Archivio Storico Lombardo, Serie Quinta Anno XLIII

出版
1916年
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ARCHIVIO STORICO LOMBARDO GIORNALE DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA = e SERIE QUINTA ANNO XLIII — PARTE PRIMA MILANO SEDE Î LIBRERIA DELLA SOCIETA FRATELLI BOCCA Castello Sforzesco Corso Vitt. Em., 21 La proprietà letteraria è riservata agli autori dei singoli scritti Come il Panormita diventò poeta aulico A8 1916-17 L Panormita quando dalla nativa Palermo si trasferì nel 1419 sul continente a frequentare, dopo una breve sosta a Firenze, gli Studî di Siena e Bologna, forse aveva in animo di prepararsi all’esercizio o dell’avvocatura o degli uffici cancellereschi. Ma egli non s’era ancora rivelato a se stesso. La rivelazione gli venne dalla facoltà poetica, potente in lui e ingenita, che lo trasse inconsapevolmente a comporre elegie d’occasione ora amorose ora encomiastiche ora satiriche, le quali a poco a poco cresciute a libro formarono l’Hermaphroditus. li libro uscì nel settembre del 1425 (1), con la dedica a Cosimo de’ Medici. Che significa quella dedica? un’aspirazione già affacciatasi netta e definita alla mente dell’autore: l'aspirazione a un posto di poeta aulico. La prima città, a cui appuntò il suo sguardo, fu Firenze, in quel tempo di tutte la più colta. Ma il tentativo coi Medici gli andò a Vuoto. Allora scelse un’ altra famiglia fiorentina, i Tebalducci, e Si mise a corteggiarne un giovinetto di belle speranze, Giacomino. Nel 1426 incontratosi a Bologna col Barbaro, che da Roma si restituiva a Venezia, parlarono de’ fiorentini; e mentre il Barbaro esaltava i Medici, il Panormita magnificava i Tebalducci e sopra tutti Giacomino, a cui voleva dedicare la sua musa. E infiammandosi esclama: « O otium, o animi tranquillitas! utinam te « Iacobini gratia aliquando nanciscar » (2). Ma ‘anche Giacomino gli fallì; onde rinunziò per sempre a Firenze. Più che una famiglia in verità dovè apparirgli promettente una corte. (1) R. SABBADINI, Oltanta lettere inedite del Panormita, Catania, 1910, p.152-53- (2) R- SABBADINI, Un biennio umanistico, in Giornale stor. d. letterat. ital., suppi. 6, 1903, P- 111, 113. Ar-3. StOor. ZLomo., Anno XLliî, Fasc. i-ii. I 6 REMIGIO SABBADINI La prima presa di mira fu quella di Mantova, al cui marchese Gian Francesco Gonzaga lo raccomandò’ nel gennaio del 1426 l’Aurispa, levando alle stelle la sua valentia nello scrivere in prosa e massimamente in poesia, nella quale non solo superava tutti i contemporanei, ma era anche da mettere alla pari con gli antichi (1). La corte di Mantova non gli fu aperta: ed era naturale. Mantova non doveva sentire il bisogno di un poeta aulico; e per l’istruzione e l’ educazione dei figlioli del marchese possedeva tal precettore, che il Panormita non era nemmeno degno di legargli i calzari: Vittorino da Feltre. Occorreva perciò rivolgere altrove gli sforzi, ed ecco che il Panormita pensa alla corte di Ferrara. Qui l’aiutò Guarino, il quale nel settembre del 1426 scrisse a Giacomo Zilioli, l'autorevole consigliere intimo del principe Estense, tessendogli l’elogio del. Panormita come scrittore di prosa e di poesia (2). Non è improbabile che nel febbraio dell’anno successivo (1427) il nostro poeta abbia dato una prima capatina a Ferrara, poichè scrivendo al Toscanella (3) e a Guarino (4) mostra di avere una certa dimestichezza oltre che con lo Zilioli, anche con Alberto Costabili, uno egli pure de’ più cospicui personaggi del circolo ferrarese. Tra l’aprile e il maggio poi del 1427 îl Panormita si recò per affari a Venezia e al ritorno fece una seconda e più lunga fermata a Ferrara. Ivi si trattenne coi « Mecenatuli », com’ egli li chiama, tra i quali saranno da riconoscere il Costabili e lo Zilioli. Il marchese, che era in villeggiatura, scrisse una lettera al dottor in leggi Niccolò Ariosto (VII) (5), ingiungendogli di mettere a disposizione del nuovo ospite il proprio giardino situato fuori le mura. Alla cessione si oppose risolutamente la suocera, una donna bisbetica, dell’Ariosto ; e così il Panormita, sebbene il marchese gli offrisse generosamente una delle sue ville, se ne- ripartì senza conchiudere nulla. I « Mecenatuli » ciononostante non lo dimenticarono (X]) ed egli riannodò con loro le pratiche nel dicembre del 1427, quando si trattava di trovare un istitutore per Meliaduce figlio del marchese. (1) Ibid., p. 102. (2) Epistolario di Guarino Veronese, Venezia, 191;, n. 371. (3) R. SABBADINI, Un biennio umanistico, p. 116. (4) Epistelario di Guarino Veronese, n. 391. (5) Coi numeri romani in parentesi rimando ai documenti. COME IL PANORMITA DIVENTÒ POETA AULICO 7 A Ferrara lo secondava Bartolomeo Guasco, che era ivi al congresso della pace quale inviato del Fregoso (1). E dalla lettera a lui scritta dal Panormita (XVI) risulta che le pratiche erano prossime alla conclusione. Ma fortunatamente intervenne Guarino in tempo : questa volta contro il Panormita (2). Perchè se Guarino lo potè con entusiasmo raccomandare per un posto di poeta, si sarebbe ben guardato dal proporlo per istitutore. A istitutore fu invece eletto 1”Aurispa, certamente molto più adatto. Da ciò nacque nel Panormita una « contractiuncula » verso Guarino (3), la quale però venne ben presto dimenticata, in modo che un paio d’anni dopo i due umanisti riallacciarono le antiche cordiali relazioni. 1} colpo, fallito a Firenze, a Mantova e a Ferrara, riuscì a Milano. Nel novembre del 1426 Giovanni Lamola, accompagnatosi forse a Cambio Zambeccari, abbandonava Bologna per recarsi a Milano in cerca di miglior fortuna (Il). A lui s’attacca subito il Panormita, conseguendo per suo mezzo dì avviare rapporti epistolari con l’arcivescovo di Milano Bartolomeo Della Capra (Ill, X) e con lo Zambeccari (XII, XIV), che aveva già ottenuto un ufficio alla corte ducale come « quaestor aerarii ». E quei due furono i più efficaci protettori del poeta, i due veri « Mecenates » (VI), in antitesi coi « Mecenatuli » ferraresi. Il Panormita faceva sempre valere i suoi titoli poetici. Chiedeva una presentazione al Visconti: e con che altro poteva esser messo in vista presso di lui, se non con un saggio de’ suoi versi? C'erano due elegie, e c’era l’H7ermaphroditus, donde il principe sì sarebbe formato un giusto concetto della sua abilità a celebrarlo. Poichè il Panormita si proponeva di cantare le imprese del duca e cantando eternarle. Ma a questo bisognava ozio tranquillo e tempo: ozio e tempo quali erano stati concessi a Vergilio e Stazio (VII). Le pratiche non furono brevi: esse si protrassero per più di due anni. Ma finalmente ci si mise d'impegno l’arcivescovo Della Capra, che allora come governatore ducale di Genova aveva grandemente aumentata la sua autorità ; e in data 9 aprile 1429 (XXIII) presentò solennemente il Panormita ai segretari ducali Luigi Crotto ————_—————————————€" + “ (1) Epistolario di Guarino Veronese, n. 443. (2) Ibid., nn. 431 432. (3) R. SABBADINI, Ottanta lettere inedite del Panormita, p. 13, 129-30. 8 REMIGIO SABBADINI e Francesco Barbavara : quel Barbavara che da ora in poi diventerà il « Mecenas » per eccellenza. Forte di questa raccomandazione il Panormita va a Payia a terminare gli studi giuridici (1) e a prender la laurea. Il primo dicembre del medesimo anno (1429) gli giunse la nomina ufficiale del Visconti (2): « ipsum omnipotentem et immortalem deum ora- « tum. facimus, ut gesta mostra praeteriti et futuri temporis pro « sua clementia tanti faciat, ut a musis tuis extolli atque .il- « lustrari mereantur », E fu, come si vede, nomina di poeta aulico. Tutte queste notizie, prima incerte e lacunose, vengono ora innanzi al lettore ben definite e-coordinate in grazia di un discreto manipolo di lettere nuove, alle quali ho accompagnato passi scelti di altre lettere pubblicate qua e là, allo scopo di raggiungere la continuità cronologica. E infatti anche la cronologia del Panormita ci guadagna. Fino al 31 luglio del 1427 egli rimase a Bologna. Il primo agosto successivo si trasferì a Firenze; di là, nel dicembre, a Roma. A Roma trascorse tutto l’anno seguente 1428. Nella primavera del 1429 lasciò Roma e per la via di Genova, deve sì trattenne un poco (3) presso il Della Capra, andò a stabilirsi a, Pavia. REMIGIO SABBADINI. (1) Epist. Gall, lI, n. 21 (2) Ibid., I, n. 3. | (3) Alla fermata di Genova allude oltrechè Bartolomeo Guasco con e lanicae sortes », ancora meglio Cristoforo Scarpa da Parma in una lettera al Panormita, la quale si chiude con questo periodo: « Si quid egisti in iis tuis Ge- « nuensibus vigiliis, me ceterosque tibi amicissimos fac participes » (BAROZZI e SABBADINI, op. cit., p. 32). Questa lettera non è del 1427, com'io avevo supposto, bensì dei primi mesi del 1429, come ha dimostrato R. VALENTINI (in Rendiconti d. r. Accad. dei Lincei, XVI, 1907, p. 461-64). Ma la tempesta minacciata dalle parole del Valentini « resta fortemente scosso tutto l’edificio cro- « nologico di questo anno 1427 » (ib., p. 464) si è agevolmente dileguata al fulgido sole dei nuovi documenti. COME IL PANORMITA DIVENTÒ POETA AULICO ‘9 DOCUMENTI I. Carmina illustr. poet. italor., Il, p. 112. (Antonius Panormita) Petro Lunensi respondet quod nolit describere bella nostri temporis, tametsi splendida illa sint. Scilicet Etrurii sunt inclita gesta senatus (1) Et sunt anguigeri fortia facta Ducis (2). Sunt et Aragonei prelustria prelia Regis (3), Femina (4) Parthenope mascula bella gerit. Ne morer, Ausonias omnis Mars efferat oras Cogitur atque armis gens peregrina suis. Magna quidem sunt hec et magno digna poeta . Dignaque percupida posteritate legi.... Sed mihi nescio cur, sicut tu sicut et alter, Maluerim ex bellis inde venire tonos.... Verum qualis erit Ducis elargitio vati ? Qualia dic sodes premia Regis erunt? Aut nulla aut certe quam parva simillima nullis Et quibus haud chartas quas perarabis emas.... At tu, principibus qui iocundissimus extas, Petre, fac ingenio par mihi munus eat. Tunc mea magnanimos largos regesque ducesque Evehet ad superos larga Thalia polos. (Bologna 1425) (5). (1) Firenze. (2) Filippo Maria Visconti: lo stemma visconteo aveva una biscia. (3) Alfonso d'Aragona. (4) La regina Giovanna. (5) L’anno di quest’Elegia è il 1425. Vi si allude ai torbidi nel regno di Napoli del 1424 e alla guerra di Firenze e dell' Aragonese contro Milano del 1425. Non era ancora scoppiata la nuova guerra del 1426-27 tra Venezia e Firenze dall’una parte e Milano dall’altra, perchè in quegli anni Napoli fu tranquilla e il Panormita non nomina Venezia tra i belligeranti. Inoltre l'elegia non esprime nessuna fiducia nel mecenatismo del Visconti, dovechè le mire del Panormita s'erano nel 1426-27 appuntate verso di lui, IO REMIGIO SABBADINI II. Cod. Ambros. P 4 sup., f. 78; pubblicata in Barozzi e SABBADINI, Studi sul Panormita e sul Valla, p. 25. Antonius Panormita dulcissimo Johanni Lamole p. s. Si vales gaudeo, nam quom tibi bene est, id quidem mihi dividue est. Accepi proximis diebus ex te litteras sane officii et diligentie plenas, quibus satis superque docuisti quod mecum sepiuscule egeras vivo sermone, scilicet te neque in amore neque in omni re diligentia a quoquam superari posse.... Sane non poteras me potiori aut cariori munere adficere.... quam amicitia atque familiaritate Bar(tholomei) (1) archiepiscopi, viri non incelebris neque inlitterati.... Ecce quoad ocius quivi Hermaphroditon isti Principi (2) mitto.... Postremum ut iubes Guarino (3), Aurispe, Ambrosio monacho, Tuscanelle nostroque Aretino (4) et reliquis familiaribus nostris tuam abitionem (5) tueque vite rationem per epistolas comodum renuntiabo faxoque, ni fallor, uti summam rationem te ad hoc consilium compulisse persuasum habeant. Tuque etiam officio tuo ne deesta,-de repente illis epistolas dato, tute tuum casum exprimito ; etenim vehementer in eorum ad me litteris admirati sunt, quam ob rem ad iillos silueris tam diu meque etiam inculpant measque litteras carpunt, que te quoque iam dudum obticuerint. Vale mea suavitas. Ex Bononia quam cursim kalendis decembriis (1426). (1) Bartolomeo Della Capra arcivescovo di Milano. (2) Filippo Maria Visconti. (3) Guarino era allora a Verona. (4) L' Aurispa, Ambrogio Traversari, il Toscanella e l'Aretino Carlo Marsuppini stavano a Firenze. (5) Il Lamola scriveva a Guarino (Epistolario di Guarino Veronese, n. 455, p. 637) l'ultimo di maggio del 1428, com’egli fosse a Milano da quasi un anno e mezzo: vale a dire dal novembre del 1426. E questo combina con la data della presente lettera del Panormita, dalla quale risulta che il Lamola stava a Milano almeno dal 1° dicembre del 1426. Nella succitata lettera a Guarino (ibid.) il Lamola afferma di essersi recato a Milano per esortazione « suasu » dell’ arcivescovo Della Capra e per comando « imperio » di Cambio Zambeccari. Probabilmente lo Zambeccari, lasciata definitivamente Bologna alla fine del 1426, si trasferì a Milano portandosi seco il Lamola. Sullo Zambeccari vedi L. FRATI, in Archivio storico italiano, serie V, to. XLIII, 1909, p. 367-374, e R. SABBADINI, Ottanta lettere inedite del Panormita, (cfr. l’indice e p. 64, dove è detto che morf nel giugno 1431). COME IL PANORMITA DIVENTÒ POETA AULICO II III. Cod. Ambros. P 4 sup., fol. 77; pubblicata nelle Efisto/. Gall., II, n. 23. Io seguo il codice. Antonius Panormita Bar(tholomeo) archiepiscopo Mediolanensi v. cl. et illustri p. s. d. Non poteram equidem gratiori aut iocundiori nuntio affici, vir humanissime, quam eo qui proxime mihi ex Iohannis Lamole adolescentis docti in primis et emendati litteris adlatus est. Siquidem enuntiant me, quod magni semper extimavi quodque diu iam mirifice concupivi, tuam gratiam inivisse.... Nunc ad Lamolam nostrum redeo. Is me per epistolas rogat, et quidem tuo nomine, ut Hermaphroditum meum ad te quampropediem mittam; ait enim incredibilem tibi sitim incessisse videndi et lectitandi versus meos. Ego cum primum subsisterem, siquidem res admodum lasciva est, mox deinde certa ratione decrevi quicquid iam esset ad te pro tuo iussu dimittere..... Ex Bononia quam raptim kalendis decembriis (1426). Reverendissimo in Christo patri et domino domino BAR(TtHOLOMEO) DE La Capra archiepiscopo Mediolanensi domino meo. IV. Carmina illustr. poetar. Italor., Florentiae 1719, II, p. 113. Si legge in molti codici, p. e. nell’Ambros. T 12, f. 71, del quale seguo la lezione. Antonii Panormite Elegia ad Lamolam quod lacrimis Elegie motus fractusque ex Bononia nequiverit recedere. Idibus februarii (1). Desine me placida verbis abducere terra, Desine me domina dissociare mea. Vera mones fateor pulchreque adducis Ulixem Fortiter equoreas deseruisse deas. Liquerit et flentem dux ut Troyanus Elissam, Multa licet surdo spondeat ipsa proco. Addis ad hec etiam, quod non ornatius ipse Tullius aut gravius scripserit ipse Plato; Denique quod possit firmos mutare Epicuros Aut si quid toto firmius orbe fuit. (1) libo febr. cod. 12 REMIGIO SABBADINI Me quoque mutaras, nostra de mente puella Deciderat, muros (1) linquere mentis erat. Tum subeunt nostri presignia Cesaris (2) acta, Que modo militia que modo pace gerat. Quin et Mecenas (3) obversabatur ocellis, Quem dis persimilem secula nostra ferunt. Tum simul heroicos versus meditabar et ignes Atque elegos animo destituisse fuit. Sensit Amor mentem nostram retulitque puelle. Quis divum frustra numen habere potest? Flens Elegia venit, sic nostra puella vocatur: Tum primum nostros vidit amica lares.... Termina : Sunt hic preterea veteres fidique sodales, Sanctius (4) hic meus est, hic Farafalla (5) meus. Ergo vale et nostro scribis si quando Guarino, Quam salvum nostro nomine redde virum. (Bologna, 13 febbraio 1427). V. Cod. Bergamasco A II, 32, f. 91. Antonius Panormita J(ohanni) s. p. d. Fisicorum monumentis proditum est: si hominem lupi priores contemplentur, homini vocem adimunt. Hinc proverbium illud a veteribus usurpatur: “ lupus est in fabula ,, (Serv. ad. Ec/.1X 54). Sed quorsum hec? Nam profecto vereor ne quis te lupus aspexerit prior: ita vocis expers effectus es et prope mutus. Etenim num iam renuntiare debueras an litteras ex Guarino (6) dimiseris necne ét, si miseris, per quem miseris, an per tabellarium proprium an per viatores? Rursum an (7) bibliotecario expoliendum tradideris librum meum (8) an expolitum iam emissurus sis propediem. Sexcenta tibi sunt litterarum argumenta, si modo scribere aut loqui velis. Sed lupus aliquis te prior vidit, ut dixi, et mutus dei gratia effectus es. Vale. Si loqui potes amico nostro, nos ei (9) caris cariores face. (Bologna, febbraio 1427). (1) Le mura di Bologna. | (2) Il duca di Milano. | (3) Cambio Zambeccari. (4-5) Sancio Ballo e Farafaglia due siciliani, studenti a Bologna. (6) Forse una commendatizia per Ferrara. Infatti il Panormita si era recato colà verso la fine di febbraio. Cfr. Epistolario di Guarino, n. 391. (7) in cod. | (8) S'intenderà l’Hermaphroditus? | (9) et cod. COME IL PANORMITA DIVENTÒ POETA AULICO 13 VI. Cod. Ambros. P 4 sup., f. 90; pubblicata in Barozzi e SABBADINI, Studi sul Panormita e sul Valla, p. 29. Antonius Panormita Iohanni Lamole v. cl. p. s. Redeunti mihi nuper ex Venetiis (ibi vero gentium vel maius ibi piscium aliquot dies egi negotiandi causa) reddite sunt littere ex te pluribus epistolis.... Quibus quoniam hodie per negotia non licet, mox quam propediem respondebo et quidem syllabatim. Interea vero hosce ad te versus (1) ex me perleges et fortassis voluptuosissime. Neque velim existimes ita me Elegie illecebris irretitum, ut, si rem quam meo imo nostro nomine inceptasti perficias, ex Bononia non possem decedere.... Quom vero per securitatem licebit Principi versus faciam quales fortasse concupiscitis.... lac(obo) Modoetiensi (2) viro sane quam eloquentissimo mihique admodum caro quam statim rescribam atque una Mecenatibus nostris archiepiscopo Cambioque viris illustribus.... Item ex Guarino quicquam accipies; nunc enim adhuc de via fessus sum... (Bologna), X mait (1427) quam raptim. VILO Cod. Bergam. A II, 34, f. 38.v A(ntonius) Pano(rmita) s. d. Lamole suavissimo. Si vales mihi dividue est, ergo vale. Ex re est, priusquam ad tuam veniam, paulo altius exordiar (3). Igitur quom iam dudum, ut nosti, cx Venetiis redirem, studui in via Marchionem (4) visere et salutare posse, quod quom (5) nobis abnegaretur, siquidem rure Princeps agebat, quod potui, scribas et mecenatulos quosdam meos subito salutavi; inter salutandum vero plurima contulimus, presertim que ad otium meique animi tranquillitatem attinerent. (1) Probabilmente quando fu a Venezia diede una copia dell’elegia al Facio, che la mandò agli amici veronesi. Scrive infatti nel 1427 da Venezia il Facio a Jacopo Lavagnola: « Postquam per egregium Panormitam carmen, vobis a « me transmissum, vobis maxime acceptum fuisse comperi.... » (cfr. Scritti vari in memoria del prof. G. Monticolo, Venezia, 1913, p. 34). (2) Giacomo Becchetti da Monz:, sul quale vedi R. VALENTINI, in Classici e Neolatini, IQII, p. 350-71. (3) exordiare cod. | (4) Il marchese di Ferrara. | (5) quum cod. 14 REMIGIO SABBADINI Sunt hi quidem homines, mi Johannes, qui et ingenia poetarum quam maxime foveant et ab studiis humanitatis non abhorreant meque, si potestas daretur, regem facere concupiscant. Res sane ita est. Proinde me discedentem statim ipsius Principis ad dominum Nicholaum Riostum (I) epistole prosequuntur, in quibus ipsemet Marchio (nam legi litteras) ad sidera me laudibus efferebat meque suum usque in ulteriorem amicitiam profitebatur. Sed omissis his, demum Riosto suo imperabat ut mihi concederet hortos (2) suos, quos iuxta urbis pomeria possidet amenos et apricos et musis aptissimos. Sed nostro infortunio non potuit, quom (3) omnino posse speraret, impetrare hortos, quippe qui fuissent Riosti socrus, mulieris improbissime, non ipsius, ut opinabatur, Riosti. Ea quidem anus edentula, quam dii disperdant, pro nihilo Marchionis preces et iussa extimavit (4), ipsius etiam parvifaciens amicitiam. Quod cum innotesceret Principi, indoluit quidem ille causa mea, dein mihi significat ut ex suis villam quam velim deligam (5) eamque inhabitem nec mihi defecturam villam. Multa ad hec adiciebat, quibus munificentiam et in me singularem Principis benivolentiam quis facile animadvertat. Ego quidem spe Mediolanensi magis fretus, pro benemeritis in me suis Marchioni gratias egi peringentis meque ex Bononia neque velle neque si velim posse decedere renunciavi. Quorsum hec? Nam putaram, si hortos illos exoravissem, posse per otium ac securitatem ad aliquot menses vitam deducere eoque loci ducis Mediolani, dignissimi Principis, laudem pro tuo nec non Mecenatum nostrorum mandato decantare. Qua ex causa tibi illas superioribus epistolis pollicebar describere: et fecissem mediusfidius, sed fata, ut vides, obstiterunt. Verum hic inquis: cur in urbe non licet? Respondet Oratius: « urbs est inimica poetis » (cfr. Zfist., II, 2, 65-77) cumque sue quoique (6) attribute sint cure (7), me quidem occupationes ac solicitudines conterunt (8) neque me mihi sinunt, ut aiunt, caput scalpere. Preterea res splendidissima est nec minus amplissima egetque, mihi credas, exercitatione non parva. Item hic inquis: fac versus non quales per otium scires (9), sed quales in mediis occupationibus potes. Sed, ut (10) carmen alicuius est, “ non erat in planis cantandus versibus Hector ,; utque duces ac reges militia, sic versu poete gloriam querunt, Nosti quam minime avidus cupidusque siem ceterarum (11) rerum (12), gloriam vero quam amplam quamve latam tantummodo inhio (13), generosi animi (1) Niccolò Ariosto, dottore in diritto. Sostenne vari uffici in Ferrara e fuori. Cfr. LiTtTA, Ariosto, tav. II. (2) A questi « horti » allude Pier Candido Decembrio nell’invettiva contro il Panormita: « Quid Ferrarienses hortulos a te tantopere deploratos dicam? ». Cfr. Barozzi e SABBADINI, Op. cit., p. 28. (3) quum cod. | (4) extimant cod. | (5) delegam cod. (6) quoque cod. |(7) curare cod. | (8) conterrunt cod. | (9) scures cod. (30) tu cod. | (11) ceterari cod. | (12) rerum om. cod. | (13) mito ced. -— COME IL PANORMITA DIVENTÒ POETA AULICO IS inditium (1). Virgilius noster, ut poetarum doctissimus sic meo quidem iuditio prudentissimus, Titurum suum brevissimum opus tris annos evigilavit, fruges vero quinque (2), Eneam certe compluris. Itidem Statius poeta iocundissimus duodecim annos (7àebd., XII, 811) Thebem suam continuit. Nos poetarum ultima feces (3) tam amplissimam materiam, tam eximias istius Principis laudes prope divinas, atavorum proavorumque virtutes et fortitudinem uno, ut velitis, mense aut fortassis hebdomoda expediemus, quo quidem in tempore non dicam Cesaris, ut înquis, virtutes, que innumerabiles sunt, perscribere sed ne numerare quidem queamus? Quod si ex versibus meis solum aditum ad Principem desiderant, iubetone (4) id potius pede an soluta oratione fiat. Scribam igitur brevem epistolam ad Principem prosa oratione aut versu breve quoddam (5), unde occasionem adeundi Cesarem habeam (6). Si vero versus meos videre concupierit Cesar, exhibeam Elegiam, et “ Scilicet Etrurii , (7) atque ipsum Hermaphroditum, ex quibus prospicere satis poterit quid, si per otium liceret, pariture essent mee muse. Cesar Octavianus, Cesarum decus, quom (8) Virgilii ingenium ex quibusdam versibus, quos amatorios ediderat (9), admiraretur, illum singulariter amare et observare cepit et voti compotem simul et otiosum fecit, ut ex otio elegantiores versus facere pergeret, non ex versibus otium acquireret. Et quidem est, ut prius poete otium inveneris, inde ex otio fructum expectes. Dabo itaque, si modo domino Cambio viro maximo nostroque Mecenati videatur, epistolam Cesari, ex qua quam brevissime potero illum ad gloriam et immortalitatem et poetas diligendos exhortabor; mihi quidem id faciundum videtur, nam tanti Principis laudes ad otium reiciende sunt: alioquin periture (10) carte videntur. * Non sunt implicite prelia mentis opus ,. Mira mihi materia iam inventa est, quo Ducem suosque fere omnes ad astra eveham, Venetos (11) vero deprimam utque ludibrio sint apud omnes gentes efficiam. Sed Bononie rem non aggrediar, quom (12) ab incepto forem proculdubio destiturus. Hec omnia viro Cambio elegantissimo referas, non ostendas volo; quantumque in te est stude sibi mentem et consilium istud meum persuadere meque integrum sibi dede, ne animami quidem excipias. Faxo equidem mi Johanmes ne sua erga me beneficia pereant, modo, ut putas, mecum sint muse; et aliquando rescribas ad hec quam potes citissimo, quo statim ipse scribam ad Cesarem et ad Mecenatem simul. Nam si de ista ipsa (1) vitium cod. | (2) Veramente sette | (3) fuere corr. in facie cod. (4) iuueto ne cod. | (5) quodam cod. | (6) habeant cod. (7) exhibeant eligiam et silicet Etrurii cod. Le due elegie, di cui qui abbiamo prodotto estratti. | (8) quem cod. (9) Questo particolare non si legge in nessuna biografia Vergiliana. (10) periturare cod. | (11) Venezia era allora in guerra con Milano. (12) quum cod. 16 REMIGIO SABBADINI spe decideremus, ad alias atque alias nos fortunas:coniciemus. Ne dubita, nam, ni fallor, neque (x) Italiam neque me relinques, nam nobis opus (2) erit “ mutare clipeos Danaumque insignia nobis aptare ,, (Verg. Aen., II, 389). Proinde negotium accelerent Mecenates horteris, si nobis immo Duci consulere desid(er)ant (3); ego quidem cicadas non expectavero, ne certa pro vanis relinquam. ; Hactenus mihi videor mentem et propositum meum, si non eloquenter, loquenter (4) et prolixe tamen aperuisse; tui officii erit rem diligenter (5) et sine mora deducere et conducere, si Cesaris nostri gloriam et immortalitatem amas: alioquin necessum habeo propositum flectere atque alii adherere et ex cloaca aram quanpriam facere tenebrasque illustrare. De his satis. (Bologna, giugno 1427). VIN. Cod. Bergam. A II, 32, f. 38‘; cod. Ambros. M 4o sup.,, f. 35Y; pubblicata in Barozzi e SABBADINI, Op. cit., p. 30. Antonius Panormita Johanni Lamole p. s. d. Si vales gaudeo (6), nam valere te felicitatis mee pars est. Obsignaveram ad te binas epistolas tuisque binis superioribus responderam, quom bine altere ex te mihi redduntur, singulare quoddam diligentie exemplum. Ceterum id ipsum fere mihi significant quod et priores, nisi quod Cambius magnus imprimis et preclarus vir havet posse me (7) quandocunque volet accersere quemve in locum delegerit (8) collocare. Ego vero spondeo (9) iussis suis me obtemperaturum, modo me prope dienì vocet aut avocet; nam “ kalendas grecas ,, (Suet. Aug., 87) expectaturi non sumus(10) ne certa pro incertis postputaremus, quod postreme et crasse quoiuspiam amentie est (11). Illud autem vere vaticinor Cambium mihi sedem delecturum (12) mee meorumque dignitati convenientem; tu modo quoius ordinis sim eum doctiorem reddas, demum facite ne, ut Iuvenalis ait, * mendicet in atria Clio , (VII, 7). Epistolas autem ex ipso Principe vehementer velim, quo apud parentes et propinquos meos excusatus(13) e Bononia decederem. Sintque eiusmodi(14) littere cura, que honori meo undique conducant (15); alioquin sine ignominia non possem studium intermittere. Laudes Frincipis et Mecenatum nostrorum istic canemus et melius et uberius. Nam ubi (16) (1) neque om. cod. | (2) opus om. cod. | (3) desidant cod. (4) loquerer cod. (loquaciter ?). | (5) diligentem cod. - (6) Si vales bene est A. | (7) habet me desiderare posse me B, ab me desiderat posse me A. | (8) voluerit A. | (9) respondebo A. | (10) sumus om. 8. (11) errasse quovis iam amentis est A. | (12) electurum A. | (13) excusatus om. B. | (14) huiusmodi A. | (1j) condeceant A. | (16) ibi A. COME IL PANORMITA: DIVENTÒ ‘POETA AULICO 17 melius illas (1) explorem? hic etenim me undique circumscribunt ut infinite sic fastidiosissime quedam occupationes, quibus nullo pacto carere possumus et “ carmina, ut Sapho ait, (v. 14) sunt opus vacue mentis , (2). Sed de (3) hac re prolixius in aliis epistolis disseruimus: Cambium simul et Zaninum (4) illum virum dignissimum in celum usque, ut vis, laudibus efferemus; * fortunati ambo, si quid mea carmina possunt , (Verg. Aen., IX, 446). Postremo si res cedat prospera tibique videatur, potes per internuntium specialem mihi rem omnem significare ; ex eo quod mora nobis plurimum obfutura est. Ex Cambio litteras que me fratribus, viris clarissimis, commendent exorato; faciat Cambius ut ex. germanis suis binos equos commodati nomine habeam, quod factu facile est. Vale decus amicitie; valeat et Bar(tholomeus) pontifex Rome (5). Ex Bononia XX iunti (6) (1427). Has item nemini hostendas volo. IX, €od. Ambros. H. 49 inf., f. 145‘; pubblicata in Barozzi e SABBADINI* Op. cit., p. 27. Antonius Panormita suo Jacobo Genuensi (7) viro docto et eloquenti s. d. Facis ut amicum decet et frugi virum, Iacobe Genuensis, quippe qui me contendis “ aram ex cloaca ,, (Cic. f. Planc., 95) quotidie facere et ex tenui quodam homullulo Cresum et regem. Sic enim ex Lamole' nostri viri tersissimi litteris accepimus.... Nunc abs te peto et si pateris etiam oro, fac ne Cambius noster vir amplissimus Hermaphroditum a me petere pergat, nam ut nosti res affatim turpis est et sanctissimi viri lectione non digna.... (Bologna, 1427). (1) illam 2. (2) Nel secolo AV questa è una delle prime volte che si cita l’epistola di Saffo a Faone. | (3) ab B. (4) Zanino Ricci’ consigliere ducale, morto nel maggio del 1428 (ctr. BarOZzi e SABBADINI, Op. cit., p. 37). (5) Rome om. A. Se la lezione è esatta, ne deduciamo che l’ arcivescovo Della Capra în questo momento era in missione diplomatica presso la Santa Sede. La deduzione sarebbe confermata da una lettera posteriore (n. XV); ma rimane incerto se si tratti della medesima missione o di due missioni distinte. (6) La data è del solo Bergam. ì (7) Giacomo Bracelli. Stava a Milano probabilmente per ragioni di studio. 