietà, il padre Pietro Gazzela barnabita, del quale a
lungo resterà la memoria per l’ardore nel bene, le concezioni filosofiche,
la vasta dottrina biblica, l’erudizione nelle lingue orientali (2).
Nei mesi successivi perdevamo tre distinti cittadini che, accordandoci l’onore della loro associazione, intendevano continuare le tradizioni
di cultura e di civismo delle loro famiglie, e cioè il dott. Giulio Rezzenico,
figlio del dott. Antonio, anch’esso medico distintissimo e zelante propugnatore di benefiche istituzioni, prima fra esse la guardia medica notturna, e il nob. dott. Carle Frisiari, discendente da antica famiglia patrizia milanese, insigne nella storia nostra per cariche cospicue e nipote
(1) Della sua collezione di libri, ricca di opere intorno alla storia della chiesa
e più specialmente dei conclavi, v'è un cenno assai preciso nel volume delle Biblioteche milanesi, edito a cura del Circolo Filologico.
(2) Vedere i necrologi del padre Luigi Manzini (Milano, 1916) e di Francesco Rubbiani in Bilychnis di Roma (1916) e quello nel Boll. stor. piacentino,
1915, P. 239.
| °
Do APPUNTI E NUTIZIE 285
di don Paolo Frisiani, astronomo illustre dell’ Osservatorio di Brera.
Anche il nob. Carlo Frisiani era medico, ma, provvisto di ricco censo,
dedicava specialmente la sua attività ad opere di beneficenza, continuando la tradizione della sua casa. Fra i vari legati disposti a favore
di istituzioni cittadine ve n’ha anche uno da destinarsi in opere di restauro al Castello.
Il terzo di questi concittadini simpatizzanti con noi, perchè affezionati per sempre alla storia milanese, fu il notaio dott. Antonio Menciozzi
(f 13 novembre), uno dei più insigni per coltura giuridica, dignità di
vita, saviezza di consiglio. Discendeva da una delle più antiche nostre
famiglie, da una famiglia che appare nei documenti nostri sin dai primi
secoli di questo millenio, e continuava così le tradizioni benefiche, laboriose ed oneste della più eletta nostra cittadinanza.
Uomo invece professionalmente, gloriosamente dedito ai nostri studi
tu il padre Fedele Savio, spentosi in Roma il 18 febbraio di quest'anno.
Nato a Saluzzo il 21 dicembre 1848, esordì con un pregevole lavoro intorno a Bonifacio III, marchese di Monferrato, rivelando in esso attitudini non comuni all’ indagine della critica storica. Narrò le gesta dei
vescovi del Piemonte e di Milano, in due tomi, che furono accolti con
plauso dagli studiosi (1). Il padre Savio è morto lasciando pronto per
la stampa il terzo volume, ossia gli Antichi vescovi delle altre diocesi
lombarde ed inoltre un materiale quasi completo di altri tre volumi:
L’Emilia, La Toscana, La Liguria. Da un decennio copriva la carica
di storia ecclesiastica all’Università Gregoriana, e ci onorava della sua
adesione sino dal 1901, essendo altresì stato collaboratore del nostro
Archivio (2).
In forma diversa collaborò assai efficacemente alla conservazione
di memorie storiche un altro nostro socio defunto, il dott. Luigi Ratti,
intelligente ed appassionato raccoglitore. Purtroppo del suo importante
Museo Napoleonico e Milanese, andato venduto come tutti sanno, nel
marzo scorso, non rimane come ricordo che il particolareggiato catalogo
illustrato a stampa, preceduto da un’affettuosa biografia del dott. Ratti,
a cura di Alfredo Comandini. Nel 1907 il Ratti aveva pubblicato un
volume sulle Poste, corrieri, locomozione e trasporti ad illustrazione della
mostra retrospettiva che ebbe luogo nella nostra città in occasione dell’Esposizione internazionale del 1906. Due anni sono, compiendosi il
primo centenario della morte del Prina, pubblicò un altro volume col
titolo // Ministro Prina. Era nostro socio dal 1906.
Più recenti sono i lutti del rag. Paolo Cardani, uno dei ragionieri,
degli amministratori più reputati della nostra città, che per lunghi anni si
(1) Cfr., ad esempio, l'articolo L'origine della chiesa milanese del consocio
sac. dott. C. Pellegrini, in Scuola Cattolica, luglio 1913.
(2) Per l’attività storica del padre Savio cfr. la memoria del canonico prof.
R. Pasté nella Scuola Cattolica, aprile 1916. Agg. il necrologio del sac. dott. Guerrini, in Brixia Sacra, n. 2, 1916.
GO ogle
386 APPUNTI E NOTIZIE
dedicò alla nostra Cassa di Risparmio, quale membro attivissimo, autorevolissimo del suo Comitato Esecutivo. E appartenne altresi al nostro
Consiglio Comunale.
Dell’ ing. Antenio Cemi, industriale milanese fra i più attivi e più
fortunati, che diede grande impulso alle industrie nostre metallurgiche
e tu per lunghi anni consigliere comunale.
Dell’ arch. prof. Angele Saveldi, che è fortemente legato alla storia
milanese per avere coll’ arch. Borsani restaurato il Palazzo dei Giureconsulti, le Scuole Palatine, la Loggia degli Osii e cioè tutti quegli edifici che sono più particolarmente legati ai ricordi della nostra vita comunale e commerciale. Grande consenso riscossero i lavori da lui fatti,
e non minor plauso si ebbero molte altre costruzioni che meno si attaccano alle nostre tradizioni storiche. Chiuse la sua nobile vita con un
nobile testamento, poichè fece erede delle sue sostanze l’Ospedale di
S. Matteo di Pavia e beneficò anche istituzioni milanesi fra cui l’Ospedale dei Rachitici (1).
E finalmente ultimi in questa triste serie, il nob. ing. Giuseppe Sertoli
di patriottica famiglia valtellinese, veterano delle patrie battaglie, rappresentante della Provincia di Sondrio nella Commisione amministrativa
della nostra Cassa di Risparmio, ed il comm. Otto Jeel, spentosi il 25 aprile a Milano, sessantenne. La sua attività fu principalmente dedicata
alle grandi istituzioni di credito del nostro Paese, e principalmente alla
Banca Commerciale dove occupò successivamente le cariche di direttore
centrale, di consigliere delegato e di vice-presidente. Fu considerato
come mente finanziaria di primo ordine, ma la sua vasta coltura non
limitavasi alle materie più strettamente congiunte cogli uffici da lui coperti, poichè estendevasi anche alle scienze economiche e sociali e alle
stesse nostre discipline storiche, delle quali non ultima testimonianza fu
l’adesione alla nostra Società.
L'interesse che egli, uomo d’ affari, prendeva ai nostri studi, conterma ancora una volta come l’analisi storica non sia pura speculazione
contemplativa, ma costituisca altro degli elementi di una mente rivolta
con larghezza di intenti all'azione e al governo degli interessi nazionali
e come la nostra Società sia considerata degna di rappresentare quel
magistero della vita che è il compito più alto assegnato per vecchia
e seria tradizione alla Storia.
La
® .
Non era fra i nostri Soci il milanese protessor Attilio De Marchi
mancato ai vivi il 29 dicembre 1915 e l’opera sua si svolse per gran
parte in un diverso campo, le antichità classiche che egli professava
dal 1895 nella R. Accademia Scientifico-Letteraria ; pure non piccolo per
mole e notevolissimo per valore fu il contributo da lui dato alla storia
milanese. Ben ventidue numeri della bibliografia pubblicata in appendice all’aftettuosa commemorazione di Carlo Pascal, a cura della Se.
zione milanese dell’ Atene e Roma, riguardano argomenti che interes<> contenta n, —
APPUNTI E NOTIZIE 287
sano Il periodo romano della nostra storia locale, e tra essi sono alcune
mote pubblicate in questo stesso Archivio.
Il De Marchi studiò come nessun altro prima di lui le epigrafi romane di Milano, e coll’aiuto della sua profonda cultura classica ne trasse
sprazzi di luce che illuminano la vita pubblica e privata milanese di
quel tempo, sopperendo così alla scarsità di accenni da parte degli
scrittori. Fuori degli studi epigrafici, si può citare come esempio di rigoroso metodo e di acuta visione la nota presentata all’Istituto Lombardo
di Scienze e Lettere sotto il titolo: A proposito della « Forma urbis
Mediolani ». 2
La felicità dell’indagine si accoppiava nel De Marchi alla genialità
della sintesi e dell’esposizione. Le due conferenze // Muricipio di Milano (Milano, 1897) e Passeggiata archeologica in Milano romana (Milano, 1912) sono quanto di meglio e nel tempo stesso di più piacevole
a leggersi sia stato scritto sull’ argomento. Le note apposte alla prima
di esse, sobrie e concise, oftrono agli studiosi un tesoro di osservazioni.
E convien pure di ricordare la parte presa dal De Marchi nella questione, capitale per la storia di Milano romana, che riflette gli scavi di
S. Lorenzo.
Ma con Attilio De Marchi non è soltanto scomparso un dotto e
geniale scrittore; Milano ha perduto in lui un eminente cittadino che,
troppo serio o modesto per brigar uffici ed onori, se li vide spontanea.
mente tributati dalla stima e dalla benevolenza che l’ingegno e la bontà
gli avevano largamente procacciato presso i migliori.
Quando il nostro compianto Presidente, prof. Novati, lasciò 1’ utficio di Preside- Rettore della Facoltà milanese cdi lettere e filosofia,
1 Colleghi chiamarono il De Marchi a sostituirlo ; e il modo con cui egli
resse l’alto ufficio fu la più manifesta prova di quanto felice fosse stata
la scelta. Lodatissime pure le sue iniziative come Presidente del Comitato milanese dell’ Atene e Roma, il cui Consiglio si appresta ora a
pubblicare insieme a’ suoi commenti inediti a epigrafi di Milano romana,
altri studi del De Marehi su argomenti di storia milanese: e renderà
cosi un degno omaggio all’Estinto e un prezioso servigio ai nostri studi.
(1) Agg. GoLci Camizto, Note commemorative sul prof. arch. Angelo Savoldi. Pavia, Marelli, 1916, con ritratto.
Go ogle
ATTI DELLA SOCIETA STORICA LOMBARDA
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ld
Adunanza generale ordinaria del giorno 20 giugno 1915.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE prof. F. NOVATI.
Presenti 20 soci. Si sono fatti rappresentare per delegazione i soci:
prof. Giulia Cavallari Cantalamessa, conte F. Foucault de Daugnon,
ing. A. Giussani, prof. Piero Magistretti, sac. prof. Giuseppe Molteni.
dott. A. Nizzoli, prof. Bernardo Sanvisenti, ing. V. Tonni-Bazza.
La seduta è aperta alle ore 14 colla lettura ed approvazione del
processo verbale della precedente adunanza del 6 gennaio.
Il Presidente, dopo aver ricordati i molti soci che non possono assistere all’adunanza perchè chiamati sotto le armi o partiti volontariamente per la guerra (maggiore V. Adami, conte Alessandro Casati,
dott. Ugo Bassani, dott. Alessandro Visconti, prof. Felice Fossati,
prof. G. Mira ed altri) esprime l’augurio che siano essi testimoni e partecipi di gloriose vicende € futuri storici di lungamente invocate fortune
della nostra Patria. A_ nome della Presidenza propone che la Società
Storica concorra colla somma di L. 500 alla sottoscrizione milanese per
le famiglie dei soldati, proposta che l'assemblea con unanime plauso
approva.
Il Presidente rende quindi conto dei lavori sociali in corso (Indici
della IV serie dell’Archkivio, Carteggio dei Verri, Repertorio Visconteo
e Catalogo a stampa della Biblioteca sociale), i quali, compreso lo stesso
Archivio Storico, subirono ritardi per le condizioni del momento, ma
non vennero interrotti. Egli commemora i soci defunti: nob. Alessandro
Litta Modignani, dott. Antonio Biagi di Cremona e comm. Emilio Silvestri, rilevandone i meriti che li rendevano cari al nostro sodalizio.
Il socio Antonio Curti domanda all’assemblea se non sia il caso dì
intervenire presso le competenti autorità, onde ottenere che si rinunzi
al progetto di nuovi battesimi a vie e piazze di ricordi storici acquisiti.
Risponde il Presidente, cui s’unisce il Vice-Presidente sen. Greppi, din n
ATTI DELLA SOCIETA STORICA LOMBARDA 289
mostrando, allo stato delle cose, l’impossibilità di riuscita di nostri passi
presso il Municipio, trovandoci di fronte a proposte già votate in Consiglio Comunale. La Presidenza terrà presente l’invito del socio Curti
per future nuove designazioni storiche ed artistiche delle nostre vecchie
contrade.
Letto ed approvato il rapporto dei Revisori del Bilancio consuntivo
per l’anno 1914, si elegge a nuovo socio il sac. dott. Giovanni Maria
Stoppani in S. Pietro Martire.
La seduta è sciolta alle ore 16.
p. Il Presidente Ù
E. GREPPI.
Il Segretario
E. MOTTA.
(ERI
Commemorazione del Presidente Prof. Francesco Novati.
Domenica, 13 febbraio scorso, la Società Storica Lombarda si
riuniva nella sua sede in Castello Sforzersco per commemorarvi il compianto suo Presidente, prof. comm. Francesco Novati. I soci intervennero numerosissimi, molti anche fra i non residenti a Milano. Erano
rappresentati l’Istituto lombardo di scienze e lettere, la Società per
PAlta Cultura, l'Accademia scientifico-letterrara, l’Archivio di Stato, le
Biblioteche Ambrosiana e Braidenze, l'Archivio storico civico, i Musei
del Risorgimento e d’Arte del Castello, la Societa bibliografica, l'Archivio di Stato di Brescia, ecc.
Avevano scusato l’ assenza l’avv. Uberto Novati, fratello del commemorato, mons. Ratti, prefetto della Vaticana, il comm. Fumi, sopraintendente agli Archivi di Stato e molte altre cospicue personalità (1).
Dopo che il Vice Segretario dott. Vittani ebbe comunicate le numerose adesioni, sorge a parlare il Vice Presidente senatore Emarnuele
Greppi:
(1) Fra le numerose lettere di condoglianza pervenute alla Società all’ atto
della morte notiamo quelle di S. E. Paolo Boselli, presidente dell'Istituto storico
italiano, della Deputazione di Storia patria per l' Umbria, dell’ Istituto di Studi
Catalani di Barcellona, del Comitato Bergamasco della Dante Alighieri, dei senatori Facheris, Ponti e Sormani. Dal suo letto d’ infermo, quasi alla vigilia di
seguirlo nella tomba, padre Fedele ‘Savio così scriveva, con mano tremante:
Go ogle
290 ATTI DELLA SOCIETA STORICA LOMBARDA
Vi sono momenti, sovratutto momenti di disgrazia, nei quali certe situazioni
che parevano facili, semplici, si cangiano, ricordano doveri quasi dimenticati, impongono responsabilità.
Tale sentimento, insieme al dolore per la perdita dell’illustre amico, ho
provato quando ci venne inaspettato l’annuncio della morte di Francesco Novati..
Io tenevo da lunghi anni la carica di Vice-Presidente di questa Società, ma
tale carica mi pareva piuttosto un dono gratuito dovuto alla squisita cortesia dei
socii e dei colleghi del Consiglio, anzichè un ufficio onorevole, ma con corrispondenti speciali doveri.
Senonchè improvvisamente sparisce la figura principale della nostra Società
e l’altro illustre collega, il Vice-Presidente Monsignar Achille Ratti trovasi ora
impegnato nell’ ufficio eminente di Bibliotecario della Vaticana, onde a me rimase il dovere di comfhemorare colui che abbiamo perduto; dovere non facile
anche a persone più competenti di me, perchè richiederebbe un apprezzamento
della vastissima opera sua, la rievocazione della sua nobile figura sotto i molteplici aspetti della sua vita e della sua attività.
Fortunatamente però egli ebbe, vivo e morto, dei valentissimi estimatori
che dissero egregiamente di lui, primo fra tutti Henry Cochin nel bellissimo
studio che pose come prefazione alla Bibliogratia degli Scritti del Novati, pubblicata nel 1908 dopo le solenni onoranze che gli erano state rese in occasione
del compimento del suo venticinquesimo anno di insegnamento universitario,
poi, nei giorni che seguirono alla morte, Michele Scherillo nel Corriere della Sera,
Pio Rajna nel Marzocco, Giuseppe Bonelli nel Cittadino di Brescia, Mario Borsa
nel Secolo, Annibale Grasselli nella Provincia di Cremona (1). Finalmente i colleghi
del Consiglio Motta, Bognetti e Giulini vollero completar le notizie e prepararmi
« Nessuna notizia [più dolorosa] dopo quella delle perdite del Prof. Renier, ed
ora dell’ insigne Presidente Prof. Novati mi poteva giungere alla fine di questo
travagliato anno 1915, nel quale anch'io pago il mio tributo stando a letto da
sei mesi,
« ]l Prof. Novati era una illustrazione della scienza ed una persona compitissima. Chiunque l'abbia conosciuto ed avvicinato lo ricorderà sempre con grata
e cara memoria. La prego di far presente ai Soci questi miei sentimenti, e ai
Soci e alla Famiglia le mie condoglianze »,
(1) Oltre ai sopracitati, ma senza la pretesa di offrire un elenco completo
di quanti scrissero ricordando nelle diverse riviste il nostro Presidente, citiamo.
qui gli affettuosi ricordi del Cian nella Nuova .4ntologia, del Celoria e dello
Zuccante nei Rendiconti dell'Istituto Lombardo, del Comandini nell' Illustrazione
italiana, del Dejbb nella Revue critique d'histoire, del D’Ovidio nei Rendiconti
dell Accademia dei Lincei, del Fermi nel Bollettino storico piacentino, del Levi.
nella Rivista d’Italia, del Malaguzzi nella Rassegna d’ arte, del Nicodemi in Pagine d'arte, del De Nolhac (Parigi), del Rossi nel Fanfulla della domenica e dello.
Zingarelli. Lo ricordarono inoltre }’ Archivio storico di Lodi, il Bollettino mensile municipale di Milano, l’Emporium di Bergamo, il Bollettino delle pubblicazion
italiane di Firenze, il Polybiblion di Parigi e s' intende il Giornale storico della
(O ogle ì
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA | 291
anche quanto apparentemente sembra desunto dal lavoro degli altri; ma fra questi
il Conte Alessandro Giulini fece ancora di più, disponendo egli stesso un resoconto dell’opera storica del Novati risguardante la Lombardia che fra brevi momenti avrete il piacere di udire da lui.
Valendomi pertanto del concorso di tutti questi benemeriti amici del compianto nostro Presidente io assolverò in quel miglior modo che mi sarà possibile il compito mio, confortandomi anche il pensiero che il largo uso di citazioni, corrisponde al metodo di esposizione che il Novati prediligeva.
« Francesco Novati » dunque, scrive Pio Rajna nel Marzocco del 2 gennaio,
e era nato negli agi di una famiglia ragguardevole a Cremona il 10 gennaio 1859.
e Il padre, uomo degno e assennato, amante delle belle arti e buon pittore di-
« lettante egli stesso, curò molto la educazione dei figliuoli, Francesco e il mi-
« nore fratello Uberto che ora rimane a piangere amarissime lacrime. Compiuti
« in patria gli studî secondari, Francesco, che si sentiva chiamato alle lettere,
« deliberò dii andare a Pisa. Ve lo dovette attrarre la vivida luce che irradiava
c il D'Ancona. E del D'Ancona egli fu subito scolaro quanto mai devoto, presto
e guadagnandosene una stima e un affetto durato poco meno di quarant'anni ».
Del D'Ancona, aggiunge lo Scherillo, « conquistò la benevolenza che cie venne ben presto preferenza »; e Annibale Grasselli ricorda come in lui il
Novati ravvisasse più che un maestro un padre, tantochè commemorandolo l'anno
scorso a Milano dicesse: e non è il professore che onora un collega defunto, ma
« il giovinetto venuto da Lombardia, che rievoca con affetto di figlio colui che
« aveva saputo guidarne i primi passi. »
Della sua aggregazione giovanissimo al corpo dei professori universitari «i
ha narrato il Rajna:
« Credo » egli scrive « che appunto nel 1881 mi sia accaduto di conoscerlo.
« Ci avvicinò la venuta a Milano del comune maestro d’Ancona: giacchè a M*-
« lano il Novati adempiva come volontario di un anno gli obblighi del servizio
« militare. L’° avvicinamento portò conseguenze. Quando nel 1883 l'Accademia
« milanese doveva provvedere alla cattedra di storia comparata della letteratura
« neo-latina, che io lasciava per venire a Firenze, l’amico e collega Coen mi
« fece pensare al Novati ed io richiamai su di lui gli occhi del Presice “el
« l'Accademia, l’ottimo Vigilio Inama ».
La singolarità del caso, di un volontario di un anno che impone tanta stima
ad un provetto ed illustre professore, da farlo ritenere poco tempo dopo, per le
reminiscenze dei giorni insieme passati, il più atto a succedergli in una cattedra,
si spiega altresi col valore delle pubblicazioni che rendevano già a-prezzato il
letteratura italiana che continua ora le sue pubblicazioni, diretto dal prcî. Egidio
Gorra, mantenendo immutati il carattere e l'indirizzo impressogli dal Novati e
dal Renier.
È poi da augurarsi che sia dato presto alle stampe il discorso del prof. Alfredo Galletti detto nella solenne commemorazione indetta în Cremona al 21
maggio scorso da quel Municipio, ed alla quale la nostra Sccietà era rappresec=
tata dal Presidente E. Greppi e dal Vice Presidente-conte A. Giuhni.
Go ogle
242 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
nome del giovane Novati, prima che indossasse il modesto uniforme di soldato
volontario. ,
Sedici ne ho contate che portano una data non posteriore al 1880 e che
pertanto furono pensate e scritte durante la minore età. Fra di esse tre pubblicazioni intorno ad Aristofane, che, a giudizio dello stesso Rajua, bastavano per
poterlo additare ad nna cattedra di letteratura Greca; e il primo lavoro dedicato
al nostro Archivio Storico, l'obituarium ecclesiae cremonensis riportato in tre dei
nostri fascicoli, indice già del metodo che il Novati doveva seguire per tutta la
vita; abbondanza cioè straordinaria di ricerche e specialmente di notizie biogratiche, su tutte le persone menzionate nel documento.
Ma lo Scherillo rammenta altresi un lavoro originalissimo, che non fu pubblicato e che data proprio dalla sua adolescenza, e cioè dal novembre 1876. —
Aveva scelto » egli narra @ per un lavoretto di scuola un tema che a molti
giovani non sarebbe riuscito attraente: illustrare cioè quella corona di sessanta
gemme che Dino Compagni, o chi altri sia l’autore del poema dugentesco
dell'Intelligenza, pone sul capo di Madonna. Le virtù delle Pietre, secondo
quanto raccontava lo stesso Novati, descritte con tanta predilezione da autori
Greci, Arabi, Latini avevsno già solleticata la sua curiosità giovanile ed egli
volle approfondir l'argomento ».
Tanta precoce varietà di coltura e di azione era forse parsa sino eccessiva
al Rajna e soltanto da questa esuberanza aveva tratto qualche motivo di esitazione prima di proporlo a suo successore; e ma » continua lo stesso Rajna, « si
« traeva su di lui una cambiale, si poteva trarre con fiducia, e il fatto lo mo-
« strò. Che non tardasse a mostrarlo non bastò tuttavia perchè, dopo tre anni
« di incarico, gli fosse risparmiata la necessità di uno straordinariato triennale
« a Palermo e quindi di uno biennale a Genova. Solo dopo queste prove il
Novati fu restituito a Milano e all'Accademia. E di Milano non tardò molto
ad apparire uno dei cittadini più cospicui per tutto ciò che concerne la vita
dello spirito ».
E della vita dello spirito parlano di preferenza i biografi suoi, primo fra
essi Enrico Cochin. « Il suo ragicnamento » egli scrive « è sempre alto e largo.
« Egli diffida di una critica eccessivamente negativa e del dubbio troppo siste-
« matico; ma egli ha grandemente contribuito in Italia alla prevalenza della
« critica storica sopra la critica puramente estetica negli studî che risguardano
« la storia della intelligenza. La critica della letteratura ha fatto il suo tempo.
« Essa ha fondato troppo spesso i suoi ragionamenti sopra cose che non si co-
« noscevano e cioè sul nulla. Il giudizio estetico non si può sostenere che ap-
« poggiato ad una solida base storica. Questo principio è specialmente necessario
« quando si tratta di intendere gli autori italiani della grande epoca, perchè
« questa grande epoca è ancora, se mi è permesso dirlo, una età paleografica.
« Stabilire i testi, secondo i buoni metodi, è oggi il primo dovere per chi si
« attenta di conoscere Dante, Petrarca e gli altri, di giudicarli ed anche per
« chi si attenta di amazrli.
« La scienza, dicevasi un tempo in linguaggio scolastico, è principio di amore,
«e e come mai si amerebbe ciò che non si conosce?
« I principi che enumero non sono di proprietà esclusiva del Novati, ma
A RA An
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ATTI DELLA SUCIETÀ STORICA LOMBARDA 293
« egli li abbraccia e li professa con una energia e con una libertà che gli sono
« personali. Egli è senza timore e senza pietà nel demolire i pregiudizi, nello
« smascherare quelle parole fatte, quelle frasi convenzionali che, trasmesse di
« generazione in generazione, non servono ordinariamente che a perpetuare una
« ignoranza od una menzogna ».
Nè meno felice nel sintetizzare la figura intellettuale è un suo fedele discepolo, il Bonelli: « Scompare con lui la persona, a mio avviso, più rappresenta-
« tiva degli studî letterari, storici ed eruditi italiani, poichè se altri vive che
« attinse più alta sfera nella concezione speculativa del pensiero letterario e filo»
« sofico, mi pare che il Novati per la stessa relativa modestia della sua azione
« scientifica abbia migliore il merito di aver reso più largamente stimati e pre-
« giati gli studi e le ricerche d’erudizione ». '
Questi studi, queste ricerche sono enumerati nella bibliografia dei suoi scritti,
pubblicata, come si disse, all’epoca del suo giubileo universitario, A tntto il 1908
dunque erano già almeno quattrocentoventi, e fra di essi prevale d’assai la letteratura italiana che comprende ben centosessantacinque numeri, i quali, senza
che nessun secolo sia omesso, ci conducono dal periodo delle origini all'ottocento.
« In tutti », scrive il Bonelli, « anche materiali in apparenza inconditi e meno
« degni di studio diventavano pregevoli sotto la sua trattazione, perchè, scopren-
“ done egli i rapporti con altre manifestazioni della coltura, erano sprazzi di
« nuova luce che egli ne ritraeva, a chiarire origini, vicende, atteggiamenti del
« pensiero antico >».
Dì questi suci scritti il Cochin ricorda alcuni con quel garbo, con quella
finezza, con quell’affetto misurato, ma tenero che i francesi sanno ancora portare
nelle loro manifestazioni. « Quando per esempio » egli scrive « il Novati mi
« presenta a Paolino d’Aquileia mi sembra di non avere davanti a me un uomo
« sconosciuto, ma uno di quegli amici che si vedono raramente, ma che però,
« quando se ne presenta l’occasione, si ha un gran piacere di incontrare ».
« E più ‘ancora, mentre io vado leggendo i grossi volumi dell’epistolario di
« Coluccio Salutati, l’opera sua veramente monumentale, mi sembra che le re-
« lazioni più cordiali si stabiliscano fra me e lui. Io lo vedo non soltanto come
« un politico abile e discreto della fiorita Firenze, ma lo vedo in tutta intimità,
« quasi in veste da camera, quale ce lo presenta una sua miniatura un poco
« sbiadita: vecchio lavoratore appassionato, con un manoscritto fra le mani, col
a dorso curvo dalla età, coi piedi entro le pantofole, colle ginocchia distorte. Egli
e è là, e presso di lui sono tutti coloro che egli ha conosciuto, i suoi amici, i
€ suoi corrispondenti, i politici, gli eruditi, gli scettici gaudenti che a lui soprav-
« viveranno, i monaci spaventati dal movimento pagano che travolge l'umanità. »
lo mi sentirei trascinato a continuare in queste suggestive citazioni, ma
l'esame delle sue opere è impresa troppo vasta per una conferenza, fosse pure
di persona competentissima; mentre invece la nostra Società potrebbe vagheggiare di chiamare i più degni di interpretarne il pensiero ad una etticace collavorazione, affinchè ciascuno ne dica per quella parte in cui a lui si sente più
affine. Così si potrebbe fare per lui quell'opera di risurrezione che tanto egregiamente gli era riuscita per l'umanista Coluccio Salutati.
Non posso però trascurare uno dei suoi ultimi lavori, un lavoro in cui,
Arch. Stor. Lomb. Anno XLIII, Fasc. I-II. 19
A
294 ATTI DELLA SOCIETA STORICA LUMBARDA
quasi per contrasto, il mio nome è aggiunto al suo, sebbene io non vi abbiz
avuto altra parte se non di indicare ai Conti Sormani, dopo una sommaria ispezione che essi gentilmente mi affidarono, il Novati quale l'uomo più indicato per
illustrare la corrispondenza di Pietro e di Alessandro Verri, integralmente conservata nell'archivio della madre, ultima rappresentante della storica stirpe. Di
questa corrispondenza egli aveva già pubblicato due volumi ed era quasi pronto
il terzo, ma pur troppo la sua morte crescerà le difficoltà della continuazione, ed
impedirà che le note illustrative raggiungano l'ampiezza e il valore di quelle da
lui apposte sinora. Tuttavia questa impresa non dovra essere abbandonata, poichè
trattasi della più bella corrispondenza che manifesti il pensiero italiano nell’epoca
di transizione e di contrasto fra le vecchie idee e le moderne, proprio quando
si va preparando e poi divampa la rivoluzione francese.
Rappresentatevi due fratelli di grande ingegno che il caso pone ai due poli
della civiltà italiana del settecento, l'uno a Milano fervida di idee nuove politiche
e sociali, l’altro a Roma sublime centro della tradizione. Essi si sono lasciati con
una assoluta comunione di aspirazioni e di giudizi, ma poi, sotto la pressione
dell'ambiente, l’uno di essi, Alessandro, va divergendo, pur conservando identità
fondamentale di pensiero. I due fratelli nelle dispute e negli accordi si possono
paragonare alle onde del mare che ora'si rizzano di fronte cozzando, ora si confondono per battere insieme ritmicamente la sponda; e questi fratelli parlano di
tutto, della politica generale, della economia cittadina, delle vicende domestiche,
della purezza e della adattabilità della lingua italiana, dei più bei libri del giorno
ed anche di autori più antichi come lo Shakspeare, che si andava allora esumando ;
degli spettacoli teatrali, degli incidenti di Corte e di Società; di moltissime persone e fra esse delle più note, delle più celebri anche ai giorni nostri.
Questo mondo già per sè stesso interessantissimo nella lettura della corrispondenza, era fatto rivivere, era completato, ingrandito per mezzo delle note
apposte dal Novati con una precisione, una acutezza, pari, anzi superiore alla r:-
surrezione del mondo umanista, da lui evocata nelle Lettere del Salutati.
Nei primordi di tale pubblicazione io poi ebbi particolarmente occasione di
apprezzare la meravigliosa agilità del Novati. I personaggi secondari, che non
appartenevano alle lettere, gli erano poco conosciuti, eppure se ne impadroni in
brevissimo tempo, tantochè gli divennero famigliari, onde quel mondo di funzionari, di finanzieri, di dame e di gentiluomini pareva diventato il suo.
Che fortuna, io dicevo, l'andare a scuola da lui, ma l'allievo ebbe poche
lezioni e ne trasse poco profitto.
Ben maggiore profitto ne trassero i veri suoi allievi. Uno di essi, il Borsa,
lo ricordò specialmente sotto questo aspetto nella commemorazione fattane nel
Secolo del 28 dicembre. « Ma sovratutto » egli scrive «€ va ricordata con rico-
« noscenza la sua lunga opera di insegnante amoroso; della quale rimane e rimarrà il segno sensibile nella istituzione che prese il suo nome. Quando nel
1908 vollero celebrare il venticinquesimo anniversario del suo insegnamento
universitario ì suoi allievi dettero alla celebrazione una forma più cara e più
simpatica di quella consueta della Miscellanea; vollero che la celebrazione si
legasse in modo particolare a questa città nella quale trascorse il più e il mef LAglio della sua vita e che vi avessero parte principalissima gli studenti nel preGo ogle di _
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 295
« sente e nel futuro. Cosi istituirono un premio da decretarsi ouni anno allo
« studente che abbia fatta la prova migliore nel campo degli studi medio-evali,
e il premio Novati. »
Ed un altro dei suoi discepoli, il Bonelli, con affetto profondo ce lo rappresenta amoroso collaboratore dei suoi allievi, pronto a rivederne e sorvegliarne
le pubblicagioni come fossero sue proprie. « Come insegnante » egli aggiunge
« fu un direttore di coscienza, quanto un direttore di studi, un giudice singo-
« larmente abile in discernere nei suoi allievi ciò che li rendeva più atti a cole laborare nell'opera comune, un potente avviatore di intelletti che a ciascuno
rivelava la sua vocazione coi modi migliori di utilizzare i propri sforzi, e
« l'amico affettuoso di coloro che sentiva degni della sua stima e confidenza. »
Sentimenti egualmente forti di riconoscenza e di affetto ha destato in noi,
Soci della Società Storica, suoi compagni nel Consiglio direttivo. Noi non vorrenmo disputare se maggiore fosse la sua devozione all'insegnamento o alla
nostra Società, ma sappiamo per certo che a questa dedi. ò tutta la sua energia,
tuito il suo fervore, tutto il suo ingegno affinchè le nostre pubblicazioni fossero
monde di ogni anche leggiero difetto. Ben disse il Bonelli che non una riga si
pubbiicava senza la sua revisione. Nel suo primo discorso presidenziale tenuto
il 28 gennaio 1900, esponendo scbriamente un programma, così si esprimeva:
« Io +: dirò quanto tenace ed incrollabile sia il proposito mio di fare tutto quello
3 che sarà in mio potere perchè la Società nostra proceda con passo sempre più
« franco e spedito per la via finora battuta, mantenendo intatta quella fama di
< serietà e di dottrina che ha saputo guadagnarsi per tutto quanto concerne le
e storiche discipline. »
E mai promessa fu più seriamente mantenuta pel non breve periodo di sedici anni, ma io, profano, per spiegarvi più chiaramente l’indirizzo dato alle nostre pubblicazioni, in mancanza di una formola o di un paragone più conveniente
i dirò che fra l'indirizzo storico dato da lui ed altri pur non indegni di essere
apprezzati, eravi la differenza che passa fra la manifattura inglese e la tedesca.
Egli si preoccupava cioè più della intrinseca bontà dell'oggetto che del gusto
degli avventori. Per prodotti secondari made in Germany egli era anzi sin troppo
spietato.
Per continuare però nel paragone commerciale io vi dirò che, nonostante
la sua rigidità, sapeva fare ottimi affari. Il numero dei soci nel 1899 era di 225;
sali nel 1914 a 381. Le entrate sociali nellò stesso periodo crebbero da L. 7024
a LL 10703; e il patrimonio da L. 8998 a L. 21221, pur dedicando circa quindici mille lire a pubblicazioni non strettamente obbligatorie in base allo Statuto
sociale; ma la prosperità della gestione economica, oltrecchè dal maggiore contributo dei soci, fu determinata da cospicue donazioni, principalissime quelle ripetute dal Lattes per la pubblicazione del Repertorio Visconteo, le quali furono
particolarmente dovute alla grande stima personale che l'illustre donatore aveva
pel nostro Presidente.
E parimenti, a render possibili pubblicazioni di valore scientifico, ma di difficile smercio concorrevano l'abilità sua nello stipular contratti cogli editori, la
deferenza di questi verso di lui, il valore del suo nome, la fama della svia coscienziosità.
Go ogle
296 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
Tanta era infatti la fiducia, che pubblicazioni, anche non sue, ma da lui
patrocinate venivano senza esitazione acquistate dalle biblioteche e dagli istituti
storici nazionali e stranieri, poichè i loro direttori non pensavano aver bisogno
di altre indagini per convincersi che un’ opera, anche costosa, da lui raccomandata era veramente degna di figurare nel loro catalogo.
Una biblioteca degnissima diventò pure quella della nostra Società che crebbe
assai pel cambio con numerosissime riviste d’ogni paese e per cospicue donazioni,
molte delle quali dovute alla sua generosità, e per qualche giudizioso acquisto.
Egli amava il libro e insisteva perchè se ne curasse la conservazione materiale mediante opportune rilegature e perchè, mediante le indicazioni di un buon
catalogo, se ne diffondesse più facilmente la vita spirituale. Grazie dunque alle
sue premure accorsero numerosi alla nostra biblioteca gli studiosi della storia,
tanto più che la Società ha saputo prima conservare la magnifica sede nella
Rocchetta che precedentemente le era stata accordata dal Comune, poi cambiarla
vantaggiosamente coll’ altra nostra sede attuale quando le insistenze dei Musei
cittadini mettevano in pericolo Ja proroga della concessicne.
. Le nostre sale risuonarono specialmente della voce del nostro Presidente, le
cui relazioni, le cui commemorazioni anche in occasione delle assemblee ordinarie
assurgevano a dignità di conferenza; ma furono più volte aperte anche ad estranei
ed affollate per vere e proprie speciali conferenze, come quando egli ci descrisse
il crocchio letterario di casa Agudio o quando egli ottenne che ci intrattenessero
il D'Ovidio, il Luzio, il Daugnon.
Oltre alle pubblicazioni dell’ Archivie Storico e ai suoi perfetti indici sistematici,
la nostra Società pubblicò sotto la sua Presidenza il Repertorio Visconteo e due
nuovi volumi della Biblioteca Historica italica, le relazioni cioè fra Verona e Mantova nel secolo XIII; e il volume dello Zanoni sugli Umiliati in Lombardia. Poi,
cogliendo la opportunità delle circostanze, ci procurò altresi un volume: Roma e
la Lombardia offerto al Congresso Storico di Roma nel 1903, e un volume miscellaneo: Petrarca e la Lombardia, edito nel 1904 pel centenario petrarchesco.
L’attività sua come Presidente della Società Storica, non essendo che un'appendice al suo grande Javoro personale come scrittore e come erudito, e alle sue
cure di insegnante avrebbe dovuto esaurire quel poco di tempo che le altre sue
occupazioni gli lasciavano, eppure il nostro Archivio Storico non era che una,
sebbene la prima, delle molte Riviste alla cui direzione egli si dedicava. Le ricorda, sebbene forse incompletamente lo Scherillo: e Non è ancora un anno »
egli scrive « che, con abnegazione assunse da solo la direzione del Giornale storico della letteratura italiana, che aveva fondato in compagnia del Renier e del
Graf fin dal 1883. Il Graf, precocemente stanco, aveva, parecchi anni prima
dalla sua morte, lasciato per via i suoi due alacri collaboratori: e il povero
Renier cadde sul lavoro. E il Novati continuò da solo il cammino non ostante
avesse sulle spalle, oltre il nostro Archivio Storico, anche la direzione de I! Libro
e la Stampa, organo della società bibliografica. Ogni lavoro di quel genere lo
allettava e conquistava; ed egli era quasi incapace di resistere. E così diresse
quella Biblioteca storica italiana che dal 1892 si venne via via ristampando a
Bergamo dall'Istituto Italiano di Arti Grafiche, che ebbe in lui un consigliere e
f A£A A a un collaboratore efficacissimo, e quella collezione Novati di codici manoscritti
Go ogle
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 297
« e di stampati con miniature e disegni, riprodotti a fac-simile, anch'essa edita
« dall'Istituto bergamasco;. e quegli Studi medievali, preziosa raccolta di scritti
« suoi ed altrui, cominciata nel 1904 e continuata fino a qualche anno fa. »
Eppure egli non sembrava accasciato dal lavoro, non sembrava un asceta
della erudizione, aveva anzi apparenza ed abitudini piuttosto mondane. Già aveva
notato il D'Ancona fin dai tempi di Pisa, come il più laborioso dei suoi discepoli fosse in pari tempo senza confronto il più elegante.
« Aitante dalla persona », ce lo dipinge esattamente il Bonelli, « ricordava
« quella di un gran Lord inglese, spirito vivace trovava tempo a tutto. Parteci-
« pava con genio ai divertimenti mondani, ai convegni dell’alta società, facendo
« meravigliare come nelle molte e multiformi imprese di studio riuscisse anche
< a trovar l’ora di presentarsi nei teatri e nei salotti con sì distinta signorilità
« da sembrarvi più un arbiter elegantiarum che un professionista dell'ingegno. »
Il segreto di così meravigliosa operosità sta forse nel sacrificio occulto del
più dolce dei riposi, del sonno. A mezzanotte infatti lo si vedeva ancora nelle
società e nei teatri, ma i più ignoravano che prima dell’aurora, fra le cinque e
le sei, lasciava il letto, indossava la veste da camera e per ben cinque ore lavorava raccolto, indisturbato. Quando si avvicinava il meriggio Faust, senza bisogno
di un Mefistofele, mutava le vesti, entrava nella vita comune, la quale, pure essendo operosissima, differiva meno da quella che facciamo anche noi.
Con un raggruppamento di citazioni io ho finora procurato di rappresentarvi
Francesco Novati nelle sue svariate attitudini, e tuttavia noi profani, più esigenti
forse dei dotti, non ci arrestiamo alla analisi, pretendiamo la sintesi e la sintesi
parve a me rivelata dal titolo di uno de’ suoi libri più belli, dell'ultimo: Stendhal
c l’anima italiana.
L'anima italiana, io mi dissi, ecco quanto il Novati cercava, sia nei documenti dei secoli, sia nel contatto colla vita sociale contemporanea. Io però non
avrei osato intrattenervene, se la guida fedele, il Cochin profondo conoscitore
dell'amico, non esprimesse egli stesso questo giudizio: e Ciò che ammiro in lui »
egli dice « è l’unità del suo sforzo ». « Io riconosco dal principio alla fine l’unità
« della linea che egli ha seguita ».
E questa unità egli dimostra con quel modo dolcemente persuasivo che gli
è proprio, ma che forse può riassumersi in tre brevi citazioni, che rappresentano
non soltanto il concetto fondamentale, ma anche il suo progressivo sviluppo.
« La materia del Novati è la storia del pensiero dei popoli e in modo par-
« ticolare la storia del pensiero latino.
« Ciò che egli vorrebbe conoscere, sebbene riesca assai difficile osservare, è
« l'anima del popolo ». :
« Ma verrà poi un momento in cui gli uomini, dei quali egli cerca di co-
« noscere il pensiero e la vita, si distingueranno gli uni dagli altri dinnanzi ai
« suoi occhi per qualche carattere lor particolare, o, se vi piace meglio, per
e qualche loro colore. Allora rimaniamo ancora nella filosofia, ma la poesia non
« è lontana ».
Quest'ultima forma, la forima biografica, era sempre stata nelle predilezioni
del Novati, ma andava particolarmente affermandosi negli ultimi anni e tale sua
predilezione lo avvinse di grande simpatia ad uno scrittore molto diverso da lui,
per l’esattezza delle affermazioni, lo Stendhal. .
Go ogle
298 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
La teoria dello Stendhal infatti si accordava coi suoi sentimenti in quanto
poneva a base delle grandezze e delle miserie d'Italia-lo sviluppo eccezionalmente
potente delle singole individualità.
Fra i molti passi dello Stendhal che nel libro a lui dedicato, il Novati traduce e commenta riferirò questo soltanto: e Le arti hanno bisogno per sorgere
e per fiorire di una temperie diversa da quella che suole promuovere il benessere e la felicità delle nazioni. L'impero della legge, che dà modo a tutti
di esplicare liberamente i proprii diritti pone ostacolo allo sviluppo delle individualità e raffrena le passioni. Ora se queste si indeboliscono, se l'essenza
diminuisce, anche le arti che dalle passioni traggono il loro alimento precipuo,
sono fatalmente condotte a decadere ».
Queste parole dello Stendhal s’accordano con un giudizio del Cochin sul
programma biografico del Novati. Di lui infatti egli dice: « Egli si occupa del-
« l'uomo del passato semplicemente perchè è uomo, senza pregiudicare il suo
spirito colle differenze di costumi, di opinioni che possono eccitare o distogliere la sua simpatia. Egli parte dal principio che la vita di un uomo, quali
che siano le apparenze, non può essere cosa assurda o antiumana. Egli accontentasi dunque di osservare e di annotare, semplicemente, onestamente ».
C'era dunque armonia prestabilita fra lo Stendhal e il Novati, e per questo
il critico, ordinariamente severo, mostrasi molto indulgente, troppo anzi a giudizio
di alcuni, per le teorie dell'amico.
Il critico infatti che del libro sullo Stendhal trattò nel Marzocco del 9 gennaio, pur riconoscendo che la difesa è condotta in modo superiore a quella di
qualsiasi altro apologista, con dottrina e con temperanza pari all’ingegno del
“compianto nostro Novati, ritiene però che essa faccia ancora una parte troppo
bella alle bizzarrie dell’autore, poichè non ammette, come il Novati pur misuratamente acconsente, che vi sia seria analogia fra gli spiriti cinquecenteschi e le
passioni italiane del tempo in cui essa preparava il proprio risorgimento.
Non si può invece negare che il Novati, citando per esempio, opportunamente una pagina del biografo di Felice Orsini sul carattere di costui ed in
geriere sul carattere dei cospiratori italiani, non produca qualche serio argomento
in favore della teoria dello Stendhal accettata da lui, ma il suo critico gli oppose che Alessandro Manzoni, il quale ha pure diritto di essere considerato come
un rappresentante nella stessa epoca dell’ anima italiana, costituisce una figura
diametralmente opposta a quella di Felice Orsini.
E sta bene, sta bene forse anche che il Novati avrebbe dovuto più chiaramente ricordare che il tipo italiano, con tanta arte ritratto dallo Stendhal, non
era l’unico tipo che offrisse la nostra stirpe, nè in tempi remoti, nè, tanto meno
in quello a noi più vicini, ma questo, pur con una certa concisione, il Novati
stesso riconosceva e proprio nella conclusione del suo libro, dicendo:
e Nè io voglio pur così scrivendo dichiarare che la teoria enunziata dal
Bevle intorno alla genesi ed allo sviluppo del Rinascimento sia in ogni parte
origina'e, nè, tanto meno da accoglierla senza opposizioni, chè sarebbe un errore. Ma non è possibile negare che egli per il primo ha saputo mettere in
evidenza, dando loro il giusto peso, valori morali e sociali sino allora negletti
o misconosciuti ».
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Go ogle
ATTI DELLA SOCIETA STORICA LOMBARDA 299
Lo Stendhal, dice poi il Novati, appoggiato alla autorità del Sainte-Beuve, è
un eccitatore di idee, e per questo gli fu caro, in quanto riusciva a stimolare lui
stesso nel dar vita e anima all'immenso materiale di dottrine che andava accumulando.
Stimolatore di idee riesce a me stesso, in questo momento in cui il nostro
pensiero fatica a trattenersi sovra altre cose che non siano le sorti delle nostre
armi con tanta abnegazione, con tanta persistenza adoperate alle porte d'Italia,
su quegli aspri monti di confine che andiamo conquistando.
E lo stimolo viene da una postilla, di mano dello Stendhal, riferita dal Novati, perchè la trovò apposta all’esemplare della Storia della Pittura în Italia del
Lanzi, della quale lo Stendhal si era servito e che il Novati aveva poi acquistato,
per aggiungerla a quella squisita suppellettile letteraria ed artistica che lo circondava nella elegante solitudine della sua dimora, popolata di pensieri e di ricordi
Nella postilla lo Stendhal designa coloro che molte volte aveva chiamato gli
Happy few. i pochi felici, cioè quella minoranza eletta che sola egli avrebbe voltto giudice dei suoi scritti, argomento e tema delle sue osservazioni.
« Gli Happy few » egli scrive, « che sentono le arti si trovano soltanto in
« quella parte del pubblico che ha meno di trentacinque anni, più di cento Luigi
, e di rendita, meno di ventimille Lire e che non possiede la croce di Cavaliere ».
Certamente l'originale designazione di una classe privilegiata dello spirito
entro i limiti tracciati dall'autore, pecca come sempre, di paradosso e di esclusivismo, eppure la classe così determinata ci fa pensare ad una classe quasi analoga
che si distingue non tanto per l’amor delle arti, quanto per un intelligente amor
della Patria; e cioè ai nostri valorosi giovani ufficiali dell’esercito attivo, e agli
ufficiali, che erano detti ufficiali in congedo, di complemento o della territoriale,
ma che ora sostengono tanta parte delle fatiche di guerra.
La maggior parte di questi ultimi erano professionisti, impiegati, imprenditori, negozianti che lavoravano faticosamente a formarsi una posizione. L' incipiente loro agiatezza fu gravemente compromessa pel disordine portato ai loro
affari dalla chiamata in servizio di guerra. Eguali per educazione, per aspirazioni
a compagni a loro superiori per condizione di fortuna; dalla delusione di qualche
loro aspirazione, dalla constatazione di qualche ingiustizia a loro danno per opera
diretta o indiretta dello stesso nostro Governo, avrebbero potuto trarre motivo
di tiepidezza per la causa delle istituzioni e della Patria. Eppure esssi furono
i più pronti, i più entusiasti al pericolo e al sacrificio. Le membra, un poco
intorpidite dal lavoro sedentario, si snodarono energicamente nelle fatiche del
campo, la razionale disciplina delle aziende industriali adattossi alla più rigida
disciplina militare, ma infuse in essa qualche cosa di meno meccanico, di più
personale.
Appresero rapidamente le particolarità del servizio di reggimento e di guerra,
mentre infusero nuovo vigore agli ordinamenti logistici, trasfondendo in essi
quella esperienza pratica, quelle. iniziative che si imparano nell'esercizio delle
professioni, della industria e del commercio. I nuovi ufficiali oramai rivaleggiano
coi vecchi per intelligenza, per valore, per sentimento d’onore, per sollecitudine
verso i propri soldati; e da questi, al pari dei vecchi ufficiali, sono contraccambiati con un amore, con una divozione illimitata.
LO ogle
300 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
Non contradirebbe certo il Novati a questa mia illazione da una postilla
provvidenzialmente pervenutagli sopra un libro prezioso.
Nè si sarebbe arrestato alla obbiezione che parrebbe quasi ironia chiamare:
happy few coloro che per la guerra hanno incontrato i maggiori sacrificii, hanno
lasciato le tamiglie nel maggior disagio, sono esposti più degli altri ai colpi del
nemico, alla mutilazione, ‘alla morte.
Happy few nello intendimento dello Stendhal erano coloro che, anche per
una forzata sobrietà di soddisfazioni materiali, trovano nella vita dello spirito,
nella nobiltà della coscienza un compenso ai più misurati favori della fortuna;
ma l’antico appassionato interprete degli umanisti sarebbe anche tornato in comunione con loro, pensando con quanto calore, con quanta enfasi, sulle tombe
dei nostri caduti avrebbero esclamato: Dulce et decorum est pro patria mori.
Questo sentimento, questo pensiero che va fuori dai confini segnati, non è
però estraneo alla nobile, alla patriottica figura del Novati; lo ha espresso egli
stesso nella dedica al Cochin del suo libro sullo Stendhal.
Questa dedica è scritta così:
« Ad | Henry Cachin | elettissima tempra | di scrittore di cittadino | con l'affetto
antico | fiammeggiante più vivo | oggi che nell'atroce duello | contro l'eterno nemico | Francia ed Italia | rinsaldano | la fraternità indefettibile ». .
Confondiamo dunque pure il dolore nostro presente al dolore pei morti
nostri sul campo, confondiamo pure l'affetto nostro per gli studiosi e pei guerrieri: appartengono tutti ad una Italia che opera, che soffre, che crede.
L’ Assemblea, dopo aver ascoltato con religiosa attenzione il discorso del senatore Greppi ne accoglie la chiusa con un lungo, commosso applauso.
Prende poi la parola il Consigliere conte Alessandro Giulini per
considerare il prof. Novati quale cultore della storia lombarda e nella
multiforme attività come presidente della Società Storica :
È con animo davvero trepidante ch'io prendo la parola: dire di Francesco
Novati e dirne degnamente non è impresa che si convenga alla modestia delle
mie forze, e, se raccolgo l'invito cortese (che per me è un comando) dell’ illustre vice-presidente, il quale assai più autorevolmente vi avrebbe potuto intrattenere sull’ arduo argomento, attribuitelo, piuttosto che a temerità, alla fiducia
vivissima ch'io nutro nel vostro benevole compatimento.
Consentitemi dunque d’intrattenervi alquanto nel considerare il Novati quale
cultore della nostra storia locale e nella sua multiforme attività come presidente
del nostro Sodalizio.
Era ancora giovinetto e fin d'allora (è Egli stesso che ce lo dice nell’affettuosa necrologia del suo grande maestro, il D'Ancona) curioso di carte vecchie
frugava e rifrugava da cima a fondo le raccolte documentarie della sua Cremona
e la collezione di libri e di manoscritti adunati dal Robolotti, e, mentre i coetanei suoi davansi agli spassi propri dell'adolescenza, Egli non dimentico, anzi
animato da tenerissimo affetto pel piccolo nido, ove era venuto crescendo, rie
ATTI DELLA SOCIETA STORICA LOMBARDA 301
vocava intorno a sè le ombre dei padri e degli avi remcti a celebrarne a domestica facta ». A quest'epoca va ascritta la sua eccellente monografia intorno a
Domenico Bordigallo ed alla sua Cronica, prezioso contributo per la storia lombarda de’ primi decenni del Cinquecento, da Lui trovata negletta ne' polverosi
scaffali della patrizia biblioteca dei Pallavicino e pubblicata nell’Archivio Veneto
con numerose note illustrative al nobile intento di togliere all’inglorioso oblio
l'’erudito notaio cremonese.
Quasi contemporaneamente il Novati, entrato da poco a far parte della Società nostra non ancora cinto del lauro dottorale conquistato presso quella facoltà
di lettere dell'Ateneo pisano, che produsse una schiera così numerosa e gagliarda
di studiosi, pubblicava nell'Archivio Storico Lombardo un notevole lavoro sull'Obituario della Cattedrale di Cremona, necrologio, che, iniziato da un prete Alberto, resosi defunto nel 1208, abbraccia il periodo corrente dal 1067 al 1527 e
riesce per tal modo un monumento di certo non ispregevole per la storia ecclesiastica di Cremona, anzi dell'intera Lombardia. L'obituario cremonese non è
solo un arido elenco di nome e di date, giacchè accanto a quelli ed a queste
s'adunano per opera di diversi registratori copiose e curiose notizie intorno ai
vari personaggi, de' quali si celebrano la pietà, la dottrina, la munificenza, così
che viene a dischiudersi avanti alla mente di chi legge una parte cospicua della
vita locale contemporanea. Il Novati nel dare alla luce il prezioso documento
non s'è limitato a pubblicarne il testo, come fu fatto per altri del genere, ma
ha voluto illustrarlo con annotazioni, nelle quali sono condensate e messe in
bella mostra notizie interessantissime intorno agli individui ricordati nel necrologio, così che le note illustrative del medesimo riescono una vera miniera di
erudizione storico ecclesiastica locale con particolare riguardo alle vicende ed
alla genealogia delle famiglie notabili cremonesi.
È davvero sorprendente la preparazione che il Novati, poco più che ventenne, rivela nei due lavori, de’ quali abbiamo fatto cenno brevemente, lavori
che farebbero onore a qualsiasi erudito nella piena maturanza della sua attività
scientifica: egli è che il Nostro era un precoce, ma, a differenza di molti altri
affermatisi in altri campi ed in altre discipline, Egli non esaurì ogni lena nello
sforzo iniziale, ma progredì diritto, vigoroso nello svolgersi della sua attività
attingendo sempre novella forza man mano che andava addentrandosi nella
ricerca e nello studio del passato. E ciò che ancor più fa meravigliare è
la versatilità dell'ingegno fin da queste prisne manifestazioni addimostrato se si
pon mente alla facilità, colla quale il giovane allievo della Scuola Normale Superiore di Pisa passava dalle ricerche di storia medioevale lombarda a quelle
non meno ardue di filologia classica, di cui è saggio la monografia intorno alle
Nubi d’Aristofane secondo un codice cremonese. E Cremona fu sempre oggetto
d'ogni affettuosa cura da parte del Novati, che parve ritemprasse quasi le sue
forze e ricevesse sollievo alle sue faticose ricerche scrutando il passato della città
natale. Ne sono testimoni sicuri parecchi studî apparsi nell'Archivio, ove, fra l’altro, il Nostro venne esumando gli Statuti dei canonici della cattedrale di Cremona del 1247, che Egli aveva saputo scovare, documento importante per la storia
della chiesa cremonese, ultima reliquia di quel dovizioso archivio capitolare, che
forni al Tiraboschi e particolarmente al Muratori preziosi materiali per le sce
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402 | ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
dotte dissertazioni sulle antichità medioevali. Così gli antichi rapporti fra Trento
e la città lombarda, ove Egli nacque, sono acutamente studiati e posti in evidenza nella monografia, ove rettifica ed integra le notizie, che in argomento
aveva già da tempo raccolto ed ordinato uno storico assai reputato del Trentino,
il buon Mazzetti, al quale riconosceva il merito d’avere colla sua pubblicazione
creato un vincolo di più fra la sua bella città nativa e la gran madre Italia.
Due grandi cremonesi, che pure ebbero frequenti e non trascurabili relazioni
con Trento, sono particolarmente pel Novati oggetto di diligenti ed amorose ricérche: Francesco Sfondrati, giurista eminente, sagace politico, diplomatico consumato, buon poeta e pio porporato, intorno a cui Egli aduna dati interessanti e
poco noti e del quale mette in luce i fonti per una futura biografia: Marco Gerolamo Vida, vescovo di Alba, esecutore operoso e zelante precursore dello stesso
S. Carlo Borromeo nella riforma tridentina. Del Vida, che Nicolò Tommaseo
detinì uno de’ personaggi più immeritevolmente ignorati, uomo dotato di coltura
squisitamente umanistica, poeta profondamente classico e nel tempo stesso fervidamente religioso il Nostro è venuto pubblicando documenti inediti, da’ quali
traspare il carattere adamantino dell’autore della Cristiade in tutta la sua lombarda schiettezza: documenti, che riescono interessanti sopratutto perchè ci rivelano i rapporti del Vida col crocchio umanistico cremonese, dì cui egli stesso fu
per lungo volgere di anni capo riconosciuto e riverito.
Quando la nostra Società pubblicò la miscellanea di studi petrarcheschi in
occasione del VI centenario della nascita del grande poeta, la cui figura è legata
da vincoli molteplici alla storia lombarda, il Novati vi inserì un suo lavoro su
I rapporti del Petrarca coi Visconti facendo conoscere parecchi documenti inediti,
che riflettono nuova luce su di alcuni episodi della vita del cantore di Laura,
del quale Egli studia le relazioni coi vari signori della dinastia viscontea e particolarmente con Bernabò e con Gian Galeazzo. l
Fu in una di quelle peregrinazioni all’estero, nelle quali Egli soleva impiegare con tanto frutto i mesi lasciatigli liberi dalle cure dell’insegnamento, che
il Nostro per capriccio del caso ebbe la ventura di scoprire in un codice miscellaneo della biblioteca reale di Madrid, un esemplare di quel De Magnalibus civitatis Mediolani di Bonvesin da Riva, nel quale il buon fraticello, emulo di Ausonio, decanta le bellezze e la superiorità su d'ogni altra della sua città natale.
Il manoscritto guasto, scolorito, corroso dall’ umidità, trasportato in Spagna due
secoli or sono da uno di que’ boriosi gentiluomini, che non avevano certo scruroli nello spogliare d'ogni buona e bella cosa il nostro povero paese, venne dal
Novati trascritto, corretto, reintegrato, in quanto era possibile, e pubblicato nel
testo intero nel Bollettino dell'Istituto Storico Italiano, accompagnato da una sobria e vivace analisi, in cui si accenna ai luoghi largamente sfruttati dal Fiamma,
pei transunti del quale era soltanto fino ad ora conosciuta l'opera di fra Bonvesin,
che va annoverata fra le fonti storiche più preziose del secolo XIII e che senza
dubbio ha preso un posto notevole tra i monumenti della storiografia milanese.
E davvero, scrive il Nostro, grazie a Bonvesin da Riva « la metropoli lombarca
c ci si schiude ancora dinanzi quale appariva secent'anni or sono al visitatore,
< rinserrata nella cerchia delle sue mura romane, colle innumerevoli chiese, i
< cento suoi campanili, le anguste e tortuose viuzze, dense d’una moltitudine
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 303
« operosa, dove strepitano giocondamente le officine e sulle incudini si martel-
« lano le bell’armi rilucenti, orgoglio d'un popolo, avvezzo non a mercarle sol-
« tanto, ma a provarne ancora la tempra sui campi di battaglia in petto ai ne-
« mici. p Splendida rievocazione questa della fisonomia della nostra antica Milano,
che il Novati ci ha dato con quell’arte tutta sua di far rivivere il passato, diffondendo tra gli spiriti nuovi il senso della perenne poesia dell’antico.
Scorsa così nel miglior modo, che ci fu dato, l’opera del Novati quale cultore della storia lombarda vediamo di esaminare quella, che ci tocca ancor più
da vicino, come capo autorevolissimo della nostra Società.
Ammesso nel nostro sodalizio, come abbiamo visto, appena ventenne, mentre
ancora frequentava. i corsi dello Studio pisano s’ addimostrò subito collaboratore
apprezzato dell’Archivio Storico Lombardo e tale continuò ad essere durante la
presidenza del conte Porro Lambertenghi, del Cantù, di Felice Calvi collaborando
efficacemente ne’ consigli direttivi ed intervenendo quale delegato nostro al VI
Congresso Storico Italiano raccoltosi in Roma nel settembre del 1895, dove Egli
svolse, ottenendo intorno alle sue conclusioni l’unanime consenso, una proposta
intesa a propugnare la riproduzione integrale de’ testi latini e volgari tanto dell'età di mezzo, che de’ tempi posteriori mediante il più scrupoloso rispetto per
la grafia dei documenti storici.
Fu sul finire del 1899 che il Novati fu chiamato a succedere al Calvi, ormai
sotto il peso degli anni e mostratosi desideroso di quiete. A questi, che coll'opera
sta di storico s'era di preferenza diretto non tanto agli eruditi, ma piuttosto agli
uomini colti, che leggono solo collo scopo d’allergare le proprie cognizioni generali, succedeva un erudito, che s'era fortemente affermato nel campo degli studi
e s'attendeva da Lui un mutamento nell’indirizzo dell'attività sociale. Il breve
discorso, col quale Egli aperse la prima delle nostre adunanze da Lui presieduta
nulla lascia scorgere in proposito, ma il nuovo presidente mostrò subito ne’ criteri direttivi della Società e della rivista, che è organo della medesima, come, pur
ritenendo opportuno che si procedesse su basi rigorosamente scientifiche, non
intendesse esercitare esclusivismi d’alcuna natura, che sarebbero ternati di nocumento sicuro all'istituzione nostra. E che tali fossero i suoi propositi ci è dato
di stabilire scorrendo quanto Egli ebbe ad affermare in una di quelle sue geniali
comunicazioni ai soci, nelle quali soleva dar conto dello stato e dei progressi
de’ lavori sociali. In quell'occasione il Novati insorgeva contro chi avrebbe voluto bandire dal tempio delle storiche discipline quanti non avessero segnato in
fronte il suggello professionale e non esitava a definire come riprovevoli e meschini
siffatti criteri e così concludeva: e Invigilate il lavoro scientifico, dittondete le
cognizioni dei metodi veri, dei criteri sicuri, movete guerra alla vana rettorica. fate risplendere la bellezza augusta del vero, ‘disvelate il fascino delle
vecchie pergamene ingiallite, testimoni mute di febbri sparite e di scomparsi
ideali. Ma non rinnovate le gilde, le corporazioni, i collegi dell’età di mezzo,
non chiudete a nessuno le porte per ragione nessuna. Il tempio della scienza
a dev'essere a tutti dischiuso come quello della fede. » A tali concetti ispirò
AnA_ Gf“AI f a
304 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
invero l’opera sua ed il programma così fedelmente seguito attirò al nostro sodalizio le migliori simpatie, che vollero rendersi manifeste non solo coll’aumento
graduale dei componenti, ma pur anche mediante cospicue elargizioni fatte per
attuare sempre meglio quelle forme di attività sociali, che resero l’opera della
nostra Società Storica apprezzata non solo in Italia, ma pure oltr'Alpe, così che
potemmo andar lieti di salutare come colleghi, per tacer d'altri, uomini quali
Henri Cochin, il Pélissier, 1’ Isambert, il Weil, il principe d'Essling e il principe
regnante di Thurn e Taxis, che solo qualche anno fa, non dimentico dell'origine
lombarda non mai smentita dalla sua casa sovrana, con munifica offerta addimostrava il suo gradimento per l’opera compiuta dalla nostra Società. Intimamente persuaso che quest’ ultima dovesse far conto esclusivo sulle proprie
forze, atteso il contributo governativo non certo cospicuo, il Novati ne promosse
ed ottenne nel 1907 l’erezione in ente morale sperando che ciò valesse a renderla viemeglio la naturale custode del patrimonio storico cittadino, la protettrice delle tradizioni famigliari e delle domestiche memorie: come tale Egli la
chiamava a protestare per gli attentati consumati o divisati contro venerandi
monumenti cittadini, quali la Pusterla de’ Fabbri e le colonne di San Lorenzo,
ovvero a pronunciarsi intorno all’inopportuno trasloco in località remota dell'Archivio di Stato minacciato nel 1908 od alla deplorata distruzione di cospicui
archivi domestici, pervenuti in eredità all'Ospedale Maggiore, invocando in tale
circostanza dai poteri competenti norme legislative e regolamentari intorno alla vigilanza degli archivi degli enti morali ad integrazione di quelle insufficienti in vigore. Così riuscì a dotarla dell’attuale e decorosa sede concessale dal Comune e fu
pel suo particolare interessamento che l'illustre prof. Lattes continuò a sussidiare munificamente le pubblicazioni sociali, mentre altri cospicui doni pervenivano alla
Società, come l’elargizione fatta in occasione delle onoranze a Marco Formentini
all'intento di promuovere le ricerche e lo studio della vita economica e finanziaria dell’antico ducato di Milano. La biblioteca sociale s'’andò pure arricchendo .
di preziosi manoscritti, come le» Memorie del Gorani e quel nitido codice contenente la storia d'Arnolfo e di Landolfo, che, già posseduto dalla libreria della
nostra Metropolitana, aveva sulla fine del XVIII secolo valicato purtroppo le
Alpi- con molti altri compagni di sventura, e che, or non è molto, venne restituito a Milano e donato alla nostra Società dal consocio Casati,
E giacchè abbiamo più sopra accennato alle generose elargizioni del Lattes
permettete che v’intrattenga alquanto intorno ad una delle imprese, che, a preferenza delle altre, raccomanderà il nome del nostro illustre e compianto presidente alla gratitudine ed all’ammirazione degli studiosi, il Codice Diplomatico
Visconteo. Già una ventina d’anni sono il Novati aveva proposto alla Società
d’intraprendere studi per l’edizione di un Carfolario Visconteo e dell’Epistolario
degli ambasciatori sforzeschi presso le corti italiane: il disegno della pubblicazione,
esposto allora nelle sue linee generali, prese forma concreta quando il Lattes
nel 1897 elargi lire tre mila destinandole alla pubblicazione del Regesto diplomealico visconteo dai primi tempi della signoria dei Visconti al 1402, anno della
morte di Gian Galeazzo, col quale il grandioso edificio visconteo si sfascia e Ja
compagine del ducato si va dissolvendo, dopo che il biscione s'era affermato vittorioso su ben metà della penisola. Il lavoro era di gran lena e richiedeva lunghe
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 305
e non facili ricerche, giacchè si volevano raccogliere tutti i documenti riguardanti
i Visconti e la signoria da loro esercitata sulle varie città italiane in modo che
il complesso e grandioso organismo visconteo apparisse in tutti i complicati suoi
congegni politici ed amministrativi. Il Novati non paventò la grandiosità e la
difficoltà dell’impresa, alla quale chiamò a collaborare quella schiera di devoti e
valenti discepoli suoi, che Egli, a guisa del suo grande maestro, il D'Ancona,
aveva il segreto d’innamorare dello studio e di eccitare a dedicare ad esso le.
forze migliori della loro giovane esistenza. A mezzo di questi giovani coadiutori,
singolarmente addestrati alla ricerca scientifica, s'iniziarono sistematiche esplorazioni e si condussero indagini negli archivi e nelle biblioteche delle città e dei
paesi, non esclusi i minori, ove s'era esteso il dominio visconteo e non vennero
trascurate quelle ne’ fondi esteri per rintracciarvi materiali di storia lombarda.
La prodigiosa ricchezza degli archivi italiani fornì un contributo grandissimo di
materiale, assai superiore a quanto si sarebbe atteso all’inizio dell'impresa, che
procede ora lenta, ma sicura verso il suo compimento. A rendere più completa
l’opera condotta con sì grande ardimento e serietà di propositi il Novati ideava
l’intrapresa di lavori laterali, di carattere sussidiario, che dovevano essere, così
Egli ben diceva, come i gruppi statuari ed i bassorilievi per un maestoso monumento: tali una nuova origine dei testi storici milanesi dalla fine del secolo XIII
agli inizi del secolo XV, ne’ quali sono narrate le vicende connesse al governo
visconteo, la ricostituzione critico-storica della libreria visconteo-sforzesca di Pavia, un’iconografia ed un’araldica viscontea, non che una nuova genealogia della
celebre casata, ristretta all’età più remota della stirpe, eretta sulla scorta di documenti antichi e coll’intento di sgombrare il terreno dalle molte favole intessute
intorno all'origine della medesima dalla boria o da ragioni, ancor meno nobili,
di lucro. Un primo saggio di siffatto genere di studi ce lo ha offerto qualche
anno fa il chiarissimo nostro consocio D.r Biscaro colla memoria apparsa nelArchivio intorno a ) maggiori dei Visconti signori di Milano. In essa, rispondendo all’invito del Novati, ripetuto anche nella sua prefazione al De Magnalibus,
col quale invocava uno studio approfondito, che spargesse un po’ di luce sul
complesso di favolose, ma interessanti scritture, che riguardano le origini viscontee, il Biscaro con dotta critica abbatteva le costruzioni genealogiche dei
falsari, che, come il Galluzzi ed il Bianchini, accumularono in argomento tante
menzogne in servizio di future rivendicazioni politiche da parte di membri ambiziosi della casata viscontea.
Se il Repertorio diplomatico visconteo fu oggetto di tanta e sì amorosa cura
da parte del rimpianto nostro presidente, altre iniziative sociali ebbero da Lui il
primo impulso o vennero felicemente condotte a compimento, come la trascrizione della Cronica del Bordigallo, sulla quale, come già vedemmo, si erano svolte
le sue indagini giovanili; la Esposizione cartografica della città e territorio di
Milano in occasione del IV Congresso Geografico raccolto nell'aprile del 1901
nella nostra città; la pubblicazione della miscellanea nel VI centenario della nascita del Petrarca, in cui, come già ebbimo occasione di rilevare, sono studiati
accuratamente i rapporti fra il grande poeta e la Lombardia; la Bibliograjia storica lombarda, a servizio della quale vennero fin ora pazientemente schedati il
Predari ed i doviziosi fondi dell'Ambrosiana e della Trivulziana: la pubblica
306 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
zione infine dell’Epistolario di Pietro ed Alessandro Verri, corrispondenza spontanea e schietta, che rievoca in modo mirabile la vita del tempo in ogni sva
manifestazione, fonte preziosa quindi per la conoscenza della vita italiana dell'epoca e del mondo svariato dell’Arcadia e dell’ Enciclopedia.
Nè qui il Novati intendeva che si dovesse arrestare l'attività del nostro sodalizio: Egli avrebbe desiderato che venissero avviati con severi criteri, con
metodo rigidamente scientifico studi intorno alla storia ed alla genealogia delle
famiglie nobili milanesi allo scopo d’integrare l'opera del Calvi e de’ suoi collaboratori: avrebbe voluto che in un prossimo volume della nostra Bibliotheca
Historica Italica comparisse una serie di documenti atti a spargere nuova luce
sull’assetto finanziario e lo sviluppo degli ordinamenti amministrativi dei comuni
lombardi nei secoli XII e XIII, come pure vagheggiava il riordino su larghe
basi e dietro nuove investigazioni della Bibliotheca Scriptorum Mediolanensium
dell’Argelati e la compilazione di un Cerpus Inscriptionum Italicarum medii aevi
dal VII al XV secolo, che raccogliesse con criteri moderni non solo i titoli inediti, ma riconducesse a genuina lezione anche quanti di essi furono nelle vecchie
sillogi sottratti a sicuro disperdimento; disegno questo ultimo che il Nostro accarezzò con particolare predilezione e che volle fare oggetto d'un tema da Lvi
svolto, a nome della Società Storica Lombarda, al Congresso Internazionale di
Scienze Storiche raccoltosi in Roma nell'aprile del 1903.
Tale il programma di lavoro, che il Novati era venuto tracciando col)’altissimo fine d’ illustrare con pubblicazioni documentarie grandiose le fasi più rilevanti della vita lombarda: programma, che per la sua vastità aveva qualche
volta reso peritante lo stesso suo ideatore, il quale s'augurava che ai successori
suoi venisse concesso di fare quanto Egli poteva solo vagheggiare, non eseguire.
E lo spirito eletto dell'uomo insigne, che piangiamo, pare aleggi in quest'aula e
ripeta ancora una volta l’augurio e l’incitamento, che soli possono confortare,
unitamente al vostro consenso, quanti saranno chiamati a raccoglierne la onorata eredità.
Infine prende la parola il prot. comm. G. C. Buzzati anche a nome
degli amici del prot. Novati.
La natura dei miei studi cosi lontani e diversi da quelli cui Francesco Novati
dedicò il luminoso ingegno non mi consente di parlare dell’opera Sua di letterato, di storico, di critico, di insegnante con la doverosa necessaria competenza:
anche se potessi farlo, ne sarei trattenuto da un sentimento di reverenza, quasi
direi di sbigottimento, di fronte a tanta e così varia e vasta mole di lavoro quale
Egli ha tramandato alla nostra ammirazione.
Mi sia concesso tuttavia, dopo che il senatore Greppi ed il conte Giulini
hanno maestrevolmente ed amorosamente tratteggiato la figura e le opere del
Grande scomparso, mi sia concesso aggiungere poche parole di profondo incancellabile rammarico per la Sua immatura fine, a nome degli amici Suoi. Se non
lo facessi, mi parrebbe di mancare ad un preciso dovere, a quello che a me
viene dalla affettuosa intima amicizia che mi univa al Novati ed ora pur troppo
non è più che un ricordo per sempre caro al mio cuore.
Goo gle Di
ATTI DELLA SOCIETÀ SIORICA LOMBARDA 307
Per avvertire senza indugio, e rimanerne insieme ammirati e sedotti, la
acutezza della Sua, mente, la sconfinata inesauribile coltura, non era neppure
mestieri conoscere la produzione letteraria e storica del Novati, aver letto l'/nflusso del pensiero latino sopra la civiltà italiana del Medioevo o le note all'Epistolario di Coluccio Salutati, monumento di erudizione che da solo basterebbe
ad assicurare imperitura fama all’autore; bastava avvicinarlo, conversare o meglio
ancora avere con lui frequente consuetudine di vita. Una epigrafe medievale o
un emistichio della Chanson de geste, un motto popolare o una data storica, un
capitello romanico o un frammento di pergamena, ogni più eccelsa e ogni più
umile cosa, un canto della Divina Commedia, o il gallo di ferro cigolante al
sommo di un campanile evocavano alla sua mente lontane, interessanti e curiose
memorie sconosciute ai più, gli suggerivano rapporti originali e raffronti impensati, porgevano occasione a quelle Sue conversazioni agili, dense di pensiero,
spigliate, piacevolissime, dove spesso un motto di spirito si intrecciava ad osservazioni argute sempre.
Lavoratore formidabile, indefesso, il primo raggio di sole d'inverno e d'estate
lo coglieva intento infaticabilmente allo studio, circondato dai Suoi libri sapientemente adunati, nell’ appartamento di Borgonuovo, dove aveva da ogni parte
raccolto con finissimo gusto d'arte cento cose belle; dalle pareti pendono tavole fiamnainghe, quadri di artisti nostrani, arazzi, ritratti: il riflesso gaio di maioliche antiche rifulge qua e là nella penombra e dagli scaffali la pallida doratura
di una madonna trecentesca o di un elefante di bronzo: pendole numerose, bellissime, d’ogni stile, d'ogni foggia, segnano il fatale andare del tempo: alti, annosi alberi, reliquie di un calmo paesaggio urbano del vecchio quartiere, cingono
di pace la elegante solitudine, dove la bianca immagine marmorea del Padre
adorato sembra vigilare amorosamente pur sempre sugli studi del figlio diletto.
Quanti pensieri, quante memorie, quali fantasmi rievocati in quelle stanze
solinghe: Tristano e il suo poema di amore e di morte e le epiche gesta del
ciclo carolingio; la gaia vita e la rozza poesia delle corti del secolo XIII e la
divina semplicità del Poverello d’ Assisi. — Fra Bonvesin della Riva riede a
parlare della Milano del dugento e i Goliardi a ripetere il ritmo delle gioconde
canzoni: — via via passano le figure tutte della letteratura italiana, da chi balbettò malcerto le prime sillabe del nostro idioma ai sommi, a Dante, a Boccaccio,
a Petrarca, ai maggiori del cinque e seicento, ai fratelli Verri, ad Alfieri, a Manzoni; della letteratura latina medievale, di quella francese dalla epopea provenzale allo Stendhal.
Tale infinita varietà di indagini, la stessa scrupolosa minuzia delle sue incessanti ricerche fecero da alcuni avventare il giudizio che la mente del Novati
fosse più di eridito che di storico. Mai più ingiusta sentenza: — a dissipare
l'errore basterebbe l’opera disgraziatamente incompiuta sulle origini della lingua
nostra, ancora più forse lo studio sull’Influsso del pensiero latino sopra la civiltà
italiana del Medioevo, dove la visione e comprensione di quei secoli oscuri appare così generale e profonda ed acuta e suggestiva quale mai prima nelle opere
storiche anteriori. — « Il titolo stesso del lavoro, osservava giustamente Henry
Cochin, dice molte cose. Per adempiere il programma che indica non si tratta di
scrivere la storia di una letteratura: poi che questo è un soggetto limitato: esso
Go ogle
305 ATTI DELLA SUCIETA SIORICA LOMBARDA
si arresta alle opere scritte in una lingua determinata e, per di più, non com
prende tutte le-manifestazioni della storia intellettuale di un popolo. La materia
del Novati è la storia del pensiero dei popoli e, in particolare, la storia del pensiero latino. Egli lavorava già da vent'anni e insegnava da tredici, quando diede
codesta definizione che, estendendola fuori d’Italia, è così generale quanto una
simile definizione può essere. Essa deve servire a farci comprendere tutto ciò
che precede e tutto ciò che segue. Il fine che il Maestro definisce. è insomma,
la storia della civiltà latina, in Italia particolarmente, dopo la decadenza dell'Impero romano. E' già un fine così alto e così lontano che lo storico non
ardisce assegnarlo a sè stesso. Rinnovare, egli dice, quel miracolo di erudizione
e di critica, l'opera di Girolamo Tiraboschi, è una chimera. Ma noi tutti abbiamo
bisogno di una chimera: e verso quella il Novati mosse. La storia della civiltà
non comprende soltanto quella dei dottori, giuristi, artisti, sapienti e letterati.
E' la storia evo per evo, dello svolgimento dello spirito umano: in realtà la
storia degli spiriti umani ». Chi in questo eccelso campo seppe arditamente segnare un’orma così vasta e secura come il Nostro perduto, ben più a ragione
della indiscussa fama di grande erudito, merita quella di principe dei medievalisti italiani.
Chi conosceva il Novati soltanto da' Suoi scritti e mai lo avesse incontrato
poteva facilmente raffigurarselo assai diverso dalla realtà. Egli stesso mi narrava
un giorno con un sorriso non scevro di intimo e ben giustificato compiacimento,
che, presentato un giorno ad un collega d'oltr'alpe questi, con atto di meraviglia,
esclamasse: « Ccme ? Lei è il Novati? ma io la credevo molto più vecchio e
molto meno elegante! ». Era appunto Suo pregio mirabile e certo raro in un
uomo di studi rigorosi non far pesar mai la superiorità dell'ingegno e la dovizia delle cognizioni su nessuno: di saper scuotere di dosso la dotta polvere
degli archivi e delle biblioteche per apparire sempre accuratissimo della persona,
di distinzione perfetta nel linguaggio e nel tratto: di non lasciarsi rinserrare
nel passato, ma di aprire l'animo ad ogni manifestazione d’arte, di vita, di spirito moderno: curioso d'ogni nobile cosa, aborrente da qualsiasi forma di volgarità, ricercato nei piacevoli conversari, frequentatore di teatri, di concerti,
di eleganti ritrovi mondani: aveva percorso più volte l’ Europa, visitato l’ Egitto:
di abitudini largamente signorili, egli conosceva il difficile segreto di profittare
degli agi ed allettamenti della vita, senza mai sacrificare i suoi doveri di insegnante e di scienziato da lui sempre adempiuti con austerità oserei dir religiosa.
Non fu prodigo della Sua stima, nè facile alle amicizie: ma le poche che
ebbe sentì vivamente e fedelmente: e quando si trovava nella cara intimità affettuosa d’una casa amica era di una semplicità, di una bonomia, di una bontà
che l'apparenza un po' rigida non lasciava sospettare. Mi pare ancora vederlo
nella mia villa, far chiasso sul prato co’ miei bambini, o, tenendoli sulle ginocchia,
ripeter loro con infinita pazienza i monotoni antichi ritmi di canzoncine infantili tramandate nel popolo di generazione in generazione.
Il 2; marzo 1909 l'Accademia scientifica letteraria era in festa: vi si celebrava il ventesimoquinto anniversario d'insegnamento del Nostro: una folla commossa di discepoli, di amici, di colleghi, di studenti circondavano plaudenti il
Maestro non meno commosso. Rispondendo alle parole alate rivoltegli da Gioì ”
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 309
vanni Bertacchi, Egli osservava che în quel lieto giorno indimenticabile la sola
tristezza, la sola ombra stava nel ricordare che venticinque anni erano trascorsi.
Quanto più accorata tristezza oggi: quanta più densa e ormai impenetrabile
ombra avvolge l’amico Nostro! Di Lui che abbiamo amato e reverenti ammirato
rimangono bensi le opere le quali vivranno celebrate nel tempo lontano: troppo
inadeguato conforto tuttavia questo al desiderio, all’ognora vivo rimpianto amarissimo dei nostri cuori.
Ma io, Signori, dimentico che parlo ai membri della Società storica e mi
lascio trarre troppo lontano dalle dolorose ricordanze. Perdonatemi. A noi che
abbiamo avuto la grande ventura di stare sotto la Sua Presidenza, di assistere
al progressivo sviluppo, mercè Sua, del nostro sodalizio, spetta un caro dovere:
quello di onorare la Sua memoria nel modo per noi possibilmente più degno:
proporrei quindi che un numero dell'Archivio Storico sia a Lui esclusivamente
destinato: che vi si riproduca il Suo ritratto e inserita la commemorazione dettata dal senatore Greppi come quella del Giulini: aggiungendo altri scritti che
illustrino la Sua vita e le Sue opere. Se la Presidenza e voi consentite nella
mia proposta, potremo tra non molto possedere noi tutti una tangibile memoria
dell'insigne Presidente la quale insieme ci ammaestri ed esorti a mantenere la
nostra Società all'alto fastigio di importanza e di universale estimazione, cui Egli
sapientemente seppe condurla. i
La proposta, riassunta dal Vice Presidente, viene accolta con unanime approvazione dell'adunanza; la quale così suggella 1’ affettuoso
omaggio alla memoria del benemerito e indimenticabile Presidente.
Adunanza generale del giorno 19 marzo 1916.
Presmenza DeL Vice- PRESIDENTE senatore E. GREPPI.
Sono presenti 30 soci e rappresentati per delegazione i soci prof.
G. Capasso, cav. A. Bruschetti, comm. A. Carnelli, senatore E. Conti,
preposto C. Donini, ing. A. Giussani, sac. dott. P. Guerrini, mons. C. Locatelli, dott. G. Nicodemi, dott. A. Nizzoli, mons. dott. A. Ratti, prof.
S. Ricci, prof. A. Stefini e dott. G. Vittani.
La seduta si apre alle ore 14 colla lettura ed approvazione del
Processo Verbale della precedente adunanza.
Il Vice-Presidente, accennato che la nostra ultima riunione fu esclusivamenta consacrata alla commemorazione del nostro Presidente, il
prof. Francesco Novati, spiega i motivi per cui la Presidenza ha creduto
di proporre una modificazione all’art. 3° dello Statuto sociale nel senso
di portare da 4 a 6 il numero dei suoi Consiglieri. La scomparsa del
Novati che sì gran parte aveva nell’avviamento e nella direzione delle
Arck. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. I-IL. 20
gio ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
differenti pubblicazioni scientifiche richiede ora che nel Consiglio direttivo abbiano a partecipare forze maggiori e nuove: un tale aumento
assicurerà una più larga attività per lo sviluppo del programma sociale
Ricorda quindi i numerosi lutti che hanno colpito la nostra Società
dal luglio dell’anno decorso e volge un mesto pensiero ai defunti prof.
Giovanni Collino, signorina Ida Seletti, conte Gabrio Casati, marchese
Gerolamo Parravicini di Persia, padre Pietro Gazzola, dott. Giulio Rezzonico, nob. dott. Carlo Frisiani, dott. notaio Antonio Menclozzi, rag.
comm. Paolo Cardani, dott. Luigi Ratti, ing. Antonio Comi, arch. G. B.
Savoldi, padre Fedele Savio e ing. nob. Francesco Sertoli (I).
Il socio prof. A. Solmi, dubbioso che coll’ aumento del numero dei
consiglieri le forze siano più vitali, raccomanda di accingersiì alla raccolta e alla pubblicazione di tutte le fonti storiche lombarde, dalle più
antiche a tutto il ’200, valendosi del concorso delle altre società storiche
regionali e facendo istanza presso i diversi enti morali della Provincia
e della Lombardia onde avere adeguati sussidi per la stampa di un
Corpus di 10 a 12 volumi di Fonti. La Società potrebbe poi creare tanti
comitati di lavoro nei vari rami dell’attività sua.
Il Vice-Presidente, pur riconoscendo l’ utilità della proposta avanzata, fa rimarcare che nei tempi difficili in cui viviamo, tutte le forze
sono devolule ai grandi bisogni della guerra nazionale, sicchè sarà ben
difficile ottenere oggi dei sussidi pecuniari speciali, in grande od in
piccola misura.
In seguito il dott. Giuseppe Bonelli, del Regio Archivio di Stato di
Brescia, svolge la sua coinunicazione sul tema molto interessante per
gli storici presenti e futuri “ Per la conservazione dei giornali ,. Oramai i giornali dell’ oggi saranno la fonte principale della futura storia
della immane guerra attuale. Occorre quindi, anche per i più piccoli e
quindi più rari, raccoglierli e conservarli, e possibilmente conservarli
in copie, tirate su carta speciale che non sia quella troppo deperibile
dei giornali soliti. Conservazione che egli dimanda di ottenere, rivolgendosi alle direzioni dei vari giornali ed agli uffici comunali, provinciali
ed altri dove sia possibile conservare le raccolte dei giornali, e metterlì
a disposizione dei futuri studiosi. Non solo nei grandi centri, dove ci
sono biblioteche ed archivi, ma e più nei piccoli centri e per i giornali
locali più facili a sperdersi, occorre provvedere.
Il Vice-Presidente ringrazia il consocio dott. Bonelli per la bella e
vivacissima relazione, e ne approva i concetti esposti, a parte la difficoltà
della loro attuazione. Essa dà luogo ad una larga discussione, a cui
prendono parte il prof. Solmi, il prof. Carotti, il dott. Magni, il dott. Vi-
——————
(1) Vedi in quest'.4rchivio a p. 283 le notizie più diffuse.
(O ogle n
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA ZII
sconti, 11 comm. Labus, l'arch. Monneret, il prof. Volpe, il conte Vdazio,
il prof. Bognetti. Rispondono a tutti il Vice- Presidente ed il Relatore
e sì dà affidamento che verranno fatte dalla Presidenza le pratiche per
ottenere l’intento desiderato.
Segue la presentazione, da parte del cons. delegato, prot. Bogncetti
vel Bilancio preventivo per l’anno 1916 che chiude con un presumibile
avanzo di L. 245. Il socio ing. Monneret domanda perchè non siasi presentato anche il consuntivo del 1915, esigendone lo Statuto la presentazione prima del mese di marzo. Malgrado le spiegazioni date dal VicePresidente, dal Cons. Bognetti e dal Segretario, che se ci fu ritardo nelia
convocazione delle sedute e presentazione di bilanci, lo si deve unicamente imputare alla morte avvenuta al 27 dicembre scorso del Presidente, e che nell'adunanza indetta a solennemente commemorarlo non
era certamente il momento di trattare d’affari, il sig. Monneret insiste
nel suo rimprovero e vuole sia messo a verbale che noì siamo fuori
dello Statuto. L’assemblea concede la sanatoria ed approva il preventivo I9I6.
E’ all'ordine del giorno la proposta del Consiglio perchè nell’ articelo 3° dello Statuto sociale alle parole “ quattro Consiglieri , si sostituiscano le parole “ sei Consiglieri ,; ed alle parole: “ si rinnovano
ogni anno per un quarto e per anzianità , si sostituiscano le parole:
“ si rinnovano ogni anno per un terzo. La scadenza è determinata per
il primo biennio dal sorteggio, poi dall’anzianità ,. L'Assemblea, udite
le precedenti dichiarazioni del Vice-Presidente, accetta la modificazione
statutaria così proposta.
Segue la nomina dei tre revisori del Bilancio 1915 e risultano con-
‘ermati gli attuali revisori: arch. A. Annoni, prof. G. C. Buzzati e dott.
G. Gallavresi.
ia seduta si chiude coll’ammissione, a voti unanimi, dei nuovi soci
dott. Guglielmo Castelli, conte Gottardo Frisiani-Parisetti, Pio Pecchia],
direttore dell’Archivio dell'Ospedale Maggiore, signora Eva Silvestri-Valentini e prof. Pier Enea Guarnerio.
L'adunanza si scioglie alle ore 16.
Il V. Presidente
E. GREPPI.
11 Segretario
E. MotTA.
Go ogle
312 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
Adunanza generale del giorno 7 maggio 1916.
Presipenza DEL VicE PRESIDENTE SENATORE E. GREPPI.
Presenti 39 soci. Sono rappresentati per delegazione i soci conte
Emerico Albertoni, conte Alberto Alemagna, arch. Ambrogio Annoni,
barone Giuseppe Bagaiti Valsecchi, avv. comm. Demetrio Benaglia,
can. Angelo Berenzi, sac. Rinaldo Beretta, contessa Elisa Borromeo,
conte Guido Borromeo, arch. Augusto Brusconi, prot. G. C. Buzzati,
prof. Aristide Calderini, prof. Gaetano Capasso, cav. Flaviano Capretti,
dott. Giulio Carotti, contessa Luisa Casati Negroni, dott. Giovanni Casnati, ing. Carlo Clerici, senatore dott. Einilio Conti, marchese Carlo
O. Cornaggia, ing. Giovanni De Simoni, conte Gottardo Frisiani-Parisetti, ing. Antonio Giussani, sac. dott. Paolo Guerrini, comm. Ausano
Labadini, prof. comm. Elia Lattes, dott. Antonio Marietti, march. Luigi
Monticelli Obizzi, prof. Bartolomeo Nogara, sac. dott. Carlo Pellegrini,
prof. Serafino Ricci, nob. Ivan Ritter-Z4hony, prof. Attilio Stefini, Antonio Venini, senatore Giulio Vigoni, nob. Rachele Villa-Pernice e dott.
Giovanni Vittani.
La seduta sì apre alle ore 14 }/, con l'approvazione del processo
verbale della precedente adunanza.
Su proposta del socio dott. G. Calvi, appoggiata da altri consoci
che per l’impegno di presenziare altre sedute, devono abbandonare presto la sala sociale, il Vice Presidente, annuente |’ Assemblea, inverte
l'ordine del giorno delle trattande, iniziandole colla nomina dell’intiero
Consiglio di Presidenza, e cioè del Presidente, di due Vice Presidenti,
di sei Consiglieri di Presidenza, del Segretario e del Vice Segretario,
scaduti per morte, per anzianità o per dimissioni, o da eleggersi a norma
di quanto fu disposto nell’assemblea del precedente 19 marzo. Riconosciuto dagli scrutatori comm. A. Carnelli e dott. N. Ferorelli che i soci presenti sono 39 e che 37 di essi hanno avuto la delegazione da altro
socio, accertate quindi le schede di votanti in numero di 76 si proclamano eletti a pieni voti: a Presidente il senatore nob. Emanuele Greppi;
a Vice Presidenti il conte comm. Alessandro Giulini e l’ ing. Emilio
Motta; a Consiglieri il dott. cav. Achille Bertarelli, il prof. cav. Giovanni Bognetti, il nob. cav. Guido Cagnola, il conte comm. Luigi Fumi,
mons. dott. Marco Magistretti ed il dott. cav. Ettore Verga ; a Segretario
il conte dott. Alessandro Casati ed a Vice Segretario il prof. cav. Giovanni Seregni.
Il Presidente, dopo aver commemorato il defunto socio comm. O. Joel,
comunica che a seguito della lettura’ tenuta nell’ ultima adunanza dal
consocio dott. G. Bonelli per la conservazione dei giornali e della relativa
Go ogle -
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 313
discussione, la Presidenza ha stimato opportuno di richiamarvi l’attenzione e sentire il parere delle varie Deputazioni di storia patria, Accademie, Istituti e Società storiche dell’Italia, e legge la circolare loro
diramata (vedi Allegato A).
Il cons. delegato prof. Bognetti, in assenza giustificata dei Revisori,
legge il loro rapporto sul Bilancio consuntivo per l’anno 1915 che viene
approvato senza opposizione (vedi Allegato B).
Si passa quindi alla nomina del Delegato della Società Storica Lombarda presso l’Istituto Storico Italiano e riesce eletto per acclamazione
mons. dott. Achille Ratti, prefetto della Biblioteca Vaticana in Roma.
Da ultimo si eleggono a nuovi soci i candidati signori: cav. Giuseppe Baratelli in Varese, conte Camillo Carena Castiglioni, conte Antonio Dal Verme, mons. Cesare Mambretti in Milano, cav. Carlo Manziana in Brescia, nob. ing. comm. Giuseppe Padulli, conte ing. Luigi
Paravicini, sac. Carlo Santamaria, conte ing. Cesare Sertoli e avv. cav.
Mario Tanzi in Milano.
L’ adunanza è sciolta alle ore 16,30.
ll Vice Presidente
E. GREPPI.
Il Segretario
E. Motta.
ALLEGATO A.
Un benemerito membro di questa Società, il dott. Giuseppe Bonelli del R.
Archivio di Stato di Brescia, ne richiamava recentemente l’attenzione su di un
problema che interessa, oltre gli attuali studiosi di storia contemporanea, anche
quanti delle venture generazioni vorranno conoscere i particolari dei grandi avvenimenti che si svolgono sotto i nostri occhi e i loro molteplici riflessi sulla
vita politica, sociale e privata.
E’ il problema della conservazione e dell’agevole consultazione dei giornali:
non solo dei maggiori; bensi anche di quelli dei piccoli centri, che sono come
specchi di vita locale e che più facilmente vanno soggetti a irreperibili dispersioni.
Tre sono i punti che sembrano più degni di considerazione:
1° La possibilità e la convenienza di una statistica dei giornali esistenti
in raccolte più o meno complete presso i diversi enti pubblici o privati, dal 1860
ad oggi, e la pubblicazione del relativo elenco.
2° L'opportunità di promuovere disposizioni legislative atte ad assicurare
la conservazione delle effemeridi e il loro concentramento, in guisa da rendere
più facili le ricerche agli studiosi.
Go ogle
314 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
3° Lo studio di quei mezzi tecnici, i quali valgano ad ovviare alla facilità
di deperimento (resa ancor maggiore ai giorni nostri dalla crisi dell’ industria
cartaria) dei fogli quotidiani: così che sia lecito dubitare che le loro raccolte,
tanto più se consultate con qualche frequenza, possano, nel corso di poche diecine d'anni, diventar inservibili.
La Società Storica Lombarda gradirebbe vivamente di avere intorno al dibattuto argomento l'autorevole avviso di codesto illustre Consesso e l’ assicurazione che, ove il problema fosse ritenuto come a noi pare di qualche importanza,
esso troverebbe negli Enti che promuovono e tutelano gli studi storici il necessario appoggio per condurlo a soddisfacente soluzione.
IL PRESIDENTE
Emanuele Greppi.
ALLEGATO B.
Egregi Consoci,
Designati nuovamente nell’ultima adunanza dalla vostra fiducia, ancora questa volta, pel 1915, rivedemmo il Bilancio Consuntivo, Ed ancora, come sempre,
constatammo e vi additiamo la regolarità della gestione e dei conti; dei quali
le cifre riassuntive appaiono stampate nel medesimo avviso di convocazione, ed
i documenti particolari fanno perfetta fede e garanzia. Vi invitiamo PERRnIO ad
approvare il Bilancio nelle sue risultanze.
Il nostro compito sarebbe finito, se non credessimo opportuno per parte
nostra ed utile per una più coscienziosa approvazione qualche breve commento.
Nel confronto fra il conto preventivo del 1915 ed il relativo consuntivo, le
cifre rispettivamente sia delle Rendite e sia delle Spese coincidono ; ma tale corrispondenza - in tempi anormali per troppe ragioni - è effettiva solo nel complesso.
In particolare si ebbero delle diminuzioni in alcuni cespiti che servono ad equilibrare l'aumento degli altri. E cioè: i e proventi della vendifa di pubblicazioni
sociali » previsti in L. 700,— si limitarono in realtà a L. 535,55 per il mancato
o scemato commercio con l'Estero. Dall'altra, si ebbe un risparmio nelle « spese
di stampa dell’ Archivio Storico », prevista in L. 5800,— ed efiettiva di L. 4548,—,
perchè per mole i fascicoli furono realmente tre (non quattro), comparendone
uno doppio solamente per regolarità di numerazione. La mancanza di materia
per cause troppo note e troppe nobilmente superiori giustifica tale riduzione, e
le L. 1252,— così risparmiate permisero di attribuire alle spese normali gli importi per la « Stampa del Catalogo della Biblioteca » (L. 413,60) e per l’« Indice della IV serie dell'Archivio Storico Lombardo » (L. 564,70), che zaia
dovuto attingere agli appositi stanziamenti di complessive L. 3500.
Non senza aggiungere che, essendo esaurito il fondo della « Donazione
Lattes >» pel Repertorio Diplomatico Visconteo, si dovette e si potè far posto nelle
spese normali anche per ciò.
La cifra delle « Spese diverse (straordinarie) » che 2 tutta prima appare
d'una certa entità, non lo sembrerà più quando si sarà ricordato che vi figurano
le L. 500.— versate alla sottoscrizione cittadina per i bisogni della guerra, per
l
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 315
deliberazione dell'Assemblea del 20 giugno 1915. E, pertanto, la si sarebbe voluta poter inscrivere ed approvare ben più cospicua!
I tempi e le circostanze spiegano, in parte, l’altra cifra relativamente non
piccola di L. 340,— per « Perdita sull’esazione dei crediti ». L'altra parte, inspiegata, ma facilmente spiegabile, meriterebbe dei provvedimenti dai quali l’indole della Società nostra rifugge, augurandoci che i pochi Soci cosidetti morosi,
che non si trovano nè all’ Estero nè sotto le armi, vogliano essi stessi mettersi
definitivamente in regola.
Con l’augurio che lo spirito di Francesco Novati aleggi sulle sorti della nostra Società amche in ciò che ne riguarda l’ incremento dei mezzi materiali per
sempre più grandi e più feconde seminagioni di studi e di lavori, noi concludiamo questa Relazione; vi ringraziamo non soltanto della fiducia, ma anche
del piacere fattoci di poter constatare per voi tutti la regolare ed ottima nostra
amministrazione. Anche vi ringraziamo di avercelo rinnovato, ma non vi nanascondiamo il desiderio - sia o no da voi esaudito - che pure ad altri vogliate
procurare insieme con l’onore dell’ incarico il compiacimento della constatazione.
A. AnnonI, G. C. Buzzati, G. GALLAVRESI.
Go ogle
316 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
STATUTO
DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
ART. I.
La Società Storica Lombarda, di carattere esclusivamente scientifico
e letterario, si propone d’indagare ed illustrare la storia e le memorie
delle provincie lombarde, e di rendere pubblico il frutto de’ propri lavori.
Essa può, all’evenienza e per sua iniziativa, vegliare alla conservazione de’ monumenti e documenti lombardi, e promuovere il concorso dei
Comuni e delle Provincie a lustro ed incremento dell’arte e della storia.
Art. II.
La Società è composta di un numero illimitato di Soci. Tutte le cariche sono gratuite e conferite soltanto ai Soci. Le elezioni avvengono
nel dicembre di ogni anno. Obblighi e diritti sono personali.
I Soci sono eletti alle cariche in assemblea generale a scrutinio segreto ed a maggioranza assoluta di voti. Essi sono sempre rieleggibili.
ART. III
Il Consiglio di Presidenza si compone di un Presidente, due Vicepresidenti, sei Consiglieri, un Segretario, un Vicesegretario, i quali tutti
hanno voto deliberativo.
È radunato dal Presidente per trattare gli affari ordinari della Società. L’adunanza delibera a maggioranza di voti, e a parità prevale il
voto del Presidente. Le sue deliberazioni sono esecutive.
ART. IV.
Il Presidente rappresenta la Società, convoca le adunanze e ne dirige le discussioni; veglia all'osservanza dello Statuto: propone quanto
giova all’incremento della Società ed ai fini di essa; elegge le occorrenti Commissioni; firma gli atti d’uffizio e la corrispondenza: cura
©
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 3I7
l'esecuzione delle deliberazioni dell’assemblea, e può prendere provvedimenti d’urgenza, riferendone alla prossima adunanza del Consiglio.
Dura in carica tre anni. |
I Vicepresidenti lo suppliscono in ordine di anzianità: anch’ essi
durano in carica un triennio.
I Consiglieri si rinnovano ogni anno per un terzo. La scadenza è
determinata per il primo biennio dal sorteggio, ‘poi dall’anzianità.
In caso di sostituzione straordinaria di qualche membro della Presidenza, il nuovo eletto sottentra in luogo e stato del cessante.
ART. V.
Il Segretario assiste il Presidente nel disimpegno delle sue funzioni,
compila i processi verbali delle adunanze, attende alla corrispondenza
d'ufficio, alla conservazione del sigillo e degli atti della Società. A lui
è pure affidata, quando il Consiglio non credesse di delegarla ad altro
socio, la sorveglianza sulla biblioteca. Dura in carica quattro anni.
Il Vicesegretario lo coadiuva e lo supplisce. Dura anch’esso in carica quattro anni.
ART. VI.
Uno dei membri del Consiglio, designato dalla Presidenza, cura la
riscossione del contributo dei Soci ed ogni altro provento attivo della
Società; firma le quietanze, paga le spese stanziate nel preventivo o
deliberate straordinariamente dalla Società sovra mandato firmato dal
Presidente; tiene un registro di entrata e uscita; compila i bilanci preventivo e consuntivo d’ogni anno da presentarsi previa l'approvazione
del Consiglio di Presidenza, alla Società in ordine dell’Art. XII.
Art. VII.
I soli Soci possono valersi dei libri, i quali saranno loro forniti dal
Bibliotecario, osservate le norme stabilite dal Regolamento.
Art. VIII.
La Società pubblica un periodico intitolato: Archivio Storico Lonbardo, destinato a raccogliere dissertazioni, memorie, documenti illustrati
riguardanti la storia lombarda, e gli atti sociali.
I Soci hanno diritto ad un esemplare dell’ Archivio.
Le pubblicazioni di maggiore importanza, come edizioni di cronache,
statuti, cartari, raccolte epigrafiche e bibliografiche, debitamente commentate, alimentano una raccolta intitolata: Bib/follteca Historica Italica.
Gli autori degli scritti ammessi alla pubblicazione devono assoggettarsi alle norme e alle condizioni determinate dal Consiglio di Presidenza”
LO ogle
318 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
Ciascun autore è responsabile delle sue pubblicazioni e ne conserva
la proprietà letteraria.
Art. IX.
La proposta per l'ammissione di un nuovo Socio si fa con lettera
firmata da tre Soci al Consiglio di Presidenza, il quale, ove non abbia
eccezioni, la presenta per l'accettazione nella prossima adunanza della
Società, indicando nella lettera di convocazione i nomi del candidato e
dei proponenti.
Quando il Consiglio di Presidenza abbia deliberato di proporre all'assemblea l'ammissione di un nuovo Socio, questi verra invitato a firmare la dichiarazione che egli conosce gli obblighi del presente Statuto
e intende di uniformarvisi.
Il candidato che, a scrutinio segreto, ottiene due terzi di voti, si
ritiene ammesso; quello che non raccoglie un terzo di voti favorevoli
non può essere riproposto se non trascorso un anno.
Art. X.
Ogni Socio è tenuto al pagamento di un contributo annuale di venti
lire. L'obbligo sociale è per un triennio. Il Socio che, avanti il settembre
del terzo anno non dichiara in iscritto di uscire dalla Società, rimane
obbligato per un altro anno, e l’obbligo annuale continua fin che non
sia disdetto entro il settembre dell’anno in corso.
Il Socio, che nel primo trimestre di ciascun anno non ha sogdistatto
al contributo sociale, vi è invitato con lettera della Presidenza; se nel
successivo trimestre non si pone in regola si ritiene rinunciante di diritto e di fatto alla Società, la quale si riserva l’esercizio delle azioni
e ragioni sociali pel conseguimento del suo credito..
Chi offre 400 lire è, previa accettazione dell’assemblea, considerato
Socio perpetuo, esente dal contributo annuale; e ha diritto ad un esemplare di tutte le pubblicazioni delia Società e agli altri vantaggi e diritti di cui fruiscono i Soci effettivi. ;
Chi, per donazioni superiori alle 400 lire o per servigi eminenti,
se ne fosse reso degno, potrà essere dall'assemblea, su proposta della
Presidenza, proclamato Socio benemerito, e parificato nei diritti ai Soci
perpetui.
Art. XI.
Il provento dei contributi sociali, degli assegni, dei donativi, del ricavo delle pubblicazioni viene erogato nelle spese di uffizio e di stampa,
a norma dei preventivi approvati dall'assemblea.
| Pel servizio di economato e di cassa la Società tiene un conto corrente con un Istituto di credito della città.
n
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 319
ART. XII.
Per gli affari scientifici ed amministrativi la Società è convocata
dal Presidente. Nella lettera di convocazione si comunica l’ordine dei
giorno.
Nel dicembre il Consiglio sottopone all'approvazione della Società
il bilancio preventivo dell’anno seguente; e in quell’adunanza l’assemblea elegge tre Soci incaricati della revisione dei conti relativi all'anno
in corso: questi, entro il febbraio, li esaminano e il Rendiconto, sopra
loro rapporto, viene presentato per l’approvazione in un’adunanza dello
stesso mese o del successivo.
Per la legalità delle adunanze occorre la presenza di un quinto
almeno dei Soci residenti in Milano. Se però dopo un’ora da ‘quella fissata nella lettera d’invito non si raggiunge quel numero, si apre ugualmente la seduta e le deliberazioni sono valide, qualunque sia il numero
dei presenti. Le deliberazioni dell’assemMfea obbligano tutti i Soci.
Sono ammesse le delegazioni limitatamente ad una per Socio.
Sono escluse le discussioni estranee allo scopo della Società o alla
sua amministrazione.
Qualora si tratti di persone si procede per votazione segreta.
Ogni Socio può chiedere che siano inscritte all’ordine del giorno
proposte di propria iniziativa.
Occorrendo comunicazioni urgenti alla Società o provvedimenti istantanei in ordine all’assunto scientifico, è in facoltà di cinque Soci provocare
dal Presidente una convocazione straordinaria.
Per deliberazione del Consiglio di Presidenza possono tenersi adunanze solenni con invito di estranei,
Art. XIII.
Nessuna aggiunta o modificazione può esser fatta al presente Statuto se non sovra proposta del Consiglio o di almeno dieci Soci, da esser
poi sottoposta a votazione nella successiva adunanza. La votazione deve
riportare il voto di due terzi dei Soci presenti, tenuto conto, per la validità dell'assemblea, di quanto dispone il terzo comma dell’Art. XII.
Se l’aggiunta o modificazione viene ammessa, il Segretario ne cura
l'inserzione nello Statuto e la partecipazione ai singoli Soci.
Le norme succennate valgono anche nel caso di scioglimento della
Società.
La suppellettile scientifica (manoscritti, stampati, ecc.) posseduta
dalla Società al verificarsi di tale scioglimento diventerà proprietà del
Comune di Milano da essere conservata a vantaggio della pubblica
coltura.
320 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
ART. XIV.
Un apposito Regolamento interno, redatto dal Consiglio di Presidenza, dà le norme per la pratica attuazione di questo Statuto.
Art. XV.
Il presente Statuto entra in vigore col 1° aprile 1904, dal qual giorno
in avanti è abrogato lo Statuto del 1888 sinora vigente.
Arprovato nell’assemblea del 20 marzo 190.4,
e ‘modificato nelle assemblee del 5 gennaio 1908, 26 maggio 1912, 21 giugno
1914 e 19 marzo 1916.
i
ELENCO DFI SOCI"
DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
(Giugno 1916).
PATRONO
S. M. IL RE.
PRESIDENZA
GrepeI nob. senatore EMANUELE ; : : . Presidente
Giulini conte comm. ALESSANDRO } a ; . Vice-Presidente
Motta ing. EMILIO x
BERTARELLI dott. cav. uff. ACHILLE . i i . Consigliere
BocNETTI prof. cav. uff, GIovanNnNI ; ; ; : Ù
Cacnota nob. cav. Guino
Fumi conte comm. Luici
MAGISTRETTI mons. dott. Marco .
VERGA dott. cav. uff. ETTORE
Casati conte dott. ALESSANDRO . e . : . Segretario
SEREGNI prof. cav. GIOVANNI - 3 : . Vice-Segretario
(*) I segnati con un asterisco sono soci fondatori.
(**) I segnati con due asterischi sono soci perpetui o benemeriti.
Il numero in fianco al nome del socio indica l’anno d'iscrizione alla Società
Go ogle
322 ELENCO DEI SOCI
S. M. IL RE VITTORIO EMANUELE II
S. M. LA REGINA ELENA
S. M. LA REGINA MADRE MARGHERITA
Adami ten. col. Vittorio
Adamoli ing. Giulio, senatore 50
Regno . n è
Agnelli prot. cav. Giotanni è
Ajroldi di Robbiate barone cav.
Paolo. . . . .
Alberti (degli) conte Mario
Albertoni conte Alberto
Albertoni conte Emerico
Albertoni nob. Muzio Luigi
Albertoni di Scalve contessa Giana
Albuzzi sac. Luigi .
Alemagna conte Alberto
Alemanni prof. sac. Emilio.
Anderloni dott. Emilio .
Angelini ing. Luigi sa
Annoni arch. prof. Ambrogio .
Annoni conte ing. Federico . .
Archivio di Stato . . . . .
Bagatti- Valsecchi barone comm.
Giuseppe . . OD acli
Baratelli cav. Giuseppe st dt
Barbiano di Belgiojoso conte architetto Alberico . .
| Barbiano di Belgiojoso d’ Este
principessa Maddalena .
Barbò nob. ing. Lodovico . . .
Baroffio dall’Aglio barone comm.
Giuseppe . . ... 0...
I
Micano, via Princ. Umberto, 2
Besozzo (Varese)
LoDpi, Biblioteca Comunale
Mirano, via Ad. Saffi, 34
ToRINO, via Fanti, 6
Miano, via Vivaio, 11
n w Vivaio, 1I
» Vivaio, II
Crimoia Via Tibaldi, ro
Mirano, Can. di s. M. Segreta
= via Moscova, 18
CeLANA (Bergamo) Collegio
pareggiato
MiLano, via S. Orsola, 6
BERGAMO, Borgo s. Caterina, 13
MiLano, Bastioni Magenta, 2
i via Boschetti, 6
BRESCIA
Milano, via Gesù, s
VARESE, Via Cavour, 7
Miano , Gesù, 11
Passione, I
Durint, 17
” w
” »
5 corso Magenta, 30
ELENCO DEI SOCI
S. E. Baslini avv. comm. Antonio,
sottosegretario di Stato
Bassani dott. Ugo . . . . ;
Bassi maggiore nobile Culo:
Bazzero avv. conte Carlo .
Bay ing. Francesco . . ..
Belinzaghi Bianca. . . ...
Bellini avv. cav. Giuseppe . .
Benaglia avv. comm. Demetrio .
Benaglio conte avv. Giacinto, deputato al Parlamento.
Berenzi prof. mons. Angelo . .
Beretta sac. Rinaldo. . .
Bertarelli dott. cav. uff. Achille. ®
Bertarelli dott. comm. Ambrogio
Bertoni Giovanni Battista. . .
Besozzi-Visconti nob. cav. Francesco, Vice-Prefetto . .
Bianchi Angelo Domenico .
Bianchi ing. Guido .
Biblioteca Comunale . . . .
Biblioteca Comunale . . . ..
Biblioteca Comunale . . . ..
Biscaro dott. cav. Gerolamo
Bognetti prof. cav. uff. Giovanni.
Bonardi avv. Carlo . . . .
Bonelli dott. Giuseppe
Bonetti cav. maggiore Carlo .
Borghi ing. comm. Fedele . .
Borromeo conte Febo . . .
Borromeo conte Guido
Borromeo Arese contessa Elisa.
Borsani dott. Gaetano . . .
Botta Gustavo . . . .. ù
Bottini prof. Pietro . . . . .
Brambilla dott. Giuseppe
Bruschetti cav. Ampellio . .
Brusconi arch. prof. Augusto.
Buttafava-Valentini nob. GiusepPINA e è + Su A
Buzzati prot. comm. Giulio CeSalerno ee RE ee
Cagnola nob. cav. Guido . . .
Cagnoni Gian Franco . . . .
Calderini dott. prof. Aristide .
Calvi nob. dott. Gerolamo .
1908
1912
1906
1882
I9IO
1905
1886
1885
1909 1898
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1900
1906
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1905
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1904
1900
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190I
1908 1894
323
MiLano, via Monte di Pietà, 12
” n» Gest, 4
a via Spiga, 12
i » Gorani, {
” » Sì Spirito, 22
5 » Cernaia, 5
i »s Torino, 68
+ » S. Spirito, 24
BERGAMO
CREMONA, Liceo Vescorwile
RoBBIANO DI Giussano
Mitano, via s. Barnaba, 18
» » S. Orsola, I
Brescia, via Cesare Arici, 7
PARMA
VARESE
Mirano, Foro Bonaparte, 6}
BERGAMO
UDINE
VERONA
Roma, Piazza S. Cosimato, 40
MiLano, via Bossi, 2
BRESCIA
BreESsCcIA, 0. Archivio di Stato
CREMONA, via Biblioteca, I
MiLano, via Conservatorio, 7
Pa » «Ad. Manzoni, {I
piazza Borromeo, Io
i n Borronico, 10
Mesero, (prov. di Milano)
Mirano, Bast. P. Vitoria, 37
È via Giulini, 7
: sn Torino, j1
E n Clerici, 4
A » (otto, S
Nugabella, 10 S ,
5 n Se Marco, 12
a n Cusani, 5
; w Cusani, 16
i » L. Palazzi, 10
a » Clerici 3
324 ELENCO DEI SOCI
Capi avv. Emilio, deputato al s
Parlamento . . . . . . . 1902 Mrtano, via V. Monti, 23
Canevali prot. cav. Fortunato . 1913 BrENo
Capasso prof. cav. uff. Gaetano,
preside del R. Liceo Manzoni. 1902 Miano, via: F/li Ruffini, r1
Caporali dott. Vincenzo. . . 1889 Varese per Vicciù.
Cappelli dott. Adriano, diréitore
del R. Archivio di Stato . . 1892 PARMA
Capretti cav. Flaviano . . . 1913 Brescia, via A, Tagliaferri
Carena Castiglioni conte Canili 1916 Mitano, via V. Monti, 37
Carnelli comm. Ambrogio . . . 1901 i » Cernaia, 5
Carones cav. Agostino . . . . 1909 i » Cappuccio, 7
Carotti dott. prof. cav. Giulio . 1883 ; » “Solferino, 22
Carozzi ing. Luigi. . . . 1902 A Bastioni Vittoria, 11
** Casati conte dott. Alessandro (cu:
cio benemerito) . . . . .° 1906 = via Soncino, 2
Casati Negroni contessa Luisa . 1913 ; » Soncino, 2
Casnati dott. Giovanni . . . I90I 5 » Princ. Amedeo, Ir
Castelbarco Albani conte Alberto 1906 s » Princ. Umberto, 6
Castelbarco Albaniconte Costanzo 1909 ù » A. Appiani, 7
Castelbarco Albani conte Giuseppe . . . . +. +. +. 1909 n » Princ. Amedeo, I
Castelbarco Albani principessa
Maria . . . . . + 1904 i » Princ. Umberto, 6
Castelli dott. Gui dine . . . 1916 ” » Meravigli, 12
Cavallari Cantalamessa prof.ssa
Giulia . . . . . . +. 1912 Torino, Villa della Regina
Cavallazzi arch. Antonio . +. +. Igii Mitano, via Bigl 18 A
Caversazzi dott. Ciro. . . . . 1906 BERGAMO
Cesa-Bianchi ing. arch. Paolo . 1879 Miano, via S. Eufemia, 19
Chiodi ing. Cesare. . . . . IQIO è » Pietro Vervi, 14
Cian dott. prot. cav. Viuorio . 1900 Torino, vfa Berchiet, 2
Cicogna conte Giampietro . . . 1874 Mitano, via Monforte, 23}
Cicogna conte Mario. . . . . 1902 ; » Monforte, 23
Cipolla conte comm. prof. Carlo. 1900 FIRENZE, via Lorenzo il Magnifico, è
Circolo Filologico Milanese . . 1904 Mtano, via Clerici, ro
Clerici ing. Carlo . . . . 1904 . » Broget, 10
. Cochin Enrico, ex deputato alla
Camera Francese . . . . . 1904 PARIGI, Qua: d'Orsay, 2}
Colombo prof. Alessandro. . . 1903 VIGEVANO
Colombo cav. uff. Guido, archivista di Stato . . . . 1886 Mitano, ia s. Maurilio, 20
Conti dott. comm. Egilio. senatore del Regno. . . . . . 1878 P » Monforte, 26
Conti ing. comm. Ettore . . 1903 5 » Aurelio Saffi, 25
ELENCO
Corbella can. cav. Pompeo "i
Cornaggia-Medici march. Carlo
Ottavio: sg. si dg 4
Corti march. Gaspare . . . .
Crespi comm. Cristoforo . . .
Crespi Mario. . . ...
Cusani-Confalonieri march. Li
D'Ancona prof. Paolo . . ;
Da Como avv. Ugo, deputato al
parlamento . Sa
Dal Verme conte Antonio .
Da Ponte nob. cav. Pietro .
Del Mayno Simonetta contessa
Carolina . . . E RI:
De Conturbia nob. Luigi Carlo .
Decio dott. Carlo . . . .
De Francisci nob. dott. P. E. è
De Herra nob. avv. Cesare . .
Della Croce nob. cav. avv. Ambrogio . . . . . ; .
Della Croce nob. Beno, Là
di Stato: sx e e asi e La
Dell'Acqua sac. Carlo . . . .
De Marchi dott. cav. Marco . .
Demetrio (di) Cadmo. . .
L'e Simoni ing. comm. Giovanni
L’onini prevosto Cesare. . .
Doniselli dott. Alfredo . .
Dozzio dott. Stefano . . . . .
Esergrini Gian Andrea. . . .
Facchi Gaetano. . . è
tacheris avv. comm. Ciovsnoi
senatore del Regno .
Feroreili dott. Nicola.
toulques Jocelyn Constance.
Fiorani dott. nob. Pier Luigi. .
Fogolari dott. Gino .
Foligno dott. prof. Cesare .
Fontana ing. cav. Vincenzo .
Fornasini cav. Gaetano . . .
Fossati prof. Felice . . . -
Foucault di Daugnon conte Frane
cesco. . . 5
Friedmann Coduri Dial Teisiù
Frisiani-Parisetti conte Gottardo
A'ch.
GO ogle
Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc.
DEI SOCI 325
1901 MiLano, via Lanzone, 28
1899 ; » Cappuccio, 2I
1909 x corso Venezia, 22
1888 3 via Borgonuvvo, IS
1904 s » Manzoni, 10
1908
19I5 n » AAX Settembre, 35
1912 BRESCIA
1916 Mitano, Zoro Bonaparte, 25
1874 BRESCIA.
1913 MiLano, via Crocefisso, 12
igio Como, via A. Volta, 5
1900 Mirano via Passarella, I0
1903 ; » S. Maria Valle, 7
1892 ” ” Gest, 7
1909 VIGEVANO
1908 MiLanNO, corso Buenos Ayres,I7
1914 x via Vigentina, 34
1903 i » Borgonuovo, 2}
1907 TRIESIE, via Rossini, 20
1888 Mirano, via Carducci, 32
igio Brignano D’Appa (Bergamo)
1895 Mitano, via Monte Napol., 22
1910 È » Biglh, 10
1912 Î » Bigli, 19
1901 si » Durini, 18
1908. ” » Bigli, 19
1912 A » Via Senato, 10
1906 Lonpra W, Pelham Crescent, 11
1909 MitLano, via Ztovello, I
1900 VENEZIA, AA. Gallerie
1900 OxrForp, Zay/orian Institution
1905 Torino, piazza Vitt. Em., 12
Igio BRESCIA via Frat. Lombardi, 4
1903 ViGEvANO
1879 CREMA, piasza Franc. Grassi
1906 Mitano, via Carlo Tenca, 1;
1916 È piazza s. Annbrogto, 2
I-IT. 21
326 ELENCO DFI SOCI
Frizzi dott. comm. Lazzaro, senatore del Regno. . . . . 1874 Mitano, via Monte di Pietà, 18
Frova dott. cav. Arturo . . . 1902 1 Piazsa Castello, 6
Fumi conte comm. Luigi, direttore del R. Archivio di Stato. 1908 i via Senato, 10
Gabba avv. comm. Bassano . . 1882 È n S. «Andrea, 2
Gafturi ing. cav. uff. Paolo . . 1900 BeRrgawvo, via s. Lazzaro, I
Gaggia mons. Giacinto, vescovo
di Brescia. . . . +... +. IgIio BRESscIA
Galeati prof. Giuseppe . . . +. 1914 CRkeEMosna, via S. Mattia, 4
Gallarati Giuseppe, archivista di
Stato. . . . . . + + 1886 MiLano, cia Monforte, 19
Gallarati Scotti dub lett Tommaso. . . - . +. + + 1904 A » «i Marzoni, 30
Gallavresi dott. fici cav. Giuseppe . . . .- +. +. 1900 i » Monte :Vapol., 28
Galli sac. prot. dal . . + «+ IQ0I ù u Manin, 23
Galli Emilio . . . . . +. 1913 i » Mascheroni, 5
Galli dott. sac. Giuseppe . . +. 1906 w Collegio s. Carlo, corso
| P. Magenta
Garovaglio Adele ved. Rognoni. 1908 È via Pantano, 1;
Gatti dott. comm. Francesco . . 1889 5 piazza P. Ferrari, 10
Ghisalberti cav. Annibale . . . 1900 ; via s. Maurilio, 19
Giachi arch. comm. Giovanni . 1879 D » S. Raffaele, j;
Giorgi di Vistarino conte Carlo. 1908 Rocca DE’ Giorgi (prov. di Vo
ghera), circond. di Pavia
Giovanelli comm. Enrico, Regio
Economo dei Benefici vacanti
in Lombardia . . . . 1902 Mirano, corso P. Vittoria, 49
Giulini conte comm. Alessandro 1893 ; v Magenta, 30
Giulini nob. Giuseppe . . . . 1913 P via s. P.vo all'’Orto, 15
Giussani ing. cav. uff. Antonio . 1907 Como, piasza Roma, 7
Glissenti avv. cav. Fabio, direttore dell’Archivio di Stato . 1908 BRESCIA
Gnecchi comm. Francesco. . . 1878 Mitavo, via Zilodrammmai., 10
Gramatica mons. dott. Luigi. . 1912 Re Bibl,ca Anbrosiana
Grassi avv. cav. Virgilio . . . 1902 Ù via Clerici, 7
* Greppi nob. Alessandro . . . 1873 n n S. Antonio, 12
Greppi nob. avv. comm. Emanuele, senatore del Regno. . . 1882 ; n S. «Antonio, 22
Greppi nob. Enrico. . . . + 1908
* Greppi conte comm. Ciisepso,
senatore del Regno . . . . 1873 5 n S. «infonio, 12
Greppi nob. Lorenzo. . . . . 1874 5 n S. Antonio, 12
Guarnerio prof. cav. Pier Enea. 1916 n Foro Bonafarte, }
Guerrini sac. dott. prof. Paolo . 1909 BRESCIA, Curia Vescovile
; » -Mfonferte, 26
| _
ELENCO
Guicciardi nob. cav. ing. Diego .
Hoepli comm. dott. Ulrico.
** Hortis Attilio . . .....
Isambert dott. Gastone . . . .
Jacini nob. dott. cav. Stefano. .
t Joel comm. Otto = Li
Johnson comm. Federico . .
Labadini comm. rag. Ausano.
‘* Labus avv. comm. Stefano .
Landriani Martini contessa Antonietta . . . ....
Lanzoni Giuseppe . .
Lattes dott. prof. ‘Alessandro:
** Lattes prof. comm, Elia (socio
benemerito) . . . . . .
Lepetit dott. Emilio .
Lechi conte dott. Teodoro
Litta- Modignani march. Gaetano
Lizier prof. Augusto, R. Ispettore
Locatelli mons. Carlo, proposto
di S. Stefano
Locatelli sac. prof. Giuseppe .
Lombardi mons. Emilio, preposto
mitrato di S. Agostino, canonico della Cattedrale
Loling ing. Emilio. x
Luzio cav. Alessandro, direttore
del R. Archivio di Stato .
Luzzatto avv. comm. Carlo Vittorio, R. Prefetto . ;
Magistretti mons. dott. Marco .
Magistretti prof. Piero .
Magnaguti conte Enrico.
Magni dott. cav. Antonio .
Majnoni d’Intignano march. arch.
Achille . ul ed
Majnoni d’Intignano nob. Gerolamo. . . .
Majocchi mons. prof. Rodolfo
Mambretti mons. Cesare
Mangiagalli prof. comm. Luigi,
senatore del Regno . . .
Mannati Vigoni nob. Teresa . .
Go ogle
DEI SOCI
1909
1900
1874
1904
1904
1908
1905
1909
1873
1916
1905
327
MiLano, via fonte \Vapol., 22
; » XX settembre, 2
TRIESTE, Biblioteca Comunale
Parigi, 169, boul. Haussinann
MtiLano, via Lauro, 3}
a » Borgonuovo, 11
; corso P. Nuova, I5
c via Bazzoni, 8
; n S. Andrea, S
Sovico-LamBro (Milano)
Maxnrova
Toro, via Vitt. Amedeo II, 16
Micano, via Prince. Unnberto, 28
È » Cernata, 2
Brescia, corso Vitt. Eman., 43
MiLano, via Pantano, 1
Torino, , S. Chiara, }1
Mirano, , Zaghetto, 17
BeRrgGAMO, Biblioteca Civica
CREMONA
Miano, corso Venezia, 62
MANTOVA
UDINE
Mirano, via Arcivescovado, 16
È corso Italia, 23
FAENZA
Miranò, via Aununciala, 19
; Palazzo Reale
PineRrOLO, Scuole di Cavalleria
Pavia, Collegio Borroi:co
Mirano, via S. Maria alla
Porta, 10
” n Fatebenefrat., 2E
328
Manziana cav. Carlo . . . . .
Manzoni dott. prof. Giovanni. .
Mapel:: conte Gerolamo . .
Maraini avv. comm. Clemente
Marazzi conte Fortunato, generale, deputato al Parlamento
Marictti dott. Antonio sd
Marietti dott. cav. uff. Giuseppe
Maroni avv, Rodolfo . . . . .
Martinengo Cesaresco contessa
Evelma. c u& a
Matto] Edoardo . . * da
Mazzi prof. cav. Angelo . . .
Medici di Marignano marchese
Gian Angelo. . .. . .
Meli Lupi di Soragna nob. Antornio: 4 £ e & Ve .
Melzi d’Eril nob. Benigno . .
Meraviglia-Mantegazza marchese
ing. Saule . . . . .
Mezzanotte ing. Paolo . . .
Mina ing. Enrico ;
Mira prof. Giovanni . . ..
Molteni sac. dott. Giuseppe .
Munneret de Villard arch. Ugo.
Monteverdì dott. Angelo
de Montholon-Fè d’Ostiani contessa Paolina . . . .
Monticelli Obizzi march, Luigi .
Moretti prot. arch. comm. Gaetano
Motta ing. Emilio . . . . ..
Muller Carlo... .....
Museo Storico-Artistico del VerDans. ss oi e de
Mylius cav. uff. Giorgio . . .
Nava ing. arch. comm. Cesare,
deputato al Parlamento .
Negri sac. Luigi, preposto.
Negri Vincenzo . . l
Nicotemi dott. Giorgio . :
Nizzoli dott. cav. Achille 1%
Nogara dott. comm. Bartolomeo.
Noseda cav. Aldo. 0.0.0.
-
1916
1910
1898
1907
1907
1895
1892
IQIO
1913
1901
1912
1909
1879
1902
IQII
1905
1900
1909
1908
1914
1913
1896
1900
ELENCO DEI SOCI
BRESCIA
MiLano, cia Pontida, 1
o » Borromei, 2
Roma, Villino Maraini, via
Nibby ( fuori P. Pia)
CAPERGNANICA (presso Crema)
Mirano, via Borgospesso, 21
; piazza s. Sepolcro, ;}
; via Clerici, 1
SALÒ
Mirano, corso P. Nuova, IS
Bergamo, Biblioirca Comunale
NAPOLI, Reggia di Capodimonie
Mirano, via A. Manzoni, 40
” ” Pantano, }
» » Borromet, I
Monza, via A. Manzoni, 16
MitLano, via Moscova, 16
Seregno, Scuola Tecnica Comunale |
MILANO, via Goito, 5
Cremona, via Orfanotrofio, 2
Brfscia corso C. Aiberto, s4
MiLano, , Venezia, 14
” Bastioni Monforte, 15
n via De Amicis, 53
INTRA
PALLANZA
Mirano, via Monfebe!lo, 32
A via s. Euferiia, 19
ROSATE
MitLano, via s. Antonio, 20
GALLARATE
Prcocnaca (Mantova)
Roma, via l'itt. Colonna, 40»
inferno, 12
Miano, corso P, omar, 6
ELENCO DEI SUCI 329
Oberziner prof. Giovanni . . . 1903 Mirano, via Marin, 3
Occa avv. Luigi. . . . 1907 ; n S. -Vicolao, 10
Odazio di Castel d’Isola Fusata
conte ing. Ernesto. . . . . 1896 " corso P. Vuova, 9
Odescalchi nob. sac. Luigi. . . 1909 ; via s. Maria Segreta, 3
Oldotredi Tadini conte Gerolamo 1906 ; Villa Reale
Orano prof. avv. Domenico . . igor Roma, piazza Pia, )0
Orombelli nob. Marco . . . . i1gio Mitano, via Monfort, 15
Ostinelli dott. Giuseppe. . . . 1903 ; » Brera, 19
Padulli nob. Giulio . . . . . 1906 Era, Villa Amalia
Padulli nobile ing. comm. Giu.
seppe. . . . . . .. +. 1916 Mirano, via S. Marta, 14
Paleari avv. Giovanni . . . 1903 ” » Boccaccio, 4
Paravicini conte cav. ing. buigi 1916 i » De Amicis, 47
Parrocchetti nob. Antonio . . . 1909 è Bastioni Monforte, 3
Pasinetti sac. Severo preposto . 1909 BERGAMO, via lignolo, 77
Pedrotti dott. Pietro. . . . . 1906 Rovereto (Trentino)
Pellegrini dott. sac. Carlo. . . 1898 Mirano, Can. di s. Calimero
Peregalli avv. Eugenio . . . . 1909 x via Leopardi, $
Pestalozza nob. dott. prof. Uberto . . . . «+. 1904 s piazza s. Sepolcro, I
Petraglione prot. Giusi . . 1905 Bari, via Argiro, 95
Piantanida avv. Alberto . . . 1906 Mitano, via Senato, 14
Pietrasanta prot. cav. Pagano . 1890 5 » Boccaccio, 25
Pio di Savoia principe Giovanni 1884 * » Borsonuovo, II
Pirelli comm. ing. G. B., senatore
del Regno . . ..... 1999, si Donte Seveso, 19
* Ponti march. comm. Ettore, senatore del Regno . . . . . 1873 ” n Digli, Il
Porro prof. avv. E. A. . . . . 1909 » Solferino, 22
Postingher cav. cap. Teodoro . 1906 Bar ERE1o (Trentino)
Premoli padre Orazio . . . . 1905 Roma, via Chiavari, 6
Prinetti conte Emanuele . . . 1906 Mitano, via Manzoni, 4}
Prior cav. D. H. . . . . . . 1906 VARESE, Villa Litta
* Pullé conte comm. Leopoldo, senatore del Regno. . . . . 1873 Mitavo, via Brera, 1)
Putelli prof. Raffaello . . . . 1913 VENEZIA, S. Cassiano, Id85d
Radice Fossati ing. Carlo . . . 1907 Mitano, via Cappuccio, 13
Ramazzini dott. Amilcare . . . 1879 Mopena, contrada Ganaceto, 4}
Rapazzini ing. Guido. . . . IgIo Mirano, via s. Andrea, 5
Ratti mons. dott. cav. Achille,
Prefetto della Vaticana . . 1895 Roma
Redaelli dott. Carlo . . . . . 1898 Mitano, via Cusani, IN
Regazzoni Giuseppe Max . . . 1907 9 » MVanzoni, 31
Ricci dott. comm. Corrado. . . 1902 Roma, piazza Venezia, 11
LO ogle
330 ELENCO DEI SOCI
Ricci prof. dott. Serafino . . . 1898 Miraxo, via Statuto, 25
Rigogliosi sac. Carlo, prevosto di
S. Lorenzo . . . +. + IQII a Can.ca di s. Lorenzo
Richard arch. Giulio FO - . . 1905 a corso Venezia, 52
de Ritter-ZAhony nob. Ivan . . 1908 w via Borgentovo, 4
Riva prof. dott. cav. Giuseppe . 1898 Monza, casa Cambiaghi
Rivetti sac. Luigi. . . . . . 1913 CHIARI, Biblioteca Morcelliana
Rocca prof. sac. Luigi . . . . 1900 Mitano, corso Magenta, 5
Rollone prof. Luigi . . . . . 1897 a viale dei Mille, I4
Romano dott. prof. Giacinto . . 1889 Pavia, A. Università
Roncalli sac. Angelo . . . . . 1909 BERGAMO, Épiscopio
Ronchetti rag. Agostino . . . 1893 Mitano, via £. De Amicis, 43
(presso il sig. Paolo Colombo)
Rossi sac, prof. Davide. . . . 1901 Gora Miwore, Coll. Rofondi
Rossi dott. prof. comm. Vittorio. 1894 Roma, via Mecenate, 19
Ruberti cav. Ugo . . . . . 1899 Quistetto (Mantova)
Rilbsam dott. cav. Cinsspre: . I9gI2 REGENSBURG
Rusconi sac. dott. Pietro . . . 1904 Mtuano, corso s. Celso, 27
Sala Trotti nob. Mina . . . . 1909 i via Bigli, 21
Salvioni prof. dott. Carlo . . . 1900 9 » Artosto, 4
Santamaria sac. Carlo . . . . 1916 r » S Siro, I
Sanvisenti dott. prof. Bernardo . 1900 ; corso Venezia, 62
Sassi de’ Lavizzari nob. dii FranCESCO O... . . + 1905 si via Monforie, 35
Scaravaglio NETTI . . + 1907 corso P. Roniana, 9
Segafredo prot. Giacomo . . . 1897 Lovi R. Liceo
Segre prof. Arturo . . . 1902 Torino, via V. Amedeo Il, 1}
von Seidlitz dr Waldemaro, cons.
intimo . . . . 1903 DRESDA, Cose/- Palais
Sepuleri prof. dii Alessandio . 1902 Mitano, via Borgonuocvo, 25
Seregni prof. cav. Giovanni . . 1897 A A n 9
Sertoli conte ing. Cesare . . . 1916 ; » S. Andrea. 12
Signori ing. comm. Ettore. . . 1901 CREMONA, Guido Grandi, !
Silvestri comm. Giovanni . . . 1901 ; n Venezia, 16
Silvestri Valentini Eva. . . . 1916 MitLano, corso Venezia, 10
Silvestri Volpi Bianca Maria. . 1904 . » Venezia, 10
Simeoni prof. Luigi . . . . . 1901 Mopena, A. Liceo Muratori
Sina sac. Alessandro. . . . . 1912 Costa Votpino (prov. di Bergamo)
Sioli Legnani Conti Gigina . . 1909 Mitano, via Vivaio, II
Sola conte Gian Lodovico. . . 1909 E corso Venezia, 22
Solmi prof. cav. Arrigo . . . 1914 Ù via Tasso, Is
Somaglia (della) conte Gian Giacomo . . 1907 n corso P. Romana, 13
Sommi Dicenatili nol dott Gioni
Francesco... ... 0.0. 190I ; ma Cerva, 42
Go ogle
ELENCO DEI SOCI
Soragra Melzi marchesa Luigia
(Biblioteca Melziana).
Sormari Andreani conte Pietro,
seratore del Regno . . . .
Squassi dott. Alberico .
Steffens dott. prof. Francesco
Stefini dott. Attilio
Stoppari sacerdote dott. Giovanri Maria ;
Stucchi-Prinetti ing. cai
Talamoni sac. dott. prof. Luigi .
Tallachini avv. Vittorio
Tanzi avv. cav. Mario . . . .
Tarsis conte Paolo
Tencajcli Oreste Ferdinando
Terruggia ing. comm. Amabile.
Terzi conte Giuliano . . .
** Thurn e Taxis (S. A. R. il Sri:
cipe di) (socio benemerito)
Toeplitz Lodovico. do cd
Tonni Bazza ing. Vincenzo . .
Treve=: Tedeschi Virginia. . .
Trivulzio principe Euigi Alberico
Ubertalli avv. Gian Paolo .
Uboldi Ferdinando . . . .
Venini Antonio... ... .
Verga dott. cav. uff. Ettore . .
Vergani dott. cav. Giovanni .
Vergine Giuseppe. . . . . +.
Vigoni nobile Giulio, senatore
dei Regno sE
** Villa Pernice donna Rachele .
Vimercati Sanseverino conte
Giddo» io
Visconti dott. prof. Alessandro .
Visconti march. Roberto . . .
Visconti di Modrone conte comm.
Giuseppe . . . . :
Visconti di Modrone nie comm.
Guido Carlo... ....
Visconti di Saliceto conte Alfonso
Vistalli sac. Francesco .
Vitali sac. comm. Luigi.
LO ogle
1896
1914
1915
1902
1912
1915
1908
1901
1906
1916
1906
1906
1900
1909
1914
1914
1913
1905
1900
333
MiLano, via Manzoni, 40
i corso P. Vittoria, 2
i via Silvio Pellico, 7
FrIBORGO (Svizzera), re Saint
Pierre, 20
CeLANA (Bergamo)
Pareggiato
Collegio
S. Pietro MARTIRE (Seveso)
Mirano, via Manzoni, 45
Monza, Seminario Arcivescuv.
MiLanO, piazza P. Ferrari, 10
ù S. Pietro all’Orto, 18
i via s. Paolo, I
Spontini, 4
A. Saffi, 17 ” ”
” ”
BRESCIA
REGENSBURG
MiLano, piazza Castello, 28
Roma, via Flavia, 6
Mirano, via Mario Pagano, 65
i piazzas.A ona 0,4
A via Torino, s1
i corso P. Romana, S2
i via s. Maurilio, 21
” corso Italia, 46
x piazza s. Ambrogio, 2
BRESCIA, via Trieste, 30
Milano, via Fatebenefrat., 2I
; n Cusani, I}
Vajano Cremasco (Provincia
di Cremona)
Micano, via del Crocefisso, 6
n » Borgonuovo, 5
” ” Cerva, 4S
om » Carducci, 3}
Cernusco suL NAvIGLIO
Chiupuno (Bergamo)
MicLaxo, ca Vivato, ni
332 ELENCO DEI SOCI
Vittani dott. prof. cav. Giovanni 1902 MiLano, ina Sestato, 10
Volpe. prof. dott. Gioachino . . 1906 i » E. Praga, 8
Volta nob. avv. cav. Zanino . . 1878 Pavia
Vonwiller cav. Alberto . . . . 1909 MitanO, via Beretta, 8
Weil comandante M. H. . . . 1905 PARIGI, rue Radelats, ;
Weill-Schott dott. Gustavo. . . 1908 MiLamo, via Monforie, 42
Zanelli dott. prof. cav. Agostino 1900 Roma, sia Cavour, 150
Zanoni dott. Luigi. . . . +. . 1909
im - =
OPERE
pervenute alla Biblioteca Sociale nel | semestre del 1916
Apami VittoRrIO, Una pagina di storia della brigata Savoia nel 1566.
Città di Castello, Unione Arti grafiche, 1914 (d. d. s. Motta).
ALoisio sac. ENRICO, La mia famiglia. Noterelle storico-genealogiche.
Brescia, tip. Figli di Maria Immacolata, 1916 (d. d. s. Guerrini).
Annuario. — v. Comune DI MiLano.
“* Archivio (L’) storico italiano ,, e l’opera cinquantenaria della R. Deputazione toscana di storia patria. Bologna, Zanichelli, 1916 (d. della
Regia Deputazione toscana di storia patria).
Atti della Società Elvetica delle scienze naturali riunita in Lugano nei
giorni 11-13 settembre 1860. Lugano, Veladini, 1861 (d. d. s. Salvioni).
Barni prof. Luici, Za chiesa di S. Pietro Martire attraverso i secoli.
Vigevano, Unione tip. Vigevanese, 1916 (d. d. A.).
BeLTRAMI Luca, Leonardo da Vinci e Cesare Borgia (MD Il). Milano,
U. Allegretti, 1916 (d. d. A.).
BERTARELLI dott. ACHILLE, Inventario della Raccolta formata da Achille
Bertarelli. Vol. III: L'Italia nella vita civile e politica. Bergamo,
Istituto Italiano d’arti grafiche, 1916 (d. d. s. A.).
BrapeGo GiusEPPE, La fiorentina famiglia Ervari trapiantata a Verona,
il poeta Donato e il poeta Ranuccio. Verona, coop. tipografica, 1915
(d. d. A.)
Borra Carto, Istoria d’ Italia dal 1789 al 1814. Tomi 13. Italia, 1831
(d. d. s. Motta).
Bustico Guino, Z/ privilegio del sale nell’Ossola. Domodossola, tip. Porta,
1916.
— La Valle Antrona nell'opera “ Piedmont ,, di Estella Canziani. Domodossola, tip. Ossolana, 1916.
— Banditi dell’Ossola durante e dopo il periodo spagniuolo. Domodossola,
tip. Porta, 1916.
— La fortuna ai Vittorio Alfieri. Genova, tip. Carlini (d. d. A.)
Capasso Gaetano, Emilio Dandolo e la guerra di Crimea. Roma, tip.
Unione Editrice, 1916 (d. d. s. A.).
Go ogle
334 OPERE PERVENUTE ALLA BIBLIOTECA SOCIALE
CARACCIOLO AMBROGIO, Î/ Conte Francesco Caracciolo di Torchiarolo.
Napoli, tip. Sangiovanni, 1916 (d. d. A.).
Carotti Giulio, Emilio Visconti Venosta. Roma, tip. Editrice Romana,
(d. d, s. A.).
Catalogo della Collezione di medaglie e monete dell’ Impero Romano
d'Occidente del rag. Peroni Filippo di Codogno. Sodagno tip. Cairo,
1894 (d. d. s. Motta).
Catalogo della Biblioteca conte Vimercati-Sozzi di Bergamo. (Vendite
Genolini). Milano, Pirola, 1894 (d. d. s. Motta).
CERRATI ALFONSO, accolta a’ iscrisioni milanesi e di alcune allre di epoche fosteriori. Avellino, tip. Pergola, 1916 (d. d. A.)
Cisorio Luici, Elio Giulio Crotti Gregorio Oldoini di Cremona: Girolamo
Claravaceo di Pizzighettone, poeti-umanisti del cinquecento. Cremona,
tip. della “ Provincia ,, 1916 (d. d. A.)
Copazzi A., Carte topografiche di alcune pievi di Lombardia (1608-1611).
Firenze, tip. Ricci, 1915 (d. d. A.).
Collezione napoleonica e milanese del dott. Luigi Ratti. Catalogo. Milano,
Bertieri e Vanzetti, 1916 (dono della Casa di vendite Lino Pesaro).
Comitato Centrale di Assistenza per la guerra. Comune di Milano. Relazione al 31 gennaio 1916. Milano, Stucchi e Ceretti (d. d. Comune
di Milano).
Comune DI Mirano, Annuario storico-statistico per il 1914. Milano, Stucchi e Ceretti, 1916 (d. d. Comune di Milano).
Cortese Nino, Don Alfonso a’ Aragona ed sl conflitto fra Nafoli e Venezia per la conquisia di Cipro. Teramo, tip. De Carolis, 1916 (d. d. A.).
DestRÉE ]JuLES, La suprema resistenza della nastonalità belga. Roma, tip.
Failli, 1916.
— I socialisti e la guerra. Milano, Soc. Editr. Italiana, 1916 (d. d. A.).
FraNcHI AusonIo, Saggi di critica e polemica. 3 voll. Milano, Salvi, 1871
(d. d. s. Motta).
GaRRETTO Viro, Storia degli Stati Uniti dell'America del Nord (1492-1914).
Milano, U. Hoepli, 1916 (d. d. s. Editore).
Giora MELCHIORRE, // Censore. Giornale filosofico critico, (1798). Lugano,
Ruggia, 1833 (d. d. s. Motta).
Giussani ACHILLE, L'Archivio del Magistrato alla Sanità in Milano. Milano, 1915 (d. d. A.).
Grazioli p. LeonIpa S. |J., De/ padre Lorenzo Maggio. Brescia, 1916 (d.
(d. s. Guerrini).
GuicciarpINI Francesco, /sforia d’Italia. Milano, Sonzogno, 1875, 4 voll.
(d. d. s. Motta).
Levi Ezio, Francesco Novati. Roma, tip. dell’Unione Editr., 1916 (d. d, A. .
OPERE PERVENUTE ALLA BIBLIOTECA SOCIALE 335
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Re in Torino. Torino, tip. Artigianelli, 1913 (d. d. A...
Upuszcoli e stampati diversi riguardanti la guerra europea 1914-1916
id. d. s. Monneret de Villard),
| ROMANENGHI AxceLo F RANCESCO, gerente-responsabile.
Milano - Cita Ecitrice L F. Cogliati - Corso F, Romana, 7.
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ARCHIVIO STORICO LOMBARDO
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ARCHIVIO STORICO
LOMBARDO
GIORNALE
DELLA
SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
SERIE QUINTA
ANNO XLIII — PARTE SECONDA
MILANO
SEDE LIBRERIA
DELLA SOCIETÀ FRATELLI BOCCA
Castello Sforzesco Corso Vitt. Em., 21
1916,
La proprietà letteraria è riservata agli autori dei singoli sci
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I DATI STORICI RELATIVI
AI MUSAICI PAVIMENTALI CRISTIANI
DI LOMBARDIA
incHE ad un osservatore superficiale dei musaici pavi-»
i mentali cristiani anteriori alla metà del VI secolo in
i Occidente, l’epoca barbarica propriamente detta, ed
+ alla caduta del dominio bizantino in Africa, in Siria e
nella Palestina, appare evidente una grande divisione in tre gruppi
artistici differenziati da un diverso e quasi opposto ideale artistico.
Il gruppo africano dapprima, il più ricco come numero di monumenti conservati non solo ma anche il più importante per il contenuto iconografico, che si stende dalla Cirenaica alla Mauritania
Tingitana : esso continua artisticamente la grande produzione pagana e, pur cambiandone il contenuto simbolico o rappresentativo,
sì può dir non ne varii i metodi di rappresentazione, sì che niuna
interruzione artistica corrisponde al radicale modificarsi dei concetti religiosi e morali, e le forme espressive continuano la loro
vita in una naturale evoluzione verso la decadenza e la morte che
quasi naturalmente avviene al sopraggiungere dell’invasione islamica.
Il gruppo orientale, che ha il suo maggior centro produttivo
intorno ai santuari dei Luoghi Santi e radi esempi sparsi nella
Siria e nell’ Asia Minore, meno si riattacca ad una tradizione antica e più mostra i caratteri di una produzione nuova, sorta dal
(O ogle
342 UGO MONNERET DE VILLARD
naturale svolgimento d’alcuni principî artistici caratteristi
asiatici.
I musaici pavimentali d'Occidente meno facilmente sì
caratterizzare: troppi e diversi elementi entrano nel proce
borativo delle loro forme, elementi distribuiti in diverse
zioni da luogo a luogo, perchè si possano considerare co
manti un nucleo unico con un’unica storia. Alcune grandi «
si impongono necessariamente: così il piccolo gruppo di
cristiani della Spagna viene a riattaccarsi al gruppo africano
musaici tombali di Denia e di Manacor nell’isola di Maiorc
più innanzi terrò parola, mentre gli altri rari esempi spagi
sono sufficientemente importanti per formare una scuola s
mostrando essi sia un contenuto iconografico quanto fori
stiche comuni a tutto il bacino mediterraneo (1)..
I rari pavimenti cristiani di Roma (2), quelli dell’ Ital:
dionale e della Sicilia, o non escono dalla tradizione classì
quelli di Roma od appartengono, come gli altri, all’epoc:
tina (3).
Dove invece si è formata una vera scuola di musaici p.
tali e numerosi e caratteristici se ne presentano gli esempi
l’Italia settentrionale, nella Lombardia e nella Venezia, chè 1
regione artistica formavano nei primi secoli medioevali. (
è osservato e come sempre si deve osservare per ogni ma
(1) Tale il pavimento con la figura d'Orfeo ad Arnal. Cfr. M. D
in Seminario pintoresco esp., 1857; quelli di Burguillos, HùBNER, /ms. <
suppl. 360; M. R. MArTINEz, in Bol. de la R. Acad. de la Hist., XX]
quello di Merida con iscrizioni in HùBNER, Op. cit., n. 39 e l’altro ric
Prudenzio.
(2) I più importanti sono quelli del mausoleo di Costanza riprod.
BARU, in L'Arte, 1904, fig. a p. 460; del cubicolo cimiteriale dei SS. N
e Pietro, riprod. in Emporium, 1906, fig. 30 a p. 430; del cimitero di
ad duos lauros in MarcHI, Monumenti, tav. VI-VIII, e quello di Via V
tembre, GaTTI, in Boll Comm. Comun., XXIX, 1901, pp. 86-39.
(3) Il siciliano di Salemi, SALINAS, in Mot. degli scavi, 1393, pp.
391, 428; quello di Teano, SpinazzoLa, idem, 1907, pp. 697-703; €
Taranto, VioLa, idem, 1894, pp. 321-325; quello di Reggio Calabria, Qt
idem, 1905, pp. 281-288. Il noto musaico anconitano appartiene all’am
l'arte cristiana primitiva: vedine la bibliogr. in CABROL, Diction. d’arc
et de liturgie, Art. Ancòne, coll. 1994-1999.
Go gle
I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 343
zione artistica di questi luoghi e di questi tempi, le stesse forme
d’arte che troviamo nell’Istria e nella Regio X e XI, sono anche
quelle di opere analoghe del Norico, della Dalmazia e di quella
parte della regione balcanica che ne forma l’ « hinterland ». D'altra
parte, come sempre avvenne nell’epoca pre-romanica, la Gallia Cisalpina è stato il centro di convergenza di svariati influssi orientali, giunti parte per la via terrestre balcanica, parte per il mare
all’Esarcato. Nella valle del Po influssi barbarici ed orientali si
sono fusi nel fondo di tradizione romana, e ne è sorta una nuova
arte, che poi dal grande centro di Milano si è diffusa pei valichi
alpini nei paesi d’oltre alpe.
Questo fenomeno che si osserva costantemente fra il IV ed il
IX secolo vogliamo ora studiare nel caso particolare dei musaici
pavimentali. E dapprima prenderemo in esame i caratteri esterni,
epigrafi, iconografia, tecnica, poi più propriamente le forme artistiche.
Il.
Un elemento importante dello studio dei musaici pavimentali
dell’epoca cristiana, elemento fino ad ora da nessuno studiato, è
quello che si riferisce ai donatori del monumento ed alle iscrizioni che tale fatto ricordano. L'analisi di queste epigrafi, unita
all'analisi stilistica dei monumenti, ci permetterà di caratterizzare
un gruppo di musaici, centro artistico della cui produzione è la
valle del Po, ma di cui le propaggini si estendono in tutte quelle
regioni che dominò la civiltà.gota; da qui la doppia qualifica con
cui provvisoriamente li determino : lombardo-goti.
E noto che già in epoca romana i donatori dei musaici pavimentali erano ricordati con iscrizioni tracciate in questi, generalmente con tasselli. Il più antico esempio è certo quello del pavimento ritrovato in Roma sotto la chiesa di S. Giovanni Calibita
sull'Isola Tiberina, in opera signina, facente parte del tempio di
Giove Jurario, elevato verso il 150 a. C. da L. Furius Porpureo (1).
Della fine della Repubblica è quello di una sala dell’edificio ter-
(1) C. I. L., VI, 3879; BESNIER, L’ile Tiberine dans Pantiquite, p. 255, Sg&-
Go ogle
344 UGO MONNERET DE VILLARD
male di Crotone (1); mentre sono generalmente dell’Im
altri ritrovati per tutte le provincie e le regioni (2).
Alcune iscrizioni ricordano, come. caso particolare, cl
vimento è stato eseguito a compimento di un voto (3); cc
quello di Thruxton (4) e certamente quello del santuario
turnus Sobariensis a Khanguet-el-Hadja) (5): PEtRONIV!
CVLINVS QVI VOTo VESTIGIVM FECIT, accompagn
l’immagine dell’impronta di due piedi, forma di ex-voto abi
comune (6), che ritorna anche al musaico della soglia della
Hilariana a Roma, e, cosa più interessante, richiama l’is
della chiesa di S. Pietro ad Gallicantus in Gerusalemme (|
ETTYXICTE®ANE
sotto la quale sono rappresentati due sandali rossi.
Salvo in questi casi specialissimi, in tutti gli altri l’ iscri:
ci fa sapere o che il pavimento è stato eseguito da un pri
(1) Orsi, in Not. degli scavi, 1917, supplemento, p. go e tav. V
(2) Ne ricordo alcuni: Roma, Castro Pretorio, curiosa per la s
C. 1. L., VI, 29822; Bull. Comunale, 1872, tav. I, n. 2; Civita Cast
tevole per l’epigrafia retrogradata, C. I. L., XI, 3156,a2; NEMI, Not. sc
pp. 317-319; Nepi, C.I.L., XI, 3222; Acqui, /Vot. scavi, 1899, p. 423
bicana, Not. scavi, 1914, p. 395. Fuori di Italia ricordo quelli di Avrar
qeiger f. Schweizer. Altertbumsk., VIII, 1906, pp. 156 e 277; Cabeza«
Revue des études anciennes, 1902, p. 247; Lydney, interessante dal pun
religioso, C. I. L., VII, 137.
(3) Nei pavimenti lombardi cristiani ricorre la formola DE DONI
Aquileia, C. I. L., V, 1619; Dos Trento, Arch. Trentino, XV, 1900
270 e XX, 1905, p. 129-183; Grado, C. I. L., V, 1592; la formola E:
a Vicenza, Arte e Storia, 1895, pp. 192-196; a Grado, C. I. L., V,
formola VOTVM SOLVIT ed analoghe a Grado, C. I. L., V,1583 1
1591, 1594-1598, 1601-1611, 1613, 1614; la formola PRO VOTO
analoghe a Parenzo, Trieste, C. I. L., V, 695, Teurmia, Jahresh. -d.
Inst., XIII, 1910, Beibl., coll. 167-170 ; Ila formola PRO COMMEMOF
a Pola, C. I. L., Pars, Suppl. ital., 1104.
(4) C. T. L., VII, 3.
(5) Gavexcis, Invent. des mosaiques, n. 465.
(6) Cfr. il musaico di Bir-Chana, GAUCKLER, op. cit., n. 452, e
lapidee in Lupi, Epit. Sever., pag. 63; GraEviO, Thes., t. XII, c. VII, {
(7) GERMER-DURAND, in Echos d’Orient, 1908, pp. 76-30; VINCENT
Biblique, 1908, pp. 406-409; GERMER-DURAND, in Revue Biblique, 1914. }
(8) Si vedano alcune iscrizioni lapidarie che ricordano delle «
musive, in FURIETTI, De musivis, Roma, 1752, pp. 1-3.
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1 DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 345
il suo edificio privato, o se questo si trova in un edificio publico
risulta che. fu fatto per opera di un magistrato come atto stesso
della sua carica. Non mi consta che si sia verificato il easo di un
musaico di santuario eseguito come opera devota da un fedele o
da un gruppo di fedeli, quale contributo alle spese del culto -ed
all’erezione del tempio. | i
Ciò invece si verifica negli edifici delle nuove religioni che
andavano conquistando l’Impero negli ultimi secoli della sua vita.
Nel mitreo ostiense presso le terme di Antonino Pio, il pavimento
è stato donato da un fedele che ben due volte con due iscrizioni (1)
identiche vi ricorda il suo nome:
SOLIGSINVICTISMIT D(D($L($AGRIVS($CALENDIO(S
E nel Sabazeum pure ad Ostia è forse uno schiavo che lo
dona e vi fa tracciare l’epigrafe (2):
FRVCTVS
SVIS « IN
PENDIS
CONSVM
MAVIT
Lo stesso fenomeno si rivela nelle sinagoghe elevate prima
della pace della Chiesa: così ad Egina il pavimento è donato dall’archisinagogo Teodoro (3), ad Hamman-Lif due iscrizioni, una nella
grande sala ed una sulla soglia del vestibolo, ci danno i nomi dei
vari fedeli (4) che hanno contribuito all'esecuzione, e pure i nomi
dei fedeli donatori, Giuseppe ed i suoi figli, figurano nell’iscrizione
musiva del pavimento di Kefr-Kenna (5). Gli stessi santuari isiaci
(1) CumonT, Textes et monuments, pp. 241-252, iscr. n, 131.
(2) VaGLiERI, in C. R. Acad. Inscr., 1909. pp. 187-188.
(3) FRAENKEL, /nsc. Gr. A6g...., n. 190 e add. p. 379.
(4) C. I. L,, VIII, 12457.
(5) CLERMONT-GANNEAU, in C. R. Acad. Insc., 1900, p. 555; 1901, p. 852;
Rec. d’arch. orient., IV. pp. 345 e 372. Forse nel medesimo senso va interpretata l'iscrizione di Seforis; cfr. CLERMONT-GANNEAU, in Viaup, Nazareth, Parigi, 1910, pp. 184-191. ì
Go ogle
346 UGO MONNERET DE VILLARD
offrono esempio dello stesso uso: in quello pompeiano sono probabilmente di donatori i nomi recati dall’iscrizione (1):
N POPIDI * AMPLIATI
N © POPIDI * CELSINI
CORELIA * CELSA
Gli stessi fatti verificheremo nei musaici cristiani: anche qui
figureranno come donatori un sacerdote, un fedele od un gruppo
di fedeli. I santuari dei misteri, le sinagoghe e le chiese cristiane
formano un gruppo ove si rivelano fenomeni analoghi, diversi,
anzi opposti a quelli che appaiono nei templi pagani. E ben si
comprende: il culto antico era ufficiale, statale: agli edifizi lo Stato
provvedeva per mezzo de’ suoi funzionari. Ma per i culti orientali,
per il giudaico e per il cristiano, la faccenda era diversa: essi
erano i culti di una comunità, di un gruppo di fedeli; ed era naturale che questi contribuissero coi loro mezzi alla decorazione ed
alla conservazione del santuario. Da tale diversa costituzione intima delle religioni dipende anche la loro diversità in rapporto
alle opere decorative dei santuari ed ai loro donatori; opposizione
fra il culto pagano ed il cristiano, parallelismo fra il cristiano ed
il culto ebraico e quello dei misteri.
Le iscrizioni di donatori sono frequenti nei musaici cristiani.
Il primo gruppo in cui possiamo suddividerle è quello dei musaici
donati da una sola persona, vescovo, sacerdote, ricco fedele tutto
al più accompagnato dai membri della sua famiglia. Esempi di
questo caso si trovano distribuiti per tutto l’orbe cristiano, dalla
Palestina all'Africa, e naturalmente presentano una certa monotonia.
Così a Seriana, l'antica Lamiggiga, l’abside di una piccola
chiesa reca l’iscrizione di dedica del musaico (2) in cui risulta che
l’opera fu fatta eseguire dal vescovo Argentius, che viveva ai tempi
del grande Gregorio, donatista secondo il Monceaux (3): DIGNIS
DIGNA *‘ PATRI ARGENTIO CORONAM BENENATVS TASSELLAVIT. A Sétif sta invece l’iscrizione FLavius INNOCENTIVS
(1) C. I. L., X, 843.
» (2) DE PACHTERE, /nvent. des mosaiques, n. 206.
(3) Io C. A. Acad. Inscr., 1908, pp. 308-310. Cfr. il formulario dell’ iscrizione del mitreo ostiense.
—
I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 347
NVMerarius PRO SALVTE SVA SVORVMQOVE OMNIVM TESSELLAVIT, e in un altro frammento: FELIX(?)....ILIE FELIX.
CVM OMNibus (1). Nel mausoleo di Bordj-el-Joudi in Tunisia (2),
sotto un quadro raffigurante Daniele fra i leoni, è scritto: MEMORIA BLOSSI HONORATI INGENVVS ACTOR PERFECIT.
A Cartagine, in una memoria presso la basilica di Damus-el-Karita,
sta l'iscrizione FLAVIVS VALENS SENIOR SODALICi MEMORIAm HAnC FECIT - SIC SEMPER (3). Nella basilica di S. Reparato ad Orléansville un’ iscrizione commemora la costruzione della
chiesa stessa (4).
Se lasciamo il grande gruppo dei musaici africani e prendiamo
quello palestinense, rileveremo lo stesso fenomeno, espresso però
con formole ampollose e magniloquenti che contrastano con la
semplicità cristiana delle prime. Ricordo l’iscrizione di Bettir (5)
che dà in breve. tutta la storia e le ragioni dell'esecuzione dell'opera; quella gerosolimitana armena che indica quale donatore
Giacomo « capo dei primi eletti », probabilmente il vescovo armeno di Gerusalemme che viveva nell’ anno 614 (6); quella di
Yadoudeh (7) che ricorda quale donatore il vescovo Teodosio
(653?); parecchie di Madaba datate del 579 (8), 595 (9) e 608 (10).
Sono certamente delle donatrici quella Teodora e quella Georgia
i cui nomi figurano nel musaico gerosolimitano con la rappresen-
(1) De PacutéRE, Invent., cit., n. 313 e 314. Probabilmente era di un solo
donatore il musaico di Tigzirt, cfr. C. I. L., VIII, 20727 e De PACHTRRE, op.
cit, n. 339-340.
(2) GauckLER, Invent., n. 514. Riprodotto in Bull. Antig. de France, 1898,
tav. XIII ; l'esatta lettura dell’epigrafe in MERLIN, /nvent., suppl. n. 514.
(3) GauckLER, Invent., n. 874. Si veda anche n. 756 frammentaria.
(4) C. I. L., VIII, 9708-9711; DE PACHTÈRE, Imvent., n. 451.
(5) VincENT, in Revue Biblique, 1910, pp. 254-261.
(6) Più volte edita, cfr. HornING, in Zeitsch. f. D. Pal. Ver., XXXII, 1909,
p. 125.
(7) Cfr. Savignac, in /evue Biblique, 1903, pp. 434-436.
(3) ManFREDI, in Revue Biblique, 1902, pp. 426-428 e 599.
(9) Più volte edita, cfr. Brinnow und Domaszewski, Die Provincia Arabia,
III, 1909, pp. 357-358.
(10) SAVIGNAC, in Revue Biblique, I9IT, pp. 437-440.
3480 UGO MONNERET DE VILLARD
tazione d’Orfeo (1), e la Susanna di un musaico al Monte
Ulivi (2).
Ne fra i musaici occidentali mancano gli esempi di iscr
dei donatori. Gli esempi anteriori all'epoca barbarica sono
simi nell’Italia centrale e meridionale, e veramente non sapri
tare se non il caso di uno dei due musaici siciliani di Salemi
un'iscrizione, disgraziatamente molto guasta, può forse esse:
terpretata come il ricordo di una donazione vescovile (3).
Nei musaici dell’Italia settentrionale, quelli che ho chi:
del gruppo lombardo-goto, tali iscrizioni sono frequenti. In
mazia abbiamo quella importantissima inserita nell’ambulac
torno al coro della basilica episcopale salonitana, datata de
dal nome dei vescovi che hanno fatto eseguire il musaico (4
Norico, a Sant Peter im Holz, l’antica Teurmia, un bel m
‘appare col nome del donatore in uno con la moglie: l’iscrizior
piuttosto scorretta, dice infatti:
VRSSVS CVM CON IG()ARSINA PROTOTO SVS FECERNT HEC
Il musaico della chiesa dei SS. Cosma e Damiano a Dos T
sul colle di Verruca, appare eseguito, non si vede bene se tu
in parte data la presenza di frammenti d’altra iscrizione illegg
da un Lorenzo cantore della chiesa (6).
(1) Più volte edito, cfr. la prima notizia di VINCENT, in Revue B:
1901, pp. 436-444 } 1902,- pp. 100-103.
(2) GERMER-DURAND, in Revue Biblique, I, 1892, pp. 573-574; II,
p. 213, n. 20. Può però anche essere iscrizione sepolcrale. Si veda anche
scussa iscrizione lapidea di FI. Evelpidius a Cesarea, GERMER-DURAND, in
Biblique, IV, 1895, pp. 75-76 e 240-241; Le BLANT, in C. R. Acad.
4 gennaio 1895.
(3) Salinas, in Not, degli scavi, 1893, pp. 339-342, 39I € 428.
(4) La bibliografia è ricchissima; vedine la più recente edizione in E
BervaLDI, Kronotaksa solinskih Biskupa, Zagabria, 1912-1913, pp. 26-27.
(5) EGGER, in fabresheft. des osterr. arch. Inst., XIII, 1910, Beiblat
167-170, figg. 80-86. Credo che la lettura IS data nella terza linea da
studioso sia erronea.
(6) OBERZINER, in Archivio Trentino, XV, 1900, pp. 248-270; Ciro:
Archivio Trentino, XX, 1905, pp. 129-133.
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I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 349
Così nella Venezia il pavimento della primitiva cattedrale
d'’Aquileia appare dall’ iscrizione eseguito intorno al 314 dal vescovo Teodoro (1); a Milano è Serena, la moglie di Stilicone, che
fa pavimentare di preziosi marmi libici la chiesa degli Apostoli (2);
a Ravenna, secondo un testo d’Agnello, è Galla Placidia che fa
pavimentare S. Croce (3), Neone fa il pavimento del suo triclinio (4)
ed il vescovo Agnello quello della chiesa di S. Martino, poi S. Apollinare nuovo (5).
Come si vede codesta forma di munificenza è diffusa indifferentemente per tutto il mondo cristiano: ma lo è pure una seconda,
quando cioè parecchi donatori, parecchi fedeli, si associano per
sopportare le spese dell’opera, e quindi vari nomi appaiono nelle
iscrizioni. Ciò si verifica in Algeria nei musaici di Guelma, di HenscirGuesseria, di Djemila (6), di Beni Rached (7); in Tunisia in quelli
di Medinet-el-Kedmia, di Feriana, di Thala, dell’ Uadi-Ramel (8), di
Souk-el-Abiod e di Sbeitla (9).
Così in Palestina l’iscrizione del musaico di El-Mehaiet ricorda
parecchi donateri e donatrici (10); il pavimento del santuario dedicato alla Vergine in Madaba fu eseguito a cura della città nell’anno 663(11); ed in Madaba ancora il pavimento dell’Elianco fu
eseguito per opera di parecchi donatori le cui offerte furono raccolte dal vescovo Sergio (12).
In generale qualunque sia il numero dei nomi dei donatori
l'iscrizione è unica; non però così nel caso di Djemila che ho ci-
(1) Cfr. principalmente SwoBoDba H., Neue Funde aus dem altchristl. Oesterr.
Rektoratsrede, Vienna, 19c9. Vedasi anche l’iscr. del vescovo Elia a Grado.
(2) De Rossi, Inscr. christ., 1I, parte I, p. 181, n. 14.
(3) Liber pontificalis, ed. Holder-Hegger, M. G. H., p. 306.
(4) AGNELLO, Op. cit., p. 292.
(5) AGNELLO, Op. cit., pp. 334-335. Cfr. Anche i pavimenti donati da un
custode a Trieste e da un diacono a Brescia, C. I. L., V, 695 e 4842.
(6) De PACHTÈRE, Invent., cit., n. 63, 180 (C. I. L., VIII, 2335 € P. 951),
298 (C. I. L, VIII, 8344-8348) e De Rossi, in Bullett., 1878, p. 31.
(7) C. R. Acad. Inscr., 1913, pp. 663-666.
(8) GaUCKLER, Invent., n. 332 (C. I. L., VIII, 11270), 334, 341, 463.
(9) MERLIN, in Bull. Arch. du Comité, 1912, p. 515 e Invent., n. 337 b.
(10) ABEL, in Revue Biblique, 1914, pp. 112-115.
(11) L'iscrizione fu più volte edita, cfr. Brinnow und DOMASzEWSKI, Op.
cit, II, 1909, p. 360. |
t12) Vedi le fonti innanzi citate.
350 UGO MONNERET DE VILLARD
tato, ove per cinque donatori vi sono cinque iscrizioni diverse (1).
È la stessa cosa che si osserva in un musaico d’Occidente donato da parecchi fedeli, quello della chiesa dei SS. Felice e For.
tunato a Vicenza (2). Ivi per sette donatori abbiamo sette iscrizioni diverse.
Ciò non vuol dire che i pavimenti che ebbero parecchi donatori siano rari nella regione lombardo-gota ; tutt’ altro; essi, come
vedremo, sono invece frequentissimi e si può dire anzi che siano
il caso normale. Ma tutte le iscrizioni che li ornano hanno una
caratteristica che è esclusiva a questo gruppo, che non si rivela
cioè al di fuori di esso. Ogni iscrizione cioè non ricorda solo il
nome dei donatori, la sua carica, accompagnata dalle comuni formule VOTVM SOLVIT, PRO VOTO, ecc., come si vede a Djemila
o Vicenza, ma per di più indica quanti piedi quadrati di pavimento
ha fatto eseguire ogni donatore.
I casi finora noti non si sono incontrati se non nel Norico, in
Istria, nella Venezia e nella Gallia cisalpina: ma i musaici che recano iscrizioni di questo tipo sono stilisticamente identici a quelli
della penisola Balcanica, ad esempio quelli del IV secolo della
basilica di S. Sofia a Sofia (3). Assai probabilmente una più profonda esplorazione archeologica di queste regioni permetterà di
conoscervi iscrizioni identiche a quelle già note.
Ad ogni modo il gruppo d’opere musivo viene a delinearsi
non solo per criteri artistici, ma anche epigrafici.
Vediamo in dettaglio la geografia di codeste iscrizioni: le più
occidentali sono quelle della regione bresciana, nel pavimento del
vecchio Duomo di Brescia (4) e di S. Pietro de Dom (5), nonchè
quello nella chiesa di Inzino (6); segue poi geograficamente il mu-
(1) Il musaico fu riprodotto da Ravoisté, I, tav. LII, LIII.
(2) Cfr. BorTOLAN, Pavimento in musaico nella chiesa di S. Felice e Fortunato in Vicenza, in Arte e storia, 1895, pp. 192-196. Altre iscrizioni di questo
tipo si hanno a Parenzo, a Grado.
(3) Jahrbuch d. K. D. Arch. Inst., 1911, Arch. Anzeiger, coll. 358-362,
fig. 4; id. 1912, coll. 558-563; Rom. Quartalsch., 1911, p. 175; FiLow BonGan,
Sainte-Sophie de Sofia, Matériaux pour l'hist. de la Ville de Sofia, 1. IV, Sofia, 1913.
(4) L. BeLtRAMI, Terza relazione delPUfficio regionale per la conservazione
dei monumenti in Lombardia, Milano, 1895, p. 69, fig.
(5) C. I. L., V, 4841.
(6) La bibliografia in C. I. L., V, 4917. I musaici sono scomparsi.
I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 35I
saico di Verona scoperto a più riprese (1), parte noto già sin dal
secolo XVIII, parte rinvenuto alla fine del secolo XIX.
Ben più notevoli sono i pavimenti di Grado; nel 1906 sì scopersero in Piazza della Corte gli avanzi di due basiliche sovrapposte, e la più antica conservava parte del pavimento a musaico con
quattro iscrizioni recanti col nome del donatore la superfice dell’opera tassellata da lui fatta eseguire (2). Mentre nella chiesa di
S. Maria delle Grazie le iscrizioni menzionano, nel pavimento delle
due sagrestie, solo i nomi dei donatori, nel Duomo, dedicato a
S. Eufemia, ne troviamo sia dell’un tipo quanto dell’altro (3), miste
sì da non potersi far un concetto della ragione che ha presieduto
alla scelta di uno o dell’altro tipo. Con tutte queste si trova anche
l'iscrizione del restauro dovuto al vescovo Elia (571-586) (4). Non
so davvero se la diversità del formulario epigrafico sia dovuta
semplicemente ad una ragione cronologica, o se invece vi intervengano altri fattori, certo morali, che non è facile precisare.
Nell’ Istria, a Parenzo, due edifizi ci hanno dato avanzi di simili pavimenti; il primo è la chiesa oggi scomparsa di S. lomaso,
di cui il musaico fu scoperto nel 1886 scavandosi le fondazioni
nel palazzo arcivescovile (5). Un primo pavimento, a mt. 0.74 sotto
il piano attuale, ha un’iscrizione tripla, cioè indicante tre gruppi
di donatori e la superficie di musaico fatta a spese di ognuno di
questi gruppi. Un pavimento superiore, cioè a mt. 0.42, reca tre
iscrizioni separate.
Un’ analoga stratificazione musiva possiamo esaminare nel
gruppo monumentale della basilica eufrasiana: nel musaico di ingrandimento del primitivo oratorio cristiano abbiamo sette iscrizioni, in quello superiore della basilica pre-eufrasiana (410-540)
(1) Per la parte più anticamente nota cfr. C. I. L., V, 3893-3895; per la
più recente VicnoLta, in Not. degli scavi, 1884, pp. 401-408; 1885, p. 307;
1906, pp. 213-218. i
(2) Jahresh. d. dst. arch. Inst., IX, 1906, pp. 22-23; Mitth. d. Central
commission, 1913, coll. 232-234.
(3) Vedile in C. I. L., V, 1583-1616. —
(4) È riportata in MURATORI, p. 1884, n. 3 e nel C. I. L. a p. 149.
(5) Atti 0 mem. soc. istr. stor. patria, Il, 1886, pp. 208-211; XXVIII, 1912,
Pp. 212-215.
352 UGO MONNERET DE VILLARD
abbiamo tredici iscrizioni, ed in quello della basilica eufrasiana
(543-554) ne abbiamo cinque (1).
Ancora nell’ Istria, a Pola, il pavimento di S. Maria Formosa
recava un’iscrizione di donatori (2). A Celeia, nel Norico (3), abbiamo nel pavimento quindici iscrizioni.
Vediamo ora quali considerazioni possiamo trarre dall'esame
di questo materiale. Dapprima quella già accennata della sua limitazione topografica; il gruppo è limitato nell’Italia settentrionale,
nel Norico, nell’Istria, e se possibilità di estensione vi sono con
quasi certezza dobbiamo attenderla nell’ Emilia e Romagna, in
Dalmazia e nelle regioni balcaniche a questa vicina. Il limite cronologico va dalla fine del IV alla metà del VI secolo (4), il periodo insomma e parte dell’ area signoreggiata dalla dominazione
gota, quella parte però ove tale signoria ebbe i suoi centri ed il
suo massimo splendore. Come si vedrà dall’ analisi stilistica sono
questi limiti tratti solo dalle iscrizioni quelli che risulteranno anche dall’ analisi delle forme artistiche. L'estensione della scuola
resta così segnata.
Ill.
Disgraziatamente lo studio archeologico dei monumenti in cui
tali musaici sono od erano conservati, è stato sempre, salvo rarissimì casi, condotto in modo così grossolano che infiniti elementi
importantissimi per la storia non sono stati rilevati o addirittura
furono distrutti, Uno di questi è la stratigrafia e la posizione dei
- ————6—____r_________Ò
(1) Atti e mem., cit., XXVI, IgI0, pp. 21-23, 29-33, 65-67.
(2) C. I L., Pars, Suppl. îtal., n. 1104.
(3) Mitth. d. Central-comm., 1908, tav. I-IV; Jabresh. d. ost. arch. Inst., |
1898, Beiblatt, coli. 30-35; C. I. L. III, 14368 (8-20).
(4) Debbo osservare che nell’identica area e negli stessi limiti di tempo
si osserva un altro particolare uso funerario : la sepoltura in sarcofagi di piombo.
Si veda E. SicHER, in Atti e memorie dell’Accad. d’agric., scienze, lettere, arti
e commercio dî Verona, ser. IV, v. XI (1911), pp. 141-156; v. XIV (1914),
PP. 37-48, studio superficiale ed incompletissimo specialmente riguardo alla diffusione del tipo nelle Gallie, ma che ha il merito ci raccogliere molto materiale
italiano altrimenti difficilmente accessibile.
(O ogle 7
I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 353
loculi sepolcrali al di sotto del pavimento. È cioè a noi ignoto se,
dato l’uso di seppellire i fedeli nelle chiese e specialmente i fedeli di vaglia, l'esecuzione di una parte di pavimento a spese di
uno di questi e l’inserzione dell’epigrafe di donazione, avesse corrispondenza con la sua tomba. In ‘altre parole non sappiamo se
tali iscrizioni ricordanti la donazione funzionassero anche in qualche modo da iscrizioni sepolcrali dei donatori stessi.
Certo desta meraviglia che nelle enormi superfici coperte dai
musaici pavimentali lombardi anteriori all’ epoca longobarda facciano quasi totalmente difetto le iscrizioni sepolcrali propriamente
dette, così frequenti invece tanto nei pavimenti africani quanto nei
palestinensi. Il più antico esempio di iscrizione sepolcrale musiva
presso di noi è quello, d’epoca longobarda, che Agnello (1) ricorda in Ravenna: l’epigrafe che ornava la tomba del vescovo
Mauro ({ 671) nell’ardica di S. Apollinare.
I casi sono invece frequentissimi nell’Africa settentrionale, non
pochi in Algeria(2), ma il massimo numero nella Tunisia (3). La forma
artistica di codeste tombe a musaico sembra quasi propria di quella
regione, d’onde si è diffusa in altre che con essa hanno avuto stretto
rapporto archeologico durante i primi secoli cristiani; così nella
penisola iberica. Infatti ivi ne troviamo uno a Denia (4) e due a
(1) Liber pont., ed. Holder-Egger, M. G. H., p. 353.
(2) Gli esempi sono elencati in DE PacHTÉRE, Inventaire, cit., t. II, n. 9,
10, 90-94, 248, 249, 315, 326, 363, 380, 382-390, 392, 395-398, 400-402, 446,
47, 452. L'esempio datato più recente è dell'anno 508 a Tebessa, cfr. C. I. L.,
VIU, 2013 = 16516. Inoltre C. R. Acad. Inscr., 1914, pp. 211-215.
(3) P. GaUCKLER, Zuvent., cit., t. II, n. 19, 20, 22, 23, 24, 27, 36-47; 49-
58, 60, 102-115, 118, 183, 210-216, 249-258, 262-306, 308-310, 342, 453, 459
461, 494, 507, 513, 516-522, 781-784, 787-791, 805. 829-845, 854, 855, 858,
861-863, 866, 869-871, 878, 915, 941-958, 960-976, 9738-1016, 1020-1026, 1028-
103I, 1033-1086, 1039-1047, 1050-1053, 1055, 1056; MERLIN, /nvent., cit.,
suppl., n. 60 d-60 f, 218 a-2181, 251-258 a, 305 a, 306 a-306 i, 334 a, 492 2, 4992,
5342, 586 a, 8542-854c, 863 c, 864d, 1049a,c,e-i, k, n, v; C. R. Acad. Inscr.,
1914, pp. 100-104; 1913, pp. 432-436; Bull. Antig. France., 1912, p. 321} 1909,
p. 176. L'esempio più recente datato è dell’anno 562 a Lemta, cf., Iuvent., n. 103
=C.L.L., VIII, 11128. Probabilmente pagano è il musaico tombale di Dougga,
Pornssor, in Bull. Arch. du Comité, proc. verb. des séances, 1913, p. xitt.
(4) Hosner, Inscr. Hisp. Crist., n. 410.
Arch Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. III. 23
Go ogle
354 | UGO MONNERET DE VILLARD
Manacor (1), nell’isola di Maiorca, opere che hanno stretto rapporto
sia stilistico quanto epigrafico con le africane (2).
Il formulario di codeste iscrizioni tombali è in generale assai
semplice; il nome del defunto, qualche volta la. sua età ed una
acclamazione che in generale è il primitivo IN PACE. (3) formulario semplice, ben lontano dall’ampollosità dell’epoca bizantina.
Codesto secondo tipo appare invece nei musaici palestinensi:
qui abbiamo delle lunghe iscrizioni storiche piene di importanti
notizie. Tali sono, per citare alcuni esempi, quella di Ciriaco fondatore della chiesa di S. Giorgio a Gerico (4), di Kalistratos diacono della S. Anastasis a Gerusalemme (5), ed altre di alcuni preti
e monaci a Gerusalemme (6), la cameretta sepolcrale di Nazaret (7).
In Italia due soli esempi so citare, oltre il ravennate già ricordato. In Silicia, a Salemi, presso il Canale dei Mulini, si scopersero due pavimenti sovrapposti: l’inferiore recava tre iscrizioni
sepolcrali frammentarie, due delle quali erano greche (8). Un musaico non propriamente pavimentale, ma che rivestiva il fondo di
una tomba, fu rinvenuto nel 1907 a Teano: vicina stava un’ iscrizione lapidea dell’anno 370. Sul musaico era rappresentata l’adorazione dei Magi, ed il registro superiore portava l’iscrizione d’incerta lettura (9):
Lac TERE SEMPER & FIIX (?)..... FELICITA P-S
(1) J. RuB.ò v BeLLver, in Annuari de VPInstitut d’estudis catalans, III,
1909-I9I0, pp. 371-373, figg. 16-20; Revue de l'art chret., 1914, p. 132, fig. 17
a pag. 135.
(2) Un uso che non si riscontra se non in Africa è quello delle tombe a
cassone rivestito di musaico, cfr. gli esempi in GAUCKLER, Invent., n. 21, 22,.
2II, 1023, 1031, I033 e sopratutto quelli di Tipasa in De PACTHÉRE, Invent.,
n. 378, 393-396. L'uso di decorare ed anche di rivestire i sarcofagi con musaici
€ di antica origine egizia, cfr. GAUCKLER. Musivum opus, in DAREMBERG et SaGLIO, Dict., pag. 2091. Si veda in ogni modo più avanti.
(3) Su alcune iscrizioni più complesse, metriche, di Sidi Abdallah, Tigzirt,
Matifu, Sidi Ferruch, Tipasa, cfr. MonceaUX, in Revue .Archéolog., 1906, I. p. 465 ;
II, pp. 134-138, 140-141, 297-307.
(4) ABEL, in Revue Biblique, 1911, pp. 286-289 e 440.
(5) GERMER-DURAND, in Revue Biblique, 1892, p. 571.
(6) LAGRANGE, in Revue Biblique. 1895. pp. 92-94, 437-439.
(7) Viaup, Nazareth et ses deux églises, Parigi, 1910, pp. 87-88, 92-93.
(8) SaLINAS, in Mot. degli scavi, 1893, pp. 339-342, 39I, 428.
(9) SpinazzoLa, in Not. degli scavi, 1907, pp. 697-703.
Go ogle n
I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 355
La ripartizione geografica dei musaici tombali può essere spiegata in rapporto con la diversa ripartizione delle scuole di scultori
di sarcofagi nei primi secoli cristiani. È naturale che la diffusione
dell’un tipo di tomba contrasti quella dell’altra: ed infatti i musaici
tombali sono rarissimi o mancano là dove vi è una forte scuola
di scultori di sarcofagi. Così per tutta l’Italia, da Roma a Ravenna,
nelle Gallie che vantano i centri di Arles, Bordeaux e Poitiers, la
Spagna settentrionale che ha quello di Gerona. L'Africa invece
manca di tradizione scultoria: i sarcofagi di Lambese o di Philippeville sono grossolanissimi prodotti. Sulla diffusione dei musaici
tombali deve aver anche influito la maggiore o minore facilità con
la quale ci si potevano procurare delle belle lastre marmoree su
cui tracciare l’epitaffio. Le due ragioni sono in generale concomitanti: la presenza del marmo scultorio facilita lo svolgersi di una
scuola di marmorari. Dove questa manca si approfitta di altri mezzi
per la decorazione della tomba.
Ciò può anche spiegare la rarità delle iscrizioni sepolcrali
musive nell’antichità pagana. In generale le iscrizioni che sì riscontrano nei pavimenti degli edifici sepolcrali rammentano tutto
al più il possessore della tomba, il suo costruttore. Così l’iscrizione della tomba nella vigna Silvestrelli posta fra il IIl ed il IV
migliario della via Latina (1); quella dell’ edificio sepolcrale della
famiglia Marcella alla vigna Codini sull’Appia (2); il musaico del
sepolcro di T. Flavio Posidone pure sull’Appia (3); quello del sepolcro di Pomponius Hylas (4); il pavimento di edificio sepolcrale
sulla via Labicana (5).
Sono invece vere e proprie iscrizioni sepolcrali quelle di una
tomba della via Salaria (6), e meglio ancora quelle di un colombario dell’ Appia (7).
Ma la figura del defunto riprodotta a musaico sulla tomba non
(1) Not. degli scavi, 1876, p. 58; C. I L., VI, 29956.
(2) C. I. L., VI, 4419.
(3) C. I. L., VI, 10203.
(4) CaMmPana, Di due sepolcri romani del secolo d’Augusto. Roma, 1840,
tav. II, B.; C. I. L., VI, 5552.
(5) Not. degli scavi, 1914, p. 395.
(6) Not. degli scavi, 1902, p. 45; Bullett. Comm. Comun., 1912, p. 82.
(7) FornARI, in Studi romani, I, 1913, p. 362.
-
356 UGO MONNERET DE VILLARD
appare, per quanto mi consta, se non nell’arte cristiana. I più antichi esempi che si possono citare sono forse i due ritratti della
catacomba di Ciriaca, passata alla biblioteca Chigi (1). Nella catacomba di S. Agnese sulla via Nomentana fu trovata nel 1876 una
lastra di marmo con iscrizione della. fine del II secolo, in cui era
praticata una cavità esagonale entro la quale stava un piccolo
musaico rappresentante il ritratto della defunta Sirica, eseguito con
cubi di smalto rosso, pasta di vetro verde, lamine d’oro e d’avorio (2). Il Boldetti (3) ricorda anche una lastra di terracotta con
sopra eseguito a musaico il monogramma di Cristo.
Se gli artisti romani si sono accontentati di decorare la tomba
con simboli o ritratti limitati al solo busto, quelli delle provincie
africane hanno seguito un più largo concetto. Sulle tombe di queste
regioni è tutta la figura del defunto che appare, non in qualità ed
aspetto di morto, ma generalmente in quella dell’ « orante ». Non
mancano, è vero, altre rappresentazioni. In un « martirium » di
Tabarka (4), nel luogo detto Bordj-Messaoudi, un musaico tombale
mostra nel registro superiore un paesaggio dove fra gli alberi e
sul suolo sparso di rose, in un volo di colombe, galoppano tre
cavalieri. Nel registro inferiore è la nave della chiesa segnata con
« e @, seguita da un delfino e navigante verso il crisma costantiniano (5).
Pur non uscendo dal gruppo ricchissimo dei musaici tombali
di Tabarka, ricordo ancora la rappresentazione del Buon Pastore (6), e l’altra, unica nel suo genere, con la quale fu decorata la
tomba di una Valentina, ove è rappresentata l’ ECCLESIA MATER
(1) De Rossi, Musaici, tav. I, Roma 1872. Vi si può avvicinare il ritratto
citato da MùNTZ, La mosaique chrétienne, p. 66. Sono attribuiti al IV secolo.
(2) DE Rossi, Roma sott., III, p. 593; Mintz, in Mém. des antiq. de
France, 1891, pp. 298-299.
(3) Osservazioni sopra i cimiteri dei SS. Martiri, Roma, 1720, pp. 522 e
547: ARMELLINI, Il cimitero di S. Agnese, Roma, 1880, tav. VIII e VI.
(4) Ora al museo del Bardo, cfr. GAUCKLER, Iuvent., n. 1024. Sulla prospettiva di codesto paesaggio vedansi le interessantissime osservazioni di W. DE
GRONEISEN, Sainte Marie Antiqua, Roma, 1911, pp. 229-231.
(5) Cfr. anche GAUCKLER, /nvent., n. 1014, 1038 e 969 ove la nave è forse
simbolo della professione del defunto, giacchè l'iscrizione dice FELIX IN PACE
VIXIT AN -LXXV NAVICVLARIVS AB ORIIS CERNIS.
(6) GaucKLER, Invent., n. 984
(O ogle : =
I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 357
nella sua realtà architettonica di una basilica a tre navate (1). Nè
mancano i simboli che generalmente accompagnano la tomba cristiana; l’agnello (2), il calice da cui escono rose (3), le colombe
affrontate ad un calice (4), e forse più d’ogni altro frequente il
monogramma di Cristo (5). È quest’ultimo tipo che ritornerà anche
nella Spagna.
Il più sovente vi troviamo rappresentata la figura del defunto, generalmente col gesto dell’ « orante ». Non sempre però:
un musaico Henscir-Thina (6) ce lo mostra semi sdraiato su un
letto da riposo, mentre con la destra alza un bicchiere. ll formulario dell’epigrafe:
* DMS AMIANTHVS
VIXIT - ANNIS
XX
se è cristiano, per l’uso dell’ acclamazione D*M- deve ritenersi
molto antico. Una rappresentazione molto simile è su una seconda
tomba della stessa necropoli (7), ove le iscrizioni non hanno alcuna
caratteristica prettamente cristiana. Dubito che il Gauckler sia caduto in errore e che tutta la necropoli coi suoi cinque musaici (8)
non sia cristiana ma pagana.
Certamente cristiana è invece la tomba di Tabarka contenente
due scheletri e recante sul musaico una doppia rappresentazione (9): sotto un’ « orante » e sopra uno scriba barbuto sta al suo
(1) GAUCKLER, /Invent., n. 1021.
(2) GAUCKLER, /nvent., n. 248, 261, 864, 967, 972, 985, 987, I014, 1018,
1028, 1026, 1036, 1037, 1039, 1045, 1049.
(3) GaucKLER, /nvent., fra i molti, n. 954, 970, 976, 1050, 1055.
(4) GauckLER, Invent., n. 948, 949, 952, 955, 960, 962, 979, ecc.
(5) GAUCKLER, Invent., fra i moltissimi, n. 945, 947, 951,952, 956, 960,
962, 965, 967, 969, 971, 978-983, 989, 995, 1002, I0Og-IOII, 1013; 1015,
1016, 1022, 1024, 1026, I103I, 1033, 1040, IO4I, 1043, 1050, IOSI, 1054, 1056.
In generale sono d’epoca vandalica o bizantina. |
(6) GauckLER, Invent., n. 24.
(7) GAUCKLER, Invent., n. 27.
(8) GAUCKLER, /nvent., n. 23-27.
(9) Ora al museo del Bardo, cfr. principalmente : .Mém. present. par divers
servants à l’Acad. des Inscr., XII, I parte, 1907, pp. 214 e sgg., n. 238, e fig.
a p. 215.
LO ogle
358 UGO MONNERET DE VILLARD
tavolo fra due rosai. Così è caratteristico un altro musaico di 'l'abarka (1) ove un personaggio abbigliato con la tunica a maniche ‘
e la « paenula », i piedi calzati di porpora, la testa nimbata accostata da due crismi, ha inginocchiati ai suoi piedi due personaggi che tendono due ceri. È un santo o un alto dignitario ecclesiastico? Così in un musaico di Sfax trovato incompleto ed oggi
distrutto (2), è rappresentato un personaggio che stringe contro
il petto la rappresentazione di un piccolo monumento a frontone
triangolare: forse il donatore dell’edificio ove stava la tomba?
Il ricchissimo gruppo dei musaici tombali con la rappresentazione dell’ « orante » si può dire caratteristico del cimitero di Tabarka (3); pochi altri esempi si trovano a Tipasa (4), Sfax (5),
Henscir-Rmirmir (6) e a Cartagine (7°.
Il gesto dell’ « orante » meglio che ad origini-classiche (8) deve
essere ricondotto ad alcune stele egizie anteriori al cristianesimo (9).
Alcuni indizi ci permettono di collegare le tombe a musaico
africane con alcuni prototipi egiziani: il primo è che l’Egitto conserva i piu antichi esempi di sarcofagi decorati a musaico, dalla
tomba della regina Uazmit al museo del Cairo, per i frammenti di
coperchio del museo di Torino, ai parecchi sacofagi del Fayum (10).
(1) Ora al museo del Bardo; vedilo nel catalogo di La BLANCHERE et GauCKLER, p. 18, n. 56, tav. IV, fig. 56.
(2) GauckLER, in Monuments et Mém. Piot, XIII, 1907, p. 2TI, n. 3;
Revue archéol., 1887, Il, p. 185.
(3) GAUCHLER, Invent., n. 941-944, 950; 953, 963-968, 973, 983, 986, 987,
1013, 10153, 1022, 1037, 1044, 1048, 1052- 1055; MERLIN, Invent., Suppl.,
n. 1049b, e, f, h, i, p,q,s, u
(4) DE PACTHÉRE, Invent., n. 493-394; mancano d'’ iscrizione.
(5) GAUCKLER, Invent., n. 53-57.
(6) GAUCKLER, Invent., n. 454.
(7) GAUCKLER, Invent., n. 781, 876. Uno a Feriana è dato da MERLIN, /nvent., Suppl., n. 3342.
(8) Su queste si veda il materiale raccolto in LEcLERCO, Manuel d'archéologie chrétienne, I, Parigi, 1907, pp. 152-155.
(9) Si veda specialmente STRZYGOWSRI, Drei Miscellen, II. Bin Grabrelief
mit Darstellung der Orans aus Cairo, in Romische Quartalsch., 1903; W. E. Crum,
Notes on the egyplian orantes, in Procedings of the Society of Biblical Archaeology,
1899, pp. 251-252. In generale KAuFMANN, Aegyptische Terrakotten, Cairo, 1913.
(10) GAUCKLER, in DAREMBERG ET SagLIo, Dict., art. Musivum opus, p. 2091.
E se
I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 359
Il secondo indizio è l’antichissimo uso egiziano di raffigurare
il morto innanzi alla sua tomba (1), uso perpetuatosi nei sarcofagi
con figure dipinte e nei ritratti su tavolette da inserire fra le bende
della mummia. Fra queste opere ed i musaici tombali africani vi
sono strettissimi rapporti: e nessuna ragione può opporsi a codesta
trasmigrazione di forme già sino dall'epoca pagana, continuata poi
senza interruzione nella cristiana.
Se i ritratti musivi delle catacombe romane possono essere
considerati quali espressioni di una estrema e poco intensa propaggine di codesto antichissimo tronco egizio, nulla ci permette
di supporre che la sua azione si sia fatta sentire anche nell’ arte
dell'Italia settentrionale. Qui nessuna figura del defunto accompagnata da epigrafe sepolcrale.
Ma dei ritratti però sono inseriti nei nostri pavimenti, come
in quelli d’Aquileia del vescovo Teodoro, eseguito certamente innanzi l’anno 320: essi sono dei personaggi importanti, come si riconosce dal loro costume, certo i donatori che hanno contribuito
all'esecuzione del musaico e che assai probabilmente furono seppelliti sotto questo. Tale serie di ritratti non può essere in alcun
modo riallacciata con gli esempi africani a cui sopra ho accenato.
Ad altri prototipi forse possono riallacciarsi opere d’arte della
Siria settentrionale. Sono questi due pavimenti musivi che adornavano delle grotte sepolcrali dei dintorni di Urfa, presso la porta
di Samosata (2). Entrambi recano una grande iscrizione dedicatoria; nel primo sta scritto: « Io Belai figlio di Gusi, ho preparata
« questa casa d’eternità per me, per i miei figli e per i miei eredi ».
E nel secondo: « Io Aftoha figlio di Garmu, feci questa casa d’eter-
————— € ———_+<6&y€_66
(1) W. DE GRUNEISEN, Intorno all'antico uso egiziano di raffigurare i defunt
collocati avanti al loro sarcofago, in Riv. Soc. Romana di Storia Patria, XXIX,
PP. 229-239, 534-537. (2) J. EuTING, Nolulae epigraphicae; mosaique syrienne d’Ourfah, in Flori- legium de Vogué, Parigi, 1909, pp. 231-235; per il secondo: RAPHAEL DE NINIVE,
Album de la mission de Mesopotamie et d'Arminie confiée au F.F.M.M. Capucins
de Lyon, Lyon; CHaBoT, Notes sur quelques monuments épigraphiques arameens,
in Journal asiatique, 1906, I, pp. 281-290; J. RenpeL Harris, The cult of the
haevenly twins, Cambridge, 1906, p. 108 sg., tav. IV. Per i rapporti stilistici col
pentateuco Ashburnham, cfr. STRZYGOWSKI, in Byzant. Zeitsch., XIX, 1910, p. 66.
Il primo musaico è distrutto, il secondo è ora al Museo Imperiale Ottomano.
360 UGO MONNERET DE VILLARD
« nità per me, e per i miei figli e peri miei eredi, nel giorno del-
« l’eternità ». In entrambi il musaico reca semplicemente dei busti
di persone aventi a fianco una iscrizione col loro nome ed il grado
di parentela che li lega al capostipite. Codesto secondo musaico è
attribuito al III secolo; dell’altro, distrutto, nulla si può dire, ma
probabilmente è sincrono.
Sono questi certo indizi insufficienti per stabilire un rapporto
fra la Siria e la Gallia cisalpina: ma se ricordiamo quante altre
ne esistono fra l’arte delle due regioni, anche queste vaghe somiglianze acquistano un valore documentario.
La scomparsa dei busti dei donatori dopo l’inizio del IV secolo, dopo cioè il musaico d’Aquileia, non può certo esser dipesa
da mancanza d’abilità dei musivari lombardo-ravennati, chè troppo
grandi prove hanno dato nei lavori parietali. E’ stato invece causato da una modificazione dell’indirizzo estetico, il quale, dopo la
metà del IV secolo ha avuto la tendenza di sostituire ai musaici
pavimentali con figurazioni, scene, personaggi e paesaggi, dei motivi quasi esclusivamente geometrici o decorativi. Il posto in origine tenuto dai busti dei donatori è stato poi preso dalle iscrizioni
ricordanti la loro donazione: queste sono, dalla metà del IV secolo
al VI, le corrispondenti di quelli.
Non dimentichiamo che l’inserzione di ritratti nei musaici pavimentali del VI secolo non è solo nella tradizione cristiana: il
musaico dei filosofi di Colonia insegni.
IV.
Assai meno importanti sono le altre iscrizioni, le storiche
escluse, che noi incontriamo nei nostri pavimenti.
Alcune hanno un significato ed un valore protettivo: sono
queste delle invocazioni che il fedele eleva alla Divinità, come quel
EXAVDI DEVS ORATIONEM MEAM, che sta scritto nel musaico
absidale di una cappella di Thelepte, l’odierna Medinet-el-Kedima (1); GLORIA IN ESCELSIS DEO ET IN TERA PACS
(1) GAUCKLER, /uvent., n. 324. Cfr. anche C.I.L., VIII, 20912, troppo frammentaria per essere integrata sicuramente.
I
ni 3
I DATI STORICI RELATIVI Al MUSAICI PAVIMENTALI 361
OMNIBVS si legge ad Uppenna (1). Nè poche sono le invocazioni
alla Divinità che si leggono sui musaici palestinensi (2), ed in
quello tunisino di Beni Hassen (3) sta scritto SI DEVS PRo NOBIS
QVIS CONTRA NOS.