18 REMIGIO SABBADINI X. Cod. Universitario di Padova 54I, f. 139". A(ntonius) P(anormita) B(artholomeo) arch(iepiscopo) Mediolanensi et magno ac prope singulari (viro) p. s. Ni sperarem ex proximo te propius coramque et tenere et possidere, respondissem hercle tuis ad me suavissimis et vere principe viro dignis epistulis verbosius atque syllabatimj mos mihi est, loquar ingenue, ne officio reddendarum epistularum a nemine vinci perpatiar. Ceterum quia ni fallor e vestigio te sum aditurus, quicquid exaraturus fui reiciam ad vivos affatus. Interea vir humanissime peroptarim tecum esse, tecum agere, te frui, te familiariter uti, tecum res serias scribere, tecum causas excitare, denique ut Flacci versus est: “ tecum vivere optem, tecum obeam libens , (Oa. III, 9, 24) et ut versibus pergam: “ Non (1) ego si medius Polluce et Castore ponar In celi sine te parte fuisse velim ,. Facit virtus tua clara quidem et insignis, que me adeo allicit, adeo meos sensus ut ita dixerim inebriat, ut nisi te nihil aliud desiderem nil somniem nihil sitiam. Tue igitur partis (2) et officii est efficere ne hoc tam honestissimo desiderio tabescam. Que omnia ex Jo(hanne) La(mola) apertius ac plenius accipies; cui fidem presta, loquetur enim ad te meis verbis meumque omne negotium ac fidem explicabit. Tu mi Mecenas vel potius Cesar fac nostro voto satisfacias; ego quidem faxo ne unquam te peniteat officii aut liberalitatis tue. Vale “ presidium et dulce decus meum , (7orat. Od. I, 1, 2) et me quia potis es bea. Ex B(ononia) quam cursim (1427). XI. Cod. Bergam. A II, 32, f. 40. A(ntonius) Pa(normita) Lamole suo s. d. Accepi tum ex te tum ex Cambio nostro Mecenate litteras non insuaves nec inelegantes quidem. Amabam equidem istum Cambium pro sui animi prestantia, nunc pro sua singulari eloquentia et doctrina deamo et colo. Sane vir magnus est et vere Mecenas alter, prout enim superior Mecenas tum egregia (3) et eximia virtute, tum etiam eloquentia et sapientia preditus. Sed reiciamus huius nostri Mecenatis laudem ad otium: tu sic accipe. Effecisti uti mecenatulos illos (4) abicerem ex meis cogi- (1) Nam cod. | (2) partes cod. (3) egregria cod. | (4) Allude ai ferraresi. COME IL PANORMITA DIVENTA POETA AULICO 19 tationibus : facile quidem fuit persuadere volenti. Continebo igitur me mecumque vivam ad aliquot tempus, quoad ista fortuna quam tu magnam putas perfruemur aut de spe decidemus. Tu vero fac solito solertior sis, ne pre longo desiderio tabescam. Si vero vanam spem hanc fore prospexeris, amici officium feceris id ipsum mihi significare (1) simpliciter et luculenter: et erit in rem tuam, si alio flectam propositum. Interea Florentiam petam Aurispe rogatu, Nicholai et Aretini (2) nostri agamque Florentie apud eos totam estatem et, si me non evoces, fortassis hyemem: atque (3) ita effugiam Mecenatulorum (4) importunitatem et molestiam. Tu per id tempus cura rem comunem quam diligentissime ; si minus fuerit felix hec tua diligentia, rem omnem ut supra diximus aperte mihi renuntia: tum etenim enitar ut te ex Mediolano abducam, qui me hinc non quieris (5). Tue ad me littere fac Bononie reddantur Cathalano (6), Bornii nostri germano, Albertorum mensario: is ad me litteras emittet presto et securo. Hermaphroditus penes me iam pridie non est. Ex Florentia scribam ad Cambium virum illustrem; interim “ heroum gesta valete Mecenasque tua cum probitate vale , ; tu item vale mea suavitas. Valeat et Iacobus (7) mel nostrum. Ex Bononia quam raptissime pridie kalendas augusti (1427). Cras Florentiam peto. XII. Cod. Bergam. 4 II, 34, f. 29; pubblicata di sullo scorretto cod. Ambros. H 192 inf. f. 28 da R. SABBADINI, Offanta lettere inedite del Panormita, Catania, 1910, p. 97. Antonius Panormita Cambio Zambecario viro clarissimo salutem. Ut ego magnas habeo musis gratias que me tibi, Cambi vir primarie, cognitum et carum fecere, sic tu non minores virtuti ac probitati tue debes, quippe que facit ut qui te nunquam viderint, te et venerentur et diligant. Ego quidem is sum qui solum tue magnificentie tueque humanitatis nomine, quod sane preclarum est, te amare ceperim atque ita amare, ut vel arctissimam propinquitatem magis non amem. Recte quidem in proverbio Siculorum est: “ ut pisces hamo, sic virtute homines inescantur , (Cic. de sen., 44). Hec eo spectant ut intelligas a me (1) singulare cod. (2) niholai et arentini cod. S'intendono il Niccoli e il Marsuppini. (3) atqui cod. | (4) mecenanclorum cod. Cioè i ferraresi. | (5) queris cod. (6) Catalano La Sala, fratello del famoso giureconsulto Bornio, sul quale vedi il FantUzzI, Scriftori bolognesi, VII, p. 254-59. Catalano La Sala nelle lettere del Panormita è storpiato in LaseLa, Epist. Gall., III, n. 32. Giacomo Bracelli, 20 REMIGIO SABBADINI singulariter amari et observari, omniaque que in me sunt, vel ipsam animam, tue egregie virtuti deberi. Tuarum vero partium est, si quidem amor ultro citroque nos obligat, me mutua caritate complecti measque musas (quod facis) toto pectore fovere. Sane cum sepe gratias pro bene meritis pares ipse reddere non possim, muse suas partim immiscere consuevere ; referuntque gratias et interdum (ut ita dixerim) feneratorias quidem. Éa quidem natura musarum est ut erga poetas beneficia perire non sinant. Sed de his satis; nanque exploratum atque compertum habes, certo scio, compluris homines eosque magnos immortalitati vates donasse, interdum etiam tenebras illustrasse. Cetera vero que ad negotium nostrum attinent ex Lamola nostro verbis meis accipies. Tu autem istius fortissimi principis glorie quam diligentissime potes consule, necnon honori et comoditati mee. Vale “ presidium et dulce decus meum ,,; et Iacobum Genuensem (1), quamquam eius ingenio et ornamentis non iniocundus esse debeat, mea etiam causa ut diligas te etiam atque etiam rogo. (Firenze, agosto 1427). XIII. Cod. Vatic. 2906, f. 40Y; pubblicata in Barozzi e SABBADINI, Op. cit., P. 34. Antonius Panormita Johanni Lamole s. p. d. Si vales ex re mea est, ego valeo. Emisse sunt mihi Florentiam littere tue a Catalano (2) nobili mensario familiari nostro. Eas ego voluptuosissime legi, nam tardiuscule fuerunt et proinde ut fit solito aliquanto iocundiores.... Habet tibi gratias magnas hic eruditorum hominum grex totus pro Cornelio Celso (3) tua diligentia tuaque sorte denuo comperto, habiturus etiam ingentes cum et tua opera Cornelius hic noster mutilatus, ut nosti, curabitur complebiturque. Verum hec sit cura Nicolai (4) nostri v. cl. Ego quidem proposito perstabo neque consilium prius flectam, quam tute secus uti flectam monefeceris.... Invigila igitur, Mecenates ambi et quamprimum occasio datur rem exple. Fac ne kalendis grecis aut cum cicadis cantature sint muse.... (1) Giacomo Bracelli. (2) Catalano La Sala. (3) Il codice di Cornelio Celso scoperto dal Lamola a Milano nella basilica di S. Ambrogio. Gli umanisti prima di questa nuova scoperta conoscevano un altro codice di Celso, lacunoso, di provenienza senese, divulgato nel 1426 dal Panormita e da Guarino (vedi R. SABBADINI, Storia e critica di testi latini, Catania, 1914, p. 310-12). (4) Il Niccoli. - COME IL PANORMITA DIVENTÒ POETA AULICO 21 Florentie vero agam quoad secus tibi renuntiavero. Tu quo in loco sis, litteris tuis non adicias, ni sedem istam mutaveris, et Zaninum et Cambium viros illustres non nomine proprio sed Mecenates appella; cumque sit opus, in nebulis loquere, quanquam nihil attigeris nostro nomini obfuturum. Scis ubi gentium sim quave suspicione vivatur; Mediolanensis urbis nomen non modo exosum sed etiam suspiciosum (1). Postremo fac Mecenas mihi respondeat ipseque met mihi mentem aperiat. Littere vero Catalano nostro suavissimo reddantur; is me facile inveniet.... Hermaphroditus res nimis obscena mihi visa est quam viris gravissimis mitterem, sed auctorem pudet pigetque editionis. Sed di dabunt ut et poeta ipso perfrui possint, modo di Cesarem nostrum fortunent. Vale tu mea ambrosia et Iacobum Genuensem virum doctum et suavitatis exremplum ex me salvere iubeas. Ex Florentia XX seplembris (1427) quam raftissime. Ex Aurispa et Aretino (2) nostro salutem plurimamj ex Ambrosio monacho vale. XIV. Cod. Ambros. H 49 inf., f. 154; pubblicata in Barozzi e SABBADINI, Op. cit., p. 36. Antonius Panormita Cambio lambecario viro magno s. p. d. Noluerim ad te silere tam diu, Cambi clarissime, ne, quod Aristo» telis sententia plerunque fit, silentium dirimeret amicitiam.... Aveo ego quidem tecum una vitam vivere tuisque suavissimis mo= ribus coram atque diutius frui nec non Cesaris nostri egregias et eximias laudes versu describere.... Quis Robertum regem cogposceret, nisi et a Petrarcha nescio quo non quidem poeta sed poetarum simia (3) versibus celebratus sit ?... Ego quoque Cesaris tui nec non maiorum suorum acta litterarum monumentis mandare vehementer volo.... Modo tuarum partium sit mihi simpliciter, ut ingenuum virum decet, aperire mentem ad hanc rem tuam quave in ren spe fruaris. Nam si quidem longius expectaturi sumus resque demum voto non cedat, fient utique vana que nunc aliunde mihi certa pollicentur.... Vale: musarum spes et Zanino tuo viro clarissimo sic me dedas velim, ut in glebariis me suis adscribat..... Ex Florentia quam cursim V. kal. octobris (1427). (1) Perchè anche Firenze era in guerra a fianco di Venezia contro Milano, (2) Il Marsuppini. ae (3) Questo giudizio impertinente sul Petrarca fu più tardi.mitigato, sebbene a denti stretti (R. SABBADINI, Ottanta lettere inedite del Panormita, p. 148).. Arch. Stor. Lomb., Anno XLIIT, Fasc. T.II. 2 22 REMIGIO SABBADINI XV. Cod. Bergam. A II, 32, 1. 40. A(ntonius) Pa(normita) Johanni Lamole s. d. Jam dudum ex Florentia litteras ad te dedi pluribus epistolis, tum etiam Cambio viro clarissimo haud paucis conscripsimus ambosque monefecimus omni de re que ad me attineret. Fasciculum vero litterarum Thome Sarazanensi (1) viro consumato commisimus, quippe qui tunc opportune Mediolanum se petere diceret. Ceterum vero tu olim ad me non taces modo, qui mutus omnino factus es, quasi derigens, ut aiunt, cum arrigere deberes. Cur rides, insulsissime omnium lenonum, qui (2) quidem proverbio dignus es pro tua ista animadvertenda taciturnitate. Sed omissis iocis, summa priorum mearum continebat; me fore duraturum expectaturumque pro Cambii iussu viri clarissimi, modo ne esset frustra nobis mora producenda, quo fieret ut certa mihi consilia in dubia aut fortasse incerta verterentur. Demum fidei diligentie et consilio domini Cambii negotium omne committebam. Habes summam superiorum epistolarum, nunc audi ubi gentium sim, ne qua ex parte deesse videar officio meo. Rome sum. Quam, inquis, ob causam? Non quidem ut Rome religiosior fierem quam Florentie (Deus enim et Rome (3) benefacientibus et (4) ubique est, neque is sum qui dentes ossa et vestimenta sanctorum hominum adorem, sed animos eorum divinos et celì pulcritudine gloriaque pro virtutibus ac fide donatos), sed ut convenirem viserem atque salutarem Bar(tholomeum) pontificem (5), virum primarium Cesarisque nostri legatum tunc ad summum sacerdotem. Perdurum est eum non videre neque. frui posse quoius (6) virtus et gloria te iampridem allexerit inflammaveritque. Verum opinio ac tempus me fefellit; decesserat enim fere illis diebus e Roma desideratissimus vir (7) ad Cesarem rediens. Quod quam egre tulerim tute maxime coniectare potes, qui meum erga virum illum ardorem ac desiderium nosti iam diu. Illud autem egritudini nostre solaciosum fuit, comitas videlicet et humanitas Ant(onii) ‘ (xt) Tommaso Parentucelli, segretario del vescovo bolognese Nicola Albergati. Il Panormita lo conobbe a Bologna negli anni 1425-27 (R. SassaDINI, Of tanta lettere inedite del Panormita, p. 157). Si saranno riveduti a Firenze nel settembre 1427, quando il Parentucelli vi passò con l'Albergati, che da Roma ritornava in Lombardia a riprendere i negoziati di pace tra i belligeranti (FANTUZZI, Scrittori bolognesi, I, p. 114-15. (2) qui om. cod. | (3) Roma cod. | (4) et om. cod. (5) L'arcivescovo Della Capra andò ambasciatore al papa nell'autunno del 1427. (6) quouis cod. | (7) vir om. cod. ui COME IL PANORMITA DIVENTÒ POETA AULICO 23 Lusci Poggiique et Malpigle (1) nostri, virorum imprimis litteratorum multorumque preterea quos non nosti nec sane reiciendorum quidem. Qua benignitate ac gratia me susceperint, quo studio ac diligentia me primoribus urbis curieque cognitum et carum fecerint, qua facilitate et peritia mihi maximarum rerum ruinas ostenderint tum intra tum extra muros, haud facile scripserim. Sed missa hec eorum officia faciamus, que quidem peregregia sunt nec mee magis quam eorum laudi narrari (2) videantur; eorum ego persuasionibus, facile quidem persuadere est volenti, Rome hyemabo. Tu ea de re certior sis tuumque diuturnum silentium (3) expurges centum totidemque suavissimis epistolis meque omni de re que ad negotium meum spectat quam verbosissime certiorem (4) reddas; et ne de spe ista decidendum sit nobis atque alio animum vertendum, id est aliunde mihi tibique consulendum. Postremo me Bar(tholomeo) pontifici, Zanino Cambioque, viris illustribus et Mecenatibus nostris, etiam atque etiam commississimum facito. lanuensem (5) nostrum virum suavissimum salvere iubeto verbis meis, ad quem etiam rescripsimus per Sarazanensem (6) suum. Tu cura tuam valitudinem et nostri animi tranquillitatem. Vale mea suavitas et littere tue fac ad me reddantur Albertorum nobilium mercatorum taberne (7). Item vale. Rome quam raplim VIII decembris (1427). XVI. Cod. Ambros. H 192 inf., f. 36‘; pubblicata da R. SaBBaDINI, Offanta lettere inedite del Panormita, p. 129. (Antonio Panormita a Bartolomeo Guasco). Accepi litteras ex te heri Rome et quidem plenas suavitatis ac singularis cuiusdam diligentie erga me tue.... Ceterum quidem ex lacobo Riolo (8) viro clarissimo litteras adhuc non accepi, quibus ais ille me condocefaciebat omni de re que ad me attineret. Expectabo igitur quoad per epistolas Principis (9) aut Rioli certior fiam de negotio; quia si prius adventarem non arcessitus, concupiscentis nomen induerem, quod quantum a meis moribus sit alienum, tute ipse pergnosti. Tunc autem per me non steterit quin Princeps et Riolus noster optatum ferant.... i (1) Niccolò Malpiglio, bolognese, era al presente occupato presso la curia pontificia. Per le sue relazioni col Panormita, vedi BAROZZI € SABBADINI, op. cit., p. 21. Cfr. FanTUZZI, Scrittori bolognesi, V, p. 145-147. (2) narrare cod. | (3) scilenlentium cod. | (4) certiorem om. cod. (5) Il Bracelli. | (6) Tommaso Parentucelli. |} (7) tabernare cod. (8) Giacomo Zilioli, consigliere del marchese di Ferrara. (9) Niccolò d'Este, marchese di Ferrara. 24 REMIGIO SABBADINI Postremo me igitur domino Meliaducio (1) glorio adolescenti fac etiam atque etiam deditum.... Rome quam raftim die celebrationis Sancte Lucie (30 dicembre 1427). Apud mensas: numularias Albertorum (2), ad quas tu deinceps dirigas epistolas quas ad me missuri estis; ego interea quid ex me velit Princeps illustris expectabo. XVII. Epist. Gall, )V, n. 15. Antonius Panormita Carolo Aretino (3) v. cl. s. p. d. Gaudentius Vanius (4), qui pariter ad te scribit et libelli sui quoddam quasi preludium mittit, a me pro egregiis virtutibus prolixe dili-. gitur: mira quidem hominis continentia, morum sobrietas et incredibilis ardor ad studia litterarum et bonas artes. Facit ac monumentis litterarum tradit quandam inter M. Tullium Ciceronem et M. Fabium Quintilianum comparationem.... (5). Vale decus nostrum et Nicolao Nicocli (6) et Ambrosio (7) monacho viris clarissimis ex me salutem plurimam dicas. Rome (primi mesi del 1428). XVIII. Epist. Gall., IV, n. 18. Antonius Panormita Nicocli (8) suo s. p. d. Johannes familiaris tuus et idem meus, vir modestus et prudens et in omni genere diligendus, cui id dederas negotii ut me tuis cum litteris conveniret Rome, inter ambulandum me offendit.... (Roma primi mesi del 1428). | XIX. . Epist. Gall., Il, n. 25. Antonius Panormita Bartholomeo pontifici s. p. d. Si vales bene est, ego valere opto. Factum est enim ut huius aeris (1) Figlio del marchese di Ferrara. Si cercava per lui un istitutore. (2) Abbacorum cod. (3) Carlo Marsuppini. | (4) Storpiatura di Laurentius Valla. (5) Questa primizia dell'originale e ardito umanista, dove Quintiliano veniva posto al di sopra di Cicerone, non ci è arrivata. Cfr. su di essa BAROZZI e SABBADINI, Op. cit., p. 54-55. (6) Storpiatura di Niccoli. | (7) Ambrogio Traversari. | (8) Niccoli. COME IL PANORMITA DIVENTÒ POETA AULICO 25 malignitate febribus et adversa valitudine corriperer, non quidem solus, sed sì quid ad solatium egrotantis attinet, cum decem ferme millibus hominum. Multi vitam efflarunt, quanquam ‘aiunt neminem peste aut malo morbo periisse; nos vero nunquam maiorem pestem.... (1) inspeximus quam Rome.... Interea vero siquid tua illa innata et predicata benignitas, siquid tua in me benivolentia astruxerit delegerit atque firmaverit, cum ob alias cavsas tum ob id maxime tibi gratias habiturus sum, quod ne denuo Romam revertar effeceris.... (Roma estate 1428). XX. Epist. Gall., IV, n. 25. Antonius Panormita Miniato (2) dulcissimo s. p. d. Ex litteris hisce tuis novissimis fateor egri plus quam voluptatis accepi, nec tantum quod febriculas passus sis, quam quod febriens Roma discessisti.... Ergoteles (3) noster meo imperio non quidem a fructu, ut tu scribis, sed a malis aut pomis abstinebit et pila item lusoria, donec ab egritudine revalescat.... | Cura igitur tuam valitudinem, que nostra est, et Antonium Pisciatinum nobilem negotiatorem ex me suaviter saluta et ex Ergotele.... Rome (estate 1428). XXI. C. Braccio, Giacomo Bracelli e l’umanesimo dei Liguri al suo tempo, Genova, 1891, p. IS. Lettera di Bartolomeo Della Capra a Filippo Maria Visconti nell’ occasione che costui celebrò le sue nozze con Maria di Savoia. Illustrissime princeps ac preclarissimie domine noster, Ad excellentie vestre conspectum veniunt generosi et egregii cives nostri dilectissimi dominus: Andreas Bartholomeus Imperialis doctor legum insignis, Isnardus de Goarco, Bartholomeus Iustinianus, Gaspar Marruffus, Dorinus de Grimaldis, Petrus Spinula quondam egregii Cipriani, sex legati nostri et cum. eis dilectus cancellarius noster Iacobus de Bracellis, ut leticiam huius civitatis ex tam alto connubio conceptam (1) E fu effettivamente epidemia di peste. (2) Miniato da Lucca, sul quale vedi Barozzi e SABBADINI, Op. cit., p. 4I. (3) Tommaso Tebaldi, soprannominato Ergotele, su cui dà ampie notizie L. Frati, in Archivio storico italiano, serie V, to. XLIII, 1909, p. 359-67. 26 REMIGIO SABBADINI adventu suo testentur et in his felicibus nuptiis celsitudini vestre congratulentur.... Data 1428, die XXV seft. Ib. ro. Il Bracelli scrivendo a Giovan Giacomo Ricci dice: Subibat animum meum memoria Zanini (1) ac domini abbatis fratrum quondam tuorum, quorum ut eximias virtutes ita divina ingenia admirari adeo solebamus, ut quos illis adequare possemus aut nulli aut perpauci admodum invenirentur. : XXII, Cod. Universitario di Padova 541, f. 137”. Bartholameus Senensis (2) Antonio Panormite. Non possum agendorum copia tecum esse longior; quare brevibus respondebo epistule tue. Neque opera neque solicitudine defui, quo pontifex meus amicis pro te scriberet; et quibus quove studio causam tuam susceperit, ex copia literarum quam iussit ad te mitti, cognosces. Dedisset pari modo literas Principi, nisi multas ad Franciscum et Alovisium putasset literas (3). Ego in hiis rebus et alii$ que tibi grata esse putabo tueque rei aliquo pacto conducent, tunc tibi deficiam cum mihi vita deficiet. Et utinam ita tibi voto tuo (4) succedant omnia, sicuti tibi libenter omnia curaturus sum, Salutes Henrici (5) et Hergotilis suavissime mihi fuerunt; ipsis meo nomine pares reddas. Et Jeronimum Forliviensem (6) si non nosti, notum et carissimum habere velis: est mihi loco fratris et neminem adhuc, Benedicto fratre (7) excepto, novi qui ita in amore respondeat; ex eius consuetudine magnam voluptatem capies. Genue 9 aprilis (1429). XXIII. Cod. Ambros. H 49 inf., f. 79 (= 4); cod. Universitario di Padova 541, f. 136 (= P); pubblicata parzialmente in Barozzi e SABBADINI, Op. cit., p. 4I. Francisco de Barbavariis et Alvisio de Crottis ducalibus secretariis parte (1) Per la morte di Zanino Ricci vedi sopra n. VIII. (2) Stava al servizio dell'arcivescovo Della Capra, allora governatore a Genova. (3) la lettera seguente. | (4) voto tuo] notule cod. (5) 11 Panormita nell'Epist. Gall., II, n. 21 lo chiama « magister Henricus ». (6) Era studente di legge a Pavia (Epist. Gall., III, n. 8). (7) Benedetto Folco da Forli, ambasciator ducale nel 1431, fratello del sunnominato Girolamo da Forlì (Epistol. Gall., ll, n. 14 e Osio, Documenti diplomatici, II, p. 431). — COME IL PANORMITA DIVENTÒ POETA AULICO 27 d. B(artholomei) archiepiscopi Mediolanensis ducalis gubernatoris Janue (1). Spectabiles amici carì (2). Nolim putetis me hoc scribere quod ocio abundem; nam his agendis sum positus ubi respirare non licet. Ceterum quia mihi quia vobis cure esse debet quemadmodum Princeps noster sempiternus fiat et immortalis (3), non inutiliter sumpsisse hoc temporis mihi videbor si efficere his literis vobiscum potero ut eius diuturna fiat (4) et eterna maiestas. Non enim vos (5) fugit, ut cetera quantuncunque maxima, ita regum et ducum aliorumque principum fama obscuratur et decidit, nisi sint qui eam carminibus (6) et expolita atque gravi oratione illustrent et eternam faciant. Eneas quia Virgilii ingenio et divinis illis carminibus lumen accepit (7), quasi viveret quottidie, “ volitat per ora virum ,; apud Ciceronem Achilles * fortunatus adulescens iudicatur quod suarum laudum predicatorem Homerum invenit,, (f. Arck. -24). Sic et multi “ quos numerare labor ,. Roma nostra omnium gentium domina, nisi scripta clarissimorum auctorum extarent, suis iustissimis laudibus fraudaretur et quemadmodum eius edificia cetera (8), que «duratura perpetuo videbantur, ita eius gloria prostrata sepultaque iaceret. Princeps noster eiusque maiores qui tot preclarissimas res gesserunt nominis immortalitate dignissimas, nisi in alicuius poete aut oratoris commendationes inciderint, quo pacto alio fieri possint (9) in memoria vivorum sempiterni (10) non video. Omnia caduca sunt et intereunt (11) omnia, nisi que literis mandantur et memorie. Florentini nuper in scriptis sua gesta redigi fecerunt sex libris distincta (12); Veneti etiam sua scripta componunt et carmina quo se ipsos et civitates suas immortalitati commendent. Et qui quidem quanto sua (13) facta extollent, tanto et veteres et novas actiones nostras obscurare conabuntur. Leonardus Aretinus habuit pridem funebrem orationem pro Johanne Stroza (14) equite flurentino, qua quantum Principi quantumque patrie nostre detrahat non ignorant qui legerunt. Quare, mi Francisce mi Alvisi(15), (1) Bartholomeus archiepiscopus mediolanensis Francisco et Aloisio ducalibus secretariis p. s. d. P. (2) Spectab-cari om. P. | (3) fiat imm-et semp-P | (4) fiat diuturna P. (5) nos P. | (6) carminibus suis P. | (7) acceperit P. | (8) cetera eius edif-P. (9) possit P. | (10) sempiterna P. | (rI) et transitoria sunt P. (12) Allude alle Historiae florentini populi di L. Bruni. Il 6 febbraio 1439 il Bruni donò alla Signoria i libri VII-IX delle Historiae ; « già sono più anni » aveva regalato i primi sei (E. SANTINI, L. Bruni Aretino e i suoi Hist. flor. pop. libri XII, in Annali d. r. Scuola norm. sup. di Pisa, XXII, p. 9). I primi sei furono copiati in un codice (BANDINI, Bibliot. Leop. Laur., I, c. 694) il 3I dicembre 1429; ma dalla lettera presente risulta che erano stati pubblicati qualche tempo prima. | (13) corum P. (14) Nanni Strozzi morì nel luglio 1426 (MuRatORI, R. I. S., XXIV, c. 185). L'orazione s'incontra spesso nei manoscritti, p. e. Vatic. 5108, f. 31. (15) Aloisi P. 28 REMIGIO SABBADINI - COME IL PANORMITA, ECC. quid hec importent, considerare et acri vestro ingenio examinare placeat. Mea nanque sententia esset, quando virum non haberemus qui ingenio et devotione et literis immortalitati Principis nostri, qui detractoribus (1) suis consulere et respondere posset, eum, etsi non mediocri at (a) maximo pretio, ex ultimis terrarum partibus redimeremus. Est Papie celeberrimus poeta et orator eloquentissimus, Antonius Panormita Siculus qui “ Theocriton antiquum renovat dulcedine vatem (3), quique is est qui Principem nostrum suis carminibus et exquisito atque optimo quodam dicendi genere inter ipsa astra collocare possit. Nec aliud quam ipsa pura devotio in patriam nostram poetam adduxit (4). Afficitur natura sua Principi, afficitur suorum memorie nec quicquam in vita videt (5), quam eum posse per otium et quietem suis laboribus suisque vigiliis illustrare. Neque enim eius carmina sunt aut eius dicendi modus talis habetur, qui possit una cum charta perire;. vivat sempiterno necesse est quem sui metri suavitas aut prosae orationis elegantia gravitasque tetigerit. Extant eius (6) versus quales Phoebus vix superare posset, extant eius orationes et epistule, que ad illorum antiquorum dignitatem omni ex parte accedunt. Vestre igitur partes esse debent apud Principem, ne (7) divinus homo e manibus effluat, ne deseratur qui vos simul cum Principe nostro divinitatis hoc est immortalitatis participes faciet. Credite mihi: “ fortunati ambo si quid carmina sua (8) possunt ,. Quid enim pulchrius quid homine dignius, quam afficere donis, ornare (9) virtutes? modo vestra opera ita sibi prospectum sit a(1o) Principe, ut in otio cum dignitate esse possit. Ipse Mecenates, et vos Marronem, habebit (11); Princeps vero et Virgilium, ut Eneas, et Ovidium ipsum inveniet (12), qui spiritu illo poetico hunc virum afflasse mihi videntur. Non itaque tantum munus divinitus ut puto oblatum e sinu vestro (13) labi sinatis; modica mercede Princeps (14) sempiternam immortalitatem et vos eternam vestri (15) nominis laudem redimere potestis. Ad quam facile Principem inducetis si, ut tenemini et consuevistis, pluris gloriam quam ceteras res mortales facietis. Ego vellem pro suis meritis vel solus posse succurrere; neque dubito subvenirem (16) eius virtutibus si mihi ut vobis(17) esset apud Principem subveniendi facultas. Hunc ergo colite hunc amate hunc strictissimis ulnis recipite in clientelam vestram: virum certe ut mea fert opinio subsidiis vestris (18) patrocinioque dignissimum (19). Ex Janua VIIII aprilis 1429 (20). (1) detractionibus P. | (2) ac A. (3) E’ un verso combinato di due guariniani; vedi Epistolario di Guarino. Veronese, n. 346. (4) adduxerit P. | (5) in vita tantum optare videtur P. | (6) poete P. (7) ne hic P. | (8) sua carmina P. | (9) premiis ornare P. (1o)ita sit prospectum a P. | (11)bhabebit et nos Maronem P. | (12)invenit A. (13) nostro P. | (14) princeps noster P. | (15) et eternam vestri P. (16) subvenire 4. | (17) ut vobis mihi P. | (18) nostris P. (19) dignissimum. Vallete P. | (20) La data manca in P. ca Di alcuni figli meno noti di Francesco I Sforza DUCA DI MILANO UO il tia: (1) abbiamo avuto modo di rilevare come il (xd N°, Litta nella sua genealogia degli Attendolo Sforza non SA | sia riuscito a ricordare tutta la prole numerosa di ==. Francesco I, duca di Milano, parecchi figli del ‘quale invero, anche perchè non lasciarono sensibile traccia nella storia, sfuggirono alle ricerche pazienti del celebre genealogista, le cui tavole riguardanti la casata sforzesca vanno quindi usate con molta prudenza. L’aggiungere qualche notizia ai cenni scarsi o meno esatti, che il Litta dedica a parecchi de’ figli dello Sforza ed il porgere il frutto di qualche indagine intorno a quelli da lui affatto ignorati ci è parso una modesta, ma non spregevole impresa per l’interesse vivissimo, che suscita tutto quanto si riallaccia alla figura del grande capitano. Con tale persuasione abbiamo raccolto ed ora verremo esponendo le notizie e le vicende di parecchi de’ figli meno noti di Francesco I Sforza, notizie che abbiamo tentato di sottrarre all'opera dissolvitrice del tempo nella fiducia di portare un tenue, ma non inutile contributo alla biografia dell’insigne condottiero, incuorati altresì dall’ autorevole invito, che anni sono Rodolfo Renier (2) rivolgeva ad Emilio Motta (3) di dare un elenco (1) Cfr. la nostra monografia intorno a Drusiana Sforza moglie di Jacope Piccinino in Miscellanea di studi storici in onore di A. Manno, Torino, 1912, JI, p. 163 e sg. (2) Cfr. RenIER R., Osservazioni sulla cronologia di un’opera del Cornazzano, in Giornale storico della letteratura italiana, 1891, vol. XVII, p. 142 e sg. alla p. 6, n. s$ dell’Estratto. L'amico e collega Motta gradisca i sensi della più viva gratitudine pel largo e cortese aiuto, che volle darci durante le nostre ricerche. . (3) Il Motta ne aveva espresso il proposito in quest'Arch., 1891, p. 275, 0. I. 30 ALESSANDRO GIULINI documentato de’ figlioli del primo duca della dinastia sforzesca « opera utilissima » intesa a rettificare ed a completare quanto gli storici (1) ed i genealogisti, non escluso il Litta, hanno detto in argomento. è ° * Vissuto in un epoca, nella quale la moralità era caduta tanto in basso, che ne riusciva profondamente turbato l’ assetto della famiglia, obbligato a condurre un’esistenza randagia, che continuamente esponeva il suo ardente temperamento ad ogni sorta d'’ insidie, Francesco Sforza pagò largamente il contributo all’ umana fragilità, come purtroppo molti de’ principi e de’ condottieri del suo tempo. E certo noi eviteremmo di sollevare il velo, che nasconde le miserie della vita intima di lui, se una troppo recisa affermazione del segretario e biografo suo, Giovanni Simonetta, non ci invitasse a ristabilire la verità. Il Simonetta nella Sforgiade, che il Litta (2) giustamente definisce « libro, che è ma- « nifesto argomento della devozione di Giovanni alla famiglia « Sforza », così si esprime ne’ riguardi del suo principe: « Mirum « dictum est quam abtineret illecebris humanisque voluptatibus « atque cupiditatibus » (3); giudizio che il Verri fece senz?’ altro suo dicendo che Francesco Sforza « malgrado la scostumatezza di que’ tempi..... fu sempre alieno dal disordine » (4). La numerosa | figliolanza illegittima di lui, per non parlar d’altro (5), sta a pro- (1) Il Cantù in quest Archivio, 1875, p. 179-80, n., volendo rettificare la genealogia sforzesca, attribuisce a Francesco I solo dieci figli illegittimi e fra questi erroneamente pone quel Mansueto, abate di S. Lorenzo in Cremona, che gli era invece forse fratello naturale. (2) Famiglie celebri ialiane, Simonetta, tav. II (3) R. I. S., XXI, 778. (4) Storia di Milano, Firenze, 1851, vol. II, p. 46. Il Giulini invece nelle sue Memorie spettanti ecc., 2.» ediz., vol. VI, p. 565 è d'avviso perfettamente opposto e ricorda, a finan la numerosa prole illegittima dello Sforza e quanto in merito alla causa della morte di lui asserisce il Da Soldo. (5) La delicatezza dell'argomento ci sconsiglia dal riportare tutta la bibliografia, che serve a confermare il severo giudizio sulla vita intima di Francesco I; nè l'episodio riferito dal SIMONETTA, op. cit., 69-70 e riportato poi dal MESSIA, Nuova seconda selva ccc., Venetia, 1565, XXV, 40 e dal CamrigLIo, Storia di Milano, Milano, 1831, vol. IV, p. 152 basta di certo a giustificare l'’erroneo giudizio sulla costumatezza dello Sforza. — DI ALCUNI FIGLI MENO NOTI DI FRANCESCO I SFORZA ZI vare con tutta l’eloquenza dei fatti la falsità dell’affermazione degli altrì autori sunnominati, che, se non sorprende nel Simonetta, storico aulico, non altrettanto ci fa pensare del Verri, il quale nella prefazione alla Storia ds Milano (1) assicura i lettori suoi di non « trascrìvere i giudizî già pronunciati » intorno ai principi, che signoreggiarono sulla nostra patria e che egli si propone di rappresentare con colori diversi dagli usati finora. Della numerosa prole spuria dello Sforza, che trova solo un raffronto in quella di Bernabò Visconti e di Nicolò III d’Este, noi verremo adunque particolarmente trattando, omettendo di portare il nostro esame intorno ai più noti figli legittimi, che lasciarono traccia profonda di sè nella storia e che ci dispensano quindi da ogni pur fugace accenno alle loro vicende. Francesco Sforza procreò ben trentacinque figliuoli (2); dalla prima consorte, Polissena Ruffo di Calabria, sposata nel 1418, ebbe una sola figlia di nome pure Polissena, morta nel 1420; la terza (3), Bianca Maria Visconti, lo rese padre di dieci, mentre i rimanenti ventidue illegittimi nacquero all’insigne condottiero da varie donne. ‘Tra queste prediletta fu quella Giovanna detta « Colombina » (4), donna oscura d’Acquapendente, il solitario ed inospite castello sforzesco del Reame, la quale, al dire dell’Anonimo Veneziano, lo Sforza « apreciava molto » (5) e che gli diede cinque figli: Polissena e Sforza, morti in tenera età, altra Polissena, Drusiana e Sforza Secondo. l PoLIissENA, nata nel 1428, fu concessa nel 1442 (6) in moglie a (3) Vol. I, p. 7. (2) Della numerosa prole illegittima dello Sforza è pure fatta menzione in una nota sincrona riportata dal CANETTA, Elenco storico biografico dei benefattori delPOspedale Maggiore di Milano, Milano, 1887, p. 178. (3) Nel 1424 aveva sposato una figlia di Giacomo Caldora, ma il matrimonio venne sciolto l’ anno susseguente da papa Martino V. Cfr. RusierIi, Francesco Sforza, Firenze, 1779, vol. I, p. s1. (4) Cfr. la nostra Drusiana Sforza ecc., p. 164, n. 3. (5) Archivio delle provincie napoletane, a. XVI (1891), p. 174 e sg. (6) L’atto di promessa porta la data del 26 luglio; cir. ASM, Potenze Sovrane, Polissena Sforza, e non del settembre 1441, come vorrebbe la Cronica di 32 ALESSANDRO GIULINI Sigismondo Malatesta, signore di Rimini, il ribelle e feroce suddito della Chiesa, che sette anni dopo faceva strangolare la consorte per « torre per mogliera la Isotta sua femina » (1), se pure non si vuol prestar fede allo storico fanese Nolfi, che vorrebbe invece Polissena morta di peste nelle braccia della cognata Margherita d’Este (2). Drusiana, venuta alla luce il 30 settembre 1437 in Artalto, poco più che decenne serviva al padre suo per stringere uno di que’ parentadi, che formavano tanta parte della sua politica ed erano le fila, colle quali egli sapeva legare a sè gli amici e trasformare in docili strumenti gli avversari. Il 29 dicembre 1447 la prometteva egli in isposa, con dote di diecimila ducati d’oro, a Giano Fregoso, doge di Genova, e con bolla del 1° novembre dell’anno successivo Drusiana, colla sorella Polissena e col fratello. Sforza Secondo, veniva legittimata. Ma poco dopo, il 16 dicembre, il Fregoso moriva e la giovinetta Drusiana restava vedova prima ancora d’ascendere al talamo. Francesco Sforza pensò allora di legare alla sua causa Jacopo Piccinino fidanzandolo a Drusiana e prendendolo al suo soldo: gli sponsali furono celebrati con solennità in Pavia durante il carnevale del 1449. Dopo la rotta di Monza il parentado veniva rotto ed il Piccinino chiedeva, ma non otteneva, dal pontefice lo scioglimento della promessa nuziale ; più tardi lo stesso Sforza domandava al papa la rottura del fidanzamento, ma nel 1459 il duca di Milano si mostrava disposto a concedere di nuovo la Drusiana al Piccinino, qualora il re di Napoli avesse dato a quest’ultimo uno stato nel Reame. Nel 1463, essendo. il Piccinino passato al soldo dei duca d'Angiò e divenuto padrone di Sulmona, di quasi tutta la provincia di Chieti e del Molise, il duca tornava ad offrirgli in moglie la Drusiana ed il Piccinino, desideroso di riconciliarsi stabilmente con lui, nell’ estate del’ 1464 ‘Rimini, in R. 1. S., XV. Le nozze furono celebrate il 29 aprile taz e la dote fu di quindicimila ducati d’oro oltre il corredo. (1) Cfr. Fumi L., L'atteggiamento di Francesco Sforza contro Sigismondo Malatesta con particolari sulla morte violenta della figlia Polissena, in quest'Archivio, 1913, p. 58 e sg. di (2) Cf. Soranzo G., Due delitti attribuiti a Sigismondo Malatesta e una falsa cronichetta riminese, in Atti del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, 1914-15, LXXIV, parte 2.3 È DI ALCUNI FIGLI MENO NOTI DI FRANCESCO I SFORZA 33 s'incamminava verso Milano, ove il 12 agosto era accolto come un trionfatore. Drusiana, ormai ventisettenne, da Jacopo Piccinino Visconti d'Aragona, principe di Sulmona e capitano generale del Regno, veniva il giorno dopo condotta all’altare « parce et sine s pompa », dice il Simonetta, in causa del lutto della corte sforzesca per la recente morte di Cosimo de’ Medici. La dote era di trentacinquemila ducati d’oro oltre un ricchissimo corredo (1). Ritornato il Piccinino nelle sue terre del Reame, il 29 maggio 1465 Drusiana si metteva in viaggio per raggiungere il consorte, ma a Francavilla riceveva la notizia che questi era stato imprigionato per ordine del re di Napoli: si portava quindi a Teramo e di poi a Pesaro presso lo zio Alessandro Sforza'in attesa di sgravarsi. Il 27 luglio infatti metteva alla luce un bambino, al quale veniva imposto il nome di Giacomo Nicolò Galeazzo. Malgrado il Pic- «‘cinino sino dal luglio avesse lasciato la vita nelle carceri di Napoli fu solo al suo ritorno alla casa paterna, ai primi di novembre, che Drusiana apprese la terribile nuova. Per qualche anno non abbiamo più notizie di lei: solo nel luglio del 1468 la troviamo tra le dame intervenute alle feste per le nozze di Galeazzo Maria con Bona di Savoia. Morta la duchessa Bianca Maria, che sempre l’aveva circondata d’affetto e di cure materne, Drusiana si ritirava nel convento di S. Agostino resistendo al fratello Galeazzo Maria, il quale, per ragioni d’indole politica, la voleva far sposa di Spinetta Malaspina, marchese di Verrucula, che certo non doveva essere un’ideale di marito (2): ma, facendosi sempre più pressanti le insistenze del duca, essa nel 1469 se ne fuggì con una serie di romantiche avventure-(3) a Trezzo e di là a Bergamo unitamente alla figliastra Gabriella Piccinino (4), mentre le veniva confiscata la sua tenuta di Moirago. Alla fuggitiva venivano così a —_— & (3) Cfr. la descrizione del medesimo in appendice alla nostra monografia intorno a Drusiana Sforza ecc. (2) .Cfr. la nostra monografia intorno a Polidoro Sforza in quest’ Archivio, 1914, p. 262, n. 1. . .(3) Cfr. Drusiana Sforza, già cit. . (4). Per le vicende di Gabriella,, stata poi affidata ad Antonia Sforza dal Verme, cfr. Drusiana Sforza ecc. In una lettera del 22 marzo 1469 diretta al duca è detto che « la disgraziata zovene se ne sta in grande tristeza e amaritudine p. Cfr. ASM, Potenze Sovrane, busta 816. 34 ALESSANDRO GIULINI mancare i mezzi per condurre un’ esistenza circondata dal decoro necessario per una dama della corte sforzesca, e, malgrado le replicate suppliche dirette al fratello Galeazzo Maria, la confisca fu da questi sempre mantenuta. Trasferitasi a Padova, moriva improvvisamente il 29 giugno 1474 e così la povera Drusiana, vedova ancor prima d’essere madre, chiudeva i giorni suoi in terra d’esilio lungi dalla sua Milano, dove aveva trascorsi gli anni della prima giovinezza fra gli splendori della casa paterna, ormai fune- | stata dal regime tirannico del fratello Galeazzo Maria, dove aveva conosciuto ed amato il valoroso condottiero a lei strappato dalle esigenze brutali d’una politica crudele e spietata. La scarsa eredità sua (giacchè negli ultimi anni, trascorsi fra le angustie e le strettezze della povertà, aveva dovuto mettere a pegno persino gli oggetti preziosi del ricco suo corredo nuziale) fu raccolta dal fratello Sforza Secondo, conte di Borgonovo, unico superstite ormai dei figli del duca Francesco e di Madonna Giovanna detta Colombina. SFORZA, chiamato Seconpo (1) per distinguerlo dal fratello dello stesso nome morto in tenera età, era nato il 24 agosto 1433 a Grotta. mare nelle Marche. Nel 1442 veniva promesso quale sposo a Maria d’Aragona, primogenita del re di Sicilia, che aveva appena varcato il secondo lustro (2): l’ unione non ebbe effetto e nel 1451 egli impalmò invece Antonia dal Verme, nata da Luigi, conte di Bobbio, uno de’ capitani più celebrati del suo tempo, e da Luchina, figlia del Carmagnola, con dote di diecimila ducati (3): queste nozze, per le quali il Filelfo compose un poemetto (4), erano state combinate da Luigi dal Verme nel 1448, quando, abbandonato lo stipendio. de’ milanesi, s'avvicinò allo Sforza (5). Di carattere instabile e fa- (1) A torto il Cantù in quest'Archivio, 1875, p. 179, n., dice che il Litta non fa cenno di Sforza Secondo « che pur doveva essere d'importanza »; l'insigne genealogista lo registra invece alla tav. 1 e IV: nell'ultima di queste anzi parla difusamente della linea de’ conti di Borgonovo, che da Sforza Secondo trae origine. (2) Cfr. Osto L., Documenti diplomatici tratti dagli archivi milanesi, Milano, 1872, vol. III, p. 272-75, e quest Archivio, 1884, p. 78. (3) Il duca Francesco ne dichiarava ricevuta a Luchina dal Verme, madre della sposa, il 27 settembre 1451. Cfr. ASM, Potenze Sovrane, Sforza Secondo. (4) Cf. Rosmini, Vita del Filelfo, vol. II, p. 99, n. (5) Cfr. Lrrra, op. cit, Dal Verme, tav. II. Nella Cronica di Anonimo Veronese (1446-1488), edita da G. Soranzo, Venezia, 1915, p. 13 si legge: DI ALCUNI FIGLI MENO NOTI DI FRANCESCO I SFORZA 35 cinoroso Sforza Secondo attraversò molte peripezie : nel 1461 cercò d’'ingannare il padre, deciso sostenitore dell’Aragonese, dando Tortona ed altre terre a Giovanni d’Angiò, che muoveva alla conquista del reame di Napoli (1) ed allorchè nell’agosto il duca Francesco s'ammalò gravemente e si sparse nel Piacentino la voce che egli era morto, scoppiò una rivolta, che fu soffocata nel sangue e che si ripetè nel gennaio dell’anno seguente capitanata dal conte Onofrio Anguissola, coadiuvato da Sforza Secondo e dal condottiero ducale Tiberto Brandolino; Sforza fu tratto in arresto nella rocchetta di porta Romana, e, per le preghiere della moglie, ebbe salva la vita, mentre l’Anguissola ed il Brandolino la perdettero, e fu solo dopo tre anni messo in libertà (2). Ne’ primi del 1467 entrava egli al soldo de’ veneziani (3) e Francesco Maletta avvertiva il duca Galeazzo Maria che Sforza era fuggito da Lodi, dove risiedeva da parecchio tempo e con seguito di cavalieri, balestrieri e fanti s'era portato a Crema, ove « se trova anchora la femena « sua col figliolo » (4). L’Anonimo Veronese (5) dice in proposito che Sforza, dubitando del fratello duca, nel febbraio si portava a Malpaga « a trovare el capitano Bartholomeo Coglione, dove fu « assoldato con cavalli CCCCCC » (6). Qualche tempo dopo la moglie di lui, Antonia dal Verme, d’ ordine del duca veniva tradotta a Milano ed essendo esso cagionevole di salute la duchessa « .... la donna, che fu del Alvixi Dal Verme, li offerse sue terre et denari, « che si stimava de molti ne havesse, et sua figliola per donna a Sforzino, di « Francesco figliolo, che l’acetò poi ». (1) Cfr. Cronica di Anonimo Veronese cit., p. 243. (2) Cfr. quest’ Archivio, 1892, p. 881. Nel settembre del 1462 Sforza Secondo, imprigionato nella rocchetta, s'era gravemente ammalato ed in preda al delirio « come pazo ed insensato se agitava fuori del letto » così che la moglie si rivolgeva per farlo togliere dal carcere a Bianca Maria, la quale otteneva dal duca qualche mitigamento nella pena. Cfr. ASM, Potenze Sovrane, busta 816, lett. 9 e 16 settembre. (3) Cfr. Cerri L., / conti Sforza e il feudo di Borgonovo, in Archivio storico per le province parmensi, n. s. XV, 1915, p. 123 e sg. (4) ASM, loc. cit., lett. 27,:28 e 29 gennaio 1467 da Lodi. (5) Cronica di Anonimo Veronese, p. 243 (6) Pure lo Srino, Vita di Bartolomeo Colleoni, Venezia, 1569, p. 206, dice che Sforza Secondo « disdegnando l’imperio di Galeazzo il fratello » passò coll’insigne condottiero bergamasco. 36 . ALESSANDRO GIULINI inviava alla sventurata cognata la sua carretta pel trasporto (1). Malgrado ciò, Sforza si lamentava col fratello che volesse spogliare la moglie del possesso di Borgonovo, che era stato concésso in garanzia della sua dote e diceva come avesse dovuto uscire dai domini ducali « per paura che la vita sua como già a tuta Italia « è noto », come i legami di sangue « et la grandezza del nome « del comun padre » gli procurassero, anzi che i favori del fratello duca « perpetuo carcere o morte », come infine gli venisse da lui. contesa l’ eredità paterna e concludeva invitandolo a far « cosa digna da principe a rendergli la donna sua, la dote sua » (2). E si rivolgeva pure alla duchessa Bianca Maria, della quale si affermava figlio « de amore et reverentia » pregandola d’ impedire che gli venisse fatto soffrire « quello che ad uno rubello o turcho « non se faria » (3). Verso la fine di quell’anno Sforza, lasciato il campo de’ veneziani, ritornava nelle grazie del duca, che lo riammetteva nel possesso di Borgonovo e si proponeva d’assegnarli trecento fiorini mensili di provvisione, di pensare al mantenimento ed all’equipaggiamento de’ suoi uomini d’arme, del suo seguito e di provvederlo in seguito d’una condotta presso di sè, del re di Napoli o de’ fiorentini (4). Il 1° gennaio 1468 lo investiva infatti del feudo di Borgonovo eretto in contea (5), ma non pare che venissero a cessare per questo le strettezze economiche, che travagliavano l’avventurosa e disordinata esistenza sua, poichè un anno dopo (6) così scriveva al duca: « la candella de Sforza ha za con- « sumato el mezo del verde e pocho lume mi resta ». Nel 1472 però era destinato a comandare un colonnello del primo corpo dell’esercito ducale, che Galeazzo Maria Sforza intendeva d’adunare (1) Cfr. CERRI, op. e loc. cit. (2) ASM, loc. cit., lett. 22 marzo 1467 da Orzinovi. (3) ASM, loc. cit., lett. 22 marzo pure da Orzinovi. Alla duchessa Bianca Maria egli doveva essere gratissimo; fu in particolar modo pel suo efficace intervento che nel 1461 ebbe salva la vita. L'Anonimo Veronese, più volte citato, così si esprime in proposito: «et si non fosse donna Bianca duchessa [il duca] « l'averia fatto impiccare » (p. 243). (4) Ivi, nota del 15 ottobre. (5) Ciò in seguito a rinuncia fattane ‘da Sforza Maria, duca di Bari, che ne era stato investito il 27 gennaio 2467. Cfr. ASM., Reg. duc. FF., f. 263. Nel 1486. venîva pure investito di Monte Ponzone: cfe. ivi, Reg. duc. 55, a (6) Ivi, lett. 15 gennaio 1469 da Milano. | sai DI ALCUNI FIGLI MENO NOTI DÌ FRANCESCO I SFORZA 37 al confine veneto coll’obbiettivo d’assalire la Serenissima, progetto bellicoso, che non fu poi tradotto in atto (1) e quindi nel 1472 lo troviamo chiamato all’ ufficio d’ammiraglio della flotta ducale « ducalìis classis maritime capitaneus generalis » (2); in una lettera diretta da Borgonovo (3) al duca certo Mattia, probabilmente altro de’ famigliari di Sforza, diceva d’essersi portato a Genova unitamente a quest’ultimo per ispezionare « l’ armata et l’ esercito ma- « ritimo » che « farà tremare el mare e la terra a solis usque ad « occasum », d’aver visto a Savona le ventisei nuove galee ducali e d’aver percorso la riviera di ponente: quella di levante veniva invece visitata da Sforza in compagnia di Giovanni da Melzo (4) « dignissimo zentilhomo et partisano dicatissimo » del duca. E proprio pochi anni dopo, nel 1478, Sforza Secondo aveva l’incarico di ricondurre all’ubbidienza Genova ribellatasi al governo ducale, ma l’impresa sua non sortiva esito felice, mentre nel 1483, messo a capo dell’esercito sforzesco inviato nel Parmigiano per domare la rivolta dei Rossi di S. Secondo, raggiungeva pienamente lo scopo e nell’anno susseguente veniva creato luogotenente generale nel Piacentino coll’ufficio di reprimervi l’insolenza dei feudatarî. Ritiratosi poi nel suo dominio di Borgonovo venne a morte sulla fine del 1492 o negli inizi del 1493 (5) lasciando vari figli naturali (6), essendogli premorta in giovane età l’unica figlia legittima Giovanna, nata da Antonia dal Verme. Sforza Secondo non ebbe doti militari perspicue, tanto che il Litta, parlando della sfortunata sua spedizione contro Genova, diceva che « del nome in fuora (1) Cfr. quest'Archivio, 1876, p. 453. (2) ASM, loc. cit., lett. 11 gennaio di Sforza a Cicco Simonetta da Piacenza ed altra del 21 dello stesso mese al duca. (3) Ivi, lettera 7 febbraio. (4) Senatore e consigliere ducale, personaggio di solide virtù, ricchissimo di censo ed amantissimo della patria. Ebbe posizione notevole durante il periodo della Repubblica Ambrosiana. Cfr. ArGELATI, Bibliot. Script. Mediol., vol. II, p. 919 e Famiglie notabili milanesi, Meli, tav. 1. (5) II Bosso nella sua Cronica dà il 24 dicembre 1461 come data della morte. (6) Essi sono: Francesco, nato da Margherita Borri; Giacometto, Leone e Lucrezia da .una Maria ; Giovanna da una Polissena e Drusiana da una Maddalena. Cfr. CERRI, Op. e loc. cit. Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc I-II. 3 38 ALESSANDRO GIULINI « non aveva dell’avo le qualità ». A lui l’umanista piacentino Antonio Cornazzano dedicava in nuova lezione la graziosa ed importante operetta sull’arte delle danze scritta per l’ alunna sua Ippolita Sforza (1). . os * Altro spirito torbido fu Sforza MARIA, che il Litta dice nato nel 1449 e quindi quartogenito tra i figli legittimi di Francesco Sforza, mentre il Giulini (2) lo registra come secondogenito ed il Corio (3) quale terzogenito. I documenti d’archivio non ci consentono di dare l’anno preciso della sua nascita. Ai primi d'aprile del 1445 il re di Napoli, entrato nella lega italiana, per rafforzare i trattati conchiudeva con casa Sforza due matrimonî: l’ uno tra Ippolita, figlia del duca di Milano, ed Alfonso, figlio del duca di Calabria; l’altro tra Sforza Maria ed Eleonora d’Aragona, sorella del predetto Alfonso, bambina che raggiungeva appena il lustro (4), destinata invece a portare poi il fiore della coltura napoletana alla corte di Ferrara coll’unione sua con Ercole I d’Este ed a procreare la « generosa erculea prole », dalla quale uscir doveva quell’altra Eleonora, ispiratrice al Tasso delle liriche più ispirate (5). Nel 1464,. con privilegio del 9 settembre, veniva investito del ducato di Bari il futuro genero del re di Napoli, che un anno dopo, unitamente al fratello Filippo Maria, muoveva da Milano con gran seguito per accompagnare a marito la sorella Ippolita. Giunto alla corte aragonese, Sforza Maria, garzone sedicenne prestante della persona, ispirava vivo amore alla giovinetta Eleonora (6), colla quale cele- (1) Cfr. Mazzi C., Il « Libro dell’arte di danzare » di Antonio Cornazzano, in Bibliofilia, XVIII, I e Silvestri M. A., Appunti di cronologia cornazzaniana, in Bibl. stor. piacentina, V, p. 146. (2) Memorie spettanti ecc., 2. edizione, vol. VI, p. 509. (3) Storia di Milano, vol. III, p. 211. (4) Cfr. CanetTA C., Le sponsalie di casa Sforza con casa d'Aragona, in quest Archivio, 1882, p. 136 e sg., e FERORELLI N., // ducato di Bari sotto Sforza Maria Sforza e Lodovoco îl Moro, pure in quest’Archivio, 1914, p. 390-91. La dote fissata era di quarantamila ducati. (5) Cfr. OLivi L., Delle nozze di Ercole d’Este con Eleonora d'Aragona, in Memorie della R. Accademia di scienze e lettere di Modena, to. V, serie Il. (6) Cfr. FERORELLI N., op. cit., p. 426 e pure quest'Archivio, 1915, p. 514. E' proprio Sforza Maria il destinatario della fettera amorosa di Nicolosa, in data DI ALCUNI FIGLI MENO NOTI DI FRANCESCO I SFORZA 39 brava gli sponsali: il matrimonio doveva essere perfezionato più tardi a Milano, ove nel dicembre incominciarono le trattative pei festeggiamenti, che in tale occasione dovevano aver luogo. Si decise d’attendere l’anno nuovo, ma, da prima la morte di Francesco |, le esigenze poi della politica del nuovo duca, che voleva amicarsi Ercole d’Este (1), resero impossibile l’avvenimento, malgrado Galeazzo Maria nel 1468, in adempimento de’ capitoli matrimoniali conclusi dal padre nel 1457, concedesse in feudo al fratello la città di Tortona (2). D'accordo col re di Napoli furono avviate pratiche per ottenere dal papa l’annullamento delle nozze, ma per ciò occorreva il consenso degli sposi. Per Eleonora si mise innanzi che essa aveva acconsentito all’ unione non liberamente, ma per ubbidire al padre (3): per Sforza Maria la concessione dell’assenso fu assai meno facile e solo il 12 ottobre 1472 egli ebbe a prestarlo, così che in base ad esso il 15 del detto mese fu emessa la bolla papale d’annullamento del matrimonio. Relegato in Francia con Lodovico il Moro per volere del fratello duca, dopo la morte di questi fece subito ritorno a Milano colla speranza d’ assumere la direzione degli affari del ducato unitamente ai fratelli, ma, delusi 12 ottobre 1457, conservata tra gli autografi della Trivulziana e da lady Morgan, in L’Italie, Bruxelles, 1821, vol. I, p. 197 definita « une lettre.... vrai modèle de « style passioné de ce temps »? Non inclineremmo a crederlo, data l'età quasi infantile di Sforza. E neppure siamo d'avviso che l’autrice della lettera, ora ricordata, possa essere Nicolosa Castellani, moglie del potente signore bolognese Nicolò Sanuti, conte della Porretta, che Sabbadino degli Arienti nelle sue « Porettane » chiama « donna bellissima, grat'iosa, venusta », i cui rapporti con Sante Bentivoglio, signore di Bologna, sembrerebbero pure escludere la relazione collo Sforza. Cfr. per Nicolosa Sanuti: CorneLLi G. B., Di Nicolò Sanuti primo conte della Poretta, in Atti e Memorie della R. Deputazione di storia patria fer le provincie di Remagna, serie III, XVII (1889), p. 10x e sg., e Giornale storico della letteratura italiana, XXVI, p. 333 e 339. Crediamo piuttosto, anche pel contesto della lettera, che si tratti della nutrice o di un’aia di Sforza Maria. (1) Cfr. RATTI, Famiglia Sforza, vol. I, p. 98 e sg., e MuRrATORI, Antichità Estensi, vol. Il, p. 231. (2) Ir ASM, Potenze Sovrane, Modena stanno istruzioni del 16 agosto 1468 a Sforza Maria, conte di Valenza, che era stato inviato alla corte estense. Qualche tempo prima, il 19 giugno, questi scriveva alla duchessa Bianca Maria: « il re ds le contentissimo de darme la Ill.» Madona Elionora si che io pur spero « che le cose passeranno benissimo ». Quale illusione 1 Cfr. ASM, Potenze Sovrane, Sforza Maria. (3) Cfr. Piena, De principibus Atestinis historia, Ferrariae, 1585, p. 652. 40 ALESSANDRO GIULINI nelle loro aspirazioni, Sforza Maria, Lodovico ed Ottaviano congiurarono contro la duchessa reggente insieme a Roberto Sanseverino e ad lbleto Fieschi. Sono note la cattura e le rivelazioni di Donato Del Conte, avvenute il 25 maggio 1447, le vicende della congiura subito domata, la fuga del Sanseverino, del Fieschi, dei fratelli Sforza e la fine lagrimevole del giovane Ottaviano (1). Confinato nel suo ducato di Bari, Sforza Maria attese il momento propizio per riunirsi al Sanseverino, che, ritornato dalla Francia, aveva sollevato e poi perduta Genova ; lo raggiunse (2) sulla riviera dì levante, ove divampò la guerra civile in sul principio del 1479, giungendo a Spezia con quattro galee di re Ferdinando il 4 febbraio (3); ma in Varese Ligure veniva a morte, appena trentenne, il 28 luglio di quello stesso anno con sospetto di veleno (4). | Se Sforza Maria, che il Filelfo indicava rispetto ai fratelli suoi « dignitate praestans » (5) per l’ascendente, che esercitava su di essi, era giunto a dominare Lodovico Maria ed il giovinetto OTTAVIANO, miseramente perito nei gorghi dell’Adda (6), non altret- . (# Cfr. Rosmini C., Vita di G. G. Trivulzio, Milano, 1815, vol. II, p. 16-19 e 20-24. Per notizie sulla congiura cfr. oltre ASM, Sezione Storica, miscellanea, busta 44 e Potenze Sovrane, Gian Galeazzo Maria, anche quest’ Archivio, 1886, p. 764 e 1912, p. 420-21. (a) Il 15 gennaio Sforza Maria scriveva da Bari al marchese di Mantova ed il 12 dello stesso mese alla duchessa Bona giustificandosi di non essere uscito dai confini assegnatigli ed annunciando loro d'essere risoluto a liberare la duchessa ed il figlio dall’oppressione di chi s’ arrogava la somma delle cose. Cfr. ASM, Potenze Sovrane, Sforza Maria. (3) Cfr. ASM, Potenze Estere, Genova, 1479. ... (4) In una lettera ducale del 29 agosto in ASM, Carteggio generale, busta 136, si parla di catarro ed è detto: « Li faremo fare uno -septimo honorevole «. et pregare Dio li perdoni como ancora noi li havemo perdonato ». Pei particolari del decesso cfr. PasoLini P. D., Caterina Sforza, Roma, 1893, vol. III, p. 67, e la lettera del canonico veronese don Celso Maffei pubblicata dal Luzio, Lodovico il Moro e Bona di Savoia in Corriere della Sera, 23 agosto 1913, nella quale è detto il duca di Bari essere stato « veneno horridissime interempto ». Il GIULINI, Memorie spettanti ecc., 2.° ediz., vol. VI, p. 635-36 dice pure che la morte di Sforza Maria «e altri attribuiscono alla soverchia grossezza del corpo, altri a veleno ». (5) Biblioteca Trivulziana, codice n. 873. Di Sforza Maria fa ‘pure cenno l’ARGELATI, Bibl. Script. Mediol., II, 1389. (6) Ottaviano, nato a’ primi di maggio del 1458: cfr. ASM, Potenze Sovrane, Ottaviano Sforza, delegaz. 