Ma una curiosa iscrizione profilattica, su cui dobbiamo_fermare
l’attenzione un po’ lungamente, si legge però su un pavimento
lombardo.
Sul musaico di Pieve Terzagni, in provincia di Cremona, appare un’iscrizione che ha molte volte attratta l’attenzione degli
studiosi. Essa dice: |
SATOR
AREPO
TENET
OPERA
ROTAS
Qua'e significato e quale valore essa abbia, è ciò di cui dobbiamo occuparci.
La formola non si presenta qui per la prima volta: l’esempio
più antico che possiamo citare è il grafito sul muro di una casa,
quasi certamente romana, in Inghilterra, a Cirencester, l’antica Durocornovium (4). Ivi però la disposizione è la seguente:
ROTAS
OPERA
TENET
AREPO
SATOR
(1) GAUCKLER, /nvent., n. 261.
(2) El-Mehaiet, Revue Biblique, 1914, pp. 112-115; Gerusalemme, idem, 1892,
pp- 573-574 e 1893, p. 213, n. 20; Màdabà, idem, 1892, pp. 638-644; 1895,
p.- 241; 1896, p. 263 sg.; 1898, pp. 422-425.
(3) C.I.L., VIII, 11133. Cfr. Paoto, Epist. Rom., VIII, 31. La stessa for»
mola sta su di un disco in marmo del museo di Cartagine; cfr. DELATTRE, Un
pelerinage aux ruines de Carthage et au musée Lavigerie, Lione, 1906, p. 38;
inoltre, C.I.L., VIII, 2218, e X, 15.
(4) C. W. Kinc, Early Christian Numismatics and others antiquarian tracts,
Londra, 1873, p.187; Journ. of anthropol. Inst., 1899, p. 306; WARD, Antiquary,
XXVI, 1892, p. 152; Ephem. epig., IX, 1903, n. 1001; HAvERFIELD, in Arch.
Journ., 1899, pp. 319-323. Essa è ora al museo di Cirencester.
GO ogle
362 | UGO MONNERET DE VILLARD
Non ci è noto a quale epoca possa risalire quel graffito; ma
certamente è di epoca romana. |
Gli esempi occidentali della formola non sono frequenti nei
primi secoli cristiani, anzi bisogna venire al IX secolo per trovarne
altri. In una Bibbia copiata nell’anno ‘822, che col fondo di SaintGermains-des-Prés è pervenuta alla biblioteca Nazionale di Parigi (1), essa è riprodotta. In un manoscritto greco della stessa
biblioteca (2) essa si presenta scritta in caratteri greci corsivi ed
accompagnata da una traduzione:
‘ , Pi LA to to p 7) STELIMY
a 3 oÈ 5 To xpoTo LOOT0OV
TE VET nox:ei
òOTEI x fora
poTtas T90/0S.
sator arepo, tenet opera rotas.
°O arelpmv Aporpov, xpatet Épya Tpoyovs.
In un manoscritto proveniente da Reichenau, ora a Karlsruhe (3), del IX secolo essa è scritta in tondo così:
Sator | arepo | tenet | opera | rotas.
Anche in altri manoscritti più recenti la formola ritorna (4):
ed alcune volte con spiegazioni sul suo valore. Così in un documento genovese del 1259 (5) essa è inquadrata dal versetto biblico
« Et erit tamquam lignum quod plantatum est | secus decursus
—————————__ --_———
(1) Lat. 1505. Cfr. Mowat, in Mémoires de la Soc. Nat. des Antiq. de
France, 1903, pp. 41-68, specialmente 59-64.
(2) N. 2511, fol. 60, v.
(3) N. CCXX, fol. 113. Cfr. HoLpER, Die Reichenauer Handschriften, vol. I,
Lipsia, 1906, p. 502.
(4) Fra gli altri n. 448 (269) Digione, X sec., fol. 74, r., proveniente da
S. Benigno; cod. Augiense 159, fol. 152, r.; ms. di Oxford del XIII sec., in
Meyer, Doc. manus. de Panc. litt. de la Francc conservés dans les bibl. de la
Grande Bretagne, I, 1871, p. 170; ms. di Monaco, XV sec., in K. RorH, Kleine
Beitràge zur deutschen Sprach-Geschichts-und Ortsforschungen, IV, p. 152.
($) Atti notarili di Giovanni Amandolese, car. 2, fol. 128, in Atti Acc. Sc.
Torino, XXXIX, 1893-1894, p. 49.
(o ogle
I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 363
« aquarum quod fructum suum | dabit tempore suo et folium ejus
« non defluit | et omnia quecumque faciet sepes prosperabuntur »
dal Salmo I, 4-5 vulg., 3 ebr. E’ anche accompagnata dalla annotazione: « Scribe has litteras cum his verbis circumscriptis et liga
a in coxa mulieris dextra et statim pariet ».
Lo stesso valore di amuleto ha la formola, scritta: + sator
+ arepo + tenet + opera + rotas +, in un rotolo magico, ora
al British Museum (1), contro i dolori del parto.
Oltre che sui manoscritti la formola appare incisa sulle pietre
di non pochi edifici, tanto francesi (2), quanto italiani (3), ed il suo
uso non si è perduto nei secoli, tanto che ancor oggi essa è usata
quale scongiuro (4).
Il Mowat (5) ed il Wescher (6), basandosi su alcuni dei fatti
e documenti citati, chè non tutti essi li conobbero, tentarono una
spiegazione e fecero alcune supposizioni sull’origine della formola.
Per il Mowat la parola « arepo » è gallica; è nelle Gallie che si
deve cercare l’origine dell’ enigmatica iscrizione, nelle Gallie ove
oltre Sidonio Apollinare (7) tanti altri scrittori furono celebri per
simili giochi di parole; la parola « arepo » sarebbe da avvicinarsi
ad arepennis (8).
——T—_———____—_6
(1) Rot. Harl. T. rI. Cfr. Sparrow-Simpson, On a magical roll preserved
in the British Museum, in Journal of the archeol. Assoc., XLVIII, 1892, pp. 33-54,
spec. p. 51. E' del XVI secolo. Sull'uso della formola come amuleto cfr. Verhand,
Ber]. Anthrop. Gesellsch,, 1880, pp. 42-45, 215, 276; 1881, 35, 85,131, 162-167,
301-306; Zeitsch. fur Ethnol., XIX, pp. 69-75.
(2) Rochemaure (Ardèche) nella cappella di S. Lorenzo nel Castello; Val.
bonnais; Jarnac. Cfr. Mémoires de la Soc. Nat. des Ant. de France, Bull., 1874,
152; 1877, p. 143. | |
(3) Cattedrale di Siena; S. Pietro in Valle Tritana presso Capestrano e alla
Matrice di Magliano de Marsi, cfr. PicciRILri, in Rass. abruzz. di arte, storia,
.... II, 1899, n° 7; S. Maria Maddalena di Campomarzo Veronese, cfr. BranCHINI, Not. stor. delle chiese di Verona, 1749-56, VII, p. 86.
(4) ReinHoLp KoHLER, Kleinere Schriften zur neueren Literaturgesch. Volkskunde und Worthforschungen, III, 1900, pp. 564-572. Sugli amuleti di Thasos
che la recano: DEONNA, in Revue des études grecques, XX, 1907, pp. 364-382.
(5) Op. cit., p. 59.
- (6) Bull. de la Soc, cit., XXXV, 1874, p. 153 sg.
(7) Ad Burgundionem, 1. 1X, n. XIV, ed. KruscH, pp. 166-168.
(8) Cfr. Thesaurus linguae latinae, II, col. 506; DieTRICH, in Abhein. Museum,
LVI, 1900, p. 92.
Go ogle
364 UGO MONNERET DE VILLARD
Il Wescher, osservando il caso del. manoscritto greco della biblioteca Nazionale di Parigi, constata che il numero delle sillabe
è lo stesso sia nella frase latina, quanto nella greca. Sembrerebbe
che l’autore abbia voluto fare un trimetro giambico, opinione che
è confermata nel manoscritto dalla virgola posta all’emistichio.
Per codesti studiosi la formola sarebbe di origine occidentale o
tutto al più bizantina: disgraziatamente essi non hanno conosciuta
tutta un’altra serie di fatti che contrasta gravemente la loro teoria.
Se lasciamo il caso romano di Cirencester, il più antico esempio
occidentale della formola è del IX secolo: ora prima di quell’epoca
essa era largamente usata nell’Egitto cristiano.
Essa appare nel secolo VIII in un'iscrizione copta di Faras,
nella Nubia, sulle pareti di una tomba che ha servito anche da
chiesa: essa è accompagnata dai nomi di cinque dei sette dormienti d’Efeso, di quello dei quaranta martiri di Sebaste e dalla
lettera di Cristo ad Abgar (1).
I nomi dei sette dormienti, che variano secondo le diverse
redazioni della leggenda (2), furono usati in Oriente durante il
medioevo quali formola magica contro l'insonnia, le febbri, i vermi
ed altri mali; non nel mondo cristiano soltanto, ma ancora nel.
l’islamico (3). |
Anche il nome dei quaranta martiri, il cui culto fu largamente
diffuso nell’Egitto copto (4), serviva quale formola. magica (5): e
lo stesso valore protettivo aveva la chiusa della lettera di Cristo
ad Abgar (6). Perciò essa era scritta su molte porte di città, come
(1) A. H. Savce, Gleanings from the Land of Egypt, in Recuecil de travaux
relatifs à la philol. et à l’archéol. égypt. et assyriennes, XX,.1898, pp. 174-176;
R. PIETSCHMANN, Les inscriptions coptes de l'aras, idem, XXI, 1899, pp. 133-136.
(2) M. Huser, Die Wanderlegende von den Siebenschlafern, Lipsia, 1910. I
nomi dell’ iscrizione di Faras si trovano già, nel VI secolo, in THeoposius, De
situ terrae sanctae, ed. Gildemeister, Bonn, 1882, p. 27.
(3) S. SELIGMANN, Das Siebensch!afer - Amulett, in Der Islam, V, 1914,
pp. 370-388: Mapponarp D. B., in Zeitsch. f. Assyriologie, XXVI, pp. 267-269.
- (4) D. N. BonweTSscH, Das Testament der 40 Marlyren, Studien zur Gesch.
der Theol. un der Kirche, Lipsia, 1898, pp. 72-95.
(5) Cfr. ms, Leida in PLevtE ET BOESER, Man. coptes du Musée d° Antig. des
Pays-Bas è Leyde, Leida, 1897, p. 441 sg.; ERMAN, Ein Koptischer Zauberer, in
Zeitsch. f. dgypt. Sprache nnd Alterthumskunde, XXXIII, 1895, p. 46.
(6) E. von DosscHutz, Briefwechsel zwischen Abgar und Jesus, in Zeitsch.
fur wissenschaftliche Theologie, XLIII, 1900, pp. 422-486.
ui
I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 365
ad Edessa (1), o di case private (2); e, leggermente trasformata,
fu impiegata quale amuleto sui papiri copti o greci del Fayum (3).
Nella iscrizione di Fars, una vera raccolta di formole magiche,
viene infine la dicitura Sator, preceduta da una indicazione, che
allo stato attuale del testo, richiede una correzione. Quella proposta dal Pietschmann la farebbe interpretare come una formola
di scongiuro contro i serpenti. |
L’iscrizione di Fars non è però il solo caso copto nel quale
si presenti la formola di Sator; essa si incontra tanto su amuleti,
quanto su ostrakon (4), sola od accompagnata dalla formola (5):
a\)pa
) E @ v
po vo
a vnEp
Tutto considerato siamo dunque innanzi ad una formola magica di un tipo antichissimo ed anteriore al cristianesimo. E’ il tipo
a cui apparteneva quella scritta su una foglia d’oro, scoperta in
una sepoltura a Vars presso Angouléme (6):
AEFEHBIOTOo
© YOIHEA
EHIOYWewA
YTOIHEA©%
HI OToAE
OITHEA6GOY
I OTooA IH
(1) Procopio, de bello persico, II, 12; EvaGRIOS, Historia ecclesiastica, ed.
Reading, III, 1720, p. 45; cfr. Lirsius, Die Edessenische Abgar-Sage, Brunswick,
1880, p. 2I, agg. I.
(2). A Edessa: cfr. Jahres. d. Oesterr. Arch. Inst.,-III, 1900, Beiblatt, coll.
90-95; moschea di Gurdja, cfr. ANDERSON, in Journal of Hell. Studies, XX, 1900,
pp- 156-158; Alkat-Adji-Koi, cfr. Cumont, Revue des ét. grecques, 1902, p. 326, n. 36.
(3) Linpsay, The Fayoum papyri în the Bodl. Libr., in Athenaeum, 1885,
p. 304; NicHoLSON, id., 1885, p. 506; KRaLL, Koptische Amulette, Papyrus Rainer,
v. 1892, pp. 115-122, n. 64 e 17354.
(4) W. E. Crum, Coptic monuments (Catalogo del museo del Cairo), 1902,
p. 42, n. 81147.
(5) La trascrivo in lettere greche.
(6) E. Winer, Recherche de lantiquité d’Engoulesme, Engoulesme, 1567;
G. WiLmanns, Exempla ‘inscript lat., Berlino, 1873, II, n. 2751.
LO ogle
366 UGO MONNERET DE VILLARD
E’ un quadrato di vocali, simile a quello che si osserva su di
una ametista edita dallo Spon (1) di su le note del Peiresc, la quale
ha la disposizione:
AEHI O Vo
EHIOTwA
HIOToAE
I O0TYrooAEH
O YwAEHI
TwAEHITO
vAEHIO VV
Le sette vocali figurano ancora sulla celebre iscrizione di Mileto (2), in corrispondenza ai sette pianeti ed ai sette arcangeli che
sì invocano a protezione della città (3).
Codesti quadrati di vocali vanno avvicinati ai quadrati di numeri, che ne avevano lo stesso valore magico (4). Ciò però non
vuol dire che ad un quadrato magico di lettere si possano sostituire i corrispondenti numeri, per cercarne la spiegazione.
Tutto ciò ci induce a ritenere che l’origine della formola di
Sator debba ricercarsi nel simbolismo gnostico e sia perciò di origine egiziana. |
Se è sicuro il suo valore magico e l’uso profilattico, non lo è
certo il suo significato. Fra le varie opinioni emesse ricordo quella
(1) J. Spon, Voyage d’Italie, de Dalmatie, de Grèce et du Levant, Lione
1678, III. p. I, p. 157. Altre formole analoghe in MATTER, Mist. du gnosticisme,
vol. III; FICORONI, Gemimae litteratae; PasseRI, Thesaurus gemmarum astriferarum,
passim.
(2) Le Bas, Voyage archéolog. en Asie Mineure, +. III, parte I, Inscr. n. 218,
tav. XIII, n. 4.
(3) L'invocazione agli arcangeli Michele e Gabriele è frequentemente incisa
su architravi di case siriache (Il-Anderîn, Kalb-Lauzeh). Cfr. PRENTICE, in Amer.
Journ. of Archaeol., 1906, pp. 137-150, sopratutto p. 143. i
(4) Sui quadrat, numerici cfr.: VioLLE, Traite complet des carrés magiques,
Parigi, 1837; GUùNTER, Vermischte Untersuchungen zur Gesch. der Mathem., Lipsia,
1876, cap. IV; Luca, Recreations mathématiques, Parigi, 1882; M. CanTOR, Vorlesung. ùber Gesch. der Mathem., I, Lipsia, 1907, p. 438, 514-515, 635, 675, 688,
740-741, 786, 801; A. Margossian, De l'ordonnance des nombres dans les carreés
magiques impairs, Parigi, 1908.
l De
I DATI STORICI RELATIVI Al MUSAICI PAVIMENTALI 367
del Heim (1), ripetuta ‘dal Deonna (2), il quale vorrebbe vedervi il
precetto monastico:
SAT OR|ARE PO|JTENter
ET | OPERA [re RatiO TuA Sit.
snaturato in modo da dare un verso ricorrente (3) ed usato senza
comprenderne il senso letterale.
Ad una diversa conclusione è giunto il Pansa il quale crede
che « tenendo presente il concetto della rota, quello spostamento
« delle lettere e la lettura che può farsene in tutti i sensi, ciò da
« destra a sinistra, dall’ alto in basso e viceversa, altro non do-
« vrebbe significare che il volteggiare in tutti i sensi che fa la
« rota » (4).
A codesta spiegazione si oppone il fatto che in molti dei più
antichi esempi della formola, negli amuleti copti ad esempio, la
formola non ha la disposizione in cinque linee sovrapposte, ma
invece le cinque parole sono scritte su di una sola linea l’una dopo
l’altra (5). Ciò rende anche poco logico l’applicarle le formole numeriche dei quadrati magici (6).
Per curiosità ricordo la spiegazione che ne diede il padre
Kircher: « Praedicta nomina tantum obtinuisse aestimationis, ut ea
« non in latinorum dumtaxat, sed in Arabum, imo Aethiopum ora-
« tiones invocatorias irrepserint. Aethiopes quidem postquam sanis
« precibus Deum Christumque fatigaverint insanas has voces ad-
« dunt; si quidem virtute horum nominum, maius pondus robur-
(1) Incantamenta magica, in Fleckeisen Jahrbuch, suppl. XIX.
(2) Op. cit., pp. 371-372. . (3) Sul valore magico dei versi e delle parole leggibili in diverso senso
cfr. Kopp, Beitrage zur griech. Excerptenlitteratur, p. 65; Scuwarz, Der Zauber
des rickwarts Singens und Sprechens, Indogermanische Volksglaube, p. 257.
(4) G. Pansa, Di una nota iscrizione carcinica usata come talismano nel medioevo e del suo contenuto simbolico, in Studi medioevali, 11I, 1908-1911, pp. 672-
682; cfr. p. 679. Il Pansa, come gli altri, non conosce se non gli esempi occidentali della formola.
(5) Cfr. KRALL, op. cit., n, 17354 € 64.
(6) Così tentò E. Hris, Sammlung von Beispielen und Aufpaben aus der
aligemeinen Aritmetik und Algebra, Colonia, 1872, p. 329.
Go ogle
368 UGO MONNERET DE VILLARD
« que, ad id quod intendunt obtinendum, se sortituros amentes
« sibi persuadent. Porro eadem nomina: Sator, Arepo, Tenet, Opera,
« Rotas in orationibus Arabum leguntur et nullibi apud Mago Ca-
« balista desunt » (1).
Per il suo largo uso presso i copti, la formola facilmente si
trasmise agli islamiti: essa si trova infatti incisa su una coppa di
fattura arabo-ispanica che, frutto di qualche fortunata rapina, andò
a finire nell'isola di Gothland dove fu trovata (2).
Per comprendere l’uso della formola nei monumenti cristiani
e specialmente nei musaici pavimentali, come quello di Pieve Terzagni, dobbiamo ricordare altri esempi di iscrizioni a gioco di lettere disposte in quadrato.
Due se ne presentano nel pavimento della basilica detta di
S. Reparato ad Orléansville in Algeria, però facilmente leggibili.
Il primo non dice altrose non SANCTA ECLESIA, con la disposizione (3):
A.It SEL CE.CLE S.A
ITSELCEAECLESI
SELCEATAECLES
ELCEATCTAECLE
LCEATCNCTAECL
CEATCNANCTAEC
EATCNASANCTAE
CEATCNANCTAEC
LCEATCNCTAECL
ELCEATCTAECLE
SELCEATAECLES
ISELCEAECLESI
AISELCECLESIA
(1) Arithmologia sive de abditis numerorum mysteriis, Roma, 1665, p. 220.
(2) HiLpEBRAND, Dunefyndet, in Kongl. Antiquitets Akad., Stocolma, 1382,
p. 89, fig. 19.
(3) Si veda la grande tavola in Moniteur Algeérien, 4 ott. 1843; cfr. BerBRUGGER, in Revue Africaine, I, 1856-1857, p. 249 e XII, 1868, p. 146; C.I.L,,
VIII, n. 9710 e 9711.
(O ogle a
I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 0369
Il secondo va letto MARINVS SACERDOS:
SODRECASACERDOS
ODRECASSSACERDO
DRECASSVSSACERD
RECASSVNVSSACER
ECASSVNINVSSACE
CASSVNIRINVSSAC
ASSVNIRARINVSSA
SSVNIRAMARINVSS
ASSVNIRARINVSSA
CASSVNIRINVSSAC
ECASSVNINUSSACE
RECASSVNVSSACER
DRECASSVSSACERD
ODRECASSSACERDO
SODRECASACERDOS
Iscrizioni di codesto tipo non erano usate nei primi secoli cristiani solo nei musaici pavimentali, ma figuravano anche dipinte
sulle pareti delle chiese. Per non ricordare che un solo esempio
si pensi a quella che compose Venanzio Fortunato (1) e che inviò
a Siagrio vescovo di Autun, perchè ne ornasse la parete del vestibolo della chiesa allora costruita di S. Stefano.
Se ne hanno anche altre incise su lastre di pietra che dove.
vano essere infisse sulle pareti dell’ edificio (2). Così quella di
Oviedo (3), che si legge SILO PRINCEPS FECIT, probabilmente
dell’anno 783. Un'altra iscrizione di questo tipo è quella che figura
sulla croce detta di S. Tomaso in S. Giacomo d’Anagni (4), che
dà una formola a scongiuro del fulmine:
Crux mihi certa salus + Crux est quam semper adoro
Crux domini mecum + Crux mihi refugium.
(1) VENANTI HonorI CLEMENTIANI FORTUNATI opera pottica, ed. Leo, M.
G. H., p. 116. Cfr. Le BLANT, Recueil, t. I, n. 8, p. 22.
(2) Alcuni labirinti medioevali erano disposti verticalmente su pareti: ricordo quello di Lucca.
(3) Hasner, /nscr. Hisp. christ., n. 145.
(4) Revue de Part chretien, 1893, p. 208. Di un altro esempio modenese
cfr. SANDONNINI, Croci e colonne in Modena, in Atti e memorie Dep. St. Patr,
prov. modenesi, 1915, p. 20 dell'estratto.
Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. III 24
(O ogle
370 UGO MONNERET DE VILLARD
Ma ritorniamo un momento all’iscrizione di Orléansville: essa
è scritta nel centro di un musaico raffigurante; il labirinto; in un
certo qual modo ne è la continuazione, labirintò di lettere in un
labirinto di parole.
Conservando il valore profilattico della formola, essa fu probabilmente scritta in un musaico pavimentale appunto per questo suo
carattere di labirinto, assieme o al posto di una di quelle rappresentazioni schematiche del monumento dedaleo che così frequentemente ritornano sul suolo degli edifici religiosi medioevali. Di
questi probabilmente doveva avere lo stesso uso e lo stesso significato simbolico.
L’ iscrizione musiva del musaico cremonese aveva dunque
doppio valore, profilattica come amuleto, e simbolica come labirinto.
I casi di iscrizioni profilattiche su musaici cristiani, senza essere molto comuni, non sono però nemmeno rarissimi.
Generalmente si hanno acclamazioni augurali che accolgono
il fedele sin dall’accesso al santuario, come già in epoca pagana
sulla soglia del tempio d’ Esculapio a Lambese (1) stava scritto:
BONVS INTRA MELIOR EXI
A tale tipo di iscrizioni si riattacca quella della cappella di
Sidi-Ferruch, presso Algeri (2):
PAX INTRANM(TIBVS)
In Palestina, abbastanza di frequente, le iscrizioni sulle soglie
riproducono alcuni versetti dei Salmi ehe ben si confanno allo
scopo. A Betlemme su di un musaico scoperto nel 1894 a due terzi
(1) C.I.L., VIII, 2584; cfr. l’iscr. delle terme di Setif, idem, 8510, a, b.
(2) Cfr. De PACHTÈRE, Inv. des mosaig., n. 363.
i
I DATI STORICI RELATIVI Al MUSAICI PAVIMENTALI 371
della collina che forma il lato settentrionale dell’uadi Kharroubeh,
stanno scritti i versetti 19-20 del salmo CXVII (1): « apritemi le
« porte della giustizia, io vi entrerò e vi celebrerò l'Eterno. Questa
« è la porta del Signore, i giusti vi entreranno ». A Gerusalemme
appare, in un musaico del santuario di S. Pietro ad Gallicantus (2),
il versetto 8 del salmo CXX : « Che il Signore protegga la vostra
» entrata e la vostra uscita » (3). Ancora a Gerusalemme, in un
musaico scoperto sul monte degli Ulivi nel convento dei Carmelitani (4), sono combinati i versetti 20 del salmo CXVII e 8 del CXX.
L’uso di codeste formole di benedizione per coloro che entrano
nel luogo sacro, non è limitato ai templi pagani ed ai cristiani: lo
ritroviamo anche nelle sinagoghe, come in quella di Egina (5) ove
l'iscrizione è probabilmente del Ill secolo, e nei santuari dei misteri, fra i quali quello dedicato ad Attis scoperto nella vigna Casali a Roma (6), ove l’iscrizione dice:
INTRANTIBVS < HIC - DEOS
PROPITIOS © ET © BASILICae
HILARIANAE
Codesti due esempi mostrano, come sempre, il naturale trapasso dal paganesimo al cristianesimo, attraverso il culto giudaico
e quello dei misteri.
(1) SEjouRrNnf, in Revue Biblique, IV (1895), p. 442; LAGRANGE, stesso period., pp. 625-626; HorniG, in Zeitsch. f. deut. Palast. Ver., XXXII, 1909, p. 132.
(2) GERMER-DURAND, in Echos d’Orient, 1908, p. 78; HORNIG, Op. cit., p. 124;
Vincent, in Revue Biblique, 1908, pp. 409-410; ZACCARIA, in N. Bull. arch. crist.,
1912, tav. I-Il; GERMER-DURAND, in Revue Bibligne, 1914, p. 227 e tav. IX, n.8.
(3) Questo versetto figura anche su alcuni architravi di chiese siriache, come
a Sabbà (del 546) e Serdjilla: cfr. W. K. PRENTICE, Magical formulae of lintels
of the Christian period in Syria, in Amer. Jour. of Archeol., 1906, pp. 141 e 149,
e in Transactions of Americ. Philol. Assoc., 1902, p. 94. :
(4) GERMER-DURAND, in Revue Biblique, I (1892), p. 585, e Cosmos, XVII,
P. 73. : (5) FRAENEEL M., Inscript. Gr. Aeginae, ...., 1902, n. 190 e add. p. 379.
(6) Cfr. fra tutta la ricca bibliografia del monumento, la relazione in Notizie.
degli scavi, 1889, p. 398; 1890, pp. 79 e 113. L'iscrizione era accompagnata da
un «€ fascinum »; perciò il suo doppio valore di acclamazione e di amuleto. Su
tale « fascinum » si cfr. Melusine, VIII, coll. 55-57.
372 UGO MONNERET DE VILLARD
L’uso di codeste iscrizioni si riconnette con l’antichissimo con--
cetto della santità della porta, ma durante l’epoca classica non hanno
maggior importanza di un semplice saluto o di un avvertimento
o di un consiglio. Tali sono le formole musive di Pompei, HAVE,
SALVE, SALVE LVCRV, LVCRVM GAVDIVM, CAVE CANEM (1); nelle terme, come a Brescia, è la formola BENE LAVA (2);
sul pavimento di una casa di Cartagine sta scritto AGIMVR NON
AGIMVS (3); mentre l’acclamazione greca KAIRE si ha a Salemi (4) e a La Mas Foulc nella Narbonnese (5).
Maggior sviluppo ha quella che sta al centro di un musaico
di Elche (6), che alcuni autori erroneamente hanno voluto cristiano:
IN H - PRAEDI S VIVAS CVM i TVIS OMNIB MVLTIS AN NIS 4
Alla santità della porta era necessariamente congiunta la protezione di questa contro ogni qualsiasi influenza maligna: i due
concetti, strettamente legati, dovevano dar origine ad un’altra serie
di iscrizioni e di figurazioni magiche ed agli scongiuri protettivi,
amuleti fissi, invariabilmente connessi con l’edificio od il luogo
che dovevano proteggere. |
Le rappresentazioni del « fascinum » sulle soglie, eseguito in
musaico, si constata in hon pochi edifici tunisini, come ad El
——_ —-
(1) C.LL., X, 872-875, 877.
(2) C.I.L., V, 4500; cfr. anche quelle delle Terme di Timgad, in DE
PACHTÉRE, Op. cit., n. 77 € 100.
(3) GAUCKLER, Invent. des mosaig., n. 593.
(4) Notizie degli Scavi, 1875, p. 357; 1893, p. 428; 1895, p. 356; Ameri.
Journ. of Archaeol., XI, 1896, p. 296.
(5) LaravE, Iuvent. des mosaig., N. 341.
(6) P. IsArra, in Jabrbich. d. K. D. Arch. Inst,, 1899, Beiblatt, p. 198, e
Revista de la Asociation artist. arqueologica Barcelonesa, 1899, n. 16, p. 320;
Wochensch. f. Klass. Philol., XVI, 1899, p. 1353; Buletin de la Real acad. de la
Hist., XXXVI, 1900, p. 166 sgg.; Rom. Quartalsch., 1900, p. 227; Revue des
études anciennes, Il, 1900, p. 65; Ephemeris epigraphica, IX, n. 351.
I DATI STORICI RELATIVI Ali MUSAICI PAVIMENTALI 373
Aerg (1); la casa di Sorothus a Soussa (2); la casa d’ Industrius
a Udna (3) ove il « fascinum » è accompagnato dall’iscrizione
OES | AES; quello pornografico di Tor de’ Conti accompagnato
dall’iscrizione greca EPPE (4), il contrario di Yaîge, che fa pensare al cattivo umore di quel proprietario di casa di Cherchel (5)
che ha fatto scrivere nel musaico LEGE ET CREPA; quello di
Sussa, ora al museo, con l’iscrizione O ‘ CHARI -. Non so se hanno
valore protettivo gli oggetti rappresentati su una soglia di casa
pompeiana, accompagnati dall’iscrizione LVCRVm ACIPE (6).
Sono note le iscrizioni lapidarie contro l'invidia, come quella
su una porta dell’isola gi Zacinto e l’altra su un epitaffio lugdumense (7), e quella contro il malocchio di cui una variante, BIDE
VIVE BIDE POSSAS PLVRIMA BIDere, appare sul musaico alla
soglia dell’oecus verso l’atrio di una casa romana a Cartagine sul
terreno degli Uled l’Agha (8). I musaici di questa casa sono attri-.
buiti ai see. V]-VII, e presentano un curioso miscuglio di forme
pagane e cristiane, miscuglio che si rivela anche con la presenza
dello scongiuro antico in piena epoca cristiana.
L’uso di inscrivere formole magiche nei musaici pavimentali
non soffre continuità dal mondo antico al medioevo.
(1) D. Nowak, Fouilles d’une ville romaine, Publ. de Passoc. hist. de DAfrique
du Nord, 1901.
(2) GAUCKLER, Iuvent., n. 121.
(3) GAUCKLER, Mon. et mém. Piot, III, 1897, p. 181 sg.; La BLANCHÉERE
Er GAUCKLER, Catal. du musee Alacui, A, p. 28, n. 189 e tav. VIII.
(4) Corp. Insc. Graec., 6131, c. Sul fallo profilattico, Mélusine, VIII, coll.
103-109.
(5) C.LI.L., VIII, 9421.
(6) C.L.L., X, 876.
(7) Corp. Inscr. Graec., 1935 e 6792. Su un'iscrizione contro il malocchio
e l'invidia, a Khamissa, cfr. C. ‘R. Acad. Inscr., 1916, pp. 38-39.
(8) Nouv. Arch. des missions, XV, 1907, tav. XXVII; GAUCKLER, C. R. Acad.
Inscr., 1904, p. 695 sg.; ENGELMANN, Berliner Philol. Wochenschr., 1906, p. 1119,
n 35, © 1907, p. 478 e sg.; GUNDERMANN, Rbein. Mus., LXII, 1907, p. 157, Sg.
Cfr. l'iscrizione di Thala, HOC VIDE VIDE ET VIDE VT POSSIS PLVRA
VIDERE: cfr. JaHun, in Berich! d. Sachs. Gesellsch., VII, 1855, p. 57, 66 sg.;
TucHmann, in Mélusine, VIII, coll. 103-104.
374 UGO MONNERET DE VILLARD
V.
Tutti gli elementi sin’ora raccolti se forniscono molti dati interessanti intorno alla storia dei musaicì pavimentali lombardi, se
pur mettono in evidenza alcuni influssi che ha subìto questo gruppo
o scuoka che dir si voglia, non sono suffigienti a delinearne la storia: ci mancano dati intorno agli esecutori ed iscrizioni storiche
che li fissino cronologicamente.
E’ vero che in generale assai poco sappiamo intorno all’arte-
. fice che lavorava i musaici durante l’epoca cristiana, il « musearius »
dell’editto diocleziano (1), « musivarius » nel codice Giustinianeo,
in quello di Teodosio ed in Cassiodoro (2). Giustamente il Gauckler
osserva (3) che questi nomi non dovevano designare in origine se
non l’operaio in « musivum » ben distinto, come si vede dal codice Teodosiano (4), dal « tessarius » o « tessellarius » o « pavi-
« mentarius » (5).
Le firme degli esecutori sono assai rare; quella di VEOAOTAOT
a Soussa (6) palesa l'epoca bizantina. Interessante è quella dell’edificio cristiano di Beni-Hassem (7), ove è scritto IC OFICINA
LAVRI PLVRA FACIAS ET MELIORA EDIFICES. Due altre
firme troviamo in Palestina: un Antonio Galoga su un musaico di
(1) VII. 6.
(2) Cod. Just., X, 64, 1; Cod. Theod., XII, 4, 2; Cass., Var., VII, s_ Cfr.
anche ORELLI, 4238.
(3) Mote sur les mosaistes antiques, in Mém. de la Soc. Nat. des Antiq. de
France, 1902, pp. 188-198.
(4) XII, 4. 2. Cfr. C.I. L., IV, 4508, 7044; ORELLI, 2965. Dell’ a' artifex
« artis tessalariae lusoriae » di ORELLI, 4282 nulla sappiamo.
(5) Musaico di Porciano, C. I. L., XI, 1223, 6730, n. 3. L' iscrizione dell'Appia C.I.L., VI, 243, del 19 e. v., indicante l’esistenza di un collegio di
pavimentari, è documento unico e non del tutto alieno da sospetti.
(6) GAUCKLER, Invent., n. 163, del VI secolo.
(7) GAUCKLER, Invent., n. 117 e C.I.L., VIII, 11153, V secolo.
I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 375
Bettir probabilmente del VII secolo (1) ed un Salamanios a MAdaba (2).
In Italia nessun altro ricordo del genere abbiamo se non quello
trasmessoci da un grafito della Platonia nel cimitero ad catacumbas,
di un operaio e dei suoi allievi:
MVSICVS CVM SVIS LABVRANTIBVS VRSVS
FORTVNIO MAXIMVS EVSEbius. ..........
Ne meglio stiamo con le iscrizioni storiche cioè datate o ricordanti qualche grande personaggio, tali cioè da fornirci un documento cronologico sicuro.
Infatti nel gruppo di monumenti che ci interessa non abbiamo
se non quattro iscrizioni storiche: la più antica è quella del vescovo Teodoro ad Aquileia datata del primo quarto del IV secolo;
segue quella di Serena moglie di Stilicone per il pavimento della
chiesa dei SS. Apostoli o di S. Nazaro a Milano della fine dello
stesso secolo; quella dell’ ambulacro della basilica episcopale di
salona dei vescovi Simferio ed Eutichio cioè dell’inizio del V secolo. Un'ultima iscrizione, a Dos Trento, porta il nome del vescovo
Eugippo, cioè è del 536-542 circa (3). |
Davanti a codesta povertà per raggiungere una determinazione
cronologica sufficiente dobbiamo ricorrere a tutti gli altri indizi. Il
primo è quello del formulario delle iscrizioni stesse, intorno al
quale ho già dato qualche criterio di massima. Poi la grafia stessa
delle lettere, ed a proposito di questa è necessaria una osservazione. Non si debbono osservare e studiare le iscrizioni dei musaici con lo stesso criterio con cuì si studiano le iscrizioni incise
su marmo, o dipinte, oppure le calligrafie dei manoscritti. Il mu-
————__
(1) VINCENT, in Revue Biblique, I9IO, pp. 254-261.
(2) MANFREDI, in Revue Biblique, 1902, pp. 426-428. Il nome è semitico:
si confrontino le forme vicine che si presentano nel Hauran, in WADDINGTON,
n. 2262, 2337 e 2147. E' pure nome semitico quello di Barnabion, padre di
Eutiches che firmò il musaico pagano di El Mas’ ùdije sull’Eufrate: ctr. Von
OrreNHEIM unD LuKas, in Byzant. Zeitschr., XIV, 1905, pp. 58-59 e tav. IV.
(3) Cfr. Archivio Trentino, XV, p. 248 sg.; XX, p. 129 sg. Lo stile del
masaico concorda con la data.
-
Sar:
376 UGO MONNERET DE VILLARD
saicista dispone di uno strumento assai meno duttile non dico solo
della penna e del pennello ma dello scalpello stesso: i vincoli im
postigli dalla struttura e dalle dimensioni delle tessere sono molto
forti. Egli è quindi per necessità condotto ad alcune forme grafiche:
così le lettere quadrate riescono più facilmente eseguibili in musaico che non le tonde. Sarà facile quindi riscontrare la forma
quadrata della C, dell’O, la N quasi simile ad H, anche in epoca
nella quale le iscrizioni in marmo o la calligrafia non offre con
frequenza simili varianti. Bisogna tener conto che i pavimentari
erano degli umili artisti, ed in questi è sempre insita una certa
qual forza conservativa di usanze già tramontate. Si dovrà quindi
agire con grande prudenza in questo ordine di ricerche, onde non
troppo invecchiare le opere pavimentarie (1).
Altro sussidio per la storia dei musaici ci vien dato da quella
dell’edificio in cui si trovano: ma è a tutti nota la povertà dei dati
di cui disponiamo relativi ai monumenti del primo periodo medioevale. Inoltre è sempre arduo stabilire se il musaico è sincrono
alla costruzione dell’edificio o frutto di un abbellimento posteriore.
In più solide basi fondiamo le ricerche quando ci è dato studiare la stratigrafia di parecchi musaici sovrapposti, l’epoca di uno
dei quali almeno ci è nota.
L’esempio più importante di questo caso ci è dato dal complesso monumentale della basilica Eufrasiana di Parenzo. Ivi abbiamo un primitivo oratorio cristiano ove in un pavimento pagano
sono stati inseriti dei simboli cristiani. Successivamente un ingrandimento . della primitiva ecclesia che offre già un pavimento con
iscrizioni di donatori: l’uso del nome di Melania venuto caro ai
cristiani dopo l’anno 4oo circa e tenuto conto che l’unico avvenimento che può aver provocata la trasformazione dell’edificio fu la
traslocazione del corpo di S. Mauro, ci permettono di datare il
pavimento del 403-408. Al di sopra di questo sta il pavimento della
basilica pre-eufrasiana, compresa quindi fra gli anni 4io e 440. Infine il pavimento della basilica di Eufrasio, databile dal 543 al 554.
(1) Di questo criterio non mi sembra abbia tenuto conto sufficiente il CiPoLLA,
Il velo di Classe, in Gallerie Italiane, III, pp. 240-241, studiando le iscrizioni dei
musaici lombardi e piemontesi.
È
I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 377
Tutte le considerazioni di questo genere possono essere di
validissimo aiuto nel redigere la storia dei musaici pavimentali:
ma un altro criterio ancora può esserci di sussidio, intorno al quale
è bene soffermarci lungamente, ed è l’iconografia delle scene rappresentate sui musaici.
VI.
Il criteriò iconografico è uno dei più difficili ad applicarsi e
dei più delicati nell'uso; ciò a,causa principalmente del perseverare di alcuni motivi per lungo tempo. |
All’inizio dell’arte cristiana nei musaici pavimentali, come in
tutte le forme d’arte, l'iconografia pagana fa largamente le spese
delle nuove rappresentazioni. Le scene bacchiche del mausoleo di
Costanza sulla Nomentana sono un esempio; e a noi più vicino il musaico del vescovo Teodoro ad Aquileia mostra, come molti musaici
africani, il perseverare in epoca cristiana delle più belle figurazioni
antiche. Ciò è naturale in opere eseguite all’inizio del IV secolo,
come è naturale trovare diffusissimi i simboli e le figurazioni del
nuovo culto; il Buon Pastore ad Aquileia, una figura nimbata, Cristo
od un santo, a Tabarka (1), l'adorazione dei Magi a Teano. Solo
quando gli scrupoli del concilio di Elvira ispireranno il Digesto (2)
e la legge di Giustiniano, sarà impedito di rappresentare sui pavimenti i segni del Salvatore. E il concilio dell’anno 787 proscriverà la rappresentazione delle scene dell’ippodromo e di danza
così frequenti sui musaici africani.
Ma i soggetti mitologici mai non-scompaiono dall’antichità sino
alla rinascenza del secolo XI; così i miti delle fatiche d’ Ercole
ritornano nell’arte bizantina a Costantinopoli sul suolo della chiesa
del Pantocrator. Il mito d’Orfeo che, forse per il suo significato
(1) La BLancHWérE ET GAUCKLER, Musée Alaoui, p. 18, n. 56, tav. IV.
(2) Nemini licere vel in solo, vel in silice, vel in marmoribus humi positis,
signum Salvatoris Christi insculpere vel pingere. Digesto, lb. I, tit. VIII.
378 UGO MONNERET DE VILLARD
sepolcrale {1), fu tanto diffuso nei primi secoli cristiani, persevera
nel musaico pavimentale di Arnal (2), forse cristiano, ed in quello
di Gerusalemme.
Dal punto di vista del simbolismo sepolcrale, un musaico lombardo merita più attento esame.
Uno dei più interessanti musaici pavimentali di Lombardia è
quello scoperto in Como sul finire del 1908, durante i lavori di
sterro per il nuovo palazzo della Società Bancaria Italiana, all’angolo fra la via Vitt. Emanuele e Tomaso Perti. I frammenti, incompleti ed in parte mal restaurati, si trovano quasi tutti oggi al Museo
Civico di Como (3).
Il musaico rivestiva interamente il suolo di un locale rettangolare, di circa 8,40 X 7,00 mt. A tale locale si accedeva a mezzo
di due porte sui, due lati maggiori, immediatamente addossate ad
uno dei lati minori, dell’apertnra di mt. 1,75.
Il pavimento vermicolato era posto sul solito sottofondo di
tipo classico, « nucleus », « radus » e « stratumen »; ‘erano cioè
tre strati, uno ad acciottolato, il secondo di grossolano impasto
calcareo, il terzo di malta cementizia di calce con coccio pesto. Il
piano del pavimento era a mt. 2,50 sotto l’odierno suolo, corrispondente cioè al piano romano e paleo-cristiano di Como. Era
formato con tessere irregolari di circa 11 mm. di lato; esse erano
di otto colori, ottenuti con ‘pietre naturali. Il nero era marmo di
Varenna, il bianco calcare comune, il grigio da vene di cipollino
lacuale, il rosso da pietra d’Arzo, il giallo e l’incarnato con marmo
probabilmente veronese. Solo il verde e l'azzurro erano ottenuti
con paste vitree, simili a quelle del musaico milanese di via Passerella.
(1) HeussnER À., Die altchristl. Orpheusdarstellung. Cassel, 1893; GRUPPE
in RoscHER, Lexîk., coll. 1202-1207.
(2) M. pe Assas, Nociones fisionomico-histéricas de la arquil. espafi., in
Seminario pintoresco esp., 1857. E’ dubbio assai sia cristiano il musaico di Herkstow come lo vuole il LecLERCO, in CaBROL, Dict., art. Brettagne, coll. 1182,
fig. 1634. La bibliografia e l'elenco dei musaici con la rappresentazione di Orfeo
si veda in GRUPPE, Op. cit., coll. 1189-1193, GAUCKLER, in DAREMBERG ET SAGLIO,
art. Musivum cpus, p. 2119, n. 5, e negli indici degli /nventaires più volte citati.
(3) Per i dati intorno al ritrovamento cfr. F. FrIcERIO e B. Nocara, Gli
scavi ed il musaico della società Bancaria Italiana, in Riv. Arch. d. Prov. e antica
Diocesi di Como, 1912, fasc. 63-64.
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Archivio Storico Lombardo - 1910.
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COMO - Musaico pavimentale cristiano.
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I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 379
Il musaico è tutto racchiuso da una fascia ornamentale composta da tre zone: l’interna e l’esterna sono bianche, la mediana
è percorsa da una linea serpeggiante nelle cui sinuosità stanno
racchiuse, nelle parti più vicine agli angoli della camera, dei fiori
a tre petali, mentre nella parte centrale vi sono delle foglie d’edera,
Il tipo di tale fascia non è nuovo: la prima parte ripete un motivo decorativo di origine egizia che largamente fu usato dai musaicisti bizantini del V e VI secolo (I), e fu qualche volta anche
usata, con schema semplificato a semplici ondeggiature, dai musaicisti latini del Lazio (2). La seconda parte appartiene al repertorio
abituale del musaico romano, ed è specialmente diffusa nella Naybonnese.
Il campo del musaico è diviso in due parti: l’una ha una decorazione geometrica composta fondamentalmente da circoli inscritti
entro esagoni sui lati dei quali sono costruiti dei quadrati che racchiudono fra loro dei triangoli. Entro tali figure geometriche stanno
delle decorazioni di vario genere, forme schematiche e forme vegetali, nonchè animali, pesci, lepri, uccelli e granchi.
La parte miriore del musaico, ma la più importante, forma un
quadro a sè, racchiuso in una propria cornice decorata a tortiglione. Nel campo è raffigurato un triplo porticato retto su quattro
colonne: le due centrali sono decorate da spire formanti delle colonne torte, mentre le due estreme sono colonne squamate.
Gli archi impostati sulle colonne sono decorati con una linea
serpeggiante a foglie d’edera, e nei triangoli mistilinei fra gli archi
e la cornice sono dei cesti di vimini da cui escono dei tralci di
vite con grappoli. Ad ogni arco è figurato appeso un vaso fiancheggiato da due colombe e fra le imposte dell’arco sono tese delle
sbarre da cui pendono, nell’arco centrale dei festoni, e nei laterali
delle cortine raffigurate aperte e legate alle colonne.
L’ intercolonnio centrale ha nel mezzo un cantaro portato da
una bassa colonna torta fiancheggiata da due cervi; nell’ intercolonnio di destra il musaico è disgraziatamente lacunoso, ma do-
(1) Per non citare se non qualche esempio cfr. i musai di Henchir-Chigarnia,
Soussa, Tabarka, Henchir-Sidi-Djedidi, Oudna e El-Djem, in Invent. des mosaiques.
Tunisie, n. 261, 163, 940, 523, 375 € 71, ridrodotti nelle tavole dell’atlante.
(2) Cfr. Ricci, I/ mausoleo di Galla Placidia, pp. 69 e 70 dell'estratto.
380 UGO MONNERET DE VILLARD
veva portare una rappresentazione analoga a quella di sinistra, ove
è rappresentata una figura virile che s’appoggia con la sinistra ad
un tirso e tiene la destra tesa. E’ vestita con una tunica senza
maniche, serrata alla cinta.
Il monumento presenta dunque un assieme di motivi vari ed
interessanti; ma la sua esecuzione è rozza ed irregolare, il disegno
molte volte sgraziato e scorretto, specialmente nella figura maschile. Ha cioè tutte le caratteristiche di un’opera provinciale che
ripete i motivi tolti alle produzioni delle grandi città, ma eseguiti
da maestranze poco abili e non all’altezza del compito.
I problemi che dobbiamo risolvere riguardo a questo musaico
sono quelli dell’ epoca della sua esecuzione, del suo significato e
quindi della destinazione del locale che esso decorava.
Nulla ci insegna la struttura del sottofondo. La sua struttura,
per la quale non vi erano certo regole canoniche come ci insegnano
gli infiniti musaici sino ad oggi studiati, è la più comune, quella
che si osserva quasi di regola, il che le toglie ogni valore cronologico (1).
Qualche maggiore indicazione ci offre il materiale impiegato
e specialmente l’uso delle paste vitree. Queste non entrano nella
composizione dei pavimenti se non in un’epoca tarda che non è per
I’ Italia cisalpina anteriore al IV secolo. Il loro uso è anche molto
limitato e non comincia a diventare relativamente frequente se non
nel V secolo. |
Anche la parte geometrica del musaico ci può offrire qualche
lieve indizio. Essa è, molto deformata e pessimamente eseguita, la
struttura ad esagono stellato. Tale struttura sappiamo essere di
origine orientale e non romana, e solo relativamente tardi introdotta nell’arte d’Occidente. La conoscenza incompleta si presenta
nel musaico di Zollfelde in Austria (2), mentre essa è ben appli-
(1) I musaici delle Gallie, a cui è bene confrontare il nostro, posano su fondie
diversissimi: cfr. BLANCKET A., Eiude sur la decoration des édifices de la Gau\
Romaine, Parigi, 1913, pp. 72-75. La stratificazione di Como si osserva a Dalheim
nel Lussemburgo ; cfr. Publ. de la Soc. d. Mon. hist. du Luxemb., IX, 1853, p.93.
ed è quasi eguale a quella di Neuville-sur-Seine; cfr. Bull. Monument., XX, 1854
p. 58, e di Les Cléons.
(2) Mittheilungen d. Centralcomm., 1899, p. 52.
=
I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 381
cata in quello di Bir-Chana (1). Strutture simili alla comasca si
hanno ad Aix di Provenza e Aps (2). E l’uso che a Como si osserva di inserire piccole figure di animali nel tracciato geometrico
ci richiama alcuni musaici cristiani palestinensi (3).
Già questi indizi ci inducono a porre l’esecuzione del musaico
lombardo in epoca cristiana: però la maggior conferma l’avremo
dallo studio della parte figurata, il motivo architettonico delle arcate poggianti sulle colonne torte e squamate, i gervi affrontati ai
lati del cantaro e la figura bacchica.
E cominciamo l’analisi dagli elementi architettonici.
Il primo elemento che attira la nostra attenzione è la decorazione delle colonne che figurano sul nostro musaico. Non è il caso
di ripetere quanto è già stato detto a proposito dell’origine orientale della colonna torta e della diffusione sua in Occidente (4): qui
non la reale colonna, elemento architettonico, ci interessa, ma ben
più la sua rappresentazione su sarcofagi, su avori, su musaici, in
generale su opere d’arte decorativa.
Infatti troppo poco elementi abbiamo ancora oggi per stabilire
l'epoca della introduzione della colonna torta architettonica nelle
singole regioni e provincie dell'Impero. Due esempi frammentari
di colonne torte, del diametro di mt. 0,40, si sono trovate nella
regione comacina: l’una sta al museo di Como, l’altra fu rinvenuta
nel 1912 durante i restauri della basilica di S. Vincenzo in Galliano. Una rappresentazione di tali colonne figura sul misterioso
monumento scoperto nel 1840 in via G. Verdi in Milano (5). Su così
scarsi elementi non si può fondare nulla.
(1) GAUCKLER, Invent. des mosaiques, n. 447 e tav.
(2) LaravE, Invent. des mosaiques, n. 45 e 273. Il più bell'esempio del tracciato è il celebre musaico dei Filosofi a Colonia.
(3) Cfr. quello della cripta dell’Elianeo a Madabà, il musaico al convento
della Croce a Gerusalemme e in questa stessa città il musaico armeno sul monte
degli Ulivi presso la casa dell'archimandrita Russo, forse del tempo del vescovo
Giacomo (614). Il musaico di Midabi è datato da un'iscrizione del vescovo
Sergio dell’anno 595 d. C. Per le rappresentazioni di animali entro scomparti
geometrici cfr. anche l’altare d’Agnello nel Duomo di Ravenna.
(4) Cfr. V. CÒapor, La colonne torse et le décor en hélice dans Part antique,
Parigi, 1907; U. MonnERET De VicLarp, La colonna torta, in Il Politecnico,
1910, n. 24.
(5) Ora al museo Archeologico: riprodotto in Romuss:, Milano ne’ suoi
monumenti, Milano, 1912, p. 139.
382 UGO MONNERET DE VILLARD
Certo è che la rappresentazione di colonne torte su musaici
anteriori al IV secolo non credo sia stata mai documentata (1).
Nel musaico di Como le colonne sono anche squamate: è un
tipo decorativo che si può dir ignoto all’ arte romana e che nel
nostro monumento presenta forme che si riallaccino alla decorazione figurata orientale, e che ricordano, pur senza essere per nulla
simili, le decorazioni miniate che ornano il Cronografo dell’anno 354.
Anche le artate su colonne sono elementi entrati nella reale
architettura d’Occidente solo dopo la costruzione del Palazzo di
Spalato (2), benchè anteriormente appaiano nella decorazione dei
sarcofogi (3). Nei musaici romani sono rare: lasciamo da parte la
rappresentazione del « navale » ostiense, ove le arcate poggiano
su pilastri (4), ed alcuni musaici della Gallia meridionale, come
quelli di Taron nei Bassi Pirenei, due a Nimes, quello di SaintRomain-en-Gal (5), e quello di Brigantium (6), che in generale non
vogliono essere se non rappresentazioni prospettiche di quadriportici. Anche nel musaico tunisino di Gafsa abbiamo delle rappresentazioni di arcate direttamente poggianti sui capitelli, retti per
di più da colonne torte: è la rappresentazione dei portici e delle
carceri dell’anfiteatro (7). L’opera è assai rozza, d’epoca bassa assai, bizantina o vandalica. |
La serie di queste rappresentazioni di reali edifici ci offre altri
monumenti d’epoca cristiana: così il musaico algerino della basilica
(1) Cfr. il musaico di Centcellas in Put y CADAFALCH, FALGUERAS y Gonar,
L°arquitectura romanica a Catalunya, I, Barcellona, 1909, pp. 236-238, fig. 293,
da alcuni ritenuto cristiano.
(2) Gli esempi pompeiani studiati dal Rivoira, L’arch. musulmana, Milano,
PP. 75-76, tig. 65 (e Not. Scuvi, 1910, p. 319, fig. 2) non sono se non architravi
curvi, piattabande arcuate, su cui ritornerò per dimostrare il loro nessun rapporto
con l'arco di Spalato.
(3) ALTMANN, Architektur und Ornamentik der antiken Sarcophage, Berlino,
1905, passim.
(4) PascHETTO. Ostia colonia romana, Roma, 1912, p. 349.
(5) G. Larave, Invent. des mosaiques, n. 418, 297, 299 € 301; 243. Alcuni
dettagli del musaico di Taron in GERSPACH, La mosaique, p. 16.
(6) Mittheil, d, Centralcomm., 1886, p. 73.
(7) Invent. des mosaiques, Tunisie, n. 321. Si cfr. le colonne torte del musaico di Suèvres, Znvent. cit. Gaule, I, n. 956.
-
I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 383
di S. Reparato ad Orléansville (1), certamente anteriore all’anno
475, raffigura un’ arcata portata da due colonne torte, ai fianchi
delle quali sono dei cantari ove vengono a bere delle ‘colombe.
Ma la rappresentazione del pavimento di Como non è punto
realistica ma decorativa. Deve essere messa in rapporto con certe
terracotte romane con figurazioni di paesaggi nilotici, una in doppio
esemplare, al museo di Berlino (2) ed al museo di Campidoglio, e
l’altra scoperta ad Ostia nel 1912 nella via che corre lungo il muro
nord della caserma dei vigili (3).
Meglio ancora richiamarci ai sarcofagi cristiani, specialmente
a quelli di tipo ravennate, ad arcate su colonne. Uno di S. Apollinare in Classe (4) porta la stessa rappresentazione di cortine
aperte che sono sul pavimento di Como. E la lavorazione musiva
di queste è identica alla tecnica delle cortine raffigurate, pure in
S. Apollinare in Classe, nei tabernacoli con le figure di Urso,
Ursicino, Severo ed Ecclesio (5).
La rappresentazione di Como ha tutto l’aspetto d’essere derivata dall’imitazione di un fianco di sarcofago ravennate: non dico
che però le arcate decorative manchino sui musaici, tutt’ altro. Il
motivo d’inquadrare in arcate su colonne personaggi o scene è
quanto mai diffuso nell’arte cristiana dalla miniatura, cominciardo
con l’evangelario di Etschmiadzin (6), sino ai musaici parietali di
Ravenna già citati, quello absidale di S. Francesca Romana e più
che tutti quello scoperto nel XVIII secolo nella chiesa della Dorada a Tolosa (7), che offrono esempi del motivo adattato su piani
verticali. |
(1) Invent. cit. III, Algerie, n. 451; cfr. sul musaico di Grand (Id. n. 1600)
la rappresentazione di un teatro (?).
(2) Riprodotta in Erman, La religione egiziana, Bergamo, 1908, p. 269,
fig. 158.
(3) Riprodotta in No/. scavi, 1912, p. 278, fig. 8.
(4) Fot. Ricci, n. 70$.
(5) Fot. Ricci, n. 279, 280.
(6) A questo proposito ricordo l'evangelario armeno del convento mechitarista di Venezia (X sec.) ove sotto le arcate dei canoni è un vero paesaggio egiziano con barche, coccodrilli e piante. Ciò riconduce all’origine egizia del motivo: cfr. STRZyGOWSKI, in Wiener Studien, XXIV, 1902, p. 433 Sg.
(7) Invent., cit., I, n. 369: riprodotto in De MontÉGut, in Memoires de
PAcad. de Toulouse, I, 1782, tav. IV.
384 UGO MONNERET DE VILLARD
In codesto musaico di Tolosa si hanno tre file sovrapposte di
arcate: sotto le ventidue della prima fila sono personaggi e scene
del Vangelo, in quelle della seconda fila gli apostoli, i profeti e
gli angioli, e sopra ancora i personaggi dell’antico Testamento. ll
processo verbale, steso nel sec. XVIII, lo attribuisce al V secolo,
ma credo se ne debba abbassare l’esecuzione al medioevo inoltrato.
Nei musaici pavimentali il motivo appare a S. Ireneo di Lione,
in un monumento, oggi scomparso, attribuito al secolo X, ove sotto
file d’arcate erano raffigurate le scienze, designate da iscrizioni (1).
Nel musaico di S. Colombano a Bobbio ed in quello di S. Michele
di Pavia vi sono le rappresentazioni dei mesi; in quello di S. Benedetto di Polirone, del 1151, stanno invece le virtù. Come si vede
il motivo prosegue in piena epoca romanica.
Per comprendere però quale valore e quale significato esso
aveva bisogna estendere l’indagine ad una più vasta serie di momumenti e ricordare conie il motivo delle arcate inquadranti figure
o scene simboliche sia largamente diffuso.
Lasciamo per ora da un lato i monumenti ove, entro’ talé cornice architettonica, si ha la rappresentazione dei mesi. Allora essa
non è se non una semplice decorazione architettonica, senza alcun
valore rappresentativo o simbolico. ll partito è già adottato nel
celebre calendario dell’ anno 354, eseguito a Roma da un artista
orientale ai tempi dei figli di Costantino il Grande; e si ripete per
tutto il medioevo sino in piena epoca gotica: infatti figura, per ricordare alcuni esempi, nelle pitture di Santa Maria ad Cryptas (2),
sull’architrave della porta di S. Ursino a Bourges come su quello
di Rampillon (Seine-et-Marne) e sui fonti battesimali di SaintEvroult-de-Montfort (Orne) (3). Altrettanto deve dirsi di quelle
opere ove sotto arcate sono rappresentate le arti o le scienze:
oltre i casi citati si veda la stoffa trovata nella tomba di Clemente IV a Viterbo (4).
(1) Riprodotto da ArTAUD, Hist. de la peint. en mosaique, tav. XIII
(2) BeRTAUX, L'art dans l’Italie meridionale, p. 303, fig. 118; migliore riproduzione in Emporium, vol XXIV, Bergamo, 1906, n. 144, p. 459.
(3) De LASTEYRIE, Architecture romane, fig. 717. 3
(4) Riprodotta in L'Arte, 1899, p. 283.
< -
I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 385
Bisogna invece prendere in considerazione un altro ordine di
monumenti e risalire alle prime epoche, ai tempi di formazione
dell’arte cristiana. .
Sarà bene perciò meglio precisare l’epoca di esecuzione del
pavimento di Como. Gli elementi già raccolti indicano che esso non
può essere anteriore al IV secolo: la tecnica sua è per di più meno
accurata di quella dei musaici pavimentali lombardi massimianei,
come i milanesi, il geometrico superiore di via Gorani e di casa
Stampa ed il musaico degli animali di piazza S.Giovanni in Conca.
Nel musaico di Como sono negli archivolti dei cesti da cui escono
rami, pampini e grappoli d’uva, motivo bacchico largamente diffuso: e non dimentichiamo la figura umana col tirso sotto l’arcata
sinistra. Tutto ciò farebbe pensare che esso ornava il pavimento
di una sala da mangiare (1). Ma la struttura architettonica dell’edificio di Como ove fu trovato si oppone a tale interpretazione: sarebbe logico e naturale allora attendersi una struttura musiva con
quadro centrale circondato da un bordo, oppure un musaico a varie
scene. L’esser la parte tigurata lungo uno dei lati, e disposta in
modo da non poter esser guardata se non addossandosi al lato
stesso, rende poco spiegabile la struttura della camera.
Per di più il locale, per quanto si può sapere, era isolato
giacchè non pare che durante lo scavo, disgraziatamente condotto
a dispetto di tutte le regole archeologiche, si siano trovati attacchi
di murature che possano far pensare aver appartenuto la camera
rettangolare ad un più vasto complesso architettonico.
Nè la rappresentazione degli animali ci riconduce necessariamente a considerare il pavimento come di edifizio civile. Essi apparivano su musaici religiosi con frequenza (2), dal musaico di
Sour (3), per i palestinensi già citati giù giù all'epoca romanica,
sia in basiliche, come in Aquileia nel musaico del vescovo Teo-
(1) Per tali decorazioni sui musaici delle Gallie cfr. BLANCHET, op. cit.,
pp. 112-114; il loro significato funerario (/ahreshefte des dosterr. arch. Inst., IV,
1901, Beiblatt, coll. 127, fig. 15) non è per il nostro caso.
(2) MunTz, Étud. iconograf. et archéol. sur le moyen-dge, Parigi, 1887. Les
pavements historiés, pp. 36-42.
(3) Duranp, in Annales archéolog., XXIII, XXIV.
Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. Ill. 25
386 UGO MONNERET DE VILLARD
doro (a. 308) (1), quanto in altri edifici annessi (mausoleo di Costanza, ecc.).
Ammessa la cristianità del musaico comasco, questo deve essere posteriore al IV secolo: infatti dalla lettera di S. Ambrogio
al vescovo Felice si rileva come alla metà di quel secolo la nuova
religione non solo non era largamente ed universalmente diffusa
a Como, ma richiedesse una intensa propaganda. Gli edifici religiosi di Como, sorti alla fine del IV od al principio del V secolo
le chiese cioè dei SS. Pietro e Paolo, di S. Carpoforo e di S. Protaso, erano ancora esterni alla città.
Ma l’argomento migliore per la cristianità del monumento ci
è dato dalla rappresentazione centrale, il cantaro affiancato dai due
cervi. Rappresentazioni analoghe ritroviamo su pavimenti di edifici
battesimali: quello della basilica Urbana di Salona, quello di Sens
ove il quadro coi due cervi è stato inserito in più antico pavimento (2), e quello di Mileto (3). Tali scene non sono se non la
figurazione grafica del concetto espresso nel salmo XLI, 1-2; e ì
versi figurano sul musaico salonitano:
SICVT CERVVS DESIDERAT AD FONTES AQVARVM
ITA DESIDERAT ANIMA MEA AD TE DEVS
Queste rappresentazioni sono assolutamente analoghe a quella
di Como e formano un gruppo attribuibile al V od al VI secolo.
Il simbolo del cervo è esenzialmente cristiano; già S. Gerolamo
compara l’animale al catecumeno (4). Da ciò la loro figurazione sui
pavimenti dei battisteri e nelle pitture parietali, già dal 340 circa,
con le pitture del cimitero di Marco e Marcellino (5), seguite da
(1) Fra i molti studi intorno a questo monumento si vegga PLANISCIG, in
Emporium, Bergamo, 1909, fasc. XII. Si cfr. i musaici tunisini di Dermesch e
dell’ Uadi Remel in GauckLer, 2asilig. chret. de Tunisie, Parigi, 1913, tavv. I
e XVIII.
(2) Gazette archeol., 1877, to. Ill, tav. 31-32; Bull. Soc. Nat. Antig. de
France, 1866, p. 188; BLANCHET, Invent. des mosaig. cit., n. 890,
(3) WIEGAND, in Abband. der Preuss. Akademie d. Wissensch., 1908.
(4) ln psalm. XLI, P. L., XXVI, col. 949.
(5) Cfr. Bull. Arch. crist., 1865, p. 12.
#
1 DAT1 STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 387
quelle del battistero di Ponziano (1), sino al musaico del battistero
di Valence (2). Anche dei cervi scolpiti o fusi erano nei battisteri:
ricordiamo quello che al Lateranense donò Costantino, come racconta il « Liber pontificalis » nella vita di papa Silvestro I, e quelli
aggiunti da Sisto Ill. Altri cervi furono dati’ alla basilica dei
SS. Gervaso e Protaso da Innocenzo |, ed un cervo di rame era
nel battistero costruito da Venanzio vescovo di Viviers.
A conclusione di tutto ciò non si può negare il carattere cristiano del musaico di Como. Solamente si potrebbero sollevare
obbiezioni per la figura bacchica; ma non bisogna dimenticare che
decorazioni bacchiche sono nella vòlta del mausoleo di Costanza,
che Orfeo non disdegna apparire sui pavimenti cristiani anche in
epoca tarda (3) e che furono usati da cristiani dei sarcofagi recanti
scolpite delle scene di estrema esaltazione dionisiaca. Ricordo quello
del cimitero Vaticano (4) ed uno del cimitero di S. Agnese (5).
Era dunque un battistero l’edificio di Como ornato dal musaico ? Due obbiezioni si oppongono a questa ipotesi: Ja mancanza
di ogni traccia di vasca dapprima. A questa si può opporre che
non è necessario che il musaico si trovasse proprio nel locale battesimale, ma poteva essere, come a Salona, in un locale annesso,
il « consignatorium » o altro. Più grave è la seconda, quella cioè
che richiama che sino all’inizio del secolo X] la cattedrale di Como
fu fuori della città murata, a S. Carpoforo prima e ai SS. Pietro
e Paolo poi. Non dobbiamo però nasconderci che certo nell’interno
della città doveva esser sorta, nel V secolo, una chiesa nel centro
urbano: e di tale chiesa, del titolo di S. Eufemia, troppo poco sappiamo per negare a priori che possedesse un battistero. La moltiplicazione di tali edifici in quei secoli è tutt'altro che rara.
La conclusione è che il musaico di Como debbasi attribuire
al V o meglio al VI secolo, come elemento di quel gruppo di fi-
(1) WiLPERT, Pitt. delle catacombe, tav. 269, n. 2.
(2) Gazette archéolog., 1877, t. III, p. 195.
(3) Ricordo il bel pavimento di Gerusalemme, d'epoca bizantina. Cfr. Revue
Bibligue, 1901, p. 4;6, Sg.; 1902, p. 100, sg. STRzYGOWSKI, in Zeilsch. f. deut.
Pal. Ver., XXIV, 1901, p. 139, sg. i
(4) CANCBLLIBRI, De secretariis, Roma, 1786, III, p. 142, tav.
(5) BOLDETTI, Osservazioni, Roma, 1720, pp. 466-467.
388 UGO MONNERET DE VILLARD
gurazioni che da Mileto, per Salona, la Lombardia, giunge nelle
° Gallie a Sens e Valence, la ‘solita linea che congiunge le manifestazioni dell’arte orientale con la lombarda e la propagazione delle
forme elaborate da questa nei paesi d’oltre alpe. E che deve aver
adornato un locale di culto annesso alla basilica di S. Eufemia,
la quale probabilmente deve la sua origine, come l’omonima dell'Isola Comacina (1), al trasporto delle reliquie della Santa operata
da Abondio vescovo, di ritorno dalla sua legazione a Costantinopoli, mentre il suo collega Senatore lo diffondeva a Milano. Ciò
avveniva nell’ultimo terzo del V secolo.
Il ricondurre a codesta origine il musaico può anche spiegare
le sue forme bizantineggianti. Oltre ai particolari di cui ho già
parlato, uno ancora voglio ricordarne. Le basi delle colonne figurate sul musaico di Como sono, non del tipo romano, orientali.
Esse appaiono a tre scaglioni, rappresentazione cioè di tre parallelepipedi sovrapposti. Basi dì tale tipo sì trovano realizzate nel
VI secolo nell’Italia superiore, al S. Vitale di Ravenna. Tale forma,
rarissima, scompare dopo quel tempo dal repertorio dei costruttori, mentre persevera nelle rappresentazioni miniate fino al sec. X
nell’ « Exultet Casanatense » (2) ed anche al XII, come ci mostra
la figurazione della MATER ECCLESIA dell’ « Exultet Barberi-
« nlano » (3).
Così datato ed analizzato il musaico comense assume una speciale importanza: viene cioè a costituire un muovo anello di quella
catena di fatti artistici e di monumenti che nel VI secolo collegano
lo sviluppo dell’arte lombarda con l’orientale.
Un ultimo punto ci rimane da risolvere per esàurire lo studio
del musaico di Como: il suo significato iconografico. Che vuol rappresentare tale porticato? Non certo è la riproduzione di un monumento reale, nè sta col valore di sola cornice: esso ha funzione
e significato simbolico.
In una iscrizione di Aquileia (4) sotto le linee del testo sono
(1) U. MoxxeRrtT LE VILLARD, L'Isola Comacina, Como, 1914, p. 18.
(2) Riprodotto in SCHLUMBERGER, L’epopee byzantine, 1, Parigi, 1896, p. 217.
(3) Riprodotto da Wicpert, in Rom. Quartalschr., 1899, tav. I-II, e pgg. 23-
24: sulle basi a scaglioni posano due colonne torte, come nel musaico di Con.o.
(4) Pars, Suppl. ital,, n. 336.
— -
I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 389
rappresentate cinque arcate entro ognuna delle quali è una figura
di orante, avente sopra il capo il monogramma sacro. Così in una
epigrafe di Clermont (1) sotto le arcate, portate da colonne torte,
stanno dei vasi a cui bevono degli uccelli; e non poche iscrizioni
visigote recano entro le arcate il monogramma costantiniano (2),
oppure il testo dell’epigrafe (3), struttura questa che appare anche
nella iscrizione longobarda di Galliano (4). Il prototipo di codeste
iscrizioni sepolcrali è dato dalle stele copte. Tutto ciò fa pensare
che la figurazione dell’arcata retta da colonne, e assai di frequente
da colonne torte, ha stretti rapporti col simbolismo funerario, e
che codesto tipo di iscrizioni sepolcrali sia da ritenere in stretto
rapporto ideologico col tipo di stele a porta di tomba. L’ arcata
delle iscrizioni cristiane è la porta dell’ al-di-là, e meglio, nel desiderio dei sopravissuti che la fanno scolpire, la porta del paradiso
in cui sperano sia accolto il defunto.
Che nel simbolismo cristiano primitivo l’ingresso del paradiso
sia stato concepito come quello di un suntuoso edificio, aperto
fra colonne dalle quali pendono dei velari, ce lo prova un frammento d’epitaffio ben noto (5), oggi conservato al museo Lateranense. Anche una pittura catacombale, a S. Ciriaca presso S. Lorenzo in agro Varano (6), ci mostra l’anima introdotta al paradiso
attraverso ad una porta di cui s’ aprono le cortine. L’ uccello che
beve al vaso nell’epitaffio di Clermont è, come l’orante di quello
d’Aquileia, l'anima salvata che gode nel cielo dopo le sofferenze
(1) Le BLANT, Nowuv. recueil d’inscript. chrét. de la Gaule, p. 233, n. 234.
(2) Quelle di Ronda e Moròén de la STORIE in Boletin i la R. Acad. de
la Hist, 1908, pp. 352-353.
(3) Quelle di Mértola e di Ebona, in HùBNER, /nsc. christ. Hisp., n. 11 e
Suppl., n. 300, 304, $12, 313 e 318.
(4) U. MonNERET DE VILLARD, Museo civico arch. di Milano, Catal. delle
iscr. crist., n. 36.
(5) PERRET, Les catacombes de Rome, V, tav. XXIV, fig. 47; PERATÉ, L'archéol. chret., 1892, p. 154; fig. 112.
(6) WILPERT, Pitture, tav. 241 e p. 76; cfr. testo Epist. agli ebrei, V. 19.
L’antica figurazione del Paradiso come giardino, ritorna nel XIll sec. Cfr. M.
EscuericHi, Zur Symbol. d. Paradies PECORE, in Rep. f. Kunstw., XXXIII,
1910, pp. 358-362
390 UGO MONNERET DE VILLARD
della vita quel refrigerio domandato nel canone della messa: « lo-
« cum refrigeri ut indulgeas deprecamur ».
A codesta espressione simbolica deve esser riattaccata la creazione del sarcofago ad arcate, che parte del tipo a pilastri di cui
il più bell'esempio è dato dal Lateranense N. 174 (1), ove per rappresentare Gesù fra gli Apostoli nella gloria del cielo, lo si è rappresentato sotto ad un portico retto da otto colonne ornate di pampini. Da codesto antico esempio si inizia una serie di rappresentazioni che dura sino in epoca gotica: Gesù e gli Apostoli sotto
ad una serie di arcate. Ricordo l’architrave di Saint-Genis-desFontaines (1020-1021), di S. Stefano a Cahors, di Ganagobie, di
Meillers, di S. Croce alla Charité-sur-Loire, in Italia a S. Pietro
maggiore di Pistoia, nella Spagna a Santa Maria la Real di Sanguesa ed a Moarbes. E non sui portali solo la rappresentazione
appare, ma ancora sugli altari, come a quello di Silos ora al museo
di Burgos; e sulle tombe, come quella di Eulger (4 1149) alla
cattedrale di Angers e quella di P. de Saine-Fontaine ad Airvault.
Dal blocco monolitico del sarcofago, dell’altare, della tomba, la
rappresentazione si diffonderà ad occupare la facciata tutta della
chiesa, come a Nòtre-Dame-la-Grande di Poitiers.
L’architrave della porta di Conques ci mostra sotto una serie
di arcate Abramo che riceve le anime: è la Gerusalemme celeste,
e lo scultore romanico non ha fatto se non tradurre in forme plastiche le invocazioni degli antichi epitaffi, in cui il defunto supplicava d’essere accolto nel seno del Patriarca.
Ma per ritornare ai sarcofagi a colonne ed ad arcate noi ben
sappiamo come alle rappresentazioni a figure si siano ben presto
sostituite quelle simboliche, specialmente nell’ Italia settentrionale
e nelle Gallie, il gruppo di Ravenna e quello di Bordeaux, Tolosa
e Poitiers. La rappresentazione del Paradiso è evidente in un sarcofago del mausoleo di Galla Placida (2) ove l’agnello sacro nimbato stà ritto sulla collina da cui sgorgano i quattro fiumi, fra due
altri agnelli e due palme: più succintamente è espressa in quei
sarcofagi ove due agnelli o due pavoni affrontati hanno nel mezzo
il crisma.
(1) Fickeg, Die altchr. ‘Bildw., 117-174; VENTURI, Storia dell’arte, I, fig. 181.
(2) Ricc:, Il mausoleo di G. P., fig. 4; fotogr. Alinari 18110
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I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 391
Palme, croci, agnelli o pavoni che bevono al vaso ritornano
sui sarcofagi ad arcate, con identico significato simbolico.
Come la primitiva letteratura cristiana ha chiamato atrio od
aula il Paradiso (1), così l’arte lo ha realmente rappresentato dopo
il IV secolo, come il triplice od il multeplice ingresso di una sontuosa dimora. È una facciata di palazzo od una facciata di chiesa
che si rappresenta sui sarcofagi o nel musaico: il sarcofago a colonne che è, nell’ arte pagana, la rappresentazione della casa del
morto, diviene nell’ arte cristiana la casa eterna, come dicono le
epigrafi (2). AI simbolismo delle catacombe, che vuole il Paradiso
un giardino chiuso, succede una rappresentazione : più materialistica, che però ha più stretto legame con la realtà visibile (3).
Sotto la triplice arcata del musaico comasco i cervi bevono alla
fonte, quasi traducendo in forma plastica le parole del quarto
Evangelio (4), e gli uccelli volano (5). La figura bacchica non è
se non una forma del Pastore che sta nei prati fioriti dell’ Elisio.
Il musaico di Como rientra così nel ciclo iconografico delle
figurazioni dei sarcofagi ravennati: codesta conclusione viene a
confermare la cronologia del monumento sopraindicata ed a farlo
ritenere opera, al più presto, della fine del V o dell’inizio del VI
secolo. Contemporaneo dunque, oltre che analogo; al musaico salonitano con la stessa rappresentazione, ove l’iscrizione già citata
è tolta dalla traduzione ieronimiana della Bibbia.
E dunque un prodotto della breve dominazione bizantina in
Lombardia questo monumento che pur uno studioso accurato quale
il Nogara aveva voluto d’epoca pagana.
Ciò mostra a quale attenta indagine si debbano sottoporre i
dati iconografici per trarne un sicuro indizio storico: dati che deb-
(1) Du Cance, art. Paradisus; Thesaur. linguae latinae, art. Aula, coll.
1458-1459.
(2) Su questa derivazione cfr. fra gli altri DuTscHKE H., Ravennatische Studien, Lipsia, 1909, il cap. Hadespalast und Himmelshalle, pp. 122-142.
(3) La giustaposizione delle due rappresentazioni si ha in alcuni sarcofagi ad
arcate sotto le quali sono degli alberi raffiguranti il giardino paradisiaco: cfr.
i due sarcofagi ravennati n. 74 e 78 in catal. DUTSCHKRE, op. cit.
(4) IV. 14.
(5) Sul simbolismo degli uccelli-anime, cfr. WEICKER, Seelenvogel, Lipsia, 1902.
392 UGO MONNERET DE VILLARD
bono essere vagliati volta a volta in rapporto allo sviluppo cultu:
rale ed artistico della regione, giacchè nessun rigido criterio cronologico si può fissare a priori per tutto l’orbe cristiano.
È quindi dallo studio preciso e dettagliato delle forme artistiche che potremo trarre i più sicuri elementi per la storia dei
musaici e gli elementi per comprendere le ragioni del loro tras.
formarsi ed evolvere col variare degli ideali artistici e col sopravvenire di influssi volta a volta rinnovantisi.
Uco MovxnNERET DE VILLARD.
=
CRISTOFORO DELLA STRADA
e un episodio delle lotte guelfo-ghibelline in Milano
durante il dominio del duca Giovanni Maria Visconti
REMETTIAMO che questo non è uno studio esauriente, ma
un semplice riassunto di note storiche desunte da carte
|| inedite, che, sommariamente riallacciate alla trama della
i ="=J storia già conosciuta, ci parve non inutile pubblicare,
bene si presentino alquanto frammentarie e slegate fra loro.
Unite tutte nondimeno da un nesso logico, perchè aggruppate attorno ad una sola figura di gentiluomo milanese, le note che seguono sono storicamente divise in due parti ben distinte, delle quali
la prima integra ‘la genealogia della famiglia Pusterla, l’altra mette
forse in maggior luce che non abbia fatto il Corio lo svolgimento
e la portata del conflitto guelfo-ghibellino del 1407 e la pace seguitane.
e
è è
Cristoforo Della Strada, figlio non unico di Maffiolo (eran suoi
fratelli un Bernardo e un Gasparino) (1), trovavasi già nel 1390 al
(1) Le notizie genealogiche della famiglia Della Strada non vanno oltre il
sec. XIII. Par che fosse di Pavia, d’onde si sarebbe trasferita a Milano nel 1263.
Anteriormente però è noto un Torello Della Strada podestà di Parma nel 1220.
(FaGNANI, genealogia Della Strada in biblioteca Ambrosiana). Di questa famiglia
dice il citato Fagnani: « Haec familia etiam uti Gibellina, et Vicecomitibus ami-
« cissima pro Galeacio (sic) Maria Vicecomite duce Mediolanensi arma sumpsito_
« anno salutis humane 1404 contra Casatos, et alios Guelphos mediolanenses,
« qui introducto Othono Ruscono cum non modica armatorum manu Viceco
394 PIO PECCHIAI
servizio di Gio. Galeazzo Visconti, che in quell’anno lo inviava a
Verona e Vicenza a fare e provvedere tutto quanto fosse occorso
alle truppe che in quelle parti teneva ai suoi stipendi, e di più a
ispezionare i castelli e il loro munizionamento, con autorità di operare e disporre ogni cosa a suo talento. Il decreto relativo valeva
anche di salvacondotto per un anno, tempo assegnato al disimpegno
dell'incarico, ed in virtù di quella carta i podestà, capitani, vicari,
. officiali, ingegneri e sudditi avevano l’obbligo di prestare al Della
Strada, occorrendo, ì loro servigi, mentre i castellani dovevano
riceverlo ed ammetterlo in ogni castello del dominio insieme con
la sua comitiva, purchè i componenti di essa non superassero il
numero di tre (1).
Nel citato diploma Cristoforo Della Strada è qualificato per
famigliare del Visconti; in altro del 1392 alla prima qualifica sì
aggiunge quella di collaterale. Col secondo decreto Gio. Galeazzo,
« confidentes de suffitientia industria et legalitate nobilis viri Chri-
« stofori de la Strata », lo incaricava di sovraintendere « Monstris
« Cassationibus Remissionibus et ceteris innovationibus stipendia-
« riorum provisionatorumque » a piedi e a cavallo, in ogni città,
terra, distretto, esercito, fortilizio e bastita « et quos adesse et mo-
« rari contigerit in eis, necnon Potestatum Capitaneorum Castella-
« norum Conestabilium seu Custodum portarum quarumlibet.... cìvitatum :terrarum et districtuum earumdem ac exercituum et bastitarum ». Il Della Strada doveva entrare in carica il 18 ottobre,
giorno successivo alla data del diploma, e rimanervi a tutto beneplacito del suo signore, percependo: un salario di trenta fiorini
mensili. Tutti i podestà, capitani, provvisionati, castellani e stipendiari di ogni luogo dovevan quindi riceverlo « cum uno notario
« et duobus famulis », seguito che forse era necessario ad esercitare il suo ufficio, e mostrargli e spiegargli quanto concerneva
le truppe e il loro equipaggiamento. Chiudeva il diploma preghiera
[SI
bs
e mitum imperium destruere conabantur. Post cruentam itaque pugnam Guelphi
« magna suorum parte caesa vel capta mediolanensem urbem deserere coacti
« fuerunt ». Di Cristoforo dice pure il Fagnani: « Clarus etiam fuit in eadem
« familia Christophorus Stradensis seu de la Strada ».
(1) AOM (Archivio Ospedale Maggiore, Milano), Diplomi Viscontei, Ss agosto 1390.
=
CRISTOFORO DELLA STRADA E UN EPISODIO, ECC. 395
agli amici di lasciar libero il passo su le loro terre al messo visconteo (1).
In servizi militari era il Della Strada anche nel 1394, e all’uopo il suo signore avevalo munito di un salvacondotto che gli
assicurava liberta di transito e immunità di ogni gabella e pedaggio
« cum equestribus sex, suisque armis valisiis rebus bonis et ar-
« nisiis » fra Milano e Pavia (2). Altri incarichi, relativi anch’essi
alla milizia, conferì al Della Strada Gio. Galeazzo Visconti con diplomi 1397 € 1399, col primo dandogli pieno arbitrio « bayliam et
« potestatem.... cassandì scribendi et diminuendì in quibuscumque
« baneriis peditum tam ballistariorum quam pavesariorum » (3),
e col secondo mandandolo « ad partes romandiole et ad nonnullas
« alias partes, causa firmandi et conducendi ad stipendia et ser-
« vitia » del duca « tan: per modum stipendi) extensi quam medii
« stipendii, et per modum sotietatis aliquos conductores et capo-
« rales armigerorum cum illa lancearum quantitate aut equestrium
« numero de quibus ipsi Christoforo videbitur » (4).
Appare manifesto, dunque, che già sotto il dominio del Conte
di Virtù Cristoforo Della Strada occupava un luogo non disprezzabile alla corte viscontea, tra i numerosi famigliari e collaterali
del primo duca di Milano. |
La
* *
Consorte di Cristoforo Della Strada era Caterina Pusterla, figlia di Bernardo e Franceschina Pagnani, e pronipote di quel Franciscolo, che Luchino Visconti fece morire sul patibolo insieme con
la moglie Margherita.
(1) AOM, Diplomi cit., 17 ottobre 1392.
(2) AOM, Diplomi cit., 12 febbraio 1394.
(3) AOM, Diplomi cit., 9 ottobre 1397.
(4) AOM, Diplomi cit., 26 luglio 1399. Oltre i citati diplomi, due altri riguardano il Della Strada : uno del 18 aprile 139t, col quale gli veniva rilasciata
quietanza di L. 12,160 da lui pagate in soddisfazione di un debito equivalente
che aveva col Visconti; l'altro dell’11 aprile 1395, per cui il luogotenente del
duca d’Orleans in Asti giustificava l'erogazione, non specificata, di 15,487 fiorini
dal Della Strada percepiti ed erogati per ordine del detto magistrato. Riguarda
il Della Strada anche un istromento 8 agosto 1399 rog. Catellano Cristiani
nello interesse del Duca a favore di Agostino da Sapore. (ASM, Registro Visconteo B alias N, c. 150°).
396 . PIO PECCHIAI
Secondo il Litta, da niun altro genealogista, a nostra conoscenza, completato, il ramo Pusterla concernente Franciscolo sarebbe stato il seguente: °
MACANEO
»
FRANCISCOLO SORLEONE Pagano
con con
MarGRERITA VISCONTI AcgnESE ALIPRANDI
Re e e A
Rrstora = Zacarota IsoLtina FraxciscoLo Brrnarno CaATRRINSA FRANCESCA
Ora possiamo completare la discendenza di Sorleone, che gli
scrittori chiamarono anche Zurione, e che i documenti chiamano
. Superleone o Sopraleone, col seguente alberetto:
BERNARLO
con
FRANCESCHINA Pasvani (11
CATERINA
“con
Cristororo DeLLa STRADA
Vedremo come Caterina Pusterla si diceva figlia ed erede
« pro dimidia parte » del padre Bernardo, dal che deduciamo aver
ella avuto un fratello o una sorella; però nessun’altra notizia abbiamo trovata in proposito.
E’ noto che Luchino Visconti, dopo aver tolti di vita i coniugi
Pusterla, si appropriò anche i loro beni, che forse non erano l’ultima causa della morte di quegli infelici; e poi che i beni di Franciscolo Pusterla si trovavano ancora indivisi con quelli del fratello
Superleone (di Pagano non si fa parola), così anche questo rimase
privo de’ suoi averi. Passati parecchi anni, Bernardo Pusterla reclamò le sostanze paterne presso Galeazzo Il, e, morto questo,
presso la vedova di lui Bianca di Savoia, ottenendo nel 1385 un
decreto, col quale gli veniva accordata la restituzione dei beni a
(1) AOM, Carte ereditarie, famiglia Pusterla, atto 5 giugno 1393, dove appare Franceschina Pagnani moglie di Bernardo Pusterla. Questi è nominato in
altro atto 5 gennaio 1396.
CRISTOFORO DELLA STRADA E UN EPISODIO, ECC. 397
lui pertinenti. Ma il decreto non fu eseguito, e nel 1404, morto già
Bernardo, Cristoforo Della Strada ricorreva a Giovanni Maria, rivendicando l’eredità spettante a sua moglie.
Il Della Strada riportò integralmente, nella propria, la supplica
del suocero, che esponeva: « occaxione asserti delicti excogitati per
« dominum Francischolum de Pusterla », fratello del padre suo
Superleone, « in personam quondam bone memorie domini Luchini
« Vicecomitis » tutti i beni del fu Macaneo, padre dei detti fratelli, e
quindi per metà spettanti a Superleone, essere stati « apprehensa
«a per prefatum dominum Luchinum », sebbene Superleone « illius
« asserti delicti non fuerit unquam repertus culpabilis et staret in
« discordia cum dicto domino Francischolo ». Sul quale particolare
insisterono anche i magistrati che, per incarico ricevuto, riferirono
in merito alla supplica del Della Strada, affermando come dall’esame
di varii notabili testimoni risultasse che « Francischolus et Superleo
« magnum habebant odium adinvicem eo tempore quo ipse dominus
« Francischolus debuit excogitasse scelus predictum et ante ipsum
«tempus per aliquod tempus » e che mentre abitavano « in eodem
s sedimine », non sì parlavano « adinvicem nisi in malo ». Asserivano in oltre « quod ipse Superleo erat una persona bona, ho-
« nesta, pacifica, non multum sagax, et non erat deditus insidiis
« et fraudibus, et quod ante tempus quo ipse dominus Franci-
« scholus fugam aripuit a dominio dicti domini Luchini et ipso
« tempore et post per multos dies ipse Superleo stetit et moram
« traxit quid in terra Nove quid in loco de Grogniotorto et par-
« tibus circumstantibus, palam et patenter conversando cum vicinis
« et notis et taliter quod prefatus dominus dominus Luchinus po-
« tuisset de facili in sua potestate ipsum habere si voluisset »; e
che, sebbene dipoi anche Superleone fosse fuggito, però non aveva
preso la fuga per essere stato implicato nel delitto del fratello, ma
perchè Luchino voleva fargli sposare una sua figlia naturale « quod
« omnino facere recusavit, et recusabat: timens sevitiam » da parte
del Visconti, fuggì dallo Stato. E benchè « innocens a dicto scelere
« communiter reputabatur et reputatus fuit », pure « propter odium
« quod ipse dominus Luchinus sumpsit » contro di lui, « bannitus
« fuit per contumatiam vigore statutorum comunis Mediolani, ha-
« bitus fuerit pro convicto et confesso ».
I beni dei Pusterla, confiscati da Luchino Visconti, erano: le
398 1 PIO PECCHIAI
possessioni di Colturano, Balbiano e Cambiano (date in dono a
Galeazzo Aliprandi); la possessione di Carpiano con le circostanti
cassine (data al priore della Certosa di Pavia); la possessione di
Pizzobelasio (data ai preti di S. Maria della Scala); le possessioni
di Camenago e Guizina (donate a Beltramola Grassi « amaxiam
« quondam domini domini Bernabovis », e assegnata poi ad Antonio Visconti); una casa e un prato in Monza e le possessioni di
Vigonzone col castello al Lambro, di Trenno « cum Quarto et
« Malpaga », di Brossano e Sacconago, delle Caselle e di Calvenzano (donate a Giovannina Borri, altra « amaxiam » di Bernabò
e quindi tenute dagli eredi, o più tosto « per certos qui vocantur
« heredes » di lei); in fine le possessioni di Ponteredario, del Molino Guidone, di Pozzolo, di Piemonte, delle Cascine degli Abbati,
di Novarasca, Rancate, Rosate e Zentirino. Oltre a ciò era stata
confiscata la dote della moglie di Superleone, del valore di duemila
lire, e tanti altri beni mobili e immobili per la somma complessiva
di più che cinquantamila fiorini. Bernardo Pusterla domandava
dunque la metà dei beni confiscati e la dote materna. Fra Pietro
di Candia (il greco Filargo che fu arcivescovo di Milano fra il 1402
e il 1409) (1) e altri magistrati incaricati dal governo signorile di
esaminare le ragioni di quanti reclamavano beni confiscati, proposero di restituire al supplicante due possessioni, una di quelle date
alla Borri e una di quelle date alla Grassi, le due amanti di Barnabò. Bianca di Savoia, con decreto 9 novembre 1385 (seguita a
narrare il documento) dato dal castello « Zoyoso » (2), consentì che
si restituissero i beni indicati, tenuti « per Grassam et illam de
« Burris ». Cristoforo della Strada da parte sua, rimasto ineseguito il decreto del 1385, pretendeva « jus dotis matris ipsius Ber-
« nardi olim uxoris dicti Superleonis » compreso l’interesse decorso
« et etiam jus legitime debite jure nature » che era la terza parte
dei beni di Superleone. Il magistrato ducale incaricato di riferire,
che fu Paolo Arzoni cancelliere e membro del consiglio di giustizia, giudicò doversi rilasciare a Cristoforo della Strada (già siniscalco
e famigliare del Conte di Virtù) la metà delle possessioni sovr’accennate: e così decideva il duca Giovanni Maria (3).
(1) E papa col nome di Alessandro V (1409- 0);
(2) Castello di Belgioioso.
(3) AOM, Diplomi cit., 2 maggio 1404.
>
CRISTOFORO DELLA STRADA E UN EPISODIO, ECC. 399 |
Ma nè pure il decreto di Giovanni Maria potè avere esecuzione; essendo morta nel 1399'la Giovannina Borri, questa lasciò
erede dei beni, così poco onorevolmente acquistati, Pietro Visconti,
Giacomo e Francesco Aliprandi e Princivalle Besozzi; e costoro,
com’era da aspettarsi, con tutti i mezzi si opposero a che fossero
assegnati alla moglie del Della Strada i beni ereditati. Dovette
quindi Cristoforo Della Strada rivolgere nel 1406 altra supplica al
duca, riandando i precedenti della questione, il diploma ottenuto
due anni prima, su relazione e parere di Paolo Arzoni e in conformità al giudizio del consiglio ducale (composto allora dell’arcivescovo di Milano, di Antonio Visconti d’Orago, Francesco Visconti,
Giovanni Pusterla, Andreazzo Cavalcabò, Giacomo Della Croce, Tadiolo Vimercati, Cristoforo Castiglioni, Giovanni Aliprandi e Bartolino Zaneboni), e chiedendo la conferma delle già note decisioni
ducali, il che ottenne (1). Ma ne nacque, fra gli eredi della Borri
e Caterina Pusterla, una lite, che ancora durava l’anno appresso, e
della quale non sappiamo la conclusione (2).
Nella seconda supplica, or accennata, di Cristoforo Della Strada,
inserta nel diploma ducale del 20 aprile 1406, troviamo degli spunti
di fatti storici che meritano menzione. Narra il supplicante come
la possessione delle Caselle nell’episcopato di Lodi, ch'era pretesa
dagli eredi della Borri, fosse stata a questa confermata con decreto
di Gian.Galeazzo de’ 27 luglio 1385 « pro victu suo et sue familie »,
non avendo altro, sembra, per vivere; ma la concessione escludeva
ogni diritto per parte degli eredi della concessionaria, morta la quale, infatti, il governo riprese i beni in questione. Ma poi « quando
« facta fui* novitas Francisci Barbavarie, cum modis qui tunc tem-
« poris tenebantur », gli eredi della Borri tornarono ad impadronirsi della controversa possessione. Al fatto del Barbavara accenna
il Corio, e la frase del Della Strada « con modi che allora si te-
« nevano » bene esprime l’anarchia che successe in Milano alla
morte del Conte di Virtù.
(1) AOM, Diplomi cit., 20 aprile 1406.
(2) Ivi, Diplomi cil., 19 giugno e 24 luglio 1407.
400 PIO PECCHIAI
Cristoforo Della Strada, che di varie cariche era stato investito, come vedemmo, da Gian Galeazzo, conservò il suo posto
alla corte viscontea anche sotto il principato del figlio Gio. Maria.
Trovasi infatti il suo nome fra quelli dei « Nobiles familiares et
« officiales de curia nostri illustrissimi principis et domini » enumerati in un registro di lettere ducali (1); ed in oltre dal diploma
2 maggio 1404, già citato, apprendiamo ch’ egli copriva in quell’anno la carica di siniscalco del duca (2). L’anno stesso il Visconti
lo nominava castellano e custode « medietatis pro indiviso » del
castello di porta Giovia, a partire dalla data del decreto in poi, a
suo beneplacito, con la provvigione di venti fiorini mensili nitidi
e più cinquanta paghe vive, metà delle quali per balestrieri e metà
per pavesarii, intendendosi costituita ogni paga, di quattro fiorini
per i primi e di tre per i secondi. Di più il Della Strada poteva
iscrivere nelle cinquanta paghe sei parenti, con la eccezionale retribuzione di sei fiorini ciascuno, e un « ferrarium seu fornarium »
(particolare tre volte ripetuto nel documento), cui sarebbe spettato
il salario d’un fiorino mensile. Fra le istruzioni del castellano v’era
l'espresso divieto di permettere ad alcuno degli officiali e soldati
del castello di uscire senza speciali lettere del duca, sigillate con
sigillo secreto, ed ogni trasgressione veniva punita con la pena
capitale. Però, ove fosse rimasto in castello l’altro suo collega, o
anche uno dei fratelli dello stesso Cristoforo, veniva concessa a
questo particolare licenza di assentarsi, purchè non uscisse dalla
città e nel castello tornasse in ogni modo a dormire (3).
Entrò dunque in carica il Della Strada; ma aveva ancora ad
esser pagato di precedenti servizi, de’ cui stipendi non era stato
sodisfatto. Domandato finalmente il suo avere, il duca nell’ottobre
1405 emanava apposito diploma, dove, riconosciuto il debito della
sua Camera verso il castellano per la somma di circa quattrocento
(1) ASC (Arch. Stor. Civico), Reg. Lettere Ducali 1393-1409, fol. 180.
(2) € Recepta supplicatione pridem nobis porecta (sic) per nobilem virum
« Christoforum de la Strata Sescalcum nostrum etc. ». Così il documento.
(3) AOM, Diplomi cit., 7 dicembre 1404.
*
CRISTOFORO DELLA STRADA E UN EPISODIO, ECC, 40I
fiorini, dovutigli « a die primo Jullij anni cursi MCCCCIIigusque ad
« diem ultimum aprilis anni cursi MCCCCIIII quo tempore servivit
« nobis » diceva il duca « pro familiari et camerario nostro quam
« etiam pro omni et toto eo quod petere posset a die quintodecimo
« Junij dicti anni MCCCCIIII usque ad diem septimam decembris
« eiusdem anni quo tempore servivit pro Conservatore castri no
« stri porte Jovis Mediolani », gli assegnava in pagamento, a ti»
tolo di vendita e donazione o dato in paga, i beni confiscati a
Paganino Villani, giudicato reo di tradimento, donandogli quel
plusvalore che, rispetto al credito, si fosse riscontrato nelle sostanze assegnategli, e ciò in premio dei servigi da lui resi al padre Gian Galeazzo (1).
Alcuni mesi più tardi però il Della Strada era ancora creditore per lo stipendio e le paghe dovutegli nella sua qualità di castellano. Il credito era così determinato: 1. L. 825,3,1 per lo sti.
pendio dell’intero anno 1405; 2. L. 699,4 per le cinquanta paghe
di novembre e dicembre detto anno; 3. L. 120, rimanenza della
maggior somma di L.240 promessagli a Natale dello stesso anno
e pagatagli solo per metà: in tutto L. 1644,7,1 imperiali.
Per pagare il nuovo debito il duca, sprovvisto forse di numerario, cedè al Della Strada un sedime in villa Visconti o cascina
Bulgaroni, un pezzo del vecchio giardino incluso in quello di porta
Giovia, della misura di ottanta pertiche, e un pezzo di terra presso
la chiesa di s. Ambrogio ad nemus col diritto d’irrigazione e
adacquamento con le acque dell’Olona e dell’Acquetta* (2).
Circa un anno dopo il saldo de’ suoi crediti, Cristoforo Della
Strada indirizzava al duca una supplica, ove rammentava , una pro.
messa fattagli « ex sua benignitate pluries et pluries iam annis
« duobus preteritis in presentia quamplurium » di rendere immuni
da ogni tassa, dazio o balzello ordinarii e straordinarii i suoi possedimenti e i suoi massari; promessa di cui domandava l’adempimento in grazia speciale, considerato « quod faciendo servitia do-
« minationis vestre », diceva, com'era tenuto e intendeva fare sino
alla morte, si trovasse « in totum consumptum.... pro combustio-
« nibus robariis et incisionibus massariorum » da lui sofferte, di
(1) Ivi, Diplomi cit., 24 ottobre 1405.
(2) AOM, Diplomi cit., 4 febbraio 1406.
Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. III. 26
402 PIO PECCHIAI (TA
modo che i suoi beni si trovavano abbandonati. Domandava in fine
che ogni suo debito con la camera ducale, se ve ne fosse, gli ve
nisse condonato. Il duca accoglieva pienamente le preghiere del
suo cortigiano, ed esentava da ogni gravame fiscale tutti i suoi
beni e massari presenti e futuri, estendendo il privilegio anche a
tutti i discendenti del supplicante (1).
+ Questo documento è di particolare importanza. Con la data esso
ci porta a quattro giorni prima della ribellione dei capi ghibellini,
in cui il Della Strada si trovò immischiato, e coi danni lamentati.
da lui ci vien ricordato che proprio in quei giorni sì combattevano
fiere battaglie fra guelfi e ghibellini, i quali anzi già avevano avuto
la peggio, onde è lecito credere che anche le possessioni del Della
Strada venissero messe a ruba dai capi della fazione a lui contraria.
La
è »
Dai documenti che abbiamo riassunti fin qui rileviamo che
Cristoforo Della Strada fu conservatore del castello di porta Giovia
dal 15 giugno al 7 dicembre 1404, e da questa data in poi teneva
il grado di castellano per metà « pro indiviso » con Vincenzo
Marliani, come da altre notizie si desume. Il Calvi afferma: « Il
« Dal Verme, destituito dal duca, dovette cedere il posto ai ca-
« stellani Della Strada e Marliani » (2) e nell’ elenco cronologico
dei castellani del castello visconteo nota:
« 1401 - Raffaele Gherardengo da Novi.
« 1406 - Cristoforo Della Strada e Vincenzo Marliano » (3).
Le due notizie del Calvi sono dunque da correggere; primo,
perchè non sembra che il Dal Verme fosse mai castellano di porta
Giovia; secondo, perchè il Della Strada, come abbiamo veduto, fu
eletto a quel posto nel 1404. Su la carica di conservatore del castello non possiamo fornire schiarimenti, e ci riesce al tutto nuova,
come riuscirà del pari ai cultori di storia milanese; ma non ci
sembra difficile interpretare quel titolo come indicante la carìca
(1) Ivi, Diplomi cit., 26 marzo 1407.
(2) Felice CaLvi, Il Castello visconteo sforzesco nella storia di Milano, Milano, Vallardi, 1894, p. 18.
(3) Op. cit., p. 539.
—
CRISTOFORO DELLA STRADA E UN FPISODIO, ECC. 403
interinale di reggitore del castello, durante la vacanza del castellano.
Siamo pervenuti adesso ad uno dei più movimentati episodii
del ducato di Gio. Maria Visconti. I
Narrano gli storici, su le orme del Corio, che i capi guelfi,
scacciati di Milano dai ghibellini, nelle cui mani si trovava il duca,
rafforzatisi potentemente e comandati da Jacopo Dal Verme e Ottobono Terzi, vennero verso Pavia; incontratisi a Binasco nelle
forze ghibelline capitanate da Facino Cane, mandato loro addosso
dal duca, o da quelli che gli erano intorno, le sconfissero ed. in
breve poterono rientrare nella capitale del ducato. In questo frangente i ghibellini rimasti in Milano, e cui stavano a capo il fratello
naturale del duca, Gabriele Maria, Antonio Visconti, Giovanni Pusterla, Nicolò Mandelli e Tadiolo Vimercati, non trovarono altro
scampo che salvarsi nel castello di porta Giovia, tenuto da Cristoforo Della Strada e Vincenzo Marliani. Tutto ciò accadde nella terza
decade di marzo. Il 27 di quel mese, giorno di Pasqua, fecero il
loro ingresso trionfale in città i guelfi, e il Terzi, che per avere
a’ suoi ordini gran numero di gente stipendiata si credeva in diritto di usare maggiore arroganza degli altri, manifestò subito, in
quei giorni .di pace e perdono, feroci propositi di vendetta. Egli
voleva impedire alla parte avversa di rilevare il capo, sterminandola puramente e semplicemente, intanto che la forza era nelle
sue mani e fuggiaschi e dispersi si trovavano i ghibellini dopo la
rotta di Binasco. Un saggio del regime di terrore ch’ egli si proponeva instaurare lo ebbe subito la cittadinanza con la uccisione
di Jacopo e Francesco Grassi, tra i più influenti di parte ghibellina, effettuata da’ suoi cagnotti il 30 marzo. Nel tempo stesso era
corsa la voce che la notte seguente avrebbe avuto luogo lo sterminio di tutti i ghibellini. Ma tanta ferocia non andava a sangue
di Jacopo Dal Verme, che forse temeva più tosto non avesse il
Terzi a rendersi troppo potente e insignorirsi dell’ intero ducato;
quindi, dopo tentata ogni via di persuasione. col sanguinario signorotto di Parma, al fine lo minacciò di una sollevazione di popolo, che già appariva stanco degli eccessi cui i guelfi vincitori si
.erano lasciati andare dopo il loro reingresso in Milano. Quest’ ultima ragione persuase più di tutte le altre Ottobono Terzi, sì che
abbandonò, sebbene a malincuore, il suo progetto; ma intanto la
404 PIO PECCHIAI
voce della esecuzione di esso, come abbiam detto, si era sparsa
in città ed era penetrata, sembra, anche nel castello, dove i capo- -
rioni ghibellini si stavano ben guardati, onde questi, o non avessero altrimenti notizia della forzata rinuncia del Terzi, o quella
non credessero sincera, o in fine stimassero d’incutere timore nell’avversa fazione coi mezzi violenti di cuì disponevano (inaspriti
fors’anche e resi audaci dall’omicidio dei Grassi); fatto sta che la
notte del 31 marzo le artiglierie del castello ducale presero a bombardare la città, con quanto terrore e scompiglio de’ poveri abitanti è facile immaginare (1). I guelfi allora attaccarono il castello,
e la battaglia irifierì fra assediati e assedianti, con morti, feriti e
ruine di edifici. |
Poco men di due mesi durò questo battagliare: poi finalmente
il Dal Verme, da savio e da accorto, vedendo come ben difficile
impresa era l’impadronirsi di quella fortezza (chè i ghibellini avevano rafforzato il castello con improvvisati bastioni elevati verso
e contro la città e tutti guerniti di artiglierie), e come a nulla approdavano le gride ducali, che dichiaravano ribelli i castellani e
quanti si trovavano con essi, trovò più opportuno inchinare l’animo
del duca, mutevole e pauroso, ai negoziati, ond’egli stesso, il Dal
Verme, patteggiò con gli assediati e ricondusse la pace fra ìi due
pa:titi, il che avvenne il 19 maggio (2); e i cittadini dimostrarono
la loro sodisfazione per la quiete riacquistata, portando per le vie
le immagini dei santi. Pochi giorni appresso, il 3 giugno, secondo
il Corio, Ottobono Terzi, furente di non essere riuscito a mettere
in esecuzione i suoi disegni, benchè carico di denaro taglieggiato
(1) Vedremo dai documenti che riferirenio in seguito come la iniziativa dell'attaccu dal duca stesso venisse attribuita ai guelfi, che avrebbero improvvisamente assalito il castello per metter le mani addosso ai loro nemici colà rinchiusi.
(2) La cronaca bossiana (Donato Bossi, Chronica, Milano, Antunio Zarotto
MCCCCLXXXII, Calendis Martii), differisce notevolmente dal Corio. Ivi è narrato: « Die decimo Maii: arx porte lovis Mediolani : que sub prefectis Vincentia
« Marliano et Christoforo Strata contra ducem Mediolani tenebatur vallo eircum-
« sederi cepta est: ob quod qui intra arcem erant bombardis ac aliis machina-
« mentis urbem desertare aggressi sunt: sed nono post die qued.m federa inter
€ partes icta sunt ». Concordano però i due scrittori, come si vede, nella data
della pace, 19 maggio. Il Bossi pone al 23 giugno il nuovo assedio dei castello,
al 1° novembre la restituzione della fama è al 12 l'ingresso nel castello degl
uficiali del dura. Dci fatti del gennaio 1408 il ssi non parla.
=:
CRISTOFORO DELLA STRADA E UN EPISODIO, ECC. 405
e fatto per lui taglieggiare dal duca (oltre centomila fiorini d’oro)
e provvisto di quattrocento capi di bestiame, era forzato a lasciare
Milano (1). |
Avvenuta la pace, il 87 maggio il duca emanava una grida,
in cui spiegava i fatti occorsi. Narra il documento che, essendo
Gio. Maria fuori di Milano, « ad non veridicos quorumdam relatus
« et falsas suggestiones mendatium », negli animi di alcuni era
sorto sospetto contro i due castellani, per cui seguì l’assedio del
castello, dal che ne vennero spese e danni al duca. Fu rovinato il
muro del suo giardino, ch’era appunto presso il castello (come vedemmo già dal diploma 4 febbraio 1406 in favore del Della Strada),
e lesioni e ruine soffersero alcune case ed alcuni edifici, sì dentro
che fuori del castello medesimo. Tornato quindi il principe in città,
di tutto volle essere diligentemente informato, e dopo aver bene
investigati e conosciuti i fatti, si convinse che i castellani e la loro
compagnia erano, ed erano stati sempre, fedeli e leali servitori del
suo dominio e del comune di Milano, « suspectionemque prefatam
« ortam fuisse ex falsis et ilegittimis querelis et relationibus semi-
« natis ex invidie livore a malorum et zenzanie satoribus ». Quindi
ordinava si cessasse subito dall’assedio; e i castellani e i loro compagni « filii obedientie et fideles servitores » del duca, desisterono
dalle offese, cioè dall’uso delle artiglierie, « Quo circa (continua il
« decreto) ut omnis rubigo et macula que ex predictis et eorum
« causa vel occasione orriri posset penitus auferatur, declaramus
« ex certa scientia et de nostre plenitudine potestatis etiam abso-
« lute sepedictos castellanos et .utrumque eorum et quemlibet de
« eorum seu alterius eorum comitiva fuisse et esse bonos, fidos et
« legales servatores nostros et nostri comunis Mediolani ac ipsos
« et utrumque eorum et quemlibet etc. liberamus et absolvimus et
“« absolutos reddimus etc. » da qualsiasi responsabilità per le conseguenze del conflitto avvenuto, cioè le spese fatte dal governo, le
ruine e i danni subìti dagli edifici pubblici e privati, le ferite mortali e non mortali causate alle persone ecc., ecc. Annullava quindi
il duca ogni procedimento iniziato e atto processuale compiuto
contro i due castellani (2).
(1) Il racconto del Corio venne seguito dal GiuLINI, Memorie spettanti ecc.,
dal Rosmini, Storia di Milano, dal CALVI, op. cit. ed altri.
(2) AOM, Diplomi cit., 27 maggio 1407.
406 PIO PECCHIAI
Ma la pace conclusa da Jacopo Dal Verme fu breve ed effimera. Le cose, appena distrigate, tornarono ad imbrogliarsi per
gl’intrighi dei cortigiani, e lo stesso Dal Verme, che, secondo quel
che ne scrissero tutti gli storici, satebbe stato l’unico idoneo a
stabilire una sensata forma di governo, disgustato di tutti e sfidu«
ciato dalla piega che prendevano gli avvenimenti, se ne partì da
Milano poco dopo il Terzi, e trattenutosi qualche mese ai servizi
del conte Filippo Maria fratello del duca, offerse la sua spada alla
repubblica di Venezia, sotto le cui insegne, combattendo contro i
turchi, a detta del Corio, finì i suoi giorni.
Intanto i ghibellini non erano usciti dalla ròcca, e ciò fa pensare che la pace fatta non offrisse loro troppa garanzia d’immunità, come anche induce a credere la grida del 27 maggio, tutta
in favore dei due castellani, ma nella quale dei compagni di essi
non si fa parola. |
Doveva certo premere sopra tutto al duca riavere il suo castello, tanto per la sicurezza del suo dominio, quanto per il suo
prestigio; ma è probabile che Gabriello Maria ed Antonio Visconti,
il Pusterla, il Mandelli ed il Vimercati, non ostante il perdono ot.
tenuto dai castellani, abbiano impedito a questi di rendere la fortezza. La pace fu allora stracciata e il duca pubblicò una nuova
grida contro il Della Strada e il Marliani. « Ut universis et sin-
« gulis pateant manifeste proditio et periurium Christofori de la
« strata et Vincenti] de Marliano olim castelanorum nunc deten-
« torum nostri castri porte Jovis Mediolani (è detto nel documento,
dove con la parola « olim » è fatto intendere ch’ essi erano stati
destituiti dalla carica di castellani, e con l’altra « detentorem » che
erano trattenuti, forse loro malgrado, nel castello) « qui contra eo-
‘ « rum juramenta et promissiones nobis et gubernatoribus nostris
« factas et propriis manibus suis in testimonium veritatis subscriptas
« non veriti sunt impudenter omnia mala tractare in subversionem
. « status nostri ac depopulationem huius nostre magnifice civitatis
« tenendo stricte cum hostibus nostris et melius exequerentur ne-
« fandissima vota sua ex multis et magnis machinationibus quas
« orditi sunt in hanc si potuissent pestem quas foret prolissimum
« enarare, hanc solam duximus detegendam ». Si narrava quindi
nella grida come i « diabolici viri suprascripti ut conceptum diu
« virus suum quo crepabant evomerent novissime evocarent prout
:
la
CRISTOFORO DELLA STRADA E UN EPISODIO, ECC. 407
plurimis literis et fidedignorum etiam testimonio habuimus Canem Facinum cum gentibus suis ut simul cum aliis hostibus
nostris concurreret de presenti ad nostri demolitionem status et
sacomanum et totalem pernitiem dicte nostre magnifice civitatis
quibus eorum taliter perpenderantibus demeritis manifestis ipsos
Christoforum et Vincentium et eorum utrumque nostros pronuntiamus et declaramus ac nostri comunis Mediolani infames rebeles et proditores perfidos, exnunc eorum bona queque tam
mobilia quam immobilia et se moventia ubicumque reperiantur
nostre camere applicantes et applicari protinus debere mandantes
et pariter eos ab utraque parte pallatii nostri brolleti novi in
locis videlicet eminentioribus depingi suspensos ad furcas per.
pedes quanto vituperiosius fieri poterit ut merentur. Ita quod
eorum proditio et periurium clareant magis cunctis et pictura hec
etiam in suorum vertatur perpetuam calompniam et ygnominiam
posterorum. Mandantes potestati nostro Mediolani et ceteris ad
quos spectat quatenus hiis viris dictam picturam solempniter fieri
faciant, et de harum etiam nostrarum continentia litterarum in
locis solitis dicte nostre civitatis fieri proclamationes publicas
opportune ut hec omnia ad singulorum notitiam deveniant pleniorem » (1). Sembra dunque che i ghibellini raccolti nel castello
di porta Giovia si fossero intesi con Facino Cane, ramingo dopo
la sconfitta di Binasco, suscitando l’ira dei guelfi e mandando a
monte la pace conclusa.
Tre giorni appresso la pubblicazione della grida sopra citata,
un’ altra il duca ne faceva pubblicare, con la quale intimava che
La
«
[al
quaelibet persona cujusvis status, gradus, dignitatis et conditionis existat, vel preheminentia tenens, vel possidens, seu poene
se habens aliqua bona mobilia, seu immobilia, res vel jura inferius descriptorum rebellium nostrorum, vel etiam alicujus alterius
praesentialiter existentis in castro nostro Portae Jovis, et in castro, vel terra Modoetiae, quos etiam pro nostris rebellibus habemus (2); seu alicujus eorum, seu eisdem, vel alicui eorum dare
debens aliquid per cartam, vel scripturam, seu alio modo, debeat
(1) ASM (Arch. di Stato di Milano), Registro Panigarola B., lett. ducale
7 luglio 1407. i |
(2) Allude ai fuorusciti rifugiatisi nel castello di Monza tenuto da Estore
sconti.
408 PIO PECCHIAI
« comparere coram prudentibus viris negotiorum gestoribus camere
« possessionum nostrarum, et eisdem in scriptis clare, particulariter
« et distincte portasse ipsa bona et quantitates ipsorum debitorum,
« scilicet habitantes in civitate et suburbijs, vel corporibus sanctis,
« infra dies tres; habitantes vero in ducatu, infra dies octo p. f.,
« sub poena etc. » Si pretendeva in oltre che u quilibet notarius
« qui rogavit aliqua instrumenta pertinentia eisdem inferius de-
« scriptis et aliis existentibus ut supra, vel in eorum favorem de-
« bent notulam substantiae ipsorum instrumentorum portasse in
« scriptis dictis negotiorum gestoribus etc. » (1). Lunga era la litania dei proscritti. Della famiglia Della Strada si trovavano chiusi
nel castello, oltre a Cristoforo, due fratelli di lui, Bernardo e Gasparino, uno zio, Melchiorre fu Leonardo, un Marco figlio di Marco,
un Florio figlio di Pietro, un altro Cristoforo di Palamede, e poi un
Luigi e un Franco, di cui non è indicata la paternità. Del Marliani
vi si trovavano, oltre Vincenzo: Azino, Filippino, Antonio, Cristoforo, Andreolo, Albertolo, Giovanni, Mafiolo, altro Mafiolo e Giovannino. Particolari rotevoli, fra i ribelli verano anche due barbieri, Giovannino Mandela e Rizardo da Robiate, un calzolaio,
Giacomolo detto Giolo di Affori, e due formaggiai, Andreolo di
Pergamo e Vertuano. Alcuni giorni dopo il duca ordinava con altro
decreto che dall’ elenco dei ribelli venissero cancellati Luigi Della
Strada e altri quattro cittadini (2). Tre altri pure ne faceva togliere,
perchè compresi erroneamente fra i ribelli, con altre lettere di poco
posteriori (3).
Non contento poi dei provvedimenti presi contro i beni dei
ribelli nella grida del 30 luglio, volle raftorzarne l’efficacia, promettendo la quarta parte di essi beni a ‘chiunque ne denunciasse
la esistenza e palesasse i nomi dei debitori entro otto giorni dalla
data del decreto (4). Con altro simile rinnovava il duca l’ordine di
consegna dei beni dei ribelli alla camera ducale entro quattro giorni,
da parte dei cittadini, ed entro otto, da parte degli abitanti dello
Stato, sotto pena del doppio del valore dei beni stessi, ovvero, in
(1) C. MorBIo, Codice visconteo-sforzesco, Milano, 1846, p. 54 e sgg. Dipl.
30 luglio 1407, gridato il 31 detto « ad scalas palatii Broleti novi » ‘ecc.
(2) MORBIO, op. cit., p. 59. Diploma 3 agosto 1407.
(3) ASM, Reg. Panigarola B., lettere ducali 7 e 8 agosto 1407.
(4) Ivi, loc. cit., lett. duc. 9 agosto 1407.
= - do
CRISTOFORO DELLA STRADA E UN EPISODIO, ECC, 409
caso d’insolvenza, di quattro colpi di curlo e tre mesi di carcere,
con la promessa della terza parte di essi o del loro valore ai denunciatori. Veniva in fine comandato ai notari di portare al vicario
e all’ufficio delle provvisioni gl’istrumenti rogati nell’interesse dei
ribelli, entro cinque giorni per i notari della città e dieci per quelli
del ducato, sotto pena di tanta multa in denaro quanta la somma
dei crediti portati dagli istrumenti (1).
In fine Gio. Maria Visconti ordinava severamente la consegna,
da farsi entro dieci giorni dalla data del decreto relativo, ai suoi
ufficiali di ogni specie di fortilizio e luogo fortificato de’ dominii
ducali (2). |
Ma la lotta era impari. Il principe combatteva a colpi di pergamena e di gride: i ghibellini, bene afforzati nel castello, avevano
a portata di mano le artiglierie, e potevano ridersi delle vane ire
del loro signore. Tuttavia rimaneva ad essi il timore, non vano,
di essere poi costretti a rendersi per fame. In tale stato di cose,
imbarazzante per tutte e due le parti, ma specialmente forse per
i castellani, che in fondo par che fossero devoti al duca, e che
probabilmente eran forzati da Gabriele Maria e da’ suoi fautori a
seguire la parte al principe divenuta nemica, soccorse un personaggio allora d’alto credito, che, come pochi mesi prima il Dal
Verme, s’incaricò di metter pace. Fu costui Bernardone Serri, governatore di Asti, il quale, dopo laboriosi negoziati, concluse una
capitolazione in tutta regola fra ì castellani e il duca.
ld
* *
Data la notizia della pace del 19 maggio, il Corio, subito dopo,
fa sapere che con grida del 1° novembre fu restituita la fama ai
due castellani. ll particolare è esatto, perchè tanto la capitolazione
patteggiata da Bernardone Serri a nome del duca, quanto i conseguenti decreti di restituzione della fama, reintegrazione di gradi e
di beni e cancellazione delle pitture ingiuriose fatte eseguire in
Broletto, portano tutti la data del 31 ottobre 1407, ed è noto, e lo
abbiam visto anche per quella del 30 luglio, che le gride ducali
venivano di solito pubblicate per mezzo dei banditori del comune
è
(1) ASM, Reg. Panigarola B, lett. duc. 12 agosto 1407.
(2) MORBIO, op. cit., dipl. 21 agosto 1407.
410 PIO PECCHIAI
il giorno seguente alla loro data, e venivano poi più spesso citate
con la data della pubblicazione, che con quella della emanazione.
Il 31 ottobre, dunque, venne conclusa la pace, e questa constò
di sedici articoli, che riassumiamo:
1° Restituzione della fama e di tutti gli onori ai due castellani e cancellazione delle pitture fatte eseguire in loro disdoro nel
palazzo del Broletto nuovo; loro reintegrazione nel favore del duca
quali fedeli servitori e sudditi e pubblicazione di tutto ciò per
mezzo di gride, previo consenso anche dei governatori ducali (1);
2° Consegna di un salvacondotto, nei termini che il Della
Strada eil Marliani avrebbero dettato, che assicurasse loro e a
tutti i dimoranti nel castello di poter uscire con sicurezza dal castello medesimo, e andare, stare, dimorare e tornare dovunque ad
essi fosse piaciuto, sì nel dominio del duca, come in quello del
conte di Pavia suo fratello;
3° Pagamento integrale di tutti i loro crediti, secondo i libri
del tesoriere ducale Maffiolo Toscani, e più di quei crediti che,
pur esistendo, non fossero stati annotati;
4° Consegna delle bollette per la loro provvisione e stipendio
delle cento paghe mensili pei mesi di aprile a tutto ottobre e pel
tempo in cui fossero ancora stati nel castello e pagamento delle
bollette stesse;
5° Pagamento anche di venticinque paghe di quattro fiorini
ciascuna, cuì i due castellani, singolarmente, avevano diritto oltre
le cento su dette, e ciò pure pei mesi indicati;
6° Restituzione al Delia Strada e al Marliani, nonchè a tutti
i loro parenti ed affini e agli altri dimoranti nel castello, della roba
loro tolta dalle genti del duca o del conte di Pavia, e reintegrazione di tutti i su detti « in eo grado conditione ac jure omnium
« suorum bonorum predictorum in quibus erant ante guerram vi-
« gentem de presenti »;
7° Riedificazione delle case dei due castellani nello stato in
cui si trovavano quando, dichiarati essi ribelli, vennero abbattute,
e ciò appena i due castellani avessero prestato giuramento, della
(1) Evidentemente questa clausola fu voluta per tirare nella capitolazione
anche coloro che allora potevano disporre del favore ducale ed impegnarli a rispettare i patti dal duca accettati.
Go ogle +
CRISTOFORO DELLA STRADA E UN EPISODIO, ECC. e 4II
qual cosa il duca era tenuto a dar sicurezza al mediatore delle
parti, cioè a Bernardone Serri;
8° Permesso a tutti i dimoranti nel castello di toglierne
quanto a ognuno d’essi apparteneva « massaritia, victualia, uten-
« silia, ligna et -arma »; discarico da ogni responsabilità per le
munizioni e masserizie distrutte e consumate nell’assedio, rimanendo però l’obbligo di lasciare quanto nel castello rimaneva.
_ 9° Pagamento al Marliani di 640 lire imperiali, prezzo della
possessione di Melzo ch’egli aveva comperato dalla madre di Lodovico Lonati, cui era stata data a saldo di stipendii, e che erasi
restituita agli eredi del fu Parolo Rozzi;
10° Promessa del duca di rimettersi al giudizio di Berna
done Serri circa l’obbligo, o meno, dei due castellani di far attare
1 ponti e dar loro lavoranti per abbattere il bastione verso la città;
11° Permesso ai due castellani di costringere « realiter et
« personaliter » alcuno dei dimoranti nel castello, se ve ne fosse
stato, che verso di essi si trovasse in debito;
12° Permesso ai su detti di portare armi di giorno e di notte
e di farsi accompagnare ciascuno da dieci « famulis sive sotiis »
nella città e nel ducato di Milano e nel contado di Pavia;
13° Decorsi dodici giorni dalla capitolazione, essendo i detti
castellani rimossi dalla carica, s'intendessero liberi di stare ancora
nel castello tanto che potessero toglierne tutte le robe loro, pur
essendo tenuti a us:re ogni sollecitudine;
14° Essendosi Bernardone Serri obbligato a sborsare ai due
castellani 1500 fiorini in rimborso dì spese da essi sostenute, prometteva il duca far portare a Melzo la parte di detta somma spettante al Marliani;
15° Obbligo del duca di far pagare tutti i crediti di cui sopra
al due castellani, per mezzo del Serri, entro dodici giorni dalla
capitolazione, con facoltà al Serri medesimo di farli « contentos
« antequam intret dictum castrum et accipiat liberam possessionem
« dicti castri »;
16° Impegno del duca di rimettersi al giudizio del Serri in
ogni discussione che fosse potuta sorgere sul trattato e di mantener fede a tutti i capitoli espressi (1).
(1) AOM, Diplomi cit., 31 ottobre 1407.
ur
412 PIO PECCHIAI
Come corollarii alla capitolazione riassunta, il duca, lo stesso
giorno, emanò tre altri decreti.
Col primo si accenna di nuovo al sospetto elevato contro i
due castellani, all'assedio posto al castello; « et tandem (continua
« il duca) interventu magnifici Bernardoni de Serris gubernatoris
Astensis disposuerimus cum ipsis conferre ». Chiariti quindi i pretesi equivoci, i due castellani vennero assolti, come sopra si è detto,
da ogni responsabilità circa le ruine e lesioni di stabili, la dispersione delle munizioni, i danni e le ferite e persino le morti seguite
nel conflitto, e fu ordinato l’annullamento di qualunque atto processuale contro di essi iniziato.
Col secondo il duca ci fa sapere che il Della Strada e il Marliani erano stati dipinti « in loco Brolecti novi », e che per l’avvenuta capitolazione (qui informa che i due castellani uscirono dal
castello per conferire con Bernardone Serri e pel riconoscimento
della loro innocenza, ordinava che quelle pitture fossero cancellate.
Col terzo in fine venivano restituiti ai due castellani tutti i
beni loro tolti e che possedevano « ante guerram vigentem de
« presenti n.
»
* *
Ai decreti ducali successero quelli del governatore di Asti,
Bernardone Serri, che asserisce sin dal primo suo atto essersi
concluso il tutto « de conscientia magnificorum Gubernatorum et
« consiliariorum » del duca. Il primo decreto del Serri ordina che
per un anno, dal 12 novembre 1408 (anniversario della capitolazione) al 12 novembre del 1409, nessuno dia molestie ai due castellani e loro compagni né per prestiti, nè per taglie, nè per altra
simile cagione (1).
Con altro successivo decreto veniamo informati che « in quibusdam locis aliqui obloquutìi sunt: de egregijs viris Christoforo
de la strata et Vincentio de Marliano.... suggerentes in eorum
infamiam quod in reasignatione (2) castri.... non observaverunt
« bonos modos in factis spectabilium virorum condam domini |Jo-
« hannis de Pusterla et Antonij de Vicecomitibus » (3). A_ smentire
tali ciarle asseriva il Serri che « in omnibus requisitionibus factis
(1) AOM, Diplomi di Governo di città varie: Asti, 29 agosto 1408.
(2) Per « resignatione ».
(3) E’ noto che il Pusterla e il Visconti furono messi a morte dopo la loro
uscita dal castello.
- i
R
è ini (n)
CRISTOFORO DELLA STRADA E UN EPISODIO, ECC. 413
per ipsos Castellanos spetialiter semper ipsi castellani requisiverunt securitatem omnium existentium in ipso castro ut precipue
predictorum Johannis e Antonij. Quibus tandem per illustrem
dominum dominum ducem Mediolani, de conscientia Reverendissimì in Christo patris et domini domini Cardinalis Mediolani et
magnificorum dominorum €aroli de Malatestis et Jacobi de Verme
gubernatorum prefati domini et Antonij domini Vercellini de Vicecomitibus consiliari) prefati domini per patentes litteras prelibati
domini sigillatas eius sigillo, ut in ipsis apparet, ac etiam ad
eorum maiorem securitatem per prefatum dominum proprio hore
plene promissum fuit que expedientia erant circa securitatem
personarum predictorum ut in ipsius litteris latius continetur.
Quodque nobis promissum fuit per patentes litteras prefatorum
dominorum ducis, Caroli, Jacobi et Antonij penes nos existentes,
eorum sigillis sigillatas pro pleniori securitate omnium, quamvis
de predictis domino Johanne et Antonio contra ipsas promissiones
sequutum fuerit id de quo condolemus, sed non dolo, nec culpa
ipsorurn Castellanorum, nec alterius eorum. In qua re sic ipsos
repperimus amicos fideles et vidimus constantes et benivolos
predictorum domini Johannis ei Antoni} ac omnium aliorum qui
erant in ipso castro sicut ipsorummet. Ut nos exinde magis eos
magnipendamus, et apud quoscumque magis eos reputemus commendandos. Licet eis promissa, tam circa securitatem personarum
predictorum, quam circa alia non fuerint observata ». E conclude
Serri: « Hec ideo sic attestari disposuimus, ut quicquid dicant,
qui obloquuti sunt vel obloqui vellent de predictis, veritas elucescat » (1).
Dopo le mormorazioni circa il contegno tenuto dai due castellani verso il Pusterla e il Visconti, altre se ne intesero, certo non
indipendenti dalle prime, giusta le quali il Della Strada e il Marliani avrebbero ricevuto dal duca gran quantità di denaro, e a ciò
smentire il Serri pubblicò un’altra grida, in cui asserì aver egli,
quale mediatore e procuratore ducale, pagato ai due castellani solo
quel tanto che loro spettava a norma dei patti espressi nella capitolazione (2).
(1) AOM, Diplomi di Governo di città varie: Asti, 15 maggio 1409.
(2) AOM, Diplomi di Governo cit.: Asti, 17.. . (forse 17 maggio 1409)
Il diploma € in due esemplari entrambi mutili da un lato.
414 PIO PECCHIAI
Sappiamo dagli storici, ed è confermato dai diplomi del Serri,
che, non ostante la pace fatta coi castellani, il duca non potè riavere il suo castello se non nel gennaio 1408, con l’opera del suo
nuovo governatore Carlo Malatesta, al quale, in riconoscenza, volle
la misera città, già non poco smunta dal Terzi e da quanti in quel.
l’epoca avevano facoltà vi taglieggiare, facesse un ricco donativo (1).
Il Della Strada, appena ebbe sistemati alla meglio i suoi affari,
credè prudente cambiare aria. Nel 1409 lo troviamo in Montechiari,
presso Asti, certo sotto la protezione dell'amico Serri (2); l’anno
dopo e parte del seguente tenne la podesteria di Como (3).
Forse era tornato a Milano nel settembre 1411, allorchè il duca
autorizzava il proposto di S. Nazaro Daniele Bossi a comperar
beni fino alla somma di 2000 fiorini da lui, Cristoforo, e da’ suoi
fratelli Bernardo e Gasparino (4). Nel 1413 il Della Strada otteneva
da Filippo Maria la conferma del privilegio d’immunità fiscale del
27 marzo 1407 (5); e due anni appresso supplicava il duca ad annullare ogni atto compiuto contro di lui dal 27 febbraio 1408 al
giorno in cui Filippo Maria era successo al fratello; e ciò perchè,
essendo egli, Della Strada, assente da Milano (dopo la patteggiata
uscita dal castello) « propter odium tunc gubernatorum ducalium »,
erano state emanate alcune sentenze a lui contrarie per presunti
— danni e vantati debiti: una concernava alcuni beni ed una vacca
consunti nel memorabile assedio del castello, un’altra i beni della
Borri, reclamati, e forse già restituiti a quell’epoca, da sua moglie
Caterina Pusterla; ed altre simili sentenze a lui nocive, e contro
le quali stavano i diplomi già concessigli dal duca Gio. Maria, te-
(1) ASC, Lettere ducali, 22 gennaio e 13 marzo 1407.
(2) AOM, Carte ereditarie, famiglia Della Strada, atto 19 agosto 1409.
(3) Ivi, Diplomi di Gov. cit.: Como, 15 decembre 1409; 10 marzo 1410:
Carte ereditarie, famiglia cit., atti 8 marzo 1410 e 31 marzo I4gI1.
(4) AOM, Diplomi viscontei, 6 settembre 1412, recante inserto il precedente
7 settembre 1411, del quale è una conferma. Dalle Carte ereditarie cit. il Della
Strada risulta in Milano da atti del 30 agosto 1412, 24 febbraio 1413, 18 maggio e 21 settembre 1414, II maggio 1416 e 21 maggio 1418.
| (5) AOM, Diplomi viscontei, 22 giugno 1413.
CRISTOFORO DELLA STRADA E UN EPISODIO, ECC. 4
meva il Della Strada fossero pendenti. Il duca accolse pienamente
la supplica (1). |
Dal favore che il nostro cortigiano aveva riacquistato presso
il Visconti possiamo arguire che non sia privo di fondamento ciò
che il Fagnani, nel suo breve cenno biografico di Cristoforo Della
Strada, ci racconta della sua fedeltà alla casa ducale e dei servigi
resi, insieme col Marliani, al nuovo duca, nella difficile conquista
di Milano dovuta imprendere da lui dopo l’assassinio del fratello.
« Constantissime de inde (scrive il Fagnani, dopo aver data notizia
della ribellione e della pace negoziata dal Serri) « semper in fide
« Jo. Mariae Vicecomitis fide semper {ssc) manserunt (Della Strada
» e Marlian:), adeo ut, interfecto a multis coniuratis Vicecomite
« anno salutis humane 1412, multis ad Eustorgium Vicecomitem (2),
« Bernabovis ex Carolo filio nepotem, Stradensis et Marlianus ar-
« cem licet maxima annone penuria laborarent semper in fide Phi-
« lippi Mariae Vicecomitis defuncti ducis fratris conservaverunt,
« licet mediolanensis urbs ab Eustorgio occupata foret; sublevata
« deinde aliquantulum inopia, publici edictis promulgarunt nullum
« laesum iri nisi qui mortis Jo. Mariae authores fuissent, idque
« factum est ut facilius Philippus Maria a mediolanensibus admit-
« tetur, cum hostes promulgassent Philippum Mariam Civitatem
« praede militibus concessisse. Id effecit ut tandem Philippus per
« pacem in urbem ingressus, facile urbem in suam redigeret podestatem » (3).
Pochi anni ancora visse Cristoforo Della Strada: nel 1422 egli
era già passato da questa vita (4). Rimasero di lui tre figli, Stefano,
(1) AOM, Diplomi cit., 28 maggio 1415.
(2) Estore Visconti, detto anche Ettore, figlio, non nepote, di Barnabò, che
l'ebbe dalla concubina Beltramola Grassi.
(3) FAGNANI, genealogia cit. Nel Registro Visconteo di Catellano Cristiani
si trova l’istromento di fedeltà giurata il 24 giugno 1412 dal Della Strada al
nuovo duca Filippo Maria. (ASM, eg. Visc. E alias C, c. 4*). Ivi pure si trovano (cc. 46 e 76') due istrumenti concernenti il Marliani: 12 luglio e settembre
o agosto (data incerta) 1412. Circa la castellania di Porta Giovia, dai documenti
appare la sola rielezione del Marliani avvenuta nel 1412. Veggasi G. Romano,
Contributi alla storia della ricostituzione del ducato milanese sotto Filippo Maria
Visconti in Arch. st. lomb., VI (1896), pp. 240-43.
(4) AOM, Carte ereditarie, famiglia Della Strada, atto $ decembre 1422, dove
compare Caterina Pusterla « relicta condam domini Christofori de la strata ».
DI “i
.
416 PIO PECCHIAI
Michele e Pietro Paolo (1). Nel 1459 il secondo era morto (2): nel
1467 il solo Stefano riceveva dalla duchessa Bianca Maria ViscontiSforza la conferma del privilegio d’immunità fiscale già al padre
suo largito dagli ultimi duchi viscontei (3). Nel 1482 anche Stefano
più non esisteva, lasciando però discendenza (4). E’ notevole che
nel 1449 Stefano e Michele Della Strada vennero dichiarati ribelli
dal governo comunale (5), il che può dare un’idea della fedeltà di
quella famiglia ai Visconti, come prova il rinnovato favore ad essa
concesso dagli Sforza.
Pio PECCHIAI.
(1) Ivi, Carte cit., atto 31 maggio 1429, nel quale è citato il testamento
2 febbraio 1408 rog. Giorgio da Molteno di Cristoforo. Egli istituì eredi universali i tre figli sopra nominati, disponendo di un legato di 5 fiorini d’oro a
favore della, chiesa di S. Maria Materdomini, da impiegarsi in restauri di cui
essa aveva bisogno. Detta chiesa sorgeva fuori porta Nuova, presso la qual porta
il Della Strada aveva la sua dimora, in parrocchia di S. Pietro in Cornaredo.
(2) Ivi, Carte cit., atto 15 febbraio 1459.
(3) Ivi, Diplomi viscontei, 21 ottobre 1467.
(4) Ivi, Carte cit., atto 4 decembre 1482.
(5) ASC, Cronologia, atti 21 marzo e 26 maggio 1449.
ì
Contributi alla biografia di Leonardo da Yinci
(PERIODO SFORZESCO)
i accingersi ad un lavoro di qualche ampiezza sopra la
vita di Leonardo, o sopra uno dei grandi periodi, nei
plessi problemi, che si lasciano difficilmente padroneggiare da ogni lato e perciò non tardano a vendicarsi, esercitando.
la critica, riaccendendo più vivaci le discussioni. Così avviene che,
prendendo a considerare i risultati degli ultimi sforzi costruttivi (1)
dedicati alla biografia vinciana, io mi trovi stimolato a pubblicare
gli appunti, che qui raccolgo, intorno ad alcuni particolari o sconosciuti, o mal noti, o controversi del periodo che lega il nome di
Leonardo a quello di Lodovico il Moro. E poichè chi espone le
proprje opinioni prendendo a partito una o più pubblicazioni, nelle
quali viene ravvisando con interesse, con avidità, con un’attenzione
viva e pugnace le svolte, i. pendii, le difficoltà della via che anch'egli ha, un tempo, percorsa, stabilisce quasi inevitabilmente non
(1) Mi riferisco, in special modo, per il primo periodo fiorentino, intorno
al quale spero mi sia data in seguito l’occasione di esporre qualche ricerca personale, alla pubblicazione del norvegese J. THirs (Leonardo da Vinci, Kristiania,
1909), della quale è apparsa nel 1913 (London, Jenkins) la traduzione inglese; e,
per il piimo periodo milanese, del quale qui particolarmente mi occupo, al vo»
lume di Francesco MaLaGuzzi VALERI, La corte di Lodovico il Moro: Bramante
e Lionardo da Vinci, Milano, Hoepli, 1915. Del ricco lavoro del MaLaGUZZI, considerato nel suo complesso, ha parlato in quest’ Archivio L. Fumi, nella puntata
del 21 febbraio di quest'anno.
Arck. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. III. 27
418 GEROLAMO CALVI
pochi contrapposti, io faccio qui anticipata ammenda di ciò che
possa, in queste ‘pagine, apparire il frutto di un troppo confidente
ardore personale di ricerca e di discussione, dichiarando ch'io so
troppo bene che spesso alla pagliuzza nell'occhio altrui fa riscontro
la trave nel proprio, e confessando di dover accampare per me
stesso un motivo d’indulgenza. Distratto da varie occupazioni, ho,
negli anni più recenti, lasciato alquanto sonnecchiare gli studi, che
qui tento di riprendere, ed ai quali, durante un periodo ormai lontano, avevo dedicato una più costante attività. Così che, per la
miaggior parte, le cose che verrò esponendo riproducono osservazioni ed idee già contenute nel saggio, che, più di dieci anni fa,
io avevo messo insieme, di una storia della vita e delle opere di
Leonardo da Vinci, e che ha perciò obbedito al noto precetto
oraziano, non sempre rimunerativo nel campo degli stud! storici.
Nè io oserei, senza prima avere aggiornato, con una maggiore estensione di ricerche e di confronti, il mio lavoro biografico, dar fuori
queste note, se dalla lunga dilazione non mi fosse provenuta
qualche impazienza, e se ad un tempo, i giorni ardenti che attraversiamo, richiamando con insistenza dagli studi alla vita, non affrettassero la penna; se infine le stesse pubblicazioni, dalle quali,
come ho accennato, prendo le mosse, non mi fossero in certo modo
garanti dello stato dell'opinione circa i problemi dei quali mi occupo: così che io mi risolvo a trarre nova et vetera dal mio piccolo
bagaglio.
1.
La questione, che suo] presentarsi per prima a chi voglia studiare le relazioni di Leonardo con gli Sforza, concerne la controversa lettera dell’artista a Lodovico il Moro, il tempo e la cagione della venuta del Vinci a Milano. E poichè tra i possibili
motivi della partenza del pittore da Firenze viene indicata (1), per
(1) II Tuis (op. cit., ed. ingl. cit., p. 34) pensa che Leonardo possa essere
andato a Milano, perchè « non abbastanza apprezzato dal gran mecenate di Fi-
« renze ». Il MatraguzEI, Op. cit., p. $65, accenna alla stessa congettura, ma
senza insisttrvi e dando maggior peso ad un'altra considerazione (l’opulenza degli
Sforza) che, come si dirà più avanti, può avere attratto il Vinci. Sulle relazioni
di Leonardo coi Medici s'indugiò un poco il SoLmi (Leonardo e Machiavelli) in
- —
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 419
ipotesi, l'indifferenza di Lorenzo il Magnifico verso il giovane
maestro, conviene risalire un po’ più addietro e domandarci: Ebbero i Medici una parte preponderante e decisiva nelle sorti di
Leonardo durante quel primo periodo fiorentino della sua attività
artistica, che terminò appunto col trasferimento del Vinci in Lombardia? lo non dubito di rispondere affermativamente; e l’argomento, decisivo ancor esso, mi è dato da un passo vinciano, che,
nell’ edizione. del Codice Atiantico (1), sì trova trascritto in modo
diplomaticamente esatto, ma non appare essere stato, criticamente,
bene inteso. A fol. 159 recto c del codice ora citato si legge, in
fondo a una serie di figure e d’appunti di geometria, questa brevissima e singolarissima nota di Leonardo: « li medici mi creorono
« e desstrussono », cioè (come avrebbe dovuto intendersi, se non
si fosse dato, come si fece nella trascrizione critica del codice,
l'iniziale minuscola e il significato comune alla parola medici):
« Li Medici mi creorono e destrussono » (2). La pagina, ove
sì trova quest’ appunto, si può, fortunatamente, assegnare, per
questo Archivio, serie quarta, XVII (1912), pp. 209-219, riuscendo a conclusioni
anch'esse alquanto disformi da quella che qui appoggio alla testimonianza di Leonardo. Già il Muùnrz, parlando dei signori e dei mecenati italiani della Rinascenza aveva, assai tempo fa, emesso un giudizio, che non appare corrispondere al dato autobiografico di Leonardo, nè ai cenni biografici dell’Anonimo
Gaddiano: « Parmi ces amateurs distingués par leur goùt cu leur magnificence,
« Ludovic le More a marqué sa place au premier rang à còté de Laurent de
« Médicis et encore a-t-il sur le Mecène florentin un avantage, celui d’avoir
« deviné le génie de Léonard ».(La Renaissance en Italie et en France à l’époque
de Charles VIII, Paris, Firmin-Didot, 1885, p. 216; cfr. Luzio E RENIER, Delle
relazioni d’Isabella d'Este Gonzaga con Ludovico e Beatrice Sforza, in questo Archivio, serie seconda, VII (1890), p. 93).
(1) Il Codice Atlantico di Leonardo da Vinci nella biblioteca Ambrosiana di
Milano riprodotto e pubblicato dalla Regia Accademia dei Lincei sotto gli auspici
e col sussidio del Re e del Governo. Fasc. XIII. Milano, Heepli, 1897, p. sis e
tav. DXIV.
(2) Nelle citazioni deì mss. di Leonardo mi sono attenuto alla grafia originale. Tuttavia, trattandosi di frammenti, che sono tutti o quasi tutti già riprodotti e pubblicati, ho, per l'intelligenza del testo, scritto tra parentesi () in
carattere tondo le lettere o parole che disturbano la lettura, e in carattere corsivo
le parole o lettere che si trovano cancellate nell’originale; ho aggiunto tra parentesi { ] quelle necessarie ad agevolarla; ho sciolto le abbreviature, diviso regolarmente le parole, messo gli accenti e gli apostrofi dove si richiedevano.
420 GEROLAMO CALVI
considerazioni intrinseche ed estrinseche, ad un determinato periodo della vita di Leonardo. Essa appartiene a quella serie, abbastanza numerosa, di fogli (per la maggior parte conservati nel
Codice Atlantico), ove il Vinci ha lasciato traccia di certi suoi pazienti, assidui etudî di trasformazioni di figure curvilinee e di equivalenze geometriche, ch’egli svolge negli ultimi anni della sua vita
e raccoglie sotto varî titoli (1), dei quali i più caratteristici per noi.
e fors’anche gli ultimi in ordine di tempo sono quelli di « elementi
« ludici geometrici » (2) e di « ludo geometrico » (3). Varie considerazioni ci inducono ad assegnare l’intero gruppo o almeno la principalissima parte di questi studî a quello che si può chiamare il
periodo romano della vita di Leonardo ed agli anni successivi ed
estremi del suo soggiorno in Francia. Tra i codici, che, avendo
conservato in tutto o in parte la compagine primitiva, costituiscono
i nostri migliori termini di confronto per la datazione approssima-
(1) Cfr. Cod. Atl, 114 recto bd (« de trasmiutatione »), 136 recto a (« delle
trasmutatione delle superfitic churve in rette »), 139 recto a (« elementi geometrici curujlinj — travagliamenti di varie figure curujlinje »), 156 recto 5 («a de
transmutatione de superfitie »), 165 recto d (« della trasformatione delle super-
« fitie churvilinie in superfitie rettilatere e della ( f) trassfighuratione delle ret-
« tilatere in churvilinje . cioe di superfitie continuate di note proportionj »), etc.
Il passo più interessante, perchè ci da un'idea complessiva di quest'opera matematica del Vinci, si trova a fol. 170 recto. a dello stesso Codice Atlantico: e Di
« quesste mja superfitie curvilinje (.) molte ne son quadrabile in sè medesime
« cholla trassmutatione delle sue propie parte nel suo tutto E molte ne son che
« colle sue propie parte sono inquadrabile Ma(s)si dà quadrati equali a(1)loro
« tolti d’altre superfitie e chon queste si c[o]npone l’ultima mia opra di cento 138
libri da me conpossti (la) nella quale è 33 modi variati di dare quadrati rettilini equali a(c)circoli c[i]oè equ[a]li in q[u]antità » ecc.
(2) Cod. Atl., fol. 45 recto a: « elemenij ludici gieometricj ».
(3) Cod. Atl., fol. 45 verso a: « avendo io finito lì contro vari modi di
« quadrare li circuli cicé dare quadrati di capacità equali alla capacità del circulo
« (al presente do) e date regole da prociedere in jnfjnjto al. presente comi[n]cio
< il libro detto de ludo gieometricho (el) e do ancora modo di prociesso infi-
« njto ». Cfr. 174 verso b: « de ludo gieometricho »; 259 verso: « De ludo
gieometricho »; etc. Già un precursore di Leonardo, Leon Battista Alberti, si era
applicato a questo ramo della geometria: cfr. De lunularum quadratura (ex codice Florentino bibliotheca Magliabechianae 243, classis VI, f.° 77, qui Alberti
libellum Ludi mathematici inscriptum conplectitur) in Leonis BAPTISTA ALBERTI
Opera inedita et pauca separtatim impressa Hieronymo Mancini curante. Floren
tue, J. C. Sansuni, editor, 1890, pp. 305-307.
n_A
È
Sud
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 421
tiva dei fogli staccati o artificialmente riuniti, il ms. G, che il Vinciì
ha riempito delle sue note durante il periodo romano (1), ci mostra
che Leonardo aveva allora preso a prediligere gli studî, ai quali
ho accennato (2). Ma, anche più direttamente, qualche data e qualche
altro riferimento all’epoca tarda ed ai soggiorni di Roma e d’Amboise si può desumere qua e là dai fogli stessi del Codice Atlantico, che contengono quei caratteristici esercizi geometrici. Così,
per segnalare alcune delle prove più notevoli, la data apposta da
Leonardo ad una delle sue dimostrazioni geometriche: « finjta addi
« 7 di luglio a ore 23 a beluedere nello studio fattomj dal magni-
(1) Oltre che dall'analisi dei contenuto, la datazione approssimativa del ms.
G. si può ricavare dal seguente appunto, particolarmente interessante per i rapporti, che intendiamo illustrare: « partissi il magnificho givliano de medici addi
« 9 di giennaio r51s in sull'aurora da(r)roma per andare a(s)sposare la moglie
« in savoia — e in tal di ci fu la morte de re di francia » (Ms. G., verso della
copertina; v. CHarLEs RavaIsson-MOLLIEN, Les manuscrits de Léonard de Vinci,
V, Manuscrits G. L & M. de la Bibliothèque de l’Institut. Sulla data della morte
di Luigi XII, che si pone al 31 dicembre 1514 0 al 1° gennaio 1515, v. HauSsER
(HenR1), Sur /a date exacte de la mort de Louis XII et de Pavinement de Frangoîs Jem in Revue d’histoire moderne et contemporaine. Tome V, numéro III,
(15 déc. 1903), pp. 172-182. Leonardo (se la cifra, che nella riproduzione non
è leggibile, fu trascritta esattamente) segna probabilmente il giorno in cui la
nofizia fu conosciuta a Roma. Cfr. anche, per l'appartenenza del ms. G al periodo romano, il foglio 43 recto (« Zeccha di Roma 3).
(2) Cfr., nel citato manoscritto, i fcgli 17 recto e verso, 40 recto, 43 verso,
55 verso, 56 recto e verso, $8 recto e verso, 59 recio e verso, 60 verso, 66 recto,
69 recto e verso. Per i medesimi studî cfr. anche Feuillets inédits de Léonard de
Vinci. Notes et croquis de geometrie, Paris, Rouveyre, 1901, fol. 2 recto, 2 verso, etc.
Il ms. E (con l'appunto datato relativo alla partenza di Leonardo per Roma,
il 24 settembre 1513 e con un'altra noticina datata, del 25 settembre 1514), di
poco anteriore al ms. G., così da doversi riferire anch'esso, almeno in parte, agli
anni che Leonardo passò ai servigi di Giuliano de’ Medici, offre pure studî di
geometria, ma non così specializzati; onde ci troviamo inclinati a credere che
agli « elementi ludici geometrici » Leonardo non abbia dato la sua attività che
intorno al 1514-1515 e negli anni successivi. La nota del 7 luglio 1514 sul
fol. 90 verso a del Cod. Atl. può considerarsi vicina all’inizio di questa serie
di studi. Leonardo vi segna il giorno, in cui compie una dimostrazione, che ha
agli occhi suoi qualche importanza e forse gli apre nuovi orizzonti in queste
ricerche; non mi sembra doversi veder qui (come parve al SOLMI, Leonardo,
Firenze, Barbera, 1900, p. 197) quasi l'explicit del De ludo geometrico: denomimazione che su questo foglio non compare. Certo è che a questi stuui egli si
dedica con crescente attività negli anni successivi.
422 GEROLAMO CALVI
« ficho 1514 » (fol. 90 verso a); il frammento di minuta di lettera
(della quale faccio parola più sotto) a Giuliano de’ Medici (fol. 9a
recto b); l’appunto sulla « stalla del magnificho » (fol. 96 verso a);
quello sui fossili di monte Mario (fol. 92 verso c); il breve scritto
{non di mano di Leonardo) recante l’indirizzo di un medico di Roma
(fol. 114 recto a); la data del 3 di marzo 1516 sul foglio 230 recto a;
la nota relativa a S. Paolo di Roma, dell’ [ago]sto 1516 (1) (fol. 172
verso b); e, per il periodo francese, il foglio colla data del « dì
« dell’As[{c]ensione in anbosa 1517 di maggio nel clu » (103 recto d);
le scritture di mano francese, che si trovano sui fogli 174 verso c
(coll’indicazione di Amboise) e 177 recto a; etc. Sul foglio stesso,
che c’interessa, si trova, oltre agli appunti ed alle figure di geometria, rapidamente tracciata, una piccolissima pianta di chiesa a
tipo centrale, che offre singolari analogie colla costruzione di San
Pietro, che Bramante, morendo nel marzo del 1514, lasciava interrotta. La scrittura poi, in gran parte dei fogli contenenti gli accennati studî di equivalenze geometriche, si presenta, sia per la qualità della carta adoperata, sia per una minor cura nel temperare
la penna, sia per certa pesantezza della mano che risente dell’età
già avanzata di Leonardo, meno nitida che negli scritti dei periodi
precedenti. Il tratteggio delle figure è per lo più irregolare e impaziente e lo scritto assai spesso sbavato e annebbiato, cogli occhielli e cogl’ intervalli delle lettere non di rado accecati dall’ inchiostro. Abbreviature caratteristiche per termini usati con grande
frequenza (circulo, triangulo, quadrato, quadrare, quadratura, etc.)
si ripetono continuamente in tutta la serie dei fogli accennati. Tutto
ci induce a concludere che il foglio 159 recto c del Codice Atlantico, recante l'appunto, che ci interessa, deve appartenere al periodo che comprende gli ultimi cinque anni della vita di Leonardo,
ma più probabilmente al biennio 1515-1516, quando già il Vinci
era deluso nelle speranze che lo avevano tratto a Roma.
L’assunzione di Leone X alla sede pontificale aveva determi.
nato un risveglio ed un aumento della colonia fiorentina a Roma,
ed era stato il segnale d'un nuovo movimento degli artisti verso
(1) Cfr. anche G. B. Ds Toni, e E. Soci, Interno all'andata di Leonardo
da Vinci in Francia. Nota in Atti del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti,
anno 1904-1905, to. LXIV, par. II, p. 490.
—
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 423
la città eterna. Leonardo vi giungeva sotto l’egida ed ai servigi
di Giuliano de’ Medici (1), il quale amava promuovere la coltura
con intendimenti scientifici e si faceva mecenate degli artisti, che
s'erano sviluppati in tale senso. Si volgeva, nello stesso tempo
che Leonardo, a Giuliano de’ Medici fra Giocondo (che moriva a
Roma il 1° luglio del 1515) (2), dedicandogli la seconda edizione
del suo Vitruvio, che si stampava per Filippo di Giunta a Firenze
nell'ottobre del 1513, proprio quando il Vinci vi passava per recarsi a Roma: « Virtutes tam liberales quam mechanica tanto
« magis proficiunt perficiunturque, quanto apud eos tractantur, qui
« illarum delectationibus detinentur et indefesso solertique studio
« eas persecuntur, ut de te audio Juliane medices uir optime et
s earum studiosissime.... Accipe igitur animi mei amoris et uene-
« rationis erga te indicia, et cum tibi hactenus notus non fuerim,
« his initiis me nouisse claritatem tuam non pigeat » (3). Forse
anche Leonardo sperava, con tale protezione, di poter pubblicare
una parte dei suoi studi. In nessun periodo infatti il lavoro teorico
sembra essere stato più intenso che in questi anni passati dal
maestro a Roma.
lì Magnifico Giuliano aveva fatto a Leonardo uno studio in
Belvedere (4); la tranquillità pareva dover essere assicurata al
grande artista; ma le cose, come è risaputo, non volsero propizie
al Vinci nella Roma di Leone X. Di certe noie, ch’egli ebbe a
soffrire da parte di due meccanici tedeschi e che, a cagione del-
(1) Il Vasari, nella Vila di Leonardo, scrive: « Andò a Roma col duca
« Giuliano de’ Medici nella creazione di Papa Leone, che attendeva a cose filo-
« sofiche e massime alla alchimia ». Le Vite, con nuove annotazioni e commenti
di G. MiLangsi, IV, Firenze, Sansoni, 1879, p. 46.
(2) Cfr. Giuseppe Fiocco nella introduzione premessa alla Vita di Fra Giocondo (collezione delle Vite vasariane diretta da P. L. OccHINI ed E. Corzani),
Firenze, Bemporad, 1915, p. 51; e nota a p. 75.
(3) Vitruvius iterum et Frontinus a locundo revisi repurgatique quantum ex
collatione licuit. [In fine:] .... « Florentiae sumptibus Philippi de Giunta Florentini.
« Anno Domini MDXIII mense Octobri »; v. il verso del frontispizio e il recto sg.
Fra Giocondo dedicava a Giuliano anche la stampa aldina (1513) dei Commentari
di Cesare, da Jui parimenti curata.
(4) Cfr. l'appunto, già riferito, del Cod. Atl., fol. 90 verso a; e il documento
segnalato dal MùNTZ in Mistoriens et critiques de Raphael, Paris, 1890, p. 133.
424 GEROLAMO CALVI
l'età e di una salute forse già assai scossa e affaticata (1), egli
potè risentire più acutamente, troviamo il ricordo in certe minute
di una lettera che Leonardo indirizzò o pensò indirizzare al Magnifico Giuliano, ancora conservate nel Codice Atlantico (2), nel
quale non mancarono di potarle i biografi.
Vi appare la suscettibilità dell’inventore e dello scienziato, il
suo disagio nel vedersi disturbato in mezzo alla paziente ricerca
e ferito nelle prerogative del suo pensiero. Appare inoltre da queste
(1) Cfr., nella minuta di lettera a fol. 247 verso dè del Cod. Ati., le parole:
« Tanto mj son rallegrato (0) illustrissimo mjo signore (del grande acquesto) del
« (famoso) desiderato acquisto di uosstra sanjta (il îo haffatto riavta la sanjta
« mja son sono all'ultimo del mjo male) el mal mjo da me s'è fuggito della quasi
« rin(ar)tegrata salute di uosstra eccellentia (ch’el mig) ». E più sotto, in un
altro tentativo di redazione: « Tanto mi son raliegrato Illustrissimo mjo signore
« del desiderato acquissto di vosstra sanjta che quasi il (m1jo) male da me s'è
« fugito ».
(2) Cod. Atl., fol. 247 verso b, cit., 92 recto b, 182 verso c. M." CHARLES
Ravarsson-MoLLIEN (Léonard de Vinci avec Louis de Ligny et Jean Perréal sous
Charles VIII avant Pexpédition de Naples in Revue du temps present, Parigi, 2 febbraio 1912) crede che la minuta di lettera a fol. 247 verso d si trovi sulla contropagina del foglio (247 recto a) che porta alcune parole anagrammate, in una
delle quali appare il nome del Ligny (cfr. Raccolta Vinciana, fasc. III, luglio 1906-
luglio 1907, pp. 99-107); e da questo presupposto (affatto erroneo, perchè si tratta
di due fogli distinti, inseriti su una stessa carta del grande codice) muove ad una
serie di considerazioni, che, da un lato, vengono così a mancare dell’argomento
principale a favore della ipotesi da lui emessa sull’epoca, alla quale dovrebbero
riferirsi i rapporti tra Leonardo e il Ligny; e dall'altro non infirmano l'opinione,
fondata su indizî troppo evidenti, che ritiene aver Leonardo scritto la minuta di
lettera a fol. 247 verso è del Cod. Atl., mentr'egli si trovava ai servizî di Giuliano. Tutt’ al più si potrà dubitare se la lettera debba con tutta sicurezza ritenersi indirizzata a Giuliano de’ Medici piuttosto che ad un alto personaggio, dal
quale gli artisti, che servivano il principe. riconoscessero la loro dipendenza.
Il piccolo saggio di esegesi, col quale avevo cercato (in Raccolta Vinciana cit.)
di chiarire il significato degli anagrammi sul fol. 247 recto a, non è stato molto
fortunato. È successo che delle due ipotesi, che il nome e i più ovvii dati raccolti sul Ligny mi avevano suggerito e delle quali facevo arbitro il lettore, l’una
fosse opposta all’altra coi miei stessi argomenti (cfr. quest’.Archivio, serie quarta,
X, 1908, p. 357, nota); e il SEIDLIT2, Leonardo da Vinci, II, p. 123, forse sviato
da ciò e da un altro appunto del SoLmi (Le fonti dei mss. di Leonardo da Vinci,
Torino, Loescher, 1908, p. 335, nota) ha cresciuto il groviglio, facendomi assegnare le relazioni fra Leonardo e il Ligny ad una data, che si trovava da me
tassativamente esclusa (cfr. Race. Vinc. cit., p. 107), come anacronistica.
_
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 425
minute che si era tentato d’ impedirgli gli studî anatomici, biasimandoli presso il papa (1). Se queste erano le prove subìte dallo
scienziato, l’artista, che anche a Roma dovette forse apparire troppo
distratto dalle sue ricerche analitiche, sembra rimanere nello sfondo
di una scena ove si avanzano altri protagonisti. Da un aneddoto,
-che il Vasari racconta (2) ed al quale non sappiamo che fede si
debba prestare, si sarebbe tentati di credere che Leone X non
fosse inclinato a prendere molto sul serio Leonardo come pittore.
Il sentirsi lasciato in disparte e quasi negletto, mentre si conducevano grandi opere artistiche,.la decorazione pittorica delle Stanze,
la costruzione di San Pietro, nella quale il Vinci poteva vagheggiare di succedere al Bramante, dovette tornargli amaro nel confronto di periodi per lui più splendidi. Ma il disappunto più grave,
quello che, secondo il Vasari, avrebbe deciso Leonardo a recarsi
in Francia, sarebbe nato da un episodio, al quale il Vasari stesso
accenna oscuramente e che avrebbe avuto relazione coll’allogazione
della facciata di San Lorenzo, l’opera che Leone X, sostando a
Firenze al suo ritorno dal convegno con Francesco I in Bologna
(dove Leonardo ebbe pure a recarsi con una comitiva del duca
Giuliano) (3) mostrò di voler promuovere e che diede luogo alle
grandi discussioni accennate dal Vasari (4). Benchè il Vasari non
nomini il Vinci tra coloro che fecero disegni per la facciata, vi fu
chi congetturò (5) che, nella concorrenza di coluro che potevano
aspirare a un tale incarico, dovesse rinnovarsi ancora una volta la
contrapposizione di Leonardo e di Michelangelo. Ma, anche senza
ch’egli mirasse direttamente a quell’allogazione (del che non si
(1) Cfr. anche BARATTA, Curiosità vinciane, Torino, Bocca, 1605, pp. 3-4.
(2) VASARI, Vite, ed. cit., a cura di G. MILanEsI, vol. IV, p. 47.
(3) V. il documento esistente nelle carte strozziane, già parzialmente prodotto dal RicHTEr, The literary works ecc., cit., II, p. 407, € più recentemente
trascritto e illustrato dal De Tonr e dal SoLmi, Intorno alPandata, ecc., cit., in
Atti cit., p. 490. ;
(4) Cfr. Vasari, Vite, ed. cit., VII, pp. 188 e 496.
(5) Vedi la nota al Vasari in Vite, ed. cit., IV, p. 47-48. D'altra parte la
biografia di Michelangelo, in qualche recente pubblicazione, ove si trovano raccolti e vagliati minutamente i dati relativi all’allogazione della facciata di
S. Lorenzo (cfr. Justi, Michelangelo, Lipsia, Breitkopf e Hartel, 1900, p. 259, sgg.;
TÙope, Michelangelo, Kritische Untersuchungen ber seine Werke, II, Berlino,
Grote, 1908, p. 85, sgg.) non sembra tener conto di tale congettura.
426 GEROLAMO CALVI
hanno le prove) il Vinci avrebbe potuto attribuirsi, palesemente o
segretamente, qualche diritto alla preferenza dei Medici, di fronte
a Michelangelo ; e il prevalere dell’antico rivale, del quale gli era
noto l’esclusivismo sdegnoso, lo avrebbe toccato come voto di sfiducia e chiaro segno di sconfitta. Si può pensare che tale sia il
significato - dell’ oscuro passo del Vasari, nella Vita di Leonardo:
« Era sdegno grandissimo fra Michelagnolo Buonarroti e lui: per
« il che partì di Fiorenza Michelagnolo, con la scusa del duca
« Giuliano, essendo chiamato dal papa per la facciata di San
« Lorenzo. Lionardo, intendendo ciò partì, ed andò in Fran-
« cia » {1). Nel frattempo quell’appoggio, che il Vinci poteva forse
ancora sperare di avere dal Magnifico Giuliano, gli era venuto
meno per la malattia e per la morte di questi, avvenuta nel marzo
del 1516. L’ultima traccia della presenza di Leonardo in Roma è
una nota autografa dell’ agosto 1516, che ho già ricordato, e che
contiene certe misure della chiesa di San Paolo: il De Toni e il
Solmi, da questo passo e dalle vicende dell’allogazione a Michelangelo, sono inclinati a porre verso la fine del 1516 la partenza
del Vinci da Roma (2).
Dell’insuccesso doloroso del Vinci sotto i figli di quel Medici,
che aveva veduto la sua prima promessa e favorito le prime manifestazioni del suo genio ritorna l’eco nella malinconica, nostalgica riflessione lasciata da Leonardo sul foglio 159 recto c del Codice Atlantico: « Li Medici mi creorono e destrussono ». Mentre
lamentava che il Magnifico Giuliano e Leone X avessero segnato
il tramonto della sua fortuna, Leonardo riconosceva di dovere, per
non piccola parte, ai loro maggiori, nel primo periodo del suo sviluppo artistico, la sua ascensione e il suo successo. Ho insistito su
questo incisivo frammento vinciano e sulle vicende che possono
averlo suggerito, perchè la sua interpretazione, che non mi sembra
poter essere diversa (3) da quella che qui ne è data, reca un im-
(1) Vasari, Vite, ed. cit., vol. IV, p. 47. Su tutto ciò si veda la citata nota
dei signori De Toni e SoLmi, in Atti cit., pp. 487 sgg.
(2) Cfr. Atti cit., p. 489 e 495.
(3) Leonardo piglia qualche volta l’occasione di dir male dei medici nel significato comune della parola. Egli li chiama, nel ms. F. (fol. 96 recto), « destrut-
« tori di vite »; e, nei fogli dell'anatomia, dà questo precetto: « e ingegniati di
« conservare la sanjta la qual cosa tanto più ti riusscirà quanto più da'’ fisici ti
- î
CONPRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 427
portante elemento autobiografico all’illustrazione dei periodi estremi
della vita di Leonardo. E per il primo di essi, cioè per gli anni
che precedono la venuta del maestro a Milano, essa concorda
singolarmente con ciò che l’Anonimo Gaddiano ci dice della protezione accordata al Vinci da Lorenzo il Magnifico: « Stette da gio-
« vane col Magnifico Lorenzo de Medicj, et dandoli provisione per
« se ei faceva lavorare nel giardino sulla piazza di san Marcho dj
«-Firenze » (1). Da questa prima e notevole coincidenza col dato
autobiografico, che abbiamo messo in luce, non può non ricevere
qualche maggior credito anche ciò che l’Anonimo dice subito dopo:
« .... haveva 30 annj, che dal detto Magnifico Lorenzo fu mandato
« al duca di Milano a presentarlj insieme con Atalante Migliorottj
« una lira, che unico era in sonare tale extrumento » (2). Che quanto
all'anno del trasferimento di Leonardo a Milano l’Anonimo ci avesse
fornito un dato cronologicamente esatto (o quanto mai approssimativo), poteva ormai affermarsi con sicurezza in base agli elementi
di fatto e di giudizio via via radunati dalle pubblicazioni del Milanesi (3), del Maller-Walde (4) e del Biscaro (5). Alla fine di set-
« guarderai — perchè le sue conpositione son di spetie d’archimia della quale
« non è meu numero di libri che si sia di medicina » (cfr. Dell Anatomia fogli A,
pubblicati da TH. SABACHNIKOFF, trascritti e annotati da GiovanN: PIUMATI, Parigi, Rouveyre, 1898. Fol. 2 recto. Ho corretto in un punto la trascrizione). Ma
mi pare del tutto escluso che il frammento del fol. 159 recto c del Cod. Atl.
possa riferirsi ugualmente ai medici nel significato comune; l’espressione « li me- ’
« dici mi creorono » non vi avrebbe senso alcuno, mentre creare, creato (cfr. il
Vasari, che nella Vita di Leonardo (Vite, ed. cit., IV, 37) dice che il Vinci
« prese in Milano Salai milanese per suo creato ») ed oggi ancora creatura sono
termini adoperati, con traslato abusivo, per chi è stato messo in buona condizione
da un altro.
(1) CorneLIO De FaBsriczr, /) Codice dell’Anonimo Gaddiano (Cod. Magliabechiano XVII. 17) nella biblioteca Nazionale di Firenze, in Archivio storico
italiano, quinta serie, to. XII, anno 1893, p. 87. La biografia vinciana dell’Anonimo Gaddiano era stata già pubblicata prima dal MILANESI.
(2) Ivi.
o G. MiLanEsi, Documenti inediti riguardanti Leonardo da Vinci in Archivio
storico italiano, serie terza, vol. XVI, Firenze, 1872, pp. 219-230.
(4) MuùLLer-WaLDE (Paut) Beitràge zur Kenniniss des Leonardo da Vinci, I.
Ein neues Dokument zur Geschichte des Reiterdenkmals fur Francesco Sforza, iu
Jabrbuch den kbn. preussischen Kunstsammlungen, XVIII, 1897, fasc. II-III
(5) Biscaro GrroLAMO, La commissione della « Vergine delle Rocce » a Leonardo da Vinci secondo i documenti originali (25 aprile 1483) in Arch. stor. lomb.,
serie quarta, XIII, 1910, pp. 125-161.
Be.
®
428 GEROLAMO CALVIO
tembre del 1481 il Vinci si trovava ancora in Firenze, poichè i frati
‘di San Donato a Scopeto; i committenti d’una pala d’altare, che si
suole identificare colla tavola dell’ Adorazione dei Magi, oggi esistente, non finita, nella collezione degli Uffizî; gli addebitavano
« uno barile di vino vermiglio ebbe qui a sancto donato » (1); e
nell'aprile del 1483 egli era a Milano, già abbastanza famigliare
col suo nuovo centro di lavoro, se lo vediamo associato con un
pittore locale, Ambrogio de Predis nell’assumere e nel firmare l’elaborato contratto del 25 dello stesso mese (2) per la pittura della Vergine delle Roccte. Sta proprio in mezzo alle due date il 1482 (3), il
‘trentesimo anno della vita di Leonardo. Niente esclude che il Vinci
potesse arrivare a Milano nella vernata del 1481-82: ed anzi si era
ritenuto dal Muller-Walde (4), per via di congetture indirette, che
la venuta del maestro dovesse ascriversi alla fine del 1481. Il
Malaguzzi Valeri (5) inclina a credere ch’egli giungesse a Milano
verso la fine del 1482. Non pare che si abbiano elementi sufficienti
per spostare con qualche sicurezza la data verso l’uno o verso
l’altro estremo; e noi lasceremo che il lettore pesi per conto proprio le probabilità, volgendosi a considerare, come facciamo anche
noi, le circostanze e i motivi del trasferimento di Leonardo in
Lombardia.
Abbiamo escluso che il Vinci potesse lagnarsi d’essere stato
negletto da Lorenzo il Magnifico. ll favore dei Medici, quand’anche
non lo si voglia ritenere accordato subito e direttamente alle pro-
(1) Cfr. MùLLeRr-WALDE in Jahrbuch cit., p. 121.
(2) Cfr. il documento pubblicato dal Biscaro in Lirch. stor. lomb., cit,
pp. 151-155.
(3) Già circa mezzo secolo fa GeroLAMo Luigi CaLvi, nella III parte delle
sue Notizie (Leonardo da Vinci, Milano, Borroni, 1869, p. 15-16 e sg.) aveva,
benchè appoggiato a dati incompleti ed incerti, designato il. 1482 come anno
della venuta di Leonardo a Milano; ed è al tutto inesatto scrivere (cfr. Raccolta
Vinciana, fasc. VIII, 1912-1913, p. 67, dove si è male inteso ciò che il MùLLERWALDE dice (Fin neues Dokument, ecc.) in Jahrbuch cit. p. 100) ch'egli abbia proposto la data del 1487, da lui richiamata soltanto, perchè con un documento di
tale anno, da lui nuovamente scoperto, si veniva a fornire una prova anteriore
a quante sino allora n’erano state offerte, della presenza di Leonardo in Milano.
(4) Ein neues Dokument, e:c., in Jahrbuch cit. Non tutte le congetture del
MuLLER-WALDE si sono confermate; e la sua dimostrazione non raggiunge la
prova, pure avendo, a suo tempo, fatto grandemente progredire la questione.
(5) Op. cit., p. 366.
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CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 429
messe del suo genio, gli era stato conciliato dal posto che suo
padre, ser Piero, occupava come notaio della Signoria e da quello
che il suo maestro, Andrea Verrocchio, teneva come artista ufficiale e fidato dei Medici, quale appare in grandi occasioni di varia
natura, che ce lo mostrano scultore del sepolcro di Piero de’ Medici,
decoratore delle feste per la venuta di Galeazzo Maria Sforza a
Firenze nel 1471, della giostra di Lorenzo nel 1469 e di quella di
Giuliano nel 1475, ecc. (1). Di questi lavori, di questi non oscuri
compiti, che toccavano così da vicino lo splendore della casa, che
veniva sorgendo sulle rovine della libertà fiorentina, Leonardo dovette avere la sua parte. E, quand’ egli si ebbe aperto l’avvenire,
la linea della sua attività (se si astrae dalla instabilità, della quale
parla il Vasari, e che sin da quel tempo ne inceppò i risultati immediati) doveva allora essere indicata, a un dipresso, dalle vie medesime che percorrevano il Verrocchio, i Pollaiuoli, il Botticelli.
L’allogazione della pala d’altare per la cappella di San Bernardo nel palazzo della Signoria, ritolta a Piero del Pollaiuolo, al
quale era stata data appena diciassette giorni prima e assegnata
a Leonardo il ro gennaio del 1478, è una riprova, se non di un
vero atto di parzialità a favore del Vinci (il che, allo stato degli
atti si potrebbe sospettare, ma non provare) almeno delle ottime
disposizioni della Signoria, che è quanto dire dei Medici, verso il
giovane pittore. Nè, prima che il Vinci sì fosse stabilito in Lombardia, l'allogazione venne trasferita in altre mani.
Ma, se le opportunità di valersi di condizioni abbastanza privilegiate non mancarono in patria a Leonardo, non può d’altra
parte negarsi ch'egli non fosse l’uomo più adatto per approfittarne.
Il Vasari rilevò già la varia instabilità delle sue occupazioni, la
sua incontentabilità, il suo trascorrere da un problema ad un altro, il suo perpetuo ricominciare, il suo non finir mai le opere incominciate. Il primo trentennio della sua vita, passato in Toscana,
si chiudeva per il Vinci lasciandolo nelle condizioni di un debitore
insolvente. Non aveva condotto a termine la pala d’altare per la.
cappella di S. Bernardo e riservava la stessa sorte all'opera commessagli dai monaci di San Donato. La sua attività si volgeva al
termine ideale delle proprie opere, al perfezionamento personale,
i
(1) Cfr. C. ne FaBriczy, Andrea del Verrocchio ai servizi dei Medici, in
Archivio storico dell’ Arte, serie seconda, I, 1895, pp. 163-176.
430 GEROLAMO CALVI
trascurando in più o meno larga misura di assolvere gli impegni
presi verso i committenti. Non si può quindi ritenere inverosimile
che la vita di Leonardo, negli ultimi anni del suo primo periodo
fiorentino, abbia incontrato difficoltà crescenti, nonostante l’ottimo
| avviamento ricevuto nell’arte e le prospettive, che gli erano state
aperte. Qualche traccia di affanni, che non sarebbero stati estranei
all’ esistenza di Leonardo, sembra uscir fuori dalle pagine manoscritte di quel tempo. Su un foglio del Codice Atlantico (71 recto a)
si leggono queste parole alquanto slegate: « de non m’avere a vil
« ch’i ’non som povero . povero è quel che assaj . chose desidera
« dove mi poserò dove di quj a(p)pocho . tempo . tu ”l sapraj.
« risspusi per te sstessi di quj a pocho tempo » (1; [seguono
monosillabi e parole, di cui non appare il significato nè la con-
| nessione]. E’ questa una risposta alla colonna di versi, che troviamo sullo stesso foglio, scritta da altra mano e coperta da una
larga macchia d’inchiostro, così che riesce possibile leggerne solo
poche parole (« lionardo mio non....... |do [de] lionardo perchè
« tanto penate »)(2)? Non è facile indovinarlo: ma qualche tristezza
sembra dominare quelle righe di Leonardo, e così il frammento,
che si trova nell’altra colonna del foglio, sull’inesorabilità distruggitrice del tempo. Ma circa quest’ultimo passo, che tornava comodo
di citare per dipingere la figura di Leonardo filosofo o di Leonardo
poeta, non sì è sin qui posto mente (nè io stesso avevo avuto
occasione di notarlo prima d'ora), ch'esso è la traduzione di alcuni
versi del libro XV delle Metamorfosi d’ Ovidio:
Metamorfosi, XV, vv. 233-396: Cod. Atl, 71 recto a:
fiet quoque, ut in speculo rugas aspexit aniles, « O tenpo chomsumatore delle chcse
Tyndarie, et secum, cur sit bis rapta, requirit. e o invidiosa antichità tu diestruggi tutte
‘Tempus edax rerum, tuque, invidiosa vetustas, le cho[se] e chonsummate tutte le chose
omnia destruitis, vitiataque dentibus aevi da(/)” durj denti della vecchieza appocho
paulatim lenta consumitis omnia morte. appocho chon lenta morte elena quando
si sspecchiaua vedendo le u[ijzze grinze
del suo viso fatte per la vecchiezza piagnie e ppensa secho perchè fu rapita
du(e) volte.
« O tenpo chonsumatore . delle chose .
| e0 invidiosa . antichità per la . quale .
| tutte le sono chomsummate « (3).
(1) Lo trascriviamo scostandoci in qualche minimo particolare dalla trascrizione diplomatica a stampa.
(2) Altre parole staccate si possono decifrare qua .e là.
(3) In capo al frammento si trova un altro tentativo, cancellato, di ‘reda»
- -
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 431
Il raffronto. è interessante, non solamente perchè ci mostra la
fonte di queste parole scritte da Leonardo, ma anche perchè il
libro decimoquinto delle Metamorfosi, nel quale Ovidio ha raccolto
le idee filosofiche, che meglio potevano connettersi col suo tema,
sembra aver interessato il Vinci anche per altri lati. Si sarebbe
tentati di credere che qui abbia preso radice quella specie di pitagorismo, che par di trovare in certe caratteristiche idee vinciane (1), e, tra l’altro, nelle abitudini vegetariane (o forse soltanto
nel rispetto osservato e raccomandato verso gli animali), che gli
furono attribuite (2), e che sono particolarmente inculcate in queste
pagine ovidiane.
zione dello stesso concetto: (O tenpo chensumatore (di tutte le) delle chose 0
(antichità tu diveri ciò che ssi vede e 0) invidiosa antichità (tu chomsumj) distruggiete e ghuassif ciò che ssi uede e cchomsumate ognj chossa).
(1) Alludo a quella specie di misticismo cosmico, che sembra associarsi in
Leonardo all'indirizzo sperimentale e matematico. L'UzieLLI (La vila e i tempi
di Paolo dal Pozzo Toscanelli, p. 36) nota come « gl’infiussi della scuola pita-
« gorica si facessero sentire a Padova al principio del secolo XV, quando vi
« furono studenti Paolo Toscanelli e il Cusano » e lo induce appunto dalla
grande impronta, ch' essa ha lasciato nell’ opera del cardinale da Cusa. Ora dal
Toscanelli, che Leonardo conobbe (egli lo nomina, con altri scienziati fiorentini,
sul foglio 12 verso 4 del Codice Atlantico che ho occasione di citare nella pagina seguente) e del quale può presumersi ch'egli apprezzasse grandemente Ja formazione mentale, il Vinci potè avere una spinta su questa via, rivolgendo la sua
anenzione, come alle dottrine aristoteliche (v. anche il nome dell’Argiropulo sul
foglio citato) e arabo-aristoteliche, così alle traccie delle dottrine pitagoriche.
È anche interessante rilevare come dal libro XV delle Metamorfosi Leonardo
potesse avere il primo fondamento delle sue teorie e delle sue osservazioni sulle
trasformazioni del paesaggio terrestre dovute ai corsi delle acque e sull’ origine
dei fossili, che Ovidio formula in alcuni lucidi versi (lib. XV, 262 sgg.)
« Vidi ego quod fuerat quondam solidissima tellus « esse fretum; vidi factas ex aequore terras; « et procul a pelago concha iacuere marina, < et vetus inventa est in montibus ancora summis;
etc.
(2) La testimonianza è del viaggiatore fiorentino Andrea Corsali in una lettera scritta da Cochin, il 6 gennaio 1515, a Giuliano de' Medici: « Fra Goa
« & Rasigut, o ver Carmania, vi è una terra detta Cambaia, doue l’Indo fiume
« entra nel mare. è habitata da gentili chiamatà [chiamati] Guzzaratti, che sono
« grandissimi mercatanti. Vestono parte di essi all’apostolica, & parte all'uso di
« Turchia. non si cibano di cosa alcuna, che tenga sangue: nè fra essi loro
« consentano che si noccia ad alcuna cosa animata, come il nostro Leonardo da
432 GEROLAMO CALVI
Su di un altro foglio del Codice Atlantico (12 verso a), dove
sono notati da Leonardo i nomi di alcuni uomini cospicui della
Firenze del suo tempo, si trovano, con spunti e saggi di varia
redazione, come nel caso precedente, altri concetti ispirati alle
relazioni della vita umana col tempo, anch’essi d’intonazione pessimista (se originali o tratti da altri, non saprei dire) «[...] ne
modi di chonpartire e misurare [...] giornj ne’ quali ci doviamo
« affatichare di non trapassarli |. ..}a misera vita non trapassi sanza
« alchuna [...] lassciare di noi alchuna memoria (e /oda) nelle
« ment) de mortali.
« [...] do in (j)ssaperlo spendere [...] difendere e chontas-
« stare [...]li el piv delle vol[t]e son chagione [...]ssta nosstra
« mjsera vita
» + + + . (non ci mancha' modi nè vie di chonpartire
« e mmisurare quessti nosstrj miseri giornj i qualj ci debba ancor
« piaciere di non esspenderli e trapassalgli indarno e sanza alcuna
« loda e sanza lassciare di sè alchuna memoria nelle menti de’
« mortali
« acciò che questo nosstro mjsero chorso non trapassi im-
« darno ».
E in capo ad uno di questi frammenti (dove ho lasciato un tratto
punteggiato) si legge, a commento d’una figura disegnata accanto -
allo scritto: « vn peso di pionbo spigniendo e chalchando un
« sacchetto di chuoio pieno d’aria ti potrà anchor luj mosstrare
« l’ore ». Il pensiero filosofico-morale e l’applicazione tecnologica.
non sono, lo si può arguire facilmente, senza relazione l’uno coll’altra. Non farebbe meraviglia che Leonardo coltivasse e connettesse i riferiti concetti simbolici sul tempo colla dipintura, che, a
quanto pare, egli si era incaricato di fare, intorno alla metà del
1481, dell’oriuolo dei monaci di S. Donato a Scopeto (daì quali
già aveva avuto l'allogazione della pala per l’altar maggiore) e per
la quale viene compensato con « una soma di frasconi e una di
e Vinci. Vivono di risi, latte & altri cibi inanimati » (in G. B. Ramusio, Prime
volume delle navigationi et viaggi, ecc. In Venetia appresso gli heredi di Lwcantonio
Giunti l'anno MDL, fol. 194 verso; cfr. G. UzieLLi, Ricerche intorno a. Leonardo da Vinci, serie seconda, Roma, Salviucci, 1884, p. 448).
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 433
« legne grosse » (1). Ma non è ben certo che qui si tratti di Leonardo da Vinci.
Finalmente sui fogli 4 recto 6 e 4 verso b del Codice Atlantico (che possono ascriversi alla stessa epoca) si leggono, scritte
quasi esclusivamente nel senso ordinario (con lettere e parole ripetute come per esercitazione grafica), frasi staccate, simili a spunti
di lettera : « chome io vi disi ne’ dì passati voi sapete che io sono
« sanza alchuno » ......« de de gli amicjn......«e”l
« uerno #...,. « che uole de’ fatti vosstrj » (verso). Sul recto (dove
troviamo le frasi: « mi ritrovaj ne(n)' dì passati » e « essendomj
« sollecitato », e la seguente massima: « chi tenpo a . e tenpo
« asspetta, perde l’amicho e denarj non à mai ») ci otcorrono
nomi toscani (2), e, a parte, il nome di Antonio da Pistoja, forse
il poeta Antonio Cammelli da Pistoia (3), ma più probabilmente
lo suocero od il marito (4) d’una sorella (Violante) di Ser Piero,
Sul verso poi è il nome dello zio « franc® d’antonio di ser piero »,
Questi appunti ed altri, che si trovano su qualche altra pagina,
rivelante caratteristiche grafiche abbastanza giovanili, coi nomi di
« compari », danno qualche motivo a supporre che, in tempo di
strettezze o d'’altre difficoltà sopravvenute a Leonardo durante
(1) Cfr. MiLanesi, Documenti inediti, ecc., cit., in Archivio storico italiano,
anno e vol. cit., p. 229. Il MùLLer-WALDE, Fin neues Dokument, ecc., in Jahrbuch cit., p. 121-122, n., vorrebbe che si trattasse qui di un altro pittore (e fa il
nome di Lionardo del Bene).
(2) « bernardo . di simone
saluesstro di stefano
bernardo . d'iachopo
francesco di matteo boncianj
antonio di giovannj ruberti ».
(3) Cfr. BeLtraMmi L., Nomi di persone e di località nel Codice Atlantico, ecc.,
in Raccolta Vinciana, fascicolo IV, 1907-1908, p. 73.
(4) Secondo che crediamo a ciò che l’UzieLLI dice nel testo delle sue Ri.
cerche, 1» ediz., Firenze, Pellas, 1872, p. 54, e 23 ediz., Torino, Loescher, 1896,
P. 34 (« Violante, che poi sposb Simone di Antonio da Pistoia ») oppure alla
tavola genealogica, che si trova annessa alla 1° ediz. citita dalle Ricerche stesse,
e dalla quale risulterebbe invece che Violante sposò Antonio da Pistoia. In quest'ultimo caso non sarebbe del tutto escluso (benchè non troppo probabile) ch'egli
e il Cammelli, ch'era di famiglia originaria da Vinci e soleva firmarsi Antonio
Vincio da Pistoia o anche semplicemente Antonio da Pistoia, fossero la stessa
persona.
Arch, Slor. Lomb.Anno XLII, Fasc. III. 23
434 GEROLAMO CALVI
questo primo periodo egli si volgesse, per aiuto, alle relazioni famigliari o alle amicizie, ch’egli aveva. Suo padre, ser Piero, che
pure deve aver favorito l’allogazione a Leonardo della pittura per
i monaci di San Donato, giacchè egli era notaio del convento e si
trattava di un’opera connessa con una disposizione testamentaria,
dovette trovarsi tanto meno indotto a provvedere direttamente al
grande artista, quanto più cresceva la sua famiglia legittima.
| Comunque le cose stiano, le interruzioni e gli indugi frapposti
ai lavori commessigli dovettero rendergli meno desiderata (come
di nuovo gli saranno causa di noie a un certo punto del suo soggiorno milanese) la sua permanenza in Firenze, in un tempo, nel
quale l'emigrazione degli artisti della sua città, richiesti dai varii
centri della coltura italiana, si faceva sempre più frequente, e Leonardo poteva ricevere da un senso di emulazione (1) lo stimolo
.a maggiori imprese, condotte con larghezza di mezzi. E si può così
meglio pensare ch'egli cogliesse a sua volta una delle occasioni,
delle quali spesso si faceva arbitro, per via diplomatica o diretta,
Lorenzo il Magnifico; o ch’egli stesso, in modi più personali,
cercasse di richiamare sopra di sè l’attenzione di Lodovico il Moro.
Il giovane Leonardo doveva essere stato spettatore della magnifica pompa, che nel 1471 Galeazzo Maria Sforza aveva spiegato
nella sua, visita a Firenze: per quelle feste era stato allestito
I’ « adornamento e aparato » (2) del suo maestro Verrocchio, al
quale egli poteva essere stato, in quella circostanza, d’aiuto. Lodovico il Moro, che aveva accompagnato allora suo fratello, doveva ritornare in Toscana in epoca più vicina al termine del primo
periodo fiorentino di Leonardo, in quel tempo cioè, nel quale la
(1) Sandro Botticelli e Piero Perugino, che già gli erano stati compagni nella
bottega del Verrocchio, si trovavano, il 27 ottobre dell’anno 1481, a Roma con
Cosimo Rosselli e Domenico Ghirlandajo « per adempire l’obbligazione da essi
« assunta di dipingere in meno di sei mesi, e cioè entro il 15 marzo del 1482,
« dieci storie del Vecchio e Nuovo Testamento nella Cappella Sistina », CaVALCASELLE E CROWE, Storia della pittura Italiana dal secolo II al secolo XVI,
vol. VI, Firenze, Le Monnier, 1894, p. 234. E circa due anni prima il maestro
di Leonardo, Verrocchio, aveva ricevuto dalla repubblica di Venezia l’allogazione
per la statua equestre del Colleoni.
(2) Cfr. C. pe Fagriczy, Andrea del Verrocchio ui servizi dei Medici in
Archivio storico dell’ Arte cit., p. 167.
a
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LFONARDO DA VINCI 435
Reggenza milanese, per difendersi dai suoi maneggi politici, lo
tenne, ma con poco frutto, confinato a Pisa. Noi vediamo come, al
principio del 1478, il Moro si fosse già mansuetamente avvicinato
all’oratore milanese presso la Signoria ed a Lorenzo il Magnifico;
com’egli facesse in Firenze qualche furtiva dimora, della quale
rende conto al governo di Milano appunto il legato sforzesco, Filippo Sacramoro, ed assistesse persino ai preparativi, e, come giudice, allo svolgimento di una giostra, che aveva luogo il 29 gennaio del 1478 (1). Non è inverosimile che, da un lato, lo Sforza
(1) Il Sacramoro, il quale aveva domandato (in data 5 gennaio 1478) istruzioni sul modo di comportarsi in questa congiuntura, scrive, il 28 di gennaio,
due lettere a Milano per dar ragguaglio delle mosse dello Sforza, il quale con
la sua sottile arte d’insinuante correttezza sta già, come si può scorgere da queste
lettere del Sacramoro, preparando le sue vie: « Lo Ill, Sig.re Ludouico », scrive
tra riservato e indulgente il rappresentante della Corte milanese, « l’altr'heri non
uenne: como me hauea mandato ad dire per Augustino suo cancellario: per
occupatione sua de esser conducto ad uedere prouare giostranti: et heri anco
per occupatione hauea io nel hora: mi mandò ad significare che lo expectasse:
per hauere ad essere cum la Sig."is: como ne l’altre mee: hogi S. Sig.ria ha
satisfacto el respecto suo verso le cel." v.: et usatomi molto humane parole:
che non sono state d'altre [sic] rasonamenti pero: cha de uisitatione: et de-
« monstratione de fidele: et bono animo erga le Subl.te V.: È facta . S. S.ria
« iudice a questa giostra: la quale se expedirà domane: deo uolente ». (ASM,
Documenti diplomatici. Dominio sforzesco. Duca Giovanni Galeazzo. Gennajo 1478).
Della giostra poi l’oratore ducale dà (il 31) queste notizie: « Ill.mi P, et ex.mi S. mei
« Singlmi. La giostra se expedi anteheri: non gli è altro che scriuèrne: che de
« la distributione di doni: de quali el primo hebbe vno homo d'arme del Conte
« Nicola de Pithiano: et l’altro M. Gasparro figliolo de M. Roberto: Ogni altra
« cosa fo per l’ordenario: excepto de tanti apparati: si sumptuosi: como ne l’altre
« s'è usato: che sonno state de assai minore spesa: per non hauer potuto fare
« paramenti li citadini: che gli ne sonno stati solo tri però: vno de Tornaboni:
« vno de Martelli: l’altro di Bonromei: et el résto fino a X in tutto soldati: nè
« de recami: nè de brocati: nè portare gioye per certa prohibitione se fece per
« certa lege per comune vtilitate ». (ASM. Busta citata. La stessa corrispondenza
si trova nel copialettere dell’oratore ducale, in altro fascicolo della medesima busta).
Lodovico Sforza ripartiva da Firenze il 4 febbraio, per essere, non a Pisa, a causa
della peste ivi scoppiata, ma « li intorno: a vno pallazo di Martelli » (cfr. lettera del Sacramoro da Firenze, alla Corte di Milano, in data 5 febbraio 1478.
ASM. Documenti diplomatici citati. Gennaio 1478). Egli rimaneva così in contatto coll’ ambiente fiorentino, oltre che per Je comunicazioni con Lorenzo il
Magnifico (nel quale sembra che la Reggenza milanese confidasse « per tenerlo
« cum l’animo quieto », come si scrive da Milano, in data 11 gennaio 1478, al
A a
436 GEROLAMO CALVI,
avesse avuto occasione di sentir nominare, di vedere o di conoscere Leonardo e che, dall’altro, il Vinci fosse stato condotto dalle
medesime occasioni, oltre che dai discorsi correnti, a riflettere sull'’opulenza, sui mezzi e sui disegni della casa sforzesca. A quale
dei figli di Francesco Sforza il Vinci intendesse spedire la lettera,
della quale ci resta un esemplare sul foglio 391 recto a del Codice
Atlantico, la lettera stessa, mancante dell’indirizzo e della data,
non dice; ma non sembra possibile di ritenerla diretta ad altn
che a Lodovico il Moro, dopo che questi era riuscito a divenire,
se non di nome, di fatto il capo della casa sforzesca. Il Ravaisson-Mollien (1), riscontrandovi caratteristiche di scrittura, che sì
Sacr.moro (cfr. busta citata in ASM): si vedano ancora le istruzioni che da Milano si mandano al Sacramoro alla fine dello stesso anno (ASM. Documenti dipiomatici cit., dicembre 1478, lettera del 20 dicembre 1478) e la risposta del
Sacramoro (ivi) in data 27 dicembre), per i suoi rapporti con la famiglia dei
Martelli, nella casa dei quali, a Firenze, fu o frequentò più tardi Leonardo da
‘Vinci. E’ possibile, come si è detto, che il grande artista divenisse, già durante
quell’ anno, di fama o di fatto noto a Lodovico, in un'occasione come quella
della giostra, per l'allestimento della quale il giovane pittore poteva per avventura aver prestato l’opera propria, o quando, il 27 gennaio, il Moro visitava la
Signoria fiorentina (si veda la seconda corrispondenza del Sacramoro in data
28 gennaio 1478, ASM, Documenti diplomatici citati, gennaio 1478), che aveva
da pochi giorni allogato al Vinci il quadro per la cappella di San Bernardo; e,
anche senza di ciò, per poco ch'egli s’interessasse al movimento artistico, che
assumeva tanta importanza in Firenze, averne notato il nome tra quello degli
artefici più. promettenti e geniali. « Frequentando circa un anno i Medici »,
dice il Dina, « è ben naturale che, come già Galeazzo Maria. nel noto viaggio
« del 71, anche Lodovico venisse a riconoscere la superiorità della coltura fio-
« rentina sulla milanese, e che, fra i sogni della sua mente ambiziosa, accarez-
« zasse anche quello, se mai giungesse a cingersi la corona ducale, di chiamare
« alla sua corte alcuno dei poeti, degli artisti, dei dotti, che rendevano così
« splendide le adunanze nelle sale di Lorenzo ». A. Dina, Lodovico Sforza detto
îl Moro e Giovan Galeazzo Sforza nel canzoniere di Bernardo Bellincione in
Archivio storico lombardo, serie seconda, vol. I, 1884, p. 719-720. Tra le occasioni, che Lodovico ebbe, di recarsi a Firenze, una solenne colse, al 27 d'aprile
1478, subito dopo l’uccisione di Giuliano de’ Medici: « Fl S.re Ludovico uenne
« heri a condolersi cum Laurentio et offerirli la persona et quello che uoleua:
« dicen[do] . sempre essere così la uoglia de le Cel.ne v. et così è qui » scrive il
Sacramoro da Firenze il 28 aprile 1478 (ASM, Documenti diplomatici cit.,
aprile 1478).
(1) CÒiarces Ravarsson-MoLLIEN, Les ecrils de Ltonard de Vinci (estr. dalla
Gazette des beaux-arts), Paris, 1881, pp. 23-24.
-
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 437
scostano dalle leonardesche, ne impugnò l’autenticità, non solo
estrinseca, ma anche logica, affermando non potersi confondere
questa colle numerose pagine, che denotano in Leonardo minore
orgoglio e non minore genio. Sotto questo riguardo l’opinione del
dotto francese non regge, poichè una coscienza molto viva della
propria capacità potrà notarsi, in altre occasioni, nel Vinci (1). Per
le ragioni grafiche gli appunti del Ravaisson-Mollien sono fondati,
quando negano che la scrittura sia di mano di Leonardo; non lo
sono più, quando tendono a concludere che il Vinci non è l'autore
della lettera. Parecchi argomenti concorrono invece a farci ritenere
ch’essa, quanto al contenuto, derivi da lui; l’essere stata introdotta
nel Codice Atlantico, senza che il foglio porti al rovescio altra
scrittura o disegno vinciano, che ne giustifichino altrimenti l’introduzione ; tutte le proposizioni relative alle prestazioni d’ingegneria
militare, tanto rispondenti agli studî leonardeschi, in questo campo,
che il Maller-Walde potè raggrupparli ed esaminarli valendosi di
tale traccia; e l’accenno al cavallo di Francesco Sforza. È ragionevole ammettere che si abbia qui, in originale o in copia, la stesura, dovuta ad altra mano, di una lettera che Leonardo si propose di spedire o effettivamente spedì. Che la scrittura non sia
autografa, si può agevolmente provare col confronto dei brevi e rari,
ma concludenti saggi, che della scrittura in senso ordinario Leonardo ci ha lasciato in casi affatto eccezionali, per esempio (se
vogliamo attenerci ai termini di confronto che, per l’epoca, meglio
possono servire al nostro scopo) nei fogli 4 recto è e 4 verso b,
del Codice Atlantico, che abbiamo testè avuto occasione di ricordare,
o nella firma al contratto (2) per la Vergine delle Roccie, del
1483, o in una riga di scritto in capo al foglio 4 recto del ms. B (3),
(1) Nella nota minuta di lettera ai tabbricieri della cattedrale di Piacenza
si trovano, per esempio, scritte di mano di Leonardo, queste espressioni:
« Non ci è homo che vaglia e credetelo a me . saluo (quel) lonar fiorentino
« che(f)fa il chauallo del duca franc° di bronzo che non ne bisognja fare stima
« perchè à che fare il tenpo di sua vita . e dubito che per l’esere sì grande opera
« che nolla finjra maj ». Cod. Atl., fol. 323 recto d.
(2) Riprodotto da G. Biscaro nella tavola annessa alla citata memoria su
Le commissione della « Vergine delle Rocce », etc. in questo Archivio, serie quarta,
vol. XIII, 1910. |
(3) Cfr. in Rava:sson-MOLLIEN, Les manuscrits de Lbonard de Vinci. Ma
438 | | _— GEROLAMO CALVI
che non riteniamo posteriore al 1490. In questi casi ravvisiamo.
gli stessi tratti alquanto stentati (sebbene, in occasioni solenni,
come per la firma del contratto del 1483, la cura posta nello scrivere nasconda in parte lo sforzo), che rivelano, benchè in grado
minore (e lo si comprende, quando si pensi che chi si trova fuor
della regola è Leonardo e deve pure, per qualche necessità pratica, acconciarsi talora a rientrarvi) la fatica e lo studio, che dovrebbe mettere uno di noi nello scrivere da destra: a sinistra, in
direzione inversa a quella che ci è abituale. Le incertezze e le
false opinioni perdurate sino ad oggi sulla supposta originalità
così della lettera allo Sforza, come dell’altra istanza al cardinale
Ippolito d’ Este, posseduta dal r. archivio di Stato in Modena, dimostrano che non si è ancora ben radicata tra i leonardisti l’opinione, che dovrebbe ormai apparire la sola ragionevole (1) circa
la scrittura leonardesca : Leonardo essere stato mancino; da questo
fatto per un meccanismo naturale ed istintivo, non corretto dall'educazione o dalla volontà, essere provenuto l'altro dalla grafia
a specchio; la scrittura nel senso ordinario (da sinistra a destra)
essere rimasta sempre per lui il prodotto di uno sforzo, di una
nuscrits B et D de la Bibliothèque de PInstitut, Paris, Quantin, 1883, al fol. cit,,
l'appunto : « addi . 28 d'aprile . ebbi da marchesino . lire . 103 . è s[oldi] . 12 ».