21 aprile 1458 in Guarnerio Castiglioni pel battesimo > Potenze Estere, Mantova, lett. 4 maggio della marchesa di Mantova e Missive, reg. 37, fol. 244. Nel 1466 ebbe .in feudo la pieve d’Incino, Reg. Duc. BB = DI ALCUNI FIGLI MENO NOTI DI FRANCESCO I SFORZA 41 tanto eragli riuscito per Ascanio e sopratutto per Firippo MARIA, nato in Pavia il 22 dicembre -1448, uomo dall’indole tranquilla (1) e dedito allo studio, che il poeta ed erudito Giorgio Valagussa aveva educato all'amore per le lettere e del quale 1’ Argelati (2) ricorda alcune composizioni poetiche conservate nell’Ambrosiana. Filippo Maria anzi, secondo quanto lasciò scritto Donato Bosso, oltre adoperarsi per riconciliare i fratelli rivoltosi colla cognata, si ritirò addirittura in castello colla duchessa Bona e col piccolo duca (3). I documenti del nostro archivio di Stato consentono di considerarlo sotto il particolare rispetto delle vicende matrimoniali, alle quali dovette acconciarsi per le esigenze inesorabili della politica paterna (4). Nel 1454 venivano stabiliti gli sponsali tra Filippo Maria e Maria, figlia legittima del duca di Savoia, con istrumento del 13 settembre, rogato dal notaio Giacomo Perego; in detto atto si fissava la dote in centomila scudi d’oro ed il duca dî Milano s’impegnava, a matrimonio avvenuto, di creare il figlio Filippo Maria conte di Pavia e di Tortona, facendolo così capostipite d’una linea cadetta della famiglia ducale con sovranità ed eventuale successione nel ducato, Gli sposi erano ancora bambini e solo dopo un anno i rapporti fra le due case principesche s’erano raffredati tanto che si poteva parlare d’una eventuale unione di Filippo con Eleonora d’Aragona, già promessa al fratello Sforza Maria. Nel 1461 tutto doveva essere rotto, giacchè Francesco Sforza non si mostrava fol. 102, e più tardi Lugano. Nel 1474 con istrumento del 28 ottobre, rogato dat notaio Giosafatte Corbetta, delegava il suo cancelliere Francesco Visconti, segretario ducale, a prendere il possesso della terra di Sale. Scoperta la congiura, alla quale aveva partecipato, Ottaviano se ne fuggi da Milano, e, giunto a Spino, nel passare l’Adda affogò, da alcuni si crede ucciso per ordine della Reggenza, dice il LirtA, op. cit., Attendolo Sforza, tav. V, mentre la duchessa Bona, parlando della morte del giovane cognato, scriveva d’aver sofferto molto « quanto « per averlo alevato insino da puto lo amavamo come proprio fiolo ». Cfr. RoSMINI, Op. cit., p. 19. (1) Marin Sanudo in un suo curioso ms. dal titolo: Parentadi de Italia, conservato nella Marciana e che si può assegnare al 1497, dice che Filippo Maria « fo huomo assai corpulento », il che spiega in parte la sua indole pacifica. Cfr. il nostro appunto in quest'Archivio, 1915, p. 528. | (2) Op. cit., vol. II, 1388-89. (3) Cfr. Giutini, Memorie spettanti ecc., ediz. cit., vol. cit., p. 627. (4) Cfr. il nostro lavoro su Filippo Maria Sforza in quest'Archivio, 1913, p. 376 e sg. 42 ALESSANDRO GIULINI alieno dall’unire Filippo Maria ad Anna d’Orléans, ma anche questo disegno svanì. Nel 1465 Filippo Maria accompagna con Sforza la sorella Ippolita a Napoli, ma egli rimane nella penombra cedendo il posto al minore fratello. Amante del quieto vivere (1) Înon venne bandito, come Sforza e Lodovico, da Galeazzo Maria e nel 1479 non partecipa, come abbiamo visto, alla rivolta contro la reggente Bona di Savoia. Quest'ultima anzi nell’anno susseguente s’affacendava per combinare un matrimonio tra il cognato e Gabriella di Borbone, figlia del conte di Montpensier: trattative, che pyire ebbero esito negativo, mentre in un atto notarile del 4 aprile 1482, rogato da Giosafatte Corbetta, si fa cenno di Giovanna Sanseverino, sorella del principe di Taranto, come consorte di Filippo Maria Sforza (2). Pochi mesi dopo, il 29 agosto, ottenuta la necessaria dispensa pontificia, quest’ ultimo impalmava la cugina Costanza Sforza, figlia di Bosio, conte di S. Fiora, e di Criseide di Capua con dote di tremila ducati, come da istrumento del 15 ottobre dello stesso anno a rogito dei notai Gio. Antonio da Cairate e Luigi de’ Sachi. Questa unione fu di breve durata, poichè Filippo Maria moriva il 1° ottobre 1492 in Milano in parrocchia di S. Nicolao « intus » (3) e veniva sepolto nella cappella dello Spirito Santo nella chiesa di S. Maria degli Angeli. Nel suo testamento chiamava erede generale il fratello Lodovico Maria, duca di Bari, lasciando (1) Malgrado ciò, nel 1470 dal duca Galeazzo Maria era stato confinato nella rocca di Melegnano, dalla quale il 18 settembre di quell’anno scriveva al crudele fratello, chiedendo venia @ per li molti excessi ». Cfr. ASM, Carteggio, ad a. (2) Cfr. quest'Archivio, 1915, p. 528. (3) Nel 1477 Lodovico Gonzaga, marchese di Mantova, s'era interposto per sopire le discordie esistenti fra i membri della famiglia ducale ed aveva ottenuto che a Sforza Maria venisse assegnato il palazzo, che era stato di Tommaso da Rieti, a porta Tosa; a Lodovico Maria la casa del cremonese Ziliolo de Bonizi, già Corte di Barnabò, a S. Giovanni in Conca; ad Ascanio il palazzo, già di Leonardo Vismara in via Fagnano; ad Ottaviano il pa'azzo di Francesco Premenugo, sul corso di porta Nuova, presso il monastero dell’Annunciata, divenuto poi proprietà di Rinaldo d’ Adda; a Filippo Maria infine quello di Scaramuzza Visconti, in porta Vercellina, nel cui giardino poi Ca-lo d'Amboise nel 1507, in occasione dell’ entrata di Lodovico XII, re di Francia, faceva erigere un e ca- « strum lineum », come nota il Muratto, Annalia, Mediolani, 1861, c. XIX, p. 96 ed il Prato, Storia di Milano, in Archivio storico italiano, 1842, vol. III, p. 263 Cfr. pure GiuLINI, op. cit., vol. VI, p. 264. Già fino dal 1468 Sforza Maria in una lettera del 18 giugno, da lui diretta alla madre, scriveva che il duca vole:a =“ DI ALCUNI FIGLI MENO NOTI DI FRANCESCO I SFORZA 43 seimila scudi d’oro per la dote e mille pel corredo e le gioie alla figlia legittima Bona, promessa a Gian Galazzo Visconti, conte di Sesto Calende: aveva egli avuto anche un figlio naturale, Costanzo, ignorato dal Litta, morto di otto anni nel 1479. Filippo Maria usò il titolo di conte di Corsica, ma nell’istrumento portante le sue disposizioni testamentarie non gli viene attribuito alcun titolo (1). Nel 1497 la vedova di lui, Costanza, passava a nuove nozze con Claudio de Palude, conte di Ruppe e Parvapetra, barone di Varambon e di Villenoxel, ricco gentiluomo borgognone, al quale portò in dote dodicimila ducati. Rimasta nuovamente vedova fece ritorno in patria andando ad abitare nella canonica di S. Ambrogio : il 27 settembre 1541 testava a favore dell’Ospedale Maggiore di Milano, ove moriva ottantenne l’II maggio 1546 in parrocchia di S. Pietro sul Dosso (2). ® è * TRISTANO, di madre ignota, è di certo una delle figure più spic- ‘cate della corte sforzesca. Nato verso il 1422 (3) era quindi il maggiore d’ età tra i figli maschi del duca Francesco e ciò, oltre le sue qualità personali, spiega la parte notevole da lui presa ne- ‘gli avvenimenti politici e famigliari. Condottiero d’armi di qualche fama, nel 1452 dal padre, che, udite le prime mosse de’ veneziani, aveva guarnito parecchie rocche del milanese, era lasciato a presidiare Soncino con cinquecento cavalli ed altrettanti fanti. I veneziani piombarono su questa fortezza a’ primi di giugno sotto il comando di Jacopo Piccinino intimandone la resa, che venne fatta da Iristano in seguito ad accordi col Piccinino stesso, che lo trattò con molta cortesia e lo lasciò andar libero verso Cremona (4). Leassegnargli una casa in porta Nuova « cioè quella de Premenuto » ed a Lodovico Maria « la casa de Isabetta de Robecho ». Cfr. ASM, Potenze Sovrane, Sforza Maria. (1) Cfr. in argomento quest'Archivio, 1913, p. 382, n. 7. (2) Cfr. Canerta P., Elenco storico - biografico dei benefattori deli’Ospedale Maggiore di Milano, Milano, 1887, p. 357. (3) II Necrologio dell’ASM registra la morte di Tristano all'11 luglio 1477 e gli attribuisce l’età di 55 anni. Cfr. quest'Archivio, 189I, p. 275. (4) Cfr. Gatantino F., Storia di Soncino, Milano, 1869, vol. I, p. 223. Nella Cronica di Anonimo Veronese sopra cit., p. 35, è detto che Soncino cadde « senza 44 ALESSANDRO GIULINI gittimato dal genitore (1).nel 1454 veniva promesso (2) quale sposo a Beatrice d’Este, figlia naturale di Nicolò III e sorella di Borso, duca di Modena, la quale era rimasta vedova di Nicolò da Correggio (3). Le sue nozze furono oltre ogni dire suntuose e diedero. « strepito..... essendoli detto castello da li homeni dato contro volontà de Tri. « stano Sforza, che dentro lì era ». (1) La legittimazione è in data del 16 ottobre 1448: in ASM, Potenze Sovrane, Tristano Sforza troviamo cenno di ciò, ma.non abbiamo rinvenuto la relativa bolla papale. (2) L’atto di promessa, celebrato nell’Arengo di Milano, è del 18 novembre, mentre del 28 settembre è il mandato conferito dal duca di Modena a Francesco della Mirandola, conte di Concordia, per contrarre il matrimonio di Beatrice, sorella del duca, con Tristano Sforza. Cfr. ASM, loc. cit. Il LITTA, Op. cit., Aftendolo Sforza, tav. I erroneamente dà il matrimonio avvenuto il 28 ottobre 1454. (3) Beatrice era nata al marchese Nicolò III da una Anna, di cui s’ ignora il cognome; nell’ottobre del 1448 fu data in moglie a Nicolò da Correggio, che la lasciò vedova l’anno susseguente incinta d'un figlio, cui pure fu posto il nome di Niccolò (1450-1508), che, se non fu un grande poeta, resta senza dubbio una delle più tipiche figure di cortigiano del Rinascimento. Beatrice, che aveva notevole posizione nella fastosa corte milanese, sopravisse al marito e morì în Milano venendo poi sepolta in S. Angelo presso Tristano il 17 novembre 1497, come prova E. Motta, 1! beato Bernardino Caimi, Milano, 1891, p. 17, n. 2, mentre il Diario Ferrarese, R. I. S., XXIV, p. 350, riferisce la data del 29 novembre, il GALANTINO, op. cit., vol. I, p. 328-29 quella del marzo e Luzio-RE: NIER, Nicolò da Correggio, Estr. dal Giornale storico della letteratura italiana, vol. XXI, p. 205 e sg. e XXII, p. 65, il 17 dicembre dello stesso anno. Per il testamento 3 aprile 1478 rog. Paolo Bosso, cfr. in Trivulziana, cod. 1817, fol. 276, Beatrice era stata erede di Tristano unitamente alla figlia legittimata di questi, Elisabetta Margherita, posta sotto la tutela di Ercole I, duca di Modena, divenuta poi moglie di Galeazzo Pallavicino, marchese di Busseto, colla quale ebbe a sostenere una lunga e disgustosa lite, che venne vinta dalla figliastra, cui Beatrice fu costretta a consegnare anche la Torre di Soncino, edificata da Tristano, dove aveva passato col medesimo giorni tanto felici; così che al dire del GALANTINO, Op. e loc. cit., morì poco dopo d’ apoplessia settantenne « in umile abituro d'una via remota « della capitale » e precisamente, possiamo aggiungere noi, in porta Nuova nella parrocchia di S. Martino alla Noce. Il suo testamento del 15 novembre 1497 fu: raccolto dal Zunico. Morendo dispose di quanto erale rimasto in Soncino a favore di Pietro Antonio Bassi, suo siniscalco, unico de’ famigliari rimastole fedele, che la seguì nell’avversità tanto che « la calunnia volle fare di tale sentimento. « di devozione il soggetto di una scandalosa novella ». Cfr. GALANTINO, Op. e loc, cit., e per ulteriori notizie intorno a Beatrice SABBADINO DE LI ARIENTI, Gynevera ‘de le clare donne, Bologna, 1888, p. 398; Frizzi, Memorie per la storia di Ferrara, Ferrara, 1848, vol. IV, p. 185; LITTA, op. cit., D'Este, tav. XI. vi DI ALCUNI FIGLI MENO NOTI DI FRANCESCO I SFORZA 45 luogo a grandi feste 1 ), che ebbero principio il 27 aprile 1455:in Ferrara (2): per l’occasione composero epitalami il Filelfo, Guarino Veronese ed il Mombrizio (3) ed il Cornazzano, che assisteva. all'avvenimento, ne fa cenno nel suo Libro sull'arte di danzare e chiama Beatrice « regina della festa » (4), mentre il pittore ferrarese Nicolò Teutonico ne ritraeva la bella effige perchè venisse mandata alla duchessa di Milano (5). Come più sopra ebbimo occasione di dire, Tristano era uno de’ figli del duca tenuto in maggior 'cbnto, perchè, quando nel 1464 quest’ ultimo contava di partecipare’ alla crociata bandita da Pio II con una spedizione in Albania ed’ éleggeva a comandante della medesima Lodovico Maria, Tristano: èra posto a lato del giovanissimo capitano, che tale per l’età doveva essere solo di nome (6); così nel 1465 veniva dal duca inviato alla corte’ di Napoli per ottenere la liberazione del cognato Jacopo Piccinino ‘(7) e nel 1468 ad Amboise a sposare per procura Bona di Savoia; destinata in moglie a Galeazzo Maria. Tre amni dopo, allorchè'l'agognata Imola veniva ceduta da Guidaccio Manfredi al duca di ‘Milanò, era spedito a prenderne possesso Tristano (8), che Galeazzo' Maria destinava poi al comando di seicento cavalli e di cento uomini d’arme facenti parte di quell’esercito, che, come abbiamo detto; egli preparava contro Venezia (9). A soli 55 anni l’ Ir luglio 1477 'veniva a morte in Milano in parrocchia di S. Fedele: l’Anonimo' Veronese (10) accenna a qualche sospetto d’ avvelenamento quando dice che Tristano « homo prudentissimo et in cui mostrava quello 3) I (1) Cfr. Morta E., Nozze principesche nel quattrocento, Milano, 1894. (2) Cfr. Cronichetta di Lodi del secolo XV pubblicata ed annotata ‘da C. Casati, Milano, Dumolard, 1884, p. 48. Erroneamente il MurATORI, Antichità Estensi, parte II, p. 213, parlando di queste nozze, chiama Tristano c uno de' figli le- « gittimi » del duca di Milano. (3) Pel « Librazolo de nuptiis domini Tristani » cfr. quest’ Archivio, 1886, p. 46. ! (4) Cfr. SivesTri M. A. op. cit., vol. V, p. 154 € RENIER R., Op. cit., in Giornale storico della letteratura italiana, 1891, vol. XVII, p. 142 e t:3 TAL (5) Cfr. quest'Archivio, 1889, p. 404, n (6) Ivi, 1886, p. 741-45. (7) Ivi, p. 262. (8) Cfr. Cronica di Anonimo Veronese cit., p. 290. (9) Cfr. quest’Archivio, 1876, p. 454. (10) Op. cit., p. 326: 46 ALESSANDRO GIULINI « Stato havere fiducia de giugno (?) MDCCCLXXVII se amala et « subito more, credesi aiutato ». La vedova sua, Beatrice d°’ Este, dalla quale non lasciò prole (1), gli fece porre sulla tomba un epitaffio (2). Di PoLIpoRO, pure figlio naturale del duca Francesco, abbiamo già avuto occasione di parlare (3) e quindi ci limiteremo a riassumerne brevemente le vicende personali. Nacque egli verso il 1442 da Perpetua da Varese, forse la damigella del seguito di Bianca Maria, che quest’ultima in un accesso di gelosia fece, alla vigilia delle nozze, rapire, condurre a viva forza in castello ed uccidere (4). Nel] 1448 veniva legittimato da papa Nicolò V ed il 13 gennaio 1455 il duca Francesco costituiva Guiniforte Maletta suo procuratore per concludere il matrimonio fra Polidoro ed Antonia Malaspina, figlia di Spinetta, marchese di Verrucola. Polidoro risiedeva in Parma, lungi dalla corte paterna, dalla quale lo teneva forse lontano la gelosia di Bianca Maria, che pure aveva avuto tenerezze materne per altri figli naturali del marito: ma Polidoro era nato da quella Perpetua, che aveva fatto sorgere una grossa nube sull’orizzonte ‘coniugale, solitamente così sereno, de’ nostri duchi! (5). Nel 1465 pare fossero fallite le trattative con casa Malaspina, giacchè (1) In una lettera al duca Galeazzo Maria del 10 ottobre 1472 Beatrice si diceva prossima a divenir madre ed esponeva i suoi timori causati dall'età ormai matura. La prole, se pur nacque, doveva di certo essere morta in età infantile, poichè nessun traccia abbiamo trovato di essa negli atti d'archivio. Cfr. ASM, Potenze Sovrane, Beatrice d'Este. (2) Cfr. FoRCcELLA, Iscrizioni milanesi, vol. V, p. 7. (3) Cfr. quest’Archivio, 1914, p. 257 € sg. (4) Per Perpetua da Varese e per quest’ episodio della vita coniugale di Francesco e di Bianca Maria ricordati ne' Commentari di quell’ acuto ed abile narratore, che fu Pio II, cfr. quanto già abbiamo occasione di dire in quest’Archivio, 1914, p. 257, N. 3. (5) La duchessa Bianca Maria altra volta si era acerbamente lagnata dell’infedeltà del marito allorchè invocò l’ aiuto del papa per richiamarlo ad una vita ‘più corretta ed a troncare la tresca con quell'Isabetta, che forse si può identificare colla madre di Giulio Sforza. Cfr. quest’ Archivio, 1914, p. 261, n. 2. L’energico proposito di Paolo II d’inviare alla corte milanese un messo papale impressionò assai il duca e forse non fu estraneo alla rapida sua fine. Nè Francesco Sforza, DI ALCUNI FIGLI MENO NOTI DI FRANCESCO I SFORZA 47 se ne érano iniziate altre per dare a Polidoro in isposa una figlia di Paolo Barbo, uno de’ più cospicui patrizî veneti, fratello di Paolo Il (1); andate pur queste a vuoto, vennero riprese nel 1468 quelle coi Malaspina, ma non è dato di stabilire con precisione quando Polidoro levasse dalla casa paterna la figlia del marchese Spinetta, la quale convisse brevemente col marito, che venne a morte in Milano il 9 febbraio 1475 a trentatre anni e fu sepolto nel Duomo (2). La vedova di lui si ritirò negli stati paterni: Lorenzo de* Medici nel 1477 la consigliava a passare a nuove nozze, ma i documenti non dicono con chi il parentado sia stato ideato e se esso fu concluso. Se Polidoro viveva lontano dalla famiglia sforzesca un altro figliuolo naturale di Francesco I, GiuLio, ricordato fugacemente dal Litta e degli altri genealogisti di casa Sforza, aveva trovato benevola accoglienza presso la famiglia legittima del padre. Nato da una Elisabetta od Isabetta (3), di cui s’ignora il cognome, fu investito del feudo della pieve di Brebbia e condusse in moglie la figlia di Tommaso Grassi, il ricchissimo fondatore delle scuole omonime di via de’ Ratti (4), Margherita, la quale, bambina affatto, era stata promessa a Galeazzo Sforza Visconti, figlio naturale di Lodovico il Moro, ignorato dal Litta e dal Ratti, colla dote di dodicimila ducati. Morto Galeazzo avanti il termine fissato pel matripur così proclive all'infedeltà, fu esente da gelose preoccupazioni e ne è prova la cattura e la prigionia di Guglielmo VI, marchese di Monferrato. Cfr. G. DeL CARRETTO, Cronaca di Monferrato, R. I. S., III, 1233, e Bollettino di storia subalpina, IV (1899), n. 3, p. 158. (1) Cfr. pel Barbo quest'Archivio, loc. cit., p. 260, n. s. (2) Per le questioni relative alla data del decesso e per le altre minute notizie intorno a Polidoro ed alla prole sua cfr. quanto già ebbimo a dire in quest’Archivio, loc. cit. (3) Essa aveva ricevuto in dono dal duca Francesco I una casa in parrocchia di S. Giovanni sul Muro: era mai questa l’ Isabella de Robecho, alla quale il duca nel 1465 faceva costruire una casa in Camposanto? Cfr. quest’ Archivio, 1894, p. 517 © 1895, p. 410, n. (4) Cfr. il nostro studio su Tommaso Grassi, le sue scuole e le relazioni sue cogli Sforza, in quest’ Archivio, 1912, p. 271 e sg. Una bella lapide, che lo ricorda, fu recentemente donata al civico museo in Castello. Cfr. SANT'AMBROGIO, Una lapide Grassi del secolo XV presso Corsico, in Pagine d’Arte, II, 1914, n. 19, P. 247 © S8- 48 ALESSANDRO. GIULINI monio, Margherita fu data in moglie a Giulio Sforza, che pure cessò di vivere il 15 gennaio 1495 in Varese lasciando prossima a diventar madre la giovane sposa (1): nel suo testamento del 26 dicembre dell’anno antecedente chiamava erede la prole nasci- (1) Rimasta vedova di Giulio, Margherita Grassi passava quasi subito a seconde nozze col condottiero ducale Francesco Trivulzio ; cfr. LIrra, op. cit, Trivulzio, tav. III, col quale non ebbe certo lieta esistenza. Il PéLISsIER, in Les relations de.Francois de Gonzague marquis de Manioue avec Ludovic Sforza et Louis XII, Bourdeaux, 1893, p. 73-74, ha spigolato nel carteggio dell’ oratore ferrarese alla corte sforzesca, esistente presso l'archivio di Stato di Mudena e da esso ha tratto la notizia della morte violenta della Grassi. Dalle lettere del 1498 appare che Francesco Trivulzio, il secondo marito di Margherita, era assai geloso e che forse essa era piuttosto leggera: « la era (dice l'oratore ferrarese) alquanto « vana e il marito zelosissimo ». Un mattino il Trivulzio annunciò d'aver trovato morta la moglie presso di lui e scrisse in proposito al duca « una lettera « molto confusa » tanto che dai più «e pr GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA 93 che questo accordo si teneva per stabilito, quando il Medici, tenuto consiglio co’ suoi capitani, non volle per nessun motivo accettare la proposta di pagar denaro, e ciò per il timore che lo Sforza, avuto Monguzzo senza combattere, adoperasse il suo stesso denaro per muovergli guerra. Ma la vera ragione per cui il Medeghino non volle firmare l’accordo fu precisamente per il rifiuto del duca di accordargli il permesso di conquistare Chiavenna e la Valtellina. Il duca, ben conoscendo di quali gravi conseguenze per lo stato potesse riuscire il suo consenso di mover gnerra ai grigioni, alle insistenze del Medeghino rispose sempre con un rifiuto. I capitoli (1), rimasti adunque sospesi, furono mandati all’im- (1) Di capitoli, quali li ha riportati il Missaglia, non ne ho trovati. Nella Sezione Storica, Condottieri, Gian Giacomo de' Medici, cart. 1, c'è una copia dei terzi capitoli, senza data, che ritengo gli ultimi rimasti pendenti. Comunque sia, eccoli: « Si contenta il s.r Marchese di Musso che la concessione de le infrascritte terre per rispetto a redditi si facia per via di vendita, et la iurisditione etc., in forma di Feudo franco, extendendo il Privilegio in amplissima forma con tutte quelle remissioni, gratie et derogationi si trovarano concesse ad altri, et che si possano concedere, di sorta che possa ne le ditte terre tutto quello che posseva lo Ill.mo s." Duca, con facultà di infeudare, et riconoscere li già infeudati riservato solamente la superiorità alla persona del s." Marchese et suoi successori quali habbiano ad iurare di essere fideli a sua Ecc.3 et suoi legitimi successori et suo stato et non più oltra, ma che non possi essere astretto esso. s.7 Marchese et suoi successori contra sua volontà uscire de le sue terre, et che tale concessione sia et trans.sca in ogni suo discendente masculo et legitimo, et in loro deffetto nei suoi fratelli e descendenti simili, et in chi lui o suoi successori per qualunque via ne disponerà, et possa fare batere di qualunque sorte dinari, quali senza exceptione si habbiano ad spendere per tutto il Ducale Dominio facendo subito fare le cride opportune, purchè siano alla bontà de la Cecha di Milano, et che esso s." Marchese et suoi possano pigliare soldo et acostarse per modo de capituli, lighe, pace, o federe ad altri principi, mentre non vadano et siano contra sua Ecc.* et suo Stato, et che non sia astretto contra la confederatione ha con li potenti s.ri Svyceri et Grisioni sino in caso che essi venessero contra il Stato di s. Ecc.*, che alhora facia il possibile non passano per le terre a lui concesse et ogni altra defensione che lui potrà, et che si facia renunciare dalli figli dello Ill. s." Hieronimo Morono le ragioni pretendono in Lecho et suo contado et possa esso s." Marchese piacendoli pigliar il consenso di S. M.tà « A. presso ricercha esso s." Marchese la gratia et absolutione de ogni delitto per lui, suoi fratelli, officiali, capitanei, et ogni altro suo servitore cussì soldato como altro con plena restitutione di fama et beni, ancora che non habbiano la remissioni da li offesi, ne li quali se intende Petro Reyna da Serono et li altri si nominarano nel ter.° de quindici giorni, et che per inante tutti AG fflA f A QQ anA 94 RINALDO BERETTA peratore (1), e intanto si combinò tra le parti una tregua di tre mesi, la quale se era utile al Medici per tenere il duca neutrale A dh A a A RA f quelli gli servivano si habbiano como si fussero alli servitij di sua Ecc.s « Che possa far condurre liberamente dal Dominio Ducale senza solutione di datio, licentia, et altro impedimento ogni anno sino alla summa de mogia quatro millia tanto per la via di Como, como per altro. « Che possa pigliare de la gabella di Milano ogni anno sino alla suma de . stara decemillia di sale per il prezzo costa a sua Ecc.2, et bisognandone di più per quello prezzo che poi si convenerà, dando però aviso de dui mesi inanti, o vero possa farlo condurre: da quello loco gli parerà per il Dominio Ducale senza impedimento et solutione di alcuno datio, pur che in nissuno caso se ne dia a subditi di sua Ecc.® « Che se gli ceda le ragioni et diasse in forma di feudo como di sopra le terre occupate etc. « Che non permetta nel Dominio di sua Ecc.» congregar gente di sorte alcuna ne per alcuna causa, ne passare per il detto dominio in danno et dea sturbo desso s." Marchese et terre goncesse. « Che sua Ecc.® confirmi et habbia per rato tutte le concessioni fatte cussi « per modo di gratia como di iustitia per esso s." Marchese o suoi officiali, maxime « ne la lurisditione di Dondossola, come si fussero fatte per officiali di sua Ecc.2. A_&R ÀÙ È AA « € € € € € < « Si conteata esso s.r Marchese espedite che siano le concessioni suprascritte et interinate dal R,mo Senato relaxare Dondosola et sua iurisditione havendo però lettere da sua M.stà, supplicando sua Ecc.® ad confirmare li loro privilegij, et non darli ad alcuno di casa Borromea, et ancora relaxare Monguzzo er plebe de Inzino, et ogni altra terra, excetto le infrascritte, riservando però al s.r Battista suo fratello tutti li frutti di questo anno de tutti quelli beni ha fatto cultivare in quelli lochi et cussì ne li beni di messer Thomaso et nepoti di Centemero, atteso che se gli ha d’havere certi dinari, et questo si exeguisca rimosso ogni lite et altra cognitione, intendendo ancora che esso s.r Marchese possa sumariamente et con ogni executione exigere li salarij, conventioni, et ogni altro credito, tanto per causa di sale quanto per altra causa, ne li ditti lochi che relaxa dandoli però ter.° honesto ad spazare Monguzzo et Dondosola. Item di dare expediti ut supra ducati vintimillia et chiamarse sodisfatto di ogni altro credito che habbia con sua Ecc.2, quali insieme habbiano ad essere il prezzo della vendita de li redditi delle terre infrascritte: « Quali castelle, terre er fortezze sono queste Musso con la forteza, le tre plebi Superiori con la torre di Ologna, Rezonicho, Menaso, Lenno, Insula, Argenio, Nescio et Belasio con tutte le sue plebi et terre adiacenti, valle di Intellvo, Osthena, Le Cime, Valsoldo, Proleza con il contado, Alimonta, Civena, Assio con la Vallassina, Corte di Casale, Squadre di Mauro e di Nibiono, Malgrado et Valmagrera, Lecho col contado, tutta la Rivera di Mandello, Lierna, Varrena, Bellano, Derfo, Corenna con tutte le sue plebi, verre et pertinentie, Valsasina, Taegio, Montagna di Introzo, et Colego ». (1) SANUDO, Op. cit., vol. 54, col. 29I, 295. | ci GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA 95 nella guerra che stava per intrapprendere, dall’ altra serviva allo Sforza per vedere come sarebbe andata a finire l’arrischiata impresa del suo nemico, e quindi agire in conformità de’ suoi interessi. Il 3 febbraio da Musso il Medeghino sollecitava dallo Stampa il salvacondotto e vi si univa un modulo del come doveva essere redatto, e cioè in ampia forma da valere tre mesi per sè, suoi fratelli, e servitori così da poter andare e venire attraverso lo stato e di poter passare anche all’estero presso qualunque principe. Voleva inoltre che si avessero a nominare in detto salvacondotto altri quattro de’ suoi da poterli mandare a negoziare le cose sue, e cioè il rev. fra David Bosso proposto di Domaso (1), messer Gio. Pietro Calvasina, Filippo Ardizzoni, e Francesco Pusterla (2). Tuttavia per potere più comodamente trattare l’accordo, il Medici, per mezzo del vescovo di Vercelli, ottenne in seguito dal duca di prolungare di altri tre mesi la tregua, ma ebbe ancora un reciso rifiuto per la guerra di Valtellina (3). Intanto il duca, sborsata la prima annata di quattrocentomila ducati, riebbe il 15 febbraio il castello di Milano, e, superate alcune difficoltà insorte pei contrassegni, al 26 marzo anche il castello e la città di Como. Una parte degli spagnuoli che presidiavano Como, licenziate dal comandante spagnolo, ai primi di marzo erano venuti a porre i loro alloggiamenti a Cantù, dove verso quegli abitanti e di altri paesi circonvicini (si erano spinti fino a Mariano) commi- (1) Costui era e icconomo del Medico », e da 25 anni risiedeva nella prepositura di Domaso. Scoppiata la guerra, e visto che l’andava male pel suo signore, pensò bene di lasciare in asso il Medeghino e di rifugiarsi a Como con la sua famiglia. Tuttavia dai ducali fu trattato come un ribelle, e spogliato degli averi, che aveva portato con sè del valore di circa 62 ducati d’oro, e cioè di 12 ducati in moneta, di 35 in collane, anelli e gioie, d’una mula e di altre cose. Perciò il 17 giugno un suo parente, Egidio Bossi, supplicava il Bentivoglio a non volerlo considerare come un ribelle, e che gli fossero restituite le sue cose dal momento che erano stati perdonati tutti quelli che avevano lasciato il Medeghino anche dopo il termine stabilito nelle gride. Il Medici, per rappresaglia, non solo fece saccheggiare la casa del prevosto fuggito, ma fece prigioniero in Lecco un suo fratello, il quale era venuto per prendere un suo figliuolo quivi a scuola. (ASM, Carteggio generale, giugno 1531). (2) ASM, Carteggio generale, febbraio 1531. (3) ASM, Potenze Estere, Svizzeri, cart. cit. E’ una carta senza data d.l titolo « Summa de la risposta quale si ha 2d far al cast.no de Musso ». 96 RINALDO BERETTA sero ogni sorta di vessazioni. Il duca ne fu assai dispiacente, e pur non concedendo a quelle popolazioni di difendersi colle armi, come avevano chiesto, onde evitare maggiori guai, da Vigevano scrisse al Bentivoglio di lasciarvi quelle truppe non più di quindici giorni, di provvederle di viveri, e quindi farle uscire dallo stato. Nel frattempo il Medeghino fece pratiche per averle al suo soldo, e, nonostante fossero dissuase dagli agenti del duca, vi andarono per la via di Monguzzo. Altrettanto fece con gli spagnuoli già di presidio nel castello di Milano, benchè vi si opponesse il protonotario mons. Caracciolo in nome di sua maestà, non volendo nuova guerra in Italia. In tutto circa novecento spagnuoli (1). I grigioni, impensieriti dalla voce che il Medeghino nei suoi maneggi e preparativi operasse di concerto col duca, mandarono a Milano Martino Bovellini perchè vedesse chiaro come stessero. le cose. Se ne ritornava il Bovellini, latore ai suoi delle buone intenzioni del duca a loro riguardo, quando il Medici, al quale premeva far credere il contrario, sulla strada di Como, alla distanza di sette miglia da Milano, lo faceva sorprendere, tradurre fuori mano, e assassinare col figlio che l’accompagnava da quattro soldati di Monguzzo (2). Il duca, edotto dell’assassinio e fatta compiere un'inchiesta, con lettera del 4 marzo da Vigevano ingiunse a Rocco Quadrio di portarsi tosto presso i grigioni e loro notificare, oltre il dispiacer suo per tale misfatto, quanto aveva detto all’oratore grigione (3). Risposero i grigioni di credere allo Sforza se avrebbero visto il Vistarini, che sapevano entrato in Como con numerose truppe, o un altro qualsiasi invadere i possessi del Medici, e costringerlo a desistere dal fare la guerra in Valtellina (4). I grigioni lasciarono comprendere come non fossero alieni dal combinare un’alleanza contro il comune nemico. Lo Sforza prima di romperla apertamente con Gian Giacomo volle prudentemente vedere quale piega prendessero gli avvenimenti. (1) ASM, Carteggio generale, marzo 1531; Giovio, op. cit., p. 174; CaPELLA, De Bello Mussiano, col. 1230; CAMPELL, op. cit., p. 188; MISSAGLIA, op. cit., p. 64. (2) CAPPELLA, Op. e loc. cit.; IECKLIN, op. cit., p. 99. L'assassinio sarebbe avvenuto presso Cantù. (3) ASM, Potenze Estere, Svizzeri, cart. cit. (4) CAPELLA, Op. cit., col. 1231. - i GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA 97 Compiuto quell’assassinio, il Medeghino alle calende di marzo entrava improvvisamente in Valtellina e faceva di sorpresa occupare Morbegno dal fratello Gabrio: le forze del Medici erano di circa settecento uomini (1). Gian Giacomo il 14 marzo mandava a dire ai cinque cantoni confederati, coi quali era in relazione di amicizia, di aver invaso la Valtellina perchè provocato dai grigioni, ai quali aveva chiesto cordialità di vicinanza e, dopo ottenutane promessa, si erano invece armati contro di lui; domandava pertanto che si avesse ad impedir loro il passaggio sul territorio dei cinque cantoni (2). I grigioni non tardarono a prendere le armi e ad assediare il borgo, ma il 23 marzo subirono una piena disfatta (3). Il Medeghino menò grande scalpore per quella vittoria, e volle che nei suoi dominii si rendessero grazie a Dio con processioni, e se ne desse notizia a tutte le corti. Battista Medici da Monguzzo si portò subito a Milano ad informare lo Speziano. Questi con lettera del 25 informava a sua volta il duca come il fratello del castellano era stato mandato da lui « acciò a la giornata meglio sapesse come prosperavano le cose « del s." Marchese quale gratia de Dio, ch’aiuta sua fede, haveano « ottenuto, contra Grisoni secta Lutteriana, Morbegno dove pensava « fortificarse et che li havea. 500. guastatori oltre li soldati che (1) Che il Medici invadesse la Valtellina con diecimila uomini, come vorrebbe la lettera del Tschudi al Podestà e Consiglio di Glarona del 13 marzo, non è esatto. (2) TECKLIN, op. cit., I, p. 99; II, Texte, p. 159. (3) Angelo Medici il 24 marzo così scriveva da Musso al fratello Battista : « In questa ho hauto lettere dil signor Gabriel date questa notte in Morbegno, < dove avisa esser morti et feriti infiniti de loro, sono stati morti più de 500 « et.sette o octo capitani de primi, tra quali è morto il capitano Teghano, et € lo .hano tirato dentro et sepulto con grandissimo honore, hanogli tolto più de « scalle 300. Non è morto de nostri più che uno regazo et uno guastatore. Se « si trovava dui dì più presto questi s.r Cesare (Maggi) uscire di Como, era « l’ultima ruina di questa natione, quali però nè più nè manco serà ruinata per « esser loro disolti et disfatti. Li nostri introrno sta notte col sucorso senza un « strepito al mondo come l'ho avixato. Il messo venuto dice non havere trovato « persona, cussì si ha che molte bandere de loro sono partite et andate a Traona, « la valle d’Albito è abbandonata. Il s.r Marchese per tal cosa comanda che si « facia processione per tutto il paese et si renda gratie a Dio, cussi mi comette « che si debba avixare tutti li potentati » ecc. ASM, Sezione Storica cit., cart. 2; MissaGLIa, Op. cit., p. 65 € Sgg. 98 RINALDO BERETTA « sono . 600. che non manchano. Fortificato pensava lassarli circa « .200. homini et con il resto andar prosperando rincontrandose « poi con suo Cognato qual anche se dice havea da condurre « fanti -;-, al credere del Dugnano non serano che . 800., et che « al s." Baptista he parso avisarmi acciò a la giornata sapia quanto fano et pensano di fare, si come quella persona li he quanto che « niuna altra amica et patrona ». Soggiungeva che i fratelli Medici nen pensavano « ad altro che essere boni servitori di V. Ex.it », e che perciò si ritenevano sicuri che il duca non avrebbe mancato alla tregua dei sei mesi (1). Allo Sforza non poteva sfuggire, nonostante tutte queste proteste di fedeltà, che al Medeghino importava tenerlo buono e neutrale per poi a impresa riuscita imporgli patti leonini, tanto più che cercava anche di intendersela di nascosto col re di Francia. Se non che il bel sogno, che il Medeghino riteneva ormai realtà doveva sfumare ben presto. I grigioni, esasperati, decisero di farla finita col castellano di Musso: domandarono aiuti ai cantoni svizzeri, ì quali, tranne i cinque che si trovavano in buoni rapporti col Medici, risposero all’appello (2), e con una forza di oltre quattordicimila combattenti alle calende di aprile scesero in campo contro il comune nemico, risoluti a non deporre le armi fino a tanto che non lo avessero annientato (3). | ]l Medeghino, alle prese con un nemico così potente, si diede ad invocare aiuti da ogni parte col pretesto ch’egli combatteva in beneficio della fede, ma nessuno si mosse nè allora nè in seguito per quanto brigasse. Luv Sforza, mentre continuava a mantenersi in buone relazioni cogli svizzeri e coi grigioni preparando il terreno ad un’alleanza, sottomano lavorava a indebolire sempre più le forze del Medici. Egli ottenne dal re dei Romani che non gli potessero arrivare dalla Germania i tanto sospirati lanzichenecchi (4), (1) ASM, Sezione Storica, cit., cart. 2. (2) CAMPELL, op. cit, p. 190; CAPELLA, Op. cit., col. 1231. I cantoni di Lucerna, Uri, Svitto, Zug, Unterwalden non vollero parteciparvi per non perdere l'amicizia del re di Francia e per motivi di religione. Cfr. Relazioni di Domenico Panizoni del 4 e 11 aprile in ASM, Potenze Estere, Svizzeri, cart. cit. (3) CAMPELL, op. e loc. eit. (4) Nella lettera dei grigioni a quei di Zurigo del 1° aprile vi si dice che in Lecco stavano seicento spagnuoli e trecento italiani i quali attendevano i. — GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA 99 e il 10 aprile mandava a provare ai grigioni come ciò fosse avvenuto per opera sua (1). Da Carlo V provocò altresì un decreto da. Gand del 22 aprile col quale si intimava al Medici di rilasciare gli spagnuoli assoldati. Il Medeghino dovette far buon viso a cattiva fortuna, e rilasciò quei veterani. Il 3 maggio si concentrarono a Como, quindi vennero ad Erba, e di là due giorni dopo ad Inverigo. Quivi volevano fermarsi qualche giorno, ma, benchè si diportassero bene verso gli abitanti, il duca non vi acconsentì: se ne vennero a Monza e di là passarono nel mantovano (2). In altri modi cercò il duca di danneggiare il suo nemico: il 16 aprile il Bentivoglio vietò ai carpentieri di Como di recarsi al servizio del Medici, e alla domanda del Medeghino di poter trasportare grano dal Piemonte attraverso il ducato, pronto a rilasciargliene la metà, non solo rispose negativamente, ma saputosi ch’egli cercava di provvedersi sul bergamasco per la via di Chiuso presso Lecco, ottenne dai veneziani che avessero ad impedirlo (3). Il duca, che fin dal 7 aprile scriveva da Vigevano al Bentivoglio di essere più che mai contento che si andasse finalmente preparando l’occasione di « levarsi davanti agli occhi il castellano di a Musso », di fronte alle vittorie degli svizzeri e dei grigioni che ormai assalivano il Medeghino nel cuore del suo dominio (4), stimò lanzichenecchi per entrare insieme in Valtellina. Si domandava perciò pronti aiuti altrimenti i grigioni sarebbero stati costretti a ritirarsi. In un allegato, annesso alla medesima, del 30 marzo datato da Morbegno si dicevano a cinquemila i lanzichenecchi in marcia. IEKLIN, op. cit., I, p. 100. Questa cifra è esagerata, (1) Da Milano il Bentivoglio informava il 10 aprile il duca di aver incaricato Rocco Quadrio di dimostrare ai grigioni che « il ritorno de li lanziche- « necchi che andavano al soccorso del Castellano di Musso essere proceduto per « l'opera di V. Ex.s ». Il Quadrio doveva mostrare i relativi documenti. ASM, Carteggio generale, aprile 1531. (2) ASM, Sezione Storica cit., cart. 1. (3) ASM, Carteggio generale, aprile 1531. (4) Il Vistarini, nelle sue informazioni al Bentivoglio e al duca, notificava. il 9 aprile che le forze del Medeghino in Morbegno (e cioè le compagnie del Pellizzoni, del Grasso, di Domenico Matto, del Cardono, del Borserio, e due di spagnuoli) si erano ritirate a Gera, Sorico, Damaso, Gravedona, Dongo; il 15 che Gian Giacomo abbandonava tutti questi luoghi tranne Gravedona dove si fortificava; il 16 che i grigioni attraverso la Valsassina erano giunti fino a Bellano ; il 30 che gli svizzeri e i grigioni erano padroni di tutte le terre del lago, e si facevano giurare fedeltà, ASM, Carteggio generale, aprile 1531; Sezione 100 RINALDO BERETTA giunto il momento di gettare la maschera e di combatterlo apertamente. Il 17 aprile avvertiva il Bentivoglio di aver spedito « il Pa- « nizono con una Instruttione a quelli Capitanei Elvetij et Grisoni facendoli intendere il mio bono animo, et con ringratiarli de le « bone demonstratione loro verso nui, et per vedere in quello si « vogliono risolvere circa il stabilire una intelligentia et bona con- « clusione tra mi e loro alla ruina del Castellano di Musso » (1). Le pratiche per giungere ad un’ alleanza cogli svizzeri e coi grigioni procedevano bene. Importava, per altro, di essere sicuri della signoria veneta. Il duca aveva domandato aiuto ai veneziani, ma questi si scusarono di non poterlo fare. ] grigioni mandarono allora verso la fine di aprile a Venezia dei loro messi a dire che avevano stabilito di annientare il Medici per avere ucciso il loro oratore, occupato Morbegno, e per altre offese, e domandare se si intendeva soccorrere il castellano di Musso. Tutti questi movimenti non sfuggirono al Medeghino, e mentre a Milano mandava: il fratello Battista per indurre il duca a concludere l’accordo rimasto sospeso, rimettendosi parecchio in quello che aveva domandato, dall’altro spediva a Venezia perchè la signoria volesse interporsi presso il duca per conchiudere l’accordo e non si alleasse coi grigioni. Risposero i veneti che avrebbero fatto ogni buon officio, ma non furono che parole, poichè il 6 maggio notificarono ai grigioni di esser contenti dei loro progressi, e che al Medici avrebbero impedito sul loro stato qualsiasi rifornimento di viveri e di soldati (2). Similmente Battista Medici non ebbe dal duca che dubbiose risposte. Il Medeghino mandò allora a Vercelli il fratello Angelo, il quale il 2 maggio così scriveva allo Sfoza: « Da poi che v. Ex.* « ne ha fatto dare quelle dubiose risposte, e che anchora se sen- « tiva da lei qualchi movimenti contra di noi, è parso a noi fraStorica cit., cartella 1. La ritirata di Morbegno costò al Medeghino la perdita di non pochi de’ suoi, tra. i quali il Grasso. A Gravedona con seicento spagnuoli e trecento italiani tentò frenare l’irrompere dei nemici cosi d’aver tempo di allestire il meglio possibile la flotta, tirarè ogni cosa in Musso, e aumentare le truppe, ma dopo qualche giorno dovette abbandonare anche Gravedona. Non gli rimanevano che le fortezze di Musso, Lecco e Monguzzo: ogni sua speranza di vittoria era ormai nella sua flotta. Cfr. CAMPELL, op. e vol. cit., p. 190 e sgg. (1) ASM, Carteggio generale, cart. cit. (2) SANUDO, op. cit., vol. 54, col. 373, 379. - GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA IOI telli di mandarmi in qua acciò mi retrovassi in Loco più libero. Del che ne ho voluto subito avisare v. Ex. et pregarla una altra volta che la vogli considerare al bene et utile et honore suo circa questa cosa, Et se più è suo interesse senza suo danno et spesa di haver et s." Marchese mio fratello sempre a suo servitio et così tutti li suoi fratelli et contra ogni persona del mondo etiam con sicurezza chel non habbi a manchare a v. Ex.8 cha il il volerlo disperare et darli causa di fare quanto potrà per accostarsi a altri, la prego a darme a me sua fede che io possi venire da lei et tornare securo che spero certo che ogni cosa si assettarà et si adestrarà al volere et utile di v.°Ex.® purchè lei si metti a cose honeste, come speriamo farà. Et io da lei veneria in publico o in secreto come meglio li paresse, solo mi dubito che v. Ex.a pensi di haverne il cortello alla gola, et che siamo per questo astretti a tore da Lei ogni conditione, ma la sappia che le nostre cose non sono anchora in termine che se ne debbi fare così poco conto, ne che ne manchi parti o per una via o per una altra, solo havemo uno avantagio noi fratelli per le presenti occasioni che potremo disponere del Marchese nostro fratello, cosa ché mai non havemo potuto sino a questa ora. Però prego l’Ex.* v. a sapere tore l’occasione sin che la gli è. Noi non possemo anchora credere che v. Ex.® si debbi movere per aiutare l’inimici suoi et nostri, et facendolo la guerra durerà poi anchora anni et anni ne so che fine haverà. La si pensa forse che il Marchese sij assediato in Musso, ma la troverà che lui ha fortificato el porto, et sì tene et tenerà contro tutto il mondo, et tenendosi non si pò assediare el Castello che non vadi ogni dì dentro et uscischi ciò che si vole. L’ho voluta avisare al longo d’ogni cosa. La prego mo a fare quello che è più utile et honore suo che pò volere v. Ex.* di meglio che potere senza sua spesa cacciare l’inimici suoi de Italia o travagliargli et tenerli sempre con tale freno che non haverano ardire di uscire a servitio di alcuno potentato contro di quella. Non nego che il Marchese non sij stato troppo licentioso contro di quella, ma essendo lei quello prudente principe che la è non ha da postponere l’utilità sua all’apetito del vendicarsi, tanto più recogno= scendosi el p.t0 Marchese et volendogli servire lui e i suoi fratelli de quella maniera che possi o debba alcuno homo del mondo. Arch Stor. lomb., Anno XITTI, Fasc, TI. 7 102 RINALDO BERETTA « Ne altro mi occorre che basciargli la mano et recomandarmegli « humilmente, pregando Dio che gli dij longa vita et felice ». Al vescovo di Vercelli, assente, scriveva due giorni dopo: « Già tri « dì sono gionto qua, et sperando di passar più oltra non gli ho « scritto; hora che qua me intertengo aspettando Commissione del « s." Marchese mio fratello quel che ho da fare, la saluterò con « questa in nomine del s." Marchese et tutti noi. Et circa le nostre « cose benchè adesso habiamo uno gran foco ale spalle, dico più « xI1J.® tra Elvetij et Grixoni, però se nessuno altro non se ne « impaza ne riportaremo presto indubitata victoria. Vero è che il « s." Duca de Milano fa certi movimenti quali però sina a questa « hora non hano passato le parolle et pensamo lo facci per farme « condescendere ale sue voluntà, non con animo de aiutare questi « luterani che non è suo caso, quali movimenti non ne dano se « non gran dubio et disfavore. Ma la guerra si intertenerà longa- « mente et fra tanto qualche cosa nascerà o se gli troverà qualche « rimedio o per una via o per un altra. Et se la Ex.® del Duca « vorrà fare il suo utile la cercarà che gli sijno servitori como da « noi non mancarà. Altro non mi occorre che basare la mano a « V. S. R.ma pregandola a mandar l’inclusa al R.m° Car.le nostro « s.e et recomendarmi a lei humilmente » (1). Fatiche sprecate: lo Sforza, cogliendo l’occasione propizia pensava ormai a disfarsi del suo nemico. Chiarita, come sopra abbiam dettò, la politica di Venezia in questo affare, il duca, che giorni prima aveva mandato a chiamare i maggiorenti dell’esercito elvetico-grigione, il 7 maggio firmò con questi un trattato di alleanza senza aspettare che finisse la tregua, alla quale non credette di ritenersi vincolato, trattandosi di riavere il fatto suo (2). Battista Medici aveva tentato fino all’ul- (1) ASM, Carteggio generale, maggio 1531. (2) L’alleanza non piacque all'imperatore più per ragioni politiche che religiose, giacchè dubitava di cospirazioni francesi in danno dello Stato di Milano e dell’Italia. Il Gilino il 13 maggio da Gand informava di aver fatto osservare all'imperatore che, avendo gli svizzeri e i grigioni occupati la maggior parte dei luoghi posseduti dal castellano di Musso, il duca si era trovato costretto a quel passo, pur avendone fatto partecipe del tutto il Caracciolo, « il che mal volontieri però ‘« havea fatto conoscendo esser di debito suo non condiscender a cosa di pari o € più momento senza comunicarla prima con sua M.tà et haver suo consenso ». ASM, Carteggio generale, maggio 1531. Lo Sforza in realtà aveva pensato bene di provvedere ai suoi interessi attenendosi alla teoria del fatto compiuto. GO ogle E GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA 103 timo di impedire quell’alleanza, ma non vi riuscì. Il Medeghino, per questa mancanza di fede, si lamentò presso le corti, e a memoria del triste fatto fece coniare monete nella zecca di Musso con la F rotta (fracta fides) (1). Nel trattato si convenne, per dirla in breve, che il Medici e i suoi fratelli fossero dichiarati ribelli, e chi avesse osato portargli soccorso sarebbe stato di comune accordo combattuto; che le terre occupate dal castellano di Musso sarebbero ritornate al duca, tranne Chiavenna e la Valtellina, purchè entro tre anni si pagassero trentamila renensi per le spese di guerra fino allora sostenute; che il duca avrebbe preparate forze convenienti per terra e per acqua con tutto il necessario per condurre a termine la guerra; che gli svizzeri e i grigioni avrebbero concorso con duemila fanti sotto i rispettivi capitani dei quali milleduecento da pagarsi dal duca; che il castello di Musso con la torre del lago sarebbero stati distrutti dalle fondamenta nè mai più riedificati (2). Il Medeghino si preparò a sostenere l’urto decisivo con tenacia e ardimento mirabile, pur non tralasciando di brigare da una parte presso l’imperatore perchè inducesse il duca a venire ad un accordo di pace, e dall’altra presso il re di Francia incitandolo a calare in Italia alla conquista del ducato (3). (1) MissagGLIA, Op. cit., p. 69; Maurizio MONTI, Storia di Como, Como, 1831, vol. II, parte Î, p. 116. (2) TAGLIABUE, Il trattato del 7 maggio 1531, in Periodico della Società Storica per la Provincia e antica Diocesi di Como, Como, 1897, p. 17 e sgg. Un altra copia del trattato esiste in ASM, Carteggio generale, maggio 1531. Il trattato fu poi successivamente ratificato dai rispettivi cantoni, Cfr. ASM, Carteggio generale, maggio 1581; Potenze Estere, Svizzeri, cart. cit.; IECKLIN, Op. cit., passim. (3) CAMPELL, Op. cit., p. 196 e sg. Dalla citata lettera del Gilino del 13 maggio si ha che « anchora como 2 giorni avante l'homo del Medeghino era stato « da se (cioè dall'imperatore) a torre licentia col supplicarla di novo che le vo- « lesse dare il consenso del accordo che vol fare con quella (cioè col duca), al « che li ha risposto che prima faccia l'accordo, et doppo ritorni per 1l consenso. « Ordinommi parimente (Pimperatore) ch'io scrivesse a v. Ecc. che volesse usar « ogni diligenza per fare che detto Castellano accontentasse di pigliare qualche « intrata nel piano et le restituisse le fortezze che tiene ». A Carlo V, diftidente di quella guerra, premeva che si ven.sse ad un accordo di pace. Se non che lo Sforza, legato coi grigioni e cogli svizzeri, non poteva concludere la pace senza il consenso di questi, i quali avevano risoluto di farla finita col loro nemico. D'altra parte l’annicntamento del Medeghino tornava di protitto al duca. Il 16 giu 104 RINALDO BERETTA Il duca, in base al trattato, diede tosto mano ai preparativi. ll giorno seguente ordinò il sequestro dei beni del Medici e dei suoi seguaci, devolvendoli alla camera ducale, e incaricando a sopraintendervi Giorgio Maggiolino uno dei maestri delle entrate. Due giorni dopo emanava una taglia sul Medeghino, e su tutti quelli ch’erano con lui, ma che nessuno ebbe mai il coraggio di eseguire (1). L’8 maggio aveva inoltre eletto il Maggiolino quale gno lo Sforza scriveva al Gilino perchè avesse a difendere presso l' imperatore il suo operato, giacchè « per accomodarsi alli tempi et fuggire l’arme » aveva desiderato nei passati mesi di venire a patti col Medici benchè non ridondasse a suo onore, ma che avendo il Medeghino, durante le pratiche, ucciso l’ambasciatore dei grigioni col suo figliuolo, asssoldate le truppe spagnuole di Milano e di di Como nonostante il parere contrario di mons. Caracciolo, e occupata la Valtellina, i grigioni e gli svizzeri gli mossero contro con un esercito di quindicimila uomini. Gli svizzeri e i grigioni gli avevano perciò fatta più volte la proposta di unirsi a loro, minacciandolo diversamente di chiamare in aiuto i francesi e di spingersi fino a Milano e tutto devastare. Per evitare sì grave pericolo, tanto più che il Medeghino aveva fatto correre la voce di intrapprendere la conquista della Valtellina col consenso del duca, si trovò costretto a conchiudere il trattato di alleanza e a mover guerra al castellano; guerra che tornava a beneficio di tutta Italia, e a lui solo di grave danno per lc grandi spese che gli procurava. Non taceremo, soggiungeva, che il Medeghino si offri di consegnare al re di Francia tutti i suoi luoghi dietro altra ricompensa. E conchiudeva col dire di essere pronto a venire a patti purché ponesse nelle mani di sua Maestà Musso e Lecco. ASM, Carteggio generale, giugno 1531. In realtà le pratiche da parte del Medici per un accordo durarono più o meno attive finchè, riconosciutosi vinto, il 16 febbraio 1532 dovette accettare la pace che gli venne imposta dal duca cogli svizzeri e coi grigioni. (1) « Ihs « M.D. XXXI. die X Maij e (Omissis). Et perho per le presente in nome del prelibato Ill.mo et Ex,mo sig.re s. Francesco Secondo Duca de Milano, etc. Per questa publica Crida, bando, et comandamento se notifica ad qualunche cossì soldato ovvero officiale come privato, quali siano sopra li lochi et terre occupati dal dicto Gio. Iacomo Medico o in altro locho a suoi servitij, di puoter venire in termine de giorni quattro prox, mi sopra le terre de lo Ill.mo s. Duca senza pena per esser « stato al servitio desso Medico ne sopra le terre et lochi occupati da lui. e Che passato il detto termine quelli che si puotranno havere in le mane « delli sopradetti, cos:ì soldati come altri, sarano irremisibilmente impicchati « et quelli che si ritrovarano essere subditi di sua Ex.ia ultra che saranno im- « picchati se gl'intendano essere confischati li beni, « Che darà vivo Gioan Iacomo de Medici guadagnarà scuti tre mila cone tanti, quali sono in deposito presso messer Hieronimo Brebia thes.ro generale f A ì GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA 105 commissario a ricevere il giuramento di fedeltà dalle terre già del Medici coll’incarico di riscuotere nello stesso mese dai territori AaA n a’ f AA aa di sua Ex.a et scuti 500 de intrata ogni anno, et più chel possi levare. X. homini de bando banditi dal Stato di sua Ex.® per qual se voglia causa, oltra che essendo esso bandito per qualunche causa, s'intenda ipso facto liberato. Et chi lo amazzi guadagni la mità de tutte le predette cose. « Che darà vivo Baptista Medico guadagnarà scuti due mila contanti, quali sono in deposito come di sopra, et scuti tre mila de intrata ogni anno, et levarà de bando otto homini banditi ut supra. Et chi lo amazarà guadagnarà la mità de tutte le predette cose. « Che darà vivo Gabriele Medico guadagnarà scuti mille contanti depositati come di sopra et puotrà levare de bando quattro homini banditi ut supra. Et che lo amazarà guadagnarà la mità de le predette cose. e Sel sarà alchuna persona sij che si voglia, quale se ritrovi alli servitij o sopra le terre occupate dal p.to Gio. Iacomo de Medici qual sia bandito dal Stato de Milano per qualunche causa, che amazzi qualche persona de grado che sia o sarà al servitio del dicto Medico, come sarebbe Capitaneo, Lochotenente, o Banderale, soa Ex.s lo cava de bando immediatamente, et sel non sarà bandito sarà in facultà sua d’impetrar gratia per un altro bandito da soa Ex.* per qual si voglia causa, et gli donarano li suoi beni se ne haverano. « Sel sarà alchuna persona de quale grado o conditione che sia, che stia alli servitij per soldato de dicto Gio. Iacomo Medico, quale se parta in dicto termino di quattro giorni da lui, volendo, sarà acceptata nel medesimo grado di soldo da soa Ex, ma passato dicto termino niuno sarà più oldito ne admesso, etiamdio che fosse tamborino o trombetta. « Se farà alchuno che per quello modo meglio possa dia el Gastello di Musso o la terra di Leccho in puotere di sua Ex.® guadagnarà scuti quattro mila una volta tanto, overo quattro cento de intrata ogni anno come meglio gli parerà. e Sel sarà alchuno che con quale arte et modo se vogl a dia una de le nave grosse del ditto Medico armate in puotere de sua Ex.* guadagnarà scuti trecento d’oro, ma se la abbrusarà o affondarà in modo che dicto Medico et suoy più non se ne possi valere guadagnarà la mità de detti dinari. e Chel non sia persona alchuna, o subdita o non, quale porti ne facci} portare ne condure sorte alchuna de vittuaglie ne monitione al dicto Gio. Iac.