Il MALAGUZZI, a p. $14 dell’op. cit., crede (forse per essere Marchesino Stanga
nominato in un documento che concerne appunto la pittura della Cena) che questo
accenno possa alludere ai lavori del Cenacolo: il che è sommamente improbabile, trattandosi di una nota che appartiene al ms. B, cioè ad-un codice, che
(coi fogli complementari formanti il ms. Ashb. i) ci sembra doversi riferire
al periodo compreso tra il 1485 e il 1489.
(1) Cfr. GILBERT BALLET, L’ecriture de Léonard de Vinci. Contribution è
l’éitude de l’écriture en miroir (extrait de la Nouvelle Iconographie de la Salpétrière), Paris, Masson et Cie, 1900; G. ANTONINI, Perché Leonardo da Vinci scriveva a specchio, Pavia, Marellìi, 1903 (estratto dalla Gazzetta medica italiana);
Mario BARATTA, Perchè Leonardo da Vinci scriveva a rovescio, in Curiosità
vinciane, dello stesso, Torino, Bocca, 1905, pp. 3-55 (il BARATTA, tuttavia, segue,
op. cit., p. 28, l'opinione comune circa la lettera al cardinale Ippolito, sulla fede
del CAaMmPORI); e vedi ivi, in fine, le referenze date per lo studio della questione
in genere, sulla quale cfr. anche D. Lincuerri, Un caso speciale di scrittura d
specchio, in Rivista di psicologia applicata alla pedagogia ed alla psicologia, a. MI,
Bologua, 1907, n. 4, pp. 245-252. Per.il mancinismo di Leonardo nei disegni,
v. Gusravo FRIZZONI, Di una specialità di Leonardo da Vinci come disegriatore,
nel Marzocco di Firenze, 11 ottobre 1904. :
=
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 439
reazione volontaria all'uso spontaneo, e quindi presentarsi, nei
radi esempî che ce ne rimangotio, come più o meno rudimentale,
o studiata, rendendo però nelle forme più inesperte e di più stentata corsività ancora l'impronta dei caratteri tracciati da destra a
sinìstra. UT
La questione della lettera a Lodovico il Moro sarà meglio
chiarita, se esamineremo prima quella che riguarda l’istanza al
cardinale Ippolito d’Este (1) (datata da Firenze il 18 settembe 1507),
sia perchè questa fu presa a termine di confronto per ritenere
autografa la prima (2), sia perchè l’opportunità, che abbiamo di
dimostrare falsa l'opinione comune, che la giudica scritta di mano
di Leonardo, ci permetterà di estendere più facilmente tale conclusione al foglio del Codice Atlantico, del quale la scrittura è già
stata messa in discussione.
Premettiamòo che, quando non ci lasciamo fuorviare dalle apparenze del discorso diretto e della firma, ma ci atteniamo ai criteri diplomatici e paleografici, che sono in questo caso i soli legittimi, possiamo arrivare agevolmente ad escludere (come già ho
accennato in ordine alla lettera a Lodovico il Moro) che il docu-.
mento dell’archivio di Stato di Modena sia stato vergato da Leonardo. L’ istanza è scritta da un’abile penna cancelleresca, da per-
(1) Pubblicata per la prima volta dal marchese GiusEPPE CAMPORI negli Atti
e Memorie delle RR. Deputazioni di Storia Patria per le Provincie Modenesi e
Parmensi, vol. III, Modena, per Carlo Vincenzi, 1865, p. 49. Il MaraGuzzI ne
da il facsimile a p. 644 dell’op. cit.
Il cardinale Ippolito, nato nel 1470, figlio di Ercole I e fratello di Altonso,
di Ferdinando, di Beatrice Sforza Este e d’Isabella Gonzaga Este, era stato fatto
arcivescovo di Milano nel 1497. Fu coinvolto nelle vicende politiche di. Lodovico il Moro ch'egli segui, secondo il Litta, nella fuga del 1499 e nel successivo ritorno in Milano. Leonardo dovette in questo tempo avvicinare il cardinale, chie potè vedere le ultime sorti del modello della statua equestre e fors'anche
suggerire al padre, Ercole I, di tentar di farselo cedere dai francesi. Il cardinale
Ippolito ebbe in commenda il vescovado di Modena l’anno stesso, 1507, al quale
rimonta l’istanza di Leonardo: egli era ancora arcivescovo di Milano, ma non
residente (avendovi un suo vicario): cfr. questo Archivio, serie terza, V, 1896,
p. 146. Il Vinci lo prega, nella lettera della quale discorriamo, di volerlo raccomandare a Raffaello Girolami (della Signoria di Firenze), al quale si trova
principalmente affidata la risoluzione della causa ereditaria vertente tra Leonardo
e i fratelli. | |
(2) Dallo SMIRAGLIA SCOGNAMIGLIO, che cito più avanti.
I
“2 '
440 GEROLAMO CALVI
sona pratica del formulario, con una disinvoltura, che manca a
Leonardo tutte le volte ch’egli deve scrivere lettere d’importanza,
così che lo vediamo cominciare e ricominciare faticosamente le sue
minute. Ill confronto paleografico, poi, tra il documento del 1507 e
quei frammenti che, in mezzo ai mss. vinciani, ci presentano per
eccezione la scrittura destrorsa di Leonardo (1), è decisivo. Ma a
questa conclusione diretta viene, per una singolare coincidenza, ad
accoppiarsi un’altra constatazione, che, oltre a riprovare che la lettera al cardinale Ippolito non è scritta di pugno del Vinci, ci offre
un filo conduttore per riconoscervi un’altra mano e ci pone così un
quesito dei più interessanti, che potrà essere a suo tempo risolto.
Esistono nel Codice Atlantico (fogli 74 recto d e 74 verso €)
tre colonne di scritto (in senso ordinario) dovute ad una mano
che non è sicuramente quella di Leonardo, e contenenti, di seguito ai
nomi di alcuni dei personaggi, una traccia storico-descrittiva della
Battaglia d’ Anghiari, che il Vinci, come è risaputo, aveva preso
a tema d’una pittura murale da eseguirsi nella sala del Gran Consiglio di Firenze. Il rimpianto prof. Solmi aveva, qualche anno fa,
in un articolo inserito nel Grornale storico della letteratura italiana (2), proclamato Niccolò Machiavelli autore e scrittore di quelle
(1) Col documento del 1507 si possono confrontare, p. es. (trattandosi di
epoca poco lontana), gli appunti del foglio 71 verso dè del Cod. Atl., tra i quali
è il ricordo (9 luglio 1504) della morte di Ser Piero, padre di Leonardo.
(2) Pagine autografe di Niccolò Machiavelli nel Codice Atlantico di Leonardo
da Vinci in Giornale storico della letteratura italiana, vol. LIV, 1909, pp. 90-102.
Il SoLmi ritornò sull'argomento (riproducendo in parte quanto aveva già esposto
nel Giornale storico) nella memoria su Leonardo e Machiavelli, in questo Archivio,
serie quarta, XVII, 1912; cfr. le pp. 238-244. La sua trascrizione delle pagine,
ch'egli attribuisce al Machiavelli, va corretta nei seguenti luoghi (trascuro alcune
piccole differenze di grafia in altri punti):
Arch. Stor. Lomb., vol. cit., p. 239, 1. 26: « e valli irrigate »; corr.: « e valle irrigata »
» >» n » >» 28: « al campo delle genti »; corr.: e al
capo delle genti »
» >» > > >» 34: « guardato dal (popolo)»; corr.: e guardato dal papa »
» » » 240 » 7: « inoltrare le nostre »: corr.: « inclinare e’ nostri.»
» > >» » » g9:u«iti li inimici»; corr.: « iti li'nostri »
» » =» 2 >» I3: € © SÌ NAScosero >; COIT.: € O SÌ n#&
SCOSONO >
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 441
note. La sua opinione, confortata dal parere di Oreste Tommasini (1),
passò, se non erro, senza contrasti; e anch’io (2), contestando una
affermazione contenuta nello scritto del Solmi, tenni per legittima
quella tesi, alla quale non saprei più aderire, non solo perchè ho
rivolto maggiore attenzione allo stesso raffronto delle scritture,
che fu proposto dal Solmi nel facsimile annesso al suo articolo
e che non è tale da convincere chi lo faccia oggetto di un esame
severo, ma anche per aver potuto, prima di licenziare queste pagine, vedere, grazie ad una cortese comunicazione della on. Sovrintendenza del r. archivio di Stato di Firenze, altri fac-simili
di autografi del Machiavelli (3), di data assai vicina a quella presunta dello scritto esistente sul foglio 74 del Codice Atlantico. Alcune sensibili e costanti differenze (4) mi sembrano addirittura
escludere che il Machiavelli possa aver scritto le pagine a lui
attribuite dal Solmi. Ma, indipendentemente dalla identificazione
della persona che ha vergato i citati appunti descrittivi della
(1) In una comunicazione personale al SoLMI, riportata in Giornale Storico
cit., p. 90-91. Tuttavia nè il ToMmMASINI, pubblicando nel 19I1I il secondo volume della sua opera (La vita e gli scritti di N. M. ecc., Roma, Loescher), nel
quale pure aggiunge qualche appunto bibliografico dell’ ultim’ora (cfr. }a pretazione a pp. xxII-XXIV, nota), fa cenno del contributo del SOLMI, nè questi nella
memoria del 1912 per l'Archivio storico lombardo, si riferisce nuovamente al
parere del TOMMASINI, l'opinione definitiva del quale potrebbe essersi scostata
da quella privatamente espressa.
(2) Il Codice di Leonardo da Vinci della biblioteca di Lord Leicester in Holkham
Hall, Milano, Cogliati, 1909. V. l’Introduzione, a p. xv-xvVI.
(3) L’on. Sovrintendenza del r. archivio di Stato di F.renze, alla quale
esprimo le più vive grazie, mi ha segnalato ed ha cortesemente trasmesso in
deposito temporaneo presso il r. archivio di Stato di Milano (del quale parimenti ringrazio l'on. Sovrintendenza), perchè io potessi esaminarle, alcune diapositive a bianco-nero con fac-simili di autografi del Machiavelli del 1502 e del 1509,
tali, cioè, da poter essere, per l’epoca, utilmente confrontati coi due documenti
dei quali qui mi occupo. Le diapositive furono fatte eseguire dal Gerber, che ne
riprodusse qualche parte tra i facsimili dati in appendice alla sua pubblicazione:
Niccolò Machiavelli, die Handschriften, Ausgaben und Ueberseizungen seiner Werke
im 16 und 17 Jabrbundert, Gotha, Perth, 1912; alla quale ho pure ricorso con
profitto (cfr., oltre ai fac-simili in appendice all’op. cit., il primo capitolo (fp. 3-5)
sulla lingua e sulla scrittura del M. come criteri cronologici).
(4) In particolare differiscono le lettere d, e, z, e la congiunzione et, così
nella forma compendiosa caratteristica del Machiavelli (cfr. GERBER, Op. cit.,
cap. I cit.) come in quella non abbreviata.
442 | GEROLAMO CALVI
Battaglia d’ Anghiari, un fatto singolare e perfettamente dimostrabile esce fuori da un altro confronto (al quale mi ha dato
ora occasione la redazione di queste pagine), da quello cioè che
si può stabilire tra quegli appunti (che potremmo ragionevolmente
far risalire ad un tempo vicino all’allogazione della pittura, circa
l'ottobre del 1503) e la lettera del 1507 al cardinale Ippolito
d’ Este. I due documenti sono della stessa mano. La prova dell'identità della scrittura (più grande e corsiva nel saggio del
Codice Atlantico, più accurata e minuta nella lettera) si raggiunge
agevolmente e pienamente. Tutte le lettere (ad eccezione di qualche maiuscola (1), che non si trova rappresentata in entrambi i documenti e per la quale il confronto non è possibile) si ritrovano
colla stessa forma e col medesimo ductus in tutti e due i casi; le
loro legature si corrispondono. E, quasi lo scrittore ci avesse voluto fornire a esuberanza i contrassegni utili a questa dimostrazione, siamo in grado di rilevare un buon numero di caratteri comuni dovuti appunto all’abbondanza dei segni, che vengono a corredare il primo e più semplice parallelo di tutta la serie alfabetica minuscola. Egli usa infatti due c, due d, due e (da notarsi
specialmente l’e (della legatura fe) finale, tratteggiata corsivamente
al modo nel quale lo scrittore eseguisce la x, senza il distacco
della penna (2), due f, due g, due 7, due r, due s, due & (particolarmente caratteristica la # in forma di 7 allungato) (3); e
le stesse coppie di lettere, colle identiche forme, ricorrono così
nell’uno, come nell’altro ‘scritto. Identico è in entrambi il nesso
et; identico l’altro segno, usato per la stessa congiunzione, in
forma di un sette accorciato e provvisto alla base di un uncino
(1) E ad eccezione pure della ? in legatura che si trova una volta (nella
formula finale di saluto) nella lettera al cardinale Ippolito, ma non compare nella
traccia della Battaglia d’ Anghiari, ed ha invece riscontro nella lettera a Lodovico
il Moro a fol. 391 recto a del Cod. Atl. “
(2) Nella lettera al cardinale Ippolito questa legatura te si trova una volta
sola, in fine della parola molte a linea quartultima; e quattro volte nella colonna
di sinistra del foglio 74 verso c del Cod. Atl.
(3) Si confronti il f di frouando, nella 23 linea della lettera al cardinale
Ippolito d'Este col f di fra nella 23 riga della narrazione sul foglio 74 recto
del Cod. Atl. |
-
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA‘ DI LEONARDO DA VINCI 443 °
volto a destra (1); identica l’abbreviatura di che {circa la quale
e da osservarsi soltanto ch'essa è eseguita con maggior corsività e quindi tracciata senza il distacco della penna a l. 3*
dell'ultima colonna dello scritto contenuto nel Codice Atlantico) e
quella di fer; identica pure l’abbreviatura di eccetera (2); identici
certi apici che separano di quando in- quando le parole (3). Le
coincidenze sono così esaurienti e persuasive da non lasciare alcun
dubbio sull’ identità della mano, alla quale sono dovuti entrambi
gli scritti. Utinam fosse altrettanto sicuro provare ch’essa è la mano
. del Machiavelli, come dovrebbe concludersi, quando venisse confermata la tesi del Solmi! Ma, come ho già accennato, sembra lecito dubitarne : così che rimane aperto il quesito, a quale amico
Leonardo fosse debitore, circa il 1503, dei cenni descrittivi della
Battaglia d’ Anghiari, e, nel settembre del 1507, della diligente
compilazione e stesura della lettera al cardinale ]ppolito d’Este.
Riservando ad un’ulteriore indagine la soluzione di questo secondo
problema, se mi sarà dato raggiungerla, pongo fine alla digressione
per ritornare alla lettera-programma di Leonardo allo Sforza ed
affermare che, se il Vinci si valse nel 1507 dell’opera di un amico
per stendere la sua istanza all’estense, potè ricorrere ad un procedimento analogo circa venticinque anni prima; e, in secondo
luogo, che, anche per la lettera a Lodovico il Moro, bisognerà chiedere ad opportuni confronti paleografici qualche luce sullo scrittore. Lo Smiraglia Scognamiglio, in una sua recensione delle AR:-
cerche di Gustavo Uzielli (4), aveva sostenuto esservi analogia di
(1) Nella lettera al cardinale Ippolito questo segno s'incontra due volte alla
nona e alla quintultima riga; nei fogli citati del Codice Atlantico s'incontra
assai più di frequente.
(2) Si veda la perfetta corrispondenza di questa abbreviatura nei due documenti, confrontando la prima linea della lettera al cardinale e l'ultima della descrizione della Baftaglia d'Anghiari.
(3) Oltre ad essi si notano nella lettera del 1507 non rari accenti sulle. toniche finali delle parole. Nella descrizione della Battaglia d’.Anghiari, meno accuratamente scritta, essi mancano quasi completamente: tuttavia si veda la parola
mandò a linea 33 della seconda colonna.
(4) Nino SMmiraGLIA ScocNnaMIGLIO [recensione del volume di Gusravo
UzieLLI, Ricerche intorno a Leonardo da Vinci, serie prima, vol. I, ediz. 2°, Torino,
Loescher, 1896], in Arch. storico dell'Arte, serie seconda, anno II, 1896, pp. 461-464.
L’UzieLLI sostenne che Leonardo dovette far copiare da altri la lettera allo
Sforza.
444 GEROLAMO CALVI
scrittura tra l’ istanza al cardinale Ippolito e quella allo Sforza ; e
partendo dalla supposizione (che abbiam visto erronea) che il documento di Modena sia un autografo di Leonardo, ne aveva concluso che anche il foglio 391 recto a presentava un esempio « di
« quella che vogliam chiamare calligrafia diplomatica di Leonardo
« da Vinci » (1). Vi sono bensì delle coincidenze notevoli tra l’una
e l’altra scrittura, ma non così esaurienti ed assolute da farci condividere, senz'altro, l’affermazione dello Smiraglia quanto all’identità della mano: tutt'al più esse sono tali da non farci escludere,
di primo acchito, la possibilità che si tratti, in entrambi i casi, del
medesimo scrittore, in considerazione del lungo intervallo di tempo
(se lo scritto che si trova a fol. 391 recto a del Codice Atlantico
non è una copia di un documento un po’ anteriore) che li separa
e che può quindi giustificare sensibili modificazioni. I due documenti sono ad ogni modo, per la scrittura, più vicini tra loro di
quel che lo siano ai saggi, che ci son conservati, della scrittura
diritta di Leonardo. Se il ravvicinamento dello Smiraglia dovesse
esser confermato, bisognerebbe vedere anche nella lettera a Lodovico il Moro la stessa mano, che ha vergato gli altri due documenti
appartenenti ad un’epoca di tanto posteriore. Ma tutto ciò dev’essere riservato, come s'è detto, ad un ulteriore esame, per il quale
non posseggo attualmente tutti gli elementi di confronto.
La lettera di Leonardo allo Sforza, per concludere, non è autografa : il che non significa (come abbiamo detto e come già osservò (2) l’Uzielli) che non derivi da lui; chè anzi, e per l'esempio
posteriore dell’istanza al cardinale Ippolito e per quegli argomenti,
che scaturiscono dalla critica interna del documento, siamo indotti
a ritenerne autentico il contenuto.
Ora, la menzione del cavallo di bronzo, che viene ultima nella
serie delle prove, che Leonardo si dichiara, in quella lettera, pronto
a sostenere, sembra il primo e più antico dei temi, che abbiano
avvicinato le ambizioni dell’artista a quelle del mecenate. Bisogna
ricordare che il Vinci poteva già trovarsi interessato come aspirante o impegnato come concorrente all’esecuzione della statua
(1) Ivi, p. 463.
(2) Ricerche intorno a Leonardo da Vinci, serie prima, vol. I, 28 ediz. cit.,
p. 84 Sg8.
© —
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 445
equestre, prima ch'egli lasciasse Firenze (1). E tale ipotesi si fa
più probabile non solo per le congetture, che si possono fare a
proposito della menzione di « vna testa del ducha » in mezzo ad
un elenco, contenuto nel Codice Atlantico (2), di disegni e lavori,
che il Vinci enumera, a modo d’inventario, verisimilmente intorno
al tempo nel quale egli lasciava Firenze; ma anche per il modo
stesso, or ora accennato, con cui l'argomento del cavallo di bronzo
è introdotto nella citata lettera sul foglio 391 recto 4a, dove esso
viene per ultimo, non come proposta nuova, ma piuttosto come richiamo a rapporti e a fatti precedenti. Il Vinci, presentandosi in
qualità d’ingegnere militare (e si noti che nel 1481-1482 i prodromi
di guerra (3) potevano giustificare preparativi bellici), aggiungeva
(1) Della stessa opinione è il MORELLI (Le opere dei maestri italiani nelle
gallerie di Monaco, Dresda e Berlino, Bologna, Zanichelli, 1886, p. 86), il quale
supponendo Leonardo giunto nella capitale lombarda intorno al 1485, presume
tuttavia ch'egli fosse già stato prescelto nel concorso per la statua equestre alcuni
anni prima e avesse eseguito, a Firenze, un modello di cera, oltre ai disegni.
(2) 324 recto a. Nel saggio biografico inedito, che ho già avuto occasione
di ricordare, mi sono occupato un poco di questo interessante elenco, che si suole
citare a caso rispetto all’attività artistica del Vinci. Vi ho espresso l’opinione
che la menzicne di « vwna testa del ducha » possa riferirsi all’effigie del duca
Francesco Sforza, del quale Leonardo, già prima di lasciare Ja Toscana per la
Lombard'a, vagheggiava di poter eseguire il monumento equestre. Avere, ricavandolo dalle monete o da altro documento iconografico, un tale elemento,
poteva importare all'artista anche soltanto per presentare un primo saggio della
sua concezione. i
(3) Giova qui notare (perchè può anche questo far parte dei leggeri indizi,
che concorrono a darci una maggiore approssimazione nel congetturare la data
della lettera di Leonardo a Lodovico il Moro) che lo Sforza, intorno al marzo
del 1482, premeva sulla Signoria fiorentina, perchè, col consenso e col concorso
di questa e degli altri collegati, si potessero attaccare presto i Veneziani. L’oratore sforzesco, Filippo Sacramoro, così scriveva a Lodovico il Moro in data 24
marzo 1482: « Ill.me ac ex.me D. D. mi unice. A le cose ch’io proposi a questi
« Signori per parte de la Celsitudine vostra juxta la continentia de le sue de
e 20 m'hano mandato le Signorie loro ad fare la risposta per el suo Cancellero:
e et fare intendere questa essere la resolutione facta da la practica hersera: Et
« in primis al rompere de la guerra ad Venetiani in Giera d’Adda dicono pa-
« rergli ch'el tempo serua ad poter indusiar a questo: tanto che la conducta del
« Ill. Duca d’ Urbino sia conclusa: Et poi potersi opportunius consultare de quello
« parerà piu expediente: per la diffensione del stato del Ill.mo Duca de Ferrara:
« et che quando ad tale roptura se hauera ad venir per la dicta casone, questa
446 GEROLAMO CALVI .
nuovo peso a suo favore in ordine all’aggiudicazione definitiva
della statua equestre, o, se questa gli era già stata fatta, alla chiamata sua a Milano, dove egli avrebbe in ogni modo dovuto recarsi
e trattenersi per l’esecuzione del colosso. Il Vasari, e, prima di
lui, l’Anonimo Gaddiano hanno connesso l’andata di Leonardo in
Lombardia con la presentazione di una lira a Lodovico il Moro,
per conto di Lorenzo il Magnifico. I biografi hanno qui ricordato
.un particolare, che può esser vero; ma hanno forse dato l’importanza di fatto primario ad un fatto secondario, concomitante alla
venuta di Leonardo alla corte milanese. i
Non è, d’altro lato, inverosimile che lo .Sforza, nella ricerca
di un artista e maestro fiorentino per gli scopi, ai quali Leonardo
rispondeva, si fosse rivolto, per mezzo dell’oratore mediceo in Milano, a Lorenzo il Magnifico. Col gradimento di Lorenzo Leonardo
deve esser venuto a Milano; e non vi sarebbe difficoltà ad ammettere che il Medici incaricasse l'artista di presentare un dono gradito al signore, che egli aveva già avuto occasione di avvicinare
famigliarmente e che veniva ad assumere una nuova importanza
nella politica italiana. Che il motivo originario e principale della
chiamata di Leonardo a Milano fosse la esecuzione del monumento
equestre, si rileva da una ben nota affermazione del Vinci îh una
sua bozza di lettera: « ecj. uno 1) quale il signjore * per fare questa
« sua opera à(t)tratto di firenze che è degnjo maestro ma à tanta
« (tata) facsenda nolla finirà maj » (1).
« Repubblica non mancherà de concorrere a tutti li subsidi} per la ratta loro per
« quanto seranno l’oblighi soy: & le force de questa Cità portarano: Et pari-
« mente serà presta ad concorrere ut supra in qualunque loco serà indicato esser
« il bisogno ». (ASM, Carteggio diplomatico. Firenze - Cartella 244). Nello stesso
tempo, Lodovico il Moro aveva guerra nel Parmigiano, dov'’epli favoriva la fazione Pallavicina contro Pier Maria de’ Rossi e i suoi fautori,
(1) Cod. Atl., fol. 323 verso è (passo cancellato). Che Leonardo parli qui
di sè stesso, si può accertare, leggendo il recto dello stesso foglio. Cfr. la n. 1
a iù 437 supra; v. anche MùLLER-WALDE, Ein neues Dokument, ecc., in Jahrbuch
, p. 99} SoLmMI, Leonardo, Firenze, Barbera, 1900, p. 42; Mac Cuxpr, Leon da Vinci, London, George Bell and sons, 1904, p. 13.
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI
Il.
Le cose dette sin qui possono, da sole, farci dubitare che il
Malaguzzi sia interamente nel vero, quando afferma (1) che « a
« Milano il giovane artista giunse quasi sconosciuto, nè, per allora,
« la corte sforzesca, da altre cure preoccupata, poteva pensare a
« venirgli ìin aiuto n; o quando sostiene (2), in più luoghi del suo
libro, che l’abbandono, nel quale Leonardo fu lasciato, dovette durare per lunghissimo tempo, cioè, a un dipresso, sino all’ epoca
dell'esecuzione del Cenacolo. Si può e si deve ammettere, come appare anche da qualche testimonianza dei manoscritti, che gli effetti
non corrispondessero, per il Vinci, alle grandi speranze da lui concepite nel mettersi ai servigi di Lodovico il Moro; che la sua attività artistica potesse rimanere, di quando in quando, nell’ombra
per cause che sono tuttavia da ascriversi in parte al sistema da
lui seguito e come connaturato col suo genio, di sperimentare molto
e di produrre poco (s'intende rispetto alla quantità, non già alla
qualità delle opere); che i suoi rapporti colla corte, e i suoi stipendî non corressero sempre regolarmente; ch’egli dovesse subire,
in qualche congiuntura, contrasti e disappunti morali ed economici.
Ma il trarne la conclusione che un artista, così mirabilmente dotato e non mediocremente conscio del proprio valore, si rassegnasse,
dopo aver goduto i favori dei Medici, a vivere per molti anni negletto dalla Corte ‘sforzesca e privo di mezzi nella nuova residenza,
nella quale s’era trasferito con grandi prospettive, non sembra
ragionevole. Ed è, specialmente per gli anni che precedono il 1489,
cosa alquanto arrischiata il voler stabilire, con quei tratti riassuntivi, che siamo, più o meno, tentati di adoperare allorchè si tratta
di concludere su dati insufficienti, quale sia stata nei rapporti di
(1) Op. cit., p. 374. | L:
(2) Op. cit., pp. 380-381, 634 (ove si conclude, in base ad un argomento
non decisivo, che il Vinci non faceva parte della Corte ducale), 637, 468 (ove
il giudizio del MaLaGUZZI subisce qualche restrizione di tempo e d’oggetto).
448 GEROLAMO CALVI
Lodovico il Moro e della Corte di Milano l’attività di Leonardo.
I documenti scarseggiano, e dalle loro lacune, come in genere
dagli argomenti ex silentso, è pericoloso trarre conclusioni troppo
affrettate.
Intanto, come la lettera a Lodovico il Moro appare scritta in
un periodo, nel quale l’artista stesso comprendeva di dover preporre le arti della guerra (1) a quelle della pace, così non abbiamo
un fondato motivo di escludere che Leonardo si appligasse realmente, se non in tutto, in parte a quei compiti d'ingegneria mili.
tare, per i quali egli si era offerto, Si può anzitutto chiedersi se
la scarsità, che in quel tempo si sentiva in Lombardia, di buoni
fonditori facesse allora ricercare l’opera di Leonardo, oltre che per
il monumento a Francesco Sforza, anche per apprestare le artiglierie. Tra i più antichi fogli, che contengono studi leonardeschi
d’arte militare, e che, per la scrittura, potrebbero ritenersi dei primi
del periodo milanese o immediatamente precedenti e preparatori ad
esso, parecchi (così, nel Codice Atlantico, i fogli 9 recto d, 14 verso a,
26 verso a, 26 verso b, 34 verso a, 40 recto a, 40 verso b, 56 verso a,ecc.),
contengono studî relativi alle bombarde ed ai loro affusti, due particolarmente (Cod. Atl. 19 recto a, 19 recto b) (2) concernono le
forme delle bombarde. Il tema della fusione delle bombarde è trattato tuttavia più diffusamente nel codice Trivulziano, che riterremmo
il primo scritto dopo il ms. B (2), o, se vogliamo essere più riservati, appartenente con questo al tempo compreso tra gli anni 1485
e 1489(-1490). Dal confronto tra i più vecchi fogli del Cod. Atlantico (3) e le materie dei manoscritti B e Trivulziano riesce ad ogni
modo possibile indurre che it periodo, che si trova racchiuso tra
essi, è stato dei più attivi per quanto riguarda l’arte militare
(1) E' da notarsi che, nel programma allo Sforza, enumerati i compiti guerreschi, ai quali si dichiara atto, egli prosegue, come accennando ad una condizione che non si verifica nel momento, nel quale parla: « In tenpo di pace
« credo satisfare » ecc. (Cod. Atl.. fol. 391 recto a cit.).
(2) Riprodotti prima dall’ ANGELUCCI, Documenti inediti per la storia delle
armi da fuoco italiane, Torino, Cassone, 1869, tav. VII e VIII.
(3) Oltre ai fogli indicati, sembrano fra i più antichi alcuni studî per inganni
e difese murarie (così Cod. Atl., 49 verso b, 372 verso È, oltre al fol. 34 verso a
cit.). Inoltre ricordiamo un disegno di balestra sul verso del noto disegno del
1478, esistente nella collezione degli UffAzi.
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 449
e che il programma, che Leonardo proponeva nella famosa lettera
è stato, se non praticamente, almeno teoricamente seguito dal Vinci
nel primo settennio del suo soggiorno milanese. BisognaJpure ricordare come Bartolomeo Gadio avesse ormai compiuta la sua
lunga carriera presso gli Sforza (1), ch’egli aveva servito con così
attiva fedeltà in guerra e in pace. Le qualità di questo architetto
avevano, agli occhi del duca Francesco, assunto un grande valore
dal tempo, in cui il Gadio aveva mostrato nel fatto quanto abile
ingegnere militare egli fosse, non solo esperto nelle opere di die
fesa e d'attacco, ma nella stessa fabbricazione degli strumenti jguere
reschi (2). Si può supporre che il desiderio di non trovarsi senza
il modo di sostituire un uomo di tanto pregio fosse nutrito ed anche manifestato da Lodovico Sforza. É certo che Leonardo si studiò
di piacere da questo punto di vista, allorchè offerse l’opera sua
al principe. Non è, d’altronde, dubbio che gli ufficî prima attribuiti
al Gadio furono poi affidati in gran parte (specialmente quelli d’indole amministrativa) ad Ambrogio Ferrario; ma Leonardo avrebbe
potuto lusingarsi di sostituire quel maestro nelle più difficili pratiche dell’ingegneria militare. In un noto documento (3), non datato, ma assegnato al decennio successivo a quello del quale in
(1) Il Gadio figura raramente nei documenti degli anni dal 1481 al 1483,
Per il 1483 si trova ancora qualche lettera ducale indirizzata a lui- una riguardante i lavori del castello (12 marzo) e altre tre (24 aprile, 18 inovembre,
24 dicembre) concernenti l'invio di munizioni da guerra; « a partire dal 1484
« gli ordini per la spedizione di munizioni sono diretti ad Ambrosino Ferrario
« e Filippo Corio: la morte del Gadio si deve quindi ritenere avvenuta verso
« il principio del 1484 ». BELTRAMI, // Castello di Milano, 2* ediz., Milano,
Hoepli, 1894, p. 429 € 439.
(2) « Nella sconfitta toccata ad Alessandro Sforza, presso Lodi, facevasi
« prigione dai Veneti il maestro Ferlino, eccellente meccanico, che aveva
« ideato un nuovo genere di bombarda; che non poteva perciò essere dall’inven-
« tore eseguita, con vivo dispiacere del duca Francesco. Non borioso però per
« meriti e per sapere, assumeva tale incarico lo stesso Gadio, il quale diresse la
« fusione di questo nuovo strumento guerresco, che portò a lungo il nome del
« suo inventore (1455) ». G. L. CaLvi, Notizie sulla vita e sulle opere dei prine
cipali architetti, scultori e pittori, che fiorirono in Milano durante il governo dei
Visconti e degli Sforza, parte II, Milano, Agnelli, 1865, p. 47.
(3) Cfr. G. L. Cavi, Notizie, ecc., cit., parte III; Leonardo da Vinci, Milano,,
Borroni, 1869, p. 89.
Arck. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. II. DIE
450 GEROLAMO CALVI
questo momento ci occupiamo, Leonardo figura tra gli ingegneri
ducali: questa potrebbe essere stata una sua attribuzione fissa anche prima del 1490, giacchè, se quel documento si deve ritenere
posteriore, nulla esclude però che Leonardo si trovasse, per dir
così, in ruolo prima di quel tempo.
i Ma, anche lasciando di discorrere delle vicende politiche e
guerresche, che assorbirono le preoccupazioni di Lodovico il Moro
dal 1482 al 1485 (1) e poterono influire sull’indirizzo dato all’attività
di Leonardo; o di ricordare qualcuna delle ipotesi più ardite, come
quella d’un vasto disegno di rinnovamento edilizio, che sarebbe
stato suggerito a Leonardo dalla pestilenza del 1484-1485 (2°, e
qualcuna delle più verisimili, come quella che vede nel Vinci
l’optimo pictore, al quale era stata commessa nel 1485 una tavola
da inviarsi in dono al re d'Ungheria, Mattia Corvino (3), si dovrebbe
sempre tener conto di alcuni elementi noti: le testimonianze, circa
alla statua equestre, di Sabba da Castiglione, dell’oratore fiorentino
Pietro Alamanni, e di Leonardo stesso ; il compito, più cortigiano
che non vorremmo, del ritratto di Cecilia Gallerani, eseguito, secondo ogni probabilità (4), in epoca non troppo inoltrata; il posto
che nella costellazione sforzesca, nella nuova Atene di Lodovico
il Moro assegna al Vinci il Bellincioni, un poeta troppo superficiale
o troppo servile per giudicare e lodare secondo criterî, che non
fossero, almeno in parte, dettati dalle apparenze, conformi alle
.
(1) In tali circostanze reca minor meraviglia che scarseggino le notizie sull’attività del Vinci durante i primi anni del soggiorno milanese, allo stesso
modo, per esempio, che sono scarsissime, per i primi tempi del governo di Lodovico, secondo osserva il BeLTRAMI, I) Castello di Milano, 2* ediz. cit., p. 429,
quelle che riguardano i lavori del castello, d'altronde già sistemati nel loro
complesso, salvo lo sviluppo della parte decorativa.
(2) Cfr. SoLMI, Leonardo, cit., pp. 49-50; MALAGUZZI, Op. cit., pp. 369-370.
(3) II documento è riportato dai Monumenta Hungariae historica nell’Archivio storico dell'Arte del 1889, a p. 171 (Miscellanea - Un pittore della corte
degli Sforza nel 1485). Ctr. MALAGUZZI, Op. cit., p. 426.
(4) Come s'induce specialmente dalla lettera di Cecilia Gallerani-Bergamini
a-lsabella d'Este, pubblicata dal Luzio in Archivio storico dell'Arte, 1888, p. 181,
cfr. G. CAROTTI, in quest'Archivio, serie seconda, XVII, 1890, p. 781. Il SEIDLITZ,
op. cit, I, p. 157, e il MaLaGuUZZI nel volume su La' vita privata e Parte a Milano
nella seconda metà del quattrocento, p. 509, s'accordano anch'essi a ritenere il ritratto della Gallerani probabilmente eseguito intorno al 1485.
- ì
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 451
aure che spiravano a corte; gli stessi rapporti che, come i manoscritti vinciani ci rivelano, l’artista aveva con Benedetto Dei (1),
col Bellincioni (2), con Galeazzo da Sanseverino, con Marchesino
(1) Rettificando la trascrizione di un passo del Codice Atlantico, fol. 311
recto a, ho (nella Raccolta Vinciana, fascicolo III, luglio 1906 - luglio 1907,
p. 100, nota) rilevato dovervisi leggere il nome del Dei, al quale Leonardo
indirizzava, come per burla, certe « nvove de le cose qua di levante », in una
lettera, che sembra una caricatura della corrispondenza di quel gazzettiere, e
della sua smania di raccogliere e di spedire notizie sesquipedali. Il Dei era stato,
fra i toscani che si trovavano presso Lodovico il Moro, uno dei primi a frequentarne la Corte; infatti, nel carteggio Dei, esistente presso l’archivio di Stato
di Firenze, si trovano lettere dalle quali risulta che (oltre ad essere già stato a
Milano co' Medici nel 1472) Benedetto si trovava già stabilito « in corte du-
« cale di Milano » nel 1480 (la data del 1486, in Maracuzzi, La vita privata
e Parte, ecc., cit., p. 455, È riferita in mcdo da dar luogo ad un equivoco).
Amico dei Martelli, egli poteva aver avvicinato Lodovico il Moro sin dall’ epoca
del confinamento di questi a Pisa. Nè sarebbe stato improbabile ch’egli avesse
conosciuto Leonardo o la famiglia di Leonardo, prima che questi si recasse a
Milano. Egli doveva avere anche occasione di recarsi o di dimorare in Vinci,
giacchè, se un mio vecchio appunto non mi tradisce, una delle lettere del Dei
(archivio di Stato di Firenze, carteggio Dei, V]I, fol. 194) è scritta « in vincj a
« ‘di 8 luglio 1489 ».
Le ricerche sul Dei sono dovute sopratutto a Lupovico FRATI, che ha parlato a più riprese del singolare cronista: vedi Cantari e sonetti ricordati nella
cronaca di Benedetto Dei in Giorn. stor. della lett. ital., IV, 1884, pp. 162-202;
Un viaggiatore fiorentino del quattrocento in Intermezzo, l, 1; Tre sonetti di Benedetto Dei sulla guerra di Sarzana del 1487 in Giornale ligustico, anno XII,
1885, fasc. 1-2; Un cronista fiorentino del quattrocento alla corte milanese in
questo Archivio, serie terza, II, 1895, pp. 98-115.
(2) Anche con lui Leonardo prende un’aria di canzonatura. Il Bellincioni
non è, per quanto mi è dato sapere, nominato nei manoscritti di Leonardo sin
qui pubblicati. Ma v’è, in una pagina vinciana, una curiosa frase che non si
saprebbe ritenere detta per altri che per quel suo concittadino poeta: « ti dia-
« ciano le parole in bocha . e(f)faresti gielatina ifn} mongibello » (Cod. Atl.,
289 verso c). Chi scorra le poesie facete di messer Bernardo vi nota un abuso
volgare di termini gastronomici e particolarmente della parola gelatina, ch'egli
ficca con frequenza, a dritto e a rovescio, nei suoi sonetti: vedi le Rime, nell’ediz. curata dal FANFANI, Bologna, Romagnoli, 1876-1878, I, p. 133, sonetto XCI;
p. 145, sonetto C; p. 153, sonetto CVI (nella didascalia del sonetto, dovuta
probabilmente al TANZI); p.. 198, sonetto CXLIII; p. 212, sonetto CLVI;
II, p. 65, son. LX; p. 71, son. LXVI; p. 98, son. XG; p. 140, son. CKXXIV.
Cfr. ancora maccheron gelati nel son. CXX, I, p. 168. Vedi anche l’altro nome;
Mongibello usato più d'una volta dal Bellincioni, p. es., I, p. 184, son. CKXXIII
II, p. 67, son. LXII. Ritengo anche probabile che appartenga ad un sonetto del
. ® g
452 GEROLAMO CALVI
Stanga, con Gualtieri da Bescapè, con Bergonzio Botta, con Ambrogio Ferrario, con messer Mariolo, con Giovanni Antonio di.Mariolo (1), ecc., con non pochi personaggi, insomma, dell’amminiBellincioni, o a qualche altro poeta burchiellesco, la terzina, che si trova nel
ms. Trivulziano (fol. 1 verso, BELTRAMI, Il cod. Triv., tav. I)
« se 'l petrarcha amò sì forte i[l] lauro « fu perch'egli è bon fralla salsicia e tor[do] « i' non posso di lor-giance far tesauro »
perchè troviamo nelle Rime del Bellincioni, I, p. 240, son. CLXXIX, un'espressione analoga:
« Se” targon ch'è tra la salciccia e ’1 tordo »
e, come si è detto, questo poeta rifrigge spesso in molte guise certi suoi motivi.
Per corrispondenze intercorse tra il Dei e il Bellincioni, v. V. Rossi, Nuovi
documenti su Bernardo Bellincioni in Giornale ligustico, XVI, 1889, p, 302 n.
(1) Cfr. Cod. Atl., fol. 311 verso d: « per giannj antonjo . di mariolo ».
Il Prumati non ha trascritto interamente l’ultimo nome, per dubbi di lettura,
omettendo due lettere, come segue: ma[..]olo; ma mi sembra che il nome
risulti abbastanza chiaro, dalla stessa riproduzione pubblicata. Il nome di Giovanni Antonio di Mariolo mi era occorso in due interessanti liste (senza data) di
alloggiamenti (per comitive, che dovevano accompagnare Lodovico e Beatrice in
un viaggio a Parma), esistenti nell’archivio dell'Ospedale Maggiore (prima della
infausta dispersione di documenti), delle quali, disgraziatamente, non accertai la
collocazione, avendole esaminate soltanto per un’ occasione indiretta. Nell’ una
(Lista de la Comitiua de lo Illmo S. Lodouico per li alogiamenti de parma) si
leggeva Îl nome di m. Mariolo seguito da quello di m. Io. Ant, ed in un'altra
(Lista de alozamenti del . S. Ludouico, che riproduce parecchi degli alloggi della
precedente e quindi è da ritenersi riferibile alla stessa città) si ritrovava, accanto
a quella di Mariolo, la più precisa menzione di Johane ant.” de mariolo, la quale
non deve tuttavia farci ritenere che l'uno fosse figlio dell'altro, giacchè, come
risulta da un doc. prodotto dal dott. Biscaro in questo Archivio, serie quarta,
XII, 1909, p. 375 n., Mariolo e Gio. Antonio de’ Guiscardi erano fratelli. Giovanni Antonio di Mariolo prende parte alla giostra del 1491 (v. Arch. stor. iomb.,
serie prima, IX, 1882, p. 531 e 533) della quale verrò a parlare ; e potrebbe darsi
che l'appunto vinciano « per giannj antonjo . di mariolo » servisse al maestro di
memoria per qualche prestazione relativa al torneo, dove questo cavaliere appare
vestito alla turchesca;...... « sopra l'elmo uno che cavalcha una tigre » (Arch.
stor. lombardo, cit., p. 531), motivo, quest'ultimo, affatto conforme al gusto decorativo di Leonardo, che s’occupò, come vedremo, di quella giostra. ]l foglio,
dalla parte della menzione detta, porta studi d'ala artificiale, dall’ aitra appare,
disgraziatamente, ritagliato.
Il MALAGUZZI, nel vol. cit. su La vitu privata ecc. (cfr. le pp. 481, 482, 564, 735).
sembra non distinguere i due personaggi citati (Mariolo e Giovanni Anton è di
*
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 453
strazione ducale o della corte intima di Lodovico il Moro; la traccia di qualche pagamento, che non dovremmo ritenere posteriore
al 1490 (1); le stesse querele che più tardi Leonardo farà circa il
trattamento ricevuto, con oscuri accenni a beneficî, dei quali
avrebbe goduto in passato (2); certe piccole prestazioni, che non
si sogliono affidare a chi non sia già vincolato da maggiori
obbligazioni, e che, quando si voglia vedere negli schizzi ed
appunti che le riguardano soltanto semplici rilievi indipendenti
da lavori personalmente eseguiti, dimostrano a qual segno Leonardo fosse accolto nell’ intimità dei palazzi ducali; il libero aggirarsi dell’artista nei castelli di Milano, di Pavia e di Vigevano;
e finalmente alcune delle allegorie di Leonardo, delle quali fu recentemente messo in dubbio lo scopo, ma che, esaminate nei loro
elementi costitutivi, confrontate colle poesie del Bellincioni e del
gruppo che vi fa capo, e con qualche miniatura sincrona (ricordata
anche dal Malaguzzi), e ravvicinate ai maneggi di Lodovico il Moro(3)
Mariolo) ma farne uno solo. Ora, la distinzione si trova, come nei documenti
accennati, così in Leonardo (cfr. il noto passo nel ms. S.K.M., III: « morel
« fiorentino di messer mariolo chaval grosso à bel chollo e assa[i] bella testa »).
Nei ragguagli, che Tristano Catco (Residua, etc., Mediolani, apud Johannem
Baptistam et Julium Caesarem fratres Malatestas, 1644, p. 97) e i documenti
pubblicati dal Porko (Arch. stor. lomb. cit., pp. 522, 530, 532) danno delle nozze
Sforza-Este, troviamo che anche Mariolo de’ Guiscardi prende parte alla giostra
datasi per festeggiare quelle nozze, e che il secondo premio è stato diviso per
| metà tra c Mariolo Guischardo camerero et alevo de lo Ill . S. nostro barba
« [cioè di Lodovico il Moro] » e « Jacomo similiter alevo de M.° Galeazo »,
Arch. stor. lomb., cit., p. 522.
(1) V. la nota a p. 437-438, supra.
(2) Cfr. MùLLeR-WALDE, Fin neues Dokument ecc., in Jabrbuch cit., p. 109.
(3) Saremmo tentati di aprire una discussione, ma non è qui il luogo, sulle
opinioni che il MaLagGuzzi sostiene, nel primo dei suoi volumi sforzeschi, in ordine alle responsabilità di Lodovico verso il nipote Gian Galeazzo. Per consentire col Malaguzzi, bisognerebbe poter dimenticare così il primo colpo di stato
del Moro (quando s’' impadronì della Reggenza) e le circostanze, che lo accompagnarono, come il secondo, allorchè usurpò la successione; bisognerebbe ammettere che tra gli attentati alla vita umana non vi sia anche quello che colpisce
le prerogative, la dignità, lo scopo, il significato stesso d’un’ esistenza. Togliere
dei vanti al mecenatismo di Lodovico il Moro, e, per converso, menar buona la
sua condotta politica e dinastica equivale ad esprimere delle opinioni originali;
ma sono esse altrettanto giuste? Nè, quanto all'aver chiamato in Italia Carlo VIII,
454 GEROLAMO CALVI
ed alla fede di questi in certi suoi metodi di propaganda e di governo, mettono e metteranno sempre in imbarazzo coloro che vogliono negarne la portata od almeno l’intenzione politica (1), per
ingenua ch’essa possa sembrare : tutte queste cose, e non soltanto
queste, dovrebbero essere vagliate prima di sottoscrivere ad una
opinione troppo recisa sull’abbandono e sull’ isolamento di Leonardo
durante i primi tre lustri del periodo milanese: sull’ isolamento,
intendo, imposto all’artista e non su quello ch’ era cercato da lui,
allorchè s’immergeva, solitario e lutto suo, nei suoi studî prediletti. Ma, oltre agli elementi, che abbiamo qui in parte accennato
© che sono più o meno noti e discussi, ve ne sono altri che, se
non erro, sono stati sinora trascurati e che riguardano in special
modo la partecipazione presa da Leonardo all'allestimento delle
feste nuziali sforzesche del gennaio-febbraio 1489 e del gennaio
149I (2).
Non senza interesse si notano nel ms. B accenni a modi di
allestire apparecchi da festa e altri compiti decorativi. Sul fol. 3
possiamo certo accontentarci di pensare che dai diminuir l'accusa si è incaricato
uno storico francese.
Vaud « L'opere sue
Non furon leonine, ma di volpe »
vien fatto di pensare davanti alla figura di Lodovico il Moro, che, se deve ad
alcuni degli scrittori più recenti il temperato verdetto che infrena la tradizionale accusa di veneficio, ha pur sempre mostrato di appartenere ad un’ epoca,.
nella quale perduravano quei tratti caratteristici, che il ManzoNI ha posto così
bene in evidenza a proposito del Conte di Carmagnola (v. la Lettre a M.C**°
sur l’unité de temps et de lieu dans la tragedie in Le tragedie, gl’inni sacri e le odi
di ALessanpRo Manzoni, a cura di MicHeLe ScHeERILLO, Milano, Hoxpli, 1907,
p. 354-355).
(1) Della più notevole di tali allegorie ho brevemente parlato in questo
Archivio, serie quarta, II, 1904, pp. 482-483, a proposito della pubblicazione
fattane dal CoLvin. Temi di questa natura, se fossero semplicemente rivolti ad
uno scopo morale generico, verrebbero espressi în corpore vili: le favole hanno
sempre servito per questo. Ma quando vediamo comparire le insegne o i nomi
di chi sta in alto è difficile sottrarci alla conclusione che, allura come oggi, tali
rappresentazioni s'informino a un concetto politico.
(2) L'UzieLLI (Ricerche ecc., 2* ed. cit., p. 113) volle correggere il MILANESI,
che, nel prospetto cronologico allegato alla vita vasariana di Leonardo, aveva sotto
entrambi gli anni presunto tale partecipazione, che qui risulta, per il 1489, più
che probabile e, per il 1491, certa.
- -
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 455
«erso di quel codice si trovano indicazioni di temi allegorici, che
sembrano essere considerati da un punto di vista pittorico (« a la
«fama si de’ dipignjere », etc.): s'aggiunga che qualche altro appunto del medesimo ms. potrebbe far ritenere che si trattasse, in
quel tempo, di dare opera a decorazioni murali: infatti sullo stesso
foglio è indicato un modo poco costoso di fare l’azzurro, e a fol. 35
recto sono disegnati dei « palchi portativi per agiugnier (a) a
« ornare muri », ed anche pennelli da imbiancare (1), fissì su
lunghe aste. In secondo luogo vediamo che il Vinci prende qualche cura di studiare addobbi di stoffe, e disegna, prima a scacchiera, un quadrato formato di « pannj bianchi e cilestri tessutj
« ’n schachi per fare uno aparechio » (ms. B, fol. 4 recto) e poi, a
scarlioni, un altro di « pannj tirati in a.b.c.d.e f g.h.i.k
a da(f)fare uno cielo a uno aparechio » (1v1, le lettere sono ripetute sulla figura). Sappiamo quanto gli Sforza (2) amassero valersi di tappezzerie e di drappi, così a scopo di allestimento interno,
come di decorazioni speciali in occasione di ricevimenti e di feste,
anche per la città. Verso la fine del 1488, essendo appunto imminenti le solennità per il matrimonio di Gian Galeazzo Sforza con
Isabella d'Aragona, si danno le disposizioni, perchè siano trovate
« le tapezarie che bisognano per hornare el Domo, el Castello no-
« stro de porta Zobia de Milano et lì altri loci sarà necessario
« in la venuta dela Illustrissima nostra Consorte |il documento è
« in nome di Gian Galeazzo|, quale ha essere in brevi et desi-
(1) Per non trascurare nessun dato, che riesca utile ai nostri confronti, notiamo che il CaLco, parlando dei preparativi per le nozze di Gian Galeazzo con
Isabella, dice: « Triclinia cubiculaque omnia renouato tectorio dealbantur » TRE
srani CÒatci Mediolanensis historiographi Residva e bibliotheca Patricij Nobilissimi Lvcii Hadriani Cottae nunc primo prodeunt in lucem, studio et opera Ioannis
Petri Pvricelli. Mediolani, apud Johannem Baptistam et Julium Caesarem fratres
Malatestas, etc, MDCXLIV. Vedi Nvuptiae Mediolanensium Dvcum sine Johannis
Galeacij cum Isabella Aragona, Ferdinandi Neapolitanorum Regis nepte, p. 64-65.
(2) Il BELTRAMI ha pubblicato, nella sua opera sul Castello di Milano, parecchi
documenti, che non mancano d'interesse a questo riguardo. Si veda l’op. cit.,
2° ediz., alle pp. 241-242, 348-349, e specialmente 331-332 per i telai dei capiceli,
che si stendevano nelle sale della Corte (vecchia) e del Castello. Anche il lauro
e il ginepro (di cui parliamo più avanti) servivano usualmente per decorazioni,
come, per esempio, nelle famigliari cerimonie natalizie, cfr. BELTRAMI, Op. cit.,
documento del 1471 a p. 277.
456 GEROLAMO CALVI
« deramo honorare più poteremo » (1). Descrizioni notevoli degli
sponsali, e dell'apparato fatto in quella occasione si trovano in una
relazione dell’oratore fiorentino presso la Corte degli Sforza (2),
in un documento pubblicato nella edizione moderna del Giulini (3),
nella narrazione di Tristano Calco (4), e in quello del canonico
Stefano Dolcino (5). Dall’ opuscolo di quest’ultimo. ricaviamo un
tratto, che ci sembra divenga interessante per i nostri appunti
leonardeschi:
DE ARCIS APPARATU
sed iam in regum Thronum penetremus. In arce louis quae Diuorum
principuni est sedes penitior aula : Palatium illud grande descendentibus
prima genialis diei signa patefecit: Huius enim areae forma quadrangularis est: duplici coenaculo a tribus lateribus circumsepta, Triplinthii
muri mira altitudine sublimes: Medii fascia Cyanea duobus cubitis lata
inter Ecphoras circumuestiti. Hanc fasciam uarii centaurorum: Deoruinque syluestrium lusus implent. Supra infraque luniperi torquibus: hederarum coronamentis: & lauri plectis restium more inter se implicitarum frondenti gyro totum ambitum cingentibus: Ab his Ducalis potentiae: & subditarum ciuitatum in hederarum spirulis corruscantia insigria
dependebant. Ad caput uero capacis Area supra proiecturze pra cinctionem binae Aquilae : ‘totidemque uiperae coronis radiantibus seuientes
in orbiculatis Trichis demittebant. Quartum latus temporaria porticu
alia omnia superante: desinentis muri utrumque linbum eodem tenore
continuabat. ex lunipero tanquam ex marmore stantes columnae fron-
(1) BeLTRAMI, /l Castello di Milano, 2° ediz. cit., pp. 444-445. Il documento
è datato da Vigevano, 15 dicembre 1488.
(2) In Roscog, Vita di Lorenzo de Medici, III, Pisa, 1799, appendice (Doc.
n. XXIV), p. xc e sg. E° la stessa lettera pubblicata nel vol. su La vita frivata, ecc., cit., p. 458, dal MaLaGuzzI, che lo trascrive colla data del 2, ma, per
una svista, alla quale ha evidentemente dato occasione il numero romano, lo
presenta con quella dell’rI febbraio.
(3) GiuLINI, Memorie spettanti alla storia, al governo ed alla descrizione della
città e campagna di Milano nei secoli bassi, Milano, Colombo, 1854-57, vol. VI,
pp. 649-655. Ivi si premette che la descrizione è tratta dalla parte inedita
(presso l’ASM) delle Memorie sulla storia dell'ex ducato di Milano, di MicHELE
DaAvERIO, che l’avrebbe tratta, a sua volta, da un ms. esistente pure nell’archivio
di Stato milanese,
(4) Vedi la citazione a pagina precedente.
(5) DuLcinius (P. STEPHANUS), Scalae Canonicus. Nuptiae INustrissimi Ducis
Mediolani. Opera et impensa Spectabilis Viri. D. Io. Antonii Coruini de Arretio:
uir in hac arte ingeniosissimus Antonius Zarotus Parmensis impressit Mediolani
M. CCCCLXXXVIIII.
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CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 457
deos fornices Corymbiferis Capitulis sustinebant: eo artificio concamerati & auro intercrepitante rasiles: ut nulla foliorum asperitas: nulla
ramorum inter se connexorum inconcinnitas artis pretium imminueret.
Putares haec uel ita nata: uel pictorum penicillo ellaborata: Sub hoc
quasi quodam Topiario vpere: principalis Ponipa equis insidens ad arcis
portam tecta perueniebat (1).
I particolari di questa decorazione del castello, che si riferiscono all’ allestimento di un portico rivestito di verzura, concordanti con quelli dati dal Calco (2), richiamano le note e gli schizzi
a fol. 28 verso del ms. B. Ivi troviamo disegnate armature in forma
di colonna e di portico, colle spiegazioni concernenti il rivestimento
di esse: « a cquesta cholona si lega dintorno 4 pertiche dintorno
« a Je quali s'inchioda vinchi grossi uno dito e poi si fa da piè e
« uassi in alto legando mazoli (di gin) di cime di ginepro cholle
« cime jn basso cioè sotto sopra »
« sia da l’uno a l’altro cierchio uno '/, . braccio e ’] ginepro
« si de’ vigiere chole cime in giv cominciando di sotto ».
« modo come si debe mettere le pertiche per legare i mazoli
« de’ ginepri sopra esse pertiche le quali sono chonfitte sopra l’ar-
« madura . della volta e (c) lega essi macolj [mazoli] chon salcj e le
« superfrue [superflue] cime tosa colle. forbici o lavorale co’ salci ».
« modo come si fa l’armadure per fare ornamenti in forma di
« edifitj » (3). i
(1) Ivi, fol. 8 recto e verso (numerazione nostra).
(2) « Ab altero compluuij capite, quod sub diuo patet, excogitatum est noui
« generis tectum. Porticus id fuit, ramulis virentis iuniperi excitata, septem for-
« nicibus continuato opere, ac totidem columnis consimili viriditate fabricatis:
« qua res, prater iucunditatem aspectus, gratissimum etiam late odorem fun-
« debat. Ipsorum fornicum transuersarij liminaresque arcus aureis fasciolis di-
« stincti: & in medio atque in capitellis tabellae cum superiorum Ducum ima-
« ginibus affixae », TRIST. CHALCI, Residua cit., p. 65.
(3) Ho dato una trascrizione il più possibile vicina alla trascrizione diplomatica: la riproduzione del RAvaIsson-MOLLIEN è in parte confusa; e il confronto
coll’ originale esistente a Parigi mi ha fatto notare qualche errore nella lettura
dell’editore francese (così, nel terzo frammento, « movere » invece di « mettere »;
« superfatte » invece di « superfrue »; e rosa » invece di « tosa >).
Oltre ai passi trascritti cfr. ancora la nota (coi relativi schizzi) a fol. 54
verso: « armadura da uno tiburio da festa » e a fol. 78 verso (sempre del ms. B):
« Questo . è il modo d’armare vno . palcho . da(f)feste e(s)se non uoj . che
458 GEROLAMO CALVI
Queste indicazioni di Leonardo fanno pensare ch’egli fosse
incaricato dei preparativi per la decorazione nuziale o almeno li
seguisse ed osservasse assai da vicino. La coincidenza appare sopratutto nel particolare, che riguarda la tosatura delle cime dei
ginepri, operazione che, nell’ apparato per le nozze di Gian Galeazzo, fu così bene eseguita da dar luogo alle riportate espressioni del Dolcino: « .... eo artificio concamerati et auro intercrepitante rasiles: ut nulla foliorum asperitas: nulla ramorum inter
« se connexorum inconcinnitas artis pretium imminueret. Putares
« haec uel ita nata: uel pictorum penicillo ellaborata ».
Gli sposi, dice un terzo descrittore riassunto dal Daverio,
« tenendosi per mano, entrarono in castello, nella corte del quale
« erano stati tappezzati /i muri con fanno azuro su del quale
« eranvi dei festoni d’edera e di alloro facto all’ antiqua. Inoltre
« su dello stesso eranvi le insegne ducali, quelle della città e dei
« castelli dello stato, con centauri depinti alla custodia d’epse. Nella
« grande corte del castello verso la rocca, cominciando dal ponte
« fino alla porta di mezzo, ch'era un tratto di cammino di 140
« braccia, si era costrutto un port'co in vuolto sostenuto da sette
« colonne, tutte de zenevro con gran arte ornate de le soprascripte
La e
« arme et liste d’oro’ » (1).
I festeggiamenti per il matrimonio di Gian Galeazzo con Isabella furono interrotti dal lutto, che in quegli stessi giorni recava
la notizia della morte d’Ippolita d'Aragona, madre della sposa. ll
Solmi ritenne probabile, in base alla didascalia d’un sonetto composto dal Bellincioni a proposito della rappresentazione del Paradiso, ideata da Lodovico il Moro ed allestita col concorso di
Leonardo, che questa dovesse far parte degli spettacoli allora preparati e dovuti poi rimandare a causa del luttuoso evento (2). Lo
« chagia . attraverso . ferma . ferma [sic] il legnjo. m. ne(s)simile .r.s.
« chon.r.p.||m.gp.in. nel pedale del legnjo. o. p. ». Si vedano
pure i i senza scritto a tal 29 verso, con quelli ini a fol. 28 Vera:
e l'indicazione a fol. 20 verso « per rizare vn antena con facilità ».
(1) In GIULINI, ed. e vol. cit., p. 652. Giova avvertire che la descrizione è
data qui di seconda mano dal Daverio, che l’ha rifusa lasciando in corsivo le
espressioni originali.
(2) E. SoLmI, La festa del Paradiso di Leonardo da Vinci e Bernardo Bellincione (13 gennaio 1490) in Arch. stor. lomb., serie quarta, I, 1904, p. 78 e 39, nota,
-
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 459
stesso autore mise-in luce la data effettiva di quella rappresentazione, pubblicando in questo Arc/:vt0 un importante documento
isegnalatogli dal Bertoni) della biblioteca Estense, nel quale la festa è descritta con abbondanti particolari, ma senza che noi vi
troviamo il riferimento, che al Vinci è fatto nelle parole (1), che
sono premesse ai versi composti dal Bellincioni per quella festa.
Tali parole, tuttavia, insieme col ricordo delle altre occasioni nelle
quali vediamo all'opera il de/itrarum maxime theatralium muirsficus
inventor et arbiter (2), e la natura dello spettacolo, allestito con
speciali meccanismi, sono sufficienti a farci ritenere che Leonardo
vi attendesse.
Rimandiamo i lettori alla descrizione sincrona pubblicata dal
Solmi per l’apparato, le fogge degli intervenuti, il trattenimento
che precedette la rappresentazibne e quindi l’azione teatrale, che
corrisponde fedelmente all'ordine dei versi del Bellincioni; nei
quali non troviamo nè genialità, nè elevazione, ma certa pesantezza cortigiana, che si strascina dal principio alla fine. Probabilmente il sommo Leonardo non fece gran caso del secentismo anticipato del poeta, e non attese che alla perfezione dell'apparecchio
ed all’ordinato svolgimento dei compiti, che erano stati affidati a lui.
Abbiamo noi appunti o ricordi personali di Leonardo riguardo
a quella festa sforzesca? Il Solmi (3), a proposito dei « x1J signi,
« con certi lumi dentro dal vedro, che facevano un galante et bel
“« vedere », ricorda lo schizzo di una lampada a fol. 80 recto a del
Codice Atlantico e la nota che lo accompagna: « questa palla es-
« sendo di vetro sottile c(n) piena d’acqua renderà gran lume ».
(1) Le quali si debbono ascrivere a Francesco Tanzi, che raccolse e pubblico le poesie del Bellincioni, dopo la morte di questi. Il Tanzi, nella lettera
dedicatoria a Lodovico il Moro, pur ricordando la dimestichezza avuta col Bellincioni, onde più facilmente ha «e possuto cognoscere la intentione sua », dichiara che l'ordinamento del libro gli è riuscito difficile e laborioso e per aver
€ trovato, como ho predicto, queste rime molto confuse, senza ordine et senza
« tituli, o vero argumenti » etc. Di qui è lecito arguire che le didascalie siano
opera del Tanzi. Le parole che ricordano la festa del Paradiso possono esser
credute anche per la breve distanza (tre anni, a un dipresso) che la separò dalla
data dell'edizione delle poesie del Bellincioni, curata dal Tanzi.
(2) Pau: Iovn, Leonardi Vincii vita, rip. in Bossi, Del Cenacolo di Leonardo da Vinci, Milano, Stamperia Reale, MDCCCX, p. 20.
(3) In Arch. stor. lomb. cit., p. 86, nota.
460 GEROLAMO CALVI
Ma nè forse il Solmi pretese darci altro che un termine di confronto
per il sistema, al quale potè ricorrere Leonardo, nè la connessione
immediata collo scopo della rappresentazione sarebbe qui provata.
L’ elegante candelabro, sul quale poggia il globo della lampada,
parrebbe piuttosto indicare una diversa e più durevole destinazione.
Il Malaguzzi (1) richiama utilmente un altro frammento vinciano,
pubblicato dal Richter, e la menzione, che si trova accanto ad un
rapido schizzo sul foglio 231 verso a del Cod. Atl., di un « ocel
« de la comedia », che si riconnette quasi certamente coi congegni
teatrali di Leonardo per questa o per altra occasione.
Forse è da connettersi con la prima parte della festa e con
la scelta o con la disposizione di una sala, che s’adattasse bene
allo svolgimento del programma allora eseguito, l’ interessante
passo, che si trova a fol. 214 recto b (2) del Codice Atlantico. e
che potrebbe tuttavia appartenere ad un anno più inoltrato:
la sala della festa vole avere la sua colletione in modo che prima
passi dinanti al signjore e poi a’ chonuitati e(s)sia il camjno ifn]} modo
che hessa possa venjre in sala i[n]} modo nun passi dinanzi al popolo
piv che(l)l’omo si voglia he sia dall’oposita parte situata a risscontro al
signjore la entrata della sala e(l):e scale comode i[n] modo . che sieno
anplie i{n] modo che le giente per quelle non abino vrtando ?inmasc[h]Jerati a guastare le loro [f]oggie quando vsscissi [...]la turba
d'omjnj] [....] chon tali imasschefrati] Vole tale sala a[vere] due camere per testa [....] sua destri doppi [Oltre] a di questo vn vscio [per
la coljletione e vn per li mafsche]ratj - , (3).
(1) Bramante e Leonardo da Vinci, cit., p. 469.
(2) Per errore di stampa, questo foglio è numerato 213 nella pubblicazione
del codice. Il passo è stato pure trascritto dal MùLLER-WALDE, in appendice al
citato studio, Ein neues Dokument, etc., in Jabrbuch cit., pp. 157-158; ctr. p. 96,
nota; e ricordato fuggevolmente dal SEIDLITZ, Op. cit., I, 147.
Il dubbio sulla corrispondenza cronclogica del foglio ci è dato dalla scrittura e da una breve serie d’appunti, che si trova sulla stessa pagina.
(3) Per completare quanto possiamo raccogliere dai manoscritti circa alla
parte che Leonardo può aver avuto nell’ organizzare travestimenti, ricordiamo
anche il seguente frammento del ms. I (fol. 49) [I] verso):
« veste da carnovale
« per fare vna bella veste togli tela sottile e dalle vernjce odorifera fatta d’olio
« di trementina e vernjce in grane e oi [sic] colla stanpa traforata e bagnjata
« a ciò non si apichi e questa stanpa sia fatta a gruppi i quali poi sien rienpivij
« di mjglio nero e ’l canpo di mjglio bianco ».
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 461
Sia che il passo sopra riportato si riferisca alla festa ora descritta, sia che debba ascriversi ad una data posteriore, esso può
ad ogni modo dimostrare come, con simili disposizioni, quando
Leonardo era incaricato di organizzare un divertimento di tal genere, egli si preoccupasse dapprima di assicurare la regolarità e
l’ordine del suo svolgimento : e questa può essere un’ altra ragione
per confermare a Leonardo la parte da lui avuta in questa festa,
la quale, come dice il documento già più volte citato, « è stata
« tanto bene ordinata et conductta, et con tanto scilentio et bono
» modo, quanto al mondo sia possibile a dire et exprimere con
« lingua » (1).
La prima parte della festa del 13 gennaio 1490, che ci ha richiamato quel frammento del Codice Atlantico, consisteva appunto
(come si rileva ancora dalla citata relazione manoscritta) nella successiva presentazione di gruppi di maschere, con fogge, rispettivamente, a « la spagnola », « a la polacha », « a la ungarescha »,
« a la turchescha », « a la todescha », e « a la francese »; ciascun
gruppo recava un omaggio a Isabella da parte del sovrano del
paese, dal quale fingeva di provenire; e ad ogni nuova presentazione seguivano balli di maschere. Il travestimento « a la todescha »
è così descritto: « quattro chioppe {coppie) de maschere, vestiti
« tutti de panno verde, et così le calze, con certi mongini facti a
« la todescha fino a la polpa de la gamba, le quale erano tutte.
« tagliuzate, et sotto v’ era brochato d’oro, che faceva uno bello
« vedere, in testa avevano chaviare lunghe arizate, como porta li
« todischi, con un retorto sopra ditti capilli e nel quale dinanzi
» avevano penne de scargette con uno balasso dentro ne la fronte
« et conle scarpe da le punte lunghe » (2).
Un disegno di Windsor, che il Muller-Walde riferisce al precedente periodo fiorentino, ci presenta (3) una figura di giovane
cavaliere, ritto, colle gambe div.ricate, un’asta leggera nella mano
destra, la sinistra poggiata al fianco, il corno a tracolla, il corpo
vestito d’ un caratteristico costume ricchissimo di liste e di svo-
(1) Arch. stor, lomb. cit., p. 80.
(2) Ivi, pp. 84-85.
(3) Braun n.° 192; MùLLER-WALDE, Leonardo da Vinci . Lebensskizze, etc.,cit.,
ill. 36; SEIDLITZ, op. cit., I, tav. XXIII, a fronte della p. 144.
"e
462 GEROLAMO CALVI
lazzi alle maniche (dalle quali sporge tuttavia libero l’avambraccio)
scendenti sino ai polpacci delle gambe, e con una giubba di pelle
o di stoffa maculata, stretta in vita, portante una divisa sul petto,
e frastagliata alquanto irregolarmente dov’essa termina, cioè alle
cosce. La capigliatura, che scende folta e arricciata sulla nuca, è
raccolta, all’altezza della fronte, da « uno retorto », sul davanti del
quale, appunto come nel costume « a la todescha » della festa, s’ergono delle penne. Questo dettaglio, le « chaviare lunghe arizate,
« como porta li todischi » e l’altro particolare delle maniche pendenti e frastagliate sino ai polpacci, nelle quali ci sembra riconoscere i « mongini facti a la todescha » della descrizione pubblicata
dal Solmi, favorirebbero la supposizione che noi ci troviamo davanti ad uno studio fatto per questa festa. Anche indipendentemente da tale supposizione, il carattere del disegno, più molle e
fuso che quello del periodo fiorentino, fa ritenere che, anzi che
a questo, come suggerisce il Muller-Walde (1) il disegno ora descritto ed un altro (con una figura femminile, anch’essa in costume),
pure di Windsor, si debbano assegnare all’ epoca milanese. En-
(1) Op. cit., pp. 74:75, € ill.» 36, 37. Il secondo di questi disegni rappresenta a figura intera una giovane donna, col busto raccolto in una specie di maglia corazzata, della quale l'intreccio abbastanza fitto si svolge a minuti scarlioni
e termina in lembi palmati, all’altezza delle cosce, dopo essere :tato stretto alla
vita da un cordone che, annodato davanti, nel mezzo, cade intrecciandosi al di
sotto con un doppio giro di curve. La gonna è semplice, leggera, agitata in graziose pieghe. Le maniche sono ricche, a rigonfiamenti e a liste elegantissime, e
queste, lungo l'avambraccio, dove la manica è più attillata, condotte a spirale.
L’ acconciatura è in parte raccolta e in parte sciolta. Il braccio sinistro disposto
ad ansa, col dosso della mano poggiato al fianco, offre l’identico atteggiamento
che quello corrispundente della figura maschile prima descritta (colla quale potrebbe
formare una delle coppie mascherate): la disposizione delle gambe alquanto divaricate e la direzione del viso sono poco differenti. La mano destra tiene, invece dell’asta, una palma.
Il MùLLER- WALDE mette distintamente in relazione colla giostra di Giuliano
de’ Medici, del .8 gennaio 1475 (ch'egli riferisce al 28 giugno 1476) le due figure ricordate supponendo anche, op. cit. p. 75, che la seconda possa rappresentare la Simonetta) ed un terzo disegno, op. cit., ill. 38, che rappresenta una
figura intera di cavaliere in sella e che, per il caratteristico tratteggio di mano
mal ferma proprio di alcuni fogli leonardeschi degli ultimi anni, parrebbe doversi riferire al soggiorno di Leonardo in Francia.
ì
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 463
trambi i figurini sono eseguiti, caratteristica che sembra potersi
rilevare sopratutto negli anni che ora studiamo, a graffite (1).
Ed ora, prima di venire a parlare delle feste del gennaio successivo per le nozze di Lodovico il Moro con Beatrice d’ Este e
di Anna Sforza con Alfonso d’ Este, e della parte che vi prese
Leonardo, gioverà accennare a qualche ben noto dato cronologico
relativo alla statua di Francesco Sforza. Circa sei mesi prima che
Leonardo allestisse la rappresentazione del Paradiso, l’artista aveva
corso il pericolo di vedersi ritolta l’allogazione del gran cavallo,
nella quale sì può ritenere che avesse riposto la sua più alta speranza di fama. È conosciuta la lettera scritta dall’ oratore fiorentino, Piero Alamanni, a Lorenzo de’ Medici per chiedergli, in nomè
di Lodovico il Moro, l’invio di un nuovo scultore atto a sostituire
Leonardo, dal quale lo Sforza sembrava ormai disperare di ottenere
l’opera compiuta. È probabile che quest’atto di Lodovico il Moro sia
stato determinato dalle note lentezze e incertezze di Leonardo ed anche dal desiderio impaziente, che Lodovico doveva nutrire, di poter
almeno far figurare, come simbolo maggiore della grandezza della
sua casa, il monumento equestre nelle nozze sforzesche. Forse (ed io
mi scosto in ciò così dal Malaguzzi (2), il quale tende a ritardare la
data dell’allogazione e a sorvolare sul primo periodo degli studî e
dei lavori di Leonardo per il colosso, come dal Muller-Walde, il quale
suppone (3), contrariamente al tenore della lettera dell’Alamanni,
(1) Un quarto disegno, che il MoLLER-WALDE, op. cit., p. 75, ascrive pure
al primo periodo fiorentino scorgendovi una rappresentazione di Beatrice (ma
della Beatrice dantesca e non di Beatrice d’ Este, come, per una svista che rimonta
all’ Uzielli (cfr. MùLLer-WALDE in Jabrbuch cit., p. 104, nota) crede il MALAGUZZI,
nel presentare questo disegno a p. 528 del vol. cit. su La vita privata e l’arte, ecc.,
Milano, Hoepli, 1913) è riprodotto dal MaLaGUZZI, l. c., a fronte della figura maschile, che abbiamo esaminato per prima; ed entrambe sono considerate come
possibili costumi per rappresentazioni teatrali. Ma, mentre per la figura maschile
ciò può ritenersi quasi certo, la così detta Beatrice, che potrebbe realmente appartenere al primo periodo fiorentino, non ne presenta indizî altrettanto convincenti.
(2) Bramante e Leonardo da Vinci, cit., p. 438 sg.
(3) Fin neues Dokument, etc., in Jabrbuch cit., p. 93. L'opinione è ripetuta,
un po’ attenuata, dal SEIDLITZ, op. cit., I, 157. Già l’UzieLLI, fondandosi sulla
lettera di Piattino Piatti, che citotii seguito, opinò che alla fine del 1489 il modello fosse terminato e pronto ad essere gettato. V. Ricerche, ecc., serie prima,
2* ediz, cit., pp. 117-118.
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464 GEROLAMO CALVI
che Leonardo avesse già portato a buon punto, nel 1489, un primo modello giudicato sfavorevolmente dal Moro) dopo una lunga
serie di disegni, di studî preparatorî e di tentativi, l’opera non
entrava nella sua fase esecutiva che per lo stimolo prodotto dalla
nuova minaccia sull’animo di Leonardo. E d’altra parte, nel ms. C
si legge, a fol. 15 verso: « a di . 23. d’aprile . 1.4.9.0 cho-
« minciaj. questo . libro e richominciaj . il cavallo ».
Che l’artista si desse attorno, appena vista la mala parata, per
evitare il ritiro dell’allogazione a lui affidata e per ripristinare
prontamente la fiducia in lui riposta, parve confermato (1) da una
lettera scritta, il 31 agosto dello stesso anno, da Piattino Piatti,
nella quale questi pregava lo zio G. Tomaso Piatti di far pervenire a Leonardo da Vinci un suo epigramma per la statua di
Francesco Sforza:
« Tetrastichon meum his litteris inclusum : uelim pro tua hu-
« manitate mi Patrue per unum ex Famulis tuis Leonardo Flo-
« rentino nobili statuario quamprimum meo nomine reddendum
« cures. Quod a me iam pridem ipse petierat; et ego receperam
« me facturum in statuam equestrem loricatam : quam diuo Fran-
« cisco Sfortiae benemerenti: gratus optimo patri filius Ludouicus
« Princeps positurus est. Recepi inquam : licet imparem me tanta
« rei cognoscerem: cui ne a poeta quidem egregio satisfieri pos-
« set: sed non sum ausus offitium tam debitum ei denegare. Tum
« propter ingens studium meum erga Principem illum: tum non
« leui quadam que mihi cum ipso Leonardo intercedit amicitia.
« Neque tam temere suspicor idem a compluribus aliis eumdem
« artificem petiisse : qui multo fortasse disertius rem istam expri-
« ment ». Etc. (2).
Benchè l’invio dell’epigramma, chiesto e promesso sam fpridem,
potesse essere indipendente da un risveglio d'attività nello scultore per effetto dell’episodio accennato, rimane tuttavia probabile
che Leonardo rompesse gl’indugi e le prove, e si accingesse al-
(1) Cfr. SoLmi, Leonardo, cit., p. 57.
(2) La lettera si trova a carte 21 delle Epistolac Platini cum tribus orationibus
et uno dialogo (stampate da Gottardo da Ponte nel 1506) e riportata dal Bossi
nelle note alla sua opera sul Cenacolo, Milano, 1810, p. 258. Cfr. ATTILIO SIMONI,
Un umanista milanese, Piattino Piatti, in questo Archivio, Il, 1904, p. 285-286:
dove si dà, per una svista, alla lettera la data del settembre.
Go ogle i
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 465
l'esecuzione o la riprendesse: e sarebbe naturale che il lavoro, condotto sotto lo stimolo di congiunture impellenti, dovesse in breve
apparire, stornata la minaccia che gli era stata di sprone, precipitato all’artista lentissimo e dubbioso, che esercitava continuamente una critica severa sopra sè stesso: e perchè le operazioni
effettive non erano avviate od uscite da una fase affatto rudimentale che da poco tempo, il maestro si lasciasse vincere nuovamente
da considerazioni di scelta e di disegno,. e ricominciasse il modello. Un tale svolgimento di fatti (conforme alle relazioni cronologiche, nelle quali starebbero la lettera dell’Alamanni, quella del
Piatti e l'appunto del 23 aprile 1490) sarebbe il più spiegabile in
una natura come quella del Vinci, desiderosa di riuscire quanto
inclinata all’abulia dal pensiero analitico.
Nei manoscritti di Leonardo non abbiamo trovato sinora traccie
dirette di una vertenza tra Lodovico- il Moro e l’artista, anteriore
o immediatamente successiva alla lettera dell’Alamanni, nè delle.
giustificazioni del maestro, le quali è da supporsi che non mancassero di essere da lui avanzate, come lo furono dopo la più
grave rottura più tardi avvenuta tra lui e lo Sforza, allorchè egli
aveva l’incarico di dipingere i « camerini ». A questa, e non all'episodio del 1489, come suppose il Solmi (1), dovrebbe riferirsi
lo scritto frammentario a fol. 315 verso a del Cod. Atlantico, il quale
è certamente dello stesso tempo degli altri appunti, disgraziatamente monchi, per una lettera al Moro sul fol. 335 verso a dello
stesso codice (2). Invece, come la parte avuta dal maestro nella
festa e rappresentazione del Paradiso ci dimostra che al principio
(1) SoLMI, Leonardo, cit., p. 56. Lo stesso A. nelle note in fondo al volume, dove cita il foglio del Cod. Atl. secondo l’antica numerazione, adottata
dal RicHTER, aggiunge tuttavia: « Altri riferisce questo frammento al 1499. »
(op. cit., p. 228). Nei regesti vinciani pubblicati nella Raccolta Vinciana, fasc. 29,
PP. 35-36, i due passi a fol. 315 verso a e 335 verso a del Cod. Atl. sono elencati, dubitativamente, sotto l'anno 1490. li MALAGUZZI accetta anch’ egli, sotto
riserva (Bramante e Leonardo da Vinci, cit., p. 440) la stessa data, che non ritengo essere la vera. Cfr. MoLLER-WALDE, Fin mewes Dokument, etc., in Jahrbuch
cit., p. 107-118.
(2) Si può rilevare la concomitanza dei due fogli con certezza, oltre che da
considerazioni intrinseche, dalla perfetta somiglianza della scrittura minuta, e specialmente dal fatto, che il maestro ha disegnato, con l’identico stile e tratteggio, su
entrambe quelle pagine, le foglie d'una medesima pianta in due diverse posizioni.
Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc, III. 30
"
466 GEROLAMO CALVI
del 1490 l’artista si rendeva tuttavia accetto alla corte degli Sforza,
un altro indizio, in apparenza insignificante, sembra rivelarci come
Leonardo si ripromettesse di vincere finalmente la sua causa per
quanto riguardava le opere di fama, nelle quali riponeva i proprt
titoli di gloria: Il Beltrami, esaminando, a proposito di un libro
del prof. Baratta, i rebus di Leonardo, conservati nella raccolta
di Windsor, rileva che una di queste innocue ricreazioni, combi.
nata sulle parole: « infino a(c)questo tenpo non è fatto maj al.
« cuna opera ma io so che le presenti mi faccino trivnfare », ci
porta « a ravvisarvi un nesso colle condizioni in cui ebbe a tro-
« varsi Leonardo nei primi tempi del suo soggiorno alla Corte
a Sforzesca, alla quale si era annunciato colla famosa lettera elo-
« giante le svariate sue attitudini. Con quella frase » (prosegue lo
stesso autore) « Leonardo riconosce di non aver compiuto alcun
« che di notevole ma esprime la persuasione che i lavori in corso
« gli faranno buon nome. Il rebus quindi si spoglia del vano e
« superficiale suo interesse per costituire, non solo una intima ri-
« velazione dell’animo di Leonardo, ma una testimonianza di ac-
« corgimento dell’artista, in un momento difficile della vita. Le
« note lentezze di Leonardo nei lavori commessigli da Lodovico
« il Moro non dovettero tardare a suscitare diffidenze contro di
« lui. in tale condizione di cose non è lecito forse di pensare che
« l’artista, il quale non godeva certo di quella familiarità presso
« il Duca che noi siamo inclinati ad ammettere in considerazione
« del suo ingegno » (il Beltrami si accosta, ma in modo meno unilaterale, a quell’opinione, che ho condiviso solo a metà), « abbia
« veduto nell’ innocente passatempo dei rebus destinati ad allietare
« le serate della famiglia ducale il mezzo per richiamare l’atten-
« zione di Lodovico il Moro su di una frase che voleva essere
« giustificazione del proprio operato, e rinnovato impegno a cor-
« rispondere alla fiducia in lui riposta? » (1). Una considerazione
ci sembra venire, per il tempo, del quale ci occupiamo, a confermare la geniale supposizione del Beltrami. Mentre i fogli di Windsor, contenenti i singolari rebus di Leonardo, non portano, a quanto
pare, alcuna data, essi trovano tuttavia un disperso ma prezioso
termine di confronto in un appunto lasciato dal maestro sul fol. 76
verso a del Codice Atlantico, dove, appena oltrepassata la metà
(1) polifilo. I « rebus » di Leonardo, in Corriere della sera, 16 febbraio 1905.
i
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 467
della pagina, a destra, si legge la frase « molti ci gabano » e sotto
all’ultima parola si vede disegnato un gabbano (1). Qui abbiamo
dunque un piccolo saggio di rebus accompagnato dalla sua spiegazione, come negli esempî di Windsor, è, per una coincidenza fortunata, il foglio (capovolto) presenta la data a di 23 d'aprile 1490.
Questa data è molto interessante perchè è la stessa che si
ritrova nel ms. C, a fol 15 verso, come abbiamo già visto : « a dì.
« 23.d’aprile.1.4.9.0 chomjnciaj . questo . libro e richomjnciaj.
« il cavallo ». Di seguito a questa memoria troviamo nella stessa
pagina del ms. C ricordi di data posteriore, venendo sino all’aprile
del 1491, onde si potrebbe supporre che la data del 23 aprile 1490
si trovasse fissata in altra parte dello stesso codice, dalla quale il
Vinci la riportasse, e che forse quel foglio (76 a) dell’Atlantico,
che per il formato sembra corrispondere al nominato manoscritto
parigino, vi appartenesse originariamente. Ad ogni modo la coincidenza tra le due date e il piccolo rebus, come aggiungono peso
alia ipotesi del Beltrami, così rendono doppiamente interessante lo
studio di quella pagina del Codice Atlantico, se per avventura essa
serbi ancora qualche elemento significativo per le manifestazioni
‘dell’artista in quel punto della sua vita. Noi vi troviamo ancora
l'eco del desiderio di una gloria non peritura, col quale l’artista
lavora e pensa alle opere che rendono l’uomo indenne delle fatiche sopportate: « O dormjente . che chosa. è sonno Il sonno à
« (s)simjlitudine . cholla . morte. O perchè non faj.adunque tale
« opera che dopo la morte tu abi simjlitudine di perfetto viuo che
« ujuendo . farsi chol son[n]o simjle ai tristj mortj — ».
Sullo stesso foglio Leonardo biasima la vanità degli alchimisti:
« I bugiardi interpitrj di natura . affermano lo argiento viuo. es-
« sere . chomvne semenza . a(t)tutt} . i metallj. non si richordando
« che(l)la natura varia le semenze . sechondo la diuersità delle
« chose che essa vole produre al mondo »; respinge la critica
degli incompetenti : « Mal faj se laldi e pegio . (is) [se] tu riprendi
« la cosa quando bene tu nolla intendi ».
E tra sentenze, facezie (con un’allusione anche all’architetto
Giovanni Bataggio da Lodi) e ricette, ritroviamo su quel foglio il
(1) Evidentemente il significato era quello che è nell'uso moderno toscano:
« Sorta di mantello con maniche usato per lo più dai contadini ». GIORGINI, Novo
vocabolario della lingua italiana, II, Firenze, Cellini, 1877, p. 203.
LO ogle
468 GEROLAMO CALVI
formatore nelle sue operazioni in ordine al modello, od alla fusione delle artiglierie : « per richuocere . il giesso che [...] non si
« disfacia per gittare mettiuj dentro gromma di uasello (e) cruda
« cioè chom'ella . esscie det uasello e gittato che aj metti la forma
« i{n] molle e disfarassi ».
Verso la metà di giugno dello stesso anno 1490, Leonardo si
recava, come risulta da un documento (1), con Francesco di Giorgio,
a Pavia per le consulte sulla fabbrica del Duomo di questa città.
È possibile che, quando Francesco di Giorgio lasciava Pavia (dopo.
una dimora di pochissimi giorni), Leonardo (che pure aveva alloggiato alla stessa locanda, e poteva avere lo stesso motivo di ripartire, cioè quello di seguire nuovamente in Milano lo svolgimento della questione relativa al tiburio) vi si trattenesse invece -
con qualche discepolo, che poteva averlo seguito o raggiunto in
quella occasione. Tuttavia gli elementi, coi quali il Solmi (2), proponendo l’ ipotesi di un prolungato soggiorno dell’artista a Pavia,
procurava illustrarla, non sembrano doversi riferire all'anno 1490,
mentre il documento, che ne formerebbe la prova principale, deve
essere, come vedremo, ripreso in esame per una. rettifica ch'è, al
nostro proposito, decisiva. Le referenze del Solmi sono quasi tutte
tratte dal codice B, che difficilmente, come già ho osservato, si saprebbe ritenere scritto oltre il 1489. Ed è perfettamente ragionevole il credere che Leonardo avesse già visitato una o più volte
Pavia prima di tale anno. Un altro ricordo è quello citato a fol. 225
recto b del Codice Atlantico : « fa d'avere. vitolone ch’è nella li-
« breria di pauja che tratte [tratta] delle matematic[h]e », altra nota
che non riveste per sè carattere d'attualità rispetto al 1490 piuttosto che ad altri anni. Così le prime furfanterie di Giacomo possono essere accadute a Milano o a Pavia, indifferentemente. Non
v’ha dubbio che, a partire dal 26 gennaio del 1491, i tirì del piccolo mariuolo sono fatti in Milano; e se i precedenti avessero
(1) In MALASPINA DI Sannazzaro, Memorie storiche della fabbrica della cat
tedrale di Pavia, Milano, Pirotta, 1816, p. 10, riportato in UZiELLI, Ricerche, 2° ed.
cit., p. 122-123, e in MAJOCCHI, Giovanni Antonio Amadeo, Pavia, Fusi, 1903, p. 22.
Cfr. anche i documenti dell’ 8 e del 10 giugno 1490, pubblicati l’uno da E. MOTTA
in Bollettino stor. della Svizzera îtal., 1884, p. 19 e l’altro, che citiamo più avanti,
del MALAGUZZI.
(2) Leonardo, cit., pp. 53-55. E prima di lui I'UzieLtLI, Ricerche, 2 ed. cit,
pp. 128-129.
Go ogle i
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 469
avuto luogo nell’altra città minore, Leonardo avrebbe probabilmente notato una tale circostanza, come si ricorda-spesso di fare.
Riprendiamo ad ogni modo le mosse da questo divertente episodio, del quale si trova il riepilogo a fol. 15 verso del ms. C sotto
alle parole già citate, che fanno memoria dell’inizio dato al libro,
il 23 d’aprile del 1490, e ridato al cavallo, lo stesso giorno:
Jachomo vene a stare.cho[n] mecho ]Jl di della madalena (1) nel
mille 490.d’età d’anj Io
lì sechondo di li feci tagliare 2 dii uno paro di chalze e vn
gilu]bone e(c)quando mj posi i dinari allato per pagare dette chose
lu) mj rubò — (“ladro bugiardo ostinato ghiotto ,, scrive, in margine
a questo passo, leonardov ,) — detti dinari della scharsella e maj fu
possibile farliele chonfessare bench’io n’avessi vera cierteza lire 4
Il dì seguente anda) a ciena chon jachomo andrea (2) e detto iachomo.
cienò per 2 e fece male per 4 inperochè ru(/er)pe 3 amole versò il ujno
e dopo questo vene a ciena dove me
Ite[m] a di 7 di settenbre. rubò uno graffio di ualluta di 22 soldi a
marcho che staua cho mecho JI quale era (dî ua/uta di) d’argiento e(t)
tolseglielo del suo studiolo e poi che detto marcho (g/ielede) n’ebe assaj
cier[c]o lo tro(vò) naschosto (i)nella chassa di detto rachomo
ire] 1 s[oldi]
(3) item an. chona: a di 2 d'aprile \assciandi giannantonjo uno graffio
d'argiento sopra uno suo disegnjo esso iachomo gliele rubò il qual era
di ualuta di soldi 24 i[ire] 14 sfoldi] 4
Questo passo, che tosto avrò occasione di completare, oltre a
darci un curioso ragguaglio dei misfatti di Jacomo ed una prova
del paziente spirito del maestro, il quale, in casi di questo genere,
si limita, alla resa dei conti, a fare, come sembra, una nota dei danni
per chi ha da rispondere del ragazzo (4), e del resto non par
(1) 22 di luglio.
(2) Giacomo Andrea da Ferrara.
(3) Riproduco poco più sotto la parte, che ometto qui.
(4) Nella parte inferiore del foglio, una nota a matita, che sembra di spese
sostenute da Leonardo (tra le quali colpisce l'enorme consumo di scarpe), tende
a confermare tale supposizione:
Il primo anno
vwn mantello lire . 2
camjce 6 . lire 4
3 givbonj lire 6
4 . para di chalze lire 7 sfoldi] 8
vestito foderato li[re] 2
24 para di scarpe li{re] 6 s[oldi] 5
wna beretta li[re] I
an AAS n fain cinti string[h]e lire 1 ».
Go ogle
470 GEROLAMO CALVI
che pensi a disfarsi del poco promettente allievo, è prezioso per
le informazioni, che ci dà sopra la vita in comune del maestro e
dei discepoli. Noi veniamo così a sapere in modo positivo che un
gruppo di questi era intorno a lui nel 1490-91 (e i nomi di Marco
e di Gianantonio hanno fatto ritenere ovvio che si tratti di Marco
d’Oggiono e del Boltraffio): nel qual gruppo il più giovane si può
supporre fosse questo incorreggibile sackomo. A proposito del quale
ci è nato un dubbio, che non vogliamo lasciare di esporre, perchè
potrebbe, se confermato, rettificare i dati biografici d’uno degli
allievi o famigliari del Vinci. In una nota di manoscritto posteriore
(ms. L, fol. 94 recto), su pagina datata del 1497, sì legge (1): « Salai
« rubò li soldi n: quasi una postilla al conto, che ivi si trova, delle
spese fatte per la cappa del garzone, il quale, si direbbe, apprcfittò dell’ occasione per appropriarsi i denari. Quest’ appunto e la
pazienza vinciana, che neppure in questo secondo caso si stancò,
richiamano alla memoria le mariuolerie commesse, sette anni prima, dal decenne Jacomo, venuto a stare con Leonardo il dì della
Maddalena (il 22 luglio) del 1490; e il ravvicinamento desta il sospetto che anche in questi ricordi del 1490-91, e precisamente nel
piccolo Jacomo, possa ravvisarsi lo stesso Salai, quando si ammetta
un caso d’errore nel nome (Andrea) tradizionalmente attribuito a
questo allievo del Vinci, ma non contenuto, che io sappia, nè nei
mss. di Leonardo, nè nelle menzioni che sono fatte del Salai così
nel testamento di Leonardo, come nella procura del De Vilanis a
Francesco Melzi il 29 agosto 1519; nè nella biografia dell’Anonimo
magliabechiano, che ricorda lo stesso famigliare del maestro; nè nella
vita scritta dal Vasari. A dubitare sul nome di battesimo mi ha tratto
d’altra parte la coincidenza dell'indicazione del ms. C, ora citata,
col risultato di una ricerca del Caffi, apparsa nella quinta annata
di quest’ Archivio (2). Del Salaj, dice il Caffi, « il casato, la patria
« non erano noti fin qui. Ora, in due atti dell’archivio Notarile di
« Milano, ricevuti dal notaro Pasio Isolano quondam Gottardo nel-
(1) Cfr. Ravarsson-MoLLIEN, Les mss. de Léonard de Vinci, cit., v. Manutcrits G. L. et M. (Paris, Quantin, 1890), al fol. indicato. La frase citata, scritta
a matita, è a pena visibile nella riproduzione.
(2) Di alcuni maestri di arte nel secolo XV in Milano poce noti è male indicati, in Archivio storico lombardo, serie prima, anno V, 1878, cfr. p. 95 sg.
Go ogle z
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 471
« l’anno 1524, trovasi menzione di un domino Jacobo de’ Caprotti
« detto Salay, figlio di domino Giovanni Pietro abitante nel quar-
« tiere di Porta Vercellina, nella parrocchia di San Martino al
“« Corpo, che in quell’epoca era fuori delle mura di Milano. In quei
« dintorni aveva pure soggiornato il Vinci negli ultimi tempi della
« sua dimora a Milano, in quei dintorni era la vigna, o giardino
« che il duca Lodovico Maria Sforza aveva donato a Leonardo,
« ed entro cui Andrea Salai aveva edificato et constructa una casa,
« che poscia con metà della stessa vigna a lui medesimo veniva
« legata da Leonardo nel suo testamento. Non. potrebbe questa fa.
« miglia dei Caprotti essere quella medesima dell’Andrea Salajno
« la cui dimora era precisamente nello stesso confine di Porta Ver-
« cellina, nella stessa Parrocchia di San Martino al Corpo? Non
« avrebbe potuto il domino Jacobo dei Caprotti essere stato il padre
« di Andrea, il quale pare sia nato poco prima del 1500? ». A me
sembra che la domanda debba piuttosto farsi, come ho accennato,
riguardo al famigliare stesso di Leonardo. La qualifica di dominus
poteva coesistere con quella di magister (che d’altra parte non so
se spettasse proprio al Salai) e sostituirla, come qualche altro documento ci dimostra. Che il Salai ad ogni modo fosse nato
prima del 1490 e nel 1497 già famigliare di Leonardo, è provato
dal citato fol. 94 recto del ms. L. Ma, anche prima, è nominato due
volte nel ms. H (fol. 64 verso, datato 26 gennaio 1494, € 142 verso),
la seconda in modo da farci supporre ch'egli aiutasse già il maestro in determinati lavori. E allora, non sarebbe possibile e forse,
più ancora che possibile, probabile, che colui, che viene tradizionalmente chiamato Andrea, avesse invece il nome di (Gio.) Giacomo, che Leonardo pòteva avergli conservato nei primissimi
tempi, per chiamarlo poi sempre col soprannome di Salai ? Dei
documenti citati e in parte pubblicati dal Caffi non ho, in una
breve ricerca fatta nell’archivio Notarile (1) di Milano, allo scopo
di esaminare gli originali prima di licenziare quest’articolo, trovato,
sotto l’anno indicato (1524), la traccia; mentre colla data stessa del
10 marzo 1524, che il Caffi assegna ad uno dei due documenti da
lui prodotti, veniva alla luce un’altra scrittura del medesimo noL)
(1) Rendo vive grazie al signor dott. Arganini, conservatore, per le agevolezze concesse alla mia ricerca.
Go ogle
L
472 GEROLAMO CALVI
,
taio, concernente l'eredità di /o. Jacobus de caprotis dictus Salai;,
morto poco tempo innanzi: così che sembra di poter indurre essere incorso qualche errore negli elementi cronologici indicati dal
Caffi. Il nuovo documento (1), sul quale ha messo mano di primo
acchito l'esperto archivista, sig. Bonomini, a cui sono debitore di
ogni più cortese ed illuminata assistenza, mi offre l’opportunità
di portare qualche dato interessante nella questione sollevata
tanto tempo fa dal Caffi. Trascrivo la parte, che ritengo più
utile al nostro proposito, dell’atto 10 marzo 1524, col quale le
sorelle ed eredi del defunto Gian Giacomo de’ Caprotti detto Salai,
Angerina, vedova di Battista da Bergamo e Lorenzina, moglie di
Tomaso da Mapello, provvedono ad estinguere due debiti chirografarî lasciati dal fratello verso Battista Fontana detto il Fossa
(questo soprannome richiamerebbe l'autore di un poemetto sulla
calata di Carlo VIII, se ad identificare questo poeta non avessero
già concorso (2) autorevoli congetture) mediante la cessione a Bernardino Fontana, padre di detto Battista, di un credito, parimenti
lasciato dal Salai, verso i coniugi Battista Corte e Margherita
Pagani.
In nomine Domini anno a Natiuitate eiusdem millesimo quingentesimo xxI3° inditione x1 die Jouis decimo mensis marcij (3).
Cum alias nunc quondam dominus Jo. Jacobus de caprotis dictus
Salaij in vna parte muthuo habuerit a domino Baptista de fontana dicto
el fossa filio domini Bernardini schuta (4) quatraginta a sole et in alia
parte habuerit muthuo nt supra schuta septem auri et colanam vnam
auri ponderis schutorum decem et prout latius in bimis scriptis seu chi-
(1) L'imbreviatura si trova nella filza delle imbreviature del notaio Pasio
Isolano q. Gottardo, del periodo dal 4 marzo 1523 al 7 dicembre 1524. La prima
carta, per i guasti arrecati in passato dall'umidità a questa e ad altre scritture
della stessa filza, manca di qualche frammento delle prime righe.
(2) Cfr. questo Archivio, serie terza, XIII, 1900, pp. 128-135.
(3) Precede il segno del tabellionato e l’intestazione: @« Imbreviatura mei
« pasij ysolani filii quondam domini gotardi porte verceline paruchie sancte marie
« secrete Mediolani notarii publici ».
(4) Invece di muthuo habuerit (scritto sopra la linea) etc. sino a schuta, si
era prima scritto, come risulta dalle cancellature e dalle correzioni: se obligaverit
versus dominum Baptistam de fontana dictum el fossa pro summa schutorum, etc
=
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 473
rografis (1) factis per superscriptum Salaij . vnum videlicet sub die
xVIlJ° maij anni 1523 et aliud sub die quinto Septembris dicti anni proxime preteriti .
Cumque sit quod dictus Salaij (2) ex sclopeto nature concesserit et
decesserit ab intestato relictis dominabus angerina et lorenzina sororibus de caprotis sororibus su[is ......] (3) et heredibus equis portionibus[......](4) relicto inter cetera dicto onere dictorum chirogfrafcrum] nec non relicto inter cetera credito librarum trecentum viginti
quinque imperialium erga dominum franciscum de castillioneo et dominam margaritam de paganis [iugales] in solidum nec non contra dominum baptistam «e curte eorum iugalium [fideiussor em] prout consiat
instrumento obligationis desuper confecto et rogato per me notarium
infrascriptum anno etc. in eius hereditate et bonis.
Cumque dite sorores uti heredes ut supra instarentur a dicto domino Baptista nomine dicti patris sui et a dicto domino Bernardino (5)
pro satisfactione dictorum creditorum suorum ut supra et modum ipse
sorores (6) de presenti non haberent soluendi in pecunia numerata et
pro obuiando expensis precibus amicorum intervenientibus conventum
est fieri ut infra
Hine est quod suprascripta domina Lorenzina vxor legiptima thomasij de mapello et dicta domina angerina relicta quondam baptiste de,
pergamo ambe sorores de caprotis filiae quondam Jo. Petri et heredes (7) equis portionibus superscripti Salai] olim fratris sui prout dixeruut etc. ad petitionem etc. non recedendo etc. (8) ambe (9) porte
romane parochie Sancti Satari Mediolani (10) voluntarie etc. et omnibus
modo etc.
Cessionem et datum titulo et ex causa dati in solutum ad proprium etc.
Fecerunt et faciunt
(1) super cancellato. ,
(2) Qui lo scrittore trovò qualche difficoltà nell’ indicare la causa della morte
del Caprotti, dovuta, a quanto pare, ad una fucilata. Incominciò a scrivere dece;
poi cancellò e scrisse morte ...... decesserit: parole cancellate anch'esse e tra le
quali si trovava un’ altra parola, che, per essere stata soppressa da una più deliberata e fitta cancellatura, non mi è riuscito di leggere.
(3) Qui la éarta è lacera,
(4) Altra lacuna dovuta al guasto della carta.
(5) Le parole nomine dicti patris et a dicto domino Bernardino sono aggiunte
nell’interlineo e in calce.
(6) uti heredes ut supra cancellato.
(7) in solidum cancellato.
(8) videlicet dicta domina [o dicte domine) cancellato.
(9) Un piccolo tratto è lasciato vuoto nella linea.
(10) videlicet dicta domina [o dicte domine) cancellato.
474 GEROLAMO CALVI
dieto domino Bernardo (1) de fontana filio quondam domini Bel.
trami (2) porte cumane parochie sancte marie secrete mediolani ibi presenti stippulanti et acceptanti etc.
Possiamo dunque ricavare, dalla parte qui riportata dell’ imbreviatura del 10 marzo 1524, che Gio. Giacomo de’ Caprotti detto
Salatj era morto, per causa d’una fucilata (3), dopo il 5 di settembre del 1523 (anzi, come si vede dal documento che citiamo
qui appresso, dopo il 16 di novembre (4) dello stesso anno), senza
lasciare figli (il che non favorisce l’ ipotesi del Caffi, che Gio. Giacomo potesse essere padre di Andrea); e che, per conseguenza,
la sua eredità spettava ab intestato alle due sorelle di lui, maritata
l’una, vedova l’altra. |
Un altro istromento dello stesso notaio e della stessa « filza »,
trovato durante questa nostra ricerca, e anch’esso diverso da quelli
citati dal Caffi, contiene la vendita fatta, sotto la data del 16 novembre 1523, per il prezzo di lire millecento imperiali da Francesco
de Lomeno e da Camilla Visconti, jugales, a Duo Jo: Jacobo dicto
‘ Salaij de caprotis filio quondam Domini petri porte verceline parochie sancti martini ad corpus foris mediolant ibi presenti supplicanti
et recipienti ac ementi, di un sedime « siti et iacentis in porta ho-
« rientali parochie sancti Babille foris mediolani quod est cum suis
« hediffitijs apotecis cameris in terra et solario ac solarijs curijs
« duabusorto putheo necessario et alijs suis iuribus et pertinentiis ».
Tutti questi dati non discorderebbero (se non forse per il
(1) Corretto da Baptista.
(2) Corretto da Bernardini.
(3) Forse per un'imprudenza nel maneggio dell'arme O per un accidente di
caccia. Della quale (dato il caso che si tratti qui dell’allievo di Leonardo) il Salai
poteva avere avuto già prima occasione di djlettarsi. Infatti, dalle minute di lettera già ricordate a proposito dei rapporti del maestro col Magnifico Giuliano
de’ Medici appare che a Roma, in mezzo al gruppo dei collaboratori di Leonardo, c'era chi (il tedesco, del quale il Vinci si Jagna con Giuliano) « se n’an-
« dava in compagnia cholli scopietti amazando vcciellj per queste anticaglie ».
Cod. Atl., fol. 247 verso bd.
(4) Da una prima e rapida scorsa, data, sul punto di licenziare le bozze di
questo articolo, al Necrologio milanese presso l’ ASM, per il periodo accennato,
non mi risulterebbe che la morte del Caprotti vi sia ricordata: forse egli mori
fuori di Milano o si omise di registrare il decesso (cfr. MottA in quest' Archivio,
serie seconda, VIII, 1891, p. 253).
ua
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 475
prenome Giovanni, che Leonardo non suole in altri casi omettere e
che non appare premesso alla menzione di Jacomo; e per le condi.
zioni finanziarie del Caprotti (1) anche più floride di quel che avremmo potuto supporre) da quelli, ché ci sono forniti dai ricordi manoscritti di Leonardo. Come già ha osservato il Caffi, egli è della
stessa porta e della stessa parrocchia, dov’era naturale che il Salai
risedesse per effetto delle disposizioni, che a suo favore aveva lasciato
il Vinci. E lo stabile che Gian Giacomo Caprotti acquista, come s'è
veduto, nel 1523, si trova in un quartiere ed in una parrocchia, che il
famigliare di Leonardo dovette abitare col maestro nel 1508. È particolarmente interessante notare come dall’atto del 10 marzo 1524
risulti che il Caprotti era l'unico fratello delle nominate Angerina
e Lorenziraa, e che queste si erano maritate, così che, ove la nostra
ipotesi avesse colpito nel segno, e l’autore delle mariuolerie commesse a dieci anni nel 1490-91 fosse una persona sola col Salai,
che nell’ottobre del 1508 si faceva prestare da Leonardo tredici
scudi « per compiere la dota alla sorella » (2), sarebbe stato natu-
—_———— ————— y
(1) Giova tuttavia ricordare che gli appunti vinciani ci mostrano ripetutamente il Salai come cassiere di Leonardo per le spese giornaliere; e che, data
l'indulgente larghezza del Vinci, è a credere che, nei reciproci rapporti d'affari,
chi guadagnasse fosse sempre l'allievo. In un giorno di riscossione, appena il ‘
maestro ha intascato trenta scudi, gliene sono chiesti tredici dal Salai « per
« compiere la dota alla sorella », e Leonardo li presta, ma, edotto dall’esperienza,
esce in questa catena di aforismi:
€ non pr[e]stauis bis
« si prestauis non atebis
« sì abebis non tam cito
« si tam cito non tam bona
« e si tam bonum perdas amicum »
(Ms. F, recto della coperta; RavaISssoNn-MOLLIEN, Les manuscrits etc., cit., vol. IV).
E allo stesso Salai Leonardo concedeva di edificare una casa propria nella sua
vigna: il che era come consentirgli una presa di possesso anticipata delle otto .
pertiche, ch'egli doveva poi lasciargli in eredità.
(2) Ms. F, 1. cit. nella nota precedente. E’ noto che Leonardo si trovava,
nell'autunno del 1508, in Milano: e, in particolare, per l'ottobre dello stesso
anno, ciò risulta dai documenti scoperti dal MoTTA, dei quali ha dato un primo cenno il BELTRAMI in Rassegna d'Arte, XV, 1915, pp. 97-I01, circa la risoluzione della vertenza per la Vergine delle Roccie. Da essi risulta pure ehe Leonardo abitava allora, come si è detto, nel quartiere di porta orientale, in parrocchia di S. Babila.
476 GEROLAMO CALVI
rale ch’egli, allora di ventotto anni, avesse una sorella da marito
e dovesse occuparsi di accasarla se già il padre era morto.
Una falsa attribuzione del nome di Andrea potrebbe spiegarsi
per uno scambio col Solari ed aver preso radice in tempi, nei
quali si guardava poco pel sottile in fatto di storia e di critica dell’arte (1), La confusione era resa facile da affinità fonetiche: e, anche soltanto nell’aprire qualche recente dizionario biografico degli
artisti (2), si vede come la transizione potesse avvenire. Del pari
poteva contribuire ad un equivoco sul nome una erronea illazione
della lettura di una firma, come quella di Andreas Mediolanensis,
che sì trova su un dipinto della Galleria di Brera, assegnato al
Solari non senza essere stato attribuito (:3) anche al Salaino (4).
Ed ora, dopo la lunga digressione, alla quale ha dato appiglio l
nome del protagonista, completiamo il racconto vinciano dei misfatti di Iacomo, per riprendere il filo dell’indagine principale:
Item a dì 26 di gienaro . seguente [1491] esendo io in chasa di messer
galeazo da(s)sanseuerino a [o]rdinare la testa della sua giostra e spugliandosi cierti staffieri per prouarsi alchune veste d’omjnj saluatichi
ch'a detta festa achadeano. Jiachomo s’achostò alla(s)scharsella d'uno di
loro la qual era in sul letto chon altri panvj e tolse quelli dinari che
dentro vì truvò lire 2 s[oldi] 4
pr
(1) In epoca tuttavia relativamente antica: "‘l’equivoco, se tale fu, si era già
prodotto prima della fine del secolo XVI; poichè il MoriGIA nella sua Nobiltà
di Milano, edita nel 1595, libro V, cap. I, p. 277, nomina Andrea Salaino, presentandolo .confusamente come « dis:epolo dell’immortal Sesto ». Invece il
Lomazzo nel suo Trattato, edito nel 1584, al libro VI, cap. L, p. 437; lo chiama
ancora semplicemente Salai.
(2) Cfr. SinGER, Aligemeines Kinstler-Lexicon, 33 ediz., IV, Frankfurt a. M.,
Rùtten e Loening, 1901, p. 1 s2: « Salaino (Salai, Salario) Andrea, Maler des
« 16 Jahrhunderts...... ».
(3) Nel NacLER, Aligemeines Kiunstler- Lexicon, XVI, Linz, 1910, p. 63, lo
si ascrive ancora al Salaino, pure aggiungendosi che sotto il nome di Andreas
Mediolanensis poteva pure intendersi il Solari; e lo stesso dizionario, nei cenni
biografici dedicati al Solari, op. cit., XIX, Linz 1912, p. s1, dice ch'egli viene,
come discepolo di Leonardo, scambiato spesso con Andrea Salai o Salaino.
(4) Un’alira ipotesi concernente il Salai si troverà in E. MunTZ, Recherches
sur Andrea Salaino, élève de Léonard de Vinci in Courrier de l'art, 1889 (21 giugno)
n. 25. Cfr. (Ravarsson-MOLLIEN) lo stesso periodico, n. 27 (5 luglio) e il Bulletin
de la Société Nationale des antiquaires, 1889, stance du 28 juin, p. 206; cfr. anche
l’ Archivio storico dell’ Arte, II, 1889, p. 264.
Go ogle n
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 4771
Item essendomj da maestro agostino da pauja donato in detta chasa
una pelle turchesca da fare uno paro di stiualettj. esso iachomo infra
uno mese me la rubò e vendella a un aconciatore di scarpé per 20 soldi
de’ qua[li] dinari sechondo che luj propio mj chonfessò ne chonprò
anjci chonfettj lire 2 (1)
Nom v’ ha dubbio che allora, come apparirà anche meglio dal
commento a questo testo, il Vinci si trovava a Milano. Vi era egli,
come altri pittori, richiamato da Pavia per attendere ai preparativi
delle feste destinate a solennizzare le duplici nozze Sforza-Este?
. Il Moro, nell’imminenza degli sponsali, disponeva che fosse decorata a îsforîe la gran sala della Balîa nel castello di Milano e ordinava ai referendarî e podestà di varie città del ducato d'’ indirizzare ad Ambrogio Ferrari i pittori atti a tale opera, che si trovavano allora nelle rispettive loro circoscrizioni (2). Nel documento,
che contiene tali ordini, furono letti i nomi dei pittori Magistro
Augustino et Magsstro Leonardo, alterandosi (crediamo, per una
svista del Casati) la lezione vera, ch'è: Magistro Augustino de
Magisiro Leunardo. Il confronto paleografico non lascia dubbio:
si deve leggere de e non ef. Così che non si può affermare, in
base a questo documento, che il Vinci (come fu ripetuto più volte)
“fosse allora tra i chiamati. Potrebbe darsi che il citato magisiro
Augustino facesse parte dell’entourage di Leonardo (e tanto più
perchè è ovvio ritenerlo una stessa persona col maestro agostino
da pauja nominato dal Vinci nel frammento riportato da ultimo), e
che il referendario di Pavia .fosse incaricato di andare appunto a
cercare presso il Vinci detto pittore; ma l’'interpretazione logica
del documento condurrebbe piuttosto, una volta corretta la lettura,
a ritenere che Agostino fosse figlio o compagno od aiuto di un
locale maestro Leonardo, distinto dal Vinci. E, pure attenendosi
alla lezione erronea (sovrappostasi a quella retta, se non assolutamente precisa, data già nelle Notigte di G. L. Calvi (3) ed. alla
——___———__—_ rr. -—
(1) Ms. C, fol. 15 verso cit.; Ravarsson-MoLLiLN, op. cit., vo]. II.
(2) ASM, Missive, Reg. 181, fol. 244 recto - 245 recto. Cfr. GeroLamo Ltici
CaLvi, Notizie cit, parte seconda, Milano, Agnelli, 1865, p. 242, nota; C. CASATI,
Vicende edilizie del Castello di Milano, Milano, Brigola, 1876 (v. il doc. LXVI a
p. 104); L. BsLtRAMI, Il Castello di Milano, 2° ediz. cit., pp. 453-454.
(3) Il Cacvi, cfr. Notizie, vol. e p. cit., aveva letto: « Maestro Augustino
« del maestro Leonardo ».
CO ogle
478 GEROLAMO CALVI
trascrizione del Porro (1), che aveva reso fedelmente questo passo),
il Malaguzzi (2) ha fatto bene a richiamare l’attenzione dello studioso su qualche altro artista minore, in particolare su Leonardo
Vidolenghi (3). Senonchè 1’ essersi messo sulla buona strada, col.
l’ escludere, come già fece il Muller -Walde (4), che si trattasse qui
di una chiamata del Vinci a Milano, è stato forse la causa d’'indurlo ad affermazioni, ch'egli avrebbe altrimenti vagliato con maggiore attenzione ed oculatezza. Egli passa infatti senz'altro ad
escludere (5) che il nome di Leonardo figurasse nelle feste per le
nozze sforzesche e considera come indipendente da esse e -dovuta
ad un’altra occasione la giostra di Galeazzo Sanseverino, che appare invece compresa nel programma delle pompe nuziali. Nel
precedente volume sulla corte sforzesca (a proposito del quale sarei
tentato di notare che l’autore, posto tra la volubile abbondanza
della materia variamente raccolta e la sobria severità di metodo
e di tono, che la critica storica si sforza di raggiungere, non ha
sempre avuto il coraggio o forse, per le tiranniche esigenze editoriali, il tempo di sacrificare quella a questa) il Malaguzzi (6) era
(1) G. Porro, Nozze di Beatrice d’Este e di Anna Sforza in questo Archivio,
serie prima, IX, 1882, p. 498. L*errore sopravvenuto nelle successive pubblicazioni del documento, per parte del CAsATI, ecc., è stato già corretto dal MùLLERWALDE, cfr. Ein neues Dokument, etc., in Jabrbuch cit., p. 106, e dal SEMLITZ,
Leonardo da Vinci cit., I, 146 e nota 7 a p. 405.
(2) Bramante e Leonardo da Vinci cit., p. 475.
(3) Nella raccolta del Palazzo Bianco in Genova si trova o certo si trovava
(Sala VI, n. 21) un dipinto, del quale lo JACOBSEN dava il seguente cenno: « Fra
« i quadri più antichi noterò: 21. Una Madonna sul trono, circondata da parecchi
« santi, attribuita .a un Leonardo da Pavia. Nel quattrocento Genova ricorreva
« spesso ad artisti di Pavia. Questo quadro è firmato: LEONARDO DE PAPIA, €
« porta una data confusa: MccccLXvI secondo Federico Alizeri, che ricorda questo
« dipinto nella sua grande opera: Notizie dei professori del disegno in Liguria
« [Genova, 1870, I, 261] »; EMiL JACOBSEN, Le gallerie Brignole - Sale De Ferrari
în Genova, in Archivio storico dell’ Arte, serie seconda, anno Il, 1896, p. 124. Dev’essere questo il dipinto, del quale altrove (Maestri minori lombardi, in Rassegna
d’Arte, 1905, p. 89), sulle orme del MaroccHi, fa cenno il MaLaGuzzi, aggiungendo di non averlo potuto rintracciare. Cfr. anche VENTURI, Storia dell’arte
italiana, vol. VII, parte IV, p. 1093.
(4) Ein neues Dokument etc. in Jahrbuch cit., p. 106.
(5) Op. cit., p. 475-
(6) La vita privata e l’arte, ecc., cit., p. 42. Ivi, a p. 558, si parla invece
del Sanseverino e di Leonardo.
—
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI, 479
passato accanto ai documenti, che ci permettono d’identificare la
giostra di Galeazzo da Sanseverino col torneo, che servì ad ornare
le nuptiae mediolanensium et extensium principum, ma, toccandone
di sfuggita, aveva scambiato il protagonista, cioè il Sanseverino, col
duca Galeazzo; e non pensò poi a riprendere l’ esame delle stesse
fonti (che non furono del resto, ch'io sappia, sin qui adoperate a
provare e ad illustrare l’intervento di Leonardo nelle feste sforzesche del gennaio 1491) per farle servire da commento al passo
vinciano testè riportato.
Se noi consideriamo i particolari, che Leonardo ci fornisce
circa l’allestimento della giostra del Sanseverino, che prendeva
così una parte primaria (1) alle feste preparate per l’occasione delle
nuove nozze sforzesche, troviamo che il breve appunto di Leonardo
corrisponde perfettamente ai ricordi e alle -descrizioni del tempo.
Il Vinci accenna, come si è visto, ai costumi indossati dagli staffieri: « a di 26 di gienaro seguente [1491] esendo io in chasa di
« meser galeazo da(s)sanseuerino a [o]rdinare la festa della sua
giostra e spogliandosi cierti staffieri per prouarsi alchune veste
« d’omjnj saluatichi ch'a detta festa achadeano » ..... « Lo Il], mo
« M: Galeazo » dice un elenco descrittivo dei partecipanti al torneo,
elenco datato appunto « 1491 26 Januarii Mediolani », « con X
« stapheri vestiti in homini salvatici altretanti trombeti vestiti
« a medesma fogia a cavallo sopra cavalli salvatici: la sua S.ra
« sopra uno cavallo salvatico; sopra l'elmo uno animale, serpente del mezo indreto et una testa con due corna » (2). Una descrizione abbastanza ricca della giostra (3), per la parte promi-
(1) Come già aveva supposto l’ UzieLLI, Ricerche ecc., 22 ed., cit., p. 136.
(2) G. Porro, Nozze ecc., cit., in Archivio storico lomb., vol. cit., p. 530.
(3) Dell'importanza della giostra, a veder la quale si dicono convenuti innumerabili forestieri; dei premi di broccato d’oro assegnati dal duca e vinti, il
primo « da M. Galeazo nostro [il Sanseverino] como quello che de virtute et
« fortuna ha preceduti tutti queli quali hanno meritato laude in el correre de
« la giostra », e il secondo, in parti uguali, da Mariolo Guiscardo « camerero
« et alevo » di Lodovico il Moro, e da « Iacomo similiter alevo de M. Galeazzo »,
dà notizia una partecipazione senza firma, ma evidentemente di fonte sforzesca,
al cardinale Visconti, oratore presso il sommo Pontefice, e, în simili forma (una -
aggiunta è fatta per l’oratore bolognese) disposta per essere comunicata agli altri
legati presso le diverse Signorie italiane; pubblicata da Giulio Porro nel vol. cit.
di questo Archivio, pp. 521-523. Cfr., in ordine a queste feste anche F. Cavi,
Il Castello Visconteo-Sforzesco, 2* ediz., Milano, Vallardi, 1894, pp. 82-86.
480 GEROLAMO CALVI
nente che vi ebbe il Sanseverino, è data da Tristano Calco, nella
sua ornata relazione delle nozze allora celebrate:
Sed Galeacius frater, Gentis columen & Ludouici gener noua
specie hominum in se oculos auertit. Monstrosus primo equus erat,
squamis aureis contectus: quas etiam pictor pauoninis veluti oculis
illuminauerat. Ex ijs, qua dehiscebant, rari hirtique enascebantur pili,
atque horridiores fera. Caput auro penitus flauum, toruum alioquin,
& cornibus sursum intortis emicans. Par sella ornamentum, & pectori
brachijsque Viri circumdabatur. Cuius ab capite serpens alatus prodibat, cauda pedibusque terga Equitis complectens. Clypeo barbata
facies auro lita micabat. Sic incedentem comites promissA barbA sequebantur, varijs setarum globis sparsim per equorum membra agglutinatis.
Nam reliquo amictu simillimi syluestribus incultissimisque barbaris videbantur; vt confestim nobis Scytharum memoriam subiecerint, & eorum
quos nunc vulgo Tartaros vocant. Verum nuncius ad Principem accedens, primo externa, mox ceu interpres Itala linguA loquutus, filium esse
docuit Indorum Regis: qui domitis Nationibus maximis, Occîduum Orbem
petere cupijsset, cum virtutis extendenda gratia, tum vt eas terras
inuiseret, in quibus proximo Anno louenm descendisse cum caeteris Numinibus intellexerat. Allusit videlicet ad id, quod superiori hyeme
maxima celebritate & sumptu actum est, cum hemispherali machine,
ferreis circis concinnatae, crebris lampadibus suspensis, septemque pueris,
qui ceu Planetae largius radiarent, atque loue medio throno inter assidentes Deos eminente, voluentis est Caeli reddita imago (1). Atque inter
hos cogitatus apparuisse mercatorem ait, qui inde e media Europa profectus
videretur; quo veluti optimo via duce oblato iter ingressus aduenerit,
& Dei Numen veneraturus, & preaesentî ludicro (si tam longiquo aduena
liceat) eiusdem in honorem pugnaturus. Laudata est oratio, vt rei temporique accomodatissima. Nam, vt caeteris etiam rebus sibi fabula apte
congrueret, nodosos inforinesque truncos manibus gestabant, & decem
tubicines argutioribus lituis exoticum nescio quid insonabant, tum caprinae pelli insertis fistulis pro vtre vtebantur (2).
Nel frammento riportato dal Calco troviamo non solamente
descritti gli « omini salvatichi », che fanno parte della festa allestita da Leonardo per la giostra del Sanseverino, ma ‘anche un
MONSÉrOSus ..,equus...Squamis aureis conteclus: quas etiam picior
(1) Abbiamo qui un'interessante reminiscenza della festa del Paradiso; v.
supra p. 28, nota. .
(2) TristANI Charci MepioLaNENSIS Nvptiae Mediolanensium et Estensium
Principum scilicet Ludouici Maria cum Beatrice, Alphonsi cum Anna, Ludouici
nepte, in Residva cit. (Mediolani MDCXLIV), pp. 94-95.
GO ogle =
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 431
+pauoninis veluti oculis illuminauerat. E che il pictor fosse stato,
anche per questi particolari, Leonardo, sembra potersi desumere
da un’altra pagina vinciana, che (non avendola sin qui riscontrata
sull’originale, nè avendone una riproduzione fotografica) trascrivo
(attenendomi alle note diplomatiche) dall’utile, ma non sempre fedelissima opera del Richter (1). Il frammento è estratto dal manoscritto posseduto dal British Museum (fol. 250 recto):
Sopra dell’elmo fia una, meza . palla la quale à(s)significhatione .
dello . nosstro emissperio in forma di mondo sopra il quale fia uno
paone cholla choda disstesa che (2) passi la groppa richamente ornato
e ogni ornamento che al cavallo s’apartiene sia di pene di paone in
chanpo d’oro a(s)significhatione dalla belleza che risulta della gratia che
viene da(c)quello che (3) ben serue
Nello schudo uno spechio grande a(s)significare che chi ben uol
fauore si specchi nelle sue virtù
Dall’oposita parte fia similmente chollochata la forteza cholla sua
cholona in mano vestita di biancho che significha...,
E tutti coronate e la prudentia chon 3 occhi la sopraveste . del chavallo fia di senplice oro tessuto seminata di(s)spessi ochi di pagoni
e(c)questo s'intende per tutta la sopravesste ‘del chavallo . e dell’omo
e "l suo torchione di pene d’oro di paon.in chianpo d’oro
Dal lato . sinistro fia vna rota il cientro della quale fia cholochata
al cientro della coscia dirieto del chauallo (4) .......
(1) The literary works of Leonardo da Vinci, 1, London, Sampson Low,
1833, $ 674.
(2) chi, secondo la nota diplomatica del RICHTER.
(3) chi, RICHTER, c. s.
(4) Ometto le ultime righe del frammento vinciano, perchè la trascriz. dipl.
del RICHTER si presenta oscura e malcerta, nè voglio integrarla arbitrariamente.
E’ da notarsi che, di seguito al testo riportato, e dalla medesima pagina del ms.
British Museum il RICHTER trascrive quest’appunto vinciano: « Messer Antonio
« gri venetiano chonpagno d'Antonio Maria ». Se, come sembra, le note relative
agli emblemi da parata riguardano la giostra del Sanseverino, e l’altro breve
appunto ora citato rimonta allo ste:so tempo, sarebbe difficile ammettere l’interpretazione, che il SOLNI diede di tale pagina in questo Archivio, serie quarta, X,
1908, p. 330, e che già per sè, forse, eccedeva un poco gli elementi in essa
contenuti (il nome del Grimani, benchè già il RICHTER nel testo e in una sua
nota al 1. c. lo abbia dato per certo, non pare potersi indurre a sufficienza dalla
prima sillaba, che si trova nel ms.) e da lui, com'era suo costume, vivacemente
interpretati.
Arch Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. III. 31
LO ogle
482 GEROLAMO CALVI
Questa giostra (1), che durò tre giorni, all'ultimo dei quali il
Sanseverino si presentò, in altre spoglie (2), a ricevere il più onorevole premio, era stata preceduta da altre pompe narrate dal
Calco. |
Così gli stessi contemporanei si fossero occupati di tramandarci qualche diffusa notizia dell’ attività che Leonardo dedicava,
durante quei medesimi anni, ad arti meno effimere! Nel 1493, allorquando nuovi sponsali, quelli di Bianca Maria, rallegrano la
corte sforzesca, l'attesa e la fama del colosso equestre si fanno
più vive. Ma le fonti sincrone, alle quali si è attinto, non sembrano
giustificare la conclusione, che ne fu tratta circa l’esposizione, che
sarebbe allora stata fatta, del gran modello.
Non mi lascio indurre a riandare qui la serie dei disegni vinciani in ordine all’ intricata questione della loro tripartizione fra i
due stadî del lavoro di Leonardo per la statua di Francesco Sforza,
e il terzo progetto di un monumento al Trivulzio. Mi basti accennare che, secondo ogni probabilità, Leonardo, nel rimettersi al lavoro dopo la minacciata sostituzione del 1489, si trovò presto
condotto a prescegliere alla figura del destriero impennato quella
del cavallo in un movimento di trotto o di passo vivace; decisione
sulla quale sembra fosse venuta ad influire anche qualche considerazione sull’antica statua del Regisole in Pavia (3).
Il lavoro di Leonardo, assistito da qualche aiutante, dovette
(1) Il citato documento pubblicato dal PORRO a pp. 529-532 del vol. IX di
questo Archivio, contiene, oltre al nome di Sanseverino, quello di molti altri
giostranti, e ne riferisce i costumi, e gli emblemi degli elmi, anch'essi interes»
santi per noi, perchè ci offrono esempî della ricca elaborazione degli elementi
che entravano a comporli, quale può apparire anche in appunti e schizzi leonardeschi per imprese.
(2) Cfr., oltre al cit. doc. pubblicato dal Porro, TRISTANO CaLco, Residua
cit., pp. 96-97.
(3) P. MaùLLeR-WALDE, Beitràge zur Kenntniss des Leonardo da Vinci, VI.
Leonardo da Vinci und die antike Statue des Regisole etc., in Jahbrbuch cit., XX,
1899, p. 81 sgg. L’appunto vinciano, che si riferisce alla statua di Pavia (Cod. Atl.,
fol. 145 recto a) non è, per quanto possiamo giudicarne noi, posteriore al 1500,
ma piuttosto di parecchi anni anteriore, e la serie dei disegni, che richiamano il
Regisole o per lo meno presentano il cavallo in posizicne analoga a quella statua
(tutti ascritti dal MuLLER-WALDE al monumento trivulziano, al quale Leonardo
avrebbe atteso, secondo lo stesso autore, verso il 1506) dovrebbe sempre, in gran
parte almeno, considerarsi connessa col compito del colosso sforzesco.
Goo gle l
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 483
procedere anche negli anni successivi al 1490. Dal Vasari (1) (del
quale riferiamo questo passo con la riserva che deve accompagnare le notizie vasariane, se non vengono confermate da prove dirette; ma anche cen interesse, poichè non sembra che i biografi di
Leonardo vi abbiano posto molta attenzione) apprendiamo come
Lorenzo de’ Medici, che non risulta aver fornito a Lodovico il
Moro uno scultore, in sostituzione od in concorrenza di Leonardo,
per l'esecuzione del colosso, avesse invece mandato a Milano,
nel 1492 (2) un architetto, Giuliano da San Gallo, « acciocchè
« gli facesse un palazzo per lui » (3). « Perchè, presentando
« egli il modello per parte del Magnifico Lorenzo, riempiè quel
« Duca di stupore e di meraviglia nel vedere in esso l’ ordine
« e la distribuzione di tanti belli ornamenti, e con arte tutti e con
« leggiadria accomodati ne’ luoghi loro; il che fu cagione che pro-
« cacciate tutte le cose a ciò necessarie, sì cominciasse a metterlo
« in opera. Nella medesima città furono insieme Giuliano e Leo-
« nardo da Vinci che lavorava col Duca, e parlando esso Leonardo
« del getto che far voleva del suo cavallo, n’ebbe bonissimi docu-
« menti, la quale opera fu messa in pezzi per la venuta de’ Fran-
« cesi; e così il cavallo non si finì, nè ancora si potè finire il
« palazzo ». È probabile (4) che il Vinci nel 1492 e nel1493 rivolgesse particolare attenzione alle modalità del getto; ma possiamo
ritenere che il modello si trovasse pronto prima della fine del 1493?
Il Codice Atlantico, a fol. 216 verso a, ci offre un disegno della
forma (5) chiusa entro un’armatura, come per indicare il modo
(1)Vita di Giuliano e Antonio da San Gallo in Vite, ed. cit., VII, 315-316.
(2) Cfr. C. von Fagriczy [Recensione di | Gustave CLausse, Les Sangallo, etc.,
in Repertorium far Kunstwissenschaft, 1904, p. 76.
(3) Deve intendersi, per Lodovico il Moro (cfr. FABRICZY, art. cit.).
(4)- Cfr. Jahrbuch cit., p. 86.
(5) Il cavallo vi è rappresentato al passo e collo zoccolo levato poggiante
sull’orcio che si rovescia. Quest'ultimo particolare non è stato forse osservato abbastanza attentamente dal MaLaGuzzi nella sua analisi e distribuzione dei disegni
vinciani. Il cavallo da lui riprodotto colla fig. 495 2 p. 441 del vol. già più volte
citato su Bramante e Leonardo, non poggia « le due zampe alzate su due aggetti,
« forse due cimieri, posti in terra » (op. cit. p. 454), ma presenta invece, per
questi due dettagli, gli stessi motivi dell’anfora che si rovescia e della tartaruga
(richiamante l’esempio dato già dal Verrocchio nella tomba di Piero de’ Medici
in San Lorenzo), che si trovano in un altro disegno, pure riprodotto dal MaLAGUZZI
nella metà sinistra inferiore dell’ill. $11, a p. 457 dell’op. cit.
484 GEROLAMO CALVI
del suo trasporto. Dobbiamo in tale disegno ravvisare l’opera così
assicurata per esser condotta dalla Corte vecchia, dove l’artista vi
attendeva, al Castello, ove si sarebbe elevata alla vista del pubblico nell'occasione delle nozze di Bianca Maria Sforza Visconti ?
La nuova solennità sforzesca, preparata anche questa volta di
lunga mano da Lodovico il Moro, che tra i mezzi adoperati a
cattivarsi l’animo del rc dei romani sceglieva, a quanto pare, anche l’invio di una pittura di Leonardo, una tavola d’altare, della
quale ha dato notizia il primo biografo del Vinci (1), si celebrava
(il matrimonio contraendosi, da parte dell’imperatore, per procura)
in Milano, ai 30 novembre del 1493 (2). Pietro Lazzaroni, uno dei
poeti, che s’incaricarono di cantare l’avvenimento, ricorda l’esposizione dell’ effigie equestre di Francesco Sforza:
Fronte stabat prima quem totus noverat orbis
Sfortia Franciscus Ligurum dominator et alta
Insubria portatus equo (3).
La supposizione che il poeta intendesse qui alludere al modello
eseguito da Leonardo parrebbe legittima, e come tale è stata ac:
cettata da quasi tutti (4) gli scrittori. Si può tuttavia dubitare che
essa corrisponda veramente alla realtà o per lo meno che la prova
sia stata raggiunta. Una lettera, che ad Isabella d’ Este mandava
la sorella Beatrice per descriverle l’apparato ch’era stato fatto in
onore del matrimonio di Bianca Maria, offre il seguente particolare: « In l’entrare de la giesia [cattedrale] se vedeva l’una et
« l’altra banda coperta de paramento de brochato fin apresso a la
—_—i > ae -
(1) Cfr. C. pe FaBRICZY, I! libro di Antonio Billi in Archivio storico italiuno,
V serie, t. VII, 1891, p. 331. L'AnoNIMO GaDDpIanO, v. Arch. stor. ital., V serie,
t. XII, 1893, p. 89, riportò la notizia; ed il Vasari, nella Vita di Leonardo, la dà
a sua volta, dicendo che la pittura rappresentava una Natività.
(2) Cfr. F. Cauvi, Bianca Maria Sforza-Visconti e gli ambasciatori di Lodovico il Moro alla corte cesarea, Milano, Vallardi, 1888; L. BeLTRAMI, Gh sponsali di Bianca Maria Sforza Visconti, in Emporium, 1896, pp. 83-95.
(3) Pietro Ì AzzaRONI, De nupliis Imperatoriae Majestatis . Anno 1493. Mediolani apud Zarotum 1494.
(4) Fanno eccezione il MùLLER- WALDE, Fin nenes Dokument etc., in Jabrbuch
cit., pp. 106-107, il quale afferma che in questo caso, come nelle altre solennità
sforzesche, si trattava di un'imagine dipinta dal duca Francesco, la quale faceva
parte del bagaglio sforzesco; e il SerpLiTz, Leonardo da Vinci cit., I, p. 149 e 182.
Go ogle È
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 485
eminentia del choro, inante al quale era fabricato uno arco triun-
« fale sopra colomne grande quale era tutto depincto et haveva nel
« fronte la effigie de lo Illmo S.re quondam Duca Francesco a cavallo cum el ducale de sopra et Parma del Ser.mo Re dei Romaui
de sopra. Questo arco triumphale, facto in quadro, haveva or-
« namento de picture facte de feste antique » etc. (1), L’imagine
del duca Francesco in pittura (2) ricompariva in tutte le solennità
sforzesche (3), così come le storie decorative che l’accompagnavano, e forse questa volta s’era messo tale apparato in nuova forma
e in maggior rilievo, ma probabilmente non s’era ancora potuto offrire di più: e non sembra perciò doversi vedere nei versi del
Lazzaroni che quanto è descritto da Beatrice d’Este nella sua let.
tera. Di più bisogna osservare che il Taccone, altro poeta di quelle
nozze, s'esprime, nel parlare della statua affidata a Leonardo, un
po' diversamente nei noti versi:
Vedi che in corte fa far di metalio
per memoria dil padre un gran colosso
i credo fermamente e senza fallo
che gretia e Roma mai vide el più grosso
guarde pur come è bello quel cavallo
Leonardo uinci a farlo sol s'è mosso.
statura bon pictore e bon geometra
un tanto ingegno rar dal ciel s' impetra
(1) II do:umento (datato da Vigevano, il 28 dicembre del 1493) è stato pubblicato da Luzio e RENIER in questo Archivio, XVII, 1890, p. 384. Il corsivo
è mio.
(2) Probabilmente al dipinto si era impresso Il carattere monumentale.
(3) Cfr. anche, per le nozze di Gian Galeazzo, l’op. cit. di SteFANO Dorcino,
fol. 11 verso; e per gli sponsali Sforza-Este (nella qual circostanza può credersi
che gli apparati siano stati fatti di nuovo, col concorso dei pittori allora chiamati a Milano) uno dei documenti pubblicati dal PorRO nel cit. vol. di questo
Archivio, IX, 1882, 520-521: .... « la sala grande de la balla è stata preparata
ad questo uso {cioè per la e festa delle donne », del 24 genn. 1491] cum ornamenti: l’uno nel sufficto ornato di stelle d’oro in campo azuro a similitudine
del celo, l’altro ne le pariete coperte di pictura posta in tela ne la quale havemo per questa festa facto mettere tutte le victorie e gesti memorabili de lo
Ii], mo S. nostro avo cum la effigie sua de un capo contro la porta a cavallo
sotto un arco triumphale cum questo titulo che per le victorie et virtù sue
"A G Anoi altri suoi posteri triumphamo et faciamo queste feste ».
LO ogle
486 GEROLAMO CALVI
E se più presto non s'è principiato
la uoglia del Signor fu semper pronta
non era un Lionardo ancor trovato
qual di presente tanto ben l’impronta
che qualunche ch’el uede sta amirato
e se con lui al parangon s’afrunta
Fidia: Mirone : Scoppa e Praxitello
diran ch'al mondo mai fusse al più bello (1).
Il Taccone sembra dunque parlare del colosso equestre, come
di opera che tuttavia l’artista stesse modellando (o che, almeno,
si trovava sempre nel laboratorio dello scultore), e quasi esprime
una scusa ufficiosa « se più presto non s’ è principiato ». Egli poi,
a differenza del Lazzaroni, che concentra la sua attenzione sulla
figura dello Sforza, non parla che del cavallo. Che se passiamo
dai versi dei due poeti alla prosa descrittiva offertaci anche questa volta da Tristano Calco, che (come abbiamo potuto vedere, per
la rispondenza delle notizie, ch’egli ci ha dato, a fatti che risultano da altri documenti e dai manoscritti leonardeschi) si dimostra
abbastanza diligente, malgrado il tono alquanto curiale e amplificatorio, che assume (altra ragione per ritenere che non avrebbe
trascurato la esposizione del colosso) non troviamo in alcun modo
fatta da lui menzione della statua equestre, accrescendosi così i
motivi di dubitare dell’interpretazione, che si suol dare all’accenno
del Lazzaroni. Quella corrispondenza, che già due volte abbiamo
notato tra le relazioni auliche, che il Calco ci ha lasciato delle
nozze sforzesche del 1489 e del 1491 e gli appunti personali e
privati di Leonardo, parrebbe invece rinnovarsi una terza volta,
a proposito dell’epilogo dei festeggiamenti nuziali. Una ricca comitiva scortò allora Bianca Maria, che, attraverso il lago di Como
e la Valtellina, andava a raggiungere l’imperiale marito. Il Calco (2)
ne prende argomento per descrivere alcuni dei punti più interessanti del Lario (così, p. es., la fonte Pliniana, Bellagio, Fiume
Latte) e della via che se ne diparte a settentrione, illustrando così
(1) Coronatione e sponsalitio de la serenissima Regina . M. Bianca . Ma. Sf.
«Augusta al’ Illustrissimo . S. Lodouico . Sf . uisconte Duca de Barri per Baldassarre Taccone Alexandrino cancelleri etc. composta . [In fine :) Impressit Leonardu
pachel M.CCCC.LXXXXIII.
(2) TRISTANI CHALCI, Nuptiae Augustae, in Residua etc., cit., pp. IIO-I11.
— î
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 487
quel viaggio principesco. Leonardo nota gli stessi luoghi in pagine
del’ Codice Atlantico (1), che possono rimontare a quell’ epoca:
la sua curiosità si direbbe svegliata nella stessa occasione e nello
stesso punto 2). |
III.
Risalgo nuovamente di qualche anno la biografia di Leonardo
per segnalare una pagina vinciana, che, quantunque si trovi già
pubblicata nella costosa edizione del Codice Atlantico, attende tuttavia di essere divulgata per corredare i documenti sin qui raccolti sulla partecipazione del Vinci (3) al concorso per la risoluzione del problema architettonico del tiburio del Duomo di Milano.
Le fonti archivistiche hanno, già da molto tempo, rivelato come
Leonardo attendesse, nella seconda metà del 1487, coll’aiuto del
falegname Bernardo Maggi da Abbiategrasso, alla costruzione di
un modello proprio. Il fol. 270 recto c del Codice Atlantico ci mostra com'egli intendesse accompagnarlo con una relazione, nella
quale dovevano svolgersi i concetti da lui seguiti nell’idearlo.
A quali condizioni il modello s’informasse, non è possibile
indurre che in via di congettura dai rari schizzi o disegni sparsi
nei manoscritti vinciani, Il Beltrami ne ha tratto le indicazioni più
notevoli, osservando che Leonardo aveva da prima adottato un
partito allora comune all’Amadeo (e da questi successivamente abbandonato) di scaricare una parte del peso del tiburio « sopra gli
« otto piloni più vicini ai quattro maggiori mediante archi che
(1) Cod. Atl, fegli 214 recto e, 214 verso 6; commentati, con qualche altro
franimento vinciano, in UzieLLI, Leonardo da Vinci e le Alpi, in Bollettino del
Club Aipino Italiano, XXIII (1889), p. 81 sgg., e in CERMENATI, Leonardo da
Vinci in Valsassina, Milano, Cogliati, 1910.
(2) Ricordiamo che il collega di Leonardo, Ambrogio de Predis faceva parte
del corteo di Bianca Maria crme pittore ufficiale, Inoltre ricordiamo i rapporti
di Leonardo con Marchesino Stanga, che aveva la sua villa sul promontorio di
Bellagio e vi ospitava sontuosamente la comitiva nuziale.
(3) La pubblicazione più ampia che sia stata fatta su questo argomento,
è quella di Luca BELTRAMI: Leonardo da Vinci negli studi per il tiburio della
Cattedrale di Milano, Milano, Allegretti, 1903 (per nozze Beltrami-Rosina).
488 GEROLAMO CALVI
« da quei piloni vanno agli angoli dell’ottagono »(1); ch’egli aveva
inoltre studiato speciali forme e collegamenti d’archi, concorrenti
a produrre l’effetto accennato con « speroni meno inclinati che
« trasmettevano il peso ai piloni delle navate laterali » (2), e speciali disposizioni, nelle ossature staticamente più importanti, di
conci indentati l’uno nell’altro (3) per assicurare la solidità del sistema. Che il Beltrami, nell’affermare che il progetto del Vinci era
sopratutto dominato dalla preoccupazione di risolvere scientificamente il problema, si apponga molto bene, è anche dimostrato
dalla pagina, che ho testè citato e della quale credo utile di far
seguire la trascrizione. Leonardo, nel prendere a ordinare in forma
espositiva le sue idee, per indirizzarle, come illustrazione e difesa
del proprio modello, al Consiglio della Fabbrica, dichiara doversi
rimediare all’organismo malato del Duomo con una razionale composizione di forze, con un ritorno alle regole, dalle quali il retto
edificare deriva e che si fondano sui concetti scientifici di peso e
di forza. Il Vinci si rifà più volte da capo, come gli avviene spesso
nel lavoro faticoso di redazione, specialmente allorchè si tratta di
esporre ai grandi od al pubblico i concetti, che rivolge in mente:
Signjori. padri . diputatj. sichome . ai medicj tutori curatori de li amalat} . (corti) bisognja . intendere . che chosa . è homo che chosa . è vita.
che chosa è sanjta (e infe) e in che modo vna parità vna concordanza
d’elementj la mantiene . e chosì vna dischordanza di quelj .la rujna . e
disfa e conoscivto be[n] le sopra dette nature . potrà meglio riparare
che chi n'è privato
(st come la medicina . è atta . a chontrastare a la malattia) vo) sapete
le medicine (esser) esendo bene adoperate rendon sanjta . ai malat):;
questo bene adoperate sarà . quando . il medico . con lo intendere la lor
natura jntenderà . che chosa è homo che chosa.è vjta che chosa è
chonplessione . e così sanjtà . chonoscivte be[n] queste bene chonoscierà il suo contrario . (e chosì) esendo chosì ben vi saprà riparare
voj. sapete le medicine . essendo . bene . adoperate . rendon sanjtà.
ai malatj.(/a persa sanjià) e quelo . che bene le chonoscie ben l’adopererà . quando ancora luj conoscierà che cosa .è homo. che chosa è
vita e chonplesione . che chosa è sanjta . chonosciendo queste bene canoscierà i sua contrarj . essendo così piv(i) visino sarà al riparo c[h]'al-
(1) Op. cit., p. 45.
(2) Op. cit., pp. 47-48
(3) Op. cit., p_ 47.
Ò :
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 489
cun altro Questo medesimo bisognja al malato . (edifitio) domo . cioè vno
medico architetto . che ’ntenda bene. che chosa è edifi(chare)tio . e da
che regole (/o e) il retto edificare diriva . e donde dette regole sono
tratte e ’n quante parte sieno divise e (c)quale sieno le cagione che
(b)tengano lo edifitio jnsieme e che lo tano premanente e che natura sia.
quela del pesa [peso] .e quale sia il disiderio de la forza e in che modo
sì debono . chontessere . e cholegare insieme. e congivnte che effetto
partoriscjno . chi di ques e sopra dette cose. arà vera chognjtione . vi
las(c)ierà (di sa). di sua rason e opera sadisfatto (e quella mede) (e quale
luj si sia. dateli.la impresa).
Onde . per questo io m’jngiegnjerò . non ditraendo non (#0/jnando)
(n)infamando .alchuno (Onde per questo .sanza detrare o infamare alchuno .
m’jngiegnjerò . giusta . mia possa .) di sadisfare in parte chon(n) ragion)
e in parte coll’opere . alchuna volta dimostrando li effettj per le cagionj
alcuna vol[t]}a . affermando . le ragionj chole sperienze (e ’n(s)sieme) chon
queste achomodando alcuna alturjta. deli architettj. antichi le proue
de ]j edifitj . fatt} e qualj sieno (/e ragto) le cagionj . di lor ruina e di
loro premanentia . ecc.
e chon quele dimonstrare.quale .(quale./a chagione) prima del carico e quale e quante sieno.le chagionj . (de rui) che danno rujna. a ]j
edifitj . e qu le . (e quale) e il (mm) modo. della loro, stabilità e premanenza
Ma per non(n) essere plorisso [prolisso]. a vostre [e]‘ielenze dirò. prima
la inuentione . de(/ we)l primo . architetto del do(40)mo . e c[h]iaramenti
vi dimost[r]ero qual fussi sua intentione . affermando quela . chol(la) principiat(a ofera)o . edifitjo . e. (e (s/s’i0 vi farò) faciendou) questo intendere
chiaramente potrette conosciere .il modelo da me fatto.avere in se
quella . simetrja. quella chorispondentia quela (sa) chonformjtà quale
s'apartiene. al principato. edifitio
che chosa è edifitio.e donde le regolc del retto. edifichare. anno
dirivatione e quante e qual) siano le parte apartenente a (c)quelle
o iv o altri che lo dimostri me’ di me pigliatelo mettete da canto
ognj pasione (1)
Che questo scritto sia connesso col concorso per il tiburio
della cattedrale milanese non mi sembra dubbio. Leonardo si rivolge ai « deputati » (come son chiamati (domini deputati), anche
nei documenti sincroni, i fabbricieri del massimo tempio); parla
del « malato domo », si richiama al suo modello, dimostra di averlo
eseguito in concorrenza con altri e chiede su di esso un giudizio
(1) Cod. Atl, fol. 270 recto c cit.
e _
490 GEROLAMO CALVI
spassionato. É nota e fu già ripetutamente pubblicata (1) una relazione che porta il nome del Bramante (opinto Bramanti super
templum magnum), altro dei concorrenti. Essa è ascritta al 1490 €,
anche per la critica dei progetti, che già si trovavano sub sudice,
parrebbe appartenente o vicina a quell’anno piuttosto che al 1487.
Il caso inverso mi sembra invece probabile per la bozza frammentaria di relazione, ora veduta, del Vinci, la quale si potrebbe
ravvicinare al modello ed agli studî leonardeschi del 1487-1488.
Osserviamo anzitutto a questo proposito che Leonardo si vale, nel
caratteristico paragone che gli serve da spunto, di concetti, che
ritroviamo nel Codice Trivulziano (fol. 4 recto) (2): « medicina è
« riparegiamento de’ disequalati elementj »; « malattia è dischor-
« danza d’elementi fusi nel ujtale corpo ». Lo stesso Codice Trivulziano contiene degli schizzi, che sono stati riferiti, non senza
qualche fondamento, agli studî di Leonardo per il tiburio; ed
anche delle annotazioni di statica sulla resistenza dei pilastri e
degli archi, le quali, per il loro carattere generale, parvero al Malaguzzi (3) un argomento (benchè non il solo) per escludere qualche
foglio dal novero di quelli che possono riferirsi al problema del
tiburio, mentre la pagina trascritta ci dimostra che (come sempre
da un compito pratico nasceva per Leonardo un’indagine teorica)
la maggior parte delle ricerche vinciane sulla statica delle volte, ecc. (4) deve ascriversi agli anni, nei quali il Vinci si occupò
del modello per il Duomo di Milano. È ragionevole pensare che il
Codice Trivulziano sia stato in parte scritto intorno al 1487-1488,
anni quasi centrali rispetto al periodo 1485-1489(-1490), al quale
si potrebbe (col ms. B) ascriverlo (5).
(1) Annali della Fabbrica del Duomo di Milano, vol. III, Milano, Brigola, 1880,
pp. 62-64 (sotto l’anno 1490); G. M[oncERI], Bramante e il Duomo, in questo
Archivio, prima serie, V, 1878, pp. 538-544; cfr. BELTRAMI, Op. cit., pp. 38 39;
Mataguzzi-VALERI, Bramante e Leonardo da Vinci, cit., p. 113.
(2) Cfr. L. BELTRAMI, Il Codice di Leonardo da Vinci nella biblioteca del
principe Trivulzio in Milano (Milano, Dumolard, 1891) tav. 68.
(3) Op. cit., p. 435.
(4) Degli appunti vinciani, che riflettono questi studi si trova nella citata
raccolta sistematica del RicHTER, The literary works, etc., II, pp 75-99, una abbastanza copiosa serie.
(5) Per una congettura, che connette un appunto di quel codice con l’eclisse
di sole del 16 marzo 7485, cfr. CAROTTI in questo Archivio, 1891, p. 177; SEIDLITZ,
op. cit., I, p. 112; MALAGUZZI, op. cit., p. 426.
Go ogle
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 497
In secondo luogo quella, che si potrebbe chiamare l’ ultima
fase dei lavori di Leonardo per il tiburio e che coincide colla venuta di Francesco di Giorgio a Milano, non parrebbe rispecchiare
il momento della maggiore iniziativa per parte di Leonardo. Il.
Beltrami (1) opina che, dopo aver avuto agio d’intrattenersi, specialmente in Pavia, col vecchio architetto senese sul tema del tiburio, il Vinci « vedendo ormai avviato il problema verso quella
« soluzione più semplice e razionale, che doveva pochi giorni dopo
« essere adottata, non abbia ritenuto di sostenere maggiormente
« il suo concetto ». Come i documenti ci attestano, Leonardo aveva
ottenuto, il ro maggio 1490, dal Consiglio della Fabbrica. di ritirare
il suo modello per aggiungervi sfalas es areptas seu devastatas
e restituirlo poi ad omnem requisitionem (2). Forse sopratutto per
lo stimolo, che gli provenne dalla notizia del prossimo intervento
di Francesco di Giorgio, Leonardo desiderò di riavere il modello.
L’avergli i deputati accordata la retrocessione di questo, con una
risposta che suonava assai più deferente di quella data a fra Giovanni Meyer, al quale si diceva: « non expectet nec laudationem
« modeli nec aliquid aliud cum praefata fabrica » (3): l'avere,
sette giorni dopo, autorizzato il tesoriere (ch’era quell’anno Gio.
Antonio da Landriano) a pagargli 12 lire imperiali « super ratione
« unius modeli per eum construendi de presenti et hoc impositione
« nonnullorum dom. deputatorum praefata fabrica » (4): dimostrano
che v’era almeno una corrente favorevole a che il Vinci si ripresentasse nelle migliori condizioni in questo secondo stadio della
discussione. Ma anche questa volta, come in altre congiunture della
sua vita artistica, Leonardo, sul punto di cogliere il frutto delle
sue fatiche, sembra ritrarsene o mutar rotta. Del modello di Leonardo non si parla più, nei successivi documenti a noi noti, in via
diretta : si segnano, bensì, negli anni posteriori, a debito di Leo-
(1) Leonardo negli studi per îl tiburio, cit, p. 54.
(2) V. il doc. in G.L. CaLvi, Notizie ecc. cit. Parte IIl (Leonardo da Vinci),
doc. VIII, pp. 91-92; BELTRAMI, Op. cit., p. 75.
(3) La deliberazione che riguarda il MEvER, del 26 aprile 1490, si trova a
p. 56 del vol. III degli Annali cit.
(4) Vedi il doc. in BELTRAMI, op. cit., p. 75; cfr. G. L. CALVI, op. cit., p. 92;
e cfr. anche l'annotazione corrispondente del Registro verde, sotto la stessa data
del 17 maggio 1490, pubblicata dal BELTRAMI, Op. cit., p. 75.
Go ogle
x
492 GEROLAMO CALVI
nardo, le 12 lire imperiali (1) delle quali s'è fatto parola poc'anzi:
un fatto, questo, il quale tenderebbe a confermare che Leonardo
non adempisse l'impegno, e non riconsegnasse il modello ch'egli
aveva ritirato per riattarlo o lo riconsegnasse nelle medesime condizioni. Nella lettera del Calco, in data 10 giugno 1490, pubblicata
dal Malaguzzi (2), si parla del fervore, col quale Francesco di
Giorgio, il vecchio ingegnere senese, attende a terminare il proprio
modello (quello che nella seduta solenne del Consiglio della Fabbrica, il 27 di giugno, alla presenza di Lodovico Sforza, è il primo
nominato tra i modelis ibidem existentibus): quanto a Leonardo, si
aggiunge solo che « sarà sempre aparechiato omne volta sij richie-
« sto », un’ espressione che richiama l’ad ommnem requisitionem del
documento già visto, per la restituzione del modello, ma sembra
reticente, quasi il Vinci si sottraesse ad ogni iniziativa personale
per lasciare il primo posto a Francesco di Giorgio. Forse una
parte degli studî o dei preparativi, che il Vinci poteva avere istituiti, rimase assorbito nel lavoro di Francesco di Giorgio. In fatto,
del modello di Leonardo, ai 17 di maggio ancora menzionato per
eum construendi, non è fatta, dopo tale data, nei documenti sin
qui noti, più alcuna menzione diretta, mentre Francesco di Giorgio,
giunto in Milano agli ultimi di maggio, ha presentato, prima della
fine del mese seguente, dopo aver passata una parte di questo
tempo col Vinci, il modello che, come si è detto, compare nella
seduta solenne del 27 di giugno 1490.
IV.
Circa i lavori di Leonardo nei castelli e nelle residenze ducali di Milano, Pavia e Vigevano, le opinioni si vanno rivolgendo
da troppo confidenti congetture di una larga attività del maestro
a riserve, forse troppo guardinghe, ma certo più saggie, sulla
parte, che il Vinci avrebbe effettivamente avuto in alcuna delle
(1) AMOREITI, Memorie su la vita, gli studi e le opere di Leonardo da Vinci,
premessa al Trattato della pittura nell’ediz. dei Classici Italiani, Milano, 1804,
pp. 27-28. Cfr., per un successivo documento del 1494, BELTRAMI, Op. cit., p. 75.
(2) In Repertorium fiîr Kunsiwissenschaft, XXIV, 1901, p. 95.
Go ogle
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 493
svariate opere, colle quali Lodovico il Moro volle munire le sue
rocche, abbellire i suoi palazzi, rendere fruttifere le sue possessioni. Lo stesso Malaguzzi, col procedere dei suoi studî, si scioglie
dalle ipotesi (1) presentate con qualche favore nel volume del 1913,
e si attiene a giudizî più maturi e riservati. Nonostante ciò, qualcuno dei documenti illustrativi, ch'egli desume dai manoscritti, non
sembra rispondere ad una ipotesi plausibile: così, per esempio, gli
schizzi di fortificazione, ch’ egli riproduce dal fol. 43 verso a del
Codice Atlantico, inclinando (2) a vedervi abbozzati gli antichi
torrioni del castello, mentre questa pagina, sia per il modo con
cui sono condotti i disegni, già alquanto diversi dal tratteggio
usato durante il periodo milanese, sia per certi dettagli che dimostrano nuovi rapporti studiati da Leonardo tra i mezzi d’offesa e
quelli di difesa, appartiene, con tutta probabilità, all’epoca, alla
quale sono da riferire altri appunti e disegni contenuti nel ms. L
ed in parecchi fogli del Codice Atlantico, cioè al tempo, nel quale
Leonardo si trovava in Romagna, come ingegnere militare di Cesare Borgia.
Al castello di Milano sembra invece doversi riferire un appunto, che il Malaguzzi (3) ascrive all’estate del 1492, astenendosi
dal connetterlo con una realtà determinata. Sul particolare del
quale si tratta, le cause d’incertezza o di confusione rimontano,
per la biografia di Leonardo, molto addietro, e vale la pena di
rifare la strada per rimettere in chiaro le cose. Un erroneo rilievo
in un manoscritto vinciano ha fatto già assegnare all’anno 1482
(1) Mi riferisco principalmente al modo, con cui, sulla scorta del SoLMI, le
questioni, che concernono Vigevano, sono trattate nel volume su La vita privata
e l’arte a Milano neila seconda metà del quattrocento, cit., p. 641 sgg., e al riserbo
che sopravviene, per lo stesso argomento, nel volume su Bramante e Leonardo
da Vinci, cit., pp. 478-486.
(2) Bramante e Leonardo da Vinci, cit., p. 379.
(3) « Nel principio del 1492 fu a Sesto Calende, a Varalpombia, nel marzo
« a Vigevano; nell'estate pensava, fra l'altro, al padiglione del zardino della du-
« chessa e al modo di distribuirvi or l’acqua calda or la fredda. Egli nota: per
« iscaldare l’acqua della stuffa della duchessa torrui tre parti d’acqua calda e quattro
« parti d’acqua fredda. Ma nulla assicura che quel padiglione e quello disegnato
« dallo stesso artista rispondano a realtà o siano un parto della sua fantasia »,
op. cit., p. 476; cfr. AMORETTI, Memorie storiche, etc., cit., pp. 45 e 48; UZIELLI,
Ricerche, ecc., 2% ediz., cit., pp. 138 e 153-155.
Go ogle
494 GEROLAMO CALVI
uno dei passi riguardanti il castello di Milano, a fol. 12 recto del
ms. B; ed una malcerta interpretazione di esso attribuire a Leonardo il padiglione della duchessa di Milano, relativamente al
quale sono ivi appunti e schizzi architettonici di mano del Vinci.
L’Amoretti (1), citando il P. Della Valle, scrive che il De Pagare
avrebbe letto nel Codice Atlantico, Ambrosiano, alla pagina seconda,
che Leonardo disegnò in Milano un padiglione del settembre del
1482. Il confronto col Codice Atlantico e il risultato negativo di
esso fanno supporre che la data proposta dipendesse da una falsa
lettura di qualche passo del ms. B(2), dove, a fol. 12 recto, si trovano i citati disegni relativi al padiglione. L’Amoretti ritorna sullo
stesso tema più avanti, dove dice: « Una sua [di Leonardo] opera
« da riportarsi a quest'anno [1492] fuil Bagno fatto per la duchessa
» Beatrice nel parco o giardino del Castello. Lionardo non solo
« ne disegnò il piccolo edifizio a foggia di padiglione, nel cod. se-
« gnato Q. 3, dandone anche separatamente la pianta; ma sotto
« vi scrisse: Padiglione del giardino della duchessa ; e sotto la
« pianta: / ondamento del padiglione ch° è nel mezzo del labirinto
u del duca di Milano. Nessuna data è presso il padiglione, dise-
« gnato nella pagina 12, ma poco sopra fra molti circoli intrec-
« ciati vedesi = 1o Luglio 1492 =; e nella pagina 2 presso ad
« alcuni disegni di legumi qualcuno ha letto (3) Settembre 1482
« invece di 1492, come doveva scrivervi e probabilmente scrisse
« Leonardo. Disegnò pure le chiavi colle quali dare al bagno l’ac-
« qua ora calda ora fredda, e così temprarla, nominando tal con-
(1) AMORETTI, Memorie storiche, ecc., cit., p. 28; DeLLA VALLE, Supplemento
alla vita di Lionardo da Vinci nel tomo V delle Vite del Vasari, ediz. di Siena
1792, p. 6;; cfr. anche JorDaN, Das Malerbuch des Lionardo da Vinci, Lipsia,
1873, p. 80.
(2) L’unica data, che si noti attualmente nel ms. B, manca dell’indicazione
dell’anno (che potrebbe tuttavia essere obliterata), ed è quella, già citata, che si
trova appunto, scritta in senso ordinario, a fol. 2 (4 recto della numerazione originaria) del Codice: « Addi 28 d'aprile ebbi da marchesino . lire . 103 e sfoldi].12.».
La cifra 28, sbadatamente considerata come scritta in senso inver:0, avrebbe potuto dal De Pagcave esser letta 82; nia non si saprebbe poi indovinare donde
cavasse il settembre. D'altra parte i legumi disegnati, ai quali accenna l’AMORETTI,
sembrano dover essere quelli che si vedono sul fol. 3 [1] recto dello stesso ms.:
non potrei escludere che il disegno nasconda qualche frammento ms.
(3) Vedi la n. preced.
Go ogle ni 7
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 495
« gegno: Sciavatura del bagno della duchessa (fol. 28): e indicando
« eziandio le proporzioni dell’acqua bollente colla fredda per averne
« il piacevol tepore conveniente al bagno, onde scrive alla pag. 34:
« per iscaldare l’acqua della stuffa della duchessa torrat tre parti
« d’acqua calda e quattro parti d’acqua fredda » (1). Ora, per l'Àmoretti, come per gli autori da lui citati, sono certamente avvenute delle confusioni riguardo all’identificazione dei manoscritti e
delle pagine datate. Infatti il manoscritto B non porta alcuna data
d'anno (2); ed evidentemente neppure lo stesso Amoretti ha con- .
trollato direttamente la supposta data, settembre 1482, ch’egli esclude
soltanto per un ragionamento indiretto,,e quasi per incompatibilità
con quella, ch’egli ha, in un’altra pagina, rilevato, del 10 luglio 1492.
Questa si può ritrovare e leggere a fol. 34 verso del ms. Ashburnham do, che fu acquistato dalla Biblioteca Nazionale di Parigi,
avendovi la segnatura 2038 Ital., e passò poi alla Bibliothéque de
l’Institut, dove raggiunse il ms. A, al quale era originariamente
unito. Ivi, tra un intreccio di circoli, si legge infatti: « a dì 10 di
luglio 1492 »; e in corrispondenza alla data si trova un conto di
denari, probabilmente ricevuti da Leonardo (3).
(1) AMORETTI, Memorie storiche, ecc., cit., p. 48. Cfr. UZiELLI, /icerche, ecc.,
2° ediz. cit., p. 154 sgg.;: e ]. P. RicHTER, 7he literary works, etc., cit., I, nota
al $ 75.
(2) Cfr. ]. P. RICHTER, l. cit.; e v. la n. (2) a p. precedente.
(3) Tale registrazione di Leonardo presenta, come per un’ esazione od una
verifica di cassia, una breve serie di importi, secondo le diverse qualità di monete, per la somma complessiva di 811 lire imperiali. E poichè questa somma
corrisponde, salvo la lieve differenza di 11 ‘lire, a quella che i confratelli della
Concezione avevano pattuito di dare a Leonardo da Vinci e ad Ambrogio de
Predis e che i due artisti ammettevano, nella supplica non datata pubblicata dal
MOTTA (v. questo Archivio serie terza, II, 1894, pp. 972-989) di aver ricevuto,
io mi domandai (in via di semplice congettura e in un tempo, nel quale la supplica citata e un riassunto di essa, del pari sprovvisto di data, segnalato dal
MaLaguzzi (cfr. Rassegna d'Arte, 1, 1901, p. 110), erano i soli documenti noti
sulla sirigolare vertenza protrattasi sino al 1508) se potesse vedersi nella registrazione di Leonardo il pagamento avvenuto per la Vergine delle Roccie. Il
dott. Biscaro volle cortesemente far cenno e tener conto di quella mia congettura (cfr. questo Archivio, serie quarta, XIII, 1910, p. 148, nota), allorchè pubblicò
il contratto originale riguardante Ja commissione della « Vergine delle Roccie »;
dal quale sopravvennero, anche in ordine alla mia ipotesi, nuovi elementi di
considerazione. ]nfatti il contratto del 25 aprile 1483 fissava l'ordine dei versasia è.
£ -
Go ogle
uN. ”
496 GEROLAMO CALVI
Poichè sul citate fol. 12 del ms. B si legge: « padiglione del
« zardino della duchessa di milano » il Richter (1) si chiede se l’annotazione debba riferirsi alla duchessa Beatrice o alla duchessa
Isabella, e, considerando l’anzianità de] codice, conclude per la seconda. A me sembra come già è apparso da qualche elemento di
discussione, che il ms. B debba ritenersi, nella maggior parte dei suoi
dati, piuttosto anteriore che posteriore al matrimoniodi Gian Galeazzo
Sforza; ma, anche indipendentemente da ciò, inclino a credere che.
Leonardo abbia voluto riferirsi ad un edifizio già esistente e detto
« della duchessa » per effetto, della destinazione, ch’ esso aveva
menti, il primo dei quali, di cento lire imperiali, doveva farsi ai due pittori il
primo di maggio, otto giorni dopo la stipulazione dell'atto, e non si può ragio»
mevolmente ammettere che gli artisti abbiano rinunziato (e massime essendo in
due) alla riscossione, nè che i Confratelli della Concezione avessero, a così breve
distanza dall'impegno preso, un motivo per negarla. S' aggiungano le risultanze
dei documenti nuovamente scoperti dal MorTtA e dei quali ha dato notizia il
BELTRAMI (in Rassegna d'Arte, XV, 1915, pp. 97-101): la sentenza arbitrale del
1506 riconosce (ivi, p. 100) come i due artisti avessero ricevuto lire 730 imperiali, alle quali erano state aggiunte «Itre lire 100 « pro et occasione solutionis
« predicte ancone et tabule ». Ora, poichè l'appunto di Leonardo colla data del
10 luglio 1492 riflette una somma costituita da divise monetarie differenti di
cui l’accertamento parrebbe fatto de visu in una sol volta, piuttosto che il riassunto di danari diversi avuti in lontane scadenze; nè (dato il caso che Leonardo
avesse invece trascritto e riassunto precedenti annotazioni, al che poteva muoverlo la vertenza coi Confratelli della Concezione) si trova corrispondenza nei
versamenti; io stesso dovrei aggiungere una più esplicita riserva al dubbio,
col quale avevo emesso quell’ ipotesi. Ma, sia che questa possa serbare ancora
qualche valore, sia che il saldo della somma, che la supplica a Lodovico il Moro
confessava essere di lire 800 imp. e il lodo del 1506 definiva in lire 830 imp.,
avesse avuto luogo prima o dopo il 1492, è ormai provato che l'adempimento
degli impegni dei due pittori verso i Confratelli e forse anche la consegna della
tavola si fecero attendere oltre ogni previsione. Il dubbio che la pittura non fosse
ancora stata consegnata sin che, come sembra, il De Predis s'adoprò, col tepido
concorso di Leonardo, a condurre le cose in porto dal punto di vista giuridico,
(ed anche dal punto di vista artistico, aggiungono non senza qualche fondamento
i critici) nasce così dall’ espressione della supplica: e aut che essi scolari /asano
« ali dicti exponenti dicta nostra donna », come dal termine di due anni accordato nel 1506 ai due pittori per compiere l’opera. Ma per un maturo giudizio
su tutto ciò conviene attendere la pubblicazione în extenso, assai desiderata, dei
documenti trovati dal Motta, e dei quali il BeLTtRAMI ha dato una prima comunicazione.
(1) Cfr. RicHTER, I. cit.
LO ogle Ù
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 497
ricevuto sin dal tempo di Galeazzo Maria; che non si tratti quindi
di un progetto del maestro, ma piuttosto (1) della costruzione veduta e descritta nel 1480 dal fiorentino Ridolfi come una delle curiosità interessanti nel recinto del castello: « Et evi uno padiglione
« che v’è sotto ammattonato et intorno intorno ha l’acque vive
« con siepe a mo' di labirinto » (2).
Quanto agli appunti vinciani, che si riferiscono al « bagno della
« duchessa », bisogna tenerli ben distinti dalle annotazioni, che riguardano il padiglione ora nominato. Essi appartengono ad un altro manoscritto e ad un tempo alquanto più tardo; così che, quand’anche si ammetta che il bagno potesse trovarsi nell’interno del
padiglione, sarebbe alquanto arbitrario il volerlo affermare in base
alle indicazioni di Leonardo; e sarebbe, in particolare, contrario
ad una sana critica il voler attribuire i due temi ad una stessa
occasione e ad uno stesso anno, che per giunta è stato anch'esso,
come s’ è visto, designato arbitrariamente. Aprendo il ms. 1, vi ritroviamo gli appunti citati dall’ Amoretti: « Sc[h]iavatura del bagnio
- della duchessa » (fol. 28 verso); « bagno — per isscaldare l’acqua
« della stufa della duchessa torai 3 parte d’acqua chalda sopra 4
« parti d’acqua fredda. » (fol. 34 recto) Di conformità alla supposta
data (3) di quella parte (la prima, designata 1,), del manoscritto che
(1) Cfr. MùLLER-WALDE, Ein neues Dokument etc., in Jabrbuch cit., p. 104,
nota. Giova rilevare che il BELTRAMI si mantiene tuttavia più riservato, che al
MutLeR-WaLDE non paia (cfr. Il Castello di Milano, 2* ediz. cit., p. 475). Cfr.
anche Mac Curpy, Leonardo da Vinci cit., p. 17.
(2) Vedi la descrizione del RipoLFi in Zibaldone, anno I, n. 10 (Firenze,
ottobre 1888), p. 158; e in BELTRAMI, 1/ Castello di Milano, 2° ed. cit., pp. 425-
427. Sembra che Galeazzo Maria fosse solito frequentare quella parte del castello
sopratutto colla sua consorte, occupando con essa specialmente « due camere...
a presso alla porta del paviglione » (doc. del 23 giugno 1477 in BELTRAMI, Op.
cit., pp. 382-383); cfr. un altro documento del 28 agosto 1470, pure in BELTRAMI,
op. cit., p. 257: « quelle doe camere dove solemo dormire et mangiare comua niter la nostra illustrissima consorte » (da questo documento non appare che
il padiglione fosse già costruito): cfr. per quella località ancora il BELTRAMI, op.
cit, pp., 262 e 263, nota. :
(3) Il ms. I è stato pubbiicato, con gli altri oggi esistenti nella biblioteca
dell’ Istituto di Francia, dal RA\W@isson-MOLLIEN (Les mss. etc, cit., vol. IV); il
RicHTER ( The literary works etc., cit., I, p. 5)-Io pone al 1497 (ma con un punto
interrogativo quanto alla parte designata I,). Il codicetto, per la sua parte più
Arch Stor. Lomb., Anno XLIIT, Fasc. III. 32 ld
Go ogle
498 GEROLAMO CALVI
li contiene, essi dovrebbero giudicarsi scritti intorno al 1497. Bisogna
tuttavia ricordare come altri schizzi ed appunti relativi ad apparecchi, che servivano al bagno della duchessa isabella (1) si trovino
sopra un foglio del Codice Atlantico (104 recto d) portante in fronte
la nota datata: « a di primo d’agosto 1499 . scrissi qui de moto .
« e peso ». L'attenzione rivolta ai congegni del bagno della duchessa parrebbe un po’ strana in quei giorni, nei quali il ducato
era invaso dai nemici: forse la nota preesisteva sul foglio allora
preso in mano per scrivervi « de moto e peso », argomento che
ne occupa così il recto come il verso.
Distinti così i due temi, ritorniamo al primo di essi per osservare che nel ms. H e nel Codice Atlantico si trovano davvero
degli schizzi ed appunti relativi ad un più modesto padiglione,
antica (benchè nel suo complesso mi sembri oltrepassare il 1497) potrebbe infatti prender le mosse dal 1496-1497: di poco o immediatamente anteriore ad
esso è il ms. S. K. M. II (altro libretto da tasca per gli appunti quotidiani), col
quale ha parecchi punti di contatto, Delle profezie, che si trovano più numerose
nel ms. I, alcune appaiono già nel ms. S. K. M. II ; ed in entrambi si hanno ricerche di forme e d’iutrecci ornamentali, che si possono ascrivere ad un medesimo
ordine di studi. Si considerino inoltre il rapporto che vi presentano gli appunti
di matematica coi mss. I e K. Forse questi libretti d’annotazione furono adoperati da Leonardo a più riprese. Il ms. S. K. M. II contiene a fol. 70 verso
(89 recto della numerazione di Leonardo), relativamente al Castello, un interessante schizzo a matita, d’un’ armatura di legname, coll’appunto: « covercio della
« predica del castello ». Si veda anche, a fol. 53 verso (II recto) dello stesso ms.
uno schizzo fatto « in sancto anbroso ». Il ms. I (I,), contiene pure (fol. 32 verso,
38 verso) due piccoli schizzi e brevi appunti commentati dal BELTRAMI, relativi
al «€ modo di inondare il fossato circondante il Castello di Milano scavando un
« canale di comunicazione fra questo fossato ed il giro dei redefossi; e dimo-
« stranti il pericolo, al quale di conseguenza poteva trovarsi esposto il fortilizio ».
(BeLTRAMI, Il Castello di Milano, 2* ediz. cit., p. 465-466).
(1) « della [sic] bagno della duchessa isabella » « fatto per la stufa over
» bagnjo della duchessa isabella ». E, con riferimento ad una delle figure, rappresentanti il congegno a vite ed a molla, quest'altro appunto: « è posto perchè
« il massc[h]io della vite non si uolti insieme colla sua femmjna ». Il MùLLERWALDE, Fin neues Dokument, etc, in Jahrbuch cit., p. 103 e nota ivi, pensa (malgrado il diverso titolo) che sia qui nominata la marchesana Isabella d'Este, e
ribadisce la sua opinione in un successivo articolo (Leonardo und die antike Reiterstatue des Regisole, cit., nello Jahrbuch del 1899, XX, p. 90). Secondo il MuLLERWaLpe Leonardo si troverebbe già, al primo d'agosto 1499, a Mantova. Ma la
sua Opinione non sembra plausibile.
Go ogle =“
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 499
questa volta non semplicemente ritratto da una struttura già esistente, ma, a quanto pare, studiato in tutti quei particolari, che
possono farci ritenere Leonardo incaricato della sua costruzione.
È il padiglioncino « di legni », che dovremmo ritenere ideato per
la residenza ducale di Vigevano e che il Malaguzzi, riproducendone le parti disegnate sul foglio 283 verso c del Codice
Atlantico, crede (1) un armadio o stipo a muro coi particolari
per le cerniere e per gli sportelli. Il ravvicinamento di altri dati ci
permette di confermarci nella nostra opinione circa la sua probabile destinazione. Sono presumibilmente del 1494 più annotazioni,
non ignorate dal Malaguzzi, relative a Vigevano, contenute nel
ms. H; delle quali le seguenti sembrano riflettere operazioni da
farsi: « da(s)serare a chiave vno inchasstro a Vigievine » (2);
« padigl(i]on di legnj a Vigievine » (3). Quest’ ultima nota è accompagnata da schizzi e appunti di dettaglio sullo stesso foglio,
ov’essa si trova, e sul recto del foglio seguente: « piegatura di pa-
« riete di pavione », « angolo del padigl[i]one », « angolo di pavione
« d’asse », « catenaccio » (4). Da alcuni di questi particolari sembra
di poter arguire che si tratti di studi per lo stesso padiglione, che
troviamo accuratamente e compiutamente disegnato con le sue misure sui fogli 283 recto b e 283 verso c del Codice Atlantico. Infatti le misure i, +, sei sì ritrovano, in corrispondenza a certe
scompartizioni del padiglione così sul foglio 283 recto è del Codice
Atlantico come sul foglio 78 verso del ms. H,, benchè in diverso
{ma non contradditorio) ordine; inoltre la parte d'ossatura della
testata del padiglione, disegnata nel basso del foglio 79 recto del
ms. H, s’accorda colla pianta dell’ intera testata a fol. 283 recto b,
citato; infine i due dettagli a fol. 283 verso c del Codice Atlantico, « angolo del pavione » e « catenaciolj per disgivgnjere e con-
«givgnjere » coincidono coi corrispondenti riuniti in un solo schizzo
a fol. 19 recto del ms. H,. Ai fogli indicati ci sembra di dover
(1) Op. cit., p. 482 e fig. 533 a p. 484. Le parole « angolo del pavione »
scritte da Leonardo accanto ad uno dei particolari disegnati, e le altre « usscio
« serrato », « finesstre doppie » indicano la vera destinazione del disegno.
(2) Ms. H, fol. I recto.
(3) Ms. H,, fol. 78 verso. Nel volume su La vita privata e l’arte a Milano, ecc.,
cit., p. 663, il MaLagGuzZI lo aveva ricordato, citando il SOLMI.
> (4) Ms. H,, fol. 78 verso, 79 recto.
Go ogle
500 GEROLAMO CALVI
aggiungere ancora il 34 verso 6 del Codice Atlantico, con altri disegni ed altre indicazioni manoscritte, tra le quali i seguenti appunti: « tutti i ferramenti vanno di dentro »; « ogni ase debbe
« essere asscosta dentro alla superfitie del legnjame insino al cientro
« del suo polo eicjquesta regola farà che li usscj o(f)finestre non
« faranno nell’aprire alcuno spiraculo - ». Dettagli minuti e ripetuti,
come quelli che si trovano in queste pagine, legittimano l’opinione
che in questo caso si tratti realmente di un lavoro, del quale Leonardo aveva assunto l’esecuzione (1).
Le due più famose opere di pittura, alle quali Leonardo attese durante il periodo sforzesco, la Vergine delle Roccie e la Cena,
sono state ripetutamente l’oggetto di felici ricerche e di studî miìnuti e coscienziosi, ai quali aggiunge un notevole corredo illustrativo anche il Malaguzzi. Il trattarne nuovamente a fondo non è
da queste pagine frammentarie, né chi arriva, per usare un’ espressione di Leonardo, ultimo alla fiera può invidiare trc ppo facilmente
i maggiori temi o le questioni più ardue che li riguardano. Mi sia
dunque consentito di limitarmi, qui più che altrove, all’ esame e
alla discussione di qualche particolare, connesso coi disegni o coi
dati manoscritti, che possono riferirsi a quelle opere.
Parecchi critici sono venuti tentando di scernere la parte presa
(1) Invece nei passi del Codice Leicester (fol. 21 recto, 32 recto), che ricordano una scala idraulica della Sforzesca, si riflette un'osservazione e non già
un'invenzione di Leonirdo; come risulta anche da un terzo frammento del citato ms. H (H,, fol. 65 [17] verso). Il MaLaguzzi, Bramante e Leonardo da
Vinci, cit., pp. 482-483, riconduce a questo proposito entro più legittimi confini
l'ipotesi, ch'egli aveva, nel precedente volume (La vita privata, ecc., cit., p 671)
mutuato dal SoLmi. Egli avrebbe potuto anche più risolutamente ritornare sul
suo cammino e, col distinguere nettamente i frammenti ch'egli cita, e col darne
le lezioni migliori, esaurire la piccola questione; giacchè s’ egli attribuisce un
po’ di colpa, in questi casi, allo stadio, nel quale si trova la pubblicazione dei
manoscritti vinciani e a qualche discordanza tra le lezioni adottate dagli studicsi,
non è però men vero che dei manoscritti e dei frammenti, ch'egli cita, esistono
non solamente le. trascrizioni, ma anche le riproduzioni fotogratiche, alle quali
conveniva ricorrere direttamente. =
Go ogle th
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 501
da Leonardo e quella che sarebbe stata abbandonata ad Ambrogio
de Predis nell’ esecuzione della Vergine delle Roccie di Londra.
Il Seidlitz (1) è dj quelli che sostengono addirittura (ribadendo
l'opinione del Morelli (2), il quale però non si atteneva al nome
del de Predis) che il collaboratore del Vinci avrebbe da so'o 0
quasi senz’ intervento di Leonardo eseguito, copiando l’esemplare
attualmente posseduto dal Louvre, il dipinto oggi a Londra, nel
quale tuttavia altri critici non vogliono (e non senza buone ragioni) vedere semplicemente la mano di un copista. Il biografo citato
poi ritiene (e in ciò s'incontrerebbe coi nuovi dati cronologici relativi alla Vergine delle Roccie) che il de Predis vi mettesse mano
piuttosto tardi. Ma ciò che m'interessa di notare è, ch'egli
attribuisce al de Predis il bel disegno su carta verde, nel quale
egli e gli altri critici, compreso il Berenson (3) (che fa le sue riserve sullo stato, nel quale lo schizzo si trova) hanno visto sin qui
uno studio per la testa del S. Giovannino nella Vergine delle Roccie,
e ne fa uno dei capisaldi della sua dimostrazione. In una nota (4)
egli riferisce le dimensioni della testa del San Giovannino ‘che
nell’abbozzo misurerebbe dall’inserzione dell'orecchio all’estremità
dell'occhio sinistro in larghezza, 4 cm., e dalla radice dei capelli
della fronte al mento, in altezza, 9 cm., mentre le corrispondenti
misure, nel quadro del Louvre, sarebbero di 5 cm. e di 8 cm.)
per affermare che il disegno non coincide coll'esemplare parigino,
ina dimostra invece di appartenere alla pittura della Nationa! Gallery. Questa seconda asserzione non è però corredata, come la prima,
da altri dati paralleli relativi alle dimensioni. Forse il Seidlitz si
fidò della sua impressione personale e dell’indirizzo, al quale lo
volgevano le sue convinzioni ormai formate (è un fenomeno al
quale sappiamo tutti quanto sia difficile reagire) e non sì preocLL _ __ _——_— —
(1) Op. cit., I, pp. 169 sgg.
(2) Della pittura italiana, Milano, Treves, 1897, pp. 182 e 191, nota
(3) « 1067 - Study for the head of the Baptist in the « Vierge aux Rochers ».
« So much made over as scarcely to count as Leonardo's . Silver-puint heightened
« with white, on greenish paper . Photo Braun Louvre 170 ». (B. BERENSON, The
drawings of the fiorentine painters, II, London, Murray, 1903, p. 60).
(4) SEIDLITZ, op. e vol. cit., p. 410, nota 27; cfr., dello stesso, Ambrogio
Preda und Leonardo da Vinci, estr. dallo Jahrbuch der kunsthistorischen Summlungen, 1906, p. 35.
Go ogle
502 GEROLAMO CALVI
cupò di aggiungere una prova, che avrebbe, pensiamo, sconvolto
la sua dimostrazione. Un fatto poteva tuttavia, insieme con nuovi
confronti, esser cagione di qualche sospetto: che tra il disegno e
il dipinto del Louvre non soltanto cambiavano le dimensioni, ma
anche i rapporti tra le, dimensioni, i quali venivano ad invertirsi.
In altri termini, l'inclinazione della testa è mutata e questo diverso atteggiamento non è meno sensibile, anzi oseremmo dire che
è, rispetto al disegno, più accentuato nell’esemplare di Londra che
in quello di Parigi. Parve a me, nel tempo in cui cercai di scorrere quanto potei dell’opera di Leonardo, che il disegno di cuì si
tratta fosse in relazione non già col S. Giovannino della Vergine
delle Roccie ma col Bambino Gesù del gruppo della Sant'Anna nel
cartone attualmente posseduto dalla Royal Academy di Londra. Ed
oggi ancora mi vengo confermando nell’opinione che, se non in
via assoluta (non possedendosi tutti gli elementi di giudizio), certo
in via relativa, il disegno sia da ravvicinare piuttosto a questa che
a quell’opera. L’orientazione del volto secondo una linea diagonale
che differisce notevolmente dalla linea quasi perpendicolare, che
l’asse mediana del viso ha nei due esemplari della Vergine delle
Roccie; il modo nel quale sono trattati i capelli, più radi e meno
ricciuti che nel San Giovannino; la maggiore sporgenza della guancia, e dell’occhio sinistro, dovuta anch'essa alla diversa inclinazione
del capo; e, per la stessa ragione, l'orecchio, diversamente situato
rispetto alla curva del mento e all’altezza degli occhi; i tratti più
infantili; tutto ciò mi sembra rendere abbastanza persuasivo il doppio confronto, che permette di staccare il disegno dalla serie di
quelli che riguardano la Vergine delle Roccie e di ravvicinarlo, se
non di ricollegarlo senz'altro, al cartone della Sant'Anna. Qualche
diversità si nota invece nell'apertura degli occhi, più abbassati nel
cartone che nel disegno. È questa una modificazione che avrebbe
potuto avvenire, per le esigenze della composizione, dopo che la
testa fosse stata riportata. Giacchè il disegno del Louvre è,
come il ritratto d’ Isabella d’ Este, pure esistente nella stessa collezione, sforato lungo il contorno, avendo evidentemente servito
per un riporto (1).
(1) Non ho avuto l'opportunità di verificare, nè nelle presenti circostanze
potrebbe esser dato di farlo, se le dimensioni della testa nel disegno e rel cartone si corrispondano. Mi limito a notare che la sovrapposizione di un lucido
Go ogle E
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 503
lo sono inclinato a credere che Leonardo eseguisse il superbo
studio posseduto dalla Royal Academy in tempo assai vicino all'esecuzione dell’altro cartone, che suscitò tanta ammirazione in
firenze nel 1501, senza per altro indurmi ad identificarlo con
questo, giacchè la descrizione, che ce ne ha lasciato, in un noto
documento (1), Fra Pietro da Novellara, accenna piuttosto ad un
aggruppamento, che sì trova in relazione colla S. Anna del Louvre,
ed al quale Leonardo è giunto attraverso diversi stadî d’ideazione, alcuno dei quali ancora attestato. La composizione della /®oya/
Academy, nella quale il tema si variava, usciva matura da un’altra
serie di tentativi e di schizzi, ma non fu per questo, a quanto pare,
condotta in pittura dal maestro, e la diffusione, che essa potè avere
per parte degli imitatori, rimase limitata, Il Luini ebbe la fortuna
di vederla e ne sentì tutta la dolce poesia consona al suo temperamento pittorico (2). E si potrebbe, tra l'altre cose, chiedersi se
il disegno del Louvre, che, come si è visto citando il Berenson,
non è, neppure per questo critico, al riparo da ogni discussione,
non si debba annoverare invece tra gli studî che hanno servito al
Luini per eseguire il dipinto dell’Ambrosiana. Senonchè la diversità, già notata, nell’apertura degli occhi, che si vedono ugualmente
abbassati (in direzione del San Giovannino) così nel cartone della
Roval Academy come nel quadro luinesco, sembra escludere che
in un disegno, che dovrebbe considerarsi intermedio tra l'originale
e la copia, potesse alterarsi tale particolare. I critici, se vorranno
consentire nel ravvicinamento fatto, potranno con maggior sicurezza
commentarlo. |
E vorrei terminare con qualche brevissimo contributo allo studio dei lavori di Leonardo per la Cena. Un disegno a matita rossa,
appartenente all'Accademia di Venezia ‘3), è stato da lungo tempo,
dei disegno ad una riproduzione del cartone, nella quale le proporzioni della testa ‘
siano poco differenti, riesce favorevole al confronto. Nel disegno del Louvre, la
tinta che ricopre il resto del foglio sul quale esso si trova, sembra occultare linee
di scritto.
it) Cfr. Archivio stor. dell’ Arte, I, 1888, p. 45.
(2) Si veda, su questo dipinto, L. BELTRAMI, Luinî, Milano, Allegretti, 1911,
pp. 526, 525-557; A. RATTI, Ancora della « Sacra Famiglia » di Bernardino Luini
in Rassegna d’Arte, marzo 1912.
(3) Raccolta dei disegni. Cornice 46, n.° 254.
104 GEROLAMO CALVI
studiato quale prezioso documento del lavoro preparatorio del
maestro. Del foglio, che porta anche, di mano del Vinci, le indicazioni
dei nomi degli Apostoli, si è ultimamente contestata l’autenticità da
qualche critico d’arte (1). Certa rigidità nel modo, col quale sono
tratteggiate le figure, poteva suscitare qualche diffidenza senza
tuttavia estendersi a tutta la loro serie. Nella scrittura alla sanguina, minuta e quale può attendersi nel periodo della Cena, non
appare alcun indizio di falsificazione. Onde, a fronte di qualche
voce isolata, benchè autorevole, prevalgono sempre i difensori dell'autenticità del disegno. A me sembra che non soltanto si debba
dar ragione all’ opinione comune, ma anche si possa cercare il
modo di spiegare quelle (se è lecito dir così) deficienze, che hanno
fatto ribellare qualche critico. Nell’ abbozzo dell'Accademia di Venezia sono disegnati, come in una rapida rassegna, curante forse
più delle note personali e delle attitudini dei singoli Apostoli che
della composizione, Gesù con tutti i personaggi della scena sacra.
San Giovanni, a sinistra del Divin Maestro, s'è abbattuto sulla tavola, tenendo il viso afflitto tra le braccia conserte, e occulta gran
parte del braccio e della mano sinistra del Cristo, che stende la
destra nella direzione opposta, avendo dallo stesso lato San Pietro
e il piatto (disposizione analoga a quella di un disegno di Windsor), appena accennato da una rapida linea circolare, al quale accosta la sua mano il traditore. Ravvisiamo una raffigurazione non
inerte, ma tradizionale, quale potevano concepirla Giotto, o il pittore, che ha dato in qualche grado alle figure della Cena frescata
a Viboldone (ed un parallelo poteva forse trovarsi nella chiesa madre
di Brera, ben nota a Leonardo) moto, vita comunicativa, contrasto. Il
disegno di Venezia, che si concatena strettamente alla tradizione e
rivela un’esecuzione affrettata, schematica, potrebb’essere un abbozzo direttamente eseguito, ‘per scopi mnemonici, dinanzi ad una
rappresentazione preesistente della Cera, dipinta, o miniata in un
codice. Per contenere tutto il disegno, fatto alla sanguina, sul foglio
di piccole dimensioni, ch’egli aveva alla mano, Leonardo ha diviso
—_— —————__—
(1) Carro Loeser, Note intorno ai disegni conservati nella R.-Galleria di
Venezia, in (assegna d’Arte, III, 1903, p. 183, ritiene questo disegno « una vol-
« gare parodia della grandiosa composizione », e aggiunge: « dovrebbe essere
« anche questa eliminata dai disegni attribuitigli ».
Go ogle ù
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 505
la scena in due sezioni sottoposte l’una all’altra (1). Il numero delle
figure è di tredici, quindi completo: alla maggior parte di esse il
Vinci ha scritto sopra il capo, il nome, omettendelo solo per uno
degli Apostoli, e per le tre ‘persone, che la rappresentazione basta
ad indicare chiaramente : il Cristo, S. Giovanni e Giuda. Di uno
degli Apostoli poi, e cioè di Filippo, è ripetuto due volte il nome,
su due figure diverse. Delle attitudini che si trovano su questo disegno non . è stata adottata, nella pittura di Leonardo, che quella
di Simone, il quale vi serberà anche lo stesso posto che nell’ab.
bozzo (2). La matita rossa è il mezzo che serve molto spesso a ,
Leonardo per fissare le sue impressioni momentanee e, per dir
così, di viaggio.
Tutte queste coincidenze, cioè lo stile tradizionale delle figure
centrali; il carattere del disegno che sembra offrire una serie di
indicazioni piuttosto che una composizione tutta ordinata da uno
spirito personale; la ripetizione, per raccordo, all’estremità sinistra
della sezione superiore, di una parte della figura ch’è prima a
destra nella sezione inferiore, i nomi segnati sopra agli Apostoli,
mi hanno fatto ritenere non improbabile, come ho accennato, che
Leonardo abbia qui desunto da un altro e più primitivo autore
una traccia, specialmente per la determinazione degli Apostoli.
Senonchè altre considerazioni, connesse, per esempio, coll’attribuzione del nome di Filippo a due distinte figure; o coll’accennata adozione, che sarebbe già definitiva, dell’attitudine di Simone;
o col tentativo, che nel disegno di Venezia già apparirebbe chiaro
di ottenere, con un partito, che nella pittura si vede generalizzato,
il collegamento di tre figure in gruppo (all'estrema destra della
tavola: si osservi il braccio proteso, che un Apostolo fa passare
dietro ad un altro, giungendo a toccare la spalla di un terzo), presentano qualche non lieve obiezione a tale congettura, ch’io stesso
vorrei per ora, più che propugnare, proporre alla discussione.
Più risolutamente può invece richiamarsi un particolare delle
ricerche per la Cena, leggendo un laconico e significativo frammento vinciano, che si trova a fol. 6 recto del codicetto S. K. M. Il,
(1) Cfr. BeLtRAMI, La ricomposizione di uno’ studio di Leonardo per il Cenacolo in Raccolta Vinciana, fasc. VI, pp. 118-122.
(2) Della figura di Giacomo Maggiore ritiene inoltre in parte l’atteggiamento quella di Filippo nella Cena.
506 GEROLAMO CALVI
e che (se mi sono apposto bene nel completarne la lettura fattane
già dal Richter) si riferisce a un dettaglio, al quale Leonardo pensava, nel disporsi a dipingere la figura del Cristo.
Non v’ha dubbio che Leonardo abbia lungamente meditato
come plasmare, secondo la dignità del soggetto, il volto e la figura del Cristo. E tuttavia è in un’attenta ricerca obiettiva ch’egli
anche ad uno scopo così alto, raccoglie gli elementi per una rappresentazione perfetta. Nel piccolo ms. S. K. M. II, uno di quei
libretti da tasca, che servivano a Leonardo per le note giornaliere e occasionali, si trovano due appunti, che riflettono la ricerca,
nel primo di essi forse soltanto rivolta allo studio di un precedente iconografico, nel secondo (quello che desidero qui segnalare)
intesa ad uno dei dettagli, che il pittore andava spiando dal vero.
Il primo, già noto nella sua vera lezione,
€ CrISSto
« giovan conte quello del chardinale del mortaro » (1)
può dare argomento a credere sia che Leonardo trovasse in Giovan
Conte (2) caratteristiche degne di studio (3) per la figura, che il
Vinci voleva idealmente elaborare, sia ch’egli pensasse studiare il
tipo del Cristo quale si trovava in qualche dipinto, che potesse
tornargli particolarmente interessante per essere d’origine orientale
(come le imagini edessene) o per qualche altra ragione iconograficamente degno di considerazione, e potesse vedersi presso Giovan
Conte od il cardinale del Mortaro, o da questo (secondo l’ interpretazione più naturale del passo) fosse pervenuto nelle mani di
quello.
L'altro appunto, del quale non credo che si siano sin qui rilevati il significato e l'importanza, si trova, poco più avanti, nello
(1) Fol. 2 recto; cfr. J. P. RicutER, The literary works etc., I, $ 667.
(2) Non so dire se possa trattarsi dello stesso personaggio, ch’ è nominato
in documenti sforzeschi del tempo di Galeazzo Maria, pubblicati dal BELTRAMI
(cfr. Il Castello di Milano, 22 ed. cit., alle pp. 282, 294, 295, 311-322, 366-367).
Il nome di un Johannes de Comite, iscritto nel Pio Luogo- della Misericordia il
4 febbraio del 1476 e morto il 21 gennaio 1522, si trova pure nel documento
pubblicato da F. CaLvi in questo Archivio, X1X, 1892, p. 745.
(3) In questo senso il frammento è inteso dal RICHTER (l. c.), dal SOLNI,
Leorardo cit., p. 101, e dal Maiaguzzi, Bramante e Leonardo da Vinci, cit., p. 513.
Go ogle î
CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 507
stesso ms. (a fol. 6 recto) ed è scritto, come il precedente, a matita rossa, al modo solito delle note occasionali del Vinci: lo riporto dalla mia trascrizione di su l'originale, trattandosi di passo
che fu letto inesattamente:
« alessandro charissimo
(se) da parma per la man di xpo. »
Il Richter (Zhe. literary works etc., cit., $ 1403, Il, p. 425) trascrisse imperfettamente l’ultima parola, e interpretò male la frase,
traducendo: « My dear Alessandro from Parma by the hand of.... »
Ma la parola carissimo è il cognome del personaggio nominato
sul frammento, e l’ultima abbreviatura della frase è quella del
nomen sacrum, tradizionalmente usata pel nome di Cristo. Leonardo
aveva dunque trovato in Alessandro Carissimo da Parma (1) un
particolare — la mano — del quale gl’interessava lo studio per ‘
la figura divina nella Cena ; e il frammento ci dimostra primieramente a qual punto Leonardo spingesse la sua ricerca tra le
forme offerte dalla realtà, per valersene nella incarnazione dell'ideale concepito, in secondo luogo come fosse l’ideale stesso
rappresentativo che attraeva a sè gli elementi, che gli convenivano,
e non un semplice realismo d’imitazione, che assorbisse quella. Il
che può anche mostrarci in qual senso sia da intendere ciò che troviamo detto nell’ Ztinerarto (2) del cardinale d'Aragona, che vedeva,
nel secondo decennio del secolo decimosesto, a pochi anni di distanza
(1) Il personaggio nominato nel frammento Leonardesco appartiene, secondo
ogni probabilità, alla stessa famiglia parmense, dalla quale è uscito l’omonimo
Alessandro Carissimi, che fu vescovo di Castro dal 15 dicembre 1615 al 1631,
anno nel quale mori (cfr. AFFò, Memorie degli scrittori e letterati Parmigiani,
T. V, p. 14). La famiglia fioriva in Parma anche nel secolo precedente. Un
Battista Carissimi nel 1532 è deputato dal Comune di Parma a correggere ed
approvare gli Statuti dell'Arte de’ Merciaj (op. cit. [continuazione di ANGELO PEZzZANA] T. VI, P. II, Sez. II, p. 687). Un Angelo Carissimo si trova agli stipendi
del governo francese nel 1s1o (si veda l’Estat de Millan pour lannée finissant
mil Vc dix, pubblicato in appendice alle Chroniques de Louis XII di JeAN D'AUTON,
edite a cura di R. pe MAULDE, Paris, Renouard, 1891, II, p. 359 (Ratiornnateurs
generaulx).
(2) Cfr. Pastor, Die Reise des Kardinals Luigi d’ Aragona ecc., Freiburg in
Breisgau, p. 176.
508 GEROLAMO CALVI
dall'esecuzione della Cera, il capolavoro già minacciato da rovina:
« Li personaggi di quella son de naturale, retracti da più persone
« de la Corte et de Milanesi di quel tempo di uera statura ».
Di ciò che un remotissimo e forse insigne cicerone potè riferire a
quell’ illustre viaggiatore noi non concluderemo che Leonardo
abbia asservito la rappresentazione sacra ad una preoccupazione
ritrattistica, ma riconosceremo con quale penetrante ricerca egli
abbia spiato e colto nell’umanità passeggera che lo circondava,
gli elementi, coi quali egli aspirava a rendere in modo universalmente vero la scena eterna.
GeroLAMO CALVI.
Go ogle :
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
OSSIA
CATALOGUS TOTiuos CLERI CIVITATIS ET DIOECESIS MEDIOLANENSIS, cuM TAXA A SINGULIS SoLVENDA PRO SUSTENTATIONE SEMINARII INIBI ERIGENDI —
compilato l’anno 1564.
(Continuazione e fine, vedi fascicolo precedente).
Canonica de Cliviascha.
997. Canonicato alias de d.no Rocho Quadrio . Li 1 S.15 D. 3
n de d.no Petro di Ferrari. 4 4 —
‘ n . Bernardino Somatio 4 12
1000. 3 È Primo Santio. I 18 5
Rettoria de Santo Stephano de Tesserario 3 IO
ì de Santo Vitto de Carnago . a I 8
Cappella de Santo Stephano de quelli di Husoli 3 — _
Pa de Santo Stephano de Cliuiasca . — 16 —
È de quelli de Somatio . ; ; . — 6
Canonica de Santo Geergio de Cornate (1).