° Medico et suoy frat.li, ne ad alchuno de lochi occupati da essi ne da suoy, ne gli dia in ditto o in fatto sorte alchuna de adiutto, et chi contravevenerà oltra che incorrerà in la pena de rebellione essendo subdita, sia licito ad qualunque persona cossì soldato de sua Ex. come non, ad fargli pregioni, fargli fare la taglia come a boni pregioni di guerra, et più gli possano amazare senza pena alchuna. Et s'alchuna persona sarà corsapevole de tali fautori et chel non gli manifesti a sua Ex.s overo al Cap.e0 de G ustitia, ch'el s'intonda incorrere in le medesime pene ». ‘a tergo) « Crid= contra Castellar um Mussij ». ASM, Sezione Storica cit., cart. I. 106 RINALDO BERETTA occupati e che si dovevano occupare la somma di cinquemila scudi d’oro del sole, e ciò per concorrere alle spese di guerra e per il bene di liberarli da quel tiranno. Purtroppo da quei luoghi, come il Maggiolino notificava da Como l’11 maggio, non si poteva riscuotere nulla essendo gli abitanti fuggiti, e poi perchè dove « sono « stati et se ritrovino li soldati Grisoni et Svyceri hanno quasi « consumpto ogni cosa ». A questo riguardo già dal 4 maggio il Vistarini aveva reso noto che i paesi del lago erano tutti pelati e abbandonati. Si dovette pertanto pensare altrimenti. Si decise per prima cosa di togliere al Medici il castello di Monguzzo coi possessi in Brianza nella persuasione che più facile sarebbe poi stata la conquista di Lecco e del lago (1). Saputosi che in Monguzzo non vi erano che pochi soldati, per essere stati tolti nella maggior parte dal Medici per contrastare l'avanzata degli svizzeri e dei grigioni, lo Speziano da Como mandò cinque coorti ad occupare il castello. Se non che il Medeghino, essendosi ritirati i nemici dopo conclusa l’alleanza collo Sforza, vi aveva mandato nel frattempo il Pellizzoni con buon numero di soldati coll'ordine di ben fortificarsi e di resistere fino all’ ultimo, in modo di dar tempo di porre Lecco in stato di miglior difesa e specialmente di poter raccogliere in Brianza il grano appena fosse giunto a maturanza, giacchè vi era grande penuria per la carestia. Giunti i ducali a due miglia da Monguzzo, e saputolo di nuovo ben presidiato è fortificato, sostarono aspettando i necessari rinforzi (2) Il 21 maggio il duca elesse comandante dell’impresa di Mon- (1) AI Curti, in Venezia, si scriveva il 29 maggio che il Medeghino sul lago aveva maggior numero di navi armate, e che perciò si era deliberato di fare ogni sforzo per togliergli prima di tutto Monguzzo, onde, assicurata quella parte di territorio verso Milano, poter gagliardamente attendere alle cose del lago, Musso e Lecco. Parimenti al Robio, presso la corte francese, il 10 giugno gli si notiticava che il Medici era superiore per numero di navi e di uomini abili nel navigare, mentre d'altra parte gli svizzeri e i grigioni erano poco adatti ad operazioni di assedio senza l’aiuto dei fanti italiani. Giudicatosi quindi poco conveniente attendere contemporaneamente a due imprese, si impose al Vistarini di fermarsi colla flotta a Menaggio e colle truppe a Dongo in modo che, mantenendosi soltanto in questi due iuoghi, si potesse impedire al Medici di scorazzare troppo liberamente sul lago, e intanto prendere Monguzzo. ASM, Carteggio generale, maggio e giugno 1531. ) (2) CAPELLA, Op. cit., col. 1233. - î GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA 107 guzzo il colonnello Alessandro Gonzaga, e, due giorni dopo, Gio, Battista Carcano come commissario ducale. Al Vistarini il 30 maggio fu imposto di attendere esclusivamente a Como e al lago (1). Lo Sforza non si trovava preparato: aveva domandato aiuto {soldati, polveri, ecc.) ai veneziani, ma questi, come pure al Medici che invocava soccorso, non diedero che buone parole: Venezia volle rimanere strettamente neutrale (2). La formazione del corpo di operazione, al quale dovevano partecipare due coorti di grigioni, fu infatti lunga e laboriosa. Le compagnie dei soldati giungevano in ritardo e senza il numero debito, mancavano le paghe, i viveri, l’artiglieria, le munizioni; ora mancava una cosa ora l’altra: deficienze che, più o meno, durarono per tutto il tempo dell’assedio. Il colonnello e il commissario sollecitavano continuamente l’arrivo di quanto era necessario per potersi muovere, particolarmente dei soldati dei quali il Gonzaga ne domandava almeno settecento per l’assalto e cinquecento per premunirsi alle spalle. Da notizie avute da un prigioniero, fatto in una scaramuccia sotto Monguzzo, e da disertori si sapeva che il presidio era di circa duecento uomini, parte paesani e parte lucchesi e sienesi, che il Pellizzoni incoraggiava facendo correre la voce che da Lecco sarebbero arrivati in soccorso duecento lanzichenecchi, Mentre in Anzano si veniva operando il concentramento delle forze ducali, una gentildonna del paese, con licenza del Gonzaga, ottenne di potersi recare a Lecco ad intercedere dal Medeghino la liberazione di suo marito prigioniero in Monguzzo per la sua fedeltà al duca. Vi andò ma non potè parlare con Gian Giacomo nè coi fratelli: dal Dugnani seppe solo che suo marito non si trovava in quel castello. Già prima e per mezzo dello Speziano, aveva ricorso al Pellizzoni ma invano. Arrivati i grigioni, i quali benchè in numero minore del convenuto pretesero paga completa (3), il primo di giugno si era de- (1) ASM, Sezione Storica cit., cart. I. (2) SANUDO, Op. cit., vol. 54, col. 438, 442, 458. (3) Nelle istruzioni mandate al Panizoni l’ 11 giugno il duca si lamentava che il capitano grigione all’ impresa di Monguzzo invece di 400 fanti non ne avesse che 180, e che a Menaggio col Vistarini al posto di 800 non ce ne fossero che 400. Gli raccomandava di far in modo presso gli alleati onde si provvedesse come si era convenuto nei Capitoli, e che i fanti svizzzeri, i quali dovevano 108 RINALDO BERETTA giso di trasportare il campo sotto Monguzzo, ma giunta la nuova della camiciata compiuta dal Medeghino sopra Musso e della sua partenza colla flotta verso Lecco, lo Speziano, dubitando che fosse per soccorrere Monguzzo, diede ordine di non muoversi fino a tanto che si fossero conosciute le intenzioni del nemico. Finalmente il 6 giugno, stante le insistenti lamentele degli alleati per tante lungaggini (1), benchè non fossero ancor giunte tutte le truppe richieste, l’esercito ducale mosse verso Monguzzo e pose il campo a Cavogno. Quivi si fortificò e, fatte le spianate, vi piazzò l’artiglieria in diverse riprese per battere le mura. Il 9 venne a Monguzzo il Bentivoglio con lo Speziano, seco conducendo i cavalli della guardia ducale essendo stato sollecitato l’invio di una compagnia di cavalleggeri per il servizio di esplorazione al di qua e al di là del Lambro, e si domandò la resa del castello. Rispose il Pellizzoni che si sarebbe piuttosto lasciato tagliare a pezzi. Non rimaneva che prendere il forte a viva forza. Nella notte con circa duecentotrenta guastatori, sotto la guida di Benedetto da Omate a ciò delegato dallo Speziano, si iniziarono i lavori di trincea per avvicinarsi alle difese nemiche e atterrarle, ma essendone rimasti morti e feriti parecchi molti vinti dalla paura fuggirono. Tre giorni dopo il Bentivoglio era di nuovo a Monguzzo e potè constatare come si erano già abbattute certe difese della torre e della muraglia, ma poichè i nemici si difendevano con tenacia e valore soraiutarlo nella guerra contro il Medici, fossero armati di archibugi, anzichè di picche, necessari per respingere gli assalti, e che sopratutto si trovassero nel numero convenuto, poichè molti erano in paghe ma pochi in fazione di modo che si restava sconfitti come avvenne nell’assedio del castello di Musso. ASM, Potenze Estere, Svizzeri, cart. cit. (1) Il Vistarini scriveva il 7 giugno al Bentivoglio dal campo di Menaggio com’ egli facesse di tutto per trattenere i grigioni ch’ erano con lui, ma che continuamente gli « attossicavano il core per l'impresa di Monguzzo dicendo « che si mancava di afretarla ». Va notato che in quei giorni le operazioni di guerra volgevano in favore del Medeghino tanto da impensierire gli stessi svizzeri e grigioni: egli aveva respinto i nemici che assediavano Musso, battuto i grigioni a Dongo, e i ducali a Menaggio. IECKLIN, op. cit., I, p. 102 e sg.; II, p. 165 e sgg. Marco Sittich da Ems, indotto dal Medeghino che voleva approfittarne della buona occasione, il 20 giugno inoltrò alla Ditta Federale in Bremgarten una proposta di mediazione da prendersi a mezzo suo o d«l papa tra i federati e il castellano di Musso. TECKLIN, op. cit., ], p. 104. La proposta non ebbe seguito. : GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA 109 retti dalla fiducia che il Medeghino non avrebbe mancato di soccorrerli, trovò urgente l’invio di altre truppe e di polvere, avendone i cannonieri già consumata più di ottomila libbre, con cento palle “« de canoni de 50 », Il colle sul quale si ergeva il castello si può dire che quasi da tre lati scende ripido sul pjano, e talora a picco come verso Lurago. La parte che si prestava ad un attacco, e dove al tempo del Medici si faceva la guardia di notte, era quella che prospettava Erba e che declina dolcemente verso l’attuale cascina Enrichetta, dove passa la strada che da Nobile conduce ad Anzano. La porta che anticamente serviva di ingresso al castello si apriva verso Pusiano, ma il Medici trovò più conveniente aprirne un’ altra con ponte elevatoio dalla parte opposta. Da questo lato correva la fossa, e il Pellizzoni rafforzò le difese elevando un bastione largo 15 piedi e tanto alto da coprire le mura dai colpi dell’ artiglieria, una casamatta ed altre fortificazioni sapientemente concatenate. La notte del 14 i guastatori coperti da gabbioni si avvicinarono alla casamatta per zappare il bastione ma dovettero ritirarsi, feriti la maggior parte, per i sassi che precipitavano dall’alto gli assediati. Si trovò il bastione più forte di quello che si pensava e la fossa molto larga. Francesco Bernardino Pietrasanta, gentiluomo milanese banderale del conte Gerolamo Crivelli, il quale temerariamente aveva voluto arrampicarsi sul bastione sventolando la bandiera verso i nemici, rimase colpito a morte da un’ archibugiata. Era costui un prepotente. Giorni prima era venuto a contesa con un soldato. Tutto pareva finito, quando poco dopo, a tradimento, .colpiva mortalmente alla testa con un colpo di spada il suo avversario che stava giocando. Tal fatto irritò talmente i soldati, tanto più che il Pietrasanta era dalla parte del torto, che il Gonzaga aveva cercato di farlo allontanare dall’esercito (1). Ma benchè il Gonzaga scrivesse al duca il 17 che si andavano « cavando li bastioni de li inimici per intrare in la fossa per torli « certi fianchi con li quali si defensano », tuttavia il lavoro dei guastatori si faceva sempre più pericoloso, e non pochi rimanevano ———————————— (1) Il MissaGLIa, op, cit., p. 76, scrive invece che il Pietrasanta era insegna del conte Francesco Gallarato, e aggiunge ch'era « uomo non pur di gran cuore, « ma sprezzatore di ogni pericolo ». 110 RINALDO BERETTA uccisi, man mano che sì veniva avvicinando le difese vitali del forte (1). Perciò molti fuggivano: il 14 erano scappati quelli incettati a Varese, e il 18 quelli della pieve di Vimercate, riparando non già alle case loro ma al di là dell'Adda per non essere presi e puniti. Si pensò allora di aggiungere ai rimasti un certo numero di soldati grigioni, dando loro la paga di diciotto soldi al giorno. Vi si lavorava di notte divisi in squadre, dandosi il cambio ogni otto ore, ma il lavoro rendeva meno quando c’era il chiaro di luna. D'altra parte gli assediati sì difendevano con grande vigore. Il 21 in una sortita avevano ucciso, fra gli altri, « M.ro Maphio » bombardero et ingignero ». Un disertore, fuggito dal castello il giorno seguente, dava notizia che nel forte vi erano una quarantina di feriti, che la razione era stata ridotta da tre pani a due, che il Pellizzoni incoraggiava i suoi promettendo che non sarebbero mancati dei soccorsi, e che vi si era inoltre costruita con legnami una seconda casamatta nella quale non si poteva entrare « se non venghano fora del portello et adreto la muraglia, et in « quella non vi possono stare più di quattro homini con la fossa .« larga un brazo, et hanno piantato certi travi a una colombera « con intentione de reparare et fortificare, dubitando che da quello « canto non si batesse con l’artigliaria ». Dell’arrivo di aiuti agli assediati erano giunti parecchie volte avvisi ai ducali. Il 10 giugno da Olginate il Villanterio aveva avvertito, come di cosa certa, di una camiciata da parte del Medici: si stette in armi tutta la notte, ma non ne fu niente. Si era riusciti invece il 14 all’ una di notte a far prigioniero Bernardino da Tabiago « famero di stalla del Medeghino », che era partito da Lecco con una lettera e con medicine pel Pellizzoni, accompagnato da un certo Steffano, detto « marrano », servitore del Medici. Il Marrano aveva l’incarico di domandare al capitano Nicola e a Galeazzo Crivelli se fossero sufficientemente forniti di soldati e di munizioni. Il Bernardino fu impiccato il 25, e Steffano riservato per uno scambio (1) Tutte queste difficoltà contrariavano il duca, il quale non si aspettava che la conquista dovesse andare così in lungo, e si lamentò col Gonzaga stesso della sua negligenza, il quale con lettera del 22 dovette difendersi col dirc che egli faceva tutto il dover suo e che si trattava di prendere un luogo difficile e ben difeso. i GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA i III di prigionieri col Medeghino (1). I ducali, onde premunirsi da qualsiasi colpo del Medici e comunque impedire l’arrivo agli assediati di qualsiasi soccorso, fortificarono meglio il loro campo, inviarono soldati ad Olginate aumentando il presidio di quella torre, e collocarono in Nobile la compagnia del capitano Bastiano Picenardi di fresco giunta. Lo Speziano aveva insistito presso il duca di presidiare altresì Civate, luogo rimasto indifeso dopo che il Gonzaga il 2 giugno aveva richiamato al campo il conte Crivelli co’ suoi fanti e co’ suoi cavalli, ma non se ne fece niente perchè al colonnello premeva di non indebolire troppo le sue forze. Lo Speziano, tra l’altro, informava che il Medeghino sulle grosse navi armate « li homini ha preso nel monte de Brianza e tutti gli incatena ». Che il Medici, nonostante tutte le precauzioni dei ducali, tralasciasse di far pervenire dei soccorsi ai suoi non era nemmeno da pensarsi. Il 28 infatti si riuscì a sorprendere ad Olginate una spia la quale veniva a notificare al Pellizzoni come in quella notte il Medeghino avrebbe mandato sedici some di farina, una di polvere, un barile di polverino, ed una corda con nodi distanti l’uno dall’altro un mezzo braccio per « songhiarsi con tutti li compagni di fora per « lo ultimo remedio » alla volta di Lecco. Si vegliò tutta la notte, scrive il Gonzaga, « expectando chi decta farina et polvere et pol- « verino et songhia dovesse essere portato per chi per detta spia « era facto intendere venire dentro così accompagnato da cento- « cinquanta soldati con uno capitano qual veniva per loro governo ». Il Carcano invece informava trattarsi di un carico di venti cavalli con cinquanta archibugieri. Tanto il colonnello quanto il commissario ebbero ad affermare che, per quanto vigilassero, non si ve- (I) ASM, Carteggio generale, giugno 1531. Dall'interrogatorio dei due prigionieri si potè sapere che in Lecco il Medici aveva più di trecento uomini, ma soldati di guerra e pagati non erano che da 100 a 150, dei quali 70 lanzichenecchi di Michele Corso i quali giorno e notte facevano la guardia alla porta. Vi era inoltre il Capuzo con 14 cavalli leggeri. Sul lago aveva 12 legni grossi, 4 brigantini, ed altre piccole barche montate da 150 a 200 uomini sotto il comando del Borserio. Complessivamente le forze totali del Medeghino erano da 400 a 500 fanti. In Lecco poi si diceva che si aspettava da suo cognato un soccorso di 400 lanzichenecchi, il capitano Sarra con mille spagnuoli, e altri soccorsi dal Piemonte mandati dal fratello protonotario. Tuttavia riguardo ai lanzichenecchi era giunto il giorno prima in Lecco un messo il quale dichiarò che il re dei romani non poteva lasciarli partire, avendo da pensare ai turchi. 112 RINALDO BERETTA rificò nulla. In realtà quando i ducali penetrarono nel castello sì constatò che quel soccorso, se non in tutto, almeno in parte era riuscito. La presa di Monguzzo andava troppo per le lunghe: l’onore delle armi ducali ne soffriva, giacché gli svizzeri e i grigioni ne movevano continui lamenti (1). Ma ormai si era agli sgoccioli, e i soldati da una parte e dall’altra non tralasciavano di insultarsi a vicenda appena il potevano. ll Bentivoglio, che di tanto in tanto non mancava di venire a Monguzzo per sollecitare le operazioni spinto anche da un certo amor proprio di spuntarla con onore contro il Medici il quale gli aveva tolto quel castello, venne il 28 a vedere se non era il caso di tentare con successo l’assalto, giacchè si era bombardata la casamatta e la muraglia. Col Gonzaga e gli altri capitani, unitamente al « Tantio, Mastro Bono et Ant.° spa. « gnuolto ingigneri » e ai cannonieri, fece un sopraluogo, ma si trovò necessario, essendo l’erta da salire alta diciotto braccia circa, di continuare ad intervalli il bombardamento con piccoli pezzi, e intanto entrare di notte nella fossa e zappare dal bastione tanto di materiale che facesse scala al salire. Finalmente il primo di luglio il Carcano poteva scrivere al duca che, padroni della fossa e ruinate le due casematte « di modo che da quello canto niuna cosa « ne po offender se non sassi ali quali se li remedia senza dila- « cione de tempo in far ponti de assi per andarchi coperto », non restava che zappare il bastione e che se i guastatori fossero in numero sufficiente non passerebbe domattina che si sarebbe padroni di Monguzzo. Tuttavia nella notte si lavorò tanto che la mattina seguente si decise l’assalto. Le compagnie dei capitani Picenardi e Guasto coi cavalli della guardia ducale vennero collocati in Nobile pronte ad impedire, durante l’assalto, la fuga del nemico o l’arrivo di qualsiasi soccorso, e ai grigioni si diede l’incarico di custodire l’artiglieria. Il rimanente delle truppe fu schierato su tre (1) Il 27 giugno il duca alle lamentele degli svizzeri rispondeva ch'egli aveva eseguito per terra e per acqua quanto si era concordato nei Capitoli, e così pure riguardo alle paghe. Per i fanti svizzeri di Dongo osservava che benchè si dovessero punire per la loro disul'bedienza al comandante ducale, tuttavia avrebbe dato loro la paga. Non voleva però altri svizzeri. ASM, Potenze Estere, cartella cit. Il giorno seguente vennero a Monguzzo a verificare 1’ andamento delle operazioni il Travers e il capitano di Sciaffusa. ASM, Carteggio generale, giugno 1531. GO ogle GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA 113 file. Nella prima stavano le compagnie del Ruschino, Cellano, e Mantegazza; nella seconda quelle del Favagrossa, Campana, ed loseph; nella terza le altre del Crivelli, Lampugnani, Gallarati, e Taverna. Le schiere dovevano soccorrersi a vicenda secondo il bisogno. Il Pellizzoni, che non aveva ormai viveri e munizioni che per qualche giorno, per mezzo del Picenardi domandò di arrendersi salve però le persone e gli effetti, e di poter andare a Lecco. Tenutosi consiglio, il Bentivoglio intimò la resa a discrezione. Rispose il Pellizzoni che tal resa implicava il diritto di fare impiccare tutti i difensori, e che dovendo morire lo era meglio coll’armi alla mano. Si venne all’assalto. I capitani, banderali, luogotenenti, e gli uomini d’onore salirono valorosamente, ma non essendo prontamente seguiti dai soldati furono respinti con parecchi morti e molti feriti. Fatte -riposare le truppe circa un quarto d’ora si tentò con maggior vigore un secondo assalto. Già venticinque uomini con due bandiere erano montati sulle mura e gli altri seguivano, ma il nemico, il quale aveva innalzato al di dentro un parapetto, si difese con tale energia con gli « archibusi, sassi, fochi artificiali, rotte s d’artigliaria, cerchij di ferro, travi, et mille altri instrumenti », che l’uno non potendo soccorrere l’altro furono di nuovo ributtati colla morte del Campana, del banderale del Gallarati colla perdita dell’insegna, e di altri molti. Assai di più furono i feriti, tra i quali gravemente il Favagrossa (1), il Lampugnani, e, leggermente ad una mano, il Crivelli. Si voleva dal Gonzaga tentare un terzo assalto, approfittando della stanchezza del nemico, ma il Bentivoglio, considerando che tra morti e feriti si erano perduti circa centocinquanta uomini (2) e ne sarebbero potuto mancare degli altri, e che. qualora venisse in soccorso il Medeghino ricevere maggior danno, deliberò di soprassedere e fare invece buona guardia intorno al castello con intenzione di rinforzare le truppe e di facilitare.l’espugnazione con l’opera dei guastatori, sperando con minor danno di farsene padrone fra pochi giorni (3). ‘. L'assalto non sarebbe riuscito, secondo la relazione del colla- ...(2) Al Favagrcssa, nel comando della compagnia, il Bentiveglio sostituì un fratello del Lampugnani. | (2) Altre relazioni danno cifre minori. Il CAPELLA, Op. cit., col. 1234, € il CAMPELL, Op. cit., p. 196, parlano di ottanta morti e numerosi feriti. (3) ASM, Carteggio generale, giugno e luglio 1531. Go ogle 114 RINALDO BERETTA terale Giovanni Grasso che si trovava al campo, per mancanza dì scale; se ne adoperarono due sole, sulle quali non potevano montare alla pari che due uomini a stento, di maniera che « a colpi « de archibusate, fochi artificiali et sassate furono morti li primi « et cascavano adosso ali altri. Tali effecti invilirono le nostre « gente et se perse et p.° et 2° assalto ». In realtà gli assediati si erano difesi con disperato valore. Tra questi si distinse l’alfiere del Pellizzoni, Antonio Criminale, il quale, mentre combattendo esortava i suoi, si vide cadere morto il fratello, colpito da un’archibugiata in fronte. I soldati impressionati incominciarono a cedere ; l’ alfiere li riprese e preso il cadavere del fratello per una gamba lo precipitò dalle mura (1). La situazione degli assediati era disperata: dagli ultimi contrassegni avuti dal monte di Civate non c’era più speranza di soccorso, e il castello tutto all’intorno era guardato dai soldati del Picenardi e Favagrossa e dai grigioni. In quel terribile frangente non si perdette d’animo il Pellizzoni: calmo e audace verso le due di notte uscì in silenzio co’ suoi valorosi, passando dalla parte dove stavano i grigioni, e mosse veloce verso Lecco, non lasciando nel castello che pochi ammalati e feriti (2). Si accorsero i ducali sul far del giorno della fuga dei nemici; li inseguirono ma inutilmente. Solo il Picenardi riuscì a fare sette od otto prigionieri. Da un rapporto del 3 luglio si volle far credere che una sentinella avesse visto uscire una cinquantina di uomini e che ne desse l’all’armi, ma poi più avanti, contraddicendosi, vi si dice che i ducali sì accorsero della fuga solo verso le quattro e che inseguirono i nemici ma senza poterli raggiungere. ll rapporto finisce col dire che i nemici « havevano pur anchora vitualia per qualche dì, et (1) MISSAGLIA, Op. cit.. p. 77. (2) Da una lettera di Angelo Medici del 9 luglio si ha che lo stesso Medeghino, venuto a Monguzzo, avrebbe a cavato de fora tutti li soi sani et salvi ». Questo particolare non trovo confermato nè da altri documenti nè dagli storici. Si ricava inoltre che la strenua difesa del Pellizzoni raggiunse il suo scopo ch'era quello di dar tempo per requisire il grano, appena giunto a maturanza, al di qua dell'Adda verso Monguzzo, e che il castello per quant) in due volte battuto con più di 15009 cannonate non si riuscì a sforzarlo, ma si dovette abbandonarlo solamente perchè i guastatori avevano tanto scavato che i ripari e i SSSHOnE3 non | potevano più star saldi. ASM, Carteggio generale, luglio 1531. CÒ ogle - GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA 115 « da. 6. dì in qua le è intrata vitualia et monitione che se li è « trovato dentro li cavali da soma. Ne son morti et feriti assai de « loro. Tutto quello che se li è trovato intro subito è stato sache- « giato, però questi soldati si dano al diavolo che costoro se ne “« sono andati così senza loro danno » (1). Il Medeghino non dimenticò i suoi valorosi caduti in mano dei nemici. Mandò un suo tamburino al Gonzaga colla proposta che restituendo il capitano di bandiera del Pellizzoni con Francesco d’Orsenigo, il Caravacca e gli altri feriti lasciati nel castello, egli avrebbe rimessi altrettanti dei ducali a scelta. Le pratiche per lo scambio dei prigionieri durarono parecchio, perchè il duca non intendeva cedere il Caravacca. Ma il Medeghino rispose che senza quello non concedeva nulla, e allora il duca cedette (2). La presa di Monguzzo segnò la fine del dominio del Medìci in Brianza, ma, se crediamo all’Angelo Medici (3), costò al duca la spesa di ben cinquantamila scudi, tanto che dovette imporre un’altra volta in Milano il dazio della macina di uno scudo al moggio (4). L’esercito ducale, da rassegna fatta il giorno seguente, era di 1248 uomini computati 180 feriti. Alcuni giorni dopo si trasportò a Civate, fortificandovisi, per operare il concentramento delle truppe, dovendosi completare le compagnie, e di tutto il necessario per la conquista di Lecco. Il castello di Monguzzo non fu lasciato in abbandono, ma si pensò a presidiarlo e a ripararlo. Il 6 luglio fu comandato a Giovanni Savana di recarvisi con cento soldati, e di porsi agli ordini (1) Che i soldati del Medici avessero fama di soldati del diavolo ce lo conferma anche il BurIGOZZO, Op. cit, p. 508. (2) Nel castello non dovevano essere rimasti che gli ammalati e i feriti gravi. Riguardo al Caravacca, spagnuolo, il Medici non l’avrebbe mai cambiato, scrive il Missaglia, col più valoroso soldato che avesse tra tutte le sue genti, tanto era abile nel mestiere di fare la spia. Chi fosse poi Francesco da Orsenigo non saprei dire. (3) Dalla lettera cit. del 9 luglio. (4) Scrive il Burigozzo che «e a dì 20 zugno, fu azonto alla maxina soldi « 505 e azonto al vino, che ogni brenta de vino pagava soldi 32 (sic) a intrare « in Milano de più del solito, che sono in tutto lire 5 al mozo a chi vorrà far e masnare el gran; et così della segra e del meglio, zoè alla rata ». Milano si turbò grandemente per questo sggravio, ma il 10 agosto si dovette inoltre caricare i proprietari di fondi di un soldo in più la pertica. Cfr. Buricozzo, Op. cit., p. $07 € Sg. 116 RINALDO BERETTA del conte Gerolamo Crivelli: 1° 8 era già sul posto, dopo essersi fermato il giorno prima a Giussano per far riposare i soldati stanchi e spossati. Il Savana si diede tosto a riparare il castello, Il 22 agosto informava che era « rimesso al pristino stato salvo le ca matte »: egli aveva allora 30 paghe con 25 soldati. I lavori non dovevano tuttavia essere tanto innanzi, come lascerebbero supporre quelle parole. Infatti il 28 settembre, dopo aver detto ch'egli faceva raccogliere vino sui fondi di messer Franchino da Mandello, beni devoluti alla camera ducale perchè serviva il Medeghino e al tempo della, raccolta aveva trasportato a Lecco il grano e le bestie, scriveva al Bentivoglio che si lavorava a far restaurare il castello « per la cui fabrica la plebe de Ayate di qua e di là dal Lambro « sì è componita come per diverse mie ho advisato v. Ill. s. eccepto « chel loco de Giusano per el quale quella mi commisse ch’io su- « persedesse in dargli alcuna molestia per giorni sey, et così non « solo ho sopraseduto per li sey giorni, ma per più di quaranta, « ne mai hano perhò voluto darne una sola opera, il che oltra che « poco me stimano, pare anche alli altri loci dessa plebe che gli « sij fatto un poco de carico ». Domandava perciò come dovesse comportarsi, e che qualora non si volesse che quei di Giussano avessero a pagare denari, almeno gli mandassero operai come aiutanti ai maestri di muro. Il presidio mancava del necessario. Il Savana insisteva perciò nelle sue lettere perchè si avessero a provvedere letti, coperte, ecc, e l’ultimo di settembre domandava di essere pagato perchè nè lui nè i suoi soldati avevano fino allora ricevuta paga alcuna. Di necessità egli e i soldati dovevano arrangiarsi come meglio potevano : accusati di rubacchiare in paese e nef dintorni rispondevano, e si capisce, che non era vero (1). Il castello ebbe ancora un momento d'importanza negli avvenimenti guerreschi di quei giorni. Il 5 dicembre il Medeghino riprese Lecco al Gonzaga, e le forze ducali furono concentrate parte a Como e parte a Monguzzo « per maior securtà de quelli lochi » (2). Il Meroni scrisse che i terrieri dei dintorni di Monguzzo ottennero dal duca (non dice quando), mediante lo sborso di dodici mila lire, di poter demolire il castello (3). Ciò. non ‘ho trovato. (I) ASM, Carteggio generale, luglio 1531; Sezione storica cit,, cart, 2. ‘ (2) SANUDO, Op. cit., vol. 55, col. 250, 258. (3) MERONI, op. cit., vol. II, p. 198. © > GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA 117 D'altra parte il Gianetti affermò che nel 1672 il castello esistesse ancora abbastanza agguerrito e fortificato : l’asserzione non è esatta, giacchè nel documento citato dall’ autore non si fa che riportare lo stato del castello quando venne a morire l’ultimo dei Dal Verme (1). Il castello di Monguzzo, dopo la pace del 1532, ritornò in pose sesso dei Bentivoglio : demolizioni e trasformazioni avvennero via via lungo i secoli a seconda dei gusti dei diversi proprietari, così che oggi ben poco è rimasto dell’antico castello (2). R. BERETTA. Documento (3). Capituli quali promette lo Illustrissimo Signor Antonio de Leyva Capi:- taneo del Stato de Milano per la Cesarea Mayestà al Signor Io: lacobo di Medici Castellano et Signor di Musso. ° 1.0 Promette lo preditto Illustrissimo Signor Antonio confirmare al . predicto Signor Castellano il castello di Musso et la torre de Ologna et tutto il Paese, quale di presente possede per se et soi successori et detti Paesi non si habbino ad reconoscere dal Stato de Milano in alchuna cosa salvo nella superioritate del Imperatore, el Paese et laco di Como, intendendo che la detta jurisdictione non si exstenda apresso di Como a dece millia, valle Dinteler, Hosteno, Valle Solta, el Contado de Prolezza, Menasio et la Valle Arzonicha, le tre piebe, el laco di Sopra la Rivera, Valle Sassina, Valle Magrera, Monguzo, la plebe de Inzino, la corte de Casal et Vallassina con titulo de Marchese, et che lo predicto Signor Castellano possa lassare tutte le jurisdictione, terre et altre cose dette a chi a lui parirà tanto suo quanto extraneo, et tanto per ultima voluntate, quanto per contracto intra vivi, et che non possa disponere come di cosa propria, alienandoli et impegnandoli senza che habbia ad richiedere la voluntate de alchuni Superiuri ne anchora de la Cesarea Mayestà, purchè non ne dispone in inimici de essa prelibata Cesarea Mayestà, et che possa disponere de detti loci et jurisdictione anchora in uno extraneo. a° Promette il preditto Signor Antonio pagare al preditto Signor (1) GIANETTI, /) Castello di Monguzzo, Milano, 1888, p. 81; ASM, Feudi Camerali, Monguzzo. (2) GIANETTI, op. cit.; ASM, Feudi Camerali cit. (3)»Dal cod. Trivulziano, 1523. E' la copia di una copia esistente a Parigi, Arch. Stor. Lomb., Anno XLÎIIT, Fasc. I-IT. 8 118 RINALDO BERETTA Castellano fanti cento ogni mese in tempo di pace per guardia det castello de Musso, in ogni tempo et siando guerra per conservatione: de detto Castello et Paesi tanto de più quanto serà il bisogno et beneficio de sua Mayestad Cesarea, così venendo alli danni Soi alchuni de li Signori de la liga, che Soa Magestà lo adiuterà o vero li darà il modo de defenderse. 3.° Promette il preditto Illustrissimo Signor Antonio fare bono al preditto Signor Castellano scuti vintimillia per tanto che doveva havere dal Duca Francesco Sforza, S.tà dil nuestro Signor, et Signoria de Venetia, et li quali dinari furno spesi contra Francesi et Grisoni la inmaggiore parte per beneficio de la Cesarea Majestà, et non dando al predicto Signor Castellano la detta somma assignarla sopra li datii di Como, o vero in altro loco de la ratta parte che importa la intrata de detti dinari sino che sia satisfacto, o vero dargli in Alamagna altra ricompensa. 4.° Che li scuti doe mille quale lo preditto Signor Castellano de havere ogni anno da la Santità de nuestro Signor travaglierà tutto il possibile per fare che li habbia. 5.° Promette lo preditto Signer Signor Antonio al predicto Signor Castellano che per li scuti doe mille, quali li ha de dare la illustrissima Signoria di Venetia ogni anno, che possa fare tanta ripresaglia sul paese de detta Signoria che sia pagato, et in caso che prendesse il preditto Signor Castellano qualche loco o terra de li preditti Signori Veneti, dove si potesse cavare denari, che in quello caso possa scodere tanto quanto importa la intrata de li detti doe mille scuti che seriano scuti quaranta millia, ma essendo preso loco, terra, castello o vero Città del preditto Signor Illustrissimo de quelli de li detti Signori Veneti, non vole essere obligato dargli più de li scuti doe mille l’anno. 6.