1006. Canonicato de d.no Antonio Biffo . « Le Si 8° Do
n a Jacomo de Scotti. 7 — —
È » Francesco Cavenagho 3 4 —
i alias de d.no Jo. Petro Bexana I IO —
(1) Vedi al n. 109 l’Arcipresbiterato.
gIo MARCO MAGISTRETTI
Canonica de Santo Petro de Corniano (sic).
1o1o. Canonicato de d.no Hieronimo di Regni (1) L.
i ; Francesco Buzzo
» s Jo. Batta Castano
» » . Ambrogio Filagho
Rettoria de Santo Michele de Trocaciano de
d.no Jo. Antonio Majoragio . L.
I01I5$. A de Santo Andrea de Albignano de
d.no Stephano Raimondo . ?
A de Incugnate de d.no Georgio Rettaino
x siue Cappella de Santo Alessandro et
Margaritta de Melzo
Cappella de Santo Andrea de Melzo de d no AI
berto da Ello
; de Santo Ambrosio de Melzo di d.no
Francesco Barengho }
1020. di de Santo Johanne de Cassano sopra
Adda de d.no Petromartire Pozzo
è de Santo Hieronimo nela chiesia de
S.to Ales.ro et Margaritta de Melzo
de d.no Jo. Antonio Maioraggio .
Rettoria de Santo Georgio de Corniano de d no
Jo. Paulo Vittale
Canonica de Santo Vittore de Caxorate (2).
1023. Canonicato de d.no Christophoro da Rò. L.
de —— (sic)
1025. Cappella de Santo Jo. Batta in Santo Vittore
de Caxorate de d.no Francesco di
Radici È
ì de Santo Antonio de TAN de d.no
Stephano Rotia
ed dee
UI
13
12
II°
o.
ui
. II
16
19
(1) Manca l’ indicazione della Prepositura della Canonica di Cormeligno, che
pure figurava nel 1398.
(2) Vedi ai nn. 121-122 la Prepositura e la Rettoria di Besate.
LO ogle ui
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
Clericato de Santo Prothasio de Caxorate de
d.no Agostino Visconte . a
Cappella de Santo Alessandro de Bexate de
d.no Thomaso Sacco
Rettoria de Santo Cosmo et Damiano de Pesti.
ragho de d.no Bartholomeo d’Abbiate .
1030. Cappella de Santo Cassa de la Motta del
fiolo de d.no Donato Moneda
Rettoria de Santo Antonio da la Motta de d.no
Jacomo Suardo ; :
de Santo Inuentio de Gazzano de d.no
Battista di Re
Canonica de Dairagho (1).
1033. Canonicato de d.no Carolo da Varexio . L.
: x Benedetto da la Croce
1035. i > Christophoro dala Croce
Prete Petroimartire Seregno
Jacomo de Vaghi
Battista dala Croce
Cappella de Santo Johanne evaugelista nela
chiesia de Santo Genexio de Dairagho de d.no
Andrea Rozza .
1ogo. Rettoria de Santo Saluatore de Busto Garolfo
de d.no Battista Fossato celo
de Santo Martino de Inuruno de d.no
lo. M.a Bonacina ;
de Santo Georgib de Cugiono de d.no
Antonio di Negri A
de Santo Jacomo et Filippo de Casteletto de d.no Georgio Beolco
de Santo Vittore de Padregnano de
d.no Ambrosio Pechio
IO
”; UV 00 0
14
12
20
24
18
16
(1) Vedi al n. 139 la Prepositura con una Cappella di Dairago.
Go ogle
SII
512
1045.
1050.
105S.
1060.
MARCO MAGISTRETTI
Rettoria de Santa Maria de Turbigo de dno
Johanne Ferraro . L.
; de Santo Michele de Mapiagho de d.no
Redolfo dala Croce.
3 de Santo Petro de Borsano de duo
Romulo Massalia
a de Santo Zeno da Castano de o
, Ambr.° Piantanida .
Un'altra portione de la sudetta rettoria de d.no
Battista Cantono î
Cappella de Santo Ioanne de Castano con la
Cappella de Santa Maria del sudetto Cantono
Rettoria de Santo Eusebio d’Arconato de d.no
Gaspar Settara .
Cappella de Santa Maria L'Avconate de. dino
Melchion de Ferrari seu de d.no
Laurentio de Tabi). i
7 de Santa Maria de Borsano del. ss. to
Ferraro
u de Santo Bartaluimeo di Busto Garolfto de d.no Io. Maria Bertolio .
Rettoria de Santa Maria de Buscate de d.no To.
Petro dala Porta seu d.no Ioanne de Ferrari
Cappella de Santo Thadeo et Santo Antonio de
d.no Aloisio Modono
; seu Clericato de Santo Mauritio de Gu:
giono de d.no Bernardino de Pino
x de Santo Remigio de Busto Garolfo
de d.no Stephano Pusterla
i de Santo Antonio de Santo Ottolino
(sic) de d.no Ioanne Ghiroldo
: de Santa Margaritta de Busto Garolfo
de d.no Battista Fossato
Canonica de Santo Donato in Stratta.
1061, PP. de Santo Donato alias de d.no Agostino
1065.
Cadamosto P O
Canonicato de d.no Ladevico Giranio
i ; Hieronimo Bencacciato
» » Hieronimo Luppo
ù ; Cesare Bosso seu Hector
Coyro
î
6 S. 3 D. —
19 14 _
12 4 —
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8 IO 6
8° — _
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4 18 —
2 10 —
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se 12 =
8 da cui
I 12 _
4 IO —_
7 S.tio D. —
II 8 —
7 12 3 3 du DE
3 8
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
Canonicato de alias de d.no Otto da Monza. L.
A de d.no Francesco Barengo
alias de d.no Batta Balestrero
Rettoria de Santa Maria de Poascho ‘de d.no
Franc.° Tradato seu d.no AloisioRuscono. L.
1070. Rettoria de Zello de d.no Cesare Bosso .
i de Morsenchia 9
Clericato de Santo Sirro de Triuultio alias de
d.no lacomo Filippo Bagio .
Canonica de Santo Zenone de Decimo (1).
1073. Canonicato de d.no Agostino Tessera. L.
ù in loco de d.no Hectore Coijro
1075. ) de d.no Battista Castigliono
sa alias de d.no Io. Antonio Criuello .
a de d.no Gabriel dala Croce
î ù Antonio Litta
Rettoria de Santa Maria de Zibibi de d.no Ambrosio di Ratagij . ; i da
1080. Clericato de Santo Iacomo de Zibido de d.no
Francesco Bernardino Sellanoua .
Un altro clericato in detta chiesia alias de d.no
Fabricio Criuello
Rettoria de Santo Petro de Cucigho de dino
Bernardino di Bianchi . ;
Cappella siue Rettoria de Santo Bartolomeo de
Siciano de d.no Francesco di Oliva
Rettoria siue cappella de Santo Siluestro de Badilio de d.no Battista Figino .
1085. » "de Santo Donato de Cazxiragho con la
cappella de Santo Petro de Mettono
; de Santa Agatha de Basilio de d.no
Benedetto seu Bernardino Lesia .
3 de Santa Maria de Badilio de d.no Anibal del Conte
i de Santa Maria de la Chiarella “ d.no
Hieronimo Caluo
(1) Vedi al n. 117 la Prepositura.
Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. III.
Leni
C0 te @ ndui ome N
IO
II
II
18
33
514 MARCO MAGISTRETTI
Canonica de Santo Materno de Dexio.
1089. PP.» de Santo Materno de Dexo de d.no Io.
Antonio Strata. x c |
1090. Canonicato de d.no Baldesar Biffo
»
»
”
”
Z09S. »
”
L)
L)
”
1100. ”
Francesco Besozzo
Georgio de Cogliate .
Petro da Crema. :
Bernardino di Pansechi
Innocentio da Cogliate
Battista Pozzo
Innocentio di Pansechi
Francesco da l’Orto .
dllae de d.no Francesco Lemo seu
Hieronimo Guenzato .
de d.no Paulo Pozzo
ù Francesco de la strata
, Ioanne Malberto .
A Francesco Casteletto .
Rettoria de Santo Pancratio de Boisio de d.no
Z105. %
IIIO.
de
de
de
de
de
de
de
de
de
de
Io. Petro Formento. : » SL
Santo Petro de Varedo de d.no
Filippo Pozzo .
Santo Martino de Parazola de d.no
P.r0 Oropello
Santo Nazaro de Liviano
Santo Michele de Paderno de d.no
Francesco de Brusatoribus
Santo Martino de Cusano de d.no
Io. Petro di Conti .
Santo Martino de Balsamo de d.no
Thadeo di Maueri .
Santo Ambrosio de Cinixello de
d.no Benedetto Auerta .
Santo Petro de Mugloe de Uno
Antonio Rozono
Santo Ambrosio de Néuate de d.no
Georgio da Cogliate sive Antonio
Santo Martino de Biassono de d.no
Battista Pirouano
"xi I» p v ne
LO ogle
privi ui L dn
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S.
12
16
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
1115. Rettoria de Santo Stephano de Vedano de d.no
Battista Cermenato. _. . L.
Ù de Santo Geruaxio et Prothasio de Macherio de d.no Michele di Bazij
Ù de Santo Vittore de Seregnio de d.no
Bernardino Agostino
È de Santo Petro et Paulo de lissone
de d.no Ioanne da Mongutio.
; de Santo Ambrosio de Seregno de d.no
lo. Maria da l’Orto. : A
1120. Cappella de Santo Cosmo et Damiano de Blaxono de d.no lacomfilippo Mezabarba
ni de Santa Maria in Siluis Pi d.no ) Stephano Pusterla de d.no Iacom’Antonio da Cantonu
Canonica de Santo Petro et Paulo de Deruio.
1122. PP.ra de Deruio de d.no loseph de Regibus L.
Canonicato de d.no Io. Antonio Sottocasa
Ò ; lulio de Stuppis .
1125. * alias de d.no Bertholino Sormano.
n ; E Simone Caxato .
i Pi Ù Iacomo Buzono.
Rettoria de Santo Thomaxo de Coreno
A de Santo Martino in Montanea de d.no
Io. Petro Guasco :
1130. E de Santa Agatha de Tremenico .
Cappella de Santo Nicolao et Georgio de Deruio
Canonica de Sante Petro de Gerenzano.
1132. PP.ra de Gerenzano alias de d.no Hieronimo
Cattia “ . s- de;
Canonicato de d.no Hietonima Giendito..
A È Hieronimo Codegha . .
1135. i i Ambrosio Balbo .
. ge Bernardino Caimo
1 ; lacomo Aliprando
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IO .
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I
516 | MARCO MAGISTRETTI
| Canonica de Santa Maria de Gallarate.
1138. PP.r de Santa Maria de Gallarate de d.no Camillo Lomeno . è Ò v. dl
Canonicato de d.no Ambrosio Balbo .
IIS. ” lo. Stephano Luino
Francesco Ierago.
loanne Mantegatia
Io. Angelo da Ferno Seniore
Alberto Raxino
Francesco Ursino
Maijno del Pozzo
Georgio Lomeno
Andrea de Clapis
Battista Rigono .
1150. ” Î Agostino Ferno .
i i Leone Castigliono
s » Iacomo Cardano .
È i Francesco Resnado
3 » FrancescoOlgiato siue d.no
Battista Moneda
11SS. 2 A Hieronimo Finallo
a Ù Georgio Ursino .
IIgj. ”
3
3°îa 2 si 3xe
% è
Cappella de Santo Petro Gallarato de d.no
Georgio Lomeno ;
; Corporis Xpi in Santa Maria de Gal:
larate de d.no Francesco Resnado
è de Santo Antonio de Gallarate de d.no
Ludovico Undegardo
1160. ” de Santo Stephano de Gallarate de
d.:no Francesco Ierago ;
? de Santo Iacomo seu rettoria de Ierago
da d.no Francesco Pallauicino
Rettoria de Santo Martino de Ferno de d.no
Martino di Brusatori da Ferno
Item per la cappella de Santo Francesco in
detta chiesia . :
Rettoria de Santo Saluatore de Samarate de
d.no Francesco da Daverio
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Il
14
16
14
18
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(CA)
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
1165. Rettoria de Santo Anastasio de Cardano de d.no
Io. Antonio Purusello . +
a de Santo Nazario de Arnate de d.no
Ambrosio Ferno
n de Santo Georgio de Cediatà de d.no
Francisco Rusnagho i
ù de Santa Maria dal Corno de d.no logn:
ne de Cairate in Cassano Magnagho
ù de Santo Ambrosio de Bolladello de
d.no Io. Ambrosio Martignono
1170. z de Santo Iulio siue cappella de Cassiano Magnagho de d.no Gaspar
Crespo | ‘
» de Santa Maria de Peneraniia del preuosto de Castano
Cappella de Santo Mauritio, de Sulbiate uni
l'Arno de d.no Sigismondo di Bianchi
Rettoria de Santo Alessandro de Albizate de
d.no Ic. Antonio Carnagho
Cappella de Santo Ludovico et Ioanne decollato
de Albiate de d.no Battista Bosso.
1175. Rettoria de Santo Martino de Benate de d.no
Cras’ Antonio (sic) .
i de Santo Eusebio de Cayello de: d.no
Battista di Bianchi .
n de Santo Stephano de Ugiona de d.no
Paulo da Samarate.
Cappella de Santa Maria de Ugiona gltas sr
d.no Bonaventura Castigliono nunc
d. Ambrj. Balbi
Rettoria de Santa Maria de Valle dA fn A
d.no Iacomo Ghiringhello
1180. Cappella de Santo Georgio de Ieragho de d.no
Francesco Pallauicino i
i de Santo Ambrosio de Lonato Pozoldo
de d.no Ambrosio Caremoro Piantanida G *
Un’altra portione de la ss.ta rettoria de d.no
Iulio Spetia
Cappella de Santo loanne Evangelista in i Santa
Maria de Lonapozoldo de d.no Aloisio Modono
ù de Santa Maria in Santo Nasino de
Lonapozoldo de d.no Ambrosio
Plantanida . cd s
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4 —
518 MARCO MAGISTRETTI
1185. Cappella de Santo Bartolomeo in Santo Ambrosio de Lonapozoldo de d.no Io.
Petro Carcano. - . i: è. Le #5. 6 Di,
; de Santo Ioanne in Santo Anastasio de
Cardano de d.no Iacomo Cardano 1 15 3
Canonica de Santo Geruasio et Protasio de Gorgonzola (1).
1187. Canonicato de d.no Gabriel Pagano . . L. 17 S.19 D. 5
3 alias de d.no Leoncio Antiquario . 1 4 <—
ù alias de d.no Andrea Vimercato 3 5 —
1190. ù de d.no Francesco Sola . I 19 9
A de d.no Battista Filagho . P . 3 o) 2
n =. alias de d.no Ioanhe Canario. 3 — —
x de d.no Francesco Roncadello I — —
n de d.no Melchior Bilia . ; . 24 I 4
1195. a alias de d.no Bernardino Gafurro . 1 15 3
”» de d.no Bernardo de Grotij ouer
de Brotij . é . « # IO —
; alias de d.no Francesco A Negri . I. — —
; alias de d.no Bernardino de Pino
nunc de d.no Francesco Resta 3 Is 8
E de d.no Francesco Barengo . 5 a =
1200. » —de d.,no Cesare Bosso 3 16 —
" de d.no Ludovico Brughora 93 4 —
x de d.no Battsta dala Baretta . 2 — —
ù del S.r Caxato Senatore alias. 3 IO —
i de d.no Hieronimo Triuultio . 3 — —
1205. i in loco de d.no Petr’Antonio Marlo 3 18 —
î alias de d.no Siluestro Gruello 3 — —
s alias de d.no Aloisio Bosso I —_ —
Rettoria de Santa Maria de Inzagho de d.no
Hieronimo di Leoni i 6 -- —
i de Santo Lazaro de Trexella de d.no
Galeaz Glussiano . 8 6 n
1210. Ù de Santa Maria de Pozolo (2) de d.no
Ludovico Lampugnano . È . 20 — _
(1) Vedi al n. 1x4 il « Clericato de S. Maria de Colciellata » (sic), manca
però il beneficio prepositurale, che esisteva già nel 1398.
(2) Al n. 131, è indicata una « Cappella de Brenna con la chiesa de Poz-
« zolo » — Brenna però dovrebbe appartenere alla pieve di Mariano.
Go ogle
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
Rettoria de Santo Michele de’ Birinzagho de
d.no Benedetto Marliano - SL
de Santo Ioanne de Masate de d.no
Deodato Oxio .
de Santo Zenono de Cambiantio ded. no
Antonio Besozzo :
de Santo Petro de Glassiate de dn
Ambrosio Tonso : i
1215. Ù de Santo Cornelio et Cipriano de Bornagho de d.no Hieronimo Pozeto
de Santo Nazaro et Cornelio de Bussero de d.no Battista Castiono
de Santa Maria de Cernusculo Asinaro
de d.no Andrea Castiono
de Santa Catterina nela sudetta chiesia
del sudetto Castiono
Clericato de Santo Genexio de Cernuscalo
2220. Canonicato de d.no Petro Paulo Bosso
Rettoria de Santo Ambrosio de Vignate de d.no
Io. Petro Verona . A ;
Clericato in detta chiesia de d no Bapta Cermenato a ì
Rettoria de Santo Vitale et Valeria de Pessano
de d.no Angelo Gauante
Canonica de Santo Vincentio de @allano.
1224. PP.rade Galiano alias de d.no Filippo Archinto L.
1225. Canonicato de d.no Iacomo Grasso
Jo. Batta Cermenato .
ù Francesco Sola
Andrea Carchano : ù
, Francesco Cermenato.
1230. È è Antonio Verano .
sè i Gasoar da Ello
è » Francesco Pozzo.
Angelo Cermenato
o Francesco Cermenato.
1335. 5 x Hermes Predasanta
loanne da Ello
Ioanne Vettera .
Filippo Archinto .
Iacomo Predasanta
I5
Il
14
‘15
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Mi OD PtWD IO foto (I) Od de N a 9
IO
519
520 MARCO MAGISTRETTI
1240. Canonicato de Guglielmo d'Alzate . €. L.
x de d.no Antonio Cattanio
de d.no Antonio Litta
A alias de d.no Alberto Cattanio
Cappella de Santo Io. Batta de Galiano .
1245. n de Santo Abdon et Zenis nela chiesia
de Galiano de d.no Iacomo Grasso
Rettoria de Santo Paulo de Canturio (1) per
una portione de d.no Jo. en
di Arienti.
Un'altra portione dela sudetta ettari de d.no
Frahcesco Barengo.
Rettoria de Santo Petro de Vighizolo de dino
Paulo Carcano.
i de Santo Leonardo de Tntintiano de
| d.no Donato Marudo ì
1250. Cappella de Santo Georgio de Casteletto de
d.no Francesco Sola
i de Santo Christophoro di Cantorio
alias de d.no lacomo di Piatti nunc
de d.no Francesco Solla. i
Rettoria de Santa Agatha de Rozagho de d.no
Francesco Sola
Cappella de Santo Bartholomeo et Theodoro
de Canturio de d.no Joanne da Ello
Rettoria de Santo Geruasio et Prothasio de
Cugiagho de d. loanne di Grassi .
1255. Cappella de Santo Michel de Canturio alias de
Archinto .
Rettoria de Nouedrate de d.no Ludovico Radice
i de Santo Petro d’Alzate de d.no Stephano Balduino o : a
ù de Santo Georgio de Carimate .
Item per la rettoria de Santo Alessandro de
Carimate .
1260. Rettoria de Santa Maria et Martino de Figino
de d.no Io, Maria Ubizono
% de Santo Antonio de Prato dele Monache de Santa Maria al Monte .
Ù de Santo lIoanne Evang.ta de Montorfano de d.no Pagano da la Chiesia
4 aI U
IO
13
8
8
12
14
12
14 8
(1) Al n. 377 è registrata anche una « Preceptoria di S. Antonio de Can-
« turio ».
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
Cappella de Santa Maria nela sudetta chiesia
del ss.to Pagano . ; Li
: de Santo Marco de Canturio de d.no
Francesco Sola i
126;. o de S.to Antonio de Vighizalo dere Monache de S.to Ambr.° de Canturio
Ù de Santo Juliano fora de Canturio, de
d.no Jo. Antonio Borrono
i de Santo Appollinare in Santo Theodoro de Canturio de d.no Bartholomeo da Ello .
Canonica de Santo Stephano et Agnexa de Garlate.
1268. PP. di Garlate de d.no Vittore da Riva (1) L.
Canonicato de d.no Gaspar da Castano
1270. ; i Battista da Riva.
Li n Hieronimo d’Adda
È A Christophoro Isacho .
Rettoria de Santo Joanne Evangelista de Galbiate de d.no Vittore da Riua
Canonica de Santo Juliano ad Coloniam.
1274. Canonicato de d.no Francesco Buzo . « CL
» i Francesco Resta.
A Battista da la Baretta
è a Julio Cesare Belino
Rettoria de Vimodrono de d.no Jo. Ambr. Balbo
e
Canonica de Santo Juliano in Stratta (2).
1279. Canonicato de d.no Jacomo Visconte : Li
RA ; Antonio Criuello . ; .
E n Francesco Pozzo.
i ; Cesare Bosso ;
= alias de d.no Leoncio Antiquario .
È alias de d.no Francesco Imperiale.
1285. A de dmo Francesco Barengho, alias.
Lu]
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16
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(1) Vedi al n. 140 la medesima Prepositura di Garlate tassata per L. 338 s. 4.
(2) Vedi al o. 123 Ja Prepositura.
522 MARCO MAGISTRETTI
Rettoria de Santo Floriano de Triginto de d.no
Filippo Lainato : . L. 85. — D.—
” de Santo Martino de Oliario de d.no
Apol.° Scarauagio . ; . 8 — —
de Santo Marciano de Sexto Otiriano
alias del’Ep(iscop)o Simonetta —. 12 — —
” de Santa Maria de Bustighera de d.no
Polidoro . ° 17 a
1290. Clericato de Santo Joanne et Paulo è Mugloi
alias de d.no Jo. Petro Raxino . 2 —_ —
Canonica de Santo Fidele de Incasate.
1291. Arcipresbiterato de S. Fidele de d.no Julio Sinionetta . la ; - /L
Canonicato de d.no Stephano Porro .
Battista Bosso
; n Jo. Antonio Porro
1295. Ù Pi Jo. Petro Porro .
” ”
4 DSNQIU
Canonica de Santa Euffemia d’ Incine.
1296. PP. de S.ta Euffemia de d.no Ant. Carpano L.
Canonicato de d.no Battista Cermenato
Jo. Batta Confanonerio
i i Cristophoro Carpano
1300. 1. Lu Antonio dela Strata .
Pagano dala Chiesia .
alias de d.no Evang.ta Sant'Agostino
de d.no Antonio Subcasa
, . Antonio Carpano.
1305. s 5 Agostino Marliano
Alberto di Corti.
Nicolao di Judici.
alias de d.no Francesco Pallauicino
alias de d.no Xphoro dala Chiesia
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1310. Rettoria de Santa Euffemia d’Incino . . 8 — —
de Santo Petro de Bucinigho de d.no
Antonio Carpano . i I 6 —_
Item per la rettoria de Santa Maria et Marta
de Herba . : . « «È 18 5
Item per la rettoria de Santo Sezino Martirio
et Alessandro de Grauena . .- 4 — —_
Rettoria de Santo Bartolomeo d’Incino de d.no
Antonio Alciato i A ; . 12. — —
itzed y -
LIBER SEMINARI! MEDIOLANENSIS
1315. Rettoria de Santo Stephano de Canzo de d.no
Jo. Petro di Conti . i Li
de Santa Maria de Mazonio de d.no
Francesco Carpano.
de Santo Domitio de Proserpio SE d.no
Antonio Carpano
3 de Santo Petro de la Bivona CR d.no
Cristophoro ue Conti ;
de Santo Georgio de Corneno de d.no
Jo. Petro de Conti. : i
1320. Item per la cappella de l’Assumptione in detta
chiesia alias de d.no Paulo di Conti
Rettoria de Santo Georgio de Casteletto de d.no
Lanzalotto Vim.to .
de Santo Michele d’Anzano de d.no "Da
nato Pallauicino
i de Santa Maria de Masnagho dé d.no
Jo. Petro Sauiono ;
% de Santo Hippolito et Cassiano de Rozeno de d.no Ludovico Carcano
1325. s de Santo Martino de Orsinigho de d.no
Andrea Alzato.
de Santo Dionixio de Carchano de d.no
Agostino Algerio :
de Santo Vittore de Villa de d.no ; Donato Frigerio .
de Santa Maria de Casilio de d.no | Bal:
desar Pallau:cino . :
A de Santo Fermo de Scezana de d.no
Hieronimo di Nobili
1330. Cappella de Santo Petromartire de Herba de
d.no Francesco Carpano. 4
Rettoria de Santo Petro et Marzelino de Caluenzana de d.no Agost.° da Rippa
de Santo Joanne de Luragho de d.no
Ambrosio Giussano.
Santo Blasio de Mongutio de d.no Nicolo di Judici ;
Cappella de Santo Mauritio et Usi de
Herba de d.no Jo. Jacomo Vignarca
1335. Rettoria de Santo Vincentio de Galiano de d.no
Nicolao de Judici . è i
de Santo Jacomo de ia Ferrera sfiaa
de d.no Jo. Ant.” Pelizono, adesso
de d.no Francesco Carpano .
»
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Go ogle
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523
II
524 MARCO MAGISTRETTI
Rettoria de Santo Jo. Batta de Castromartire de
d.no Jo. Antonio Pelizono . L. 7 S. 15 D. 4
% de Santo Ant.° et Bart.° de Pallauicino 9 — —
de Santo Georgio de Calpuno de d.no
Andrea Glussiano . ; . 18 — "a
1340. Cappella de Santa Maria nela chiesia de Santo
Vittore de Villa de d.no Nicolao
di Judici . ; . - 9 — =
Rettoria de Santa Maria de Mazonio (2) de d.no
Francesco Pallauicino . i I 12 —_
Cappella de Santi Sebastiano Firmo et Nicolao
nela chiesia de Santo Niculao d'Anzano de d.no Donato Pallauicino . 1 10 —
Rettoria de Santo Clemente de Conserni. . 1 12 —
Ù de Santo Georgio de Ruzinada de d.no
Santo de Conti con la cappella de
Vilincino . ; 5 15 6
1345. s de Santa Maria de Mornigho Teri o di
Creuena . . 8 —_ _
Preceptoria de Santo Antonio ‘de Herba a
d.no Jo. Antonio Carpano . 2 —_ —
Canonica de Santo Magno de Legnano.
1347. Canonicato de d.no Hieronimo Guenzato. L. — S. 4 D.—
» ù Nicolo Gallasio . ; . — 19 —
È i Antonio Raxino . è . I — —_
2350. > t Jacomo da Monte : . — 6 —
Cappella de Santo Ambrosio de Legnano de
d.no Stephano Bosso . . 2 3 4
» de Santo Martino de Legnano de d.no
Marc’Antonio Legnano . ‘ 4 3 -
s de Santo Jo. Batta de Legnano de d,no
Jacomo Vismara . o é «9 6 —_
Rettoria de Santo Cipriano et Cornelio de Cerro
. de d.no Jacomo Criuello. ;
13SS. È de Rescaldina de d.no Baldesar Bosso 5 6 —
Priorato de l’Hospitale de Santa Maria de Legnano de d.no Bernardino dala
Croce ; i ; i . 18 12 —
=J \Ò | a
(1) AI n. 1315 già è indicata la rettoria di Mazonio; qui probabilmente si
tratta o di cappella o di porzione della medesima rettoria.
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LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
Canonica de Santo Stephano de Lezuno.
1357. PP.rs de Lezuno alias de d.no Hieron.° Cattia L.
Canonicato de d.no Thimotheo Molteno
ù Damiano Besozzo
alias de PP.to d’Angleria i
alias de d.no Francesco Picinello .
de d.no Baldesar Besozo.
» Jo. Jacomo seu Stephano
da Castiono . . i
È Primo da Luyno.
1365. Item per la cappella de Santo Michele de Montebello .
Canonicato de d.no Matheo da Montebello
Antonio di Bianchi
1360.
”» ”
Cappella seu rettoria de Santo Primo de Lezuno
de d.no Lantisberto da Besozzo .
È seu rettoria de Cerexolo de Santo Deffendente de d.no Lazaro da Riua
1370. Rettoria de Santo Jacomo et Maria de Leueno
de d.no Jo. Petro Carnagho .
Cappella seu rettoria de Santo Michele de Montebello de d.no Jo. Petro Luyno .
Rettoria de Santo Stephano de Mombello con la
cappella de Santo Nazaro de d.no
Leonardo Castiono .
Cappella de Santa Maria de Mobello (sio) del
ss.to Cattanio . î .
Canenica de Santo Georgio de Liscate.
1375. Arcipretato de Santo (sic) Bernardino de Busero . ì a - si
Canonicato de d.no Nijincsseo Cauenagho
ù i Hieronimo Parpagliono
; x Jacomo Filippo Mezabarba
alias di d.no Jacomo Filippo Baggio .
‘Canonica de Santo Geruasio et Prothasio di Lecco.
1379. PP.ra di Lecco alias de d.no Francesco Caxato L.
Canonicato de d.no Hieronimo d’ Ada
% Scipione Estense. i .
alias de d.no Matheo Beringardo .
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526
1385.
Canonicato alias de d.no Galdino Beolco, L.
MARCO MAGISTRETTI
Sì de d.no Vincentio di Longhi .
» ” Francesco Lomeno . i
Rettoria de Santo Georgio d’ Eguado de d.no
Battista Gauatio . ; :
Cappella de Santo Antonio de Lecco de d.no Ambrosio Bonnome
è Rettoria de Sancti Petro et Laurentio è d.no
Francesco di Gasparitii .
Cappella de Santo Bernardino de Lecho de d.no
Matheo de Bugho i ;
1390. Rettoria de Santo Andrea de Mazanigho .
de Santa Maria Mad con il Clericato
de Santo Martino d’Agro
Cappella di Santo Nicolao de Lecho .
Canonica de Santo Joanne de Monza (1).
1393: Canonicato de d.no Jo. Petro da Barzanore L.
1395.
1400.
1405.
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alias de d.no Joanne da Marliano .
Cesare Varexio .
Bartolomeo Melzo
Antonio Carpano seu d.no
Scipione da Castano
Carolo da Varexio
Battista Brianza seu Battista Varexo
Nicolao Billia
Alberto Marliano
Nicolao Cattia
Nicolao da Casteno
Antonio Pioltino .
Julio di Fideli
Marc’Antonio Castoldo
Cesare Landriano
Alessandro Simonetta
Bart.° Catt.° alias de d.no
Cesare Rabia .
Jo. Antonio di Negri
Jo. Battista Caponagho
Galeaz Rabia
Jo. Petro Rabia .
Jo. Petro Arsagho
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(1) Vedi ai nn. 102-106 l’Arcipresbiterato con quattro altri Canonicati.
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LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
1415.Canonicato alias de Filippo da la Torre . L.
; ii Jo. Angelo Gauante
» ° Jo. Angelo Sola.
Cappella di Poronzoni de d.no Jo. Antonio Pioltino . P .
Sa de Santa Maria de Vellaie de dina
Hieronimo Florentia
1420. ì de Santo Carpophoro .
A de Santo Alessandro al Bosco .
z de S.to Petro et Paulo in S.to Joanne
de Monza de d.no Jo. Rizzo.
» de Santa Agatha de Monza
Clericato de Santo Mauritio de d.no Jo. Batta
Castano arciprete :
1425. % de d.no Marc’Antonio Ortenso .
Un'altro clericato de Santo Mauritio de d.no
Battista Varexio .
Cappella de Santo Fidele de d.no Ai Sellanoua seu Bernardino Scotto
A de Santo Vincentio con il clericato de
Santo Martino de d.no Jo. Batta Castano arciprete
È de Santo Donato presso la orazio
de d.no Marc'Antonio Ortensio
1430. ; de Santo Georgio appresso il Vello.
È de Santa Maria in Santo Joanne de
d.no Batta Caponago . . .
j del Crucifixo in detta chiesia de dino
Paulo Brenna .
Un’altra cappella del Crucifixo de di no Hieronimo Arsagho . 4
Cappella siue clericato de Santo Laurentio de
d.no Sebastiano da Peregho.
1435. ù de Santa Lutia alias de d.no Joanne
da Marliano adesso de d.no Bart.°
Banfo
“ dottata per d.no Jofnne Visconto
Rettoria de S. Stephano de Sesto Joanne con il
Clericato de Santo Michele de d.no Ambrosio
da Rò " o .
Clericato de Santo Alessandro de Sesto Josfine
alias Acurtij ;
Z4g0. Un’altro clericato de Sesto Joanne de dino Batta
Calcaterra 6 .
Cappella de Santo j]acomo in Sesto Joanne die
d.no Ambrosio - :
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528 MARCO MAGISTRETTI
Cappellani Ducali in Santo Joanne de Monza.
Cappella Duc. alias de d.no Jac. F ilippo Baggio L.
P alias de d.no Hieronimo da Ozxio
: Duc. de d.no Jo. Petro Cerruto. .
1445. 5 » alias de d.no Petr’Ant.° Marliano
5 » de d.no Petro Brughora
n » de d.no Alessandro Gauotto
ù » alias de d.no Petro Scarsella
ù » alias de d.no Agostino Morigia .
I4so. n de Santo Stephano in Santo Joanne de
d.no Donato Guenzato .
Canonica de Santo Stephano de Mezana (1).
1451. Canonicato de d.no Zacharia Piantanida . L.
Ù ; (Ambr.°) Dacono siue Ant.
» È Jo. Petro Bregontio
Ù s Petro Paulo Bosso
I4SS. ” i Cesare Bosso
Rettoria de Santo Martino de Cimbro de d.no
Hieronimo di Girardi
a de Santa Maria de Lambro de dino
Mafrino Beletto seu Santa Maria
de Villa.
Cappella de Santo Stephano de Mezana de d.no
Francesco Piantanida
Rettoria de Santo Joanne Evang.ta de Cairate
de d.no Battista Sola
Canonica de Santa Maria de Monate.
1460. Arcipresbiterato de Santa Maria de d.no Antonio
da Castelbesozzo . L.
Canonicato de d.no Petro Martignono
în z Alessandro Ferreto
» È Christoforo Besozzo
E A Ludouico Ferretto
Canonica de Mezate.
1465. PP. de Mezate de d.no Ludouico Ayroldo L.
"= Rettoria de Santo Ambrosio de Lainate de d.no
Jacomo da Monte
(1) Vedi al n. 107 la Prepositura.
Go ogle i
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| »
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IO
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
Canonica de Sante Joanne de Melegnano.
1467. PP." de Melegnano de d.no Pre Batta Pauexe L.
Canonicato de d.no Hieronimo Ferraro
E ; Battista Verderio
1470. | # Francesco da Cortenoua .
Clericato de Santo Fermo de Arcagnagho de
d.no Pelegrino.
Un altro Clericato de Santo Petro, ut svipra de
d.no Francesco Cortenoua . ‘
Canonica de Santo Stephano de Martiano.
3473. PP. de Santo Stephano de Marliano alias de
d.no Antonio Carpano . _. L.
Canonicato de d.no Hercole Galbexio
Jo. Jacomo Castoldo .
Vincen.° Galbexio siue Batta
Cesare Bosso
Joanne Chiappano
Petromartire Marliano
Antonio Morando
Cesare Landriano vicepp.to
Benedetto Citenico .
Jacomo Filippo Mezabarba
Gabriel Aliprando . .
Ambrosio Pozzo. 5
1475.
1480.
1455. .
Cappella de Santa Maria in Santo Stephano de
Marliano de d.no Jo. Jacomo Chiap-
| pano.
Rettoria de Santo Nazaro et Celso d’Arozio de
d.uo Bernardino Glussiano
Ù de Inuerico de d.no Antonio Carpano
i de Carnagho de d.no Petromar.® Marliano . s ‘
1490. È de S.to Martino de lo ganeno de d.no
Andrea Sormano .
5 de Santo Georgio seu Martino de Cabiate de d.no Jo. Maria Marliano,
A de Santò Laurentio de Villa de d.no
Lucha Glussiano
Areh. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. III.
DANA
12
2I
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529
10
IO
530 MARCO MAGISTRETTI
Canonica de Santo Vittore de Massaglia.
1493. D.no Contino Pirouano PP.to (1). —-. *. L.
Camonicato de d.no Michele da Souico î
7495. Pi ui Bartolomeo Vimercato
CI È. Battista da Riua.
% ‘ Julio da Rippa
i alias de d.no Jo. Antonio Gallo
E de d.ni Jo. Jac.° Fomagallo et X.ph.°
da Naua insiema . è :
de d.no Francesco Pirouano .
alias de d.no Stephano Pirouano .
1500.
Rettoria de Santo Georgio de Caxate (2) de
d.no Adriano Criuello .
; de Santa Maria de Torreuilla
Clericato de Santa Maria de Torrevilla de d.no
Battista Caponagho. ;
1sos. Rettoria de Santo Vitto de Barzanore de d.no
Francesco Pirouano
de S.ta Veronica de Hoe de d.no Joan
ne Alderio ‘
Cappella de Santa Croce de Ciipoa de d.no ja
como Caxato . $
Un'altra cappella de Santa Croce de d. no Batta
Spessia
Cappella de Crippa de d.no a)
1510. Rettoria de Santo Vincentio de Viganore de
d.no Francesco Pirouano 3 :
de S.to Joanne de Monteuegia de d.no
Jo. Petro di Rè da Ello.
Clericato in detta chiesia de d.no Guid’Antonio
Airoldo . : a
Rettoria de Santo Sexino Martirio et Alessi:
dro de Cremella de d.no Christophoro de Peregho . :
de Santu Joanne Evagelista de Cernusculo Lombardono de d.no Jo. Antonio da Ello . .. ;
(1) Vedi al n. 136 la Prepositura; nel ms. i nn. 1493-1498, per errore evidente di trascrizione, furono posti dopo il n. 1504.
(2) Vedi al n. 133 la Cappella di S. M. di Casate Nuovo unita con Casate Vecchio.
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ISIS.
1520.
1525.
I528.
4530.
1535.
LIBER SEMINARIT MEDIOLANENSIS
Cappella de Santo Dionizio ut supra con Santo
Laur.° de d.no Galdino Carpano. L.
Rettoria de Santo Stephano de Osnagho de d.no
‘Bernardino Vimercato . : i
Cappella de Santo Nazario de Pirouano con la
Cappella di Santo Michele, de d.no Cesare
Pirovano . mm. z i ;
ù de Santa Maria sotto Pirbnano . è
Rettoria de Santo Bartolomeo de Barzagho de
d.no Ambrosio Ixaco .
% de Santo Joanne Evangelista de Bul-
, giagho de d.no X.phoro da Naua.
x de Santo Vittore de Brianza de d.no
Christophoro Briosco . :
È de Santa Agatha de Montexello de
d.no Jacomo da Peregho
. de Santa Maria de Sirtori de d.no
Julio da Rippa. è
Cappella de Santo Blasio de Galgians de li
fratti dele Gratie
Rettoria de S.to Georgio de Rouagnate e d.no
Antonio Olginato
Cappella de Santo Jo. Battista con il deriso
‘de Bulgiagho
Canonica de Monte Varenna.
PP. de Monte Varenna, de d.no Bartholameo
de Inuitti . ; Li
Canonicato alias de d.no Radeea Vimereato
s de d.no Joanne da Erba .
È è Altobello da Ungharia
Ù È Antonio Vigono.
Rettoria de Santo Georgio de Varenna
Cappella de Santo Jo. Battista de Varenna
. Canonica di Neruiano.
PP. di Neruiano de d.no Bernar.no dala Croce L. Canonicato de d.no Ambrosio Segazono (sic) .
: ù Ambrosio Zerbo .
Item per la rettoria de S.ta Maria et Margarita
de Carono é è (è .
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1545.
1550.
MARCO MAGISTRETTI
Canonicato de d.no Hieronimo Dugnano . L.
È i Francesco Bern.no Bosso .
5 ù Julio Juditiario
di alias de d.no Bernardino de Pino .
Rettoria do Santo Petro di Poyano de d.no Battista di Aprilli.
È de Santo Angelo et Nazaro de Ce
| naredo de d.no Hieron.® Dugnano
. de Santo Petro de Serono de d.no
Francesco Zerbo ) ;
Cappella de Santo Georgio di Neruiano . .
Rettoria de Santo Cassano de Venzagho de
d.no Vittore da Intra alias, adesso
de d.no Mapheo Verpelio
s de Udrugio de d.no Hieronimo Lupo
Cappella de Santa Maria con il
Clericato de Santo Apolinare de Cornaredo de
d.no Federico Balbo
Retttoria de Santo Petro de Ledenate de d.no
Bernardino Pagano.
5 de Santo Pietro de Preguana de d.no
Pompeo Casteletto .
SRDRECA de Santa Maria Colourina de d.no | Bernardino Prandono .
Rettoria de Santo Quirico de Poliano de d.no
Galeaz Visconte
Canonica de Santo Stephano de Olgia Olona (1).
1555. Canonicato de d.no Hieronimo Lupo . . L.
e i Donato di Amirarij
i " Jo. Antonio Pioltino
; i Ottauiano Rodello
PE È Ambrosio Pozzo.
1560. 5 ; Andrea da la Chiesia,
di ; Francesco Barengho .
5 d. Reeleiàa (sic)
ù, " Jo. Maria di Bianchi .
Ò n Filippo Visconte .
1565. A n Laurentio Busto .
Rettoria de Santa Maria de Gorla Maggiore de
d.no Batta Pusterla. ;
i de Santo Julio de Castelanza de d.no
Batta Cogliato .
(1) Vedi al n. 141 la Prepositura.
Go ogle »
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LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
Cappella de Santo Bernardo in detta chiesia de
d.no Archangelo Bosso. . L.
Rettoria di Saconagho de d.no Paulo Bosso .
7570. ” de Santo Jo. Battista de Busto Arsitio
divisa in tre parte cioè d.no Laurentio Ferrario per una portione et
d.no Hieronimo Crespo per l’altra,
et d.no Batta Candiano per l’altra
Cappella de Santa Maria de Restagno de d.no
Petro Rainoldo
de Santa Catherina con la
de Santo Cosma et Damiano nela
chiesia de Santo Michele de d.no
Gabriel Crespo.
de Santo Ainbrosio et‘ Ératiuno de
Busto nela chiesia de Santo Joanne
de d.no Manfrino de Gallatij. .
1575. Rettoria de Santo Michele de Busto Arsitio de
1580. A
d.no Petr'Antonio Tonso et Gabriel
Crespo
de Sulbiate sopra l’Olona de d.no de
nato Admirario
de Santa Maria Petro et lacoino de
Cistilagho de d no Bern.no Villano
de Santo Ambrosio de Marnate de d.no
Baldesar Bosso
de Santo Laurentio de Gorla Minore
de d.no Jacomo Dada . sé
de Santo Nazaro de Prospiano de d.no
Jo. Maria di Bianchi :
siue Cappella de Santo Vittale et Valeria de Gorla Maghiore de d.no
Jo. Jacomo Urigono
de Sancto Martino de Fagnano de d.no
Battista dala Chiesa
de Santo Joanne. de Bergaro de d.no
. Paulo Crespo . “RO
de Santo Martino de Cairate ie d.no
Francesco Oldrino . é
4 S.
6
II
IO
6
Canonica de Santo Geruasio et Prothasio de Parabiagho.
1585. PP." de Parabiagho de d.no Fiippo Biance L.
Canonicato de d.no Andrea Rotia
5 Jacomo Pozzo
Cesare Simonetta
9g S.
4
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533
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II
534 MARCO MAGISTRETTI
Canonicato de d.no Jeronimo Aliprando alias de
d.no Joanne Simonetta.L. — S. 8 D. —
1590. ; alias de d.no Jo. Maria Concorezzo — 6 00
Rettoria de Santa Maria de Canegrate de d.no
Petro Guarguante . 14 — —
È de Santo Petro de Uboldo dè. dinò
Francesco Santo Gallo . .. II 4 4
s de Santo Petro d'Arluno de d.no Julio
Simonetta . . ò 12 6 —_
5 de Santo Georgio et Salvatore de Caxoretio de d.no Benedetto Citerico 8 — —_
1595. Cappella de Santo Joanne de Canegrate detta de
quelli di Maravelia. De d.no Ambrosio Maraueglia . P 7 — —
; de Santa Maria d’Arluno de d.no | Hieronimo de Clapis . : i - 4 — —
Canonica de Santo Joanne Evangelista de Pentirele (1).
1597. Clericato di Santo Prothasio de Trezzo (2) de
d.no Bernardino et Lanz.to Vi.
mercati . : ; . L a S.- D.—
Item per un altro clericato . 2 2 —
Clericato ut supra de d.no Camillo Alferro 5 — —
1600. D.nus .... in loco d.no Egidio di Santi I 6 —_
Canonicato de d.no Antonio Francesca Rainerio 3 4 —
Clericato de Santa Maria de Crino de d.no pre
Ambrosio Caxato . . 2 Io 3
D.no .... in loco de d.no Galbexio . ; 3 = i
Clericato de Santo Pruthasio de Trezzo de d.no
Francesco Acino detto de Lecco. 2. tro —_
1605. x de Santa Maria de Trino alias de d.no
Ludouicho di Capitanei da Vimer.
cato .. . I 16 —
, de Santo Alesstidro ie Golnagho de
d.no Antonio Cusano . 2 7 3
Rettoria de Santo Joanne Evangelista de: Busnagho de d.no Jo. Petro de Leuato
seu di Re da Ello . ; * - 5 8 —
(1) Vedi al n. 142 la Prepositura coi Canonicati.
(2) Ai nn. 378-380 sono registrati due priorafi e una rettoria allora esistente
nel borgo di Trezzo.
iti :R È
4610.
1615.
1619.
1625.
1630.
1633.
1635.
LIBER SBMINARII MEDIOLANENSIS
Rettoria de Santo Ruffino de Cropelo del archiepiscopo de. Milano . . L
Clericato in detta chiesia . . i
Un altro clericato in detta chiesia alias de d.no
Hieronimo Gallarato . .
Rettoria de Santo Nicolao de Vaprio alias de
d.no Paulo Corigia adesso de d.no
Marc’Antonio Auinati :
Clericato de S.to Columbano et Paulo de Vaprio
Un altro cler.to alias de d.no Hieronimo da Certe
Rettoria de Concexia de d no Vincentio Cusano
Clericato in Santo Michel de Sinexio de d.no Filippo Cattia
Rettoria de Santo Martino de Giatiagho del
R.mo Cardinale Morono
Clericato nela chiesia de Concexia alias del Cadamosto .
Rettoria de Santo Caipophore de Tersapo de
d.no Jo. Petro Brughora
Canonica de Santo Vittore de Preletia.
PP." de Proletia de d.no Jacomo Meleghino L.
Canonicato de d.no Stephano Sabadino i
5 alias de d.no Bartolomeo Castiono.
; de d.no Jo. Battista Gualdono.
È x Francesco de Biumo .
i » Alesandro Castiono
i alias de d.no Francesco Pieno.
Rettoria de Santo Petro de Seueria .
Cappella de Santa Maria de Proletia.
Rettoria de Santo Fidele de Garlasco
ù de Santo Georgio de Gottero
PA de Santo Georgio de la Cima
Clericato de Santa Maria de Albizerio
A de Santo Celso de Proletia .
Canonica de Santo Vittore de Rb.
PP.ra da Santo Vittore de Rò (1) .. e. 3a
Canonicato de d.no Fabritio Criuello .
; i Brumanexio de Valle Mazonia . ;
» ” Jo. Antonio Vespolato pa
* c00 00%
(1) Vedi al n. 134 il contributo fissato per la Prepositura di Rho.
Go ogle
‘536 MARCO MAGISTRETTI
. Cappella de Santa Maria de Castel de Rò del
ss.to Vespolato »— è - L.
Rettoria siue cappella de Sant'Antonio de Passerana de d.no Jo. Antonio Magno .
Cappella de Santa Maria de Rò in Pasquirolo
de li frati de Santo Agostino mendicanti . 3 ; 6
1640. x de Santo Bernardo et Sebasitano in
Santo Vittore de Rò
Canenica de Santo Stephane de Roxate.
1647. PP. de Roxate de d.no Franc.sco Centuriono L.
Canonicato de d.no Galdo Carpano
Batta Spissia ;
Francesco Centuriono
Cesare Simonetta
Jo. Antonio Pioltino .
Petro Reyna
Christophoro Casarino
Ambrosio dala Valle .
Christophoro de....
+. Archinto
Hieronimo Guenzato .
1645.
1650.
Rettoria siue cappella de Santo Ambrosio de
Vermezo (1)
; de Santo Martino de Imbolino
16SS. È de Santo Julliano de Zello de d.no Ottorino Cittadino : «
ù de Santo Sirro de Ozano de: d.no Gai.
do Mainardo
di de Santo Quirico de Gudo le d.no và:
spar da Ello (1)
E de Santo Andrea de Barate de d.no
Batta Montenato .
i de Santo Petro de Tainate de. d.no
Vincentio Soncino .
1660. È de Santo Eugenio de Vigano i d.no
Ambrosio da Valle .
È de Santo Michel de Mairano de Uno
Bernardino Corio . .
Cler.to de Santo Cosmo et Damiano de Roxato
Cappella de Santo Joanne in Santo Stephano de
Roxate . A F
(1) Vedi ai nn. 118-120 tre altre NERONE: di S. Zenone di Vermezzo,
Sporzano e di Gudo.
Go ogle “uri
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16
5
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
Canenica de Santa Anexa de Somma (1).
1664. Rettoria de Santo Michele de Golasecha de d.no
1665.
1668.
1675...
1676.
1680.
1685.
Jo. Jacomo Guazono > be E
> de Santo Euxebio de Sasona de d.no
Jo. Angelo Reposso.
ì de Santo Martino de Vergiate de d.no
Jo. Petro Bregontio. o Le
a de Santu Georgio de Colcenio de d.no
Jo. Maria di Bianchi
Canonica de Sante Ambrosio Settara (2).
Canonicato de d.no Paulo Santello alias de d.no
Folco Spinello . . L.
3 i Hieronimo Guenzato .
. Rettoria de Santo Jacomo de Colladroe de d.no
Ambroxio Bexana.
Un clericato in detta chiesia
Rettoria de Santo Joanne Euafgelista. de Lucino
de d.no Jo. Angelo Porrono .
A de Santo Thomaso de Premenugho de
d.no Ambrosio Bexana .
Cappella de Santo Jo. Battista in detta chiesia
de d.no Michaele Mariano
A de Tranzanesio de d.no Andrea Rozia
Canonica de Segrate.
PP. de Segrate de d.no Leone Alzato . L.
Canonicato de d.no Andrea Rotia
» È Galeaz Glussiano
È i Hieronimo da Canturio
È ; Hieronimo Pioltino
wo » CaroloTriuultioseuFranc.co
Coppiatico
è 3 Eusebio Cattanio.
i Bartholameo. . . i
s alias de d.no Donato da la Tore
n alias de d.no Jaiomo Zerbo
; de d.no Jo. Antonio Airoldo
I6
12
537
(1) Vedi al n. 108 la Prepositura coi Canonicati, che nel 1398 erano SRG
(2) Vedi al n. r1o la Prepositura.
Go ogle
538
1691.
— 1695.
1700.
MARCO MAGISTRETTI
Rettoria de Santo Andrea de Pioltello de d.no
Ambrosio Superto . : L,
u de Santo Vincentio de Cossndlica de
d.no Folco Spinello.
i de Santo Georgio di Limidi de dino
Ludovico Vismara (1)
È de Santa Maria de Corte Regina de
d.no Batta Settara .
Canonica de Seuexo.
PP. de Seuexo de d.no Caesare Aroxio. L.
Canonicato alias de d.no Petro Frixiano .
È ù Gabriel Bosso .
Rettoria de Santo Vitto de Lentà de d.no Stephano Porro
A de Santo Alesandro de Co ieno de
d.no Ambrosio Copreno.
Cappella de Santo Blaxio de Lentate de d.no
Jo. Maria di Aliuerta
Rettoria de Santo Quirico de Camnagho de d.no
Santino di Conti .
ù de Barlassina de d.no Jo. Petro Porro
& de Santo Stephano de Cexano de d.no
Batta Trabattono
Cappella de Santa Maria de Blanzagho
Rettoria de Santo Georgio de Limbiate de d.no
Cesare Mandrino ;
de Santo Stephano de Solario dc din
Stephano Nubilono .
de Santa Maria et Vittore de Cerliano
de d.no Ambrosio Cassolio
A de Coliate de le Monache de Santa
Maria Valle
1705. Clericato de Sante Sirro de Mizxinti & i no sn
(1) Vedi ai nn. 115-116 altre due rettorie, quella di Limito e quella di
ronimo Biragho
Rettoria de Santo Sirro de Mixinti de ana
Battista Carcano ; i
Clericato de Santo Stephano de Mixinti de d.no
Cesare Arexio. ;
Rettoria de Santo Laurentio de Lund alias
de d.no Bernardino de Pino.
Pantigliate, tassate rispettivamente per L. 30.
Go ogle —
4
4
S. — D.
S. tr D.
13
/710.
1713.
1715.
1718.
1720.
1225.
1730.
1735.
1740.
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
Cappella de Santo Stephano de Lentate de d.no
Stephano Porro . L.
ù de Santa Maria de Lemine de d.no
Gabriel Porro .
R de Santa Catherina et Abu brosio DA
Solario de d.no Agostino Terzagho
Rettoria de Santa Maria et Sebastiano de Medda
de d.no Stephavo Bizozero
Canenica de Santo Jo. Battista de Trenno.
PP.ra de Trenno de d.ne Jo. Antonio di la L,
Item per il suo Canonicato . é 4 ;
Canonicato de d.no Pompeo Casteletto seu i no
Francesco di Negri.
Rettoria de Santo Martino di Figino de d.no
Nicolao Pazeda a
Ù de Santo Petro d’Arexio de d.no Io
Angelo da Cogliate.
Canonica de Santo Vittore de Varexio.
PP.ra de Varexio de d.no Jo. Battista Pozzo L.
Canonicato de d.no Bernardo Peraboue
Antonio Maria Carabello .
Arcangelo da Pristino
Jo Antonio di Negri .
Jacomo Mantegatia . .
Francesco Ruscono
i z Alesandro Solaro
Francesco Picinello
LL ”
» »
w "”
() ”
Pi L Francesco da Biumo .
” i Jacomo Biumo
È = Andrea de Clapis
E 4 Joanne de Bianchi
" i Francesco Griffo.
s È Battista del Torchio .
; Francesco Fossato
R » Stephano Bosso.
È ù Battista Rigono .
P È Jo. Antonio d’Orduo .
5 i Paulo di Bianchi.
A È Ottauiano di Bianchi .
4 A Jo. Antonio Zauatono.
” » . Bernardo di Papi
” $ Jo. Jacomo Origono
” Ù Jo. Maria Pelegrino
Go ogle
4 S.16 D.
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16
539
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540. MARCO MAGISTRETTI
Canonici in feudo minore.
1743. Canonicato de d.no Arcangelo da Pristino L.
1745.
1750.
Protasio Cardano
A u Battista di Bianchi .
è ù Francesco di Buzi
È ; Francesco Pellegrino .
; - Benedetto Picinello
» u Cesare Bosso
» A Thomaso Buzzo .
Cappelle.
1751. Cappella de Santo Vittore de Varexio de d.no
1755.
Eliseo di Alberti . . . L.
de Santo Jo. Battista in battisterio de
d.,no Archangelo Pristino :
de Santa Maria Longha in Santo Vittore de d.no Bernardino Peraboue
de Santo Ambrosio et Cat.na in Santo
Vittore de d.no Francesco Biumo
de Santa Maria dela Speranza de d.no
Francesco Fossato .
de Santo Antonio nela chiesia del'Hospitale nouo de Varexio del sud.
Fossato . _. . . “
1757. Rettoria de Santo Marco et Ambrosio de Mo1760.
1765.
roxolo de d.no Joanne di Bianchi
de Santo Hippolito et Cassiano de d.no
Gaspar di Bianchi .
de Santo Eusebio de Casciagho de
d.no Stephano Casciagho :
de Santo Petro de Masnagho de d.no
Paulo da Vellate
de Santo Eusebio de Bizozero de d.no
Ludovico di Bianchi ;
de Santo Martino de Schianno de d.no
Hippolito Castiono .
Cappella de Santa Maria in Santo Stephano de
Bizozero de d.no Fran.°0 Bizozero
de Santo Georgio de Schianno de d.no
Hippolito Castiliono
de Santa Maria de Azate de d. no | Aloisio Dauerio . A
de Santo Hieronimo dAgue de d.no
Arcangelo Bosso
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14
13
16
15
18
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LIBER SEMINARII -MEDIOLANENSIS
Capella de Santo Laurentio de Castel d’Azate
de d.no Stephano Bosso. +» SL
ù de Sant'Antonio d’Azate de d.no Gabriel Bosso : :
i de Santo Joanne Evangelista d'Azate
1770. Item per il feudo de Sant'Ambr.° de Zubiano .
1775.
1780.
1763.
Rettoria de S.° Geruasio et Prothasio de Galiate
— de dino Bonaventura de Galiate .
ù de Santo Petro de Dauerio de d.no
Aloisio Daucrio.
Cappella de Santa Maria de Daverio de d.no
Stephano Bosso
Rettoria de Santo Georgio de Lannaghé de d.no
Francesco Dauerio .
Item per la cappella de Santa M.* de la Gazada
Rettoria de Santo Cassiano de Vellate de d.no
Antonio da Orduo .
Cappella de Santa Maria de la Selierana (sio)
de d.no Antonio Maria Carabello .
Rettoria de Santo Ambrosio de Molina de d.no
Jo. Antonio Bizozero . .
3 de Santo Martino de Malnate de d.no
Donato Carcano
Cappella ducale de Santo Bernar.no in ‘Monte A
de d.no Romulo Missalia
Un'altra cappella ducale de Santo Bernardo in
in Monte de d.no Joanne de Romani
Clericato de Santo Laurentio in Pontata .
Feudi di Varexio.(a).
Feudo de Santo Mauritio de Masnagho de d.no
Jacomo Biumo . i i a Le
Un altro feudo in detta chiesia de d.no Jo. Antonio de (sic)
1785. Feudo de Santo Petro de Biumo laferiore de
d.no Francesco Suardo *. .
ù de Santo Georgio di Biumo Superiore
unito con la mensa capitulare de
la rescidentia de Varexo
5 de Santo Vitto de Loinato unito ut s.3
de Santo Dionisio nela chiesia de Santo
Joanne in battisterio de quelli de
Cazinigho seu de d.no Thomaso
Bizozero . ; ? 5 : ‘
(1) Vedi al n. 112 l’Arcipretato di S. Maria al Monte;
(2) Vedi sopra, al n. 1770, il feudo di Giubiano.
Go ogle
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2 1 12 4
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cfr. anche il n. 926.
MARCO MAGISTRETTI
Canonica de Sante Vittore de Valle Travaglia.
1789. PP.ra de Santo Vittore de Valtrauaglia de d.no
Simone Calderolo . ) si Li
1790. Item per il suo Canonicato .
Canonicato de d.no Stephano VMisenzaia.
1795.
1800.
Battista Buzo . .
Gotardo Pagano .
Andrea di Passera
Daniel Buzo seu d.no Petro
Nic.0 de Montegrino
Jo. Batta Campagnano
Bernardino Buzo
Mathéo da Bedere
Martino Campagnano.
Stephano Ballerano
Battista Rolando.
Matheo Luino
Rettoria de Santo Joanne de Germignagha de
II
| o
d.no Stephano Balarano. i
z de Santo Petro da Luyno de d.no Def.
fendente da Luyno.
1805. i de Santa Maria de Oldobio de dino
Francesco Campagnano . ù
Ri de Santo Ambrosio de Montegrino de
d.no Ambrosio Jotto
* de Santo Stephano de Macagno de
d.no Gotardo Pagano
A de Santo Georgio de Dugmentia -
d.no Jo. Antonio da Dugmenta
Custoria de Santo Nazaro.de Dugmentia
1810. Cappella de Santa Maria Mad4a in Sancto Victore
de d.no Andrea di Passari
3 de S.° Julio con la capp.* de Grantula
» de S.° Petro Georgio de Vachano con
Musadino .
Ù seu rettoria de Santo È usgbio d Agia
x de Santo Francesco de Luyno .
Canenica de Santo Stephano de Vimercato.
1815. PP.r de Santo Stephano de Viinercato de d.no
Bernardino Ferraro. s i «di
Item per il suo Canonicato .
Goo gle
(AS)
\O n
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
Canonicato de d.no Ercole Bonalancia sE;
1820.
È Hieronimo Biffo .
; Cesare Simonetta
ar" Alessandro Simonetta
. Andrea Marchesio «
È Jo. Angelo da Ferno .
» Alfonso da Mariano
Ottauiano Secco .
1825. Item pei la réitonia de Santo Jacomo et Xphoro
de Oldaniga
» per il clericato de Incinello.
Canonicato de d.no Sigismondo Foppa
1830.
x
x Battista Ghisolfo.
ui Petr'Antonio Ghisolpho
ù Jovita da Bergamo .’
» Stephano Geroxa
P Jacomo da Osnagho
u Francesco Marinato . }
1834. Rettoria de Carughate de d.no Battista Baretta
1840. ù
de Santo Eusebio de Gradi de d.no
Joseph Gafuro . 3 è
de Santo Giuliano de Caponaglio dc
d.no Bernardino Brambilla
de Santo Julio de Cauenagho de d.no
Julio Simonetta ..
de Santa Agatha de Ornsgho da d.no
Jo. Franeesco Rusca
de Sant'Antonio de Brentana de d.no
Joseph di Judici . è F
de Santo Martino de Belusco del R.
Episcopo Terracina et de d.no
Petr'Antonio Ghisolpho .
Cappella de Santa Maria de Belusco del d.no Filippo Catia . .
Item per la rettoria deli Curtij de sto Lune i
Rettoria de Santa Maria de Bernaregio (1) de
d.no Francesco Sellanoua alias
Cappella de Santo Dionisio de Passirano ne la
chiesia de Santa Maria de Bernaregio de d.no Galeaz Foppa .
1&4s. Rettoria de Ronco de d.no Franc.° Tetamanzo
(1) Vedi al n. 132 la di Bernareggio; cfr. anche il n. 1859.
ouer il suo successore
Go ogle
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16
16
18
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14
00
MARCO MAGISTRETTI .
Rettoria de Santa Maria de Mezagho de d.no
Antonio Biffo con la
Cappella de Santo Vittore. . ; - Li
Item per un clericato in detta chiesia
Rettoria de Santo Vitto et Modesto de Buirago
18so. Rettoria de Villanoua de d.no An.° Confanonerio
1855.
1860.
1864.
Cappella de Bernate
Rettoria de Santo Eustorgio de Aeon de d.no
Ambrosio Marchesio
= de Oxio da Usmate de d.no Hieronimo Villa
Item per la cappella de Usmate. .
Rettoria de Santo Michele de Opreno de d.no
Paulo Mapello
Cappella de Santo Nazaro de Opreno de d.no
Bernardino da Opreno
Rettoria de Santa Maria de Lesmo de d.no Dominico Arexio
Cappella de Santo Cosmo et Damiano de Bernaregio de d.no Sigismondo Foppa (1)
Clericato de Santo Maurilio de ‘Vimereato de
d.no Hieronimo Codegha
Rettoria de Santo Zenono de Omate de d.no
Hieronimo Biffo .
Cappella de Santa Catherina nela Chiesa de
Santo Laurenzo de Vim.to de d.no
Petr’Antonio Ghisolfo i
Rettoria de Santo Alesandro da Passirano de
d.no Jo. Batta Ferraro .
i de Santo Cosmo et Damiano de Concorezzo diuisa in due portioni de
d.no Dominico di Leonardi (2)
Canonica de Santa Euffemia d’Uglono.
PP." de Uglono de d.no Scipione Estense L.
Canonicato de d.uo Georgio Ixaco
s : Eurialo Glussiano
i ; Battista da Rippa
; » =Jacomo da Rikbpa
non trove la spiegazione.
ra
re UNa
16
26
(1) A questo numero, in margine, è posto un segno di richiamo, cd quale
(2) La Rettoria di Oldaniga, che qui manca, è registrata sopra al n. 1825.
è. a —t
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS 545
Cappella de Santa Maria in la ss.ta chiesia de
d.no Petromartire Ixaco . L 5 S.16 D.—
1870. Rettoria de Santa Maria de Dulzagho de d.no
Christophoro lxaco. . >» ‘9 IO —
Clericato in detta chiesia de d.no Petr'Antonio
Ghisolpho. . 3 16 3
Rettoria de Santo Georgio de Molteno de d.no
Jacomo da Rippa . ì : >»: 8 4 —
Canonica de Vallesassina.
1873. PP.ra de Valsassina de d.no Bart.° di Plazatori LL 9 S.— D.
Canonicato de d.no Prothasio de Molino . , — 14 —
1875. Ù î Venturino da Riua . . — 16 —
A ; Damiano Adriano . è — 6 mina
Rettoria de Santo Alesandro de Barsio de d.no
Bartolomeo Maysio. . + 7 — —_
î de Santo Dionisio de Premana . . 4 17 —_
ta de Santo Martino et.Gotardo de Indouerio . . a. 7 3
1880. î de Santo Viento de (Pasturio. .- 6 — —
A de Santo Bartolomeo de Marnio de
d.no Roberto Cortexio . s >. 9 12 9
; de) Santo Andrea de Pagnano (sic) . 1 IO —_
i de Santa Maria de Tasseno de d.no
Petromartire de Madio . è 2 16 8
5 de Santo Georgio de Cremeno de d.no
Venturino da Rippa i 3 3 4 7
1885. A de Santo Gervasio et Proth.° de Cor:
tenoua è 3 6 8
A de Santo Michel di lntrobio (1). 5 2 3
GERRADADDA.
Carauagio.
1887. Rettoria de Santo Fermo de Carauagio per una
portione, de d.no Hieronimo di Oliui . L. 10 S.— D.—
Un'altra portione di detta rettoria de d.no Vincenzo Thadino . . 10 — —
; u di detta rett. d.no Luca di Lupi 10 — se
1890. : 5 de l’antescritta rett.» de d.no
Zacharia Prata . é . IO —_ =
(1) Vedi ai nn. 2119 e sgg. altri benefici in agro bergomensi, in seguito
passati alle dipendenze del Pievi di Brivio, Olginate, Primaluna, ecc.
Arehk. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. III. 35
546 | MARCO MAGISTRETTI
Un'altra portione di detta rettoria de d.no Jo.
l Maria di Dodi . . L. ro
Clericato nela sudetta chiesia de Santo Firmo
de d.no Firmo Mascarolo . - cd
Mixano (1).
1893. Canonicato de d.no Andrea Rozza . . L. 10
ui = Jo. Petro Brugora : . 8
1895. 5 > Maffino di Pauexi, adesso
i d.no Lodrixio Spagnolo . 10
A alias de d.no Brunello adesso d.no
Emilio Brunello . ; ; > DE
Vidalengho.
1897. Rettoria de Santo Joanne de d.no Joanne de
Vescovi . : . i . L. 2I
Clericato in detta chiesia de d.no Marc'Antonio
Landriano. : 3 s , . IO
Un altro clericato in detta chiesia de d.no Hieronimo di Oliui : È A . 10
Arzagho (2).
1900. Canonicato de d.no Alesandro di Ganassi. L. 1
n Aduardo Curtio . ; . 19
Jo. Maria Saxetta 4 . 10
Der x Francesco Catt.° Cap. in
Santo Alessandro et d.no
Dominico dela Coua (?)
per la mittà . : . 10
Caxirate (3).
| 1904. Clericato de Santo Georgio de Caxirate nela
chiesia de S.* Maria de d.no Franc. Zoncha L. 3
Caluenzano.
1905. Rettoria de Santo Petro de Caluenzano de d.no
Jo. Petro Menclotio. : . L. to
Cler.° in detta chiesa de d.nv Ascanio Longho 15
(1) Vedi al n. 127 l’Arcipretato di Misano.
(2) Vedi al n. 144 la Prepositura d’Arzago.
(3) Vedi al n. 128 la Rettoria di Casirate.
red I\
S.
IO
. 14
». 12
1907.
1910,
1915.
1920.
1923.
1925.
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
Mezzanicha.
Rettoria de Santo Steplano de Mozanicha de
d.no Julio Vassallo . . Ag DA
Item per un clericato in detta chiesa.
Clericato de Sant’ Ambrosio de d.no Marliano
di Ferrari.
Riuolta (1).
Canonicato de d.no Camillo Bellauita. i, «È
è alias de d.no Santino Raxore . ;
: de d.no Hieronimo di Zuchi
Ù Ù Francesco Aldigheto con la
capp.* de Santo Stephano
; n Firmo de Nicolla.
mu j Jo. Petro di Petroni
* Jacoino Carminato
Caxa de la pp. de Santo Petro de Vicoboldono
per la cappella de Santa Catta (2).
Canonicato de d.no Sigismondo di Aprilli.
Item per.il clericato de Santo Georgio
Canonicato alias dell’Episcopo Simonetta .
Item per il cleric.° de S.° Georgio in detta chiesia
Monasterio Maggiore di Milano per li beni de
d.na Paula . . .
Cappella de Santo Stephano de d.no Hidnessso
de Ardigheti da Inzagho
Vailate (3) et Bregnano.
Rettoria de Vailate per uua portione di d.no
Jacomo Antonio Bossono. -
Un’ altra portione de detta rettoria de d.no
Joanne Forcato P
Item per la cApp.* de Santa Maria in ie chiesa
Un’altra capp.* in detta chiesia de d.no Jo. Antonio de Rossi. :
Rettoria de Santa Maria de Hieuhato de d.no
Andrea di Costi i
Un’altra portione del’antescritta rettoria de d.no
Stephano di Costi
(1) Vedi al n. 145 la Prepositura di Rivolta.
16
do UI oul
(2) Di patronato della Prepositura degli Umiliati, v. D. 37.
(3) Vedi al n. 146 la Rettoria di Vailate.
Go ogle
16
547
548 MARCO MAGISTRETTI
Clericato de d.no Marc’Antonio Landriano L.
1930. i nela ss.ta chiesia de d.no Baldesar di
Aratori , ©. : è ‘
Cappella de Santa Catt.s de Boeznano del comune di Bregnano . . A
A de Santa Catterina nela suda chiesa
de d.no Baldesar di Aratori.
Fornouo (1).
1933. Arcipresbiterato di Fornouo de d.no Julio Mass.*
seu Francesco Castello. . L.
1935. Canonicato de d.no Antonio Maria Soncino .
i i Martinella —
; A Lucha Luppo ;
ù A Agostini Magno con un cler.°
Cassano (3).
1938. PP.» de Cassano sopra Adda de d.no Fabritio
Landriano. i À «- Li
Pagazano (2).
1939. Canonicato de d.no Jo. Andrea Costa n Vba
Can.to et clericato de d.no Benedetto Baruffo .
Triuilio (4).
1941. Rettoria de Santo Martino de Triuilio de Calisto
di Daiberti i : . i. L.
Un'altra portione dela detta rettoria de d.no
Battista Racha. 5
Un'altra portione dela suddetta rettoria de d.no
Sermono Rozono
Un'altra portione de l’antescritta rettoria de d.no
Paulo da Rouate
1945. Un’altra portione dela sudetta rettoria de Gao
Bernardino Botinono .
Clericato in detta chiesia de d.no Hier.mo Chiivazo
Rettoria ut supra de d.no Honesto Rozono
Item per la cappella de Santo Rocho
(1) Presso Caravaggio.
(2) Vedi al n. 128 la Rettoria di Casirate.
(3) Vedi al n. 129 l'Arcipretato di Pagazano.
(4) Vedi al n. 2134 e sgg. altri benefici în agro bergomensi.
22
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LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
Canenica de Farra.
1949. Arcipretato de Farra de d.no Gugliel.° Bolognino 14
1955.
1960.
1965.
1970.
Canonicato de Dominico di Caffi 7
alias de d.no Sebastiano Airoldo 7
de d.no Battista Landriano 7
Rettoria de Santo Alesandro de Farra per una
portione del R. Vicario di Bergamo "e e . IO
Un'altra portione dela sudetta rettoria de d.no
Battista Valentino . : : . 8
e —— __-
Priorato de Portexana de d.no Ambr.°Caxato(1) L. 10
Preceptoria de Santo Antonio de Canturio de
d.no Francesco Cermenato
Priorato de Santo Bartolonieo de Trezzo .
»
16
13
de Santo Domenico de Trezzo . . 22
Rettoria de Santa Christina in detto loco . 20
» de Santa Maria et Laurentio de Chignolo de d.no Francesco Cuxano . 11
Cenuenti (2).
. Conuento de Santo Petro martire de Monza L. 9
de Santo Francesco de Monza . 9
de Santo Francesco de Canturio 6
de Santo Francesco de Gallarate 9
de Santo Francesco de Pozolo . 3
de Santo Petro martire de Barlassina 6
de Santo Francesco de Milano . . 128
de Santo Marco de Milano . 95
de Fratti Carmelitani . 60
de Santa Maria de le Serui ; . 44
de Santa Maria de le Gratie de Milano
coi suoi membri . . 40
de Santo Ambrosio al Nemo de Milano
con le unione vz
la cappella de Casterno
monasterio de la Vittoria
(1) Si ripetono le indicazioni date sopra ai nn. 376-381.
(2) Vedi, in principio, altre case religiose maschili ai nn. 2-71.
Go ogle
00
. 13
SI
549
550 i MARCO MAGISTRETTI
1975. et monasterio de Santa Maria de Olginate insiema ; "2: è «La 54 -S.
Conuento de Santo Petro Celestino >
" de S.Maria presso Cuxagho unito con il
monasterio de Santo Marco de Milano . 22
Monasteria monialium (1).
1979. Domus de Sinadochio . A ; 3 . L. 14 S
» Santi Martini de Varixio. .- 4
A de Putheo Vagheto monialium Modocuie 19
n de Bernadigio monialium Modoetie Il
Ministra Domus Santi Joannis de Gallarate 2
Domus Dominarum de Lonate Pozoldo 2
1985. Monasterio Capuzzo de Mediolano 22
3 de Santa Lutia . 18
A de Santo Ambrosio ad Costa 8
% de Santa Maria dela Stella fora de
Porta Vercellina . 5
È de Santo Martino de Monza 6
Caputiarum.
1990. Monasterio d.ne Beatricis de Lambro . L. 12 S.
Ù de Santo Petro de Cremella . 22
" de Santo Fidele de Gallarate siue
ministra. I
Ministra de Santa Lutia de gusta Parole 7
n de la caxa de M.3 Andreiola unita con
il ss.to monasterio . 3
1995. i de la caxa de Santo Petro apostolo in
detto borgo . I
i de la caxa de Ma Alegranitiole in Doi
nato Pozoldo ut supra . : 5
n de la caxa de M2® Fina ut supra. 5
a de S.to Petro M.re de Lonate Pozoldo 10
A de la caxa de Santa’ Aggatha IO
2000. i de la caxa da Monte 4
A de la caxa de Santa Cat. de Marra in
burgo ut supra > i.
; dele donne vergine vecchie uianda in
burgo ut supra 7
(1) Vedi sopra altri monasteri, n. 153 € Sgg.
-—-
fn [el
-aalkfleuno
D.
co
Io
(S°)
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS 551
Monasterio de Santo Pancratio unito con il monasterio de Cairate . . LL 20 S—- DT
E de Santa Clara de Bosto. ; - 17 5 IO
2005. ; de Santo Ambrosio de Canturio . 20 —_ —
è de Santa Maria de Seregno . . 7 — —
È de Ponenzano . i 2I 4 —
i de Santo Vincentio seu Ladro da
Vimercato . : : i . 14 — —
HOSPITALI (1).
2009. Hospitale dele noue fonte de Varixio . L. Io 15 8
A de Carate . : : . 23 3 —
î de Santo Erasmo de Lagnalé ; . 2I — —
Landriano (2).
2012. Rettoria de Santo Vittore de d.no Christophoro
Landriano. ì . L 8 S—- D. —
Un'altra portione dela sudetta seno de d.no ;
Benedetto Strata . i 8 È — —_
Capp.* de S.° Quirico de d.no Jacomo Landtigno 8 — —
HOSPITALI, SCOLE, ET ALTRI LOCHI Pij.
In Porta Orientale.
2015. Scola de Santa Maria dela Neue nela chiesia
magiore . ; . L. (3) S- D.—
de Santo Joanne a fonte ut RA 3 . — —_ —
de Santa Catherina de Senna ut supra. — — —
de S.t0 Rocho in S.° Vittore deli Ziponari — _ —
detta deli orbi in Santo Saluatore in Sinodochio . 4 : . — —_ — 2020. » del Corpus Dini in Santo Raffael P . — — —
» del Corpus D.niinS.to Paulo in Compedo — — —
» de Santa (sic) detta il Scurolo in Santo
Paulo ut s*. ; A . . — — —_
(1) Vedi sopra nn. 150-152, 525 € segg. passim nelle diverse porte, n. 2039
€ segg. passim.
(2) Nel 1398 Landriano figura come dipendente dalla Canonica di S. Mi- chele di Bescapè (Basilica Petri) insieme alla Rettoria di >: Maria di Pairana,
ricordata sopra al n. 124.
| (3) Da qui sino alla fine non è esposta alcuna cifra di contribuzione al
inario.
Go ogle
552
2025.
2030.
2035.
2040.
2042.
2045.
2050.
2055.
MARCO MAGISTRETTI
Scola dele Quattro Marie . * Lx
» del Corpus D.ni presso Santo Casino al
Pozo bianco . P s
» del Corpus D.ni in Santo Babille A
» de Santa Maria ut supra . ; 5
» de Santo Romano presso Santo Babille .
» de BatutiaSanta Marta in porta orientale
» de Batutiin Santa Maria pisa Santo Petro Celestino . i .
» de Batutiin S.° Rocho presso S.° ‘Damiano
» de Batuti in Santo Rocho fora di porta
orientale .
» del CorpusD.iinS.to Siephano.i in Bralio
» de Santo Jobin Santo Stephano ut supra
» de Santa Maria ut supra .
» de Santa Lutia ut supra .
» de Santa Catherina at supra
» de Santo Bernardino sopra del Cimiterio
de Santo Stephano ut supra .
de Santa Maria dela Fontana . :
Hospital \de Brolio sotto regimine de l’ Haspitale
grande. . ; è s :
Loco Pio detto la Divinità . ed A
Scola de Santa Maria et Elixabetha in Salito Michel sotto domo
In Perta Romana.
Scola del Corpus D.nì in S.° Nazaro in Brolio L.
de Santa Catharina, et S.° Rocho ut s.*
de Batuti in Santa Agatha presso S.° Nazaro
in Santo Joanne Gugiarolo é
de Santo Michel et Santo Josepho in Sanio
Calimero . :
» de Santo Rocho fori di Porta Romana ;
Hospitale de Pellegrini de Santo Petro et Paulo
A de S.° Lazaro sotto regimine de l’ Hospitale grande .
Scola del Corpus D.ni et de ogni Santi in Santa
Euffemia .
» de Santa Maria presso Saito Celso.
Hospitale de Santo Celso sotto regimine de l’Hospitale grande . : . :
Scola del Corpus D.ni in Santo Joanne L.eicrano
» de Santa Maria Rotonda ut supra .
» de Santa Maria in Santo Sattiro :
Hosp.le dela Pietà presso S.° Michele muro rotto
3 ®& sas
==
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
In Porta Ticinexa.
2057. Scola de Santa Maria in Santo Vincentio fuora
2060.
2065.
2070.
2075.
2078.
2080.
2085.
2090.
de P. T. . ? va. & «-L.
Hospitale de Santo Vincentio sotto regimine de
l’Hospitale grande .
Scola de Santo Calocero
de Batuti de S.° Gotardo in S.° Laucenio
del Corpus D.ni ut supra .
de Santo Aquilino . ‘
de Santa Maria .
. de Batuti in Santo Petro Scaldasole.
de la Trinità fora di Porta Ticinexa
de Santa Maria al Gintilino .
de Santa Maria sopra il nauilio
de Santa Maria presso Santa Croce
de S.° Rochino ala Torre de l’imperatore
de Santo Petro martire in S.° Eustorgio
de Santa Maria del Rosario ut supra
de Tri Magi ut supra
de Santa Maria a Santo Michel la Cluxa
del Corpus D ni in S.° Georgio in Palatio
de Batuti a Santa Martha presso Santo
Georgio
de Santo Antonio in Santa Maria Beltrada
del Corpus D.ni ut supra.
In Porta Vercellina.
Scola de Batuti a Santo Martino a Corpo. L.
Hospitale de Santo Ambrosio sotto da de
l’Hospitale grande .
Scola de Santo Sepulcro in Santo Vittale.
dela Micheta presso S.° Nicolao in porta
Vercellina. ‘ :
de Santo Rocho presso ut siprà
de la Conceptione B. M.a V. in Santo
Francisco , ; de
de li Genouesi a Santo Fr. rancisco
de Santo Bernardino ut supra.
Hospitale de Peregrini de Santo Jacomo sresio
Santa Maria Porta .
Loco Pyo de la Humiltà presso S.* Maria Pedone
de Santa Corona presso la Roxa
Scola del Scurolo de Santo Ambrosio
»
de Santo Sigismondo presso S.° Ambrosio
de Santo Agostino ut supra .
553
554
2095.
2/00.
2104.
2105.
2110.
2115.
2117.
MARCO MAGISTRETTI
Scola del Corpus D.ni in S.° Vittore a Trenno (1) L.
» de Santa Maria in Santa Maria Segrera
Loco Pio del Monte de la Pietà.
LI
In Porta Cumana.
Scola de Santa Maria nela chiesia presso Santo
Simpliciano . ; i i
» de Batuti inS.t0 Jo. Battista presso ut s.*
Hospitale de Santo Simpliciano . ;
Scola de Santa Maria et Ant.° in S.0 Carpoforo
mn de Batuti de Santo Rocho in Santo Prothasio in Campo
» de la Madalena ut supra .
Loco Pyo de la Misericordia
Scola de Santi in Santa Maria de Carmen
de Santo Eligio in Santo Michel al Gallo
In Porta Noua.
Scola de Batuti in Santo Michel et Santo Jcobo
in P. N. . : ; ; Pla
» de Santa Anastasia ut supra .
Hospitale dele Pute orphane de Santa Caitiarina
Scola de Batuti de Santo Blasio in Santo Primo
Loco Pyo de li Poueri de Santo Martino presso
Santo Pietro Cornaredo .
Scola de Batuti in Santo Ambrosino presso S.to
Eusebio in Chiuassino .
» de Batuti in Santo Joanne in Ca rotte
» de Santo Josepho presso Santo Siluestro
Hospitale de Santo Dionisio sotto regimine de
l’Hospital grande
Loco Pyo dela Carittà .
Scola dei Corpus D.ni in Santo Bijoriazio sd
Monachos .
Diverse altre scole secrete
presso Santo Ambrosio Magiore et
presso Santa Maria detta del Giardino .
Fabbrica del Domo de Milano . ; >». da
Fabbrica de Santo Joanne de Monza .
(1) Infra pag. 559, nota I.
2/19.
2120.
2125.
2130.
2134
2140.
2145.
2150.
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS
BENEFICI IN AGRO BERGOMENSI.
In Valle Santo Martine.
Rettoria de Santo Ambrosio de Briuio citra
Abduam . ; A i se Mi
de Sant'Ambrosio de Caprino
de Santo Paulo de Montemerentio .
de Santo Geargio de Montemerentio.
de Santo Michel de la Bretta
de Santo Laurentio de Russino.
de Santa Brigida de Lorencino.
de Santa Martino de Caloltio
de Santo Geruasio et Prothasio de Vercuragho in Villa de Rippa d’Adda
de Santo Andrea de Villa d’Adda
Ghiesia de Valle de Talegio supposita a la diocesi de Milano . ) è i ;
Rettoria de S.to Ambrosio sotto Tittulo de Jus:
patronato .
de Santo Jonnne Battista in ‘Contrada
Sotto Chiesia
de Santo Petro in Concita ‘Olda
de Santo Jacomo in Contrata Pigeria
Alia beneficia in Agro Bergomensis Mediolanensis
Chiesia de Santo Andrea de Sforzaticha . L.
| Clericato in detta chiesia
i in detta chiesia ;
Chiesia de Santo Michele de Sabbia .
Clericato in detta chiesia
Chiesia de Santo Petro de Lage
Clericato in detta chiesia
s in detta chiesia
Chiesia de Santo Laurentio de Merano io)
Clericato in deita chiesia . ì
Chiesia de Santo Zenono de Oxio ie Sotto
Clericato in detta chiesia
ù in detta chiesia
Chiesia de Santo Georgio de Boltero
Cappella in detta chiesia . 3 :
Chiesia de Santo Marco de Ciserano
Clericato in detta chiesia . 3
Chiesia de Santo Petro da Verdello Magione ;
Clericato in detta chiesia
f
Go ogle
Diocesis.
CENE: ATER
555
556 MARCO MAGISTRETTI
Chiesia de Santo Ambrosio de Verdello Minore L. — S. — D.—
Clericato in detta chiesia . ; . . . — — —_
2155. Clericato in detta chiesia . : — —_ —_
Chiesia de S.° Cosmo et Damiano di Paparo —_ — —
Clericato in detta chiesia . i ; ; . — — —_
Chiesa de Santo Michele de Arcene . i . — — —
Clericato in detta ‘chiesia. . ; ) a — —_
2160. Chiesia de Santo Alesandro de Capriate . — — —
Clericato in detta chiesia . 7 . — — —
Chiesia de Santo Geruasio de Santo Cernasio — — _
Clericato in detta chiesia . ; — — A
Chiesia de S.° Faustino et Jouita de Hiambae — — =
2165. Clericato in detta chiesia . a ; : i; — —
Nicolans Ormanetus Vicarius Archiepiscopalis Mediolan.
Jo. Franciscus Sormanus ordinarius deputatus.
Sfortia Specianus deputatus.
Alexander Vicecomes praepositus Mediolani deputatus.
Jacobus Philippus Sormanus deputatus.
Bartholomeus Parpalionus Curiae Archiepiscopalis Mediol. Cancellarius.
Liber Seminarij Mediolan. per multum R. J. U. doctorem D. Nicolaum Ormanetum Prothon,.rium ap.cum Ill, mi et R.mi DD. Caroli, p.bri
Car.lis Borromei nuncupati S.te Mediolanen. ecclesiae Archiep. Vicarium
Generalem et Visitatorem, etc. De Consilio R.di J. U. doctoris D. Jo.
Franc.ci Sormani Ordinarij Ecc.e Mediolan. et R.di J. U. D. Sfortie Spetiani ellectorum et deputatorum ab ipso R.do d.no Vicario, necnon et
R.di D. Alexandri Vicecomitis praepositi Ecclesiae Mediolanen. ellecti et
deputati a Capitulo p.tae ecclesiae, ac R.di J. U. Doctoris D. Jacobi Philippi Sormani ellecti et deputati a R.do Clero Mediolan., Consignatus
D. Bartholomeo Parpaliono Cancellario Curiae Archiepiscopalis Mediolani die Jovis quinto mensis Octobris Anni Millesimi quingentesimi sexagesimi quarti indic.* octava, praesentibus D. Christophoro Venegono
f. q. D. Johannis praedictae Curiae Notario et D. Hier.mo Cagarana f.
q. D. Bapte. P. T. p. S. Michaelis ad Cluxam Mediolani, testibus ambobus Idoneis ad praemissa vocatis specialiter atque rogatis.
Nicolaus Ormanetus.
Jo. Franciscus Sormanus.
Sfortia Specianus.
Alexander Vicecumes praepositus Mediolani.
Jacobus Philippus Sormanus.
Bartholomeus Parpalionus Cancellarius qui supra.
I
a
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS 557
APPHENDICEK
« MISCELLANEA DI COSE DI STORICA ERUDIZIONE MILANESE » (I).
Note DI Francesco Castetti, Ordinario della Chiesa
Milanese, morto nel 1578.
Perte et parochie (2) civitatis Medielani.
Porta orsentalis pro insignia defert leonem nigrum.
S.ti Babille intus et foris. S.ti Martini in Compito.
S.ti Stephani intus et foris. S.ti Stephanini ad Nusigiam.
S.t Stephani in Burgondia. S.ti Simplicianini,
S.ti Zenonis in Pasquirolo. S:ti Michaelis subtus domum.
S.te Marie Passarelle. S.ti Raphaelis.
S.ti Vitti in Pasquirolo. S.ti Salvatoris in Xenodochio.
S.ti Petri ad Ortum. S.te Tecle.
S.ti Georgij ad Putheum Album. Morrasterii Lantasii.
S.ti Pauli in Compito.
Porta Romana defer! pro insignia vexilum ex toto rubrum.
S.ti Calimeri. S.tr Andreae ad murum ruptum.
S.ti Nazarij in Brolio. S.ti Michaelis ad murum ruptum.
S.ti Stephani in Brolio intus et foris. S.ti Michaelis subtus domum.
S.te Euphemiae intus et foris. S.ti Alexandri in Zebedia.
S.ti Johannis ad Concham. S.te Mariae Beltradis.
S.ti Victoris ad Crucetam. S.ti Galdini.
S.ti Zenonis ad Crucetam. S.ti Johannis ad Fontes.
S.ti Johannis Isolani.
(1) Tale è il titolo da Francesco Predari (Libliografia Enciclopedica milanese, Milano, 1857) dato a questo opuscolo di sole 12 pagine. L'originale
ora sta pressso di me, mancante però del foglio di riguardo anteriore, sul quale
probabilmente v'era scritto il titolo e la data di compilazione dell’opuscoletto:
come e quando questo opuscolo passò fra le schede del dott. Giovanni Dozio,
a me pervenute, non saprei indicare. Il Predari scrive: « Il volume (sic) ha la data
« del 1550. Sta nell’archivio della Metropolitana e nell’Ambrosiana (sic), insieme 2
e quest'altro: Status ecclesiae Metropolitanae, ecc. ». Gli opuscoli del Castelli sono
interessanti per notizie sulla chiesa milanese all’epoca della venuta di S. Carlo
Borromeo nella Diocesi di Milano.
(2) Si avverta come da questo elenco risulti che il territorio di alcune parcechie non apparteneva esclusivamente ad una porta.
558 MARCO MAGISTRETTI
Porta Vercelina defert pro Insignia balsanam.
S.ti Martini ad Corpus intus et foris,
S.ti Nicolai intus et foris.
S.ti Petri supra dorsum.
S.ti Bartolomei parvi intus et foris,
S.torum Vitalis Naboris et Felicis,
S.te Valerie. |
S.ti Petri intus vineam.
S.ti Laurentini in Civitate.
Ste Marie ad circulum.
S.te Marie Pedonis.
Porta Nova defert pro Insignia
S.ti Bartolomei intus et foris.
S.ti Primi intus et foris.
S.ti Andreae ad Pusterlam novam.
S.ti Domnini ad Maziam.
S.ti Victoris et Quadraginta Martyrum.
S.ti Stephanini ad Nusigiam.
S.ti Martini ad Nusigiam.
S.ti Petri ad Cornareduin.
S.ti Johannis supra murum.
S.ti Petri ad Linteum.
S.te Marie ad Portam.
S.ti Vincentii Monasterii Novi.
S.ti Nazarii ad Petram Sanctam.
S.te Marie Secrete.
S.ti Victoris ad Theatrum.
S.ti Matthie ad Monetam.
S.ti Michaelis, ad Gallum.
quadratum ex albo nigrum.
S.ti Benedicti
S.ti Fidelis.
S.ti Eusebi].
S.ti Silvestri.
S.ti Laurentini in Turrigio.
S.torum Cosme et Damiani.
S.te Margarite.
S.ti Protasij ad Monachos.
Porta Ticinensis defert pro Insignia totuni album.
S.ti Vincentii intus et foris.
S.ti Laurenti majoris intus et foris.
S.ti Petri in Campo Laudensi intus
et foris.
S.te Euphemie intus et foris.
S.ti Michaelis ad Clusam.
S.ti Firmi.
S.ti Petri in Curte.
S.te Marie in Valle.
S.ti Petri in Caminadella.
S.te Marie ad Circulum.
S.ti Viti in Carubio.
Sti Xisti.
S.ti Quirici.
S.ti Victoris ad Putheum.
S.ti Maurilii.
S.ti Ambrosini in Solariolo.
S.ti Georgiìi in Palatio.
S.ti Alexandrini in Palatio.
S.ti Alexandri in Zebedia.
S.ti Sebastiani,
S.te Marie Beltratis.
S.tî Johannis ad Concham.
S.ti Matthie ad Monetam.
S.ti Michaelis ad Gallum.
Porta Cumana defert pro Insignia tabulatum ex albo et rubeum (sic).
S.ti Protasij in Campo foris.
S.ti Simpliciani foris.
S.ti Carpofori intus et foris.
‘S.ti Protasij in Campo intus.
S.ti Johannis ad quatuor facies.
S.ti Silvestri,
S.ti Marcelini.
Go O gle sea
S.ti Thome in terra amara et in
cruce Sichariorum.
S.ti Nazarii ad Petram Sanctam.
S.te Marie Secrete.
S.ti Cipriani.
S.ti Protasii ad Monachos.
S.ti Michaelis ad Gallum.
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS 559
Templa idolorum reconciliata ab Infrascriptis Pontificibus.
Templum Minerve nunc S.te Tecle,
reconciliata a S.to Barnaba ab Ambrosio appellata maior intramurana.
Templum Jovis | nunc S.ti Ambrosii,
reconciliata ab ipso divo Ambrosio.
Templum Apolinis nunc S.ti Calimeri.
reconciliata ab ipso S.to Calimero.
Templum idem (sic) Apolinis nunc S.ti Balille.
reconciliata a S.to Anatalone.
Templum Jani | nunc S.ti Johannis ad 4 facies. reconciliata a divo Ambrosio.
Templum Pantheon nunc S.ti Dionisi].
reconciliata a divo Ambrosio in Salvatoris et omnium prophetarum et
confessorum honorem.
Templum Herculis nunc S.ti Genesii.
reconciliata a divo Ambrosio.
Templum Bachi nunc S.ti Gregorij ad S. Victorem.
reconciliata a divo Materno. | i
Terme Herculee nunc S.ti Laurentii.
reconciliata a divo Ambrosio.
Antiquitates que Mediolani erant.
Arcus Triumphalis tendens a S.to Nazarij usque ad nusetam.
Circulus Maximus et Insimul tendebant a S. Maria Circuli usque ad
Hippodromus S. Petrum in Vinea et loca circumvicina.
Theatrum Trene ad S.m Victorem trenum (1). Et Trene appellantur quia
ibi propter martyrium fiebant lamenta,
Theatrum Pulcrum ad S.m M. Beltradam per beltranum (?).
ibi Joca fiebant.
Terme Herculee erant templum S.ti Laurentii a divo Ambrosio consecratum et in ecclesiam conversum.
Turis Imperatoris subtus eam confluebant omnes aque civitatis et cognominatur Victabia quia dabat vitam pratis que ex ea irrigabantur et ex ea nisi ex licentia Imperatoris nullis impartiebatur, nisi soluto certo tributo, Aodîe timiunis el exempia utentibus ex ea.
Fons S.ti Eustorgij Antiqui Romani non habebant puteos
Fons S.ti Caloceri nisi fontes ideo libenter inhabitabant
Fons intra aedes S.ti Eustorgij ) hanc regionem. Ibi etiam baptizabantur
Fons S.te Crucis infiniti Christiani ad fidem venientes.
(1) BONAVENTURA CASTIGLIONI nel suo opuscolo inedito, « Vite dei primi
€ XI arcivescovi di Milano », ci fa sapere che, nell'uso popolare del suo tempo,
la chiesa di S. Vittore al Teatro dicevasi S. Vittore treno.
560 MARCO MAGISTRETTI
Fundatores Infrascriptarum Ecclesiarum.
Paulina nunc S.ti Eustorgii (1).
Filipea i nunc S.ti Naboris.
Faustiniana nunc Sti Vitalis.
Portiana nunc S.ti Martini ad S.m Victorem (sic).
Poliandrum nunc In Monasterio S. Francisci.
Xenodochium nunc S.ti Salvatoris.
A dateo archipresbytero fundatum pro expositis.
Ecclesia Rozonis nunc S.ti Sepulcri.
Ecclesia Ghisonis nunc S.te Margarite.
Ecclesia ad refugium nunc S.ti Victoris altera.
Ecclesia ad Scorum concilia nunc S.ti Romani.
Ecclesia ad ulmum nunc S.ti Victoreli Capuzinorum.
Basilica Apostolorum nunc S.ti Nazari).
Ecclesia ad tres moros nunc S.ti Celsi
Ecclesia S.ti Vincentii ad septem allas ubi Frontus archiepiscopus simoniacus ab igne persequtus (sic) tandem ibi terra aperta eum deglutivit prope crucetam p. Romane. ista ecclesia erat intra aedes
Vicecomitum et appellatur ad 7 allas quia ibi sunt 7 vie (?).
Infrascriptae sunt Porte Civitatis Mediolani, alias oocluse et hodie aperte que
pusterule appellantur.
Pusterula S. Ambrosii
Pusterula Fabrorum.
Pusterula S.te Euphemie nunc P. Ludovica.
Pusterula Tonse nunc P. Tonsa.
. Pusterula Montis Fortis
Pusterula S.ti Andree
Pusterula Brayde nunc P. Beatrix.
Pusterula Jovis loco istius fuit fabricatum castrum P., Jovis.
Abbatie principales Civitatis Mediolani
S.ti Ambrosii mitrata.
S.ti Simpliciani mitrata.
S.ti Dionisi mitrata.
S.ti Celsi
S.ti Victoris
S.ti Vincentii
Preceptoria S.ti Antonii
Prioratus S.te Crucis
(1) Corretto di 23 ma., ma non è intelligibile la prima scrittura.
LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS 561
Domus equitum hierosolimitarum seu templariorum.
S.te Marie del templo.
S. Johannis in burgo P. R.
Alamanie S.ti Georgij ad putheum album.
Sunt secutares sed non possunt esse uxorati et
Alamanus major habent ad pias causas diversa onera et decedente
Alamanus minor maiore minor succedit et sunt de domo Menclotiorum.
Colegiate ecciesie Mediolani.
Capitulum ecclesie Mediolanensis. Capitulum S.° Marie ad Fulcurinum.
Capitulum S.ti Ambrosii. Capitulum S.ti Thome in terra aCapitulum S.ti Nazarij in Brolio. mara.
Capitulum S.ti Laurenti). Canonici quatuor S.ti Bartolomei.
Capitulum S.ti Stephani in Brolio. Canonici tres S.ti Calimeri.
Capitulum S.ti Georgij in Palatio. CanonicitresS.ti Martini ad Corpus.
Capitulum S.te Marie della Scalla. Canonici tres S.ti Sepulcri.
Marco MAGISTRETTI.
Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc, III. 36
VARIETÀ
Un appello contro sentenza dei consoli di Milano
al tempo di Ottone IV.
guaLcHE anno fa Girolamo Biscaro pubblicò in questo peI riodico (1) con ricco corredo di erudizione alcuni docui menti dai quali sì ebbe la prima e finora unica notizia
e di sentenze d'appello emesse in confronto di sentenze
dei ui di Milano. La prima di quelle sentenze, che erano
due in tutto, si riferiva ad una lite vertente tra l’abate di
Sant’ Ambrogio e il comune di Cologno e fu pronunciata da
« Oprandus... assessor lIacobi Mainerii, cui Iacobo dominus Fre-
« dericus imperator — causam appellacionis commiserat »; di
essa è menzione in un atto della curia imperiale del 30 aprile 1186
da Lodi nel quale Ottone Zendadario, giudice della stessa curia,
dichiara spettare all’abate il diritto di appellare (2). La seconda
concerneva una vertenza per diritti di « districtus » accampati dalla,
badessa del monastero di Meda sui vicini di Barlassina e fu proferita il 22 gennaio I119I da « Passaguerra imperialis aule index et
« appellationum Mediolani et eius iurisdictionis cognitor »; questa
ci pervenne in copia della prima metà del sec. XVIII desunta da
una pergamena che, riportatone il tenore da una copia autentica
insieme a quello di una sentenza interlocutoria data il 24 dello
stesso mese da Ottone Zendadario e Passaguerra « regie aule
(1) Serie IV, vol. 9, p. 213 e sgg. Gli appelli ai giudici imperiali dalle sentenze dei consoli di giustizia di Milano sotto Federico I ed Enrico VI.
(2) L'atto appartiene alla raccolta membranacea del monastero di S. Ambrogio ci nservata nel nostro Archivio di Stato e porta la segnatura T. V, c. 1,
n. 234; se ne conserva copia nel volume ms. del sec. XVIII dello stesso monastero intitolato Exemplaria diplomatum et documentorum, II, p. 399.
1 i SE
VARIETÀ 563
« judices et appellationum Mediolani et eius iurisdictionis cogni
« tores » per dichiarare di essere legalmente investiti della cognizione dell’appello inoltrato dalla badessa, conteneva un decreto
originale di Enrico VI del 23 novembre 1191 che confermava quest'ultima sentenza, perchè essa, nonostante una precedente conferma
imperiale, era stata infirmata « de facto, non de iure », da Pietro
giudice del podestà di Milano (1). |
Il Biscaro, considerando le molteplici difficoltà che avevano
ostacolato l’appello della badessa di Meda, la quale fu messa prima
nell’ impossibilità di far constare della sua dichiarazione d’appello
e poscia sì vide infirmata la sentenza interlocutoria dal giudice del
podestà, e non avendo d’altra parte trovato traccia dell’esercizio
della giurisdizione d’appello per il Milanese durante gli anni di
Ottone IV, ritenne che si fosse formata a Milano, come egli dice,
la consuetudine, quasi una « communis opinio », della inappellabilità di fatto delle sentenze consolari, quale tacito ma. doveroso
omaggio all’alta autorità morale dei magistrati ordinari, alla sovranità del comune. .
Invece volle il caso che, facendo io ricerche con tutt'altro scopo,
tra le carte delle corporazioni soppresse conservate nel nostro Archivio di Stato, rinvenissi nel fondo delle benedettine di S. Maria
Valle una sentenza d’appello, precisamente del tempo di Ottone IV,
la quale non è tanto importante per il suo contenuto giuridico,
quanto perchè è una prova che fu continuata la consuetudine di
appellare dalle sentenze dei consoli e perchè permette di prospettare diversamente ì rapporti tra ì consoli stessi e 1 giudici degli
appelli (2.
(1) La copia, che reca sopra un foglio la sentenza d’appello del 22 gennaio
119I e su due mezzi fogli gli altri due atti, è oggi conservata nella biblioteca
dell'Archivio di Stato (cartella Codice diplomatico lombardo); essa è della stessa
mano che scrisse gli indici delle pergamene del monastero di S. Ambrogio i
quali furono compilati tra il 1735 e il 1738 (cfr. Annuario del R. Archivio di
Stato in Milano, 1911, p. 77) e dovette servire, assieme ad altre copie della stessa
mano esistenti nella stessa cartella, per la scuola di diplomatica allora istituita in
quel monastero. La pergamena, onde fu tratta la copia e che portava le tracce
di un sigillo imperiale perduto, apparteneva all’archivio delle monache di San
Vittore di Meda, archivio che all’epoca napoleonica fu consegnato, come avvenne
di moltissime carte delle corporazioni soppresse, agli acquirenti dei beni del monastero (cfr. Aunuario cit. p. 71).
(2) Il documento potè sfuggire alle diligenti ricerche compiute dal Biscaro
nel materiale del nostro Archivio di Stato, come era passato inosservato anche
Go ogle
564 VARIETÀ
La sentenza riguarda una delle tante vertenze sorte a quell’epoca tra i signori laici ed ecclesiastici da una parte e i rustici
dall’altra per contestazioni di diritti di « districtus ». Tra il comune
di Uboldo e i fratelli Oprando e Corrado Crivelli, della nobile famiglia che figura nella matricola del 1277 (1), erasi agitata una lite
davanti ai consoli di giustizia di Milano. I detti fratelli, costituendosi attori, avevano domandato che il comune di Uboldo senza
l’ intervento loro, cui apparteneva l’ « honor et districtum et iuris-
« dictio loci de Uboldo pro magna parte », non eleggesse più nè
i consoli, nè il decano, nè il camparo, nè il vaccaro, nè il ferraio,
nè alcun altro pubblico ufficiale; volevano inoltre che lo stesso
comune non potesse imporre taglia nè sui cereali, nè sul debito,
ne sopra qualsiasi altra cosa e neppure giurare patti o far convenzioni ; infine chiedevano che il comune assegnasse ad essi i proventi delle « conpostularum (o, come è detto in altro passo del do-
« cumento, delle « compositurarum n) et mendantiarum », cioè delle
multe e delle ammende. A queste richieste si erano opposti i vi-
«cini dicendo che il « districtus » del luogo già da gran tempo era
stato diviso fra i condomini i quali singolarmente percepivano dai
« districtabiles » le prestazioni, come si poteva intendere dalla circostanza che separate liberazioni erano state fatte da uno di essi.
AI che rispondevano i due fratelli che il « districtus » non era
stato diviso, ma soltanto erano state divise alcune prestazioni di
loro natura individuali, come quelle dei trasporti fatti con carri e
dei polli, e che le liberazioni fatte da uno dei condomini non menomavano i diritti degli altri (2). Sulla vertenza il console Giovanni
al Giulini che pure compul:ò l'archivio di S. Maria Valle e ne pubblicò un atto in
data 6 agosto 1159 (Mem. 2VII, 124), perchè nel riordinamento subito da quel
fondo sui primi del sec. XVIII era stato incluso in una serie di atti considerati
come estranei agli interessi del monastero e perciò non registrati sull'apposito
indice cronologico degli atti dell'archivio. Avvenne'così che questi atti, tra i
quali è un originale del 28 giugno 1084 che potrebbe figurare degnamente nella
raccolta del Museo Diplomatico, quando fu ord:nata con la creazione dell’Archivio
Diplomatico la concentrazione delle pergamene antiche degli enti soppressi, poterono rimanere nascosti presso l'Amministrazione del Fondo di Religione, dove
ancora si celavano entro una cartella recante sul dorso, senza indicazioni di date,
la classifica Estranei.
(1) GiuLINI, Mem., 2IV, 644.
(2) Sul valore di questa ragione cfr. il Liber Consuetudinum, rubr. XNIV e
BIscARO, articolo cit, p. 225, n. 2.
(GO ogle
VARIETÀ 565
Pasquale (1) aveva pronunciata una sentenza favorevole ai rustici
di Uboldo. Non essendosi acquietati, i due fratelli Crivelli avevano
invocato un giudizio d’appello nel quale Iacopo Mainerio, in nome
suo e di Mudalbergo giudice dell’aula imperiale, in virtù di delega
in loro fatta dall’ imperatore Ottone, essendosi rifiutati i consoli di
Uboldo di intervenire al giudizio d’appello, pronunziò il 9 luglio
1210 in contumacia degli stessi consoli la sentenza da me rinvenuta
la quale accoglieva interamente le richieste dei fratelli Crivelli.
Per comprendere appieno il valore di questo atto, il quale è
anche l’unica sentenza d’appello milanese pervenutaci in originale,
è opportuno ricordare come venisse esercitata la giurisdizione di
appello. |
La cognizione delle cause in appello rientrava nelle attribuzioni del supremo potere giudiziario (2). Sotto i longnbardi, assodatasi l’autorità regia, spettò al re, e sotto i carolini all'imperatore,
il quale talora delegò il proprio potere ai messi regi e in alcuni
luoghi ai vescovi e ad altri signori locali (3). Durante il periodo
delle lotte per le libertà comunali, essendosi sostituita quasi interamente nell’Italia superiore all’autorità dell’imperatore quella dei
(1) Giovanni Pasquale fu console di Milano nel 1202 come rilevasi da tre
sentenze consolari, di cui una in data 22 aprile 1202 era nota al GIULINI (Mer.
? IV, 139) e le altre due del 20 aprile 1202 (Archivio di Stato Milano, Fondo
di Relig. Capitolo Maggiore del Duomo di Milano, Cass. 46, cart. N 5, num. 1)
e del 9 agosto 1202 (Archivio di Stato Milano, Pergamene del capitolo di Monza)
rimasero sconosciute anche al RioLpI (Le sentenze dei consoli di Milano in questo
periodico, serie IV, vol. III, p. 229 e sgg.). lo però non credo che la sentenza cui
qui si accenna sia stata data circa otto anni prima della sentenza d’appello, anche
. perchè la decisione d'appello doveva seguire ordinariamente entro due mesi e a
« contestatione litis vel a tempore appellationis recepte » (Pace di Costanza in
MuratORI, Antig. M. Aevi, IV, 302); bisogna quindi dire che Giovanni Pasquale
fu console di Milano nel 1210 o almeno nel 1209 per quanto negli atti che io
conosco dei consoli di Milano di tali anni ncn ricorra mai il suo nome. Trova
invece che il Pasquale non fu console di Milano nel 1206 perchè il 22 maggio
di quell’anno intervenne in qualità di semplice testimonio ad un atto fatto da un
minore avanti ai consoli di Milano (Archivio di Stato Milano, Pergamene del
capitolo di S. Ambrogio di Milano, sec. XIII n. 33). Un altro dello stesso casato fu nel 1rarr console di giustizia, cioè Alberico Pasquale, del quale si ha la
sottoscrizione in una sentenza del 29 luglio 1211 (Archivio di Stato Milano,
Pergamene del Monastero Maggiore, sec. XIII n. 39, serie Bonomi). Per altre
notizie su Giovanni Pasquale cfr. HPM, Leges, 302.
(2) PERTILE, 2VI, I, 39.
(3) PertILE, 2 VI, II, 265 e sgg.
566 VARIETÀ
rettori della Lega Lombarda, questi esercitarono insieme col potere
giudiziario supremo anche la giurisdizione d’appello, sia direttamente
che per mezzo di speciali delegati (1), Ma nelle convenzioni della
pace di Costanza la giurisdizione d’appello, fino a 25 lire, venne
lasciata ai comuni (2) che la esercitarono per mezzo del podestà e
dei suoi giudici o di speciali consoli degli appelli (3); di poi a
(1) Nella « Petitio rectorum Lombardiae et Marchiae atque Veneciae et Romaniae a domino imperatore » pubblicata dal MuraroRI (.Antig. M. Aevi, IV, 277)
con la data del 1177 e attribuita dal VIGNATI (Storia diplomatica della Lega Lombarda, p. 261) all'anno 1175, fu domandato « ut sententiae usque modo a cone sulibus civitatum seu locorum sive a predictis personis vel rectoribus late nec
« appellatione suspense, vel si super causam appellationis late fuerint, firma pere maneant »; nelle domande fatte dai comuni nell’aprile del 1133 ai plenipotenziari imperiali (MURATORI, ivi, 299) la richiesta fu rinnovata pressappoco negli
stessi termini. Inoltre il VienatI (Codice dipl. Laud. II, 113) pubblicò una seutenza di appello pronunciata il 29 dicembre 1180 da @« Girardus iudex atque consul
« Mediolani qui dicor Pistus cognoscens de appellatione super sententia lata a
« Girardo iudice qui dicitur de Baniolo assessore Ichannis de Calopino tunc
Laudensis potestatis et quam rectores Lombardie, Marchie et Romaniole mihi
cognoscendam comiserunt, (ad) quos appellatum fuerat videlicet super discordia
que vertebatur inter Albericum venerabilem episcopum Laudensem et ex altera
parte Ribaldum Incelsuni ».
(2) Acta pacis Constuntiue in MURATORI, Antig. M. Aevi, IV, 307. Auche
nel privilegio di Federico Il del febbraio 1219 col quale si riconoscono alla città
di Parma « regalia et consuetudines — sicut hactenus habuit » si cice, con parole
quasi identiche a quelle della pace di Costanza, che all'imperatore spetta la giurisdizione d'appello solo oltre le 2; lire (HurnLari-BREÉHOLLES, Historia diplomatica Friderici secundi, 1, 608).
Q
A_A
(3) A Como uno statuto del 1231 stabiliva « ut omnes appellaciones facte,
« vel que de cetero fient a senienciis consulum Cumarum iusticie vel regociato-
« rum et paraticorum et aliorum officialium tam interlocuturiis quam diffinitivis
« cuiusque quantitatis sint, fiant et perveniant et fieri possint et debeant a(d)
« iudices pallacii comunis de Cumis », cioè ai giudici del podestà che risiedevano nel palazzo del comune (HPM. Leges, II, 89, cap. CCXXXIII). Negli statuti
di Novara del 1277 analogamente si legge: « Appellationes sententiarum et causas
« mialeficiorum criminalium (ego potestas) suscipiam et iudicabo per me vel per
« meuni assessorem secundum leges et consuetudines civitatis Novarie » (HPM.
Leges, II, 575, cap. LXVI). Così pure negli statuti di Vercelli si ha: « Item sta-
« tutum est, si appellacio fiet ad me (potestatem) de aliqua causa iudicata infra
« quadraginta dies bona fide per me vel per meum nuncium iudicabo » (HPM.
Leges, II, 1161, cap. CLXXVIII). Ma anche prima della pace di Costanza i podestà, quali rappresentanti dell’imperatore, avevano deciso cause in appello; così
il podestà di Bergamo nel 1175 confermò una sentenza di quei consoli contro
Co ogle
VARIETÀ 567
poco a poco tale giurisdizione fu concessa anche ad altri comuni
che non avevano partecipato alla pace di Costanza (1); superiormente a quella somma fu riconosciuta di competenza dell’imperatore,
il quale però in casi specialissimi ed in premio di particolari benemerenze lasciò a certe città la giurisdizione d'appello anche per
cause relative a somme superiori a 25 lire (2).
la quale i soccombenti « appellaverant ad dictum potestatem » (Lupi, Il, 1287).
Dopo la pace di Costanza i podestà hanno generalmente la giurisdizione d'appello in quelle cause che, giusta le convenzioni della stessa pace o per speciali
concessioni alle città, più non spettino alla curia imperiale. Tra le poche sentenze d’appello pronunciate dai podestà che si rinvengono nei nostri atti, mi
piace indicare la seguente del podestà di Como in data 12 settembre 1214 (Archivio di Stato Mil:no, Pergamene del monastero di S. Ambrogio, T. VII, c. 2,
n. 129);
« (ST) Anno dominice incarnationis milleximo ducenteximo quartodecimo,
« die veneris duodecimo' intrante mense septembris, indicione secunda. Super
« causa appellacionis que vertebatur ex una parte inter Iohannem Cavasam de
« Domazio et ex altera Petrum de Placolo de Rovoledo super sententia lata per
« La n)terium Broccum consulem Cumanunmi de iustitia de plaustris sex feni et
de dampno, ego dominus Philippus Sappa iudex et vicarius domini Gaspardi
Advocati Cumani potestatis talem in scriptis do sententiam, videlicet quod
dico bene iudicatum per predictum Lanterium consulem et male appellatum fore.
« Data fuit hec sententia Cumis in palatio comunis de Cumis.
« Interfuerunt testes Vitta de Vitis, Iohannes Luffa et Ugolus de Canova.
a (ST) Ego qui supra Philippus causidicus hanc notitiam sive sententiam
dedi et subscripsi.
e ‘ST) Ego Guidc de Canonica notarius hanc sententiam iussu suprascripti
domini Philippi scripsi et interfui ».
Consoli speciali degli appelli vi erano a Brescia nei cui statuti del secolo XIII si legge: « Item quod omnes offitiales iustitiae Brixiae et consules
« appellationum de cetero sint iudices de collegio iudicum Brixiae » ( HPM.
Leges, il, 1176, cap. CCXIV). Anche ad Asti le cause d'appello inferiori a 25
lire furono trattate avanti ai consoli della città (cfr. il passo riportato nella nota
A a
seguente).
(1) Nel 1186 Federico I a petizione del vescovo di Asti concede a quella
eittà « ut causae appellationum quarum summa vigintiquinque libras astensis
« monete non excedat ad maiestatem nostram nequaquam deferri per appellatio-
« nem debeant sed coram consulibus predictae civitatis decidantur ». (PERTILE,
2 VI, II, 268 nota 22).
(2) Tra queste città pare vi fosse Novara con giurisdizione d’appello fino a
lire cento; difatti nei suoi statuti si ha che « aliquis non possit appellari a poa testate Novarie seu ab eius assessoribus de aliqua causa que non uscendat ad
568 VARIETÀ
L’ imperatore, quando era in Italia, conosceva delle cause di
appello, e insieme di quelle vertenti tra comuni e signori che non
avevano sopra di sè altra autorità che quella di lui, principalmente
a mezzo di una sua speciale curia che si raccoglieva quando egli
discendeva in Italia, lo seguiva nelle sue peregrinazioni attraverso
‘la penisola e si scioglieva quando l’imperatore ripassava le Alpi (1).
Essa era costituita da un certo numero di « imperialis aule iudices »
scelti tra i migliori e più eccellenti giudici delle città italiane, tra
i quali Milano ebbe in diversi tempi a rappresentanti Ottone Zendadario, Passaguerra, Monaco de Villa e Mudalbergo (2), ed era
« summam librarum centum impèrialium » (HPM. Leges, II, 575, cap. LXVI).
Vi era poi certamente Como, alla quale il 15 giugno 1216 l’imperatore Federico II concesse la decisione degli appelli di competenza della curia imperiale qualunque somma involgessero (RoveLLI, Storia di Como, II, 374); e probabilmente la
concessione di Federico II per Como, quantunque non sia detto nel diploma, non
fu che una conferma del privilegio precedentemente fatto alla città dagli antecessori di lui; difatti negli statuti vi è un capitolo del 1215 (HPM. Leges, II, 88,
cap. CCXXX) nel quale, contrariamente ai termini fissati nella pace di Costanza,
è stabilito che « omnes appellaciones civitatis et eius iurisdictionis a libris quin-
« quaginta (cioè lire 50 terzuole uguali a lire 25 imperiali) supra et infra de-
« veniat in potestate(m) Cumarum vel eius iudices vel consules comunis »;
inoltre un documento già accennato dal Biscaro (Archivio Storico Lombardo,
serie IV, vol. IX, p. 213) fa espressa menzione di un privilegio di tal natura
concesso alla città fin da prima del 1197.
(I) Si desume dal confronto tra i documenti noti relativi all'attività di questa
curia pubblicati quasi tutti dal FickER (Forschungen IV, 154 e sgg.) e l’itinerario imperiale quale risulta dai regesti del BòuMmER (Regesta imperii, V).
Qualche volta la curia si raccoglieva anche intorno alla persona del legato
dell’imperatore per l’Italia durante la permanenza di questo in Germania; così
poco dopo la nomina di Volcherio patriarca - d' Aquileia a legato in Italia,
(1209 gennaio 13, Augusta, BòHMER, n. 259) la curia si raduna intorno a
lui e lo segue a Brescia, Bologna e Faenza (cfr. in BòHMER gli atti 1209
aprile 21 n. 12339, maggio 30 n. 1234I, giugno 5 n. 12342). Non mi consta
invece che la curia si radunasse intorno a Federico vescovo di Trento e vicario
della curia imperiale, il quale nel 1213 era legato imperiale in Lombardia
(1213 maggio 2, BOuMER, n. 12441) e dal 1215 al 1218 fu legato imperiale in
tutta Italia (BOHMER, 1215 settembre 2 n. 12484, 1215 settembre 4 n. 12485,
1218 gennaio 30 n.12520, 1218 febbraio 17 n.12521), e intorno a Corrado de
Scharfeneck, vescovo di Metz e di Spira e legato d’Italia nel 1221 (Ficker, IV, 292).
(2) Di Ottone Zendadario e di Passaguerra parla diffusamente il Biscaro
(Archivio Storico Lombardo, serie IV, vol. 9 p. 233 e sgg.); il primo ci appare
nelle funzioni di giudice aulico fra il 1185 e il 1196 (FickER, IV, 154; TOECHE,
VARIETÀ 569
presieduta da due vicari quasi sempre di nazionalità italiana (1), i
quali pare avessero ciascuno competenza su una determinata parte
del territorio (2). Dalle sentenze della curia imperiale non era ammesso ulteriore appello ad altri giudici (3).
Ma quando l’imperatore trovavasi oltralpe, sciolta la curia come
Kaiser Heinrich VI in Iabrb. des Deutschen); Valtro dal 1187 al 1210 (FickeRr,
IV, 172, 228); Monaco de Villa fu giudice aulico tra il 1209 e il 1210
(Biscaro, I. cit. p. 242, BSHMER, n. 312 e sgg.), fu console di Milano nel 1197
e nel 1202 (HPM. Leges, 961); Mudalbergo appare per la prima volta come
giudice aulico nel 1210 nella sentenza d'appello che qui si pubblica ed è ricordato con tale qualifica ancora negli anni 1221 e 1223 (BOHMER, n. 12668, 12669
e 12878); lo stesso fu console di Milano nel 1205 (sentenza consolare del 25
ottobre 1205, «Archivio di Stato Milano, Pergamene di Chiaravalle, Rotolo di
diversi istrumenti, atto n. 27) e nel 1211 (Sentenza consolare del 29 luglio 1211,
Archivio di Stato Milano, Pergamene del Monastero Maggiore, sec. XIII, n. 39,
serie Bonomi).
(1) Tra i vicari della curia imperiale si vogliono ricordare Corrado vescovo
di Lubecca (1185), Bonifacio vescovo di Novara (1185-86), Metello da Brescia
(1185-86), Angelo arcivescovo di Taranto (1196), Enrico vescovo di Mantova
(1209-1211) e Federico vescovo di Trento (1213-1218). A proposito di Bonifacio
vescovo di Novara si può notare come la carica di vicario della curia imperiale
non gli impediva di risolvere nello stesso tempo cause ecclesiastiche a lui delegate dal pontefice; difatti ci è pervenuta una sentenza d’app:llo pronunciata da
lui il 24 giugno 1185 « de conscilio assessorum ‘suorum » con la quale dichiara
giusta una precedente sentenza di Rogerio de Sedriano giudice del cardinale
Uberto del titolo di S. Lorenzo in Damaso in una vertenza tra il monastero di
S. Ambrogio e la chiesa di S. Giovanni di Bellagio (Archivio di Stato Milano,
Pergamene del monastero di S. Ambrogio T. V, c. 1, n. 230); anzi è interes
sante a questo riguardo il fatto che lo stesso vescovo ordinò l’autenticazione e
la redazione in pubblica forma della testimonianza delle due parti al notaio Arverio Terdonese il quale appunto in quegli anni figura come notaio della curia
imperiale (Ivi, T. V, c. 1, n. 223).
(2) Sotto Ottone IV, Enrico vescovo di Mantova, aveva competenza sulle
cause € tam principales quam appellationes » del territorio che si stendeva « a
« Placentia et Cremona in sursum versus Cumas et Taurinum et Terdonam se-
« cundum et usque quo Lombardia extenditur » (FickERr, IV, 249, 1211 gennaio 10, Pavia).
(3) Il FicKER (IV, 235) ha pubblicato un atto del 12 aprile 1210 da Pisa in
cui « Englomarius de Porcile sindicus Porcilis », sentendosi gravato dalla sentenza pronunciata dai giudici della curia imperiale, ad dominum imperatorem vel
« ubicumque appellatio posset ire appellavit ab ipsis iudicibus, et ipsi iudices die rerunt quod non recipiebant suam appellationem quia non poterat ab eis ap-
« pellari ».
570 VARIETA
corpo giudicante e ritornati alle loro case i giudici che continuavano tuttavia a nomarsi « imperialis aule iudices », la giurisdizione
d'appello, in conformità dei patti della pace di Costanza che stabilivano non doversi le parti costringere a recarsi in Germania
per la decisione delle cause appellate, veniva esercitata da giudici
dell’aula imperiale con competenza su singole partizioni del territorio. Per Milano abbiamo già ricordato Ottone Zendadario e Passaguerra ì quali nel 1191, durante l’assenza dell’imperatore, erano
« regie aule iudices et appellationum Mediolani et eius iurisdictionis
« cognitores »; si sa inoltre che nel 1212 l’imperatore da Boppart
nell’arcivescovado di Treviri elesse Guglielmo Pusterla e Maifredo
de Osa a giudicare in suo nome di lui in Milano e suo distretto (1).
In altre parti d’Italia, soggette ai grandi feudatari dell'impero, pare
che questi fossero di preferenza investiti, sempre nell’assenza dell'imperatore, della cognizione delle cause d’appello: così Opizzone
marchese d'Este nel 1192 e seguente aveva giurisdizione d’appello
nei territori di Treviso, Ceneda, Feltre, Belluno e Verona, giurisdizione che però egli non esercitava direttamente, ma per mezzo
di giudici da lui nominati fra i quali aveva ripartito il territorio
della sua marca (2). |
Pertanto, dopo la pace ‘di Costanza, per cause superiori a
25 lire, durante la permanenza dell’imperatore in Italia, l’appello
era di competenza della curia imperiale e durante la sua assenza
era*di competenza dei giudici degli appelli da lui eletti a giudicare
sopra ì singoli territori.
Ma l’imperatore puteva in qualsiasi tempo sottrarre alla curia
(1) BòHMeR, n. 489, 1212 ottobre 7.
(2) Ficker, IV, 177, VIII: 1192 gennaio 25, « Otoljnus iudex et Rolandinus
e de Malpilo constituti ad iudicandas et finiendas causas appellationum Tarvisini
a episcopatus, Cenetensis, Feltrensis et Bellunensis a domino marchione Opicone
« de Este, constituto a domino Henrico Dei gratia Romanorum imperatore 3,
giudicano di un appello presentato contro una sentenza di Drudo vescovo di
Feltre. Ivi, 182, 1192 sett. 7, « Nos Albrigetus iudex et Egidiolus de Sintilla
« paduanus constituti a domino Opizone Estensi marchione ad agnitionem causarum appellationum Verone et eius districtus, cui cognitio causarum appellationum totius marce Veronensis a di mino Henrico Dei gratia Rcmanorum
imperatore concessa est, cognoscentes pro eisdem scilicet pro domino Henrico
imperatore et marchione Opizone de causa appellationis facte a sententia quam
« tulit dominus Conradinus de Illasio iudex et tunc consul Verone » ecc. Ivi,
187, 1193 agosto I1, in una causa tra la chiesa di Verona e il comune di
Porcile figurano « iudices marchionis ex appellaticne cognoscentes ».
A Q_R
(GO ogle
VARIETA 571
imperiale e ai giudici degli appelli le cause di loro competenza e
aftidarle di volta in volta a delegati speciali, nello stesso modo
che i consoli dei comuni solevano talora delegare a persone di
loro fiducia le cause che avrebbero potuto decidere essi direttamente.
Questi delegati sono, nei casi noti, oriundi del luogo dove sono
chiamati a giudicare, fanno parte il più delle volte della curia imperiale (1) e il loro numero varia da uno a due; ricevono la commissione ogni volta mediante lettere imperiali che si leggono in
giudizio (2) e dalle loro sentenze è ammesso l’appello alla curia (3).
Le sentenze pronunciate dai delegati imperiali, come quelle
pronunciate daì giudici degli appelli, dovevano riportare, per essere pienamente valide, la conferma dell’imperatore (4); pare che
il giudice del podestà avesse potere, almeno in alcuni luoghi, di
infirmare « de facto » o « de iure » tali sentenze prima della conferma imperiale (5).
Ora dalle poche nozioni esposte si comprende agevolmente
come la sentenza del 9 luglio 1210 che qui si pubblica rientri fra
quelle pronunciate da speciali delegati imperiali e si riconnetta,
quanto alla potestà da cui emana, alla sentenza milanese d’appello
di cui è cenno nell’atto 30 aprile 1186, la quale fu pronunciata da
un assessore di un delegato imperiale, mentre l’altra sentenza d’apn —_ —— _ _____—___—_&m6k
{1) Quasi sempre in qualità di giudici; credo però che quel e magister
« Metellus » che insieme all’ altro delegato imperiale, Guglielmo Orione, decideva in appello con sentenza del 22 marzo 1193 in Brescia la vertenza esistente
tra i comuni di Arco e di Dreno (FickEr, IV, 184), sia una stessa persona con
il « magister Metellus Brixiensis » che figura qualche anuo prima tra i vicari
« domini imreeratoris ad iustitias faciendas ».
(2) FicKER, IV, 184: « inspecto etiam tenore litterarum comisionis domini
« imperatoris ». Un esempio di tali lettere di delega del $ maggio 1236 si ha
nello stesso FicKER (IV, 354); in esse l’imperatore Federico confida ad « Hawardo
« iydici Brixinensi » la decisione in appello di una vertenza definita in prima
istanza dal vescovo di Trento.
(3) Il FicxeR (IV, 192, IV) pubblicò una sentenza d'appello pronunciata il.
20 settembre 1196 in Piacenza da Angelo arcivescovo di Taranto e vicario della
curia imperiale e dai giudici della stessa curia sopra una sentenza emanata il
23 maggio 1196 in Mortara da Guido de Puteo cittadino di Pavia e giudice
della curia imperiale, il quaie era « cognoscens in delegatione d. Henrici Roe manorum imperatoris » di una causa tra il vescovado di Vercelli e il comune
di Casale. I
(4) Cfr. il citato decreto di Enrico VI del 23 novembre II9r pubblicato
dal Biscaro in questo Archivio, serie IV, vol. IX, p. 247.
(5) Ivi
Lo ogle
572 VARIETÀ
pello del 22 gennaio 1191 fu emessa da uno dei due giudici degli
appelli aventi giurisdizione nel territorio milanese durante l’assenza dell’ imperatore.
Uno dei delegati, cioè Iacopo Mainerio, era pure delegato per l’appello ricordato nell’atto del 1186, e ciò mi fa supporre che vi fosse da
parte dell’imperatore la consuetudine di ricorrere, per siffatti delicati
incarichi, di preferenza alle stesse persone. Il Mainerio non fece parte
nè prima nè poi della curia imperiale, ma come mostrano le indagini del Biscaro, fu egualmente uno dei più eminenti personaggi
della repubblica milanese: console in patria nel 1170 e 1172, fu
podestà di Piacenza nel 1187 e di Genova nel 1194-95, e 18 giugno
1186 giurò con molti milanesi la pace coi Cremonesi al campo imperiale presso Castel Manfredi (1). L'altro delegato, Mudalbergo,
era pure un eminente personaggio milanese, come quello che oltre
all'essere già alla data della sentenza giudice della curia imperiale,
fu anch’esso almeno due volte console di Milano nel 1205 e nel
12II (2). È
La sentenza fu data nel broletto di Milano dove solevano avere
il loro seggio i consoli di giustizia e fu rogata e scritta dal notaio
« Petrus Rabbus » il quale nel 1202 aveva steso un atto per il
console Arnaldo de Bumbellis (3). Inoltre essa segue il formulario
delle sentenze emanate dai consoli di Milano in quel torno di tempo
molto più da vicino che non faccia per il rispettivo tempo quella:
del 22 gennaio 1191: reca cioè l’invocazione nominale, l’indicazione del giorno della settimana e del mese col computo diretto, la
data di luogo, l'annuncio della sentenza con la formola « Sententiam
« protulit N super causa que inter A ex una parte vertebatur et
« ex altera B », la petitio dell’attore, la responsto del convenuto,
la replicatio dell’attore, la sentenza nella formola « Quibus et aliis
« visis et auditis testibus et instrumentis diligenter inspectis pre-
(1) Biscaro, l. cit., p. 217, nota 2.
(2) Cfr. nota 17.
(3) E’ un atto del 20 luglio 1202 col quale Arnaldo Bombelli, console di
giustizia di Milano, « ex offitio sui consulatus delegavit de consensu partium
« Mirano Muricu!e et Baldiciono Stampe » una causa vertente « inter Arnaldum
« Alberium actorem ex una parte et ex alrera Albertinum de Campo et Mar-
« chixium de Lanciano ambo de loco Azello » (copia sincrona in Archivio di
Stato Milano, Pergamene del capitolo di S. Giorgio al Palazzo di Milano, cas. B,
cart. R, num. 5 sotto la data 21 luglio 1202). Un altro atto rogato nel 1201
dallo stesso notaio nel broletto dei consoli di Milano, ma per un privato contratto di vendita, è tra le pergamene del capitolo di S. Ambrogio, sec. XII, n. 2.
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VARIETA 573
« fatus N pronunciavit » ecc., la formola « Et sic finita est causa »,
l'indicazione dei testi, la sottoscrizione di uno dei giudici, la sottoscrizione del rogatario.
Dal complesso di queste osservazioni, e cioè dall’essere stata
data la sentenza nel broletto e dall’essere stata rogata da un notaio che aveva già scritto atti pei consoli, nonchè dal seguire essa
il formulario delle sentenze dei consoli, mi pare si possa dedurre
che l’antagonismo cui allude il Biscaro tra il potere dei consoli derivato dalle libertà comunali e il potere dei giudici e delegati degli appelli che ripetevano il loro potere dall’imperatore più non vi fosse
all’epoca di Ottone IV; e dubito forte che esso sia esistito anche
prima ai tempi di Enrico VI e di Federico I, per il fatto che quei
delegati e giudici erano bensì eletti dall’ imperatore, ma fra le persone del luogo che godevano maggiore considerazione e che avevano coperto le più alte cariche cittadine. lo preferisco credere
che, salvo eccezioni di casì singoli, di cui uno può essere precisamente quello fatto conoscere dal Biscaro relativo alla badessa di
Meda, l’appello non fosse ostacolato dal potere dei consoli, i quali,
a mio avviso, non potevano disconoscere la superiorità di concittadini ritenuti dalla opinione pubblica fra i migliori ed investiti
della giurisdizione d’appello dall’ imperatore, molto più che l’autorità imperiale non fu mai discussa, neppure durante il periodo più
vivo della lotta per il riconoscimento dei comuni e delle loro libertà.
Si potrebbe qui porre la questione se esistette fin da principio
un apposito ufficio per i giudici imperiali d’appello con un proprio
notaio e propri « servitores », ma pur troppo la scarsezza di documenti non ci permette di giungere a risultati positivi. La sentenza ricordata nell’ atto del 30 aprile 1186 fu pronunciata, come
s'è visto, da « Oprandus... assessor lacobi Maineri » e poichè l’« as-
« sessor » sostituisce comunemente un pubblico ufficiale, vien fatto
di pensare all'esistenza di un ufficio ; così nella sentenza del 1210
si dice che fra i testi era presente « de servitoribus Seccapanis de
« Paderno », e si sa che « servitores » erano gli uscieri degli uffici. Ma nel primo caso l’indizio mi sembra troppo debole e indiretto, e nel secondo caso può darsi che, essendosi pronunciata
la sentenza nel broletto dei consoli, sì sia ricorso per il recapito
degli atti alle parti e specialmente delle citazioni al convenuto,
all'opera dei « servitores » dei consoli stessi, dei quali « ser-
« vitores » uno sarebbe intervenuto come teste nella sentenza ;
debbo però dire che negli atti dei consoli a me noti, nè prima
nè dopo il 1210 ebbi a trovar mai menzione del predetto « Sec-
« capanis de Paderno ». D'altra parte nessuna luce ci può venire
Bi il “Ta
574 VARIETÀ
in proposito dalle sottoscrizioni dei notai che rogarono le sentenze
perchè, mentre non si conosce chi abbia rogata quella ricordata
nell'atto del 1186, e mentre quella del 22 gennaio 1191 fu scritta
dallo stesso Passaguerra che la pronunciò, non si potrebbe dedurre la non esistenza dell’ufficio dalla mancanza della qualifica di
scriba (1) nelle sottoscrizioni dei due notai « Ambrosius Abando-
« natus » e « Petrus Rabbus » che rogarono rispettivamente l'atto
24 gennaio 1191 che fu pure emanato dai giudici degli appelli e la
sentenza del 1210; difatti negli atti degli uffici del comune di Milano
quella qualifica si incontra assai raramente prima della fine del secondo decennio del sec. XIII (2). Tuttavia, nonostante l’ incertezza
dei dati esposti, mi pare che se si possono avere dei dubbi sul-
(1) Sul valore di scriba nel territorio di Genova, Piemonte e Lombardia
settentrionale e occidentale in contrapposizione a quello di motaris usato altrove
cfr. ToreLLI, Studi e ricerche di diplomatica comunale, I, 1911, p. 94-
(2) Il più antico esempio che io conosca per Milano di sottoscrizioni di notai
di pubblici uffici in cui ricorra la qualifica di scriba è del 1198 in un atto di
concordia tra il comune di Milano e quello di Como, pervenutoci in copia nel
primo volume dei Vetera Monumenta (c. 42) della biblioteca Comunale di Como
(HPM, Leges, II, 385): « Ego Rogerius de Gatto notarius et domini Henrici
a imperatoris missus ac comunis Mediolani scriba iussu consulum comunis
« Mediolani scripsi ». Ma il secondo esempio, dopo del quale la qualifica di”
scriba comincia a farsi frequente, è del 20 febbraio 1219 (Archivio di Stato
Milano, Pergamene varie ui Milano) in una sentenza del console Guido Preallone, dove leggesi la seguente sottoscrizione: « Ego Paganus filius quondam
« Arderici de Puteo civitatis Mediolani de Sancta Maria Beltrade palatii sacri
« notarius et scriba consulum scripsi ». Ciò per altro non significa che i
notai che rogavano atti per gli uffici del comune senza usare della qualifica
di scriba non si ritenessero ufficiali delle rispettive autorità comunali: è
noto difatti che Ugo di Castenianega nel 1213 rispose affermativamente alla
domanda che gli era stata rivolta se nel 1183 fosse « scriba et officialis con-
« sulum iustitie pro faciendis sententiis et aliis publicis scripturis » (BBRLAN, Le due edizioni milanese e torinese delle consuetudini di Milano, Vene:
zia, 1872, p, 178). Forse la ragione della mancata designazione della quali
fica sta nel fatto che la qualità di notaio era in essi prevalente, tanto che
potevano rogare contemporaneamente anche atti per i privati. Dello stesso Ugo
de Castenianega si ha fra le pergamene di S. Maria alla Passerella in Archivio
di Stato un atto in data. Milano 3 maggio 1186 col quale « Petrus filius quone dam Girardi qui dicebatur Fodega de burgo Modoecia pro se et pro Girardino
« fratre suo qui minor est etate » vende « domno Arderico presbitero ecclesie
« S. Marie constructe infra civitatem Mediolani prope portami Horientalem ad
« portami ipsius ecclesie suam portionem que est medietas unius case reiacentis
« infra suprascriptam civitatem propre predictam ecclesiam ».
Go ogle
VARIETÀ 575
“
l’esistenza di un apposito ufficio pei giudici imperiali d'appello nel
tempo più antico e specialmente durante gli ultimi anni del sec. XII
e i primi del seguente, non se ne possono avere più per il tempo
che seguì e che fu caratterizzato dalla cura posta dalle singole
autorità nella conservazione dei propri atti (I).
Ma ecco che qui si affaccia un’altra questione non meno importante, se cioè l’istituto degli appelli alla curia e ai giudici di
nomina imperiale fu continuato anche dopo il tempo di Ottone IV.
Dirò a questo proposito che, per quanto una risposta esauriente
non sia possibile neppur qui perchè non si conoscono atti emanati
dagli uffici d’appello, non si può tuttavia mettere in dubbio che
almeno in linea di diritto la giurisdizione d’appello nelle cause superiorì a 25 lire continuò per lungo tempo ancora ad essere una prerogativa del potere imperiale. Che se da una parte gli appelli alla
curia dovettero farsi sempre più rari in relazione alle meno frequenti visite dell’imperatore in Italia, che non sappiamo neppure
se ricostituisse sempre la sua curia, si hanno d'altra parte le prove
che l’ istituto degli appelli innanzi ai giudici di nomina imperiale
durò fra noi fino al sec. XIV inoltrato. Si ha infatti che nella
Tuscia nel 1329 aveva potere di giudicare degli appelli in nome
dell’ imperatore « Fredericus comes de Octing pro sacro romano
« imperio in Tuscia vicarius generalis » (2); che nel 1330 pei territori di Bergamo e Brescia, Teutaldo de Sovardis e Maffeo de
Forestis furono nominati dall'imperatore « iudices ordinarii et au-
« ditores generales imperii in omnibus civilibus et singulis causis
« et questionibus appellationum et nullitatum » (3); che negli statuti pure di Bergamo del 1333 si parla di « vicarii imperii » ai
quali debbono essere presentati gli appelli (4). Quanto a Milano si
è visto come nel 1212 fossero nominati giudici imperiali Guglielmo
de Pusterla e Manfredo de Osa; e se il Liber consuetudinum non
parla degli appelli se non per escluderli nei rapporti dei rustici coi
(1) La più antica memoria della conservazione degli atti da parte del comune di Milano risale ai primissimi anni del sec. XIII ed è in un atto di donazione fatto il 4 febbraio 1204 da Ottone Zendadario al monastero di Chiaravalle: in esso tra il testo e la sottoscrizione del notaio si legge, scritto d’altra
mano: « Extractum est in quaternis comunis Mediolani per Redulfum de Mo-
« neta notarium huic officio constitutum*et subscripsi » (Archivio di Stato Milano,
Pergamene del monastero di S. Ambrogio, T. 7, c. 1, n. 32).
(2) FickEr, IV, 512.
(3) FicKER, IV, 515.
(4) Latres, Il diritto consuetudinario delle città lombarde, Milano, 1899, p. 113.
Go ogle
5376 VARIETÀ
domini (1), il sacramento del podestà di Milano, riferito dal Corio,
fa però espresso rinvio alla pace di Costanza (2); di più io ho trovato menzione di due diplomi imperiali perduti i quali ne mostrano
che nel 1327 l’imperatore costituì « iudices appellationum d. Guil-
« lelmum de Feria et Leonem de Dugnano iurisperitos in civitate et
« comitatu Mediolani » e nominò « Paganolum Ardixium notarium
« scripturarum et actorum causarum apelationum civitatis et comi-
« tatus Mediolani » (3). Dopo d’allora però la giurisdizione d'appello appare quasi dovunque affidata, senza distinzione per la
somma in causa, a speciali tribunali d’appello all’ infuori di ogni
ingerenza imperiale (4).
Ma correndo dietro alle questioni che sono connesse con l’istituto degli appelli e delle quali lascio ad altri il compito di ricercare la soluzione, io mi accorgo di avere ormai di troppo oltrepassato i termini strettamente necessari all’illustrazione della sentenza
da me rinvenuta.
Cesare MAnNARESI.
DOCUMENTO.
{ST] In nomine Domini. Die veneris, nono die mensis iulii, in brolietto Mediolani.{Sententiam protulit Iacobus qui dicitur Mainerius pro se
et Mudalbergo iudice imperialis aule, voluntate et mandato eiusdem
Mudalbergi sutii sui, ambo a domino Ottone Dei gratia Romanorum
imperatore delegati, sfuper causa] appellationis que inter Oprandum et
Chunradum fratres qui dicuntur Crivelli ex una parte vertebatur, et ex
altera Guilielmum Ferrarium, .... Scaravazium et Johanninum Bolzam
quondam consules veteres et Frumentum de Scotto et Villanum Bolzam
(1) Rubr. XXIV. L'esclusione dell’appello nelle vertenze tra signori e rustici
si ha anche negli statuti del 1396 (cap. CLVI) nei quali si legge: « Appellari
« non possit a sententia lata in causis — in quibus questio vertitur utrum cum
« vicinis vel cum nobilibus burgi vel loci ».
(2) Corio, Zistoria di Milano, p. 200.
(3) I due diplomi sono riferiti in brevissimo sunto a c. 142 (num. nuova)
del Repertorio statutario, ms. del sec. XV che si conserva nell’Archivio di Stato
(Statuti dei comuni, Milano I, parte antica IV) e che fu già illustrato da N. FfRORELLI in questo Archivio, IgI11, serie IV, vol. XVI, p. 94 e sgg.
(4) PERTILE, 2VI, II, 271 e sgg.
Î 5y (GO ogle T: a
VARIETÀ 577
modo et in prese[nti consu]jles de loco Uboldo nomine ipsius comunis
et universitatis loci de Uboldo. Petebant siquidem prefati fratres qui
dicuntur Crivelli quatinus ipsi delegati pronuntiarent sententiam latam
a lohanne Pasquale tunc temporis iustitie Mediolani consule iniustam
esse et bene appellatum et male pronuntiatum esse super petitione
quam ipsi fratres fatiebant contra prefatos consules de Uboldo, suo
nomine et nomine universitatis sive comunis loci de Uboldo, ut de
cetero non elligerent sive facerent consulem vel consules loci de
Uboldo sive in illo loco, nec decanum, nec camparium, nec vaccarium, nec ferrarium seu aliquem alium offitialem pro comuni sine eis
vel suo misso; insuper petebant ne facerent aliquam talliam blave vel
debiti vel alicuius rei, nec aliquod sacramentum pro comuni, sive aliquam, convenientiam in eo loco sine sua parabola et presentia vel
eorum missi; item postulabant ut omnium conpostularum et mendantiarum suam contingentem portionem sibi assignarent; quod autem prefati consules de Uboldo suo nomine et nomine universitatis sive comunis loci de Uboldo prefata lacere et observare tenerentur, dicebant
ipsi fratres ea ratione quoniam honor et districtum et iurisditio loci de
Uboldo pro magna parte ad se pertinet; quod clarius dicebant coustare
per ipsorum rusticoruin confessionem et per quodam publicuni instrumentum. E contra prefati consules de Uboldo respondentes in priori
causa dicebant ad prefata nullatenus teneri, allegantes districtum ipsius
loci inter dominos fore divisum per sedimina eiusdem loci et divisim a
longis retro ten;poribus detentum ab ipsis dominis recipiendo quilibet
dominorum a suis districtabilibus conditia pro sediminibus quod presertim ex eo manifeste posse percipi aiebant, cum inveniantur sediminum liberationes singilatin ab uno ex dominis fore factas. Ex adverso
psi fratres replicantes respondebant districtum loci non esse divisum
nec divisim detentum, et quod dicunt quod conditia sediminum divisim
prestantur a rusticis, dicebant ipsi fratres illud fieri ea ratione propter
difficilem et inposibilem prestationem ipsarum conditionum, quoniam
ipse conditiones que prestantur a rusticis sepius non recipiebant divisionem, puta carrizium et pullus forte et alia similia que prorsus sunt
individua, et ideo a dominis ipsis fuisse tantum ipse conditiones divise;
quod autem ipsi consules rusticorum obiciunt quod liberationes ab uno
ex dominis sediminum sunt facte non nocet, cum huiusmodi liberationes
facte tantum intelligantur ab illo domino et non ab alio qui non fecerit;
quod ex tenore plurium sententiarum manifeste posse perpendi asseverabant. Quibus et aliis visis et auditis testibus et instrumentis diligenter inspectis, habito quoque plurium sapientum virorum conscilio,
prefatus lacobus Mainerius, de mandato et consensu atque voluntate
iamdicti Mudalbergi sotii sui ibi presentis, prefatis consulibus sepius
peremptorie et legiptime requisitis et citatis etiam ab ipsis delegatis
ut ad ipsam causam et ad sententiam audiendam venirent et accederent
et ipsis consulibus venire nolentibus et expressim venire recusantibus
Arch. Stor. Lomb.. Anno XLIIT, Fasc. III. 37
578 VARIETÀ
et per contumatiam ipsis consulibus absentibus, pronuntiavit super his
capitulis bene appellatum et male pronuntiatum, videlicet in quibus comune ipsius loci absolutum est ut elligere debeant et possint facere consules de cetero in ipso loco et decanum et camparium et vaccarium et
ferrarium et alios offitiales sine eis vel sui missi parabola, et ut facere
possint tallifia]m blave vel debiti vel alicuius rei vel aliquod sacramentum
pro comuni seu aliquam convenientiam in eo luco sine eorum parabola
vel eorum missi et ut non debeant eis prestare et consignare suam
contingentem portionem emendantiarum et conpositurarum; quare idem
lacobus Mainerius condempnavit predictos consules illius loci de Uboldo
nomine comunis ipsius loci et ipsum comune ut deinde non elligant seu
fatiant consulem ipsius loci seu in eo loco nec decanum nec camparium
nec vaccarium nec ferrarium seu aliquem alium offitialem sine eis vel
suo misso aut sine eorum parabola, item ut non fatiant aliquam talliam
blave vel debiti vel alicuius rei vel aliquod sacramentum pro comuni
seu aliquam convenientiam in eo loco sine eorum parabola et presenta
vel eorum missi, item' ut suam partem omniuni conpositurarum et mendantiarum contingentem eis prestent et consignent, in aliis capitulis
omnibus ipsam sententiam confirmavit et pronuntiavit bene esse pronuntiatum. Et sic finita est causa. Anno dominice incarnationis milleximo ducenteximo decimo, suprascripto die, indictione tertiadecima.
Unde due sententie uno tenore scripte sunt et date predictis Oprando
et Chunrando fratribus qui dicuntur Crivelli.
Interfuerunt testes ser Iohannes Zavatarius et Martinus iudex qui
dicitur de Camenago et Chuùnradus Vicecomes, ‘Ugerius de Faniano,
Anzifredus et Ugo fratres qui dicuntur de Figino, Resonatus de Oddonis, Anricus Cagainbasilica, Rogerius Palliarius et Leonus Biffus de
Ladenate, Guilielmus Squita de Canturio; de servitoribus Seccapanis
de Paderno.
[ST] Ego Mudalbergus inperialis aule iudex et ad hanc causam
una cum predicto domino lacobo a domino Ottone Romanorum inperatore delegatus interfui et subscripsi.
[ST] Ego Petrus qui dicor Rabbus notarius domini Henrici imperatoris interfui et iussu suprascriptorum delegatorum scripsi.
VARIETA 579
La cronaca di un collega dell’Azzeccagarbugli.
a. Manzoni lamentava la scarsità di fonti storiche e par-
{ ticolarmente di storia locale a cui attingere per il suo
romanzo: « chè della città quasi esclusivamente trato j « tano le memorie del tempo, come a un dipresso accade
«sempre e per tutto, per buone e per cattive ragioni » (1). Nè sì
può dire che le successive ricerche abbiano, per questo particolare
rispetto, di molto arricchito il materiale che egli così maestrevolmente foggiò nel suo romanzo: anche le due brevi cronache pubblicate in questo stesso Archivio (2) non aggiungono che poche
notizie d’interesse prettamente cittadino a quanto già ci era noto
e nemmeno riguardano propriamente quel tratto di storia patria
« più.famoso che conosciuto » (3). Laonde non parrà agli studiosi
un fuor d’opera se la Presidenza della Società Storica, essendole
stata cortesemente segnalata dalla Direzione dell'Archivio Notarile
di Milano la cronachetta d’un notaro forese del sec. XVII, abbia
provveduto a farne trarre copia da conservare tra gli altri manoscritti che arricchiscono la biblioteca sociale: nè che ora se ne dia
qui un breve cenno.
M. Antonio Perego (presentiamo addirittura l’autore) nato nel
1598 in Perego, pieve di Missaglia, da Gerolamo e Celidonia de
Capitani, fu iscritto nel Collegio dei Notari il 7 settembre 1620.
Se stiamo alle sue assicurazioni, la scelta della professione gli era
suggerita da una lunga tradizione domestica: egli cita due suoi
zii, entrambi notai, e l’avo che per cinquantaquattro anni esercitò
la stessa professione in Perego. Che più? in base a documenti
custoditi nell'archivio famigliare e in quello del monastero della
(1) Promessi Sposi, cap. XXXI.
(2) Memorie storiche milanesi di Marco Cremosano 1642-1691, in quest'Archivio,
1880, vol. VII, pp. 277 e sgg.; VIII, pp. 462 e sgg.; Notizie milanesi degli
anni 1565-1570, in quest'Archivio, 1909, vol. XI, pp. 263 e sgg.
(3) Promessi Sposi, ibid.
580 VARIETÀ
Bernaga, assevera che da ben settecento anni i suoi prestavano
tale ufficio a quelle monache. Res sane mira, giustamente aggiunge.
Ma quell’ereditaria vocazione professionale non era in lui disgiunta
da una certa inclinazione allo scrivere: così che ogni anno, dal 1627
al 1664, in coda all’elenco degli atti da lui rogati, il Perego riassume, dove più dove men concisamente, i fatti più notevoli frammischiando la storia del ducato con quella, per lui non meno importante, delle sue domestiche vicende e costellandola di considerazioni morali, di proverbi, di epifonemi. Qualche volta spinge lo
sguardo più in là, occupandosi delle contese tra Luigi XIII e Alessandro VII, della guerra fra Venezia e i Turchi, della ribellione
della Catalogna e della rivoluzione del Portogallo. Ma ciò che costituisce il fondo della sua narrazione sono le alterne sorti di quei
persistenti contrasti tra Francia e Spagna che cominciano colla
guerra della successione di Mantova e del Monferrato e si chiudono colla pace dei Pirenei. Il suo racconto corre quindi parallelo
a quello del Ripamonti (1) fino al 1641 e potrebbe esserne considerato come la continuazione dal ’41 al ’64 ove si tenga conto che
tra lui e lo storico ufficiale della città di Milano, c’è, ben si comprende, una notevole differenza di valore. ll Ripamonti scriveva
sui documenti messi a sua disposizione dal Consiglio dei Decurioni,
viveva tra gente colta, nel centro dello Stato: il povero notaio, ove
se ne tolga la cronaca locale, non poteva far assegnamento che
sulle voci raccolte qua e là, non allontanandosi egli quasi mai dal
suo vil'aggio (a Milano dev’essersi recato una sola volta nel 1638
quando ci fu la traslazione del corpo di s. Carlo) e usando con
persone in gran parte zotiche. Quel suo scrivere poi, anno per
anno, gli avvenimenti come gli soccorrevano alla memoria, e per
quanto glielo concedevano gli affari, la salute, gli affanni (v. ad
ann. 1644 e 1647) lo porta a delle ineguaglianze e a delle omissioni
non lievi (2). Veramente, sul principio egli non si era imposto che
un compito uniforme e circoscritto: annotare le sventure pubbliche, di cui pare non ci fosse allora penuria. Le raccontava in
(1) Historiae Patriae, 1. Vi.
(2) Cito, ad esempio, il trattato di Cherasco, che egli non registra sotto
l’anno 1651; la morte dell’arcivescovo Monti, di cui non fa cenno sotto l’anno
1650, mentre aveva ricordato la sua elezione nel 1633 e parecchie delle opere
da lui compiute, fra le quali taluna di particolare interesse per il comune di
Perego. Così non si trova in lui notizia dei tumulti di Milano resi famosi dal
Manzoni, ecc.
VARIETÀ 581
distici (1). Poi, codesta imagine leopardiana del mondo cedette ad
una più equa visione e in luogo d’intitolare le sue rubriche: De
nonnullis infelicitatibus anni o De quibusdam miseriss o De aliquibus flagis registra gli avvenimenti sotto un « Quaedam adversa et
«u prospera n; « De aliquibus eventis » ecc.
Però, più che le notizie di storia civile, nelle quali riesce evidentemente inferiore ad altre pur non ricche fonti, possono fermare l’attenzione quelle che egli annota su svariati argomenti. Gli
studiosi delle vicende meteorologiche trovano nella cronaca del
Perego delle indicazioni locali, ma copiose: e lo si capisce facilmente, pensando all’ interesse grande che per lui, proprietario di
beni rustici, avevano le nevicate, la siccità, le piogge continuate,
il freddo, la grandine. E gli economisti possono mietere con discreta abbondanza i dati relativi ai prezzi delle derrate, special-
(1) Eccone un saggio:
De quibusdam: calamitatibus anni 1628.
Tria sunt quae nos hoc anno infortunia vexant
Tam magoa, ut nullus rite referre queat.
Annonae est penuria tanta, ut vilia caro
Venierint, qualis rapa suum esca fuit.
Rapae etenim sextarius anno hoc veniit instar
Triticae messis, res miseranda quidem.
Annonae est penuria tanta, ut ubique perirent,
Illis vel nullo subveniente cibis.
Accidit id vero, quod cunctis copia panis
Deest, et nullus non eget auzilio.
Cunctaque tanta est etenim penuria rerum
Multi ut tentarint esse iterum esa prius.
Hactenus haec: de dira hoc anno grandine lapsa
E coelo sermo nunc faciendus erit.
Quae fuit infelix adeo, ut contriverit omnem
Sic frugem, vix ut visa sit esse sata.
Immitisque adeo fuit, ut sibi quisque timeret
Prospiciens velli robora fissilia.
Sic fuit horrenda, aiunt, haec ut nullibi talem
Post homines natos iam cecidisse putent.
Hactenus haec de grandine, nunc de milite dicam
Pasto vel nobis deficiente modo.
Omnibus hisce diebus nam stipendia danda
Sunt, nisi nos mulctant carcere et exilio.
582 VARIETÀ
mente agricole, con tutti gli sbalzi che l’imperfetto sistema di
scambî rendeva inevitabile.
Così non mancano qua e là elementi demografici: intorno alla
vexata quaestio della mortalità nella peste del 1630 ci sano discutibili notizie per gli altri luoghi e particolarmente per Milano, ma
c’è la conferma che anche in paesi non remoti il flagello fu ben
più mite che nella metropoli: a Perego non si contarono che cinque
persone colpite dall’infezione e due sole di esse morirono: diversa
sorte toctò, fra i paesi della Brianza, a Bestetto, Nava, Tegnone,
Vergano e particolarmente a Santa Maria Hoè. I batteriologhi vi
leggeranno un’opinione che oggi ha fondamento scientifico: quella
che i topi siano un mezzo di diffusione della peste. |
Ma il buon Perego colla sua cronaca ci offre, oltre a codesti
manipoli di notizie spicciole, un documento non ispregevole di psicologia delle classi medie nel tempo della dominazione spagnuola.
E leggendo le sue « confessioni » vien fatto di pensare che se
l’autore dei Promessi Spost avesse avuto tra le mani codesto manoscritto forse vi avrebbe colto qualche nuovo spunto per il suo
capolavoro. Per converso, nella persona punto eroica del notaio
brianzuolo si riconoscono molti tratti comuni alle più note figure
del romanzo. Come il podestà, egli è un grande ammiratore del
governo spagnuolo, un suddito fedele a tutta prova: le vittorie dei
governatori (quando non erano sconfitte) lo rallegrano come se
fossero de’ suoi trionfi personali: unica nota discorde sono le lamentele per gli aggravî che gli alloggi militari arrecano alle popolazioni, e quindi a lui stesso. Come don Abbondio, è pauroso
ed avaro: proprio come lui, all'avvicinarsi delle soldatesche nemiche, scappa « Ed io alli 15 di detto mese di luglio [1658] subbito
« sentita ditta passata dei Francesi mi ritirai con tutta la mia fa-
« miglia in Bergamasca cioè al Prato in casa di M. Loretti Man-
« gilli: dove condussi la maggior parte del mio miglior mobile,
« et l’altra parte l’ascosi al meglio potei qui in casa havendo la-
« sciato in casa solo il servitore col Quaresima che la curavano
« con li bestiami; et mi sono fermato in Bergamasca per giorni
« quindici, et per Dio gratia in tanti scompigli et giravolte non ho
« perso cosa alcuna, benchè mi sia costata questa ritirata più di 300
« lire ». Frequenti sono gli accenni ch'egli fa ad un flagello da cui
la Lombardia è ora, si può dir, liberata: quello dei lupi che anche
un secolo prima era stato lamentato dal Burigozzo nella sua cronaca.
« Pestilentiam (scrive sotto la data del 1632) subsecuta est immanis
« clades luporum in homines. Truces illae ferae non modo iner-
VARIETÀ 583
« mium puerarum ac puella: um stragem ediderunt verum ferocientes
« in puberes etiam, et armatos homines irruerunt: varia fuerunt
« esurientium luporum ingenia: horum enim quidam longo quasi
« ieiunio confecti delaniata corpora avide vorarunt alii cruoris tan-
« tum percupidi, sanguine contenti, cadaveribus abstinuere ». Ma
poi cade in una discussione degna di don Ferrante: se quelli veramente fossero lupi o non piuttosto uomini: malvagi che con arti
magiche assumessero aspetto di fiera per compiere le loro nefandezze. E conclude.... che l’una £ l’altra ipotesi sono degne ‘di essere
accolte. Dopo di che non sembrerà strano che egli creda senz’altro
alla faccenda degli untori. « At non saeviisset » dice a proposito
della festa del 1630 « ita contagio, nisi accessisset execrandum illud
« ac detestabile unguentum ex profundo Tartari barathro excitum,
« et a communi hoste ad insanabilem humani generis perniciem
« compertum ». Nè il processo di Gian Giacomo Mora e de’ suoi
complici, di cui diffusamente discorre, era fatto per dissipargli le
prevenzioni, i sospetti. Lungo sarebbe del resto l’elenco delle sue
credulità e superstizioni: dalla metamorfosi in cane di un nobile
russo bestemmiatore, alle malie gettate sui bambini e che li fanno
morire. « A dì 22 maggio di detto anno 1660 è morto Jacomo Fi-
« lippo Perego .mio figliuolo d’anni 7 et si crede per certo per
« causa di malia ».
In fatto di morale è piuttosto severo: che anzi attribuisce la
maggior parte delle grandi calamità pubbliche ai rilassati costumi:
ma nota, senza spiegarci come colleghi i due fatti, che i turpi reati
crebbero subito dopo la grande pestilenza del 1630. Dal canto suo ,
egli si dipinge come un amoroso, ancorchè tardivo padre di famiglia: « Quod autem ad me attinet, subiieere non erubescam me iam
« grandem natum (era sui 45) quarto decimo calendas martii. (del
« 1640) uxorem duxisse adolescentulam.... »: e cioè, precisando, di
16 in 17 anni. Le mature nozze non gli impedirono di godere otto
volte le gioie della paternità, e l’ultima, quando egli già toccava i
sessantaquattro anni. ll suo primogenito fu messo anch’ egli sulla
via del notariato e a lui dobbiamo le ultime annotazioni del registro e la notizia della morte del padre: non però la continuazione
delle memorie storiche, per le quali forse gli mancava il gusto.
Pare veramente che gli mancasse qualche altra delle paterne
caratteristiche; perchè egli attribuisce la fine del suo genitore non
a stregherie od altri malefizi, bensì al medico che sbagliò la diagnosi e conseguentemente la cura: nel che si accosta d’un sol
tratto ai tempi nei quali viviamo.
584 VARIETÀ
Dalle poche citazioni addotte i lettori avranno già rilevato
come il Perego usasse promiscuamente nello scrivere la lingua la:
tina e l’italiana. Per essere più precisi diremo che le prime note,
quelle che si riferiscono agli anni 1624-1626 sono scritte in volgare: dal 1627 al 1655 anche in latino; e dico anche perchè alla
fine del codice per ognuno di codesti anni, tranne che dal 1631 al
1637, vi è, in volgare, una ripetizione o una parafrasi od un’ aggiunta, o fors’ anche la minuta di quello che, in latino, il Perego
scriveva in calce al registro degli atti notarili. Dal 1657 al 1664 il
racconto è tutto in volgare. Appare nell’A. un certo grado di cultura umanistica, sia per lo stile che qualche volta arieggia quello
dei classici, sia per una certa facilità di piegare il latino a esprimere nuovi concetti. Valga ad esempio la descrizione che egli fa
delle bombe, allora primamente usate (1). « Arte praeterea subtili
« a nostris inventas fabricaverunt ollas, seu bolides incendiarias,
« easque tormentario refertas pulvere, atque de more alimento ignis
« addito, dimensoque librandi sive emittendi spatio, ex aereis ma-
« chinis in id comparatis eiaculabantur in arcem, ea ratione, ut
« statim ac ea pestis in hostile propugnaculum amitteretur conciperet illico deficiente ex inopia nutrimenti animatum ignem, qui
« parumper luctatus in arcto, tandem flammam et cetera latentia
« tela, infestasque glandes magico impetu in propugnatores excu-
« teret atque evomeret ». Ma non certamente per i suoi meriti di
scrittore saranno lette le pagine del notaio brianzuolo: bensì a chi
va studiando con maggior diligenza di quel che non si sia fatto
sino ad ora quel periodo della dominazione spagnuola in Lombardia, esse potranno offrire qualche utile riscontro e qualche non
trascurabile notizia. Coll’intento di renderne più agevole la ricerca,
alla copia fatta eseguire dalla-Presidenza della Società, e che consta
di ben 276 pagine in formato protocollo, fu, per cura di chi scrive,
aggiunto un particolareggiato /ndex nominum et rerum.
x
G. BocxneETTI.
(1) Cfr. MURATORI ad ann. 1640.
Go ogle a
VARIETÀ | 585
Lettere inedite di Carlo Porta ,
a Camilla Prevosti e a Tommaso Grossi.
guess RA le carte del compianto prof. Novati s’è trovata una
af] busta contenente le seguenti lettere di Carlo Porta, e dal
Neg Novati stesso destinate a venire stampate in quest’Ari chivio. Pur troppo, accanto al testo delle lettere, non s'è
trovata nessuna nota dilucidativa nè nessuna indicazione circa alla
provenienza delle lettere. Solo una postilla a matita apposta sulla
prima dice essere questa « di mano del poeta, con evidenti segni
« d’essere stata spedita per la posta benchè manchi la busta ».
La quale affermazione è però contraddetta da un’altra postilla a
penna che si legge scritta sulla lettera al Grossi, e secondo cui
solo questa sarebbe indubbiamente autografa, mentre le altre tre
son dichiarate copie contemporanee, fatte forse in famiglia. Credo
che questa seconda postilla tolga ogni valore alla prima, anche
perchè la lettera alla Prevosti è copiata così male, con tali bffese
alla metrica, che credo il Porta nemmeno in una stesura o copia
affrettata avrebbe commessi.
Delle tre lettere a Camilla Prevosti (1), sono inedite sole la
prima e la terza. L’altra è nota da un pezzo, e cioè fino dal 1826,
quando venne la prima volta in luce nella Raccolta di poesie inedite in dial. milanese di Carlo Porta (Italia |ma Lugano]; v. pp. 165-70),
da dove passò nelle numerose ristampe del volumetto e anche in
qualche edizione delle poesie permesse del Porta. Forse il Novati
quando si fosse accertato che si trattava di una poesia nota, avrebbe
desistito dalla pubblicazione. Tuttavia siccome di essa, e di essa
sola, ci è conservato un doppio autografo tra le carte del Museo
Portiano, così non parrà inopportuno, anche perchè così s'ottiene
una lézione corretta, di qui riprodurlo di nuovo insieme alle com-
(1) Camilla Prevosti era la madre di Vincenza, vedova Arauco, che il Porta
condusse sposa il 29 agosto 1806. Alla quale (ch'è ricordata anche in una lettera
del poeta alla moglie datata dal 1.° dicembre 1815 e pubblicata dal Barbiera,
p. XXXIII) altre lettere poetiche doveva aver dirette il genero, come appare dai
frammenti pubblicati dal CRresPI (Poesie it. di C. P., Milano, Combi, 1909,
vedi p. 8).
Go ogle
586 VARIETÀ
pagne. In nota daremo le varianti per cui il testo Novati differisce
dall’autografò, col quale consente la vecchia stampa.
Più importante delle lettere alla suocera è la lettera al Grossi,
fin qui sconosciuta, Essa integra felicemente una lacuna nel carteggio Grossi-Porta. Poichè appunto rappresenta la risposta a una
lettera che il Grossi mandava al Porta da Treviglio il 25 [così e
non 26 va letto] luglio 1817. Il Porta tocca infatti all'amico di parecchie cose ond’era quistione nella proposta. La risposta. poi del
Grossi al Porta è per avventura implicita nella lettera Grossi ch'è
stampata, qual n. 1, nella Appendice alle Lettere di Carlo Porta
(in quest’Archivio, aa XXXV, fasc. XVII, pp. 70 e sgg.), e che
potremo perciò porre fra il 3 e l’8 agosto di quell’anno. Lo si deduce da ciò che in essa il Grossi dia ricevuta al Porta della costui
lettera e delle sestine del Rossari.
' CARLO SALVIONI.
I.
LETTERE A CAMILLA PREVOSTI.
1. hd
«Cara Signora Suocera,
Vengo con questa mia a darle nuova
del ben star di me, della Vicenza
mangiam beviam bene il che è una prova
che di malori e guaj ne facciam senza;
più : c' ingrassiamo tanto, che una cobbia
sembriam di quei che bevon corobbia (1).
Siamo stati due giorni alla campagna
cioè al Subaglio un dì, l’altro a Basiano
paesi tutti due della cuccagna
perchè chi ci albergò con larga mano
profuse vini, e cibi si squisiti
che di piacer ancor lecchiamo ? dit.
Non le dirò Signora l’allegria
che regnava nel corpo anche ai più gravi
dell’arcinumerosa compagnia;
sol le basti saper che io fra i più savi
‘| mi distinsi, e ne fei di cotte e crude
col curato, ed un frate a gambe nude (2).
(1) corrobbia è voce milanese per ‘ rigovernatura *.
(2) Il R. Padre don Gerardo da Monza, capucino celebre fabbricatore di Ravioli e direttore del Lanificio Serafico in Como (N. d.. A.).
VARIETÀ
Dopo dimani, se il ciel m’assista
anderò con la moglier, Giulio e Francesca
di Gerardo al paese, e di Battista (1)
a dar gran saggio di mia bocca fresca
là con mio padre starò tutto il giorno
ch'è grasso, bello e sano come un corno.
Sono tre dì che ho ricevuto, e letto
la lista degli errori stralabiati
che mi scrisse il Signor Carnevaletto
sotto la dettatura dei cognati;
però v'era natura, e molta parmi
che ve ne fosse almeno in nominarmi (2).
Dì natura a proposito, che fanno
le gentili e vezzose mie cognate?
godon salute? non risenton danno
delle povere pancie ingravidate ?
Ah il ciel me le conservi, e lor dia
figli del mio calibro, e così sia.
La prego di aggradire il mio rispetto
e dividerlo poscia in parte eguale
con quel Signor che con lei dorme in letto,
e coll’altro che porta il pastorale;
alli suoi figli poi bacci a mezz-oncie
purchè non glieli faccia in parti sconcie
Di lei, specchio ed onor del lago d’Orta, (3)
genero e servitore Carlo Porta.
Da casa 31 8bre 1806.
S.a Camilla,
Giacchè non posso per ragion d'impiego
venire a lei col fisico in vettura,
le vengo col morale in questo. piego.
È magro il cambio assai, pur mi procura
certa reputazion d’uomo capace,
che sebbene non meriti mi piace.
(1) O Giovann, o Gilar ghan nomm a Monscia (N. d. A.).
(2) Al Sig.r Carlo Porta scrisse il celebre S." Carnevaletto (N. d. A.).
(3) Si ricordi che la Prevosti villeggiava a Borgomanero a poca distanza
‘dal Lago d’Orta.
Co ogle
VARIETÀ
Ma lei per carità non dica niente
che tal riputazione nen mi merito,
perchè quantunque men che colla mente
il salario guadagni col preterito
pur mi dò il tono d'uomo affaccendato
di qualunqu'altro al par regio impiegato.
E tanto più la prego di tacere
in quantu imposturando in tal maniera
do a me stesso una spinta, onde ottenere
di correre più nobile carriera.
Fra Modesto non fu giammai Priore
e i grandi esempi al fin mi stanno al cuore.
E chi lo sa che un giorno non diventi
qualche signore anch’ io d’ importanza ?
a buon conto sto assai bene di denti:
ho bastante presenza ed arroganza,
malcreato, mordace e sprezzatore
mi farò poi col diventar Signore.
Ah con doti si belle, gii e un peccato
che quel tempo p ‘ezioso sia decorso,
in cui bastava ad essere amirato
crin mozzo, gran beretto e voce d’orso,
in cui quanto più eri manigoldo
ne ritraevi onor, rispetto e soldo.
Ah se fosse quel tempo! per Milano
mi vederebbe correre severo
con' tanto d’occhi in fronte, e sciabla in mano
gran flagello de’ nobili e del clero j
ma quel tempo felice oggi è passato
e sol oggi il mio spirto è sviluppato.
Nè in oggi mancherebbermi i talenti
di volger pel rovescio la medaglia
massima colli esempi ognor presenti
d’una quantità simil di canaglia,
ch’'oggi Gracchi corcarsi, e all'indomani
Tigellini si alzar, Plauzj, Sejani (1).
Ma io troppo divergo dal cammino
che di far verso lei m’era proposto
e la cuffia le avrò rotta un tantino
com’è ben natural: Dunque ciò posto
temp’è che sul sentier tosto mi metti
pel quale al labro van del cor gli affetti.
(1) Favoriti di Tiberio, Nerore e Settimio Severo [Nota dell’autografo].
- ---
12
16
40
VARIETÀ 589
E le dica che l’amo di maniera
da correr per giovarle, se abbisogna
a vendermi al lavor della galera,
a chiedere e accettar posto in Bologna, 52
od anche a rimanermene in eterno
come adesso impiegato subalterno!
Per difenderla poi farei prodezza
di cui non udirebbesi seconda; 56
vorrei passare in forza ed accortezza
fin gli Eroi della tavola rotonda,
ed avere per lei sotto le reni
Agramante, li Mori e i Saraceni. 60
Nè creda che il mio dire sia iperbolico
Non esagero mai, poi se prometto
mantengo la parola da Cattolico
cristiano onorato, e quel che no detto 64
le confermo di nuovo, e in fede etcettera
mi sottoscrivo, e poi chiudo la lettera.
Suo aff.0 Genero Carro Porta.
Milano 8 g9bre 1806.
VarianTI. — Mancano nel mss. e nella stampa la invocazione, la firma e
la data. Uno dei mss. reca: A mia Suocera la signora Camilla Prevosti, l'altro:
Alla S. Camilla Prevosti suocera dell Autore che villeggiava [la suocera] în Borgomanero. — Verso 15: mi farò un largo grande, o— Nov.j— v. 21: sto bene
d'unghie e di d.— Nov.; — v. 22: presenza bastante Nov.; — v. 25: b—, è un
gran pescato Nov.; — v. 28: crin raso Nov.; — v. 33: c— fuori un palmo
d’occhj Nov.; — v. 36: e il mio sbirito sol oggi è Nov.; — v. 38: d’apparire
un rovescio di m— Nov.; — vv. 41-42: che un di di plebe amici or tutto orgoglio |
i sputacchi lambiscono del soglio Nov.; — v. 53: oppure a r— Nov.; — v. 57:
sorpasserei i— Nov.; — vv. 59-60: e emulando Sanson m'incaccherei | di cento
campi d’Arci-filistei Nov.; — v. 66: prego I— Nov.
3.
Alla Sig.a Camilla Prevosti (1),
Tre di agosto = da Inverigo
Che val più che un Cardinale
Perchè è sopra l’Eminenza.
Le dò nove di Vicenza
Che è sua figlia, e moglie mia
Sana e salva, e così sia:
(1) Il Novati ha posto questa postilla: « senza data, ma autunno 1809 ».
590 VARIETÀ
Ella si aspetta da me una poetica descrizione del sito in cui mi
trovo, ed io non volendo ripetere i luoghi comuni dei Poeti perchè mi
picco di originalità le dirò
Che Inverigo è un bel paese
Collocato in dolce clima
Dove il popolo è cortese
Dove i monti alzan la cima
Ricoperti d'aurea veste
Col sott’abito celeste,
Sono monti aristocratici
Portan cipria sul Tupè.
Di velluto verdeggiante
Son tessuti i lor calzoni
Ricamati tutti a piante
E bellissimi valloni:
Portan poi per centurini
Faggi, pioppi, quercie e pini.
Han le calze ognor fiorite
D’una seta bigin-scura
Dove grappoli di vite
Vi dipinse la natura
Ma le scarpe son di sasso
Onde mai non muuvon passo.
Praticelli, e più boschetti
In cui l’acqua ognor zampilla
Son più morbidi dei letti
Su cui giace la Camilla
Qui il silenzio intorno regna
Ne vi sono i sussurroni
Dei Catanei e Martignoni
E val più della sua stanza
Questo colle di Brianza
Io ardisco pregarla di venir qui assicurandola che si respira un'aria
poetico-filosofica da resuscitare chi fosse morto già da due secoli.
Zeffiretto alla mattina
Sbocca fuor dalla capanna
A portar la medicina
Che val più che cassia, e manna
E con mano fresca e liscia
Alza a tutti la camiscia.
Sull’erbette molli e tenere
Si distende e move l’ali
Par ch’ei fugga l’uman genere
Par ch’ei sprezzi que’ mortali
Che in città passan la vita
Di veleno sol condita
(GO ogle È _
VARIETÀ 591
Qui vi sarebbe un bel campo di descriverle che la virtà in campagna si esercita meglio che in città dove le più volte si affetta e si
maschera : potrei qui dir male de miei simili per lodare indirettamente
me stesso, ma questa lettera diverrebbe in tal caso un messale ed io
(sic) troppe cose a dirle, e fra le altre
Le dirò che Giovedì
Io partito son da qui
In soave compagnia
A trovar sant’allegria.
Era appunto il tar del dì
Allor quando donna aurora
Mette fuori la man destra
Da una piccola finestra
Per buttare sulla strada
L’orinal della rugiada
Che talora è un po’ vermiglia
Allor quando piano piano
Ci avviassimo a Pusiano.
La mia piccola famiglia
Col fattore messer Paolo
E la giovine sua figlia
Che non è mica il diavolo
Se n’andava summo mane
Preceduta dal nio cane,
V’era un fresco eterni Dei!
Che l’egual non vi fu mai!
Abbiam fatto miglia sei
Pria che il sol mostrasse i rai
Ma poi giunti al lago in riva
Non si trova anima viva.
To credo signora mia che uno dei momenti più deliziosi della vita
sia quello, dopo un lungo viaggio a piedi, di non sapere in che terra
s'’arrivi, il non vedere persona alcuna, fuorchè acqua, cielo e montagne,
e l'aver fame e dover rider tutti per non comparire anime deboli.
Dai di qua, dai di là
Noi scoprimmo una casetta
C’ inoltriamo in fretta in fretta
Doinandando chi ci stà.
Ma il padron pria di ricevere
C' interpella: Voglion bevere ?
Rispondiamo tosto tosto
Beveremo signor sì.
Sorte allora un freddo arrosto
Di colore cresmotsi
Cui vien dietro a capo chino
Un iterico stracchino.
592 VARIETÀ
Il buon umore, l’apetito ci fecero trovar prezioso questo rinfresco
come la manna per gli Ebrei: ne Lucullo, ne Apicio alle sontuose lor
cene stracciarono con tanta ingordigia i fagiani e i pavoni con quanta
noi tutti divorassimo sino gli ossi e le croste del nostro déjunté.
Quand’abbiam la pancia piena .
Il padron non vuol un cazzo
Ci ringrazia anzi ci mena
Egli stesso un bel ragazzo
Che c’ insegna a pochi passi
Una barca in mezzo ai sassi.
Due cortesi pescatori
Preparando il pesce stanno
Per empire dei signori
Le gran pancie tutto l’anno
Che a Milano si riceve
Mezzo in puzza e mezzo in neve
Uno svelto giovinotto
Colla gamba nuda e scalza
Se ne vola a noi di trotto
Prende i remi e in barca balza
E cantando su per l’onda
Ci trasporta all’altra sponda
Dove vuol vossignoria
Ch'io lo metta: Egli mi chiede.
Quest'è bella : all’osteria,
Gli rispondo, e l’ ho per fede.
Bravo, ei replica, ancor iv
Vo’ dall’oste ch'è mio zio.
A nove ore di mattina
Con il lago in dolce calma
Noi scopriam la ventalina (1)
Batte ognuno palma a palma
E si salta sulla sabbia
Come uccelli fuor di gabbia.
Sta Pusiano solitario
D'un gran moute a piedi eretto
Grande al par d’un reliquiario
Ma nel circolo imperfetto
Dove stan d’abitazione
Assai più di tre persone.
(1) Ventalina insegna d’osteria; voce che il Cherubini in tal senso ignora
ma che il Porta adopera anche altrove nelle sue poesie milanesi.
(GO ogle =
VARIETÀ 593
Una balia: un birro: un prete
Noi vedemmo andar d’ intorno
E chi avesse il diadete
Può pisciarvi a mezzogiorno
Sul piazzale apertamente
Senza esporsi a trovar gente.
Son le strade a pietre smosse
Sono i muri gobbi, e zoppi
Or si saltan guadi e fosse
Or s'incontran mille intoppi
Colle scarpe, ed è delitto
Camminar col corpo dritto,
Punto non dubito signora Camilla che leggendo questo paragrafo
avrà la prudenza di guardarsi d’ intorno che non vi sieno persone che
abbiano gl’indicati difetti perchè la debolezza umana fa sì che una semplice descrizione si reputa una satira personale in tempo che l’autore
non se ne sogna nemmeno. Ma andiamo avanti
Vi son mosche scelerate
Che in veder le gambe appena
Su vi saltano aftamate
Fuor succhiando dalla vena
Tutto il sangue colla linfa
E non serve il fonfe-tinfa.
Evvi un sole in scotadeo
Che parar non può l’ombrello
Or abbruggia il culiseo
Or la schiena, or il cervello
E riverbera coi strali
Fin per sotto ai genitali.
Noi entriam nell’osteria
Se pur può chiamarsi tale
Dove l’oste è sempre via
Dove un asino e un maiale
Stanno in corte per vedere
Quando arriva un forestiere.
Chi è di là? non c’è nessuno
Che ci dia da desinare ?
Un Balosso scarmo e bruno
Sbadigliando ci compare
Con un abito trapunto
Di paglietta e di bisunto.
Tiene l’uscio semiaperto
Per mostrar che ci fa invito:
Vi è una sala ossia deserto
Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. III. 38
Go ogle
594 VARIETÀ
Cui si tocca il ciel col dito
Una tavola e due scagni
Un ritratto e quattro ragni.
Altro quadro rappresenta
Un frataccio che comunica
Santa Chiara in nera tunica
Varie monache protfesse
Colla faccia macilenta
Hanno in man le torcie accese.
Ma se è ver ciò che si dice
Qualcheduno per la fame
Ha mangiata la cornice
E cortese lasciò poi
Da mangiare il quadro a noi.
Sentirete ora Camilla il complimento fattoci dal Balosso, ossia oste,
ossia quel Diavolo che fosse che venne ad accoglierci nella cosidetta
osteria.
Eccellenza ini rincresce
Eccellenza assai mi duole
Eccellenza carne e pesce
Ritrovar qui non si puole
Se ventva un'ora fa
La trattava come va.
Poi strisciando una lunghissima
Sdrucciolata riverenza
La beretta sucidissima
Mette in testa, e alla pazienza
Mi comincia a confortare :
E io rispondo: vatti a fare....
Ch’ ho una fame da creppare
Eccellenza, ei grida, è vero
Che sia Mantova ai Tedeschi ?
Ok i Francesi stanno freschi
Presa Genova e Tortona
Anderem tutti a Lione ....
Ed intanto quel bricone
Mentre oh Dio mi fa patire
Giù si sdraia sula banca
Con un’aria da dormire
A pelar una polanca.
Mosso allor da tanta incuria
Il Battista salta in piè
E si spoglia con gran furia
Del farsetto e del gi/lè
— <=
VARIETÀ | 595
E si getta a testa china
Dove scritto vi è cucina.
La cucina di Pusiano
In larghezza è poche quarte
Stesa l’una e l’altra mano
Tocchi l’una e l’altra parte.
Se vi è il cuoco non sta il fuoco
Se vi è il fuoco, fugge il cuoco
Scorsi appena due minuti
Scappa fuori il mio Battista
Colla faccia nera e trista
E gridando: Dio m’aiuti
Mi s'appressa dileguato
Come un lardo pergottato.
Io coll’animo divoto
Chieggo il cielo benedetto
In soccorso, e faccio voto
Di non più veder quel tetto
Ed il ciel pietoso accoglie
Le mie preci e le mie voglie.
Ecco un angiol tutelare
Nella corte ratto appare
Don Gaetano De-Negroni
Giù discende a regalare
Il migliore dei bocconi
Poi sparisce non volendo
Lasciar dir: grazie vi rendo.
Questa rara cortesia
Questo tratto di bel core
Quest’azione santa e pia
Che val più che litania....
Ma già veggo l’uditore
Impaziente di sapere
Cosa diede a me quell’angiolo
Quell’onesto Cavaliere.
Se ho aspettato tanto anch’io
Giusto è ben che chi nvascolta
Abbia flemma e il suo desio
Farò pago un’altra volta.
Or lodar vo’ l’atto umano
Del beato Don Gaetano.
Don Gaetano il nome vostro
Porta in sè la provvidenza:
Genuflesso a voi mi prostro
Perchè sò che di voi senza
(O ogle
596 VARIETÀ
Tutti sei ad uno ad uno
Crepavamo di digiuno
Nessun uomo ha mai riscosso
Tanti incensi e versi lirici
Come il pesce grasso e grosso
Ha riscosso i panegirici
Che ci diè la vostra mano
O novello San Gaetano!
Una tinca di gran peso
Colta appena fuor del lago
Per un uom da fame preso
È un tableau superbo e vago
Che ristora l’alma afflitta,
E allor poi ch’è calda e fritta
Il color della sua pelle
Manda un lume che fa invidia
Ai fableau di Raffaelle
Mi permetta cara Signora Cainilla ch'io tralasci di dipingerle il
resto del nostro pranzo composto di risi e fave, erba comune vw/go
cornetti, quattro gambari e quattro passaretti, cinque peri avvanzati
dalla lapidazione di S. Stefano e due formaggini composti di mascara
d’occhi con quattro grani di pepe che parevano pidocchi, tutta mercanzia d'ospitale
Ma la rima non mi manca
Per descriver la polanca.
Questa bestia a dirla in rima
Venne uccisa un'ora prima.
Era vecchia ma ribalda
Nè si volle convertire
Benchè messa in l’acqua calda.
Ho voluto io pur morire.
Nel spaccare quelle floscie
Filacciose scarme coscie;
Nel spaccar quell’ala dura
Fin le punte dei coltelli
Per dispetto e per paura
Rabuffavano i capelli:
Finalmente estenuati
Tutti noi per la fatica
La prendemmo colla bocca
Tutti sei, chi tocca tocca.
Ebbe l’un metà del podice
Ebbe l’altro il collo in quarti
E mangiando sallem snodice
Non si fer le ziuste parti.
tzery - ui e
VARIETA 597
Solo il can fu ben trattato
Cui toccò della polanca
Tutto il scheletro spolpato
Altre occupazioni ci saressimo procurate in Pusiano, Signora Camilla, se l’ indiscrezione di alcune nubi affacciatesi a guardar giù dalle
montagne non ci avessero posti in apprensione di un improvviso temporale: fu quindi precipitata la partenza nostra e ritornando pieni
di contentezza ad Inverigo salutando le osterie, abbiamo goduto per
intermezzo la cioca della Signora Anna Del Buono che avendo bevuto
vin dxono era ubbriacca alquanto ed allegra del buono ma con una
buona dormita si trovò alla mattina in duomo stato di salute.
La consolazione nostra si fece vieppiù grande nel ricevere al nostro ritorno una gentilissima lettera del caro amico Soldini che ci predisse l’arrivo del Taccioli wsi4 prima morosa del Negrino, del Recalcati,
del cognato Febo, e di una certa Sig." Luigina che non so chi sia ma
sarà forse qualche. macchina d’uno dei suddetti galantuomini, e se sarà
di buon umore sarà ben ricevuta perchè falis vifa finis ita.
E riverendola di cuore unitam.te ad Ambrogio e tutti
Mi dico etcettera
E ho finito la lettera.
IL
LeTTtERA a TomMaso GRossI.
Amico C.mo
Ti compiego una lettera (1) di Rossari, colla quale risponde alla tua
Catilinaria (2) in terza rima. Nova insolenza contro il Tasso che ti metterà naturalmente in orgasmo ogni fibra e che procurerà alla cameretta
un trattenimento grazioso per una delle sue prime sedute. L’unione
nostra di questa mattina tu breve e poco numerosa, e si sciolse alla
(1) Questa lettera sarà stata un’epistola poetica, più precisamente le sestine
delle quali il Grossi accusa ricevuta nella lettera 3-8 agosto.
(2) Questa Catilinaria non è nota. — Poichè essa dovrebbe, per ragion di
date, essere altra cosa da quella che il Grossi nella lettera n. 8 dice d'avere
incominciata e lasciata li, e di cui riferisce anche l’inizio. Nella stessa lettera il
Grossi tocca di una cantata milanese, non altrimenti conservataci, suggeritagli
dalla irriverenza degli amici verso il Tasso; altra cosa dalla quale doveva essere
quella di cui tocca il Porta nella sua lettera n. V. Di tutta questa letteratura,
come pure delle poesie anti-tassiane del Rossari, non si conosce nulla.
598 VARIETÀ
porta del nostro povero Berchet, che fu oggi sottoposto alla undecima
cavata di sangue (1). Spero che la seduta prossima sarà ravivata da
qualche tua lettera, poichè è per questa via, che noi sentiamo un po’
meno il dispiacere della tua lontananza. |
Oggi tutto Milano corre sulla strada che dall’ Ufficio della giustizia
conduce al palco della Vetra per vedervi certo famigeratissimo Sig." Manusardi, che ben vestito ed ottimamente calzato porta con disinvoltura
al sito della Berlina un ampio cartellone che gli pende dal collo, e che
lo mostra autore di quell’assassinio che commise diciotto o venti mesi
fa nella persona di quel brutto prete che assiste al banco di S. Giovanni alle Case-rotte. Questo è il terzo dì che subisce tale pena, ed
oggi gli fu aggiunto al corteggio un nerborutissimo Vice-Boia armato
di un lungo nervo coll’ intenzione di pagargli a nervate tutte le ingiurie
che pronunzia ad altissima voce contro il Governo ed i giudiei suoi
umilissimi servitori.
Ho visto stamattina il tuo Mangiagalli (2), che sta benone e chi:
ieri sera fu a sentire Sgricci alla Canobbiana. Non mi pare che ne sia
rimasto troppo contento, ciocchè mi ha consolato di aver lasciato fuggire anche questa quarta occasione di udire i suoi versi nè sa che me
ne possa rifare, almeno in Milano, trattandosi che il prezzo di L. 3 italiane che volle avere iersera pel biglietto d’ ingresso, gli ha dato nessuna udienza e non vorrà certamente avvilirsi col dare un'altra accademia a prezzo minore. — Aspetto con impazienza tue nuove. Io non
ne ho da potertene dare, quindi ti lascio coi soliti saluti degli amici e
di mia moglie = Ho incominciato a leggere la dissertazione sullo Stile (3).
Povera mia testa! Me la gratto a sangue, e le tante volte dimetto lo
scritto perchè il mio cervello non può tener dietro alle sublimità della
scienza. Altro motivo per invidiare la percezione tua e la facilità di
entrare di tutto slancio in così astrusa materia = Addio, addio = Sonv
il tuo
Attezionatissimo Amico
C. PORTA.
Mil. lì 2 Agosto
1817
(1) Di questa malattia del Berchet, il Grossi tocca al Porta nella lettera
n. 7 (8 agosto).
(2) Di questo signor Mangiagalli di Rivolta, amico del Grossi, si tocca qua
e là nel carteggio Grossi-Porta. Doveva essere persona colta, poichè il Grossi
vuol incaricare lui di rispondere per le rime alle sestine del Rossari (v. Lett. di
C. P., app. n. I); e d'altra parte collaborò col Grossi in quel * pasticcetto * al
Rossari, di cui nella lett. s del Grossi stesso.
(3) L’opuscolo sullo Stile di Ermes Visconti, che il Grossi aveva mandato
al Porta, come appare dalla lettera Grossi n. 5.
ie
VARIETÀ 599
Un signore di Venezia mercante di libri mi ha fatto il regalo dei
primi 3 volumetti della collezione delle poesie venete. Ogni volume
è di circa Ioo pagine e vi si vede subito in faccia la solita speculazione
libraria — Quanto alle cose stampate, ho visto che sono di Lamberti,
che conosco di persona e so valentissimo; Non ho però fin d’ora letto
altro che qualche canzoncina così come il caso me l’ha posta sott’occhio, di cui non rimasi-nè poco nè-troppo contento, e sarei forse stato
contento addirittura, se non mi fossi incontrato in quelle antipatiche
dedicazioni a Nice ed a Clori, che raffreddano l’anima al primo mostrarsi.
L’ indirizzo sul tergo della 2 c:
Al Sie. Tomaso Grossi.
— BIBLIOGRAFIA
ToreLLI PieTRO, Studi e ricerche di diplomatica comunale, 1° volume in
“ Atti e Memorie dell’Accademia Virgiliana di Mantova ,; 1912;
2° volume “ Pubblicazioni della R. Accademia Virgiliana ,, I, 1915.
Non si può lodare abbastanza il disegno maturamente formato ed
attuato energicamente dal dotto archivista Pietro Torelli di studiare la
formazione dei documenti emanati dai corpi e dagli ufficiali dei comuni
dell’ Italia settentrionale nei secoli XII e XIII, in rapporto alle origini
e alla graduale evoluzione degli stessi comuni.
L’apparente aridità del tema, la sua ampiezza, la difficoltà della
consultazione del materiale disperso in numerose collezioni di statuti,
di consuetudini e di carte, in libri ed opuscoli, non hanno scoraggiato
autore; il quale, chiudendo il secondo ponderoso volume, mentre volge
con soddisfazione lo sguardo. sull’aspro cammino percorso, e pur si
‘ lusinga che energie giovanili vengano a lui per concorrere in uno sforzo
più intenso al compimento del divisato programma di lavoro, si mostra
fiducioso che, ove l’aiuto gli manchi, riuscirà da solo ad assolvere l’arduo compito. Chi conosce la grande attività scientifica del dott. Torelli
non può pensare al suo arresto dinnanzi a difficoltà di varia natura
che ogni studioso è preparato ad incontrare sulla propria via, e che,
per quanto grandi si vogliano immaginare, non ci figuriamo maggiori
di quelle sin qui con tanta fermezza di volontà e perseveranza di lavoro,
superate.
Nei primi due volumi è compiuto l’esame delle funzioni degli organi
che nei vari uffici del comune ne redigono i documenti, insieme ad uno
studio preliminare sulla natura dei documenti medesimi, come preparazione alle indagini sulla loro forma, che costituirà il tema specifico
della seconda parte dell’opera.
Imprendendo a studiare gli organi che formano il documento comunale nel periodò più antico, il dott. Torelli osserva che “il concetto di
“ una vera e propria cancelleria, intesa come l’ufficio unico, a sè stante,
“ espressamente istituito per la redazione dei documenti emanati da un
“ ente sovrano, non si adatta alla natura del comune, nel quale in
BIBLIOGRAFIA 60I
“ pratica l'ente sovrano sfugge dietro la diversa azione di molteplic!
“corpi e funzionari, bensì investiti delle attribuzioni di quello, ma nel
* fatto agentì, direttamente, e perciò muniti ciascuno per sè di organi
“chiamati a redigere gli atti ch’essi emanavano in proprio nome,,.
D'accordo che una cancelleria comunale con funzioni analoghe a
quelle delle cancellerie papale ed imperiale, in cui l’autorità sovrana
unica attribuiva a sé sola la funzione di atti sostanzialmente i più disparati, non ha mai esistito. Però, intorno all’attività degli organi del comune che rappresentavano l’ente nei rapporti con altri enti o con tutti
1 cittadini presi come università, rispetto ai quali si riconosce che era
possibile un ufficio aualogo, fino ad un certo punto, alle cancellerie
regie e signorili, ci permettiamo di dissentire dall’autore in quanto egli
ne assegna la costituzione ad un periodo avanzato di sviluppo delle
istituzioni comunali, ad un’età non bene precisata nè precisabile, che
per altro, seguendo l’esame delle fonti storiche dei diversi comuni
dallo stesso dott. Torelli presentateci, non dovrebbe essere anteriore
al secolo XIII; negandosi così che abbia esistito nl primo periodo di
vita del comune. a
Orbene, se vi è un’epoca, rispetto alla quale, a nostro avviso, è
possibile concepire l’unità non solo ideale, ma di fatto, di un ufficio dal
quale emanavano i documenti del comune, rispondente entro certi limiti
al modo d’essere delle cancellerie regie o signorili, come la personalità
giuridica unica, ma solo ideale, del comune corrisponde alla personalità
unica, reale e giuridica, del sovrano, quella dovrebbe essere della coustituzione e consolidainento del comune delle maggiori città; che mantiene
nell'unico consolato, non ancora sdoppiato nei due collegi, l’uno politico
amministrativo-militare, i “consules comunis , o “ reipublice ,; l’altro
giurisdizionale, i “ consules iusticie ,, l’unità di fatto della sua rappresentanza, ed accentra in sè l’esercizio di tutte le funzioni d’impero in
virtù di delegazioni, generiche o specifiche, conferitegli dalla « univer-
“ sitas ,, nei deliberati piesi “in concione,,.
Il Torelli scorge nella preoccupazione sulla legittimità, in linea
formale, degli atti del comune, che, sostituitosi di fatto alle autorità
pubbliche legittime, si trovava ancora nella condizione di un ente privato, la ragione fondamentale della qualità di notaio nell’ufficiale delegato alla formazione dei suoi atti. Il nascente comune trovò nella classe
dei notai la preparazione scientifica all'esercizio della funzione che si
andava lentamente attribuendo. Il notariato che aveva ragione e tradizioni di vita propria, prestò al comune la propria opera, senza essere
ad esso legato da altro rapporto che non fosse quello momentaneo e
specifico in cui il notaio si trova col privato che lo richiede della prestazione del suo ministero per un atto determinato. D'onde la conseguenza che “i singoli notai, chiamati a redigere gli atti comunali, non
“ furono, neppure nei primi tempi, impiegati del comune ,,.
Le premesse, esatte, sulla storia e sulla funzione del notariato, non
giustificano le conclusioni troppo assolute che si crede di poterne rica
602 BIBLIOGRAFIA
vare. Il Torelli si è proposto di fornire la riprova del suo assunto, in
via indiretta col richiamo a testi statutari di epoche diverse dal 1225
in poi, in cui si prescrive che gli atti del comune siano redatti da notai
suoi impiegati; ciò che dovrebbe, se bene abbiamo compresa la portata
dell’argomentazione, far ritenere che prima di allora vi fosse libertà
di scelta del notaio da parte dei funzionari del comune; in via più
diretta e positiva col richiamo 1° ad altri statuti della seconda metà
del secolo XIII, dai quali risulta che esami testimoniali, confessioni di
parte in giudizio e persino sentenze interlocutorie potevano essere
redatte da notai non ufficiali del comune, 2.° ai formulari notarili della
prima metà di quel secolo che affidano al notaio della parte la redazione delle “carte sindicarie , e “procurationis ad causam, e dei
“lbelli appellationis , 3.° per il secolo XII a due sentenze, l’ una dei
consoli di Bergamo del 1144, l’altra dei consoli di Padova del 1138,
redatte e scritte da uno dei consoli in esse intervenuti, qualificatisi
quello di Bergamo “iudex , e l’altro di Padova “ causidicus et notarius ,.
In aggiunta alle citazioni di prova indiretta si potrebbe spigolarne
dal secondo volume un numero molto maggiore, al fine di stabilire che
in via normale e dal principio del sec. XIII, non in via di eccezione e
solo dopo il 1225, gli atti del comune figurano redatti da notai ufficiali
al servizio dei corpi e dei funzionari dello stesso comune. E’ vero che
non solo nel secolo XIII, ma fino dagli inizi delle giurisdizioni comunali si ammettevano notai ‘estranei all’utficio, a raccogliere le deposizioni dei testimoni. La pratica si spiega, nelle sue crigini, in vista del principio adottato, con maggiore o minore rigore e per un
tempo più o meno lungo, nelle singole curie, di attribuire alle deposizioni scritte dei testimoni, quali venivano sottoposte all'esame dei giudici, il valore di semplice presunzione di verità, che normalmente attendeva la solenne conferma in giudizio dalla prestazione del giuramento
deferito di ufficio a quei testimoni, le cui dichiarazioni erano ritenute
influenti sulla decisione della controversia; subordinandosi dai giudici
la condanna o l’assoluzione all’effettiva prestazione del giuramento dei
testimoni insieme a quello della parte che li aveva prodotti. L’ influenza della istituzione germanica dei “ sacramentales , è palese
in questa pratica. Se nel raccogliere ed imbreviare le deposizioni dei
testimoni che la parte intendeva produrre in giudizio, il notaio avesse
agito come ufficiale dei consoli nella esplicazione di una potestà a lui
conferita dallo stesso giurisdicente, non vi sarebbe stata ragione di
sottoporle al controllo della ripetizione e conferma nella pubblica udienza.
L’interpretazione degli statuti di Bologna del 1250 sulla tariffa per
la redazione delle confessioni giudiziali e delle sentenze interlocutorie,
in quanto accennano a notai che non sono “ notarii comunis ,, è assai
dubbia, in presenza della triplice distinzione desunta dalla stessa collezione statutaria di “ notarii speciales, notarii ad curiam , e “ notarili
“extra curiam ,. Quanto alle “ carte sindicarie ,y e ai “ libelli appella-
“tionis ,, ci sembra evidente che venivano considerati atti di parte.
- —
BIBLIOGRAFIA 603
Nessuna necessita del concorso, nella loro formazione, di ufficiali addetti alle curie. Per i “ libelli appellationis ,, vi era anche una ragione
d'ordine morale che tratteneva gli ufficiali del comune dall’assumersene
la redazione: il riguardo dovuto al giurisdicente, la cui pronuncia veniva
nel libello impugnata, spesso con espressioni che suonavano accusa di
ingiustizia, di ignoranza e stoltezza e perfino di parzialità.
Certamente dalle due sentenze dei consoli di Padova e di Bergamo
e dato argomentare la mancanza, alle date rispettive, di notai-ufficiali
presso i due consolati. Ma quando si vuol porre questa circostauza in
relazione col caratterè arbitrale dei due giudizi, per dire che dunque i
comuni di Padova e di Bergamo, il primo nei 1138 e il secondo nel
1144, Si consideravano ancora enti di diritto privato, alla attivita dei
cui organi non si poteva attribuire altra base di autorità che il consenso
deile parti, noi ci permettiamo di osservare che così dicendo si trascura
di tener conto dell’indole particolare delle controversie decise con ie
suddette sentenze.