° Promette il preditto Signor Antonio dare al preditto Signor Castellano di presente la terra di Lecho et soa jurisdictione et il ponte libero in dono et senza altro obstaculo. 7.° Che darà al predicto Signor Castellano per esso et soi figlioli venendo al servitio de la Cesarea Magestà una pensione honesta tanta che se contentarà. 8.0 Chel predicto Signor Castellano, soi fratelli, Gentilhomini et Soldati, che sono apresso di soa Signoria serano liberati da ogni bando et altre condemnatione potesseno havere sino al dì de oggi et che li serano restituiti li soi beni liberamente, et che li possano goldere così, stando apresso di lui, come se si ritrovasseno in altra patria, con questo che li habbia ad nominare in termino de giorni octo, 9.° Che harà un loco nel Senato per un suo Fratello. 10.° Che li concederà amplo Privilegio di potere battere denari nel castello de Musso. 11.° Promette lo preditto Illustrissimo Signor Antonio al predicto Signor Castellano che non li serà sminuito alchuno datio così di mereantia et di sale come di altro di quello ha nel paese di presente. GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA 159 12° Che alchuno non se harà impazare de li soi subditi ne in soi beni nel santo (1) Paese. 13.° Che venendo esto preditto Signor Castellano in guerra con Grisoni, per essere al servitio di soa Magestà o per altro, che el Paese che pigliasse alla spesa sua sia suo libero, et pigliandosi alla spesa de soa Magestà che 11 Contado de Chiavena et Valle sia suo. 14.° Che darà al Signor Fortunato Cusano una pensione scuti ducento l’anno. 15.° Che se alcuno o sia subdito di presente o venesse alla servitù di soa Majestà Cesarea et che si pretendesse habere ragione in alcuna cosa o castello o terra ov valle de le preditte di sopra, promette lo preditto Signor Antonio al preditto Signor Castellano che la Cesaera Magestad darà alli prefati o a qualunche dessi pretendenti habere ragione sopra essi loci, castelli, Terre et Valle altra ricompensa in loco dessi, et che al preditto Signor Castellano per tal cosa non serà dato molestia. 16.° Promette dare una honesta pensione alli Capitanei del preditto Signor Castellano et maximamente alli Capitanei Io: Mella et Nicola. 17.° Che lo preditto Signor Castellano non serà astrecto condure soldati senza che siano pagati. 18.0 Che occorrendo alla prelibata Magestà per qualchi besogni soi lassare el Stato de Milano, o per pace o per altro, al Duca Francisco Sforza, o al Rey Christianissimo o ad altra persona, che soa Magestad reserverà lo predicto Signor Castellano con li soprascripti capituli. 19.° Promette lo predicto Illustrissimo Signor Antonio al predicto Signor Castellano de fare dare da la Magestà Cesarea uno cambio al Signor Hieronimo Morono in loco di Lecho. 20.° Che di presente lo illustrissimo Signor Antonio confirmarà el tutto come di sopra et piu li dà lo squadron, lo medemo farà il Signor Gaspar Frontzperg Colonello de Alamani, et anche promette che il serenissimo Rey de Ungaria et lo regimento de Hispruch conferirà tutto lo soprascripto in tempo ‘honesto, et che soa Magestà inandarà la confirmatione del tutto per soi privilegi in tempo honesto. 1.° Promette lo predicto Signor Castellano, venendo alli servitù de la prelibata Cesarea Majestà, che in termino de sei di proximi pigliarà licentia da Francia et Venetiani et da qualunque altro ad chi fosse obligato, et serà amico de li amici et inimico de li inimici de soa Majestà et servirà lealmente et non miancharà del debito suo. 2° Promette il preditto Signor Castellano di dare il passo aperto per la via de Alamagna, venendo il soccorso di Soa Magesta, et tarlo passare liberamente et dargli victualie per soi denarì, et condurlo duve lo illustrissimo Signor Antoniv vorrà. 3.0 Item promette de dare tre miile di turmento, sichale, et mill (1) Forse per detto o hauto. Questo ed altri errori di trascrizione, che il lettore potrà facilmente notare, forse si spiegano dal fatto che il copista fu un francese. CO ogle 120 mR. BERETTA - GIAN GIACOMO DE’ MEDICI IN BRIANZA per condurlo dove vorrà la excellentia del a Signor Antonio qual li sia poi pagato honestamente. 4.0 Item promette somme doe mille di sale et mandarle come di sopra, qual li siano pagate come di sopra. 5.° Promette de tenire il passo aperto acciò che li Mercadanti possano andare liberamente a comprare de ogni sorte Victualie et Grassi et condurli ad Milano, a Como et in ogni lochi sottoposti alla cesarea Majestà. 6.° Item che serva di presente alla Cesarea Majestà con fanti mille et cavalli cinquanta a soe spese dove serà bisogno. 7.° Item promette come di sopra essere leale et fidele al Imperatore et al predicto lIllustrissimo signor Antonio et fare quanto li serà coinandato per servitio di soa Magestà. 8.° Item promette el predicto signor Castellano che per osservatione et adimpimento de le predicte cose consignarà, per obstagio al predicto signor Antonio, Domino Gabriel suo fratello, quale andarà dove il predicto signor Antonio vorrà, et che il signor lo: Baptista tambene suo fratello starà apresso di soa Excellentia servendo al modo li serà vrdinato da soa illustrissima Signoria, et pro fide de le predicte cose lo preditto illustrissimo signor Antonio et lo signor Io: Baptista di Medici, come mandatario del signor Io: Iacobo suo fratello et per lo quale ha promesso de ratto, si sono sottoscripti di soa mane propria a dì ultimo Marzo 1528 in Pioltello. Superscriptum Antonius de Leyva et lo: Baptista De Medici et sigillata utriusque infra erat. Quoniam convenire cum originali comperii in fidem manu propria scripsi signatum Politianus, | Conforme èà la copie WynNANTS, 1787. 3 LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS OSSIA CATALOGUS TOTIUS CLERI CIVITATIS ET DIOECESIS MEDIOLANENSIS, cum TAXA A SINGULIS sol. VENDA PRO SUSTENTATIONE SEMINARII INIBI ERIGENDI — compilato l’anno 1564. ACCOGLIENZA fatta alla « Notitia cleri mediolanensi de anno 1398 », pubblicata in quest’Archkivio (a. XXVII, Sl i24 fasc. XXVIII, 1900) e la constatata utilità di simili [gdo pubblicazioni, per far conoscere nei più minuti particolari l’ordinamento della diocesi milanese, mi indussero a trascrivere urm’altra statistica della diocesi di Milano, compilata nel 1564, prima che S. Carlo Borromeo ne assumesse personalmente il regime. Da questo documento si rileva lo stato della diocesi nel tempo antecedente alle molteplici soppressioni, alle unioni dei benefici, alle traslazioni di titoli, ecc., che il santo riformatore fece, durante il suo non breve pontificato, per meglio provvedere alla assistenza religiosa del popolo ed al riordinamento beneficiario richiesto dopo un lungo periodo di stasi, la quale fu non ultima cagione degli abusi, che il Concilio di Trento volle togliere, dando ai vescovi le facoltà straordinarie per le riforme richieste dai bisogni locali. | Il nostro documento fu redatto in occasione dell’erezione dei seminari diocesani, ordinata dal Concilio con decreto del 15 luglio 1563 (Conc. Trid., sess. XXIII, de reformatione, cap. XVIII), il quale imponeva una /assa su tutte le rendite beneficiarie e degli altri enti dipendenti dall’autorità ecclesiastica, da stabilirsi da una commissione speciale di delegati del Clero diocesano. Questo è il ruolo definitivo, che al 5 ottobre 1564 era già ultimato (come rile 122 MARCO MAGISTRETTI vasi dal verbale di consegna fattane al Cancelliere Arcivescovile scritto in fine al documento con le sottoscrizioni autografe di tutti i Commissari e del Cancelliere) e che agli effetti giuridici anche civili fu pubblicato il 21 gennaio 1565 (Acta Eccl. Mediol, ediz. Ratti, vol. III, col. 1261 e sgg.). Non fu questo però l’unico ruolo ; altri ne successero (e nell’archivio della Curia Arcivescovile di Milano, sess. AI, Seminarto, 3T, conservasi quello del 1572), tuttavia il nostro, come primo in ordine di tempo e anteriore ad ogni innovazione, meglio degli altri rispecchia lo stato della diocesi (lo si può asserire senza tema di smentita) quale fu dalla fine del medioevo alla prima metà del secolo XVI, e servì anche di norma alla ripartizione civile delle terre del Ducato di Milano (1). Il ruolo che, nel 1564, nell’uso curiale da prima si chiamò « Liber seminarii mediolanensis » (2), nelle successive revisioni dalla tassa assunse il titolo più appropriato di « Catalogus totius cleri, ecc. ». ‘ Ma poichè nel docuniento originale ora manca il titolo (incominciandosi colle parole « L’Archiepiscopato di Milano », che sono le prime dopo cinque fogli bianchi} ho creduto di poterlo supplire con entrambe le diciture antiche, ritenendo arbitrario e superfluo crearne uno di nuovo conio, non potendosi tener conto del titolo « Canonicati de la Città e Ducato (ssc) di Milano » messo dal not. Carlo Landoni, sul retto del primo foglio del manoscritto, quando, non saprei per quali vicende, il documento pervenne nelle sue mani, prima che lo vendesse al duca Gian Galeazzo Serbelloni, circa il 1778, il quale poi acquistò molti altri antichi documenti milanesi anche dal dott. Ignazio Lualdi, componenti la accolta Lualdi ora conservata nell’ archivio Sola-Busca, dove mi fu dato di trovare e trascrivere questa antica statistica della diocesi milanese. lo non intendo mettere in rilievo l’importanza del « Liber Seminarii » per il contributo che esso può dare ancora alla toponomastica lombarda. Già il prof. G. Grasso, nel IV Congresso geo- (1) Dal Compartimento territoriale dello Stato di Milano, pubblicato dalla R. Giunta del Censimento dello Stato di Milano (10 giugno 1757) è facile constatare quale influenza avesse, ancora nel sec. XVIII, l'ordinamento ecclesiastico su quello civile. (2) Vedasi il verbale di consegna, col quale termina il documento. GO ogle ù LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS 123 grafico italiano (1), e meglio ancora il prof. C. Salvioni, in questo Archivio (a. 1904, vol. I, p. 372; a. 1913, vol. XX, p. 228), diedero saggi del vantaggio che per tale studio si può trarre da simili documenti; nè credo necessario rilevare le singole notizie che forse potranno servire a precisare le divisioni giurisdizionali del contado rurale milanese nei secc. XIV e XV (per i secc. XX-XII già scrisse, con molta competenza, Ezio Riboldi, in quest’Archivio, a. 1904, pp. 15-74, 240-302). A me basta far notare che nel 1564 i territori della Geradadda e dell’Agro bergomense, spiritualmente soggetti all'arcivescovo di Milano, a differenza degli altri del contado milanese, non presentano ancora una divisione per pievi, nelle quali il « praepositus » o capo della canonica del capolguogo fosse anche il capo del territorio plebano. Il nostro « Liber Seminarii Mediolanensis », il quale consta di 66 fogli, con numerazione originale che ci assicura della sua integrità, è diviso in due parti (2): nella prima trovansi enumerati i benefici più ricchi, cominciando dall’ arcivescovile, tassati per un contributo non inferiore a L. 25 della moneta d’ allora; nella seconda parte seguono tutti gli altri (e sono i più) meno abbienti. Questa parte è senza dubbio la più interessante per gli studiosi ; perchè vi si riscontra, oltre la consueta divisione della città nelle sei forte, una esatta enumerazione dei benefici del contado milanese, distinto per pievi, sotto il nome delle canoniche dei capoluoghi, queste indicate in ordine alfabetico: dopo queste pievi il lettore troverà i benefici della Geradadda e dell’Agro bergomense, intercalati però agli elenchi degli ospitali, delle scuole (confraternite) e altri luoghi pii urbani, che alla lor volta sono distinti per fora. Nella trascrizione del documento mi sono attenuto fedelmente all’ortografia originale; ma poichè nella parte seconda non compaiono alle rispettive sedi i nomi dei benefici recensiti nella prima, stimai pratico farne il richiamo, dando in nota il numero progressivo, che, a questo scopo, ho creduto opportuno di aggiungere agli enti tassati, i quali nel « Liber » ascendono a più di (1) « Saggio di Toponomastica Sacra. - Sulla frequenza e sulla distribuzione « geografica dei comuni d'Italia con nome derivato dalla religione e dal culto. « Memoria del prof. Gabriele Grasso ». (2) Nell'’originale è contraddistinta con titolo speciale solo la seconda parte (vedi n. 188). 124 MARCO MAGISTRETTI 2200 (1), ancorchè si deducano alcuni benefici ripetuti, come a suo luogo farò notare. I Da ultimo osserverò, che il ruolo del 1564 enumera anche le istituzioni esenti dalla giurisdizione arcivescovile, come le Commende e i Monasteri, i quali, a seconda delle rispettive entrate, potranno facilmente trovarsi o in principio della prima parte, o dopo. i benefici della Geradadda, verso la fine della parte seconda. Marco MAgISTRETTI. (1) Ex. gr., ai nn, 108, 143 € 375, si stabilisce una cifra totale di tassa rispettivamente per i sette Canonicati di Somma, per i ventitre Canonicati di Pontirolo e per i venti Canonicati di S. Maria della Scala (cfr. Notitia cleri de a. 1398,. nn. 45, 60 e 17). n n du Se I0. 25. 30. IS. LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS CER TSI . L’Archiepiscopato di Milano . Abbatia d’Arona Priorato de de Calvenzano Abbatia de Clarevalle Item per la Superstantiaria Abbatia de Sant’Ambrosio Abbatia de Santo Simpliciano Item per la Superstantiaria . Abbatia de Santo Celso : , de Santo Dionixio . de Santo Vittore de Santo Vincentio . de Santo Petro l’olmo de Santo Petro Glassiato de Campo morto de Sant' Antonio de Santa Christina . de Clivate de Grattasolia . de Codelaco de Canobio (1). Mons: Danexo Crivello . PP.ra de Bernate i Priorato de Vulturio iégdiari Priorato de Santa Croce Prepositura de Santo Bernabate (sic). Prepositura di Carsenzagho . Priorato sub titulo Sancti Jemuli (2) . Priorato di Brianzola (3) Monasterio de Caxoretto regolare (1) Cfr. Abbazie ai n. 68, 69, 147 e sgg. (2) Vedi sotto il Priorato di Ganna, al n. 149. di Caregnano . di Baggio del Castelazzo di Nerviano. di Baxiano (4) (3) Vedi altri Priorati e Precettoria al n. 376 e sgg. (4) Cfr. altri Monasteri, alla fine, al n. 1962 e sgg. 125. 126 36. 40. 45. SS. 60. 65. 70. 72: MARCO MAGISTRETTI Ordine de’ Humiliati. Prepositura di Brera . : è . © a Vicoboldono Miraxole . : . Santo Spirito . i : ; ; ì Santo Johanne. Santo Calimero Monforte . Ottacij La Canonica Carugate . La Trinità La Canova : ì ; i i : De Applano . i i i è ; Domus Busti Garulphi : 9 Sancti Simonis . de Blassono de Viglevano del Circulo ì ì P Sancti Michaelis Modoglie Prepositura de Varixio . Sancti Laurentii de Carobiolo » de Canturio . » de Cistilago . » de Carate » de Carobiolo. » de Sancto Gotardo » de Ripalta Sancti Michaelis et omnium s, lor Modoetie wm de Cavenago : ì de Putheo Vagheto (WÒ i Domus Sancte Mariae Glaree Abdue . Domus Sanctorum Petri & Pauli ut supra . Abbatia de Santo Steffano . Abbatia de Santo Eusebio PP.ra de Santo Joanne Evang. de Hummidiati Domus de Mediovico ut ad librum 1537 (stre). = 3x3z Capitulum Ecclesiae Maioris Mediolani (1). Ordinaria de d.no Alexandro Corte . o ba Ordinaria de d.no Redolpho de la Croce Il Cimiliarcato de d.no Francesco Sormano 42 45 94 16 (1) Lo stato completo delle Collegiate risulta dalle indicazioni contenute nella parte seconda, dove faccio i richiami a queste indicazioni parziali. — 7. 78. 79. 85. dd. So. 9I. 93. LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS Canonici Decumani. Canonicato de D.no Bartholomeo Opreno . L. A de d.no Ludovico Simoneta ù de d.no Hieronimo d’Adda Canonici de Santo Ambrogio Maggiore. PP. de Santo Ambrosio del Rev. Balbo . L. Canonica de Santo Nazario in Brolio. PP.ra de Santo Nazario . ; . - Ji Canonicato de d.no Julio Simonetta 5A de d.no Andrea Rotia i de d.no Francesco Lecamo i de d.no Innocentio Beneaviato alias de d.no Camillo da Puo . alias de d.no Fran,co Sola nunc D.ni Oldrati . i . : Ù ; ; : Cappella de la Ficvrana de d.no Fran.co Bernardo Cavenagho Canonica de Santo Georgio in Pallatio. . PP.ra de Santo Georgio de d.no Lud.coGiramo L. Canonica de Santa Maria Folcorino. Canonicato del S." Enconomo (sic) alias dei q.m S.r Francesco Caxato. Canonica Sancti Laurentii Maioris. PP.ra de Santo Laurentio . . î NSD Canonica de Santo Calimero. . Dino Hieromino Griffo . . : ; « La Canonica de Santo Sepolcro. Canonicato alias de d.no Francisco Bernardino Sellanova . A È î i x x Abe Canonicato de d.no Bonifatio Simonetta Rettorie et Cappelle. Rettoria de Santo Michel sotto il Domo . L. de Santa Maria de Turre de Santo Vittore a la Crocetta ‘de Santa Maria Pedone. de Santa Valeria Ci e 3* 26 35 30 Si 18 14 127 D. 4 D. — D. — 5 9 D. — D. — D. — D. — D. — 6 D. — 10 5 6 II 128 MARCO MAGISTRETTI Una portione de la rettoria de Santo Thomaso in Terra Mara alias de d.no Leone Parixio L. 25 S. 8 D. 8 L’altra portione de la rettoria ss.ta . . 30 12 — 100. Rettoria de Santo Vittore quaranta martiri . 25 —_ — Rettoria de Santo Benedetto . ; i . 28 II 6- Cononica de Santo Joanne de Monza. 102. Arcipresbiterato de S:to Joanne de Monza L. 30 S. 10 D.— Canonicato alias de d.no Agostino Castilliono . 39 — È de d.no Bonifacio Simonetta . - 45 — — de d.no Merchior Scotto . : 35 — — s de d.no Francisco Cermenato O); 37 3 — 107. PP.ra de Mezana del Ill.re Co. Francesco Belzoioso. . ? 3 ; . L. 28 S. 4 D.— PP.ra de Santa Aneza de Sofia con li Canonicati 33 I5 — Arcipresbiterato de Santo Georgio de Cornate de d.no Galeaz Giussano’ . 50 8 —_ z1o. PP.ra de Sant'Ambrogio de Settara de d.no At brosio Ferraro . 3 6 . 36 —_ — PP.ra de Sant'Alessandro de Vessito . . 40 —_ — Arcipresbiterato de Santa Maria al Monte . 48 —_ — PP.ra de Castelseprio . : ; : ; . 30 — — Canonica de Gorgonzola. Z14. Clericato de Santa Maria de Colciellata . L. 25 S.—- D.— Canonica de Segrate. 115. Rettoria de Santa Maria de Pantiliate . L. 30 S.—- D. — i de Santo Georgio de Limidi . +. 30 — — Canonica de Santo Zenono de Decimo. 117. PP. de Decimo. . . .°.. LU 45 S. 6 D.— Canonica de Roxate. 118. Rettoria de Santo Zenono de Vermezzo . L. 47 S.—- D.— A de Santo Eugenio de Sporzano de. D. Paulo Portalupo . 3 ; . 65 9 — de Santo Quirico de Gudo . . . 28 — — Canonica de Caxorate. .12I1. PP." de Caxorate de D.no Galeaz Vesconte L. 36 S. — D. — Rettoria de Santo Michel de Bexate . i . 4I II — (1) Cfr. il seguito, più innanzi, nel censimento delle canoniche rurali, alla lettera M « Canonica di S. Giovanni di Monza ». : 423}. LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS Canenica de Sante Juliano in Stratta. PP. de Santo Juliano in Strata 3 - JL 124. Rettoria de Santa Maria de Pairana de d.no 125. 428. 129. 130. I3I. 134. 135. 136. 137. prete Christoforo de ..... (1) parroco de Santo Fermo in Curte . ; i ) Prepositura de Bruzano A de Beolco. Rever. Alexandro Lecamo sipante de Mizuno in Geradada . 4 A : 4 3 . Cassiano. D.no Jo. Batta. Bagnolo Rectore de Casirate L. Pagazane. Arcipretato de Pagazano de d.no Galeaz Vesconte . s ‘ s i ; ; a UG Bollate. PP.r de Santo Martino de Bollate . WU Cappella de Brenna conla chiesa dePozzolo L. Cappella de Bernaregio plebe de Viniercato de d.no Antonio Confanonerio Cappella de Santa Maria de Caxate novo unita cum Caxate vechio, Canonica de Massalia Canonicn de Sante Vittere de Ro. PP.r de Rò de dno Hieronimo Castiliono L. Chiesia de S.ta Maria celestina de Mazenta L. Canonica de Missalia. Prepositura de Missalia . 3 : so «li PP.ra de Aplano . i - «La Cappella de Santo Antonio de Brivio de d.no Leone de Vimercato ‘ PP.ra & Cappella de ARABO alias del R. ° Rozza (1) Questa lacuna può essere completata: de ‘Rossi, v. n. 439, cordata questa parrocchia urbana di P. Ticinese. 37 40 40 55 40 40 30 36 26 48 26 45 30 25 42 60 26 129 \O 16 dove è ri- 130 MARCO MAGISTRETTI 140. PP.ra de Santo Stephano et Agnexa de Garlate 33 » de Santo Stephano de Olgia Olona. 27 n deSantoJohanneEvanga de Pontirolo [con li canonicati, de d.no Leonida da Melzo 40 » deArzaghoded.noPetrupauolo Carchano 30 145. n» de Rivolta de d.no Alexandro Criminato 30 Rettoria de Santo Petro et Paulo de Vailate 30 147. Abbatia de Miramondo, ; i ; ca La 1180 » de Sexto Calende 250 Priorato de Gana . 300 150. Hospitale Magior di Milano (1). ì . L. 7200 n de Santo Gerardo de Monza 36 È de Santo Joanne de Vimercato (2) 40 Monasteria Monialium (3). 153. Monasterio Magiore . . . L. 522 z di Santa Redegunida: 282 Ifs. ; Orono. i 3 186 3 di Santa Margarita i : 132 ; Novo (4) 118 ; de le Donne Vergine 228 n de le donne Vetiere. 234 160. si di Santa Aguexa 183 i de Santo Apolinare , ZIO s de Santo Bernardino 220 ; del’Anuntiata 40 ù d’Abia grasso ; P 190 165. n de Vigientino . i ‘ 40 n de Santa’ Cattarina in borgho 117 ù de Santo Jacomo in Porta Comana 38 } de Santo Michele a Sant'Ambrosio 30 ù Lantaxio 65 170. ; Bochetto . 90 2 de Santa Maria Valle 70 i sopra il Muro . 116 (1) Vedi sotto, al n. 526. (2) Seguono tre fogli bianchi. (3) Vedi altri Monasteri femminili, dopo il n. 1978 e s (4) Al n. 474, in P. Vercellina, si ricorda la. « Rettoria de S. Vincentio monasterio novo », da non confondere colla Canonica di S. Maria Nova o della Scala, fondata nel 1383. CÒ ogle x LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS Monasterio intus Vineam . L. de Sant'Agostino de Cambiago 175. Ù de Santo Petromartire . : ; , de Santo Dominico . i . . 3 de Sexto . è S de la Cavaira ni de Loynate So. i de Torba . i a de Santo Vittore de Medda 4 de Lambrugo . ; - A de Cairate . : i ; ; 3 de Brughora . ; 3 è 185. ” de Santo Nazaro de Bélusco con le unioni de Sant'Andrea d' inciio de Santa Maria de Canturio (1) — Il — NOTTA DE LI BENEFICI QUALI NON ASCENDONO A LA SOMMA DI L. 25 DE Tassa Capitulum Ecclesiae Maioris Mediolani. 188. Arcipresbiterato de la Chiesia magiore de d.no Fabio Angleria . . : ; ; i. Item per la sua Ordinaria. 190. Archidiaconato de d.no Ferrante da la Cove Primiceriato de d.no Redolpho da la Croce . Prepositura de d.no Alesandro Visconte con la sua Ordinaria . Decanato de d.no Christophoro Cafbano 195. Ordinaria de d.no Andrea Rozia. alias del Barengo. del R. Francesco Sormano de d.no Ludovico Airoldo alias Cardatii de d.no Stephano Tortorino . . de d.no Francisco da Castello de d.no Jacomo Francesco Cardano alias Airoldi 200. 87 40 47 ZI 40 42 35 45 97 50 60 100 140 3I 185 24 20 S. 16 D. S. 8 D. 13I | o | uu (1) Seguono 6 pagine in bianco; ma un tratto di linea, d’inchiostro uguale a quello del testo, indica che questo all’atto della consegna era già stato completato. 132 MARCO MAGISTRETTI Ordinaria de d.no Gaspar di Bianchi alias Puthei 3 S. 18 D. — 4 de d.no Jo. Battista Pozzo. . . 32 5 — i de d.no Battista Cermènati. ù . INI —_ — 205. n de d.no Francesco d’Acquato . . I 6 — A de d.no Resta alias d.ni Antonii de la Cruce : è è IR 14 — 2 de d.no Dionisio de Vinidcao : .- 14 —_ _ i de d.no Joanne Andrea da la Cruce . 12 16 — ; de d.no Jo. Antonio Boninpertico . 4 12 5 2I0. îì de d.no francisco Gotio . ì . 4 6 5 ; de d.no Nicolao de Pazeda 7 . I 1I — ù de d.no Paulo Hieronimo Castilliono 17 18 — x d.ni Pioltini et fructus sunt R. Girami 17 IO — L d.ni Fraucisci de Solis : i . 12 16 ___ 2/5. ; de d.no Jo. Battista Settara ; . II 12 4 È de d.no Joseph de Castilliono (1) . 13 19 3 Canonici Minores Mediolani (2). 217. Canonicato de d.no Marc’ Antonio Pechio. L. 16 S. — D.— nunc d.ni Galeazij de Pechiis. j de d.no Deodato da Oxio s 3 5 — " de d.no Gabriel Aliprando I I 6 A de d.no Francisco Cermenato . 5 IO — 220. Ù de d.no Jo. Jacomo Taegio I I 6 de d.no Bernardo Vimercato . 5 10 — Cappella de S.to Claudio de d.no Alberto Piola 3 II 8 Obedientiari]. 224. Obedientiarija de d.no Jo. Battista Cermenato L. 1 S. 12 D. — 4 de d.no Bartolomeo Bossio. . 5 ai» 5 5 de d.no Filippo Porro . ; I 12 — A de d.ni Berncrdino et Lanzalotto da Vimercato unita ala rescidentia (3) del Domo. . 2 14 — i de d.no Jacomo Filippo Mezabarba 3 8 — 230. 6 de d.no Alessandro Serennio . 10 2 — (1) Cfr. sopra altri tre benefici, ai nn. 72-74. (2) I canonici del soppresso Capitolo di S. Tecla, da non confondere con gli Officiali (notai, lettori, mazzeconici) i quali, non avendo prebende o benefici propriamente detti, qui non furono recensiti: per egual ragione qui non vediamo i Custodes, chierici alle dipendenze del Cimiliarca (cfr. BeROLDUS, Orto, etc., ediz. Magistretti, p. 35). (3) Si allude ai due benefici Corali di patronato Vimercati, fondati da Gio. Andrea Vimercati, Ordinario della Chiesa Milanese, | 1548.. GO ogle LIBER SEMINARII : MEDIOLANENSIS Obedientiarija de d.no Pompeo da la Cruce L. # de d.no Paulo Zuchano P de d.no Melchior Bilia . a de d.no Jo. Ambrosio Scola 235 i alias de d.no Brando Castilliono . 5 alias ‘de di no Aless.° Sanseverino Canenici Decumani. 237. Arcipresbiterato de Decumani . x La de d.no Christophoro da la Ciuséi Canonicato de d.no Jo. Antonio .Boninpertico . de d.no.... (sic) alias del Vergiato . de d.no Quinto Fabio Cabiano. de d.no Michel da Sala de d.no Hieronimo d’Adda (1). de d.no Bernardino de Leonardi de d.no Paulo Panigarola . . 245. de d.no Donato Carchasola ; Rettoria de Lambrate de d.no Ambrosio da Rò Cappella de Calvairate de d.no Aless.o Seregno Cappellani Ecclesiae Majoris Mediolani. ‘348. Cappella Ducale de d.no Hieron.0 Castigliono L. È " de d.no Battista de Zaini . 250. È ù de d.no Johanne Sorexina . ù de S. Nicolao et Catterina de d.no Thomaso Buxero . É Ducale de Santo Galdino de da no Filippo Cremenolfo . i ; i : A » de d.no-Hieronimo Pancerio pa de Sant'A mbrosio de d.no Hieron.° Bosso Sanctissimi Corporis X.pi de d.no Jo. Ambr. Posca de d.no Jo. Petro Castigliono de S.ta Agnesa de d.no Donato Cafcasdia Ducalis alias d.ni Jo. Marie de Concoretio alias d.ni p.bri Ambrosij de Fenegroe de S. Georgio de d.no Orlando Zampana alias de d.no Cipriano da Cuxuno Sancti Leonardi d.ni Stephani Olgiati. alias de d.no Lanzalotto Ferraro . alias de d.no Carolo de Mainerij . 25f. 260. Boaunuana ll nweoe6b Petro Pauolo Cittadino s Joanne Biffo. . . 275. È Andrea de Clapis Bartholomeo Bosso 8 b-J ® xAlberto Raxino 378. Cappella de Vincemala de d.no Franc.° Balbo L. de Santa Cattarina de d.no Christoforo da la Cruce 3 280. 5 de S. Hieronimo de quelli dai Dezio, de d.no Jo. Ant. de Negri . ù de S. Christophori . Ì all’ altare de Santo Andrea . Canenica de Santo Nazario in Brolio (2). 283. Canonicato de d.no Stephano Oliva . a: Bernardo Canocua. Pompeo Fondulo . Gotardo Pagano . a Dionixio Vimercato alias del Vergiato de d.no Franc. Bernardino Calicnagio s Francisco Cuxano. % s; Josepe da Sala 290. 292. Cappella de Santa Maria de d.no Jo. 23000 Visconte . L, de Santo Mateotiiano de d.no Baar: dino Vimercato 5 de Santo Donato 295. P de Santo Matroniano . i »n (1) Vedi al n. 78 la Prepositura. (2) Vedi ai nn. 79-85 la Prepositura e sei Canonicati. ; PS | w aullanalal LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS Cappella de Santa Catherina + cè, a. 8 de Sant'Ambrosio de d.no Trajano Ruglerio de Santo Christophoro i de S.ta Maria de d.no Franc. Cusano (1) 3 Canonica de Santo Georgio in Pallatio (2). 300. Canonicato de d.no Jo. Petro Ratagio =. L. 305. Julio da la Guarda De) I 0 Jo. Battista Varexino . Michel Beccaria ‘ Jo. Antonio Tetamanzo Hieronimo Florentia Maino da Pozzo Jo. Battista Castilliono. Marc'Antonio Ghiringhello . Georgio de Ratazij dl bd è Dda muiwWwWu 310. Cappella de Santo Ambrosio et de i Tre Maggi de d.no Hieronimo Guenzato L. 4 all’altare grande sotto titolo de Santo Georgio de d.no .Michel Beccarja 6 de Santo Hieronimo de d.no Francisco Marliano . ; " 3 . 6 i de Santo Jo. Battista . SS « 9 Canonica de Santo Stephano in Brolio. 314. Prepositura de Santo Stephano . ; 2 Sl ». «è ì n Jo. Antonio Serennio . . 15 ; » Christophoro Zerbo . . 8 320. Battista Pattellano : . 16 Cappelle in Sante Stephane. 321. Cappella de Santo Christophoro de d.no Andrea Jacobono . : L. 6 de Sant'Antonio de d.no Bart. a Cisiaglio 4 de Santa Lutia de d.no Christophoro Ferraro . . 3 x x + TI (1) Vedi al n. 86 la Cappella della Florana. (2) Vedi al n. 87 la Prepositura. GO ogle 135 S.- D.- 16 I0 8 4 — S- D.— 8 10 4 — 8 ni 8 a II 5 6 i S. 12 D. — 8 RA 7 cn S. 15 D. 3 10 8 8 ni 12 5 19 8 I — S.it D.— 7 3 36 ; MARCO MAGISTRETTI . Cappella de Santo Martino alias D. BADHSIRC Filaghi : i s “a 325. n de Santa Maria dela Stella de d.no Fransl cesco Porro : s n° de Santo Vincentio de dm no Christophoro Landriano . . i . Canonica de Santa Maria Folcorino. 327. Prepositura de Santa Maria de d.no Stephano Leinato . i . ; .. L. item per il suo Canonicato Canonicato de d.no Ambrosio Ferraro 330. A i Ottauiano Cittadino , 5 i Camillo Alfero A A Thomaso Magno . È alias de d.no Joseph Cuxano (1) Canonica de Santo Laurentio Maggiore (2). 334. Canonicato de d.no Andrea Rozza . i Li » Joseph de Regibus A n Francisco Bernardino Bosso » alias de dino Ambrosio Legnano . Ò de d.no Jo. Antonio Castigliono. alias de d.no Francisco Brunello de d.no Jo. Ambrosio Balbo ' È Herculino de Varexio . A Camilllo di Matii . Ù Bartolomeo Bosso . alias de d.no Deodato di Bianchi nunc d.ni Maximiliani Grotte. ù de d.no Francisco Cattanio s A Ludovico Brughora . la 340. * az 3 s 347. Cappella Visitationis Sancte Marie ad Elisabeth de d.no Francisco Borono . L. ; Sancti Jo. Baptistae de d.no Anibal del Conte A Sancti Petri alias d. ni Braiielii J50.' 