Oggetto della disputa del 1138 avanti i consoli di Padova, era la
pretesa di Ugucciune da Baone su certe terre, quale feudo dei canonici
della cattedrale. La causa era stata discussa a lungo nella curia dei vassalli della canonica, foro competente secondo gli usi dei feudi, e già decisa a favore della canonica. Uguccione non si era dato per vinto, e con
violenza aveva ripreso il possesso delle terre. Per evitare guai maggiori
* utraque pars se iudicio consulum civitatis, datis pignoribus, summiserunt ,. Dopo che la speciale giurisdizione, competente nella soggetta ma
teria, si era definitivamente pronunciata, solo il consenso delle parti poteva
ancora dare vita ad un giudizio straordinario avanti un’altra magistratura; la quaie in questo caso veniva a derivare i propri poteri giurisdizionali non tanto dalla pubblica funzione ch’essa normalmente si
attribuiva, quanto dalla elezione, libera almeno in apparenza, dei con.-
promittenti. Diciamo libera in apparenza. Perocchè sappiamo troppo
bene che nella generalità dei casi la forma dell’arbitrato, che si riscontra
in molti giudizi consolari, aveva lo scopo di eludere le future eccezioni
di nullità per incompetenza nei reclami avanti le curie imperiali o nei
nuovi giudizi avanti i tribunali ecclesiastici, che la parte soccombente
non avrebbe mancato di proporre; ed è pure noto che spesso il convenuto, se ecclesiastico o per altro titolo esente dalle giurisdizioni
comunali, veniva condotto con argomenti assai persuasivi, a sottomettersi al giudizio dei consoli.
Per quanto scarsi sieno i documenti rimastici intorno all’attività
degli organi del comune di Padova nella prima meta del secolo XII,
ad escludere rispetto a questo comune e a quel periodo di tempo, il
concetto di un ente costituzionalmente privato, esercitante pubbliche funzioni entro l’ambito ristretto delle persone che ad esso appartengono,
per mezzo di commissioni temporanee, i collegii consolari, costituiti di
volta in volta che se ne presentava l’occasione, ci sembra che basti il
ricordo delle guerre che i padovani sostennero in quegli anni contro
(GO ogle
604 BIBLIOGRAFIA
Venezia (1111 e 1142-1147) e contro Vicenza e Verona (1147), dei t:attati di pace stipulati coi rappresentanti le città nemiche (1) e di un atto
del 1142, (2) col quale, nella pubblica “ concione , il conte, otto consoli,
tre “ merighi, e sette “jurati , fecero vendita di un pezzo di pascolo
appartenente al “comune civitatis , per destinarne il prezzo al pagamento del soldo dovuto “ militibus extraneis qui serviverunt comune
“ civitatis in hostes ,. L'intervento nella “ concione ,, di un triplice ordine
di funzionari — consoli della città, “ merighi , delle consorterie dei
quartieri, e giurati preposti alla custodia dei beni comunali, — l’esistenza
di un demanio immobiliare dell'ente comune, l’assunzione al proprio
soldo di militi forestieri per fare la guerra, tutto rivela che le istituzioni
comunali si erano consolidate e che il comune si trovava in un periudo
abbastanza avanzato del suo sviluppo. Ci pare quindi impossibile rispetto
a questo comune pensare che appena quattro anni prima i suoi collegi
consolari rossero delle commissioni temporanee, alle quali venivano
affidati incarichi per cause momentanee e occasionali.
Se l’interesse politico di prevenire gravi conflitti che potevano
turbare la pace cittadina, spiega l’intervento, sotto la veste di arbitri, dei consoli padovani nella controversia fra i canonici e Uguccione, uno fra i più potenti personaggi di Padova, un interesse ancora
più elevato per la pubblica economia della città e del comitato dà ragione dell'intervento nel 1144, sotto una veste analoga, dei consoli di
Bergamo nella vertenza del vescovo coi vicini della valle di Ardesio,
relativa all’esercizio delle miniere di ferro, che costituivano una delle
maggiori ricchezze del territorio. Se a Padova sono scarsii documenti
sull’attività dei consoli nella prima metà del secolo XII, e se l’autonomia di quel comune, come degli altri della Marca, tardò alquanto ad
affermarsi in tutta la sua pienezza per il persistente esercizio delle
giurisdizioni del marchese e dei conti, quanto a Bergamo non vi è
dubbio invece che nel 1144 l'autonomia piena del comune e il regolare
esercizio delle giurisdizioni da parte dei consoli datavano da oltre un
‘ventennio; come ne fa fede il * Pergaminus, di maestro Moisè da
Broilo (3).
Il Torelli ritiene, crediamo giustamente, che il notaio abbia per
qualche tempo prestato al comune la propria opera senza essere ad
esso ‘legato da altro rapporto che non fosse quello momentaneo e specifico in cui egli si trova col privato che lo richiede del suo ministero
per un atto determinato, escludendo così che nel periodo più antico
il notaio redattore degli atti del comune fosse impiegato comunale;
ed osserva che il fatto non toglie che le autorità pubbliche dovessero
anche allora preferire un notaio all’altro e che il grado di capacità e
(1) Giuria, Cod. dipl. pad., II, doc. 440 e 1541.
(2) Ibid., Il, doc. 409. i
(3) Capasso C., Il « pergaminus » e la prima età comunale a Bergamo, in
questo .irchivio, a. XXXIII, fasc. XII, 1906.
Tized ty — E
BIBLIOGRAFIA 605
la pubblica considerazione potessero per un certo tempo, a volte molto
lungo, conservare ad un notaio la fiducia degli amministratori del comune. Notaio di fiducia adunque, di fiducia persistente, non notaio
ufficiale e molto meno... cancelliere.
Qui però è da osservare che quando si parla di periodo più antico
del comune per limitare ad un periodo posteriore la presenza, nei
quadri dell’ente, di un notaio incaricato di redigere gli atti come funzionario del comune, si vaga un po’ troppo nell’indeterminato. L'esempio
ricordato dal Torelli, del comune di Genova, che nel 1122 approva uno
statuto per la nomina dei “ clavarii, scribanique, cancellarius pro utili-
“tate reipublice ,, che coincide col mutamento verificatosi in quell’anno
nella evoluzione del consolato, divenuto annuale, può essere invocato
per dimostrare che, non appena superato il periodo iniziale del comune,
moventesi alla ricerca di organi adatti ‘alle condizioni della propria
vita, e consolidatosi il suo funzionamento con la istituzione del turno
annuale dei consoli, si provò il bisogno di porre accanto o, come in
fatto si costumava, “ad pedes ,, della funzione del collegio, nel quale si
concentrava la somma del potere, quella più modesta, in parecchi luoghi
permanente, di ufficiali incaricati della redazione = della conservazione
degli atti “ pro utilitate reipublice ,.
Nel riscontro dell'esame minuzioso, diligente e assai fruttuoso che
il Torelli ci offre dei documenti comunali del secolo XII, delle principali
città dell’Italia settentrionale con riguardo all’organu che li redigeva,
amiamo soffermarci particolarmente sui documenti di Milano, in vista
della discreta conoscenza delle carte medievali di quella città da noi
acquisita. Ammette il Torelli che l’ultima delle qualifiche attribuitesi da
LLandolfo juniore intorno al 1136 di “lector, scriba, puerorum eruditor,
“pubblicorum officiorum et beneficiorum particeps et consulum episto-
“larum dictator , denota l’esistenza presso il comune di Milano della
funzione del: “ dictator , come ufficio vero e proprio. Ma soggiunge
che al fortunato accenno del cronista non rispondono con troppa larghezza le notizie che ci fornisce i! materiale documentario noto. A noi
sembra però che la notizia basti intanto a riconoscere per Milano,
almeno a partire dal secondo quarto del secolo XII, la presenza e relativa stabilità presso il consolato di un ufficio, quello del redattore delle
lettere dei consoli; la cui funzione, se non poteva dirsi specifica del
notaio, era certamente una di quelle che più si coordinano al concetto
di una cancelleria di stato. Nè la notizia è del tutto isolata, siccome è
parso al valoroso e diligente scrittore.
Oltre alla coincidenza con l'istituzione già ricordata degli * scribani ,
e del “ cancellarius , presso il consolato di Genova, giova rammentare
le più antiche “artes dictaminis, di origine lombarda, del tempo di
Lotario III (1). In una d’°esse, l’“ aurea gemma Wilhelmi,, vi è una
(1) WATTENBACH, Iter austriacum, in Archiv fur Kunde CEsterr. GeschichisQuell., XIV, I, 1855, Anhang, 26-27, e Beilage, 67-94.
LO ogle
606 BIBLIOGRAFIA
lettera di Lotario “ omnibus mediolanensibus minoribus cum maioribus,
che risponde ad una legazione a lui diretta per confermargli la fedeltà
dei milanesi. In altre due lettere si accenna alla guerra fra Milano e
Como che terminò nel 1126 con la distruzione di Como. Più importante
è il “tractatus de dictamine,, di origine cremonese, contenente ben
ottanta lettere scambiate, in apparenza, fra l’imperatore (Lotaric), il
papa (Innocenzo III), il patriarca di Aquileia (Pelegrino), l’arcivescovo
di Ravenna, i vescovi di Cremona, Firenze, Brescia, Piacenza e Modena
e fra ì cremonesi, i pavesi e i milanesi. Sono notevoli specialmente
una lettera a Lotario dei “ cremonenses consules et ceteri cives ma-
“iores cum minoribus, che accompagna l’invio di l: gati all’imperatore,
una dei “papiensium consules et populus, ai “ cremonensibus consu-
“libus ac civibus , per proporre un congresso a Roncalia insieme ai
piacentini allo scopo di avviare pratiche, eventualmente anche coi milanesi, in vista della imminente discesa in Lombardia dell’imperatore,
ed una dei “ mediolanensium consules et universus populus , a tale
“Paradisio illustri et magnifico viro y per invitarlo ad assumere il
comando del loro esercito che doveva muovere in campo contro l’esercito dei cremonesi.
La serie di queste lettere, scritte per servire di modello ai “ dicta-
“tores, delle curie dei principi, laici ed ecclesiastici, e dei corpi comunali, lascia comprendere quanto frequente doveva essere presso i
comuni lombardi fino dal primo quarto del secolo XII lo scambio di
lettere con altri comuni, col sovrano e con alti personaggi, per chiedere o fornire notizie sugli avvenimenti politici del giorno, formulare
proposte di congressi e di leghe, chiedere soccorsi, accreditare legati,
inviare omaggi, intimare divieti e proteste. La concatenazione degli
avvenimenti, l'indole talora complessa e ia durata dei negoziati che
formavano oggetto della corrispondenza ufficiale, pubbiica o segreta,
del comune, dovettero ben presto far sentire il bisogno di provvedere
alla custodia delle lettere ricevute e alla trascrizione in liste o quaderni
delle ininute delle lettere spedite. Pare logico ritenere che queste operazioni a Milano, come a Cremona, a Pavia e a Piacenza, il gruppo
dei comuni lombardi che precedettero gli altri nella costituzione dei
propri organi, rientrassero nelle normali mansioni dei “dictator epistolarum consulum , che si e visto a Milano verso il 1136 e torse da un
decennio o più, rappresentato dal chierico Landolfo, letto: e, scriba, ecc.
Il Torelli nota che dopo il passo surriferito del vecchio cronista
la prima esplicita menzione di un notaio del comune di Milano è del
1183. Nel 16 febbraio 1213, in giudizio avanti i consoli di giustizia, il
sindaco di una delle parti vuol sapere se un notaio colà presente fece
l’imbreviatura di una sentenza dell’anno 1183, se la scrisse di suo pugno
“et si quando eam scripsit, erat scriba et officialis consulum iusticie
“M. pro faciendis sententiis et aliis scripturis et si eam propter offi-
“cium quod tunc habebat, fecit et scripsit ,. Il notaio Ugo da Castegnanega, “ visa illa inìbriviatura , risponde affermativamente.
(GO ogle a
BIBLIOGRAFIA 607
Questo notaio aveva scritto e sottoscritto qualificandosi “ ego Ugo
qui dicor de Castegnanega sacri palatii notarius , numerose sentenze
consolari dal 1182 al 1207, aggiungendo dal 1187 in poi la qualifica di
“iudex et missus d. Federici imperatoris ,. Per il periodo anteriore il
Torelli ricorda in ordine retrogrado i seguenti notai presunti ufficiali
del comune: |
1.° “ Rogerius Bonafides iudex ac missus d. secundi Chunradi
regis , che redasse molte sentenze consolari dal 1170 al 1179;
2.° “ Petrus bellus de Beccaria ,, redattore di una sentenza consolare 2I maggio 1170;
3.** Petracius qui dicor de Sancto Calocero ,, che scrisse il neto
statuto agrario 20 settembre I170;
4.° “ Rogerius iudex et missus d. secundi Chunradi regis,, reda:-
tore di due atti 6 agosto 1159 e 2 ottobre 1156, portanti il primo la
vendita fatta dai consoli di un pezzo di terra, il secondo la concessione
di un privilegio alla chiesa di S. Giorgio in palazzo, e di due sentenze
consolari dello stesso anno 1156;
5.° “ Dominicus iudex ac missus d. regis ,,, redattore di sentenze
consolari dal 1150 al 1153.
6. “ Anselmus notarius et iudex ,, qualificatosi qualche volta “ mis-
“sus d. secundi Chunradi regis ,, che scrisse quasi tutte le sentenze
consolari dal 1138 al 1150.
A proposito di questo giudice Anselmo il Torelli rammenta che in
un nostro studio di storia santambrosiana, accennando alla sentenza
consolare II luglio 1143 stesa da lui, lo abbiamo qualificato “ cancelliere
dei consoli ,, e che ad una sua richiesta di chiarire il significato della
qualifica, abbiam» risposto ch’essa rispondeva alla constatazione deil’ufficio di redazione degli atti consolari dal giudice Anselmo costantemente tenuto per dodici anni, senza voler con ciò affermare che a quell’ufficio fosse data la particolare denominazione di cancelleria. L’egregio scrittore mostra di convenire con la sostanza delle nostre spiegazioni,
riconoscendo che appunto la presenza costante del giudice Anselmo
presso i consoli non lascia dubbio ch’egli coprisse un ufficio, la cui
esistenza è resa probabilissima anteriormente dal ricordo dell’ufficio
analogo tenuto dal chierico Landolfo. Al difetto quasi assoluto di altri
documenti comunali all’infuori delle sentenze consolari per il periodo
più antico, dovrebbe attribuirsi la ragione che solo del notaio redattore
delle sentenze è giunta sino a noi notizia e che quindi è difficile riscontrare quella moltiplicità di notai che l’azione di magistrati diversi potrebbe facilmente mostrarci.
Dobbiamo a questo punto chiedere venia all’egregio studioso, il
quale aveva fatto appello alla nostra memoria sui risultati delle ricerche
condotte negli archivi milanesi e in particolare sul significato della
espressione che aveva destato le sue preoccupazioni, se la memoria
ci ha tradito e se alla nostra volta, preoccupati di avere attribuito all’ufficio del giudice Anselmo una denominazione storicamente impropria
608 BIBLIOGRAFIA
od equivoca, ci siamo itidustriati di correggere od attenuarne la portata
eliminando quanto in essa di preciso e di specifico si avrebbe potuto
ravvisare. Sta in fatto, e ce ne siamo avveduti ora che, per renderci
esatto conto di questa parte del lavoro del Torelli, abbiamo levata
la polvere a vecchi schedari e riletto i pochi nostri scritti di storia milanese, che la qualifica di cancelliere dei consoli non fu da noi data ad
Anselmo solo in vista del ministero prestato, durante il periodo di dodici
anni, di redattore delle sentenze deî consoli, ma sopratutto perchè avevamo riscontrato che con tale denominazione lo si era chiamato in un
notevolissimo atto forense dell’anno successivo alla ricordata sentenza
consolare del 1143; e cioè nell’“ allegatio iuris ,, stesa, come a noi sembra, dall’insigne giurista ed uomo consolare milanese, Gerardo Pesto,
presentata nell'interesse del monastero di S. Ambrogio ai legati apostolici Guido ed Ubaldo nel giudizio provocato dai canonici della stessa
chiesa sopra molteplici questioni, delle quali la maggior parte erano
state decise dalla sentenza dei consoli, e da noi pubblicata, non senza
qualche errore, nello stesso studio di storia santambrosiana.
+ Nell'ultima parte dell’ allegatio , si rammenta che il preposto della
canonica aveva presentato “ querimonia apud consules supra oblatione
“et parochia et campanili quoque novo ecc. ,, e si soggiunge: “ quo
“modo autem consules causam per convenientiam ex precepto domini
“ Robaldi venerabilis archiepiscopi et eo presente et utrique parti ut
“consulum preceptum parerent precipiente . iure iurando insuper ab
“utraque parte adhibito . finierint. ex tenore instrumenti per cancella-
“ rium consulum pubblice contecti quam plenissime cognoscitur ,.
Cangelliere adunque dei consoli, che come tale stende e firma gli
atti dal comune emanati dalla suprema sua autorità politica, amministrativa e giudiziaria; per quanto in ossequio alla tradizione il giudicenotaio Anselmo non abbia mai nella sottoscrizione delle sentenze dei consoli assunta una tale denominazione, e si sia modestamente accontentato
delle comuni qualifiche di “iudex et notarius y. Si tratta di ben sedici
sentenze nello spazio di tempo di dodici anni. Sino al 1145 Auselmo è
il solo notaio-cancelliere che redige e scrive le sentenze. Due del 1145
ed una del Ir48 sono scritte da “ Mussus sacri palatii notarius ,, ma
sottoscritte da “ Anselmus iudex et missus, ecc. ,; il che fa pensare
che fossero state Yedatte ed imbreviate da Anselmo e date da scrivere
a Musso, suo collaboratore, per la formazione dell’ “ instrumentum no-
“ ticie , destinato alla parte vittoriosa.
La circostanza che i due soli atti consolari (1) (2 dicembre 1156 e
6 agosto II59), estranei all’esercizio della funzione giudiziaria, che si
conoscono, del periodo anteriore alla distruzione della città, sono redatti
(1) Della maggior parte degli atti consolari milanesi che ricordiamo, si hanno
notizie precise nelle Memorie spettanti, ecc., di Milano del GiruLini. La serie delle
sentenze del sec. XII è stata illustrata in quest’ Archivio (XXXII, fasc. II, p. 229
e sgg.) dal RIsoLDI.
T b: - ae x rs VA RR
BIBLIOGRAFIA 609
dallo stesso giudice Rogerio Bonafede che dal 1154 in poi è il redattore
ordinario delle sentenze consolari, conferma che la qualifica di “ can-
“ cellarius consulum , attribuita dall’autore della “ allegatio , del 1144
al giudice Anselmo aveva il preciso significato di ufficiale stabilmente
incaricato della formazione degli atti, sia politico-amministrativi che giudiziari, emanati dal corpo consolare, sdoppiatosi verso il 1155 nelle due
sezioni dei consoli del comune e dei consoli di giustizia. All’obbligo della
formazione degli ‘atti consolari si sarà aggiunto quello della conservazione e custodia delle relative minute o imbreviature e di tutte le altre
carte, quaderni e liste anche degli ufficiali inferiori (massari, canevari,
ecc.), compresi i quaderni delle lettere del “ dictator ,, ch’era utile tenere
a disposizione dei consoli. Nè crediamo del tutto accidentale la coincidenza nella qualifica di cancelliere assegnata a questo ufficiale dei
due principali comuni dell’Italia settentrionale, dall’annalista Caffaro e
dal giudice milanese Gerardo Pesto. L’annalista dovette farsi eco della
denominazione data all’ufficio con marcata analogia a quello corrispondente delle curie imperiali e regie. In particolare per Gerardo la denominazione rispondeva alla tendenza che si nota nella sua grande attività
in seno al comune, di affermare la pienezza della sovranità della metropoli lombarda, chiamata a dominare l’antico regno dei longobardi,
spezzando i vincoli tradizionali coll’impero. Non bastava essere liberi;
si voleva poterlo affermare solennemente in ogni pubblica manifestazione della vita comunale. Sebbene egli stesso fosse messo regio,
fino dalle prime sentenze consolari cui partecipa nel periodo anteriore alla distruzione della città, a differenza degli altri giudici milanesi, omette di assumere questa veste, e nella sottoscrizione aggiunge
al proprio nome i titoli di “ consul , o di “ considicus ,. Egli è il primo
che, dopo il ritorno dei milanesi in patria, al predicato consueto di
“consul comunis , sostituisce quello solenne di “ consul reipublice ,.
S1 comprende da ciò che Gerardo Pesto amasse designare il notaioufficiale dei consoli con un titolo che doveva richiamare alla mente
la costituzione e il funzionamento di una curia sovrana.
D'altra parte le tradizioni pre-comunali incorporate nelle classi
assai numerose ed influenti dei notai e dei giudici avranno reagito
tenacemente contro tendenze innovatrici, nelle quali sì vedeva il pericolo
di futuri pregiudizi ad antichi privilegi, a monopoli e lucri consueti,
Db: qui il contrasto fra la pratica seguita dal notaio-ufficiale che, riguardoso per i vincoli corporativi con la classe notarile, omette, nella sottoscrizione, qualsiasi qualifica atta a designare la funzione stabilmente
conferitagli, e le aspirazioni degli uomini più illuminati, orgogliosi della
dignità e del prestigio del comune.
Risorto questo a nuova vita nel 1167 dopo il ritorno dei milanesi
nella città distrutta, il giudice e messo regio Rogerio Bonatede riprende
l'ufficio che aveva abbaudonato con la dissoluzione del comune. Ma
egli non è più solo a fungere da notaio-cancelliere in ambedue i corpi
consolari. La mole sempre crescente degli affari che gravava sui due
Arch Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. III. 34
CO ogle
610 BIBLIOGRAFIA
consolati, portò da prima alla divisione del lavoro. Il Bonafede rimase
alla camera dei consoli di giustizia; la funzione di ufficiale o scriba dei
consoli della republica fu assegnata a Petracio da San Calocero che
nel 20 settembre 1170 redige nella publica “concione ,, il già ricordato
statuto agrario. Due anni dopo vedremo costantemente intervenire nella
sottoscrizione delle sentenze due e qualche volta tre notai. Durante un
ventennio Rogerio Bonafede alterna con Ugo da Castegnanega la redazione dell’atto nell’istrumento rilasciato alla parte. Quando uno dei
due scrive, l’altro controfirma; il che pare voglia significare che il
secondo ha imbreviata la sentenza nei suoi quaderni o schede e ne ha
fatto scrivere l’ “instrumentum noticie , dal primo. A quest'epoca,
doveva essere ormai venuta meno l’originaria unità dell’ ufficio di redazione e scritturazione degli atti comunali. Da allora in poi e fino ad
un certo periodo dopo la costituzione della signoria viscontea non si
sentirà più a Milano parlare dell’ufficio del “ cancelliere , (1).
E qui avremmo terminata la breve serie degli appunti che ci siamo,
permessi di avanzare intorno alle cose dette dal dutt. Torelli sui documenti comunali di Milano del secolo XII; se l'affinià dell'argomento
non ci tentasse ad esporre brevemente alcune osservazioni sui caratteri
specifici che presenta l'esercizio delle giurisdizioni dei consoli di Milano
nelle sentenze del primo periodo fino alla caduta del comune nel 1162,
e che c’inducono a rigettare, almeno rispetto al consolato milanese
anche nei primi suoi anni di vita, quel concetto di commissioni occasiunali
e temporanee, emananti da un ente costituzionalmente privato, cd
esercitanti una funzione pubblica nella forma privata degli arbitrati,
sotto il quale il Torelli, troppo, a nostro parere, generalizzando, considerò, abbassandoli, così l’organo, come l’ente.
Occorre distinguere bene cosa da cosa. Altro è sapere quando il
comune, ente politico, è costituito, ed altro determinare l’epoca e le
forme nelle quali i suoi organi cominciano ad esercitare funzioni giudiziarie. Alla costituzione e al funzionamento del comune-città, come
ente di diritto publico, riconosciuto o non dall’imperatore poco importa,
l'esercizio delle giurisdizioni non era indispensabile. Quando vediamo,
e l'osservazione è già stata fatta per Padova, un comune indire guerra
ad altri comuni, stringere leghe, stipulare trattati di pace, obbligare a
prestare servizio nell'esercito, a piedi od a cavallo, con buoi e carri,
secondo le rispettive condizioni gli abitanti del territorio, esigere da
essi tributi, coartarli a lavorare nella costruzione del muro e dei fossati
della città, a scavare canali, aprire strade, allora diciamo che esiste un
ente non privato, il quale di fatto esercita i più alti diritti della sovranità; per quauto protesti di riconoscere l’alto dominio dell’imperatore,
che è lontano e non ha mezzi per imporre l’obbedienza, e sebbene tolleri
la presenza nella città o nel territorio di qualche organo legittimo, a
(1) Unica eccezione l’atto del 1242 publicato dal Frisi, che il Torelli ricorda,
in cui il notaio rogante si qualifica « canzelarius comunis Mediolani ».
BIBLIOGRAFIA G6II
titolo beneficiario o personale, dello stesso imperatore e nori lo abbia
ancora spogliato di tutti i suoi diritti e dei lucri inerenti all’esercizio
delle proprie funzioni.
Vi è qualche città (ad es. Trevisu), in cui il conte ha continuato
sino oltre la metà del secolo XII a tenere pubblici placiti. Vassalli del
conte o del vescovo e vassalli diretti dell'impero esercitano le giurisdizioni sopra qualche zona più o meno estesa del territorio, soggetta
per ogni altro rapporto al distretto del comune. Nella marca veronese,
al di sopra delle giurisdizioni dei co..ti e dei signori territoriali, vi è
quella del marchese. Al disopra di tutti si eleva la giurisdizione dell’imperatore; ch’egli esercita in persena quando discende in Italia e vi
tiene i suoi placiti, in caso diverso per mezzo dei suoi messi straor.
dinari, alti dignitari dell'impero che vengon d’oltre monte ad amministrare giustizia in suo nome, ovvero ordinari, territoriali, che ’amministrano con le stesse forme e gli stessi poteri nelle circoscrizioni per le
quali il sovrano li tia istituiti. |
Ma non è a credere che l'esercizio delle giurisdizioni da parte dei
conti, dei marchesi e dei messi sia sempre l’espressione di una potestà
in aperto ed effettivo antagonismo col comune, o tale da dominarlo
interamente. Il più delle volte, forse perchè è stato superato un perivdo
burrascoso di lotta e di resistenza gda parte del’investito, non esprime
che l’osservanza di una tradizione, che si farebbe volentieri cessare se
dal comune si disponessero ì mezzi per corrispondere all'altra parte
un compenso adeguato alla perdita dei lucri delle giudicature, Comunque, l’esercizio stesso viene controllato e contemperato dallo intervento,
nei placiti, dei maggiorenti del comune, col cui consiglio chi presiede
il giudizio pronuncia la decisione,
Milano si trovava nella singolare condizione di avere avuto cuntinuamente vacante il comitato dalla seconda metà del secolo X in poi.
AAbbia:no gia avuto occasione di indicare le ragioni di questo trattamento fatto dagli imperatori a Milano; determinato sopratutto dalla
grande influenza politica dell’arcivescovo-metropolita, potente per 1
vasti possessi territoriali în tutta la provincia, e per l'autorità quasi
dispotica esercitata sopra i suffraganei, che gii dava modo di estendere
la propria azione ben oltre non solo i ristretti contini del comitato
milanese, ma quelli assai più lati dell’archidiocesi.
Negata all'arcivescovo la dignità e le funzioni di conte territoriale,
cuncesse ad altri vescovi lombardi, che lo avrebbero reso arbitro presso
che assoluto della città e del territorio, si provvide alle necessità della
vita civile con la nomina di messi regi, investiti delle più larghe giurisdizioni civili e penali nella città e nel comitato, talvolta anche nei
comitati limitrofi del Seprio e di Pavia. Seguendo la massima di governo, di tenere diviso il potere fra più organi e di suscitare così
germi di antagonismo fra i diversi investiti del potere, si largheggiò
nella concessione di importanti regalie ali'aurcivescovo; che divennero ben
presto preda, sotto le solite forme beneficiarie, dei più invadenti nella res
612 BIBLIOGRAFIA
sa dei “ milites ,, che gli stavano ai fianchi. L’esercizio della giurisdizione
ordinaria in città e nei comitati, salvo qualche eccezione per le corti
dell'arcivescovo e dei vassalli dell'impero, divenne funzione pressoche
esclusiva di un numero ristretto di messi regi, scelti in seno alle famiglie
più cospicue della città, che ne ripetevano i poteri da una delegazione
sovrana, di carattere personale, destinata ad estinguersi con la morte
del titolare. 1 termini di queste delegazioni ci sono noti da due lettere
di Enrico II. del maggio 1015. Contengono la concessione della potestà
di “difinire omnes lites ac intenciones per pugnam et legale iudicium
“tanquam ante presentiani nostram vel nostri comitis palatini, et dare
“advocatores clericis et tutores viduis et orfanis sicut nos ipsi,. La
funzione doveva essere ambita e tenuta in gran conto anche per 1
lucri inerenti al suo esercizio. Il precetto fatto al messo come ad ogni
altro giusdicente, dalle leggi imperanti, di tenere i placiti in luogo
aperto al pubblico e di farsi assistere da un certo numero di giudici e
dj cittadini dai quali doveva prendere consiglio prima di pronunciare
la sentenza, costituiva una garanzia contro il pericolo di arbitrio e di
preLotenza da parte di chi si fosse ©:ntito portato ad abusare dell’ulficio a scopo di vendetta o di prevaricazione.
Sembra che il numero dei messi regi sino all’ultimo quarto del secolo XI fosse assai ristretto; non più di due o tre contemporaneamente.
Poi il numero va crescendo; tal che ne troviamo in funzione sette
nell'ultima decade del secolo, e dieci nella terza del successivo.
La coesistenza di giurisdizioni parallele e concorrenti è un tfenomeno abbastanza comune nel medio evo. La competenza si determina
dalla prevenzione. Con questo semplice criterio si scioglievano in pratica le apparenti difficoltà per la presenza nello stesso luogo, di un
certo numero di magistrati investiti di pari giurisdizione, che ognuno
era chiamato ad esercitare come giudice singolo. L'attività esplicata
per oltre un secolo da questa magistratura attraverso le lotte accanite
che sconvolsero la metrupoli in tutti gli ordini del clero e del laicato,
tinchè potè trovare il proprio assetto ed equilibrio nel cor. une, dimostra
ch’essa aveva in sè 1 requisiti necessari per soddisfare le esigenze,
certo assai modeste, della collettività. Ii comune formatosi a Milano
dalla unione dei tre ordini, dei capitani, dei vassi c valvassori e dei
negoziatori (indi chiamatu, più genericamente, cittadini in contrapposto
ai militi dei primi due ordini) che vediamo disegnarsi timidamente
nella costituzione del 1067 dei legati apostolici Mainardo e Giovanni
Minuto, (1) è già formato ed organizzato negli ultimi anni del secolo XI
dopo la vittoria del clero minore e di quella parte del laicato che nella
lotta delle investiture aveva seguito il papato contro gli arcivescovi
di nomina imperiale e le grandi famiglie dei capitani, parteggianti per
impero e per l’autonomia della chiesa milanese.
Per il nuovo ente, che nei primi brevi passi si tene legato all'ar-
(1) GiuLinI, op. cit., IV, p. 127.
BIBLIOGRAFIA 613
civescovo e al clero maggiore, sfruttando l'antica organizzazione della
chiesa metropolitana, è di grande vantaggio avere nel proprio seno
persone legittimamente investite dell’esercizio delle giurisdizioni.
Nessun bisogno di ricorrere alla violenza o alla frode per spogliare
i rappresentanti dell’autorità legittima del potere fino allora esercitato,
e sostituire alle loro curie la nuova curia comunale. Era il caso invece
di servirsi dell’opera dei messi regi per legalizzare i pronunciati della
nuova magistratura. Diversamente da quanto si verificava in altre città,
ove erano famiglie comitali e marchionali investite della potestà. giurisdizionale a titolo beneficiario, o vescovi-conti, concessionari, per
donazione sovrana, del distretto e delle giurisdizioni, era possibile
coordinare l’esercizio dell’antica funzione dei messi con le nuove esigenze della vita pubblica. Al concorso che giudici e cittadini erano
chiamati a prestare come astanti nei placiti del messo, si sarebbe sostituìto, con inversione della rispettiva posizione, l'intervento di uno o più
messi regi nel giudizio collegiale dei consoli; sia che 1 messi cumulassero il proprio ufficio con quello dei consoli, sia che figurassero quasi
in soprannumero; salvo in ambedue i casi, ad apporre alla sentenza
la propria sottoscrizione con la qualifica di “iudex et missus domini
regis...,, a guisa di suggello di legittimità. Poste su queste basi le giurisdizioni comunali, non vi era più motivo per dubitare della legalità
delle pronuncie dei consoli. Se ne sarebbe screditato senza ragione il
prestigio, se normalmente si fosse fatto ricorso alla forma dell’arbitrato volontario, per rendere, sulla base dell’apparente consenso delle
parti, effettiva ed obligatoria l'emananda decisione.
L’adito all’arbitrato rimaneva aperto in via eccezionale quando si
tusse voluto eludere i divieti fondati su privilegi ed immunità ecclesiastiche, o quando ì contendenti avessero di comune accordo preferito
questa forma di giudizio, che presentava il vantaggio di rendere improponibile avanti ogni altra autorità qualsiasi controversia sui punti di
questione decisi dagli arbitri, come si di eva “ per convenientiam ,.
L’ultimo atto steso a Milano nella forma tradizionale delie sentenze
proferite nei placiti dei messi regi, che noi conosciamo, è del 5 marzo 1093 (1). I due messi, Milano-Ottone e Ambrogio-Pagano, avevano
fissato la sede del tribunale nella corte del giudice Alberto, presso la
chiesa di S. Sisto “ ad iusticias faciendas et deliberandas causas ,.
Facevano loro corona altri sei giudici ed erano pure astanti dieci cittadini, dei quali crediamo di riconoscerne due della classe dei capitani, due o tre della classe dei valvassori, e alcuni di quella dei “ cives. ,
Le apparenze sono di un giudizio; ma nella sostanza non si tratta d’altro che della omologazione (ruboratio) con l’autorità dei messi regi, di
un atto di vendita immobiliare, affinchè le relative “ cartule.... sile ntes
“ non Sint ,. e facciano tacere le eventuali impugnative dei terzi; chiude
(1) ASM, perg. della can. di S. Ambrogio.
Go ogle
614 BIBLIOGRAFIA
con la solita formula “ et sic finita est causa , e reca la sottoscrizione dei due messi, presidenti del placito, e di cinque giudici, il sccondo dei quali, Eriprando, si dice pure “ missus domini III. Henrici
“ imperatoris ,,.
Il primo atto giudiziario nel quale intervengono i consoli del cuimmune è il noto “ preceptum , emesso nel 1117, in un placito presieduto
dall’arcivescovo Giordano, assistito da preti e chierici dei due ordii 1,
essendo presenti i consoli di Milano in numero di dieciotto e un discreto numero di capitani, di valvassori e di cittadini (1). Postulante è
Arderico, vescovo di Lodi, il quale chiede si confermi l’ annullamento
delle vendite, infeudazioni e distrazioni delle terre della chiesa lodigiana,
latte dal suoi predecessori scismatici, già pronunciato dallo stesso Arderico “ in pubblico arengo ...adhuc integra civitate Laudensi , (2).
Un messo regio, l’Anselmo che fungerà da ufficiale-cancelliere del coi.-
solato, redige l’atto. L’arcWwescovo, come metropolita, aveva piena
giurisdizione per conoscere delle “ querimonie , dei suffraganei, relative al patrimonio delle loro chiese. L'intervento in questi giudizi dei
laici, consoli e messi regi, è una singolarità di quel periodo tra la fine
del secolo XI e i primi decenni del successivo, in cui la discriminazione delle competenze fra vescuvo col suv clero, e popolo e comune
non è sempre osservata, ed il comune si ingerisce, spesso coi tumulti
delle sue concioni, nella elezione o rimozione del capo della diocesi.
Le forine tradizionali del placito si riscontrano ancora in una sentenza pronunciata nel 1125 per definire una lite fra i vescovi di Lodi e
di Tortona intorno alla pertinenza del patronato sopra un monastero.
Il placito è presieduto dall’arcivescovo Oberto; siedono con lui parecchi vescovi suffraganei e altri chierici, il giudice Gerardc, che, se non
assume il titolo di messo regio, sappiamo che era tale, e con lui un
certo numero di “ boni homines ,,. Cinque anni dopo (1130) abbiamo la
prima sentenza resa direttamente dai consoli seuza l’intervento di altra autorità (3). La causa pendeva tra la chiesa di S. Alessandro di
Bergamo e i rustici di Calusco di sopra, della diocesi di Bergamo; aveva
per oggetto l’ interpretazione e l’ esecuzione di una sentenza pronuuciata dal vescovo di Bergamo intorno ai diritti di distretto e di signoratico
esercitati dalla canonica di quella chiesa sugli abitanti della villa. Fra
i consoli intervenuti in numero di sette capitani, sette valvassori e sei
cittadini, non riscontriamo alcuno qualificantesi messo o giudice. Ma
anche qui, come nei due atti precedenti, il messo regio non manca,
sebbene non ne assuma espressamente la veste; è il giudice Ardericu
che redige 11 documento, “ ex amonicione predictorum consuluni. , Nel
contesto della sentenza non si parla di consenso prestato daile parti
(1) VIGNATI, Cod. laud., I, p. 97.
(2) Ibid., I, p. 1125.
(3) GIULINI, op. cit., VIII, p. 96.
Go ogle »
BIBLIOGRAFIA 615
alia giurisdizione dei consoli di Milano. L’avocazione da parte di costoro della cognizione della lite costituisce una manifesta usurpazione delle giurisdizioni del vescovo e della città di Bergamo. Nulla,
sino da questa prima sentenza, di meno consono al concetto di una
giustizia amministrata da un ente costituzionalmente privato sotto le
forme dell’arbitrato.
L’assenza così nelle serie dei consoli, ccime fra gli astanti ai due
atti del 1125 e del 1130, di messi regi, sebbene si trattasse di personaggi fra i più autorevoli della città, e l’omessa qualifica del relativo
ufficio nella sottoscrizione dei due notai redattori degli atti medesimi,
non ci sembra casuale; molto più se si considera la pratica in senso
oppusto instaurata pochi anni dopo ed osservata di poi costantemente.
Probabilmente la mancata inclusione: dei messi nel consolato è l’indice
di un conflitto sorto fra il comune e ì messi intorno al privilegio da
costoro rivendicato delle giurisdizioni; conflitto indi risoluto con un accordo, in forza del quale il comune deliberava di chiamare ogni anno a
far parte del cunsolato almeno due giudici-messi regi, e di riservare ai
medesimi, e in caso di loro impedimeuto, ai loro colleghi il diritto di
sottoscrivere tutte le sentenze e di percepire un compenso in denaro
per ogni firma apposta, come surrogato dei lucri degli antichi placiti.
La sistemazione dell’esercizio della giurisdizione consolare ci si manifesta iu una prima sentenza del 1138 (1) e in quelle degli anni successivi. Del 1138 in poi dei consoli, i cui nomi figurano nel proemio
della sentenza, almeno uno, ma spesso due sono qualificati giudici.
Costantemente la sentenza reca la sottoscrizione autografa di questi
giudici, che al proprio nome fanno seguire la qualifica “ iudex et mis-
“ sus domini.... regis , o “ imperatoris ,. Quando fra i consoli, i cui
nomi sono indicati nel proemio dell’atto, vi è un solo giudice, la seconda
sottoscrizione è di “ un iudex et missus ,, estraneo al consolato dell’anno in corso.
Il significato della sottoscrizione, in ogni sentenza, di due giudici»
messi regi, ci pare chiarissimo. Vi è da un lato il riconoscimento che
nor era nè giusto, nè equo spogliare interamente i giudici cittadini dei
lucri che fino allora aveva ad essi procurato l’esercizio del missatico;
dall’altro vi è la constatazione della opportunità di conferire, per mezzo
dei messi-regi, alle pronuncie dei. tribunali consolari una garanzia di
legittimità che avrebbe dovuto rendere vana qualunque impugnativa
per difetto di giurisdizione, che si fosse tentato di sollevare nelle curie
dell'impero o della chiesa.
Il tradizionalismo, che è uno dei caratteri più spiccati del comune
di Milano anche in epoca assai avanzata del suo sviluppo, si rispecchia
nella pratica consuetudinaria descritta nel “ liber consuetudinum Me-
“ diolani , del 1216 (2). Vì si dice che sino alla pace di Costanza era
(1) ASM, perg. di Chiaravalle.
(2) MHP, leg., II, I, p. 905.
616 BIBLIOGRAFIA
costume che i duelli si tenessero “ in via publica, consule assistente et
“ misso regis ,; il quale, dopo. lo svolgimento di un lungo cerimoniale,
indiceva la pugna con le parole rituali: “ ego, auctoritate missi regis
“ qua fungor, iudico pugnam inde fieri ,,. Il fenomeno della scomparsa
del messo regio dalle formalità dei duelli, che gli autori del “ liber con-
“ suetudinum , segnalano essersi verificato dopo la pace di Costanza che
riconobbe ai milanesi e agli altri lombardi le giurisdizioni, sì era, rispetto alla qualifica di messi-regi, attribuitasi dai giudici firmatari delle
sentenze consolari, verificata subito dopo il ritorno deî milanesi nella città
distrutta (1167). L'innovazione sembra significare -definitiva rottura con
la tradizione imperiale, e affermazione della piena sovranità del comune
e delle sue giurisdizioni. Però la innovazione è solo nella forma. La
pratica della sottoscrizione apposta negli atti giudiziari da due consoligiudici, coi relativi lucri, continua per lunghi anni; con la differenza che
il privilegio si è esteso dalla ristretta cerchia dei giudici-messi regi, a
quella assai più vasta di tutti i giudici stabilmente organizzati in “ c. |-
“ legium , O corporazione.
Nella seconda parte, il campo delle ipotesi e delle congetture si
restringe, quanto più si allarga quello dei fatti positivi e concreti, desunti dalle numerose collezioni statutarie e dalla maggior copia di documenti comunali. Qui il dott. Torelli ha potuto distribuire razionalmente
la trattazione del lavoro, per materia, raggruppando i dati e le notizie
riflettenti le diverse città con riguardo ai requisiti per l’ufficio di notai
del comune, alle disposizioni riflettenti l’esercizio dell’ ufficio e lo sti
pendio, e alle distinzioni fra notai del podestà e notai dei consigli, fra
atti generali e di governo, atti giudiziari, con le suddistinzioni di giustizia contenziosa, civile, criminale e volontaria, ed atti di uffici ammi»
nistrativi e finanziari, e con riguardo altresì all’amministrazione delle
terre e ville soggette al distretto del comune, e ad altri uffici minori.
Il metodo seguito è eccellente; la trattazione dell’ argomento non
poteva desiderarsi più approfondita ed esauriente iu tutte le sue parti.
L’autore ha usufruito del materiale statutario e documentario fin qui
edito, e di parte cospicua di quello ancora inedito. Si è valso con giusta misura, come di fonte sussidiaria, delle trattazioni dottrinali più
autorevoli. Qua e là c’incontriamo in brani di lavori di moderni scrittori tedeschi, che toccano qualche punto, quasi sempre secondario,
delle questioni trattate nell’opera. Nulla vi abbiamo riscontrato per cui
si possa ritenere ch'era necessario od utile di farne conoscere il testo
in lingua tedesca. È la solita riverenza che sino a ieri molti dei nostri
dotti,ganche fra i più valorosi, costumavano di fare a quelli oltramontani, “ maiores et minores ,; vana ed umiliante, perchè quasi mai ricambiata.
BIBLIOGRAFIA 617
Ci limitiamo a presentare brevi osservazioni sui risultati delle ricerche del Torelli intorno ai documenti comunali milanesi del sec. XIII,
aggiungendo qualche notizia desunta dai nostri spogli d’archivio.
Sui notai del podestà e su quelli addetti ai consigli del comune le
notizie sono scarse, mentre abbondano rispetto ai notai di altri comuni.
La lacuna si spiega per il difetto di testi statutari milanesi anteriori
alla signoria viscontea, e per la parte assai limitata che gli ordinamenti
del comune assegnarono per lungo tempo alle funzioni giudiziarie del
| podestà e della sua curia, in contrapposto alla funzione tradizionale
delle curie consolari e degli altri uftici minori. Il comune ha nel proprio
seno le corporazioni numerose e potenti dei giudici e dei notai, attacate tenacemente ai propri diritti e privilegi, ed è costretto a tener
conto dei loro interessi professionali. Mentre altrove, appena accolto
l’ istituto della podesteria, il podestà assume la somma dei poteri ed
amministra giustizia sia personalmente, sia a mezzo dei suoi giudici ©
vicari, a Milano la giustizia civile ordinaria continua ad essere amministrata dai consoli. Solo col tempo, verso il 1218, il podestà prende a
conoscere, e neppure direttamente o a mezzo dei suoi vicari, ma con
’ intervento di giudici cittadini, da lui delegati, delle questioni relative
al demanio del comune. I notai che assistono questi ufficiali, si dicono
“ ad hoc officium constitutìi per suprascriptos dominos ,. Del resto e
per un certo tempo, nè i notai delle curie dei consoli di giustizia, nè
quelli che redigono atti podestarili (1218) o per conto del “ canevarius
* comunis , (1207-1209) assumono alcuna speciale qualifica indicante
il rispettivo ufticio. La qualifica di notai dei consoli comincia nel 1216 in
una sentenza redatta da “ Rainerius de Raude notarius ad officium ca-
“ mere consulum... constitutus , (I), e si ripete ad intervalli nel 1219 e
negli anui successivi con diverse locuzioni: “ notarius et scriba con-
“ sulum — scriba constitutus ad acta consulum — scriba camere con-
“ sulum, ecc. ,,. Nel 1224 il podestà, e per lui uno dei suoi giudici assessori, giudica in tema di interdetto possessorio “ unde vi ,. Ì contatti della materia col diritto penale e l’urgenza dei provvedimenti
richiesti “ ne cives ad arma veniant ,, danno ragione del carattere
straordinario di questi giudizii e della loro attribuzione alla curia del
podestà; la cui azione poteva svolgersi più celere e più energica di
quella delle curie ordinarie dei consoli. Il notaio che nel 22 ottobre
1224 redige un precetto di “ Sigizellus de Baralis iudex et assessor d.
“ potestatis ,, Si dice “* scriba comunis M. et illius assessoris ,. La
qualifica sì ripete in un atto del 1° gennaio 1225 dello stesso notaio che
assiste il medesimo giudice. Dal 1231 in poi gli atti redatti dai notai
del podestà o dei suoi assessori, anche quali presidenti dei consigli del
comune, si fanno più frequenti; la qualifica è “ scriba palacii comu-
“ nis M. ,,, oppure “ scriba camere palacii comunis M. ,. Dal 1250 in
(1) ASM, perg. della can. di S. Giovanni di Monza.
618 BIBLIOGRAFIA
poi si ha qualche atto della curia del podestà in materia penale. Vi è
un giudice-assessore “ qui preest inquisitioni malleficiorum ,. Uno statuto ricordato dal Cerio sotto l’anno 1247 aveva disposto che vi dovevano essere sei notai, uno per porta, sopra il palazzo, da destinarsi
dal podestà ai suoi uffici, col salario di lire dieci, più un denaro per
ogni atto di confessione, comparizione, licenza, termini, ecc.
Intorno alla procedura che si seguiva, per far approvare dai cons gli del comune le così dette riformazioni, alla formazione dei libri dei
consigli e delle riformazioni e alla estrazione dai libri stessi di copie
autentiche, il Torelli cita un documento del 1228, ove è parola del
“ liber consiliorum comunis ,, e un istrumento del 1258 che ricorda il
“ quaternus consiliorum ,. Un altro importante documento del 1232 (1)
poteva essere tenuto presente. In esso il podestà ordina ad un « nota-
“ rius palacii communis , di copiare ed autenticare “ de libro statutorum
“ comunis M. qui liber statutorum ibi erat ,, uno statuto ivi trascritto,
del quale si riporta il tenore. Lo statuto consisteva in una deliberazione
presa il 9 agosto 1232 dal consiglio del comune, ma iniziata il precedente
giorno 5 di quel mese, “ reformatum et consumatum ,, il giorno 6, come
si era fatto constare dall’istrumento di un notaio “ palacii comunis ,. Il
notaio “ palacii comunis ,, al quale il podestà ordina l'estrazione di copia
dello statuto, chiude l’atto dichiarando che “ predicta ex statuto comu-
“ nis M., mandato ipsius potestatis M., extraxi et imbreviavi in quaterno
“ mec ad modum publici instrumenti ut vim et robur publici instrumenti
“ ex statutis comunis M. optineat et eis fides adhibeatur tanquam statutis
“comunis M.,. Qui vediamo che il formalismo del notariato non consentiva «si formasse un istrumento notarile, fosse pure desunto dagli atti
deila più alta autorità dello Stato, senza la relativa “ imbriviatura ,.
La prima signoria dei Torriani non segna alcun mutamento sostanziale negli ordinamenti del comune. Napoleone interviene nelle deliberazioni dei consigli come l’anziano, il * primus inter pares ,, del comune, a fianco del podestà.
Con la signoria dell’arcivescovo Ottone Visconti si ha la costituzione della curia del capitano del popolo; che in progresso dì tempo si
trastormerà nella curia del signore. L’arcivescovo Ottone non ha altre
curie che quella della sua chiesa. Egli domina di fatto per l’interposta
persona di un capitano del popolo — dal 1279 al 1282 il marchese Guglielmo da Monterrato, nel 1285 il bergamasco Giacomo da Mozzo, nel
1286 il pavese Rogero Catasso, nel 1287 il bresciano Corrado da Palazzo, e dal 1288 sino alla morte di Ottone, il nipote Matteo; il quale
assume di poi la signoria, continuando per alcuni anni a farsi chiamare
capitano del popolo. Sino dal 1279 il marchese di Monferrato ha un notaio addetto alla sua curia, “ Uberto de Guidono ,, che crediamo non
(1) CoLomBo, Docum. Vercelli- Ivrea in Bibl. stor. della Soc. Sub., VIII,
1901. p. 190.
i
BIBLIOGRAFIA. 619
milanese. Parimenti non milanese ci sembra “ Facio de R chobono ,,
notaio nel 1282 di un vicario del marchese. I notai dei tre capitani dal
1285 al 1287 hanno la stessa cittadinanza dei capitani. Consolidatosi con
Matteo Visconti il capitanato e la signoria, vediamo fungere nella sua
curia per più anni gli stessi notai Franzino da Briosco e Alberto Bossio.
Nella stabilità dell’ ufficio assegnato a questi notai presso la curia del
signore è dato scorgere in germe la funzione della cancelleria, che andra sviluppandosi ed assumendo forme ed organi .più adatti dopo che
Matteo, abbattuto nel 1311 l’emulo Guido Torriano, avrà ripreso con
mano più ferma il potere.
GeroLAMO Biscaro.
E. VERGA, La Camera dei Mercanti di Milano nei secoli passati, aggiunto
un Saggio sul palazzo det Giureconsulti dell’ ing. P. Bellini, con
24 tavole in eliotipia. Milano, Allegretti, 1914, pp. xvni-282.
Fu davvero felicemente ispirata la Presidenza delia nostra Camera
dj) Commercio, quando nel 1914, a celebrare la traslazione dell’ Istituto
nel palazzo dei Giureconsulti, volle raccolte in un volume le secolari
memorie della corporazione mercantile milanese. AI dott. Ettore Verga,
ottimo conoscitore dell’antico archivio della Cainera, depositato da una
diecina d’anni presso l'archivio storico Civico da lui diretto, fu dato il
non facile incarico: non facile soprattutto a cagione delle vaste lacune
che presentano le collezioni dei documenti. Ed il Verga seppe assol.
verlo da par suo, estendendo le indagini ad altri archivi cittadini e
traendo occasione dalla storia dell’Università dei mercanti per iliustrare
consuetudini, leggi, episodi, per rievocare gran parte della gloriosa vita
economica di Milano attraverso i secoli.
I negotiatores, già ammessi dai Longobardi nell’esercito, godettero
sempre presso di noi, anche nei tempi feudali, di una certa estimazione
civile; e ben maggiore influsso esercitarono dopo il costituirsi del
Comune. Un primo ricordo sicuro della esistenza d’una loro organizzazione (probabilmente più antica) si ha nel 1159; ed è una sentenza
prouunciata da quattro Consoli dei mercanti in una causa civile; onde
sembra che i Consoli dei mercanti giudicassero non solo di cose commierciali, ma anche d’altre vertenze fra persone addette al commercio.
Verso lo stesso tempo Consoli dei mercanti appaiono similmente in altre
città. Sotto il 1172 il Fiamma dà varie notizie sulla Corporazione e
sui Consoli dei mercanti; e questa magistratura interviene nel 1177
in provvedimenti legislativi e ventidue anni più tardi nell’approvare un
trattato di pace con Lodi. Nelle Consuetudini Milanesi del 1216 un capitolo (il 31°) è dedicato a riassumere le attribuzioni di detti Consolì,
distinti dalle magistrature comunali, ed in particolare la loro funzione
di sorveglianza sui pesi e sulle misure; il 32° tratta del * Dazio della
« Ripa , minuscola tariffa di sole ventiquattro voci che nel volgere di
Lo ogle
620 BIBLIOGRAFIA
un secolo o poco più saliranno a ben 540. Il Verga qui la ricorda, in
quanto crede col Giulini che i dazi sulle mercanzie si imponessero e si
esigessero dalla comunità dei mercanti. Contro l’avviso del Giulini, tut
tavia, egli stima che il dazio di quattro imperiali la libbra sulla seta
concernesse la seta greggia od in filo piuttosto che i drappi. La tessitura della seta infatti fu una delle ultime arti che comparisseso in Mi.
lano ; ancora Filippo Maria Visconti cercava di allettare con privilegi
artefici d’altri luoghi perchè qui venissero ad esercitarla.
Negli statuti del 1396, non dissimili in sostanza da quelli (perduti)
del 1330 e del 1351, troviamo chiaramente segnate la natura e le attribuzioni della Università dei mercanti, che, a differenza della odierna
Camera di Comn.ercio, aveva ampia giurisdizione, così da costituire
quasi un Comune nel Comune. La presiedeva un collegio di dodici Consoli della strada, due dei quali a turno tenevano per un bimestre la carica di Abati. Due Consoli di giustizia eletti dai conscli fuori del loro
seno curavano la disciplina ed il potere giudiziario. Gli uni e gli altri
consoli ricevevano un onorario, ed erano pure salariati altri minori ufficiali: il notaio della Camera (segretario), il camgpsor (archivista), i canevarit (tesorieri), ecc. L’ Università aveva larghi poteri contro i debitori; esercitava una sorveglianza sui banchieri o campsores, sui sensali,
sui pesi € sulle misure, sui contratti stipulati da Milanesi in Francia,
Borgogna e Germania ed in particolare alle fiere di Champagne; curava le strade e la loro manutenzione con facoltà d' imporre pedaggi;
reprimeva l’usura ed altri abusi; giudicava di varie categorie di cause.
Vi avevano primaria importanza i negozianti importatori ed esportatori di merci, o wfenles stratis. In processo di tempo, col graduale costituirsi di una classe di intraprenditori, che, quasi intermediari fra grandi
mercanti ed artigiani, facevan lavorar questi per conto loro, fornendoli
di materìa prima e rivendendo poi il prodotto, sorsero allato della Università dei mercatori speciali corporazioni di trafficanti: prima fra esse,
già forse nel secolo XIV, quella dei mercanti di.lana sottile, che tuttora
riconoscevano per le cause maggiori la giurisdizione dell’ Università;
più tardi quella, con giurisdizione piena, dei mercanti aurî argenti et
serici, cioè dei drappi misti di seta ed oro. Cosicchè a poco a poco la
Untversitas comprese solo i negozianti all’ ingrosso, detti. oramai in generale ufentes stratîis
Lo sviluppo dei traffici con le altre regioni italiane e coi paesi di
oltr'Alpe era fra le maggiori cure dell’Università dei mercanti. Negli
anni intorno al 1270 questi provvidero a rendere migliore e più sicura
la strada del Sempione. Nel 1314 un mercante milanese, Oldrado, vien
mandato ambasciatore al duca Leopoldo d’Austria per trattare delie cumunicazioni per la via del Gottardo. A questa come ai valichi deilo
Spiuga, «: San Bernardino, del Septimer si riferiscono più altre pratiche © tartative; e non di rado vi hanno parte cospicua gli albergatori presso cui di preferenza alloggiavano nei loro viaggi i negozianti
italiani. Era mfatti costume che i mercanti d’una stessa nazione giun-
(GO ogle
BIBLIOGRAFIA 621
gendo in una città discendessero ad una sola locanda. Il Verga ricorda
qualche dissapore fra Milano e Costanza; Basilea invece ci si mostrava
sinceramente amica,
Ai commercianti lombardi in generale ed ai milanesi in ispecie troviamo concessi salvocondotti e privilegi da non pochi principi stranieri.
Ma spesso i nostri, come tutti d’altronde in quel tempo, erano esposti
a gravi molestie per l’ istituto delle rappresaglie, che della insolvibilità
o malafede d’un commerciante rendeva solidali i suoi concittadini.
L’autore ricorda a tal proposito interessanti episodi, e mostra come gli
statuti milanesi tendessero a circondare l'istituto delle maggiori guarentigie. In tempo di guerra le rappresaglie continuarono ad esercitarsi
oltre l'evo medio; e nel secolo XVIII la Caimera dei mercanti di Mi:-
lano si faceva iniziatrice d’una vera campagna per abolirle.
I commercianti milanesi e d’altre città italiane affluivano numerosi
alle tiere internazionali d’oltr’Alpe; in ispecie a quelle di Champagne
e di Brie, più tardi a quelle di Lione. Di qui un altro compito per l’Università. E cura probabilmente maggiore richiedeva allora, come oggi,
la materia dei dazi e dei trattati di commercio., Certo la Corporazione
mercantile dovette essere ispiratrice dei trattati conclusi, a partire dal
1268, fra Milano e Venezia; importantissimo fra gli altri quello del 1317,
che segnò l'inizio d’una nuova fase nelle relazioni commerciali fra le
due città. I rapporti con Genova furono regolati con provvisioni del
1346, compilate dal vicario di Provvisione; ma il trattato del 1430 stipulato da Milano con la città ligure fu emanazione diretta dalla Camera
dei mercanti, E questa aveva anche parte primaria negli atti concernenti le relazioni di commercio con altri paesi italiani e stranieri. Essa
eleggeva pure fra i cittadini genovesi il Console di Milano in Genova,
investito di larga giurisdizione in cause mercantili e civili (secolo AV
e seguenti). Parimenti dipendevano dalla Università dei mercanti i consolati milanesi di Venezia, Lione, Bari, ecc.
Un inieressante capitolo fornisce ragguigli sulla giurisdizione niercantile, su sentenze e bandi dei Consoli di giustizia. Notevoli le disposizioni contro coloro che miravano a sframasare le mercanzie, cioè,
seinbra, venderle a prezzo troppo vile per illecita concorrenza o ambigue speculazioni, contro i debitori fuggitivi, contro altre forme di
mala fede. La procedura commerciale fu riformata con le Nuove costituzioni del 1552, codice di legislazione milanese fatto compilare e promulgato da Carlo V ad integrazione dei vecchi statuti. Il tribunale mercantile fu ridotto a due Abati ed un solo Console, non senza proteste
del Collegio dei Dottori, che vedevano a malincuore escluso il giureconsulto richiesto dagli antichi statuti a fianco del console non giurisperito.
Con l'età moderna appaiono le imposte dirette stabili, ignote al
Medio Evo. Dopo aver istituita quella sulla proprietà fondiaria, il governo spagnuolo di qui, inosso dalle proteste dei proprietari troppo
aggravati e dagli incitamenti delle città dello Stato, Milano esclusa, ri
622. BIBLIOGRAFIA
versò una parte dell'onere sulla proprietà mobile, introducendo i’estimo
sul mercimonio. L’intento delle città minori era chiaro: il nuovo tri
buto infatti doveva necessariamente colpire di prevalenza Milano, ove
più fioriva il commercio, La Camera dei mercanti lottò strenuamente
per stornare il danno; ma non riuscì che ad ottenere temperamenti.
L’estimo del mercimonio, basato sul movimento delle merci, tu esca per
due secoli a controversie di varia indole, sinchè fu sostituito da imposte
più razionali: la tassa unica mercimoniale sul valore capitale dell’annuo
traffico (1775), e di poi, dopo l'abolizione delle Corporazioni, la tassa
mercantile, studiata mirabilmente da Cesare Beccaria (1787).
Neila organizzazione dei servizi postali Milano fu vera precorritrice,
Già i Visconti trasmettevano con un sistema di poste le lettere ufficiali.
Gian Galeazzo Sforza (1494-1495) istituisce un regolare scambio di corrieri di Stato con la corte imperiale; presto (1496) troviamo la linea
milanese far capo ad Innsbruck, dove compare come Maestro delle Poste
il primo della famiglia dei Tassi, chiamata in questo campo d’attivita
a tanto avvenire, D'altra parte la Camera mercantile di Milano dichiarava nel 1522 al Duca che essa da gran tempo si serviva di propri
corrieri. Ed infatti un documento del 1436 mostra come, ad esempio,
tra Milano e Venezia vi fosse regolare servizio per lo scambio delle
mercanzie. Nel 1545 si organizza in modo definitivo la posta nello Stato
di Milano, ed essa, pur mantenendo il carattere di funzione di Stato,
assume insieme il servizio dei privati, cosa un tempo vietata, ma ene
trata nondimeno gradualmente nelle consuetudini per forza di cose.
Nel 1646 troviamo elencate le lince postali ordinarie da Milano per le
principali città d’Italia, nonchè per altri paesi (Francia, Germania,
Spagna, Fiandra, Inghilterra), coi giorni della settimana in cuì arrivano
o partono i corrieri, Coi Tassi, divenuti arbitri (come è ben noto) delle
poste europee, la Camera di commercio di Milano ebbe diverse vertenze, a tutela dei propri diritti e degli interessi del commiercio.
Abbastanza curiosa è la storia delle diverse sedi dell’ istituto. Nel
1433 esso era ridotto in un meschino iocale nella c. sa d'un fabbro in
Via Orefici. Si costrusse poi nuova sede adiacente all’abs'd: della chiesa
di San Michele al Gallo. Nel secolo XIX occupò successivamente locali
nel Pretorio, un nuovo edificio sull'area dell’an'ico portico della Ferrata,
lc scuole Palatine. Da ultimo si tramutò nel palazzo dei Giureconsulti (1).
E qui PA. ricorda la secolare controversia fra la Camera ed il Comune
per la proprietà della piazza dei Mercanti e del portico del palazzo
della Ragione.
Da ultimo egli si ocenpa delle vicende più recenti d: Ila Camera di
Commercio, a partire dal 1786, nel quale anno, dopo la soppressione
delle corporazioni, fu emanato un editto, frutto degli studi di Cesare
(1) L’artistico edificio dovuto alla liberalità di Pio IV ed architettato da
Vincenzo Seregni è ampiamente illustrato nella monografia dell’architetto Piero
Bellini, che integra opportunamente il volume.
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BIBLIOGRAFIA 623
Beccaria, che riformava nelle varie città dello Stato l'ordinamento delle
antiche Università dei mercanti. Per tale riforma la Camera fu bensi
menomata ne' suoi antichi poteri deliberativi ed esecutivi, ma riguadagnò
quella .supremazia che il moltiplicarsi delle corporazioni aveva di tanto
scemata e venne investita non solo della tutela degli interessi di una
classe, ma anche della funzione di concorrere, quale autorevole curpo
consultivo, al progresso ed alla prosperità generale del paese. Sulle
successive leggi dell’età napoleonica, della restaurazione, della risorta
Italia il dotto autore si sofferma quanto basta per porre in rilievo « il
“ filo che collega l’istituzione antica con quella che vive ed opera sotto
“ ai nostri occhi ,,. Erede di così nobile tradizione, la nostra Camera
di Commercio come le consorelle d’ Italia ha cessato di esercitare una
ristretta funzione municipale per divenire cooperatrice “ di una larga
“ e complessa attività, la quale non solo si diffonde in ogni parte della
“ Nazione, ma raggiunge anche le colonie nei più lontani paesi ,.
Giovanni SEREGNI.
D.tt. don Romoto PUTELLI, /ntorno al castello di Breno. Storia di Valcamonica, Lago a’Iseo e vicinanze, da Federico Barbarossa a S. Carlo
Borromeo. Studio critico, su 1400 nuove fonti documentate, giudicato dalla R. Accademia dei Lincei pel concorso al Premio Reale.
Breno, Associazione “ Pro Valle Camonica , editrice, 1915, in-16,
pp. xIv-624 con 34 illustrazioni in tavole fuori testo.
La storia, divisa in capitoli, tratta degli avvenimenti che si svolsero
in Valcamonica da Federico Barbarossa a S. Carlo Borromeo. Particolarmente interessanu per gli studiosi di cose milanesi sono le relazioni intercorse fra Milano e la valle durante il periodo della dominazione viscontea. L’A., è vero, non potè raccogliere gran messe di documenti in riguardo, perchè in massima parte periti nel noto vandalico
incendio dell’archivio visconteo avvenuto subito dopo la morte del
duca Filippo Maria (1447) (1). Tuttavia quel tanto di nuovo che ci fa
conoscere è già molto.
(1) C. MAnAREsI, I Registri Viscontei, Milano, Palazzo del Senato, 191;
p. X e seg. — L'A. non potè consultare questo volume, uscito posteriormente
alla sua pubblicazione, dal quale avrebbe potuto ricavare qualche notizia riguardante la Valcamonica. Ritengo che altre notizie potrà forse trovare nei volumi
che successivamente usciranno per le stampe. Riguardo alle relazioni della Valcamonica e sue vicinanze con Bernabò Visconti possiamo additaàre all’A. alcuni
nuovi documenti che abbiamo rinvenuti nella biblioteca Ambrosiana nel ms.
Fagnani (Commentaria Nobilium Familiarum Mediolanensium) sotto la famiglia
Casati. Così, ad esempio, da lettera di Bernabò del 1° agosto 1364 datata da
Longagnana, sappiamo che il capitano Alpinolo Casati era stato da lui mandato con truppe e pro certa executione loci de Lozio Valcamonice » e che,
- 624 BIBLIOGRAFIA
I Visconti iniziarono il loro dominio in Valcamonica nel 1337, come
ritiene l'A. nel quale anno il Consiglio della valle mandava ambasciatori ad Azzone Visconti, buono e saggio principe, ad offrirgli la loro
sudditanza. Azzone li accolse bene, e, a quanto pare, confermò 1 loro
antichi statuti e privilegi. I successori ci tennero a favorire l’autonomia
dei Camuni dalle invadenti vicine città di Bergamo e di Brescia per
averli affezionati: in Breno, capoluogo della valle, risiedeva il podestà
e il vicario. La dominazione viscontea in valle fu tormentata dalle lotte
tra i guelfi e i ghibellini, insofferenti i primi per partito e per i favoritismi ducali verso l’aristocrazia ghibellina nella quale primeggiavano
1 Federici, e durò fino al 1427, interrotta dalla preponderanza del riminese Pandolfo Malatesta dal 1414 al 1419. Subentrò quindi la Signoria
Veneta, la quale, dopo brevi e contrastati periodi di possesso tentati
da Filippo Maria e Francesco Sforza, colla pace del 9 aprile 1544 ne
rimase definitivamente padrona. Tra i podestà e i vicari trovo ricordati: nel 1348 il podestà nobile Pietro “ de Ambria ,, col vicario Pietro
“de Casalmorano , cremonese; nel 1362 il vicario Martino “ de Magatellis, di Monza; nel 1372 il podestà nebile Filippo “ de Panexio , di
Milano col vicario Giacomo “ Clarastinus , di Soncino; nel 1379 Il pudestà notile Lanzalotto col vicario Pomino “de Podio , di Rogno; nei
1382 il podestà nobile Corradino “de Ruschonibus , di Como col vicario
Giovanni “ de Bonioanis., di Modena; nel 1386 il podestà nobile Salucino “ de Becaria , e vicario “ laurus de Mediis barbis , di Pavia; nel
1393 il podestà Franchino Crivelli; nel 1396 11 podestà nobile Nicolino
“de Bonicellis,, di Novara e vicario Bartolomeo “de Hosmeris (?),
di Tortona; nel 1397 il podestà Giacomo Malaspina; nel 1403-04 il
podestà Cressone Crivelli; nel 1405 il podestà Amedeo Suardi; ecc.
I’A. nella prefazione scrive che per dare un volume pr
APPUNTI E NOTIZIE 631
dam hominem contractum. Et dum petet elemosinam: dixit. Aurum et
argentum non est mecum. In nomine dni nri yhu xpi surge et ambula.
Et statim sanus effectus est. Intrante uero parisius: posuit se cum quodam magistro qui erat aurifex. Et addidicit artem illam nobiliter. in
tantum que maiorem famam habebat quam aliquis alius magister. Rex
francie audiens famam eius: misit pro eo. Et dum esser coram rege:
dixit ei rex. Volo que facias michi unam sellam laboratam auro et argento. Et fecit sibi dari tantum aurum et argentum que credebat sufficere. Et ille fecit dnas sellas: unam pulchram: et alteram pulcriorem.
Miratus rex dixit. Vere iste homo sanctus et iustus est. Tunc rex uidens
dedit elygius magnum pretium : et elygius omnia dedit pauperibus.
$ Alia uice quidam pauper petijt elemosinam ab eo. Etille [fol. clii, r. b.]
bene sciebat que pecuniam non habebat. tamen posuit manum ad bursam:
et inuenit unam marcham auream: et totam expendit pauperibus. Alia
vice alius uenit. et petijt ab eo elemosinam. Et ille dedit sibi unum florenum quem habebat. Et pluries et pluries denudatus est propter eleniosinam faciendam. $ Erat autem de tanta abstinentia: que totuni
tempus uite sue reiunebat. Et cum sol occidisset in cubiculum intrabat:
et quando alij dormiebant surgebat: et quasi usque ad auroram diei
orabat. Postea ad cubiculum revertebat. ut uno sol apparebat: surgebat.
Et hoc faciebat: ut ali) reputarent eum inutlem $ Defuncto uero episcopo lingonie: omnes clerici ipsum in episcopatum ordinauerunt. Et
ille dum nollet: dicebat Quod facitis: quia illtteratus sumus. Et cum hec
diceret: spiritus sanctus in specie columbe descendit super cum: et in
omni scientia eum dotauit. Rex trancie hoc audiens. multus gauisus est:
et melior deinceps fuit: quia singulis diebus duodecim pauperibus ministrabat: et cum manu propria serviebat. $ Quidam erat in transitu
murtis: et rogatus est episcopus a consanguine:s: ut ueniret ad uisitandum eum, Tunc ille init: et manum super eum posuit. «t liberauit
eum. Legitur que in suo episcopatu erat quidam sacerdos deliciosus et
mae fame : quem bcatus elygius pluries correxit. Ille uero spernebat
correpti [foi. clii, v. a.} onem: et sacrificabat: et iam prohibitus erat:
et dum plurimum staret in tali culpa : expirauit. Postea angelus apparuit beato elygio: et corpus sancti quintini quod per longum tempus
latuitauerat sibi reuelabit. Et ille ipsum accepit: et in parisius in uno
magno monasterio collocauit. Alia uice quedam cecum illuminauit. Core
peri sanctorum luciani et crispini et crispiniani sibi reuelata fuerunt:
et honoritice fecit ea tollere: et commendauit ea custodibus ecclesie
sancte columbe. Quidam fur uoluit de nocte depredari altaria. Et custos
dum uidit eum uenire : cepit eum. Ille petijt misericordiam promittendo
numquani talia facere: et liberatus fu!it. $ Quodam uero tempore silentiv noctis uenit diabolus in spetie mulieris causa tentandi eum. Ile
uer.: accepit manu ferrum caudens de fusina: et in faciem eius iecit:
sed ille clamans et ululans fugiebat. Habebat autem uir dei in usu tenere ferrun; calidum in manu: et non ledebat eum. Fecit auter: tanta
mirabilia: que intellectui humano esset incredibile. Vixit beatus elygius
Go ogle
632 APPUNTI E NOTIZIE
octoginta annis: et in pace quieuit. et sepultus stetit in loco indecenti
per unum annum. In capite anni aperuerunt archam: et inuenerunt
corpus eius incorruptum: et barbam cum capillis recentem sicut in prima
die quo in sepulcro positus fuit. Obijt uero quarto kalendas aprilis:
regnan — [fol. clii, v. b.] te dno nro yhu xpo.
U. MonneErET DE VILLARD.
«°° UN BENEFATTORE DI ERBA NEL sEcoLO xiv. — Tra i più antichi
benefattori di Erba-Incino ricordati dal Meroni (1), merita di non essere dimenticato un Martino “ de la richa ,, figlio del quon. Zani di
Erba, il quale dispose in morte di legati per rimedio dell'anima sua,
ma che per questo non lasciano, almeno in parte, di avere il loro contenuto umanitario. Si trovava il nostro Martino ammalato, e, sentendosi
vicino a morire, dettò il 24 ottobre 1348 il suo testamento (2). Premessa l’invocazione al Salvatore e alla Beata Vergine, protestandeosi
edele cristiano e come tale di voler morire, viene a dettare la sua ultima volontà, cassando qualsiasi testamento, ordinamento, codicillo e legato che avesse precedentemente fatto. Vuole innanzi tutto che i suoi
eredi risarciscano quelle persone le quali provassero di essere state
da lui danneggiate colle usure, colle rapine, coi furti. Ordina quindi che
si distribuisca, dopo il suo decesso, cinque moggia di pane cotto di mistura (segale e miglio), delle quali una metà da distribuirsi nel giorno
annuale di sua morte ai poveri alla porta della canonica d’Incino, previo il suono della campana, e l’altra metà nel giorno dell’ Ascensione
(1) V. MERONI, La Pieve d'Incino, vol. I, Milano, 1902, p. 69.
(2) « Actum in dicto loco de herba in domo habitationis' herbete de cassio
«in camera una in qua ipse martinus testator cubit infirmus, presentibus mar-
«e chio de la ecclesia filio quon. ser pagani, pagano filio domini Corradi de Pa-
«ravesino, Arigo filio ripe de lorto, Iacobo filio quon. Corradi de Merono pro
« notariis de ipso loco herba. Interfuerunt ibi testes dictus dominus presbiter Fa-
« cius de Saccho capellanus ecclesie sancte Marie de Villincino, et mezolus filius
« domini zuche de paravesino, lacobus dictus putus pulex filius quon. Zani, Fran-
« zius filius domini Guidoti de paraverino, Minatius filius quon. Comini de Sorino,
« Molus filius quon. Bertrami pellis, et Lanzalotus filius dicti domini zuche de
« paravesino, omnes testes noti de $redicto loco herba ad hoc specialiter rogati
«et vocati, et Ambrosius filius quon. Gullielmi citi de loco Bucenigo similiter
« notus et rogatus. Ego Petrus notarius filius quon. domini Baldesari de herba
« de loco herba hanc cartam rogatus tradidi et scripsi ». L'atto è una copia autentica ricavata dall’originale e come tale porta la sottoscrizione di altri tre notai: Mafeo « de Savionis » figlio del quon. sig. Antonio di Porta Nucva parrocchia di S. Margherita, di Antonio « de sacho » figlio del quon. signor Pietro
di Porta Cumana parrocchia di S. Marcellino, e di Ciovanni « de Micherijs »
figlio del signor Iacobino di Porta Nuova parrocchia di S. Stefanino « ad nu-
« sigiam ». — Arch. Cur. Arciv. di Milano.
APPUNTI E NOTIZIE 633.
di casa in casa nei luoghi di Erba, Incino, e Villincino. Al cappellano
della chiesa di S. Bartolomeo d’Incino, la qual cappella era stata di recente eretta e dotata da Beltramo “ de casselio , (1), allora vescovo di
Bologna, lega un moggio di mistura ossia il relativo prezzo che “ pro
“ sua rata parte ,, doveva dividere tra il prevosto, i canonici e i capel»
lani della chiesa plebana d’Incino, i quali nel giorno annuale della sua
morte fossero presenti ai divini uffici da celebrarsi in detta chiesa di
S. Eufemia in suffragio dell'anima sua: i sacerdoti celebranti messe dovevano avere inoltre sul detto prezzo sei imperiali ciascuno. A questo
scopo obbligava un molino e annessi situati nel territorio di Brugora,
detto “ molendinum merlatum supra Lambrum sicchum prope cassinis
“ della Brugora cum suis edificijs et domibus et paramentis molendini
* et suis pertinentijs et cum terra et prato tenentur cum ipso molen-
“ dino rozia mediante ,: la terra prato era di circa sei pertiche. Volle
ancora che, ogni anno nel giorno del suo annuale, si distribuisse in
perpetuo un sestario di sale ai poveri dei tre luoghi sopradetti, di casa
in casa, dove maggiore fosse il bisogno, legandolo su di un suo “ ho»
“* spitium quod est et iacet in territorio de herba ubi dicitur incanta-
“ rana cum orto seu dosso ,.
Dell’ esecuzione e distribuzione di questi legati incaricava il prete
Facio “ de Saccho , di Erba, beneficiale della chiesa di S. Giorgio “ de
“ mornigo , (2), di S. Maria di Villincino, di S. Maurizio * de meda-
“ te, (3) e di S. Cassiano di Bucinigo, “ que omnes ecclesie unum
“ corpus existunt ,, il quale li riceveva in nome suo e dei suoi successori e parimenti in nome dei consoli della Castellanza d’ Erba e loro
‘ successori, col diritto di privare di detti beni i suoi eredi qualora vi si
opponessero. Legava inoltre al prete Ardico “ de Carbonibus ,, benefìciale della sopradetta chiesa di S. Bartolomeo di Incino, e per.lui alla
capellania, in perpetuo due messe ogni mese per l’anima sua, assegnandovi un prato di circa due pertiche e mezza situato nel territorio di
Erba “ ubi dicitur in astesano ,, (4).
R. BERETTA.
(1) Cfr. Meroni, op. cit., vol. II, Milano, 1915, p. IT1 e sg.
(2) Crevenna.
(3) L'attuale quartiere di S. Maurizio d' Erba-Incino si diceva anticamente
Medate, Mevate, Meate.
(4) Il testamento contiene altri legati particolari. Ad una Martina, sua abiatica, figlia di Giovanni suo figlio, lasciava liberamente dieci lire terzole. Invece
alle tre figlie di un Stefano Oldrado del luogo d’ Erba venti soldi terzoli per
ciascuna, e ad una figlia di Martino di Garbagnate Monasterio tre lire terzole
per quando verrà il tempo di maritarsi o di entrare in monastero; premorendo
il lascito era nullo. All’Erbeta « de cassio », figlio del quon. Primo donava tutto
quanto gli era dovuto in denaro e in altri beni mobili. Nominava infine suoi
eredi universali, salvi sempre i legati stabiliti, i suoi figli Giovanni Marco e Mafeo.
o ogle
è o. é
» Di
634 APPUNTI E NOTIZIE
e", ALCUNE TERRE DELLA PIEVE D'ÎNCINO INFEUDATE AGLI ARCIVESCOVI
DI Mitano. (1) — La duchessa Caterina e il giovane figlio/ duca Gian
Maria Visconti, infeudarono il 7 marzo 1403 (2) all’arcivescovo Pietro
di Candia, e per esso a’ suoi successori, le terre di Canzo, Longone,
Proser)io, Caslino, Castelmarte, “ Arzagi ,, Campolungo, Bindella,
“Cazo ,, Comeggiano, Morchiuso, Mariaga, Incasate e Casereto. Benche, si dice nell’atto, fosse stata sempre loro premura di onorare e
difendere i diritti di tutte le chiese, pure per una singolare affezione
si sentivano in particolar modo spinti non solo a far ciò verso la chiesa
milanese ma a largheggiare con essa di più degni favori, giacchè * inter
“omnes universi orbis Archiepiscopales ecclesias obtinet principatum,
€x quo etiam noster ducalis titulus dignius et altius decceratur, ac ad
ipsius nostre urbis Mediolanensis, a qua principatus noster sumit
initium, decorem tendit et landem ,,. Pertanto “ contemplatione quoque
et precibus inclinati Reverendissimi in Christo patris et doniini donuni tratris. Petri de Candia, nunc ipsius ecclesie dignissimi Archiepiscupi et sacre pagine famosissimi protessoris, dilectissimi consiliari)
nostri, cuius scientie altitudo, singularium miorum venustas ac vite
laudabilis conversatio, tructuosi sepissimique per eum labores passi
in legationibus et servitijs nostris et bone memorie Illust. olini principis domini Consortis et Genitoris nostri, maxime ad sedem apostolicam etimperialem aliosque quamplurimos Reges, principes et Barones
favores gratiarum uberimos promerentur. Cognuscentes igitur expresse
ad 1psam sanctam Mediolanensem ecclesiam et ipsius sedem Archiepiscopalem pleno iure pertinere et spectare imerum et mixtum imperium ac gladij potestatem plenamque iurisdictionem, dominationem,
superioritatem etiam temporalem, et omnia Regalia, et ea que Regailum nomen continent, in terris, territorijs et pertinenti)s Canzij, terre
“longoni, terre pruserbij, Castellini, Castrimartiris, Arzagi, Cassine
“Gambolengi, Cassine Bindelli, Cassine de Cazo, Cassine Comazani,
“ Cassine Molgusij, loci de Mariaga, Cassine de Incaxate, Cassine Ca-
“ xereti cum eorum districtibus et pertinentijs que licet de facto tantum
“per certa tempora hactenus fuerint occupata, animo deliberato, nul-.
“loque errore preducti, et animarum nostrarum et ipsorum predeces-
(I) Arch. Cur. Arciv. di Milano. — Diploma di Filippo Maria del 7 luglio 1414, il quale riporta inserti i due atti relativi precedenti. È alquanro guasto nelle piegature e manca del sigillo. La prima lettera iniziale maiuscola di
Filippus è miniata : intorno all’asta vi è intrecciato il biscione visconteo colla
testa di mrstro sormontata dalla corona ducale. — A tergo, da mano del secolo XVIII, si dice che il diploma « spectat ad Archivium- Mensae Archiepiscoe palis », e ancora dalla stessa mano: « 1731. Ex Arm.° Vailis Soldae in Ar-
« chivio Visitationum ».
(2) « Datum Mediolani die septimo mensis Martij Millesimoquadrigentesimo
« tertio undecima Indictione. Andriolus. S. »
"
APPUNTI E NOTIZIE 635
“ sorum nostrorum volentes providere saluti, etiam Reverendissimorum
“ patrum: dominorum Episcoperum et Ilustrium Magnificernim et Spe-
“ctabilium procerum et dominorum, nostro assistentium concistorio,
“ accedente consiiio, ipsas terras, territoria, partes et pertinentia, me-
“rum et inixtum imperium et gladij potestatem, plenariam Iurisdictic -
“nem, dominationem et superioritatem, Regalia et que Regalium no-
“ mine continentur, et oinnia Iura, honores et honorantias ipsi sedi
“ Archiepiscopali seu dicte ecclesie Mediolanensi in partibus predictis
“ quomodolibet pertinentes et pertinentia ut prefertur ,. Venivano quindi
revocati da quel momento “onines et singuios Potestates, Capitanees,
“ Castellancos, Vicarios et officiales per nos seu per prefatum quondami
“deminum Consortem et Genitorem nostrum in ipsis terris et partibus
“ hactenus quomodolibet constitutos ut ipsorum loco idem dominus Ar-
“ chiepiscopus de alijs ad sui libitum valeat providere ,,. Inoltre, “ ut ipsa
“ecclesia et Antistites eiusdem presens et futuri cognoscant se a nobis
“ potioribus privilegijs esse munitos, omnia et singula privilegia, Inra,
“iibertates, lmimunitates et exemptiones a quibuscumque Romanis pon-
“ ificibus, ac divis Romanorum Imperatoribus, Regibus, et a quibu-
“scumque alijs principibus, ac a nostris predecessoribus, tan: genera-
“ liter quam spetialiter, ipsi ecclesie seu pontificibus eiusdem qualiter-
“ cunque indulta seu indultas, et precipue privilegium pnoviter dicte
“ecclesie et erlusdem Archiepiscopis indultum per serenissimum prin-
“cipem et dominum nostrum honorandum dominum Vencislauni dei
“gratia Romanorum et Boemie regem, et omnia et singula in co con-
“tenta que oculata fide vidimus,. Questa infeudazione veniva confermata dal duca Filippo Maria il 24 marzo 1413 (1), e dì nuovo in
modo solenne il 7 luglio dell’anno seguente per togliere qualsiasi controversia in proposito (2).
Pietro di Candia, detto il Filargo, — personaggio ben noto — nel
marzo del 1403 si era recato a Roma, scrive il Giulini, per indurre Bonifacio IX ad una pace col duca. L’ ambasciata nen sorti l'eftttto desiderato, e dovette ritornarsene a Milano senza aver nulla concluso, e
non senza aver corso gravi pericoli nel ritorno (3). Si può quindi afiermare che quella infeudazione gli sia stata concessa prima di partire,
quasi a maggior stimolo di tutto adoperarsi per la riuscita di quel negozio veramente pressante data la triste situazione della casa ducale.
Il nuovo feudo non rimase a lungo in potere degli arcivescovi: quando
e per quali ragioni precisamente lo ebbero a perdere non saprei dire.
et
—————
(1) « Datum Mediolani die vigesimoquarto Marti) Millesimoquadrigentesimo
« tertiodecimo Indictione sexta. Iohannes. S. »
(2) « Datum Mediolani die septimo Iullij Millesimoquadrigentesimo quar-
« tordecimo Indictione septima. Iohannes. S, »
(3) GiuLinI, Memorie della città e campagna di Milano, vol. IV, Milano, 1857,
p. 70 e seg.
Ea ogle
636 APPUNTI E NOTIZIE
Se col trattato del giugno 1409 Gian Maria assegnava al capitano di
ventura Facino Cane il vicino antico feudo arcivescovile della Vallassina (1), il 15 giugno 1472 Galeazzo Maria Sforza infeudava le sopradette terre ai fratelli Antonio e Damiano Negroni di Ello, detti Missaglia, in cambio di beni situati presso il castello di Porta Giovia in Milano. Dai Negroni il feudo passava nei Crivelli nel 1677 per retrocessione fatta il 7 settembre dal conte Marco Antonio Negroni alla R. C
perchè ne fosse investito il marchese Flaminio Crivelli (2).
R. BERETTA.
0°, LA PUBBLICAZIONE DEI DOCUMENTI DIPLOMATICI DI Luici OsIo (3). —
L’8 agosto del 1856 Luigi Osio, consigliere aulico e direttore generale
degli archivi, inviava alla Congregazione municipale un elaborato rapporto dove, dopo aver messo in luce l’importanza dell’archivio milanese,
specialmente del diplomatico, ricordato con quanta premura molte città
italiane avessero provveduto a pubblicare i loro documenti storici, e
come lo stesso Governo avesse dato prova di tener questi studi in alto
pregio coll’ istituire presso la i. r. Accademia di Vienna una commissione filosofico-storica destinata a ricercare e pubblicare documenti antichi, quindi un’ apposita commissione per la conservazione dei monumenti, esprimeva il suo rammarico nel veder gli stranieri, sotto i suoi
occhi, investigare i nostri tesori, togliendo a noi anche questo vanto
che avrebbe dovuto esser tutto nostro, e proponeva di intraprendere
la pubblicazione di tutto quanto di più prezioso esisteva negli archivi di
Milano. Pensando all’immensità del materiale affidato alla sua direzione,
l’Osio riconosceva l’ impossibilità di pubblicar tutto; ma sembravagli
sufficiente l’esteso carteggio degli ultimi duchi della famiglia Visconti
e di tutti quelli della famiglia Sforza, cioè dalla seconda metà del secolo XIV fino al 1536; dal quale anzi proponevasi di sceverare la parte
amministrativa per attenersi di preferenza ai documenti di natura diplcmatica. Così limitata, la pubblicazione avrebbe potuto compiersi in un decennio. A provarne l’importanza soggiungeva essere in quel carteggio
riflessi i più minuti particolari intorno al governo, alle gesta, alle guerre
nonchè alle vicende domestiche dei duchi, intorno ai principali avvenimenti di quei tempi, anche nell’ intermezzo della repubblica ambrosiana
e sotto il dominio dei re di Francia e di Spagna, intorno alle relaziuni
dei duchi cogli altri Stati d’ Europa, intorno ai maneggi e agli intrighi
dei più eminenti capitani ed uomini di Stato.
Quando l’Osio si rivolgeva al Municipio aveva già presentato alla
i. r. Luogotenenza un’ampia relazione, chiedendo fosse interpellato
(1) Lazzati, Statuti della Valassina in Corpus Statutorum Italicorum, Roma, 19I5, p. 170.
(2) ASM., Feudi Camerali, Corte di Casale.
(3) Dagli atti dell'archivio Civico Amministrativo.
©»
APPUNTI E NOTIZIE 637
l'i. r. Istituto di scienze e lettere ed invitato a delegare alcuni suoi
membri per sovrintendere al lavoro. L’Istituto aveva aderito, la Luogotenenza aveva chiesto un piano anche economico, piano che l’Osio
aveva compilato col concorso del dott. Rossi, bibliotecario di Brera e
presidente dell’Istituto, di Bernardino Biondelli e di Cesare Cantù; ed
ora lo mandava, prima che all’Autorità governativa, al Podestà, forse
pensando che, a una richiesta di fondi, la cassa del comune si sarebbe
aperta più facilmente che quella dello Stato. « La cosa è matura » diceva l’Osio, “ non manca ormai che assicurare i mezzi ,. Trovarli non
gli pareva difficile trattandosi di un’impresa “ eminentemente patria ,,;
aveva anzi avuto offerte da privati che sembravano preannunciare la
costituzione d’una novella società palatina; ma preferiva rivolgersi anzitutto alla rappresentanza della città.
I criteri essenziali esposti dall’Osio in questo piano o “ regolamento
“ interno , come si piaceva chiamarlo, si riferivano prima alla scelta
dei materiali: dovevano essere inediti, eccettuati i casi di documenti
editi in modo incompleto o scorretto, oppure così strettamente legati
agli altri da essere indispensabili per la chiarezza dell’insieme. Il lavoro diviso secondo le epoche: al primo posto le lettere di ambasciatori, oratori, agenti diplomatici ducali all’estero seguendo l’ordine alfabetico degli Stati e il cronologico in ciascuna categoria. Tutti seguiti
da note distribuite ai collaboratori secondo le singole competenze. I
documenti dimenticati o scoperti durante il lavoro relegati in un supe*
plemento. La direzione generale “ delle operazioni , affidata all’Osio stesso. Pei lavori preliminari e consecutivi, scientifici e letterari, chiedeva una
commissione da dividersi in tre sezioni: consultiva, per la parte scientifica propriamente detta, chiamata ad esaminare tutti i documenti e a
dar consiglio nelle eventuali difficoltà; operativa, specialmente dedita
alle note; amministrativa per l'erogazione dei fondi. Segretario generale il dott. Luigi Ferrario, addetto alla scuola di paleografia presso
archivio.
Per la commissione l’Osio proponeva i seguenti nomi: sac. Birago
dell’Ambrosiana, prof. Butti, Ignazio Cantù, Giulio Carcano, prof. Cossa,
conte Dandolo, sac. Dozio dell’Ambrosiana, Massimo Fabi, Luigi Ferrario, Carlo Morbio, prof. Miller di Pavia, Damiano Muoni impiegato
alla Luogotenenza, conte Giulio Porro, sac. Robiati dell’Ambrosiana,
G. Rovani, Giuseppe Sacchi, barone generale Vacani, conte Gabriele
Verri.
Il preventivo per un volume di 400 pagine, in 1000 copie, era così
formulato:
Composizione, fogli 50, a lire 16 il foglio . . L. 800
Stampa a lire 3,60 il foglio. . . x 720
Carta, risme 50 a lire 8 . . . ; i » 800
Legalufao. » dk Gis die A Du E e 150
Ogni copia, da vendersi a lire 7, avrebbe costato lire 3,27.
638 APPUNTI E NOTIZIE
Il comune sarebbe stato proprietario dell’edizione e avrebbe dovuto nominare i membri della commissione amministrativa.
Il podestà, conte Sebregondi, accolse con favore la proposta. Neila
‘sua relazione al consiglio, 30 aprile 1857, controfirmata dall’ assessure
Angelo Villa Pernice, richiamò l’antica tradizione del comune, cessata,
com'ei dice, da non molto teinpo, di stipendiare uno storiograto: il Ripamonti e il’ Ferrario, per esempio, nel 1635 e nel 1651, con duecento
scudi; e di sussidiare la pubblicazione di opere storiche; fece rilevare
che l’aggravio pel comune, quand’ anche l’opera avesse scarso esito,
sarebbe stato minimo, e ad ogni modo “ non a cifre attive di interessi
“ materiali, ma anche a cifre attive d’interessi morali deve riportarsi
“ la rappresentanza civica ,,.
In seno al consiglio comunale, quantunque la proposta incontrasse
in massima l’unanime favore, si affermò il criterio che fosse escluso
dall'intervento municipale ogni incarico di esecuzione, ogni commercio
librario, ogni idea di speculazione, e preferibile sacrificare senz’altro la
somma necessaria; cosicchè il podestà ritirò la proposta per ripresentarla uniformata a questi concetti. Il 24 giugno, infatti, i consiglieri
l’approvavano in questi termini:
“ Il Comune di Milano, allo scopo di incoraggiare nei suoi primordi
“ la pubblicazione di documenti storici esistenti negli archivi pubblici
“ di Milano, progettata dal signor Osio, determina che il Municipio ab-
“ bia a corrispondergli, quale editore dell’opera suindicata, lire duemiia
“ subito dopo la pubblicazione del 1° volume, lire duemila dopo il 2°,
“ lire duemila dopo il 3°. Ritenuto che ogni volume sia di formato in-4
“ di 400 pagine e realmente contenga documenti inediti o rarissimi ri-
“ ferentisi al periodo di storia indicato nel progetto, e ritenuto pure
“ nel signor Osio l’obbligo di dare al Municipio due copie dell’ opera
“ per corredo degli atti. Ove, per qualunque circostanza, la pubblica-
“ zione, almeno del 1° volume, non avesse luogo entro l’anno 1858, cc s-
“ serà nel Municipio l’obbiigo di corrispondere le suindicate somme. E
“ così pure se nei due anni susseguenti al 1858 non fosse avvenuta ia
“ pubblicazione degli altri due volum:, il Municipio non sara vbbligato
“ a corrispondere le somme in oggi determinate per quei volumi che
“ non fossero interamente pubblicati ,.
Nel settembre del 1858 Osio informava il municipio esser prossima
la pubblicazione del 1° volume; aver l’autorita accordato il suo assenso,
limitato ai tre primi volumi pei quali il coniune aveva assicurato i fond],
non volendo lo Stato assumere alcun aggravio. Preveniva il podesta
che un eventuale ritardo sarebbe derivato dal fatto che il manoscritto
d'ogni volume doveva essere inviato a Vienna, al Ministero dell’ Interne,
per la superiore approvazione!
*
°
Frattanto gli avvenimenti politici facevan pensare ad altro. Assestate le cuse, il simdaco Beretta rimise in campo la proposta dell’Osic,
GO ogle i
APPUNTI E NOTIZIE 639
anzi ne prese occasione per provocare quel movimente d'idee che portò
alia istituzione dell’Archivio storico civico.
All’ archivista Torriani il Beretta chiedeva se e quali documenti
storici si trovassero nell’ archivio cittadino. Il Torriani, nel maggio del
1860, ricordava‘come l'archivio civico cominciasse solo col 1802, quando
coll’istituzione delia Congregazione municipale, tu separata Vanimini
strazione civica da quella provinciale, e si lasciò che gli atti anteriori
andassero, insieme ai governativi, nell'archivio di deposito governativocivico, pagando il comune un migliaio di iire l’anno per la loro conservazione.
Nei medesimo tempo il nuovo sindaco chiedeva all’ Osio esatte informazioni sui documenti civici conservati presso la direzione generale
e istituiva, su proposta di Carlo Tenca, la nota commissione per rivendi:carli al comune.
Invitato a riferire suila pubblicazione deliber.ia nel 1857, l'Osio,
mortificato, narrava una lacrimevole odissea. La deliberazione del consiglio comunale era stata bene accolta dal Governo, ma, nell’autorizzare
il lavoro, il Minisiero aveva imposto condizioni che la commissione,
composta in gran parte di membri dell'Istituto, non credette di accettare, e, quand’ anche le avesse accettate, avrebbe dovuto rifiutarie lui,
Osio, giacchè, mentre era stato l’ideatore deil’impresa e avrebbe du»
vuto esserne il direttore generale, secondo le vedute del ministro sarebbe stato ridotto alia dipendenza deila commissione da lul stesso
chiamata in vita.
Aveva perciò pensato di modificare la prop: sta, lasciando da parte
commissione e regolamento, e assumendo egli tutto il carico colla col.
laborazione del Cossa e del Ferrario. Credeva d’aver così ridotto le
cose alla massima semplicità, ma ahimè! dopo gli avvenimenti politici
che condussero “ sotto il governo di S. M. il Re _,,, con non lieve serpresa si vide rimandare la sua istanza dali’ amministrazione centrale
della Lombardia, 6 ottobre 1859, che l’aveva rinvenuta fra le carte lasciate inespedite dalla già luegotenenza austriaca, e si era affrettata a
restituirgliela “ per quell’uso esteriore che egli credesse di farne ,,,
(peregrina espressione burocratica!).
Il povero Osio non ebbe il coraggio di confidare il proprio rammarico alla Giunta municipale, ma l’idea di aver già in pronto buona
parte dei materiali per dar principio alla pubblicazione e la speranza
nel favore dell’ attuale governo, lo indussero a raccomandarsi a Rattazzi: ebbe buone parole ma non conclusive; ritentò con Cavour; il
grand’ uomo gli fu largo di encomi, ma, fisso nella sua idea di voler
stabilire una specie di fusione delle autorità e degli istituti scientifici
della Lombardia dediti agli studi storici colla regia deputazione sovra
gli studi di storia patria in Torino, sembrava voler deviare la domanda
dal suo corso naturale.
Co ogle
640 APPUNTI E NOTIZIE
L’Osio non era affatto del parere di lasciare alle cure della deputazione la sua impresa, giacchè, almeno allora, quell’istituto si proponeva di pubblicare documenti di singolare importanza, in base a una
continua scelta, mentre la sua pubblicazione non doveva comprendere
documenti isolati e interessanti ciascuno per sè, bensì tutta una serie
il cui valore stava nel complesso. Tutt’altra cosa, dunque. Al primo suo
disegno aveva fatto un’ aggiunta ed era di far precedere al carteggio
diplomatico un carteggio confidenziale tra principi e principi, tra il 1366
e il 1474, appartenente all’ archivio di Mantova; documenti che egli
aveva mandato alla cancelleria aulica di Vienna nel 1845 e solo ora
era riuscito a riavere.
Concludeva pregando il Beretta di interporre i suoi buoni uffici
presso il Ministero.
Pronto ad accontentarlo in questo, il Beretta osservò essere invero
mutate le condizioni poste nella deliberazione del 1857, la quale, per
questo, non risultava più obbligatoria per il comune. Bisognava sapere
a qual nuovo impegno si andava incontro, e definire l’ingerenza della
Giunta, la quale a lui sembrava necessaria dacchè l’opera doveva uscire
sotto gli auspici del municipio e sotto la sua responsabilità.
Tali obiezioni l’Osio seppe ben ribattere, specialmente sostenendo
che le accennate condizioni non potevano .ritenersi obbligatorie per lui
giacchè non da lui solo ne dipendeva l’adempimento. =
Finalmente, giunto il “ placet , dal Ministero, in seguito ai buoni
uffici dei sindaco, la commissione per l’archivio storico, interpellata dal
Beretta, suggerì di proporre al consiglio la sanatoria, e di stanziare le
seimila lire già deliberate nel ‘57. i
Così il 26 luglio del 1861 il consiglio comunale, all’ unanimità, confermava l’incarico all’Osio che, associatosi, oltre al Ferrario, al Cossa,
al Dozio, anche il marchese Francesco Cusani, si rimetteva al lavoro.
Nel gennaio del 1864 usciva la prima parte del 1° volume e seguivano
poi le altre con ritardi sempre ben giustificati dall’autore.
Quando l’Osio morì, nel 1874, mancava la seconda parte del 3° volume; gli eredi di lui consentirono che l’opera venisse compiuta dagli
impiegati dell’archivio di Stato, sotto la direzione di Cesare Cantù, ai
quali il comune destinò le ultime mille lire.
ETtTtoRE VERGA.
e“, ONORANZE a Giorgio Giutini. — Colla pubblicazione di due
volumi di ben ottocento pagine il comune di Milano ha testè compiuto
sostanzialmente il voto della civica rappresentanza inteso ad onorare
la memoria del cittadino insigne, che coi pubblici uffici sostenuti illustrò Milano e cogli studi e gli scritti perpetuò il ricordo de’ suoi istituti
e delle sue glorie.
Nella prefazione il presidente della commissione municipale per le
onoranze al conte Giorgio Giulini, assessore Brocchi, giustifica il ritardo
APPUNTI E NOTIZIE 641
subìto nella pubblicazione in causa sopratutto delle vicende politiche,
che travagliano tuttora l’Europa. Contengono i due volumi, che ora
vengono licenziati, uno studio bio-bibliografico condotto con amore figliale da Alessandro Giulini sui documenti del domestico archivio: una
monografia intorno a “ Giorgio Giulini musicista , dovuta a Gaetano
Cesari, il ben noto cultore di storia della musica, nella quale viene
‘ messo in bella luce un aspetto assai notevole, e fino ad ora quasi ignorato, dell’attività giuliniana: infine due scritti inediti del commemorato,
de’ quali l’uno tratta Delle chiese ed abbazie dello Stato di Milano soggette a patronato regio. Interessante è pure la parte iconografica, che
arricchisce la bella pubblicazione, di cui parleremo più diffusamente nel
prossimo fascicolo.
0°, LA CONGIURA PER SOTTOMETTERE BoLoGNA AL CONTE DI VIRTÙ. —
Nella tornata del 19 marzo scorso l’avv. Palmieri lesse alla r. Deputazione di storia patria per le Romagne una sua memoria intorno alla
Congiura per sottomettere Bologna al conte di Virts. Il disserente ricordò
anzitutto la lotta quasi secolare combattuta fra i Visconti ed il comune
di Bologna, la quale, dopo un breve periodo di calma succeduta agl
scacchi subìti da Bernabò, si riaccese più viva quando a lui successe
il nipote Gian Galeazzo, Questi, con più fine politica dello zio, cercò
di sfruttare a suo favore il malcontento che regnava in Bologna e nel
contado contro la fazione dominante, che era capitanata dagli Zambeccari e dai Gozzadini. Una manifestazione di questa politica si ebbe
appunto nella congiura ordita alla fine del 1388.
L’episodio è importante per la relazione che ha colla storia generale d’Italia e per le persone che vi parteciparono. Furono tra queste
il famoso giurista Bartolomeo da Saliceto ed Ugolino da Panico, l’ul-
‘timo forte rappresentante di quella fortissima famiglia di feudatari. Gli
altri capi furono Alberto Galuzzi, Giovanni Isolani e Melchiorre da Saliceto. L’ azione loro era diretta a far votare nel consiglio generale la
proposta di consegnare senz’ altro la città al Visconti, mentre si preparava la ribellione dei principali castelli. Ma la trama venne scoperta
alla metà del novembre 1389, perchè fu trovata una lettera diretta dal
Galuzzi a Melchiorre da Saliceto. Furono presi ed incarcerati prima i
due Saliceto e l’ Isolani, poscia Ugolino da Panico, mentre il Galuzzi
fuggiva, Bartolomeo da Saliceto fu poscia rilasciato per non togliere il
grande maestro all’ Università, Egli però non si senti tranquillo a rimanere a Bologna e riparò a Ferrara, dove incominciò ad insegnare
diritto dando origine all’Università ferrarese. L’Isolani e Melchiorre da
Saliceto furono decapitati il 7 dicembre 1389 ed Ugolino da Panico l’ultimo dello stesso mese. Molte condanne a confine ed a multe furono
inflitte ai congiurati minori, che seminarono odii e lutti fra le migliori
famiglie cittadine. [Alti e Memorie della vr. Def. di storia patria di Bologna, fasc. I-IlI, 1916, p. 162].
41
642 APPUNTI E NOTIZIE
e°+ Il cons. Bertarelli ha arricchito di un nuovo dono prezioso la
nostra biblioteca. Trattasi di un manoscritto dal titolo Raccolta di poesie
diverse o sia Trattenimenti de Curiosi ed Intelligenti, manoscritto di poesie
milanesi di qualche persona in stretta amicizia col gruppo dei Trasformati. Il ms. non manca d’interesse perchè inedito, e perchè contiene
molte poesie in dialetto facchinesco delle quali non è quasi rimasta
traccia nella nostra letteratura dialettale a stampa. Il volume, ci scrive
il donatore, era carissimo al prof. Novati che si riserbava il piacere di
illustrarlo ampiamente, specialmente per la permanenza del facchinesco
in epoca così recente. Appunto per l’amore speciale che portava al
manoscritto che sino alla morte del Novati era rimasto nella sua biblioteca, il dott. Bertarelli ne fa omaggio alla biblioteca della Società
storica, memore dell’ affetto vigile e costante che il buon Novati ebbe
per l’Istituto che maggiormente predilesse e della cui dignità era così
geloso custode.
e: IL R. ArcHivio DI Stato DI BRESCIA attende con lodevole solerzia, degna di essere largamente imitata, alla raccolta di documenti
dell’attuale guerra, massime di carteggi dei nostri soldati, mostrando
d’apprezzare tutta l’opportunità, scientifica ad un tempo e patriottica,
dell'iniziativa caldeggiata dalla Società Nazionale del Risorgimento, dal
suo Comitato Lombardo e dalla nostra Società. La Direzione dell’Archivio, assecondata dalla Prefettura, dalla Curia Vescovile, dall’ Ufficio
Notizie di Brescia, è già in possesso di copioso materiale epistolario e
‘fotografico, inviato da sindaci, da privati, da sacerdoti, dai Comitati di
Preparazione di Chiari e d’Iseo. Il Ministero degli Esteri di Francia
spedì in dono giornali di trincee francesi. ed altri ne mandò la Biblioteca Nazionale di Parigi a contraccambiare consimile invio.
OPERE
pervenute alla Biblioteca Sociale nel II semestre del 1916
ADami ten.-colonnello VITTORIO, Le guardie nazionali valtellinesi alla difesa dello Stelvio nel 1866; nel cinquantesimo anniversario. Milano,
Cogliati, 1916 (d. d. s. A.).
Annuario del R. Archivio di Stato in Milano, n. 6. Milano, 1916, Palazzo
del Senato (d. della Direzione dell’Archivio di Stato).
BARTH dott. H., Bibliographie der Schweizer Geschichte, Bd. 3. Basel,
Gaaring, 1915 (d. d. Società storica svizzera).
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— Massimo d°Aszeglio e la Sicilia. Catania, tip. Giannotta, 1916 (d. d. A.).
_— Un raccoglitore di lettere della prima metà del secolo XIX. Carlo Emanuele Mussarelli. Acireale, tip. Orario ‘delle Ferrovie (d: d. A.).
IT
644 OPERE PERVENUTE ALLA BIBLIOTECA SOCIALE
Fabbrica del Duomo di Milano. Relazione del Consiglio d’amministrazione al Ministro della P. I. sulle vicende della facciata dall’epoca
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GauTHEY CHRISTOPHoRUS, Sancius Gaudentius Brixiensis Episcopus et
Notarit. Brescia, ed. “ Brixia Sacra ,,, 1916 (d. d. s. Guerrini).
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contemporaneo. Brescia, ed. * Brixia Sacra ,, 1916 (d. d. s. A.).
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Bresciana, 1916 (d. d. s. A.).
KAUFFMANN ARTHUR, Giocondo Albertolli der Ornamentiker des italienischen Klassizismus. Strassburg, Heitz, 1911 (d. d. s. Bertarelli).
Inquanez MARIO, Le pergamene del monastero dei SS. Cosma e Damiano
di Tagliacosso conservate nell'archivio di Montecassino.
LAFFRANCHI L., L'antro mitriaco di Angera e le inonete in esso rinvenute.
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— Le monete guerresche di un imperatore pacifista. Milano, Crespi, 1916
(d. d. A.)
MoreTTI ing. Luici, Relazione sulPandamenio morale ed economico del
l’anno 1914 dell'Opera Pia “ Guardia medico-chirurgica notturna ,.
Milano, Agnelli, 1916 (d. d. s. Frisiani-Parisetti).
SALVERAGLIO prof. FiLipPo, /ndice dei 35 anni della “ Illustrazione ite
liana , 1873-1908. Milano, Treves, IgIo (d. d. dott. A. Comandinà.
SeGARIZZI ARrNALDO, Contributo alla storia delle congiure padovase. V:
nezia, tip. Ferrari, 1916 (d. d. A.).
Il ms. che segue, dono del dott. Bertarelli:
Raccolta di poesie diverse o sia Trattenimenti de Curiosi ed Intelligent.
Ms. cart. sec. XVIII, in-4.
RomanENGHI AnceLo FRANCESCO, gerente-responsabile.
Milane - Casa Editrice L. F. Cogliati - Corse P. Romana, 17.
(GO ogle
Il processo per l'annullamento del matrimonio
- tra Vincenzo II duca di Mantova -
e donna Isabella Gonzaga di Novellara
——==__:-— 1616-1627 ——-
Il fatio — Le prime lettere per la conservazione del cappello e il concistoro
del 5 settembre 1616 — Il ravvedimento del principe Vincenzo e le false
voci di violenza usata contro il fratello dal duca Ferdinando — L'affinità —
Di alcuni indizi della malafede di Ferdinando — Le prove e gli argomenti
giuridici — L'inflessibilità del papa Paolo V e l’atteggiamento temporeggiatore dei Gonzaga — La prigionia di Isabella — La ripresa della lite —
La rinuncia definitiva dei Gonzaga alla causa da commettersi alla Rota.
A ON è scevra di forza rappresentativa questa istoria, che
-i(x{f mi accingo a narrare: si svolge nei malinconici anni
i illuminati dagli ultimi barlumi della Rinascenza e dalla
n24€%8 furia della reazione cattolica già pervasi; la sua trama
è intessuta da ministri, da ambasciatori, da cardinali, da giudici,
da inquisitori; come in un giuoco, essa compone, intorno al rapporto centrale corrente tra Mantova e Roma, una infinità di altri
rapporti, non sempre accessorî e de’ quali non sempre è possibile
rintracciare una intima ragione di essere. Al processo prendono
attiva parte, per i moventi più vari, le corti di Francia, di Spagna, di Toscana; i Farnese, i Savoia, i Nevers, l’imperatore stesso
si intromettono più o meno direttamente nel dibattito (1); i segreti
(1) Maria de’ Medici, regina di Francia, era zia di Ferdinando e Vincenzo
Gonzaga, la cui madre, Eleonora de’ Medici, era andata sposa a Vincenzo I.,
Il granduca di Toscana, Ferdinando Medici, divenne nel febbraio del 1617
- Arcà. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. IV. 42
Go ogle
646 GUIDO ERRANTE
carteggi delineano dei principi i più intimi caratteri nei più salienti
rilievi. E, poichè gli ultimi fratelli duchi, Ferdinando e Vincenzo
Gonzaga (1), affannosamente si adoperano con l’astuzia e con l’intrigo a prevenir la certa fine della loro casa, una lunga serie di
mene diplomatiche riannoda, con insuperabili accorgimenti, l’esterior vita all’interiore, la publica alla privata.
L’istoria ha per epilogo la morte di Vincenzo Il, e la discesa
dei Nevers a prender possesso del ducato in onta ai moniti imperiali: onde la terribile guerra che si chiuderà con il sacco di Mantova (2).
La dignità cardinalizia passò da Ferdinando Gonzaga (3) al
suocero di Ferdinando Gonzaga, avendo questi condotta in moglie la figliuol sua
Caterina.
L’ imperatore, Ferdinando II, era cognato di Ferdinando e ‘suo diretto signore, poichè Mantova era feudo dell’ Impero.
I Farnese erano ostili ai Gonzaga, da poi che Vincenzo I, suscitando gravi
scandali, avea ripudiato la sua prima moglie, Margherita Farnese: ostili ai Gonzaga erano pure i Savoia, per l’aspre lotte del Monferrato e per ragioni ancor
più profonde di mire lontane: e ai Nevers si sarebbe potuta aprire la successione al ducato di Mantova, qualora Vincenzo non avesse avuto un erede.
(1) Da Eleonora de’ Medici tre figli si ebbe Vincenzo I: Francesco, che
mori subito dopo il padre; Ferdinando, che fu duca dal 1612 al 1626; Vincenzo,
che fu duca soltanto alcuni mesi del 1627; e due figlie: Eleonora, che fu moglie di Ferdinando II imperatore; Margherita, che fu moglie del duca di Lorena.
(2) Tutti i documenti citati nel corso delia ricostruzione e in appendice son
tratti dall'archivio Gonzaga, e precisamente dalle serie seguenti:
a) Originali o Lettere de’ Principi.
b) Minute della Cancelleria ducale.
c) Corrispondenze romane degli ambasciatori.
d) Carteggio interno, da Mantova e Paesi del Ducato, co’ Principi.
e) Carteggi varî da Bozzolo, Novellara, Goito, ecc.
(3) Già fin dal 1612 i Gonzaga si preoccupavano della discendenza diretta
nella loro casa: trattative di matrimonio erano corse tra Ferdinando e Marghe
rita di Savoia, vedova del duca Francesco; se non che i ministri si erano op-
‘ posti, consapevoli del carattere autoritario della savoiarda: e Margherita, lasciata
la figlia Maria nel monastero di Sant’ Orsola a Ferrara, fece ritorno a Torino,
nella severa corte paterna. Più tardi Ferdinando, invaghitosi di Camilla Faa di
Bruno, damigella della sua corte, con una falsa cerimonia si univa a lei in ma
trimonio: ma contro di lui si levarono Je voci insidiose di parenti e di ministri, e la povera Camilla fu relegata a Casale, dove mise alla luce un bambino,
che ebbe nome Giacinto. Quando nel 1617 il Gonzaga celebrò le nozze con
Caterina de’ Medici, dopo molti altri inganni, Camilla Faa, sdegnando le proGoo gle eli
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, Ecc. 647
fratello Vincenzo nel 1614, dopo due anni che Ferdinando aveva
avuto l'eredità del trono. Il cardinale Vincenzo « di bello ingegno
e costumatissime maniere », contava appena vent'anni, quando venne
relegato nella villa gonzaghesca di Gazzuolo, per farvi penitenza
di qualche peccatuccio, che troppo rumore avrebbe mosso, ripetendosi sotto gl’intensi sguardi della corte di Mantova {1). A distanza non maggiore di quattro miglia, viveva donna Isabella Gonzaga di Novellara, vedova del principe di Bozzolo; e precisamente
in San Martino dall’Argine. Era costei bella ed umanissima signora;
con saggia cura aveva retto le sorti del suo piccolo stato, durante
la minorità del figliuol primogenitò Scipione; l’età avanzata non
le toglieva ogni grazia, e un particolar fascino anzi le veniva dalla
matura esperienza e conoscenza degli uomini e delle cose. Ecco
quanto di lei narravano i cronisti del tempo. Or dunque di donna
Isabella s'invaghì il giovane cardinale; e non riuscendo a piegarla
ai suoì desidcri, decise di condurla in isposa. Nessuna licenza venne
chiesta a Paolo V: ma in una sera d'agosto del 1616 Vincenzo, radunati amici e’ consiglieri, di dosso toglievasi 11 manto e di capo
lo zucchetto, apparendo in armi e corazza; le nozze si celebrarono
nella cappella del palazzo della principessa, a San Martino (2), officiando il parroco, don Orazio Cessa, presenziando il principe Scipione e il conte Alfonso, fratello della sposa (3). Le tepide aure
poste di unirsi ad altro uomo, si ritirò a Ferrara; costretta dalla gelosia della
duchessa a rinchiudersi nel convento del Corpus Domini.
(1) Di Vincenzo Gonzaga Alvise Donato, ambasciatore dei veneziani, riferiva nel 1614 alla Serenissima: « Il signor Don Vincenzo, fratello di Sua Al
« tezza, in età di 19 anni, d'animo vigoroso e risentito, di spirito ardente, fa-
« rebbe senza dubbio gran riuscita nell'arte militare, quando, chiamato, come
« par, dalla fortuna, non avesse ben tosto a mutar abito e professione; non pren-
« dendo egli, com’ accostumano altri principi giovani, la milizia per ricreazione,
« nè si serve licenziosamente del titolo del suo nascimento, non passa neghitto-
« samente il tempo ne’ piaceri e ne’ lussi; ma attende solamente a' negozi, pro-
« cura di farsi conoscere a’ soldati, vuol informarsi e imparar da’ periti, studia
« d'imitar i migliori, non ambisce cosa vanamente per iattanza, nè s'è veduto
« che n'abbia ricusata mai alcuna per timore ». Relazioni degli Ambasciatori Venetî al senato, a cura di ArnaLDO SEGARIZZI, vol. I, Laterza e figli, 1912.
(2) Doc. I.
(3) G. B. INTRA, Isabella Gonzaga di Bozzolo, Mantova, tip. della Gazzetta,
1897. L' INTRA aggiunge che Vincenzo mandò al pontefice lo zucchetto, accompagnato da una lettera poco rispettosa. Di questa lettera non è traccia nell’ arlà
Lo ogle
648 GUIDO ERRANTE
del lago non valsero ad attutire l’ira del duca Ferdinando, ne le
liete brigate, all’annunzio del matrimonio : l’iperbolica descrizione
dello storico Andreasi narra com’ egli svenisse, a tale inaspettata
notizia, dopo aver esclamato: — Povera mia casa, povera mia
casa! (1).
Monsignor Soardi, residente presso la S. Sede, fu subito avvertito: e, poi che il Marzi, coadiutore nella ignobile tresca, si sarebbe recato dal pontefice, occorreva prevenirlo ed evitare che
Paolo V accordasse la dispensa dalla dignità del cardinalato. La
lettera, del 26 agosto 1616, già esprimeva una speranza, a dir vero,
ingenua di Ferdinando (2). Simulare avrebbe dovuto monsignor
chivio Gonzaga; nè riscontro alcuno nelle lettere posteriori degli inviati dal duca
alla corte di Rema.
(1) Lupovico ANDREASI, Vita degli ultimi quattro duchi di Mantova della linea
principale dei Gonzaga. Manoscritto inedito, che si conserva nell'archivio Gonzaga.
(2) Di Ferdinando Gonzaga parla a lungo, di ritorno da una ambasceria del
161;, l'ambasciatore veneto Giovanni da Mulla: « È adunque Ferdinando Gonzaga, di statura media, di abitudine, oltre l’ordinario della sua casa, magra et
asciuta, di delicata complessione, di leggiadro aspetto e di faccia amabile e
piena di venustà. È sano convenientemente, e sarebbe forse ancor più, se, abandonando l'opinione d'un suo medico familiare, non frequentasse così spesso i
medicamenti come frequenta ». Riferisce inoltre di averlo sentito « .... affermare più volte di non aver avuto altro reffrigerio o sollievo in quest’ ultimi
importantissimi travagli che quello della musica e che sarebbe morto talora,
se non avesse avuto questo reffrigerio. E veramente l’inclinatione della natura
lo porta incredibilmente al gusto della musica e della poesia. E, perchè è di
brevissimo sonno, si crede che insino la notte formi nella sua mente qualche
composizione; e la mattina nell'uscir dalle stanze ha sempre qualche cosa di
prezioso da dire e da comunicare con alcuna persona letterata.... È il signor
duca inclinato molto alla giustizia e l’ha commandata ai magistrati molto strettamente, perchè la usino indifferentemente con tutti: insino con l'Altezza Sua,
e se vi fosse alcuno che pretendesse alcuna cesa da lei ». Relazioni degli Ambasciatori Veneti, op. cit.
In una lettera a un suo ministro, confidava il duca Ferdinando il senso di
una particolar scienza politica, così argomentando: « La scienza della ragion di
« Stato.ha questo d’incomodo, che nessuna universale propositione manca d'ec-
« cettioni, perchè i tempi, i luoghi, le persone, gl’ interessi, i negotij, le congiun-
« ture et la serie di tutte queste cose insieme. alterano, distruggono, pungono,
« edificano et abbattono qualsivoglia preveduta et in universale considerata po-
« litica propositione, a cui la ragion suffraghi ». In calce, di suo pugno, il duca,
quasi ironicamente sorridendo, annotava: « Princeps est animal, che vorrebbe
« esser più d'uomo et al più delle volte est minor homine cui più l'apparenza
« che l'essenza conviene instructus moribus vulpinis et arte pelasga ».
R_R AAÀìÀQÀ R A
.
-—
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, Licc. 649
Soardi e dare a divedere che tutto ancor s'ignorava alla corte e
quanto scandalo sarebbe per apportarvi la notizia dell accaduto.
a Se il Papa venisse in quello (cosa che non crediamo) di dichiarar
ogni matrimonlo nullo come chè sia seguito dinanti la sua accettazione della rinuncia del Cardinalato, assicuratelo che noi cooperaremo a così santo pensiero, et che basterà ci sia accennato il
senso suo per aver noi partialissimi persuasori et esecutori della
sua volontà, ma per non contradirvi, mostrate che siano concetti
vostri, et piacesse a Dio che questa nullità del matrimonio contratto ante acceptationem Pontificis ovvero rinunciam expressam
cardinalatus si potesse sostenere, che cì parrebbe di questa maniera di riacquistar tutto quello che perde nel presente negotio ta
Casa nostra. ». Da opposte instanze di Vincenzo venne assediato
il pontefice e richiesto di decisioni altrettanto impossibili. « Non
essendo chi sia per sapere se il matrimonio sia preceduto o no
[alla dispensa], niente importando all’essenza del fatto che tal rinuncia si faccia con solennità o senza, dovendo bastare che la S. S.
del seguito intorno alla rinuncia et sua accettatione dia poi parte
al collegio, come di cosa fatta et della benigna licenza che ci avrà
data nel medesimo tempo di accasarcì con sua soddisfatione. Potrete anche toccarli in questo proposito, che averessimo potuto
celar il fatto del matrimonio et darne parte a S.S. come di cosa
da farsi, ma che volendo più confidare nella sua paterna benignità
che in qualsivoglia umana cautella, ricorriamo a lei con sincerità
di cuore et rappresentandole come a medico pietosissimo la nostra
infermità, speriamo di riportarne quel rimedio che merita la nostra viva devotione et la confidenza grande che teniamo nella 5.5. ».
Ma, per parte di Vincenzo, non a Jungo seguitarono gl’impedimenti
all’avverarsi del desiderio del duca. Dall’ agosto al dicembre del
1616 il tono delle lettere di Vincenzo, in verità, varia a mano a
mano che si determina il suo ravvedimento: sempre umili, sempre ossequenti, queste lettere; ma da prima dichiarano una incrollabile fermezza nel voler in ogni modo conseguir la dispensa, e
poi sì piegano, a poco a poco, a tutte le volontà del maggior fratello. Îl 27 agosto: « .... creda che Dio ha voluto così; V. A. è
prudente, la suplico di novo della sua gratia, perchè senza di essa
son sicuro d’ammalarmi ». E il 27 novembre « .... Il mezzo a ciò
fare [a rendersi gradito al fratello] ora sarà il baciare con questa
650 GUIDO ERRANTE
mia a V.A. la mano et a suplicarla a concedermi nella sua gratia
quel luogo che si conviene e alla sua humanità e alla mia osservanza, assicurandola che nel particolare del mio negotio farò se
non cose che saranno in gusto dell'A, V. ».
Se tanto rapidamente erasi spento nel giovane Gonzaga l’amore
e se con tanta facilità il duca lo avea potuto persuadere, non così
propizio alle sorti della casa fu l’animo del papa Borghese: « .... attione delle più dolorose che da S.!° Pietro in qua sì fosse sentita »,
era nel giudizio del Santo Padre quella del principe Vincenzo: egli
doveva dunque esser privato della porpora e invano Ferdinando
pregava con umiltà o minacciava con ira o accusava di delittuosi
propositi l'odiata Isabella. Citiamo qualche passo delle sue lettere.
« .... Può ben credere la S. S. che non possiamo mai deporre così
giusto sospetto, anzi abbiamo da persuaderci che in progresso del
matrimonio quanto si vedesse questa donna allongato l'esito delle
sue speranze, tanto più portata dall’ impazienza et stimolata da
questo vehemente desiderio, fosse per machinar con ogni possibil
modo contro di noi stessi » (1). E alla duchessa di Lorena, sua
sorella, alla duchessa di Ferrara, sua zia, alle maestà di Francia
e di Spagna narra la sua disgrazia, acerbamente dolendosene e
ripetendo con rassegnato sarcasmo l’accusa. « Ne siamo desolati
con quel disgusto maggiore che ne possiate imaginare, tanto più,
che vediamo i fini di questo per altro infelicissimo casamento essere fabricati principalmente, per li riscontri che ne abbiamo, contro
la nostra pelle ». E in una lettera del 17 settembre al Soardi egli
si mostra così addolorato e accasciato, si rivolge con tanto ardore
alla clemenza del papa, che quasi sembra gli gravi sull’anima la
netta visione del destino che sovrasta alla sua casa.
(1) Anche per il vescovo di Mantova, Francesco Gonzaga, Ferdinando ebbe
parole severe: lo accusò di aver aiutato la principessa di Bozzolo. « Ora veggasi
e quello che sa operar l’Ipochrisia et come il Demonio talvolta per ingannarci
« si veste l'abito d'Angelo di Luce », Il duca, essendo di li a poco morto Francesco, ne dava partecipazione all’ arciduchessa di Innsbruck in questi termini:
« Finalmente il Vescovo nostro passò a miglior vita due di sono, et la sua morte
c è stata il sigillo delle sue Sante operationi. Serenissima Signora, dove la spe-
« ranza delia gioria per quella benedetta anima si rende sicura, a me non pare
« vi resti luogo di condoglianza, perchè infine Beati sono quelli che morono nel
A Signore ... ». Monsignor Soardi fu proclamato vescovo di Mantova.
Go ogle
I. PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 65I
« Monsignor nostro carissimo. - Desideravamo ‘dalla benignità
di N. Signore, come per mezzo vostro lo facemmo supplicare, che
la dichiaratione fatta intorno il caso di nostro fratello si mandasse
più inanti che fosse possibile, sperando che il tempo ci mostrasse
meglio con quai disegni si sia gettata questa pietra del matrimonio
et ci scoprisse qualche causa da poterlo invalidare. Ora andiamo
scorgendo tai fini et spiriti di così cattiva intentione, che ci hanno
obligato et vanno continuamente obligando di abbracciar consigli
se non buoni almeno cauti, et se non in tutto pii, almeno in tutto
politici. Siamo dunque a pessimo termine col sudetto nostro fratelio, il quale come chi ci abbia offeso così gravemente, poco si
fida di noi, et come in parte conosca che la Vita nostra et successione di noi sia per esser la sua perpetua infelicità, è forzato (poi
che gli errori quasi annelli di catena l’uno con l’altro s’abbracciano)
a desiderare quest’unico rimedio alla cosa sua che li potrebbe porgere il tempo, o qualche disastroso accidente che a noi potesse
avvenire. Stiamo però alterati l’uno con l’altro, nè l’ingiustizia
della sua causa li porge luogo onesto ad alcuna querela, sì che
quanto più tenta nascondere il sentimento dell’ animo suo, tanto
più cresce l’amaro che gli fa tacitamente mordere il freno, vedendosi privo della Dignità in che era posto, degli aggi et commodità
che gli portavano l’entrate ecclesiastiche, et quasi della reputatione. Non si può dunque sperar altro frutto da questa diabolica
attione, se non una intestina discordia tra di noi et un continuo
travaglio in questa casa, massime conoscendo, che tutto il danno
nasce dalla parte della femina, la quale s'e indotta a sposar lui,
credendo di sposar il Ducato di Mantova et quello di Monferrato
appresso. Suo fratello il conte Alfonso, dopo averci scritto una
lettera nella quale egli si dice sospetto de trattare con Principi
poco amorevoli di questa Casa et essersi esibito di venire a giustificarsi in questa Città, rompendo la parola sotto frivoli et falsi
pretesti con la sua contumacia ci ha mostrato esser verità quello
che noi credevamo opinione, onde potete ben dal fascio di questo
racconto spremerne un succo di pessime conseguenze, quando la
benignità di S.S. non ci abbandoni, potendcci ella favorire senza
pregiudizio di alcuno solo col far. la giustizia. Abbiamo ritrovato
alcune oppositioni contro questo matrimonio, quali vi mandaremo
subito che si siano ben studiate. Fra tanto rappresenterete tutta
o ogle
652 GUIDO ERRANTE
questa narrativa di cose alla S.S., supplicandola, mentre gli fosse
chiesta alcuna dispensa da nostro fratello, o dalla Donna, a ne-
_gargliela, assicurando noi S. Beatitudine che ciò non facciamo ad
altro fine che solo per liberar questo giovine dalle mani di così
| vecchia et artificiosa moglie, dalla quale difficilmente ne può sperar
prole. Nè altro può aspettar questa Casa che dolorosi accidenti,
non essendo ella più che dama ordinaria, dì stirpe che si tiene
offesa dalla famiglia nostra, et unita di volontà con nemici nostri,
da’ quali ha fatto sempre la Casa di San Martino professione di
dipendere, poichè levate queste così importanti considerationi, non
siamo di così mala condizione che vogliamo impedire d’accasarsi
al fratello, mentre lo faccia con utile suo et riputatione di tutta
casa nostra. Con questo rimedio levarà S.S. l’occasione a maggiori
scandali, quali al sicuro succederanno quando non si trovi modo
di rompere il fatto. Qui annessa viene una credenziale; in persona
vostra assicurate per quanto potrete mai questo punto della ripulsa
alla Dispensa, quando da quella parte fosse chiesta. Chè pertanto
metteremo all’ ordine le scritture per mandarvele con Corriere
espresso. Questo che porta il presente dispaccio sarà rispedito da
Voi con diligenza subito che abbiate la risposta di S. S.; la quale
potrete assicurare, che non è nè sarà mai questa Casa capace di
maggior favore di questo, che si spera dalla benignità sua, nè per
conseguenza resterà a noi grado alcuno d’obligo superiore a quello
che teneremo alla S.S. col quale possiamo esser da persona alcuna legati et Dio vi guardi » (1).
La decisione del concistoro del 5 settembre dileguò subito
una delle speranze del duca; in esso solennemente si decretò de-
(1) Ferdinando aveva già chiesto ragione al vescovo di Cremona, esercitante su Bozzolo la suprema autorità religiosa, del matrimonio avvenuto dietro
suo consenso. Ma il vescovo aveva risposto (vedi doc. 2), protestando d'essere
umilissimo servo di S. A., che mai avrebbe lasciato compiersi un avvenimento
di tanta importanza, senza avvertirne l'A. S. Il priore della chiesa parrocchiale
di S. Martino era stato a chieder licenza di celebrare un inatrimonio omettendo
le pubblicazioni; ma come non aveva voluto dirgli chi fossero gl’interessati.
scusandosi d’averne avuto notizia in confessione, il vescovo l’avea rimandato,
negandogli la licenza. Ferdinando fece ben risaltare agli occhi del papa il disprezzo dimostrato da donna Isabella verso il vescovo di Cremona.
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEI. MATRIMONIO, ECC. 653
caduto dall’alto ufficio Vincenzo Gonzaga (1). « Il S. Cardinale, ora
il S. Principe d. Vincenzo, potrà cingere la spada e godere la 5.
(1) L’INTRA, Op. cit., aggiunge che Paolo V giurò che mai più la berretta
rossa sarebbe stata sul capo di un Gonzaga, lui vivo, e ordinò che tolti venissero tutti gli stemmi gonzagheschi dalle chiese e dai palazzi che quei principi assai numerosi possedevano in Roma. Nè anche di questa implacabile severità abbiamo riscontro nell'archivio Gonzaga. Del resto i termini precisi del
decreto concistoriale rion si seppero mai a Mantova. I nemici di Ferdinando,
anzi, ne andavan spargendo versioni diverse: e invano si tentò di ottener dal
papa copia di quel decreto. Forse, temendo che lo si volesse impugnare, il papa
negò sempre tale concessione: e il Castelli così riferiva in proposito il suo negoziato con il pontefice « .... che dopo l’accidente occorso (che le rincrebbe senza
« fine), non poteva [S. S.] venire a dichiaratione che fosse manco pregiudiciale
« alla Serma Sua Casa, non ostante d'esserle state somministrate considerationi
« di qualche sentimento e che sino con li Mercanti volle di sua mano prescri-
« verle la forma del ragguaglio loro ». Codesti Mercanti erano i gazzettieri dell'epoca: soltanto, mandavano scritte e non stampate le loro corrispondenze. .\vevano stipendio da principi e da privati: spesso finivano in galera o sulla forca
per le loro maldicenze e bugie. C'è uno studio buonissimo del BonGi sui Mercanti,
ristampato dal MoranDpI nella sua Antologia critica. Continuava il Castelli:
« Quanto alla copia persiste la S.S. nella negativa già data al Sig. Magni, non
« dovendo per niun modo esporsi alle censure di alcuno, nè propalare Decreto
« fatto in Concistoro segreto, che non è della natura di quelli decreti, sopra
« quali si formano le Bolle, e de’ quali si danno le fedi a questo effetto; e che
« YA. V. ha per più segni nota l'intenzione sua di compiacerla sempre, ma che
« in questo, come cosa che si tirarebbe ad esempio (il che si deve fuggire quanto
più si può dalli papi) lo porrebbe in necessità di non negare ad altri, quello
che si suole tenere celato a tutti. Ma che quanto al contenuto d’esso decreto,
attesta essere vero ciò che disse al Sig. Magni e di nuovo assicura V. A. essere
falsissimo, che vi sia la claosola, et quatenus opus sit de novo privamus, ma
solo semplicemente lo dichiara, privatum ipso iure, non avendo gionto niente
del suo, se non quanto dispone la legge; anzi quasi per certa giustificatione
di se medesimo, mi disse, e S. A. ce lo può credere, che Noi non siamo persona di dire, quello che non fosse vero, et io a questo feci quella replica, che
conveniva di prestare indubitata fede alli semplici cenni di S.S., ma che solo
lA. V. si moveva, per non lasciare radicata opinione diversa e per lasciare
a’ pcsteri, con scritture auttentiche, la verità di questo fatto, e che trattandosi
dell'interesse del Sig. Prencipe, dovendo egli sapere s'era o non era cardinale,
e con quali conditioni privato, non poteva averne certa scienza, se non se le
mostrava la sentenza, (per modo di dire) formata contro di lui; insomma feci
molte repliche con quella destrezza e riverenza che si conveniva, in modo
tale, che mi s'offerse 'di farmi leggere esso Decreto e che l'averebbe dato al
S. Card. Borghese a tale effetto, tenendolo la S. S. riposto in un suo scrinio.... »
Ma, ripeto, la forma precisa del decreto concistoriale a Mantova non si seppe mai.
na R AG AR
2 fAa
(GO ogle
654 GUIDO ERRANTE
Principessa sposa, poichè il matrimonio è validamente contratto e
per conseguenza non è più Cardinale ». Bisognava ormai tendere
con ogni forza allo scioglimento del matrimonio: ottenuto questo,
forse il Vaticano avrebbe cancellata la-sentenza e Vincenzo avrebbe
di nuovo goduti i benefizi ecclesiastici e gli altri vantaggi inerenti
alla carica.
Non è facile accertare se la parte di donna Isabella esercitasse
pressioni in Vaticano, per aver favorevole nel giudizio Paolo V; il
consigliere Alessandro Striggio, avvertendo un giorno Ferdinando
di certe trattative che passavano tra Bozzolo c Parma, soggiungeva: «.... ben può essere che questo si faccia per ostentatione
della S. di San Martino, che vorrebbe dar ad intendere di avere
adherenze, et appoggi per tener le sue cose in reputatione, che
perchè in realtà il S. Duca di Parma s’interni in simili affari, il
che si cava etiandio da certo tocco, che fa la detta signora nella
lettera, che scrive al Sig. D. Vincenzo dicendo, che la sua Casa
non è forse priva così di spinte e di aiuti, conv’altri crede.... ». È
evidente che il pontefice non voleva prender di fronte il duca, per
potenza ed ingegno e protezioni avversario temibilissimo; d’altronde, egli nè pure voleva transigere con la propria coscienza, ed era
consapevole della importanza di così alto verdetto, in un argomento per il quale assai rigide e intransigenti erano le norme
della fede e del diritto canonico: « .... essendosi altre volte più
presto lasciato perdersi il regno d'Inghilterra che dissolver un
matrimonio validamente contratto ».
Mentre dunque monsignor Soardi assillava il Santo Padre con
le argomentazioni giuridiche di Ferdinando e, dietro la guida del
suo signore, tentava di porre solide basi alla buona riuscita dell'imminente processo, don Vincenzo scontava a Goito la pena,
prigioniero quasi e in ogni sua mossa spiato, come risulta da quanto
un tal Bonfanini suo servitore scriveva a un ministro della corte
di Mantova, il 2 settembre del ‘16. |
« Sta la S. Ill.ma malinconichissima, nè per cosa, che sì dica,
si può cavargli pure un segno di allegrezza. Mostra col suo profondo pensare d'avere gran cose irresolute nell'animo. S'è dichiarata avere grandissimo dolore del disgusto c'ha S. A. avuto e di
questo solamente rincrescergli. Mercori mattina andò a messa dalli
Cappuccini e vi si trattenne più di due ore interrogando uno di
II. PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, Ecc. — 655
quei padri delle loro osservationi et maniera di vivere, gli fece
eHemosina et il dopo pranzo uscì poco di Camera. Giovedì che fu
ieri andò a Vespro pure al detto Convento, e vi si fermò ben tre
ore nel coro, e mi dice il S, Beccaguti ch’una sol parola dal dopo
desinare sino a sera gli uscì di bocca, sul tardi andò a spasso in
carrozza poco più d’un’ora, Cenò con più malinconia che mai, si
fece porre a letto et è levato alle undici ore, è stato a pescare, et
a messa di dove or ora è ritornato. Altro non so per adesso che
dire a V. S. Ill ma la quale supplico a non lasciare vedere le mie
lettere, con le quali se bene sò che mi salverò semipre la fede che
debbo al mio Padrone, tuttavia potriano essere interpretate molto
diversamente, da quella che è la mia intentione.... ». Anche quando
il principe fu ritornato a Mantova, allora che Ferdinando a Casale
tutto era preso dalle gravi cure della guerra del Monferrato, il trattamento del duca non era troppo largo e benevolo verso di lui.
Lo Striggio informava, che se non si fosse provveduto direttamente, Vincenzo avrebbe ricorso ai veneziani per aver denaro,
« Questo povero signore è agitato altrettanto dall’odio verso Donna
Isabella quanto fu già dall’amore, dice d’essere stato da lei burlato
e per quanto tien per sicuio ammaliato; egli è degno di gran compassione, se si riguarda il suo infelice stato presente; poi che in
questa absenza di V. A. non è alcuno nè della nobiltà nè della
plebe che, per dir così, gli guardi addosso. Le sue camere paiono
una solitudine et ì suoi servitori sembrano appestati, tanto sono
da ognuno aborriti. Egli non pensa ad altro che alla dissolutione
del suo infausto accasamento, et in ciò ha così fisso l'animo, ch’ogni
via che gli si presentasse d’uscirne, ancor che fusse asprissima, gli
parerebbe agevole ».
E a Roma andava intanto spargendosi la voce di angherie e
di soprusi patiti dal giovane Gonzaga. « Vogliono alcuni che Don
Vincenzo Gonzaga sia passato a servire S. A. poi che S. A. lo
maltrattava dopo il matrimonio, per il quale si vanno continovando
discorsi degli effetti che in poco servitio di quella casa può questa
risolutione portare.... ». Ma Ferdinando si schermiva dalla accusa,
e si lamentava aspramente della inflessibilità del Vaticano a suo
riguardo. » Potrete poi dire a S. S. che ben sappiamo esserli instillato che nostro fratello si mostri alieno dal matrimonio per timore di Noi più che per propria inclinatione, ma che stia sicuro
656 - GUIDO ERRANTE
sopra la parola nostra S. B. che il tutto è mera calunnia et che
non vi è paura in Don Vincenzo, nè anche riverentia; poi ch'egli
potrebbe andare a S. Martino se gli piacesse, anzi li soggiungerete
che ben può accorgersi la S. S. dal modo col quale sì tratta questo
negotio, che da noi ogni principio di violenza è lontano. Ben non
ci potiamo acquetar l’animo a vedere come ci si fa tanto caso costì
dell'errore di nostro fratello, che senza dar un minimo momento
di tempo a Noi di cergare quello, ch’abbiamo trovato, s'è venuto
a dichiaratione di privatione del Capello; non si faccia poi dimostratione contro i preti e frati consultori et conduttori di questa
indegna attione, et si favorisca il Conte Alfonso promotore della
Causa; il quale costì trionfa della bell’opera fatta, mentre meritarebbe esser castigato per essempio del futuro et per pena del passato, onde pare che il mondo concepisca, che tutta l’acqua sì sia
rovesciata adosso a questa Casa pur troppo aflitta, senza l’aggionta
di questi travagli et che gli altri se ne vadano esenti ».
E il Castelli, che a Roma avea nel frattempo sostituito monsignor Soardi, assicurava il papa che il principe non era affatto
violentato ed era libero di ogni suo atto e conveniva perfettamente
nel processo di scioglimento; senza il consenso di lui, del resto,
non si sarebbe potuto intentar la lite. E d’altra parte, in favore
del duca, sta una lettera sua al fratello, da Casale.
« Signor fratello. Io non lascio di proseguire in nome mio la
causa del vostro matrimonio, per la dissolutione per altro, che per
quello che intenderete dal Bardellone al quale restano alcune scritture in mano. Se si può con buona coscienza andare avanti, toccarà a Voi il farlo, et io vi assisterò di tutta la mia autorità, et
potere, ma guardate bene a non far cosa che sia contra l’anima
nostra, perchè qui non sì tratta di un peccato che possa ricevere
assolutione subito fatto, ma si tratta d’un errore, che vi costituìrebbe per tempo in colpa mortale, et in conscienza inhabile ad
ogni matrimonio. Voi siete prudente. Parlate col Bardellone et vedete le scritture et consultatele bene, che quando poi come m'accenna il Possevino (1) in una sua questa donna vi abbia con brutte
_ —————
(1) Antonio Possevino, medico; uomo di gran talento, ma storico falsario,
capace di inventar fin anche i documenti, qualora per un suo scopo ciò gli fosse
sembrato necessario. La sua Gonzaga è la storia ufficiale della casa.
- —
Il. PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, EUC. — 657
maniere alettato, il che è una spetie di violenza, a fare quello che
avete fatto, ci vogliono altri rimedî, perchè così non state bene,
né siete buon per questa Casa nostra, nè per noi.... ».
Finalmente, ai primi di dicembre, dopo la partenza del duca
per Casale, si comunicava al papa che il negozio era stato rimesso
completamente all’arbitrio del principe Vincenzo. Seguendo, dunque,
più che i fatti la ragion naturale delle cose (poi che anche i documenti non escludono che quei principi e quei ministri del Seicento
s’infingessero pur tra di loro), non può sembrar davvero necessaria
e nemmeno logica questa valuta violenza del maggior fratello sul
minore. Certo, la relegazione a Goito e le ristrettezze economiche
in cui ebbe a trovarsi Vincenzo non appena perdute le laute entrate ecclesiastiche, dovettero concorrere al suo ravvedersi. Ma
anche senza queste inevitabili conseguenze, egli si sarebbe ben
presto stancato della moglie; non avendone avuto figlioli, avrebbe
ben presto riconosciuto che la sciagura imminente sulla moribonda
casa doveva in parte addebitarsi alla sua leggerezza. |
Conoscendo ora come fin dal principio si siano disposti gli
animi e abbiano agito le persone, potremo seguir meglio le fasi
giuridiche del processo e i fondamenti ne’ quali avevano i due
fratelli riposto le speranze loro.
Ferdinando si diede tutto, non appena 16 concistoro ebbe dichiarato Vincenzo decaduto dalla dignità cardinalizia, alla prova
dell’ aftinità che assicurava esistere tra il fratello e la cognata e
che sarebbe stata di impedimento al matrimonio. Egli volle subito
« dar qualche lume » in proposito al pontefice e vantare, oltre i
gravi rispetti che lo muovevano, il « debito di coscienza », assillante per lui, che da sì indegna tresca era per esser « costituito
tavola del mondo e suggetto delle gazzette ». Instruì all'uopo il
suo residente presso la santa sede. « Direte dunque a S. B. che
mossi noi da un mormorio universale che correva con qualche
scandalo nella Città della suddetta parentela ché così bene non ci
conistava, volessimo intender in che grado erano queste case e trovammo che il S. Ferrante di S. Martino primo marito di D. Isabella
era in secondo grado di consanguineità col Signor Duca nostro
padre, perchè ebbe per madre la signora Emilia serella naturale
del S. Duca Guglielmo nostro avo e figlia del Duca Federico comun
stipite di queste due diseendenze o generazioni.... sicchè, venendo
6358 UIDI ERRANTE
Donna Isabella ad aver il medesimo vincolo del marito, viene a
restar in secondo .e terzo grado con nostro fratello come era il
predetto Ferrante, et il suo caso viene ad esser indispensabile per
aver essi proceduto a far il matrimonio, non solo senza precedere
le denonciationi o la licenza d’ometterle ovvero trascurandole, ma
con manifesto sprezzo del Vescovo di Cremona, dopo avergliele
negate come ne abbiamo attestatione » (I).
Chiara, in tal caso, la disposizione del concilio di lento,
Sess. 24, cap. 5: « Si quis intra gradus prohibitos scienter matrimonium contrahere praesumpserit, separetur, et spe dispensationis
consequendae careat, idque in eo multo magis locum habeat, qui
non tantum matrimonium contrahere, sed etiam consumare ausus
fuerit. Quod si ignoranter id fecerit, si quidem solemmitates requisitas in contrahendo matrimonio neglexerit; eisdem subijciatur
poenis. Non enim digitus est, qui ecclesiae benignitatem raciie
experiatur, cuius salubria praecepta temere contempsit ». E assicurava Ferdinando che la prova dell’affinità era più che certa, constando per testimoni vecchi di 70 ed 80 anni; e molti attestavano
di averne sentito parlare dal cardinale Ercole e da don Ferrante,
zii dì Emilia e fratelli del duca Federico suo padre, e di aver veduto detta signora da costoro trattata come nipote: e il signor
Fabio Gonzaga, figlio d’Alessandro e fratello di Emilia, diceva di
aver udito il padre e i servitori vecchi di casa affermar ciò: mentre
la fama publica e universale che era sòrta in Mantova, concorreva
alla sicurezza del fatto (2).
l'na seconda difficoltà, e di diritto, il duca cercava di prevenire e di sopprimere: quella che poteva trovarsi in un’altra disposizione del concilio di Trento, sess. 24, cap. 4: « Praeterea Sancta
Svnodus, eisdem, et aliis gravissimis de causis adducta, impediÈ)
(1) Doc. HI; Doc. II
(2) Per orizzontarsi in questo ginepraio di parentele, sarà bene tener sott'occhio il breve albero genealogico, dimostrativo della voluta affinità, fornito
dal duca stesso al Bonatti in una lettera del ro ottobre 1616.
FEDERICO duca et IsaBELLA BOSCHETTA sua donna
GUGLIELMO — primo grado -- EMILIA
Vincenzo — secondo grado -- FERRANTE marito d' ISABELLA, maritata
VINCENZO — terzo grado — adesso in ViNncENZO.
© —
IL PROCESSO l'ER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 659
mentum, quod propter affinitatem ex fornicatione contractam, inducitur, et matrimonium postea factum dirimit, ad eos tantum, qui
in primo, et secundo gradu coniunguntur, restrinsit; in ulterioribus
vero gradibus statuit, huiusmodi affinitatem matrimonium postea
contractum non dirimere n.
Ora, Vincenzo era in terzo grado d’affinità con Isabella e la
parentela procedeva da fornicazione: ed ecco che Ferdinando instruiva il Soardi in ‘proposito. « Sarete avvertito che il Concilio
a punto parla chiaro dell’ affinità che propriamente è quella che
nasce tra l’uomo et i parenti della donna conosciuta o della donna
con quelli dell’uomo, ma non della consanguineità la quale è tra.
i discendenti di un medesimo capo, ancorchè venissero da copula
illecita di quel primo. Se bene essendo queste materie assai più
trite costì che qua, non crediamo che possa cader questo dubbio
in alcuno » (1).
Or ecco che, nella prima fase e poi via via nel corso di queste
trattative tra Mantova e Roma, una serie di indizi sta a dimostrare
la mala fede di Ferdinando e la incertezza delle sue argementazioni. Adducendo una « sospitione gravissima » contro il vescovo
di Mantova, Francesco Gonzaga, egli supplica il pontefice a voler
commettere la causa ad altro prelato e si dichiara favorevole alla
nomina di monsignor Sacrati e alla pronta spedizione della causa:
1 testimonî son decrepiti ed egli teme non ne sopravvenga la morte,
prima che sia messa in chiaro « la verità suddetta, con perpetuo
pregiuditio dell'anime degl’interessati e della prole che nascesse ».
Minacce e rimproveri si muovono a un tal Ghini, avvocato di molta
vaglia, perchè scrive motivazioni in favore di donna Isabella (2).
Deputando inoltre ii Vaticano a Vincenzo un giudice della Rota e,
poi che questo giudice dev’ esser confidente dell’ una parte e dell’altra, essendo necessario di accordarsi con il rappresentante di
(1) Doc. III. |
(2) Ferdinando, informato che il Ghini patrocinava la causa d'Isabella, avrebbe
voluto corromperlo ; ma il Soardi lo richiamò alla realtà delle cose. « Spero di
* persuaderlo {il Ghini] in maniera, che li gioverà di credere di non porre peona
« dove non li tocca; ma quanto al ritrarlo dall’Avocatione già cominciata a fa-
« vore del Conte, non l’ho per così facile, che li parrerebbe di commettere
« mancamento di fede, mentre le siano confidate le ragicni di una parte e pas-
« sare poi al servizio dell’altra e qui sarebbe riputato indegno di mai più avocare ».
660 GUIDO ERRANTE
donna Isabella, Alfonso di Novellara (1), e di citarlo per ciò ad
concordandum de Iudice, il Castelli suggerisce al duca un rimedio
contro la intransigenza del papa: Ferdinando mandi pure la lista
degli auditori confidenti; egli chiamerà Alfonso « come per ufficio +,
lo pregherà di esaminare la lista e dichiarar quindi gli auditori
suoi diffidenti o confidenti, perchè non possa dubitare che gli sia
« usata violenza o fatto pregiudicio alcuno »; in tal maniera, intanto, si verrà a conoscenza degli auditori ne’ quali la parte ‘contraria diffida o confida: così conclude il Castelli. Ancora: quasi
intuendo il pericolo, Ferdinando vuol evitare perfino che Vincenzo
faccia istanza di commetter la causa alla Rota e spera che possa
sostituirlo in ciò un estraneo (tal Francesco di Pace), come se si
trattasse d’incesto (2).
Il papa ebbe a dolersi più volte delle irregolarità evidentis-"
sime nel procedere dei fratelli Gonzaga: « trattandosi di ‘matrimonio tra Principi e di tanta importanza », come superiore del
concilio, egli avocò a sè « la facoltà di commettere la cognitione
(1) Alfonso, conte di Novellara, arcivescovo di Rodi, fratello di donna Isabella:
fu patrocinatore della sorella presso la S. Sede per tutta la durata del processo.
Il Soardi, da Roma, scriveva al duca nel giorno dell'arrivo di Alfonso: « .... que-
« sto, di sicuro, posso scrivere a V. A., che la Corte non l’accoglie a quel ‘modo,
che s'era vociferato, anzi come poco gustata, lo lascia con afflitione d'animo,
non ricevendo da’ Cardinali dimostratione di sorte alcuna, lasciandosi loro
meco intendere, che molti rispetti li tengono a ciò obligati, ma in particolar
modo, quello che devono alla persona di V. A., mostrand’ ognuno di stimar
più una scarpa di lei, che tutta la Casa del Conte Alfonso ».
(2) I Gonzaga avevano anche fatto eseguire a Mantova l'interrogatorio de’
testimoni, che avevan risposto affermativamente ai quesiti di prova intorno alla
pretesa «affinità: ma, mon essendo avvenuta ia citazione della parte contraria, le
disposizioni non ebbero valore alcuno. Eppure a Mantova avevan cercato di dar
agli esami testimoniali un'apparenza di legalità. In testa al verbale è la data del
giorno in cui i testimonî vennero interrogati e il nome del pretore. A capo dell'esame di ogni singolo testimonio, è il nome di questi: terminato l’esame, lo
s' interroga per concludere con le seguenti formule: « Interogatus de causa scien-
« tiae (come ha saputo le cose dette:?); Interogatus de loco et tempore (dove e
« quando le ha sapute ?); Interogatus de contestibus (chi può esserne ancora in-
« formato?); super generalibus et recte (l’età, gli averi del teste; se ha deposto
« secondo verità e non secondo amore, timore, ira o odio) », In fondo al verbale è la firma del notaio, con il timbro del tabellionato; 3 questa firma è autenticata dalla cancelleria del Senato. - :
RR A_A ,
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 661
alla Rota » (1). Acerbi rimproveri mosse Paolo V a Vincenzo, contemporaneamente, perchè questi manteneva in Mantova una donna
e usava carnalmente con lei. « .... il matrimonio è valido o invalido, se valido, conviene al S. D. Vincenzo, come Principe Christiano, unirsi con la moglie, altrimenti facendo pecca mortalmente;
se invalido, è tenuto a metterlo in chiaro con la ragione, per non
dare al mondo esempio scandaloso di avere presa moglie e poi
lasciarla da sè sola ».
La questione giuridica era di prova: perchè risultasse l’affinità, occorreva dedurre « l’accesso del duca alla madre d’Emilia
e l'assenza del marito in quel tempo da lei ». Ma il conte Alfonso
confidava al papa i tre fondamenti con cui si riprometteva di ribatter quelli della parte contraria.
1°) Emilia, pretesa figliola del duca Federico, era nata di matrimonio; e risultava che a quel tempo Francesco Calvisano, marito d’Isabella Boschetta, pretesa amante del duca Federico, era
presente.
2°) Il signor Carlo Gonzaga, che aveva sposato Emilia, era
congiunto in terzo grado di consanguineità col duca Federico; e
non avrebbe potuto pigliar Emilia per moglie, se fosse stata figliola
di esso duca, senza far precedere regolare dispensa dalla sede
apostolica.
3°) Emilia, andando sposa, aveva rinunciato ai beni materni
e paterni; dunque, codesta rinuncia era prova della paternità del
Calvisano (2).
Ferdinando opponeva: « Non ci pare di lasciar senza risposta
le tre considerazioni rappresentate dal Conte Alfonso a S. S.; acciocchè non trovino tanta approbatione, mentre si passino senza
toccarle. La prima di quali, che si cava dal calcolo di tempi della
concettione et nascita d’ Emilia, onde s’inferisce che il Calvisano
(1) Doc. VI.
(2) Donna Isabella mandò a Roma scritture e lettere del cardinal Ercole e
del duca Guglielmo, che provavano la rinuncia d’Emilia ai beni paterni e materni: il Soardi allora rispose: « che la rinuntia si doveva intendere nella più
« valida forma, cioè de’ Paterni del Duca, essendoli stati confiscati quelli del
« marito della Madre [del Calvisano] ». Ma il papa confutò, osservando che la
rinuncia era del 1522 e la confisca del 1528.
Arch. Stor. Lomb., Anno XLITI, Fasc. IV. 43
662 GUIDO ERRANTE
habebat accessum allora alla madre di Emilia, perchè non bandito,
par che patisca grande obietto, poichè è da considerare che l’Isabella Madre d’Emilia era stata avuta Vergine dal Duca Federico
et che di cinque anni prima dell’ Emilia era nato d’essa Isabella
Alessandro, figlio indubitato del Duca Federico, che così era comunissimamente trattato et riputato, onde con la continuatione di
quel concorso è verisimile che nascesse anco l’ Emilia dal medesimo Duca, potendo ogni uomo sensato considerare se era cosa
probabil che un marito persona privata s’ impacciasse con la moglie dove praticava un Principe, qual faceva tanto conto dei figli
che d’essa nascevano et come questo è fuor d’ogni credenza, così
non possiamo persuaderci che non sia per indur l’animo di S. S.
a sentir con noi questa verisimilitudine. Quanto al secondo, che
rinunciasse l'Emilia nell’instromento della Dote ai beni paterni et
materni, anzi si ritorce benissimo questa consideratione, perchè
non avendo allora il Calvisano beni di nessuna sorte per esserlì
stati confiscati era in rispetto di lui soverchia questa rinuncia, onde
si deve piutosto verificar nel'vero Padre il Duca Federico, acciochè
non parino affatto inutili quelle parole quali applicate al Calvisano
riescono omninamente di nessun effetto. Rispetto poi al 3°, sopra
di che si fa gran festa, cioè che essendo Carlo congiunto in terzo
grado di affinità col Duca Federico, non avrebbe potuto pigliar
l'Emilia per moglie senza Dispensa, non ci par così urgente che
non abbi buona risposta, attesochè ci può esser stata veramente
la dispensa, se bene sin qui non se ne sia avuta notitia. Ma inoltre
essendosi allora nanti il Concilio di Trento, nel qual tempo le cose
andavano molto rilasciate, non si curavano queste dispense, et da
molti essempi si cava che se ben nanti il Concilio eran seguiti
matrimonj fra parenti di grado prohibito, non di meno‘non ne era
richiesta dispensa; oltre che poteva esser data in voce, che la
scrittura non è d’essenza della dispensa ».
Ma ancora altri dibattiti sorsero tra le due parti. Il conte Alfonso non chiudeva mai l’infinita serie delle sue dimostrazioni. Una
storia mantovana di Cesare Campana publicata nel 1590, mentre
poneva l’albero genealogico del Calvisano, attestava aver l’Isabella
avuti da lui sei figlioli, tra i quali penultima Emilia; e questa storia
da ventisei anni era stata approvata, non solo, ma al serenissimo
Vincenzo duca dedicata. La famiglia Gonzaga di Gazzuolo, poi,
—--
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. — 663
conservava un secondo albero genealogico, dove si dichiarava la
nascita di un figlio naturale, Alessandro, dal duca Federico e dalla
Boschetta; dunque, se Emilia fosse stata figlia naturale di Federico, non sarebbe stata posta nell’albero genealogico del Calvisano,
ma in quello dello stesso Federico. In due lettere del cardinal Ercole, in data del 12 maggio 1552 e del 15 marzo 1560, detto cardinale avea chiamato Emilia cugina, e l’avrebbe invece dovuta chiamar nipote, riputandola figlia del fratello; perchè la definizione
della parentela si prende dal grado più vicino della consanguineità
e non dal più lontano dell’ affinità; il quale ultimo aveva Emilia
acquistato sposando Carlo Gonzaga.
E il duca inviava a Roma pareri su pareri: interminabili eran
veramente le sue considerazioni. Così: il Calvisano stesso più volte
aveva confessato, che l'Emilia non era figlia sua, bensì di Federico
e della moglie Isabella; e Carlo Gonzaga non l’avrebbe giammai
sposata, s'ella non avesse potuto vantare i suoi illustri natali; e
in certi atti pubblici e in certe occorrenze Emilia non era stata
sempre nominata per figliola del duca Federico, al solo scopo « di
preservar l’onore et reputatione di detta S.'a Isabella et della Casa
sua apparentemente più che fosse possibile n. Quest'ultima congettura di Ferdinando mal si concilia con le altre già formulate.
Anche la regina madre di Francia, Maria dei Medici, mandò
in Vaticano un parere della Sorbona; e l’alto consesso si adoperò
del suo meglio ad avvalorare e assodare tutti gli argomenti possibili, in favore dei reali nipoti. Il parere, firmato da tre avvocati
e in data del 15 novembre 1616, da Parigi, sarebbe un bell’esempio di ricerca giuridica, se non vi fosse a volte troppo palese
un ostinato senso di parzialità. Ne scorriamo rapidamente il contenuto. « .... quoties minor vigintiquinque annis ad matrimonium
reperitur illicefactus blanditijs mulierum, annis vigintiquinque
majorum, inscijs parentibus vel propinquis, et cognatis (quae sunt
ipsamet verba lacobi Cujacij ad titulum Cod. De rept. virg.); toties
adversus huius modi foeminas, ut criminis raptus reas, vigor iudicialis insurgat, et ista vincula ut illegittima, et vere contubernia,
et quaevis alia. potius quam matrimonia disrumpat.... ». È si citano,
in proposito, alcuni decreti della curia parigina e delle altre curie
di Francia, « .... quibus nostris constitutionibus et Senatusconsultis
non solum inter minores annis, set etiam inter majores damnata
664 GUIDO ERRANTE
sunt omnia clandestina matrimonia.... ». E la pena inflitta da codeste costituzioni e da codesti senatoconsulti, si spinse quasi sempre
fino all'annullamento. « .... Nec enim ad tanti mysterij} complementum quod conjunctionem inter dominum nostrum et suam sanctam
Ecclesiam significat, et habet in se Christi et Ecclesiae sacramentum (ut ait Leo primus Epistola 92 ad Ruffinum) sufficere existimamus, solam sacerdotis benedictionem, sed illam praecedere necessario debere, omnes a Dei Ecclesia statutas solemnitates, alioqui,
ut ait idem Leo, non omnis mulier viro iuncta uxor est viri; ut
nec omnis filius heres est patris.... n. Ci si riferisce qui dunque
alla omissione delle publicazioni e delle solennità prescritte dalla
chiesa. Si passapo poi in rassegna le prove e il valore dell’impedimento proveniente dall’ affinità; e, si conclude, che nel caso di
Vincenzo e Isabella, non deve esser accordata dispensa; «... quae
intra Principes debet concedi ob solam causam publicam et bonum
quietis.... ». Invece, nel predetto caso, è proprio il matrimonio che
sta contro la publica salute e il bene della pace: perchè occorrerebbero figlioli; « .... prosperae autem existimari non possunt
nuptiae initae inter viginti duorum annorum-adolescentem, et illam cujus octavum trepidavit aetas claudere lustrum, liberorum sex
matrem; jam effoetam et ad senectam vergentem.... ». Si aggiunga
a ciò la disparità delle due case, e si vedranno le moltissime ragioni per cul « .... propinqui Domini Vincentij coniunctionem illam,
ut per omnia et in omnibus imparem, abhorrent, et execrantur.... ».
E pur vero che fu scritto: quos Deus conjunxit homo non separet;
« ... sed existimare non debemus Deum conjunxisse illos, qui solemnitates ab ejus Ecclesia statutas; circa matrimonij dignitatem
et Santi Sacramenti reverentiam insuper habuerunt.... ». E si ricorda quanto anche la corte di Francia disdegni ed aborrisca un
tal matrimonio. « .... Quae omnia non minus acriter urgent Rex
Christianissimus, cujus Dominus Vincentius vere gloriatur esse
consobrinus, et Augusta regis Christianissimi parens domini Vincentij matertera, qui matrimonium illud praetensum non dedignantur solum, sed abborrent.... ». ll parere si chiude, asserendo che
in qualunque corte suprema della Francia, il matrimonio tra Vincenzo e Isabella sarebbe dichiarato nullo. Insomma, la Sorbona
esamina i già noti argomenti delle pubblicazioni e solennità omesse,
nòn che dell’affinità. In principio soltanto, si ferma sull’idea del
- -
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 665
mancato consenso, che potrebbe costituire un impedimento nuovo:
non però sciogliere un matrimonio già consumato. Infatti il concilio
di Trento (sess. 24, cap. 1) così dispone: « Tam etsi dubitandum
non est, clandestina matrimonia, libero contrahentium consensu
facta, rata, et vera esse matrimonia, quamdiu Ecclesia ea irrita
non fecit; et proinde iure damnandi sunt illi, ut eos sancta Synodus anathemate damnat, qui ea vera ac rata esse negant, quique
falso affirmant, matrimonia, a filiis familias sine consensu parentum contracta, irrita esse, et parentes ea rata, vel irrita facere
posse: nihilominus Sancta Dei Ecclesia ex iustissimis causis illa
semper detestata est, atque prohibuit ». Riferendosi ai tempi, non
parrà assurdo che un alto collegio giurisdizionale ponesse, tra argomenti giuridici, il fatto della necessità di un erede e la disparità delle case, o le istanze del re cristianissimo,
Per concludere, sia che il ricordato paragrafo del concilio di
Trento, annullante, ne’ riguardi del contrar matrimonio, l’affinità
proveniente da fornicazione, rendesse insufficiente l’ impedimento
vantato; sia che gli accennati argomenti di prova non fossero ritenuti validi dal Vaticano, la corte di Mantova dovette rassegnarsi
alla sconfitta. Paolo V aveva parlato con franchezza: « .... che
non poteva ricusare d’amministrarle giustitia, facendone come faceva instanza, ma che la poneva bene in consideratione dovere
riuscirle difficilissima ». Il duca s’intimorì, la causa non fu commessa alla Rota e ci si soffermò in lungaggini procedurali, non
bastando l’animo ai due fratelli di ritirarsi apertamente dalla lotta.
Verso la fine del dicembre, lo Striggio delineava in una strana
lettera il contegno che si sarebbe dovuto tenere e che realmente
poi tennero i Gonzaga « .... quanto alla deputatione del giudìcio,
si vedrà di andare temporeggiando; nè si lascierà di far qualche
cosa, per non confermar la voce sparsa dalla parte che ci siamo
arrestati nel corso per aver conosciuta la debolezza delle ragioni
nostre. La qual voce rifertami dal S. Don Vincenzo mi giova più
credere che sia stata da quei di Bozzolo publicata ad arte per
veder se per questo mezo potessero muovere di passo; poichè
nessuna cosa a mio parere più li tormenta, che il ritenerlì in questo stato d’ambiguità e d’incertezza; essendo simile lentezza vero
flagello d’ un animo ambitiosamente appassionato, a cui suol rendersi ogni indizio insoffribile di conseguire ciò che strabocchevol
666 GUIDO ERRANTE
mente brama: e mi sovviene di quel pensiero del Boccalini che
per far confessare ad un Poeta Francese certo delitto, non avendo
giovato nè la corda, nè il fuoco, nè altro più grave tormento, dice
ch’ Apollo lo fece porre sopra un cavallo pigro e magro, senza
c’havesse nè sferza nè speroni: onde vinto dal tedio subito confessò. Mi perdoni V. A. se forse con dicerie spropositate la trattengo, chè ciò m’è uscito inavvertitamente dalla penna.... ». 1 Gonzaga si dimostravan così persuasi che la parte di donna Isabella
era certa di vincere; se le attribuivano questo febrile desiderio di
terminare la causa. | i
Nel febbraio del 1617, il papa avendo ammonito Vincenzo, affinchè si riunisse alla moglie, Ferdinando mal riuscì a contener
l’ira che lo tormentava, e i già vantati scrupoli gli serviron di
pretesto al rifiuto dato circa la riunione de’ coniugi, alteramente.
« In proposito dell’ufficio che il Papa ha passato con Noi per
mezo vostro perchè c’interessassimo del S. D. Vincenzo nostro
fratello accio egli si riconcigli con D. Isabella, direte per parte mia
a S.S. che non possiamo in questo ubbidirla con quiete della conscienza nostra, essendo Noi certificatissimi dell’affinità che passa
fra loro et dell’impedimento giustissimo sul quale hanno contratto
così infausto e scandaloso matrimonio, et se bene con prove giudiciali non si è fatto ciò sin qui sufficientemente constare a S.S.
non è perchè la verità non sia tale et non potendola Noi in conscienza nostra dissimulare, siamo ritenuti da giustissimo rispetto
dal passare quegli uffici, che da persone appassionate et partiali
sono suggeriti alla S. S., alla quale soggiongerete di più, che nel
proseguir il processo giudiciale ci saressimo sin qui mostrati più
pronti et ardenti, se havessimo scoperto nella S. S. l’animo più libero in questa materia, non già che dubitiamo della sua pia et
santa mente, ma perchè ogni dì più scorgiamo che si sia lasciata
guadagnare dagli uffici della parte et che dandosi a credere di
favorir la giustitia della causa et di far il servitio di Dio et degli
animi degli interessati, si sia resa per così dire partiale della parte
di D. Isabella, et ben sa S. S. ch'essendo le prove nei giudici per
lo più arbitrarie massime dove dipendono da fatti antichi et occulti
nei quali è necessario di dar gran parte alle congetture, è cosa
pericolosa l’arrischiarsi al giuditio di chi quasi si dichiara di sentir
fl caso diversamente et di chi mostra sotto apparenze, o fors’anche
—
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 667
con intimo e verace senso di charità, di credere che stia differentemente da quello che si racconta et certo se non ci fossimo trovati sin quì in questa ambiguità et sospensione, vi diciamo liberamente et lo significarete a S.S. che con animo più ardito avremmo
proseguito la processura giudiciale da cui ci diamo a credere haveremmo mostrato con quanta ragione teniamo abhorrente l’animo
da questo matrimonio et con quanto interesse siamo tenuti di procurar con ogni nostro potere, che sia, come è in effetto, dichiarato
nullo, et perchè S. S. vegga quanto fuor di qua sia stato male inteso, vogliamo che dopo aver vedute le copie delle lettere di Francia
che ne mandiamo scritte in questo soggetto concertiate col s. Cardinale Orsino et col s. Amb. di Francia come s’habbiano a presentar le loro alla S.S. et al s. Card. Borghese, potendosi sperare
che mossa dall’efficacia di così gagliardi et ardenti uffici sia per
piegarsi a sentir con l’animo più libero dalle passioni et suggestioni della parte quello che ci occorrerà di rappresentarle con
filiale confidenza in questa importante materia più grave assai et
di conseguenze maggiori di quello che la S. S. si possa per se
medesima imaginare et Dio voglia che il tempo non lo mostri con
sinistri et irrimediabili successi, che non potranno essere a lei ancora se non di grandissimo dispiacere. Procurerete dunque, con
gli uffici vostri et con l’aiuto delle lettere che vi si mandino di
disporre l’animo di S. S. a deponere quell’affetto che mostra tanto
favorevole verso la parte di D. Isabella, assicurandola che non è
questa la via di far alcun bene per lei per l’alienatissima voluntà
che Don Vincenzo tiene della sua persona et quando ci avisarete
ch’ella abbracci il negotio per la via giudiciale con intentione di
favorire dentro ai dovuti termini la nostra giustitia, all’hora ci risolveremo di mandar persona espressa a Roma con le scritture
ad informarla di quella verità che teniamo per sicurissima, essendoci questa sola et unica strada di sortirne bene da questo intricato negotio, nel quale siamo tenuti d’insistere per tutti quei rispetti che possono essere ben noti alla S. S. la quale se ama la
quiete di questa Casa, deve premere nella dissolutione di questo
matrimonio, in quanto ella conosca che per giustitia favorita si
possa fare poco all'ultimo, dovendo ciò importare a D. Isabella
che non è la prima si trovi aver contratto matrimonio ignorantemente con impedimento di affinità o consanguineità, nè questa è
668 GUIDO ERRANTE
uua giovanetta a cui debba pesare di star senza marito et che non
abbia a curar più la vita et la quiete propria con la sodisfatione
dei figli et del capo della casa sua, che l’interesse di trovarsi maritata senza marito, malveduta et abborrita da Parenti et soggetto
per sè et per altri a mille sinistri et infausti accidenti, alla quale
consideratione se S.S. averà l’occhio, siamo certi che non si lascierà lusingare da uffici di apparente honestà, ma che mirando
al publico et privato commodo della parte et sopratutto, alla quiete
nostra et della nostra Casa, ci piglierà quei partiti che attenderemo
dalla sua molta prudenza. Avertendovi sopra tutto che il Papa non
venga in questo, di commettere la causa in Rota ovvero a’ Tribunali ordinarij, perchè restando, come vi dicemmo, gran luogo all’arbitrio, desideraressimo o che fosse immediatamente conosciuta
dalla S.S. ovvero da giudici molto confidenti, et con propositi di
conseguire dove la giustitia ci arrivi con ogni favorito mezo quel
fine che si desidera come dirizzato al servitio di Dio, alla sicurezza
della conscienza, alla tranquillità delle parti, a schivar maggiori
scandali et a recar a Noi et alla Casa nostra senza altrui considerabile pregiuditio tutto quel maggior benefficio che hoggidì possiamo ricevere dalla sua paterna benignità, altrimenti quando non
saremo assicurati di questa buona dispositione, non ci risolveremo
di passar più inanti ne d’impegnar di vantaggio la nostra reputatione lasciando per il resto che il tempo mostri la christiana nostra intentione et saremo stati presaghi di quegl’'avvenimenti a’ quali
pure ci persuade la nostra pietà di ovviare in quanto humanamente
si possa » (1).
Ferdinando dichiarò in seguito di non volersi più interessare
del tristo negozio, che tanto lo aveva angustiato; nel febbraio del
. 1617 celebrò le nozze con Caterina de’ Medici, mentre Vincenzo
entrava nell’ esercito spagnuolo (2), che avea posto l'assedio a
Vercelli. Ma anche durante questo periodo di sosta, non si placò
(1) La lettera, in data del 16 febbraio 1617, è come al solito diretta al
Soardi. i
(2) Vincenzo, alle congratulazioni giuntegli nell'agosto per gli onori riportati alla presa di Vercelli, così rispondeva « .... Vorrei però anche che S.A. cre-
« desse chè il stimolo c'ho del mio nascimento e del desiderio sia tale, che
« senza prendere essempio dall’ attione altrui io sia per incontrare qualsivogli
« pericolosa occasione purchè sia per risultarmene onore ».
© -
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 669
l'odio dei due fratelli e la povera Isabella ebbe a patire nuove
ingiurie e a soffrire nuove minacce. Dubitando ella, verso la fine
del 1616, d’essere incinta, il duca volle costringerla prigioniera in
una delle sue ville, fino a che o non si fosse sgravata o ogni sospetto di gravidanza non fosse scomparso. Temeva la principessa
che si volesse persino insidiarla nella vita: ma in una lettera a un
parente di lei, il duca seppe così bene giustificarsi e fece balenare,
molto dall’alto e con una superbia davvero ducale, così buone speranze nel caso di parto, sempre che la cognata avesse ubidito,
che donna Isabella cedette. Ecco la lettera di Ferdinando, in data
del 17 aprile 1617 da Mantova.
« Non ha la Principessa da ricusare il partito, che se le propone, sotto pretesto di diffidenza, poi che io sarò pronto a prometterle ogni sorte di sicurezza, et venendosi a questo, dica ella
a V. E. in qual forma la desideri, et me ne avvisi, che le darò
ogni conveniente sodisfattione, oltre che dovendo venir accompagnata dalla sua servitù et da alcuno dei suoi parenti, che la assisteranno nel mangiare, et in ogni altro servigio, se non di quella
forza aperta, che nè da mio fratello nè da me se le potrebbe usare,
contro la fede datale, senza esempio di barbara crudeltà et con
| dishonorevole mancamento. Nè si lasci trasportare da pretesto vano
di honorevolezza, poichè ciò potrebbe forse aver luogo se ella trattasse con inferiori, o con pari, ma non col capo della sua Casa et
‘se più di questo non l’avesse a movere il fine di non arrischiar
ad inconvencibile incertezza il parto, che di lei nascerà, et a farlo
abhorrire, come sospetto dal Padre, che questa apparenza di reputatione quale si sia di dover partorire in casa propria. Ricordi
V. E. alla Principessa, che non disdice l’usar ossequio (massimamente verso i maggiori) a chi ne pretende cambio da essi di maggior gratitudine, et che se bene mediante la dispositione delle leggi
potressimo mio fratello et lo liberarci con atti giuridichi da queste
brighe, a ogni modo ci sodisfarà sempre più di vedere, che tutto
passi per via piacevole, et quale sì convenga all’honorevolezza di
tutte le parti, poichè protesto alla Principessa, a V. S. et a Dio,
che conosce il cuor mio, che nessun altro fine mi muove a pro»
curar queste diligenze che quello per sodisfattione mia, et del
mondo, della certezza del parto, che assai più doverebbe essere
procurata dalla Principessa medesima che da me, risolutissimo per
670 | GUIDO ERRANTE
altro di lasciar a Dio et alla Giustitia il merito della Causa Matrimoniale, acciò segua quello che sarà di ragione et che sarà desti.
nato S. Div.na M.ta Venendo la Principessa in casa mia, li offro di
spesarla con li suoi, mentre ci starà, et quando lo ricusi, o ciò le
apporti alcun sospetto, provvegga ella diversamente, come le pare,
che lascierò si sodisfaccia ella in ciò secondo il suo gusto ».
Isabella temeva tuttavia ancora, essendo incerta delle sue condizioni, di rendersi ridicola se dopo essere stata prigioniera e aver
attirato sopra di sè l’universale attenzione, se ne fosse dovuta tornar
a casa senza aver partorito. Pregò dunque le si rilasciasse una dichiarazione, come un ordine scritto: avuto il quale, si rimise ai
voleri della corte. Pare, dalle sue lagnanze, che la trattassero con
molta severità e che la sorvegliassero assai aspramente. Ferdinando
non transigeva; e bast» a persuadercene questa specie di decreto,
spiccato contro la irrequietezza della bella prigioniera.
« Potendo il Serenissimo Signore il Signor Duca di Mantova
e Monferrato avere alcun ragionevole sospetto, che la Signora
Donna Isabella di San Martino, sotto pretesto di andar a spasso
in carozza a sei cavalli, possa un dì all’ improvviso ritornarsene
in sua casa, contro l’intentione data, di non partire, sino all’essito
dell’ imminente parto, attese massime le molte doglianze fatte da
lei con lettere et in voce di essere con troppa stretezza trattata,
se bene non si sia mai ecceduto il termine prescritto dalle legg
in caso simile: e volendo l’A. S. come mossa da giudte cagioni
assicusarsi di ogni sospicione, che non abbi détta Signora a partire senza suo consenso, ha ordinato prima di risolvere alcuna
cosa, che dalla sua Consulta sia veduta, e bene considerata quella
scrittura, la quale fu stabilita e sottoscritta da S. A. sotto il Gis;
quando essa si transferì a Gazolo, protestando l’A. S. di non voler
far cosa, per la quale in alcun tempo dir sì potesse, c'habbia mancato di parola a S. E.
« È perciò venuta in parere la Consulta, doppo matura consideratione, che in virtù della sodetta scrittura sia in obligo la Signora Donna Isabella di fermarsi in Gazolo, pendendo questo parto,
et in conseguenza mentre voglia S. A. provedere ad ogni accidente,
che potesse perciò seguire, sia in libertà, senza mancar ponto di
cosa alcuna promessa in detta scrittura, di mettervi per guardia
formale quella quantità di soldati, che le piacerà, i quali di con
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 67I
tinuo in ogni loco e tempo assistano alla persona di S. E. a cui
di più S. A. possa far sapere, che per l’avvenire non le sarà permesso di uscire fora di Gazolo, o per andare a spasso, o in altra
maniera, sino a tanto non sia cessata l’occasione del parto, ma
bene potrà andarsene per la terra col farsi portare in seggetta,
ovvero in carozza a due cavalli ».
Se non che, ogni speranza di parto perdutasi, Isabella fece
ritorno alla sua casa, ancor più triste a angosciata,
Nè pure avevan tralasciato, a Mantova, di tentar la via della
persuasione, a distoglier la principessa dall’ esigere la conferma
del matrimonio.
E da principio tanto ella si avvilì, vedendosi così maltrattata,
che promise di non opporsi alle mene del marito e del cognato.
Al dottor Ciriachi, mandatole da Vincenzo con dichiarazioni almeno
poco benevole come questa, per esempio, che « quando si voglia
persister [nel matrimonio] può correr rischio della persona et vita,
ma non mai sperar di guadagnar l’animo di S. E. et meno quello
di S. A. », rispose « che se lei è stata sin’hora ferma nel voler il
matrimonio, l’ha fatto credendosi che ciò fosse di sodisfattione di
S. E., et per non essersi mai dichiarato tanto inanti, ma che adesso
che intende il senso libero d’esso S. Principe non premerà più
oltre in esso matrimonio, poi che non essendo curata la sua persona, nè lei ha da curar quella del Si. Principe et che da qui inanti
non si opponerà punto al Giudicio d’invalidità, ma lasciarà che
camini senza nessun intoppo quanto alla parte sua, soggiongendo
però qualche parola di sdegno nel vedersi così poco prezzata ».
Ma sia che allo sconforto seguisse lo sdegno, sia che i suoi parenti la esortassero a non cedere, fece Isabella più tardi sapere
ch’ella era ferma a continuar la lite; altrimenti facendo, i suoi di
casa le avevan dichiarato « che non la lascierebbono al mondo ».
Le ambascerie presso Isabella eran però di iniziativa del principe.
Ferdinando le disapprovò da Casale, dichiarando i due mali effetti
che ne temeva. L’uno, che mostrando essi desiderio di far cedere
la parte, donna Isabella li potesse creder privi di quanto occorreva
a conseguir l’intento; l’altro, che considerando la debolezza delle
ragioni a lei contrarie e la risoluta volontà di Vincenzo, donna
Isabella si potesse mettere in guardia e dubitare « che ove mancava la ragione non si fosse per ricorrere alla forza ».
672 GUIDO ERRANTE
Per tutto il 1618 e il 1619 il negozio languì, pur non affievolendosi le speranze e non placandosi il rancore di Ferdinando e
di Vincenzo. Ma Caterina aveva abortito una volta, nel primo anno
di matrimonio; ogni dì cresceva la sua pinguedine, e sempre più
si dileguavan gli affidamenti di aver prole da lei; invano si sdilinquiva ella in lettere appassionate a far protesta di « visceratissimo
amore » (1). Si dovette pensare ancor una volta a Vincenzo, e tornare al partito, di tentar il possibile, una seconda volta, pur che
fosse dissolto il suo matrimonio (2).
(1) Caterina, entrando nella corte di Mantova dopo le avventure di Ferdinando con la Faa, ha l’animo grave di gelosia e di sospetti; nè mai, alla corte,
è amata o temuta. Le sue lettere al duca sono troppo umili: mandandogli un
ritratto, si scusa, quasi riconoscendo la propria inferiorità fisica: « .... suplico a
« non mirare le mie bruttezze, ma si bene a considerare l'affetto, reverenza et
obsequio.... »; confida a lui una passione inverosimile; « .... amatissimo signore,
molto bene provo in me stessa che sono tutta tutta trasformata in lei, anzi
che è un altro me, poi che in così lunga absenza io sono stata insensata, poi
che dal giorno che V. A. si parti in qua, non ho mai saputo quel che sia gusto
o piacere, se non quel tanto ehe guardavo il suo ritrato, o che ricevevo sue
lettere o che parlavo di lei, tanto che mi risolvo che l’A. V. nel partirsi portò
seco e la mia volontà et anco il core e che non sono più mia ma tutta sua
e in eterno... »; e continua insaziabilmente cosi! Ma c’è di peggio; pare che
qualche sua epistola desse saggio di una scarsa conoscenza della gramatica o almeno di troppo melensa lungaggine; e il duca la rimprovera ed ella replica,
umilmente: «.... è verissimo che chi bene scrive è breve, si come sà fare V. A.S.,
« ma io, che sono ignorantissima, non so dire il mio concetto se non con lun-
« ghezza di parole male messe insieme, nondimeno V. A., che è tanto cortesse,
« confido che non s'infastidirà del mio rozzo dire e peggio carateri, non guara dando a quello, ma sì bene al core che con ogni affetto amoroso parla a mel... ».
f_ NA A
(2) Tanto Vincenzo che Ferdinando durante questi anni eran tornati alla lor
vita normale; trascorrendo i giorni fra liete brigate, viaggiando e distraendosi
in tutte le maniere dalle cure che li aftliggevano. Nel luglio del 1619, Vincenzo
apriva corrispondenza con la duchessa cognata, da Spà, paese di cure nell’Olanda,
narrandole le tepide soavità di quel soggiorno, i cui sereni pomeriggi tranquilli
fugavano le malinconie della vita. a Ho trovato comitiva di cavalieri e dame di
diverse nationi; onde nell'andare alla fontana non manca compagnia. Vi è fra
gli altri il principe di Scimay fratello del duca di Arescotto, con la principessa
sua moglie, signora di mediocre bellezza, ma d’intiera cortesia. La sera ci riduciamo al Prato, dove chi danza, chi giuoca a lanciare il bastone, e chi se
la passa in discorso, con le dame. Si sta senza ostentatione, se ben io da tutti
£ èA e particolarmente dal sodetto prencipe ho ricevuto quei trattamenti che si con-
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 673
Le trattative furon riprese subito, e direttamente, tra le due
parti, per mezzo del conte Camillo di Novellara, fratello della signora di San Martino. Questa doveva rimettersi completamente al
giudizio di S. S., di modo che il matrimonio sarebbe stato dissolto,
riconosciuto l’impedimento, e allora ciò sarebbe accaduto senza
alcun danno della reputazione di lei, o confermato, e allora avrebbe
Vincenzo definitivamente ceduto: « .... ci dichiariamo sotto parola
di Cavaliere di acquetarci a tale sentenza et scordatici di tutte le
amarezze passate di riconoscere et honorare la signora Donna
Isabella nell’ avvenire come nostra Cognata ». E questa volta si
cercò di sopire ogni inimicizia; poi che altre cause avevano acceso
discordia, oltre quella del matrimonio. Una lettera del conte Camillo, in data del 1° gennaio 1620, protesta illimitata devozione:
ma dichiara, anche, le esigenze del principe di Bozzolo, non poche
e non modeste, circa al trattamento della madre, durante la pendenza della lite. « V. A. riconoscerà la Sig. D. Isabella per Cognata,
et per tale la tratterà et honorerà, et in tal caso potrà stare in Mantua
o sul Mantovano co’! Marito, in casa appartata dove più le piacerà.... doppo Madama Ser,ma et Sig.ra Principessa terrà sempre il
primo luogo.... sarà trattata di titolo, di luogo, di sedia et d’ogn’altro
onore, come la persona del signor Prencipe suo marito n. Ferdinando si dichiarò soddisfatto, tuttavia; e informò Vincenzo da Casale. E certo buoni rapporti dovevano correre in questi tempi tra
le due case, se anche tra Ferdinando e Isabella passavano lettere
quasi di conciliazione e in termini reciprocamente gentili e affettuosi. Pure l’odio si riaccese e ricominciò accanita la lotta. In verità, di nuovo mutavansi i desiderî di Ferdinando; e ancora voleva
che la cognata rinunciasse spontaneamente a’ suoi diritti di moglie
e non si opponesse ai suoi disegni. A questo Isabella sì rifiutò
recisamente. Sono bellissime le due lettere della principessa, al
fratello Camillo e a un ministro di Mantova. Nella prima (24 otto-
« venivano. Ma arrivando si depongono l’armi, portando invece un bello bastone
« in mano, onde questa villa pare un’ Arcadia.... ». Ferdinando, men fortunato,
confidava al fratello la noia di certa sua dimora, priva di signore abbordabili;.
noia temperata dal pensiero del beneficio che ne sarebbe derivato alla salute.
« Queste dame sono gentilissime, ma non ci è ben che fare per me, perchè.
« molte sono parenti, altre sono occupate con gli antichi amanti, et questo è il
« meglio, perchè ancor io manco ci penso, et sto più sano ».
674 GUIDO ERRANTE
bre 1620) risponde negativamente alle preghiere del duca e ha parole di severa meraviglia per il fratello, che s’intromette impegnandosi a portarle simili ambasciate. Nella seconda (15 dicembre 1620),
risponde alla proposta del marito, che sembra voler tornare con
lei, mettendo a questo ritorno alcune condizioni assai dignitose.
« Signor fratello mio caro. Conforme al apuntamento in che
siamo restati, della risposta da darsi al signor Duca, vi ho detto
in voce, e replico per vostra sodisfatione in iscritto, che se bene
puoco strano mi pare, che l’]ll.mo Duca mi proponga pur di novo
il desiderio suo di sciorre il mio matrimonio, parmi però strano
assai che lo faccia per mezo d’un mio fratello. Ma perchè l’amba
sciata puro da voi mi è fatta e perchè io porto riverenza a S. À.,
non lasciarò di dirvi per risposta, che io non ho per buoni i supposti di S. A., ciò è della mia inabilità al figliare, e della salvezza
della mia reputatione, la quale io voglio e debbo difendere più
che la vita. E confido che sia per aiutarmi il mio sangue tutto e
particolarmente sui figli, per ogni possibile e lecita via. Se si trattasse di far qualsivoglia altra perdita, S. A. mi conoscerebbe ubidiente sua serva, ma quella non ha ricompensa che vaglia, e però
altro non aggiungo, se non che priego Dio che perdoni a tutti che
l’offendano, e particolarmente a me, e con questo vi bacio la mano,
e prego di scrivere de verbo ad verbum le mie parole come stanno.
Siamo arrivati con salute a due ore di notte e tutti baciamo la
mano a tutti loro altri Sig."
« Vostra sorella che vi ama di cuore
u ISABELLA GONZAGA ».
« ]l].mo Signor mio colend.mo Si compiacque i dì passati i
S. Principe Don Vincenzo di significarmi col mezo dell’Arciprete
di Bozolo in voce, il desiderio e il cristiano proponimento suo di
riunirsi meco, et io col mezo medesimo et in voce pure, feci sapere a S. E. come le corrispondessi. Ora, che S. E. replica con la
scrittura portatami da voi, firmata di suo pugno e sigillata del suo
sigillo, e fà istanza di risposta alla stessa maniera, io così risponderò, e precisamente e chiaramente il più, che saprò, secondo che
S. E. desidera. E quanto
« P.mo Capo, Rispondo, ch’io non ho avuto e non ho pensiere
di andare ad abitare col S. Principe Don Vincenzo (secondo che
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, Ecc. 675
voi gli avete riferito di vostro solo moto, et imaginatione) ad un
semplice invito, che me ne faccia S. E. con sua lettera: perchè
parmi che ciò non basta nè a S. E. nè a me; e l’E.S. ai quesiti,
che fa, si mostra dello stesso parere.
« Ch’'io ho desiderato, e tuttavia mi sarebbe carissimo, che,
avendo da riunirmi con S. E., la nostra cohabitatione si cominciasse e durasse per alcun tempo almeno in casa del Principe mio
figlio, dove S. E. mi sposò e mi lasciò, e dove ella sarebbe servita,
e riverita, come è stata altre volte, e dove io goderei maggior quiete
d’animo, che altrove; cosa pur anche profittevole al fine, che abbiamo, della generatione, non potendo non esser a me di gran disturbo il levarmi dalla Casa d’un figliuolo, quale mi è il Principe,
e dove posso dir d'essere allevata; e levarmene d’improviso, passando da un estremo all’ altro; cioè dalla separatione del marito
alla riunione, quasi senza intermezo alcuno.
« E per questa consideratione a me non pare d’aver pretesa
cosa fuor d’ogni ragione e dovere, come S. E. la chiama.
« Rimovendomi con tuttociò da tal mio desiderio e proponimento per maggior segno della buona volontà ch’io tengo come
Dama e cristiana, dico di più, ch'io andrò ad abitar con S. E. ovunque le piaccia, se dall’ E. S. ci sarò con buona gratia del S. Duca
e convenientemente chiamata, e se prima sarà adempito quel che
io dirò nella risposta al terzo capo.
« Al Secondo. Io non niego aver avuta qualche leggiera diffidenza per li segnali non punto oscuri, che per quattro anni continui e più son durati della disgrazia mia presso di S. A. e di S. E.,
ma adempiendosi quel che di sopra ho detto, io crederò che per
voler di Dio alla fine sia cessata tanta disgrazia; e così nell’ interno, come nell’esterno, misurando l’altrui con l’animo mio.
« Quanto alla nominata lettera del dottor Ciriaco, l’Arciprete
avrà pigliato errore, non avendogli detto io di lettera, ma d’ambasciata in voce, che per mezo del Ciriaco S. E. mi mandò, alla quale
io risposi con lettera. E quale si fosse l’ambasciata, può S. E. cavarlo assai chiaro da essa mia lettera di risposta, ovvero farsela
tornare a memoria dal Ciriaco medesimo; si bene io per me professo, che passi tutto in eterna oblivione.
« Al terzo. Rispondo et affermo, ch’io so di certo, che fra il
CI P. D. Vincenzo e me non è vincolo alcuno di parentela, e se mai
676 GUIDO ERRANTE
punto ne avessi dubitato, non avrei sì poco stimato l’onore, e l’anima mia, che mi fossi indotta a congiungermi con lui. Ma questa
mia dichiaratione non basta ad assicurare in tutto S. A., la quale
mostrandosi dubbiosa per l’interesse tanto della prole quanto dell’anima, è necessario, che in cose, le quali importano il tutto, prenda
la totale sicurezza donde può venirle; cioè da N. S.€, procurando
che S. Santità dichiari la validità del matrimonio mio e lievi ogni
ostacolo per abbondare in cautela. E questo desidero anch’ io,
per la parte mia, e domando che si faccia, non già per sanare
scrupolo alcuno della mia coscienza, ma sì bene perchè essendo
gia divulgatissimo il sospetto della invalidità, e potendo, e dovendo
altri credere, che un tal sospetto, che è stato bastante di tener S. E.
separato da me quattro anni e mesi, non sia stato irragionevole
affatto, nè imaginario solamente, conviene e fa di bisogno di sradicarlo dalle opinioni altrui, con modo non volgare e non privato.
Onde chi che sia non possa mai più pensare di metterlo a campo
(benchè non sussistente) a disturbo mio, o de’ figlioli, se piacerà
al Signore di farcene la gratia.
« Al quarto, Rispondo, et affermo di credermi abile alla generatione, non facendomi dubitar punto del contrario nè l’età, nè
verun’ altro accidente. E se così non fosse, grande imprudenza io
stimerei la mia in attendere a trattato alcuno di riunirmi e di levarmi dove sono. La fecondità, però, così come la sterilità, è soggetta al beneplacito di Dio benedetto, e da lui può S. A. ancora
nientemeno del fratello, sperar propri figlioli.
| « Attesa questa ferma credenza mia dell’abilità, pare soverchio,
ch'io risponda all’altra parte del detto Capo; e tanto più, quanto
che io non l’intendo. Nientedimeno per sodisfar quanto posso, anche in questo a S. E., dirò, ch'io non sò, come sia possibile, ch’alcuno l'assicuri, ch'io possa aiutarla a disciogliere intrico, a cavarla
fuor di laberinto, siasi l’intrico e ’1 laberinto qualsivoglia: ma s'ella
volesse intendere dal Matrimonio, sia certa, che se potessi, io le
avrei data pezzo fà questa consolatione, per sua e per mia quiete.
« AI quinto, et ultimo, Rispondo, ch'io col mostrar di temere
il S. Duca, ho creduto di mostrare insieme di riverirlo, perchè temerità, et irriverenza sarebbe, il non temere di far cosa, che certamente si sapesse essere dispiacevole ad un Principe grande, quale
è 5. A.. E se ho detto di riunirmi col S. Principe D. Vincenzo in
- =
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 677
casa di mio figlio, anche senza la buona gratia di S.A., l’ho detto,
supposto, che sia in S. F. tal risolutione di riupirsi meco, che venendo egli (preceduti necessari concerti) a trovare me, non mi fosse
lecito di ricusare senza aggravio e di coscienza, e di riputatione,
essendo io obligata a queste prima, e poi al compiacimento di S.A.
‘ « Nè credano S. A., nè S. E. (le supplico) in me alcun timor
servile: perchè la protettione, ch’io spero dal Siguore in ogni giusta
attione, e il saper io di aver affare con Principi cristiani, e non
barbari, m’assicura abbastanza negl’interessi più sostantiali. In conformatione di che, io mi dichiaro di non pretendere assicuratione
veruna da S. A., ma si bene di somamente disiderare la gratia sua,
e unita e disunita dal marito, e rimetto a S. A. il darmene quella
caparra, che la prudenza e la bontà sua le detteranno.
« ISABELLA GONZAGA ».
Entrambi le lettere sono rivelatrici: il carattere dolce, ma fermo
e altero a un tempo, della gentildonna vi si delinea mirabilmente;
nè la tristezza dell’abbandono, nè il timore d’esser sopraffatta da
tanto potenti avversari potranno abbatterla mai o affievolirle nell’anima la sicurtà delle sue buone ragioni. Vincenzo non accondiscese ai desiderî della moglie; e i due coniugi non si riunirono.
Più tardi, un altro tentativo del genere andò fallito.
Fino al settembre del 1621, epoca in cui il processo entrò in
una fase nuova e definitiva, le relazioni con il Vaticano, riattivatesi
al principio dell’anno, s’aggirarono a un dipresso intorno agli stessi
fondamenti già considerati; se non che gl’intrighi si diramarono
sempre più e divennero sempre più oscuri. Così, oscura è la corrispondenza apertasi tra il duca di Modena e la corte mantovana.
Troviamo, in data del 6 febbraio (1), una instruzione a un tale, di
cui è taciuto il nome, mandato a Modena per ringraziare S. A. dell'avviso « intorno al trattato toccante la Persona del s. Principe
Don Vincenzo », trattato importantissimo perchè riguardante la vita
del medesimo. Si vorrebbe la consegna di certi prigionieri, non
per « fabricar processo formale in questo fatto, desiderandosi più
(1) Doc. VIII.
Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. IV. 44
678 GUIDO ERRANTE
tosto per rispetto etiandio di reputatione.... che resti sepolto nel
silenzio », ma solo per sincerarsi « della verità o della bugia dei
loro detti »; e ci si esibisce pronti a restituirli non appena compiuta questa diligenza. E ancora Ferdinando dichiara nella sua instruzione : « Nè vaglia il dire, che per esser i prigioni la maggior
parte sudditi del S. Duca, sarebbe il darli attione insolita et conseguentemente sospettosa, perchè dove si tratta della vita di un
Principe, è solita cosa dar nell’insolito ». Altri documenti in proposito non esistono: quindi, solo dalle poche parole rilevate e dal
fatto che anche più in là sorgeranno simili timori, potremmo indurre trattarsi probabilmente di una congiura contro la vita di
Vincenzo: a che fine e da che parte, non è possibile tuttavia chiarire. Certo si è che si prolungan gli attriti tra Ferdinando e la
casa di Bozzolo: ma qui pure le fonti sono scarse. Il duca si scusa
con il re di Spagna, per certi estremi usati a danno del principe
Scipione: come di aver fatto « muover due pezzi d’artiglieria così
tirato per li capelli dal troppo suo ardire ». Anche riguardo al
conte Alfonso, fratello d’Isabella, Ferdinando ha parole di minaccia
e di accusa: non vorrebbe che egli riuscisse a entrare, qual cameriere d’onore, nella servitù del nuovo pontefice, Gregorio XV, ch'è
succeduto a Paolo V, morto nel febbraio. E un principio di accusa
a carico dell’arcivescovo di Rodi, può ricollegarsi a quanto si è
detto circa le relazioni con Modena, coincidendo le date: Alfonso
è indegno della fiducia del papa, « con essere anco imputato lui
medesimo d’aver insidiata doppo dell’ onore anco alla vita d’esso
Principe [ Vincenzo], come sopra di ciò resta carcerato uno in
Reggio ». Nell’ottobre del 1621, altro sospetto di congiura; i tempi
son torbidi e Vincenzo scrive al duca: « V. A. ha da sapere come
domenica passata, che fu li 3 di questo mese, mi venne a parlare
un frate Mantovano del ordine di S. Francesco, il quale mi disse
che venendo da Verona si trattava di farmi amazzare et che veniva da Bozolo ». Ma è un falso allarme e non se ne fa più parola.
Nel frattempo a Roma erano stati inviati certo Aragona e certo
Morbiolo; e le trattative si riaprirono sollecitamente, dopo l’avvento
del pontefice Ludovisi. Questa volta si era quasi sicuri, da principio, di raggiunger lo scopo: si parlava infatti di un matrimonio
probabile tra Vincenzo e la sorella di don Ippolito Aldobrandini,
futuro marito della nipote del papa, non appena fosse stato dissolto
“i
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 679
ogni vincolo con donna Isabella (1). Il Morbiolo esultava: «... spero
in Dio che canteremo l’alleluia, vedendo io bona corrispondenza in
tutti li campi ». Questo secondo periodo di relazione tra Mantova
e Roma, ripete in tutto il primo periodo, svoltosi durante il pontificato di Paolo V. Evidente il tentativo di sopraffare il nuovo papa,
tentativo ripreso con miglior lena: le medesime ansie per il probabile ricredersi e il conseguente smentirsi de’ testimonî, per le
eccezioni degli avversarî, per la scelta de’ giudici: gli stessi consigli del papa, le stesse minacce del duca, le stesse pressioni delle
corti d’ Europa, le stesse incertezze della corte mantovana.
Antonio Possevino, incaricato di trattar con l’arcivescovo® di
Rodi, che dimorava a Roma, adoperandosi in favor della sorella,
dava il resoconto del negoziato al duca, in una lettera del 19 giugnc 1621: « .... Aggiunsi che gran fortuna sua era essersi incontrato in Prencipe benignissino et lontano dalla vendetta, poi che
a V. A. non sarebbero mancate le forze, mezi et modi di risentirsi. Et quando non l’avesse offeso in altro, averebbe intérrotto
il corso de’ suoi onori; giacchè era vano ogni ufficio, che da altri
pari et minori di V. A. veniva fatto col Papa in suo onore. Questo
tocco mi parve che più del resto lo sentisse, poichè si torceva et
sospirava spesso ». E l’arcivescovo rispose: « .... che V. A. ha
trattata la S. sua sorella troppo aspramente, toccandola nell’onore,
stati et robba, processandola, et trattandola da poco onesta... che
qualche mal’istromento aveva persuaso V. A. a credere, che quando
lui si fosse ritirato dalle ditfese della S. sua sorella, dovesse inimediatamente seguirne l’intento... che sua sorella era donna di
senno, quale non dipendeva da lui et che pretendeva farsi li fatti
(1) Gl’intenti di codeste nozze erano non poco complicati; basti a dimostrarlo questo squarcio di lettera del Morbiolo, che non cerchiamo nè pure di
comentare. « V. A. aquisterà Parma, avendo egli [don Ippolito Aldobrandini] per
moglie una sua sorella et il tutto si spera riuscibilissimo col mezzo di Fiorenza,
obligandosi V. A. acquisterà in questa maniera il Papa, Farnese et Aldobrandini il cui fratello sarà Cardinale et così V. A. averà la prima et più potente
fattione di Roma.... et da qui ne uscirà una grandissima unione di quasi tutti
li Principi d’Italia.... ». Strano concetto, quello del matrimonio, a’ que’ tempil
Non si parla di matrimonio tra persone, ma addirittura di matrimonio tra città:
« .... occorrendo bisogno del Cardinal Farnese presso il Papa, li farà fare tutto
« quello che si vorrà, essendo stato egli quello che ha concluso il matrimonio
a tra Parma et Fiorenza.... ».
A 2_A
680 GUIDO ERRANTE
suoi senza aiuto d’ altri. Anzi che avendo lui più volte mostrata
questa inclinatione era stato due mesi in colera con lei, in modo
che lei non li scriveva, nè rispondeva.... che ogni partito quale
includesse l’onor di lei, era sufficiente. Però che le piacevolezze
erano istromento ottimo: essendo dispostissima ella più tosto di
morire che di essere violentemente maltrattata... ». Il conte si esibiva pronto ad aiutar il duca in quanto non offendesse la reputatione della sorella: e quindi anche nella dissoluzione del matrimonio, se si fosse potuto trovar un modo onorevole di dichiararla.
Sopra le armi di lui, all’atto della sua nomina ad arcivescovo, era
stato inciso il motto: st Deus pro nobis, quis contra nos; del che
lamentandosi il Possevino, s’ebbe per risposta non doversi l’incisione attribuire ad iniziativa dell'arcivescovo, ma ad « arrogante
temerità d’un barbiere quale credette darli gusto, dove l’ofiese acremente ». L’incaricato di Ferdinando così concludeva il proprio
racconto: « .... perchè la gloria del ‘scrittore historico consiste
in dar giudizio, non voglio mancare di far il medesimo; et dico,
quando V. A. voglia questo fine;
« I. che la piacevolezza mi par opportuna.
« 2. Che ora è tempo più che mai. ©
« 3. Che non è oro che possa pagar questo negotiato.
« 4. Che V. A. ha il modo di guadagnar, et la Principessa et
il fratello.
« 5. Che l’Arcivescovo con tutti indeficientemente, dice il medesimo ch’io scrivo.
« 6. Che et lui et tutti son stracchi. Sì che un tantino di blanditie potrebbe mollire ogni rigore. Non perchè a V. A. manchino
vie di conseguir il suo intento, a dispetto del Diavolo; ma forse
per esser via più secura, più giusta, più commendabile ».
Infine, come già nel 1616, la causa non fu commessa nè anche
questa volta alla Rota; quasi certezza doveva essere dunque il
timore di una sconfitta, ritenuta per vergognosa. Sorgono, però,
due punti giuridici nuovi intorno alla nullità del matrimonio. Il
primo si basa sulla disposizione del concilio di Trento, sess. 24,
cap.1: «Quod si quis Parochus, vel alius sacerdos, sive regularis,
sive secularis sit, etiam si id sibi ex privilegio, vel immemorabili
consuetudine licere contendat, alterius parochiae sponsos sive illorum Parochi licentia matrimonio coniungere, aut benedicere ausus
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, Ecc. 681
fuerit; ipso iure tamdiu suspensus maneat, quamdiu ab ordinario
eius Parochi, qui matrimonio interesse debeat, seu a quo benedictio suspicienda erat absolvatur ». Questa disposizione avrebbe
dovuto provocar la punizione di don Orazio Cessa, parroco di
San Martino, celebrator delle nozze; che invece nel 1621 diceva
ancora messa. E si tentava, ad applicar al caso la legge, di dimostrare: 1) che Bozzolo e non San Martino era la sede principale,
il vero domicilio di donna Isabella; 2) che Mantova e non San
Martino era la sede principale, il vero domicilio di don Vincenzo;
3) che San Martino distava da Bozzolo non più di mille passi e
che gli sposi avrebbero potuto comodamente recarvisi a celebrar
le nozze; 4) che don Orazio Cessa non era stato nè era il parroco
di donna Isabella nè di don Vincenzo; 5) che dunque era invalido
il.matrimonio e che doveva esser sospeso il parroco di San Martiao. La seconda parte della conclusione, dato che realmente il parroco dei due sposi non fosse stato il Cessa, era conforme ai canoni: la prima, era contraria o, meglio, fuor dei canoni, perchè il
concilio di Trento parla nella citata disposizione di sospensione
del parroco ‘e non di annullamento del matrimonio (1). L’altro punto
giuridico nuovo era l’impedimento che poteva derivare da certi
sponsali tra il serenissimo duca Francesco (fratello di Ferdinando
e di Vincenzo) e donna Isabella. Si citava in proposito il concilio
di Trento, sess. 24, cap. 3. « Iustiîtiae publicae honestatis impedimentum, ubi sponsalia quacumque ratione valida non erunt, sancta
Synodus prorsus tollit: ubi autem valida fuerint, primum gradum
non excedant; quoniam in ulterioribus gradibus iam non potest
huiusmodi prohibitio absque dispendio observari ». Ma codesti
sponsali erano stati stretti clandestinamente e il duca Francesco
s'era poi ammogliato con altra donna (2). |
Sono, anche, di questi tempi, alcune lettere che attestano quanto
la corruzione potesse azzardarsi e quanto riuscisse a ottenere, almeno di promesse, da qualche alto ‘dignitario della chiesa (3). Già
(1) Di questo impedimento si fece maggior calcolo più tardi, nel 1627: ne
riparleremo alla fine del nostro racconto»
(2) Doc. XI.
(3) I documenti che seguono sono, tanto nelle minute che nelle originali,
per la maggior parte cifrati. E così, sia detto una volta per sempre, lo sono per
la maggior parte quasi tutti quelli riguardanti la nuova fase del processo sui
malefici.
682 GUIDO ERRANTE
il Possevino, che studiava a Roma gli uomini pazientemente e argutamente, aveva scritto al duca: « So bene che quando l'A. V.
ci inclini, non fu mai nè sarà tempo più opportuno; perchè, dipendendo la decisione della causa dall’arbitrio, questo ora è vena=
‘lissimo et mi daria l’animo di avanzarmi per mezo di soldi a qualsisia grado: sic ferunt mores et tempora ». Evidentemente, il Possevino esagerava: tanto è vero, che i Gonzaga dovettero piegarsi
e in nulla riusciron vittoriosi.
Ma il processo entra ora in una fase ben più grave delle precedenti; onde tralascio altri particolari che si riannodano a quanto
sono venuto fin qui esponendo.
Il
Il nuovo processo dei malefici — Di alcune prove della malafede dei due fratelli —
L’interrogatorio — Ancora delle prove della malafede dei Gonzaga — Il
ricorso di Isabella alla suprema corte di Inquisizione — Di alcuni documenti
giuridici — Il contegno di Isabella a Roma — L'avvento di Urbano VIII
e la prigionia di Isabella in Castel Sant'Angelo — Le difese di Vincenzo e
di Isabella — Il decreto assolutorio — La ripresa della lite matrimoniale
dopo la morte di Ferdinando — La morte di Vincenzo.
Nel giugno del 1621 il duca Ferdinando accennava al Morbiolo
le sue speranze in « certi novi uffici »; e fin da prima doveva essergli balenata l’idea di venir costruendo le basi per un nuovo processo, se fin dal maggio aveva richiesto al granduca di Toscana i
testimonî, che furono interrogati poi a Mantova, dietro imputazione
di complicità nei malefici di donna Isabella usati per innamorare
il giovane Vincenzo. Del negozio fu incaricato Francesco Gonzaga: |
« Intendo che Federico Puelli si sia condotto costà a Fiorenza, il
quale come V. S. averà facilmente inteso fu il principale mezano
dell’ infelice accasamento del Principe D. Vincenzo nostro fratello
con D. Isabella di Bozzolo et perchè m'importerebbe grandemente
di saper da lui molti particolari concernenti l'interesse mio et di
questa Casa circa la dissolutione del matrimonio che di presente
si tenta, lo vorrei aver nelle forze et confidando che coteste A. A.
siano per darmelo, scrivo loro in credenza di V.S. pregandola dì
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. €83
passarmi con essi efficacissimo ufficio... » (1). Soggiungeva Ferdinando di confidare in grande segreto alle Altezze Loro, che questo
signor Puelli aveva contribuito a stregare il principe Vincenzo. È
certo, così, che già prima d°’interrogar gl’ imputati, a Mantova s'era
stabilito di tessere quella complicatissima trama, che vedremo: nè
esiste alcuna lettera di denuncia, alcun accenno per quanto vago
d'accusa da parte di terzi. Della prevenzione ci persuaderemo meglio, del resto, esaminando gl’interrogatorî subiti dal’Puelli e dagli -
altri. Le Altezze di Toscana concessero quanto si era loro domandato; ma siccome il Puelli era stato assicurato dal granduca defunto « sotto la sua parola, senza determinatione di tempo », lo
consegnarono a condizione che entro un mese e mezzo sarebbe
stato loro restituito: condizione che non venne rispettata (2).
Quando poi il Puelli ebbe confessato, e vedremo quanto forzatamente, ciò che gli vollero far confessare, a Mantova si dubitò
che egli, una volta libero, non fosse per disdirsi dalle sue deposizioni: e si andò rintracciando un altro complice dell’ imaginario
delitto, una donna, certa Bianca Montagnana. È evidente che i due
(1) Lettera del duca Ferdinando a Francesco Gonzaga: 20 maggio 1621.
(2) Un ministro mantovano indirizzava a un ministro del granduca questa
lettera, in data del 15 ottobre 1621.
«€ .... Non ho mancato di dire al ser.mo padrone et fargli vedere quanto
« V.S. mi scrive nel particolare del Puelli per ricordo di coteste A. A. .... Circa
« questo negotio S. A. m'ha ordinato di rescrivere a V. E. che quando convenne
« con coteste A. A. di rimettere in libertà il detto Puelli passato un mese e
« mezo, intese sempre questo tempo dovesse essere utile et non continuo, poichè
« essendo stato absente ventisette giorni, et il S. Principe Don Vincenzo molti
«€ più, senza cui non si poteva venire alla delucidatione di molte cose, non si è
€ proseguito alla terminatione di quanto occorreva. Confida però nella benignità
« dell'A. A. loro che l’'intenderanno nella medesima maniera et si contenteranno
« di compensarle quei giorni dell’absenza in altrettanti seguenti. Non lasciando
« di dire a V.S. ch'in dutto tempo non si è stati in mora, ma nelli esami del
« Puelli sono ben quatordici contrarietà manifeste et patenti per le quali sarà
« forse di necessità venire alla tortura. Jît se coteste A. À. non permettessero
questa proroga, sarebbe un rovinar affatto il negotio, che si spera debba ri-
« dursi a ottimo fine et il quale devono aver gusto che si chiarisca, ancorchè
« ci volesse qualche giorno di più. Et ben sa V.S. che Mad. Ser. le scrive che
« quando avesse detta la verità il Puelli non sarebbe stato tormentato nè la causa
«€ tirata in lungo, ma egli ha voluto far male a se stesso col tacerla et invilup-
« parsi senza profitto.... ».
684 GUIDO ERRANTE
fratelli non si sarebbero mostrati così pavidi e non avrebbero usato
tante precauzioni, se fossero stati sicuri che i testimoni aveano
deposto la verità. Invece Ferdinando, nell’ottobre del 1621, così si
raccomandava al Ceoli, ministro del granduca di Toscana: « Ben
voglio dire a V. S. che se il Puelli uscito ora di prigione si ridicesse di quanto ha detto, la vegga come anderebbe la cosa, et se
ne può temere; perchè un tristo et una volta traditore non si deve
giamai supporre più per uomo dabene, et chi fu corrotto con proinmesse può di nuovo con altre maggiori offerte essere guadagnato.
Ma se la donna che si procura d’avere cantasse ancor ella come
si spera, non sarebbe piagevol cosa al Puello il ridirsi, perchè non
gli gioverebbe. Consideri V. S. in che termine sono le cose et di
che danno a noi sarebbe la pronta et subita liberatione di costui... ».
E il Ceoli s’affrettò a rispondere, dopo pochi giorni: « Arciconfusissime sono rimaste le loro Alt. della depositione del Puelli, et
son ben cose da fare arricciare i capelli a ogni persona da bene,
et consideratasi l’importanza del negotio, si è concessa la proroga,
che V. S. intenderà da quello che si risponde a dette Ser.me
Alt.°... » (1).
E ancora si ripetono le vive preghiere del duca, che implora
la santa sede, per la terza volta, di favori che non gli possono
esser conceduti, É residente del duca a Roma un tal Aragona;
cui viene solennemente annunciata la terribile scoperta: « ... Abbiamo scoperto ch’è stata fatta una formale stregheria contra S. E.
con abusi di sacramenti, et altri sacrilegij che sogliono accompagnare simili attioni.... n. L’Aragona deve parlare al pontefice: e
ottenere che l’ istruttoria del delitto venga rimessa al padre inquisitore del foro mantovano, « ancor ch’essendo di misto foro, per
la preventione fattane dai nostri giudici, a loro di ragione possa
ancora appartenere »: mentre il primo interrogatorio, il fondamentale, è stato già fatto in castello, dal conte Teodoro Pendasi
e dal capitano di giustizia. La lettera all’Aragona (2) è accompagnata da altre due, dirette al pontefice e al cardinal Ludovisi (3).
(1) Lettera del Ceoli al duca Ferdinando: 26 ottobre 1621.
(2) Doc, XIII. i
(3) La lettera al cardinal Ludovisi è identica a quella diretta al papa.
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 685
» Beatissimo Padre. L’Aragona Gentiluomo rappresenterà a
V. S. in nome mio certo particolare che straordinariamente mi
preme; la supplico porgergli benigna udienza, come dall’ infinita
sua pietà mi.prometto, assicurandola che della giusta gratia, che
se le chiede, serberà questa Casa eterna memoria et indelebile obligatione; di che dovendole far qui viva fede l’Aragona sodetto, a
lui mi riporto e baciando i sant.mi piedi a V. S. humilissimamente
le auguro felice corso di molti anni di vita.
« FFRDINANDO ».
Ma, prima di procedere nell’esporre tutte le innumeri pretese
dei Gonzaga, sarà utile esaminar gli interrogatorî del Puelli, della
| Montagnana e degli altri imputati (1). L’ordine di cominciare il ‘
processo sì apre in nome di Cristo. « In Christi nomine. Amen.
Comanda S. A. che gl’illmi ss. Conte Teodoro Pendasi et Capitano di Giustitia di Mantova debbano essaminare il S. Federico
Puello sopra l’eccesso che si presupone esser stato commesso
contro l’eccel.mo S. Pr. D. Vincenzo come loro è stato esposto, et
meglio intenderanno da S. Ecc., procurando di cavarne la verità
anche col venir a rigoroso essamine contro di lui, provvedendo
ancora contro qualsivoglia complice suo essi medesimi et facendo
di mano in mano relatione a S. A. di quanto cavaranno di detti
essamini e tutto giudicialmente col procedere ancora sopra il processo informativo, prendendo però i debiti inditij ad arbitrio dei
medesimi S. S. delegati, a’ quali in ciò concede ogni opportuna
autorità ». Segue la deposizione del principe Vincenzo, il quale
dichiara la sua certa convinzione di essere stato costretto all’ infausto matrimonio da fattucchierie; e invero, specialmente dopo
essere stato a pranzare in casa di donna Isabella e dopo aver bevuto un certo sugolo d’una vivanda preparata da lei, egli sera
sentito irresistibilmentè attrarre verso la principessa. Crede che
Federico Puelli sappia qualche cosa in proposito, dato che era il
suo mezzano d’amore.
Ed ecco, dunque, che per salvare la naturalezza e la verosimiglianza dei fatti, la vittima stessa, soltanto cinque annì dopo,
(1) Doc. XIV. L'intera lettera, diretta da Annibale Chieppio al duca, è importantissima come prova dei continui inganni orditi dai Gonzaga nel processo.
686 GUIDO ERRANTE
denuncia il delitto e ne accusa gli autori! Il principe Vincenzo ripete le medesime parole che si leggono nella lettera seguente, da
lui diretta il 7 gennaio 1622 al padre inquisitore del foro mantovano, quando a scansare il pericolo della Suprema Corte dell’ Inquisizione romana, si credette potesse valere la competenza dell’ Inquisizione di Mantova (1).
« Molto reverendo Padre. Avendo inteso che nel Santo Ufficio
et dinanti al Tribunale di Vostra Reverenza si conosce la causa
delle fattucchierie fatte con abuso dei Santissimi Sagramenti nella
persona mia da Donna Isabella Gonzaga di S. Martino, da Bianca
Montagnana modonese allora sua serva et da Federico Puello già
mio scalco et forse da altri loro complici, mi è paruto per più sicura informatione di lei e del Santo Ufficio di replicarle con la
presente quello che so d'aver a bocca detto a lei et ad altri ancora
in questo soggetto et è, che per mia ferma credenza tengo et ho
tenuto sempre per fermo di essere stato condotto da malia et stre.
gamenti et per forza sopra naturale a quell’ infausto asserto matrimonio, che seguì senza mia libera volontà fra me et detta D. Isabella, perchè trovandomi io allora Cardinale di S. Chiesa, et godendo sommamente di quella dignità accompagnata dalla comprotettione del Regno di Francia con grosse entrate ecclesiastiche,
come si sa, et con speranza di ottenerne altre maggiori ancora da
quella Corona, io non inclinai mai l'animo in quel tempo a pigliar
moglie, anzi trattavo alle strette così ancora persuaso dal Ser. S.
Duca mio Signore et fratello di condurmi con nobile et ben ordinata famiglia alla Corte di Roma et molto meno avevo applicato
il pensiero a detta D. Isabella, di età, di robba et di stato tanto
disuguale alla mia conditione, anzi piuttosto avevo l’animo aborrente da lei per rispetto di varie relationi fattemi de’ suoi costumi,
che ora tacerò, se non dopo che fui condotto a mangiare a casa
sua a S. Martino, perchè allora mi sentii sovrapreso, benchè non
mi accorgessi della ragione, et particolarmente dopo che mi fu dato
da mangiare certo sugolo, di cui ho buonissima memoria, et di cui
più che d’altro ho sospettato sempre, mi ridussi fuori di me medesimo a commettere così grave errore rispetto al sacro abito in
cui mi trovavo, come l’ho conosciuto dapoi; et se ciò è vero, come
(1) Doc. XIV.
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 687
‘ io reputo verissimo da mille svariate congetture, non è quasi possibile esso Puelli, come mio scalco et mezano indegno di quegli
amori non ne sappia qualche cosa, essendo egli stato quello, che
portava in volta le ambasciate, et che si mostrava essere sommamente intrinseco et per così dire l’anima propria di essa D. Isabella. Desidero perciò et faccio instanza, che la Rev. Vos. lo essamini, insieme con detta Bianca, con esquisitezza d’interrogatori)....
Più volte furono quelle, che mangiai come sopra con D. Isabella
et ben mi ricordo, che con mille vezzi et lusinghe ella et il Puelli
m’invitavano con straordinaria instanza a mangiare diverse vivande
et pittanze, come fatte per mano di Dama, intendendo sempre di
lei, et di bontà squisita, argomento della loro malitia, come da poi
l'ha mostrato l’effetto (1); anzi il mio male dopo il matrimonio ancora andò crescendo, riducendomi talvolta quasi a furore et smania, sì che non potevo in quei primi dì vivere ad un certo modo,
se non in casa di essa D. Isabella et dove ella si ritrovava. Mi
venne dapoi in pensiero, che tutto potesse essere cagionato da
malie et stregamenti:. mi feci leggere sopra molte devote orationi
da un certo frate dell’ ordine de’ Celestini che qui si dicono di
S. Cristoforo et fors’anche deve trovarsi in Mantova, per le quali
et per la mia fede in S. Div. Maestà mi sentii non poco allegge-
‘rito da quella estrema passione che tanto m’affliggeva l’animo...
Tralascio di raccontare altri lacci et altre reti tesimi più volte in
detto luogo di S. Martino da essa D. Isabella et dal Prencipe suo
figliolo con darmi largo campo di venir all’atto prossimo de’ miei
amorosi furori, per intimorirmi maggiormente quando mi vedevo
poi, come si dice, colto su l’ova, et per necessitarmi al matrimonio,
che allora da me si pretendeva... che non si poteva patire si
differisse pure a giorni, onde senza aspettare da Cremona la dispensa delle pubblicationi, si precipitò con tanta celerità solo per
tema, che risapendosi, non fossero scoperte le trame usatemi.... ».
Alle dichiarazioni del principe Vincenzo seguono gli esami de’
testimoni.
(1) Seguono cancellate le seguenti righe: « Mi fu anco dopo alcuni mesi
« donato un certo bracciale da persone che venivano di S. Martino, da legarmi
« al braccio, sotto pretesto che valesse contro le malie, quale partori in mede-
« simi effetti quasi di furore et di smania...., sì che non potevo ecc., ecc. ».
688, GUIDO ERRANTE
Il primo è un tal Mario Ponzanino, cameriere del principe:
egli conferma tutto ciò che ha deposto il suo signore, con l’aggiunta di molti particolari. Don Vincenzo prima di recarsi a S. Mar.
tino a pranzare, era molto compreso della dignità di cui lo investiva il cardinalato e si mostrava ben fermo nel proposito di continuare il cammino intrapreso. Dopo i pranzi di S..Martino cominciò a penetrarlo una strana malinconia: e subito il Ponzanino
e gli altri intimi di S. E. aveano compreso essere malinconia d'amore per Isabella : la quale aveano anche veduta « a lusingarlo,
con toccargli il collare e manicini et fargli altri vezzi ».
Camillo Bevaguti primo gentiluomo di camera del principe, e
Francesco Fiorini, suo primo tesoriere di camera, ripetono le identiche dichiarazioni. Dopo il matrimonio, anzi, l’amore era svanito
dall’animo di don Vincenzo ed essi gli aveano sentito più volte
dire, che Dio sa come egli era stato indotto a una simile ìinconsideratezza; se non che si sarebbe spiegato ogni cosa, attribuendo
l'accaduto a una fattucchieria.
Tali deposizioni non bastano certo ancora a far condannare
per stregonerie le carezze di due innamorati; si giunge così all'imputato principale, Federico Puelli « prigioniero già scalco di
S. E. ». Costui afferma di esser fuggito dal Mantovano unicamente
perchè aveva avuto notizia che il duca non voleva saperne del-
’ accasamento di don Vincenzo: anzi, gli era stato ordinato di lasciare gli stati di S. A. Fa poi il racconto del matrimonio, e dice
de’ suoi timori, de’ suoi vani consigli; in tutto il racconto, nessun
accenno a malie o ad alcun’altra cosa di simile. Incalzato dalle
domande dettagliatissime, risponde sempre allo stesso modo, con
evidente malumore dei giudici. Così, egli assicura ehe il principe
era stato quattro sere a pranzo a S. Martino, specificandole: « .,. ri
chiesto che si riduchi a memoria et dica o si o no, se oltre le
volte che ora ha raccontato che S. E. fu a mangiare a S. Martino
con detto Principe e detta Donna Isabella, vi ha altra volta o mangiato, o desinato, o cenato, rispondc io dico più presto di no che
di sì, e non che vi ha mangiato altre volte, non so che vi abbia
mangiato in conscienza mia : subdicens non mi ricordo che vi abbia
mangiato. Richiesto che si dichiari et risponda assolutamente se
S. E. ha mangiato o no in San Martino con detti S. Pr. et Donna
Isabella altra volta che le sodette che ha raccontate adesso, ri
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, Ecc. 689
sponde io non so in conscienza mia che vi abbia mangiato et creddo
più presto di no che di sì. Richiesto che tralasci ormai le risposte
dubie col dire che crede o di non racordarsi, ma risponda precisamente se altra volta S. E. ha mangiato in S. Martino con detti
signori, oltre le sodette che ha racontato, risponde no e no e no.... n.
Forse quattro sere solamente parevano poche ai giudici, e la deposizione non coincideva con quella degli altri testimonî, che non
avevan precisato il numero dei pranzi di donna Isabella, ma avevano detto che erano stati pare-:chi. Il Puelli dichiara poi recisamente: «..,.io non ho mai pensato, nè imaginato nè in alcun
modo ho saputo nè potuto sapere per che causa et a che fine si
movesse la S. Donna Isabella a mostrar a S. E. così grand’ affetione come mostrava et a far le altre cose che ho raccontato che
faceva con S. E. nè mai me lo sono imaginato nè l’ho saputo
come nè anco adesso non me l’imagino, nè lo so, nè lo posso
sappere, nè posso fare alcun giuditio per che causa facesse con
S. E. le sodette cose, che ho raccontato, essa Signora, nè perchè
le dimostrasse tanta affettione.... n. Il principe, inoltre, s’era confessato e comunicato il giorno prima delle nozze; e pareva sincero,
dicendo che circa il matrimonio imminente si sarebbe rimesso all'ispirazione di Dio, e pareva libero dall’incubo di qualunque già
determinatasi volontà. E ancora, l'imputato dichiara: « ....Io non
ho tenuto mano in alcun modo nè ho fatto cosa alcuna, che mi
abbia comandato nè detto S. E. concernente al detto matrimonio
prima che si facesse, nè ho fatto cosa alcuna che servisse o fosse
per incaminare o effettuare detto matrimonio, nè manco ho fatto
tali cose nè da me stesso, nè manco richiesto dalla S. Donna Isabella, nè da altri.... ». Dunque, in questa prima parte, l'esame non
era assolutamente riuscito secondo quanto si sarebbe desiderato.
E in verità, il Puelli comincia a contraddirsi per l’ imperversare
delle domande minute, rabbiose, che non gli lasciano tregua: o
forse tutto l'interrogatorio è una commedia già concertata e abilmente recitata dall’ una parte e dall’ altra? A ogni modo, la corruzione o la minaccia sembrano evidenti, se si considera l’assurdità di queste poche logiche parole che il Puelli ripete ogni qual
volta si disdice da quello che ha affermato : «....se bene ho detto
d’aver detto queste cose a S. E. con le altre che ho raccontato, non
è vero che io le abbia dette a S. E. ma le ho dette et raccontate nei
690 GUIDO ERRANTE
miei essami, perchè credevo di avergliele dette... ». E continuano
sempre più strane, sempre più prive di senso comune le risposte:
«.... Quanto all’aver detto a S. E. che faceva bene a fare detto
matrimonio per darle gusto, se bene io l’ho detto col mio giuramento, non di meno conoscendo di aver fatto male a dirlo, io dico
ora che non è vero che ho detto a S. E. che facesse bene a fare
detto matrimonio, e non so per che causa nè perchè mi movessi
a deporre che avevo detto a S. E. per darle gusto che faceva
bene a fare detto matrimonio et l’ho detto così impensatamente (1)
et non mi ricordo perchè abbia detto questa ragione, nè manco so
per che causa non le abbi messo in consideratione le ragioni che
ho raccontato per distorlo dal pensiero perchè non facesse detto
matrimonio e non è neanco vero che dicessi al s. Marzi andando
sù per la scala di corte come ho detto che cercasse di distorre
S. Ecc. dal pensiero di fare il detto matrimonio et ho detto d'avere detto al s. Marzi che dissuadesse S. E. dal pensiero di far
detto matrimonio, se bene non è vero che gli dicessi tal cosa, così
impensaitamente.... ». Aggiunge di aver saputo che don Vincenzo
era stato una volta a cena et a dormire da donna Isabella, nonostante che avesse prima dichiarato — e abbiamo visto come ripetutamente — che solo quattro volte S. E. aveva pranzato dalla
principessa; e che solo scappando la notte, si sarebbe potuto recare di nascosto a San Martino. L’incalzar delle domande opprime
persino chi legge l'interrogatorio: e a un certo punto il Puelli,
spossato, risponde. a ogni quesito che non si ricorda più di nulla:
« .... VV. SS. facciano di me quello che lor pare.... » S’ interrompe allora l’esame. «.... Tunc domini videntes eius pertinatiam,
inherendo etiam ordinibus S. Celsitudinis et eius mandatis de quibus
in actis, decreverunt pro habenda responsione congrua et precisa,
ad ea de quibus supra fuit interrogatus, ipsum constitutum tormentis subijcere et iddeo iusserunt eum ad locum torturae duci, spoliari, ligari, et funi applicari.
_ « Qui adductus, spoliatus, ligatus, et funi applicatus et denuo
monitus ad respondendum precise et congrue ut supra, respondit:
io ho detto quello che ho saputo et se sapessi altro lo direi. Tunc
domini iusserrunt ipsum in tormentis ellevari. Qui elevatus et mo-
(1) Eppure lo aveva giurato, come abbiamo visto, e non una volta sola.
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 691
nitus ad respondendum ut supra, respondit: non so altro. Et monitus ad respondendum ut supra, respondit: son morto qui, fattemi metter giù che son morto.; et dirò la verità.... ». La confessione comincia. Il Puelli aveva portato un’ ambasciata d’ amore, e
poì era stato pregato da donna Isabella di esortare il principe Vincenzo affinchè si stabilisse a Gazzuolo e l’andasse spesso a visitare in San Martino: il principe Vincenzo, difatti, vi andò: « ...et
con quelle occasioni detta Signora le faceva carezze et le mostrava
affetione, et da questo è stato causato che il s. Principe Don Vincenzo le prese amore, essendo stato allettato dalle carezze di detta
Signora, come di burlare con detto s. Prince. Don Vincenzo con le
parole et con le mani, et non mi ricordo altro adesso, et anco mi
ricordo che una volta la S. Donna Isabella mi disse che dovessi
andare a chiamare S. E. et farla andar a mangiar seco et così
feci, et detta Signora le diede del sugolo da mangiare che aveva
fatto di sua mano propria in un camarino attaccato alla stanza
grande a mano destra nell’entrar dentro da detta Signora; vi aveva
un armario con dentro della robba sua.... et detta Sig. Isabella
faceva queste cose, per fare che il S. Principe Don Vincenzo le
volesse bene, et anco si faceva bella, et le faceva carezze, acciò
le volesse bene.... ». Allora, il giudice osserva che sarebbe stato
impossibile far innamorare un principe come don Vincenzo, mediante un semplice piatto di sugolo! ll Puelli aggiunge che detta
signora si lasciava anche baciar le mani dal principe ; e final.
mente : « .... io creddo che fosse fatta qualche poltroneria nel
mangiare di S. E. per farla inamorare.... » A poco a poco si giunge
così deliberatamente alle accuse di stregoneria. Il Puelli giura di
aver visto che mentre quel certo piatto di sugolo stava cuocendo,
donna Isabella e una sua serva « cremonese, gialla in volto, di 40
anni circa et di nome Diamante » vi mettevano una polvere con
dello zucchero: e avendo egli domandato a donna Isabella che cosa
fosse quella polvere, ella aveva risposto: « polvere da far voler
bene ». Il Puelli comenta: « nè so poi se dicesse da burla o da
dovero ». Giura di non aver detto prima la verità, perchè il diavolo gliel’aveva impedito: « .... et venni allegramente per dire la
verità, ma il Diavolo mi ha fatto mutar pensiero ». Tunc domini
iusserunt dissolvi, revertiri et ad locum suum reduci...
Cessato il tormento, l’ imputato riprende la sua narrazione. La
692 GUIDO ERRANTE
sera seguente a quella in cui aveva bevuto il sugolo, S. E. era di
nuovo andato a S. Martino; ed essendogli venuta incontro la principessa Isabella, l'aveva abbracciata: sorpresi dal principe Scipione, donna Isabella aveva assicurato Vincenzo che il principe
non si sarebbe offeso, poi che sapeva dover egli divenire il marito della madre, secondo la parola data. Era una vera e propria violenza ipnotizzatrice, questa usata all’adolescente cardinale!
Misteriosa era stata anche la confezione del sugolo malefico:
« ....la detta polvere era fatta et composta d’Ostia consecrata et
d’osso di testa di morto, la qual testa detta donna cremonese da
me nominata nelli altri miei ultimi esami andò a pigliare sopra il
sagrato della chiesa Parochiale di S. Martino, dove io ho veduto
che ve n'erano nella muraglia del sagrato in certi buchi di detto
muro vicino a terra.... et sopra una parte dell’osso di detta testa
di uomo o di donna che detta cremonese portò da detto sagrato,
fece celebrare tre mattine delle messe avendo essa donna posta
detta parte d’osso sotto la tovaglia dell’Altar Maggiore di detta
chiesa.... et l’ostia consecrata detta cremonese la portò da detta
chiesa avendola presa in bocca con pretesto di comunicarsi et poi
levata di bocca et posta in un fazzoletto.... detta cremonese mi
disse che detta testa voleva essere d’ uomo maschio se doveva
esser a proposito et che conosceva le teste d’uomini per certi segni che hanno differenti delle teste delle donne.... ». Conclude il
Puelli di non aver voluto dire subito la verità, perchè D. Isabella
gli aveva fatto giurare davanti a una imagine di Cristo di non palesar mai nulla a nessuno. E si contradice ancora, in ultimo: quella
tal donna non era chiamata la cremonese, ma la modenese; ed era
« magra, grande e non bella con capelli che tiravano al negro ».
Mentre si venivano esaminando così i testimonî, a Mantova
aveano rintracciata la complice del Puelli: e il 21 novembre gli
stessi giudici incominciarono l’ interrogatorio di costei: «.... coram praedictis dominis iudicibus delegatis astantibus in quadam
Camera custodis carcerum castri ducalis constituta quaedam mulier staturae ordinariae et potius altae aetatis ut ex aspectu dignosci potest annorum circiter quadraginta et ultra cum capillis
sub nigris, vultu longo macie confecto, cum vestimentis infrascriptis vidilicet, ecc., ecc.... interrogata de nomine, cognomine,
Patria et habitatione, respondit: il mio nome è Bianca et il co
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 693
gnome è di Montagnana et son nativa della città di Modona.... ».
Era stata otto anni al servizio di donna Isabella; da principio
ben voluta da costei, ma in ultimo talmente maltrattata, ch’ ella
stessa aveva deciso di andarsene; e v’era riuscita solo dopo
molte insistenze. Depone di aver visto a letto con la signora
Isabella il signor principe due volte e di aver sentito dire che
detta signora s'era sposata; di non saperne di più. Sembra che
anche la Montagnana non voglia parlare: richiesta se, oltre ad
aver servito come cameriera, aveva mai aiutato a far di cucina,
risponde: mai, mai, mai. E per moltissimo tempo la vittima si
mantien ferma nel negare; fino a che il custode delle carceri dichiara il cattivo stato di salute della prigioniera, che non dorme e
non prende cibo : pure il medico che la visita, conferma la debolezza e sconsiglia assolutamente di ricorrere alla tortura, tanto più
che essa gli ha detto « .... di temere di morire sopra la corda...
et che ella infine non vuole essere tormentata potendo di meno et
più tosto vole che la croce vada a casa delli altri che a casa sua.... ».
Così, l'esame si riprende senza torturar l’imputata; e la Montagnana
confessa. Ora, per togliere a donna Isabella ogni attenuante possibile, si costruisce una storia oscena di certi suoi illeciti amori.
.... lo so, depone la Bianca, che [D. lsab.] voleva bene al suo
segretario et anco al S. Principe Don Vincenzo.... ». Questo segre-
“
tario si chiamava Ercole Piattesi: «.... et{ella] gli portava grande
amore, ma perchè esso segretario prese moglie, la S. Donna Isabella l’ebbe molto a sdegno et per fargli dispetto, s’incapricciò poi
del S. Principe Don Vincenzo et fece ogni opera perchè fosse suo
marito per esser lei sua moglie.... ». Tanto ella era invaghita del
Piattesi che «....non la voleva intendere che pigliasse moglie.... ».
La Montagnana entra quindi a deporre circa il maleficio. Aveva
in verità fatto qualche volta di cucina per la signora e aveva aiutato a condire le vivande: con il sugulo di cuì il Puelli ha parlato. I giudici le chiedono allora tutti i particolari, che sul principio
non coincidono con le deposizioni del Puelli e solo a poco a poco
si precisano, fino a corrispondere perfettamente a quelle deposizioni. E ugualmente nominati e distinti sono i personaggi anche
secondari: chi aveva versato nel piatto la polvere e chi invece lo
zucchero, ecc., ecc.
Le poche contradizioni in cui sono caduti i due imputati, spaArch. Stor. Lomb.. Anno XLIII, Fasc. IV. 45
694 GUIDO ERRANTE
riscono in un secondo esame subìto dal Puelli il 3 dicembre. Per
dissipare le ultime, segue ancora un secondo esame della donna.
Così, l’ invenzione veramente diabolica dei due fratelli, va sempre
più perfezionandosi. Mentre dai due primi esami del Puelli risultava che la strega, la inventrice del sugolo era stata la modenese
e che donna Isabella non aveva fatto altro che comandarla : ora
invece si è riusciti ad assodare che la Montagnana era stata sua
esecutrice materiale e che maestra di stregonerie doveva ritenersi
proprio donna Isabella. Costei aveva ordinato alla cameriera perfino di prendere dell’ olio santo, per versarlo nel sugolo; ordine
cui però la cameriera s’ era ribellata.
Il Puelli dichiara, che se in qualche risposta s'è ingannato,
deve darsene colpa alla sua memoria, non alla sua intenzionc; naturalmente, anche la sua complice dichiara: «..,. se avessi fallato
qualche cosa non l’ho fatto per malitia, perchè in verità ero rissoluta di dire il fatto giusto, ma se avessi fallato, questo sarà avenuto per mancamento di memoria et per il gran travaglio che mi
trovavo.... ».
L’ interrogatorio si chiude: i giudici mantovani tuttavia vogliono ancora avvalorare e consolidare l’opera loro. Domandano
alla Montagnana se ha detto la verità: ed ella giura di averla
detta, negli ultimi esami; le ripetono che dica la verità e che non
aggravi indebitamente nessuno, la mettono alla tortura, ed ella
persiste nel suo giuramento. La stessa prova subisce il Puelli; e
fa le stesse dichiarazioni.
Così termina questa istruttoria : la firma del notaio e il timbro
del tabellionato vorrebbero renderla meno arbitraria, porla entro i
limiti della legge.
Se l’ esposizione dell’ interrogatorio non basta a persuadere
della malafede che infirmava le accuse dei due fratelli, altri fatti
sorgono a renderla evidente (1). Proprio nel novembre del 1621,
Vincenzo tenta una riconciliazione con la moglie: ma donna Isabella è avvisata, mentre sta per partire alla volta di Mantova, che
le si vuole tendere una insidia e che, forse, si pensa anche di farla
prigioniera: ed ella avverte il principe di non poter aderire alle
sue proposte. Al duca, che trovasi in Roma, il Chieppio partecipa
(1) Vedi specialmente doc. XIV. î
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, FCC. 695
l'accaduto (1): «.... all’hora che doveva la s. Donna Isabella essere all’imbarco, è venuto da S. E. il Prete Olivi con l’ aggiunta
lettera del Prencipe di Bozzolo, che le ha esposto essere stata essa
signora avvisata per staffetta da Modena, arrivata quasi nello stesso
tempo della partita, come questa donna (2) s’andava esaminando
per processarla di malie et stregamento et che per ciò non poteva
risolversi di venir secondo il concerto »,
Una corrispondenza, poi, tra la marchesa Caterina e Ferdinando, illustra ed accerta quel che abbiamo appena accennato : che
cioè, solamente dopo che i testimonî eran già stati interrogati nel
foro secolare mantovano, e solamente per paura che gl’interrogatorr venissero dichiarati nulli per vizio d’ incompetenza, fu l’inquisitore di Mantova messo a parte del processo. Del resto, a noi
pare incredibile, e pur ci risulta dalle lettere ducali che riportiamo,
a noi pare incredibile che detto inquisitore avesse tanti rapporti
con la corte e desse tante assicurazioni proprio quando più era
grave l'incertezza delle conclusioni processuali. Scriveva il 9 dicembre 1621 Caterina al duca: « Ho fatto chiamar subito il Padre .
Inquisitore (3) a cui ho comunicata la sua volontà et si è mostrato
prontissimo ad eseguirla et cederà molto bene in conformità del
ragguaglio che si trova di già aver dato così in genere di questo
processo a cotesti Cardinali della congregatione, sino da che con
saputa di V, A. egli essamini giudicalmente il Notaro Tarabuzzi.
Questa sera constituirà il Puelli essendosene data la commissione
alli Giudici della Causa, che prima doveranno partecipargli quella
parte del processo che concerne materia del suo Tribunale, et si
anderà proseguendo la causa con ogni accurata diligenza, et se la
persona del Conte Pendasio si reputerà bisognevole per meglio accertare nella sostanza, farò in maniera tale che senza esser nominato assisterà agl’ essamini.... Domani vederò che parta la persona
che destinerà in Lorena, et sin qui ho pensato di valermi del Dot-
(1) 24 novembre 1621.
Del resto, può darsi che sia vera l'affermazione in proposito dell'ignoto difensore di donna Isabella nel processo all’ Inquisizione di Roma: che cioè queste
proposte di Vincenzo ad altro non tendevano, che a insidiare la libertà della
principessa. Vedi documento XIX.
(2) Bianca Montagnana.
(3) Fra Girolamo da Camerino.
696 GUIDO ERRANTE
tor Vinciguerra Pendaglia, che poterà bisognando parlar per i termini nella causa di cui V. A. commanda si dia ragguaglio a quelle
Altezze, et presso la lettera, che ella scrive a Madama, Io l'accompagnerò con altra mia et starò sui medesimi punti, rappresentandoli però con quell’affettuosa efficacia che forse più convenirà alla
persona mia.... ».
E il 12 dicembre Caterina di nuovo scriveva : « ll Padre Inquisitore, dopo aver essaminato il Puelli, fu da me molto contento
della prontezza, sodezza et minutezza, con cui mi raccontò che
aveva deposto in ogni particolare ricercatogli, et ci promettiamo,
che farà il medesimo la donna, tutto convenendo con la mera et
pura verità. Mi ha detto che darà parte a Roma con questo ordinario alli Padri della Sacra Congregatione dell’ esseguito et che
servirà a V. A. et alla Causa come per ogni rispetto deve, il che
ho stimato bene che sia noto a lei anche.... Dopo aver scritto sin
qui, il Padre Inquisitore mi viene a dar parte d’aver constituita
la Bianca et d’averne avuto quanto se n’attendeva con tanta prontezza, veresimilitudine et concordia col Puelli, che non si può dire
quanto basta. Ha opinione che il Puelli sappia qualche cosa di
vantaggio circa l'origine et maestro del maleficio, però anderà continuando le sue diligenze..... ».
Durante tutto l’anno 1622 le relazioni tra Mantova e Romasi
riferiscono alla procedura da seguirsi nella lite; il duca vuole che
Gregorio XV elegga due confidenti, i quali, studiata la causa, diano
il loro giudizio, che a lui sia riserbato il vantaggio di un benevolo
arbitrio, che nei particolari del negozio si tenga la massima segretezza; non si dimentica di ricordare ripetutamente « quanto le conclusioni del dibattito concernino non meno il pubblico che il privato interesse, per le conseguenze che possono derivare di commodo e di pregiuditio all'Italia et al Cristianesimo dal restar più
o meno assicurata di questi tempi la successione di questa nostra
Casa n. Il Pontefice tuttavia non si lascia facilmente persuadere:
nomina un tal monsignor Monterenzio ad esaminare l’intero svol.
gimento del processo, ma più per non inasprire Ferdinando, che
per convinzione; forse egli ha già in animo di prendere atto delle
proteste di donna Isabella e di affidare all’ Inquisizione di Roma
il giudizio definitivo.
Il duca non desiste intanto dai suoi tentativi di corruzione: i
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 697
documenti in proposito si fanno man mano più scarsi e più vaghi,
evidentemente per una misura di prudenza e di sicurezza; ma è
tuttavia possibile rintracciare qualche accenno. In una lettera del
5 aprile sembra che Ferdinando parli allo Striggio di una vigna
comperata per favorire un cardinale, e il 6 maggio ne scrive in
questi termini al medesimo Striggio : « Quanto al tocco che ci fate
nella vostra, sapremo ballare, come si dice, se essi Signori soneranno, vogliamo dire che questa della Vigna non sara l’ ultima
cortesia che riceva da noi, poichè faremo altri regali a luogo e
tempo. Questo diciamo perchè sappiate conosciamo la nostra obligazione, non perchè crediamo dovere o potere ciò mover l'animo
di Signori tanto ingenui et nostri amorevoli.... ».
Ma le speranze del duca ancora una volta son destinate a
fallire: e il suo più vivo desiderio, che la causa si decida all’ Inquisizione di Mantova e non venga commessa all’ Inquisizione di
Roma, sarà anche deluso.
L’ Intra nell’opuscolo già citato (1), narra che donna Isabella,
essendo stata condannata a morte dall’ Inquisizione mantovana, ricorse alla suprema Inquisizione di Roma; ed enumera perfino i
motivi peri quali da questa sarebbe stato accettato il ricorso della
principessa : il processo erasi fatto negli stati del suo nemico; de’
testimonî e complici, l'uno era un dipendente di don Vincenzo,
l’altra una sua cameriera licenziata; i giudici laici erarfo sudditi
del duca, gli ecclesiastici ignoravano cose e persone; ella non era
stata interrogata, nè per lei era stato designato alcun difensore,
il che solevasi concedere al più volgare delinquente (2). Nelle corrispondenze e negli altri atti dell’archivio Gonzaga quanto l’Intra
ci narra non è certo possibile riscontrare; e a noi sembra più
(1) In molti particolari l'opuscolo di Giambattista Intra, oltre ad essere inesauriente, risulta privo di esattezza. Anche la data dell'ultimo tentativo di riconciliazione tra il principe Vincenzo e donna Isabella è inesatta: 1’ Intra la pone
nel luglio del 1622 e novi abbiam visto che il tentativo avvenne nel novembre
del 1621.
(2) Non so dove l'Intra abbia potuto trovare i documenti che provano la
condanna a morte di donna Isabella e le motivazioni del suo ricorso; se tali
documenti non esistono nell’archivio Gonzaga e se chiuso per chiunque fu sempre
e tutt'ora rimane l'archivio della Inquisizione romana. Del resto l’Intra non cita,
a sostenere i fatti da lui narrati, nessun documento.
698 GUIDO ERRANTE
probabile che, da una parte per la giustizia della causa, dall'altra
per le protezioni che non mancavano certo a donna Isabella, il
pontefice volesse giudicata la lite dal Supremo Tribunale di Roma:
si trattava infatti di un gran delitto, consumato mediante abuso di
Sacramento e da persona molto nota e di elevatissima casta.
Troviamo bensì nell'archivio Gonzaga alcuni parerì circa le
principali questioni del processo. Senza firma è una disquisizione
intorno all’ argomento: se sia da condannarsi a morte chi abbia
usato a scopo indegno del S.,mo Sacramento, sia nel foro secolare,
sia nell’Ufficio della Santa Inquisizione; l’ignoto giureconsulto risponde affermativamente. Senza data, ma con la firma di Carlo
Bardellone, è un’altra disquisizione intorno all’ argomento: se i
testimoni debbano essere trasmessi alla corte di Roma « antequam
ipsamet rea.... in vinculis detrudatur » e se dietro gl’indizî che si
hanno « ipsa sortilega sufficienter ad torturam inditiata dicatur »;
il Bardellone conclude tanto riguardo al primo che al secondo
quesito affermativamenie (1).
Un terzo documento adduce le ragioni in favore di donna
Isabella : e forse su di esso si basò l’Intra per indurre la condanna
a morte della principessa decretata dall’ Inquisizione mantovana e
il ricorso accettato dal Tribunale Supremo di Roma. Ma in primo
luogo, tale documento risulta come parere e non come sentenza;
in secondo luogo, le motivazioni del ricorso sono diverse da quelle
enumerate dall’Intra; in terzo luogo, non vi si accenna alla condanna di morte (2).
La verità è, ripetiamo, che Gregorio XV, avvisato della causa
che fuori de’ limiti di ogni competenza e di ogui diritto, i Gonzaga proseguivano a Mantova, volle egli stesso fare giustizia e
diede ordine che a Romasi ricominciasse ab ovo il processo. Non
s'era il delitto di cui si accusava donna Isabella consumato a S. Martino, nella diocesi di Cremona (3)? e non era sospetta, codesta
(1) Doc. XVI.
(2) Doc. XVII.
(3) Invano il duca aveva cercato di prevenire gli eventi, facendo domanda
al papa di ridurre sotto l'Inquisizione di Mantova quella parte del suo stato sot:
toposta alla diocesi di Cremona. Il 1° aprile 1622, infatti, aveva egli scritto allo
Striggio: « Fra le cose che ci premono in questo nostro stato per evitar gl'in
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 699
procedura affrettata, irregolare e segreta? e aveva forse l’imputata
consentito a che il giudizio si svolgesse a Mantova, in un luogo
a lei così ostile? :
Prima condizione, dunque, imposta a Ferdinando, fu quella
d’ inviare a Roma il Puelli e la Montagnana. Ma il duca solo allora vi si decise, quando ebbe ottenuto che la cognata fosse fatta
prigioniera. Inspiegabile, questa pretesa: se non la si interpretasse
qual prova evidente del timore di un incontro tra donna Isabella
e i suoi accusatori. Gli stessi agenti ducali, da Roma davano questo consiglio al loro signore: « Venendo qui stimata santa, et prudentissima la deliberazione, che S. A. ha fatta di non inviar qua
i prigioni prima che donna Isabella sia in prigione, ho voluto dirlo
con questa a V. S. Ill. in ziffra, perchè potendosi perder la let.
tera, non sì vegga ch’egli scrive diversamente dall’ intentione di
S. S. et della Congregatione. Ben è vero, che per non dar et ricever disgusto sarà necessario sino che si abbia tal carceratione
andar temporeggiando or con un pretesto, che siano amalati, et
or con un altro, et quali pareranno all’ infallibile prudenza di S.
A., la qual per captar l’animo di questi signori, deve da un canto
mostrarsi pronto a condiscendere, ma dall’altro far quello, che più
compete al suo serenissimo servigio et alla salvezza della sua riputatione.... » (1).
Ferdinando è intanto occupatissimo a ribatter tutte le innumeri
obiezioni che gli vengono mosse dai giudici di Roma. Sembra che
questi abbiano perfino accusato il principe Vincenzo di essere stato
convenienti che sovente ne nascono, è quello del S. Ufficio di questa città,
acciocchè dipendano i nostri sudditi da un solo tribunale et si levi l'occasione
d’introdur essecutori di fuori col pretesto di far la causa pressante ad altri
inquisitori, che non può esser senza sconcerto col foro secolare col dar materia di doglianze et di molesti ricorsi costà.... Desidereremmo veder accertato
il modo con cui il S. Ufficio essercitasse la sua causa senza materia di intoppo
nè di disparer alcuno qual sarebbe coll’ottener che quella parte di questo stato
sottoposta alla Diocesi di Cremona, fosse transferita sotto l’Inquisitor di Mantova.... ». Ferdinando aveva concluso la sua lettera così: « .... S'è il Principe
di Bozzolo sottratto da questo tribunale di Mantova Dio sa con quali preA_R CS R A testi.... D.
(1) Lettera di Francesco Comino a un ministro di Ferdinando, da Roma,
addi 2 giugno 1623.
700 | GUIDO ERRANTE
ancor lui autore o complice d’una qualche malia. E il duca risponde,
per mezzo dello Striggio : « .... L’aver il Prencipe nostro fratello
(sia qualsivoglia la verità, che non la sappiamo) avuto qualche
parte in cose di maleficij, non vediamo come possa sollevar l'altrui colpa, non essendo stati usati i detti maleficij contro donna Isa- |
bella, sì che ella si possa scusare d’aver con pari arte voluto circonvenir nostro fratello ». A ogni modo, non è detto che sì debba
andar impuniti, per il solo fatto che si è commesso un delitto contro chi dello stesso delitto era macchiato. « Meno ciò può aver
luogo nell’ enormità di questo caso intorno a cui si passerebbe
molto leggermente, se si potesse sfuggir sotto tal pretesto la pena
di tanto sacrilegio, nel quale non si considera l’offesa privata, ma
la publica nel disprezzo. fatto a Dio medesimo, et il dubio che nasce sopra l'integrità della fede Cattolica, mentre s° abusa il Santissimo Sacramento così sordidamente... ». Ma o perchè infondata
o perchè la corte di Mantova riuscisse a farla tacere, i giudici di
Roma non levarono più una tale accusa contro don Vincenzo (1).
Le informazioni che il duca riceveva circa il contegno della
principessa Isabella, la quale a difendersi erasi trasferita a Roma,
dovevan certo esacerbargli il desiderio di vederla rinchiusa in un
carcere. Il Soardi nel maggio del 1523 riferiva: «.... I SS. Cardinali, con quali avendo ella trattato, tutti mi han detto, che non
sentirono mai donna nè più loquace, nè più altera, et da’ loro ragionamenti ho cavato di sicuro, che poco guadagno n’abbia ‘fatto,
venendo talvolta in certe fogose sparate, che passano il segno della
sua positura. Di V. A. amaramente si duole, che come Capo di
sua casa acerbamente la perseguita (dice ella), Ma io ho a questo
risposto che non è V. A. ma il suo peccato et che d’essere di sua
Casa non è dei primi luoghi, et esclamando ella, che se veniva a
Mantova, quando venir voleva, era tradita, ghi ho fatti capaci, che
la scusa che trova di essere stata avvertita non fu, come essa
dice, poi che fu avvertita sì, ma ancora avvisata, che la Bianca già
sua donna, era nel S. Ufficio prigioniera: del qual avviso fattovi
riflessione col sentimento della propria coscienza, non ostante che
il Prencipe l’avesse assicurata, che torto alcuno non le sarebbe
stato fatto, mancò della parola data con l’allegato pretesto di tra-
(1) Doc. XV.
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 7OI
dimento.... ». Sembra così che donna Isabella si schierasse apertamente contro i suoi nemici e ribattesse una per una, senza più
reticenze nè riguardi, le loro accuse. Anche il Faccipecora informava Ferdinando: «.... Donna Isabella attende a godere il frutto
della sospensione, in cui son mantenuti tutti i negotij dalla poca
salute di S. Beat., poichè se ne va attorno con molta franchezza,
come intendo nelle schiere publiche, senza però far molte pompe
delle sue bellezze già ridotte all’occaso, ed offuscate dal velo della
propria conscienza, che le deve cagionare grande inquiete nell’animo, tutto che s’ ingegni di comparire allegra e fastosa, come è
stata riconosciuta per molto ardire al solo aspetto da un P, Gesuita,
anzi disse non so che in vederla: — Hor sì che si deve credere,
poi che in altra forma non era atta a guadagnar l’amore d’un Prencipe.... » (I).
Lo stesso Faccipecora lamentava in una sua lettera, di aver
veduto in chiesa conferire un giorno alla principessa tutti gli onori
dovuti: la lettera, di sapore assai secentesco, è dell’aprile 1623.
« Questa mattina ritrovandomi a messa al Gesù, ho scoperto
in una capella D. I. che raggionava col Card. Borgia, et osservato che si affannava molto nel dire la sua raggione, con la vita
et con le mani; doppo longo discorso il Cardinale si partì parendomi che l’abbia assai onorata con l’abbassarsi molto a riverirla,
erano a sedere, essa di sopra in uno Imperiale ed il Cardinale in
una Carpesana, la quale voglio più tosto credere si ritrovasse a
caso nella Capella, che portata apostatamente, per far questa differenza, se bene l’ Imperiale era di Damasco cremisino con oro, e
l’ altra di Morlacco, che forse non sono proprie del Convento: ma
non credo mai tanto disbaratto. Partito il Cardinale ella venne su
la porta de la Capella, ne forse passò più oltre per avermi scoperto che udivo la Messa all’ Altar maggiore, ma quivi s’inginocchiò senza aspettar il Coscino, che li posero doppo avanti, ed è
di velluto morello. Nella faccia si conosceva travagliata, e sì conoscono similmente gli anni, tutto che sia molto rimunita et strebiata: l’abito è nero di seta, con un velo in testa all’uso di Roma
bianco e nero, con un filetino d’oro, nè teneva gli occhi a segno
dispiacendole forse d’esser da me veduta. Si è lamentata con molte
(1) Lettera del Faccipecora al duca; r5 maggio 1623.
702 GUIDO ERRANTE
signore di non puoter aver audienza da N. Signore: ora se la
passa quasi per uno scherzo, con dire che non la vogliono sentire
per esser la streghetta, et è sino uscita a dire in visita d’ una
dama parente del Principe Savelli, che i Cardinali si guardavano
d’andar da lei per paura di non perdere la berretta, ma che a lei
bastava d’averla fatta perdere a uno. Esso Principe mi dice d’ averlo detto al Card. Ludovisio, perchè vegga maggiormente con
quale baldanza essa va parlando. Mostra il Cardinal meravigliarsi
che la Congregatione non sappia risolversi, intorno il farla andar
prigione, et che N. S. ne sta con molto travaglio d’animo, venendoli insinuato che si possa dubitare di qualche tumulto per la quantità della gente ch’ ha seco ; a che dice il Cardinale d’aver risposto, che risolva pure S. S. o che si constituisca da sè, o che sia
formalmente prigione, lasciando poi a lui il pensiero dell’eseguire
nell’ uno o nell’ altro modo senza alcuno strepito. Le parole son
belle e gratiose quando non fossero già in possesso di dubia
fede.... ».
L’inquietudine vaga che gli veniva dalle notizie de’ suoi agenti
di Roma, non dava tregua a Ferdinando. Prima di riuscire nel suo
intento, nella carcerazione cioè di donna Isabella, egli non ebbe
requie. AI re di Francia si raccomandava vivamente, esponendo
tutta la serie dei mali che sarebbero derivati da un insuccesso e
lamentandosi degli aiuti di denaro e di ogni sorta che i Savoia
porgevano ai signori di Bozzolo; i Savoia gioivano al pensiero dell’ « esterminio » della sua Casa, perchè avevan di mira l' acquisto
del Monferrato. Al re di Spagna si rivolgeva sdegnato per le
protezioni di cui i Nevers beneficavano la cognata, e discutendo i
loro diritti di successione. Pregava le A. A. di Toscana perchè s'’interponessero in qualche modo a impedire che Modena e Parma
così parzialmente si comportassero in favore della parte contraria.
E rimproverava al cardinal Ludovisi la lentezza del tribunale supremo, mostrandosi inquieto anche per l’arrivo a Roma dell’ arcivescovo di Rodi, fratello della principesa di Bozzolo.
Invano il cardinale cercò di rassicurarlo : « .... Nella congregatione del S. Officio si trattano, come V. A. sa, le cause con
tanta maturità, per condurle al fine, che la Giustitia richiede, che
| non possono gli uffici altrui, se non quanto la ragione gli accompagna, operar cosa di momento. Onde per la venuta di Mons. Ar
IL PROCESSO PER L’ ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 703
civescovo di Rodi a Roma, V. A. può esser certa, che non si altererà il camigo preso della Giustitia, ma io oltr’ all’ obligatione,
che la cosa stessa m’impone, sarò di più tenuto a procurarlo per
servire a V. A., li cui comandamenti mi sono segni di gratia et
effetti di honore.... ».
Ma Ferdinando non si accontentava più di parole: e dimenticava spesso i suoi atteggiamenti d’umile devozione e di pia bontà,
per abandonarsi a ogni genere di minacce e d’ingiurie. Così, il 9
maggio 1623 scriveva al Soardi. « Scrivo a S. S. la qui annessa
lettera di mio pugno, et si come in essa non ho mancato di accennarle modestamente, che quando mi si neghi la dovuta Giustitia
nel fatto di D. Isabella, io sia per risolvermi ad altre risolutioni,
che più si conveniranno all’onore et mantenimento di Casa mia,
così si compiacerà V. S. di presentarla alla S.S. et soggiungerle
a viva voce più apertamente et con maggior libertà di parole, che
quando ricorsi a codesta S. Sede per giustitia contro D. Isabella
non lo feci già perchè non avessi saputo et potuto farlami di mia
mano, come Prencipe di gran lunga maggiore di lei, ma solo per
significare al Mondo che il mio procedere viene sempre accompagnato dal dovere et da ragione, la quale se da S. S. mi sarà fatta
con quei termini, che mi si convengono, mi sarà caro di riportar
frutto degno della mia modestia, che modestia può dirsi quando
un Principe libero può prendersi da se stesso vendetta dell’ingiuria, et nondimeno ricorre all’altrui foro a fine di ottenerla per via
di giustitia, et se questa per lo contra mi sarà negata, tutti diranno
che molto bene ho giustificata la mia causa avendo ricorso al Vicario di Cristo.... n. Soggiunge, che il non essere ancora donna Isabella in carcere, è una prova della poca considerazione in cui lo si
tiene; poichè non solo costei ha manomesso il Sant.m° Corpo di
Nostro Signore, ma anche, come dagli atti del processo risulta, ha
attentato alla sua vita. Giura che se giustizia non gli sarà resa, egli
saprà farsela da sè, nonostante tutte le guardie e tutti gli archibugi
di cui si circonda la principessa di Bozzolo. Un postscriptum a
questa lettera, di pugno di S. A., suona così: « Si rîcordi al Signor Cardinale [Ludovisi], che i Papi non vivono sempre, ma le case
de’ gran principi non si estinguono così tosto, et che in questo negotio notoriamente mi si fa torto et perciò vorrò alla fine rivedere |
i miei conti n». In fondo alla pagina, però, una nota ci avverte:
« il qual poscritto è stato moderato d’ordine di S. A. ».
704 GUIDO ERRANTE
Del resto, una corrispondenza fra lo Striggio e Ferdinando ci
dimostra, che se nulla fu tentato contro la vita di donna Isabella,
ciò si deve al fatto che ne mancò l’occasione. Il 26 ottobre 1623
lo Striggio informava il duca: «Il marchese Tassoni mi scrive
l’annessa lettera in credenza di un tale Andrea Landato Napolitano,
uomo però ben ali’ ordine, c'ha cera di gentiluomo anzi che no.
Costui m’ha detto con gran riserva, ch’egli è familiare intrinseco
della Casa Mattei (1) dove sta, e potrebbe a voglia sua dar il veleno a D. Isabella, s’esibisce però prontissimo di farlo con ogni
sicurezza e per la mercede si rimette a quello che V. A. vorrà
dopo il fatto.... È da notarsi, che questo tale prima di presentarmi
la lettera del marchese Tassoni, l’ha aperta e letta, per non si fidar di lui, e poi di nuovo serratala me la diede.... Io nel trattar
con lui ho preso sospetto che sia una spia doppia, e me n’hanno
fatto dubitare il parlar accorto, il sembiante ardito, la patria di
Napoli, il partito largo, dal quale, dice il proverbio, allargati, l'aver aperta la mia lettera, finalmente la grande instanza, d’aver
nelle sue mani la mia risposta, la quale io gli diceva c’havrei mandata al S. Marchese per altra mia. Con tutto ciò ho risposto del
tenore che V. A. vedrà per copia.... ». Infatti, il giorno prima,
25 ottobre, lo Striggio aveva risposto al marchese Tassoni: « Ho
sentito Andrea Landato Napolitano che m'ha resa la lettera di V.
E. et ho applicato con grande attentione l’animo ai suoi detti. Ma
dopo matura consideratione, conoscendo io la natura di S. A. ch'aborisce ogni attione, che non sia più che retta e giustificata, e sapendo che molte volte ad altre propositioni simili di chi ha voluto
levar la vita a’ suoi poco amorevoli ha chiuse le orecchie, per
la sua innata pietà e bontà ho risoluto non li far motto di questo
fatto, tanto più ch’io naturalmente ancora sono alieno di maneggi
di tal qualità.... ». E si avverarono i sospetti dello Striggio, che il
29 ottobre scriveva: « Il s. Marc. Tassoni mi scrive d’aver poi scoperto quel tale Napoletano, che fu da lui mandato in qua, per un
falso, a molti inditij che si riserba di dire a bocca: gode però che
sia stata scoperta la lepre etiandio qui, onde il S. Prencipe D. Vincenzo adesso si torrà giù del tutto dal proseguir la pratica del
(1) Una sorella della principessa di Bozzolo aveva sposato il marchese
Mattei: sua ospite fu Isabella durante il soggiorno a Roma.
IL PRO€EESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 705
sodetto Napoletano fintamente proposta... =. Ma se il suddetto
Napoletano non si fosse rivelato, avrebbe rifiutato il principe Vin-°
cenzo la proposta di lui? Non sembra; se ben consideriamo )’ ultima lettera in proposito dello Striggio al duca, dell’11 novembre 1623: « Avuta la risposta di V. A: Ser,ma ch’attessa la carceratione di D. Isabella (1) oltre gli altri rispetti, ella non volesse
saper altro della proposta di colui, mi risolsi di saltar il fosso col
S. Principe D. Vincenzo, dimandandogli che cosa aveva risposto
al Marc. Tassoni, e trovando che da S. E. s’era dato orecchio
alla proposta, esposi il senso contrario dell’A. V. guidato da fondatissime ragioni, onde l’ ho indotto a cantare la Palinodia con sua
lettera in zifra al medesimo marchese, il quale però ebbe già da
me l’avviso di non fidarsi di quel tale, giudicato qui una spia
doppia.... n.
Tornando adesso un poco sui nostri passi, dobbiamo giungere
fino al luglio dèl 1623, tempo in cui un avvenimento inaspettato,
la morte di Gregorio XV, aveva interrotto il camminar della lite.
A Gregorio XV era succeduto il cardinal Barberini, papa Urbano VIII; e il Possevino comunicava subito al duca da Roma il suo
giudizio sul nuovo pontefice: « Se bene V. A. stando alla Corte
et forse anco in Francia ebbe commodità di far giuditio della natura et qualità del presente Pontefice, nondimeno, perchè mi pare,
che allora meglio la persona si conosca, quando nè deve, nè ha
bisogno di simulare, ora in due parole prendo ardire di significare
a V. A. qual sia riputata la sua inclinatione. Ne’ propositi è costantissimo, nelle deliberationi tardo, cognosce l’inclinatione di tutti
li Prencipi, nè ha la terra uomo, che meglio a prima vista squadri
l'interno del Compagno, che lui. Sì che nè adulatione, nè blanditie, nè timore, nè interesse sono bastanti per rimoverlo dal suo
pensiero. Sa quello che è et per tale pontualmente vuol esser tenuto.... » (2). E in verità Urbano VIII non esitò a dichiarare subito al Soardi « che se fosse stato Pontefice al principio di questa
Causa avrebbe dissuasa S. A. a non intraprendere una tale impresa, che seco porta difficoltà infinite, tenendo opinione... che an-
(1) Come vedremo, nel frattempo donna Isabella era stata carcerata in Castel
Sant’ Angelo. |
(2) Lettera di Antonio Possevino al duca; 16 dicembre 1623.
706 GUIDO ERRANTE
che fossero provate le malie (particolare ancora assai incerto per
l'instabilità di costoro) non si potesse mai sciogliere il matrimonio
non ostante qualsivoglia altro parere in contrario.... ». L’esito del
processo rispose a tale dichiarazione : e se pur il papa ordinò che
donna Isabella fosse rinchiusa in Castel Sant'Angelo, prima che i
testimonî giungessero a Roma, secondo il desiderio del duca, quella
della principessa di Bozzolo fu certo una ben lieve prigionia.
Non sappiamo l’ultimo dibattimento del processo come si svolse:
abbiamo soltanto due documenti importantissimi, non solo in quanto
ci aiutano a ricostruire la fase definitiva della lite, ma- anche, e
più, in quanto ci forniscono un assai tipico esemplare dei dibattiti
forensi secenteschi.
Ercole Ripa (1) esordisce nella sua difesa scusandosi dell’ardire
che lo conforta nella gravità del compito a bui affidato. « Verum necessitas parendi audaciam excusabit; et propensa voluntas Dominis
inserviendi, intenti vires augebit; ut si Herculis humeris coelum
sustinere non possim; neque Oceanum disputationum facile transnare, vel navigare confidam; saltem navem causae matrimonialis
difficultatibus onustam, quam varijs dubitationibus, quasi ventis in
pelago iuris agitatam ad hanc Ripam applicuisse prospicio, quamvis
(occasione) tactus dolore cordis: gratanter excipiam; et de Ripa,
(cognomen familiae meae), e navi educam iura causae, ac notiori
terrestri itinere calcatis spinosis et angustissimis semitis, vepribus
obsitis, silvarumque asperitate superata, quasi Hercules, deducam
Deo bene iuvante, in laetos campos peroptatae victoriae ». Dichiara
che egli non s’occuperà delle altre ragioni che potrebbero invalidare il matrimonio: ma solo « de amatorio maleficio ex parte
D. Isabellae procurato ». E più precisamente l’argomento è posto
e delimitato così: — Se sia valido il matrimonio contratto per filtro
d’amore, o per preceduta malia; o se debba essere annullato. Quando
sì convalida un matrimonio nullo, seguendo il consenso. Se sia valido il matrimonio contratto con dolo: o per timore: o tra persone
(1) E’ impossibile riportare per intero l’arringa del Ripa, troppo lunga e
scritta in latino: ne esaminiamo la struttura e i nessi principali.
—
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 707
di condizioni diverse: o per troppo amore; o se si presuma nullo.
E che cosa debba presumersi, qualora il Diavolo abbia eccitato
l'amore. Se il delitto o l'eresia diano luogo a separazione. Quali
siano il consenso e la determinazione che occorrono al matrimonio.
Se si debba credere a chi asserisce di non aver consentito. Se il
Sommo Pontefice possa sciogliere, e per qual causa, il matrimonio
rato; e anche il consumato. Dio permettendo, quale potenza sia
quella di cui il Demonio è capace contro gli uomini e gli Elementi.
E quale effetto segua alla.dichiarazione che una persona fa di non
aver consentito. Che cosa s’intenda per volontario e che cosa per
involontario. Quando si può dire che la volontà è libera. —
Alla dichiarazione dell’argomento fa seguito un sommario dettagliatissimo di tutti i quesiti da risolversi nella difesa; che arrivano al numero di duecentoventotto. Spesso, un dato quesito ha
numerosi richiami ad altri quesiti: di modo che, intrecciandosi e
completandosi a vicenda quei richiami, l’arringa è veramente un
breve capolavoro di sapienza logica, tanto gli argomenti vi sono
ben collegati e distribuiti: nonostante la fioritura di certe imagini
iperboliche, di cui un saggio ha dato il Ripa nel suo esordio.
Sembra a prima vista che il matrimonio sia valido, sostiene il
difensore. Infatti basta a ciò il libero consenso; e la presunzione
del libero consenso si ha, quando da ambo le parti coritraenti furono pronunciate le rituali parole: Et ego te in meam accipio; Et
ego te accipio in meum. E sembra anche che la presunzione del libero consenso non possa nel nostro caso scomparire, « quia constat
huiusmodi philtris et pharmacis, hominis voluntatem non posse tolli
aut cogi, sed tantum flecti Demonis arte ». E inoltre, se il Signor
Principe aveva intenzione, prima che si compisse la malia, di contrar matrimonio con donna Isabella, se bene lo abbia contratto
dopo compiuta la malia, il matrimonio è valido; « quia ante non defuit deliberatio requisita ad peccatum ». E in verità si imputa di peccato anche colui che impazzisce d’amore, se da principio la passione sua fu volontaria; come il battesimo si concede ai pazzi, che
prima di diventar tali chiesero d’esser battezzati (1). Di più la di.
(1) Tutte le esemplificazioni di questo genere e tutte le sentenze d'indole
giuridica e teologica sono corredate di moltissime citazioni: S. Tommaso, Bisfeldius, Sanchez, Vivaldus, ecc., ecc.
703 GUIDO ERRANTE
sparità delle persone non annulla il matrimonio, chè uno solo ci è
Padre ne’ cieli: « unde qui ancillam vel libertam duxerit, non potest dimitti ». E ancora, l'errore del patrimonio o delle qualità non
annulla le nozze, nè esclude il consenso: di ciò è capace solamente
l'errore della persona. Nel nostro caso, poi, il matrimonio è convalidato da tutto ciò che seguì alla cerimonia e che potè significare
consenso: traductio ad domum, diutina cohabitatio, ecc., ecc. E anche
se donna Isabella fosse aggravata di eresia, il matrimonio non potrebbe sciogliersi, perchè nessun delitto de’ coniugi può scioglierlo:
« haeresis praebet causam separationis quoad thorum, non quoad
vinculum ». Tuttavia, il matrimonio del principe Vincenzo e di donna
Isabella non è valido: « quibus non ostantibus, re maiori cura perpensa, praesupposito maleficio, existimavi nullum esse matrimonium,
uti contractus ex parte Excellentissimi D. Principis sine libero eius
consensi », °
E in verità è sufficiente che il consenso non sia stato libero
anche da una sola delle parti, perché il matrimonio sia nullo. Perchè
poi il consenso sia libero, occorre che sia libero l’uso della ragione,
sì che la ragione possa deliberare secondo le sue proprie determinazioni e concludere secondo la collazione dei giudizi opposti; « consensus enim est actus, quo voluntas ratam et acceptam habet, sive
quo approbat sententiam rationis consultatione et deliberatione conciusam ». Il Ripa ci dà ora una definizione del tutto razionale del
libero arbitrio: « ideo philosophi definiunt liberum arbitrium esse
liberum de ratione iudicium, quasi ratio sit causa libertatis.... quod
radix libertatis, formaliter est voluntas, causaliter est ratio ». E il
difensore conclude: « igitur certum est consensum in matrimonio
requiri liberum cum discursu rationis »j mentre che il consenso del
principe Vincenzo non sia stato libero, facilmente si deduce dalla
supposta malia, « propinatio ad Amorem captandum et matrimonium
copulandum Demonis arte ». in verità, i filtri possono influire molto
sull’animo dell’ uomo, e il Demonio può, Dio permettendo, con il
malefizio, « elementa concuttere, mentes hominum alienare, corpora
laedere, temporalia perdere, impedire usum rationis; de matrimonio facere non matrimonium.... non tamen de non matrimonio matrimonium ». Così è dimostrato che nel matrimonio del principe Vin.
cenzo manca il consenso necessario. Ora, se il matrimonio non
consumato può essere sciolto dal papa, senza giudizio, anche il
si
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEI. MATRIMLNIO, ECC. 709
matrimonio consumato può esserlo: perchè il matrimonio consumato è indissolubile non per diritto di natura, ma per istituzione
DS di Cristo, di cui è comandamento: — Quos Deus coniunxit, homo
non separet —; quindi il Vicario di Cristo è arbitro in proposito.
« Sed non est opus latius insistere: quia deficiente consensu D. Principis, Deus eos non coniunzxit, sed diabolus maleficio execratissimo
sua arte iunxit in copulam ». Che poi il matrimonio del principe
Vincenzo sia stato contratto non liberamente, lo provano anche
molte e molte congetture. In primo luogo: il giuramento del principe. In secondo luogo: le testimonianze le quali accertano che
esso principe si sentì preso da un irresistibile desiderio d’amore
solo dopo i pranzi di S. Martino; e così, dato che ogni azione si
presume causata da un fatto precedente, « fraus arguitur ex actis
gestis et matrimonio incontinenti secuto; actus incontinenti post
illatum metum, praesumitur factus metu; matrimonium post tractatum de cogendo ad contrahendum, praesumitur metu contractum »:
in verità, nessuna passione è più veemente della passione d’amore;
nelle Metamorfosi di Ovidio si racconta: « Narcisium etiam ipsum
sui ipsius amore exhardentem, in sui nominis florem abijsse ». In
terzo luogo: se il principe avesse spontaneamente voluto contrar
matrimonio con donna Isabella, quest’ultima non sarebbe ricorsa a
un tanto orribile tentativo. In quarto luogo: la disparità delle persone fa sospettare, nel caso di questo matrimonio, una malia: don
Vincenzo e donna Isabella sono di diversa condizione, di diversa
ricchezza, di diversa età (1); dalle loro nozze non si può sperar
prole. In quinto luogo: i mali che seguirono, sono un’altra conferma dell’intervento diabolico; « multae enim turbae secutae sunt:
separatio inter eos, carceratio multorum ». Concludendo: non vi fu
il libero consenso, il pontefice può annullare, il principe Vincenzo
può ammogliarsi con altra donna.
(1) Di non troppo rigore giuridico sono a volta le citazioni probanti che
fa il Ripa. A prcposito dell'età, per esempio, egli ricorda un passo della quinta
satira ariostesca:
Di dieci anni, e di dodici, se sai,
Per mio consiglio, sia di te minore:
Di pari o di più età non la tor mai.
Perchè passando, come fa il migliore
Tempo, e i begli anni in lor prima che in noi,
Ti parria vecchia essendo anco tu in fiore.
Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. IV. 46
710 GUIDO ERRANTE
« His ita constitutis, superest respondere contrarijs, quae proponebam: ex quorum resolutione, iam dicta magnopere confirmantur»..
Prima di tutto, non osta alla nostra conclusione fatta, che il matrimonio si perfezioni con il consenso dei due contraenti, espresso
nelle rituali parole d’innanzi al parroco e ai testimoni: infatti, nel
foro contenzioso si presume il consenso, ma nel foro della conscienza, ci si deve attenere all’asserzione di chi giura di non aver
consentito: del resto, pur ammettendo che il principe abbia consentito, il Ripa sostiene anche in foro contenzioso, non essere il
consenso di lui stato libero. Perchè gli atti involontari sono quelli
che avvengono o per violenza o per ignoranza. « Violentum autem
dicitur, cuius principium est foris et vexat ab externo, non conferente seu non adiuvante eo, cui vis illata est: et cum oppositorum eadem sit scientia, voluntarium definiunt esse id, quod fit ab
intrinseco principio cum cognitione finis, aut circumstantiarum circa
quas fit operatio ». È certo, quindi, che don Vincenzo non agì secondo
l'interno consiglio della sua spontanea volontà, per le congetture
suesposte. E qui il Ripa si addentra in una serie di distinzioni
scolastiche circa il volontario e l’involontario, il timore intrinseco
ed estrinseco; noi le tralasciamo, per continuare a seguire la tesi
principale. Non osta alla conclusione fatta, che la volontà dell’uomo
non possa essere dal Demonio assolutamente costretta, ma soltanto
piegata; perchè il Demonio può invece « hominem dementare et
usum rationis impedire, etiam respectu unius rei »: e allora il principe Vincenzo, « cum vero non habuerit lumen rationis sic impeditae,
ignoravit quid ageret, atque ideo contrahere voluit, vel certe libere
contrahere non potuit». E obiettandosi che la libertà di deliberazione
avuta dal principe fu pari a quella che è sufficiente per costituire
in peccato, il Ripa risponde « verius forte esse, maiorem deliberationem requiri ad contrahendum matrimonium, quam ad peccandum; quia ad peccatum sufficit consensus praesens; sed in sponsalibus et matrimonio consensus in futurum ». Se poi alcuno ancora opponesse, che il libero consenso vi fu, per la ragione che il
Demonio non si adopera se non per indurre in peccato, il Ripa
ritorcerebbe l’argomento contro di lui, dovendosi ritenere che il
Demonio abbia incitato al matrimonio il principe Vincenzo e donna
Isabella, solamente per unirli in una copula illecita. Per il modo
poi in cui si svolsero i fatti, è da escludersi che prima del male
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, FCC. TII
ficio il principe avesse la volontà di fare simile matrimonio. Nè
pure vale la consuetudine, che la disparità di condizioni non sia
causa di nullità: « verum id est, quando dispar voluit contrahere, et
vere contraxit; sed cum Princeps afferat, se vi nescio qua, scilicet
maleficio grassante (ut postea innotuit) impulsum contraxisse, disparitas coadiuvat assertionem ». Come si vede il Ripa si ripete
troppo spesso. Nè anche è vero, che don Vincenzo abbia dopo
. con atti suoi proprî convalidato il matrimonio: se pure ciò fosse,
ricorda il Ripa che dal concilio di Trento in poi, un matrimonio
nullo non si perfeziona con il mutuo tacito consenso dei due conlugi, ma con una seconda cerimonia, d’innanzi al parroco coi testimonî. Infine, non giova a donna Isabella che le nozze non possano
essere sciolte nè da delitto, nè da eresia, « quia solvuntur defectu
totalis, vel liberi consensus, attento doloso sortilegio et consideratis
iam dictis ». La pena di morte dovrebbe essere inflitta alla principessa, « ex Decreto Pauli IIIl contra abutentes Sacramentis, edito
die 17 februarij 1559. Dignitas non habet privilegium in delictis, vel
maleficijs sortilegijs ». Il Ripa conclude quindi con molta serietà:
« matrimonium morte solvitur ». Ma donna Isabella peccò per amore: e i delitti d'amore devono essere meno severamente puniti. Il
tiranno ateniese Pisistrato, avendo un adolescente baciata sua figlia,
alla moglie che lo incitava a colpire l’incauto con l’ultima pena,
rispose: « si eos, qui nos amant, interficiamus, quid his faciemus,
quibus odio sumus? ». Il benignissimo principe, perciò, non si ostinerà mai ad esigere la morte della nobilissima principessa, a patto
che il matrimonio sia sciolto ed egli possa condurre in moglie altra
donna.
Segue la protestatio fidei e si chiude l’arringa (1).
Il Ripa ha dunque dovuto sillogizzare e sofisticare troppo, non
avendo una base di fatto su cui porre l’edificio d’una più sicura e
pratica difesa.
(1) La protestatio fidei era concepita così: « In quibus si quid minus erudite, aut parum caute positum forte contineretur, quod fidei repugnet, aut Sacris
« Canonibus, vel Sanctae Romanae Matris Ecclesiae Catholicae et Apostolicae
a Constitutionibus adversetur; id omne revoco et pro non scripto, dictove, haberi
« volo: Me enim Christianum esse, et vivere, et mori velle profiteor.... ».
A}
712 GUIDO ERRANTE
Non così l'ignoto difensore di donna Isabella (1).
Si può-anzi dire, che costui impostò tutta la sua difesa su una
esposizione di fatti. Ed ecco le circostanze che egli considerò nella
causa degli asserti malefici.
1, « Perchè e come sieno stati opposti ». Il duca Ferdinando
ha ricorso a codesta invenzione, solo quando fu persuaso che ogni
altra via era chiusa e ogni altro tentativo vano.
2. « A chi sieno opposti ». Troppo alta è la figura morale di
donna Isabella ed ella conta troppe benemerenze, note a tutti, perchè si possa prestar fede a certe accuse.
3. « Per qual causa si suppongono usati ». Inutile sarebbe stato
per donna Isabella un maleficio, diretto ad ottenere ciò che da tanto
tempo ella era instantemente pregata di concedere.
4. « Gli effetti da’ quali si possa comprendere se siano stati
usati o no ». Le male intenzioni del principe contro la moglie, le
sue offese, i suoi maltrattamenti appena seguito il matrimonio, non
possono sembrare certamente effetti di malia.
5. « La condizione de’ testimonij e come siano stati trattati
dalle parti ». Il Puelli era suddito del duca, la Montagnana una
ex cameriera della principessa, scacciata dal suo servizio. Avrebbe
mai donna Isabella, così prudente com’ era, potuto confidare a simili persone il suo segreto? avrebbe potuto metterle a parte del
suo delitto? In ogni modo, la principessa non avrebbe licenziata
Bianca Montagnana, proprio quando il duca voleva dissolto il matrimonio del fratello, se fosse stata depositaria del suo segreto.
Senza contare, che durante il processo l’imputata fu troppo bene
trattata, avendo ella molta libertà e gran numero di servi.
6. « I modi tenuti con la Principessa dalla parte avversa, per
conseguire il suo fine ». Il duca Ferdinando « ha più d’una volta
mosse l’arme contro i sudditi et stati del Principe suo figliolo, in
mille modi gli ha turbata et cercato di usurpare la giurisditione.
Ha machinato più volte contro la vita di lei e de’ suoi figlioli, le
ha fatte molte minaccie.... le ha fatte amplissime offerte, per sè, e
per ì suoi.... e finalmente per potere o privarla di vita, o forzarla
a confessare la falsa imputatione, ovvero a consentire alla dissoluttione del matrimonio, fece, che D. Vincenzo procurasse di con-
(1) Doc. XIX.
—
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 713
durla nel suo stato con brutto tradimento (1) che gli sarebbe riuscito se Dio Benedetto non l’avesse fatto scoprire... ».
7. « Come le sia stato corrisposto dalla Principessa ». Il contegno di donna Isabella, il suo modo di comportarsi in tutte le
occasioni, rivela la sua completa innocenza.
Chi abbia pronunciato questa semplice, ma serena e sicura
arringa, non sappiamo : l’Intra ci dà un’altra informazione che
non trova riscontro nell’ archivio Gonzaga; ci narra che donna
Isabella stessa si difese mirabilmente d’innanzi ai giudici e constrinse i testimonî a sconfessarsi piangendo e a chiederle perdono.
Certo, le notizie inviate quasi cotidianamente a Mantova dal
Soardi in questo periodo sono tutt'altro che buone. Il papa per il
primo fa osservare, come abbiamo già detto, che anche superate
le difficoltà di fatto e di prova della causa, rimarranno sempre
quelle di diritto; « .... tenendo opinione la S. S. et i SS. Cardinali della Congregatione, che anche fossero provate le malie (particolare ancora assai incerto per l'instabilità di costoro), non si
potesse mai sciogliere il matrimonio n. E così abbiamo vista la
difesa del Ripa impostarsi sulla questione filosofica e puramente
giuridica della libertà di consenso, sorvolando sui fatti, ch’ egli
presumeva indiscutibilmente veri e già provati. Dal 6 gennaio 1624
cominciano le tristi nuove, e definitive questa volta, che il Soardi
trasmette da Roma: « .... Hieri sera al principiar della notte fu
liberata di Castello D. Isabella, et prima d’andare a casa de’ Mattei,
fu a visitar la Chiesa della Pace, et quivi fece cantare il Te Deum
da quei Reverendi Padri pro gratiam actionis, et essendo seguita
questa liberatione quasi all’improvviso, la corte tiene, che di novo
possino essere stati repetiti li testimonij; et questi stati saldi nell’ultimo loro detto.... ». Ora, ci si preoccupa della riputazione
della casa Gonzaga, delle voci che corrono, del giudizio più o
meno severo dei terzi; a Roma tutti parlano della causa come
(1) Si allude certamente al tentativo del novembre 1621, cui già abbiamo
accenziato: tentativo fatto, mentre a Mantova procedevano gl’interrogatori del
Puelli e della Montagnana.
714 GUIDO ERRANTE
spedita, ma nessuna voce si alza ancora contro il duca, anzi
«.... il sapere che il Puelli nel S. Ufficio di Roma dai Ministri
del Pontefice abbia ratificati tutti li Processi fabricati in questo
genere et l’aver S. A. inviati qua con tanta prontezza i testimoni)
sodetti ha fatto et fa in questo teatro apparente argomento della
sua limpidezza et D. Isabella stessa, parenti et amici suoi parlano
di questo modo, levando a’ maligni l’addito del mormorare.... ». Il
Soardi consiglia poi il duca a «.... dissimulare il seguito, et se
non per sempre, almeno di presente, per non mostrar al mondo
qualche occulta passione et correndo tuttavia voce, che D. Isabella
scriva o abbia scritto a V. A. lettera di grande ossequio chiedendole perdono d’ogni disgusto dato, et bramando la sua gratia con
supplica della protettione per sè, suoi figliuoli et sua Casa, molti
stanno in credere, et particolarmente i grandi, che alle sue lagrime V. A. pieghi con condonarle ogni errore commesso ».
Intanto donna Isabella è ben sorvegliata; si osserva tutto quello
ch’ella fa: « .... poco gusto ha dato nel far cantare il Te Deum
nella Chiesa della Pace all’uscir di Castello, essendo paruta vanità
et troppa iattanza ». Molto sgradite son certo all’ animo de’ due
fratelli queste solenni publiche grazie rese a Dio per la giustizia
ottenuta contro di loro. Anche, scrive il Soardi: « ... Andando per
Roma questa mattina ho incontrata D. Isabella in un carozzone di
panno nero, nobilmente guarnito: aveva i cavalli con fiocchi, una
matrona seco, la carroccia quasi chiusa, quattro paggi, sei staffieri
et un’altra carroccia d’uomini da spada. Non m’avendo veduto, nè
veduta io lei, non vi è passata altra creanza, che un ordinario saluto di cappello a quelli che la seguitavano » (1).
Tra Ferdinando e il Vaticano, la corrispondenza dopo il processo è vivacissima: di pugno di S. A. è la seguente lettera a
Urbano VIII in data del 27 gennaio 1624. *
« Beatissimo Padre,
« Vide Iddio inanzi al cospetto del quale sono che nulla devo
a Lui nè alla giustitia nella causa di D. Isabella di San Martino;
creda V. S. che non mentisco e giudichi, la supplico, della limpi-
(1) Lettera del Soardi al duca; 27 gennaio 1624.
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 715
dezza mia nel processo di questo affare, la candidezza dell’animo
mio nel maneggio di tal negotio. Io non mi sono affaticato per
altro che per gloria di Dio et per zelo del mio servizio a scoprire
la verità, la quale per qual occulto giuditio di S. D. M.tà rimanga
ora così ecclisata, Egli lo sa, a cui nulla è nascosto. Subornatione
alcuna in questa città non si è tentata, ma nè anco immaginata
per far che i testimonij deponessero altro che il vero. Sinora non
ha mai posseduto l’animo mio contro D. Isabella alcun desiderio
di vendetta, poi che l’aver io potuto mille volte lavarmi le mani
nel suo sangue et non l’aver già mai tentato è una chiara dimostratione che l’ira mia verso di lei non giungeva a qualità di peccato, se avessi avuto così poca coscienza di ordire una tela così
iniqua, avrei avuto ancora tanto cuore di saper coprire colla morte
de’ testimonij le mie lordure, ma la confidenza mia nella purità
della mia coscienza mi ha fatto sperar in questa maniera; nè me
ne pento, Beatissimo Padre, perchè meglio è patir giusto che trionfar
colpevole, poi che il tutto ben può condur in trionfo il colpevole
ma non già la propria conscienza, quale non si può acquistare per
alcuna lusinga di avvenimento prospero. Giudicherà Dio ben tosto
questa causa, et mostrerà quanto sieno diverse le vie umane dalle
sue,
« FeRpINANDO, da Mantova ».
Ma il papa è stanco di simili sfrontatezze: e il Soardi ne avverte S. À., a proposito di una ulteriore lettera poco rispettosa del
duca: « .... la lettera di lei in risposta del breve $crittogli, non
gli ha dato quel gusto che si credeva, mostrandosi nella risposta
per quanto mi ha detto S. B., V. A. alterata, et la quale risposta
avendola comunicata in voce alli S."i Card, della Congregatione, vi
furono di quelli che dissero, che questo Tribunale veniva male trattato senza causa, stando che sanno tutti, dicevano, di aver fatta
buona giustitia, et rappresentando questi concetti al Papa in modo
di doversi fare sentire, quando in altre corti fossero divulgate le
doglianze di lei.... », Se il duca continuerà a scrivere o a divulgar
voci contro il tribunale di Roma, Urbano VIII « non potrà se non
far apparire al mondo quello che ha lasciato in fin qui per l’amore
et rispetto che ha portato a V. A. et dicendomi S. S. queste parole
716 GUIDO ERRANTE
quasi con lagrime, molto chiaramente dimostrava il dispiacere dell'animo suo » (1).
Tuttavia la S. Sede accondiscese a molti desiderî della corte
mantovana. Non volevano, a Mantova, che le conclusioni del processo uscissero in forma di sentenza, ma desideravano che si desse
loro la forma di decreto: anche volevano che donna Isabella venisse dichiarata « non colpevole » invece che « innocente ». Il vescovo Soardi non tralasciava mai di avvertir Ferdinando; « ... la
parte vorrebbe la declaratoria e la vorrebbe pingue, grassa et oppulenta, ma la Congregatione in fin qui non si risolve a cosa al.
cuna, benchè per le mani abbia il caso da studiare, et per quanto
da altro canto ho inteso, persiste il Papa ne’ primi termini, che la
parte s’umilij et che s’acqueti, inclinando S. S. a tutto suo potere,
che questa declaratione, dovendo uscire, esca asciutta, secca e senza
pompa.... » (2). E in verità il breve che venne mandato dal pontefice
alla regina di Francia, all’imperatrice e a S. A. suonava così:
« Charissima in Christo filia nostra salutem (sic). Quam propensa
voluntate gratificare cupiamus Maiestati tuae, pauci fere nos alluquuntur, qui non possint luculenter testari. Haerent Pontificiae
menti infixa non modo Regis nominis decora, quibus Italiam Galliamque exornas, sed etiam humanitatis officia, quibus Regalem
benevolentiam Nobis isthic commorantibus iampridem declarasti.
Quare ubi Justitiae et Veritatis causam commendas, facile conijcere
potest, quod insit precibus tuis pondus, cum ad Christianissimae
Reginae nota Nos hortentur, quod Dei lex iubet et Pontificatus
ratio exigit. Curavimus ergo, ut controvertia illa quamprimum dirimetur, quae Mantuanos Principes sollicitos habebat. Exploratum
esse potest Maiestati tuae, quam nuper sententiam tulerit sacrum
Romanae Inquisitionis tribunal, ubi veritatem non modo Judicum
sapientia, sed ipsius etiam coeli lux patefacere videtur. Haesisset
non levis in Gonzagico nomine macula, si in ulla nobilissimae domus parte tam impia scelera parta unquam fuissent. Probatum
nuper non fuisse tam atrox crimen, omnibus gratum esse debet,
quibus gentis illius gloria chara est. Quod vero ad Nos attinet,
dabimus operam, ut dilectus filius Nobilis vir Mantuae Dux aman-
(1) Lettera del Soardi al duca; 30 marzo 1624.
(2) Lettera del Soardi al duca; 6 aprile 1624.
——
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 757
tiorem Pontificem desiderare non possit. Pontificiam enim voluntatem ei conciliant virtutes illae, quibus maiores triumphos auget,
tum etiam affinitas et benevolentia Maiestatis tuae, cui summopere
gratificari cupimus, et Apostolicam benedictionem amantissime impartimur ».
E donna Isabella nel maggio del 1624 non ottenne una sentenza assolutoria, ma un decreto così concepito: — Sacra Congregatio Cardinalium Sancti Officij Inquisitionis decernit relaxari Isabellam principem Sancti Martini ex Arce Sancti Angelis ex eo
quod illam non culpabilem. — (1). |
Chiudono l’ultima fase del lungo dibattito alcune lettere dirette
da Costanza Gonzaga, sorella d’Isabella, alla madre Vittoria di Capua e da costei alla figlia Isabella. Queste lettere furono intercettate dagli agenti del duca: e perciò si conservano tutt'ora a Mantova. Informava il 31 di gennaio Costanza Gonzaga la madre:
« +... Mi consta che il Papa non ha voluto far castigare li testimonij per maggior smacco di chi li ha fatti dir il falso, et stia
certa, che il Papa ha avuto a core la riputatione di mia sorella et
credo che l’animo suo fosse di castigar anche il principale, ma ci
veda molte dificultà.... » (2). Bellissima, per tenerezza di affetto e
fierezza di sentimento, è la seguente lettera, diretta a Isabella da
sua madre, nel febbraio del 1624.
« Cara et amatissima figliola mia. O tardo o presto che mi
gionghino le vostre lettere, sempre mi sono carissime, sì come m'è
stata questa dell’ ultimo del passato, nè occorre far scusa di non
(1) A Roma s'era intanto sparsa qualche voce contro il cardinal Ludovisi
e si metteva in dubbio la sua. integrità: egli cercava di scusarsi presso lo stesso
duca: « .... non devo tacere che vedendomi quelli di Bozzolo forse troppo ar-
« dente nella giustitia della Causa hanno detto alla S. S. et a questi SS. Cardi-
« nali della Congregatione che il signor Duca mi abbia donato certi terreni di
e gran valuta confinanti allo stato loro per comprare con quelli la mia fede et
« costituirmi procurator mercenario di quella causa. V.S. veda a che segno ar-
« riva la malignità di questa gente ». Lettere del cardinal Ludovisi a un ministro del duca; 10 gennaio 1624.
(2) Sembra che il duca Ferdinando volesse a ogni costo puniti i due testimoni, Bianca Montagnana e Federico Puelli; ma il papa gli fece osservare che,
avendo perdonato loro donna Isabella, a maggior ragione doveva la corte di
Mantova concedere il suo perdono.
718 GUIDO ERRANTE
aver risposto prima alle mie, perchè averete avuto tanto da fare
dopo che usciste di Castello, che ben ispesso non averete avuto,
appena, il tempo da segnarvi. Or sia lodato Dio, che abbiate fatto
conoscere la vostra innocenza in cospetto di tutto il mondo et liberata voi et noi da un travaglio sì grande, che se le cose fossero
andate alla trasversa, certo che sarei morta di dolore: et essendo
passate così felicemente, vi potete imaginare, ch’io non capisco in
me stessa di consolatione, et me si accresce col sentire et vedere
che tutto il mondo ne giubila, sino alli stessi Mantuani. Talchè
l’obligo nostro si fa ogni dì maggiore verso la Maestà di Dio, di
così segnalata gratia. S°' io ho fatto et fatte fare orationi per voi,
ho fatto quel che doveva, nè per questo voglio, m’abbiate un obligo
al mondo. M'è stato caro d’intendere, che foste a ringratiare S.S.
della vostra liberatione, et supplicarla, che vi si desse la vostra
sentenza assolutoria, in amplissima forma, conforme alla vostra
innocenza, nè veggo l'ora, che venghi fuori, temendo sempre, che
non sia per essere in quella amplezza che il dovere vorrebbe et
noi desideriamo, avendomi scritto Mons. che quei signori della
Congregatione tirano indietro a più potere; ma come il Papa stia
saldo, la sarà a nostro modo. Gli altri due capi, che domandaste
a S.S., cioè che siano castigati li vostri calumniatori et rifusa di
tante spese et danno patiti, sono domande giustissime, et di raggione non vi si doverebbero negare; et il Papa lo deve molto ben
conoscere, ma per non intaccare della sua riputatione, tengo che
non ci si farà altro, pur staremo a vedere, et S.S. disse pur troppo
il vero, che senza che nui lo dicessimo, il fatto era pur troppo
noto al mondo. Piacesse pure a Dio, che la S.S. potesse trovare
qualche forma d’accomodamento, però quanto a me non ci spero
punto; com’ anco che sia per fare un bene al mondo alli nostri
preti: et quando ve li lodò, et disse di volerli bene, dovevate forse
raccomandarceli in buona forma. Quanto alli rispetti, che mi dite,
che vi tengono l’animo sospeso a ritornare a casa, vi dico che
mentre viverà il Duca di Mantova, non restarà mai di travagliare
li vostri figlioli, et se vi sarete o no, bisognerà che si guardino,
et quanto ai suditi, essendosi il Principe convenuto con loro, non
possono dir altro, et per sicurezza della vostra persona tengo per
fermo che in nessun luogo sarete più sicura, che in casa dei vostri figli, che v’amano et stimano tanto, che metteranno sempre la
=
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 719
propria vita, non che ciò che hanno per vostro servitio; sì che,
cara figliola, tale risolutione a me non potrà mai piacere, et il
mondo crederebbe che li vostri figli non vi volessero più a casa:
però pensateci bene, prima che stabilire tal pensiero, et se la borsa
vostra starà salda alle spese di Roma, avendomi più di una volta
detto, che avevate che fare a potere vivere a casa con le vostre
entrate; però pregherò Dio che vi inspiri a quello che sarà per
Il meglio.... Se mò vi sete invaghita di Roma il buon prò vi faccia, ma mi pare anco una bella cosa il stare a casa sua, a godere
le sue creature. Madama fu quella che disse, se bene eravate uscita
di Castello, che v’ era però stata data la casa per carcere con sicurtà et che il S. Duca suo era stato ingannato ed il negotio mal
guidato, che perciò le vostre cose erano passate bene: anzi uno
di questi dì mi fu detto per certissimo che S. A. aveva messo in
chiaro, che voi eravate stata quella che avevate subburnati li testimonij a disdirsi, che se ciò fosse vero, metterebbe in campo
qualche altra diavoleria, ma certo, che detti testimonij siano stati
rilassati senza sorte alcuna di castigo fà maravigliare ognuno, et
da questo cavano, che li sia stata fatta la promessa se si disdicevano. Or sia come si voglia lodato Dio, che l’è passata ben per
noi. Il conte vostro fratello mostrò di sentire straordinaria allegrezza di questa vostra liberazione et ci ha rese infinite gratie a
Dio Benedetto, con far dire molte messe et fatte molte elemosine,
ma non c’è stato rimedio di fargliela capire, che scrivesse al Papa
in ringratiamento, dicendo le stesse parole che ha scritto a voi.
Talchè mi sono risoluta di scrivere io a S, S.tè con questo ordinario et mando la lettera a Monsignore, che ce la presenti. Se la
S.S. mi terrà mò per troppo ardita, et si burlerà di me, patientia;
credete pure, che l’allegrezze che fanno i vostri figli penetrano le
viscere, al Duca di Mantova però suo danno. Iddio lo faccia santo
et noi tutti et per fine caramente abbraccio la mia Bellina con il
mio Don Carlo, che deve esser lui quello che vuole fermarsi in
Roma, prego ad ambidue dal cielo centomilla benedittioni. Virginia
vi fa umilissima riverenza. La vostra Mamma che vi ama più che
se stessa, Vittoria di Capua Gonzaga ».
Ma Ferdinando e Vincenzo non s’erano ancor rassegnati: ancora speravan di indurre donna Isabella allo scioglimento del matrimonio. E spargevan la voce di una promessa fatta dalla princi
720 GUIDO ERRANTE
pessa allo sposo la prima notte di nozze. Il duca ne parlava allo
Striggio in una lettera tutta di suo pugno, in data del 18 ottobre 1624. « Faccia pure Vincenzo il negotiato con D. Isabella, per
vedere di persuaderla a cedere: ma io ci spero poco. Le si può
dire che (se pur è vero, come ci giova di credere, avendocelo molte
volte affermato il Principe nostro fratello) detta Donna Isabella proponga lei, mentre esibì al detto Principe la notte che giacque con
lui, che infra certo tempo non avendo figli avrebbe trovato modo
di dissolvere tal matrimonio; ma questa risposta avanti che si dia
deve ben considerare il S. fratello come li dicesse D. Isabella et
le parole sue formali.... Vogliamo però che preghiate in nome nostro S. E. che non ci affligga più con tal prattica, poi che ci pare
di aver fatto assai finora, nè vorremmo altri maggiori disturbi.... ».
Intanto, per amicarsi i Savoia, Ferdinando tentava di gettar
le basi di un matrimonio tra il principe Vincenzo e sua nipote
Maria, figlia di Francesco duca di Mantova e di Margherita di Savoia. A proposito di questo trattato, il pontefice si rallegrò con lo
Striggio e si mostrò lieto per la pace d’Italia e per la prosperità
della casa Gonzaga: mandò perfino a Ferdinando un breve, felicitandosi (1). Ma noncstanti le benevoli parole di questo breve,
Urbano VIII era in realtà disgustato delle ormai troppo lunghe e
ostinate macchinazioni. Di ciò, almeno, erasi persuaso Alessandro
Striggio. « Le qualità delle lettere del Papa scritte a V. A. et alla
Regina di Francia manifestamente insegnano, quanto si possa promettere dall’amor suo. Poichè o sono Amphibologiche, o scolpano
Donna Isabella. Dall’ altra parte, mi pongono in sospetto, che il
Papa non possa far di più; forse perchè la Verità del fatto et la
giustitia così richiedono ». Era abbastanza significativa questa ultima frase sfuggita a un ministro mantovano, a uno degli uomini
che più godevano la fiducia e l’affetto di Ferdinando.
La principessa Isabella seguiva nel frattempo i paterni consigli del papa: se ne stesse tranquilla, senza inoltrare dichiarazioni o pubblicar manifesti; non acuisse ancor più l’ira e l’odio
del duca. Di lei a Mantova giungevano tristi nuove: « Vive al pre-
‘sente con gran gelosia di sè, non si fidando di alcuno che di se
stessa et di una sua Damigella, tenendo il proprio vino in una
(1) Doc. XX.
SS
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 721
Camera contigua alla sua, dove dorme, mentre prima lo teneva
nella cantina del S. Asdrubale Mattei, et facendo pur fare nella
sodetta Camera il suo mangiare per mano della sodetta sua Damigella. Ella non esce di casa, se non di raro, et accompagnata
da buon numero di persone.... ». Ogni più lieve indizio, la riempiva di terrore. Raccontava per esempio lo Striggio al duca, come
essendo ella un giorno in Santa Caterina, un modenese entrò in
detta chiesa armato di terzaruolo e di pugnale: inginocchiatosi
poco discosto da donna Isabella, essendo il terzaruolo lungo « che
si calcava sopra la gamba sinistra, volle tirarselo un poco avanti,
ma nontantosto fece atto di mettergli la mano, che subito i servitori di D. Isabella cominciarono a gridare ad alta voce ferma ferma
traditore ». Il malcapitato ebbe un bel dichiarare d'essere un servo
di S. S., d’essere innocente; lo arrestarono ugualmente e si sparse
la voce che fosse venuto ad attentar alla vita di donna Isabella,
inviato da Ferdinando. Venne poi invece riconosciuto e rilasciato:
e la principessa rimase mortificatissima dell’ accaduto, che avea
fatto gran chiasso per Roma.
L’anno 1625 trascorse senza alcun altro notevole episodio:
sembra che i Gonzaga si rassegnassero ormai al loro triste destino, poi che anche ogni speranza di prole da parte della duchessa
Caterina era definitivamente perduta. Don Vincenzo, tuttavia, non
volle assolutamente piegarsi a tornare con la moglie: anzi, la corte
di Mantova non pensò ad altro che a far comporre una quantità
di pareri, che dimostrassero l’assoluta innocenza de’ due fratelli ed
escludessero l’accusa che da ogni parte levavasi contro di loro, di
avere cioè subornati i testimonij; i quali poi, nonostante le minacce, avevan dovuto cedere alla forza della giustizia e della verità. Isabella, dal suo canto, ormai esasperata, cercava di dimostrare il contrario, in onta ai moniti di Urbano VIII.
Così, un manifesto di lei affermava, che fin dal 1621 era stata
la Bianca Montagnana subornata da un tal Cintio Pedretti, già cameriere del principe di Bozzolo, recatosi a Modena. I Gonzaga
risposero allora che questa affermazione era assurda e non consona ai fatti La Montagnana era stata cercata dal Padre Inquisitore e presa con stratagemmi, « non volendo Ferdinando ricorrere
al Duca di Modena: il Pedretti e altri tre testimonij confermavano
i pianti d’essa donna, quando era stata fatta prigioniera e tradotta
722 GUIDO ERRANTE
a Mantova ». Inoltre, ella s'era troppo accusata nelle sue deposizioni; e bastava considerare fuggevolmente le sue risposte agli interrogatorî, per escludere qualsiasi pur lontano sospetto di corruzione;
avendo ella per molti giorni ostinatamente tutto negato. E non
era forse un’ autoaccusa anche il rifiuto di D. Isabella a comparire a Mantova, dopo aver saputo della prigionia della Montagnana?
Del resto, quest'ultima non ebbe concerti con il Puelli; e le loro
deposizioni concordarono in linea generale: mentre d’altra parte
il fatto di certe lievi divergenze nei loro interrogatori, confermava
ancora la certezza che non vi fosse stata subornazione alcuna. Se
poi si fosse voluto ordire un simile inganno, non sarebbe stata necessaria la complicità della Montagnana, chè a Mantova c’eran tante
e tante donne uscite dal servizio della Principessa. Ricordando
l'interrogatorio in Castello e tutto lo svolgimento del processo, non
appariscono esatte le asserzioni dei due fratelli Gonzaga.
Un altro documento è di grande importanza: del 1625, senza
data nè firma, ma di carattere del Marliani, uno de’ segretarî ducali, e con molte correzioni di pugno del duca. E’ una dimostrazione assai ampia, contraria alle pretese subornazioni da parte di
Ferdinando e diretta ad accertare invece la subornazione de’ medesimi a Roma da parte di donna Isabella. È densa di notizie gravissime: sulla cui veridicità o meno non sempre è possibile giudicare. Sostiene il Marliani, che la pretesa corruzione sarebbe dovuta
avvenire o per opera diretta del duca, o per opera dei ministri
dietro ordine ricevuto, o per opera dei ministri spontaneamente.
E narra come, quando già erano stati a Mantova interrogati i testimoniî, furono intercettate alcune lettere di un certo Lorenzo Fabroni a donna Isabella, le quali « contenevano che egli le mandava
certe scritture con le quali ella avrebbe avuto il suo intento et si
esibiva di far cosa in danno di altra persona fin alla morte, (valendosi di parole di far venir maltempo ogni-tanti giorni, ora più
or meno, et finalmente piovere quand’ella avesse voluto), che se
bene non veniva specificata, si intendeva però chiaramente dall’altre circostanze che voleva dire del Signor Duca. Et per autentico di ciò, congiunte a delle lettere erano altre scritture superstitiose, cioè scongiuri di S. Daniele e di Asmodeo, tutt’ indirizzate
a sforzar nuovamentè il Principe a più stretto nodo d’amore con
lei ». Allora fu preso il Fabroni: e donna Isabella, interrogata a
- =
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 723
Bozzolo da monsignor Monterenzio, confessò il suo fallo; se non
che da questo momento ella cominciò a insinuar il sospetto che i
suoi accusatori fossero stati corrotti, o con le minacce, o con le
promesse. Ma da tale sospetto, sostiene il Marliani, il duca è intangibile: «.... se per questa via avesse voluto rendere colpevole
D. Isabella, non aveva l’A. S. maniera di far formare un processo
a suo modo per detto dei testimonii et per far che cadesse sopra
di loro un’esecutione di vita, che sarebbe restata confirmata la
processura tal quale l’avesse voluta? Ma attione così indegna fu
sempre dall’animo suo lontana ». Nè i ministri potevano essere
stati incaricati da Ferdinando della corruzione in discorso, perchè
“ .... non sì poteva fare senza dargli macchia, et apportargli un
titolo indegno della sua persona ». Nè i ministri spontaneamente
avrebbero osato di ricorrere a un simile espediente « perchè troppo
gran temerità, congiunta con imprudenza sarebbe stata la loro ».
Se poi la subornazione fosse avvenuta con premî o con promesse
di .premî, i testimonî « non si sarebbero mandati con rigore a Roma, et innanti a un tribunale, che ben si sapeva avrebbe cavato
il netto », e non si sarebbero a Mantova maltrattati, come delinquenti. E nè pure con la violenza poteva detta subornazione dei
testimonî esser avvenuta, perchè « sarebbe stata poco prudente la
risolutione di mandarli a Roma per dover mettere in compromesso
la- riputatione in modo tale, che la forza dei tormenti avesse con
loro operato contrario effetto ». E il duca non avrebbe infine avuto
modo, cento e cento volte, di farli scomparire?
Sembrano abbastanza ingenue tutte codeste argomentazioni.
Quali, adesso, le congetture, che la subornazione fosse invece
stata fatta a Roma e da donna Isabella?
« L’instanza di D. Isabella per avere a Roma i testimoni;
l'essere ella rimasta a lungo libera, nonostante il titolo infame del
delitto. Venutosi all'esame del Puelli, confirmò egli nei tormenti
la quarta volta, quello che per tre volte in Mantuva aveva deposto
essere la verità. Et questo è un nuovo testimonio di subornatione.
In questo mentre non mancando i fautori di D. Isabella di tentar
ogni via per esimerle da quella giustitia, che le soprastava, et intese le depositioni del Puelli, si rivoltarono agli artifici già preparati col mezzo de’ Religiosi Cappuccini et fecero havere una lettera al Papa, nella quale gli raccontavano come era stato maneg
724 GUIDO ERRANTE
giato questo negotio, et S.S. diede ordine a quello che faceva la
causa di stare bene attento oculato perchè aveva di buon luogo,
che non si caminasse rettamente. Et la S.S. fece, che Mons. Cesarini mandò un suo prete a trattare col compagno del Commissario del S. Off. per vedere di trovar la verità dalla Bianca, et il
compagno operò benissimo. Anzi che fu mandato dalla Bianca più
volte a trattare come confessore, per intender il fatto. Questo tale
era modenese et tra i fautori di D. I. fu nominato il già S. Card.
d’Este. Ora fatta una relatione al Papa dal detto compagno del
commissario et da Mons. Cesarini di quel modo che si dirà più
oltre più precisamente, fece sapere alla Bianca che dovesse dirlo
in Congregatione come seguì. Inteso poi ciò da S. B. senza dir
parola ai Cardinali del S. Ufficio fece di notte condurre in Castel
Sant'Angelo i testimonij, che fu li 25 decembre 1624. Et quando
vi furono, ebbero comodità di ragionare insieme, et la Bianca persuadeva il Puello a disdirsi, come successe. Et ai 27 poi di Decembre D. I. fu liberata, la Bianca fu messa nella Casa Pia, et il
Puello restò libero in Castello.
« Il con. Scotto frescamente ai 3 d’Aprile prossimo passato, l’ha
raccontato nel sopradetto modo aggiungendovi, che solamente tre
persone sapevano come fosse caminato questo fatto, tra quali egli
era uno. Con lettera delli 19 d’aprile di ben informata persona, si
ebbe tale avviso, il quale conferma nel più essentiale quello che
D. Costanza Gonzaga Mattei scrive di proprio pugno alla contessa
di Novellara sua madre: — Le dico di certo, che li testimonij si
sono disdetti et che dovemo essere tutti molto obbligati a D. Virginio Cesarini. Ora V. S. stia a sentire. Nelle carceri della Inquisitione, vi è uno di quelli guardiani ch’è amicissimo d’un servitore
di D. Virginio. Questi andava spesso da costui et come si fa, si
parla di quello che parla il volgo, et cominciarono a parlare della
Bianca, et così li disse questo servitore a questo guardiano « ditele che stia allegramente, et che dica la verità ». Or costui ce lo
disse et lei li rispose piangendo, che non poteva stare allegra,
mentre stava lì rinserrata; et che la verità sempre l’aveva detta.
Ora, dopo molte volte che passò questi ragionamenti con costui,
questo servitore che sapeva che D. Virginio faceva per noi quanto
poteva, li disse quanto era passato con quel guardiano e D. Virginio ce lo rimandò a che facesse sapere alla Bianca, che dicesse
—
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 725
pur la verità, che lui li prometteva che il Papa le averia perdonato. Saputolo la Donna scrisse una polizza a D. Virginio, dicendole, che lei averia detto il vero, et così gli scrive, che quello che
aveva detto era stata forzata, ma che più chiaro l’averia detto al
confessore. Li fecero introdurre il Padre Testis, compagno del Commissario, et gli disse in confessione ogni cosa. Lui fu da D. Virginio, et gli disse che in confessione gli aveva scoperto ogni cosa.
D. Virginio le scrisse una poliza alla Bianca, che era necessario
che lei desse licenza al Confessore per dirlo al Papa. Lei gli rispose che l’averia fatto, ma che pregava bene il Papa a voler poi
tener prottetione di lei. Et così venne il Confessore e contò ogni
cosa al Papa et che stette venti giorni prigione, che le minacciarono con i pugnali, et che ci era il Duca, il Conte Striggi et un
altro presente, et che li dissero, o che dicesse quanto lor volevano,
o che saria morta con quelli pugnali, lei disse che non voleva mai
dire quello, che non sapeva con molte altre cose. Finalmente si
mise per disperata, che si voleva lasciar morir di fame et stette
sei giorni senza mangiare. Finalmente acconsentì. Ora il Papa le
fece dire che quello che aveva mandato a dire a lui, bisognava lo
dicesse nell'esame che le dovevano fare, o vero in publica congregatione et così lei lo fece nell’ esame egregiamente, dicendo tutto
quello che sapeva. Si mandò poi a raccomandare a D. Virginio,
che il Papa volesse comandare, che quel capitano che le dava da
mangiare, che era mantovano, non ce ne desse più, perchè temeva
della vita. Et così l’altra sera li trasportarono tutti e due in Castello con dar le chiavi della prigione al figlio del Vice Castellano,
in nome del Papa con ordine espresso, che stesse sempre assistente, quando le davano da mangiare. Lei poi ha mandato a dimandar perdono a mia sorella e D. Virginio anche in nome del
Papa ha fatto far ufficio che avrà gusto, che D. I. le perdoni, così
crede, che il Papa la farà mettere in qualche monastero fuori di
Roma, acciò stia sicura del Duca. Il Puello non si sa di certo, che
si sia disdetto, ma che abbia variato ancor lui, che ne dice? non
è stato un miracolo? — ».
A questo racconto, chi sa mai quanto attendibile, il Marliani
fa seguire la citazione di una lettera della signora Magalotti Vaini
Lucrezia, nella quale costei ringrazia la contessa di Novellara, diArch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. IV. 47
726 GUIDO ERRANTE
cendo che nè pur con la vita sua o de’ suoi figli ella potrebbe ricompensare D, Isabella dei regali magnifici ricevuti. E Il difensore
del duca comenta: « Ciò che possino importare le sodette parole
di benefici ricevuti dette da una Vicecastellana, parente del Papa,
tanto è facile il dirlo, quanto il crederlo ».
Seguono altri brani di lettere, scritte da quei di Novellara durante il 1624 e il 1625, dove sì ladano e si rallegrano della premura
che il papa dimostra verso di loro: tra i quali questo, di una lettera di donna Costanza, in data del 31 gennaio 1625, già citato: « Mi
creda che il Papa non ha voluto castigare i testimonij, per maggiore smacco di chi li ha fatti dire il falso et stia certa che il Papa
ha avuto a cuore la reputatione di mia sorella, et credo, che l'animo
suo fosse di castigar anche il principale, ma ci veda delle difficoltà ». Continua il Marliani: « E che argomento si potrà fare dall’essersi saputo che l’Arcivescovo di Rodi sapeva dal notaio della
causa tutto ciò che faceva? l’avviso è dato al Serenissimo di Mantova da persona confidente che |’ ha di bocca d’un prete dell’Arcivescovo, il quale non volle nominare i] notaio, scusandosi d’averlo
sub sigillo confessionis. Si sa poi chiaramente, che dopo la loro
liberatione i testimonij sono stati accarezzati, premiati e provveduti.... Onde si vede che non’essendo stati castigati come complici
dell’abominevole delitto, tante volte confessato, sono stati premiati,
almeno dopo essersi conosciuti falsi e spergiuri ».
Ma tutti questi argomenti e queste recriminazioni non approdarono a nulla: il duca Ferdinando poi era malato, stanco dei fastidî subiti e non voleva più sentir parlare di donna Isabella, nè di
processi, nè di riconciliazioni.
Non così il principe Vincenzo: morto il 29 ottobre 1626 Ferdinando, egli ne diede l’ annuncio a Carlo Cattaneo, residente
presso la S. Sede e subito, nella stessa lettera in cui dava la partecipazione funebre, lo avvertì che egli avrebbe dovuto adoperarsi
per lo scioglimento del matrimonio e che non doveva assolutamene
sopportare che a Isabella si dessero il titolo e gli onori di duchessa. Voleva Vincenzo a ogni costo riaprire la lite: e mandò a
Roma il senatore Franco Faenza, con una lunga istruzione, dalla
quale intendiamo che la lite si sarebbe basata essenzialmente sulla
dimostrazione, che non essendo il parroco di S. Martino parroco
di Isabella, il matrimonio da lui celebrato non poteva considerarsi
IL PROCESSO) PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC, 727
per valido (1). « Sopra ogn' altra cosa avvertirete di dimostrar a
S. S. come non fu mai nostro pensiero di camminar per la via
già attentata al tempo del S. Duca Ferdinando nostro fratello con
l'accusa di sortilegi, attesoche solo dal titolo, ancor che non giustificato, suol apportar disonore, et noi vorremmo il nostro bene
senza l’altrui male... ». Il duca scriveva anche all'ambasciatore presso
la corte di Francia, pregandolo di far risaltare agli occhi delle
MM. loro i punti de’ quali avrebbe egli potuto valersi per la dissoluzione, ossia « la parentela che è in secondo e terzo grado tra
noi e D. Isabella, l’incompetenza del Parroco, la sterilità, la publica utilità ». Sarà opportuno che l’ ambasciatore convinca anche
il cardinale di Richelieu, essendo questi capace di dare grande aiuto.
Ma donna Isabella intanto non perdeva tempo. Da un consulto di
medici fu dichiarata atta alla procreazione : richiesta tuttavia « se
pur era vero ch'ella si fosse lasciata intendere, che sarebbe venuta a Mantova, se S. A. l’avesse chiamata, rispose ch’ella diceva di
no liberamente, et che l’avrebbe ben fatto nel principio, per l’opinione che aveva di essere amata da S. A., et che le cose passate
fossero state senza consenso di lei, se non in quanto per aderire
alla volontà del duca Ferdinando ». E in verità, Vincenzo non le
risparmiava certo nessuna avviliente dichiarazione ; ella se ne stava
sempre rinchiusa in casa, a evitare gl’ inconvenienti del suo falso
stato, mentre il duca avvertiva il Cattaneo, che se D. Isabella fosse
andata spacciandosi per sua moglie « fomentata da gente poco
intentionata verso questa casa », egli avrebbe dovuto farsì intendere che chiunque trattandola come tale, avrebbe offeso il duca di
Mantova. « Però state avvertito per osservar coloro che dessero
in una tale stravaganza, con voler dar essi la sentenza prima, che
sia incamminato il giuditio, che secondo la qualità dei personaggi,
ci moveremo ».
Ma a Roma gli animi eran maldisposti verso il Gonzaga; alcuni complici furono arrestati sotto l’accusa di volere attentar alla
vita di donna Isabella ; e il duca cercò invano difendersi dall’ombra di un tal sospetto (2).
Anche, s'era sparsa la voce che l’erede al trono di Mantova
(1) Doc, XXI.
(2) Doc. XXII.
728 GUIDO ERRANTE
sarebbe stato don Giacinto, il figlio naturale del duca Ferdinando
e di Camilla Faa: e si cercava di abbattere ogni fondamento giuridico della parte attrice. « Tuttavia nelle Anticamere et Camere
di Cardinali et dello stesso Pontefice non si tratta d’altro, che di
questo negotio, e stimano niente il fondamento del Parroco per la
causa nella passata lettera di V. E. I. accennatami, perchè D. |.
stasse sei mesi continovi in S. Martino; et aggiungono i più la licenza, ch’ella abbia et avesse del Parroco di Bozzolo; et questa
è divulgata in modo, ch’ ognuno ne parla ». In quanto alle voci
circa la successione di don Giacinto, il Faenza le ribattè decisamente; erano di pochissimi, nemici della casa Gonzaga.
Ma il buon senso degli stessi ministri del duca non veniva del
tutto meno; per i primi, gli agenti ducali scartavano certi tentativi
assurdi. Avrebbe Vincenzo voluto che ci si fondasse nuovamente
sul mancato consenso suo al matrimonio. Come fondarsi su ciò,
replicava il Faenza, se in quell’atto il cardinale « prestò il consenso affermativo, se con l’atto positivo di rimandar qua il capello
lo confermò, se con lettere proprie di S. A. chiamandola consorte
maggiormente lo dichiarò? E se si dovesse stare al giuramento circa
all’interno, o quanti e quante cangiarebbero vivande. Ma di più,
mentre noi procuriamo d’instillare nella mente di ciascuno, che
5. A. non abbia intentione di macchiar la reputatione di detta Si.
gnora, in tal maniera mostraressimo, che s’ internamente S. A. non
aveva allora intentione di acconsentir al matrimonio, adonque fintamente per ingannarla, adonque sotto fintione di sacramento renderla disonorata. Aggiongiamo, che questo fondamento servirebbe
per corroboratione alla contraria parte, mentre appresso tutti si
sforzi imprimere, che siccome è andata ben fatta alli Duchi di Mantova precessori d’aver due mogli viventi, così sino allora avesse
pensiero S. A. di pigliarne un’altra » (1).
Intanto, con breve del 3 aprile 1627, Urbano VIII commise alla
Rota la causa matrimoniale. Fioccaron subito le lettere del duca
dirette a tutti gli auditori della Rota; poi che il Faenza aveva consigliato di accattivarseli, anche per mezzo di doni. « Il donare è
necessario, così m°’ afferma il s. Dottor Persio caro servitore et
amico della S. V. Ill.ma: anci questi ss. Auditori, come non prov-
(1) Lettera del senatore Faenza ad Alessandro Striggio; 20 febbraio 1627.
0 —
IL PROCES30 PER L’ANNULI.,AMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 729
visionati a bastanza conforme del stato e grado loro dalla Camera
apostolica, apertamente li aggradiscono in supplemento delle loro
spese e fattiche e non a conto di donativi, e presenti, per li quali
però non commetterebbero una indegnjtà, ma in arbitrarijs d’ogni
minima cosarella (non essendo riconosciuti) dubbitarebbero sempre
e trovarebbero mille difficoltà in terminare » (1).
Suppliche di Vincenzo giungevano anche al pontefice: egli lo
pregava a voler condurre rapidamente la lite; come poi era stato
chiesto dalla Rota l’invio dei testimoni a Roma, egli desiderava
almeno la remissoria in qualche terzo luogo: altrimenti troppo a
lungo si sarebbe protratta la causa.
Donna Isabella nel frattempo - e precisamente il 27 di marzo -
riunì a casa sua « la Congregatione delli suoi avvocati col procuratore in numero di sei ». I quali, considerate alcune lettere tra
donna Isabella e Vincenzo, in cui questi la nominava « dolcissima
moglie, con altre parole affettuosissime tra marito e moglie, sottoscrivendosi Consorte », e « considerate le spese avute dalla principessa nella passata lite e i danni sentiti per tutti i travagli trascorsi,
e le sue entrate sul mantovano.... trattenutegli », le riconobbero il
diritto di considerarsi moglie del duca, e di ottenere gli alimenti
e le spese della lite, corrispondentemente allo stato di duchessa.
Alle quali pretese si ribellò Vincenzo; a ciò sarebbero occorse infatti, rispose egli, due condizioni: « paupertas petentis et praesumptio boni iuris ». Donna Isabella non era povera e anche il secondo
requisito le mancava: «... quia neque docet se esse in quasi possessione matrimoni), neque docet, quod matrimonium fuerit contractum coram proprio Parocho ».
Gli agenti del duca eran divenuti ìn questo periodo pure superstiziosi; e non sapendo più in chi sperare, speravano in Dio.
Il Faenza riferì fra le altre un consulto avuto con un tal. Padre
Domenico de’ Carmelitani Scalzi, « che miracolosamente fuggì l’esercito del Palatino »; essendo stato a visitarlo, egli scriveva (2), « mi
venne in pensiero di raccomandare all’orationi d’esso Padre, communemente tenuto per Santo, il Ser.mo nostro padrone e questa
sua causa, et lui fu il primo a domandarmi come stava il s. Duca
(1) Lettera del sen. Franco Faenza ad Alessandro Striggio; 13 marzo 1627.
(2) Lettera del Faenza allo Striggio: 8 maggio 1627.
730 GUIDO ERRANTE
Vincenzo, e che buone nuove avessi di S. A. e che lui portava la
Ser.ma Casa Gonzaga scolpita nel petto, e mi promise di pregar
Iddio particolarissimamente per S. A. e per il presente negotio,
qual chiamò importantissimo et di grandissime conseguenze (1); e
poi conforme al suo uso, cominciò a trattare cose spirituali, et a
certo proposito le rinovai la preghiera per la salute di S. A. che
nelle sue Orationi gli fosse a cuore; non mi diede risposta, e per
un puoco restò sopra di sè (dicono sia solito molte volte a far si:
mil effetto, quasi rapito in estasi) e poi con voce più alta di prima
et con atto di resolutione disse: Scrivete al s. D. Vincenzo che sia
divoto di Maria Vergine e faccia qualche dimostratione di questa
sua imagine tanto miracolosa (cioè a quell’istessa, che nel sodetto
conflitto aveva appesa al collo, la quale in questa Chiesa con molte
gratie e miracoli giornalmente mosse stupore), che farà piacere
alla Vergine, e grand’utile al suo negotio; e lo faccia e.lo faccia
e scrivetegli così da parte mia ». E il Faenza continuava, scrivendo
ancora che il frate, mostratagli una lampada donata dal duca Ferdinando, gliene aveva chieste altre due più piccole, che Vincenzo
avrebbe dovuto inviare, affinchè egli potesse mettervi in mezzo
quella grande del defunto duca! A quanto sembra, frate Domenico
era conscio de’ suoi poteri quasi divini. « .... disse, che quando lui
passò per Mantova e comunicò le Serenissime Altezze, tra quali
era la Maestà dell’ Imperatrice, allora Principessa, predicesse a lei,
che sarebbe stata Imperatrice, e che l'Imperatore addimandasse a
lui di tre Principesse, quale si dovesse eleggere per moglie, egli
rispondesse, quella di Mantova ».
E molti, consapevoli della idea fissa di Vincenzo, ne profittarono per estorcergli quattrini; come una tal Costanza Vivaldina
Arragona, la quale s'era offerta di dar alcune scritture dimostranti
« che la sig. D. Isabella fosse stata goduta dal s. Duca Vincenzo
il padre »; e aveva chiesto un pagamento di « almeno dodici ducatoni ». E fosse per la mala fede degli Ambasciatori, fosse perchè
ancor questi ormai eran sotto l’incubo di quel desiderio, il duca
(1) Questa lettera del Faenza è annotata da uno della corte, che sembra
prestasse poca fede alla fama di santità del padre Domenico: le note in fatti
suonano presso a poco tutte così: « piano con questi miracoli », € molti lo
« contradicono », ecc., ecc.
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC, 731
continuò per molto tempo a sborsare somme favolose a ogni primo
venuto, senza reticenze. Aveva infatti autorizzato il Faenza: « Allargate voi la mano alli donativi, come, dove et quando giudicherete bene il farlo, pendendo più tosto alla liberalità che alla strettezza ».
Anche, Vincenzo promuoveva sospensioni, pene, traslochi per
chiunque osasse difendere donna Isabella; il Generale de’ Gesuiti,
per esempio, traslocò da Roma un tal padre Ferrante, che aveva
preso le parti della principessa.
Ma ogni tentativo fu vano: .il papa rimase inflessibile. Volle i
testimoni a Roma, condannò Vincenzo a pagare alla moglie fortissime somme; e forse per non dare al duca di Mantova lo smacco
di una terza sconfitta, cercò di andar per le lunghe, sospendendo
ogni tanto la lite. Così i testimonî s’ impazientivano; e aumentavano i timori del Faenza sulla costanza loro. « V. E. I. non dubiti
che i testimonij non siano benissimo trattati e datto a loro quel
gusto maggiore, che sia possibile dal s. Cap. Margonello, e da me,
tenendoli in speranza di presto ritorno, ma un giorno a lor par
mille anni, e cominciano a torcersi, non vedendosi dar alcun principio; e non passa giorno, che non gli dia una ricercata e li faccia
ripetere con destrezza la lettione.... » (1), Quando poi il Faenza supplicò il papa di una pronta spedizione, in premio dell’ invio de?’
testimonî a Roma, Urbano VIII gli rispose: « Non se ne impacciano, non se ne impacciano, lasciano la cura alla Ruota, l’abbiamo
rimessa a lei, li Auditori sono tutti uomini da bene e d’integrità,
se il s. Duca avrà ragione, gli sarà fatta ». « Disse queste parole,
per dir così, in un fiato, presto presto, nel suo parlar fiorentino;
e licenziò il messo ducale « con venticinque benedittioni una più
presta dell'altra ». Evidentemente, il pontefice non voleva più su-
(1) Lettera del Faenza allo Striggio; 7 giugno 1627.
Altre lettere del Faenza ci illuminano sulla onesta sicurezza del duca e sui
suoi mezzi leali per tentar la vittoria.
10 luglio 1627 « Il Padre non ha potuto persuadere Mons. Decano a ricevere la
« Cassettina, qual si chiama e si professa partialissimo et obligatissimo di V. A. ».
Nella stessa lettera, parlando di un amico del monsignore, cui era stato fatto
un donativo in iscudi, il Faenza dice: « Ha saputo Mons. di questo donativo e
« ne ha avuto consolatione, e gli ha detto solo, che bisogna fidarsi di puochi e
« tener la lingua fra denti e che sarà tutto di V. A. ».
732 GUIDO ERRANTE
bire pressioni, nè amava sentir più parlare di questa troppo lunga
e intricata storia. I partigiani e gli agenti del duca molto si dolevano nel « veder un vil verme soprastare ad un leone ». E il Faenza
sì preoccupava oltre modo di certe voci calunniose che andavansi
spargendo per la città. « Continua la voce che di costà siano stati
mandati uomicidiali qua per uccidere D. Isabella, non mi posso
salvare a rispondere a tutti: o che maligne inventioni! Benefacite
his, qui oderunt vos ». Il fatto sta, che tre dei prigioni sospetti,
confessarono d’essere stati mandati dal signor marchese Federico
Gonzaga generale delle forze di S. A.; furono impiccati, e solo per
riguardo alla casa dei Gonzaga il papa volle che nella sentenza del
processo non si facesse il nome del duca (I). Questo avvenimento
precipitò la causa e tutta la rivolse contro Vincenzo; come subito
aveva presentito il Faenza, che il 22 novembre confidava allo Striggio: « Quelli che sono neutrali tengono che il Ser.mo Padrone sia
innocentissimo, ma non si può persuadere ad alcuno per fargli credere, che almeno da coteste parti non siano stati mandati da qualche personaggio o per desiderio della contentezza del Ser.mo Pa-
(1) Oltre alla quasi certezza che questa volta i sicari fossero stati inviati dal
duca, è grave il sospetto che può sorgere da una lettera misteriosa, diretta da
Vincenzo al Bonatti, da Goito, il 1° ottobre 1627.
« Illustrissimo ecc.... Con una lettera del Marliani delli 29 del passato ci
« fate intendere, che con cento duzatoni di più si aggiusteranno tutte le partite
« come sperate, et che sarebbe necessaria l’espressione della nostra mente per
« pagar l’opera, quando fosse perfetta. Et con altra lettera a noi direttiva ci av-
« visate, che già tutto resta accordato, et che oggi una parte anderà al suo viag-
« gio. Se dobbiamo esprimere la nostra mente per il pagamento della fattura, è
« di dovere, che sappiamo prima la pretensione del maestro. Se già resta accor-
« dato et gli operai sieno partiti, non saremo loro ingrati. Vi mandiamo del
« liquore, che desiderate. Stimiamo però bene, che se ne faccia l’esperienza, come
« vi scriverà il Marliani, et riuscendo darete poi la norma di adoperarlo a chi
« dovrà servirsene, Quanto al particolare del Conte Scotti, se dovessimo aspet-
« tare la persona che sapete, andrebbe il negotio tanto in lungo, che forse ci
« sarebbe domandato, et non potressimo negarlo. Onde stimiamo bene, che si
« camini avanti, et si cavi giudicialmente quello che si può.... ».
Riguardo al tentativo dei sicari di Roma, il duca giurava e spergiurava d'essere innocente; più volte egli aveva avuto offerte da servitori e da amici di
donna Isabella « che si sarebbero prestati a ucciderla »; ed egli ne conservava
tutt'ora le lettere. Ma s'era veduto che egli amava « piuttosto la via della giu-
« stitia, che quella della forza ». Documento XLIV.
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 733
drone et in questo caso conchiudono esser stato malissimo governato il negotio, come che fosse in mettersi in evidentissimo pericolo
dell’ultima rovina e precipitio della causa matrimoniale, o per proprio e particolare. interesse, acciò non si vedesse a punto mai più
il fine di quella, che pare soprastare felice; e di ciò peggiormente
discorrono; non si può tenere la lingua ad alcuno; buon’ è che
Pasquino e Marforio adesso non parlano. N. S. mostra con buon
senso di non credere consenso alcuno di S. A. in questo fatto, che
non mi par puoco, nè voglio dubitare che non dica davero, avendo
il medesimo detto, replicato e confirmato al s. Prencipe Savelli, ma
nel resto mostrg d’aver a credere che costoro da coteste parti
siano stati mandati ». |
L’ultimo tentativo con cui Vincenzo aveva cercato d’infamare
la moglie, andò pure fallito. Le speranze s’eran fondate su di un
certo Giuseppe Romagnoni minor osservante, il quale affermava
che D. I., per aver « commercio libero » con parecchi amanti,
aveva, poco dopo la morte del marito, preso rimedî atti ad impedire la generazione; era quindi divenuta inabile al matrimonio, essendone la prole il precipuo fine. Ma l’accusa non si potè provare
nel processo.
Lunghissime anche questa volta le difese degli avvocati di
Vincenzo; e altisonanti di belle frasi, dense di contorte construzioni giuridiche, sparse di sofismi. Una ne disse il Lotterio e un’altra
il Ripa: alle quali brevissimamente rispose il padre Ferrante:
« Questo si propone non come cosa della s. Principessa, ma
come pensiero atto a trattare e conchiudersi con l’una parte e con
l’altra, dal Padre Ferrante.
« D. Isabella Gonzaga nel primo matrimonio sposata con
d. Ferrante Gonzaga sig. dello Stato di S. Martino abitò ivi, e
mentre visse il detto marito e doppo la morte di esso, come in
abitatione dal marito lasciata tutrice, curatrice e amministratrice di
tutti li figliuoli e del primogenito e del Stato; ricaduto doppo alcuni anni per morte d’un zio paterno Prencipe di Bozzolo il Stato
di Bozzolo, lontano da S. Martino due miglia, al suo primogenito, -
determinò per sodisfatione dei novelli Vassalli, che lo desideravano, e per miglior governo, essendo amministratrice, abitar l’inverno a Bozzolo e l’estate a S. Martino, tenendovi sempre casa a
parte e fornita di tutto punto; e per ciò avendo nella detta guisa
734 GUIDO ERRANTE
abitato nell’uno e nell’altro: stato venendo di giugno a S. Martino
e partendo di novembre per Bozzolo alcuni anni, venne l’anno...
conforme al solito in S. Martino, e trattandosi matrimonio tra
d. D. Isabella e D. Vinc. Gonzaga, si conchiuse; e si fecero li sposalizij nel fine del mese d'agosto alla presenza dell’Arciprete....
paroco ordinario per molti e molti anni di S. Martino, con testimonij e servata la forma determinata dal Sacro Concilio ».
Così, morendo, di trentadue anni appena, il 25 dicembre 1627
il duca Vincenzo, si chiude l’ultima fase di questo interminabile
processo del Seicento: nè è possibile affermare che, malgrado gli
inganni e le violenze, non trionfasse anche allora*una ferma e severa giustizia.
— Qualche lettera del Faenza accenna dopo la morte di Vincenzo
al processo interrotto; il Faenza è addoloratissimo « di non aver
potuto vedere il fine di sì bella causa » (1). E per qualche tempo
ancora si parla delle pretese di donna Isabella, come di voler essere chiamata duchessa di Mantova, di voler essere riconosciuta
creditrice per fortissime somme, dal nuovo duca. Poi, più nulla.
Gravi vicende attendono i paesi ch’eran stati teatro della nostra storia. Vincenzo II ha nel testamento dichiarato suo erede
Carlo di Nevers (2) e al letto di morte ha voluto che questi
s’unisse in matrimonio con la sua nipote, principessa Maria. E i
Nevers scendono a prender possesso del ducato: onde poi la guerra
che ha per epilogo il sacco di Mantova. Isabella s’ è frattanto ritirata a Bozzolo, nel monastero delle Vergini Agostiniane: nel
1630, nè pure il principato di Bozzolo resta immune dalla invasione; e i lanzichenecchi vi portan la terribile peste, di cui ha
eternamente Alessandro Manzoni fermato il ricordo. Ed è in que.
sto tempo e di questo male che muore la principessa di Bozzolo,
Guino ERRANTE.
—___— — _—_—T——-_——-———_—-
(1) Doc. XXIV.
(2) Coc. XXIII.
-—
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 7135
I DOCUMENTI
Il Duca Ferdinando a Monsignor Agnelli Soardi.
Monsignor nostro carissimo. Spediamo questo Corriere in diligenza, acciocchè se sarà possibile arrivi inanzi il Marzi, et voi possiate
far gli uffici che vi si incaricano, quali doverete eseguire con ogni prestezza et celerità, perchè siano fatti con quella efficacia, che si conviene. Subito adunque ricevuta questa, procurerete l’udienza avanti che
l’abbia il Marzi et rappresentarete a S. S. come il Cardinale nostro
fratello in San Martino ha contratto matrimonio con la Vedova Principessa di Bozolo Donna Isabella per verba di presenti in faccia della
Chiesa inanti il Parocchiano, e più di due testimonii; e subito poi consummato. La Voce non è affatto publicata, ma la verità è tale, et se costì
non hanno altri libri, che i nostri, dubitiamo che il matrimonio si possa
rompere, il che li assicuriamo sarà di non poca ruina in questa Casa,
ncn essendo noi giamai per soffrire di vederci Cognata tale avanti gli
occhi, che con le sue astutie ha ridotto nostro fratello a ccsì inconveniente partito, ehe sappiamo sicuro lo costituirà favola del mondo e
soggetto delle Gazette. Il Marzi quanto a noi ci ha mano, et però farà
quanto potrà per sostener il fatto et forse, quando il caso fosse dubio,
per acconciarsi le carte in mano, cercarà d’adoperare l’autorità di S. B.
verso di noi, acciò ci rimoviamo dalla di già fatta risoluzione. Con quali
consigli Donna Isabella abbia ciò tentato et quai fini ne abbia avuto,
non lo possiamo indovinare, poi che quelli che hanno manco dell’ irragionevole sono troppo empii. Quando adunque si trovasse modo di dissolvere questo matrimonio, come pare che alcun Dottore tenga potersi
fare, questa sarebbe la Triaca vera contro così pestifero veleno, del
quale al sicuro ogni dì se ne vedranno effetti peggiori. Noi abbiamo in
pegno la parola d’esso Cardinale che, potendosi rompere, desisterà dal
contratto et così in questo caso riceveressimo dalla mano di S.S. il più
segnalato’ favore che potesse già mai Romano Pontefice conferirsi in
questa Casa, et sarebbe un legame, che obligarebbe noi perpetuamente
alla divotione di questa S. Sede et ad ogni servizio della eccellentissima
Casa di S. Bet.ne Dovrete adunque preoccupare l’animo di S.S., acciò,
quando si possa distornare il fatto, ci aiuti con ufficii come le detterà
736 GUIDO ERRANTE
più la sua somma prudenza, accioche questo gioviue non segni con così
malo inchiostro il foglio della sua riputatione, et quando pur la cosa
non abbi rimedio, procurarete che S. S. conosca il devoto nostro affetto
verso codesta Santa Sede, et quanto noi abominiamo et detestiamo così
abbominevole attione, et assicuratevi almanco che l’autorità di S, Bet.ne
non s’impieghi in pro’ di chi l’ha sì fattamente demeritata; che per il
resto che possa occorrere di nostro interesse spediremo persona espressa; et se per sorte il Marzi avesse avuta audienza all’arrivo di questo
corriero, procurate di spiare e penetrare gli uffici che avra passato con
S.S. et a che strada egli abbia incamminato il negotio, perchè possiamo
meglio sapere l’intrinseco della volontà del Cardinale e di Donna Isabella et i fini, che hanno loro mosso, et per accorgersi se ci sarà mantenuto quanto esso Marzi et il Cardinale ci hanno promesso, farete studiare il Caso, et farete il possibile, con la dovuta segretezza, se pure
vi è rimedio, e se la cosa si rendesse dubia, acciò si rompa il fatto et
S.S. essorti e comandi al Cardinale a persistere nella professione, ch'egli
tiene. Per ultimo perentorio, quando non possiamo fare altro, ottenete
che non si admetta questa rinuncia del Cappello per sei ovvero otto
mesi, perchè fra tanto si renderebbe il giovine più capace di ragione e
questi amorosi furori si scemarebbero. Ma quando il negotio non abbi
rimedio, et che il matrimonio sia valido nè si possa rompere, et per il
contratto sia cessata la Dignità, racomanderete alla S. Bet.ne la riputatione di questa Casa, supplicandola a condonare alla intercessione nostra et alla Divotione che portiamo verso cotesta Santa Sede quella
parte di penitentia, che tocca al fratello per lo sprezzo mostrato della
sacra porpora, che potrebbe diminuire la riputatione di questa Casa.
Non comunicarete questa nostra altrimenti al Marzi, anzi preoccupando
l’audienza come vi abbiamo scritto, procurarete che la S. S. differisca
l’ascoltarlo sin tanto che si abbia fatto bene studiare il caso da voi et
da S. Bet.ne, et se pur si potesse sostenere la nullità, alla prima risposta
parli in modo S.S. al Marzi che non abbia ardire di replicargli altro,
perchè egli è pusillanime. Staremo attendendo con grandissimo desiderio alcun avviso del vostro negotiato et Dio vi prosperi felicemente.
Di Porto, 28 agosto 1616.
FERDINANDO.
Il.
Il Vescovo di Cremona al Duca Ferdinando.
Serenissimo Signor mio Padrone mio colendissimo. Merita in qualche parte l’umile et diusta mia servitù a l'A. V. Ser.ma quella parte della
sua gratia della quale ella si compiace di onorarmi, perciò che se le
forze agguagliassero la grandezza dell'animo che tengo, ardirei di dire
ch'io non cedo ad alcun servitore per osservante e riverente che tenghi
lA. V. Et se nel particolare del matrimonio dell’ Eccellentissimo Signor
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 737
Principe Don Vincenzo suo fratello è stato presuposto a V. A. che io
abbia dato licenza, che si faccia senza le requisite publicationi, me ne
duole sino al più vivo dell’ anima per il dispiacere che mostra averne
sentito l’A..V., ch’ in quello che tocca a me, come so di non aver commesso simile errore, così mi persuade la benignità et clemenza di lei,
che restarà appagata dell’attione mia et non mi privarà della sua gratia. È vero che l’antivigilia di S. Bartolomeo venne da me il Priore
della Chiesa parochiale di S. Martino, et mi dimandò licenza di fare un
matrimonio ommesse le pubblicationi, ma avendo io fatte le diligenze
che dovevo in cercare di sapere chi fossero le persone, egli non me le
volle specificare, scusandosi d’aver notitia degl’interessati in confessione, et replicando io quello chè mi parve conveniente egli si slargò
più nel particolare della donna, di cui parlò in maniera che mi fece
dubitare che fosse la medesima signora di San Martino, ma dell’uomo
parlò niente, et io che non potei neanche penetrare se fosse pari o inferiore o superiore della donna, lo lasciai andare senza dargli licenza
di fare il matrimonio, del quale non sentii mai ragionare, sintanto ch’essendo io a Casalmaggiore alli quattro del corrente giorno di Domenica,
intesi con meraviglia per via di Mantova quello che dicevano essersi
celebrato tra il su detto signore et la signora di San Martino, et allora
m’imaginai che fosse quello di cui m’aveva parlato il Priore di detta
terra. Che se prima ne fossi potuto venire in cognitione, credami certo
A. V. che per l’obbigo ch’io professo verso di lei, non averei perdonato a fatica, nè ad altra cosa che mi fosse parsa conveniente ch’ io
facessi che subito non l’avessi essequità, acciò una cosa di tanta importanza si fosse fatta con intiera sodisfattione di V. A. et con totale
reputatione della Ser.ma sua Casa. La suplico umilissimamente a credermi questa verità, et a conservarmi la sua buona et da me desideratissima gratia, quale io sempre in tutta l’occorrenza mi affaticherò di
meritarè con l’opere, et fra tanto umilissimamente la riverisco, et le
bacio le mani.
Cremona, 17 sett. I6I0. :
Umailissimo et devotissimo servitore
Giovan Battista, Vescovo di Cremona.
III.
Il Duca Ferdinando a Monsignor Agnelli-Soardt.
Monsignor nostro carissimo. Mentre si van mettendo all’ ordine le
giustificationi autentiche del grado di parentela che passa tra la Casa
di San Martino e la nostra, che dicemmo di mandarvi per assicurar
S. S.tà dell’impedimento che rende nullo il matrimonio di nostro fratello
con Donna Isabella, abbiamo giudicato bene di dar qualche lume alla
738 GUIDO ERRANTE -
S.tà Sua del vincolo in che ci trovamo per l'informazione che già ne
abbiamo e della cagione che adesso lo rende indispensabile e loro indegni della benignità della Santa Sede, acciò all’ istanze loro o de’ parenti, trovandosi costì il Conte Alfonso fratello di lei, non si venisse a
condiscendere alla dispensa con doppio nostro disgusto, il che non vogliamo però credere della S.tà Sua informata già da noi dei gravi rispetti che ci movono, oltre il debito di coscienza a contradir a questo
matrimonio. Direte dunque a S.S., che mossi noi da un mormorio universale che correva con qualche scandalo nella Città della suddetta parentela che così bene non ci constava, volessimo intender in che grado
eran queste case e trovammo che il S. Ferante di S. Martino primo
marito di D. Isabella era in secondo grado di consanguineità col Signor
Duca nostro padre, perchè ebbe per madre la signora Emilia sorella
naturale del S. Duca Guglielmo nostro avo e figlia del Duca Federico
comun stipite di queste due discendenze o generationi, come vedrete
meglio dalla genealogia descrittta distintamente nel congiunto foglio,
sicchè, venendo donna Isabella ad aver il medesimo vincolo del marito,
viene a restar in secondo e terzo grado con nostro fratello come era
il predetto Ferrante, ed il caso viene ad esser indispensabile, per aver
essi proceduto a far il matrimonio, non solo senza precedere le denonciationi o la licenza d’ometterle ovvero trascurandole, ma con manifesto
sprezzo del Vescovo di Cremona, dopo avergliele negate come ne abbiamo attestazione per sua lettera di cui vi si manda copia, e come
forse deve già constar alla S. S., nel qual caso è chiara la disposizione
del Concilio di Trento sess. 24, cap. 5, ove dice..........., con la ragione che appresso segue, anzi che possiamo dire che oltre lo sprezzo
vi sia stato manifesto dolo di D. Isabella, avendo mostrato con Monsignor di Diocesarea, quando ne l’ha avvertita del suddetto impedimento,
d’averne già notizia, sì ben, per non esser disturbata nei suoi disegni,
non ha forse voluto mettersi a rischio di domandar la dispensa. Quanto
alla prova della parentela e del grado non vi è dubbio alcuno constando
non solo per testimoni) vecchi di 70 et 80 anni, Cavalieri degni di fede,
et altri che attestano d’averlo sentito dire al Cardinale Ercole et a don
Ferrante zii di Emilia et fratelli del duca Federico suo padre et averla
veduta trattar e tener come loro nepote, ma ne fa fede ancora il S. Fabio
Gonzaga figlio d’Alessandro fratello della medesima Emilia di padre e
madre, il quale dice di averlo sentito dire al Padre et ad altri servitori
vecchi di casa, oltre la fama publica et universale in questa Città adminiculata con scritture et altre prove, senza che vi si possa dir cosa
in contrario come si mostrerà in giudizio formale; il che essendo verissimo in fatto, resta indubitata la nullità del suddetto matrimonio. Ma
perchè costì non si cadesse a prima facccia in un errore, che qui è
caduto in qualche dottore, che per esser nostro fratello in 3 grado l’impedimento non osti per proceder la parentela da fornicatione del Duca
Federico padre d’Emilia, come dice il Concilio alla detta sessione capitolo 4 con quelle parole...... sarete avvertito che il Concilio parla
- sì
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 739
a punto chiaro dell’ affinità che propriamente è quella che nasce tra
Puomo et i parenti della donna conosciuta o della donna con quelli
dell’uomo, ma non della consanguineità la quale è tra i discendenti da
un medesimo capo, ancorchè venissero da copula illecita di quel primo.
Se bene essendo queste materie assai più trite costì che qua, non'crediamo che possa cader questo dubbio in alcuno. Con la sicurezza dunque ch’abbiamo del suddetto impedimento, parendoci tenuti per ogni
rispetto ad illuminar nostro fratello dissimulando seco ogni disgusto e
qualsivoglia altro interesse, l’abbiamo fatto venir qui per levarlo di
peccato e con ogni dolcezza è stato da noi persuaso a mandar, com’ha
fatto, mons. di Diocesarea a disingannar D. Isabella, la quale, se ben
con gran sua mortificatione, ha sentito il caso di cui com’abbiam detto
non si è mostrata nuova; si è però dichiarata di non volersi abandonare, ma che sia per tentar ogni strada per ottener la dispensa. A che
volendo noi occorrere, ci siamo risoluti di spedirvi quest'altro Corriere
con l’informazione suddetta, acciò supplichiate S. S.tà a non voler conceder cosa alcuna prima di sentirci, massime stanti il disprezzo mostrato
et il dolo manifesto di lei, che la rende indegna dì ogni gratia, non negando a noi quella giustitia ch’ ella è solita a far ad ognuno; che ben
presto le manderemo giustificate prove della nostra intentione, e già
potrà dalla lettera di Monsignor di Cremona conoscer chiara la sua
malitia; e perchè in questa causa così importante abbiamo sospitione
gravissima di questo foro episcopale, non solo per esser il vescovo
Cognato di Donna Isabella, ma per essersi fatto il matrimonio con partecipatione e consenso suo, il che con nostra gran maraviglia intendessimo non prima di ieri; però supplicarete ancora S. S.tà a voler commetter la causa a qualch’altro prelato e se con destrezza poteste insinuare che fosse Monsignor Sacrati, sarebbe di nostra intera soddistfazione, di cui sollecitarete quanto prima l’espeditione perchè, essendo ì
testimoni) di età quasi decrepita, non succeda il morirsi prima di mettere in chiaro la verità suddetta, con perpetuo pregiuditio dell’anime
degli interessati e della prole che nascesse. Alla vostra prudente destrezza et assiduità raccomandiamo questo negotio, sì che non si perda
tempo, che tanto importa per quello che si ha da fare, e si fermi S.S.
che non faccia alcuna promissione contraria al nostro intento. Et Dio
vi guardi.
Mantova, 21 settembre 1616. FERDINANDO.
IV.
Il Duca Ferdinando a Paolo V.
Beatissimo Padre. Il difuso ragguaglio che io ho avuto dal Magni
al suo ritorno, dei molti effetti di benignità che si è compiaciuta V. S.tà
d’esercitare nel caso di mio fratello, m'ha fatto conoscere l’esser debito
740 GUIDO ERRANTE
mio di renderne humilissime gratie alla S. V., stimando io l’interesse
della commune riputatione causa mia propria; onde concorrerò sempre
nella dimostratione d’ossequio et gratitudine, se non quanto ricercano
così eminenti gratie, almeno quanto potrà venire dalla conditione mia.
A questi Santi favori supplico V.S. ad aggiungerne un altro, come gli
esponerà per mia parte Mons. Soardi, perchè non resti oscurato dalla
lingua de' maligni il benefitio di lei et in me imperfetta quella consolatione che mi ha voluto porger la sua paterna mano. Ad esso Monsignore perciò mi riporto et alla S. V. bacio humilissimamente i Santi
piedi.
Mantova, I ottobre 1616.
FERDINANDO.
V.
Monsignor Agnelli- Soardi al Duca Ferdinando.
Ill, mo Signore, Padrone mio ecc. Per ritrovarsi il Papa a Frascati
a diporto, et per essere il Corriere giunto tardi, per le continue pioggie, non son stato in tempo di andare da S. B.ne e presentarle le lettere di V, A. attinenti all’instanza del Decreto Concistoriale sopra la
cessatione del Cardinalato del S. Prencipe, ma bene quanto prima procurerò buona occasione con la quale potrò esporre con ogni termine
dovuto il desiderio di V. A., sì come anco di novo replicarli la instanza
della deputatione del Giudice, o Commissario in questa causa; et in
propos:to del sudetto Decreto averà già l’A. V. inteso con un’altra mia,
quanto procurai sapere dal S. Cardinale Tosco, che per essere nel presente anno Camarlengo del Sacro Collegio, suole estendere li Decreti
Concistoriali, e la risposta fu, che non v’era alteratione alcuna dalla
forma già significata da N. Sig. al S. Magni alla presenza mia, che per
correre quì ancora, la varietà delle voci sopra esso Decreto, come pure
è penetrata all’ orecchio di lei, m’indusse a certificarmene col miglior
modo ch’io potei, ma ora ne resterà più certa, mentre la S.S si compiaccia, non mancand’io di fargliene recente instanza, che se ne possi
levare Decreto Autentico; e in quanto alla prova della parentela mi
occorre dare parte a V. A. che oltre le persune scritte, che penetrai
informate d’essa, ci è anco Messer Angelo Pedemonti, vecchio di 83 anni
et a lei noto, ch’asserisce di avere conosciuta la S. Emilia, con la publica voce e fama, che fosse figliola del S. Duca Federigo, ma più distintamente me ne ha dato luce il padre Stanghillino, dicendomi che
nel tempo, che viveva il S. Aloigi Gonzaga figliolo del S. Sigismondo,
seppe molti particolari, come l'A. V. intenderà dall’immesso suo foglio.
Il s. Card. Bonsi, trattando di questi interessi, e particolarmente del
matrimonio, dice che quando V. A. abbia in mano da poterlo invalidare, non manchi a se stessa, adoperando tutti quelli mezzi possibili
—
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 74I
per venire al suo intento, anzi se bisognasse l’opera delle M. M.tà Christianissime, in caso, che N. S. caminasse lento per la publicatione del
già fatto decreto in Concistoro, non ponno se non coadiuvare le preghiere, et il rispetto di quelle M. M.tà rincrescendo al S. Cardinale di
non essere stato presente nel Concistoro, poi che per tutti gli rispetti,
avrebbe almeno detto qualche cosa. Per Roma si discorre, che il Papa
faccia studiare la causa, non tanto se il matrimonio sia invalido, quanto
invalidandosi, quello che potrebbe succedere, e perciò dicono alcuni, che
stia con animo perplesso dell’ evento di questo negotio. Intendo anche
che il Conte Alfonso, faccia studiare a difesa della sorella, et in specie
si ha relatione che un tale Giovanni Ghino, procuratore dei più principali, abbia scritto a favor suo, concludendo nella medesima informatione
che o valido o invalido che sia il matrimonio, resti nondimeno il S. Prencipe privo del Cardinalato per una decisione Lucana di Lancilotto Vecchio, impressa ultimamente fra le decisioni del Farinaccio al numero 8
se bene da nestri Avvocati, si crede di poterli rispondere, persuadendo
però essi che la gravità del negotio ricerchi buon numero d’altri Avvocati, e che fossero de’ più principali, e si facesse presto, sì per prevenirli, che non scrivessero contra, come per riputatione della causa et
per maggior profitto nel sentire mottivi, et opinioni diverse, et in scritto,
et in voce, nei congressi da farsi tra loro per sostenere Ja difesa, il che
ho però voluto significare a V. A. per aspettare l’ordine da lei, sì come
anco concorrono col s. Card. Bonsi di appoggiare le sue buone ragioni,
al patrocinio dei potentati, i quali col mezo di lettere et ambasciatori
loro, potessero preoccupare l’animo de’ Cardinali e farne gagliardo uffitio con N. S.re, il che però tuttavia sia rimesso all’arbitrio e prudenza .
dell'A. V., alla quale faccio profondissimo inchino.
Roma, 8 ottobre 1616.
VINCENZO AGNELLI- SOARDI.
VI.
Carlo Castelli al Duca Ferdinando.
Roma, 29 olt. 1616.
RIPIENE . Gionsemi mercoledì alle 23 ore il Corriero spedito da V. A. e
ritrovandosi in quel tempo il Papa a Mondragone, considerando che
l'instanza, che dovevo fare per Lei era di cosa insolita da concedersi
dalla sede Apostolica e di materia difficile da sostenersi in Giudicio, me
ne andai subito dalli Avvocati di V. A. a discorrere del modo di portare il negotio e di facilitare la gratia, che si doveva domandare, come
anco fui da Mons. Datario per la speditione: li quali tanto M. Datario,
quanto gli Avvocati, concordando in un istesso parere, che non vi si
trovasse essempio, che la Sede Apostolica abbia rescritto mai sopra la
Arck, Stor. Lomb. Anno XLIII, Fasc. IV. 48
742 GUIDO ERRANTE
materia di essaminare testimoni} vecchi o infermi, ovvero ad perpetuam
rei memoriam, si prese nondimeno per espediente di formarne una commissione più giustificata che fosse possibile, tanto per la materia del
Capitolo, quoniam frequenter ut lite non contestata, sopra dell’essaminare i testimonij vecchi et quanto alla supposita persona, et intervento
dell’estraneo, contro la opinione del speculatore nel Titolo qui matrimonium accusare possent, che tiene non essere luogo alla denontia dell’estraneo, mentre vi siano li Parenti, se bene comunemente riprovata.
Ma perchè non avevo io essatta instruttione del fatto, se quell’estraneo
Fr. di Pace abbia veramente denontiato et accusato il Matrimonio incestuoso, è servata la forma del detto speculatore et altri, o pure sia
per denontiarlo, essendosi posto in dubbio questa parte a Mons. Datario, che la Commissione (di che vi mando copia) non si potesse così bene
. giustificare, dovendosi prima che si divenghi all’essame de’ testimoni)
in questo proprio caso, che preceda l’Accusa o denontia, e che si citi
la parte. Mi consigliò nondimeno ch’io andassi a Frascati dalla S.S. a
supplicarnela, che forse S. B. vi troverebbe qualche rimedio; onde transferitomi ieri mattina al detto luogo et avuta Audienza immediatamente
dopo gli Ambasciatori di Francia, e di Venetia (che loro ancora vi furono
per Audienza straordinaria) e dato conto alla S. S _dell’essame princi-
.-piato dalli testimonij, e del desiderio di V. A. per la facoltà di fare essaminare il resto; e che per essere il caso straordinario et insolito, convenendo straordinario et insolito rimedio, si ricorrerà umilmente dalla
S. S. nel sacratissimo petto di quale essendo recondite le leggi et i
Canoni, si supplicava di commettere al Vescovo di Cremona, come proprio giudice (ancor che non fosse solito) l’essame delli testimonij di Mantova; a che la S. S. mi rispose, che V. A. sì implicava in grandissime
difficoltà nel fare essaminare essi testimonij, poi che non essendo formalmente essaminati, non solo non provaranno, ma le difficultaranno
maggiormente il progresso della causa, quando che dopo introdotto il
Giudicio, si dovranno ripetere, Io risposi, che credevo essere stata servata la forma del Canone, quoniam frequenter, che concede in specie
facoltà di essaminare nelle cause Matrimoniali, anco-senza contestatiune
di lite, e che essendo li testimonij vecchi assai conforme al fatto antico,
et anco infermi, non pareva bene a V. A. di correre il pericolo, che se
ne morissero, e che essendo il Vescovo di Cremona giudice compctente
della Causa, come ordinario della Donna e del luogo dove fu contratto
il Matrimonio, l’essame era legittimamente introdotto, anzi che gli avvocati di lei giudicavano, che il Giudicio principale si potesse introdurre
parimenti avanti di quell’ordinario, conforme al Concilio di Trento, disponendo che la cognitione delle prime instanze debbano spettare alli
ordinari) del luogo, quando che la S.S. non avesse senso in contrario.
Replicò il Papa, che si come l’essame già fatto non vale niente, ne li
testimoni) provano cosa alcuna, dovendosi citare la Parte, o che si constituisca in contumacia, il che non è stato fatto, così anco riuscirebbano
—
M. PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DFL MATRIMONIO, FCC. 743
di nessuno valore li altri, che restano da essaminarsi in Mantova, e che
V. A. ricerca gratia, che le sarebbe poi pernitiosa, e che le potrebbe
apportare, quando si verrà all’atto di essaminarli formalmente, le difficoltà accennate di sopra, soggiungendo di più, che per la sperienza che
ne ha sì per la Theorica, come per la lunga pratica, avendo giudicato
tanto tempo, può V. A. prestargliene fede. Anzi si meravigliò che si
sia dato mano a questa forma di essaminare, mentre vi era pensiero
d’introdurre il Giudicio principale; soggiunsi io, avere V. A. desiderato
che la S.S. l’honorasse, sì come la supplico, di commettere sin da principio la causa a qualche Auditore di Rota, il quale andasse in persona
ad essaminare e prendersi le necessarie informationi, ma che non avendo
riportata sopra di ciò alcuna certa risolutione, dubitando della morte
dei testimoni} ha creduto bene, sin tanto che da S, B. fosse deputato
il Giudice, di valersi del rimedio delle leggi. Rispose N.S' esserle bene
stata fatta instanza da Mons, Soardi della depntatione del Giudice, ma
anco dettoli che PA. V. aveva altre scritture da mandarli a vedere; e
per questo attendendo prima d'ogni cosa esse scritture, non s'è venuto
all'atto di commettere la Causa, la quale è pronto sempre di commettere, mentre PA. V. si dichiari in quale Auditore confida, acciò vadino
d'accordo nel Giudice da deputarsi, altrimenti non concordando tra di
loro, lo deputarebbe la S. S. per otticio, coll’avere però sempre risguardo
ad inclinare dove potrà per Giustitia al gusto di lei; e se bene si potrebbe conoscere dall’ordinario dì Cremona essa causa, non è però conveniente in questo caso, trattandosi di matrimonio tra Principi e di tante
conseguenze; onde egli come superiore del Concilio, avocava a sè medesimo la facoltà di commetterne la cognitione alla Rota.... Mi domandò
poi S. B. se io avevo inteso altro della prigionia del Conte Chieppio e
del Marzi, soggiungendomi che il Conte Alfonso si mostra affatto lontano da ogni colpa, e da ogni partecipatione con loro, facendo grandissime essibitioni di sè, la quale pero non esplicò la S. S.... Risposi di
non avere inteso altro di essi prigioni, nè di avere sopra la persona
del Conte nè ordine nè notitia alcuna in questo successo, ma che in
ogni caso o di essere partecipe o non partecipe, le conveniva di scansarsene e di negarlo et in questo proposito dirò a V. A. che mentre fui
ieri a Frascati, intesi essere arrivato al Conte il giorno antecedente un
suo servitore in diligenza, si dice sia il mastro di Casa suo nominato
Ferdinando, che perciò se ne passasse subito il Conte all’udienza di
N. S., e che il detto suo mastro di casa sì sia lasciato intendere, che
it Matrimonio fosse in sicuro, che il s. Principe sarebbe tornato presto
a godere la sua sposa, avendo anco di più relatione, che dopo l’arrivo
di- costui, si stia in grande aliegria in Casa Mattci.... Della negotiatione
fatta col Papa e della risposta avuta, concorrono questi avvocati nella
medesima opinione di S.S. Che l’essame fatto sin qui delli testimoni),
mentre non sia citata la Parte, e fatta la denontia, sia nullo et invalido, e che non provino (ancor che morissero) cosa alcuna; e che a V.A.
744 GUIDO ERRANTE
si aggionghino perciò longhezze e difficoltà maggiori nel progreso della
causa, dovendosi disputare facilmente del valore di esso essame; e di
più si considera da Mons. Datario, che possa partorire anco un altro
malo effetto, poi che essendosi scoperti quali siano li testimoni, sarà
facile cosa al Conte di andare investigando le eccettioni, o col pretesto
di inimicitia, o d'altro da opporli et impedirne la repetitione di essi...
VII
ll Duca Ferdinando al fratello Don Vincenzo.
Signor nostro fratello. Ancorchè io creda che D. Ottavio averà data
parte a V. E. del suo negotiato a Bozzolo et delle commissioni con le
quali fu da me ultimamente spedito di quà gli ho con tutto ciò incaricato di communicarle di nuovo quanto passa, acciò tenendo ella tanta
parte in questi affari, possa averci sopra quella consideratione che merita l’importanza loro, parendo a me, che quando si possa coi mezi
proposti effettuare il mio pensiero, s'apra a lei et me larga strada et
onorevole di uscire delle passate amarezze et delle future contingenze
et in continovatione dell’esshibitione già fatta, mi contenterò che V.E.
dia ordine, che le scritture ricuperate dalla Principessa di Stigliano che
sono nell'Archivio, si communichino anche per copia semplice se sarà
ricercata a chi sarà mandato dal Principe di Bozzolo per tale effetto,
ma però nel Camerino adorato d’inanti all’Archivio senza che si portino altrove, et potrà V. E. valersi dell’opera del Conte Striggio presso
l'Archivista, acciò tutto passi con la dovuta riserva; benchè intendesi
a’ dì passati che il medesimo D. Ottavio abbia parlato di questo suo
negotiato con diversi più incautamente di quello che conveniva. Et Dio
vi guardi.
Casale, 6 gennaio 1620.
FERDINANDO.
VIII.
Istrustone del Duca Ferdinando per una ambasceria presso il Duca di
Modena.
6 febbrato 1621. Mantova.
FERDINANDO PER LA GRATIA DI Dio puca DI Mantova E DEL MoncFERRATO.
Doppo aver presentata la vostra lettera confidentiale al S. Duca di
Modena, primieramente lo ringratiarete di nuovo da parte nostra de!-
l'avviso comunicatoci, intorno al trattato toccante la Persona del s. Pren-—
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 745
cipe Don Vincenzo nostro fratello, il quale favore si come ci è venuto
dalla mera cortesia di S. A. senza nostra richiesta, così ci giova ancora
sperare ch’ella vorrà perfettionarlo per deferir qualche cosa di più alle
nostre affettuosissime preghiere. Dopo questo complimento direte che
il premor straordinario che abbiamo in questo negotio per trattarsi in
esso della vita del S. nostro fratello, cara a Noi al pari della propria,
ci ha fatti risolvere di spedir persona espressa, per rappresentare i
concetti dell'animo nostro con la viva voce più efficacemente di quello,
che si sarebbe potuto fare con lettere. Et se per avventura le repliche
nostre alla risposta del s. Duca fossero portate da maggior ardore di
quello, che fosse per seguire in altra occasione, confidiamo che questa
nostra non ordinaria sollecitudine, cagionata da fraterna benevolenza,
troverà luogo non solo di scusa, ma etiandio di approvatione et di lode
presso la bontà di Sua Altezza, a cui perciò soggiugnerete che s’habbiamo desiderato d’aver qui quei prigioni di Reggio, ciò non è stato,
per far fabricàar processo formale in questo fatto, desiderando noi piuttosto per rispetto etiandio di reputatione, come toccammo nella nostra
lettera di risposta al S. Duca, che resti sepolto nel silentio e nell’oblivione, et non che vada per le bocche degli uomini et le carte de’ processi, ch’in fine non si possono lungamente tener secreti, ma solo fu
nostro pensiero d’averli qui, per poter maggiormente sincerarci dentro
di noi della verità o della bugia dei loro detti, che questo solo et niente
più pretendiamo, oltre certa onorevolezza del negotio, in testimonio di
che ci essibiamo prontissimi di restituir i prigioni subito, che si sarà
fatta la sopra detta diligenza; il che stando, cessano tutti i rispetti accennati nella lettera del Sig. Duca, che ci hanno ritardato sin’ ora il
compimento del suo favore, così per conto di giuditi) incerti del Mondo,
come per la motivata partialità di Giustitia, non si avendo da trattare
nè di far causa, nè di formar giuditio, dove abbiano luogo le parti. Doverà insieme cessare ogn’ altr’ ombra negli interessati con la restitutione dei sopradetti Prigioni, aggiunta l’assistenza qui di qualcheduno
dei ministri di S. A., ricercata da Noi, non perchè stimiamo ch'ella abbia bisogno d’altra chiarezza della nostra nettezza et ingenuità, ma per
sodisfar interamente a chiunque in questo particolare potesse aver interesse. Nè vaglia il dire, che per essere i Prigionieri la maggior parte
sudditi del Duca, sarebbe il darli attione insolita et conseguentemente
sospettosa, perchè dove si tratta della vita d'un Prencipe, è solita cosa
dar nell’ insolito, et certo in caso simile Noi per servir al S. Duca di
Modona, nel rimettergli dei nostri sudditi, non ci metteremmo nessuna
difficoltà, oltre che trattandosi adesso di prestito et non di assoluta rimessa, questo si suol usare etiandîo in caso di minor consideratione.
Ben è vero che ricevendo Noi tal cortesia, sì come la stimeremo singolarmente, così ne vorremo avere obligatione straordinaria. Quanto a
quel che ci scrive S. A., che nè di Noi nè d’alcun Prencipe della Casa
nostra, non può nascere il dubbio in lei, nè in alcun altro, che potesse
746 GUIDO ERRANTE
la trama venir di qua, risponderete che di ciò siamo più che sicuri, ma
che quel tocco è stato fatto da Noi, perchè nella copia della lettera del
Gatti da S. A. inviataci, se ne fa mentione. Doverete pertanto voi persistere con ogni più efficace et discreta maniera, nel pregar il Signor
a favorirci, di prestarci per poco tempo i sopra detti Prigioni, già che
non si possono avere liberamente, per ritrarre da S. A. quella risolutione che dall’ amorevolezza sua misurata dalla nostra verso di lui, et
de suoi interessi ci promettiamo. Ma quando infine vedeste disperata
la pratica, con la totale esclusiva della domanda, farete instanza per
avere almeno il Parma, ch'è nostro suddito, tenendo per certo, ch’in
questo non trovarete alcuna resistenza. Finalmente vi lasciarete intendere, come da Voi con qualcheduno dei Ministri, quando abbiate da
partir senza ottenere cosa nessuna, che Noi non saremo per mandar
colà dei nostri, per non cooperare nelia "giustificatione del Conte Alfonso di Novellara, già che si può credere che tutta questa mossa sia
fatta per giustificar lui, et non per obligar Noi, tanto più che come abbiamo detto, non intendiamo che si faccia processo di cosa, di cui più
tosto abbiamo da desiderare che non se ne parli più, per le cagioni
dette di sopra.
IX.
Relazione al Duca Ferdinando di una ambasceria presso Gregorio AV.
Roma, Marso 1621.
A’ 19 di marzo fui ai piedi di S. S. e presentai le tre lettere del
serenissimo S. Duca come della Reina Christianissima accompagnandole con quelle parole che mi furono più opportune. È sopra quelle del
S. Duca dissi in sostanza che duc fini aveva avuto la Signora D. Isabella procurando che nella commissione s’aggiungesser le clausole delle
spese e degli alimenti. L'uno d’allungar la speditione che veniva accelerata' dall’altre clausole, del che aveva dato segno assai chiaro con la
domanda esorbitante de’ 12000 scudi, l’altro di porre in mal concetto
S. A. presso S.S. Ch’al primo per quanto stava in me avevo rimediato
subito col rimetter liberamente a Mons. Aviro l’assegnar per questi rispetti quel che li fosse parso conveniente, pur che si camminasse subito alla conclusion del punto principale: perchè se bene, come disse
ad esso Mons. il S. Duca, per ragioni evidenti non dovea contribuir
cosa alcuna; nondimeno l’importanza del negotio e la necessità, ch’ ha
V. A. di saper quanto prima in che stato si ritruovi, devono prevalere
in questa occorrenza a tutti gli altri interessi. Ma quanto al secondo
capo il S. Duca zeloso, di viver nel buon concetto e nella gratia di S.S.,
le scriveva le lettere che presentavo, supplicandola non voler creder
n
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 747
tanto alla S. D. Isabella che non credesse più alla evidenza del fatto.
vedendosi massime essa Sa attaccarsi a termini sempre più vantaggiosi
che veri: come quando si dolse di non trovare avvocati mentre ne
avea più che non voleva, é noi ci dichiariamo pronti a rinuntiarle anche i nostri.
Mi rispose N. S. ch’appunto il dì precedente, la S. D. Isabella era
stata a parlarli, e ch'egli le aveva detto che gli rincresce in estremo
di non essere assolutamente prove di discior questo matrimonio, perchè stimerebbe sciogliendolo far cosa molto proficua ad essa Signora.
E però desiderava sommamente che si rappresentasse modo di poter
giustamente disfarlo. Mi soggiunse che da lei era stato ricercato anche
d'altre cose, che non avea voluto farne pur una (le quali però nè egli
m’espresse, nè io fin'ora ho potuto penetrare), e mi concluse che quanto
agli Avvocati ella non potea dolersi, perchè egli le aveva dato i suoi
proprij e de’ migliori della corte.
Io ripigliai che l’occasion da lei presa di lamentarsi fu perchè un
solo avvocato fra quanti ella ricercò, disse che volea prima di prometterle, parlare al S. Cavaliere Ceoli.
Mi replicò subito N. S.re che di questo avvocato appunto la S.a D.
Isabella si doleva, e mostrava viver con grand’ombra anche d’esso
Cav. Ceoli, e che però S. San.tà l'aveva assicurata e le avea detto
c'havrebbe fatto che ’1 S. Cav. Ceoli non si sarebbe più inferito in
questo negotio.
Circa il P. Ferrante, io dissi a S. Beatitudine che se bene era necessarissimo quanto S. A. scriveva, non di meno al presente il P. Ferrante cammina meco con qualche concerto e si va adoprando con ottima intentione.
Supplicai finalmente S. S. d’aiutare la presta speditione di questa
causa, e premendo quanto potei sopra questo punto che da S. S. non
si desidera altro favore che di questa speditione, per li gravi e molti
rispetti tante volte replicati, e ponderati, mi licentiai: riportandone promesse amplissime e vivi segni d’amore verso S. A.
X.
Il Duca Ferdinando al Morbioli.
Signor nostro ecc. Già che dall’ ultima vostra degli 8 di questo,
vediamo che il negotio del matrimonio va bene, et che i principali interessati ci concorrono con quella buona dispositione che avisate, ci
contentiamo che si vada inanti alla domanda dei Delegati et convenendo in tutto et per tutto ‘col s. Card. Farnese, approviamo la nomina pei S. S. Card. Sacrati, S. Susanna e Crescentio, da’ quali ci pro
748 GUIDO ERRANTE
metiamo ogni favorevole arbitrio. Per quello poi che tocca al dar principio alla Causa, aspettiamo di sapere da Fiorenza presso la buona
intentione che ne abbiamo più sicuro concerto circa il matrimonio, perchè senza questo ci converrebbe di pensar meglio a dar principio al
giuditio nel quale si trattarà di tanto nostro interesse et reputatione,
et in questo si potrà forse anche sapere qualche frutto degli uffici da
farsi con D. Isabella poi che il s. Cardinale Farnese s’è pigliato a carico di tentar il guado col mezo del fratello et del Card. Lodovisio, ma
di questo lasciate pure a lui il pensiero che oltre l’essere instrumento
più alto, ci darà argomento dall’ impiegarsi in ciò che nel trattato del
matrimonio si camini da dovero. Saranno all’ordine le procure et l’altre
lettere per la settimana prossima, et si mandaranno sì come vederemo
ben assicurarsi il negotio. Intanto caminate di concerto con l’ambasciatore di Fiorenza, che da lui si possono maneggiare questi nostri interessi con più nostra reputatione, mentre le cose ancora stanno in punto
di potere et non potere riuscire. Quello che ci conferma le speranze
è ciò che ci viene scritto da Fiorenza in conformità delle nostre lettere,
se bene quanto alla causa pare che Sacrati con l’ambasciatore di Fiorenza, abbia fatto le speranze maggiori ed data la parola più sicura.
Ma in questo sarà sempre miglior consiglio stimar il pericolo per caminare con più cautela et non arrischiare, in cose massime nelle quali
tanto si tratta di reputatione. Averete con questa la copia di alcune
scritture che settimane sono si ebbero da Novellara col mezo di D. Ottavio, che contengono i fondamenti principali della parte, a’ quali crediamo non mancheranno risposte et da Voi in particolare che siete informatissimo d’ogni cosa. Attenderemo dunque che ve ne valliate con
ogni prudenza et circonspettione et che con la risposta di questa vi
sarà possibile ci diciate il senso vostro, mentre da Noi si procurerà di
andar cercando circa il fatto, come evacuare i fondamenti per nostro
parere poco fondati che sj adducono dalla parte. Et Dio intanto vi guardi.
Mantova, 13 maggio 1621.
FERDINANDO,
XI.
Il Duca Ferdinando al Morbioli.
Signor nostro ecc. Non troviamo quel fondamento che asserisce
il Possevino delli sponsali che ci scrivete, perchè i nominati et più intimi servitori del s. Duca Francesco nostro fratello anzi attestano il
contrario, dicendo che ben passarono certi amori et forse certe speranze da parte di D. Isabella, ma che mai vi fu promessa di matrimonio tra di loro da cui anch'esso Duca Francesco fosse lontanissimo,
=
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. ‘749
cosa che ci si rende assai credibile sì per l’altezza de’ suoi spiriti, come
perchè egli contrasse poi altro matrimonio senza che fosse pur parlato
mai dell’ impedimento di questi sponsali, onde potrete vedervi di nuovo
col Possevino et intendere meglio da lui come egli pensi che si possa
provar il fatto, giacchè quando anche si provasse il solo detto del Duca
Francesco per molti testimonij, ad ogni modo, come ben lo sapete, non
concluderebbe la nostra intentione, tanto più che se li sponsali furono
clandestini, non risulterebbe forse la terminatione del Concilio nel capitolo da voi allegato che quoquomodo unita sint, nullum pariant iu-,
stitiae publicae honestatis impedimentum. Aspettiamo il vostro giudicio
sopra le scritture mandateci di Bozzolo, et nel resto non avisando voi
cosa dì più, ci riportiamo al già scritto con altre nostre, pregando Dio
che vi guardi.
Mantova, 28 maggio 1621.
FERDINANDO.
XII.
ll Duca Ferdinando al Morbioli.
Signor nostro ecc. In risposta alle vostre lettere delli 29 del passato non ci occorre dirvi altro, già che da quella della settimana passata averete veduto come non occorra far altro fondamento sopra la
nova proposta nullità di cui non si trova in fatto nessuna sicura prova.
Et perchè sempre più persistiamo in non dar principio alla causa senza
sapere quale deve essere l’essito di essa, vogliamo che anche nella dimanda dei Delegati se all’ arrivo di questi non sarà seguita, si vada
temporeggiando, con attendersi quello che di Toscana ci verrà avvisato, in soggetto del matrimonio maneggiato da quelle Altezze principalmente. Fra pochi dì siamo per inviar costà l’ambasciatore destinato
a baciar per Noi li piedi a S. S. et col suo mezo ci passa per l’animo
di tentare certi novi uffici che senza rischio di riputatione ci pongano
o la causa in sicuro o ci persuadano di appigliarci ad altra risolutione
et come voi ancora saprete a suo tempo, a cui faremo dar parte di
tutto. In questo mentre abbiamo incaricato al Co. Chieppio di mettere
insieme gl’Instrumenti et fedi che ricercate, et averemo gusto dì veder
.il vostro discorso sopra le scritture che vi mandassimo, acciò tutto ci
serva a più matura deliberatione. Et Dio vi guardi.
Mantova, 26 giugno 1621.
FERDINANDO.
750 GUIDO ERRANTE
XIII.
Il Duca Ferdinando all’Aragona.
Aragona nostro carissimo, Si presenta occasione al s. Cardinale
Lodovisio d’obligar Noi et questa Casa alla persona et Casa sua in un
*«negotio che ci deve ragionevolmente premere, trattandosi dclla vita et
salute del s. D. Vincenzo nostro fratello et forse nostra ancora. Abbiamo
scoperto ch’è stata fatta una formale stregheria centra S.E. con abuso
di sacramenti et altri sacrilegi) che sogliono accompagnare simili attioni, et già si trova nostro prigione cht consapevole di tanto eccesso
l’ha confessato circonstantiato da tanti inditi} che ben può tenersi la
sua confessione per vera. Noi però in caso tale abbiamo fatta risolutione per ogni buon rispetto di rimettere la cognitione di tal misfatto
a questo Padre Inquisitore, ancor ch’essendo di misto foro per la preventione fattane dai nostri Giudici a loro di ragione possa ancora appartenere. Ma perchè potrebbe essere che nel tirar innanzi la procese
sura vengano nominati di quelli che non sono sotto la Giurisdittione
del sodetto Inquisitore, onde in négotio di tanta conseguenza caminane
dosi per la via ordinaria, si perderebbe del tempo assai, desiderosi noi
di vederne quanto prima il fine, v’incarichiamo a far ricorso a S. S.
supplicandola in nome nostro restar servita di delegare con la suprema
sua autorità questa causa con tutti i suoi annessi connessi e dipendenti
al medesimo Padre Inquisitore di Mantova, che nell’ esercitare il suo
ufficio potrà valersi del braccio nostro che ad ogni sua richiesta gli
faremo assistere per compimento di giustitia, et grande obligo serberemo alla Beatitudine Sua et al s. Cardinale Ludovisio, se mediante la
loro giusta protettione metteremo in chiaro così enorme delitto e porremo in sicuro maggiormente per l’avvenire la salute del fratello che
amiamo al pari della nostra. Le qui congiunte per N. S. et per il sodetto S. Cardinale sono in nostra credenza, onde potrete opportunamente valervene, dichiarandovi che troveranno in Noi la dovuta gratitudine delle gratie et favori che largamente ci promettiamo dalla loro
mano in questo particolare per il quale si fa spedire a posta una staffetta con desiderar di riportarne quanto prima risposta. Et il Signore
Dio vi conservi.
Mantova, ottobre 1621.
FERDINANDO.
-
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 75%
XIV.
Annibale Chieppio al Duca Ferdinando.
Illustrissimo ecc. .... Dopo partita V. A. di qua, non s'è atteso ad
altro negotio più principale che a riordinare e perfettionare il processo
che ora se le manda, rilevato in autentica forma sino a quel segno a
cui s’è potuto tirare. Si è formata primieramente l’espositione di S. E.
che piacerà a V. A. di vedere, sì come l’hanno anche veduta et approvata questi Signori giudici et si sono fatti precedere tre esamini del
Bonfanini, Becaguti et Fiorini, che pare servino grandemente a concludere che la malia abbia veramente operato, per quello che s’è cavato da segni estrinseci, ad intenti osceni, oltre quello che la qualità
del negotio stesso per sè così strabocchevolmente dimostra. Si sono osservate diverse contraditioni fra il Puelli et la donna circa il luogo et
tempo et se bene non mutano la verità, ad ogni modo avrebbero dato
qualche fastidio et s'è procurato di conciliarli, insieme con qualche al.
teratione dello scritto et meglio con un novo constituto del Puelli, che
si dichiara meglio in alcuni particolari. Io osservai ancora che essendo
precedute tutte le diligenze con la donna che sa V. A. estragiudicialmente et non leggendosene alcuna in processo, non pareva così verisimile una quasi spontanea confessione, di chi con tanto artificio aveva
prima procurato di negare ogni cosa: onde si è cercato di aiutare quanto
s'è potuto questo punto ancora, se bene non s'è ad ogni modo fatto
sin qui tutto quello che avrei desiderato, che si anderà però facendo,
ma non si possono, come V. A. medesima l’ha provato, superare certe
lunghezze. Non sappiamo se il s. Bremio lasciasse copia a Fiorenza di
quei primi constituti del Puelli; ma per quando fosse seguito, potendo
essere per li sodetti rispetti che variino in qualche parte dalla copia
che adesso si manda, s'è preso partito da Madama di scrivere al Cav.
Ceoli, che ritrovandosi avere a Fiorenza così fatte scritture, le rinvii
subito ben sigillate a V. A. a Roma, a ciò occorrendole se ne possa
valere, nel qual caso si averanno da supprimere in ogni modo. È stato
insinuato a S. E. dal Conte Pendasio che non si permetta mai che questi
prigioni si conducano di qua et m’ha incaricato di avvertirne V. A. Le
è anche stato detto, che se la causa fosse solo stata cominciata da questo
tribunale del Santo Ufficio, il Papa non la levarebbe may, et è senso,
questo, di Mons. Vescovo; averebbe perciò voluto che il Padre Inquisitore avesse incominciato a fare qualche cosa prima. Io non l'ho acconsentito, com’atto irrevocabile, senza il comando di V. A, che così
piacendole può darne l’ordine di costà con tanta diligenza, che in ogni
modo resterà luogo a così fatta preventione; nè in questo punto, così .
752 GUIDO ERRANTE
d'improvviso, saprei darle più fondato parere, parendomi da un canto
che il farlo non sia male, et che il non averlo fatto non possa ancora
esser tanto di pregiudicio....
Mantova, 3 dicembre 1621.
ANNIBALE CHIEPPIO.
XV.
Alessandro Striggio al Duca Ferdinando.
Illustrissimo Signor mio ecc..... Ho tenuto a desinar meco uno di
questi giorni il Padre Commissario del Santo Uffitio et mi è riuscito
questa seconda volta, c’ho trattato con lui, men partiale dell’altra parte,
di quel che mi parve alla prima, poi che dopo magnare venne fuori di
alcune particolari cose, se ben mi protestò più volte, che i particolari
del S. Uffitio non si possono palesare sotto pena di scomunica. Mi disse,
che da Mantova il P. Inquisitore aveva risposto alla Congregatione, che
di buona voglia dai ministri di V. A. gli era stato rimesso il processo
formato nella causa della malia davanti al foro secolare. Mi soggiunse
che il personaggio di cui si tratta, deve esser ormai di quarantacinque
anni, e più, et conseguentemente non più abile alla generatione, onde
crederebbe, che per questo capo principalmente si potesse annullare il
preteso matrimonio, com’altre volte € occorso, per ragione di publico
interesse. Io gli andai insinuando la confidenza, ch'ha V. A. nel mezo
suo, tanto più sapendo la sua pretensione, ch’ha di proporre un suo
fratello per Cancelliere Generale delle Militie in luogo del Freddolino,
la qual cosa molto gli preme, sì che per questo verso sì potrebbe guadagnare quasi sicuramente.... Avendo scritto sin qui, ricevo la lettera
di V. A. con cui mi evacua la difficoltà dell'oppositione, che si fa al
s. Prencipe D. Vincenzo d’esser anch’ egli macchiato della medesima
pece, di che non ho parlato per non aver avuto mai sentore alcuno di
questo fatto....
Roma, 1 aprile 1622.
ALESssANDRO STRIGGIO.
XVI.
Parere di Carlo Bardellone: se i testimoni del processo de’ malefici debbano essere inviati a Roma; se l’accusata di sortilegio fossa essere
sottoposta alla tortura.
1622.
Duo proponitur Articuli, sub brevi sed iuridico methodo, more Romano consulendi: primus est, an testes examinati parte non citata pro
informatione Curiae Sancti Officij Inquisitionis, in crimine amatorij sor-
.
LO ogle Di
-
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 753
tilegi) hereticalis, debeant Romae transmitti pro eorum repetitione facienda ad instantiam criminosae sortilegae, seu pro illorum confrontatione personali facienda ad ream inquisitam convincendam, antequam
ipsamet rea [persona potens et a potentioribus fertur suffulta] in vinculis detrudatur; alter est, an ex informationibus praedictis et in suo.
robore subsistentibus ipsa sortilega sufficienter ad torturam inditiata
dicatur.
Quod primum, constanter dicimus, testes illos nullatenus fore repetendos, et consequenter nec Romae conducendos ante reae carcerationem. Siquidem etsi testes in generali Inquisitione seu pro informatione Curiae recepti, reo non citato non praeiudicent. Attamen quando
nomina testium sunt nota inquisito, qui adhuc extra carceres reperitur
in sua libertate, qui per se vel per alium posset testes subornare, tunc
non est locus tali repetitioni, sed tantum postquam reus est carceri
mancipatus, ita in puncto firmat. Addatur, quod quando Inquisitio fit
contra certam personam, testes recepti in hac generali Inquisitione in
causa haeresis non amplius formiter repetuntur. Imo repertus culpabilis
ex prima tela luditij, punitur. Quo circa satis est, ut culpabilis citetur
ut veniat ad opponendum contra illam inquisitionem, si opponere vult.
Quae Citatio debet fieri carcerato Inquisito, et ideo in praxi Romanae
Curiae Inquisitionis servatur. Quod terminato processu informativo,
Promotor fiscalis iuxta iam probata in dicto processu, format articulos
illosque exhibet carcerato. Qui carceratus, si testes pro informatione
Curiae examinatos pro rite et recte examinatos habere voluerit, illos
cum interrogatorijs a reo incarcerato datis iterato examinare facit.
Et ita concludo nequaquam dari locum transmissioni, et minus repetitioni dictorum testium, ante reae maleficae detentionem sub carceris
custodia.
Quovero ad alterum articulum cum adsit dictum sagae executricis
sortilegij haereticalis, de mandato, et ad instantium reae inpuisitae, tuncto
alio teste deponente de tractatu conficiendi dictum sortilegium, et de
propinatione poculi vel cibi amatorij Principi patienti, iunctis et iam
probationibus de repentina mutatione quietis et animi antea mitis et
pacati, in impatientem insaniam amatoriam, utique fatendum est Inditiatam_legitime dici posse ad torturam, ipsammet ream inquisitam.
Nam etsi regulariter socius criminis solus non faciat inditium ad
torturam contra socium, vel mandatarium maxime in crimine haeresis.
Attamen facit inditium sufficiens, concurrentis alijs adminiculis, idem
enumerat plura adminiculorum genera in proposito apta ad validandum
et coadiuvandum dictam socij criminis pro inditiando reo inquisito socio
ad torturam. Sed in casu presenti praenarrata adminicula concurrunt....
Addatur praedictis, quod quando ex perfectione Processus, ipsam inquisitam sortilegij haereticalis, praefati criminis ream fore legitime constituit, mortis naturalis paena plecti debere non est ambigendum.
Nam sicuti deturpans imaginem Salvatoris, Virginis Matris, vel SanLO ogle
754 GUIDO ERRANTE
ctorum, huiusmodi paenae gravitate dignus reputatur, eo fortius verum
Christi Corpus conculcans ac faedans et cum profanis imminens, ad
turpissimum et execrabile factum praenaratum illo abutens, in tanti
horrendi criminis castigationem, sortilega nequam mortis vere naturalis
suplicio ex humanis utroque iure arripi debet.
XVII.
Parere in difesa di Donna Isabella.
1622.
Illustrissimi D. Regula at ab ommnibts recepta, ut Testes plures
patientes exceptiones nullam penitus fidem faciant.
Cum itaque in causa nostra testes plures videntur pati exceptiones
inter quas
P.a videtur illa quia fuerunt examinati in loco non remoto ab omni
suspicione at timore et tuto: et haec quidem exceptio non videtur sublata, ex eo quod fuérunt iterum examinati in officio S. Inquisitionis,
quia non cessabat metus in permanendo in civitate et statu, uti fuerunt
examinati, ac in exeundo ab eo sine maximo discrimine.
Altera videtur esse exceptio quia sicut testes qui prius subscripserunt fidem extra iudicialiter, si postea se subijcendo èxamini idem deponant, non probant, quae videntur deponere ad subsistendum eorum
fidem et ita idem videtur in testibus de quibus agitur, qui prius in loco
in quo id poterat eis imperari nulliter deposuerunt.
3.4 est inverisimilitudines quae de se sola operant, ut testibus fides
non adhibeatur. i
Quarta est qualitas testium, cum una sit mulier vilis e domo Ecc.mae
Principissae et alter familiaris; et ex his speratur prout suplicatur nul
lam fidem adhibendam esse dictis testibus, ut inter reos describatur
nomen Ecc,mi Principis honestate vitae probitate ac nobilitate insignis
et solita circumspectione, et maturitate, quae in hoc sancto tribunale
adhibetur quando contra qualificatam personam procedendum est.
Franco Cal. advocatus.
XVIII.
ll Duca Ferdinando al fratello Don Vincenzo.
Signor nostro fratello. Son restato informato dal Comini di quant'è
passato fin'ora nella causa di V. E. Io ne spero buon fine, et perchè è
ben principiata, et perchè S. S. mostra gran desiderio di ben terminarla,
Go ogle uri
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 755
Viva sicura V. E. che non lascerò via intentata per vederla fuori di
questo laberinto. Così vuol l’amore fraterno, che tra noi passa, et la
particolare premura, che ho di servirla, in particolare di tanta conseguenza. L'interesse è comune, se ben ha diverse faccie. Et con questo
fine bacio a V. E. affettuosamente le mani. Et le auguro felicità.
Mantova, 10 novembre 1623.
FERDINANDO.
XIX.
Arringa pronunciata da un ignoto avvocato in difesa di Donna Isabella
nella Suprema Corte dell’Inquisizione romana, nell’anno 1623.
-
Per conoscere l'innocenza della Principessa D. Isabella Gonzaga
nella causa degli asserti maleficii, che si pretendono usati nel matrimonio di lei col Principe Vincenzo Gonzaga, sì possono considerare le
seguenti circostanze.
P.a Perchè e come sieno stati opposti.
2.* A chi siero opposti.
3.2 Per qual causa si suppongono usati.
4.2 Gli effetti da’ quali si possa comprendere se siano stati usati o nò
5.2 La conditione de’ testimoni) e come siano stati trattati dalle parti.
6.* I modi tenuti con la Principessa dalla parte avversa per conseguire il suo fine.
7.2 Come le sia stato corrisposto dalla Principessa.
Quanto alla prima circostanza, è notorio, che essendo seguito il matrimonio d’agosto 1616, senza partecipatione del Duca (volendo così Don
Vincenzo), egli se nce sdegnò di maniera, che subito sforzò il marito ad
abbandonare la moglie, et cominciò ad impugnare il matrimonio sotto
pretesto, che fra loro fosse parentela, allegando anco i pretesi maleficii
e poi l’incompetenza del Parroco: ma dubitando, che l’obiettione de’
malifici non gli potesse riuscire, essendo stata conosciuta e ributtata
da Papa Paolo V di felice memoria, Pontefice zelantissimo della giustitia, massime nelle cause del S. Offitio, che più di ogni altra cosa gli
premevano, egli fece ogni sforzo per conseguire l'intento suo con gl;
altri due pretesti; il che tentato invano per ispazio di cinque anni continui, et morto il Pontefice informato della verità, ricorse di nuovo all’oppositione de’ malefici, che come l'altre, deve credersi falsa, e tentata per disperatione di potere conseguire quello, che tanto desidera,
e per travagliare la Principessa da lui mortalmente odiata.
L’oppositione poi è fatta ad una Principessa, che dopo la morte del
primo marito avea governati i stati del Principe suo figliolo, con uniGo ogle
756 GUIDO ERRANTE
\
versal soddisfattione de’ sudditi, et che sempre s’è mostrata zelante del
servitio di Dio, et in particolare verso il Santo Offitio, al quale ha dato
ogni aiuto possibile tutte le volte, che ne ha avuto occasione, dalle quali
cose e dall’altre sue buone qualità manifeste a chi di lei ha cognitione,
si deve presumere la sua innocenza, la quale si può altresì argomentare dall’inverosimilitudine et impossibilità della Causa per cui i pretesi
malefici si suppongono usati, cioè per indurre D. Vincenzo a maritarsi
con lei, sì per esser manifesto, che i malefici non possono sforzare la
volontà degli uomini ad operatione alcuna, massime circa i sacramenti,
sì anche perchè il Principe D. Vincenzo, molto prima del matrimonio
più et più volte la sollecitò ad accettarlo per Marito, ricusando ella
sempre, se ben poi consigliatasi con la buona memoria di Monsignore
Gonzaga suo cognato all’ora Vescovo di Mantova, a cui anche ne parlò
esso Don Vincenzo (come per altre sue lettere apparse), con la madre,
col fratello, col figliuolo, e con altri, gli acconsentì. Onde non sì può
credere ch’ ella abbia voluto usare, non solo malefici, da non potersi
sospettare d’una para sua, ma nè anche altro mezo lecito, perchè succedesse quello, che dipendeva dalla sua volontà e di che ella era instantemente pregata. .
Se poi dagli effetti si vorrà far giuditio, se gli asserti malefici sieno
stati usati; certo gli argomenti saranno in contrario, poi che il Principe
non ebbe troppa gagliarda resistenza a lasciare la moglie quasi subito
celebrato il Matrimonio, essendo stato con lei solamente alcuni pochi
giorni in diverse volte, et non solo si lasciò indurre ad abbandonarla,
ima anche a giurare di non si opporre alla dissolutione del matrimonio,
procurata dal Duca; et di non cooperare alla dispensa, quando fosse
bisognata, per togliere l’opposto impedimento della Parentela et se alcuna volta le scriveva, o mandava qualche amorevole ambasciata, il
faceva di nascosto per timor del fratello, come provario le sue lettere;
anche i suoi mali portamenti non si contennero in simili dimostrationi
di poco amore verso la moglie e di molto timore del fratello, ma passarono a manifeste operationi di mala volontà, che per degni rispetti
si tacciono; onde se dubitare si dovesse, ch'egli fosse stato verso di lei
ammaliato, bisognerebbe concludere, che la malia fosse stata ad odio
et non ad amore.
Quanto a’ testimoni), che si dicono aver deposto contro di lei, uno
è suddito del Duca, non conosciuto da lei se non poco prima del matrimonio, con occasione che serviva al Principe Don Vincenzo, et è
persona assai servile et verbosa. L’altra è Modonese Donna povera,
di bassa conditione, di natura assai libera, et facile a ciarlare, et per
altri suoi difetti molte volte ripresa, biasmata, et anche mortificata dalla
Principessa, a cui serviva in bassi esercizi). Tutte circostanze che per
se stesse devono far credere, che non solo la Principessa di molto giuditio, ma ogni altra persona roza, che si fosse lasciata tentare d’un tale
eccesso, non l’avrebbe confidato a simili persone, e se pure l'avesse
— si
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 757
confidato, si sarebbe anco assicurato, che non l’avessero potuta manifestare ad altri; il che non ha fatto nè tentato la Principessa, se bene
le era facile; anzi avendo al suo servitio la Donna, che desiderava di
continuare, la Principessa non molti mesi dopo il matrimonio, la licentiò
in tempo che il Duca faceva palesemente ogni opera per impugnarlo e
se ne mostrava sdegnatissimo contro di lei, et non solo allora la mandò:
fuori di casa, ma dopo ancora pregata più volte ha ricusato di riaccettarla, il che certo non si può credere che avesse fatto se costei in modo
alcuno avesse avuta scientia o inditio, d’un tale eccesso; onde è molto
più verisimile, che avendo deposto cosa alcuna in pregiuditio della
Principessa, non l’abbia detto per verità ma più tosto per isdegno, o
per esser stata o sedotta o sforzata, come dell’uno e dell’altro resultano indizij, dal sesso, dalla povertà, dalla bassezza, e dall’altre sue
qualità, e dal modo col quale è stata condotta a Mantova et ivi tenuta;
poi che ella vi fu condotta levata da Modona, sopra una carrozza dello
stesso Duca da un suo suddito, che professè di usare inganno e forza,
non però senza grave sospetto, che il tutto fosse di concerto con lei.
Ma sia ciò segvito in qualsivoglia modo, certo è, se vi andò volontariamente, che a lei non si deve prestare nessuna fede; e se vi andò
per inganno o per forza, sì può credere parimente, che ingannata o
sforzata abbia il tutto deposto, e possa anche essere stata sedotta, con
promesse et altri modi illeciti, tanto più che longo tempo è stata tenuta nelle forze dalla parte e trattata sempre molto diversamente da
quello che conveniva, poichè è stata tenuta con molta libertà, servitù
et commodità, che mai non ebbe in casa propria, nè si concedono a
persone di assai maggior conditione, carcerate per cause più leggiere.
Nè minore occasione si ha da credere che l’altro testimonio sia stato
sedotto o sforzato a deporre a gusto della parte, come quello, che più
lo ngo tempo è stato nelle sue forze, che è suo suddito et che ha il fratello, i Parenti, et i suoi, co’ loro beni nello stato del Duca. Si può aggiungere, che l’uno, e l’altra sono stati più volte essaminati dalli ministri della parte, et conseguentemente instrutti, et posti in necessità di
non revocare il loro detto ancorchè falso, per timore di non essere puniti per falsari) e spergiuri, come s'intende, che loro è stato minacciato. Nè l’integrità dei ministri può escludere, le presuntioni, che
persuadono in questa Causa essersi proceduto non rettamente, poi che
sapevano molto bene di fare cosa illecita essercitando giurisditione in
causa, nella quale erano giudici mcompetenti; sì per la natura del supposto delitto, che spetta al S.to Officio, come per causa del luogo, dove
si pretendeva commesso, cioè nella Diocesi di Cremona e d’onde erano
stati levati li prigioni, anzi dall'aver essi proceduto in Causa, che a loro
non competeva, sì può credere, che l’abbiano fatto per ordire il processo e far depcrre i testimoni) a gusto del loro Padrone, e non suffraga loro, che dopo in questa Causa sia stato proceduto dall’ Inquisitione
e da Monsignor Monterentio; perchè ciò è stato fatto nel dominio della
Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. IV. \ 49
758 GUIDO ERRANTE
parte, restando i testimonij nelle sue forze, massime quando furono essaminati dall’ Inquisitione, e dopo essere stati instruiti e posti in necessità di confirmare la prima depositione. Ma se il Duca avesse voluto
che la verità sì truovasse, senza dare sospetto del contrario, non avrebbe
fatte le predette cose, ma procurato di far conoscere la causa fuori di
casa sua, in luogo e da giudici non sospetti e competenti; cioè dove si
pretendeva commesso il delitto, o dove erano i pretesi rei et testimonij
e in questo sacro tribunale, richiedendolo il giusto, nè avendo egli occasione di poter dubitare, che in questi luoghi l’altra parte potesse avere
alcun vantaggio. Nè cessano le sospicioni, perchè a giorni passati egli
abbia mandati qua i pretesi testimonij, poi che doveva mandarveli spon=
taneamente e prima, che fossero instrutti e che fossero stati nelle sue
forze, e non dopo, constretto dai commandamenti della Sacra Congregatione a’ quali ha defferito quanto ha potuto d’ubbidire. Come poi il
Duca e Don Vincenzo abbiano trattato con la Principessa, lungo sarebbe il raccontarlo. Basti solo che il Duca le ha fatti mille aggravi,
ne’ suoi beni, e de’ figliuoli. Ha più d’una volta mosse l’armi contro i
sudditi e stati del Principe suo figliolo, per mille modi gli ha turbata,
et cercato di usurpare la giurisditione. Ha machinato più volte contro
la vita di lei e de’ suoi figliuoli, le ha fatto molte minacce, particolarmente di volerla travagliare con questa imputatione de’ malefici, quando
non avesse voluto acconsentire, o almeno non opporsi alla dissolutione
del matrimonio, ch’egli voleva procurare, con gli altri due sopranarrati
pretesi, le ha fatte amplissime offerte, per sè e per i suoi, acciò che in
questo il compiacesse, e finalmente per potere o privarla di vita, o forzarla a confessare la falsa imputatione ovvero a consentire alla dissolutione del matrimonio, fece, che Don Vincenzo procurasse di condurla
nel suo stato con brutto tradimento che gli sarebbe riuscito, se Dio benedetto non l’avesse fatto scoprire nel tempo istesso, ch’ella voleva partirsi da Bozzolo, per andare col Marito; onde si deve chiaramente comprendere, che il Duca non abbia la ragione a suo favore, tentando con
tante vie illecite di conseguire indirettamente il suo desiderio, e che
maggiormente abbia usate le minaccie, la forza, i premij et le promesse
verso costoro, che erano in suo potere, e gli abbia indotti a deporre
a suo modo, se ha sforzato il fratello a fare quello che gli era di sommo
dispiacere e non gli conveniva, come l’istesso fratello con sue lettere
confessa.
Per lo contrario si può conoscere l’innocenza della Principessa dal.
l'essere stata prontissima ad andare nelle forze del Duca, mentre sapeva, che per causa del matrimonio teneva prigioni il Martio segretario
di Don Vincenzo, che l’avea negotiato, et il Puello, uno de’ pretesi testimonij; il che non avrebbe’ ella fatto, quando egli fosse stato consapevole d’un minimo suo mancamento, dall'aver ella, subito che intese
questo tentativo de’ malefici, fatto ricorso a S. S.* per mezo di Monsignore Arcivescovo di Rodi, offerendosi di venir qua personalmente a
a
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 759
far conoscere la sua Innocenza, dall'aver spezzate non solo tante promesse, minaccie, offese, e persecutioni, ma le offerte fatteli più d’una
volta a nome del Duca di non lasciar principiare questa Causa, e poi
di farle imporre silentio con riputatione et utilità di lei, e dell’essere
venuta qua spontaneamente, le quali cose non si può credere che avesse
voluto fare, quando fosse stata in alcun modo colpevole.
XX.
Breve del Papa Urbano VIII al Duca Ferdinando.
| Roma, 10 giugno 1624.
Duci Mantuae Urbanus P. P, VIII.
Dilecti fili Nobilis vir salutem. Negotia quibus Principum concordia
et Nobilitatis tuae felicitas curatur, solatia sunt Paternae illius caritatis,
qua Gonzagas Principes complectimur. Proinde libenter audivimus dilectum filium Alexandrum Striggium, quem ad Nos allegasti, in eius
enim oratione agnovismus sollecitudines illas Italico Principe dignas,
quibus non modo domus istius tranquillitati consulere, sed etiam Italicae
Pacis praesidia munire studet Nobilitas tua, cui Apostolicam benedictionem per amanter impactimur.
XXI.
Istruzione del Duca Vincenzo al Senatore Franco Faenza.
8 dicembre 1620. Mantova.
VINCENZO PER LA GRATIA DI Dio puca DI Mantova E DEL MONFERRATO.
Mettendo noi in vostra mano il più importante negotio che oggidì
ci possa occorrere, sete in obligo di corrispondere con la diligenza et
fede vostra a questa nostra non ordinaria confidenza. La dichiaratione
di nullità del preteso matrimonio di D.I. è da Noi non solamente come
sapete desiderata, ma etiandio da tutti gli amorevoli di questa casa, e
stiamo pur per dire dai poco ben affetti ancora per rispetto della publica utilità, potendo ogn’uno sapere di quanto momento alla pace generale di questa Provincia sia per essere la sicurezza della nostra successione. Vi mandiamo per tanto a Roma ai piedi del Pontefice per
rappresentargli le vive ragioni, che abbiamo d’esser giudicati liberi da
qualsivoglia nodo per poterci accasare a nostra voglia.con Principessa
760 GUIDO ERRANTE
da cui potiamo sperar d’aver prole, delle quali sì come dovete esser
voi più di ogni altro informato, così nostra cura dovrà essere d’informarne non solo S. Santità per renderla d’esse ben capace, ma etiand:o
i Sig. Cardinali, ai quali sarete rimesso, che si doverà procurare sieno
dei più confidenti, et amici per terminare tal giuditio in quella forma,
che a S.S. parerà più conveniente. Farete capo arrivando a Roma al
nostro Residente Cattaneo col mezo del quale procurerete l’audienza
da S. B. privatamente però per non dar da discorrere al mondo sopra
la cagione della vostra missione, la quale desideramo sia secreta più
che sia possibile, stimando Noi nostro maggior vantaggio il colpir cogli
effetti, prima quasi che si sappiano i tentativi, e che il Mondo veda il
lampo della verità della giustizia della nostra causa, prima che senta
il tuono delle giudiciali altercationi.
Noi non intreremo al presente in discorrervi di punti legali, et degli
articoli da discutersi in tal materia, perchè presupponiamo che portiate
con voi scritture, et allegationi giuridiche, di cui lodiamo bene che formiate un ristretto perchè il Papa ben intendente di tal professione rimanga sodisfatto dalla vostra viva voce dei più reali fondamenti, che
si adducono per la nostra parte et sono l’incompetenza del Paroco, la
clandestinità per non esser osservata la forma del Concilio di Trento,
et le urgentissime cause, che possano muover l’animo di S. B. a venir
a quelle risolutioni, alle quali son venuti altri Pontefici per interessi di
minor consideratione.
Sopra ogn’altra cosa avvertirete di dimostrar a S S,, come non fu
mai nostro pensiero di caminar per la via già attentata al tempo del
S. Duca Ferdinando nostro fratello con l’accusa di scrtilegi, atteso che
solo tal titolo, ancor che non giustificato, suol apportar disonore, et noi
vorremmo il nostro bene senza l’altrui male, et più ci piacerebbe uscire
di questa briga con salvezza dell’altrui reputatione, come succederà per
1 mezzi da Voi proposti, che conseguir l’intento con qualche intacco di
D. Isabella. La principal premura doverà essere il procurare che siano
deputati Cardinali e Prelati a Noi confidenti, et di questi potrete avere
nota dal Residente; e il S. Cardinal Ludovisio ancora potrà col suo
consiglio darvi gran lume, volendo Noi che deferiate molto all’amorevolezza di lui, che ci è stata tanto largamente esibita. Giudichiamo però
in genere che tutti i dipendenti dalla Maestà dell’ Imperatore della Corona di Spagna si devono tener per nostri amici, sì come per diffidenti
gli adherenti di Savoia, et quanto a Francia non dobbiamo affatto fidarcene, se bene siamo più che sicuri dell’ottima volontà di quel Re
et della Regina nostra zia, che altre volte scrissero per Noi nel medesimo negotio con grande efficacia. Di Bentivoglio et di Pio specialmente
averete da guardarvi, et da qualunque altro avesse con loro intrinsichezza, sì come dai prelati parenti del Mattei; ma in questo proposito
non discendiamo a maggiori particolarità, poichè in Roma il Cattaneo,
il Squarciafico, et il Castello vi potranno dar notitia di tutto ciò distintamente.
Go ogle : Seat
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 761
Questa causa consiste in fatto et in iure. Quanto al fatto per chiarirlo si doveranno esaminar testimoni}, al qual effetto, o si deligherà a
qualcheduno tal-carico, o si spicherà dalla Corte persona destinata a
tal funtione, et in questo ancora doverà aversi riguardo, alla qualità
de’ soggetti, per la confidenza et dittidenza che si potrà avere di loro.
Con il Papa dimostrarete come vogliamo ogni nostro bene dalla
sua gratiosa mano, da cui se saremo sollevati, lo chiameremo nostro
Sommo Benefattare, et i figlioli che di Noi nasceranno serberanno grata
memoria di così segnalato benefitio, verso quelli della sua eccellentissima Casa nei secoli avvenire perpetuamente. Vi valerete bensì della
ragione di stato con mover l’animo della Beat. S. a procaciarsi una corona di lodi, con lo stabilimento della pace di Italia, et nella Christianità, mediante la dichiaratione di nullità dell’asserito matrimonio di D.I.
Ma vi lascerete intendere che noi più ci fidiamo nella giustitia della nostra causa, che in qualsivoglia altro rispetto, sapendo quanta sia la pietà
et rettitudine della B. S., bastandoci solo che nelle cose arbitrarie ella
ci sia favorevole, et nè a Noi sarebbe onorevole il ricercar di più, nè
alla S. S. il concederlo. Doverà comparire alla Corte dopo qualche settimana il S. Conte Francesco da Gambara, mandato dalla Maestà dell’ Imperatore, et Imperatrice per questo negotio, con lui pertanto quando
sarà giunto doverete intendervi, passando di concerto in ogni vostra
attione, sì come egli dovendo esser prima qui, da Noi sarà avvisato a
conferirvi confidentemente tutto ciò ch’in simil proposito vi occorrerà.
Vi fermerete in Roma fino a tanto che ne sarete da Noi richiamato,
alloggiando nella Casa del Residente, che sarà da Noi rimborsato della
spesa, et della sua carroccia vi valerete sì ben quanto alla compagnia
di lui basterà che vi introduca nei primi congressi col Pontefice, et col
fratello et nipote per farvi conoscere per nostro ministro, ma nel progresso della negotiatione potrete anche far da Voi solo col comunicargli
quelle cose che stimerete bene fargli sapere; nel rimanente ci rimettiamo alla prudenza vostra et sul fatto potrete tener miglior partito di
quello che Noi possiamo di qua additarvi.
Aggiunta alla istruzione al Faenza; 19 dicembre 1626.
Oltre quello che si contiene nella vostra instrutione, vi diciamo, che
giunto che sarete a Roma non andiate nè da S. S. nè dai S. Cardinali,
se non dopo l'arrivo alla Corte del S. Conte Francesco da Gambara
Ambasciator Cesareo, dal quale doverete aver la norma del governarvi
in questa materia, col passar con lui di concerto, et unitamente secondo
ch'egli vi dirà richiedere il servitio della causa. Starete anco sopra ogni
altra cosa avvertito a non lasciarvi intendere delle ragioni che siete per
addurre o dei fondamenti del negotio e quando anco traterete con gli
Avvocati, discorrerete ben con loro del punto del Paroco e dell'altro,
762 GUIDO ERRANTE
che riguarda la clandestinità per coadiuvare et quello che si può dire
della publica utilità, ma vi mostrerete sempre d'aver qualche altra cosa
in manica da non manifestar se non quando non potrete far di meno,
ma questo non lo direte se non a meza boca, e quasj incidentemente,
in modo tale ch’altri possa presumere che più tosto l’abbiate detto per
inavvertenza, che appostatamente, et ciò non solo osserverete con quelli,
coi quali doverete andar con riguardo, ma etiandio con gli amici medesimi e confidenti, perchè a suo tempo vi si farà poi sapere, da poi
che serà a Roma il Conte da Gambara, quello che di più avrete a fare
più distintamente. Ben serà nostra cura con gli Avvocati amici, e spetialmente col Lottero d’informarvi ben di quanto porterete con voi e
di restar da loro informato degli stili della Corte, perchè il Conte soddetto vi truovi pronto e preparato per adoperarvi quando sarà tempo.
o
XXII.
li Duca Vincenzo al Senatore Franco Faenza.
Carissimo ecc..... Il s. Prencipe Savelli ci dà parte dell’ufficio passato con S.S. nel presentarle la lettera nostra, che voi gli inviaste, et
ci ragguaglia del discorso tenuto seco da S. B. circa il sospetto di D.I.
che avessimo mandati costì uomini per ammazzarla, il che però non sia
stato creduto, nel modo apunto, che S. E. scrive a voi. Lo Strinati parimenti ci ragguaglia dei nomi dei carcerati et del modo, che è stato
tenuto con certo cappuccino da uno dei complici per iscoprir gli altri,
ma in spetie ci rappresenta, che cotesti tali abbiano deposto di aver
parlato con Noi per mezo del Marchese Federico nostro generale. Per
quello che tocca la persona Nostra, assolutamente non è vero, nè mai
sì troverà nè sapranno costoro dire nè tempo, nè luogo, nè ragionamento passato con Noi. Per quello che tocca la persona del Marchese,
l'abbiamo seriamente interrogato et con qualche rigore et egli in parole
di cavaliere ci asserisce, che tutto è vanità, et che se alcuno di costoro
può provare, o dire per verità di aver trattato seco egli si reputa indegno della gratia nostra. Di modo che bisogna credere che D. I. vedendosi stretta dalla giustitia della nostra causa, et prevedendo la sentenza a noi favorevole, abbia inventata questa calunnia. Et tanto più
ci si conferma, quanto che lo Strinati ci avisa, ch’ ella abbia imboccati
i birri et un notaio. Noi facciamo di ciò un tocco al s. Prencipe Savelli
affinchè trattandone con S. S., lo certifichi che da questa parte et con
saputa nostra non è venuta tal risolutione. Et per quello che tocca a’
birri et al notaio, vogliamo che interroghiate lo Strinati come l'abbia
risaputo, et come si potrebbe giustificare et quando sia cosa, che abbia
—
IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. ‘763
fondamento, vogliamo che la communichiate al S. P.e et che S. S. la
risappia. Ma perchè non vogliamo il male d’alcuno, però prima di palesare quello che si trovasse di verità, vogliamo che S. B. sia in nome
nostro supplicata a perdonare al notaio et a’ birri, non avendo noi mala
volontà con nessuno. Per sigillo vi diciamo, che apertamente potete lasciarvi da S. B. intendere quando vi parlasse di tal cosa, che se avessimo avuto l’animo inclinato a tali deliberationi, non saressimo passati
per la via della giustitia, nè ci sono mancati dei familiari et amici di
D. I. che si sono esibiti a levarla del mondo, et ne teniamo vive le lettere, et Dio Vi guardi.
Mantova. Novembre 1627.
ViINncENZO.
XXIII.
Carlo di Nevers al Re di Spagna.
1627.
.. «+. Avrà V. A. sentita dall’Ambasciatore Striggio la grave indispositione del s. Duca Vincenzo mio cugino, et la dichiaratione, che nel suo
testamento fece nominando erede a questi Stati il s. Duca di Nevers
mio Padre; avendo risguardo alla quiete publica, al bene dei suoi popoli et a quello che il giusto richiedeva. Ora a me tocca et certo con
grandissimo rammarico il dare umilissimo ragguaglio alla M. Vostra,
che alle nove ore della passata notte è piaciuto a Dio di volerlo in
cielo. Et perchè ebbe S. A. sempre riguardo alla quiete publica, al bene
de’ suoi sudditi et a quello che stimò giusto, volle anche, prima di finire
i suoi giorni, che la s.ra Principessa Maria sua nipote, ricevutone l’assenso pontificio, si maritasse meco com'è seguito. Io che mi sono allevato in questa Casa devotissima alla M. Vostra, ho voluto di tutto ciò
darlene umilissimo conto, sicuro che io conservo meco le obligationi
medesime de’ passati Principi di essa verso cotesta Real Corona...
XXIV.
Il Senatore Franco Faenza a un Ministro mantovano.
Roma. 24 gennaio 1628.
.<« + Mons. Danozet Auditore di Rota suddito del Ser.mo s. Duca di
Nevers nostro Padrone, m’ è stato a ritrovare et assicurare, che la s.
D. Isabella ha fatto e fa studiare, pretendendo dal Sermo successore
Go ogle
764 GUIDO ERRANTE = IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO, ECC.
buona quantità di robba; poverina mal consigliata; il medesimo ho inteso pure da altra parte et va spargendo fama, che il Sermo defonto,
per scarico di conscienza, nel testamento la dichiarasse sua legittima
moglie, e però si fa cantare S.ra Duchessa di Mantova fino dalli Cestaroli. Mi passa l’anima di non aver potuto vedere il fine di sì bella causa,
e nel più bello siano andati in fumo tanti patimenti e discervellamenti,
e perduti i meriti di così estreme fattiche. A Domino factum est istud,
fiat voluntas eius...
—
Il P. Don Pietro Canneti
E LA SUA DISSERTAZIONE FREZZIANA
È « laboriosissimum », il dotto frate camaldolese don Pietro
-=+J Canneti aggiunse iueii di essersi molto occupato del
Oiadiirisia e di chi lo scrisse, contribuendo a rialzare il valore
d'un poema quasi dimenticato e assegnandolo definitivamente al
vescovo folignate Federico Frezzi. Credo infatti d'aver dimostrato
in altro mio lavoro ch’ egli ebbe parte grandissima nel preparare
l’edizione critica e illustrata del cosiddetto poema dei Regni, che
apparve a Foligno nel 1725 e che senza la sua illuminata attività
non sarebbe giunta mai in porto (1). Ma il frutto principale e più
evidente di codesta attività spesa dal Canneti in onore del Frezzi
è la nota Dissertazione apologetica, che egli scrisse appunto in
quella occasione per dimostrare specialmente che l’autore del Quadriregto non poteva essere il bolognese Nicolò Malpigli, come allora insigni letterati affermavano, mentre tutto concorreva a convincere in modo assoluto gli studiosi che era il poeta folignate
dell'estremo trecento (2).
Questo documento, storico e letterario insieme, è invero uno
scritto di piccola mole, ma per contro è denso di critica e di eru-
(1) Cfr. il mio studio largamente documentato su Un’ Accademia Umbra del
primo settecento e l’opera sua principale (Estratto dal « Bollettino di storia patria
per l'Umbria »: Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, 1911-1913).
(2) Indicherò più oltre il titolo preciso di questa Dissertazione.
Go ogle
766 ENRICO FILIPPINI
dizione quanto può esserlo un grosso volume di storia o di lette»
ratura, e tratta argomenti di non lieve importanza. Tuttavia esso
ha già offerto ed offre ancora il fianco a parecchie osservazioni,
che a me in parte sfuggirono in un primo giudizio sommario pronunciato pochi anni or sono, quando scrivevo e pubblicavo la mia
monografia sui Rinvigoriti di Foligno, in cui non potevo dare una
grande estensione allo svolgimento di questo particolare soggetto (I). Su quel giudizio appunto intendo ora di tornare, studiando
a parte la Dissertazione cannetiana e tenendo conto di tutti gli elementi possibili. E comincerò dalla storia della sua elaborazione in
rapporto con la vita dell’ autore, che finora è stata poco o nulla
sviscerata. Verrò poi alla fortuna che il componimento ebbe dalla
sua prima pubblicazione fino ai tempi nostri, per passare all'esame
interno di esso e di qui alla conclusione che logicamente ne discenderà. E sarò lieto se questo lavoro contribuirà a lumeggiare
una delle figure meno studiate e più interessanti fra i nostri eruditi del primo settecento.
lo non esporrò qui la vita del p. don Pietro Canneti (1660-1730),
del quale si occuparono variamente l’Arisi (2), il Mittarelli (3), il
Carini (4) ed altri; ma devo dire che nessuno fino ad ora ci ha
dato una biografia completa e particolareggiata di questo dotto
cremonese, che fondò la preziosa biblioteca classense, attese finchè visse a studi storico-letterari e fu tanto stimato dai suoi contemporanei (5). Nè i documenti necessari per costruire codesto la-
(1) Cfr. lo studio qui sopra cit., pp. 219-225 dell'estratto.
(2) Cfr. la sua Cremona litterata etc. (Cremona, Ricchini, 1741), vol. III,
pp. 257-273. (3) Cfr. i suoi Annales Camaldulenses etc. (Venezia, 1764), to. VIII, p. 635.
(4) Cfr. L'Arcadia dal 1690 al 1890 ecc. (Roma, 1891), vol. I, pp. 327-329.
(5) Una biografia del Canneti scrisse, ma non riuscì a pubblicare il MazzuCHELLI nella sua raccolta degli Scrittori d’Italia: essa si trova inserita nel cod.
Vaticano 9265 tra le carte 59 e 62 e dev'essere quindi abbastanza estesa, ma io
non l’ho vista: ne trovo l'indicazione nella memoria di E. NARDUCCI: Intorno
alla vita del conte G. M. Mazzuchelli ed alla collezione de’ suoi manoscritti ora
“
IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ. FREZZIANA 767
voro biografico scarseggiano: a prescindere da quanto è stato
finora qua e là pubblicato sul suo conto, non dobbiamo dimenticare
che la Classense possiede, oltre ai numerosi manoscritti del Canneti inediti, oltre alle sue opere stampate, un carteggio copiosissimo che egli ebbe coi dotti del suo tempo e che potrebbe fornire
una messe ricchissima di notizie sulla sua vita, sulla sua mentalità,
sulle sue occupazioni (1). Esiste anche manoscritta in quella biblioteca un’Orazione funebre in lode dell’illustre camaldolese, composta
nel 1730 dal dott. Giovanni Bianchi di Rimini e letta forse in una
tornata di non so quale accademia (2); la quale, sebbene abbondi
di retorica e di espressioni enfatiche, non è assolutamente priva
d'importanza, sicchè anche io ho tratto qualche partito.
A me occorre soltanto illustrare un periodo della vita del Canneti, quello in cui si pose a studiare l’opera poetica e la figura del
Frezzi e in cui elaborò e stampò la Dissertazione apologetica in sua
difesa: e lo faccio tanto più volentieri in quanto posso riassumere
qui ampie ricerche da me già compiute e pubblicate in correlazione
con la storia della folignate Accademia dei invigoriti e con quella
dell’ ottava ristampa delQuadriregio (3).
posseduti dalla Biblioteca Vaticana, estratto dal « Giornale Arcadico », to. 197,
52 della N. S. (Roma, 1867), p. 72. Un accenno stampato al Canneti si trova
nella biografia mazzuchelliana di P. F. Bottazzoni; ma vi si allude soltanto alla
sua intenzione di occuparsi del Frezzi. Del resto, il Canneti ha avuto la disgrazia
di non essere compreso nè nella Biografia universale antica e moderna, nè in
quella del De Tipaldo, nè in molte Enciclopedie moderne.
(1) Lettere del Canneti devono trovarsi sparse in varie biblioteche: tre volumi di tali documenti dichiarava di possedere nel 1741 l’Arisi compatriota e
amico di lui (cfr. op. e l. cit): 4I se ne trovano dirette al Muratori nell’Estense
di Modena: II dirette a Giacinto Vincioli nella Comunale di Perugia: e 97 nel
copioso carteggio del Fontanini che si conserva nella Capitolare di Udine. Ma
certamente molte ne sono andate perdute, come quelle numerose da lui dirette
agli amici di Foligno, che non si trovan più.
(2) Essa si .trova nella Misc. X (n. 22) della Classense e s'intitola Delle
lodi del P. D. Pietro Canneti Cremonese Abate Generale dell'Ordine Camaldolese:
Orazione funerale composta dal Sig. Dottor Giovanni Bianchi d’ Arimino. Chi fosse
codesto oratore non so; ma il sig. Umberto Scagnardi, a cui devo una copia
dell’orazione, mi dice che il Canneti l'aveva in più occasioni e molto lodato in
vita, sebbene l’avesse visto e gli avesse parlato una sola volta.
(3) Cfr. il mio studio citato e l’altro più breve su L'ottava edizione del Quadriregio nel carteggio fontaniniano, in Varietà Frezziane (Udine, Vatri, 1912).
768 ENRICO FILIPPINI
Il Canneti che, secondo il Bianchi, vestì l’abito camaldolese a
ventitrè anni (1) e, secondo il Bianchi stesso e l’Arisi, divenne abate,
cioè rettore di un’abazia nel 1690 (2), passò come tale il ventennio
1704-1724 in tre sedi diverse. Una lapide commemorativa posta sull'ingresso della biblioteca Classense ci dice che dal 1704 al 1714
egli fu abate di quel celebre convento (3), dove raccolse numerosi
e scelti codici e un prezioso medagliere. Nel 1714, non so se per
sua elezione o per volontà dei suoi superiori, si trasferì a Perugia
per reggervi il monastero camaldolese di S. Severo vicino a Porta
Sole di dantesca memoria e noto per gli affreschi del Perugino e
di Raffaello, che ne adornano la chiesa. Il suo carteggio da me
esaminato non permette di stabilire la data precisa di questo passaggio; ma credo di non errare dicendo che ciò avvenne verso la
metà dell’anno indicato (4). E a Perugia il p. Canneti attese costantemente ai suoi studi e si trattenne fin verso il luglio 1719, quando
lasciò questa residenza per andare a governare il monastero di
S. Biagio in Fabriano (5), antico edificio sorto nel 1251, in seguito
(1) Credo quindi che sbagli il MiTTARELLI (op. cit., p. 635) dicendo che il
Canneti, vissuto 70 anni, ne passò so nella religione camaldolese. Lo ZENO poi
(in commento alla Biblioteca deli’ eloquenza italiana del FONTANINI - Venezia,
Pasquali, 1753 - vol. II, p. 139) dice addirittura che il Canneti vesti l’abito camaldolese nel 1684.
(2) Dove esercitasse però dapprima codesto ufficio, non so. Secondo il CARINI
(op. cit., p. 327) parrebbe che egli fosse restato nel monastero di Classe; ma
credo che ciò non sia esatto, a meno che il Canneti non abbia retto quel monastero tre volte, come ben dice il MiTTARELLI (op. e |. citt.). Il BrancHI, che
si mostra meglio informato, dice che il Canneti fu abate di Classe due volte, la
prima per dieci anni di seguito, la seconda per tre: e vedremo che, mentre il
triennio corrisponde all’ ultimo periodo della sua vita, il decennio precedente
corrisponde agli anni 1704-1714.
(3) Questa iscrizione latina fu riferita testualmente dal CinELLI-CALVOLI
nella sua Biblioteca volante (Venezia, Albrizzi, 1735, vol. II, pp. 45-54), in cui
parla di diversi scritti del Canneti, ma non fa di lui una vera biografia.
(4) Lo desumo dalla lettera del 12 ottobre 1714 che uno dei suoi amici,
che nominerò fra poco, gli dirigeva a Perugia e che è la prima di quell’ anno,
Essa fu già stampata da me nell’appendice I del mio lavoro cit. su Un’ Accademia
umbra ecc., vol. Il, pp. 335-336.
(5) Infatti una lettera dello stesso amico, in data 4 agosto 1719, gli fu già
spedita a Fabriano, Questa lettera è ancora inedita e si trova nel volume segnato
Lettere mss. Busta 36, fasc. 6 della Classense.
—
IL P. DON PIETRO CANNETI £ LA SUA DISSERTAZ, FREZZIANA 769
più volte restaurato e abbellito di affreschi e tele di qualche valore. Ivi trascorse lavorando assiduamente altri cinque anni della
sua vita, chè una lettera del 19 maggio 1724 (1) dimostra assai
chiaramente che egli in quel mese, dopo dieci anni di assenza, era
già tornato in Romagna e si trovava a Forlì come abate di San
Salvatore. Questo fu il periodo di tempo, e questi furono i luoghi
in cui il p. Canneti preparò e scrisse la sua Dissertazione frezziana,
mentre si occupava di tante altre cose.
Quando egli rivolgesse la prima attenzione al Frezzi ed al suo
poema non saprei dire. Ma è certo che già innanzi di raggiungere
la sua residenza perugina aveva studiato l'importante argomento.
Se non aveva cominciato questo studio nel 1795, quando lo vediamo andare per la prima volta nell’Umbria a leggere la sua
orazione su La perfezione del beneficio nella giustizia del bencfattore e nella gratitudine del beneficato davanti ai consoli giurati del
Collegio della Mercanzia (2), o nel 1796 quando vi recitò un panegirico in onore di s. Antonio di Padova (3), lo cominciò indubbiamente pochi anni dopo, allorchè vide cioè che il Fontanini nel
1700 sosteneva pubblicamente la paternità malpigliana del Quadr:-
regio già messa in campo quarant'anni prima dal Montalbani (4),
e allorchè conobbe, credo ai Bagni di Nocera Umbra, Giustiniano
Pagliarini di Foligno, dotto segretario di quel comune (5), e Giovan
(1) Anche questa lettera come quella del 1714, testè citata, fu pubblicata da
ime nella prima appendice del lavoro citato, pp. 413-415.
(2) Questa orazione fu stampata appunto a Perugia dal Costantini nel 1696.
Il CineLLI-CaLvoLI (op. cit.) dice che fu « applauditissima dai letterati ».
(3) Questo panegirico è ricordato dall’ARIsi (op. e I. citt.) con titolo latino,
ma senza l'indicazione della pubblicazione. E’ strano che l’Arisi dica che il Canneti lo fece durante il suo ufficio di abate del convento camaldolese di Perugia,
mentre egli andò a Perugia come abate molto più tardi del 1696.
(4) Cfr. L’Aminta di Torquato Tasso difeso e illustrato da mons. Giusto
FONTANINI (Roma, Zenobi, 1700), pp. 269-270.
(5) Questo illustre Folignate, che meriterebbe un'ampia biografia, visse tra
il 1667 e il 1740. Egli fu il primo Principe dell'Accademia dei Rinvigoriti di
Foligno e contribuì con la sua dottrina e con la sua operosità a darle il lustro,
che essa in pochi anni raggiunse. Molto si occupò del Quadriregio e della sua:
ottava edizione, per cui scrisse le note Osservazioni istoriche (v. 1I, pp. 127-220).
Fu in relazione epistolare coi primi letterati del tempo e appartenne all’Arcadia
per mezzo della Colonia Fulginia, in cui ebbe il nome di Minturno Ponziate. Fu
770 ENRICO FILIPPINI
Batista Boccolini di Camporotondo, stimato professore di eloquenza
nel liceo folignate (1), entrambi cultori di studi storico-letterari,
entrambi premurosi d’illustrare le glorie cittadine.
Da allora ebbe principio tra il Canneti ed il Pagliarini quel carteggio, di cui si conserva gran parte nella Classense, ma che non può
essere intero, poichè, oltre a mancare di tutte le lettere del primo al
secondo, non comprende neanche tutte quelle del secondo al primo.
Le lettere del 4 e del 15 luglio 1707 con cuì si apre la corrispondenza del Pagliarini, non sembrano certamente le prime che egli
diresse al Canneti (2). Nè in esse si parla punto del Quadriregio
e del suo autore, come non se ne discorre in quella che segue
immediatamente nella raccolta, con la data del 30 aprile 1708 e che
dimostra, al pari delle altre due, che il dotto cremonese era già
l'autorevole consigliere del suo amico folignate (3). Ma quando leggiamo nella quarta lettera del Pagliarini in data 15 dicembre 1710 (4)
il primo accenno al quadripartito poema e alla sua paternità tanto
discussa, noi dalle frasi: « Ho finalmente trovato il Quadriregio » ecc.
e « spero che nella lettura di quest'opera si scoprirà maggiormente
« la verità che l’autore di essa sia monsignor Frezzi » ecc. ci acanche socio di altre accademie, e le raccolte poetiche del tempo contengono parecchi suoi versi d’occasjone. Per più minute notizie su di lui cfr. il mio citato
lavoro: Un’ Accademia umbra ecc., in cui pubblicai molte sue lettere al Canneti
e al Muratori. .
(1) Era nato nel 1675 e mori net 1728 nella sua patria di adozione, dove
fondò l'Accademia dei Rinvigoriti, di cui fu attivissimo segretario. A lui si devono vari lavori storico-letterari non tutti pubblicati: qui ricordo specialmente
le sue Dichiarazioni di alcune voci del Quadriregio stampate col poema nel 1725
(vol. II, pp. 221-341), che furono il frutto di lunghi e pazienti studi. Anche lui,
come il Pagliarini, fu pastore arcade della Colonia Fulginia col nome di Etolo
Silleneo. Pubblicò parecchi versi ed appartenne ad altre accademie. Molte sue
lettere si conservano nella Classense di Ravenna, nella Comunale di Perugia e
nella Estense di Modena, ed io ne pubblicai già parecchie. Per più minute notizie su di lui, cfr. il mio citato lavoro: Un’ Accademia umbra ecc. Ma anch'egli
aspetta ancora il suo biografo.
(2) Queste due lettere sono ancora inedite. Cfr. per esse il cit. vol. della
Classense.
+ (3) Anche questa lettera del Pagliarini è inedita. Cfr. per essa il cit. vok
della Classense.
(4) Questa è la prima lettera del Pagliarini al Canneti da me pubblicata
nella Appendice I del mio citato lavoro.
n
IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ, FREZZIANA 77I
corgiamo subito che questa era la continuazione d’un discorso
orale o scritto già cominciato da un pezzo e che il Canneti non
conservò tutte le prime lettere pagliariniane. Questo, del resto, è
dimostrato anche dal fatto che nessuna delle prime lettere del Pagliarini tramandateci dal futuro apologista del Frezzi ci parla del
più grande avvenimento letterario folignate del 1707, cioè della
fondazione dell’Accademia dei Rinvsgoriti avvenuta il 25 novembre
di quell'anno per opera specialmente del Boccolini e dello stesso
Pagliarini con lo scopo di esporre la materia di opere letterarie e
soprattutto del Quadriregio, ormai troppo dimenticato: della quale
accademia divenne poco dopo socio anche il Canneti (1). Ma per
tornare al nostro argomento devo notare che quando, molti anni dopo, questi si compiace di riandare il passato e di accennare alla
origine del suo lavoro in una lettera al suo confidente Fontanini
del 9 dicembre 1725, dichiara espressamente « Il motivo ne nacque
« dall’amicizia mia col sig. Pagliarini, ch’ è uno di quegli uomini
« rari, de’ quali non è facile trovar chi ne dica male, anzi che non
« lodi le sue buone qualità » (2). E sebbene egli non fissi la data
di questo accordo, io credo di poterlo dire avvenuto tra il 1707 e
il 1708.
Dopo il 15 dicembre 1710 il poema frezziano è l'argomento di
tutte le lettere del Pagliarini: è ovvio quindi il pensare che anche
quelle del Canneti tornassero spesso, se non sempre, su questo
tema. Tuttavia il Canneti non si mise di proposito a scrivere alcuna monografia intorno al Frezzi se non dopo il febbraio del 1711,
quando cioè egli fu proclamato direttore e protettore degli studi
accademici dei Ainvigoriti e, forse nella stessa adunanza, si stabilì anche di ristampare decorosamente il Quadriregio. In seguito
a questa deliberazione il Pagliarini, che desiderava di occuparsi
lui della paternità del poema, tentò di affidare al Canneti la parte
più difficile, cioè la formazione del nuovo testo e il commento dell’opera. Ma il Canneti non abboccò all’amo e rispose che si sarebbe
occupato soltanto dell’apologia, che in forma di prefazione avrebbe
(1) Cfr. per tutto questo la prima parte del mio citato lavoro su Un’Accademia umbra ecc. |
(2) Cfr. il mio citato studio su L'ottava edizione del Quadr. nel carteggio
fontaniniano in ). cit., p. 48.
Go ogle
772 ENRICO FILIPPINI
accompagnato la ristampa. L’impegno fu accettato e il Canneti si
mise al lavoro: per tutto il 1712 raccolse notizie e documenti e
cominciò a stendere a Ravenna la sua Dissertaszione, tantopiù che
essendosi recato in quell’anno da lui e a Foligno Pier Iacopo Martelli, altro fautore del Malpigli, a turbar l’opera dei invigoriti ed
essendosi poi sparsa la voce che Pier Francesco Bottazzoni (1),
stava per pubblicare una monografia sullo stesso argomento e in
favore dello stesso Malpigli, egli dapprima voleva prevenire le mene
dei nemici del Frezzi. Ma poi, consigliato anche dallo Zeno e occupato in altri lavori, decise di aspettare che il nemico si facesse innanzi per poterlo sconfiggere e, cercando di mandare avanti la ristampa, non continuò per qualche tempo la sua apologia, con grande
dispiacere del Pagliarini e degli altri coaccademici. Nè la riprese
quando nel 1714 egli passava da Ravenna a Perugia e si metteva
quindi in più stretto contatto cogli amici di Foligno: nè quando
poco dopo apparvero le Notizie degli scrittori bolognesi di fra P.
A. Orlandi (2), che ribadiva l’affermazione del Montalbani. Egli si
occupava sempre d’altro, pur continuando a raccogliere notizie utili
per la sua Dissertazione, e non istava troppo bene in salute; del
resto, anche la ristampa per diversi motivi si era arrenata e il Canneti non sentiva alcuno stimolo a sollecitare la fine del suo lavoro.
Tornò alla sua apologia solo dopo il 1719, dopo cioè il suo
trasferimento da Perugia a Fabriano e quando vide finalmente avviata nell'aprile del 1720 la composizione tipografica del Quadr:-
1 egto. Allora, visto che il Bottazzoni taceva ed i Rinvigoriti si lamentavano vivamente perchè egli non assolveva ancora l’impegno
assuntosi nel 1711, si rimise con lena all’opera e la condusse a
termine nell’ottobre del 1722. Ma avendo intanto potuto consultare
il codice bolognese del Quadriregio, su cui si fondava l’attribuzione
(1) Il Canneti non nomina mai questo personaggio nella sua monografia,
e si capisce; ma certo gli avrebbe dedicato più d'un capitolo, s’egli avesse pubblicato la promessa dissertazione. Egli era bolognese (?-1725) ed allora insegnava
umane lettere nell’ Ateneo patrio; apparteneva già a diverse accademie e più
tardi fu ascritto anche a quella dei Rinvigoriti di Foligno. Ebbe molti amici fra
i letterati del tempo e si era già reso noto per alcuni suoi scritti. (Vedi su di lui
le biografie del MazzucHELLI in Gli scrittori d’Italia e del FanTUZZI in Notizie
degli scrittori bolognesi).
(2) L’opera dell’Orlandi fu stampata a Bologna nel 1714.
Goo gle i
IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ, FREZZIANA 773
di esso al Malpigli, ed avendo ricevuto altre notizie utili, dovette
tornarci su ed ampliarla in più luoghi entro l’anno seguente. Dovette anche occuparsi della dedica di tutta l’opera, perchè di essa
bisognava parlare nella prefazione e perchè il Pagliarini si era già
compromesso col Muratori per il duca di Modena Rinaldo d’Este.
Ma a lui non piacque questo nome e dopo avere invano pensato a
mons. Lascaris, frate domenicano e vescovo di Spoleto, si decise pel
cardinale Vincenzo Orsini, prossimo futuro papa. Di qui un nuovo
e grave dissenso col Pagliarini, che finì con la deliberazione conciliante di separare dal resto la Dissertazione del Canneti con la dedica
da lui desiderata e di stamparla prima del poema con tutti i suoi
commenti e con altra dedica. Ma la Dissertazione non perdette per
questo, come vedremo, il carattere di prefazione che doveva avere
secondo i primi accordi dell’autore coi Rsnvigoriti. Il Canneti,
quando l’ebbe proprio finita, la fece rivedere al suo amico e confidente mons. Fontanini e poi la mandò a Foligno per la stampa.
La composizione tipogratica nella stamperia del Campana cominciò non prima del gennaio 1724, ma per altre piccole aggiunte
e contrattempi non potè terminare che nell’ottobre dello stesso
anno, quando cioè il Canneti si trovava abate a Forli e il dedicatario era papa col nome di Benedetto XIII già da quattro anni.
Questo avvenimento avrebbe consigliato un ultimo cambiamento
nella dedica della Dissertazione: ma era troppo tardi. E così la
stampa fu messa in circolazione alla fine del 1724 non solo con
la dedica al cardinale Orsini, ma anche con la data del 1723 quasi
per dare ad essa una maggior ragion d’essere (1).
(1) Cfr. per tutta codesta serie di fatti la seconda parte del mio citato lavoro su Un’ Accademia umbra ecc. e l’altro mio scritto citato. Qui credu opportuno
di aggiungere alcuni particolari, su quella stampa. La monografia del CANNETI
era in quarto piccolo e constava di 88 pagine. Nella prima carta si leggeva:
DISSERTAZIONE | APOLOGETICA | di D. Pietro Canneti | Abate della Congregazione Camaldolese | intorno al Poema de’ Quattro Regni, | detto altramente il
Quadriregio, | e al vero autore di esso | MonsiGNORE | FEDERIGO FREzZI | del’Ordine de’ Predicatori, Cittadino | e Vescovo di Foligno e Uno de’ | Padri del Concilio di Costanza, | — In Foligno, Mpccxxui | Per Pompeo Campana Stampator
Pubblico | Con licenza de’ Superiori. — A codesto frontespizio seguiva nella seconda e terza carta l’Indice de’ Paragrafi. Nella pag. 7 cominciava il testo della
Dissertazione preceduta da questa intestazione-dedica: DEL POEMA DE° QUATTRO REGNI | detto altramente IL QUADRIREGIO, | e del vero autore di
Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. 1V. 50
774 ENRICO FILIPPINI
Ora, tutto questo racconto dimostra che la monografia cannetiana non fu un lavoro, come si suol dire, di getto, quale sarebbe
potuto riuscire se l’autore avesse raccolto tutto il materiale occorrente prima del 1712 e se non fosse stato sorpreso da circostanze
impreviste mentre l’aveva cominciata a stendere. Ma se questa
Dissertazione fu continuata a più riprese entro un periodo di undici anni, non riuscì pertanto meno concludente e pregevole. Il
Canneti non ebbe fretta di trionfare: tanto si sentiva sicuro del
fatto suo; finì e pubblicò il lavoro suo quando volle finirlo e pubblicarlo, non curandosi di tutte le sollecitazioni, gli eccitamenti, le
provocazioni e i lamenti che gli venivano da più parti, e compiacendosi soltanto, forse, di veder crescere ogni giorno più l’aspettazione dei dotti intorno a lui. Egli studiò intanto tutte le mosse
degli avversari del Frezzi ed attese per lungo tempo che l’avversario principale scendesse in campo, come avea promesso; e se
questo fosse avvenuto, certo la parte più importante del suo lavoro sarebbe stata la confutazione dei suoi argomenti. Ma quando
vide vana la sua attesa, egli comprese che la difesa del Frezzi non
sarebbe riuscita esauriente senza la critica del codice bolognese
il quale attribuiva il Quadriregio al Malpigli, e che la critica sarebbe stata inutile senza l’esame diretto di esso. A questo bisogno
di raggiungere la prova tangibile d’una frode letteraria compiuta
a danno del Frezzi in un manoscritto del 400 si deve anche il ritardo enorme frapposto dal Canneti fra il principio e la fine del
suo lavoro: infatti dopo la collazione del codice alterato egli non
tardò che pochi mesi a pubblicarlo (t). E poichè il frutto di quella
esso, | Monsignor FepeRrIGo Frezzi. | All'Eminentissimo e Reverendissimo | in
Cristo Padre Signore | FRA VINCENZO MARIA ORSINI | DelPOrdine dei
Predicatori, Vescovo Por | tuense, Cardinale della Santa Romana | Chiesa, 0 Arci»
vescovo di Benevento. — A pag. 79-80 si leggeva un’Aggiunta e Correzione: a
p. 81-86 un Indice delle cose più notabili contenute nella Dissertazione Apologetica:
a p. 87 le approvazioni delle autorità ecclesiastiche: a p. 88 un breve erratacorrige.
(1) L’autografo cannetiano non si è ritrovato fra le carte numerose del dotto
frate, che la Classense conserva. Dove sarà andato a finire? Nè l’Arisi in Cremona literata, nè il MAZZATINTI nel suo Inventario della Classense di Ravenna
ce lo sanno dire. Che il Canneti abbia fatto dono del suo ms. all'Accademia
folignate? Per quanto ciò mi sembri un po’ improbabile, questo sarebbe l’unico
modo di spiegarne la perdita, poichè nulla ci è pervenuto degli atti di quell'Accademia.
LO ogle ni
IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ. FREZZIANA 775
collazione venne ad essere il punto, si può dire, più saliente della
monografia cannetiana, la lenta elaborazione che questa ebbe fu
la fortuna in pari tempo del Frezzi, dei Rinvigoriti e del Canneti
stesso.
Il quale, dopo una larga distribuzione gratuita di copie della
sua Dissertazione, sì ebbe un coro di elogi e di applausi epistolari. Il padre G. B. Cotta (il famoso autore della raccolta di inni Dio),
A. M. Salvini (che fino a pochi anni prima avea mostrato di essere d’accordo coi Bolognesi), P. I. Martelli (che una volta si era
tanto adoperato in favore del Malpigli), il padre Bonifacio Collina
(che aveva procurato all’ autore della Dissertazione il prestito del
codice bolognese), A. F. Marmi, il Fontanini, il Baruffaldi, il Crescimbeni, il Muratori e lo stesso Bottazzoni (che avea dovuto rinfoderare la sua spada inutilmente sguainata in difesa del citato suo
concittadino) furono i primi a mettere in rilievo l’importanza dell’opera del Cannetì. A tutte codeste lettere che furono scritte tra
la fine del 1724 e il principio del 1725, ne seguirono parecchie
altre da Roma, Firenze, Perugia, Ravenna, Fabriano, Colorno e
dall’estero, dove il dotto camaldolese aveva amici ed ammiratori
specialmente nella gerarchia ecclesiastica: nè mancarono le congratulazioni del papa Benedetto XIII, a cui l’autore avea dedicato
il suo scritto (1). Così il mondo letterario e quello religioso furono d'accordo nel tributare lodi al Canneti: non una voce dissonante, non una critica, non un appunto (2): solo qua e là il lusinghiero rimprovero, per l’autore, di non aver pubblicato prima un
saggio così importante del suo ingegno e della sua coltura. Nè
diversi suonarono gli annunzi bibliografici del tempo, come quelli
dei Foglietti letterari di Almorò Albrizzi (3), del Giornale dei letterati d’Italia dello Zeno, che però promise un articolo particolare
sulla monografia cannetiana, il quale non venne mai alla luce (4).
(1) Tutte codeste lettere sono conservate, quali interamente e quali in estratto,
nella Misc. ms. XXVI della Classense di Ravenna.
(2) Solo il Baruffaldi, nella lettera del 20 dicembre 1724 si lamentava « della
« varietà dei caratteri » usata nella Diss. (Cfr. la lettera cit. nell'Appendice VI
al mio citato studio su Un’ Accademia umbra ecc.).
(3) Cfr. la rivista cit., vol. III, fasc. del 22 gennaio 1725, pp. 40-45.
(4) Cfr. la rivista cit., vol. XXXVI, pp. 347-349.
776 ENRICO FILIPPINI
Intanto era terminata la « tiratura » dei due volumi del Quadriregio e dei commenti fatti ad esso dall’Artegiani, dal Pagliarini
e dal Boccolini (1); e in fondo al secondo di quei volumi riappariva per una strana ironia la Dissertazione del Canneti, che non
aveva potuto precedere come prefazione il poema nel primo (2). E
vi riappariva tale e quale come nell’edizione separata, cioè con le
stesse intestazioni, con la stessa disposizione della materia, con
la stessa impaginazione ed anche con la sua dedica e numerazione
speciale di pagine: ciò che dimostra che non si tratta di una seconda edizione del lavoro cannetiano, ma della stessa impressione
del 1724 adattata fin d’allora ed aggiunta ora alla ristampa illustrata
del poema frezziano. In questa circostanza, fra le lodi tributate al.
l'Accademia folignate per la tanto attesa pubblicazione, ce ne furono
di nuove anche per il Canneti, che in verità non si era occupato soltanto di scrivere la Dissertazione, ma aveva curato l’edizione critica
del Quadriregio più degli altri suoi collaboratori ed aveva inoltre ora
riveduto, ora ritoccato, ora ampliato il triplice commento aggiuntovi; per un cumulo però di circostanze diverse, indipendenti, credo,
dal valore dell’opera, minori furono gli elogi della stampa bibliografica (3). Del resto, il successo del p.Canneti era già un fatto compiuto ed egli non aveva bisogno di nuove attestazioni di stima.
Tuttavia ne ebbe più tardi, prima e dcpo la sua morte, quando
specialmente in mezzo al grande sviluppo della critica letteraria
anche il poema del Frezzi fu fatto oggetto di nuovi studi per assegnargli il posto che merita nella nostra letteratura poetica.
(1) Cfr. IL QUADRIREGIO | O POEMA DE’ QUATTRO REGNI | di
Monsignor FepeRIco FREZZI | dell’ordine de’ predicatori | cittadino e vescovo di
Foligno | corretto e coll’aiuto d’antichi Codici mss. alla | sua vera lezione ridotto ecc.1
Pubblicato | DAGLI ACCADEMICI RINVIGORITI | di Foligno | e da essi dedicato |
alla Santità di nostro Signore | Para BeneDETTO XIII. — In Foligno . Mpccxzv.
Per Pompeo Campana ecc. — Quanto a D. A. G. ARTEGIANI (1683-1730), egli
è l’autore delle Annotazioni sopra alcuni luoghi del Quadriregio pubblicate appunto nel Il vol. del Quadr. del 1725. Era nativo di Arcevia e fu frate agostiniano: come tale visse parecchi anni a Foligno e fu presto accademico Rinvigorito. Per più minute notizie su di lui cfr. il mio cit. lav. su Un’Accademia
umbra ecc., pp. 77 € sgg. dell'estratto.
(2) La stampa del poema era cominciata fino dalla metà del 1720.
(3) Se ne occuparono, credo, soltanto i citt. Foglietti letterari del 12 febbraio 1725, PP. 74-75.
Go ogle ui
R
IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ, FREZZIANA 777
Se il Fontanini avesse pubblicato la seconda edizione ampliata
della sua Biblioteca dell’ eloquenza italiana, che egli aveva preparato nel 1725 e che apparve soltanto postuma nel 1736 (1), egli
sarebbe stato il primo in Italia a citare la monografia del Canneti
in un’opera di consultazione generale: a citarla, non a lodarla pubblicamente, perchè il dotto friulano pare non potesse perdonare
all’autore, come disse più tardi A. Zeno (2), l’accenno al suo errore d’aver ritenuto un tempo autore del Quadr:regio il Malpigli.
Invece il primo ad additare ai dotti l’importanza della Dissertazione cannetiana e a valersene largamente fu un francese, il Niceron, che nel 1729, occupandosi del Frezzi e del suo poema, il-.
lustrò la grande utilità dell’opera collettiva dei Ainvigoriti di Foligno e disse fra l’altro che l’illustre cremonese avea dimostrato
incontrastabilmente la paternità frezziana del Quadriregio (3). Ma
contemporaneamente si occupavano di lui gli annotatori dei Commentari del Crescimbeni e il canonico Francesco Mancurti, sebbene
ì loro scritti apparissero nel biennio 1730-1731. I primi dissero del
Quadriregio: « Che questo poema sia opera del Frezzi e non del
« Malpigli lo fa vedere apertamente il P. D. Pietro Canneti Abate
« Camaldolese testè degnamente promosso al Generale governo
« del suo ordine (4) in una sua dissertazione che noi abbiamo veduta stampata dopo il Poema nell’edizione del 1725 », di cui riportavano il lungo frontespizio citando anche alcune parole dell’apologia (5). Il Mancurti, scrivendo la biografia del Crescimbeni
morto nel 1728, comprendeva fra i suoi lodatori anche il Canneti,
che lo aveva ricordato nella sua Dissertazione più volte (6). Ma se
(1) Cfr. l'avvertenza al lettore, che il nipote del FONTANINI premette all’edizione accennata (Roma, Bernabò, 1736).
(2) Nell’ediz. accennata, a p. 563, il FONTANINI citava semplicemente la Dissertazione Apologetica del P. D. Pier Canneti ecc. del 1723. Lo ZENO, ripubblicando più tardi l’opera del Fontanini in due volumi e illustrandola largamente,
si occupò dei rapporti tra il Canneti e l’autore in due note a p. 309 del vol. I
e a p. 139 del vol. II (Cfr. l’ediz. della Biblioteca ecc. di Venezia, Pasquali, 1753).
(3) Cfr.i Memoires pour servir a l’histoire des hommes îllustres dans la republique des lettres etc. (Paris, 1729); Tome III, pp. 143-153.
(4) Il Canneti divenne Generale dei Camaldolesi nel 1729.
(5) Cfr. i Commentari del CRESCIMBENI, ediz. 1730-31, vol. II, p. I, 1. IV,
p. 216: nota. 3
(6) Cfr. gli stessi Commentari, stessa ediz,, vol. IV, p. 269.
778 * ENRICO FILIPPINI
il Canneti. potè vedere le parole degli annotatori e compiacersene,
non così si può dire di quelle del biografo imolese, che furono pubblicate nel 1731, quando cioè egli era già morto da pochi mesi (1).
Allora il Bianchi scriveva in suo onore la citata orazione e fra l’altro
diceva: « Se nelle storie particolari dei secoli meno famosi fosse
« intendente ben lo riconobbero con rossore que’ malaccorti, che
« avendo voluto il poema del Quadriregto ad autor bolognese con-
« cedere, con non meno faconda che erudita Apologia al suo vero
« autore e a Foligno vera patria di questo restituì » (2). Le quali
parole, sebbene inedite, come pare, coronano quel periodo di approvazioni ed elogi, che il Canneti sì era meritate per l’opera rivendicatrice da lui dedicata al poeta folignate.
Nel 1735 il Niceron fornì brevi notizie sul Frezzi e l’opera
sua agli autori del Supplement au Grand Dictionnaire historique di
Luigi Moreri, che pare non avesse letto la monografia cannetiana (3).
La quale fu poi registrata fra le opere del dotto cremonese dall’Arisi suo grande ammiratore (4), e ricordata dal Sassi per un’omissione che vedremo in seguito (5). E se il Quadrio, pur avendo conosciuto l’ultima edizione del Quadriregio e perciò anche la memoria
del Canneti, non la cita affatto (6), lo Zeno pochi anni dopo non
approva il silenzio del Fontanini rispetto all’erudito frate là dove
il primo parla dell’ ultima ristampa di quel poema, e trova in-
(1) Il Canneti mori a Faenza îl 1° ottobre 1730. Oltre le biografie accennate di sopra, cfr. in proposito una corrispondenza da Faenza alle Novelle della
repubblica delle lettere dell'anno 1730, pp. 340-343, che contiene un breve cenno
biografico del Canneti e l'elenco dei suoi scritti, tra cui anche la dissertazione sul
Frezzi del 1723.
(2) Cfr. la cit. orazione funebre, che si conserva nella Classense.
(3) Questo copioso Supplemento fu fatto, come è noto, per servire all'ultima
edizione dell’opera moreriana del 1732.
(4) Cfr. op. e |. citt. i
(5) Cfr. la sua Mistoria litteraria-typographica mediolanensis in Bibliotheca
scriptorum mediolanensium etc. (Milano, 1745), to. I, p. 574, nota c.
(6) Cfr. Della storia e ragione d’ogni poesia, to. IV (Milano, Agnelli, 1749),
pp. 262-263, in cui allude chiaramente all'ediz. folignate del Quadriregio. Tutto
quel cenno par fatto sulla Diss. del Canneti; senonchè il Quaprio vi aggiunge
di suo (o, meglio, del Fontanini), un’ allusione allo Speroni. E’ strano poi che
nel to. VI della stessa opera (p. 41) torni a parlar del Frezzi a proposito della
Cosmografia attribuitagli da un codice parigino, ima negatagli definitivamente dal
Canneti nel cap. 1]X della Diss.
#
IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ, FREZZIANA 779
giusto che altrove lo nomini soltanto compensando così male le
varie espressioni di stima per lui profuse nella stessa” memoria (1).
ll Mittarelli, non pago di aver accennato a questa nella biografia
del Canneti, vi allude più ampiamente in un’opera bibliografica per
i codici e le edizioni del Quadriregio da lui registrati e per la vera
paternità del poema (2). Vienè poi il Fantuzzi, che parla della Dissertazione cannetiana in più luoghi dei suoi Scrittori: bolognesi, ma
specialmente nella biografia del Malpigli, dove attinge ad essa per
determinare il suo principale ufficio a Roma e per negargli la composizione del libro dei quattro regni (3). Poco dopo, il Tiraboschi,
toccando dello stesso Malpigli come possibile autore di questo poema e dopo aver riferito le opinioni del Crescimbeni e del Fontanini, si compiace di affermare: « E veramente le ragioni e le pruove
« con cui il P. Don Pietro Cannetti (sic) abate camaldolese nella
« sua Dissertazione apologetica aggiunta all’ultima edizione del
u Quadriregto ha dimostrato autor di quell’opera il Frezzi, sembrano
« escludere ogni dubbio » (4).
Così ricordano lo scritto cannetiano l’Audiffredi mentre illustra la ristampa bolognese dello stesso poema (1494) (5) e l’Haim
che fa un breve accenno alle edizioni dell’opera frezziana, risale
ancora all'elenco datone dal Canneti e non si accorge dell’aggiunta del Sassi (6). E quando il Vermiglioli dimostrò di non
(1) Cfr. la cit, ediz. della Biblioteca ecc. del FONTANINI, con note di A. ZENO,
to. I, p. 309 e to. II, p. 139.
(2) Cfr. op. cit., vol. 1X (aggiunte), pp. 144-145, e la sua Bibliotheca codicum mss. monaslerii S.i Michaelis Venetiarum etc. (Venezia, 1779), col. 4I0.
(3) Cfr. op. cit., to. V, pp. 145-147, dove dice tra l’altro che il Canneti
« ha dimostrato chiaramente » che il tanto discusso Quadriregio appartiene a
Federico Frezzi. Il FANTUZZI parla anche di lui, nella biografia di Tommaso Leoni,
per confermare ciò che il Canneti dice sulla impossibilità che questi abbia scritto
il Fior di virtù e sulla frode da lui commessa nel redigere il cod. bolognese del.
Quadriregio.
(4) Cfr. la sua Storia della letter.® ital. (Modena 1789 e Milano 1824) to. VI,
p. 1228. E’ strano che anche il TiraBoscHÙi attribuisca, come il QuADRIO, al
Frezzi la Cosmografia, di cui ho già parlato in altra nota (cfr. l’op. cit., to. V,
p- 594 della prima edizione).
(5) Cfr. il suo Specimen criticum editionum italicarum saeculi XV etc. (Roma, 1794), pp. 98-99, dove l’autore illustra l'edizione bolognese del Quadriregio.
(6) Cfr. la sua Biblioteca italiana ecc. (Milano, 1803), vol. Il, p. 15, n. 3,
dove l'autore registra il poema frezziano. Noto che questo bibliografo, dopo aver
780 ENRICO FILIPPINI
aver saputo far buon uso della Dissertazione, pur avendone accettate le conclusioni principali, mentre discuteva delle origini
della stampa perugina (1), sorse a confutarlo e a difendere il
Canneti punto per punto il Brandolese (2). Finalmente il Ginguenè, nel tessere una breve biografia del Frezzi, non potè fare
a meno di attingere le notizie principali alla fonte cannetiana, che
citò opportunamente in nota (3). Ormai quella monografia, che l’autore stesso, forse con troppa modestia, avea chiamato « operetta »,
era diventata un documento necessario per lo studio di tutto ciò
che concerneva il poeta folignate ed il suo poema: la sua fortuna,
specialmente per opera del Tiraboschi e del Ginguenè, era stabilita
nella repubblica letteraria. Ma in seguito la Dissertazione avrebbe
potuto soddisfare la critica sempre più esigente? Nessuno, credo,
ci pensò ed intanto parve anche opportuno fare una nuova edizione del lavoro cannetiano.
Questa si ebbe nel 1839 quando fu ristampato per la nona
volta anche il Quadriregio. Fu Francesco Zanotto che volle opporricordato la Diss. del Canneti e dopo aver accennato alla supposta paternità malpigliana del Quadriregio, afferma che il poema « è fatto a somiglianza di Dante
« e dopo di esso è il più studiato ».
(1) Cfr. i suoi Principî della stampa in Perugia (Perugia, Baduel, 1806),
pp. 159-163. Il VermigLIoLI parla del Canneti anche nelle sue Biografie degli
scrittori perugini, to. I, parte II, p. 351, a proposito di alcuni codici che egli
avrebbe trasportati da Perugia a Ravenna.
(2) Cfr. il suo opuscolo su La tipografia perugina nel sec. XV illustrata dal
sig. Vermiglioli ecc. (Padova, 1807) pp. 38-42. ll BRANDOLESE sottopose a una
critica minutissima la monografia del VERMIGLIOLI e ne rilevò tutte le inesattezze, le capricciose affermazioni, e gli errori. Vedremo più oltre il fatto
più notevole di questa polemica: qui noterò soltanto che il BRANDOLESE rivendica giustamente al Canneti anzichè allo Zeno l’emendazione del Fontanini sulla
paternità del Quadriregio, rimprovera il VERMIGLIOLI per aver copiato di seconda
mano e a sproposito una citazione degli Annales del MAITTAIRE e per non aver
visto nella Diss. che cosa l’autore pensasse delle ragioni per cui il poema frezziano sarebbe stato pubblicato a Perugia nel 1481 e non a Foligno, dove fin dal
1470 si stampavano libri. 4
(3) Cfr. la sua Histoire litteraire d’ Italie, tradotta in italiano da B. PEROTTI
(Milano, Commercio, 1823-25). Nel vol. IV della traduzione italiana, cap. XVII,
Pp- 71-79, si parla a lungo del Frezzi e del Quadriregio, e precisamente a p. 72
è citata in nota la Diss. del Canneti come fonte delle notizie biografiche del
poeta.
IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ. FREZZIANA 781
tunamente inserire nel Parnaso Italiano dell’Antonelli di Venezia
anche il poema di Federico Frezzi, che non si ripubblicava da più
d'un secolo e che egli considerava come opera d’un « nobilissimo
« ingegno e da ascriversi fra coloro che le lettere e le scienze in-
« nalzarono nel secolo decimoquarto in questa bellissima nostra pa-
« tria l’Italia » (1). Per dare esecuzione a tale suo disegno si valse
naturalmente della ristampa folignate del 1725 e pensò bene di premettere al testo poetico la tanto apprezzata apologia del Canneti
« siccome quella che oltre a dimostrare essere questo poema del
« Frezzi, va toccando qui e qua sui pregi che l’adornano e invo-
« glia così il lettore allo studio di esso » (2). Così la dotta Dtssertazione sorta nella mente dell’autore come vera e propria prefazione o introduzione al poema frezziano, divenuta poi lungo
l'elaborazione una monografia a sè e finalmente costretta a far da
coda al ristampato Quadriregio del 1725, riprendeva nel 1839 il suo
legittimo posto.
Ma la ristampa del lavoro cannetiano non ebbe fortuna. Essa,
per quanto più corretta, più chiara e più pratica della prima edizione folignate, presenta degli altri difetti come quello dell’essere
stata distesa in due sottili colonne per pagina e quello dell’aver
perduto, con la lunga intestazione originaria, anche l’indicazione
del dedicatario, sicchè leggendo il primo capitolo non si sa a chi
sia rivolto il discorso. Se poi a codesti difetti si aggiungono quelli
relativi alla stampa del poema e dei suoi commenti, si comprende
benissimo che l’editore, pur avendo avuto delle ottime intenzioni,
si lasciò prender la mano dalla fretta e non rispose a tutte le esigenze degli studiosi. Certo è che questi, non potendo affidarsi completamente alla ristampa del 1839, continuarono a servirsi dell’opuscolo del 1724 o della copia inserita nel secondo volume del 1725;
(1) Cfr. il vol. 1V del cit. Parnaso Italiano, in ottavo, e l'avvertenza a chi
legge, firmata da Francesco Zanotto. E’ noto poi che contemporaneamente e cogli
stessi tipi l’Antonelli pubblicò un Parnaso classico italiano in piccolo formato, in
cui fu anche dato posto al Quadriregio (cfr. i tomi LII-LV); ma in quella minuscola edizione la monografia del Canneti fu semplicemente riassunta, forse
dallo stesso F. Zanotto, nella breve Vita di Federico Frezzi, che sta in testa del
primo volumetto.
(2) Cfr. la stessa avvertenza.
Go ogle
782 ENRICO FILIPPINI
e quella finì coll’ essere dimenticata insieme con la nona edizione
del poema (1).
È impossibile ricordar qui tutti coloro che si occuparono o ricorsero con profitto alla Dissertasione del Canneti in mezzo al
grande risveglio degli studi critico-letterari del secolo scorso e di
questi primi anni del secolo ventesimo. Essi sono legione, da G.
Cappelletti che toglie da quella monografia un documento importante per la storia delle Chiese d’Italia (2), al padre V. Marchese che
oltre a profittare di molte notizie biografiche relative al Frezzi illustra ciò che il Canneti dice sui rapporti che esistono tra lui e
l’Ariosto (3); da F. Palermo che, pur discutendo un’ affermazione
del dotto cremonese, giudica « chiare » le prove da lui addotte contro
la falsa attribuzione malpigliana e « sufficientissima a convincere »
quella che si desume dall’alterazione dei famosi versi del cap. 1X
del 1. IV (4), al Faloci-Pulignani che, pur facendo le sue riserve
su un punto della biografia cannetiana del Frezzi, dice che la Dsssertazione contiene « il più e il meglio delle notizie frezziane » (5);
da G. Bragazzi che tien conto di ciò che il Canneti pensa sul primato-tipografico di Foligno (6), ad A. K. Salza che mette in evi.
denza un’involontaria inesattezza dello stesso apologista (7); da
(1) Cfr. in proposito il mio studio su Le edizioni del Quadriregio in « Bibliofilia », voll. VIII-IX (1906-1907), cap. IX.
(2) Cfr. Le Chiese d’Italia, vol. IV (Perugia, Artonelli, 1844), p. 431.
(3) Cfr. il suo Saggio intorno agli antichi poeti domenicani in « Scritti vari »
(Firenze, Le Monnier, 1860), vol. II, pp. 140-143. Correggo qui una svista in
cui caddi nel mio studio su Le relazioni tra i due poemi del Frezzi e dell’ Ariosto
in Varietà frezziane citt., p. 16, affermando che il p. MarcHESsE non avesse ricordato affatto la Diss. del Canneti, mentre un esame più attento ora mi mostra che nel luogo citato egli vi accenna in due note a pp. 140-141.
(4) Cfr. I manoscritti palatini di Firenze ordinati ed esposti ecc. (Firenze,
1853). vol. I, pp. 599 € 6o4.
(5) Cfr. Le lettere e le arti alia corte dei Trinci, ecc. (Foligno, Salvati, 1888),
p.123, nota. Ma il FaLoci-PULIGNANI ricorda il Canneti anche in altri suoi scritti.
(6) Cfr. il suo Compendio della storia di Foligno (Foligno, Tomassini, 1858-
59), p. 133. E’ però strano che il Bragazzi faccia questo solo fugace accenno
alla Diss. del Canneti, mentre avrebbe dovuto e potuto parlarne di proposito
nel cap. VII, dove si occupa « delle persone estranee che accrebbero gloria a
« Foligno » o nel cap. VI, dove si occupa dei Rinvigorili. 5
(7) Cfr. Lorenzo Spirito Gualtieri rimatore e venturiere perugino del sec. XV
in «e Raccolta di studi critici dedicata ad Alessandro D'Ancona » (Firenze, Barbèra, 1901), pp. 279-281.
—
IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ. FREZZIANA 783
C. Frati che accetta la confutazione cannetiana dell’attribuzione del
Quadriregio al Malpigli fatta dal copista Lioni e sostenuta dall’Orlandi, senza accorgersi del capitolo dedicato dal Canneti al Ftor di
virtù (1), alla signorina A. Fantozzi che si valse delle ricerche del
-Canneti per illustrare il cod. Class. 239 cantenente il Ft/enico di
Nicolò da Montefalco (2); dallo Zambrini che qualificò « assennata »
l’opera rivendicatrice dell’erudito frate camaldolese (3), a B. Gilardi
che, pur notando un difetto generale dell’ apologia cannetiana, ritiene che essa costituisca lo studio maggiore intorno al quadripartito poema « specialmente se si considera il tempo in cui fu com-
« posta » (4); da L. Frati che riconosce la non difficile copia di
argomenti e di erudizione messa in campo dal difensore del poeta
folignate, non senza notare un’ altra inesattezza del Canneti sul
Malpigli (5), a chi scrive queste pagine e giudicò forse con troppa
fretta la Dissertazione rilevandone altri difetti, ma lodandola anche
parecchio (6). Nè ora io riferirò qui quel mio giudizio, anche perchè dovrò modificarlo non poco in base ad altre ricerche da me
fatte e ad ogni modo dovrò ritornarvi su nel corso della presente
memoria e specialmente nella sua conclusione.
Il.
Da questa storia della fortuna del lavoro cannetiano appare
che esso ebbe più lodi che appunti; ma fin dalla metà del secolo XVIII, cioè pochi anni dopo la morte del Canneti si comin-
(1) Cfr. le sue Ricerche sul Fior di virtù in « Studi di filologia romanza »,
vol. VI (1893).
(2) Cfr. Un canzoniere inedito del sec. XV in « Favilla » di Perugia, fasc.
del settembre-novembre 1900, pp. 61-94.
(3) Cfr. Le opere volgari a stampa dei secoli XIII e XIV ecc. (Bologna,
Zanichelli, 1884), 4° edizione, p. 445. |
(4) Cfr. i suoi Studi e ricerche intorno al Quadriregio di Federico Frezzi
(Torino, Lattes, 1911), pp. 4,5 € 9.
| (5) Cfr. Nicolò Malpigli e le sue rime in « Giornale storico della letter. ital. »,
vol. XXII (1893), fasc. 66, p. 318.
(6) Cfr. il mio cit. lav. su Un'Accademia umbra ecc., v. I, pp. 223 € 225.
784 ENRICO FILIPPINI
ciarono a notare i difetti della Dissertassone, che divennero poi
sempre più manifesti e andarono man mano crescendo di numero,
mentre dall’altro canto si continuava a valutare gl’indiscutibili pregi
di essa. Nè i difetti sono stati indicati tutti, sicchè non si può
dire che su questo documento sia stato pronunziato un giudizio
definitivo. Occorre quindi sottoporlo a una nuova e più minuta
disangina, indipendentemente dalla ottava ristampa del Quadr:regio
per cui fu fatto, studiarlo in tutte le sue parti e sotto tutti gli
aspetti, vedere a quali osservazioni della critica « ragionevole e
« sana », come la vuole lo stesso autore (1), esso si presti e determinarne tutta l’importanza storico-critico-letteraria.
Va notato anzitutto che, mentre l’autore chiama apologetica la
sua Dissertazione, le dà per titolo le parole: Zutorno al o Del poema
de’ quattro Regns detto altramente Quadriregio e del vero autore di
esso Monsignor Federico Frezzi. Questo lungo titolo ci prepara evi.
dentemente a una divisione del lavoro in due parti ben distinte; la
prima delle quali dovrebbe contenere la trattazione di tutte le materie attinenti al Quadriregio, cioè della concezione, dell’indole, della
forma, dell’argomento, del valore poetico e morale, delle relazioni
che esso ha col poema dantesco e col medioevo, della lingua, delle
trascrizioni, delle edizioni ecc., e la seconda lo svolgimento storico
della maggiore quistione a cui il detto poema ha dato luogo, la confutazione della tesi della paternità malpigliana, la dimostrazione dell’altra che ne fa autore il Frezzi e la biografia ancora quasi ignota
del poeta folignate. Ora il Canneti ha osservato codesta divisione
dell’opera, che egli stesso ha proposto? Ha egli svolto in tutte le
. sue parti il doppio argomento ? Ha seguito l’ordine della trattazione indicato nel titolo ? Vediamo.
L’autore ripartisce la Dissertastone in 45 paragrafi e comincia
coll’annunziare l’incarico datogli dai A:nvigoriti e col dedicare il
suo lavoro al card. Vincenzo ‘Maria Orsini, indicandone iî motivi e
dichiarando in fine che egli scrive una Difesa del Vescovo Fressi
e dell’opera sua (par. 1). Annunzia poi la nuova edizione del Quadrsregio ormai divenuto rarissimo, pur essendo così ricercato
(paragrato Il), si ferma su sei ristampe precedenti e specialmente sulla prima (parr. III-V), commenta il favorevole giudizio
(1) Cfr. il par. l della cit. Diss.
=
IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ, FREZZIANA 785
del Corbinelli e la stima in cui tennero il poema Ludovico e Orazio
Ariosto, riferendo le postille da essi fatte ad un codice della medesima opera, che erroneamente la attribuiva a Fazio degli Uberti
(parr. VI-IX). Questo ms. dà occasione al Canneti di indicare e
descrivere altri quattro codici del Quadriregio molto notevoli, specialmente lo Stoschiano, che lo assegnano quasi tutti al Frezzi
(parr. X-XI). Di qui passa a fare la biografia del poeta folignate
illustrando alcuni testi mss. da lui posseduti e conservatisi a Foligno, l’Accademia dei Concili da lui istituita in patria, due documenti notarili relativi alla sua famiglia, la Bolla pontificia di Bonifacio IX che lo nominava vescovo di Foligno e il suo intervento
ai Concilii di Pisa e di Costanza, ove sarebbe morto nel 1416
(parr. XII-XV). Parlando poi dell’attività letteraria del Frezzi, afferma, contrariamente ad altre attestazioni, che di lui non ci è
pervenuto che il Quadriregio e si appella a Nicola da Montefalco
e a Niccolò Tignosio di Foligno vissuti nel 400 per assodare che
in quel secolo il vescovo folignate era ritenuto l’indiscusso autore
del famoso poema, in cui avrebbe anche incensato un po’ troppo
i Trinci, signori di Foligno e suoi protettori (parr. XVI-XIX).
A questo punto il Canneti dice: « Tempo è oggimai di pas-
« sare alla lite mossa all'Autore del Quadriregio » (1) e viene così
alla seconda parte del suo assunto. Riferisce ed esamina l’affermazione del Montalbani, discute sull’età del Malpighi, la cui giovinezza dovette corrispondere alla vecchiezza del Frezzi, parla della
fortuna di quell’affermazione fino ai primi anni del 700 illustrando
le opinioni del Fontanini, del Crescimbeni, del Muratori e dopo
aver assegnato la composizione del poema al periodo 1380-1400,
quella di un bolognese autorevole, il Martelli, del tutto favorevole
al Malpigli, per dichiarare come questa sia una delle tante false
attribuzioni di opere antiche, che si trovano nei codici e come sia
necessaria molta prudenza nell’accettarle; di che si resero ben
presto persuasi tanto il Crescimbeni e i redattori del Giornale de:
letterati d’ Italia pubblicamente, quanto il Fontanini e il Muratori
privatamente, accostandosi chi più chi meno al Frezzi (parr. XXXXVI). Di poi il Canneti passa all'esame del codice bolognese, su
cui si era fondato il Montalbani e dapprima lo descrive esterna-
(1) Cfr. il principio del prg. XX della cit. Diss.
(O ogle
P_i
756 ENRICO FILIPPINI
mente notando l’attribuzione al Malpigli nel titolo e il nome di
Tommaso Lioni come copista nella segnatura finale: illustra la losca
figura di questo trascrittore e scopre nell’interno del codice le
prove manifeste di due alterazioni del testo fatte a posta per confermare la paternità malpigliana del poema, e precisamente le sostituzioni del bolognese Nicolò della Fava al folignate Mastro gentile e della parola figliuolo a Folegno nel cap. IX del libro IV:
sostituzioni dimostrate false dalle ragioni della metrica, della rima,
del buon senso e della storia (parr. XXVII-XXX). Nota come il
Quadriregio non contenga altri accenni a Bologna ed ai Bolognesi
mentre ci parla così spesso dell’ Umbria; esclude che il Lionì sia
autore del For di Virtù, che, secondo l’Orlandi, egli si attribuisce:
osserva il consenso dei codici e delle edizioni del poema nel farne
autore il Frezzi: mette in evidenza la stretta relazione tra le condizioni di questo e la materia da lui trattata, e senza nuocere
alla fama del Malpigli e alla gloria di Bologna rivendica il Quadriregio al poeta folignate, che col bolognese non ha neppure al.
cuna affinità stilistica, mentre usa qua e là forme decisamente
umbre nell’espressione del proprio pensiero (parr. XXXI-XXXVII).
Da ultimo il Canneti si ferma a parlar brevemente dell’ele
ganza dello stile frezziano, dell’affinità del Quadriregio con la
Commedia dantesca, della elevata coltura del vescovo-poeta, del
modo in cui questi si occupa dell’amore, dell’ idealità, dell’onestà
e della natura speciale di questa passione largamente svolta nel
I libro, dei suoi intendimenti morali e del contenuto filosofico del
poema (parr. XXXVIII-XLI]). Segue una esposizione dei criteri adottati nella prossima ristampa del Quadriregio e specialmente di quelli
riguardanti le varie lezioni del testo, l’ortografia e il doppio titolo del
poema (parr. XLIII-XLV). E la Dissertassone si chiude con queste
parole : « Ecco quanto ci è occorso dire intorno al Quadriregio e alu l’ Autore dt esso, in occasione della nuova stampa. Se tutto ciò non
« è per bastare a mettere entrambi in piena stima di ognuno, noi
perciò non saremo per prenderci gran pensiero. Non resta però
che, nel metter fine al dir nostro, noi, rivolgendoci al Vescovo
« Frezzi, non terminiamo coi versi del Salvini:
*# Io non ho lodi, onde il tuo nome fregi:
“ Basta che a pochi e non al volgo piaci,
“ Chè pochi intendono i tuoi veri pregi,
LO ogle ui
IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ. FREZZIANA 787
“* E i bei lumi del dire, e quelle faci
“ Onde l’ingegno uman s’avviva e accende
“ Di sublime virtù semi veraci ,, (1).
Ma a queste parole, che suonano una lode illimitata dell’autore
del Quadriregio e che ci richiamano subito alla mente la qualità
di apologetica data dal Canneti stesso alla sua Dissertazione, l’autore fa seguire un’Aggiunta e correzione in cui si occupa del Tignosio e riferisce il testo dell’ iscrizione che si legge sulla sua
tomba posta in Santa Croce fuori di Pisa, per rettificare le date
della nascita e della morte del medesimo tramandateci dallo storico folignate Ludovico lacobilli e da lui prima accettate.
Ora, considerando codesta aggiunta e correzione come una
parte del par. XVIII e prescindendo anche dalla dedica iniziale,
la Dissertaztone cannetiana, che nel titolo aveva una chiara divisione in due parti principali, ha preso nel suo corso uno sviluppo
assai più largo e i temi trattati in essa sono ben cinque, cioè:
1° Introduzione sull’importanza del Quadriregio secondo le edizioni che se ne fecero e i codici che se ne conoscevano fino ad
allora (parr. ll. XI); 2° Vita documentata e attività letteraria di
Federico Frezzi, secondo le testimonianze del tempo che fu suo
(parr. XII-XIX); 3° Storia della questione della paternità del Quadrtregio, confutazione degli argomenti addotti in favore del Malpigli, sviluppo di quelli che si espongono in favore del Frezzi, e
rivendicazione del poema al poeta folignate (parr. X.X-XXXVII);
4° Arte e intendimenti dell’autore del Quadriregio (parr. XXXVIIIXLII); 5° Criteri seguiti dagli editori del 1725 nell’ottava ristampa —
del poema (XLII-XLV).
Lasciamo pure da parte quest’ultimo tema, che, se non è compreso nel titolo della Dissertazione, è giustificato però dal carattere di prefazione al Quadriregio ristampato, che essa doveva
anche avere. Ma degli altri quattro il primo e il quarto si riferiscono alla prima metà del titolo, il secondo e il terzo alla seconda; si direbbe quindi che l’autore abbia voluto fare una suddivisione in parti uguali dei due temi accennati nel titolo: suddivisione
che veramente è riuscita alquanto disordinata. Infatti si potrebbe
(1) Cfr. la Diss. ecc., p. 78.
788 ENRICO FILIPPINI
subito osservare che il Canneti ci parla e ci illustra la figura del
Frezzi prima di aver dimostrato che egli è l’autore del Quadrtregio
e non il Malpigli, svolge la storia esterna del poema innanzi di
parlarci del suo valore intrinseco e separa questi due temi che dovrebbero stare uniti, con l'inserzione degli altri due.
Ma vediamo piuttosto se l’autore ha mantenuto le promesse fatte
ne] titolo, se cioè il lettore trova nella Dissertazione tutto quello
che egli ha diritto di aspettarsi (1), È certo che il tema del vero
autore del Quadriregio è stato così ampiamente svolto, che non
ammette discussione: questa doveva essere la parte principale della
Dissertazione e tale è realmente riuscita. Ma l’illustrazione del
Quadriregio è tutt'altro che completa. ll Canneti dà maggiore importanza allo studio esterno del poema che all’interno. Parla di
codici e di edizioni, parla del credito in cui fu tenuta l’opera frezziana, parla della lingua, delle varianti e del titolo; ma quando ci
si aspetta un’esposizione sommaria del poema, quando si vorrebbe
un’analisi della concezione, dell’allegoria e dei significati del Quadriregio, noi sentiamo che tutto questo manca nella Dissertazione.
E se l’autore ci parla degli amori che si svolgono nel I libro del
poema, nulla ci dice degli altri regni (2): nè si ferma a discorrere
della forma che essi hanno e delle relazioni loro con altre rappresentazioni simili. Ciò che riguarda poi l’arte frezziana e l’imitazione dantesca nel Quadriregio è troppo generico e sommario;
e se gl’intendimenti morali del poeta sono stati discretamente lumeggiati, lo studio della personalità sua nel poema è stato affatto
trascurato, come è trascurato quello delle relazioni del Quadriregio
col secolo a cui appartiene e con le condizioni dell’Italia d’allora.
Noi del secolo XX pretendiamo forse un po’ troppo da un critico del primo settecento; ma da una mente equilibrata come quella
del Canneti avremmo dovuto aspettarci una Dissertazione non solo
(1) E’ da osservare qui che essa non è una vera e propria Dissertazione, se
per Dissertazione s'intende « un'esposizione ordinata ci quello che uno o più
studi abbiano messo in sodo », in cui però non sia necessario addurre le prove
d’ogni cosa asserita e che abbia un fare più largo del semplice studio, Questa è
piuttosto una larga Introduzione alla lettura del poema, sebbene vi manchino ancora molte cose perchè possa spianare la via alla lettura medesima. Tuttavia continueremo a chiamarla Dissertazione come la chiamò l’autore.
(2) Li nomina solo di sfuggita nel par. XLII.
-
IL P, DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ, FREZZIANA 789
meglio costruita, ma anche più nutrita nella sua prima parte, Sembra a chi la legge che egli non si sia proposto che di difendere
e lodare il vero autore del poema, e che di questi parli soltanto
per incidente e in quanto occorre per illustrare la figura del poeta,
È vero che egli intitola il suo lavoro Dissertazione apologetica, è
vero che egli fin dal primo paragrafo parla di Difesa del vescovo
Frezzi e dell’opera sua e che dal principio alla fine non abbiamo
che una serie di difese e di lodi (1); ma questo partito preso gli
fa perdere di vista ogni imparzialità, gli impedisce di mostrare i
difetti dell’opera, lo fa sorvolare su parecchi argomenti non poco
notevoli per la comprensione generale del Quadriregio. Nè il Canneti, se ascoltasse queste osservazioni, potrebbe invocare a suo discarico il fatto che i suoi collaboratori il Pagliarini, il Boccolini e
l’Artegiani avevano illustrato in una lunga serie di note filosofiche,
storiche e linguistiche l’opera del Frezzi ed egli non doveva prevenirli, perchè, mentre essì analizzavano e chiarivano tante espressioni frezziane, avrebbe fatto bene a sintetizzare quei commenti,
che del resto non erano per se stessi neanche completi (2). Forse
(1) Il Canneti non difende soltanto il Frezzi dall'accusa del Montalbani, ma
anche da quella, di piaggeria, fattagli dal Tignosio (cfr. par. XIX) e da altre, pos-
. s bili, come quella d’una certa rudezza di stile (cfr, il par. XXXVIIB, quella d’aver
poetato d’amore egli sacerdote e teologo (cfr. il par. XL) ecc.
(2) Dei pregi e difetti speciali di questi commenti io ho parlato tra le
pp. 155-157, 201-205 dell’ estratto del mio citato lavoro su Un’Accademia umbra ecc. Riferirò qui soltanto ciò che dissi in generale sulle principali deficienze
dei commenti medesimi. a Nessuno degli editori ci parla della struttura generale
di quest'opera (il Quadriregio) e della connessione delle diverse parti del viaggio frezziano. Così, se uno di essi (l’Artegiani) cercò di spiegare le allegorie
parziali, di cui è costituito il fantastico viaggio frezziano, nessuno s'è occupato
dell’allegoria principale e della sua relazione con quella della Commedia dantesca. Spesso nei commenti si accenna all’imitazione del divino poema fatta
dal Frezzi, ma in nessun luogo si parla della parte veramente originale del
Quadriregio e specialmente del I libro, che serve come di antefatto a tutto ciò
che dà materia agli altri tre libri. In genere i commentatori, preoccupati dal
bisogno di rilevare il significato e il valore morale e letterario del poema,
trascurano di mettere in evidenza la ricchezza e l'opportunità delle immagini,
la forza descrittiva e rappresentativa, la bellezza di certe espressioni e l’efficacia di certi versi che si possono qua e là notare da chi legga attentamente
£* aAA AA aail Quadriregio » (cfr. lav. cit., pp. 248-249 dell'estratto).
Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. IV. | 5]
790 ENRICO FILIPPINI
tutto ciò è effetto di quella condizione speciale in cui il Canneti,
come dissi nella prima parte della presente memoria, venne a
trovarsi, di non aver potuto cioè fare un lavoro ininterrotto e
tranquillo; ma qualunque ne sia la causa, la mancanza di una solida orditura e le deficienze generali della trattazione in questa
monografia mi paiono troppo manifeste perchè io debba metterle
in maggiore evidenza davanti agli occhi dei lettori.
Non voglio parlare di altri difetti generali dello scritto cannetiano, minori certamente rispetto a quelli indicati fin qui, come il
gran numero delle parentesi curve e quadre, la frequenza delle
citazioni nel testo, l’uso eccessivo di differenti caratteri, la mancanza di molti utili chiarimenti e d’indicazioni più precise ecc. che
interrompono e rendono meno spedita la lettura. Codeste sono
mende proprie di quasi tutte le scritture e le stampe del tempo e
non hanno un gran peso nella valutazione dell’ opera. Ma non è
certamente da porre fra i difetti minori l’abuso che il Canneti fa
della digressione e che giustifica in gran parte l’accusa di prolissità lanciatagli di recente, come abbiam visto, dal Gilardi. Delle
frequenti digressioni cannetiane ho già parlato anch’io (1); ma,
essendo questo il fatto più caratteristico della /issertazione, sarà
bene tornarci su con maggiore ampiezza e mostrare come esse,
pur dimostrando la grande erudizione dello scrittore settecentista,
nocciano, più che giovare, alla rapida ed efficace trattazione degli
argomenti principali, che il Canneti sì propose di svolgere.
III
La prima digressione veramente notevole ci si presenta nel
bel principio della Dissertazione. L'autore ha appena cominciato a
parlare delle edizioni del Quadriregio e, sbrigatosi della prima fatta
a Perugia nel 1481, dovrebbe occuparsi subito delle altre, quando
egli invece si ferma e dice: « Sembra bensì luogo qui non disa-
« datto, per osservare come la notizia di questa prima impres-
« sione del Quadriregio conferisce ad illustrare maggiormente
(1) Cfr. Un’Accademia umbra ecc.; vol. I, pp. 220-232 dell’estratto.
i
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« l’istoria dei primi anni della stampa, intorno alla quale hanno
faticato con lode e faticano tuttavia molte brave penne di là da
«i monti ». E giù un lungo paragrafo (il IV) sulle origini dell’arte della stampa a Perugia e a Foligno, per criticare il Maittaire
e l’Orlandi, per citare altre opere uscite dalla prima tipografia folignate e per affermare la precedenza di questa sulla perugina.
Ognuno comprende che, se tutto questo è importante per sè, non
ha alcuna relazione con la fortuna del Quadriregio e se il Canneti
cì avesse risparmiato questo paragrafo, la cui materia se mai sarebbe stata più a posto in una nota o in un’appendice, non avrebbe
avuto neanche bisogno di cominciare il seguente con le parole:
» Ripigliando il filo delle sei edizioni ecc. ».
Così, dopo aver parlato di Nicola da Montefalco e di Niccolò
Tignosio come assertori della paternità frezziana del Quadriregio,
l’autore della Dissertazione dovrebbe passare senz’altro ad esporre
e discutere la falsa opinione del Montalbani e dei suoi seguaci;
ma non lo fa subito. Ed ecco che a principio del par. XIX noi leggiamo: « Io osservo però che quanto favorevole al Frezzi è la testi-
« monianza di Niccolò Tignosio per vendicargli come sua l’opera
« del Quadriregio, altrettanto pregiudiciale riesce al costume ed alla
« fama del venerando Prelato nel gettar sopra lui Ja brutta macchia
« dell’adulazione, da cui fu sempre lontano. Le parole del passo
« addotto (1), venendo sinceramente da un cuore per gli successi
« de’ suoi tempi amareggiato, direttamente feriscono tutti i Signori
« di casa Trinci come Tiranni, e insieme di riflesso percuote il
« nostro Poeta come adulatore. Quindi io mi veggio costretto ad
« uscire alquanto di strada per riparare il Frezzi dal colpo, che
« viene contro a lui ingiustamente scaricato ». E scrive tre lunghe
e dense pagine discutendo punto per punto l’affermazione del dotto
medico folignate, illustrando le figure principali di casa Trinci, cioè
Trincia, Ugolino e Corrado, dei quali i primi, di cui il Frezzi parla,
non furono affatto tiranni come il terzo, contemporaneo dello stesso
Tignosio e finito malamente per il suo infame dominio. Ora questa
(1) Sono le parole: Falsa est FEDERICI sententia, qua, ut Tyrannis applauderet, dixit Troam fecisse Trevium, exinde Trincios progeniem exisse, che il Canneti nel par. precedente riferisce togliendole da un trattatello De origine Fulginatum del Tignosio, conservato nella biblioteca del Seminario di Foligno.
792 ENRICO FILIPPINI
digressione è meno ingiustificata dell’altra, servendo sempre a colorir meglio il carattere morale del vescovo-poeta; ma non cessa
per questo di essere una digressione, se non per altro, per il luogo
che occupa nella Dissertazione: l’autore stesso lo riconosce con
quell’« uscire alquanto di strada », che egli ritiene quasi necessario. Forse il Canneti avrebbe fatto meglio a trasportare questo paragrafo alla quarta parte del suo scritto, cioè là dove studia gl’intendimenti dell’ autore del Quadr:iregto. Qui la lunga esposizione
difensiva disturba la mente del lettore e l’allontana dal filo conduttore della discussione, come un particolare episodio ariostesco
ci impedisce di seguire l’azione principale dell’Orlando Furioso,
seppure il paragone fra un'opera critica ed un poema romanzesco
è possibile.
Poco dopo, il Canneti non aveva alcun bisogno di occuparsi
di Graziolo Bambagiuoli e del suo famoso Zrattato delle volgari
sentenze sopra le virtù morali; ma, visto che il Martelli, oltre ad
aver chiamato il Malpigli « vero autore del Quadriregio », l’avea
posto in compagnia del Bambagiuoli, non seppe resistere alla ter;-
tazione di dedicare a questo scrittore un intero paragrafo, il XXIV,
solo perchè anche la sua opera come il poema frezziano era stata
prima attribuita ingiustamente ad altro scrittore. Ma, sebbene egli
dica che questo riscontro « fa molto al caso nostro », tuttavia si
osserva che una tale somiglianza di fortuna non apporta nessun
elemento nuovo alla soluzione del problema riguardante il Quadrrregio. Lo stesso si deve dire dell’altra falsa attribuzione della canzone malpigliana « Spirto gentil, da quel bel grembo sciolto » a
Iacopo Sanguinacci, che il Canneti ricorda alla fine dello stesso
paragrafo. Ma il lettore non si meravigli di questa terza deviazione
dall’argomento principale, poichè essa non è che il principio di una
assai maggiore e più singolare di tutte.
Il par. XXV si apre con le seguenti solenni parole: « Immensa
« fatica e all’intendimento nostro soverchia sarebbe schierar qui
« anco una sola parte delle tante opere falsamente ad autori non
« loro attribuite ». Ma poco dopo con manifesta contraddizione si
aggiunge: « La storia letteraria ci somministra assaissimi esempi,
« de’ quali basterà accennare alcuni più notabili ». E giù otto o
nove di questi esempi che sono controversie sui diritti d'autore di
certe opere letterarie, da quella « famosissima » riguardante « l’aureo
Go ogle i ci
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« libro De imitatione Christi » a quella che si riferisce al volgarizzamento dell’/7istoria destructionis Troiae. Alla fine l’autore dichiara
di aver fatto una « forse non inutile digressione »; ed invero il
paragrafo tutto interessa molto i bibliografi, che vi trovano una
chiara e succinta esposizione dello stato delle varie questioni letterarie fino al primo venticinquennio del secolo XVIII. Può interessare anche qualche specialista per ciò che concerne la Linea
salutis monachorum sive eremitarum, a proposito della quale il
Canneti ha avuto modo di accennare ai suoi studi sulle lettere
del Traversari, a cui quest’ opera manoscritta venne falsamente
attribuita. Ma lo studioso del Quadriregio e del Frezzi, più che
convinto della possibilità di una falsa attribuzione nei codici, non
ha bisogno di veder confermato il fatto con altri numerosi esempi
in uno scritto di carattere speciale come la nostra Dissertazione.
Egli sente che questo è affare di opere propriamente dette di consultazione generale e che negli altri scritti è semplicemente materiale ingombrante. Cosa può importare infatti a lui di leggere qui,
se già non lo sapeva prima, che « la lettera di Pelagio eresiarca
« a Demetriade intitolata De virginitate, passò per qualche tempo
« fra le opere di S. Girolamo e di S. Agostino? ». Quale interesse
proverà a sentir dire dal Canneti che Pomponio Gaurico tolse un
distico alle sei E/egre dell’antico poeta Massimiano per pubblicarle
sotto il nome di Cornelio Gallo nell’edizione veneta del 1501, ciò
che si legge in ogni storia della letteratura latina? Come non troverà inopportuno e pesante il ricordo finale dell’ antico patriarca
costantinopolitano Fozio, autore del Myriob:blon, che avrebbe per
il primo accennato ad un libro malamente attribuito a Giuseppe
Ebreo? Ecco dunque un altro lungo paragrafo, che, avendo una
così sottile relazione col. Frezzi e col Quadriregio, aveva meno diritto degli altri sopra indicati di entrare e di occupare tanto posto
nella Dissertazione cannetiana.
Procedendo per ordine, un’ altra piccola digressione troviamo
nel par. XXXI, quando l’autore fa uno strano paragone fra il Mal.
pigli come supposto autore del Quadriregio e il Martelli. Egli osserva giustamente che, se questo poema fosse realmente opera del
poeta bolognese, forse conterrebbe più numerosi accenni alla patria
che l’unico nome di Niccolò Fava, il quale si legge in un solo codice al posto di Mastro Gentile da Foligno. Ma, pur prevedendo una
794 ENRICO FILIPPINI
facile obiezione, il Canneti crede di poter contrapporre a questo
fatto quello d’uno scrittore bolognese del settecento, che in quasi
tutte le sue opere illustra la natia Bologna. E non si contenta di
accennare al Martelli, ma esamina le sue Tragedie, il suo Canzoniere, il Commentario e il poema su Gti occhi di Gesù, e cita nomi
e versi presi da codesti scritti. Ora non solo il paragone non ha
ragione di essere perchè, come si fa obiettare il Canneti stesso,
altri erano i tempi e i costumi del Malpigli ed altri quelli del Martelli, ma anche e soprattutto perchè non è necessario che chi scrive
in prosa o in versi si occupi del suo paese naturalmente o storicamente considerato. Di fronte al Martelli ci sono centinaia di poeti
e prosatori che non hanno mai nominato il loro luogo d’origine
nei propri scritti. Del resto, qui bastava che il Canneti avesse detto
quel che a principio afferma sul Malpigli: il paragone seguente è
un di più.
Fino a tutto il par. XXXI il Canneti ha esaminato minutamente
il codice bolognese, ha descritto la figura del copista Tommaso Lioni
ed ha già qualificato « una palpabile impostura » l’opera di lui ingenuamente compiuta sul Quadr:regio. Non avrebbe egli quindi più
bisogno di parlare di lui e dovrebbe passare ad un’altra parte della
Dissertazione; ma non è così. Siccome il Lioni è stato creduto anche autore del Ft0r di Virtù solo perchè il suo nome appare in
fondo a un codice da lui trascritto, il Canneti si compiace d'’ intrattenersi intorno a questo trattato, che ebbe diverse attribuzioni e
che fino ad allora non si sapeva che fosse di Fra” Tommaso Gozzadini come ha dimostrato nel 1893 il dottor Carlo Frati, ma che
non si poteva per vari motivi neanche nel primo settecento assegnare al sospettato copista. Perchè ora questa altra digressione
che occupa tutto il par. XXXII della Dissertazione, se l’autore qui
ammette che il Lioni non pretese mai di comparire autore del Ftor
di Virtù, che è opera manifestamente più antica di lui, se il codice
da lui vergato non contiene nessuna colpevole alterazione e se
più che il copista si vuol colpire l’Orlandi, che lo registrò fra gli
scrittori bolognesi? Io non vedo altro m&fivo che quello di poter
ripetere in fine dello stesso capitolo ciò che già sappjamo: se il
Lioni può essere assolto del delitto di plagio riguardo al Fior di
Virtù, non così può esserlo del delitto di falso per ciò che si riferisce al Quadriregio. Quindi la questione resta quella che era
prima del presente paragrafo.
»
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Nè codesta è l’ultima digressione dello scritto cannetiano. L’autore ha voluto darci anche un altro saggio della sua tenerezza per
questo mezzo retorico di discussione oratoria e della sua abilità
nell’usarlo. Quando nel par. XXXV sostiene con grande delicatezza
che la rivendicazione del Quadriregio non pregiudica alla gloria della
« letteratissima » Bologna nè a quella dell’eloquentissimo Malpigli,
scrive un forbito elogio dei poeti bolognesi antichi e moderni. E
sarebbe anche qui tentato di fare un’ enumerazione dei rimatori
che Bologna ebbe nei secoli precedenti, se ciò non fosse, al solito,
fuori del suo intendimento; nomina però e celebra alcuni dei viventi, come Giuseppe Orsi ed Eustachio Manfredi, che veramente
si segnalarono di più in altri campi di attività intellettuale, oltre
al Martelli già ricordato precedentemente. Così ripete anche i nomi
di altri letterati contemporanei bolognesi e li mette per il loro
« retto giudizio » al di sopra di quelli di altre regioni italiane. Ma se
tutto questo giova moltissimo al Canneti il quale desidera rendersi
favorevole l’ambiente che era stato più ostile al Frezzi, che cosa
giova alla causa del Quadriregio? L'intenzione del Canneti è troppo
manifesta perchè non si possa dire che questa sia non solo una
digressione, ma anche una digressione, per quanto breve, altrettanto interessata e perciò poco bella.
E che mai è se non una vera digressione l’aggiunta, con cui
si chiude l’apologia cannetiana? Io ho già detto che cosa essa contenga e come completi e corregga un’affermazione precedente del
Canneti stesso (par. XXIIl) con notizie avute quando la stampa
della Dissertazione era già molto inoltrata. Noi possiamo osservare
che questa aggiunta non è molto lunga; ma è certo che il nostro
autore, se avesse avuto in tempo utile quelle notizie, le avrebbe
inserite tali e quali nel testo del suo lavoro e il par. XVIII avrebbe
acquistato una estensione maggiore del doppio. Nè questo importerebbe molto, se non si trattasse di materia affatto estranea al
poema frezziano. ]l Canneti vuol trovare ancora in fallo lo storiografo folignate Ludovico Jacobilli come ve lo aveva trovato già
altre volte (1); ed ora lo fa tanto più volentieri e quasi con « ven-
« detta allegra » in quanto s’è accorto a Dissertazione finita e stampata d’essere stato tratto in inganno da lui nel determinare una
(1) Cfr. i parr. XV e XVI della Diss., sui quali dovrò ritornare in seguito,
796 ENRICO FILIPPINI
data biografica. Ma, mentre le altre rettifiche riguardavano il Frezzi
e perciò avevano preso legittimamente posto in questo lavoro, la
quarta riguarda il Tignosio semplice assertore dell’opera frezziana
nel quattrocento e quindi non è assolutamente necessaria. Se sì
pensa poi che il trasportare la vita del Tignosio un decennio indietro, cioè dal periodo 1412-1484 all’altro 1402-1474, non serve che
a dimostrare che l'illustre. medico potè semplicemente conoscere
nella sua giovinezza, anzi adolescenza, l’autore del Quadriregio, sì
comprende anche meglio come questa digressione sia stata suggerita, più che dall’amore della verità, dal bisogno di soddisfare un
sentimento poco benevolo verso lo Jacobilli, di cui l’autore rileva
qui le notizie « fallaci e insussistenti » e mette in evidenza gli
« sbagli », come altrove avea parlato di « abbagli », « confusioni »,
« svarii » ecc. del medesimo storico folignate (1). Si capisce in uno
scrittore il bisogno di correggere un errore storico di poca importanza, anche imputabile alla fonte utilizzata, ma non si capisce l’uso
di tante parole per una correzione simile, se non si ammette in lui
un fine del tutto secondario.
Queste sono le digressioni che saltano agli occhi di tutti coloro che leggono di proposito e per intero la Dissertazione cannetiana. Esse non sono, come s'è visto, tutte della stessa estensione
nè tutte affatto inutili. Ma in complesso occupano quasi un quarto
della monografia, la quale senza di esse correrebbe certamente più
agile e spedita. E’ anche vero che codeste digressioni, come avviene generalmente, introducono nella Dissertasione una certa varietà, che è cosa sempre lodevole nei componimenti un po’ lunghi
per se stessi; ma quando sono troppo frequenti e dense di erudizione, producono un effetto negativo, quello cioè di rendere pesante il lavoro di cui fanno parte; e il Canneti non è sfuggito a
questa conseguenza.
(1) Sul valore dell'attività storica di L. Iacobilli e sui criteri seguiti da lui
nello svolgimento della molteplice opera sua scrissero molto bene e molto diversamente dal Canneti, che in fondo non conosceva dello storico folignate altro
scritto che la Bibliotheca Umbriae, il FALocI- PULIGNANI (in Le memorie dei SS. Apostoli Pietro e Paolo nel villaggio di Cancelli - Foligno, Artigianelli, 1894 - pp. 91
e sgg.) e il Lugano, in Delle Chiese della città e diocesi di Foligno (lavoro stampato nel « Bollettino di storia patria per l'Umbria », vol. X, fasc. III, pp. 436-439).
x
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Ma alle digressioni, nel componimento cannetiano, si aggiungono altre lungaggini strane, che non si può fare a meno di notare. Già il dotto cremonese era scrittore decisamente analitico,
dallo stile vivace ma ampio, dalla parola facile ma abbondante, ed
aveva continuamente bisogno d’insistere su certi concetti, di affermare e documentare, anche se la documentazione non era assolutamente necessaria (1). Non riferirò qui tutti gli esempi di simile
ridondanza, ma basterà che io ricordi la dedica che si trascina per
due fitte e grosse pagine (par. l) (2), i ventotto versi latini dell'Elegia di Gregorio Martinelli che vergò il codice cosiddetto martinelliano (par. X) (3), la biografia del Frezzi premessa nel par. XII
a quella molto più ampia che segue fino al par. XV, la trascrizione
della lunga bolla di Bonifacio ]X che elegge il Frezzi vescovo di
Foligno (par. XVI) e la citazione di ben trenta versi di un capitolo
di A. M. Salvini fatti per Dante e qui applicati al poeta folignate
(par. XLII): tutte cose che evidentemente si potevano o abbreviare
o riassumere o sopprimere affatto. Se oltre a ciò si considera che
i parr. XLIII e XLIV sui criteri seguiti nell’ottava ristampa del
Quadriregio non servono affatto a chi legge la Dissertazsone per
rendersi conto dell’ importanza del poema e del diritto che ha il
Frezzi ad esserne ritenuto l’autore, si conclude facilmente che la
(1) E le citazioni in queste digressioni e lungaggini sono molto numerose,
tantochè lo stesso Canneti ebbe a scrivere più tardi a Mariangelo Fiacchi: « Chi
« leggerà tutta l’operetta, conoscerà ch’ho letto qualche cosa ». (Cfr. la lett. del
27 dicembre 1724 nel carteggio Canneti-Fiacchi della Classense, vol. IX).
(2) A me pare che in un lavoro come questo la dedica dovesse restar fuori
di esso in forma di lettera, come si vede in tante altre pubblicazioni simili del
settecento, anzi di ogni secolo. E, poichè la Diss. doveva far parte di tutta la
ristampa del poema frezziano, bastava la lettera dedicatoria che i Rinvigoriti
avrebbero messo, come realmente misero, nel primo volume di essa. (Così si sarebbe anche evitato lo strano contrasto fra la Diss. dedicata al cardinale Orsini
e il Quadriregio dedicato a Benedetto XIII, pur trattandosi della stessa persona.
(3) L'elegia cominciante col v. « Forsitan auctoris nomen, Cumane, requiris »
e diretta a Guglielmo Cumano non serve ad alcuna deduzione del Canneti, il
quale poteva risparmiarsi benissimo di pubblicarla, se non per altro, perchè, se il
codice Martinelli è scomparso fin da allora, esisteva ed esiste tuttora il codice
Estense, oggi Classense 124, che fu esemplato su quello e che contiene anche
l’elegia suddetta. Cfr. il mio studio su I codici del Quadriregio, ni 8 e 17 in
« Bollettino di storia patria per l'Umbria », vol. X, fasc. HI.
798 ENRICO FILIPPINI
parte veramente utile di essa per la critica letteraria moderna si
riduce a poco più di cinquanta delle ottanta pagine in cui fu stampata. i
Un altro difetto già da me notato (5) è il‘gran numero di lodi
profuse nella Dissertazione a personaggi viventi. Abbiamo già visto
quel che il Canneti scrive dei poeti bolognesi; si può intuire, anche se non si legge, quel che egli dice del dedicatario; ma si può
affermare che non ci sia letterato del tempo che l’autore non trovi
modo di nominare ed esaltare dal Muratori allo Zeno, dal Crescimbeni al Fontanini, dal Salvini al Baruffaldi, dal Beccari al Collina,
dal Grandi al Bianchini, dal Boccolini al Vincioli, al Marmi ecc.
Diverse sono le ragioni di questi elogi, nè si può dire che siano
tutte ingiustificate e immeritate; ma esse sono troppe e troppo frequenti per non dover dire che il Canneti cedesse in questo modo
al desiderio di procurarsi quel favore, che può formare la buona
fortuna di un componimento letterario.
Più d’una volta poi il Canneti cita, come documenti, delle lettere private che non si possono consultare sia perchè egli si è di-
‘ menticato di darne indicazioni precise, sia perchè sono andate perdute. Così, quando egli fa la storia della paternità del Quadriregio,
chiude il par. XXVI con queste strane parble: « Intorno a quel
« tempo (cioè al 1712) gli altri due sopra mentovati, Fontanini e
« Muratori, dopo scoperto l’errore del Montalbani medesimo, ri-
« trattarono il primo lor sentimento con lettere indirizzate a noi
« stessi e al nostro Pagliarini ». Noi non vogliamo negare il fatto;
ma osserviamo subito che ad un accenno così sommario di due
lettere importantissime come quelle sarebbe stato preferibile o il
riportare testualmente le loro parti più interessanti o il silenzio
assoluto. Similmente, quando nel par. XXXII il Canneti si occupa
del Fior di Virtù e della sua attribuzione a san Tommaso, che si
legge in alcuni codici di esso, afferma: « Questa opinione, come
« cortesemente ci riferisce il Cavalier Marmi, corre tra alcuni ce-
« lebri letterati dell’Accademia della Crusca ecc. ». Ma la comunicazione del Marmi non è pervenuta fino a noi, e perciò non possiamo sapere quale fosse il'vero suo pensiero. Finalmente, quando
il Canneti discute intorno al titolo vero del poema frezziano
(1) Cfr. le pp. 223-225 del mio citato studio: Un’ Accademia umbra ecc.
Go ogle ua
IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ. FREZZIANA ‘799
(par. XLV), osserva: « Meglio però e più propriamente (di Qua-
« trtregto o Quadriregio) gli sarebbe convenuto il nome di Quatri-
« regno o Quatriregnto, come anticamente si usava scrivere; e in
« tal guisa si potrebbe sospettare che da principio fosse scritto
« (siccome accennò l’Abate Antonmaria Salvini in una lettera al
« nostro Pagliarini) se ne’ libri a mano di ciò apparisse indizio
« veruno ». Ora codesta parentesi è troppo poca cosa per chi volesse saperne un po’ di più sulla storia di quel titolo; ed egli non
può far altro che ricorrere a una lettera del Pagliarini al Canneti
in data 2 settembre 1715, in cui leggiamo: « Intorno alla voce
Quadriregio che ha alquanto del barbaro, come dottamente ac-
« cenna V. P. Rev.ma, il sig. Abate Anton Maria Salvini, in occa-
« sione che gli mandai le rime del Barbati e lo ricercai se avea
« presso di sè alcuna edizione di questo Poema, mi scrisse ch'egli
« credeva dovesse scriversi Quadriregno o Quadriregnio e che per
« errore degli stampatori fusse scorso il vocabolo Quadrtre-
« gio ecc. » (1). Ma anche questa dichiarazione non è in tutto soddisfacente, anzi esso nello studioso accresce il desiderio di conoscere addirittura il testo della lettera del Salvini, che oggi purtroppo si ricerca invano. Il sistema, quindi, del Canneti di accennare a documenti privati in modo così incompleto è tutt'altro che
bello in uno studio grave e serio come il suo.
IV.
Fin qui i difetti di carattere generale della Dissertazione cannetiana. Ma, come s’è visto, la critica si è anche esercitata su singoli luoghi di essa per parte di diversi scrittori, anzi queste osservazioni speciali si cominciarono a fare molto prima delle altre.
Raccolgo ora qui quelle già fatte e poi ne aggiungerò delle altre,
che una lettura più attenta dell’opera mi venne man mano indicando. Ma naturalmente non entrerò in minute discussioni, che in
queste pagine non sarebbero opportune e che troveranno sede più
acconcia in una serie di note apposte alla Dissertazione medesima.
(1) Cfr. la lettera 422 della I appendice al mio citato lavoro su un’ Accademia umbra ecc.
LO ogle
800 ENRICO FILIPPINI
E parlerò soltanto delle osservazioni che hanno un certo fondamento (I).
Fin dal 1745 il Sassi notava che il Canneti non conobbe e
perciò non registrò fra le altre l’edizione milanese del Quadriregio
apparsa nel 1488 per opera di Antonio Zarotto e considerata la
seconda fra tutte e la più importante dopo la perugina del 1481 (2).
L’osservazione era giustissima e importantissima, sicchè il Sassi fu
il primo ad informarci di quella rara impressione milanese. E il
silenzio del Canneti a questo proposito fa più meraviglia ancora
se si pensa alle vanitose parole con cui annunzia nel par. Ill della
sua Dissertazione le altre sei edizioni del poema frezziano ignote
non solo al Maittaire, che in fondo era uno straniero, ma anche a
quanti italiani « avevan pubblicati libri particolari sopra la storia
« tipografica » come, per es., l’ Orlandi.
Molti anni più tardi, il Faloci-Pulignani, nella preziosa biografia
che ci ha dato del vescovo-poeta folignate, dissentiva dal Canneti
nello stabilire i limiti di tempo, entro i quali il Frezzi avrebbe
scritto il suo poema. Infatti, mentre il dotto cremonese chiude il
par. XXIII con le parole: « Il detto fin qui basta a mostrare che
« il poeta compose l’opera sua tra l’anno 1380 e il 1400, o. quivi
« intorno », il critico moderno dichiara: « Io credo che durante
« l’ultimo lustro del secolo XIV, mentre cioè dimorava in Foligno,
« sì occupasse (il Frezzi) alacremente a comporre il suo poema, ed
(1) Dico questo per escludere dal presente novero la critica del VERMIGLIOLI,
che fu mostrata senza fondamento dal BRANDOLESE. Infatti, il primo aveva detto
che il Canneti pare voglia riprendere nel par. IV il MAITTAIRE ed altri bibliografi
perchè non riconobbero in Perugia stamperie innanzi al 1481, pur non sapendo additare egli stesso stampe perugine precedenti al Quadriregio ivi impresso in quell'anno; e aveva ragione il secondo di osservare che il Canneti non si meraviglia
affatto di ciò, sibbene del silenzo di questa stampa nella prima edizione degli
Annales del Maittaire e che, del resto, il dotto cremonese non trovava in esso
alcun accenno ad impressioni perugine precedenti al 1481. Lo stesso si dica della
critica di F. PALERMO, che, volendo stabilire la data della composizione del Quadriregio, trova inesatta la congettura del Canneti, che la fissa nel par. XXIII fra
il 1380 e il 1400 e crede di poterla estendere anche più oltre per il ricordo fatto
dal Frezzi (1. III, c. XI, vv. 86-88) del dominio cortonese di Francesco Casali
(1400-1407), mentre il Canneti riferisce anche lui quei versi e dopo la seconda
data agginnge: « O quivi intorno ».
(2) Cfr. op. e |. citt.
Goo gle n
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« in qualunque caso ritengo che non lo conducesse a fine prima
« del 1400, nel quale anno morì Baldo perugino, che nel suo viaggio
« poetico ritrova fra i giureconsulti, nè dopo il 1403, perchè mentre
« egli scriveva, la città di Pisa era ancora dominata dai Visconti,
« i quali non cessarono di possederla che in quell’anno 1403 » (1).
E’ inutile dire che di queste circostanze non aveva tenuto alcun
conto il Canneti.
Lo stesso critico folignate, poi, dovendo stabilire la data precisa della morte del Frezzi, si mostrava alquanto indeciso e dichiarava: « E’ vero che il dotto padre Canneti cercò di escludere la
« data iacobilliana (2 gennaio 1417) e di accreditare la sua (fine del
« 1416); ma finchè in conferma della comune sentenza non si pro-
« duce documento alcuno, il valore di essa sarà per lo meno eguale .
« all’asserzione del lacobilli, il quale avendo potuto esaminare do-
« cumenti locali oggi o sconosciuti o smarriti, probabilmente avrà
« letta quella data in qualche carta, in qualche necrologio, del quale
« non si curò di tener memoria » (2). Simili considerazioni non
poteva fare il Canneti tutto intento, come abbiam visto, a demolire
l'autorità storica di Ludovico lacobilli.
Nel 1893 Ludovico Frati, nella memoria su Nicolò Malpigli, in
cui non potè fare a meno di accennare più volte alla Dissertazione
cannetiana, metteva in rilievo l’inesattezza della notizia che si legge
nel par. \XI di questa sul tempo nel quale il poeta bolognese sarebbe stato notaio delle riformagioni in patria. E l’inesattezza era
dimostrata da documenti d’archivio, secondo ì quali il Malpigli copriva quell’ufficio non nel 1400, come vuole il Canneti, ma non prima
(1) Cfr. op. cit., pp. 126-127. |
(2) Cfr. op. cit., pp. 134-135. E’ noto, del resto, per quel che precede, che
il Canneti si occupa di questa questione nel par. XV della sua Diss. Io non so
poi (perchè mi manca presentemente il modo di eseguire questa ricerca) se lo
IAcOBILLI, il quale prima della Bibliotheca Umbriae stampata nel 1658 aveva scritto
e pubblicato nel 1626 le Vite dei vescovi di Foligno (ignote al Canneti), assegni
in questa prima opera l’una o l'altra data alla morte del Frezzi; chè se egli
l'avesse posta ivi nel 1416, è logico (per quello che giustamente dice il p. LuGano nello scritto citato sul metodo storico dello Iacobilli) che la data diversa
dell’ opera posteriore ha valore di correzione e quindi assume un’importanza
speciale. Del resto, di questa questione mi sono occupato anch'io nel mio studio
recente: Dopo cinque secoli dalla morte di Federico Frezzi (in « Rassegna Nazionale » del 1° gennaio 1917), concludendo per la metà del 1416.
Go ogle
802 ENRICO FILIPPINI
del 1406 (1). Senonchè si potrebbe osservare che il Canneti cita
anche la fonte, alla quale attinse quella notizia, cioè le Storse di
Bologna del Ghirardacci, e quindi non sarebbe responsabile dell’errore sopra riferito.
Nel 1901 il Salza, nella biografia del poeta perugino Lorenzo
Spirito Gualtieri vissuto nel sec. XV e ricordato dal Canneti nel
par. XVII del suo scritto, qualificava come « grave errore » l’affermazione cannetiana essere stato quel poeta al servizio di Braccio
Fortebracci da Montone, mentre risulta da documenti ineccepibili
che egli fu favorito da Braccio II della famiglia Baglioni (2). Ma
evidentemente codesto errore, se ha grande importanza per la ricostruzione della vita di Lorenzo Spirito, non può averne altrettanta per l’argomento trattato dal Canneti, che lo nomina semplicemente come contemporaneo di Nicola da Montefalco, il poeta
umbro che avea fatto menzione del Frezzi come protetto di Ugolino Trinci.
Tre anni dopo, io, studiando le relazioni tra Federico Frezzi
e Serafino Razzi, autore cinquecentista d’una /storia degli uomini
illustri così nelle prelature come nelle Dottrine del sacro ordine degli
Predicators e quindi anche illustratore (tutt'altro che esatto, veramente) della vita e delle opere del poeta folignate, dissi che a lui
non solo non aveva attinto lo Iacobilli, ma neanche il Canneti (3).
Infatti nella Dissertazione non è mai nominato questo storiografo,
che si occupa del Frezzi in due luoghi della sua Zsforta (4) e sempre
a sproposito, pur essendo dello stesso ordine del vescovo-poeta e
pur essendo vissuto a lungo nell'Umbria ed a Foligno stessa. E
sì che egli avrebbe potuto benissimo riferirsi anche a lui quando
nei parr. XV e XVI si intrattiene intorno alle opere attribuite al
Frezzi e intorno agli abbagli di coloro che ne avevano scritto fino
ad allora.
Nel 1908, io stesso pubblicando la prima parte del mio lavoro,
(1) Cfr. lo studio cit., in l. cit., p. 309.
(2) Cfr. lo studio cit., in raccolta cit., pp. 279 e sgg.
(3) Cfr. il mio studio su Federico Frezzi e Serafino Razzi (Foligno, Artigianelli, 1904), p. 4 dell’estratto dalla Gazzetta di Foligno del maggio 1904.
(4) Cfr. l’op. cit. (Lucca, Busdrago, 1596), p. 93 € p. 333, in cui l’autore
attribuisce al Frezzi la composizione dei « quattro libri de i Re in versi volgari
eleganti, quanto quell'età comportava ».
-
IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTA?. FREZZIANA 803
più volte citato in questa memoria, su Un’ Accademia umbra del
. primo settecento e l’opera sua principale e illustrando la figura di
don Angelo Guglielmo Artegiani e la sua orazione Del? onestà
d’ Amore letta nel 1720 in una radunanza dei invigoriti di Foligno, osservavo la relazione esistente fra quel breve lavoro e la
prima parte del Quadr:iregso. Ma espressi anche la mia meraviglia
per non aver visto accennato dal Canneti nella sua Dissertazione
quell’ importante discorso del suo collaboratore, il quale, sebbene
vi filosofeggi un po’ troppo, tuttavia vi nomina spesso il Frezzi e
vi richiama anche parecchi versi della prima parte del suo poema (1).
La dimenticanza è quasi imperdonabile (2).
Un altro errore, ma di minore entità di quello rilevato dal Salza,
corresse nel 1909 il padre P. Lugano che nella vita del famoso medico Gentile da Foligno, ricordato con tanto onore dal Frezzi, osservava in nota come il Canneti (par. XXX) ed altri lo facessero
morire il 12 gennaio 1348 in Foligno, mentre un suo discepolo attesta
che egli avrebbe cessato di vivere sei giorni dopo a Perugia (3).
E’ curioso notare poi a questo proposito che il Pagliarini, illustratore storico del Quadriregio e collaboratore del Canneti, ammetteva
bensì che Gentile fosse morto il 12 giugno di quell’ anno, ma a
Perugia e non a Foligno (4): ciò che genera una manifesta contraddizione, della quale nè il Canneti nè il Pagliarini si accorsero,
perchè altrimenti l’avrebbero evitata come un palese difetto della
loro opera comune.
Nello stesso anno, continuando l’accennato mio lavoro e riferendo quel che nel 1714 aveva stampato il bolognese Fra Pel.
legrino Antonio Orlandi sul Malpigli e sul Quadr:regio, richiamavo
l’attenzione degli studiosi sulle seguenti sue parole: « Sopra detto
« Quadriregio che fu ristampato quattro volte nel cadere del 1400
« e nel principiare del 1500, sta scrivendo un’erudita disserta-
(1) Cfr. lo studio qui citato, in « Bollettino di storia patria per l'Umbria >,
vol. XIV, fasc. I, pp. 53-56. Cito ora e in seguito il lavoro dal « Bollettino » cit.,
per la cronologia del lavoro stesso.
(2) Il Canneti infatti si occupa anche lui dell’onestà dell'amore nel Quadriregio, e poteva accennare all’orazione dell’ARTEGIANI nei parr. XL-XLII della Diss,
(3) Cfr. il suo studio su Gentilis Fulginas Speculator e le sue ultime volontà ecc.
in « Bollettino di storia patria per l'Umbria » vol. XIV, p. 196.
(4) Cfr. le sue citate Osservazioni istoriche ecc. in l. cit., p. 198.
Go ogle
04 ENRICO FILIPPINI
« zione il Dottor Pier Francesco Bottazzoni, per levare ogni equi-
« voco circa l’autore del medesimo » (1). E osservavo in nota che,
se altre affermazioni più o meno errate dell’Orlandi erano state
oggetto di discussione da parte del Canneti, questa era stata completamente da lui trascurata (2). Perchè? Fu un riguardo pel Bot.
tazzoni professore di umane lettere nell’ateneo bolognese che consigliò il dotto apologista del Frezzi a non raccogliere codesta
ampollosa dichiarazione dell’Orlandi ? -Fu l’amicizia che fece velo
al suo spirito critico? Fu generosità verso un avversario ormai ritiratosi dall’agone che gli suggerì di non « insaevire in mortuum »?
Non so, perchè la storia interessante di quel lavoro rientrato del
Bottazzoni non: si conosce ancora in tutti i suoi particolari (3); ma
è certo che questo letterato bolognese non fu mai in corrispondenza letteraria col Canneti e che non meritava alcun riguardo dopo
la strombazzatura che avea fatto ai quattro venti della sua iniziata
dissertazione malpigliana; nè il dotto frate poteva essere così generoso verso di lui, se col Fontanini suo amico e coll’Orlandi stesso
avea tenuto ben altro contegno (4). Non sì può dire neanche che
egli tacesse per disprezzo verso il medesimo Orlandi, che colpì
piuttosto fieramente per altri motivi (5). Non ci resta quindi per ora
che meravigliarci del silenzio assoluto del famoso tentativo del
Bottazzoni nella Dissertazione cannetiana, mentre l’Orlandi avea
fornito all’autore un’ottima occasione per occuparsi anche di lui e
per conipletare in questa parte la storia della fortuna del Quadriregio. |
Nel par. XII il Canneti afferma che « nella libreria del Con-
« vento di S. Domenico di Foligno si conservano fino al dì d’oggi
« (e noi li abbiamo veduti e osservati) quattro antichi codici a penna,
« quali furono del nostro Frezzi, avendovi ciò egli attestato di sua
(1) Cfr. op. cit., pp. 216-217.
(2) Cfr. Un' Accademia umbra ecc., in « Boll. » cit.. vol. XV, fasc. I-II, p.125-126.
(3) Sto facendo delle ricerche sull’ argomento e spero di poterne pubblicar
presto il resultamento.
(4) Cfr. quello che ho detto di sopra dell'uno e dell’altro.
(5) Basti il dire che il Canneti, informando nel 27 dicembre 1724 il Fiacchi
intorno al successo bolognese della sua Diss., sì esprime in questi termini: « L’Ore landi è un pazzo, e gli stanno bene le sferzate che ha ricevuto, se pur le sente
®@ al vivo, come merita ». (Cfr. la lett. cit., in l. cit).
—
IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ. FREZZIANA 805
« mano » e continua col farne la descrizione in tempo presente.
Ma di quei quattro codici, che il Pagliarini, il Boccolini e forse
anche il Canneti avevano visto fino dal 1712, già un anno prima
della pubblicazione dello scritto cannetiano tre erano decisamente
e oscuramente scomparsi. E l’autore non lo ignorava di certo, se
una lettera del Boccolini a lui diretta il 6 settembre 1723 e da lui
conservataci parla chiaramente della loro perdita dolorosa (1). Anche questo fatto fu da me osservato nel 1909 (2) e se potè sfuggirne agli studiosi l’accenno allora, non è certo fuori di luogo che
io lo metta ora di nuovo innanzi ai loro occhi come una delle cose
piu strane di questa Dissertazione.
Nel seguito della stessa opera, non molte pagine dopo, mi venne
fatto di segnalare un’ altra omissione notevole, ed è precisamente
quella che riguarda un giudizio letterario di Sperone Speroni (3). Il
quale, nell’Orazione in morte del cardinale Pietro Bembo, biasimando
la sciatteria degli scrittori precedenti, ebbe a dire: « Miri chiunque
« vuol di ciò fede nè testimonio, le stampe antiche, guaste e corrotte
« come i giudicii di quella etate; nelle quali senza regola di gram-
« matica e senza legge d'ortografia scritti i libri di quegli autori di-
« vini vede ancora a dì nostri, chi le loro opere meravigliose così
« mal concie può sofferir di guardare. Dunque allora meritamente,
« quasi loglio, che per lo vizio della stagione vinca il grano che per
« mangiar seminiamo, le cinquanta e le settanta novelle, il Serafino
« e quegli altri, Quadr:regio, Dittamundi e mille mostri cotali usciti
« fuori di alcune anime disabitate ebbero ardire di comparere » (4).
Ora un giudizio siffatto non doveva sfuggire all’acuta critica del
Canneti, che pure aveva riferito quello favorevole del Corbinelli;
come non isfuggì all'osservazione del Fontanini che lo riportò senza
commenti, e di Apostolo Zeno che nel 1753 lo confutò solo in par-
(1) Cfr. la lett. 46 del Boccolini al Canneti da me pubblicata nella III appendice al citato lavoro su Un’Accademia umbra ecc. Certamente il Canneti avea
provocato quella ricerca con altra lettera precedente.
(2) Cfr. il mio lavoro qui sopra citato, in |. cit., vol. XV, fasc. III, p. 436.
(3) Cfr. il mio citato lavoro su Un’ Accademia umbra ecc., in |. cit., vol. XVI,
fasc. I-II, p. 24.
(4) Cfr. le Opere di S. Speroni (Venezia, 1740), vol. III, p. 163.
Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. IV. 52
806 ‘ENRICO FILIPPINI
4
te (1). Di esso poteva il Canneti far parola in due luoghi: o nel
par. VI della sua Dissertazione, in cui si parla della stima del Quadrtregio nel sec. XVI; o nel par. XLIV, in cui si parla dei criteri
ortografici seguiti nella ristampa del 1725. Perchè non lo ha fatto
in nessuno dei due luoghi? Non certo per non aver saputo che
cosa rispondere al severo censore cinquecentista, egli che non
aveva peli sulla lingua e che nella stessa Dissertazione ebbe parole così amare per il Tignosio, per lo Iacobilli, pel Montalbani e
per il padre Orlandi.
Pochi anni or sono, il Gilardi riprese la questione del periodo dì
tempo in cui sarebbe stato composto il Quadr:iregto, questione trattata, come abbiam visto, dal Canneti. Egli, pur tenendo conto della
di lui conclusione che il poema sarebbe stato scritto fra il 1380 e il1400,
e dei fatti storici ivi accennati e invocati a sostegno della tesì cannetiana, dice ed indica altri accenni frezziani « che permettono di
« fissare con maggiore sicurezza gli anni della composizione » e che
sarebbero sfuggiti alla osservazione del dotto frate camaldolese. I
ricordi di Forteguerra Forteguerri da Lucca (1. II, cap. XI, vv. 140-
143), di Antoniotto A dorno doge di Genova (1. II, cap. XIII, vv. 124-129),
di lacopo d’Appiano (1. II, cap. XVI, vv. 97-108), di Gualterotto Lanfranchi di Pisa (1. II, cap. XVII, vv. 140-159) gli permettono di correggere la dimostrazione cannetiana e di concludere « che il Frezzi
« lavorò intorno al suo poema dai primi mesi del 1393 sino al 1403 »
e, secondo l’interpretazione di certi versi relativi al secondo personaggio, anche in un tempo più ristretto, cioè « tra il .1396 e il
« 1403 » (2). La quale conclusione s’accosta di molto a quella, già
poc’ anzi esaminata, del Faloci-Pulignani e ne determina la data
iniziale, che questi aveva presentato come semplice congettura.
Finalmente in un mio scritto recente ho dovuto osservare che
« il Canneti, nel par. XV non si domandò neppure se il Frezzi
« per caso non avesse potuto chiudere la sua esistenza in una
« città che non fosse nè Costanza nè Foligno: tanta importanza
(1) Cfr. la cit. ediz. di La viblioteca dell’ eloquenza italiana con note di A.
Zeno, vol. I, p. 309, nota. Lo ZENO non tiene conto della frase € mostri cotali
« usciti fuori di alcune anime disabitate », che si riferisce certamente al contenuto del Quadriregio e non alla forma.
(2) Cfr. op. cit., p. 18.
È
IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ. FREZZIANA 807
« aveva per il dotto cremonese il fatto che il Frezzi era scomparso
« durante il famoso Concilio, a cui aveva preso parte. Ma, in ve-
« rità, il suo spirito critico avrebbe dovuto consigliargli, in man-
« canza di solidi argomenti favorevoli alla sua tesi, di essere
« meno assoluto in questa questione » (1). Non mi pare, infatti, che
possa bastare a risolverla, come crede il Canneti, il consenso degli
antichi scrittori domenicani, che non fecero ricerche sulla morte
del poeta folignate. |
Questi i difetti di carattere speciale, che gli studiosi hanno
finora notato nello scritto cannetiano e accennato qua e là in varie
monografie. Essi non sono molti in verità nè tutti della stessa importanza; ma chi credesse che l’apologia del Canneti non ne contenga altri, s'ingannerebbe a partito. Indicherò quì con la maggiore brevità possibile quelli che io ho potuto riscontrarvi di re.
cente e che non sono stati ancora segnalati, mi pare, da alcuno;
e seguirò in questa rassegna l’ordine stesso della /issertazione.
.
V.
Anzitutto io credo che l’autore, facendo la storia del Quadr:-
regio, avrebbe dovuto cominciare dai codici anzichè dalle stampe.
E’ vero che egli ha preso per punto di partenza l’edizione che si
stava allora preparando a Foligno (2); ma non mi pare che questa
sia una buona ragione per parlar prima, in un lavoro critico, di
ciò che cronologicamente è avvenuto dopo (3). E sebbene il Canneti non si sia proposto di illustrare tutti i manoscritti contenenti
il Quadriregio (4), tuttavia non sarebbe stato fuori di luogo che
egli ci desse un cenno sulla perdita dell’autografo frezziano, del
quale non dice mai neppure una parola. E, sempre a proposito di
(1) Cfr. lo studio sopra cit. Dopo cinque secoli ecc.
(2) Cfr. il principio del par. II.
(3) Non si può dire neanche che l'ordine in cui il Canneti ifeviuce le ristampe del Quadriregio sia esatto; poichè nel par. V egli mette addirittura come
immediatamente posteriore alla Fiorentina del 1508 la seconda Fiorentina senza
data, che tutto fa credere sia anteriore ad essa. (Cfr. in proposito Le edizioni del
Quadr. già cit., ecc., pp. 8-10).
(4) Cfr. il principio dei parr. X e XI.
gt
808 ENRICO FILIPPINI
codici, perchè il nostro scrittore ne parla così sparsamente (1) e
perchè iliustra il ms. ariostesco, anepigrafo e adespoto, prima degli
altri sei, che sono tutti anteriori ad esso? (2). Sembra che egli, parlando dei vari codici esaminati e ordinandoli a quel modo, non dia
_ alcuna importanza all’epoca della loro trascrizione, mentre in effetto
accenna volentieri alla loro antichità.
Nel par. IX, dopo aver parlato del codice parigino 7775 contenente il Ditfamondo di Fazio degli Uberti e dell’equivoco prodotto
dalla segnatura a tergo di Cosmografia in terga rima di Federico
da Foligno, il Canneti osserva: « Or veggasi a quali solennissimi
« sbagli si espone chi de’ titoli in fronte de’ codici manoscritti o
« sulla coperta lor registrati si contenta fidarsi e non cura d’in-
« noltrarsi a rintracciarvi per entro i veri autori, ma si ferma an-
« che talora a fabbricare sopra l’altrui falsità castella in aria (3).
« Al vero pregiudica l'ignoranza non meno che l’impostura ». Ma
giunti a questo punto ci domandiamo se intenda di parlare del
vero in sè o della conoscenza del vero, poichè la verità in se
stessa non sente alcun pregiudizio dall’ impostura e dall’ ignoranza: resterà nascosta per qualche tempo, ma poi si manifesta in
tutta la sua luce, come avvenne nel caso presente in cui il Boivin
scoprì che non sì trattava affatto d’un’altra opera del Frezzi (4).
Nel par. XIII, dopo aver discorso delle Accademie dei Concili
e di quella che sorse in Foligno nel 400, l’autore conclude: « Laonde
« a un teologo e prelato dell’insigne Ordine Domenicano, qual fu
« il Vescovo Frezzi, da qui in poi dovrassi il vanto di aver egli
« innanzi ad ogni altro istituita ed eretta una tale Accademia nel
« convento della sua religione in Foligno ecc. ». Ma il Canneti, così
dicendo, non s’accorge d’aver poco prima dubitato di quello stesso
primato che qui recisamente afferma, con le parole: « Questa sin-
« golare annotazione (che si leggeva in uno dei libri posseduti dal
(1) Cfr. i parr. VII-VIII, X-XI, XXVII-XXX.
(2) Anche gli altri codici sono descritti disordinatamente. Sulle date di trascrizione dei vari codici cfr. il mio citato studio su / codici del Quadriregio ecc.,
pp. 31-32, 28-31, 19-21, 36, 24-28, 22-24 e 9-12 dell'estratto.
(3) Questo strale è diretto al Pagliarini, che ingenuamente aveva creduto
che quel codice contenesse un'opera del Frezzi diversa dal Quadriregio.
(4) Cfr. su tutto questo episodio bibliografico la mia nota A proposito d’una
sedicente Cosmografia medievale in versi italiani (Menaggio, Baragiola, 1906).
Go ogle Di
IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ. FREZZIANA 809
« Frezzi) ci scopre l’antichità e forse la prima istituzione di quelle
« sagre adunanze, le quali con grande applauso e profitto vedemmo
« rinnovate a’ nostri tempi ecc. ». Tanto è vero che nel 1724 fioriva
in Foligno oltre a quella dei Rinvigoriti e alla Fulginta colonia
d’Arcadia, una terza Accademia detta degli Agrtati, che, secondo il
Boccolini, « promoveva anche lo studio de’ Sacri Concili ecc. » (1).
Ma di questo non fa alcun cenno l’autore della Dissertazione.
Nel par. XIV, quando il Canneti vuole stabilire la data dell'elezione del Frezzi a vescovo di Foligno, ricorda come fonti storiche il Fontana ed il Dorio, ma dimentica lo Iacobilli e 1’ Ughelli.
E dico « dimentica » perchè io credo che egli sarebbe stato ben
contento di almeno ricordarsi, anche in questo luogo, dello lacobilli se avesse potuto. Infatti fino dal 1713 il Pagliarini l’aveva
avvertito che « tanto il detto lacobilli nel Catalogo dei Vescovi di
u Foligno quanto l’Abbate Ughelli assegnano il principio del ve-
« scovato del nostro Frezzi all’anno 1403; e lo stesso lIacobilli nella
« Cronica del Monastero di Sassovivo, carta 152, rapporta che Papa
« Bonifacio nono con suo breve sotto li 8 aprile 1393 deputò Am-
« ministratore et Abbate Comendatizio di detto Monastero il Car-
« dinale Pileo Prasa Arcivescovo di Ravenna, e che Federico Ve-
« scovo di Foligno come suo procuratore ne prese il possesso a
« dì 20 di detto mese, e si indica l’istromento per mano di ser
« Tommaso Vagnucci di detto anno 1393 » (2). Ma, come dice il
Pagliarini in altra lettera, nell’atto notarile indicato si parla di un
Fredericus de Fu(Igineo), ma non di un Federico Vescovo di Foligno (3). Se quindi lo Iacobilli nel Catalogo ecc, fissa la data 1403
per quella elezione, ciò vuol dire che egli ha fatto una correzione,
della quale il Canneti avrebbe dovuto tener conto.
E’ noto che l’opera degli Scriptores ordinis Praedicatorum recensiti, stampata a Parigi nel periodo 1719-1721, fu concepita e
condotta sino alla fine del sec. XV da Giacomo Quetif e poi con-
(1) Cfr. le sue Dichiarazioni citate, in I. cit., p. 333-334. Cfr. anche su questo
argomento il mio studio recente su L'Accademia degli Agitati di Foligno in
« Bollettino di storia patria per l'Umbria », vol. XXI, fasc. II, pp. 355-374.
(2) Cfr. la lettera del Pagliarini al Canneti in data 30 gennaio 1713 da me
pubblicata nella I Appendice al citato studio su Un’ Accademia umbra ecc.
(3) Cfr. la lettera dello stesso allo stesso in data 3 febaraio 1713 inserita
nella stessa Appendice.
(O ogle
8io ENRICO FILIPPINI
tinuata fino al 1720 da Giacomo Echard. Ebbene il Canneti che ricorre più volte alla prima parte di quest'opera nel par. XV della sua
Dissertagione, l’attribuisce interamente ad un solo autore e precisamente al continuatore anzichè all’ideatore vero e proprio di essa,
Se questo egli ha fatto per amore di brevità, non ha certamente reso
il dovuto onore alla giustizia e all’esattezza storica. È poi notevole
che egli ammette coll’ Echard che Ludovico lIacobilli, attribuendo al
Frezzi quatuor libros Regum tidiomate italico, non avesse mai veduto
il Quadriregio. E se lo lacobilli non dicesse altro, il Canneti e la
sua fonte avrebbero ragione; ma lo storiografo folignate premette
a quelle parole queste altre che sono riferite, per quanto non abbastanza osservate, dal Canneti stesso: « Edidit Quatriregium sententia-
«u rum gravitale referium et de cursu vitae humanae carmine materno:
« Bonontae anno 1494 tn folto ». Come ora si possa dalle due affermazioni iacobilliane riunite dedurre che l’autore della Bibliotheca
Umbriae non conoscesse il Quadriregio, io non comprendo. Egli
avrà potuto sbagliare nell’attribuire al Frezzi, sulla testimonianza
di storici precedenti poco esatti (vedi sopra il Razzi), un'opera intitolata quatuor libri Regumy; ma questo non ha che fare col Quadriregio, di cui lo lacobilli riferisce esattamente il titolo, il breve
contenuto e una delle principali edizioni, L’asserzione, dunque, del
Canneti è puramente gratuita e noi sappiamo anche da quale sentimento poté essere dettata al suo spirito’ passionato.
Dello Iacobilli il dotto cremonese si occupa anche nel par. XVI
della Dissertazione, a proposito del sonetto « Signor, che per salvar
« l’human legnaggio », che una raccolta di Ame sacre e morali di
diversi autori stampata in Foligno nel 1629 assegna al poeta Federico Frezzi (1). ll Canneti, mentre esclude che questo sonetto sia
stato scritto dall’autore del Quadriregio, afferma che esso appartiene
al 600 e che la raccolta è opera dello storico folignate (2). Ma ve-
(1) Esso si trova a p. 50 della suddetta raccolta, preceduto: da queste parole: Di Monsignor Federico Frezzi da Foligno, Vescovo della sua patria.
(2) ll Canneti accusa anche lo Iacobilli di impostura e falsità, a questo proposito, mentre si può crederlo reo d’una semplice inesattezza involontaria e non
d'altro. (Cfr. il mio breve studio Per la storia d'un sonetlo attribuito a Federico
Frezzi di Foligno in a Giornale storico della letter. ital. », vol. XLVII (1906), pp. 266-
272). Tanta acrimonia contro lo storico folignate non era certo condivisa dal
Pagliarini, che lo nomina spessissimo con rispetto nella prefazione alle Rime del
IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ. FREZZIANA 8II
ramente non è ancora dimostrato che Ludovico lacobilli sia stato
il raccoglitore e l'editore delle Rime sacre e morali (1); e, del resto, il
sonettg accennato è d’un altro poeta folignate, Petronio Barbati, vissuto nel 500 e autore di molti versi. E fa non poca meraviglia che
il Canneti non si sia accorto di ciò, se si pensa specialmente che le
Rime del Barbati erano state raccolte e stampate a Foligno non
più di quattordici anni prima che fosse pubblicata la Dissertassone
cannetiana, per opera appunto dei A:nvigoritt e soprattutto del
Pagliarini (2).
Quando poi viene a discorrere del Ft/enico di Nicola da Montefalco (3), all'errore già notato dal Salza il Canneti aggiunge una
determinazione tutt’ altro che esatta del componimento letterario
finale di quel canzoniere, chiamandolo canzone mentre è un capitolo dedicatorio apologetico (4). E un’inesattezza mi pare che egli
commetta anche più oltre allorchè, parlando del Malpigli come presunto autore del Quadriregio, dice che questo poema, non solo
nelle stampe ma eziandio ne’ manoscritti, fu attribuito al vescovo
Frezzi (5): certo il dotto autore avrebbe fatto meglio se invece del
« vescovo Frezzi » avesse scritto « frate Federico vescovo ‘di Fo-
« Jigno », che è l’espressione che si legge nei codici e nelle stampe
Barbati e nelle Osservazioni istoriche al Quadr., e nelle sue lettere al Canneti.
Pare però che anche il « Giornale dei letterati » sferzasse lo Iacobilli: di che il
Pagliarini era poco contento (cfr. Ja sua lettera al Canneti in data 29 marzo 1735
nell’Appendice I al mio cit. lav. su Un’ Accademia umbra ecc.).
(1) Anche il FaLoci-PULIGNANI nel suo studio recente su L'arte iograita
a Foligno nel XVII secolo (in « Bibliofilia » del giugno-agosto 1916, p. 118) registra fra le altre stampe folignati le Rim sacre e morali ecc. e dice che a au-
« tore della raccolta figura il tipografo Alterij, che la dedicò al Sersale » governatore di quella città.
(2) Il sonetto si legge appunto a p. 211 della raccolta, di cui è il n. 126.
Cfr. pel rinvenimento della paternità di esso l’altro mio studio Da un poeta folignate ad un altro (Foligno, Artigianelli, 1907), e per la storia della raccolta
barbatiana il mio lavoro tante volte cit. su Un’Accademia umbra ecc., in l. cit.,
vol. XIV, fasc. I, pp. 12-15.
(3) Cfr. il par. XVII della Diss, :
(4) Cfr. lo studio cit. della signorina A. FanTOZZI, che ne riporta in fine
anche una parte. Del resto, il Canneti poteva trarre dal Filemnico anche altre testimonianze della conoscenza del Quadriregio da parte del Montefalco, come la
stessa Fantozzi afferma.
(5) Cfr. il par. XXI della Diss.
812 ENRICO FILIPPINI
da lui finora esaminati (1). Così quando cita il Musaeum Italicum
del Mabillon, egli ci rimanda al numero XXIX, pag. 128 della | parte (2), mentre le parole da lui riportate si trovano tra le pp. 126-127
dell’Zter italicum litterarium, sotto la data del 1 dicembre 1685 (3).
Nè so se si possa proprio affermare, come fa il Canneti, che il
Mabillon « stimò veramente » opera di Ambrogio Traversari la
Linea salutis ecc. che egli trovò nel monastero di Subiaco e registrò nel suo diario (4). |
Nel par. XXVIII della Dissertagsone l’autore rimanda, per l’edizione bolognese del Quadriregio, al par. XIV invece che al XV.
Nel par. XXXI dice che il Martelli nel suo Cansgoniere accenna anche ai filosofi bolognesi, mentre in effetto non ne nomina alcuno;
e fra i poeti nominati nel Commentario dello stesso scrittore dimentica ingiustamente Girolamo Preti. - E come si possono sul serio mettere a fronte l’uno dell’altra un brano del Quadriregio e una stanza di
canzone del Malpigli, per trarne, come fa il Canneti nel par. XXXVI,
la conseguenza che il poema non può essere stato scritto da questo
scrittore? Quei due passi parlano bensì di Amore, ma mettono in
evidenza qualità e attributi diversi dello stesso dio; e poi si sa che
la lirica ha indole affatto differente dalla poesia narrativa, e lo stesso
Malpigli, se avesse scritto un poema, vi avrebbe rivelato uno stile
tutt'altro che uguale a quello delle sue canzoni.
Più oltre, volendo difendere il Frezzi dall'accusa d’una certa
ruvidezza di espressione e affermando la trasformazione progressiva delle abitudini e dei gusti degli uomini, il nostro frate cremonese dice: « Della qual verità ci avvertì fin dai suoi tempi Dante
(1) Cfr. le descrizioni da lui dateci nei parr. III, X, XI e i miei studi citati su / codici e Le edizioni del Quadriregio.
(2) Cfr. il par. XXV della Diss.
(3) Cfr. il v. I del Musaeum ecc. (Parigi, 1685).
(4) Infatti il MaBiLLON, dopo aver accennato nel luogo indicato alla sua visita al monastero di Subiaco, dice semplicemente così: « E paucis qui restant
« manuscriptis codicibus unus est Adalgeri episcopi ad Boswidam reclausam de
« rebus moralibus; liber seu tractatus qui vocatur Linea salutis monachorum sive
« eremitarum compositus a religioso viro fratre Ambrosio de Florentia, Generali
« Ord. Camald. Dialogi more scriptus est liber, totusque constat ex sententiis
« Patrum ». Dov'è ora la base di quella opinione sicura che il Canneti attribuisce al MABILLON, se tutto ciò che è scritto in corsivo appartiene alla intestazione del codice sublacense ?
IL P. DON PIETRO CANNETI F LA SUA DISSERTAZ, FREZZIANA 813
« nel libro della volgare eloquenza, riflettendo che ogni cinquan-
« t'anni le lingue viventi soggiacciono a mutazione » (1). Dante,
infatti, scrisse tutto il lungo capitolo IX del primo libro del suddetto trattato occupandosi specialmente de triplici varsetate sermonis
et qualiter per tempora idem idioma mulatur etc.; ma se l’inciso
cannetiano: « riflettendo ecc. » si riferisce a Dante, come pare, esso
contiene un concetto non corrispondente a verità, poichè il divino
poeta, in quel capitolo, non fissa alcun limite di tempo alla trasformazione delle lingue e dei dialetti. - Dobbiamo inoltre osservare che le Annotazioni dei Deputati alla correzione del Decanteron
non furono pubblicate nello stesso anno in cui riapparve corrètta
l’opera stessa del Boccaccio (1573), come crede il Canneti (2), ma
l’anno seguente, come la stampa fiorentina di esse dimostra. - Il
verso poi del Salvini « visitò l’ime parti, a/fe e mezzane » è stato
trasformato dal Canneti in « visitò l’ime parti, ale e mezzane » (3).
Che dire infine dei concetti svolti sull'amore frezziano nel paragrafo XLI? Il Canneti conchiude: « Il dottissimo egualmente e
« savissimo Vescovo Frezzi fa di fre amori poetico racconto, e di
« quel che il Petrarca chiama gioveni! errore forma in sè, perchè
« più viva riesca, una pittura, sensa verameute ritrar se medesimo,
« ma qualunque uomo, nell’ età più inesperta preso da amore ».
Ora noto anzitutto che lo scrittore, parlando di fre amori, accenna
certamente ai primi, cioè a quelli per Filena, Lippea ed Ilbina, ma
trascura gli ultimi due che sono quelli per Taura e lonia (4). O1-
tracciò, si può comprendere che alla religiosità del Canneti ripugnasse di parlare degli amori reali del giovane Federico Frezzi;
ma come può egli negare senz’ altro che il poeta folignate abbia
nascosto sotto il velo dell’allegoria le sue giovanili passioni, se il
suo grande maestro Dante, da lui tanto imitato, gl’insegnava a
servirsi di questa nobile e poetica forma del linguaggio figurato
per accennare a fatti anche personali? I critici moderni fanno tutti
(1) Cfr. il par. XXXVIII della Diss.
(2) Cfr. lo stesso par. della Diss,
(3) Cfr. il par. XXXIX della Diss.
(4) Cfr. in proposito le mie osservazioni al primo libro in La materia del
Quadriregio, cit. Vedremo però fra poco che anche il FaLOcI-PULIGNANI parla
del « triplice amore » del Frezzi.
Go ogle
814 ENRICO FILIPPINI
delle riserve più o meno precise in proposito (1), ed è naturale che
le facciano, sebbene il’'nostro poeta non si tradisca mai; poteva perciò
farle anche il Canneti, oppure evitare affatto la questione, come
l'aveva evitata l’autore Dell'onestà di amore. Ma non si può negare
senza prove ciò che ha bisogno di documenti tanto per essere affermato quanto per esser negato. Ed il Canneti, che era un abile
ragionatore e un forte polemista, doveva sapere meglio d’ogni altro
che nella trattazione di certi argomenti bisogna rifuggire da qualunque affermazione assoluta.
Con queste ultime osservazioni pongo termine all’enumerazione
(1) Il FaLoci-PULIGNANI, più felicemente, sebbene sia un sacerdote anche
lui, dice: « Se ciò che egli (il Frezzi) narra di se stesso nel Quadriregio vuolsi
« intendere per fatto reale e non per invenzione poetica, dovremmo dire che ei
« passasse la gioventù in un viver lieto, spensierato, lontano dagli studi, dedito
« agli amori, ma però non vizioso. Il triplice amore di lui, prima per Filene,
« poi per Lippea. infine per Ilbina, dal quale si dice legato, può forse avere un
« fondo di verità », (Cfr. op. cit., pp. 123-124). Il VoLPI, meglio ancora, osserva: « C'è qui (cioè nel I libro) qualche cosa di soggettivo: allude il Frezzi ai
« propri disinganni amorosi, che potrebbero averlo indotto a farsi frate, o è una
« semplice finzione? E’ un fatto che non si trova una frase che tradisca la pas-
« sione covata nel cuore, la amarezza d’una repulsa ricevuta da una persona
« amata; ma d'altro canto c’è l'amore per la donna soltanto che trattenga dal
seguire gl’ inviti di Minerva? Sembrerebbe quindi che egli volesse come proporre se stesso ad esempio, e che quanto al suo amore o ai suoi amori, cogli
anni arrivasse a parlarne con indifferenza, rimanendo semplicemente un misogino ». (Cfr. Il trecento, ediz. Vallardi, p. 186). lo, nel 1905, affermavo che
il primo libro del poema ha un carattere specialmente personale. Il poeta,
quando era ancora un vago giovinetto, si era dato al vivere mondano e si era
già innamorato tre volte senz’essere corrisposto, quando stanco di quest'iusuccessi pensò di darsi agli studi. Ma la passione tornò a tentarlo sul bel principio della sua rigenerazione morale, ed egli non seppe resistere a questa tentazione e s'innamorò d’una quarta donna. Questo amore non fu più fortunato
degli altri, ma il più disgraziato fu il quinto, quando il poeta, oltre al disinganno, provò un senso di disgusto per Ja donna che lo tradi turpemente. Allora egli giurò di abbandonare per sempre l’amore e si diede interamente e
decisamente in braccio alla sapienza ». (Cfr. il mio studio ora cit., p. 23). Finalmente e recentemente il GILARDI, illustrando soprattutto il terzo amore descritto dal Frezzi, conchiude: « Non quindi nessuno, oppure parecchi amori reali,
« ma uno, un amore forte e vigoroso, che lasciò profonde traccie nel cuore del
« poeta e che nel poema frezziano lontanamente ricorda la Beatrice di Dante ».
(Cfr. op. cit. p. 49).
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IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ. FREZZIANA 815
ed esame dei difetti speciali dello scritto cannetiano; ma non garantisco di averli notati qui tutti. Forse un lettore più attento e
sapiente di me ne coglierebbe anche degli altri, che possono essere sfuggiti alla mia disamina: ma, pur ammettendo ciò, credo di
averne registrati tanti e tali, che ‘non sia più possibile consultare
con animo tranquillo e sicuro la Dissertazione apologetica intorno
al Quadriregio ed al suo vero autore.
VI.
Ed ora concludiamo.
L’opera critica del Canneti fu giudicata dai suoi contempo-
«ranei un capolavoro addirittura e, per tacere di altri, il Muratori,
dopo averne ricevuto una copia in dono, gli scriveva il 31 gennaio 1725 queste precise parole: « Non v’ha dubbio, tutto il mondo
« degli eruditi troverà la Dissertazione di V. P. reverendissima stesa
« con tale giudizio e uso di fina critica, con tale erudizione e ma-
«.niera modesta di conîbattere, che di meglio non si potea fare;
« e questo solo pezzo è bastante a far conoscere che il di lei in-
« gegno e valore si dee contare fra i primi. L’ho io letta con sin-
« golar piacere, e nulla v’ ho saputo ritrovare che non cammini a
« meraviglia bene.... » (1). Ma questo giudizio del Muratori ci sorprende non poco pensando alla sua grande dottrina, alla sua nota
prudenza ed alla sua ‘indiscussa sincerità; e solo possiamo trovargli qualche attenuante nell’ amicizia che legava l'illustre poli-
(1) Cfr. l’Epistolario muratoriano, pubblicato dal CAMPORI, vol. VI, Pp. 2421-
2422). Anche Bartolomeo Casaregi, lettore di filosofia morale e poeta arcade e
accademico Rinvigorito, scriveva il 14 aprile 1725 al Pagliarini «che non si po-
« téva fare cosa in tutte le sue parti nè più aggiustata nè più dotta nè più pu-
« lita » dell'Apologia frezziana e che egli la stimava uno « dei bei libri che
« siano usciti fin qui nel nostro tanto purgato e delicato secolo » e che questo
era anche il parere « di tutti quelli che (a Firenze) hanno goduto di così ‘bella
« lettura » e specialmente dei fratelli Salvini, (Cfr. la cit. Misc. ms. XXVI della
Classense, in cui è contenuta copia della lettera del Casaregi, come vi sono contenuti autografi e copie di altre lettere spedite al Canneti o al Pagliarini nella
stessa occasione).
Go ogle
816 ENRICO FILIPPINI
grafo al Canneti e nella fretta con cui egli avrà letto la pur tanto
attesa Dissertagione in mezzo al suo poderoso e continuo lavoro
intellettuale. Oh se egli avesse potuto a mente serena rileggere
quelle pagine! Oh se il grande ricercatore ed osservatore dei fatti
storici e letterari avesse potuto giudicare con maggior calma la
monografia cannetiana! Certo, non avrebbe per lo meno scritto
quelle parole così compromettenti: « Nulla v’ ho saputo ritrovare
« che non cammini a meraviglia bene » e si sarebbe tratto d’impaccio con una di quelle frasi stereotipe, che si ritrovano nella
maggior parte dei lodatori del Canneti (1), oppure si sarebbe limitato a parlare, come fecero parecchi, delle conclusioni principali
della Dissertazione (2).
Dire che questo lavoro non ha pregi di sorta, sarebbe lo stesso
che negare audacemente la verità più luminosa. Nè il merito del
Canneti consiste soltanto nell’aver rivendicato con solidi argomenti
al Frezzi il poema, che con altrettanta leggerezza gli era stato
contestato dai seguaci del Montalbani, e nell’aver posto fine « a una
« famosa controversia che pendea nella repubblica letteraria » (3).
Egli ci ha dato anche una biografia documentata del vescovo-poeta
e la più esatta che allora fosse possibile. Ha riunito per la prima
volta e descritto codici importanti e rare edizioni del Quadriregio.
Ha illustrato altre figure, che col Frezzi o col suo poema ebbero
qualche notevole relazione. Ha scritto un documento di critica letteraria prezioso specialmente per il tempo a cui appartiene. E tutto
codesto ha fatto con una dignità di stile, con una vivacità di discussione, con una purezza di lingua, con una conoscenza della
nostra storia letteraria e con una erudizione veramente singolari.
(1) Il noto A. M. SALVINI, per esempio, scrisse al Pagliarini il 4 novembre 1724 che il Canneti fa brillare la verità e trionfare la buona critica. (Cfr.
l'avvertenza al lettore nel Quadriregio del 1725, vol. 1).
(2) Il BARUFFALDI, per es, scrisse il 20 dicembre 1724 al Canneti stesso
che l'aveva trovara « cosi concludente che nulla più ». (Cfr. lett. cit. in 1. cit.);
e il BoTTAZZONI notava e accettava « le prove e le conghietture di fatto, con
« cui il dottissimo apolcgista convince che il poema sia di Monsignor Frezzi ».
(Cfr. la lettera al Pagliarini del 5 gennaio 1725 da me ROBOLaG nello studio
citato su Un’ Accademia umbra ecc., appendice VIII).
(3) Così è scritto nella lettera dedicatoria a Benedetto XIII, che si legge
nel Quadriregio del 1725, vol. I e che è firmata da Gli Accademici Rinvigoriti.
€
IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ, FREZZIANA €17
Ma di fronte a tutti codesti pregi stanno, purtroppo, numerosi e
gravi difetti di carattere generale e speciali, che li oscurano non
poco.
Nel Igro io scrivevo anche che il Canneti non poteva trattare
il suo argomento « con maggior senso dell’ordine e con esattezza
« più scrupolosa » e che « se l’autore (della Dissertazione) si fosse
« proposto una maggiore concisione, l’opera sua potrebbe essere
« più apprezzata di quel che realmente non sia » (1). Lodavo inoltre
l’abile condotta di tutto il lavoro e concludevo col dire che questo
« era destinato ad un reale successo nel campo degli studi lette-
« rari, ed il successo fu pieno ed aperto » (2). Orbene, era naturale
che io mi esprimessi in tali termini quando non avevo ancora sotto-
‘posto la Dissertazione a una minuta disamina e quando non avevo
scoperto in essa che pochi e lievi difetti. Ma oggi, dopo quello che
ho detto nella presente memoria, sarebbe strano che io confermassi
in tutto e per tutto il giudizio di sei anni or sono. In un lavoro
come quello cannetiano, che vuol essere soprattutto critico e definitivo, erano necessari, e mi pare di averlo dimostrato abbastanza,
un ordine e una scrupolosità assai maggiori, un procedimento assai
‘diverso. Il successo non poteva mancare in un’epoca in cui il Canneti era troppo conosciuto e stimato e in cui s’aspettava ancora la
Frusta barettiana; e il successo suo fu pieno ed aperto ad onta
di tutte le promesse non mantenute, di tutte le digressioni e le
lungaggini d’ogni genere, di tutti gli errori, le inesattezze, le imprecisioni, le omissioni, le ingiustizie, le intemperanze, le ripetizioni e le affermazioni troppo assolute, che la Dissertazione contiene. Ma se oggi il componimento cannetiano è poco apprezzato,
gli è appunto per tutto questo complesso di difetti, su cui i contemporanei dell’ autore serbarono il più profondo silenzio e che
invece i critici moderni hanno creduto doveroso d’indicare alla
pubblica osservazione.
Lungi però da me l’idea che i difetti dell’ opera del padre
Canneti siano realmente sfuggiti all’ attenzione dei suoi amici:
questi li notarono certamente, ma li nascosero per non dispiacere
(1) Cfr. il mio citato lavoro su un’Accademia umbra ecc. in |. cit., v. XVI
(1910), fasc. I-II, p. 25.
(2) Cfr. lo stesso mio studio, in I. cit., p. 27.
Go ogle
818 ENRICO FILIPPINI
all’autore, che essi profondamente stimavano. E così avvenne che
il Canneti stesso ritenesse d’aver fatto un’opera in tutto lodevole
e non sapesse frenare la sua compiacenza per il completo trionfo
ottenuto. « Si sente da per tutto ove è capitata, - scriveva il 7 di-
« cembre 1724 al Fontanini - anco da Bologna che la Dissertazione
« fa strepito e persuade la verità, cessando ogni dubbio contra-
« rio » (1). E dieci giorni dopo, rispondeva allo stesso suo amico:
« Molto mi consola V. 5. Ill.ma con accertarmi della buona sorte,
« che incontra la Dissertazione » (2). Così il 27 di quel mese si
confidava con Mariangelo Fiacchi, bibliotecario della Classense, scrivendogli: « La mia Dissertazione fa da per tutto un gran fracasso » (3).
E anche un anno dopo, il 9 dicembre 1725, quando già la sua monografia era stata ristampata insieme col Quadriregto, esprimeva
la sua gioia al Fontanini in questi termini: « Non so se nessun'altra
« controversia letteraria nella storia degli scrittori possa mai deci-
« dersi in forma più concludente e che soddisfaccia in tutto gli av-
« versari, come riuscì intorno all’autore del Poema de’ Regni » (4).
Nulla di piu esatto per ciò che si riferisce all'argomento principale;
ma è strano che il Canneti, più di un anno dopo la prima pubblicazione del suo lavoro, non. avesse ancora alcun pentimento per
tutto il resto. Egli, certamente, non prevedeva che la critica letteraria non sarebbe stata in seguito così compiacente con lui come
in quel periodo e avrebbe denunciato man mano tutte le deficienze
della sua apologia sottoposta ad un’analisi minuta come la presente.
Della quale è da ritenere che il Canneti, se rivivesse, non si
offenderebbe, egli che nella Dissertazione stessa raccolse tanti argomenti « ad abbatter l'errore e a confermare la verità » (5), da
lui « principalmente ricercata » (6), e che vi si appellò « al tribu-
« nale della ragionevole e sana critica » (7). Del resto, questa vivisezione, per così dire, dello scritto cannetiano non tende a de-
(1) Cfr. il mio studio citato su L'ottava edizione del Quadr. nel carteggio
fontaniniano, in 1. cit, p. 45-
(2) Cfr. lo stesso studio in ]. e p. citt.
(3) Cfr. la lett. cit., in I. e vol. citt.
(4) Cfr. il mio studio ora cit., in l. cit., p. 48.
(5) Cfr. la fine del par. XI della Diss.
(6) Cfr. il principio del par. XXIII.
(7) Cfr. il principio del par. I.
a
IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ. FREZZIA NA 819
molire in tutto e per tutto un’opera ispirata a così alti sentimenti
e che contiene tanto di buono: nessuno meglio di me, che ho lungamente studiato questo scritto, riconosce quanto lavoro d’indagine e di riflessione sia esso costata al suo autore: nessuno ne
apprezza più di me il grande valore storico-letterario : nessuno
sente meglio di me che la città di Foligno deve serbarsi grata all’erudito cremonese per essersi occupato con tanto amore d’uno
dei suoi figli più illustri e per averle restituito una delle sue glorie
più pure. La mia analisi negativa tende semplicemente a mostrare
quanto di non buono la Disseriazione del Canneti contenga secondo
la critica moderna e che cosa si dovrebbe fare se mai si volesse
ristamparla, ciò che sarebbe, se non strettamente necessario, molto
utile certamente per gli studiosi.
Dopo quanto si è detto sui difetti di questo documento critico,
è chiaro che non si potrebbe ridarlo alle stampe senza sottoporlo
a delle modificazioni e senza un ampio corredo di note. Ma le modificazioni non dovrebbero essere così estese e numerose, che alterassero profondamente la fisionomia dell’ opera cannetiana, la
quale ha diritto a tutto il nostro rispetto (1). Le note poi dovrebbero
anzitutto indicare via via i pregi e i difetti del lavoro, illustrare il
pensiero del Canneti dove occorra, mostrare lo stato delle diverse
questioni da lui accennate, correggere gli errori e le inesattezze in
cui è caduto, integrare le citazioni incomplete ecc. Ma queste note,
che non potrebbero esser certamente poche, dovrebbero obbedire
alla legge della maggiore sobrietà toccando semplicemente di ciò
che è indispensabile dire.
(1) Basterebbe ritoccare la punteggiatura, l’accentazione e l’apostrofazione secondo le regole della grammatica moderna: limitare il carattere corsivo, di cui
l’autore si serve troppo spesso, anche per dare maggior risalto ad alcune sue
affermazioni e conclusioni e che dava tanta noia al Baruffaldi: ridurre al puro
necessario le iniziali maiuscole e le virgole, così largamente profuse in tutti i
paragrafi: chiudere tra parentesi i richiami o parti e luoghi speciali di opere
citate. Si potrebbe anche, senza nuocere all’organismo della ‘Dissertazione, toglierne tutti i numerosi riferimenti che vi sono alla ristampa del Quadriregio
del 1752, cioè tutte le traccie di quel carattere di_prefazione o introduzione, che
il Canneti le aveva dato, e che oggi non ha più ragione di esserle conservato.
Ma se si volesse fare anche di più, non si darebbe luogo che ad una sconcia
profanazione dello scritto cannetiano.
620 ENRICO FILIPPINI - IL P. DON PIETRO CANNETI, ECC.
Il Canneti aggiunse poi in fine alla sua apologia un Zndice delle
cose più notabili in essa contenute. E’ un indice di nomi più che
di cose, ma che era necessario in un lavoro in cui si parla di tanti
scrittori specialmente e si citano tante opere. Ora per una ristampa
della Dissertazione questo indice dovrebbe essere rifatto: dovrebbe
cioè limitarsi ai nomi personali e alle accademie ed essere completato sotto questo aspetto, perchè il Canneti non tenne conto di
tutte le persone da lui nominate: pel resto dovrebbero bastare i
sommari dei diversi paragrafi.
Solo seguendo questi criteri, colui che si sobbarcasse alla non
lieve fatica riuscirebbe a darci una ristampa veramente utile dello
scritto cannetiano e a far cosa degna in pari tempo del Canneti e
del Frezzi. Del quale non è vano ricordare qui che ricorre ora il
quinto centenario della morte e aspetta dai suoi concittadini una
conveniente commemorazione (1). Ma nessuna conveniente commemorazione del Frezzi è possibile senza che si rievochi l'opera amorosa dedicatagli dal dotto cremonese tre secoli dopo. E un’edizione
illustrata e migliorata della sua apologia frezziana sarebbe certo
un desiderato complemento di quella festa commemorativa.
Enrico FILIPPINI.
(1) Cfr. per questo la cit. mia noterella Dopo cinque secoli ecc.
GO ogle nai
VARIETÀ
Una pia fondazione
prediletta da Bonvesin da Riva.
ULLA strada nazionale del Sempione, poco lungi da LeSÌ gnano, sorge un vecchio edificio, ove sono tuttora ricoverate alcune povere vecchierelle del luogo. Sulle pareti
ti esterne dell’umile ricovero e particolarmente sulla porta
-d’ ingresso stanno pregevoli affreschi del trecento ed altri d’epoca
più tarda, tra cui notevole il supplizio di s. Erasmo, il vescovo
atrocemente martirizzato da Massimiano e Diocleziano, dal quale
prende nome l’antichissimo ospizio, che la voce popolare vuole
fondato da fra Bonvesin da Riva. Ma fu proprio il pio trovéro
lombardo, che morendo lasciava eredi i « pauperes verecundi » di
Milano e la cui appartenenza all'Ordine degli Umiliati è tuttora
oggetto di discussione (1), il fondatore dell’Ospedale di S. Erasmo
in Legnano? |
Sulla fede del marmo sepolcrale, esistente ancora alla fine del
secolo XVII nel chiostro di s. Francesco, nel quale era detto che
(1) Cfr. M. CAFFI, recensione al Tractato dei mesi di Bonvesin da Riva edito
dal Lidforss in Archivio storico italiano, 1812, d.* 4.*, p. 496-98; C. CANETTA,
I testamenti di Bonvicino della Riva in Giornale storico della letteratura italiana,
to. VII, 1886, p. 171 e sg.; F. NOvaATI, Bonvicini de Rippa De Magnalibus urbis
‘ Mediolani in Bullettino dell'Istituto Storico Italiano, n. 20 (1898), p. 33 ed in
quest’ Archivio, 1901, p. 191} A. RATTI, Bonvesin della Riva appartenne al terz’ordine degli Umiliati od al terz’ordine di S. Francesco? in Rendiconti del R. Istituto
Lombardo, 1901, serie II, vol. XXXIV, p. 823 e sg.; L. Zanoni, Fra Bonvesin
della Riva fu Umiliato o Terziario Francescano? in Il Libro e la Stampa, VII
(N. S.), fasc. IV, novembre-dicembre 1914, p. 141 e sg.
Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. IV. 53
822 = | VARIETÀ
Bonvesin « construxit Hospitale de Legniano » esso viene generalmente ritenuto tale (1) e così lo vuole anche il Giulini (2); il
Tiraboschi (3) però esprime i suoi dubbî in proposito. Nè' te.
stamenti, pubblicati meno esattamente dal Canetta (4) e che pur
meriterebbero una nuova edizione più accurata, fra Bonvesin parla
a più riprese dell’ Ospedale di S. Erasmo, che egli aveva sovvenuto durante il lungo suo soggiorno in Legnano, ma che però non
lascia erede del suo patrimonio; cosa davvero strana se egli fosse
stato il fondatore dell’ospizio. Si può quindi ritenere col Ratti (5)
che l'ospedale legnanese fu bensì un’istituzione largamente beneficata dal caritatevole rimatore trecentesco, ma di questi più antica, come pure si possono nutrire dubbi circa l’autenticità dell’epitaffio bonvesiniano, che in ogni modo deve essere posteriore
parecchio alla morte del soggetto ricordato.
Sia o non sia stato fondato da Bonvesin da Riva l’Ospizio di
S. Erasmo è una delle più vetuste ed interessanti fondazioni benefiche dell’agro milanese e merita.invero che venga data qualche
notizia intorno alle sue vicende attraverso i secoli. E senza dubbio
deve essere antichissimo se Bonvesin nel suo testamento del 5 gennaio 1313 disponeva a favore del medesimo d’un legato di cento
(1) Il BuFFiNI, Ragionamenti storico economico statistici intorno all'Ospizie
dei Trovatelli in Milano, Milano, 1844, parte I, p. 95, opina però per un Domenico Vismara, ma non precisa la data della fondazione. Tale opinione viene
pure espressa in una nota contenuta nei documenti riflettenti l’Ospizio di S. Erasmo in Legnano custoditi nell’ArcHivio peLL'OsPepALE MAGGIORE DI MiLano,
Origine e dotazione, aggregazioni, mentre il parroco Agostino Pozzo nelle sue
Memorie della chiesa di S. Magno, conservate ms. nell’archivio prepositurale del
luogo e che abbiamo potuto consultare mercè la cortesia dell’attuale prevosto
don Eugenio Gilardelli, ritiene senz'altro Bonvesin come fondatore del pio ricovero e così si esprime: « Et non è da meravigliarsi che un frate de Humiliati
« facesse quest'opera in Legnano di fabricare un hospitale perchè quì li medemi
« Humiliati havevano una chiesa sotto il titolo di S. Catterina ».
(2) Memorie spettanti ecc., to. VIII, p. 440.
(3) Vetera Humiliatorum monumenta, 1766, to. I, p. 299.
(4) doc. cit. :
(5) op. crt., p. 834.
Go ogle calli
VARIETÀ 823
soldi (1) ad istituire una messa festiva da celebrarsi nella cappella
dell’ospizio. Nella Notitia Cleri Medsolanensis del 1398 (2) troviamo
ricordati i Fratres hospitalis S. Erasmi de Legnano, che mediante
lettere ducali del 18 dicembre 1405 venivano dichiarati da Gian
Maria Visconti immuni ed esenti delle tasse nella persona del loro
« maestro » Luigi Capra (3). Il duca di Milano, ispirandosi alla
devozione nutrita verso s. Erasmo, confermava le lettere d’immunità concesse da’ suoi progenitori e da Bianca di Savoja, sua ava,
attesa sopratutto la povertà del pio istituto « passum varias hostiles
« predationes raptus et descrimina » in causa delle quali era « ad
« nihilum reductum » (4). Quando colla bolla 9 dicembre 1458 Pio II
promosse l’aggregazione al nuovo de’ piccoli ospedali esistenti nella
città e ne’ sobborghi di Milano, quello di s. Erasmo continuò ad
essere autonomo ed amministrato da’ suoi frati: fu solo più tardi,
nel 1463, che lo stesso pontefice lo pose sotto la tutela dell’ Ospedale Maggiore di Milano e nel 1477, avendo Baldassare da Lampugnano, ministro di s. Erasmo, rinunciato all’amministrazione dell'ospedale medesimo, i deputati dell’ Ospedale Maggiore pensarono coll’ ordinazione capitolare 23 maggio 1477 di stabilire le
norme per la gestione dell’ ospizio affidato alle loro cure. Oltre
che dagli atti dell'archivio dell'Ospedale Maggiore (5) ne abbiamo
notizia da una memoria stesa da Gio. Rodolfo Vismara (6) intorno
(1) Il Prrovano nella Storia di Legnano e sue castellanze, p. 23-24, ms. posseduto dal Municipio di Legnano, della cui visione siamo debitori a quell'Amministrazione Comunale ed all'on. conte Cornaggia Castiglioni, parla addirittura
d’una entrata di trecento scudi d’oro da distribuirsi ai poveri del borgo disposta
da fra Bonvesin. E' altra delle frequenti inesattezze di questo volonteroso raccoglitore di memorie storiche legnanesi.
(2) Cfr. quest'Archivio, 1900, p. 258.
(3) Nel 1413 era « magister rector ac gubernator hospitalis seu ecclesiae
« Sancti Arasmi de Legnano » un Ambrogio de Lampugnano; nel 1428 e 1432
un Febo de Lampugnano, come appare dagli istrumenti 28 febbraio 1413,
rog. Cristoforo Cagnola, 16 dicembre 1423, rog. Pietro Reina e 27 marzo
1432, rog. Cagnola suddetto.
(4) Cfr. il documento riportato per esteso in appendice.
(5) loc. cit.
(6) Personaggio notevole della corte ducale: dedito alla pietà e generosissimo fondò in Legnano un convento di Minori e di Clarisse: col suo testamento
del 1492 chiamò erede il Luogo Pio della Carità e Monte Angelico in Milano.
Sembra venisse a morte nel 1495. Si veda in argomento Bollettino della Svizzera
Italiana, 1891, p. 82 e per più ampie indicazioni bibliografiche quest'Archivio,
p. 561-62.
824 VARIETÀ
alle « cosse agitate per casone del hospitalle de Sancto Herasmo
« metuto apresso al borgo de Legnano da poy che Baldasare de
« Lampugnano a renuntiato la administratione del dito hospitale
« de Sancto Herasmo », della quale memoria manoscritta esiste
copia nell'archivio della Congregazicne di Carità di Legnano (1),
attuale amministratrice dell’Ospizio di S. Erasmo. Coll’ordinazione
capitolare predetta si stabiliva che ogni anno i deputati dell’Ospedale Maggiore di Milano « ne la festa de Pascha de la Pentecoste
« vel circa » eleggessero sei « homini de bona conditione, voce
« et fama », di cui tre scelti fra’ gentiluomini abitanti o possidenti
in Legnano o Legnanello, per amministrare il pio istituto, colle
rendite del quale dovevano mantenere ammalati poveri assistendoli anche fuori dell’ ospizio, qualora fossero « infirmi di tale in-
« ‘firmitate che non possono andare mendicando ». Al rinunciante
ministro dell’ Ospedale, Baldassare da Lampugnano, erano concesse
a titolo di assegno vitalizio (2) « moza xii de mistura sichale et
« milio equalmente et brente xvini de vino » di quello raccolto sull’altura di s. Erasmo. A costituire poi il primo capitolo venivano
eletti Andrea da Lampugnano, Gio. Rodolfo Vismara, Beltramino
Fecido, Ambrogio de Zelati ed Antonio Salmoirago. ll cardinale
Federico Borromeo nella visita pastorale del 13 giugno 1593 portava una notevole riforma nella costituzione del Capitolo di s. Erasmo: quest'ultimo non sarebbe stato oltre eletto dai deputati dell'Ospedale Maggiore di Milano, ma dal prevosto vicario foraneo di
Legmano. Dagli Ordini appartenenti alli Deputati dell’ Hospitale di
S. Erasmo, conservati nell'archivio dell'Ospedale Maggiore di Milano (3), si rileva che il capitolo doveva comporsi di dodici membri,
sei « delli nobili » e sei « delli homini della Comunità », compresi in
essi il priore, il vicepriore, il tesoriere ed il cancelliere; che doveva
radunarsi almeno una volta al mese per deliberare intorno agli
affari dell’Ospizio ed a quelli altresì della Scuola della Misericordia
e della Fabbrica della Collegiata di s. Magno sottoposta pure alla
sua amministrazione. Veniva insomma affermata così l’ingerenza
(1) Opera Pia di S. Erasmo, documenti sulla fondazione ed amministrazione.
Abbiamo potuto esaminare il ms. delle memorie del Vismara per cortesia del
rimpianto cav. dott. Cesare Candiani, benemerito presidente della Congregazione
suddetta.
(2) Nel ms. di Gio. Rodolfo Vismara, più sopra ricordato, havvi esternamente una nota che dà il Lampugnano morto verso la fine del 1478.
(3) /oc. cit.
na
VARIETÀ 825
del prevosto locale nella gestione dell’ Ospizio, ingerenza che si
conservò per lungo volgere di tempo e che non fu sempre priva
di contrasti. Fu appunto in seguito a dissensi sorti fra il prevosto
ed il capitolo dell'Ospedale di s. Erasmo e degli altri LL. PP. di
Legnano che il Senato il 27 gennaio 1672 emise una sentenza (1),
contro la quale ricorsero i nobili del luogo, ed in un successivo
decreto del 22 marzo dello stesso anno stabilì che il priore nelle
deliberazioni capitolari avesse due voti, mentre uno solo veniva
concesso al vicepriore ed al prevosto, che interveniva alle sedute
in qualità d’assistente apostolico prendendo posto tra il priore
stesso ed il luogotenente regio. Il priore doveva essere eletto per
votì segreti e durare in carica un anno: gli atti del luogo pio si
sarebbero custuditi « sub duplice clave diversae tamen formae inter
« ipsas, quarum una sit penes R.dum Praepositum et altera penes
« Priorem ». Il capitolo continuò così a funzionare sino al 1784 e
cioè sino alla sua soppressione avvenuta in seguito all’istituzione
della»R. Giunta delle Pie Fondazioni, che affidò l’amministrazione
del nostro Ospizio al prevosto, coadiuvato da elementi locali, che
la tenne sino al 1791, anno in cui vennero ripristinati i soppressi
capitoli dei LL. PP. (2). Il ricostituito capitolo (3) non ebbe però
vita lunga poichè nel 1807, fondate le Congregazioni di Carità, dovette cedere il posto a quella eretta in luogo; ma, soppressa essa
pure nel 1825, fu nominato un amministratore stipendiato, che rimase alla testa dell’antica istituzione caritativa fin che, ristabilita la
Congregazione di Carità nel 1862, quest’ultima ne assunse il governo, che mantiene tuttora.
Nelle Memorie del Pizzi sopraricordate, compilate verso il 1630,
è detto che nell’Ospizio di S. Erasmo « vivono alcuni poveri vec-
« chi, quali siano della terra huomini et donne vivendo separata-
« mente »: più tardi l’assistenza fu limitata alle sole donne, che
(1) E’ stampata e conservata nell’AOM, loc. cif. - Cfr. pure ASM, Senato.
(2) ASM, Governo, p. ant., Luoghi Pii, Legnano, busta 798.
(3) Il capitolo, composto dal prevosto locale e da sei deputati con scadenza
quadriennale, era presieduto da un priore ed amministrava, oltre 1’ Ospizio di
S. Erasmo, gli altri LL. PP. e la Collegiata di S. Magno. Cfr. ASCM, Vocalità
foresi, Legnano, busta 888.
826 VARIETA
in numero di una dozzina o poco più vennero costantemente ospitate nel ricovero, come appare dalla serie dei bilanci della benefica
istituzione (1). In un memoriale del 5 marzo t778 diretto al conte
di Firmian si afferma che le vecchie ricoverate nell’Ospizio erano
provvedute di pane, vino, riso, legumi, sale, olio e legna e qualche
volta all’anno di uùn po'di carne e che nelle festività di Natale
e di s. Erasmo avevano « qualche piciola galanteria »: dovevano
però all’atto dell'ammissione fornirsi del letto e del corredo occorrente: trattamento invero non troppo lauto, che le rendite ristrette
del luogo pio crediamo non abbiano ancora consentito di migliorare sensibilmente (2). Ma accanto all’assistenza alla vecchiaia un’altra forma di istituzione benefica s’era venuta sviluppando: per antica consuetudine, che alcuno vorrebbe far risalire alla fine del
secolo XVI (3), l’Ospizio di S. Erasmo, destinato al soccorso dell’ultima età della vita, si fece raccoglitore dell’ età primissima abbandonata da parenti inumani. Nelle Memtorse del Pozzi, più volte
citate, si legge che alla porta dell’Ospizio « si vede una finestrella
« quale altre volte era cancellata con alcune asse nella quale si
« ponevano gli figliuoli piccoli che da altre parti venivano man-
« dati al venerando hospitale; si esponevano perchè non si sapeva
« il nome etsi occultavano gli errori di alcuno ». Esisteva insomma
a Legnano una specie di torno, al quale venivano affidati tanti poveri infanti, provenienti anche da paesi lontani e persino dalla
Svizzera, che a cura e spesa dell’Ospizio erano inviati a Milano
alla Pia Casa di S. Catterina alla Ruota, come risulta dai registri
di quell’istituto a datare dal 1659 (4). L’uso durò a lungo ed
(1) ASM, loc. cit.
(2) Nel 1798 le tredici vecchie ospitate in S. Erasmo percepivano una diaria
di sette soldi, come risulta da una notifica della Deputazione all’Estimo di Legnano diretta all’Amministrazione Centrale del Verbano il 9 termidoro, anno VI
Repubblicano in ASCM, /oc. cit. La Delegazione Provinciale nel 1851, su richiesta
dell’ amministrazione dell’ Ospizio, concedeva poi alle ricoverate il combustibile
nella stagione invernale e l’uso d'un servo per attingere acqua. Cfr. la nota II settembre in ArcHIvio DELLA CONGREGAZIONE DI CARITÀ DÌ LEGNANO, loc. cif.
(3) Il Fasi nella Corografia d’Italia, Milano, 1854, II, p. 258 accenna al
1° ottobre 1595 come a data d'inizio dell'uso d'esporre i figli abbandonati all’Ospizio di S. Erasmo, ma non porta le ragioni che l’inducono a precisare
tale epoca.
(4) ASM, Delegazione Provinciale, Beneficenza, Comuni, Legnano, busta 510,
nota 11 luglio 1833 del direttore dell'Ospedale e LL. PP. Uniti di Milano all'I. R. Delegazione.
(O ogle —
VARIETÀ 827
il Buffini (1), dirigente della Pia Casa suddetta, così ne parlava
‘nel 1844: « Di notte colpi di sasso alla porta del chiuso ricovero
«-avvertivano che un disumano depositava un infelice. Accorrevano
le vecchie, destate tosto o tardi dal rumore, raccoglievano l’esposto e nel vegnente giorno l’amministratore lo spediva ai più opportuni asili in Milano. L’espositore per lo più si rimaneva in
aguato o si involava tosto che si accorgeva che le buone vecchie avevano raccolto il suo abbandonato ». L’ abuso purtroppo
sì prolungò sino alla soppressione del torno e l’autorità provinciale,
dalla quale dipendeva e dipende tuttora il servizio degli esposti,
così ne moveva lamento: « A Legnano..... non si potè ancora sra-
« dicare affatto la cattiva abitudine di esporre i bambini sulla so-
« glia del Luogo Pio di S. Erasmo: epperò non si è mancato di
« riferirne alle competenti Autorità, che ebbero in qualche caso a
provvedere » (2).
ff nra x o
Ma che rimane ora del vetusto ricovero? Una modesta chiesetta dedicata al santo protettore, che serve ora di cappella al contiguo Ospedale Civico, nella quale si conserva una bella pala d’altare attribuita a Benvenuto Tisi detto il Garofalo ed un umile ed
ampio camerone terreno, dove conducono la loro grama esistenza
alcune vecchiette, che al visitatore additano con compiacenza lo
sbiadito ritratto del creduto fondatore del loro ospizio, di colui,
che
“ .... primo fecit pulsari campanas ad Ave Maria , (3)
e che nello squallore del povero ambiente sta ancora come il genius
(1) Op. e loc. cit.
(2) Cfr. Grurmi G., Sul? andamento e sulla riforma della Pia Casa degli
Esposti e delle Partorienti a S. Catterina alla Ruota negli anni 1867-68. Relazione
al Consiglio Provinciale, Milano, 1868, p. 6-7. Con compiacenza chi scrive ricorda l'opera del compianto suo genitore intesa a far scomparire l’uso disumano
del torno. Cfr. in proposito E. Porro, Gli esposti, conferenza tenuta il 9 marzo
1890, Milano, 1890, p. 8.
(3) Cfr. Giulini, Memorie, to. VIII, p. 439.
828 VARIETÀ
loci a rimpiangere col poeta la lenta, continua decadenza dell’ospizio
tanto prediletto :
LES +. * Ah, i miei malati
Non vi son più. Tutto declina, o figlio
In quel che resta dell’Ospizio a pena
Qualche cadente vecchierella; e il mio
Santo e l’opera buona ed il martirio
Lava la pioggia e discolora il sole , (tr).
ALESSANDRO GIULINI.
DOCUMENTO.
ASM, Luoghi Pit, Legnano, busta 198. =
Mcccevigesimoprimo, die decimo iunii, indictione quartadecima.
Egregii viri domini magistri intratarum illustrissimi et excellentissimi,
domini ducis Mediolani etc. Papie Anglerieque comitis, attendentes
continentiam mandati alias facti et concessi magistro, fratribus et
pauperibus hospitalis Sancti Arasmi de burgo Legnani ducatus Mediclani continentia subsequentis videlicet:
Mcccevii die nono decembris, Soectabiles et egregii viri domini
magistri intratarum nostri illustrissimi principis ct excellentissimi domini domini ducis Mediolani etc. et refferendarius curie prefati domini et comunis Mediolani, receptis litteris prefati illustrissimi domini
nostri eisdem dominis magistris et refferendario ad supplicationem
magistri et fratrum hospitalis Sancti Erasmi burgi de Legnano ducatus Mediolani emanatis. in effettu continentibus quod prefati domini
magistri et refferendarius, visis litteris immunitatis ed exemptionis
dictis supplicantibus factis et de quibus in eorum supplicatione fit
mentio, taliter provideant quod littere immunitatis et exemptionis praetacte observentur effectualiter. ipsique snpplicantes contra earum dispositionem et formam nullatenus molestentur etc. prout in dictis litteris
Mediolani datis die decimo novembris proxime preteriti seriosius cone
tinetur, et qui in executione dictarum litterarum diligenter viderunt et
examinaverunt litteras immunitatis magistri et fratrum predictorum
eisdem per illustrissimum dominum dominum nostrum ducem conces-
(1) Cfr. T. Massarani, Grandi e piccole storie, Milano, 1876, p. 40.
Go ogle _
VARIETÀ — 829
sas eius vero sigillo pendenti munitas signatasque hoc nomine Bernardus, tenoris huiusmodi videlicet:
Dux Mediolani etc. Propter devotionem quam beato Erasmo gerimus volentes Aluysium Capram magistrum hospitalis Santi krasmi
de Legnian. necnon fratres et hospitale predictum favorabiliter et benigne tractare concessas eis per felicissime recordationis quondam dominos progenitores nostros peroptime inemorie quondam dominam
Blancham de Sabaudia mitam nostram immunitatis et exemptionis litteras confirmantes maxime considerata paupertate et extremitate in
quibus constitutum est idem hospitale passum varias hostiles predationes raptus et descrimina multa propter que ad nichilum est reductum, tenore presentium pro eiusdem hospitalis reparatione dictos magistrum fratres et mulinarios et fictabiles quoscumque et hospitale pre-
.dictum ab omnibus et singulis taleis oneribus ac datiis et pedagiis impositis et imponendis usque ad nostrum. beneplacitum de novo exhimimus absolvimus et liberamus, volentes etiam quod dicti fratres et mu-
.linarius deputatus ad molandinum dicti hospitalis territori Legniani per
aliquos offitiales victualium vel mensurarum non possint quovismoudo
usque ad.nostrum beneplacitum molestari nec inquietari, mandantes
refferendario nostro Mediolani necnon quibuscumque rectoribus vicariis et offitialibus nostris ad quos spectat et spectare poterit in futurum quatenus predictos magistrum et fratres ac molinarium nec»
non fictabiles et hospitale predictos favorabiliter pertractantes ipsos
contra formam presentem litterarum nostrarum non niolestent nec permittant quemodolibet molestari. In quorum testimonium presentes fierì
iuvimus nostrique sigilli apensione muniri. Datuin Mediolani, die xciri
decembris mccccv, quartadecima indictione. Bernardus.
Visis etiam per prefatos dominos magistros et refferendarium
datis et capitulatis incantuum civitatis et ducatus Mediolani quibus expresse cavetur sicut in incantibus hactenus factis hospitale predictum
fuit et est a solutione datiorum reservatum et etiam expresse declaratum litteras predictas fore observandas, idcircho in executione omnium
premissorum prefati domini magistri et refferendarius precipiendo mandant universis et singulis offitialibus rectoribus et exactoribus prefati illustrissimi domini domini nostri et ducis et comunis Mediolani presentibus et futuris et necnon datiariis, pedagiariis eorumque sociis
nuntiis et offitialibus et consulibus comunitatibus et hominibus burgi
Legnani et aliorum locorum quibuscumquce ad quos spectat et in futurum spectabit quomodolibet ac offitialibus victualium vel mensurarum
presentibus et futuris quatemus litteras predictas observantes et observari facientes inviolabiliter et cum effectu dictos magistrum fratres hospitale eorumque fictabiles et mulinarium pro aliquibus taleis oneribus
datiis et pedagiis quoquomodo impositis et de cetero imponendis nullatenus molestent nec molestari faciant nec permittant sub penna florenorum quinquaginta pro quolibet contrafaciente et qualibet vice camere prefati illustrissimi domini nostri applicandorum et omnem no
830 LI VARIETÀ
vitatem et molestiam contra ipsos magistrum fratres hospitale fictabiles
et mulinarium nec aliquem eorum fictabilium premissorum occaxione
penitus revocent et revocari faciant sub eadem pena libere et absque
ulla prestatione pecunie. Ego Ambrosius Bossius cancellarius offitii intratarum presens mandatum alias manu dominorum magistrorun
intratarum et refferendarii curie signatum a prima nota iterum extrahi
feci et me subscripsi. Harum tenore approbantes et confirmantes de
novo suprascriptum mandatum ac omnia et singula suprascripta in eo
contenta precipiendo mandant quibuscumque offitialibus prefati domini
necnon datiariis pedagiariis eorumque sociis et offitialibus consulibus
comunitatibus et hominibus suprascripti burgi Legniani ac quorumcumque aliorum locorum quibus spectet et etiam offitialibus victualium
et mensurarum presentibus et futuris omnibusque aliis quibus spectet
et spectare possit quomodolibet in futurum quatenus presens mandatum
et omnia et singula in eo contenta et descripta prout iacent ad litteram
observent et faciant inviolabiliter observari nec contra ea aliquod attentare presumant sub penna cuilibet contrafacienti superius contenta.
Ego Paulus de Gusperis cancellarius offitii intratarum suprascriptum
mandatum de mandato prefatorum dominorum magistrorum per alium
scribi feci er subscripsi in testimonium premissorum. Ego Franciscus
de Grassis notarius offitii refferendarii domini et comunis extraxi predictas litteras cum mandatis a quadam copia existente ad predictum
offitium in quadam filza in qua sunt diverse littere ducales diversis temporibus facte et concesse, et hoc de mandatu spettabilium dominorum
regulatoris et magistrorum et in fidem premissorum subscripsi.
-
VARIETA 831
Appunti su Lorenzo Binaghi architetto.
ya] epistolario, quasi interamente autografo, del venerabile
Bascapè, da quando nel 1593 cessò di essere Generale
dei Barnabiti per passare al governo della chiesa novarese, fino alla morte avvenuta nel 1615 si conserva in
ventisei volumi 1 folio nell’archivio di S. Carlo a’ Catinari in Roma; e sesi avesse la pazienza e l’agio di leggerlo, offrirebbe, non
ne dubitiamo, notizie curiose, spesso importanti e affatto ignorate.
Una di queste ce la presenta una lettera del primo volume
diretta dal Bascapè al P. D. Lorenzo Binaghi da Cremona, ai 14
di aprile del 1593, quando cioè non aveva ancora fatto il suo ingresso nella chiesa affidatagli. Per quanto in quei giorni fosse oppresso da occupazioni e da pensieri gravi, come facilmente si può
immaginare, il neo-vescovo non perdeva dì vista il suo progetto di
ripubblicare gli Att: des Concili provinciali tenuti sotto il governo
di S. Carlo Borromeo, progetto che egli aveva sostituito all’ altro
di ripubblicare gli Acta Ecclessae Mediolanensis, non appena aveva
saputo che il cardinale Federico Borromeo n’aveva dato l’incarico ad altri (1).
(1) Lo seppe il 26 dicembre 1592: scrivendo egli al vicario generale di Milano mons. Bernardino Mora in un poscrizto d’una sua lettera: « Ho avvertito
« hora nella lettera di V. S., dove mi dice che il Sig. Card. Borromeo ha man-
« dato cose per l’Acta, che forse tratta qui di questo con altri o piuttosto altri
« con S.S. Ill. e mi ricordo che a’ giorni passati mi fu detto, che una del Card.
« di Sans (Sens) parlava qui di tal stampa. Io affermo a V. S. che io proposi il
« negozio da me per servizio di Dio senza sspere altro, e se io vedrò che altri
« voglia fare, e dire, me ne ritirerò presto ». E così fece e si osservi che aveva
già fondate speranze che le sue pubblicazioni sarebbero fatte d'ordine del pontefice dallo stampatore vaticano e aveva ottenuto un breve in lode di s. Carlo
da collocare in principio della raccolta (lett. al Mora del 21 novembre 1592). Gli
Acta eran stati pubblicati nel 1582, ma l’edizione era omai da tempo esaurita.
832 VARIETÀ |
Scriveva dunque al P. Binaghi: « M. R. Padre; Pax Christi.
« Con questa saluto V. R. e le do nuova di me che sono arrivato
« qua sano per gratia del Signore con la compagnia et insieme la
« prego di attendere a quell’opera della fabbrica ecc.°8 acciocchè
« la Chiesa possa sentirne giovamento che non sarà poco; et avi-
« sarmi del progresso. Anche, mi raccomando alle sue orationi et
« priego dal Sig."e larghe beneditioni. Da Cremona il 14 d’aprile
« 1593 ” (1). Anzitutto conviene qui richiamare chi fosse il destinatario di
questa lettera. Era un religioso barnabita che ha un nome non
disprezzabile nella storia dell’architettura italiana, sebbene gli scrittori nostri lo passino quasi inosservato (2), quando non lo confondano con Lorenzo Biffi facendone, senza dircene la ragione, una
persona sola, mentre di fatto sono due persone distinte (3).
Era il Binaghi milanese, figlio di Francesco mercante di panni
(mercatoris pannorum laneorum); a diciotto anni compiuti fu ricevuto nella Congregazione dei Barnabiti dal padre Gian Pietro Besozzi, generale, il 4 dicembre 1572 e prese l’abito religioso il dì 25
successivo. Fece la sua professione dei voti il 2 luglio 1574 e fu
ordinato prete per mano di S. Carlo Borromeo il 24 settembre
(1) Lettere di mons. Bascafè, to. I, n. 192.
(2) Ne parlano tuttavia il MazzuCcHELLI, l’ARGELATI, che non sono però
scrittori di storia dell’arte, il FERRARI (Della fabbrica delle chiese, Milano, 1804)
il MaLacuzzi-VaLERrI, Milano (Italia artistica) II, p. 110-112 e inoltre gli scrittori barnabiti. Del Binaghi parlano invece con grande stima il GURLITT (Geschichte des Barockstiles in Italien, Stuttgart, 1887, p. 146-8; il DoHME in /abrbuch
d. k. preuss. Kunstsammlung, IIl (1882), p. 124-125. Molti materiali per la biografia del Binaghi aveva raccolto il padre Angelo M. Cortenovis, ma andarono
perduti; nel Nuovo Giornale de’ Letterati di Modena (to. X, 1776, p. 269) si citano « Le vite del P. D. Lorenzo Binago e del P. D. Gio. Ambrogio Mazzenta,
due celebri architetti barnabiti » scritte da PaoLo ONnOFRIO BRANDA, ma non è
stato possibile a me di rintracciarle.
(3) Se ben mi ricordo tra le memorie del cinquecento o del seicento mi
sono imbattuto in un padre Lorenzo Biffi. Poichè solevasi molte volte omettere
il cognome e dirc p. es. don Lorenzo barnabita per dire il Binaghi, avvenne l’equivoco di confonder questo con il padre Lorenzo Biffi che non ricordo di quale ordine
fosse, ma non era certo barnabita. Nell’ equivoco, tanto comune, cadde pure il
padre Galli, barnabita, nella sua monografia sopra la chiesa di s. Alessandro (Milano, 1887).
=
VARIETÀ 833
1578 (1). Cultore appassionatissimo di architettura e di merito non
inferiore al suo confratello e concittadino padre Ambrogio Mazenta (2), fu adoperato continuamente dai superiori per le chiese e i
collegi della Congregazione, che era allora in un periodo di vivo
sviluppo. A Milano il Binaghi lasciò una insigne testimonianza del
suo valore nella chiesa di S. Alessandro che si deve a lui, togliendone però la brutta facciata, opera assai posteriore. Sul padre Binaghi ho tentato di richiamare l’attenzione degli studiosi pubblicando or non è molto una lunga lettera a lui diretta a proposito
della benedizione della prima pietra di S. Carlo a’ Catinari (3) e
poco dopo una lettera sua sopra il culto di S. Carlo Borromeo in
Milano e dirette al beato Giovenale Ancina vescovo di Saluzzo (4).
Ma torniamo ora alle lettere del ven. Bascapè. Dalla prima che
abbiamo riportato rilevasi che un’opera di architettura ecclesiastica
era già stata affidata al padre Binaghi, il quale in allora, come si
vedrà, trovavasi a Zagarolo, dove i Barnabiti stavano erigendo un
nuovo collegio. Un’ altra lettera diretta allo stesso Padre scriveva
il Bascapè alcuni mesi più tardi e questa ci dà nuova luce sopra
il desiderio del vescovo e del compito del confratello architetto:
« Molto R. P. Pax Vobis. V. R.tià m’ha dato molto gusto con
« la sua, sì per la nuova che mi dà di Lei, et sì per l'aviso di at-
« tendere tuttavia a quell’opera della fabbrica et suppellettile ecc.ca
« et con tale autorità. Quanto ai modi di farla mi rimetto a Lei et
« a quei S."i della Congregatione, col qual fine mi racc.9° molto alle
« sue orationi, et le priego dal Sig. abondanza di spirito. Di Va-
« rallo. 25 settembre 1593 » (5).
Qui dunque possiamo affermare che il titolo dell’opera cui at-
(1) Queste notizie le ricaviamo dal Libro degli stati personali ms. dell’archivio di s. Carlo a’ Catinari. Nell'archivio di s. Barnaba a Milano conservasi
l'autografo della professione, da cui risulta ch'egli la emise a Cremona nel collegio di s. Giacomo nelle mani del padre Francesco Cairo, a ciò delegato dal
padre generale Omodei.
(2) Di questo, come del padre Binaghi, ho parlato recentemente nella mia
Storia di Barnabiti nel Cinquecento, Roma, 1913, p. 375-377. Qui mi piace ricordare la monografiia di Aldo Foratti, L'architetto G. A. Magentu a Bologna,
Modena, 1912. Di lui parlo anche per le relazioni che ebbe con Guido Reni in
un opuscoletto dal titolo: Guido Reni e i Barnabiti, Roma, 1914.
(3) La posa della prima pietra della chiesa di s. Carlo a’ Catinari, Roma, 1912,
(4) Il culto di S. Carlo a Milano nel 1603, Roma, 1913.
(5) Lettere, ecc., to. I, n. 245. |
(O ogle
834 VARIETÀ
tendeva il Binaghi era: Della fabbrica e suppellettile ecclesiastica,
lo stesso titolo che ha un’ appendice agli Acta Ecclesiae Mediolanensis. De fabrica et suppellectili ecclessastica. Notiamo ancora che
se prima l’incarico era stato dato al padre Binaghi dal padre Bascapè, come suo superiore generale, ora, a quel clie sembra, l’incarico gli era stato confermato dalla Congregazione romana dei
Riti (con tale autorità e quei signori della Congregastone, e siamo
in materia di liturgia).
Pienamente d’accordo sopra la opportunità di pubblicare dapprima gli Acta, ed ora i Concili provinciali era l’amico intimo del
Bascapè, monsignor Lodovico Torres, arcivescovo di Monreale.
Anche questo « veramente raro prelato » (1) come lo qualifica il
Bascapè; l’idea di pensare al trattato De fabbrica et de suppellectili
ecclesiastica gli era subito entrata, giudicandola una appendice quasi
indispensabile per l’edizione progettata dei concili milanesi. ll Bascapè ad una lettera di lui della quale ci spiace di ignorare precisamente il contenuto, rispondeva in questi termini (2): « Ill, mo et R,mo
« Sig. mio nel Sig. osserv.mo.... La fatica che V. S. Ill.ma essorta
« a fare intorno al libro della fabbrica ecc.°8 lasciai in mano ad
« uno dei Padri nostri che ora sta a Zagaruolo; et secondo che
« mi scrive, va tuttavia lavorando. Credo bene che haverà bisogno
« dell’aiuto et favore di V. S. ]ll,ma per la spesa dell’intagliare e
« stampare le figure, però all’incontro raccomando a lei il negotio
« acciocchè tutti godiamo il frutto di così utile fatica riconoscen-
« dolo ancora dalla sua mano, e veramente io non farò poco a
« dare il libro dei Concilii provinciali incorporati insieme e ciò
« con l'aiuto d’un buon prete nel quale ho trovato molta attitudine
« in questo. Dall’Isola (di S. Giulio) ai 10 d’ott. 1593 » (3).
Nuova luce nell’incombenza data al padre Binaghi e da questo
accettata: trattasi di accompagnare il testo di intagli e di figure,
cosa per la quale ci vorranno dei buoni danari, e il Bascapè, con
la confidenza che l’amicizia suggerisce, invita il degno arcivescovo
di Monreale a concòrrervi, mentre non manca di far notare la nobiltà dell'impresa e quanta fatica egli stesso, il Bascapè, siasi addossata. Ciò che non si arriva a conoscere bene sì è qui il compito
(1) Lettera 26 dicembre 1592 a mons. Mora.
(2) Lettere, ecc., to. I, n. 302.
(3) Era questi don Domenico Zucchinetti di Suno, già stato al servizio di
s. Carlo. Laureatosi in legge a Pavia, fu parroco di Trecate, poi di Pernate e
finalmente fu scelto dal Bascapè come suo cancelliere,
VARIETÀ 835
del padre Binaghi. Doveva egli stendere un libro nuovo oppure
semplicemente illustrare con figure il libro De fabrica et suppellectili
ecclesiastica già comparso alla stampa e inserito negli Acta Ecclesiae Medsolanensis?
Lasciando per ora da un canto tale questione, non si sa per
quali motivi l’opera vagheggiata dal Bascapè incominciò a soffrire
qualche contradizione. « Mi rincresce poi, scriveva egli il 2 feb-
« braio 1594 al P. Binaghi che quei Sig.ri (della Congregazione) si
« siano raffreddati per conto di quell’opera. Però la R. V. non resti
« di seguitar la fatica che un giorno verrà occasione di far qual-
« che cosa » (1). D'altra parte non mancava chi accusava il Bascapè di ritardare troppo quella pubblicazione. « Se, scriveva egli
« al padre Dossena, procuratore generale, quando io sto per comin-
« ciare quasi a stampare, mi mandano via e mi dànno un negozio
« di tanto intrico, che ne posso io? Il libro è fatto et me lo stra-
« scino dietro per tutto: nè trovo tempo di rivederlo et raccomo-
« darlo. Non perderò tempo, piuttosto lo ruberò, se tanto mi si
« minaccia. Ma V. R. può dire al Sig." Abbate che l’haverà in per-
« fettione da Mons. Arcivescovo (2), il quale intendendo ch’io ero
« per dar fuori una tale opera, ha messo mano ancor esso ad una
« simile, dicendo che tocca a lui, et credo forse che sia quella che
« già lavorava il Card. di b. m.: sto pure a vedere se potessi scan-
« sare questa fatica e spesa; ma dubito assai che non mi voglia
« tor questa prerogativa. 24 febbraio 1594 » (3).-
Sembra però che quel progetto dell’arcivescovo Visconti tramontasse assai presso, se mai era stato formalmente fatto. C'è motivo a credere che si trattasse piuttosto di una minaccia suggerita
dal timore di vedere violato il proprio diritto. Al Bascapè riuscì
facile far constatare che questo diritto non esisteva affatto e d'’altronde a Milano Gian Paolo Clerici, rettore degli Oblati al Collegio
Elvetico, a cui era stata commessa la ristampa degli Acta (4) non
(1) Lettere, ecc., to. II, p. 76.
(2) Gaspare Visconti, che fu arcivescovo di Milano dal 1584 al 1595 in
cui morì.
(3) Lettere ecc., to. II, p. 140.
(4) Mons. Ratti nella sua edizione degli Acta Eccl. Mediolanensis (Milano,
1890, vol. III) ricava dalle scritture della Congregazione degli Oblati questo tratto: « 1594 die 21 Januarii. Mandata est cura M. R. D. Preposti, S. Sepulchri
« cum aliis viris peritis reducendi ad unum corpus omnia Concilia provincialia ».
Il preposto di S. Sepolcro era allora don Giulio Cesare Bonomi; può darsi che,
LO ogle
836 VARIETÀ
mostrava di avere l’attività del Bascapè e del canonico Zucchinetti,
suo factotum nella edizione dei Concili. Rassicuratosi per questa
parte, nel maggio del medesimo anno 1594 scriveva il Bascapè al
padre rettore dei Gesuiti di Venezia perchè volesse scegliere uno
stampatore e iniziasse le prime trattative (1). Quel padre incaricava
d’ogni cosa il padre Gabriele Bisciuoli, al quale il Bascapè, dopo
avere esternato la sua gratitudine ed alcuni suoi desideri circa il
modo di stampare quel libro, così scriveva: « Fra dieci giorni man-
« derò l’opera de fab.°8 ecc.°® già stampata ». Lo stesso annunzio
dava al padre inquisitore di Venezia più tardi con lettera del 19
ottobre: « Mandai già più mesi a Venetia in mano de’ R. Padri del
« Giesù una compilazione fatta dei Concili provinciali di Milano, et
« d’un libro de fabrica ecc.°® opera pure del medesimo m.° (maestro)
« che fu il Card.le di S, Prassede, perchè si stampasse, et perchè
« mi scrivono quei Padri che ancora l’ha nelle mani V. P.tà per
come opina, il Ratti al rettore Gian Paolo Clerici spettasse poi la parte più importante di quella pubblicazione, ma questa ben presto ad ogni modo fu tralasciata e il Clerici continuò ad occuparsi dell'edizione degli Acta.
(1) Sarà forse interessante leggere questa lettera del 28 maggio in cui il
Bascapè determina con una diligenza grande tutto quanto desiderava perchè la
pubblicazione riuscisse interamente decorosa e pratica. e Il Card. di S. Prassede
di b. mem. ha celebrato nel corso del suo arcivescovado sei concili provinciali, et così ha lasciati sei volumi di decreti. Di questi horamai non se ne
trova più alle librerie, per il grande spaccio che hanno havuto da forestieri et
anco così separati riescono incommodi a trovarvi dentro ciò che si cerca, dovendo cercare in sei indici. Hora qui s'è fatta una fatica che rimedierà ad
ambedue le incommodità, si sono ridotti tutti in un corpo mettendo ciascuna
materia medesima di tutti sei in un sol capo, con aggiungervi un copioso indice commune et desidero per la necessità di questa mia chiesa et di tutta la
provincia, et per commodo et utile di tanti stranieri che ricercano questo lume
di governo ecclesiastico, fare stampare l’opra et per celerità farlo in cotesta città
di Venetia, dove manderò ancora huomo a posta per correggere et guidare
bene l’opera, ma ho voluto prima scriverne a V. R. pregandola per carità a
« volere trattare di questo con qualche stampatore, ecc. I libri così separati sono
« da sei cento carte in ottavo, ma hora vorrei che si stampassero in quarto ».
(Lettere, ecc., to. II, p. 348).
Nel settembre rinasceva la speranza di poter stampare illustrata da figure
l’opera sulla fabbrica « Ho inteso, scriveva D. Bascapè al P. Dossena il r0 set-
« tembre, con molto gusto che codesti Signori pensino vivamente ad abbellire
« et illustrare con disegni et figure quella buona operetta dell'istruzione della
« fabb.ica.... ». Lettere, ecc., to. III, p. 166, ma in realtà non si fece nulla.
LI
a RA
Go ogle ori
VARIETA 837
rivedere, vengo con questa a pregarla, che voglia farmi gratia
di dare la licenza di stampare tal volume poichè io le fo’ ampia
testimonianza che non contiene altro che i detti libri ridotti in
un corpo, ì quai libri V. P.tà può assicurarsi che sono già stampati più volte et furono approbati prima et politi con cento lime,
et hora sono ricercati come cosa elettissima da tutti i buoni prelati ancora dalle provincie lontanissime; et è già molto tempo
ch’io sono sollecitato a fare stampare tale opera da Cardinali
et altri prelati, et posso quasi dire da S. Sta stessa, et del favore etc. » (1), A Roma infatti si era impazienti di veder comparire quell’opera e al Bascapè non restava altro che dimostrare
che il ritardo non dipendeva affatto da lui (2).
Il lettore avrà notato che in questa lettera al padre inquisitore
parlando del libro de fabrica ecclesiastica, egli dice d’averlo mandato
già stampato, meglio in una copia a stampa, segno evidente, ci
pare, che il lavoro del padre Binaghi nel 1593 non era quello di
‘scriverlo, ma solo di illustrarlo con figure.
Mentre a Venezia l'opera subiva un ingiustificato ritardo per
colpa dell’inquisitore, a Milano tornava in campo un’accusa contro
il vescovo Bascapè quasi che egli con quella pubblicazione andasse
contro alla giurisdizione arcivescovile (3). Una nobilissima lettera
il vescovo di Novara scrisse in quell’occasione all’arcivescovo
Visconti il 10 novembre 1594 (4), una lettera in cui ribattè trionfalmente l’accusa e fece capire in bel modo a certi suoi malevoli,
‘che avevano istruito a loro modo il Visconti, che, a questo mondo,
specie per fare il bene, c'è posto per tutti e che il suo libro non
era tale da rendere inutile gli altri. A sollecitare la pubblicazione
mandò quindi a Venezia lo stesso Zucchinetti, il quale peraltro se
ne tornava dopo poco tempo, convinto che nulla restava a fare
colà, attesa la diligenza del padre Bisciuoli.
La pubblicazione del volume si ebbe soltanto nel 1595; sempre però quattro anni prima di quello degli Acta. Vi troviamo
RrR È & èxRa 2
(1) Lettera, ecc., to. III, p. 225.
(2) « Voi altri da Roma non siete già soliti a spedire le cose così tosto,
‘« onde abbiate da premere tanto adosso agli altri », scriveva il Bascapè al padre
Dossena il 23 maggio 1595. Lettere, ecc., to. IV, p. 267.
(3) Fu anche per questo motivo che il Bascapè dispose che l’opera si pub-
‘blicasse sotto il nome di don Domenico Zucchinetti.
(4) È riferita dal padre Manzini sulla sua monografia S.Carlo e il ven. Ba-
.scapè (Monza, 1910) a p. 88-89.
54
838 VARIETÀ
l’operetta De fabrica et suppellectili ecclesiastica. E le incisioni del
Binaghi? non vi compaiono affatto; unica incisione è quella del
cubito, ma è una incisione che troviamo nell’edizione precedente
degli Acta Ecclesiae Mediolanensis, dove troviamo l’operetta stessa
de fabrica et de suppellectili ecclesiastica. Noi non crediamo che il
Binaghi non avesse il tempo per preparare i disegni commessigli
dal Bascapè. Il ritardo che la pubblicazione subiva per le ragioni
che abbiamo accennato, gli avrebbero dato tutto il tempo desiderabile per ultimarli. La sola ipotesi che spiega la non esecuzione
delle figure è quindi la mancanza dei mezzi necessari, e la speranza di dare quindi alla pubblicazione dei Concili tutto il compimento di cui era capace, andò fallita. Almeno ci fosse concesso di
vedere ora i disegni preparati dal padre Binaghi per tale scopo,
ma per quante ricerche abbiamo fatte, non ci avvenne di ritrovarli.
— Mentre leggevamo la prima lettera al Binaghi da noi riportata
ci era venuto il sospetto che fosse il Binaghi stesso autore della
scrittura e non il semplice illustratore. Ma se in seguito abbiamo
dovuto limitare così il suo lavoro del 1593, non potrebbe supporsi
ancora che egli lavorasse sopra una antica scrittura sua? Non si
potrebbe supporre ii Binaghi stesso autore dell'operetta De fabrica et
suppellectili ecclessastica? Questa comparve la prima volta nel 1576
e fino ad oggi l’autore di essa è rimasto sconosciuto (1). Ora che
(1) Su questo argomento ecco quanto ebbe a scrivere mons. Ratti nei suoi
Acta Eccl Mediol., vol. III, p. xxIr: « Succedunt Instructiones Fabricae et sup-
« pellectilis ecclesiasticae libri II. Editione principe eaque authentica prodierunt
« ex officina Pacifici Ponti anno 1576; manuscriptas, sed non totas, reperi in
duobus codicibus Archivi ven. Curiae Archiepiscopalis (sect. VII, vol. n. 38
et sect. XIV, vol. n. 84: hic continet quae spectant ad fabricam ecclesiae, ille
nonnulla etiam de suppelléctili cum correctionibus autographicis ipsius Caroli).
Ex his codicibus titulum de manipulo (part. IV, vol. 1560) restituere licuit,
quem omnes editiones omiserunt; nonnullae etiam lectiones emendatae sunt.
Librum primum, de ipsa scilicet ecclesiae fabrica agentem initio huius saeculi
« (XIX) Cardinali Fontana et satis celebri Architecto A. Moraglia hortantibus
« italice vertit Leopoldus Brioschi (LeopoLpo BrioscHi, /nstruzione intorno alle
« fabbriche ecclesiastiche; prima traduzione italiana dalla latina inserita negli atti
« della chiesa milanese, Milano, 1823). Et hic quidem in praefatione sua asserit
« Ludovicum Monetam integros duos libros italice primum conscripsisse quos
« Galesinus in quadam epistola (Arch. Ven. Cur. Arch, lect. XIV, vol. 139 f. 40)
« ad S. Carolum data Mediolani die 18 Julii anni 1577 haec habet: Il libro
« della istruzione va innanzi; ma presto mancherà copia perch'io non ho chi scriva.
« Di poi bisogna sollecitare Monsignore Moneta per far l’instruttione della faR AA
si
VARIETÀ 839
si possa (non dico si debba) attribuirla al padre Binaghi non vediamo che vi sia difficoltà. Il Binaghi nel 1576 era nel suo ventitreesimo anno. Se l’età giovane non lasciava supporre in lui una
grande esperienza, la sua qualità di religioso-architetto lo rendeva
indicatissimo a comporre quelle snsiructiones che giustamente monsignor Magistretti chiamava, non ha molto, un vero codice di prescrizioni pratiche per il modo di edificare chiese per la confezione
degli arredi sacri, prescrizioni così sapienti, che vennero seguite
anche dalla Congregazione romana dei SS. Riti (1). Nel numeroso
seguito del santo cardinale Borromeo non facevan certo difetto
persone competentissime in fatto di liturgia, ma per trattare convenientemente di fabbriche ecclesiastiche bisognava essere in pari
tempo intendenti di architettura. Bisogna poi osservare che se egli
entrò nella Congregazione dei Barnabiti a diciotto anni compiuti,
l'architettura dovette averla appresa dalla prima sua giovinezza e
quin.ii a ventitre anni poteva avere dell’arte una esperienza non
trascurabile. Si noti ancora che il Bascapè nella lettera che abbiamo citato non fa mai il nome dell’autore di quest’operetta. C’è
un lavoro ch'egli vuole si faccia attorno ad essa: la illustrazione
con figure, ed egli vuole che questo lavoro sia fatto dal padre Binaghi; non è naturale il pensare ch’egli chiamasse l’autore stesso
a perfezionare l’opera sua?
Torniamo a ripetere, non osiamo dare come certa questa soluzione suggeritaci dalle lettere del Bascapè; ci limitiamo a dire
che essa non incontra serie obbiezioni e le circostanze che si possono ricordare per appoggiarla, la rendono molto probabile.
L’ Argelati (2) e il Mazzuchelli (3) pongono il padre Lorenzo
Binaghi nel catalogo degli scrittori, ma non si sa bene per quale
ragione, chè non lo fanno in realtà autore di alcuna scrittura, ma
soltanto di disegni per chiese ed altri edifici, Eppure egli real-
« brica del monastero delle monache perchè horamai si è al fine del primo libro.
e Et revera caput XXXIII et ultimum libri I inscribitur: De monasterio monialium:
« utrum autem Ludovicum Monetam totum opus et quidem italice conscripsisse
« hinc concludere liceat, an potius dicendum sit, eum utpote cui monialium cura
« fuerat demandata solam instructionem de monialium monasterio scripsisse, mihi
« non constat. Certo codices a me reperti latine sunt conscripti, nec scriptura
« sive textus sive correctionum, Galesino aut Monetae tribui posse videtur ».
(1) V. S. Carlo Borromeo nel INI Cent.. ecc., p. 429.
(2) Bibl. script. med., to. III, parte II, col, 167.
(3) Scrittori d’Italia, to. II, parte II, p. 1233.
840 VARIETÀ
mente, ora almeno, può dirsi scrittore perchè ha alle stampe un suo
Discorso intorno alla ricostruzione del duomo-di Brescia per cura
dello Zamboni nelle sue Memorte intorno alle pubbliche fabbriche
più insigni della città di Brescia, pubblicate in Brescia nel 1778 (1).
Prima che qui noi lo riportiamo sia perchè da moltissimi ignorato,
e sia perchè può servire a darci un concetto di ciò che voleva il
Binaghi si osservasse in tema di fabbriche ecclesiastiche, occorre,
sulla scorta dello Zamboni, raccontare come il Binaghi si sia interessato di quella cattedrale.
Il vescovo dl Brescia Marino Giorgi e il consiglio della città
avevano d’accordo nel 1599 determinato di aprire un concorso per
la progettata riedificazione. Tra i concorrenti troviamo il cav. Giovanbattista Trotto, cremonese, detto il Molosso e alcuni architetti
bresciani, cioè Pier Maria Bagnatore, Gio. Antonio Avanzo e Gianbattista Lantana. Nel 1603 il disegno di quest’ultimo riportò vittoria e fu, con lievi correzioni di Lelio Bazzo, milanese, accettato
nell’anno successivo. Ai 12 maggio fu posta solennemente la prima
pietra. La fabbrica procedette innanzi fino al 1611 senza difficoltà,
quando, nel maggio, incominciarono. alcune critiche circa la nuova
costruzione, sì proposero nuovi disegni come più degni di essere
eseguiti e tra i censori e i malcontenti primeggiava-lo storico ed
antiquario Ottavio Rossi. Godendo questi un certo credito nella
cittadinanza, la congregazione sopra la fabbrica del Duomo nuovo
decise che senz'altro d’ora innanzi si seguisse il disegno proposto
da Ottavio Rossi, e così si sarebbe fatto, se non avessero altri
protestato chiedendo che si sentisse il parere di intendenti forastieri. Infatti « per concordare i diversi pareri, dice lo Zamboni,
« fu condotto da Milano il P. D. Lorenzo Binago barnabita archi-
« tetto intendentissimo, il quale riprovando il disegno proposto
« dal Rossi, e commendando il primo, lasciò il suo giudizio in una
« scrittura. La Congregazione (della Fabbrica) poi restò tanto per-
« suasa delle ragioni addotte a bocca e nella sua scrittura dal dotto
« Barnabita che, unitasi alla presenza del Vescovo, il dì 22 di mag-
« gio del 1613 deliberò e stabilì che si dovesse continuare la detta
« fabbrica in tutto e per tutto giusta il disegno antico e gli ordini
« di esso R. P. Lorenzo e protestando tutti, che per l'avvenire non
« potesse esser più mutata cosa alcuna importante circa detta Fab-
« brica, se la cosa non fosse deliberata dal magnifico consiglio ge-
(1) Crediamo in piccolissimo numero di esemplari.
na
VARIETÀ 84I
« nerale della Città ». Da una specie di Grornale della Fabbrica
(osserva lo stesso Zamboni) del nuovo Duomo, esistente tra le mani
del signor Giuseppe Biagio, misuratore della Fabbrica medesima,
apparisce chiaramente che essa fu posteriormente continuata a
norma dei consigli del padre Binago, stando in essa registrati quasi
tutti i contratti relativi alla medesima, colla seguente condizione
loro apposta: « giusta i ricordi del P. Lorenzo Binago » (1).
Ed ora ecco il testo del discorso in cui anche questi sì contengono:
Discorso del molto Rev. P. D. Lorenzo Binago, Prete dell’ Ordine dei
Barnabiti di Milano sopra il disegno, e modelli fatti per fare il
Duomo di Brescia.
Acciò si veda la differenza della prima Pianta del Duomo alla seconda, mostreremo le cose seguenti:
I. — La prima Pianta in spazio per il Popolo è in misura di circa
Quadretti 7946.
II. — Riesce spaziosa, meno occupata dalla sodezza e senza nascondigli.
III. — Nelle altezze riesce più svelta, e più sfogata e massime negli archi minori, e nelle Cappelle con architettura più soda e corrente
con i lumi liberi, e senza ingombro deile cornici, e simili oggetti.
IV. — È fabbrica di fattura e spesa moderata per essere le cornici correnti senza lisene fuori che nei membri principali, onde riesce
pià soda e conseguentemente più maestosa.
« V. — Si accomoda questa Pianta con il sito, qual, per quanto com.
porta il corpo della Chiesa è quadrato.
VI — Si accomoda alla Piazza senza restringerla molto, e nel di
fuori compare con bella proporzione, e con proporzionati finimenti in
forma di un Tempio.
VII. — Questa pianta è ripartita sì, ma unita ed uniforme, onde
torna molto comoda per le Processioni, ed altre Funzioni ecclesiastiche,
e per il concorso universale di tutto il Popolo solito farsi alle Chiese
Catedrali Patronali.
VIII — Questa fabbrica ha colonne tonde, che sono il bello delle
Fabbriche, ma in quantità moderata, e non ne desidera più, onde si
scema la spesa, e talmente disposte che formano come un Teatro nella
più bella vista della Fabbrica, e situato in luogo proporzionato, e proprio, talmente, che rendono all’istessa Fabbrica fermezza, leggiadria
e maestà.
(1) Tratto dal Bollettario III della Fabbrica del Duomo.
842 VARIETÀ
IX. — La cupola in questa maniera di Fabbrica è portata da quattro Arconi pari, e proporzionati al peso, e atti a ornarli con sfondati,
o rosoni, che arricchiscono l’opera, e la rendono maestosa, e uscirà fuori
del colmo del tetto in altezza di B. 30. circa tanto che tutta sarà alta
dal piano della Chiesa fin alla maggior sua sommità circa B. 100 e tenendola di collo, e sveltezza moderata. Averà poi di più la lanterna nel
mezzo, che per la sua picciolezza rispetto al resto non occuperà la
vista; e le quattro finestre se gli caveranno nelle quattro parti sopra
i Piloni, come in quella del Gesù in Roma.
X. — La forma è stata osservata da uomini principalissimi in professione d’Architettura, come furon Bramante e Michelangelo in S. Pietro di Roma e Galeazzo /A/essi/ Perugino nella chiesa de’ Sauli in
Genova e Pellegrino ed altri nell’ Escuriale di Spagna, li quali tutti sono
camminati in far le gambe a questi vAti per ripartimento e furtezza, e con
l’istesse proporzioni, cioè con far il sodo di tutto il pilastro la metà del
Diametro degli arconi, eccetto che in quella de’ Sauli ove il Perugino
li ha fatto maggiori, il che la rendono alquanto occupata, ‘ancorchè
per altro conto sia vaghissima, e questa fecero questi Periti giudicando così esser necessario per la perpetuità e fermezza atteso le
larghezze, basse e gran pesi sopraposti.
Quanto alla seconda Pianta.
I. — Questa in ispazio per il Popolo è quadretti 6620 che sono
meno della prima Pianta 1326.
II. — Riesce assai occupata dalli ripieni dei Pilastri, che sono più
in numero.
III. — Nel passar dalla Nave nella Crociera, pare che si passi da
una Chiesa in un’altra, che non è poca sproporzione.
IV. — Riesce lo stesso sito della Chiesa più sminuzzato e segnatamente più ingombrato alla prima vista.
V.— Essendo in forma di croce manca nella parte di entrata prima
della debita proporzione perchè manca delli duoi quadri, che in tal
forma sono di necessità.
VI. — Le cornici per li Rialti delle Colonne corrono spezzatamente, e troppo lisenate e seguentemente con molti errori nel comparto delle mesole, il che fa che l’opera riesca trita, e perde della
sua maestà, e ne cresca la spesa notabilmente, e che le dette Cornici
impediscano i lumi superiori ad esse, atteso anco la grossezza delle
muraglie ove sono situate. E si aggiunge che, perchè gli archi sono
tanto grossi, quanto importa il risalto delle colonne tonde, cagionano
che le volte tra arco ed arco, nelle quali si fanno le spese delle Pitture, e mosaici, restano alla vista di chi entra in Chiesa, per la maggior parte ingombrate, per restar troppo sfondate all’ insuso sopra il
—
VARIETÀ 843
fondo dell’arco. S'aggiunge ancora a questo, che di quattro Archi che
portano la Cupola nella crociera si mangiano l’un l’altro con notabile
deformità dell’architettura, tanto per questo, quanto per la nascita ancora degli Angoli, che vanno tondeggiando per ridursi a portar la Cupola, si aggiunge di più, che li braccj della Croce restano nudi di Colonne che deve pure secondo li buoni architetti accordarsi negli ornamenti con il resto della Fabbrica.
VII. — In lunghezza questa Pianta eccede notabilmente la dimensione del proprio sito, ed occupa assai della Piazza, ed assaissimo
delia scalinata, con diminuire in questo la maestà della Chiesa stessa,
che ricerca Piazza grande.
VIII. — Non torna bene per le Processioni, e per li concorsi pubblici per essere d’una navata sola nè si conviene per far le Processioni
si passi per gli stretti ed inviluppi delle Cappelle, nelle quali talvolta,
mentre dura la Processione, si suole celebrare la Messa.
IX. — L'entrata delle Cappelle minori riescono strette e basse, e
gli Altari troppo sfondati, e sepolti nell’ indietro e seguentemente meno
goduti dal Popolo.
X. — La forma in Croce è bellissima, ecclesiastiea e misteriosa
quando si confaccia e sia possibile di farla, e da principio si cominci
tale da suo piede; ma questa Pianta oltre che non s’accorda con il
sito è rappezzata sopra un disegno fatto in Croce sì ma in altra forma
non tanto ordinaria e si sà da Periti, che cose tali non possono riuscire
in tutte Ie loro Parti perfette, avendosi a fabbricare sopra principio e
forma diversa e non comportandolo la qualità del sito.
In somma al mio giudizio in questa seconda forma si farà più
spesa nella fattura, perchè vi vengono più ripieni, e minuzzerie, e si
averà meno capacità e manco comodità, e splendore, e nel primo si
avrà più comodità, meno spesa nelle fatture e più spaziosità. Così
starà entro ai confini del sito, e si salverà la Piazza, che è ornamento
della Città, e della Chiesa. o
Presupposto dunque, che gl’ill.mi signori si compiacciano di seguir
la prima Pianta, che si accorda con l’incominciato per lume e dell’ opera istessa, e del modo di lavorare daremo le infrascritte avvertenze
con le quali se non si darà in segno in tutto perchè la presenza in
questi negozi è di gran momento, si gioverà pure assai.
I. — Dunque si vedrà di correggere gli errori fatti; e se non
tutti almeno quelli che saranno più correggibili, e che più importano
per il comodo della Chiesa.
Il. — Perchè le muraglic incrostate di vivo, come sono le esteriori
di questa fabbrica portano pericolo di far motivo, quando si seguitano
sei za intermissione per non calare il vivo fuori al par del murato dentro, sarà bene per evitare ogni sinistro incontro in questo caso il fondare seguitamente tutta la Chiesa o la maggior parte, e tirarla in alto
seguentemente, perchè abbracciando in questo modo assai della Fab
844 VARIETÀ
brica, verrà fatto, che si darà tempo al tempo, che mentre si lavora
in una parte riposerà, e si fermerà dall’altra, e non ne veniranno i peli
e le ruine, che sogliono venire facendo altrimenti.
III. — Li Pilastroni si faranno per il più di Pietre quadrate, che
per il più largo si affettino in piano, acciò maggiormente vengano a
catenarsi una con l’altra, e siano anco cambrate con ferri insieme.
IV. — Il Piano della Chiesa monterà dal Piano della Piazza gradi
cinque, e la Cappella Maggiore della Chiesa gradi tre e il Piano del
Coro e Presbiterio come sta segnato nel Disegno. S’alza dalla sudetta
Capella gradi due, e sopra di questo Piano, si alzerà l’altare con gradi
cinque comodissimi di larghezza, ed altezza, e si farà in modo che le
basi delle colonne sieno fermate sopra questo Piano del Coro in modo
che non vi resti dado alcuno sotto.
V. — Le Cappelle minori alzeranno dal Piano della Chiesa gradi
due, sopra le quali sì metterà la predella e l’Altare.
VI. — Le quattro volte, che paiono cupolette sul Disegno non s’alzeranno fuori del tetto, ma si volteranno come cupola interrotta da
quattro archi senza spigolo.
VII. — La Cupola maggiore si farà conforme al Discgno e si farà
quando si sarà arrivati a quel segno.
VIII — Il dado esteriore si farà seguentemente all’ intorno corrente, per evitare li cantoni delle brutezze, e per più sodezza, fermezza
e maestà della Fabbrica.
IX. — Li due Campanili negli angoli della facciata, si potranno
tirar sopra le cornici in quell’altezza, che si vorrà e quando si vorrà.
X. — Si avvertirà di far le scalette de Pulpiti nei Piloni, ma fatte
che siano, si torni a remurar tutto il voto della scala con mattoni forti
e creta, e sii ben serrata l’opera cou il martello; poi si faccia il volto
al vuoto di vivo, e si seguiti poi compitamente il Pilone; poi finita. la
Chiesa e coperta, si cavi fuori la detta materia cotta, che resterà la
scala libera, e la fabbrica per esser posata non potrà più patire.
XI. — Ne’ casi dubbi si consiglino, acciò non abbiano a fare e disfare; e per questo ancora salvino i fogli della Pianta e alzati.
D. Lorenzo BinaGco, Chierico regolare della
Congregazione di S. Paolo in S. Barnaba
di Milano li 22 maggio 1613.
Anche più tardi il vescovo Giorgi volle giovarsi dell’opera del
padre Lorenzo Binaghi per la stessa cattedrale e specialmente per
una cappella che voleva erigervi a sue spese a fianco della cappella centrale. Infatti ai 28 di agosto 1624 il padre generale Giulio
Cavalcani scriveva al proposto di Genova che non poteva manGo ogle =
VARIETÀ — 845
dargli « il disegno della chiesa per non averlo finito il P. D. Lo-
« renzo, quale è andato a Brescia chiamato da quel vescovo » (1).
Vi andò di nuovo « dopo la Madonna » (8 di settembre) e questa volta
era accompagnato da una lettera dello stesso padre generale al vescovo in data del 4 settembre: « Viene il P. D. Lorenzo nostro per
« ricevere li favori et comandi di V. S. Ill ma con la quale occasione
« anch'io riverentemente me la appresento supplicandola etc. ».
Nello stesso giorno in una lettera al signor *** di Brescia il Cavalcani diceva: « Dal p. Proposto nostro di Cremona ho inteso il
« buon ufficio che V. S. ha fatto con beneficio della nostra con-
« gregazione (adoperandosi per facilitare lo stabilimento dei Bar-
« nabiti ini Brescia in una chiesa offerta dal cardinal Farnese) et
« per condurlo a compimento mando hora il P. D. Lorenzo il quale
« per altro era domandato da Monsignor Vescovo per la fabbrica
« di cotesto Duomo et di certa sua Cappella. Egli sarà da V. S.
« per concertar del modo più facile per l’esecuzione pregando
« V.S. a darli tutto quell’aiuto et consiglio che la sua molta pru-
« denza li somministrarà, offerendomi con tutto l’animo a riscri-
«-verle et per fine a V. S. porgo compiti saluti » (2).
La cappella di cui sj parla è probabilmente quella di cui dice
il già citato Zamboni: « Il vescovo Marino Giorgi, tanto beneme-
« rito di questa cattedrale fece inalzare a proprie spese la cappella
« dell'Assunzione di nostra Donna l’anno 1627 ». Doveva essa, ne’
disegni del vescovo, servire per luogo di sua sepoltura e, mancato
ai vivi il 28 agosto 1632, il nipote suo dello stesso nome ve lo
faceva tumolare con una iscrizione molto elogiativa, ma, trattandosi di un vescovo modello come era di fatto il Giorgi, non mendace (3).
Il nostro Binaghi lo precedette di tre anni nella tomba: anche
di lui si poteva dire che le virtù religiose non la cedevano per
nulla all’elevatezza dell'ingegno e, poichè è di quelle che nella
scomparsa di chi si ama noi preferiamo parlare, ecco quanto scriveva il padre cancelliere del collegio di S. Alessandro il giorno
della sua morte: « 9 febbraio 1629. Il P. Lorenzo Binago, d’anni 73,
« e ore I7, avendo presi tutti i sacramenti della Chiesa soliti a
« darsi agli infermi con grandissimo sentimento e devozione, aven-
(1) Epistolario generalizio in arch. di S. Barnaba.
(2) Ibidem.
(3) E' riportata dal CAPPELLETTI, Le chiese d’Italia.
846 VARIETÀ
« doli chiesti lui con molta istanza, se ne passò a miglior vita, « avendo faticato nella Religione circa 55 anni indefessamente e
« con buona edificazione e osservanza delle nostre regole » (1).
Della sua valentia come architetto neppure una parola: ragione
di più perchè io qui la ricordassi basandomi sulle scritture del
tempo.
Orazio PREMOLI.
(1) Atti del collegio di S. Alessandro.
BIBLIOGRAFIA
Dott. CESARE STAURENGHI, L’Osfedale maggiore di Milano e i suoi antichi
sepolcri, particolarmente il “* Foppone , ora detto la “ Rotonda ,. —
Cronistoria milanese dei secoli XV-XX, con appendici bibliografiche
e contenenti osservazioni tanatologiche sui cadaveri estratti dalla
Rotonda (con 162 illustrazioni e 42 tavole eliotipiche fuori testo).
Opera postuma edita dalla vedova Antonietta Carminati de Brambilla, raccolta e riordinata a cura di Pio Pecchiai; (edizione di 200
copie). — Milanc, Ulrico Hoepli, editore, 1916.
A quasi quattro anni di distanza dalla morte dell’A. è apparsa nel
presente anno quest'opera, ricca di contenuto e cospicua per mole, sul
cimitero dell’ Ospedale maggiore di Milano, che ebbe ufficialmente il
nome di S. Michele ai sepolcri e dal popolo fu denominato “ Foppone,,
e in seguito “ Rotonda ,.
Quella vasta fabbrica di color bruno-rossastro che sorge a forma
d’anfiteatro all'angolo di via S. Barnaba e bastioni di P. Vittoria e dal
cui mezzo emerge la cuspide d’una chiesa, ora trasformata in moderna
lavanderia, attrasse nel 1907 l’attenzione d’uno scienziato insigne, ne
occupò per parecchi anni il pensiero e l’attività, fino a fargli pressochè
dimenticare, col suo fascino tenace, il culto della scienza perseguito con
passione e zelo esclusivi durante tutti i precedenti anni a partire dall’epoca degli studî universitari. Come emanava tanta forza di seduzione
sull’animo dell'A. da quel mesto edificio, che non è un monumento d'arte
nè una fabbrica di storica importanza e come, per esso, un illustre craniologo, già presso ai cinquant'anni e pieno ancora di zelo e di ansia
per le ricerche anatomiche, si trasformò grado grado in storico non
meno zelante ed infaticabile nell’indagine? E’ un interessante problema
psicologico che additiamo alla curiosità dei lettori.
Fu su lo scorcio del 1906, in occasione della grande vuotatura dei
sepolcri della “ Rotonda ,, che il dott. Staurenghi venne per la prima
volta a contatto e, direi anche, a conoscenza, di ciò che doveva poi formare l’oggetto della sua attività intellettuale per tutti i sei ultimi anni
di sua vita. Allora, seguendo la spinta del suo spirito sempre vigile nel
848 BIBLIOGRAFIA
cercare nuovi matertali alle proprie osservazioni e meditazioni scientifiche, egli chiese ed ottenne di poter esaminare i teschi dei dissepolti.
Da quell’esame venne un’importante raccolta ‘di crani anatomicamente
preparati e presentanti ciascuno qualche particolarità d’interesse scientifico, passata, parte al civico museo di storia naturale, parte al museo
anatomico dell’ Ospedale maggiore, e venne pure una pregevole pubblicazione dedicata all’illustrazione delle particolarità di struttura osservate nei crani.
Con un trapasso che assai facilmente si spiega, il dott. Staurenghi,
dotato di spirito instancabilmente vigile venne in curiosità di sapere,
spinto anche dai dibattiti della stampa quotidiana, l’origine prima
di quell’ immenso deposito di cadaveri. Accertato questo punto, altre
questioni gli s’affacciarono, rampollando senza tregua l’una dall’ altra.
Cosi, di ricerca in ricerca, egli arrivò a percorrere tutta la storia di
quel cimitero; nè di ciò pago, anche si volse ai precedenti di‘esso; e
poichè la “ Rotonda ,, era, per così dire, emanazione delllOspedale maggiore, di questo pure si occupò, nonchè dei riti e usi di sepoltura in
genere. © :
La pubblicazione di quest'opera postuma è dovuta all’affettuosa iniziativa della vedova e alle cure del dott. Pio Pecchiai, direttore dell'archivio degli Istituti ospitalieri di Milano, che con assidua e illumi-*
nata pazienza rese idoneo alle stampe il lavoro dello Staurenghi, lasciato da questo in condizioni pressochè caotiche. Nè altri meglio di
lui, per le ragioni stesse dell’ ufficio e per la consuetudine d’amicizia
goduta col compianto autore, poteva assolvere l’arduo compito. Il dottor
Pecchiai ha pure premessa all'opera dello Staurenghi un'importante
prefazione nella quale, oltre un’ affettuosa biografia dell’A. ed un esatto
elenco bibliografico delle opere di lui, ci dà un ampio e prezioso ragguaglio sulla genesi del .libro in parola e notizie indispensabili per
poterlo giudicare e valutare equamente. o
Due parti nettamente distinte sono comprese nell’opera: la prima è
storica e contiene la narrazione dell'origine e delle vicende del “ Foppone ,, con l’introduzione e le relative appendici; la seconda, da p. 577
alla fine, col titolo di “ Appendice III ,, è scientifica e comprende una
serie di osservazioni tanatalogiche sui cadaveri dissepolti della “ Rotonda ,.
Naturalmente noi qui ci occuperemo della sola parte storica, che,
del resto, costituisce anche il corpo del volume.
Nel I capitolo, premesse “ alcune notizie antiche sugli usi funerari ,,
si discorre degli antichi cimiteri milanesi. Come altrove, anche a Milano
i primi cimiteri dell’era cristiana vennero situati fuori delle mura e dell'abitato. Tutte le chiese più cospicue di Milano avevano annesso il
loro cimitero o camposanto, onde i cristiani che non potevano venir
tutti in esse tumulati, avevano almeno la soddisfazione d’esserlo accanto
alle medesime. L’uso di seppellire nelle chiese pare sia invalso dopo il
1447 e tanto si rese comune che le chiese divennero ben presto altreta
BIBLIOGRAFIA 849
tanti cimiteri, i quali, come quelli che le circondavano all’esterno, dovevano essere a quando a quando evacuati e le ossa trasportate nei
“ fopponi , in campo aperto. Oltre le chiese pubbliche, anche talune
chiese e spedali ebbero il privilegio di possedere un cimitero. Per gli
ospedali ciò sarebbe provato dal fatto che coloro che vi morivano non
erano ammessi alla sepoltura nelle chiese. Con l’abolizione nella Lombardia delle sepolture intraurbane per opera di Giuseppe II vennero
in maggiore attività i cimiteri fuori delle mura di Milano. Però molti
monasteri della città e della campagna e anche il capitolo metropolitano chiesero ed ottennero di poter proseguire la tumulazione nelle
loro sedi, eludendo così lo spirito dell’editto giuseppino. Tante sono le
ossa che andarono raccogliendosi nei numerosi sepolcreti (in chiese,
camposanti, oratori, cimiteri monastici, ecc.) che il loro sgombero ancora non è ultimato.
(Cap. Il) Gli ospedali, cioè le case per i malati furono in origine
ospizi o foresterie annesse ai monasteri dove i pellegrini o gli infermi
potevano trovare alloggio e soccorso. Anche i primi ospedali di Milano
furono tali.
Nel secolo XIII, cessando in gran parte l’ospitalità monastica, cominciarono a funzionare ospedali staccati dai monasteri. è
Nel XV secolo erano conosciuti per aver esistito o per essere esistenti in Milano ventinove ospedali. Erano però in condizioni di decadenza e rovina. Fu appunto per ovviare a tali tristi condizioni e con
l'intento di ottenere un’ unità organica di più agevole e spedita amministrazione che si pensò da Francesco Sforza alla fusione dei varî ospedali in urf solo grande nosocomio. Al concretamento di tale idea contraria, sia detto en passant, ai moderni principî dell'igiene nosocomiale,
assai contribuì l’opera del cardinale Rampini e anche giovarono le prediche tenute in Milano da frate Michele da Carcano. La concessione
per la fondazione dell'ospedale fu richiesta dallo Sforza il 22 maggio
1451; la prima pietra fu posta ai 12 d’aprile 1456 e la sanzione papale
fu concessa da Pio Il con bolla del 9 dicembre 1458. Per l’ospedale il
duca Francesco Sforza donò alla città solamente l’area; la fabbrica fu
eretta, su disegno di Antonio Averulino (Filarete), con denaro cittadino. Il nuovo grande ospedale; al quale furono aggregati tutti gli altri
spedali cittadini amministrati dagli ecclesiastici, si intitolò in origine
« dell'Annunziata ,. Entrò in funzione verso il 1473. Era internazionale
‘e quindi aconfessionale. La fama di esso corse per il mondo e fu celebrato dagli scrittori nostrani come gloria non pur italiana ma europea.
L’A. a p. 63-64 elenca i meriti dell’ Ospedale maggiore nel corso
della sua storia e il passo merita di essere riprodotto: “ Merito del-
“ l'Ospedale maggiore furono: l'aver incentrati per la più parte, indi
lentamente annullati gli ospedali minori che oramai usurpavano il
titolo d’ospizi sanitari; l'avere scelto un'area dell’ edificio, il Brolo,
fuori del nucleo principale delle abitazioni; l’avere istituita un’amministrazione prevalentemente laica; l’essersi formato di crocere ampie
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“ e sopralzate dal suolo mediante sotterranei grandiosi e arieggiati;
l'aver curato con diligenza il deflusso delle materie di rifiuto ; e, primo
“ fra gli ospedali cittadini, l’aver dato l’ostracismo ai sepolcri interni.
“ In processo di tempo, l’aver stabilito numerose sezioni per determinate forme di malattie (specialità) ,. E’ pur da, segnalare nel passato
glorioso dell’ istituto, che, sebbene non avesse sede in città universitaria, creò scuole mediche entro il suo recintò, che, iniziate gratuitamente
nel 1636 da Cristoforo Inzago per la chirurgia, prosperarono con valenti insegnanti.
La fabbrica primitiva fu ampliata in tre riprese; la prima volta
negli anni 1624-1649; la seconda nel 1797-1804; la terza a partire dal
1896 in conformità ai nuovi criteri di costruzioni ospitaliere, per i quali
vennero innalzate numerose succursali dell’ Ospedale,
Nel cap. III l'A. inizia la trattazione del vero argomento del libro,
occupandosi dei sepolcri di cui disponeva l’ospedale per la sepoltura
dei morti. I primi sepolcri furono naturalmente dentro l'ospedale. Nella
bolla di papa Pio II in data g dicembre 1458 si trova esplicitamente
compresa nella fondazione dell'ospedale quella del relativo cimitero. A
quel che pare, questo si trovava primamente dietro la cappella dell'ospedale e cominciò ad essere usato verso il 1473. Un nuovo sepolcreto venne costruito sotto la chiesa tuttora esistente eretta al posto
della seconda cappella .edificata nel 1587 e demolita per dar sede al
fabbricato Carcano (1624-49). Questo cimitero fu chiamato Briijena vecchia
e funzionò fino al 1697.
Il servizio mortuario annesso alle cappelle e chiese dell’ Ospedale
maggiore durò per 226 anni. La storia dl questo servizio “ è tutto un
“ succedersi di riempimenti e votature delle tombe ,, un’ * affannosa
“ ricerca dei luoghi ove riporre i resti estratti , ed una serie di “ ten-
* tativi, pur troppo vani , diretti a trovare “ un mezzo per fiaccare o
“ estinguere le putride esalazioni ,. |
La lugubre serie dei disseppellimenti si apre nel 1515 e continua per
più di due secoli. La materia estratta veniva risepolta dentro |’ Ospedale in un “ foppone , o fossa comune.
Presentandosi con troppa frequenza la necessità dell’ evacuazione
dei sepolcri, si costrussero nel 1678, come opportuno rimedio, nuovi sepolcri detti Briigna nuova.
Risultato vano il rimedio della calce attuato il 1680 contro l’inconveniente del fetore, fu necessità nel 1692 procedere ad una nuova evacuazione delle tombe (sepolcri vecchi), circa sessantacinque bocche, e
impresa, tutt'altro che facile, non fu compiuta che in parte. Ma era urgente il proseguirla e per trovare posto ai resti cadaverici da sgombrare, poichè non fu consentito dal tribunale di sanità di valersi d'altri
cimiteri o sepolcreti già sussistenti in Milano, si pensò all’acquisto di
un podere fuori di porta Orientale, e nello stesso tempo, per evitare il
“ funesto discarico dei sepolcri ,, si considerò la possibilità di rimuovere dal Nosocomio l’intero servizio funebre. Furono queste le circo- Ù
BIBLIOGRAFIA 851
stanze dalle quali ebbero origine i primi Nuovi Sepolcri di S. Michele
arcangelo detti “ il Foppone , o “ la Rotonda ,.
Nel 1694 l’idea di un servizio funerario fuori dell'Ospedale, a suo
uso esclusivo, era accolta risolutamente e già avviata all’ attuazione.
Per l'attuazione del progetto si adoperò con zelo indefesso il conte
Fr. Matteo Taverna, che funzionava da priore. I terreni acquistati per
lo scopo in parola furono quelli dei fratelli Stella di Caravaggio e della
signora Parravicino, presso i bastioni della città fra porta Romana e
porta Urientale, dietro il Convento della Pace. Attilio Arrigoni (t 1709),
ingegnere dell’Ospedale, apprestò il disegno della fabbrica. Ma perchè
il progetto divenisse realtà, si dovettero prima vincere le opposizioni
di alcuni conventi esistenti in quella parte della città, i quali temevano
dalla fondazione di un cimitero pericoli per la salute. Nel 1698 la fabbrica, iniziata nel luglio 1697, era compiuta e il 25 settembre 1700 veniva solennemente benedetta.
I morti vi venivano trasportati nottetempo, mediante carro, uscendo
dall’Ospedale per una porta appositamente aperta a tergo dell’edificio,
verso il Naviglio, sul quale fu altresì necessità di costruire un ponte.
Nel 1714 anche i Nuovi Sepolcri erano pieni di cadaveri, non consumandosi questi con la necessaria celerità e si dovettero perciò cominciare le evacuazioni.
Nel 1718 si rese necessario provvedere ad un ampliameuto del cimitero e ultimata finalmente, mercè le premure del conte Francesco
Cicogna, una pratica iniziata nel 1706, si addivenne all'esecuzione, valendosi di oblazioni private, cittadine e forensi, tra cui massima quella
di G. B. Annone, di un progetto del 1717, pel quale la chiesa allora
esistente, dovuta all’ing. Attilio Arrigoni, fu ingrandita secondo un disegno dello stesso Arrigoni e costrutto intorno a questa il grandioso
porticato tuttora esistente. Il disegno della nuova fabbrica fu dato dall’ ingegnere dell'ospedale Carlo Francesco Raffagno.
E’ voce comune presso tutti gli scrittori che si occuparono dell’argoinento di attribuire la fabbrica dei secondi Nuovi Sepoleri all’architetto Francesco Croce, l'artefice della maggiore guglia del Duomo, ma
l'A. dimostra, in modo esauriente, che l’opera di F. Croce si limitò “ a
“continuare il disegno e la fabbrica dell’ultima parte del loggiato fatta
“ eseguire dall’ Annone, seguendo naturalmente il progetto del Raffagno,.
La nuova fabbrica, detta i seeondi Nuovi Sepolcri, fu compiuta
nel 1731.
Anche nel “ Foppone ,, la questione della lenta decomposizione dei
cadaveri (effetto dell’erroneo sistema di tumulare in massa) fu sempre
all’ordine del giorno, donde la necessità di diradare ed appianare ogni
tanto gli ammassi infoltiti delle salme malamente distribuite. Si fu quindi
costretti a ritornare sull’incresciosa questione degli allargamenti e delle
periodiche vuotature parziali, che fu una nuova tribolazione, la quale
durò per ottantacinque anni, cioè fino al 1782. Sul metodo con cui gli
allargamenti e le vuotature erano eseguiti l’A. dà abbondanti e pregevoli notizie. F
852 BIBLIOGRAFIA
Nel 1782, per effetto della legge di Giuseppe II contro i seppellilimenti infraurbani, il “ Foppone , cessa di servire da cimitero, subentrandogli in tale funzione il cimitero dei SS. Carlo ed Aquilino fuori
di porta Romana, ove s’incominciò a seppellire il 9 maggio 1783 e si
proseguì fino al 1827; dopo di che i defunti dellOspedale si trasportarono nel nuovo cimitero di porta Tosa (porta Vittoria), fino al 1876.
Dopo varî cambiamenti, fu il cimitero di Musocco, a partire dal 1895,
il luogo d’inumazione anche per i morti dell’ Ospedale. Coll’ andata in
vigore della legge giuseppina sui cimiteri finisce la storia del “ Foppone ,
come cimitero dell’ Ospedale maggiore e comincia quella delle vicende
della chiesa (un alternarsi di soppressioni e riprese del culto) e dei diversi usi (in genere militari e sanitari) cui fu adibito il porticato.
Sotto il dominio francese il “ Foppone , fu occupato militarmente
fino al maggio 1799, venendo destinato ad accogliere successivamente
una fonderia di cannoni, un arsenale o deposito di artiglieria, una caserma di cavalleria, un ospedale militare.
Nella chiesa il culto fu soppresso appena i francesi inaugurarono
il loro dominio. Fu ripreso nel maggio 1799 quando Milano venne in
potere degli austro-russi, continuando anche dopo il ritorno di Napoleone (2 giugno 1800), fino al Io marzo 1808, quando per decreto del
vicerè ne venne ordinata la soppressione. A preservare la chiesa dalla
chiusura un generoso milanese che volle serbare l’incognito offrì spontaneamente all’ Ospedale la somma di lire milanesi quarantamila e il
culto veniva infatti ripristinato nell’estate del 1809. Senonchè quell’of.-
ferta valorizzava d’un colpo l’edificio del “ Foppone , e determinava
per conseguenza il progetto di trasformare il “ Foppone, in “ Pantheon
nazionale ,, progetto che il vicerè Eugenio Beauharnais sanzionava con
decreto datato da Camorn, 22 giugno 1809.
Per effetto di tale decreto decaddero le proposte lire 40.000 più
non avendo ragione d’essere versate. Nel progettato Phanteon dovevano essere seppelliti gli uomini distintisi per meriti speciali, compresi
i dignitari e 1 ministri. Appena una settimana dopo l’emanazione dell’accennato decreto, l’onore delia sepoltura nell’erigendo Pantheon era
decretato a M. Cesarotti, all’ab. Bettinelli e al generale Theulié perito
a Colberg nel 1805. Stabilita l’istituzione del Pantheon, occorreva rinnovellare il “ Foppone , col magistero dell’arte e a tale uopo il governo francese, non avendo potuto valersi dell’opera di Simone Cantoni, si rivolse all'architetto Luigi Cagnola, che accolse l’invito (5 agosto 1809) e, postosi subito all’opera, ebbe pronti pel 25 gennaio 1810
tre progetti di tipo prettamente classico. Nei “ primi due riformava
“ l’edificio preesistente, immaginando nel più semplice d’accorciare
quattro bracci della chiesa, aggiungendovi il pronao ai rispettivi prospetti, ornandone l’interno e facendo sorgere sopra una cupola più
vasta della precedente e priva del cupolino. Il porticato veniva conservato nella sua configurazione, ma rifatto e abbellito internamente,
modificandone la disposizione delle colonne e degli archi, coll’aggiunta
a
o)
«
“
-
BIBLIOGRAFIA 853
“ dell’architrave con decorazioni statuarie, e una aggraziata e subria
ornamentazione palladiesca. Nell’altro progetto la riforma della chiesa
era abbinata con la ricostruzione del loggiato, e per purgare questo
dalla linea contorta che la licenza barocca avevagli dato, lo trasformava in linea circolare, pur tessendone la decorazione. Nel terzo,
infine, il più radicale, ideava il progettante un rifacimento generale
organico, erigendo ex novo su la spianata del “ Foppone ,, il proprio
edificio del Pantheon italiano ,, (pp. 358-359). E' merito grande dello
Staurenghi di aver rintracciati i disegni originali che si conservano
nell’arehivio Cagnola nella villa d’Inverigo e di avercene concesso il
godimento con le accurate riproduzioni eliotipiche unite al volume
tavole XII-XVII).
Seguendo il parere del ministro degli interni Vaccari, il Vicerè,
‘esaminati nel marzo 1810 i progetti del Cagnola, decise che questi ne
preparasse uno più semplice e meno costoso. Il nuovo rendiconto dell’architetto Cagnola circa le modificazioni introdotte nel nuovo progetto
cconomico per il Pantheon ed il preventivo finanziario furono presentati il 14 ed il 26 aprile 1813;.ed il 19 maggio venivano sottoposti al
Vicerè rientrato in Milano, di ritorno dalla campagna di Russia, il
. giorno prima.
Venne approvato il progetto che predisponeva l’intero intonaco in
pietra e si stabilì che in quell’anno si eseguisse solamente l’ingresso
principale, per il che si stanziava la somma di 20 mila lire.
Ma quando la pratica pareva ormai giunta in porto ed era venuto
il momento di mettere mano all'opera, “ il precipitare dei turbinosi ri-
“ volgimenti politici che nel 1814 portarono all’immensa catastrofe del-
# l'epopea napoleonica e conseguentemente alla rovina del dominio
* francese in Lombardia ,, travolse, con molti altri, anche il grandioso
progetto del Pantheon italico, del quale “ non rimasero che gli atti uf-
“ ficiali e i disegni, che, aggiunti alla storia di quei tempi fortunosi ,,
costituiscono una “ nuova e viva pagina di politica e d’arte ,, (p. 386).
Sotto l’Austria, ridivenuta signora di Milano il 28 aprile 1814, la
storia del “ Foppone ,, ritorna ‘ad essere monotona ed insignificante:
la chiesa, tornata in possesso dell’Ospedale, è alternativamente aperta
e chiusa al culto, il recinto è adibito ad usi militari o sanitari.
Un progetto di trasformare il “ Foppone , in casa succursale per
gli ammalati dell'Ospedale maggiore, già affacciatosi nel 1846 per suggerimento dell’amministratore Carlo Bellani, è studiato per l’attuazione
nel principio del 1848, essendo divenuto urgente il provvedere allo
sfollamento dell’ Ospedale. Nell'estate del 1848 il “ Foppone , fu infatti
adibito ad Ospedale militare pei sifilitici.
Durante l'insurrezione del marzo 1848, essendo chiuse le porte
della città e impossibile quindi il trasporto dei morti ai cimiteri, tornarono a funzionare i sepolcri infraospitalieri sottostanti alla chiesa dell’Annunciata (la Brrigma vecchia). Vi furono sepolti i morti di quei
giorni, 178 (141 morti per ferite e 37 per malattie comuni), seppellenArck. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. IV. 55
2
RR à ®a
854 BIBLIOGRAFIA
dosi separatamente i cadaveri dei feriti dagli altri. In tale occasione si
progettarono anche dei restauri al sotterraneo per adattarlo a cella
mortuaria. Le pratiche rimasero interrotte essendo gli Austriaci rientrati in Milano al principio dell’agosto 1848. Ma il progetto venne ripreso
ed attuato nel 1860-61 e si ebbe così la “ Cella dei martiri delle Cinque
giornate ,,, ove le gloriose reliquie rimasero fino al 18 maggio 1895,
quando vennero trasportate e pietosamente composte nella cripta snttostante al monumento in bronzo delle Cinque giornate.
Tornati gli Austriaci in Milano nell’agosto 1848, il “ Foppone,
. (chiesa e portico) ridivenne caserina delle truppe e l’occupazione militare perdurò fino al 1852. Alla fine, il bisogno divenuto sempre più
grande di nuovi locali per gli ammalati dell'Ospedale maggiore, fece
ottenere, dopo lunghe pratiche condotte negli anni 1854-°55-’56, tra le
quali fu anche una supplica diretta all’imperatere nel gennaio del 1857,
lo sgombero del “ Foppone ,, da parte delle truppe, avvenuto alla
fine dell’anno 1857, per usare di quel fabbricato come succursale dell'Ospedale. Eseguiti gli opportuni restauri ed adattamenti, il “ Foppone ,
(compresa la chiesa, le cui funzioni sin dall’aprile 1853 erano state dalAmministrazione ospitaliera trasferite nella chiesa di S. Pietro in Gessate) fu utilizzato per ricovero dei cronici, dei quali nel marzo 1859
v’erano già 358.
Nel 1866 fu predisposto per i colerosi e difatti funzionò per tale
uso nel successivo anno. Nel 1868 tornò ad ospitare le croniche e deliranti e, nella primavera di quell’anno, anche i vaiolosi. Servì pure
durante l'epidemia vaiolosa del 1870-71 a ricovero delle ammalate. Similmente nel 1872 e nel 1873 fa predisposto a ricetto dei colerosi, Nel
1878 anche il locale della chiesa fu usato per infermeria dei contagiosi
(vaiolosi); insieme vi erano nelle corsie della “ Rotonda ,, le croniche.
Per rimediare al pericolo di tale promiscuità furono adottati vari
provvedimenti, tra cui nel 1887 l'impianto di una stufa di disinfezione.
Nel porla in opera, dovendosi perforare il pavimento, si scoperse un
antico sepolcro pieno di cadaveri e si dovette provvedere a evacuarlo,
ciò che fu compiuto nei primi tre mesi del 1888, trasportando i resti
cadaverici nel cimitero di Calvairate. L’esito felice di tale operazione
esigeva come corollario lo sgombero delle rimanenti cripte e infatti si
compilò il relativo progetto nel 1890, ma non si passò all’attuazione.
L’anno 1896, “ apertosi nel gennaio il nuovo Ospedale dei contagiosi a Dergano, accolti i cronici nella Casa succursale dell’Ospedale
“in Cernusco sul Naviglio ed i pazzi nel manicomio provinciale di
“ Mombello, la “ Rotonda , cessò d’ essere in azione come casa succur-
* sale per ricovero dei malati dell'Ospedale maggiore, dopo trentotto
* anni d’esercizio ,.
Nel 1897, ispirandosi all’idea del Pantheon italiano, il Consiglio
degli Istituti ospitalieri destinò la “ Rotonda ,, a famedio dei benefattori
dell'Ospedale maggiore, raccogliendovi, come in esposizione permanente,
ì ritratti dei benemeriti donatori dell’Ospedale.
—
BIBLIOGRAFIA 855
Tale uso tuttora dura ed ogni due anni la pinacoteca ospitaliera,
che rappresenta insieme “la più interessante storia del costume che
si abbia in Europa ,, e una fulgida “documentazione della beneficenza
milanese, è aperta al pubblico che la visita numeroso e commosso.
Nel Igor, essendo stato impiantato il laboratorio batteriologico
presso la farmacia dell'Ospedale maggiore, venne trasportato nella
prima parte del porticato della “ Rotonda , a destra entrando, il laboratorio sussidiario della stessa farmacia, destinato precipuamente alla
preparazione del materiale antisettico. Detto laboratorio ancora vi si
trova.
Si venne quindi alla ponderosa impresa della vuotatura generale
dei sepolcri. La grandiosa operazione, praticata in due tempi, dal 24
dicembre 1906 all'aprile 1907 e nell’estate del 1909, riuscì perfettamente.
Nel 1909 furono pure intrapresi i lavori per l'impianto della lavanderia
a vapore, la quale fu costruita nell'ex chiesa della “ Rotonda ,,.
“ Tale il modesto epilogo della storica “ Rotonda ,,, che pure cra
sembrata dover assurgere all'ufficio di “ Pantheon ,.
Dal riassunto che abbiamo dato della materia svolta nell’ampio volume, ognuno si sarà facilmente accorto che lo sfondo delle memorie
della “ Rotonda » è, come lo stesso autore riconosce, “lugubre e
scialbo ,. Pure il dott. Staurenghi si applicò alla trattazione del suo
tema con zelo grandissimo.
Tutte le fonti che erano da consultarsi e che a lui erano accessibili
(biblioteche e, archivi pubblici e privati, a Milano e fuori), furono esplorate e interrogate. Ogni lato, ogni aspetto, per quanto secondario del
suo tema, fu da lui preso in considerazione, investigato, approfondito.
Raccolse così un immenso materiale di notizie più o meno importanti,
dirette e indirette, e la sua trattazione è per conseguenza riuscita, in
ogni parte, esauriente; anzi sovrabbondante.
Considerata l’importanza relativamente scarsa del tema svolto,
non sl può non rimpiangere che la sorte non abbia posto innanzi allo
Staurenghi un altro più importante monumento da illustrare.
Con ciò non si vuol dire che manchino nell'opera pagine notevoli.
Anche quei capitoli (III e IV) ove si svolgono argomenti lugubri come
la decomposizione cadaverica, il fetore e la vuotatura dei sepolcri, non
mancano di una certa loro strana attrattiva. L’A. espone i fatti con
l’ imperturbabile obbiettività e freddezza dello scienziato; eppure un
fascino misterioso, — quello stesso quasi che parla dalle medievali rappresentazioni delle danze della morte... — emana dal macabro quadro.
Di tutta l’opera la parte più importante e di maggiore interesse, è
senza dubbio quella contenuta nei capitoli X e XI (pp. 365-389), ove
si espone e si illustra il progetto che il vicerè Eugenio di Beauharnais
coltivò per parecchi anni (1810-14) con entusiasmo di trasformare la
“ Rotonda ,, in Pantheon italico e la cui esecuzione fu affidata all’ architetto Luigi Cagnola. Qui le notizie originali che l'A. ci dà sono veramente importanti per il carattere artistico dell'argomento, per la cele
856 BIBLIOGRAFIA
brità delle persone ricordate, per il pregio dei documenti scoperti dall’A., in primo luogo i disegni autografi del Cagnola. Il lettore si sente
trasportato “ in più spirabil aere ,. Altre parti importanti del libro sono
quelle ove “ si sfata la leggenda che attribuiva all’architetto Croce il
disegno della Rotonda ,, e l’altra “ ove si richiamano con particolari
ignorati le memorabili gesta del '48,,.
All’intero volume aggiungono pure pregio grande le parti ove si
toccano incidentemente problemi scientifici d’igiene sanitaria e la monografia sull’ adipocera, pubblicata in appendice,
Il metodo seguìto dall’A. nella trattazione del suo tema darebbe
luogo, sia nel suo indirizzo generale che nelle varie sue particolarità,
a molteplici obbiezioni; ma è a ricordarsi che l’autore, preoccupato di
fare opera completa nella sostanza e nella forma, ancora vi stava fa-
‘ ticando intorno allorchè la morte ne troncò la mirabile attività. Per di
più devesi tener conto che questa è l’opera di un dilettante, per quanto
armatosi di tutto il necessario. Per l’uno e l'altro motivo ogni critica
non può essere mossa che con molta riserva.
Sia tuttavia consentito qualche rilievo. Anzitutto non si può non
osservare come il titolo del libro non risponda al reale contenuto di
questo. La storia del * Foppone , è infatti il vero argomento dell’opera.
Il titolo enuncia invece come principale argomento “ L’Ospedale maggiore di Milano ,,, che non è che un capitolo accessorio introduttivo.
Il lato debole dell’opera di cui ci occupiamo sta nella sproporzione
tra la mole del libro e l’importanza relativamente scarsa dell'argomento.
Inoltre, tutto il futile e il secondario come il dato importante e la scoperta storica sono trattati alla «stessa stregua col medesimo sistema
espositivo e lo stesso apparato documentario. L’A. ci avrebbe dato un
lavoro assai più efficace e di attraente lettura, se avesse véluto contenerlo in più ristretti limiti, sceverando nel’ cumulo delle notizie raccolte, quelle importanti, a queste sole facendo posto e rinunciando a
tutte le notizie di dettaglio, d’ordine secondario e di carattere eterogeneo.
| A pag. 537 lA. caratterizza la sua opera, mostrando come egli si
proponeva che fosse, Le sue parole meritano di essere riportate costituendo quasi una giustificazione rispetto all’appunto che gli abbiamo
fatto : “ La nostra cronaca, pur avendo per figura centr.le l’antico
“ Foppone dell'Ospedale maggiore e rivivendone le memorie, non sta
rinserrata ed isolata nella cerchia di quel mesto recinto e neppure
nell’ambito del servizio mortuario dell'Ospedale maggiore, chè, es-
« sendo questo organo di notevole importanza nella vita cittadina, li
trascende ogni ‘volta che occorre per la giusta prospettiva delle relazioni dell'ambiente storico. Perocchè i fatti che vediamo svolgersi
* si ricollegano alla storia di Milano, che ne forma lo sfondo, dalla
quale il servizio funebre del grande Ospedale non può considerarsi
slegato, Alle fasi ed alle trasformazioni più disparate per le. quali
passò quel servizio, infatti, parteciparono, oltrechè l'Amministrazione
ospitaliera, medici e architetti, conventi e confraternite, anche gli enti
“
=
-
=
»
BIBLIOGRAFIA 857
“ municipali, ecclesiastici e militari e i diversi governi che enumera la
“ storia instabile della Lombardia ,
Oltre alla trattazione eccessivamente minuziosa delle singole vicende del “ Foppone ,,, anche delle meno significanti (1), contribuì alla
mole del libro e alla pesantezza dell’opera l'inserzione nel testo dei
documenti nella loro interezza.
Il danno e gli inconvenienti di tale procedimento sono efficacemente
messi in evidenza dal Pecchiai (p. XV sg.), il quale esprime pure l’opinione che l’A., ove fosse vissuto, maturando il suo pensiero nell’ indagifie
storica, avrebbe finito per accorgersi dei difetti di quel metodo e lo
avrebbe abbandonato per sostituirgli l'elaborazione dei documenti, così
da trarne una narrazione continuata.
Da ultimo, qualche cenno è doveroso a riguardo dell’edizione
del libro.
Il dott. Pecchiai si è reso oltremodo benemerito sobbarcandosi con
grande abnegazione alla difficile impresa di preparare per le stampe
il manoscritto lasciato dall’A., come già fu accennato, in condizioni
caotiche. In tutto si può approvare la via da lui seguìta nell’attuazione
del suo cagggpito. Ma il formicolarvi degli errori tipografici, massimamente nei primi capitoli, rappresenta un grave inconveniente che finisce
per ledere la stessa serietà dell’opera. Il contrasto tra la meticolosa
precisione delle informazioni da una parte e la quantità davvero strepitosa degli svarioni tipografici, dall’altra, è penoso. Dove poi lo sconcio
in parola raggiunge il colmo è nelle citazioni delle opere straniere, sopratutto tedesche e inglesi.
Nè solo errori di stampa sono da deplorare, bensì anche qua e là
manchevolezze e difettosità nel contenuto testuale.
Anzitutto devesi notare che, contrariamente all’intenzione dell’A.,
il quale a pagina 3 della sua prefazione dice “ nella seconda (parte)
“ sono le osservazioni tanato-craniologiche ,,, non fu inserita nel libro
la ristampa dello studio dello Staurenghi pubblicato nel vol. 46° degli
« Atti della Società italiana di Scienze naturali , col titolo “ Varietà
“ craniche rinvenute nel sepolcreto della * Rotonda ,, dell'Ospedale
“ maggiore di Milano ,. Il Pecchiai ha pubblicato nel volume di cui parliamo soltanto le osservazioni tanatologiche, epperò della omessa ristampa delle Osservazioni craniologiche non avrebbe dovuto mancare
una giustificazione. Il cenno al riguardo a pag. XIV non spiega nulla.
A pag. 194, n. 9 si annuncia che dell’opera del Croce si parlerà
nel Capitolo seguente, mentre è nello stesso cap. VI, a partire da pagina 223, che se ne parla.
A pag. 319 si ha la pubblicazione di un ene del 1797, il cuì
posto era un paio di pagine prima.
(1) A tale proposito vien fatto d'osservare che sarebbe stato desiderabile un
copioso indice delle materie e dei nomi.
858 BIBLIOGRAFIA
Il documento H del 30 luglio 1809, pubblicato a pag. 331, € prematuro, essendovi menzione di un decreto che è riferito solo in seguito,
cioè il decreto 22 giugno pubblicato a pag. 341.
A pag. 337 la nota diretta dal Ministero dell’Interno all'architetto
Cagnola, in data 9 aprile 1813, è evidentemente monca in fine, non so
se perchè già tale nel manoscritto dello Staurenghi o per un’omissione
avvenuta nella stampa.
Si riscontrano pure delle ripetizioni che era facile eliminare: a
pag. 84 si ripete la spiegazione del nome “ Montagna , già data a pagina 31; a pagina 131 il cap. IV incomincia con cinque periodi che
già si trovano nella chiusa del III cap. e che erano da togliere a questo; a pag. 188 sg. si cita un passo del Latuada già riprodotto e utilizzato a pag. 183.
Anche si sono lasciate nel libro dello Staurenghi incongruenze e
“ lapsus ,, che era bene togliere: a pag. 84 si dimostra che l’entrata in
funzione dell'Ospedale avvenne nel 1473, mentre a pag. 56 sì era lasciato credere che quell’avvenimento fosse da porre dopo quell’anno;
il cap. XV, che porta il titolo “ Il Foppone sotto il Governo italiano »,
contiene nelle prime pagine (497-498) notizie che si riferisqgpo ancora
al tempo del dominio austriaco,
Non mancano le frasi sconnesse e sgrammaticate, che sarebbe stato
doveroso correggere.
Degli errori di stampa sarebbe andar troppo per le lunghe il dare
qui l’elenco, oltre quelli che figurano nell’errata-corrige annessa al
volume. Ci accontenteremo di segnalarne alcuni tra quelli soltanto che
si riscontrano nelle parti in italiano del testo: prevenivono per prescrivono (pag. 174 l. 18), Cuneo per Como (pag. 287 l. 24), fuori per figuri
(p. 290 n. 3), roceda per preceda (p. 297 |. 18), studjet per dudjet (p. 356
I. 4 e tI, p. 383 l. 18), 13842.029 per 63$42.029 (pag. 378 |. 33), contemporaneamente per conseguentemente (p. 380 l. 30), cuori per fiori (p. 642
I. 15), evacuaszioni per cremaszioni (p. 525 |. 45), concettivo per connettivo
(p. 609 |. 32).
C. VOLPATI.
Arrigo SoLMi, Le leggi più antiche del Comune di Piacenza, in-8. Firenze,
Regia Deputazione di Storia Patria (Estratto dall’ Archivio Storico
Italiano, dispensa 3* del 1915).
Lamenta il-Solmi al principio del breve saggio sulle leggi più antiche del comune di Piacenza, che “ sulle origini e sulle forme della
“ legislazione comunale avanti la pace di Costanza mancano quasi do-
“ cumenti e ricerche ,.
Davvero tutta la storia del primo periodo dei comuni italiani se
eccettuiamo i poderosi e fondamentali lavori intorno a Firenze e a
Pisa, attende ancora chi la deve descrivere.
- _
BIBLIOGRAFIA 859
Ma prima di arrivare ad assunti generali che riuscirebbero manchevoli e di scarso interesse, occorre gettare solide fondamenta; occorre frugare nei molti archivi inesplorati delle grandi e piccole città
lombarde mettere alla luce le mille pergamene, i numerosi documenti
che giacciono ancora sepolti e ignoti; solo quando tale granitica base
sarà gettata si potranno inalzare le costruzioni teoriche più ardite, che
poggeranno però sempre su dati di fatto inconfutabili.
La storia milanese in particolare e quella degli altri comuni lombardi in generale, sono in gran parte ignorate nei loro veri e fondamentali elementi costitutivi. Si ripetono i soliti luoghi comuni, ma nessuno ha approfondito mai con lunghe e originali ricerche i fatti noti,
nessuno ha presentato lo svolgimento dei fenomeni storici nella loro
vera luce. Nè deve fare maraviglia quindi che storici come il Luchaire
pubblichino libri sulle democrazie italiane, poggiando le ricerche esclusivamente sul comune di Firenze, quasi che altre regioni d’Italia non
abbiano avuto pur esse nella storia comunale periodi di grande splendore non solo, e un'importanza se non superiore, certo pari a quella
delle città toscane.
Il breve volumetto che il Solmi offre agli studiosi è qualcosa di
più di un prezioso contributo alla storia della storia piacentina: i documenti in esso raccolti e illustrati, sono un materiale importante e
degro di nota anche per la storia delle istituzioni comunali nell’Italia
settentrionale.
Le frequenti e antiche relazioni fra Milano e Piacenza hanno generato fra le due città una colleganza stretta e intima di rapporti tali
per cui moltissimi fatti storici hanno nell’uno e nell’altro svolgimenti
pressochè analoghi, cause ed epiloghi e ripercussioni pressochè identiche. Non è qui il momento, in una breve recensione, di citare fatti e
documenti che ci porterebbero lontani dal nostro ristretto compito.
Taluni di questi rapporti ha fugacemente segnalato anche il Solmi;
ma ho motivo di ritenere che una sistematica ricerca negli archivi piacentini abbia a rivelare un copioso e abbondante materiale tuttora
pressochè ignorato. Sicchè moltissimi punti della nostra storia, che
spieghiamo malamente e non sappiamo affatto intendere, cì apparirebbero nella loro vera luce. Cosi pure credo che simile ricerca dovrebbe
essere condotta nelle altre città che hanno avuto rapporti coi milanesi
a Cremona, a Bergamo, a Brescia, a Como, a Vercelli, a Novara in modo
da iliuminare e da ricercare le cause di quelle mille controversie che
gettano le città le une contro le altre, e le collegano poi insieme contro
il Barbarossa per riedificar l'’« diata Milano, e le disuniscono di nuovo
appena cessato il pericolo.
I materiali non mancano: forma difetto solo forse la Buona Vvolontà e i mezzi necessari per affrontare tali imprese. La storia dei
nostri comuni altro non è in fondo che la storia stessa del risorgimento
del nostro popolo: da questo momento possiamo datare quel maraviglioso rinascimento della nostra stirpe, che darà tanta luce e splendore
860 BIBLIOGRAFIA
nel mondo nei secoli XV e XVI; le origini prime di quel vasto e fecondo moto di pensiero vanno cercate nei secoli travagliosi e oscurì
del periodo comunale.
Le origini del comune di Piacenza sono mal note come quelle di
molti comuni italiani. Il prevalere nelle città del mite dominio vescovile favorisce di molto lo sviluppo e la conseguente affermazione e
prevalenza delle classi cittadine, che già da tempo usavano raccogliersi
e trattare davanti alla chiesa, le cose di generale interesse. Di mano
in mano che il potere vescovile si estende fuori della civitas e si afferma anche sul circostante contado, si va affermando sempre più dentro
le mura, la volontà precisa di avere un governo autonomo, spoglio da
qualunque ingerenza straniera, interamente capace de’ suoi diritti;
finchè al vescovo, nell’opera di reintegrazione del contado sottentrerà
il comune adulto nel livellamento delle classi cancellando dappertutto
anche il ricordo dell’antico dominio barbarico.
Non è qui il caso di estendere nel breve ambito di una recensione
la documentazione dei fatti sopra esposti: il Solmi dà ampie prove
delle sue affermazioni. Resta tuttavia provato un fatto indiscutibile e
cioè che nell’Italia settentrionale il vescovo ha spessissimo un’importanza capitale nella storia delle origini comunali e talvolta, come a
Milano, ne è persino la prima e involontaria causa perchè la storia
della Chiesa e dei suoi dominii si allaccia strettamente con quella delle
vicende politiche, qui forse più che altrove.
Gli elementi del governo vescovile di Piacenza sono tutti quanti
tratti dalle classi cittadine; c’è la concio, antica assemblea, che si adunava e si adunerà fino al termine del secolo XII sulla piazza della
chiesa di Sant'Antonio, già un tempo cattedrale; la milizia, la giustizia,
l’amministrazione della città è tutta nelle mani cittadine. -
L'aspetto delle classi sociali è anch'esso pressochè identico che di
‘ Milano. A capo della scala, stanno i CAPITANEI e i MAGNATES, quelli che
hanno nelle loro mani la somma del potere, che hanno ottenuto dal
re o dal vescovo i feudi più importanti. Tra essi come a Milano, tro=
viamo alcuni elementi feudali del contado che hanno casa in Piacenza
e si mischiano nelle cose cittadine. Vengono poi i MILITES SECUNDI ORDINIS, cittadini arricchiti che hanno potuto aspirare alle maggiori cariche: classe più numerosa questa, formante l'aristocrazia cittadina.
In ordine seguono i segoliatores e infine v'ha il popolo: operai e artefici ecc. ecc., classe turbolenta, che già nel secolo XI lotta aspramente
contro l’aristocrazia cittadina odiata, e contro i clerici simoniaci e concubinari, per il trionfo degli ideali di Gregorio VII, ma solo più tardi
vediamo matura e imporre la propria volontà nel governo del comune
come a Milano con la Credenza di Sant’ Ambrogio. Dall'intervento
nelle discussioni generali, al tenere nelle proprie mani del tutto il governo della cosa pubblica, il passo è breve. Nel 1126 appariscono per
la prima volta ì nomi di cinque consoli piacentini in un accordo con
un magnato Corrado Fredenzoni che dona un castello alla città di Piaî
BIBLIOGRAFIA 861
cenza. E i consoli sempre più consci dei propri doveri, consolidano, allargano, estendono il potere loro, restringendo sempre più l’ingerenza
vescovile. Così passano lentamente al governo cittadino le regalie vescovili concesse, sia con autorizzazioni imperiali, come dopo la seconda
discesa dell’imperatore Federico Barbarossa, sia in aperto contrasto col
supremo potere; il comune afferma costantemente e rigidamente il diritto di sovranità, e lo esercita come una intangibile prerogativa. Le
leggi che il Solmi pubblica sono una prova di questa comprensione sempre più ampia e precisa dei propri diritti e della propria autoriomia.
I documenti sono di pochi anni dopo la prima apparizione del consolato, ma le frasi “ statutum est a populo , e fatti “ in communi concione a populo placentino ,, manifestano una piena maturità di sviluppo
legislativo, tanto che basterebbero da sole a far di parecchi anni retrodatare la prima apparizione del consolato. La legge del 1135 continuata
poi con nuove disposizioni nel 1144 intende fissare in iscritto le regole del diritto consuetudinario per quanto concerne le concessioni
fondiarie, nel redigere ie quali si dà preferenza agli usi locali, diver-.
genti dal diritto romano ormai prevalente. Nei vari capitoli della legge
vediamo importanti applicazioni di principii generali assai diffusi, quali
quello del dominio utile e disposizioni intorno al diritto di superficie;
principii e disposizioni illustrati dal Solmi con sobria e profonda dottrina. A queste due leggi seguono un regolamento pei notai pur esso
del 1135, nel quale si fissano norme per il giuramento, per le alienazioni dei beni ecclesiastici e la competenza loro spettante. Si aggiunge
infine il documento con cui il comune concede la fondazione del monastero Cistercense della Colomba; questo attesta i diritti sovrani esercitati già a questi tempi nel contado e presenta il principio della vendita forzata per utilità pubblica.
“La serie dei brevi dei consoli dal 1167 al 1180 molto frammentaria-
“ mente pubblicata dal Boselli meritava una edizione meno scorretta ,,
e a questo provvide il Solmi nella sua bella memoria. Sono questi documenti importanti perchè il breve nasce col consolato medesimo, e di
mano in mano che la vita cittadina si fa più ampia, nuove norme si
aggiungono alle antiche, altre vengono modificate o abrogate secondo
le circostanze e l’uso dei tempi. “ Oramai il Comune si presenta come
« l’unione organizzata dai cittadini nel pieno possesso dei diritti sovrani.
“ La sovranità dell'Imperatore è un limite riconosciuto, ma di scarsa importanza effettiva: e il processo d’integrazione delle forze sociali che
il feudo aveva disperso e teneva in dissidio, sta per conseguire piena
e definitiva vittoria ,.
U
Ugo BASSANI.
862 BIBLIOGRAFIA
Pio PeccHIAI, Gli archivi degli antichi ospedali milanesi, ne Gli Archivi
Italiani, anno III, fasc. 3, luglio-settembre 1916, pp. 207-241.
Il P., dopo avere annunciato di attendere sulla scorta di inventari
della fine del sec. XVI alla ricostituzione degli archivi degli ospedali
milanesi anteriori alla concentrazione ordinata da Francesco Sforza,
archivi che erano stati smembrati nelle varie classifiche dell'ordinamento
per materia subìto dagli atti degli istituti ospitalieri, pubblica l’inventario di quello fra essi che viene primo in ordine alfabetico, cioè dell’archivio dell’ospedale di S. Ambrogio, con la promessa di far seguire
man mano la pubblicazione degli inventari degli altri.
L’inventario dell'ospedale di S. Ambrogio dato dal P. comprende
282 numeri dei quali alcuni di atti finora non trovati, ma segnati negli
inventari antichi, ed altri di atti ivi non notati, ma attribuiti dal P. a
questo fondo; i numeri sono divisi in tre serie, cioè in quella dei quaderni e registri (n. 25, a. 1248-1497), in quella degli alti di autorità sovrane e costitutte (n. 16, a. 1154-1502), e in quella più numerosa degli
istrumenti e atti diversi (n. 241, a. 1131-1546). All’inventario il P. fa seguire, non senza qualche nota illustrativa, la pubblicazione di una sentenza dei consoli di M. in data 20 gennaio 1154 elencata in inventario
al n. 1 della seconda serie.
Mi congratulo vivamente col P. del sano criterio archivistico che
egli dimostra nell'avere pensato a sceverare le carte che appartennero
agli antichi ospedali di Milano dalla congerie di atti coi quali erano
state confuse in quell’ordinamento che però impropriamente egli chiama
peroniano. Ma più ancora mi congratulo del suo proposito di pubblicarne gli inventari, i quali, a mio credere, saranno salutati con piacere
da quanti sono cultori di cose milanesi e sanno quale messe ancora
inesplorata di documenti si conservi nell’archivio dell’ Ospedale Maggiore di Milano. Chè se qualcuno poteva preferire che il P. invece de
Gli Archivi Italiani, il cui carattere è forse più appropriato alla trattazione di questioni archivistiche, avesse scelto Gli Archtvi della Storta
d’Italia che il compianto Mazzatinti creò col precipuo scopo di far conoscere gli inventari dei nostri archivi, ciò nulla toglie al valore della
presente pubblicazione, il quale sarà anzi accresciuto notevolniente se
il P. vorrà, come io penso, far seguire agli inventari un indice dei
nomi di persona e di luogo.
Con tutto ciò non posso convenire intieramente col P. sul metodo
usato nel riordinamento delle carte dell'ospedale di S. Ambrogio e
nella pubblicazione del loro inventario; ma le mende che potrei forse
rilevare non sono tali da menomare l’utilità del lavoro; d’altra parte,
per rilevarle, dovrei trattare di questioni che mì sembrano alquanto
aliene dall’indole storica di questa rivista. Mi limiterò perciò ad accennare alcune sviste in cui il P. è incorso a proposito della sentenza dei
consoli da lui pubblicata in appendice.
BIBLIOGRAFIA 863
Una prima svista è là dove dice che la sentenza fu scritta dal console Ruggero, mentre non si conosce alcuna sentenza milanese che sia
stata scritta da un console, e dagli studi del Torelli sulla diplomatica
comunale e dalla recensione che ne ha fatto il Biscaro su questo Archivio
nel fascicolo precedente a questo è ben noto che Ruggero è un’identica
persona con Ruggero Bonafede cancelliere dei consoli in questo periodo.
Un'altra svista è quella di dire che fu presente, a difesa probabilmente
di una delle parti, il causidico Arialdo, mentre questi era uno dei consoli in carica. Ma la svista maggiore il P.la commise dicendo che “ questo
“ documento ci permette di aggiungere i nomi di cinque consoli, Marchisio
“ Calcagnola, Alberto di Porta Romana, Ottone Mairola, Roberto Pingi-
“ lucchi ed Azzo Cicerani (perchè non dice sei aggiungendo anche il nome
“ di Ruggero che pur sarebbe un console secondo lui?) a quelli di sei.
“ consoli citati dal Giulini nel suo catalogo cronologico sotto l’anno 1154 ,.
Evidentemente il P. non ha badato che i nomi di Marchisio Calcagnola,
Roberto Pingilucchi e Azzo Cicerani figurano nell’elenco del Giulini e i
nomi di Alberto di Porta Romana e di Ottone Mairola nell’ elenco del
Riboldi sotto l’a. 1153, chè altrimenti avrebbe cercato di spiegarsi come
mai i consoli di un dato anno figurino in atti dell’anno successivo, e allora avrebbe forse trovato nel Giulini stesso, diligente indagatore anche
dei minimi particolari dei nostri istituti, che i consoli di Milano verso la
metà del sec. XII scadevano alle calende di febbraio e che questa sentenza per essere del gennaio 1154, anzichè accrescere di cinque nomi
la serie dei consoli del 1154 reca nomi già tutti noti dei consoli dell’anno prima. Veramente un nome di console del 1153 non registrato
ancora in nessun elenco emerge da questa sentenza, come dalle altre
due sentenze che si conoscono del detto anno, cioè il nome del causidico Arialdo; ma la prova che questi era un console, siccome richiederebbe uno spazio superiore a quello che qui mi è consentito, è mia
intenzione di fornirla altrove. C. MANARESI
Luis: Rossi, Gli Eustachi di Pavia e la flotta viscontea e sforzesca nel
sec. XV, Parte I, Pavia, Successori Fusi, 1915, p. 201.
Il nome del prof. Luigi Rossi è già da tempo favorevolmente noto
tra i cultori della storia per i suoi studi su diversi momenti di quel
tumultuoso periodo delle vicende d’Italia che è compreso tra la morte
dell’ultimo Visconti e la pace di Lodi. Fu appunto in questo Archivio
se non erro, che vide la luce il più recente di tali studi (1). Ed eravi
ragione a sperare che l’autore‘fì preparasse a darci anche quell’opera
d’ insieme intorno a quegli anni che ancora ci manca. Il Rossi invece
ha preferito mietere.in altro campo, perchè ci si presenta oggi con un
(1) Luici Rossi, Lega tra il duca di Milano, i Fiorentini e Carlo VII re
di Francia in A. S. L., anno 1906, serie IV, vol. V, p. 246.
864 BIBLIOGRAFIA
volume sugli Eustachi di Pavia e la flotta ducale, ricco di notizie assolutamente nuove.
Già nel rgtI il prof. Giacinto Romano aveva richiamato l’attenzione
degli studiosi sull'importanza che ebbe nell’evo di mezzo la navigazione
fluviale nell’alta Italia e sulle speciali circostanze di favore nelle quali
la posizione geografica e le condizioni politiche avevano posto Pavia,
tanto che, per usare le parole stesse del Romano, essa era “ la vera
“ chiave delle comunicazioni col Po e con le vie fluviali dell’Italia su-
“ periore ,, (I). Lo stesso Rossi poi, nel 1912, aveva studiato di proposito “ com'era governata la flotta, come costituita, come agiva, quanto
“ costava ,, identificando i varî tipi di nave e specificandone le caratteristiche, l’uso e la composizione degli equipaggi; e ciò in una breve
e succosa illustrazione premessa ad un conto di spese faite da Antonio
Eustachi per la flotta ducale (2). Perchè per quasi tutto il secolo XV
la storia della flotta dei signori di Milano è così intimamente legata
con quella di persone della famiglia Eustachi, che non sì può toccare
dell'una senza dover dire dell’altra.
Li
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Singolare vicenda questa degli Eustachi, che in poco più di un secolo assurgono da modesta condizione di famiglia benestante a somma
altezza di onori, di fortune e di potere, e ricadono presso che nell’oblio!
I documenti più antichi che parlano degli Eustachi, infatti, non risalgono
oltre il 1355, e ce li mostrano piccoli proprietari e intimamente legati
al traffico del pesce. Fenone degli Eustachi è procuratore del paratico
dei pescatori alla venuta di Carlo IV in Italia; Pasello, negli ultimi
anni del secolo XIV e nei primi del successivo, appare proprietario di
mulini e di terre sul pavese, affittuario di una pescaia della duchessa
Bianca di Savoia, fornitore del pesce alla corte ducale; Pasino stesso,
prima di esser fatto capitano del naviglio e anche mentre occupa la
carica, attende al commercio del pesce e della calcina. Nessuna meraviglia che da condizione relativamente modesta fosse possibile salire a
carica sì elevata: I’A. ci spiega che “ piscatores , e navaroli costituivano una corporazione, tra gli obblighi della quale vi era anche dì
prestar servizio sulle navi; che i capitani del naviglio si sceglievano
appunto tra i “ piscatores ,,; e che tali erano stati anche i predecessori di Pasino. È del resto è fenomeno caratteristico e spiegabilissimo
di quel secolo della nostra storia che le persone arrivino ai sommi
onori non per nobiltà di natali, ma per virtù propria. Il Rossi riporta
per debito di storico l'affermazione che vorrebbe gli Eustachi una derivazione da un ramo della famiglia Giordana, cospicua ed illustre in
(1) Giacinto Romano, Pavia nella storia della navigazione fluviale in Bol
lettino della Società Pavese di Storia patria, anno 1912, p. 3II € sgg.
(2) Lusi Rossi, La flotta Sforzesca nel 1448-49. Ibidem. Anno 1912, p.1 € sgg.
BIBLIOGRAFIA 865
Pavia fin dalla fine del secolo XII; ma non vi presta fede, e vi vede
piuttosto un omaggio pietoso d’un tardo discendente per linea femminile (1).
Gli Eustachi adunque sono di origine popolare; vivono del commercio nel quale non tardano a primeggiare sovra le altre famiglie
del pavese. Bisogna tener presente che sin al cadere del secolo XV
Pavia, posta com'è sulla riva del Ticino e a poca distanza del punto
dove questo sfocia nel Po, fu un centro attivissimo; e mentre dalle
terre vicine vi venivano a vender e comperare ogni genere di mercanzie, al suo porto doveva necessariamente affluire tutto il commercio
di transito della valle padana, che facevasi solo per via di acqua.
Sul primo periodo della vita di Pasino le notizie sono incerte. Ritiene il Rossi, argomentando da un documento senza data, ch’egli sia
stato capitano del naviglio una prima volta tra il 1382 e il 1389 con
Perino della Pellizzeria, e che in seguito sia rimasto luogotenente dei
capitano. Certo però si è che il diploma 5 ottobre 1401 col quale Gian
Galeazzo Visconti nomina l’Eustachi capitano generale di tutto il naviglio “ existentis in flumine Padi nec non Ticini ac in quocumque alio
“ flumine territorii nostri , non si richiama a nessuna concessione precedente, il che pur sarebbe stato naturale e consentaneo all’uso della
cancelleria ducale, ma parla corne di conferimento di carica ex novo.
Ancora : nei due confessi del 1396 Pasino è qualificato senz’altro “ mercator calcine ,, e “ fornaxerio ,,, e nella sovvenzione di mutuo dell’anno
seguente “ piscator ,. Resta d’altra parte il fatto che nel 1396, all’ingresso di Gian Galeazzo in Pavia, è Pasino che guida il corteo nuziale;
e questa circostanza sembra poco conciliabile, a prima vista, con la
condizione di un uomo affatto nuovo alle cariche pubbliche.
Comunque sia, il primo dato sicuro nella vita dell’Eustachi ci è
fornito dal diploma ducale accennato poc'anzi, dell'ottobre 1401, quando
Pasino doveva aver di poco oltrepassata la quarantina (2). Qualche incertezza si ha ancora nel decennio che segue. È il periodo tristissimo
della storia milanese in cui il ducato, messo insieme con la violenza
e con l’astuzia da Gian Galeazzo Visconti, si sfascia per la morte im-
(1) BernaRDO Sacco, De italicarum rerum varietate et elegantia, Pavia,
1587, p. 71. Il Sacco aveva sposato una Bianca Eustachi. Il FAGNANI nel suo
Comentarium, venendo a dire degli Eustachi, incomincia: « Eustachiam familiam
« nobilem et vetustam esse nemo ambigat », espressione generica e stereotipa
quasi ch’egli usa per la maggior parte delle famiglie; tace completamente di
Pasino e di Antonio; riporta un diploma dell’ultimo aprile 1461 di Bianca
Maria col quale concede al nobile Rolino de Eustachio (è il figlio di Giovanni,
primogenito di Pasino e premorto al padre) la cittadinanza milanese per sè e
per i suoi discendenti; e ricorda Guido e Filippo, il castellano di porta Giovia.
(2) Secondo le induzioni del Rossi la nascita di Pasino cadrebbe tra il 1358
e il '60 (ctr. p. 146).
866 BIBLIOGRAFIA
matura del suo fondatore, e le città e le campagne, contese tra i diversi pretendenti che in nome degli antichi partiti se ne disputano con
le armi il dominio, sono piene di sangue e di rovine. Pasino rimane
fedele alla duchessa vedova reggente, e ne ha una prima conferma
della carica il 19 gennaio del 1403. Parrebbe però che nei torbidi seguiti in Pavia poco di poi, col momentaneo trionfo dei Beccaria e dei
loro aderenti Pasino debba essere stato rimosso, perchè del 6 luglio
di quello stesso anno abbiamo un decreto della duchessa reggente
che a Pasino sia lasciato esercitare l’ufficio secondo il solito (1). Nell'agosto di quello stesso anno gli è imposto per compagno Antonio
della Pellizzeria (segno che la stella della Visconti tornava ad offuscarsi); il qual Antonio dopo tre mesi, nel novembre successivo, è cassato, così che Pasino resta di nuovo solo. Lo troviamo ancora capitano,
ed in gran favore, presso Filippo Maria Visconti nel 1406; nel 1408,
invece, è dichiarato ribelle e gli sono confiscati ì beni, pare a torto; e
infine nel maggio del 14Io è reintegrato nella carica e negli onori.
Dal 1410 Pasino degli Eustachi terrà l’ufficio di capitano del naviglio ininterrottamente fino alla morte, sempre più ascendendo in
fortune ed onori. Assunto Filippo Maria al ducato dopo la tragedia che
toglie di mezzo Gian Maria, uno de’ suoi primi atti è la solenne conferma di Pasino, che avviene con diploma 9 ottobre 1412. E dell’aiuto
di Pasino dovette valersi largamente il nuovo duca in quell’opera di
repressione dei ribelli e di riconquista delle singole terre sottrattesi al
suo dominio durante la tutela di Caterina e la signoria di Gian Maria
che tosto intraprese, perchè il nome del capitano ricorre con una certa
frequenza nei troppo pochi documenti di quegli anni. Restano a testimoniare della riconoscenza del duca per i validi e fedeli servigi avuti
diversi privilegi a Pasino dell’anno 1420, i quali in complesso gli assegnavano una rendita annua di un migliaio di fiorini circa; principale
quella concessione delle entrate del porto del Tovo e della Mortizza di
Sicomario che dovevano perpetuarsi nei suoi discendenti.
Assicuratosi così il possesso dello Stato contro i nemici interni,
Filippo Maria rivolge l’animo contro i nemici esterni. Ed è specialmente
durante la guerra mossa da Venezia e Firenze alleate che si manifesta
l’opera di Pasino. Al primo rompere le ostilità egli è compagno al famoso Filippino dagli Organi nella preparazione della difesa di Cremona,
destinata ad essere il perno della resistenza ducale. Ma la flotta veneziana, più numerusa e meglio agguerrita, supera l’ostacolo di Cremona, e risale il Po spingendosi fin sotto Pavia che non osa attaccare,
mentre Pasino salva la propria, tenendosi accortamente sulla difensiva.
L’anno seguente, dopo un’alterna vicenda di danni reciproci, la flotta
veneziana avanza di nuovo con grave minaccia. Pasino tenta opporsi
(1) E' edito in MatoccHI: Francesco Barbavara durante la reggenza di
Caterina Visconti. Miscellanea di Storia italiana, serie III, tomo IV, p. 290.
_
BIBLIOGRAFIA 867
“ al pericolo, ma è sconfitto presso Cremona (agosto 1427). Di questa
sconfitta l’A. non sa attribuir colpa al capitano, ma piuttosto all’imperfetta preparazione; e il fatto che Pasino sia conservato dal duca alla
testa della flotta e la miglior prova della sua tesi. Si aggiunge intanto anche il disastro di Maclodio, mentre d'altra parte le continue
richieste di uomini e di denari alle città vanno stremando le popolazioni. Il Visconti quindi, mentre cerca ed ottiene alleanze ad occidente e attende ad ogni buon conto ai nuovi preparativi di guerra,
rivolge il pensiero alla pace, che finalmente è conclusa a Ferrara il
18 aprile 1428.
Più che pace è armistizio, del quale approfitta il duca per meglio
agguerrirsi e specialmente per meglio preparare la flotta, tacendo tesoro dell’amara esperienza del passato. l preparativi cominciano subito
nel ’29, l’anno seguente alla pace, e per la prima volta troviamo associato a Pasino suo figlio Antonio. Preparata la difesa di Cremona,
Pasino passa nella Lombardia superiore, con dimora a Locarno, a raccogliere dalle singole terre dei laghi il contributo imposto di navaroli
e di denaro. Succede un breve periodo di respiro nei primi mesi del
1430, il quale si protrae poi forse per l’infierire della peste, che fa una
. delle sue troppo frequenti comparse, e rivolge l’attività di Pasino a
tutt'altro ordine di funzioni, quella cioè di contribuire alla difesa contro
il contagio. La guerra scoppia sul cominciare del 1431. Questa volta
le speranze del duca si appoggiano principalmente sulla flotta: in
quei mesi è un carteggiare vivissimo tra la corte ducale, Pasino e le
magistrature civiche del ducato per la somministrazione di navaroli, ai
quali si promettono paghe insolitamente laute, un andare e venire di
messi dalle singole terre del ducato, oppresse' sotto la duplice richiesta
di uomini e di denaro, a protestare l'impossibilità loro di fornire i
contributi richiesti. Questo lavoro intenso mette capo ad una vera e
grandiosa azione navale sul Po, la battaglia del 21 giugno 1431, nella
quale la flotta viscontea, incoraggiata da un primo scontro favorevole
e grazie all’accorgimento del Piccinino di imbarcar sulle navi quasi
tutte le milizie terrestri, perviene presso che ad annientare l’armata
dei Veneziani. Contrariamente a quanto hanno asserito il Biglia ed il
Sanuto, in questo fortunato fatto d’arme la flotta viscontea era condotta da Pasino degli Eustachi; e il Rossi appunto, ponendo a raffronto la testimonianza di questi due cronisti con quella di altri contemporanei, con acute argomentazioni rivendica a lui questo onore.
Non ostante la brama del Visconti di cavar dalla vittoria tutto il maggior frutto possibile, altre vicende politiche d’Italia e la naturale stanchezza che suole tener dietro ad ogni sforzo fanno sì che non si abbiano più grandi azioni. Della flotta viscontea si vede fatta menzione
più volte nel corso dell’anno seguente; ma si tratta di operazioni secondarie, sia ausiliarie alle operazioni di terra, sia di semplice polizia
fluviale. E l’aprile dell’anno seguente si rifà, disgraziatamente per poco,
la pace.
868 BIBLIOGRAFIA
Per la terza volta scoppia la guerra tra i Visconti e Venezia nel
1437, € tosto ripigliano d’ambo le parti i preparativi per la flotta, anzi
questa volta con tanto maggior intensità da parte del signore di Milano,
in quanto che avendo il marchese di Mantova per alleato, incombe
alla flotta viscontea il compito di difendere anche lo stato di costui,
più esposto alle vendette della Signoria. Questa volta però i preparativi procedono con maggior lentezza. Manca specialmente, in sulle
prime, il denaro, ch’è sempre stato in tutti i tempi e con tutte le forme
di governo il nerbo principale della guerra; e le singole terre del ducato, sulle quali fioccano le richieste di contributi in navaroli, lavoranti
e militi, oltre che in denaro, esauste, cercano in sulle prime di sottrarvisi, o danno il meno che sia possibile. In conseguenza, mentre il
Gonzaga, che si sente sulle spalle la minaccia di Venezia, prega, e insiste, e tempesta per aver Pasino, ripcnendo ogni sua speranza di salvezza solo nell'arrivo dei galeoni viscontei, questi invece è costretto
a restare a Pavia per organizzar gli uomini e disporre dei denari, che
a poco a poco vanno giungendo dalle terre del ducato. In questa circostanza Pasino, che, si tenga ben presente, toccava quasi la ottantina, è coadiuvato dal figlio Antonio suo luogotenente; ed è specialmente da ascriversi all'energia di quest’ ultimo se alla fine la flotta si
trova in pieno assetto ben agguerrita. Tuttavia il 1438 passa senza
che avvengano fatti d’arme per acqua, mentre per terra le genti del
Piccinino stringono ed incalzano Brescia.
L’anno seguente l’apparire di una flotta veneta sul Garda fa sì che
si trasporti sul Garda anche la viscontea. Così si viene alla seconda
grande vittoria riportata da Pasino, quella del 26 settembre 1439, nella
quale, con la collaborazione delle milizie del Piccinino per la via di
terra, la flotta veneta del Garda è in parte affondata, in parte dispersa,
lasciando nelle mani del nemico oltre sei mila prigionieri. Dopo la vittoria Pasino, o temesse un ritoruo offensivo del nemico, o avesse in
proposito di stringerlo più da presso, mantiene la flotta in pieno assetto
di guerra. Così fa l’intera invernata 1439-1440, non permettendo ai
navaroli che hanno terminata la ferma di ritornar alle loro case se
non a patto che altri li sostituiscano; anzi la primavera del ’4o attende
ancor più a rinvigorirsi. Ma l'attacco improvviso del 1° aprile per opera
dell’armata veneta, che costa a Pasino la perdita di un migliaio di
uomini, scoraggia Filippo Maria. Peggio ancora per il duca sopravvengono le gravi sconfitte per terra per opera delle milizie veneziane
capitanate da Francesco Sforza, il futuro genero e successore nel ducato. La guerra continua ancora, ma senza grandi fatti d’arme; e più
importanza rivestono le trattative per la pace e le schermaglie diplomatiche del Visconti, rivolte ad attirare a sè lo Sforza con la lusinga
della mano dell’unica figlia. E la pace finalmente si conchiude il 20 novembre del 1441, un mese circa dopo che s’era celebrato il matrimonio
di Bianca Maria con Francesco Sforza. È
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BIBLIOGRAFIA © 869
s
Dopo la pace del 1441 non trovasi più che Pasino abbia preso
parte a fatti d'arme; ma non per questo la sua attività cessa, perchè
molti e complessi erano gli obblighi inerenti al suo ufficio, sia in tempo
-di pace, sia in guerra. A questa parte il Rossi consacra nel suo studio
alcune pagine, che per la novità delle notizie sono fra le più importanti. Il capitaneato del naviglio contava tra le principali cariche, e secondo ogni probabilità acquistò una quasi completa autonomia dalle altre
magistrature con la riforma dell’amministrazione che si deve al Barbavara. Il capitano del naviglio accentrava in sè i poteri più disparati.
Ricordare qui tutti gli incarichi che gli erano demandati sarebbe impossibile. Per citarne solo alcuni, egli esercitava la suprema autorità
sulla flotta, e doveva vigilare che fosse sempre in ordine; in tempo di
.guerra poi poteva anche guidarla (come si è visto fare Pasino) fermo,
nel caso contrario, l'obbligo di coadiuvarne il condottiero; visitava i
porti e i guadi, e doveva aver cura che la piena delle acque non rovinasse le rive e i ponti; giudicava delle eventuali controversie tra
navaroli ed in genere di qualsiasi questione che avesse attinenza col
commercio fluviale; aveva parte nello stabilire il calmiere del pesce;
‘curava che non avvenissero frodi nei contratti in materia di acque;
teneva registro di tutte le navi e di tutti i navaroli; dirigeva e regolava la navigazione commerciale; in tempo di guerra poi (ed era il
compito più spinoso come dimostra con gran copia di documenti l'A.),
esigeva dalle singole terre del ducato le contribuzioni di uomini e denaro necessarie per armare la flotta secondo un riparto ch'egli stesso
doveva fissare. Accentrava insomma in certo modo le funzioni di ammiraglio, di ingegnere e di amministratore. In caso di epidemia c’era
una serie di provvedimenti ch’egli doveva attuare per contribuire a
reprimere il diffondersi del contagio: sono ordini minuziosi che l'A.
sunteggia da un registro di missive del nostro archivio di Stato ; trattavasi in altri termini di stabilire un cordone sanitario; e basterebbero
questi ordini da soli a provare come il suo compito non fosse nè semplice nè facile.
Il capitano del naviglio aveva giurisdizione assoluta sui corsi
d’acqua, sui laghi e sui paesi rivieraschi; ora si consideri che il solo
tratto del Po che cadeva sotto il dominio del Visconti, dai confini del
Monferrato a quelli del signore di Mantova, abbracciava ben duecentocinquanta chilometri. Importanza capitale assumeva la vigilanza sui
passi di transito o porti. Ve n’era sul Po, sul Ticino, sull'Adda, sul
Lambro, sulla Sesia; e IA. li nomina ed identifica ad uno ad uno.
Ogni porto era dato in custodia ad un apposito ufficiale che riscuoteva
.il diritto di transito, o pedaggio, salvo il passo gratuito ai funzionari
del signore e al loro seguito, o a chi fosse munito di speciale licenza.
I porti principali poi erano protetti da una torre, talvolta anche muniti
Arch. Stor. Lomb., Anno XLIIT, Fasc. IV. 56
870 BIBLIOGRAFIA
di una rada per ricovero delle imbarcazioni. In compenso della sua
opera il capitano del naviglio percepiva l’onorario, non troppo lauto
anche per quei tempi, di dieci fiorini al mese. Vero è che godeva
di larghi privilegi d’esenzione, senza contare le concessioni volontarie
del signore.
La flotta viscontea variava di numero. Nel 1432 (l’anno in cui ci
appare più numerosa) era composta di sessanta galeoni, ai quali I°A.
calcola sia da aggiungere un numero triplo di navi minori. Vi montavano conestabili, nocchieri e navaroli, oltre, all'occorrenza, balestrieri
e bombardieri; quelli formavano gli ufficiali del comando, i navaroli la
massa della ciurma. |
I navaroli, come già si è visto, costituivano insieme coi pescatori
una corporazione retta da appositi statuti; (godevano inoltre di certi
privilegi e concessioni sanciti, in pari tempo con gli obblighi loro imposti, in un ordine di Galeazzo Visconti del 1° agosto 1374 che lA.
pubblica integralmente togliendolo dall'archivio civico di Piacenza. Essi
dipendevano dal capitano del naviglio, il quale era il loro natural protettore. Venivano chiamati a servire sulle navi in caso di bisogno, e
vi servivano un dato numero di giorni stabilito in precedenza, nei quali
riscuotevano il soldo in ragione di quattro fiorini al mese a carico del
loro comune. Spettava infatti ai comuni l’onere di fornire i navaroli
in quella misura che erano richiesti dal capitano del naviglio. Trascorso
il termine prefisso, il navarolo o riceveva il soldo per altri giorni, o
veniva rinviato a casa e sostituito con altri; ciò, s'intende, in tempo
di guerra, perchè durante la pace rimanevano alle case loro ed attendevano alle proprie occupazioni. Erano insomma come lA. conclude
nelle pagine che dedica loro, “ una specie di milizia territoriale reclu-
“ tata in città e paesi rivieraschi ,,.
Riassumendo dunque, dei due temi che il Rossi si era pretisso
l’uno e l’altro trova pieno svolgimento. Della flotta viscontea egli ci
mostra la parte importante che aveva nella difesa dello Stato e nelle
azioni di guerra, e, quel ch'è più e che nessuno aveva ancor tentato
ce ne spiega l’organismo e illustra il funzionamento. Di Pasino degli
Eustachi poi, raccogliendo il poco ch’era noto sporadicamente dai libri
e molto aggiungendo dall'esame diretto dei documenti, riesce a ricostruire la biografia per il cinquantennio nel quale Pasino ha parte
nella vita pubblica. Uomo di grande energia, per quasi mezzo secolo
’Eustachi esercitò un’autorità indiscussa su tutto quanto si riferiva alla
flotta, e nulla si fece in materia di acque se non col suo parere e consenso. La sua attività dovette poi essere straordinaria, se in mezzo
alle incessanti cure che gli imponeva la sua carica egli potè continuare
ad attendere ai commerci privati. Ce lo dichiara egli stesso in una
=
BIBLIOGRAFIA | 871
sua supplica al duca, dove, protestando contro l’imposizione fattagli di
pagar il focatico contrariamente ai suoi privilegi, espone di aver vertisette bocche a suo carico e solo dieci fiorini al mese di stipendio,
“ adeo quod si industria personali non intenderet, tot sunt diversimode
“ sumptus, quod eisdem reditus suppetere non possent ,. Questa attività fortunata, aggiunta al favore ducale che lo aveva colmato di concessioni e privilegi, spiega come Pasino potesse raggiungere in vita
una prosperità non comune e lasciar alla sua morte un patrimonio,
che l’A., dagli atti di una causa ereditaria agitata nel 1449 tra i discendenti di Pasino, valuta a dieci milioni di lire di moneta nostra.
All'esame degli atti di questa causa appunto ed alla lapide sepolcrale della tomba di famiglia degli Eustachi, già edita è commentata
dal dott. Gerolamo Dell’Acqua(1), l’A. dedica le ultime pagine di questo
suo studio. Il primo, oltre portarlo a determinare l’entità del patrimonio
di Pasino, gli dà occasione di pubblicare un interessante inventario di
mobili, vesti ed utensili domestici di lusso, gioielli, biancheria, armi e
libri, e di illustrarlo con note esaurienti. Circa la seconda, rettifica l’in-
.terpretazione dell’anno da 1453, cone in sostanza si legge, a 1443 come
doveva essere, e dimostra come il documento che pubblica il Dell'Acqua sia da riferirsi non a Pasino capitano del naviglio, ma ad un
suo abbiatico.
Con la morte di Pasino, che il Rossi dimostra seguita sulla fine
della prima quindicina del settembre 1445, correggendo quanto avevano
scritto altri (2), si chiude il volume, che comprende la prima parte dell’opera. Opera pensata con vastità di concezione, condotta con pazienza
ed amore in mezzo a lunghe ricerche d’archivio e di biblioteca, e della
quale va data ampia lode all’autore.
Auguriamoci ch'egli possa presto farle seguire la seconda parte
promessa.
ACHILLE GIUSSANI.
(1) GeroLamo DeLL’Acqua, La lapide sepolcrale di Pasino degli Eustachi
ed un documento che lo riguarda in Bollettino storico pavese, 1893, p. 93.
(2) A proposito di rettifiche può interessare anche la correzione della data
di morte di Filippo degli Eustachi, abbiatico di Pasino e castellano di porta
Giovia, che tutti gli storici sinora avevano asserito essere stato decapitato il
6 dicembre 1489. Il Rossi invece (La {lotta sforzesca, già cit. p. 4) prova esser
egli morto il 3 gennaio 1495 di morte naturale. Ciò, del resto, concorderebbe
in parte con quanto scrive anche il FaGNANI, che, ricordato come Filippo fosse
a parte della congiura contro il Moro, prosegue: « Auno vero 1490 Philippus
« Eustachius cum Ludovicum Sfortiam in arcem venientem humanissime re-
« ceptus (sic) iussu eiusdem captus, Abiatum transmissum fuit, ubi brevi temporis
« spatio mortem obiit ».
872 BIBLIOGRAFIA
CamirLe EnLART, Manne! d’archeologie francaise depuis les temps merovingiens jusqu'a la Renaissance. Tome IIIL “ Le costume ,. Paris,
Picard, 1916, in-8, pp. xxx-614.
Col terzo volume del suo manuale, il direttore del museo di scultura comparata al Trocadero ha dato a tutti gli studiosi un’ opera di
sommo valore ed un prezioso sussidio ad ogni studio medioevalistico:
e non ai francesi solo, ma anche agli italiani e speciamente ai lombardi, giacchè il costume medioevale presso di noi ha sempre stretta
parentela con le foggie e le mode d’oltre alpe. I vecchi, per quanto
pregevoli lavori del Quicherat, del Racinet, del Viollet-le-Duc e del
Gay, sono, se non resi totalmente inutili, per lo meno messi nell'ombra
da questo lavoro che l’editore Picard, tanto benemerito degli studi storici, ha pubblicato con la consueta cura e signorilità.
Il piano dell’opera è assai semplice: una esposizione storica divisa
in periodi cronologici. Ogni periodo è suddiviso in sezioni che riguardano gli abiti propriamente detti, i copricapi, le calzature e tutti gli
altri accessori, poi i costumi speciali, liturgici, civili e gli abiti militari.
Un’ampia bibliografia all’inizio ed un ricco e minuzioso repertorio in
fine rendono facile e sicura la consultazione.
Dall’epoca merovingica sino al XVII secolo tutte le fonti possibili
sono messe a contributo: non le rappresentazioni artistiche solo ma
ancora tutti i documenti letterari ed archivistici, gli inventari special.
mente. La' storia di ogni indumento assume così una straordinaria precisione, e la terminologia è ricca quant’altre mai. Si comprende facilimente quale somma ingente di lavoro è accumulata in queste pagine
e quale inesauribile miniera di notizie esse siano.
I riferimenti a documenti lombardi sono frequenti: così ad esempio
nello studio dei cappelli di paglia all’inizio del XIV secolo, si ricorda
l'industria allora fiorentissima in Lombardia di quelli fatti con paglia
di riso, di cui larga esportazione se ne faceva in Francia: industria
che forse può spiegare il cappello di paglia che porta, nel quadro del
Pisanello a Londra, S. Giorgio. Così sono ricordate le nostre armature
milanesi, delle quali forse si poteva dire qualcosa di più. Ma certo
l’Enlart, che ben conosce il soggetto, non ha accennato se non a quanto
era strettamente necessario al suo compito di studioso del costume
francese.
Malgrado ciò, quanti non hanno dimenticato che sulla fine del trecento e nel quattrocento, come ci assicurano i nostri cronisti, le foggie
lombarde erano ad imitazione di quelle francesi, sanno quale prezioso
sussidio può venire allo studio della nostra iconografia e della nostra
arte da una così minuta e sicura esposizione. Ed è perciò che abbiamo
creduto necessario segnalare quest'opera, degna in tutto dell'autore e
completa quanto più non potevamo aspettarci.
U. M. V.
BIBLIOGRAFIA 873
Ainuarjo del regio Archivio di Stato in Milano, per l’anno 1916, in-8.
Milano, Palazzo del Senato (Perugia, Unione tipogr. cooperat.), 1916.
Non ostanti le difficoltà provocate dallè circostanze attuali, e la.
mancanza di personale, i lavori del nostro Archivio di Stato hanno
proceduto ininterrotti durante il 1916, sotto la guida illuminata del
Comm. Fumi al quale auguriamo di veder compiuta quell’opera grandiosa di riordinamento sistematico di cui si è fatto iniziatore.
L’Annuario del 1916 dà parecchie buone notizie che rallegreranno
gli studiosi: l’essere cioè quasi al fine la compilazione di quegli inventari sommari che sono così utili per un primo orientamento nell’intraprendere qualsiasi ricerca, il procedere svelto degli inventari descrittivi
per fondi di singolare interesse come sono la “ giustizia civile e cri-
“ minale ,,, il compimento, per opera del dott. Ferorelii, del regesto
dei registri Panigarola, una delle basi fondanientali per ogni studio
sulla storia milanese del quattrocento e del primo cinquecento, il continuato assetto delle pergamene del fondo di religione, fonte prima,
e potrebbe dirsi unica, a Milano, per gli studi di storia civile ed economica nel medio evo, e capace di compensare largamente le fatiche
di chi, seguendo l’esempio del Biscaro, si accinga a rimestarla con preparazione sicura e tenace pazienza.
L'Annuario del 1916 continua nel imeloao inaugurato dali’egregio
Soprintendente in questi ultimi anni, e degno, a parer mio, della più
ampia lode, continua cioè ad accompagnare le relazioni sull’ordinamento dei singoli fondi con notizie sulla storia, la natura ed il funzionamento dei lDicasteri onde son costituiti. Così per esempio, il dott.
Piccardo, che attende a riordinare le carte del R. Econoinato, fa precedere la descrizione dei suoi lavori da un ampio studio storico giuridico su questa importantissima istituzione a cominciar dai Visconti e
venendo giù fino ai tempi più recenti, dove ha singolar pregio la parte
dedicata ad illustrare il divèrso atteggiamento tenuto, secondo 1 tempi
e le circostanze, dai Visconti, dagli Sforza e dai governi successivi di
fronte alla Curia romana.
Allo stesso modo gli ordinatori della serie * Atti di Governo , illustrano il succedersi dei vari organismi amministrativi a partire dalla
restaurazione austriaca fino al 1848, e dal ’49 al ’57, e quello dei diversi
Comitati istituiti dal Governo provvisorio di Lombardia nel 1848.
Nè meno lodevole è 1l sistema di riassumere, sia pure a larghi tratti,
il contenuto dei singoli fondi che si vanno ordinando, mettendune particolarmente in luce il valore per lo studio di determinati argomenti,
come si fa per la serie “ Spettacoli pubblici y e per quella interessantissima degli “ Studi ,,, la più scompigliata in passato da chi volle
formar la effimera classe degli autografi, e ora a poco a poco reintegrata nell’esser suo originario.
Ognun vede come sì vadano a questo modo preparando gli elementi per un altro lavoro d’un’utilità incomparabile, per una Guida
874 BIBLIOGRAFIA
dell’Archivio di Stato milanese, il cui bisogno è sentito da tutti, una
Guida che, con esposizione sobria e precisa, enumeri e descriva'i fondi,
illustri la natura e le vicende degli uffici, faccia insomma conoscere al
pubblico quell’immenso deposito che per tanto tempo, con pertinace
esagerazione, è stato creduto un caos.
Gli Annuari dell’Archivio di Stato di Milano si fanno anche divulgatori d’idee e provocatori di riforme; questa missione di critica ad
alcuni sistemi vigenti nel campo archivistico si è assunta, e degna-
‘mente assolve, il prof. Vittani, In quest’ultimo volume egli esamina i
difetti nell'ordinamento delle Scuole di archivistica e diplomatica presso
gli Archivi di Stato e le cause per cui non danno i frutti che potrebbero, e propone rimedi degni, a parer nostro, d’esser presi in considerazione da chi ha il potere di attuarli. Il duplice scopo per cui queste
‘scuole furono istituite, quello cioè di preparare archivisti e diffondere
la coltura paleografica, fu solo in parte raggiunto; e si potrebbe, secondo il Vittani, raggiungerlo per intero quando queste scuole fossero
coordinate alle cattedre universitarie in modo da integrarsi a vicenda,
quando l'insegnamento presso gli Archivi, equiparato in diritto a quello
universitario e limitato agli elementi della paleografia e diplomatica,
servisse di preparazione all'insegnamento superiore allo stesso modo
che nelle università le cattedre attuali di istituzioni di diritto civile e
romano sono i presupposti necessari del corso superiore del giure.
Ben volentieri aderiamo all’augurio che, dopo la pace, nella calma
serena e feconda delle attività nuove, anche il problema di queste scuole
venga discusso e risolto. ErrorE VERGA
P. BuzzettI, // falasszo biturrito dei conti Balbiani e le':mura di Chiavenna,
Coino, Cavalleri, 1916, in-8, 2 tav.
Il volumetto pubblicato da don Pietro Buzzetti, ben noto cultore
delle memorie storiche della provincia comense e della Valtellina, ritesse le fortunose vicende del vetusto maniero e delle mura di Chiavenna intrecciate con quelle de’ suoi possessori, i Visconti, i Rusca e
particolarmente de’ Balbiani; vicende che sono già state narrate dal
Crollalanza nella sua Storia di Chiavenna e che il B. ha nuovamente
esposto accompagnandole colla pubblicazione della perizia dell’ ingegnere ducale Guiniforte Solari, tnteressante documento del 1447, che
diffonde nuova luce intorno allo storico edificio, il cui possesso a ragione era stimato una delle chiavi del ducato milanese. I Grigioni, i
quali nel 1512 ne divennero padroni, lo tennero fino al 1797, ma sotto
la loro denominazione il palazzo biturrito di Chiavenna fu brutalmente
deturpato ed ora rimane come un corpo scheletrito, triste documento
di ferocia, in attesa di opportuno ristauro, che lo renda decorosa sede
di istituzioni cittadine. Nell’ ultima parte della monografia il B. tratta
" delle mura della graziosa cittadina adagiata sulle rive del Mera: ne
narra le vicende, ne esamina la configurazione e chiude esprimendo il
voto assai opportuno che il torrione tuttora esistente venga esso pure
in modo degno ristaurato.
#
BOLLETTINO DI BIBLIOGRAFIA STORICA LOMBARDA
(giugno-dicembre 19716)
I libri segnati con asterisco pervennero alla Biblioteca Sociale.
# ADAMI (VITTORIO, 1EN. coL.). - Le guardie nazionali valtellinesi alla difesa
dello Stelvio nel 1866. Milano, Cogliati, 1916, 8° fig., pp. 416.
#* AGNELLI (GIOVANNI). - Lodi ed il suo territorio nella storia, nella geografia e nell'arte. Lodi, tip. Abbiati, 1917, 8° gr. pp. XVI- 1228.
* ALLEN (K.). - Some Glimpses of the Raetian Limes. - The Classical
Journal, vol. XI, n.° 2.
Nel med. fascicolo: Hype (W. W.) The ancient appreciation
of mountain scenery.
Ambrogio (S). -- Lieu de naissance de Saint Ambroise. --- Intermédiaire
des chercheurs et curieux, 10-30 aprile 1916.
AnNONI (AMBROGIO). - Le alterne vicende della facciata del duomo di Milano. -- La Lettura, agosto 1916.
* Annuario del R. Archivio di stato in Milano per l’anno 1916 (N.° 6).
Milano, Palazzo del Senato, 1916, 8” pp. 147 (Perugia. Unione tipografica cooperativa).
Cfr. i cenni bibliografici in questo fascicolo.
AnTONA-TRAvERSI (C.). - Note foscoliane. -- Fanfulla della domenica, n.° 17
- 18, 26, 1916.
ANTONA-TRAVERSI JC.). - Bricciche foscoliane. - Rassegna nazionale, 1/6. 1916.
ANTONINI (G.). - Voci del passato. Richiami quarantotteschi (il generale
Giacomo Antonini). -- Rivista Valsesiana, aprile-giugno 1916.
876 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
* Archivio storico per la città, circondario e diocesi di Lodi. Anno XXXV.
8°, Lodi, tip. Borini-Abbiati, 1916.
n.i 1-2, murzo-giugno. BaRONI (avv. G.). - Storia delle ceramiche:
nel Lodigiano (continuazione). — AGNELLI (G.). Monasteri Lodigiani :
Umiliati : S. Giovanni alle Vigne e S. Cristoforo in Lodi ; S. Cristoforo
di Paullo. — Per un'eventuale chiusura di Porta Castello (1789) —
Atti della Deputazione storico-artistica nel 1915. — Notizie ed appunti.
* ARNOLDI (D.). Un tipografo vercellese patriota e poeta: Giuseppe Guglielmone (1827 - 1872). Il Risorgimento italiano, vol VIII,
fasc. 2°, 1915.
Il Guglietmone era però nativo di Vigevano; di lui si pubblicano
inni e prose patriottiche del ’48.
BaPTISTA MANTUANUS i(Beatus). Libri tres de Calamitatibus temporum. Nova
editio anno saec. IV a morte auctoris curante fr. Gabriele Wessels. Romae, tip. Pontificia, 1916, 8° fig. pp. 94.
BarBIERA (R.). Memorie goriziane e Graziadio Ascoli. — La Perseveranza,
24/8 1916.
BARBIERA (R.). Tommaso Grossi notajo - Nuova Antologia n.° 1077, (1916).
BARBIERI (CLEMENTE) La b. Caterina Mai-Savina da Gambolò, terziaria domenicana. (Estr. Rosario - memorie domenicane). Firenze, Tip. domenicana, 1916, 8°. pp. 13.
* BARNI (prof. LuiGi). La chiesa di S. Pietro Martire attraverso i secoli
(Estratto dal giornale Il Corriere di Vigevano). Vigevano, Unione tip.
Vigevanese, 1916, 16°, pp. 18.
BASLER CHRONIKEN. Vol. 7.° Bearbeitet von August Bernouilli, 8° gr. Leipzig,
Hirzel, 1915.
Per le guerre di Lombardia (battaglie di Marignano, Bicocca, Pavia, ecc.), cfr. in questo volume le cronache sotto i n.i V e VI del
cappellano Geronimo Brilinger (1474-1525) e di Anonimo (1521-1526).
Cfr. specialmente be pp. 222-31 e 254-66.
* Bassani (Libra). Sul carme Ad fortunam di Lelio Capilupi. — Athenaeum.
a. IV 1916, fasc. 2.°
BAZZETTA (Nino). - Una dama milanese e « L'Italiana in Algeri » di Gioacchino Rossini. - La Sera, 2-11 1916.
Antonietta Suini Frapolli rapita da corsari algerini nel 1805.
BAZZETTA (Nino.). - Milano e il centenario di Carlo Tenca. - La Perseveranza, l-11 1916.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 87 7
BELLONDI (VINCENZO). - Fra Dolcino: trageaia; concetto storico. Firenze,
tip. Campolmi, 1916, 16°, pp. 1iO.
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XXXVIII, 30.
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N. 2, aprile-giugno. Mazzi (A.). Gli « Annales Italiae » ai G. Michele Alberto Carrara ‘cont. e fine). - Appunti e notizie : Nuove attribuzioni per dipinti della Pinacoteca Carrara; Opere di G. B. Moroni
a Trento: Naturalisti bergamaschi del secolo scorso; I globi del p.
Coronelli nella Civica Biblioteca; Per una denominazione locale cit
tadina (« Rosate »): Costo d’un'impiccagione a Bergamo, nel secolo
XVI; Un pettegolezzo a’ tempi di Lesbia Cidonia; Una massima di
G. Donizetti. - Raccolta degli incunaboli (della Civica Biblioteca.
continuazione). i
N. 3, luglio-settembre. PINETTI (A.). La decorazione pittorica secentesca di S. Maria Maggiore. - Varietà: Mazzi (A.). Plumbinum,
plumbinare. - Appunti e notizie: I pittori da Santacroce; Il sepolcro
del cardinale Guglielmo Longo bergamasco ; Frodi d'esercenti nel secolo XVI. - Nota bibliografica: MAzzi (A.). I cardinali di casa Frassoni, del co. F. Pasini Frassoni. - Raccota degli incunaboli (cont.
e fine).
* Bollettino storico per la Provincia di Novara. Anno IX, fasc. VI. novembredicembre 1915, 8°. Novara, tip. Cantone, 1916. |
Fascicolo commemorativo ael prof. G. B. Morandi, caduto da prode per la patria sul Carso, con articoli di Viglio, Leone, Massara, Bori,
Gabotto, Lizier che ne illustrano la vita, le opere a stampa e manoscritté e le benemerenze quale direttore del Museo Civico di Novara e
del Bollettino novarese fondatore.
Bollettino del Museo del paesaggio in Pallanza airetto da Antonio Massara.
Vol. I, fasc. 1-2, settembre 1916. 8° gr. ill. Intra, tip. Almasio.
La Direzione. S. A. R. la Duchessa di Genova madre fondatrice
della Galleria d’arte del paesaggio. - Massara (A.) e DE MarcHI (MARco). Parole ed atti di fede. - Relazione sulla fondazione ed avviamento
del primo Museo del paesaggio in Pallanza. - M. (A.). La Triplice e
Carlo Cadorna ida uno studio su «Il pensiero di Carlo Cadorna ». -
- ANTONIELLI' (avv. A.). Spigolature d'archivio: Archivio notarile di Pallanza (1529-1809).
=
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restaurazione austriaca (1914). - TagcLIABUE (M.). La politica finanziaria
nel governo di Gian Galeazzo Visconti (1378-1402) il. I predecessori.
II. L'opera di Gian Galeazzo. L’'accentramento amministrativo). - So
RIGA (R.). Sulle corporazioni artigiane di Pavia nella età comunale. -
Rota (E.). Legami di pensiero fra Italia e Francia avanti e dopo la rivoluzione. (I. Per quali vie penetra in Italia il pensiero francese del
secolo XVIII. IT, La Società del « Caffè » nelle sue relazioni coll’Enciclopedismo francese). - Romano (G.). U giudizio di A. Biglia sulla
funzione storica dei Visconti e del ducato di Milano. - Sorica (R.).
I testamenti di Girolamo Cardano durante i tre ultimi anni di suo
soggiorno in Pavia. - Rossi (L.). Gli Eustachi di Pavia e la flotta viscontea e sforzesca nel secolo XV. - Bollettino bibliografico. - Notizie
ed appunti: Romano (G.). La data esatta della nascita di Giangaleazza
Visconti; FraNcHI :G.). L'insurrezione e sacco di Pavia 1796; SoRIGA (R.). Un discepolo di Mario Pagano. Il cittadino Massa : Lo stESSO.
L'Archivio della Camera di commercio di Pavia. - Notizie varie.
Fasc. III-IV. BoLLEa iL. C.). Documenti ineaiti della famiglia Cairoli. - Romano (G.). Ancora di Guido da Vigevano (cfr. Bollettino
XIV, 1914). - Sorica (R.). Per la storia dei rifugiati meridionali sotto
la prima Cisalpina. - CoRrBELLINI (A.). Appunti sull'Umanesimo in
Lombardia. I. - Recensioni. - Bollettino bibliografico. - Notizie ed Appunti: SoriGA (R.). Due episoai della Reazione austro-russa nell'OItrepò Pavese; La sommossa di Pavia del 1796 secondo una testimonianza
piemontese : Notizie sulia fondazione della Chiesa di S. Maria di
Canepanova. - Notizie varie.
2) = Bollettino storico qaella Svizzera Italiana. Anno XXXV. 8°. Bellinzona,
Colombi, 1915-16.
N. 4. Per la genealogia dei Torriani di Mendrisio feudatari di Azzate.
- Cronachetta di Lavena del Settecento. - Catalogo dei documenti per
l’istoria della prefettura di Mendrisio e pieve di Balerna dall’a. 1500
al 1800. - Varietà : Artisti del Ticino a Pisa, nel Lodigiano, a Cremona
ed a Milano: Pellegrinaggi a Loreto, S. Giacomo di Gallizia : Farmacisti
luganesi a Milano nel ‘400; Un armaiolo locarnese a Milano : Il Monte
Generoso visitato nel 1554: Un locarnese predicatore alla corte di
Polonia: La presa di Bellinzona nel 1242. - Bollettino bibliografico.
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Tiburga Oldofredi. Scene storiche del secolo XIII. (Ristampa. Cont. nei
numeri segg.).
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bresciani. - GUuERRINI (P.). El cantà déi Stapì e i capricci maccheronici di Maestro Stopino.
N. 76. MICHELETTI {A.). Poeti e pittori del Garda. - G. (P.).
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gennaio 1848 (satira in versi). - La piazza di S. Benedetto.
#
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 881
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‘cronaca bresciana del tempo (Cont. nei num. segg.). - L'inaugurazione
del « Caffè dei gobbi » (1727). Dai Diarii di Alfonso Cazzago. - CAPRAnica (L.). La Congiura di Brescia. Romanzo storico. (Ristampa. Cont.
nei num. segg.).
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Una grave questione ai caccia (1723).
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‘papa tedesco.
N. 80. GuERRINI (P.). Stefano Pasini musicista bresciano del seicento. - Prodezze di sbirri (1705).
N. 81. Brescia antica: Portale Caprioli. - Banditi e ladri (1723),
Miseria e lusso (1726). Dai Diarii di Alfonso Cazzago. i
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di un vecchio detto popolare: « Mètt tòt per el barbèr de Bòzol? »
(1480). - Una processione tragica (1702). - Mor (C. A.). Significato
‘etimologico del nome Orzi (Urcies).
N. 84. GUERRINI (P.). Manerbio (Cont. nei num. segg.). - Il conte
Bartolomeo Bargnani (1725). - Il primo maestro di Cesare Arici.
N. 85. GuERRINI (P.). Il Savonarola di Brescia. - Documenti politici del Risorgimento (1850). - Vescovi bresciani (1730).
N. 86. Le monache esemplari di S. Giulia (1717). - Documenti
politici del risorgimento (1854).
N. 87. Effemeride Bresciana : Le dieci giornate (1848). - Precauzioni sanitarie (1713). - Ritratto di Tito Speri.
N. 88. Un delitto celebre e l'origine dei portinai a Brescia (1817) -
Dai Diarii di Alfonso Cazzago (Al Caffè, La torre degli Ugoni, L’Elettrice di Baviera a Brescia, Delizie fiscali 1727-28). - Livi (G.). Quale
sia la vera origine storica della denominazione Piazza del Novarino
{Continua).
N. 89. Guerrini (P.). L'incoronazione della Vergine di Alessandro Moretto a S. Giovanni. - Il capitano Contarini, l'architetto Juvara
a Brescia (1729).
N. 90. Livi (G.). Quale sia la vera origine storica della denomi-
‘nazione Piazza del Novarino. - Predicatori quaresimalisti (1728).
N. 91. Dai Diarii di Alfonso Cazzago : La chiesa di S. Luca (1730).
N. 92. GueERRINI (G.). Un busto del cardinal Quirino di Antonio
‘Calegari. - Un poeta estemporaneo (il p. Zucchi, veronese (1730).
N. 93. GueERRINI (P.). Francesco di Prato da Caravaggio, pittore
.bresciano del cinquecento.
882 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
N. 94. GUERRINI (P.). Il « Seneca» Queriniano nella recente edizione di Achille Beltrami.
N. 95. Guerrini iP.). I Bresciani al Collegio elettorale dei dotti
a Bologna nel 1802. - ABBA (G. C.). Agostino Lombardi.
N. 96. GUERRINI i(P.). La Loggia. Le origini e le vicende storiche
del monumento (con ill.).
N.B. - Da questo numero Brixia sospende la sua pubblicazione.
“ Brixia Sacra. Bollettino bimestrale di studi e documenti per la storia ec
clesiastica bresciana. Anno VII. Brescia, 1916.
N. 3. GautHEY il. C.). S. Gaudentius brixiensis episcopus et notarici. (Fine). - Sevesi (P. PaoLo M.). I Frati minori nell'Isola di
Garda 1221-1798). - BonoMINI ‘d. C. ). Il geologo don Giovanni Bruni
nel centenario della sua nascita. - GUERRINI (P.). Il « Seneca » queriniano nella edizione recente di Achille Beltrami. - Bibliografia.
N.i 4-5. Sevesi (P. P. M.)). I Frati minori nell’Isola di Garda
(1221-1798). - GueERRINI (P.). Note di agiografia bresciana : 2. Della
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Calvisano. 3. L’opera inedita « Brescia Beata » di Bernardino Faino e
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=
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Berneriis. medico alessandrino, lettore nello Studio di Pavia nel secolo XV. (Con tavole). Complemento del fasc. LXI (gennaio-marzo
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di Alessandria. - Roma, tip. F. Centenari, 1916, 8° gr., pp. 131 e 12.
tavole. .
Il prof. dott. G. Carbonelli, in occasione del XXV® anniversario
della Rivista donò 250 esemplari della sua monografia, già edita in
Roma, che venne acclusa al fasc. 61°, primo del corrente 1916.
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Catalogo di una cospicua Galleria antica e moderna già appartenuta ad
un eminente patrizio bergamasco. (Vendita all’asta 24-31 ottobre 1916
alla Galleria Geri). Milano, 1916, 8° pp. 42 e 70 tavole.
Cenni storici sul santuario caella B. Vergine del buon consiglio in Villa di
Serio. Bergamo, tip. C. Conti, 1916, 16° fg., pp. 56.
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(secolo XIX Chateaubriand). - Musei ed Archivi municipali.
N. 7, luglio. Rievocazioni storiche : a Ricorrenze centenarie ; b _Milano negli scrittori italiani e stranieri (secolo XIX, Carlo Dickens. -
Musei ed Archivi municipali.
N. 8, agosto. Rievocazioni storiche: a Ricorrenze centenarie ;
b Milano negli scrittori italiani e stranieri (secolo XIX, I. Taine 1864) ;
c Calmiere di diversi generi di consumo di 120 anni fa in Milano. -
Gli Ospedali di Milano. - Musei ed Archivi municipali.
N. 9, settembre. L'arte tipografica in Milano nel secolo XV (con
13 ill.). - Rievocazioni storiche : a Ricorrenze centenarie; b Milano
negli scrittori italiani e stranieri (secolo XIX, lo Scià ai Persia 1873).
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Gli Ospedali di Milano. - Musei ed Archivi municipali.
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- Rievocazioni storiche : a Ricorrenze centenarie ; b Milano negli scrittori italiani e stranieri (secolo XIX, Gustavo Flaubert 1845; Edmondo
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Musei ed Archivi municipali.
N. 11, novembre. L'istruzione elementare-popolare in Milano dai remotissimi tempi fino al 1700 (cont. nel n. 12). - Rievocazioni storiche :
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hi
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Il Confalonieri dai suoi compagni di prigione era chiamato col
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CN Quest'articolo è continuazione e fine di quello la cui prima parte
fu pubblicata ne! Libro e la Stamra, (VII. 3).
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ael lago di Garda, e di cui tanto parlano, e con tanto favore, tutti i
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- sa
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 897
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Feudi imperiali e pontifici di Lombardia \a, Feudi imperiali: Limonta, Civenna e Campione; Maccagno; Mesocco e Mesolcina.
b, Feudi pontifici: Riviera d'Orta; Stradella, Porto Albera e Casorate;
Valsolda. - Feudi maggiori : Mantova). - Altre insigni terre lombarde :
feudi di Monza; Treviglio: Lecco: Varese; Cantù; Valsassina; Valtellina; Val di Scalve; Vigevano: Belgioioso. - Stemmi di signori delle
città lombarde : Pavia (Langosco, Beccaria), Cremona (Cavalcabò, Ponzone, Forduli), Lodi (Vignati, Vistarini, Fisiraga), Como (Rusconi),
Bobbio (Dal Verme), Novara iIncisa, Brusati).
“ SANTAMARIA (sac. CARLO). - Appunti di araldica e assiografia ecclesiastica
Rivista araldica, giugno-ottobre 1916. |
Stemmi di enti ecclesiastici : Fabbrica del auomo, Seminario, Ospe- dale maggiore di Milano. - Stemmi di chiese regolari minori: S. Maria delle Grazie, Tomba di S. Pietro Martire in S. Eustorgio, S. Maria della Pace, a Milano. - Sigilli simbolici di chiese di Milano, Crema, Monza. - stemmi ecclesiastici personali : Scaccabarozzi, Salimbeni, Conti, Cassina in Duomo, S.Lorenzo e S. Ambrogio. - Armi di di- gnità o di ufficio: arcivescovo Nazari di Calabiana, abate di S. Simpli- ciano, abbazia di Chiaravalle. vescovo di Novara. mons. Bonomelli e Comi. Alessandro Volta. - Aggiunta dell'arma della propria chiesa : abate e abbazia di S. Ambrogio.
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Cfr. la rassegna bibliografica di C. Manfroni in Nuovo Archivio Ve- neto. XXXII. I, (1916), pp. 212-217.
=
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 899
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A p. 6 e 65 stemmi di Bartolomeo Capra, arcivescovo di Milano,
e di Francesco Bossi, vescovo di Como, morti in Basilea, durante il
Concilio, nel 1433 e 1434 e sepolti nella Certosa di Basilea.
* STAMPINI (ETTORE). - Il Codice Bresciano di Catullo. Osservazioni ce
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StAMPINI (ETTORE). - Studi di letteratura e filologia latina. 8°, Torino, Bocca, 1916.
Studi già pubblicait in occasioni e in tempi diversi. Notiamo : /l
nome di Virgilio e altre note vergiliane.
* STUREL ‘R.). - Bandello en France au XVI© siècle. VIII. - Bulletin Italien, aprile-giugno 1916.
* Supino (I. B.). - Niccolò Pisano. - Rivista d'arte, gennaio-marzo 1916.
Con notizie delle poche opere di questo pittore rimaste a Milano
(Brera).
TABERINI (L.). - L'amore fuggitivo nei versi del Tasso e di altri poeti anteriori. - Rivista Abruzzese, XXXI, 5.
* TALLONE (ARMANDO). - Tomaso I Marchese di Saluzzo (1244-1296). Monografia storica, con appendice di documenti inediti. 8.°, Pinerolo, tip.
Bellatore e Bosco, 1916, (« Biblioteca della Società storica subalpina »,
vol. LKXXVII).
TRIBOLATI (PieTRO). - Alcune monete di Solferino (di Carlo Gonzaga). -
Bollettino Italiano di numismatica, n. 4, 1915.
TroMmPERO (PIETRO PaoLO). - De quelques rapports entre la critique litté.
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Grenoble, XXVII, 3-4, 1915.
TRroTtTI (GiusePPE). - Montisola (Lago d’Iseo) nelia sua storia religiosa e
civile. Brescia, tip. fratelli Geroldi ,1916, 8°, fig., pp. 142.
TURRIiLLI (Fr.), - Alessandro Manzoni e i Promessi Sposi. Bologna, tip.
Parma, 1915.
VALENTE (U.). - Inno alla Poesia di Lorenzo Mascheroni. - Fanfulla della
domenica, n. 32, 1916.
Sciolti che il Mascheroni diresse all’abate Aurelio De’ Giorgi Bertola nel 1787.
=
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 9QOI
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talia, XXIX, 5.
* VALMAGGI (LuiGI). - Rassegna di studi pariniani (1904-1915). - Giornale
storico della letteratura italiana, fasc. 202-203, 1916 a pp. 196-228.
VENTURI (A.). - Storia dell’arte italiana: La pittura del quattrocento. Vol.
VII; parte quarta. 8° ill., Milano, U. Hoepli, 1916.
Le vicende della pittura lombarda vengono studiate in due capitoli,
il primo dedicato all'arte preleonardesca, della quale fu massimo rappresentante Vincenzo Foppa: l'altro al rinnovamento dovuto a Leonardo
e all'azione esercitata dai seguaci di lui.
* VERGA (ETTORE). - Il comune di Milano e l’Arte della seta: dal secolo decimoquinto al decimottavo. (Estratto dall’Annuario Storico statistico del Comune di Milano, 1915). Milano, Stucchi - Ceretti, 1917, 8° pp. 59.
© VerGa (Guipo). - La «travata doppia» e la «travata multipla » bramantesche (con 5 ill.). - Rassegna d’arte, agosto-settembre 1916.
S. Satiro a Milano, S. Mazii di Canepanova a Pavia, S. Maria delle
Grazie a Milano, chiostro di S. Abbondio a Cremona.
VILLANI (CARLO). - Stelle femminili : dizionario bio-bibliografico. Appendice. Milano-Roma, Albrighi e Segati, 1916, 16°, pp. 302.
Virgilio - Hirst (G.). - An attempt to date the composition of Aeneid VII.
- The Classical Quarterly. - vol. X, fasc. 2.
La composizione è anteriore a quella degli altri libri.
Virgilio. - v. Bourne Bruunholtz, Cerini, Fairclough, Stampini.
* Vissac (baron Marc de). - Le président Durono et son code, 1774-1776. -
Mémoires de l’Académie de Vaucluse, 1916, I trimestre.
La vice-legazione d'Avignone era allora stata trasformata in presidenza,
e Angelo Magia Durini, arcivescovo d’Ancisa in partibus fu chiamato
a quell’ufficio. Feste date in Avignone in onore del nuovo papa, Pio VI,
nel febbraio 1775: corpo di regolamenti promulgato dal presidente e conosciuto sotto il nome di codice Durini: analisi di quel codice. Nel
1776, il Durini eletto cardinale, abbandonò Avignone.
VitaLI (L.). - L’amor di patria nel Manzoni. - Rassegna nazionale, 16 aprile 1916.
WEBER (A.). - Eine Erinnerung an den 23 august 1570. - Zuger Nachrichten.
1915, n.i 136 e 138.
Visita di S. Carlo Borromeo a Zug, 23 VIII 1570.
Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. IV. 53
902 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
Wirz (C.). - Regesten zur Schweizergeschichte aus den pipstlichen Archiven.
Heft 5: Das Pontifikat Innocentius VIII, 1484-1492. 8°, Bern, Wyss,
1915.
Diversi: di questi regesti degli archivi vaticani riflettono, come quelli
aei fascicoli precedenti, il comasco.
* WyMAann {d.r Ebuarp). - Das Schlachtjahrzeit von Uri. 8° all., Altdorf,
Huber, 1916.
II Wymann, archivista del canton d'Uri, passa in rassegna, in questo suo interessante lavoro, i differenti antichi necrologi delle chiese
urane, che contengono i numerosi nomi degli Urani caduti nelle battaglie di Arbedo (1422), di Giornico (1478), nell'Ossola contro i Milanesi
e nelle guerre mercenarie di Lombardia (Novara, Marignano, Bicocca,
‘on ritratto del landamano Giovanni Piintner, morto a Marignano)
# WyMANN (EDUARD). - Zeugnisse iiber den Besuch des hl. Karl am Grabe
des sel. Nikolaus von Flùe. - Der Geschichtsfreund, vol. LXXI. (1910).
Attestazioni giurate intorno alla visita ai S. Carlo Borromeo alla
tomba del beato Nicolao della Fliie (1570).
* ZACCAGNINI (Guipo). Soffredi del Grazia e il suo Volgarizzamento dei
Trattati morali d'Albertano da Brescia. - Bullettino storico Pistojese, a
XVII, n. i. 2-3, 1916.
*# Znno (avv. prof. MicHELE). Il diritto privato nei «Promessi Sposi». Estr.
dalla Rassegna Nazionale, fascicoli 1. e 16 settembre e 1. ottobre 1916.
Firenze, Rassegna Nazionale, 1916 8°, pp. 50.
* ZONTA (GiusEPPE). - Francesco Negri l'Eretico e la sua tragedia« Il libero
arbitrio». - Giornale storico della letteratura italiana fasc. 200-203. 1916.
* Il libero arbitrio del bassanese Francesco Negri,, riparato in Valtellina, ed edita a Poschiavo nel 1546. Al Negri si deve anche il poemetto Rhaetia.
i
APPUNTI E NOTIZIE
«è UNA DESCRIZIONE INESATTA DI UN CODICE MILANESE. — Nella descrizione dei codici francescani della biblioteca riccardiana pubblicata
nell’ “ Archivium franciscanum historicum , dell’aprile 1909, a‘pag. 320,
> dove si tratta del codice 396 si legge: “chart. mill. 265 190, ff. 108,
“ praeter quattuor insiticia, duo scil. in principio et alia duo ad calcem,
“ in quorum secundo, quod in initio codicis adest, legitur: Masifr/us
€ florum seu chronica mediolanensis presbiteri Beltrami de Gallarie ab
“ ortu Mediolani usque ad annum 1371. Haec vero nonduni edita est.
“ Bonvesinus fraler lertiî ordinis De magnalibus civitatis Mediolans.
“ Fxstat pag. Lxxxxui a fergo leg. Tituli et initiales rubeis litteris scriptì
et per totum lineis plenis; exaratus saec. XIV.
“ In f. 93 rubr. “ Capitulum in quo ponitur cronica fratris Bonve-
“ sini de magnalibus civitatis ,,. Inc. “ Anno domini 1288 sub dominio
“ Mathei Vicecomitis, sedente Ottone fanensi, Rodulfo imperatore...
“ Eodem anno quidam nomine Bombesinus frater tertii ordinis cronica
“ de magnalibus civitatis Milani (sic) composuit cuius tenor talis est:
“ accepit enim lignum longitudinis duorum pedum...,. In f. 94 v. in-
“ venimus “ Est enim in civitate ipsa conventus fratrum predicatorum ;
“ in quo sunt communiter fratres CXL; in conventu minorum C. ,.
4 Circa fratrem Bonvicinum sive Bombesinum cfr. Muratori, Antigr:-
“« fates italicae, t. Il, col 1048-1049. Cronica edita inveniuntur apud Mu-
“ ratori, Scriffores rerum italicarum, t. XI. col. 711-713 ».
Da questa descrizione si dovrebbe rilevare che il codice 396 è del
secolo XIV e comprende due opere distinte, il Manipulus florum o
cronaca milanese di questo Beltramo da Gallarte e la cronaca di Bonvesin da Riva che sembra sia inserta nella prima. Il descrittore chiude
col rimando al Muratori.
Alle colonne 711-713 dell'XI tomo dei Peru si trova il magro
estratto del De mragnalibus di Bonvesino dato dal Fiamma nel Mastpulus florum che occupa buona parte di quel volume. È come si fa a
chiamar questa la Cronica Bonvesini? E che c'entra Beltramo da Gal.
larte dato come autore dell’altra cronaca ?
904 APPUNTI E NOTIZIE
Passando da Firenze ho voluto vedere questo codice misterioso.
In uno dei due fogli “© insiticia ,, al principio, si legge appunto la descrizione, di mano moderna, riportata nell'Archivio francescano, la
quale corrisponde a quella più ampia data dal bibliotecario D.r Luigi
Rigoli nell'inventario manoscritto dei codici riccardiani, dove le due
cronache sono pur indicate» distinte, e la prima è attribuita a Beltramo
de Gallante (in entrambi i luoghi il nome è scritto così).
Il descrittore francescano si è fidato troppo della noticina sul foglio
“ insiticio ,. Se avesse sfogliato il volume, cominciante colle ben note
parole: “ si autem fiscellam junco texerem ,, avrebbe veduto non trattarsi d’altro che del Manipulus di Galvano Fiamma e avrebbe pensato
non essere il caso di citare a parte, come cosa a sè, la cronaca di
Bonvesino per quel breve riassunto che tutti sanno esservi compreso.
Invece pare si sia accontentato di aprirla alla indicata pagina 93
dove è il “ Capitulum in quo ponitur Chronica fratris Bonvesini de
“ magnalibus civitatis y, per ricopiare le prime parole di questa pretesa
cronaca; le quali per altro riporta assai male, giacchè non vi si legge:
“ anno domini 1288, sub dominio Mathei Vicecomitis, sedente Ottone
“ fanensi, Rodulfo Imperatore.... ,, bensi: “ Sedente Ottone, favente Ro-
“ dulfo.... , come ha anche stampato il Muratori.
Inoltre il descrittore francescano dà il codice come “ exaratus ,
nel secolo XIV; ma se avesse guardato l’ultimo foglio, vi avrebbe letto
questa nota della mano medesima, la quale chiude il volume: “ Hu-
“ cusque que per me presbiterum Beltramum de Ga//arate (e non Gal.
larte nè Gallante) scripta sunt ad honorem dei et solatium venera-
“ bilis viri domini Pagani de Capitaneis de Arsago sive de Bexoxero
« Ecclesiae mediolanensis presbiteri ordinarii ac decumanorum archi-
“ presbiteri: sunt completa anno domini MCCCCXIII, XIII Martii, in
“ mane ,,. C'e dunque la data del codice, coll’ anno 1413, col giorno e
con l’ora, e quanto basta per capire che Beltramo da Rallabate non è
altro che l'amanuense.
Valeva la pena di questa piccola rettifica giacchè il codice riccardiano 396, prima che l’Archivium franciscanum lo segnalasse, era. se
non erro, ignorato, e neppure il Potthast pare lo abbia veduto.
E. VERGA.
“
*, LA CAPPELLANIA DUCALE DI S. MARIA DELLA FLORANA IN S. Nazzaro Maggiore. — Florana! Chi era costei? Questa domanda che don
Abbondio si rivolgeva allorchè nelle sue serali letture s’imbatteva nel
nome del filosofo Carneade ci ripetevamo noi pure, ben più a ragione,
davanti al nome di Floriana o Florana Spata, a suffragio della cui anima
Bernabò Visconti istituiva una cappellania nella chiesa di S. Nazzaro
Maggiore in Milano, come ci avverte il Giulini nella sua Raccolta di noligie intorno a chiese, a monasteri e ad altri benefici ecclesiastici nello
Stato di Milano fondati o ristorati dai sovrani del medesimo recente—
APPUNTI E NOTIZIE 905
mente venuta in luce in occasione della ricorrenza del bicentenario
della nascita dell’istoriografo milanese (1). Il nome gentile di donna associato a quello del feroce Bernabò ci ha spinto a fare qualche indagine, non del tutto sfortunata, per penetrare il mistero, che avvolge la
fondazione della cappellania sopra ricordata, delle cui vicende non è
senza interesse il dire pure qualche cosa di più di quanto fino ad ora
si è saputo în argomento, Il 10 dicembre 1370 col ministero del notaio
e cancelliere ducale Galeazzo Cattaneo o De Capitani da Vimercate, Bernabò Visconti, signore di Milano, fondava due cappellanie' nell’oratorio
di S. Bernardo presso la chiesa di S. Maria del Monte sopra Varese e
nel giorno stesso ne istituiva altra in S. Nazzaro in Brolio in Milano
all’altare della B. Vergine dotandola di beni in Monterobio e Bustighera
presso Melegnano, investendo della medesima il prete Simone da Giussano ed ingiungendo al cappellano di provvedere, unitamente al capitolo della basilica, ad un ufficio funebre in suffragio dellanima della fu
Florana, figlia del fu Vitale Spata, vicina all’altare della beata Vergine
“ honorifice sepulta seu tumulata ,, nel giorno anniversario “obitus eius
“ qui fuit die septimo juni huius anni currentis millesimi tercentesimi
“ septuagesimi ,, e di celebrare, pure ogni anno la festa della Natività
dell® B. Vergine Maria (2). Chi era mai questa Florana tanto onorevolmente sepolta nella basilica de’ SS. Apostoli, per la cui memoria Bernabò Visconti dava novella prova di quella pia munificenza, che faceva
davvero contrasto coll’indole sua prepotente e crudele, col suo tenore
di vita tanto scorretto? Nessuno degli autori, che in qualche modo accennarono all’ avvenimento, ce lo dice; neppure il Giulini, che solitamente non trascura anche ì minuti particolari. Si sarebbe indotti a credere che Florana Spata fosse altra delle amiche meno note del terribile
signore milanese. Ogni dubbio in argomento ci viene anzi tolto da una
notizia da noi scovata in uno de’ manoscritti dell’archivista ed ordinario
della Metropolitana Francesco Castelli (3), ora custoditi nella biblioteca
Ambrosiana. I codici del Castelli sono particolarmente interessanti per
le notizie ecclesiastiche dell'epoca di S. Carlo; uno di essi dal titolo
(1) Nel secondo centenario della nascita del conte Giorgio Giulini istoriografo
milanese, Milano, 1916, v. I, p. 317. Il Giulini ne aveva già fatto cenno nelle
sue Memorie, cont., to. II, p. 210 prendendo la notizia dal Libro Economale,
p. 164 e sg., di Agostino Bassanini, soprintendente de’ Regi luspatronati presso
il R. Economato.
(2) Arcuivio peLL' OsfepaLe Maggiore DI MiLano, documerti Viscontei ;
BisLioTEca AMBROSIANA, MS., D. S. V. 3, v. 25 e N. A. 112 inf.; ASM, Culto,
p. ant., Chiese, Milano, S. .Vazzaro, busta 1143 e Fondo di religione p. ant., Capitoli, Milano, S. Nazzaro, busta 425; REPERTORIO Viscoxtro, v. I, 195.
(3) Cfr. quest'Archivio, 1901, p. 7 € 1916, p. 557 non che ARGELLATI, Biblioth. Script. Mediol., to. I, 242-44.
906 APPUNTI E NOTIZIE
Compendium vitae principum et ducum Mediolani (1) fu compilato, come
dice l’autore, con notizie desunte “ ex scripturis secretariorum duca-
“ lium.... et ex archivio Castri Portae Juvis ,. E° in questa operetta che
si parla diffusamente della numerosa figlinolanza di Bernabò ed anche
di Florana Spata, bellissima giovinetta spoletina da lui molto amata e
che non gli diede figli, la quale, col consenso dello stesso Bernabò, si
ritrasse dalla via del peccato e condusse vita di penitenza elargendo
molte elemosine ai poveri e che egli, desolato per la morte sua immatura, volle degnamente commemorare fondando la cappellania in San
Nazzaro e compiendo così una di quelle opere buone, che gli avranno
propiziato la divina misericordia pur in mezzo a tanti e così gravi disordini. Ecco quanto dice il Castelli (2):
“ De Florana amasia Barnabovis et capella ab ea dotata. Praeterea
“ tacendum non est quod praedictus D. Barnabos tx Spoleto Mediol.
conduxit iuvenculam speciosissimam quae nominabatur Florana filia
Vitalis Spatae multum ab eo adamata et cui infinita dona et monilia
“ donaverat et maxime etiam multa praedia situata Bustigere Dioc.
“ Mediol. ex qua nullos habuit filios: tandem etiam de conse nsu Bar-
“ nabovis retraxit se a peccatis vitam honestissimam perseverando et
“ pauperibus personis ultra vietum et vestitum omnia largiendo et moriens dotavit h>noratam capellam in ecclesia S. Nazarii in brolio in
qua quotidie missa cellebratur cum honestissimis et ditioribus redditibus et in qua Capella in mausoleo marmoreo cum sua inscriptione
iacet et talis capella est principum Mediol. pro tempore collatione ,.
IU Torre(3), parlando dei ristauri eseguiti in S. Nazzaro per opera
di S. Carlo Borrumeu (4), dice che questi fece chiudere le due porte
“ che si ritrovavano ne’ bracci della Croce mutandole in due cappelle,
* una dedicata alla Vergine Madre chiamata Fiorana e l’altra al mi-
“ trato Sant’ Ulderico ,. Ed il Lattuada (5), discorrendo deli’edicola della
B. Vergine posta nel braccio destro della chiesa, aggiunge: « Od in
“ questo sito o poco discosta vi aveva prima un'antica immagine della
“ stessa Beatissima Vergine esposta sopra un altare, a culto del quale
“ Bernabò Visconti fondò e dotò una cappellania ducale sotto il titolo
(1) N. 295 a. E’ un codice cartaceo, di piccolo formato, di 64 fogli, portante la data del 1575.
(2) Al f, 15.
(3) Il ritratto di Milano, Milano, 1714, 'p. 27-28.
(4) Negli atti della visita pastorale eseguita da S. Carlo il 14 febbraio 1581
sono contenute le prescrizioni relative all’altare « Sanctae Mariae noncupatum de
« Florana ». Cfr. ASM, Fondo di religione, p. ant., Capitoli, S. Nazzaro, busta 425.
(5) Descrizione di Milano, Milano, 1737, to. II, p. 310-11.
APPUNTI E NOTIZIE 907
“ di Santa Maria della Floriana, co ne si ricava da un istrumento, ro*
“ gato da Galeazzo Cattaneo Notaio di Milano e veduto da un amico
“ assai versato nelle antichità della Patria, che a noi comunicò gentil-
“ mente tale notizia ,, (1). Caduta la dinastia sforzesca, il diritto di nomina del cappellano ducale fu costantemente esercitato dai re di Spagna: nell’atto (2), col quale Filippo IV nel 1657 chiamava don Paolo
Sfondrati a coprire la predetta cappellania, quesvultima è detta “ sub
“* invocatione Sanctae Florianae ,, con denominazione così inesatta, che
dimostra come ormai fosse del tutto svanita la memoria della penitente favorita di Bernabò, cosi da foggiarne addirittura una santa (3).
Da una notifica delle pie fondazioni esistenti nella chiesa collegiata di
S. Nazzaro (4) risulta nel 1787 investito della cappellauia ducale mons.
Daverio (5), che era stato eletto venti anni prima da Maria Teresa
nella qualità di Regio Economo, essendo stato il beneficio di S. Maria
della Florana assegnato a lui ed ai successori suoi affinchè potessero
“ sostenere con decoro una tal carica e far fronte alle spese ine-
“ renti ,, (6) Anche attualmente, crediamo, i beni dell’ antica cappellania ducale formano parte della dotazione dell’ Economato Generale.
ALESSANDRO GIULINI,
ee UN ALTRO FRAMMENTO DI COPIARIO DI CATELANO DE CRISTIANI. —
In appendice ai Aegisiri viscontei (p. 124-8) pubblicai la descrizione,
fatta al tempo di Francesco Sfurza, di tre copiari oggi perduti del notaio Catelano de Christianis dei quali il piimo conteneva atti del 1387,
88 e 90, il secondo del 1400, l'ultimo del 1422, 23, 24 e 23. Di più, nella
prefazione agli stessi Registri (p. xxxvI) diedi notizia di un foglio membranaceo appartenuto ad altro copiario egualmente perduto dello stesso
notaio riferibile all'anno 1401 o 1402. Ora, poichè nei lavori di assestamento che si compiono incessantemente nel nostro Archivio di Stato
(1) Già nella Notitia Cleri Mediolanensis del 1398, di cui in quest'Archivio,
1900, fasc. 3, p. 20, è fatta menzione di una cappella di S. M°ria « que appel-
« latur capella de.la Florana ».
(2) ASM, Culto, p. ant, Chiese, Milano, Capitoli, S. Nazzaro, busta 1143.
(3) Questa denominazione si ripete nella Tabella Sacrificiorum in Insigni
Basilica S. Nazarii perpetuis temporibus celebrandorum anno 167; exposita in ASM,
Fonde di Religione, p. ant., Capitoli, Milamo, S. Nazzaro, busta 425. Per notizie
intorno all'argomento cfr. pure GuaLno Priorato, Relazione della città e stato
di Milano, Milano, 1666, p. 139.
(4) ASM, Fondo di Religione, p. mod., Capitoli, Milano, S. Nega busta 450.
(5) Michele Francesco Daverio, tenuto in gran conto da Giuseppe II. Cfr.
Famiglie notabili milanesi, Milano, 1875, fam. Daverio, tav. Il
(6) Ivi, Culto, chiese, comuni, Milano, S. Nazzaro Maggiore, privilegi e legati
1802-1833, busta 1590.
908 APPUNTI E NOTIZIE
è venuto in luce un altro foglio membranaceo appartenuto al copiario
del 1400, penso valga la pena di dirne due parole per aggiungere un
muovo, sebbene modesto, contributo alla conoscenza dell’attività di
questo notaio, cancelliere e scriba fra ì più attivi dei duchi Gian Galeazzo e Filippo Maria Visconti.
Il foglio, le cui carte furono divise l'una dali’alira con la forbice,
misura cm. 37 per 25,5 ed è perciò di formato identico a quello degli
altri copiari dello stesso notaio ; presenta alcune leggere macchie di
umidità che però non offendono la lettura; l’angolo inferiore sinistro
fu in entrambe le carte smussato pure con la forbice; nell'angolo superiore destro del recfo delle rispettive carte sono i numeri LXn1J e Lxv.
La prima di esse carte comincia con le parole “ dugalle paludum de
“ Gree , e termina con “ de quibus contractibus ,,, recando in fondo
alla pagina le /ilferae reclamantes “ videlicet ,. A c. 63 recto e verso e
fin oltre la metà delia c. 66 recfo si contiene l’ultima parte dell’atto che
nella citata ,descrizione sforzesca è indicato col titolo “ Permutatio d.
“ Jacobi de Verme cum d. nostro facta , e che cominciava a f. 60; in
calce a c. 66 recto e sul verso della carta stessa v’ha il principio dell'atto indicato nella detta descrizione col titolo “ Traditio et ratificatio
“ dominii civitatis et comitatus Perusii ,.
Il frammento pervenutoci del primo atto reca parte dell’elencazione
dei beni in territorio di Sanguinetto nel Veronese che Jacopo dal
Verme cedeva al duca in cambio di beni che per essere contenuti nella
prima parte dell’atto non sappiamo quali fossero. La permuta fa fatta
dal duca a mezzo del suo procuratore Francesco de Barbavariis e
“ presentibus viris Prevedino de Marliano, Jacobino de Mantegatiis.
“ civibus Mediolanensibus magistris curie domini Gabrielis et Garono
“ de Lampugnano filio domni Leonardi ,. Ne fu rogato Catelano de
Chistianis “ scriba illustrissimi principis d. ducis Mediolani ,. Fu scritta
sul registro da “ Rolandinus de Tologno publicus papiensis imperialique
“ auctorictate notarius ,. La data precisa dell’atto non si conosce perchè
era in principio nella parte perduta.
Non si conosce la data neppure del secondo atto il quale viceversa
l'aveva in fondo. Questo, politicamente, è assai più importante dell’altro..
Premessa una diffusa invocazione alla SS. Trinità, alla Vergine, ai SS.
Lorenzo, Ercolano e Costanzo protettori di Perugia, nonchè a S. Ambrogio protettore di Milano, si rende noto che gli ambasciatori del comune di Perugia, costituiti in presenza del duca di Milano, essendo a
conoscenza della traslazione del dominio della città di Perugia “ eiusque
“ comitatus, fortie et districtus necnon terrarum, castrorum, fortilitiorum,
“ artium, bastitarum et locorum quorumcunque dicte civitati Perusii
“ quomodolibet spectatium , nelle mani del duca, o meglio nelle mani
del procuratore ducale Pietro de Seruvignis, avvenuta il 20 gennaio di
quell’anno da parte del procuratore del comune di Perugia col consenso dei signori priori e camerarii delle arti deila città, ratificano detta
traslazione. Di quest’ atto, come dell'altro che nel registro seguiva
-
APPUNTI E NOTIZIE 909
subito dopo a. c. 67 e che portava il titolo “ Declaratio facta per Pe-
“ trum de Serovignis de translatione dominii civitatis Perusii ,, non
è cenno nè nelle cronache del Montemarte (Torino, 1846, vol. I, p. 98)
e del Graziani (Arch. Stor. It, tom. XVI, parte I, p. 274), nè nella
Storia di Perugia del Bonazzi (vol. I, p. 535), i quali tutti si limitano
a narrare la spontanea dedizione della città al Visconti decisa il giorno
di lunedì 19 gennaio 14co nell'adunanza generale dei Raspanti e del
popolo e l’occupazione da parte delle genti del duca avvennta il giorno
dopo.
C. MANARESI.
ee PER LA BIOGRAFIA DI Vincenzo Lancerti. — Nel fascicolo |-II,
go giugno I916, di questo Archivio, Angelo Ottolini ha pubblicato alcune pregevoli Mose per la biografia di Vincenzo Lancetti (1). Non occorre dimostrare quanto sia da incoraggiare il proposito di questa e
di altre biografie degli uomini più rappresentativi, se non dei maggiori,
dell’Italia nostra, nel periodo napoleonico; e come siffatte ricerche
siano indispensabili a bene intendere tutto il largo movimento di idee
che allora precedette accompagnò e seguì le armi francesi. Forse
nessun'altra età maggiormente richiede di essere pensata e studiata
a traverso le vicende e gli scritti degli uomini che hanno vissuta, tanto
nuovi ed impensati erano i casi, e tanto gravi i “ perturbamenti delle
opinioni ,,.
È per questa ragione che, lodato il proposito dell’Ottolini, mi sembra opportuno, a complemento delle notizie date da lui, e delle altre già
prima raccolte dal Manacorda, di far qui ricordo del Lancetti come di
uno fra i cinquantasette partecipanti al famoso concorso indetto il 27 settembre 1796 dall’Amministrazione Generale della Lombardia sul tema:
“ Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità d’Italia ,. Di
questo concorso, delle sue vicende e de’ suoi risultati, io ho discorso
ampiamente nel mio libro su gli “ Albori costituzionali d’Italia ,, (2); e
appunto là ho ricordato come il Lancetti partecipasse alla gara, sulla
testimonianza fornitami dalla cortesia dell'amico archivista Giussani, e
tratta dal Cafalogo di vendita della collezione del fu cav. Damiano
Muoni, Milano, 1902, dove al n. 1060 si trova elencato: Lancetti VincENZO, Del governo libero più conventente alla felicità d’Italia (3).
Nel “ Catalogo , l’opera è indicata come manoscritta. Le ricerche,
necessariamente sommarie, da me istituite in Milano, non mi hanno
consentito di rintracciarla. Ma io avrei ben voluto, e vorrei, che questo
(1) Serie V, anno XLIII, fasc. I-II, pp. 163-184.
(2) Torino, Bocca, -1913. — Al « famoso concorso » ho dedicato tutto il
cap. VIII, pp. 383-463, pubblicando anche, nel $ 3 (Appendice), il sunto delle
30 dissertazioni che mi fu dato di riunire..
(3) Miei Albori cit., p. 394, n. 3.
910 APPUNTI E NOTIZIE
si fosse fatto dall'Ottolini, o da altri a cui le particolari aderenze o la
ragione della sede rendessero più facile il compito. Queste linee anzi,
oltre la figura del Lancetti, desiderano contenere un invito agli amici
lombardi, perchè tengano presente il concorso sopra accennato, e curino provvedere al ricupero, come di questa del Cremonese, così di
quante altre dissertazioni possibili, a complemento delle trenta che a
me fu dato di riunire. Poichè io penso veramente che fonte migliore e
maggiore non possa darsi per la conoscenza del pensiero dei nostri
“ politici , in quell’ anno 1796, che vide i primi albori della nuova vita
costituzionale d’Italia.
Ciascuno ritorna volentieri ai suoi amori più cari. Sia perdonato
a me se insisto sopra un tema che ho coltivato con amore grandissi-
.,mo, e intorno al quale vorrei vedere sempre vivo l’interesse degli studiosi. Sopratutto preme la raccolta del materiale, e l’indicazione di quello
che è presso i privati. Ciascuno vi intenda con lena. La messe, assai
ricca, è tale da compensare le fatiche di tutti e da dare piena luce
così alla storia delle nostre istituzioni, come alle numerose figure che
nelle Aniministrazioni generali, nelle Municipalità, nei Congressi, nelle
due Camere, e in ogni forma di pubblica attività, intesero alla risoluzione del problema politico del nostro paese.’
SiLvio Pivano.
s'e Tra. i nuovi manoscritti acquistati dalla biblioteca Nazionale di
Firenze due vanno quì annotati. Ill primo, il codice settecentesco dei
Viaggi di Giovanni Battista Ottobon, fra i quali figura il “ viaggio a
“ Milano per vedere l’intrata et funtioni fatte per l’Imperatrice che an-
“dava a Vienna.... l’anno 1666 ,. Il secondo codice, membranaceo del
sec. XV, è miscellaneo: /tosaio della vita, Distici di Catone, Peregrinasioni di Terra Santa'ecc. Contiene anche un Elogio della famiglia Visconti di Milano, in latino, adespoto anepigrafico (c. 45*-47%), l'Epilaphium,
ben noto, dell’arcivescovo Giovanni Visconti (47d-482), l'£pisfola di
S. Ambrogio “ O dilecte fili, dilige lacrimas , (72-73) ed un ricordo
della leggenda relativa alla fondazione di Milano (80*). Nel margine inferiore dell’ultima carta di mano cinquecentesca si legge il nome di un
possessore: “ Est Basilii de Ferrarii civis Mediolanensis , (?) [Bo//ettino
delle pubblicazioni italiane ecc. settembre e dicembre 1916].
e°, ll giorno 3 dicembre s. venne inaugurato al R. Archivio di Stato
di Milano, il corso di paleografia, diplomatica e archivistica colla interessante prolusione del prof. Giovanni Vittani sul tema Za formazione
dell'archivista. x
«°, La Pontificia Accademia Iomana di Archeologia, della quale è
presidente l’egregio nostro consocio dott. Bartolomeo Nogara, ha aperto
il concorso per l’anno 1918 ad un premio di lire 2000 ital. per il miglior
APPUNTI E NOTIZIE QII
lavoro che sarà presentato intorno all’uno o all’altro dei due temi seguenti: 1° // Gianicolo dalle origini a tutto il medio-evo, 2° Le iscrizioni
dei secoli VII-VIII dell’èra volgare in Italia storicamente e paleograficamente studiate. Potranno concorrere gli studiosi di qualunque nazione,
eccettuati i soli soci dell’Accademia. Le memorie dovranno essere originali, inedite e non presentate in altri concorsi accademici, Potranno
‘essere scritte in lingua latina o italiana, o in altra delle principali e
più diffuse lingue europee; e dovranno essere consegnate non più tardi
del dicembre dell’anno 1918, al segretario dell’Accademia prof. Orazio
Marucchi (Roma, S. Maria in Via 7a).
OPERE
pervenute alla Biblioteca Sociale nel IV trimestre del 1916
Annuario Storico statistico del Comune di Milano 1915. Milano, tip.
Stucchi-Ceretti, 1917 (d. d. Municipio di Milano).
ATTI DELL'ACCADEMIA FISIO-MEDICO-STATISTICA DI MiLano. Anni accademici
1868-1869-1870-1872. Milano, tip. Bernardoni (d. «d. s. Vergani).
Benassi UMBERTO, Guglielmo du Tillot. Un miinistro riformatore del secolo AVIII. Fascicolo II. Parma, 1916, R. Deputazione di Storia
Patria (d. d. A.).
— Catalogo dell’Esposisione di Cartografia parmigiana e piacentina nel
salone della Palatina. Parma, tip. Adorni Ugolotti, 1907 (d. d. R.
Biblioteca Palatina di Parma).
BoseLLI ANTONIO, // carteggio bodoniano della “ Palatina di Parvia ,.
Parma, tip. Federale, 1913 (d. d. R. Biblioteca Palatina di Parma).
Bustico Guipo, Spigolando da vecchie carte e giornali. Genova, tip. Carlini, 1616.
— Il contrabbando del sale a Venezia nel ’;00. Genova, tip. Carlini, 1916
(d. d. A.)
— Il lago di Garaa nella foesia del 700. Roma, tip. dell' Unione Editrice, 1916 (d. d. A.).
— Lettere inedite di Daniello Bartoli a Leonardo Comuinelli. Genova, tip.
Carlini, 1916 (d. d. A.).
— Antonio Butiura. Venezia, tip. Ferrari, 1916 (d. d. A.).
— Una condanna a Venezia per tradimento durante la guerra di Candia.
Domodossola, tip. Ossolana, 1915 (d. d. A.).
— Di un viaggio al Messico nell’anno 1768. Novara, Istituto Geografico
De Agostini, 1917 (d. d. A.).
CALDERINI ARISTIDE, Imagini ed echi della morte nella civiltà greca di
Alessandria. Milano, 1916, tip. Figli della Provvidenza (d. d. s. A).
— Leltere private dell'Egitto greco-romano. Prolusione ai corsi della
scuola papirologica per l’anno 1915-16. Milano, Scuola tipo-litografica Figli della Provvidenza, 1915 (d. d. s. A.).
OPERE PERVENUTE ALLA BIBLIUTECA SOCIAI.E 913
CaLvi p. C. Antonius. Oralro in qua ostenditur, homint, ut hominis vitan
in terris vivat solo rationis lumuine hand satis provisuni esse. Mediolani,
Galeazzi, 1770 (d. d. s. Motta).
Caurvi GeRoLAMO, /7/ Codice di Leonardo da Vinci della Biblioteca di Lord
Leicester in Holkam Hall. Milano, Cogliati 1909 (d. d. s. A.)
Catalogo della Mosira Bodoniana. Parma, tip. Federale, 1916 (d. d. R.
Biblioteca Palatina di Parma).
Collegio (1!) Convitto Calchi-Taeggi di Milano attraverso quattro secoli
(1516-1916). Milano (Varese, tip. cooperativa varesina), 1916 (d. d.
prot. A. Avancini).
Croce BENEDETTO, Esfelica come scienza dell'espressione e linguistica generale. Teoria e Storia. Sandron, Palermo, 1904 (d. d. s. Monneret).
Dacca Santa Giuseppe, L'omini e fatti dell'ultimo trecento e del primo
quattrocento. Venezia, tip. Ferrari, 1916 (d. d. A...
Drer Giovanni, Per /a storia del Concilio di Trento. Lettere inedite del
Segretario Camillo Olivo (1562). Firenze, R. Deputazione di storia
patria, 1916 (d. d. À.).
Fornara port. GiuLio CESARE. Tavola dei combustibili fossili in Lombardia. Milano, editori dello “ Spettatore Industriale ,,, 1844 (d. d.
s. Motta).
Frugalità (La) repubblicana di Bonaparte e degli altri generali francesi
comprovata con le sue proprie lettere. Milano, Pirotta e Maspero,
1799 (d. d. s. Motta).
GiorceLLI GiusepPE, Contributo alla storia del V Congresso Generale dell’Associazione Agraria del Piemonte tenutosi in Casale Monferrato
nel 1847. Alessandria 1916, tip. Gazzotti e C. (d. d. A.)
Giucini ALEssanpro, Due documenti relativi all'adolescenza di Francesco
Sforza conte di Cotignola. Lucca, tip. Baroni, 1916 (d. d. s. A.)
— Il Conte Giorgio Giulini istoriografo di Milano. Note biografiche.
Milano, tip. Stucchi-Ceretti e C., 1916 (d. d. s. A.).
GriBaUDI PIETRO, Inventario det manoscritti geografici della R. Biblioteca
Palatina di Parma. Parma, tip. Fiaccadori, 1907 (d. d. R. Biblioteca
Palatina di Parma).
GuerRINI PaoLo, Una Maddalena lombarda del Quattrocento. Brescia,
Ed. “ Brixia Sacra ,, 1916 (d. d. s. A).
— Fra Girolamo Savonarola predicatore a Brescia. Brescia, 1916, Ed.
“ Brixia Sacra ,.
— Note di agiografia bresciana. Fascicolo primo. Brescia, 1916, Ed.
“ Brixia Sacra ,.
— La prepositura degli Umiliati di S. Bartolomeo in Cemmo di Valle
| Camonica. Brescia, 1916. Ed. “ Brixia Sacra , (d. d. s. A.)
9I4 ‘. OPERE PERVENUTE ALLA BIBLIOTECA SOCIALE
#
LarFRancHi Lopovico, Gli atti di Sesto Pompeo coniati in Sicilia.
Napoli, 1916, tip. Melfi Joele (d. d. A.).
La Mantia Giuseppe, Su i più antichi capitoli della città di Palermo dal
secolo XII al XIV e su le condisioni della città medesima negli anni
1354 a 1392. Palermo, 1916, tip. Boccne del povero (d. d. A.)
Libro d'oro della nobiltà italiana. (1910) Roma, Societa Editrice Laziale
(d. d. s. Santa Maria).
LocateLLI sac. CarLo, “ I fegoli di Casale , Pensieri e criteri manzoniani intorno alla guerra. Monza, Sc. tip. Editrice Artigianelli, 1916.
(d. d. s. A).
“ LoncHENa Mario, Al/anti e carte nautiche del secolo XIV al X VII conservati nella Biblioteca e nell'Archivio di Parma. Parma, tip. Zerbini,
1907 (d. d. R. Biblioteca Palatina di Parma).
Mopona LroneLLo, Topografia della Reale Biblioteca di Parma. Parma,
tip. Ferrari e Pellegrini, 1894 (d. d. R. Biblioteca Palatina di Parma).
Negri Luici, L’Ospitale maggiore di Milano nel 1865. Milano, tip. Chiesa,
1866 (d. d. s. Vergani).
PaNnTANELLI Guipo, /icordi della campagna di Garibaldi nel 1866. (Memorie di un volontario). Città di Castello, Casa Editrice S. Lapi,
1916 (d. d. A.).
PasseLeco FERDINANDO. La risposta del Governo belga al * Libro bianco ,
tedesco su la guerra dei Franchi-tiratori. Roma, Desclee, 1916 (d. d. A.).
PECCHIAI Pio, Un carteggio dell'arciduca Ferdinando d’ Austria Governatore della Lombardia col generale Michele Colli 1794-1796. Lucca,
tip. Baroni, 1916 (d. d. s. A.).
PeLANDI L., Le (rallerie dell’Accademia Carrara di Bergamo. Bergamo,
Istituto italiano d’arti grafiche, 1912 (d. d. s. Vergani).
Prontuario dei nomi locali dell'alto Adige. Roma, tip. dell’Unione Editrice, 1916 (d. d, R. Società Geografica Italiana).
Relazioni sulla violazione del diritto delle genti in Belgio, Parigi-Nancy,
tip. Berger Levrault, 1915.
Restauro (Per il) di Selvapiana 1838-1914. Parma, 1914 (d. d. R. Biblioteca Palatina di Parma).
Rezzonico Anronio, Gli stabilimenti industriali in Brianza. Milano, tip.
Rechiedei, 1872 (d. d. s. Vergani).
Ricci Corrapo, Davide Calandra scultore. Con prefasione di Oreste Mattirolo. Milano, Alfieri e Lacroix, 1916 (d. d. Società Piemontese di
archeologia e belle arti).
Rivari EnRIco, Un feslamento inedito del Cardano. Bologna, tip. Azzoguidi, 1916 (d. d. A).
—
OPERE PERVENUTE ALLA BIBLIOTECA SOCIALE 915
Rossi PROF. Luigi, Gli Eustachi di Pavia e la flotta viscontea e sforzesca
nel secolo XV. Parte I. Pavia, succ. Fusi, 1915 (d. d. A).
Rota CarLo Massimo, Nofa corografica su alcuni nonti medioevali della
Lombardia terminanti in aco ed ago: Antellaco, Gossenago, Lover.
naco. Brescia, tip. Commerciale, 1916 (d. d. A.).
Società CabaABRESE DI SToRIA PATRIA. TAX Sellembre. Reggio Calabria,
tip. del “ Corriere di Calabria ,,, 1916 (d. d. Società Calabrese di
Storia Patria).
SoRBELLI ALBANO, Olindo Guerrini. Il critico e l’eruadito. Roma, 1916
tip. Armani (d. d. À.).
— Delle cose operate dalla R. Deputazione di Storia Patria per le provincie di Romagna dall'anno 1894 al 1910. Bologna, 1916, stabilimento poligrafico emiliano (d. d. A.).
Soria R. .YII Lettere di Giuseppe Mazsint a cittadini pavesi (1853-1854).
Pavia, tip, Fusi, 1916 (d. d. A.).
STUDÎ DELLA SCUOLA PAPIROLOGICA, /t. Accademia Scientifico-letteraria in
Milano. Vol. I e Il. Milano, U. Hoepli, 1916-17 (d. d. s. Calderini).
TaLLone ARMANDO, Zomtaso I, Marchese di Saluzzo (1244-1296). Monografia storica con appendice di documenti inediti. Casale Monferrato, tip. Bellatore e Bosco, 4916 (d. d. A).
VerGa ETTORE, // Comune di Milano e l’arte della seta dal secolo decimoquinto al decimottavo. Milano, Stucchi e Ceretti, 1917 (d. d. s. À.).
WwyMAann D." Ep., Das Schlachijahrseit von Uri. Altdorf, Huber, 1916
(d. dell’Archivio cantonale d’Uri).
Zuno MICHELE, // diritto privato nei “ Promessi Sposi ,. Firenze “ Rassegna Nazionale , 1916 (d. d. À.).
INDICE
MEMORIE.
Remigio Sasgapini. Come il Panormita diventò poeta aulico. Pag. 5
Atessanpro Giutini. Di alcuni figli meno noti di Francesco I
Sforza duca di Milano . ; ; i ) ; DL 29
Rinarvo Beretta. Gian Giacomo de’ Medici in Brianza (1527-
1531). : : ; È 7 ; i ì > 53
Marco MacisrretTti, * Liber Seminarii Mediolanensis ,, . + 12I, 509
AnceLo OTttoLINI. Note per una biografia di Vincenzo Lan-
, cetti . : : ; ì 5 3 ; ; - n 163 e.
Uco MonxereT DE ViLLarp. Î dati storici relativi- ai musaici
pavimentali cristiani di Lombardia . : ; ; - n 34I
Pro PeccHial. Cristoforo Della Strada e un episodio delle
lotte guelfo-ghibelline in Milano durante il dominio del
duca Giovanni Maria Visconti . . 4 } î i. Me -893
GeroLaMmo CaLvi. Contributi alla biografia di Leonardo da
Vinci (periodo sforzesco) . 1 ; è » 417
Guino ERRANTE. Il processo per l'annullamento del matrimonio tra Vincenzo Il duca di Mantova e donna Isabella
Gonzaga di Novellara (1616-1627) ; : i ‘ - n 645
Enrico FiLipPini. Il padre don Pietro Canneti e la sua dissertazione frezziana è 65
VARIETA»,
$ Francesco Novati. Due lettere del cardinale di Pietramala
a Gian Galeazzo Visconti (1390-91) - » 185
GeRroLAaMo Biscaro. I paramenti e gli arazzi donati dall’arcivescovo Stefano Nardini alla Metropolitana di Milano m I9I
INDICE 917
ALessanpro Visconti. Don Paolo della Silva consultore di
Governo e storico del diritto: . . . . . . Pag. 199
Orazio PremoLi. Paolo Frisi a Bologna nel 1761 . . . , 53
Cesare ManarzEsi. Un appello contro sentenza dei consoli di
Milano al tempo di Ottone IV . i 5 ; : - n 562
Giovanni BocneTtTI. La cronaca di un collega dell'Azzeccagarbugli . ; . : i ; : . : . . » 579
Caro SaLvioni. Lettere inedite di Carlo Porta a Camilla Prevosti e a Tommaso Grossi . è 5 ; 5 ; .- » 585
ALessanpro Giucini. Una pia fondazione prediletta da Bonvesin da Riva . . î A 4 i > ; - n 8a
Orazio PremoLI. Appunti su Lorenzo Binaghi architetto —. , 831
| BIBLIOGRAFIA.
Giovanni SEREGNI. — Guido Mengossi, Il comune rurale del
territorio lombardo-tosco . ; j . : ; °- n 224
ALessanpro Giulini. — £ffore Verga, I consigli del Comune
di Milano. a ; î ; i ; 3 ; i + n 226
RinaLpo BERETTA. — Cesare Manaqressi, I Registri Viscontei. , 232
A.C.— N. Ferorelli, Gli ebrei nell'Italia meridionale dall'età
romana al secolo XVIII ; ; i i ‘& i - » 234
A. G. — P. Galloni, Sacro Monte di Varallo .. . + 236.
Arturo Frova. — Alberto Serafini, Girolamo da Carpi pittore'e architetto ferrarese . è cd 0 db - » 237
R. BERETTA. — A. Codassi, Contributi alla storia della Cartografia d’Italia. . n e “ é - +.» 24
G. B. — Luigi Rava, Il primo Parlamento Elettivo in Italia. , 243
GeRroLAMO Biscaro. — tefro Torelli, Studi e ricerche di diplomatica comunale : : ? ; j ; : - n» 600
Giovanni SEREGNI. — £. Verga, La Camera dei Mercanti di
Milano nei secoli passati . . . +... +» 619
RinaLpo BERETTA. — Romolo Putelli, Intorno al castello di
Breno . i ; i i i i ; i . » 623
Arch. Stor. Lomb.. Anno XLIII, Fasc. IV. 59
918 INDICE
B. SANVISENTI. — Leo Wiener, Commentary to the Germanic
laws and mediaeval documents . .
C. VoLPATI. — Dott. Cesare Staurenghi, L’Ospedale maggiore
di Milano e i suoi antichi sepolcri, particolarmente il
“ Foppone , ora detto la “ Rotonda ,
Uco Bassani. — Arrigo Solmi, Le dai n° antiche del Co-_
mune di Piacenza .
C. Manaresi — fo Pecchiai, Gli archivi degli antichi ospedali milanesi
AcHiLLE Giussani. — Luigi Rossi, Gli Eustachi di Pavia e la
flotta viscontea e sforzesca nel sec. XV
U. M. V. — Camille Enlart, Manuel d’archéologie frangaise
depuis les temps mérovingiens jusau’à la Renaissance .
ErtorE VERGA. — Annuario del regio Archivio di Stato in
Milano, per l’anno 1916.
G. — P. Bussetti, Il palazzo biturrito dei conti Balbiani e le
mura di Chiavenna
Bollettino di Bibliografia storica lombarda (gennaio-dicembre
1916) . i i é ; è : 7 i .
APPUNTI E NOTIZIE.
Appunti: Musei ed Archivi del Castello. — Monaco di Villa,
milanese. — Ruggerino da Milano. — Per la biografia
di Bartolomeo Colleoni (A. GiuLini). — Il tipografo parmense Annibale Fossio allievo del Valdarfer (E. M.),. —
Castellani di Carimate. — Arazzi di Gastone di Foix ?
(E. M.). — Per la battaglia di Marignano (E. M.). — I
Confalonieri orefici nel ’500. — Attestato di morte del
padre Onofrio Branda. — Notisie: Bonizone da Sutri e
il prof. Novati. — Bartolino da Novara. — Baldassare da
Vigevano, miniatore. — Artisti lombardi a Genova. —
“ La Letteraria e Amici dei Monumenti ,. — Conferenze
storiche. — Nuovi manoscritti lombardi alla Nazionale di
Parigi. — Manoscritti in vendita. — Manoscritti di Pietro
Tamburini*— Carlo Gonzaga, duca di Nevers. — La villa
Castelbarco a Loppio. — Istria e Dalmazia. — I carteggi
della guerra all’Archivio di Stato di Brescia
. Pag. 625
» 847
» 858
» 862
n 863
» 872
» 873
» 874
246, 875
» 266
INDICE 919
Appunti: La “ legenda , di S. Eligio in Lombardia (U. MonNERET DE VILLARD). — Un benefattore di Erba nel secolo
XIV (R. BeRETTA). — Alcune terre della pieve d’ Incino
infeudate agli arcivescovi di Milano (R. BERETTA). — La
pubblicazione dei documenti diplomatici di Luigi Osio
(E. Verga). — Notisie: Onoranze a Giorgio Giulini, — La
Congiura per sottomettere Bologna al conte di Virtù. —
Dono d’un nuovo ms. alla nostra biblioteca. — Il r. Archivio di Stato di Brescia . > 3 A “a . Pag. 628
Appunti: Una descrizione inesatta di un codice milanese (E.
Verga). — La cappellania ducale di S. Maria della Flo -
rana in S. Nazzaro Maggiore (ALessanpro Giuni). — Un
altro frammento di copiario di Catelano de Cristiani (C.
Manargsi). — Per la biografia di Vincenzo Lancetti (SiLvio
Pivano). — Notizie: Nuovi manoscritti Lombardi nella
Nazionale di Firenze. — Scuola di paleografia. — Concorso a premî
ATTI DELLA SOCIETA’ STORICA LOMBARDA.
6
Adunanze generali ordinarie dei giorni 20 giugno 1915, 13 febbraio (commemorazione del Presidente prof. Francesco
Novati), 19 marzo e 7 maggio 1916 . ; . 288, 289, 300, 312
Statuto della Società Storica Lombarda » 316
Elenco dei Soci della Società Storica Lombarda (giugno 1916) , 321
Opere pervenute alla Biblioteca sociale nel 1916 . »- 333, 643, 912
=_————1214"TTTzT:---—= ei ° : 7 ] talia . (1) . . . LÌ . pel i ì
Ù er | Estero . ° O . » » 25
Fr.zz0 dei fascicoli separati, se disponibili . » 5 —
QAANMARIO.
x
MEMORIE.
x» UGO MONNERET DE VILLARD. I dati storici , sttani iani di Lombardia tivi ai musaici pavimentali cri- i . l . Pag. 34I PIO PECCHIAT. Cristoforo Della Strada e un episodio deli cà guelfo-ghibelline in Milano durante il dominio del duca Giovanni Maria Visconti, i » 393 GEROLAMO CALVI, Contributi alla biografia di l.conardo da Vinci seriodo sforzesco) «417 MARCO MAGISTRETTI. « Liber Seminarii Mediolanensis » (cont. e fin., ù 509
VARIETÀ.
CESARE
Olione
MANARESI. lin appello contro sentenza dei consoli di Milano al temp. gi IV . . : ; ; . i : 7 ” » 552 GIOVANNI BOGNETTI. La cronaca di un collega dell’Azzeccagarbugli . 579 CARLO
Grossi
SALVIONI. Lettere inedite di Carlo Porta a Camilla Prevosti €:a Tommaso . . : . . 58
BIBLIOGRAFIA . ; : ; ; . i ? . . ° 600 Si parla di: Pietro Torelli. — Ettore Verga. — Romolo Putelli. — Leo Wiener.
APPUNTI E NOTIZIE . tg ». 628 Appunti:
benefattore
La « legenda « di S. Eligio in Lombardia (U. MoNNERET DE ViLLarDp). — Un di Erba nel secolo XIV (R. BerErtA). — Alcune terre della pieve d’In. cino infeudate agli arcivescovi di Milano (R. BERETTA). — La pubblicazione dei do- cumenti diplomatici di Luigi Osio {FtTORE VERGA).
Notizie: Onoranze a Giorgio Giulini. — La Congiura per sottomettere Bologna al conte di Virti. — Dono d'un nuovo ms. alla nostra Biblioteca, — Il R. Archivio di Stato di Brescia,
Opere pervenute alla Biblioteca Sociale :nel I semestre del 1916 . 64:
Mirano TORINO Roma
FRATELLI BOCCA, Editori %
n ————+&
ai pi Mirano (27. Corso Vittorio Emanuele).
Nuove pubblicazioni:
VIRGINIO GAYDA - VIRGINIO GAYDA
L'Italia tolte confine) di AUSTRIA Francesco Giuseppe (Le provincie italiane d'Austria) | crecrisiaiun impero) |
Un vol. in-16......... L.& | Un vol. in-16. ......L.6
Nella stessa Collezione “ La Civiltà Contemporanea ,, sono in vendita:
Borcese G. A., Za Nuova Germania, vol. in-16. . .L. 5.
Zaccagnini G., La Vita a Costantinopoli, vol. im-16 yo 4
Scamitz O., Za Società Ron osservata da un tedesco, voli in 16 i Der
MATER A., Za politica So li Repubblica: Deda
cese, vol. in-16 . » 3-50
Caupa E., /l Commercio dell amore nel Giappone, vol.in-16 » 95
A I germi della decadenza nipponica, vol. in-16 , 3.—
CASTELLINI G., Tunisi e Tripoli, vol. in-16 . i» 950
MATTEI F., L Ungheri ia e gli Ungheresi, vol. in° 16 »_ 3.
BEVIONE G; L’ Inghilterra d'oggi. vol. in-16. n 5.
; L'Argentina, vol. in-16 » 3.50
5 Come stiamo andatr a Tripoli, vel. in- iù li Sa
» L’Asia Minore e l'Italia, vol. in-16 . » 3-50
Niceroro A., Parigi (Una Città rinnovata), In-16 . n 5:
Amy A. BernarDpy, America Vissuta, vol. 1n-16 i; e
n L'Italia randagia (negli Stati Uniti),
vol. in-16. . , 4
FAUSTINI A., Gli Essi (Razza Costumi, Folklore)
vol. in- 16. i » 3-50
Giaccone E., // Canale di Panama, voli in-ié. » 3-50
BuonatuTti E. e TurcHi N., L’/sola di smeralao (istanda)
vol. im16. 2/20 850
aa
AVVISI
La Società Storica Lombarda per completare le serie
da lei possedute dell'Archivio Storico Lombardo,
fa ricerca dei seguenti fascicoli di esso:
Marzo 18770, Settembre 1885
Giugno ’ 1879 Dicembre 1885
Settembre 1880 Giugno 1886
Marzo 1885 Marzo 1900
Giugno 1885. Giugno 1904
Si pregano i Privati, i Librai, le Biblioteche che
possedessero questi fascicoli e intendessero alienarli, a rivolgersi per le cfferte alla Segreteria della Società Storica
Lombarda, Castello Sforzesco, MILANO.
La Sede della SOCIETA’ STORICA LOMBARDA
è nel CASTELLO SFORZESCO, dove devonsi unicamente dirigere manoscritti, libri, cambi e corrispondenze.
Le Sale Sociali sono aperte nella Domenica e nel
Giovedì d’ogni settimana dalle 14 alle 16. -
La Biblioteca rimane chiusa durante il mese d'agosto.
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記載日
2025年3月1日