4% Sanctorum Thomae Nicolay et Adriani n° d.norum Ambrosij Crispi et Marci de Briosco (1) Vedi al n. 88 altro Canonicato,. (2) Vedi al n. 89 la Prepositura. GO ogle 7 5 S. 4 D. 4 persa 4 19 Io S. 1o D. 14 4 5 i Il 2 7 19 2 12 6 3 14 S. 14 D. 7] 12 5 10 2 8 3 18 3 — Io — 24 17 8 19 7 8 2 18 —_ 12 7 12 5 S. — D. 8 9 2 —. 12 17 ll 06 ouww ww | w LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS Cappella Sanctorum Cosme et Damiani d.ni Baptistae de Aprillis . ; E. a S.et Hippoliti & Cassiani d.ni Martini de Maxochis . S.ti Joseph d.ni Joannis dé Mantegatijs S.tae Marie d.ni Cipriani de Stampis Canonica de Santo Calimero. 355. Prepositura de Santo Calimero de d.no Vespaxziano Acurtio . : Li Canonicato de d.no Bartolomeo Tolexano 1) Cappella Sante Mariè d.ni Francisci de Leuco . È Santi Antonii siue Antonini (o Georgii) de Blanzate Canonica de Santo Sepelcro. 359. Canonicato de d.no Ludovico Giramo (a) . L. Cappella Visitationis seu Conceptionis de d.no Francisco Bernardino Selanova Canonica de Santo Bartholomee. 361. Canonicato del R. D. Hieronimo da Pozo . L. i de d no Battista Varezio . ì A Pre Ambrogio Ratagio sl z Bonifacio Simonetta 365. Cappella Principis de d.no Bartolomeo.... (sic) che habita a Santo Joanne sopra il muro L. Un’altra cappella in eadem ecclesia Canonica de Santo Martino al Corpo: 367. Canonicato de d.no Hieronimo Caluo . i le ; ù Julio Gallarato . z ; Petro Francesco Biragho L alias de d.no Petro Cabiano Canenica de Santo Prothasio ad Monachos. 371. Una portione de la Rettoria de Santo Prothasio de d.no Hieronimo Pancerio . i Sai Un'altra portione de la Rettoria ss.t8 de d.no....(sfc) (1) Vedi al n. 90 altro Canonicato. (2) Vedi ai nn. 91-92 altri due Canonicati. w 24 12 12 WNW è» + O 00 . IO 10 IO 219 II II 19 leo cu I oool 137 00 . IO 2 375. 3380. 332. 385. 390. 395. MARCO MAGISTRETTI Cappella Sancti Jacobi in eadem ecclesia . L. Alia cappella Sti Rochi d.ni Ambrosij Segazoni Canonica de Santa Maria de la Scalla. R.di D.ni PP.tus & Canonici Sancte Mariae de la Scalla. : ; 9 : ; } Gu Priorato de Portexana. D.ni Ambrosij Caxati L. Preceptoria de Santo Antonio de Canturio d.ni Francisci Cermenati. do CR Priorato de Santo Bartolomeo de Tei20:. ‘ z de Santo Dominico de Trezzo ; Retoria de Santa Christina in antedicto loco . s de Santa Maria et Laurentio de Chignolo alias de d.no Francisco Cuxano . Porta Orientale (1). Ecclesia Sancti Jacobi de Raude alias d.ni Francisci Cademusti. . 4 î ». UL: Rettoria de Santa Maria Passarella d.ni Michaelis Souici . ; ; . ; Item pro Cappella Sancti Time i sw Rettoria de Santo Saluatore in Sinadochio d.ni Bapt. de Aprillis Clericato in detta chiesia d.ni Hier.mi de Coloniis Rettoria Sancti Simplicianini Mediolani d.ni Bal. dasaris Ferrari] Item pro Capp.* S.ti Calanchi in uidicia tedlebia Capp.3 ne la ss.ta chiesia de d.no Gabriel Porro Rettoria de Santo Vitto in Pasquirolo de d.no Thomaso Magno ; de Santo Petro l’Orto de d.no htoniù Airoldo . ; . i de Santo Martino in Compita de dino Francesco Lomatio . 3 de Santo Raffael de d.no Alberto di Galli de Sancto Babile de d.no Ales." Frigerio Altra portione de la ss.ta rettoria de d.no Jo. Angelo Porono ì : : Altra portione de la ss.t8 rettoria La d.no Ber nardino Glussiano (2) 4 S. 16 8 A 350 S. — Io S. 13 16 — 13 5 22 10 20 — II — 17 S. 12 16 5 4 16 13 5 4 14 — 6 4 16 4 6 6 19 5 10 13 a 6 Ba 6 8 5 — 17 — II Ww » (1) Gli ospedali, le confraternite e luoghi pii della città di Milano sono posti in seguito, al n. 2015 e sgg. sotto le rispettive porte. (2) Vedi sotto, al n. 4I0, una quarta porzione. 5. 4II. 415. LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS Cappella de Santo Blasio de d.no Michele Sovico L. Rettoria de Santo Zenono in lai de d.no Ambrosio Fidele . ; . Cappella de Santo tephano brésno il Coperto de Santo Zenono d.ni Francisci Buzii 1 . Rettoria de Sancto Paulo in Compito per una portione 5 Un’ altra portione de la ss.ta “Satonia D. ni | Danielis Ranchati ‘ Cappella de Santa Maria et Santo Michele de d.no Gabriel Scotto Clericato nela Chiesa de Santo Michel sotto il domo de d.no Jo. Antonio Zauatono è Rettoria de Santo Stephanino in Brogogna de d.no Ambrosio Brebia .. x de Santo Primo de d.no Battista Varezio È de Santo Georgio al Pozobianco d.ni Filaghi . é 4 . u de Santo Martino in Crecho de d.no Francesco Caratello i Cappella de Santo Sirro in Santo Romanò de d.no Bartolomeo Galiasco 2 de Santa Maria de la Stella . . Alia portio rectorie Santo Babille d.ni Antonii de Nigris (1) . s Retterie et Cappelle di Porta Romana. Rettoria de Santo Johanne in concha . si Una cappella in detta chiesia alias d.ni Johannis Parisi] ; Rettoria Sancti Satiri Mediolani i Cappella Sancte Barbare in ss.ta beclenia Rettoria de Santo Michel muro rotto de d.no Donato Carcasola 3 > de Santa Euffemia per una dine de d.no Hieronimo Oldano Un’ altra portione de la ss.ta Rettoria de d.no Hercole Ghisolfo . é . Cappella de Santo Bernardo cuer Santa Vero: nica de d.no Paulo Dalfinono È de Santa Cattarina de d.no Paulo Casteletto (1) Le rettorie di S. Michele sotto il Dorno, S. Maria dicate sopra, ai nn. 93 € 94. 7S—- D 20 i 8 12 2I 4 12 6 2 SEE 4 15 Io — 4 14 9 19 | 6 12 I 8 4 12 14 IO 21 4 8 7 20 19 8 10 7 I 20 5 18 3 8 8 8 4 di Turro, sono 3140 MARCO MAGISTRETTI 420. Rettoria de Sancto Zenono de d.no Jo. Batta Castano . . i (Li Clericato de Santo joanne Gugiarollo de d.no Hieronimo Guenzato i Un’altro clericato in detta Chiesia alias de d.no Andrea Vimercato . SA ° A Rettoria de Santa Maria Beltrada sai una portione de d.no Matheo Bonetto Un’altra portione de la sudetta rettoria de d.no Paulo Ello 1 . : 425. Cappella de Santo Joanne È vengelisia. in detta chiesia de. d.no Jo. Maria Cattanio . Rettoria de Santo Matheo Monede de d.no Batta Settala Cappella de Santa Maria in detta he de d.no Jo. Petro di Ré da elio (sic). Rettoria de Santo Andrea muro rotto insiema con Santo Joanne Laterano . A de Santo Joanne a fonte unita con il Capitulo de Santa Tegla de Milano 430. È da Vigentino de d.no Ambrosio de Cresppi (sic) . è. : . Clericato de Santo Vincentio de Settara de d.no Georgio Settara et Cesare Simonetta . Clericato de Santo Stefano al Centenarolo de d.no Raffael Caxato ; Un clericato ne la chiesia de Viginunò aula con il Monasterio de la Maddalena (1) Cappellani Ducali in Santo Celso. 434. Cappella Ducale in Santo Celso de d.no Jo. Antonio Boninpertico . : è, Lo s ut s.* alias de d.,no Bonaventura Castilliono . ; . ‘ i ut s.* de d.no Alesandro da l’Acqua . Ù ut s.s alias de d.no Cesare Cresppo (sic) si ut s.* de d.no Francesco detto l’Erborina Retterie et Cappelle de Porta Ticinesa. 439. Rettoria de Sancti Petro et Firmo in S.to Petro in corte de d.no Christophoro di Rossi ? ;- «Li 440. » de Santa Maria al Circulo de d.no Jo. Ant.° Pozobonello per una portione (1) Vedi sopra, al n. 95, la Rettoria di S. Vittore alla Crocetta. — WINÙ 10 IO 00 . 00 co| LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS Un’ altra portione de la detta rettoria de d.no Galeaz Ferrario . i L. Rettoria de S.to Quirico de d.no Hentico Pissina Cappella de la Purificatione in detta chiesia de d.no Ambrosio di Scoperti Rettoria de Santo Petro in Campo Lodigiano de n d.no Battista Marliano 445. Un' altra portione dell’ antescritta settoria ‘alias : de d.no Hieronimo Luppo Rettoria de Santo Petro in Caminella (sic) de d.no Blasio Brandino è de Santo Vitto al Carobio de d.no Bat- . tista Varexo . ù i de S.° Sebastiano de d.no Galeaz Foppa Un’ altra portione de la ss.ta Rettoria de d.no Hieronimo da l'Acqua 450. Cappella de Santo Tranquilino in la siualta ‘chie! sia de d.no Hieronimo Guenzato . 5 de Santo Jo. Battista in detta chiesia de d.no Jacobo Bosso . . i de Santa Cattarina in detta chiesia alia de d.no Ott.no Briuio . s é A de Santo Martino in detta chiesia de d.no Hercole Pusterla RE Ducale in Santo Sebastiano de dino Bartolomeo da Monte (1) 455. Rettoria de Santo Vittore al Pozo de d.no Hieronimo Caxola s de Santo Alesandrino in Pallatio de d.no Francisco Ghiringhello . » de Santo Maurilio alias de d.no Frati cesco Barengho i ù de S,to Sisto de d.no Jacoma Gallarato Cappella de Santo Gothardo ne la detta chiesia de d.no Hieronimo Guenzato 460. vz (sic) in Burgo Lactarelle alias d.ni Ambrosij Legnani Cappella de Santo Boniforto sopra il Navilio de d.no Bernardino Sola . a . Rettoria de Santo Alesandro in Zebedia de d.no Francisco Marliano 3 : . Un’ altra portione de la ss.ta Rettoria de d.no Joanne Prata . ! (1) Vedi sotto, al n. 471, altra Cappellania. 5 14 II 14 13 5 7 s 3 -. di & =; # — 12 IO — 9 © 10 — 7 dada PES 4 = 7 6 3 8 va as 14 — — 2 6 = 3 12°: — 7 IO Io 16 ‘8 _ E Da = 2 8 — 7 * e IO 14. 5 9 4 = 142 465. 470. 472. S75 480. MARCO MAGISTRETTI Cappella de Santo Martirio seu Magno et Ogni Santi in detta ss.ta (sic) chiesia L. x de Santo Dionisio in detta chiesia Rettoria de Sancto Michel la Cluxa de d.no Alesandro Martignono per una portione Un'altra portione de la ss.ta rettoria de d.no Jo. Angelo Marliano . . 5 Cappella de Santo Petro & Paulo ne la chiesta de S.ta Catharina de d.no Georgio Branzalio Rettoria de Santo Ambrosio in Solarolo de d.no Jo. Petro Senagho . . Cappella de S.ta Maria in S.to Michele la Cluza a de Santo Sebastiano in Santo Seba- ‘ stiano de d.no Francesco Pinello . Rettorie et Cappelle de Porta Vercellina. Rettoria de Santo Petro sopra il Dosso de d.no Jo. Antonio Zauattono . «© La de S.to Petro Linti (sic) de d.no Georgio Ozeno ; de Santo Vincentio Monasterio Neo alias de d.no Joanne di Galbexij, adesso de d.no Rocho Ruscha Cappella de Santo Stephano a la Banchetta de d.no Stephano Tortorino Rettoria de Santa Maria Porta de d.no © Mapheo da Monza. ° £ Un’ altra portione da la detta Rettoria del d.no Ambrosio da Bexana Cappella de Santo Chiristophiorolii in detta cuiegia de d.no Thomaxo Magno . A Rettoria de Santo Vittore a Trenno de d.no o Juliano di Fideli. i Un'altra portione de la sudetta Laion; de d.no Galeaz di Castoldi . i 5 . Cappella de Santa Liberata in detta chiedià. alias de d.no Leone Parisio Rettoria de Santa Maria Pedone de dici Tacobo Cassagho. ” 123 IO est ante descripta, attento did end lib, 25 (1) Cappella de Santa Maria in Santa Maria ss.ta de d.no Quinto Fabio . 7 . I6 12 17 17 15 IO Io IO (1) Vedi sopra, al n. 96, dove è censita anche la Rettoria di S. Valeria, appartenente a questa porta. Go ogle _ si. $95- 500. 503. LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS Cappella de Santo Zenono et Stephano sopr’al Pasquerio de Santa Maria Pedone de d.no Alessandro Cogno . L. de quelli di Zeppi ne la ss.ta chiesia de D.no Batta di Boni. Rettoria de Santo Nicolao de d.no Frane: o Curcano de Santo Joanne sopra il muro de d.no Francesco Banfo ; Cappella de Santa Cattarina in Santo Joanne sopra il muro de d.no Bart. Banfo .di quelli di Trecci de d.no Andrea Gazolo de Santo Bartholameo de d.no Thomaso Canobio . ; Rettoria de Santo Vittale de d.no È vanveliata Cittadino . ; Cappella de Santo Paulo in deita oifesia de d.no Batta Castello . Rettoria de Santo Lorencino in civilate de d.no Basilio Ferraro : de Santo Petro la I de da no Cispar Antonio Scaco. Cappella de quelli da Castello in iena chiesi de d.no Christophoro Aplano Un'altra cappella in detta chiesia de S.ta Maria de l’Assumptione de d.no Arcangelo Bosso Clericato de Santo Martino Moneda de d.no Camillo da Cabiate siue d.no Julio Scarabotio Cappella de Santo Georgio et Benedetto in S.to Johanne sopra el muro alias de d.no Joanne da Castigliono . Ducale de Santo Johanne ad bilcosa de d.no Benedetto Rotta ? Un’ altra cappella de Santo Joanne de d. no Joanne Simonetta Cappella de l’Annuntiata in Santa Maria Pedone de quelli di Scacabarotij de d.no Benedetto Baretta . de l’Anuntiata Ducale de d.no Galcaz de Ferrari Rettorie et Cappelle de Porta Cumana. Rettoria de Santo Cipriano, de d.no Cipriano Arconato . 4 4 « SL Cappella de Santa Maria in detta chiesia . Rettoria de Santo Michel al i de d.no Benedetto Marliano. ; : 16 16 12 IO 0 143 IO 144 sIo. SIS. 520. S3S. MARCO MAGISTRETTI Cappella de Santi Clemente ‘et SISBIA de d.no Francesco Balbo . : 3 > Li Rettoria de Santa Maria Segrera (sà de d.no Jo. Angelo da Peregho . : 4 de S.to Marcellino de d.no Batta Luyno Cappella de Santo Blasio in detta chiesia alias de d.no Jo. Maria da Concorezzo. Rettoria de Santo Joanne quattro facie de d.no Agostino da Rippa. a Cappella de Santa Barbara et Penibisicone in detta chiesia, de d.no Jo. Petro di Medici . Un'altra cappelle in detta chiesa intitulata Santo Georgio de Cauenago : : Rettoria de Santo Carpophoro de d.no Pratica: sco Gotio . Un'altra portione de la detta reina de R. Nail Cappella de Santa Maria de d.no Jac. Reyna Un’altra cappella in detta chiesia de Santo Jac.® et Philippo de d.no Batta Bussero Un'altra cappella in detta chiesia de Santo Carpophoro de d.no Antonio di Negri Rettoria de Santo Prothasio in campo de fora, de d.no Georgio di Passeri . i de Santo Michel in campo de dentro de d.no Michel da Sala ” de Santo Nazaro Predasanta de d.no Nicolao Pazeda ) Clericato de Santo Thimotheo in delta ii de d.no Paulo Landriano Un'altro clericato in detta chicsia Cappella siue clericato de Santo Prospero de d.no Cesare Simonetta ì de Santa Catherina in Santo Thomaso in Terra mara alias de d.no Geminiano (I) . ” de Santo Spirito in la sua chiesi de d.no Petro di Re da ello . Hospital de Santo Joanne in l’olio unito con YHospital grande . i Cappella de Santo Jacomo et Christoplioro in Santo Simpliciano alias de d.no Orpheo de Mittis. A de Santo Martino in Santo Siiblicisno alias de d.no Jacomo Zampana 15 15 14 6 IO 16 IO 16 II 5 (1) La Rettoria di S. Tomaso (due porzioni) è tassata sopra ai nn. 98 e 99. LIBER SEMINARI MEDIOLANENSIS Cappella de Santa Catharina in detta chiesia L. 530. . de Santa Fedeindetta chiesia de Santo Simpliciano de d.no Jo; Paulo Gariboldo . A de Santo Girardo in detta chiesi de d.no Galeaz de Ferrari . : de Santo Joanne ut s.8 de d.no Hieco: nimo Guenzato. a” de Santo Michele in Santo Simpliciano de d.no Jo. Antonio Porro . ‘ a de l’Anuntiata in detta chiesia de d.no Bartholameo Cattaneo 7 535. de Santo Blasio de Siluano de d.no ‘Battista Cermenato . Rettoria de Derghano de d.no Arifonis Albertino Cappella de Santo Ilario de d. no Paulo Baggio. Retterie de Porta Noua. 533. Capp.® siue clericato in S.te jacomo sopra il Corso ‘* di porta Noua de d.no Camillo Alferro L. Rettoria de Santo Eusebio de d.no Jo. Petro di Redaello . .. |. 5g. Cappella de Santa Cattarina: in dea chiesîa de d.no Jo. Pietro dì Redaello Rettoria de Santo Silvestro de d.no Jo. Antonio di Ralui . È de Santo Domino a ad Maciam D. Pauli Zucani - Cappella di S.ta Maria Madel» in 1 detta chicsla Rettoria di Santo Petro Cornaredo de d'no Fran- . cesco Marliano. S4S. Cappella de Santa Catt® ‘et Nicolao in ‘Santo Petro Cornaredo de d. no Jo. Anto Puruxello Rettoria de Santo Andrea ad Pusterlam nouam de d.no Francesco Caxola ; de Santo Fidele de, d.n no Hieronimo di | Tessera. Cappella di Santa Catherina” ne la detta clieala de d.no Marc’antonio Pechio. ‘'Un’altra cappelta in detta chiesia de Santo Paulo et Joanne de d.no Hieronimo Pancerio 350. Rettoria de Santo Martino Noxigia -de d.no Barsua ‘ tolomeo! MAgnchello: ina sig Ego 3 0.0 La 145 6 S. 10 D. 5 8 7 7 5 4 cs 2 12 10 3 8 — 7 8 II 13 2 II 15 10 — 9 4 = 3 S.to — 8 13 —_ 2 SÙ DS 7 19 = 12 16 II 2 I 8 I5 II 3 I5 17 10 1 19 8 10 —_ — 5 2 5 6 7 — ‘8 19 3 146 SSS. s6o0. s62. SOS. S70. S75. so. MARCO MAGISTRETTI Rettoria de Santo Vittore quaranta martiri de d.no Bartolameo Gaiasco (1). L. de S.to Bened.° de d.no Henrico de Righi de Santo Stephanino Noxigia de d.no Jo. Maria Cattanio . . Cappella de Santa Catharina in della ni de d.no Marc’antonio Ghiringhello Un'altra cappella in detta chiesia. Rettoria de Santa Margaritta, de le nonaché Cappella de Santa Maria in Santa Anastazia Rettoria de Santo Laurentino in Torrigio de d.no Battista da Figino . Cappella de Santo Hieronimo in delta chiesi del d.no Figino : de Santo Dalmatio, de d.no Nicolao Castello . ; de Santi Jacomo et Philippo in detta chiesa de d.no Hieron:mo Dugnano n » Canonica de Santo Stephane d’Aplano (2). Canonicato de d.no Nicolao Vixentino. » n Hieronimo Cattia . Item per un’altro Canonicato Canonicato de d.no Hieronimo Fontana Jo. Jacomo Ferraro Jo. Arigelo Terzagho . Jo. Batta Bilia . . Francesco da la Croce. Marc’Antonio Maioraggio Paulo da Carcano. Bartolameo Concino Jo. Batta Pozzo Zacharino Piantanida . Petromartire d’Aplano. . Batta Ferraro Gaspar d’Aplano . Francesco Guasco. Alberto Landono . È Alessandro Solaro. s a EI LI agora lava babo Saérastia ecc.*° ed Aplano de d.no Don.° Carcano (3) 3 detto, che qui fu ripetuta, forse, per errore. (2) Vedi al n. 137 la Prepositura. (3) Ai nn. $12 e sgg. altri benefici della plebana; simili spostamenti si verificano anche in seguito: basterà quindi aver messo il lettore sull'avviso. au/id Al 0 |1aulowi1 004 eu D. 1 HI Ioale HITTTITTTIT{T{@ (1) Questa Rettoria è già ricordata al n. 100, insieme a quella di S. Bene- 585. 590. S9S. 605. LIBER SEMINARI MEDIOLANENSIS Rettoria de Rodello de d.no Cesare Pagano L. A de Santo Alessandro de Mozate de d.no Paulo Palumbo ; ; . i de Santo Saluatore de Oltrona le d.no Jac.* Ferraro . = È « de Santa Maria de Cirimido de d.no Aloisio Carcano de Santo Vitto de Lomazo de duo Ga- "briel Carcano . Un'altra portione de la sudenà imtiolia i d.no Geruasio Carcano . . Rettoria de Santo Abondio de Ciro de Santa Maria de Veniano inferiore de d.no Batta Carcano, de Santa: Agatha de Bulghero de d.no Basilio Ferraro ) P de Santo Martino de Castelnouo de d.no Bernardino Guenzato . Beneficio campestre de Santo Petro è Bragasio de d.no Jo. Petro Malacrida . Rettoria de Santo Remigio de Filiario de di no Thomaso Cortelicio. Una cappella ne la chiesia de Saniò Remigio de Filiario Rettoria de Santa Maria dé enenio de duo Bartolomeo Ghioldo ; i Rettoria de Santa Maria de Caibonate de d.no Francesco Guardo . de Santo Petro de Dare de d.no Agosto Criuello . Cappella de Santo Georgio de Turate de: d.no Francesco Ber.no Sellanoua . Rettoria de Santo Georgio de Luragho Marinodo de d.no Jacomo da Villa de Santo Quirico de Fenegrò de d.no Jo. Batta Bilia de Santa Maria de Gievsate de dn Baldesar Aplano de Santo Quirico de Locate de dui Hieronimo Catt.* (sic) Cappella de Santo Laurentio in detta Cigs du d.no Leone Lissono. Rettoria de Santo Martino de tinaie abbate de d.no Alberto Landono .. . ì Cappella de S.to Laurentio de d.no And.* di Clerici ” ” IO 16 12 14 12 147 148 ér0. 6IS. 616, 620. 625. 630. ‘ MARCO MAGISTRETTI ‘ Rettoria siue cappella de Santo Jacomo de Fenegrò de d.no Aloisio da Carcario L. n siue cappella de Santi Ambrosio et Antonio de Turate de d.no Battista Caimo . Cappella de S.to Laurentio seu Mauritio de Turate Rettoria de Santa Maria de Binagho de d.no Petro da la Croce Cappella de Santa Agatha de Binagho di dino Greco de Castiliono i ‘ A de Santa Maria in Santo Quirico de Lochate de d.no Cesare Mozone . A siue. clericato de Aplano alias de d.no Bonauentura Castigliono A de Santo Petro siue Michele de Aplano de d.no Jacomo de Ferrari È de Santo Georgio de Aplano de d.no Nicolao Cattia . ; Un altro clericato de d.no Avibrosio Balbo Canonica de Santo Alesandro Angleria. PP." de Angleria de d.no Christophoro Carpano . i : i de ha Canonicato de d.no ‘Tionaté Besozzo = e ù A Matheo de d.no AO (i) da Besozzo ” 5 Alberto Roberto . ” s Eramberto Besozzo Bartolameo Bosso. Cappella de Santo Antonio in. Santo Alesandio d’Angleria Cappella sive rettoria de Nibiono de d.no Da- . nesio de’ Nobili . 3 ) ‘ ? La Rettoria de Santa Margaritta da Menia x de Santo Joanne. Evangelista de Merf callo de d.no Stepheno ‘Pusterla . ù de Santo Antonio de Orliano de Santo Martino Monate . sa UO Clericato de Santo Martino Monte (sic) Cappella de Santa Caterina d’Arona de dino Jac.o Ruscono . . >» Clericato de Santa Maria d' Arona Canenica de Santo Vittore d'Arsago. PP. d’Arsagho ‘de d.no Nicolao de d.no Nicolao. Castigliono « ; ; « Ubi ©» I WWW I9Q S. 12 D. LIBER SENINARII MEDIOLANENSIS Canonicato de d.no Petropaulo Bosso .- . L. 5 i Druxiano de Moroxolo. x A Emilio de Schianto (sic) 4};. Ù 3 Jo. Angelo Bosso . A i Francesco Pozzo . ti a Ambrosio Visccnte Rettoria de Santo Gaudentio de Vinagho de d.no Jo. Antonio Cardano . » «E. s de Santo Petro de Quinzano con la Cappella de S.to Antonio nela medema chiesia de de d.no Steph. Gallo 149. n de Santo Alesandro de Montenate de d.no Jo. Antonio Clivio . i de Santo Laurentio de Sumiragho de d.no Jo. Antonio Sorexina i de Santo Vincentio de Menzago de d.no Ambrosio Visconte. de Santo Michel de Mornagho de d.no “Atigelo Caxola. Cappella seu rettoria de Santa Maria di Gandia de d.no Jo. Battista de la gexa 645. Rettoria de Santa Maria de Caxorate de dino Hieronimo Margutio ; de Santa Maria de Bricieno de da no i Luca Visconte . ; î de Santo Siro de Albizagho de. d.no Marc’Antonio Ghiringhello Cappella de Santo Damiano et Cosmo de Ar: sagho d.no Francisco Castigliono . Clericato de Santo Ambrosio Michel et Sirro 7 Arsagho Canenica de Santo Petro et Paulo d'Abia guazeno. 659. PP. d’Abia guazono ded.no Mar’Ant.Moneda L. Canvnicato de d.no Henrico da Vicoseprio. ; a Cesare Pusterla . È Camillo da Castano Rettoria de Santo Petro et Paulo d'Abia guazono de d.no Bernardino da Valle. Canonica de Santo Vittore d’Arcisate. 6;5. PE. d’Arcisate de d.no Jo. Batta Cermenato L. Canonicato de d.no jJacomo Muzono 4” ::. Stor. Lomb , Anno XLIII, Fasc. I-II. JI NI II N "N . IO IO 16 1I . 16 Di ui N 150 660. 665. 675. 680. 6085. MARCO MAGISTRETTI Canonicato de d.no Ferrante da la Croce . LL. ; n Paulo Camolo ù n Andrea Pedacino . È i Cesare Mozono de Jo. Ambrosio Rigono . de d.no Bernardino Pelegrino . b} n ; Hieronimo da Biumo i È Prothasio Cardano È x Andrea de Clapis » È Hieronimo Buzo » i Franc.° Buzo figliolo de d.no Donato A a Baldesar da Trezo Ù Li Ottorino Blanco 5 È Jacomo Biumio 5 - Jo. Stephano de Judici. È É Nicolao de Bianchi Camillo Rigono lle pro cappella Sancti Georgij de Lisio: Canonicato de d.no Jo. Luca Rigono Rettoria de Santo Martino de Viglue de d.no Hieronimo di Bianchi . ; , L. Cappella de Santa Maria de Guadrona d’Induno de d.no Francesco Quattropani Rettoria de Santo Petro d’Induno de d.no Jacomo Mozono . Cappella siue priorato de Saliio Elia dé Viglue de d.no Batta Vegiù Rettoria de Santo Antonio in Salito Viltore d' Arcisate de d.no Paulo Comolo. ; s Domus Sancti Fidelis de ponte d.ni Bara Placentini . Rettoria de Santa Maria de Use de d. no Francesco Ruscono . Cappella de Santo Petro de Ligunilo Canenica de Santo Alessandro de la Plebe (1). PP.r: de Santo Alessandro de la Plebe. 3 db; Canonicato alias de d.no Gotardo Bellaboca n ; È Jacomo Stracia 5 5 = Dionisio Settara . » ” È Jacomo Santagada (1) Cioè l'odierna « Pieve Emanuele ». 2 12 IO 10 PU LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS Rettoria de Santo Ambrosio de Rozano de d.no Baldesar Urbino . 6 » iL 690. è de Santa Maria de Torrigia del ss.to Urbino 8 Canonica de Santo Jeanne de Assio. 691. PP.ra de Santo Joanne de Assio de d.no Jacomo Filippo Sormano . ; i . ;> La Canonicato de d.no Michel Beccaria ; x Jacomo di Conti . È Hieronimo Curiono 69;. a 3 Jo. Batta Giussano . i Francesco Sormano ) Pagano da la Gesia lia de d.no Paulo da la Torre 2 de d.no Jo. Angelo Vimercato . _ 700. n 3 Cesare Bosso I 1 alias «de d.no Francesco (sic) 2 Cappella de Santo Calimero siue Clemente in la ss.ta chiesia de d.no Ottauiano Curiono . 3 , de Santa Valeria in comune de Adsio de d.no Juliano Giussano — Cappella de Santo Ambrosio de Sormano de monte Syon de d.no Ambrosio Rodello . L. 4 705. Rettoria de Santo Cosmo et Damiano de Rozagho de d.no Antonio Zucha . 2 Cappella de quelli di Gariboldi de d.no Agostino Sormano 2 ” de Santi Apolinare et Mateinio de Valle Bruna con la cappella de Santo Fidele ne la chiesia de Santo Michele de Olimpo de d.ni Matheo et Aloisio da Vixino 4 Rettoria de Santo Alesandro de Lusnigho (sic) de d.no Sebastiano Canderina . . — 710. Cappella de S.t0 Primo in S.to Joanne de Asto 3 Rettoria de Cayo de Valassina de d.no Nazario 2 Canonica de Santo Petro d’Aliate. 712. PP. de Santo Petro d’Aliate diuixa in due parte una de d.no Anibal Taliabò, l’altra de d.nv Andrea de Clapis . ; > di #5 Canonicato alias de d.no Benar (cià Massalia II 16 12 ea) 152 715. 720. 730. 735. MARCO MAGISTRETTI Rettoria de Santo Geruasio et Prothasio de d.no Francesco di Riboldi ì « (ba A de Santo Petro et Marcelino de Bexana: per una portione de d.no Ambr.° da Corte l’ altra portione de la sudetta rettoria de d.no Julio da Riua . Item per la cappella de ‘Santa Catherina Cappella de Santa Catterina de Bruscò cum Tabiagho de d.no Gaspar di Maueri È de Santo Martino Castelatio de d.no Petro martire Confanonerio . Rettoria de Santi Ambrosio et Vittore de Briosco de d.no Hieronimo Cassiano . i de Santo Antonio de Triuultio de d.no Georgio Scotto. È de Valle de d.no Micino da Caxate î de Villa Raparia de d.no Franc.® Riboldo Cappella siue rettoria de Caloè de d.no Dionisio Boldizono . , ‘ . Rettoria de Santo Cervo et “Piottazio Ù Vergo, seu Santa Catharina de Vergo de d.no Francesco Besozo ù de Santo Sirro de Monte de d.no Jo. P.ro Lombolato » de Cazano de d.no Jo. Maria de Tonsi A de Souico de d.no Francesco Iximbardo Cappella de Santa Maria ne la detta chiesia Rettoria d' Albiate de d.no Orlando Pelizaro 5 de Santo Simpliciano et Ambrosio de Caratte diuixa in due parte: una de d.no Annibal Taliabò et l’altra de d.no Ambr.° Scolla Cappella de quelli di Bugi in detta chiesia de d.no Francesco Perbono. Rettoria de Santo Nazario et Celso de Verano de d.no Dionisio Giussano 3 Item per la cappella de Santo Joanne in Baladia Cappella de Santa Maria de Caladroe de d.no Xph.° Briosco . ; Rettoria de Santa Maria de Vedupio de d.n no Jo. Petro di soldi . Cappella de Verano con la cappella de Santo Qui. rico de d.no Jo. Andrea Giussano Rettoria siue cappella de Santo Jacomo et Filippo de Giussano de m. Marc’antonio Giussano . Cappella siue rettoria de Santo Stephano de Giussano de d.no Francesco Giussano : 17 16 (@)) o. 12 12 IO 3- 74). 750. 760. 705. 770. LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS Canonica de Santo Petro de Brebia. 740. PP-ra de S.to Petro de d.no Andrea de Clapis L. Canonicato de d.no Hermoletto Besozzo Ù Antisberto Besozzo RA Julio Brebia . A Alesandro Brebia . : Antonio Cocho s Joanne da Villa È Lanzalotto Besozzo a Antonio Besozzo . n Preciuallo Besozzo i Hieronimo Besozzo ; si Petro Besozzo da Bardello. A Paulo Santello i Filippo Besozzo x Jacomo Baldetio ; Baldesar Besozzo. alias de d.no Hippolito Besozzo de d.no Melchion Besozzo. Mazeconiato in detta chiesia . . Cimiliarcato ne la chiesa de Sancto Alessandro: Cappella de Santa Margherita in Santo Petro de ” Brebia de d.no Ant.° M.s Besozo . de Castel de Brebia de d.no Galeaz Pechio Rettoria de Santo Martino de Ispera de d.,no Antonio Brambato : . È. Capp.* de S.ta Maria de la Purifficatione de Cocho Rettoria de Santo Laurentio de Biandrono ” de Santo Stephano de Bardello de d.no Bernardino Besozo . de Santo Martino de Cardana de d.n0 Batta Ixella de Santo Vitto de Bogno de è. no Pre ciuallo Besozzo ; i de Santo Quirico de Trinate de d.no Hieronimo Cattanio. A de Carmixio de d.no Franc.° Bassa . de Santo Jacomo Comabio de d.no Princiuallo Besozzo de Santo Vitto de Tiauedéna de: d.no Jo. M.+ Cugiono de Santo Simpliciano seu Sebafiianò de Cazagho de d.no Jo. Batt.® Viguerio de Santo Antonio de Gauirate de d.no Gabriel Lanciauegia [lan basis] I 00 | vi 153 N Ji o. 154 MARCO MAGISTRETTI Rettoria de Santo Petro et Paulo de Inarsio LL. 775. Clericato de Santo Protasio de Brebia de d.no Paulo Santello. : n de Santo Nazaro de Turre de d.no he ronimo Besozzo . " de Santo Martino de Monte. E di Malgherio Canenica de Santo Alessandro de Besozzo (I). 779. Cappella de la Decollatione de Santo Joanne de Besozzo de d.no Joseph Besozzo L. È de Santa Maria de l’Anuntiata in detta chiesia a de Santi Antonio et Amb o de Hesszo S de Santo Vittore et Blasio de Besozzo D. Pauli Santelli : È de Santa Maria Madalena de B'escaso. de Santa Maria et Antonio de Besozzo de d.ni Gentile de Besozzo et Jacomo Ant. de Castel da Besozzo. Canonica de Santo Martino de Bollate (2). 785. Canonicato de d.no Francesco da Può e Je È L Francesco da Preda ; ; Cesare Bosso. Andrea Buzella Gaspar Vittale 790. ” : Bartolomeo da Er! * A Cesare Pagano Jo. Antonio Vespolito. ù ; Fabritio Landriano Francesco Sola . 795. ù a Quinto Fabio Cabiano. Rettoria de Santo Eusebio de Garbagnate de d.no Jo. Angelo Carnagho . e Cappella de Santa Maria rossa de Garbagnate de d.no Ludovico Castigliono ì de Santo Guglielmo de Villafranca del sudetto Castilliono . i . de Santa Maria in Santo Martino de Bollate de d.no Jo. Antonio Cazinigha » ” (1) Vedi al n. Ir la Prepositura. (2) Vedi al n. 130 la Prepositura. | sli 13 DION do NOreonm WA 4 += IO U. ii 9°) 13 e] LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS 155 80. Rettoria de Santa Maria de Cexate alias de d.no Jo. Maria Reyna . A . L. 8 S.- D. — A de Santo Geruaxio et Prothasio de Novate de d.no Andrea Bugellino . 7 - — ì de Santa Maria de Senagho con Senaghino de d.no Francesco da Può. i > 26 _ — Cappella de Santo Bartolomeo de Boliate de d.no Batta Boltrafio. : s A 5 . 5 197 Canonica de Santa Maria de Bruzane (1). 804. Rettoria de Santo Vincentio de Brasullo de d.no Guglielmo Taegia . i Li. rrS.— D. — a de Santa Justina de Affori de d.no F rancisci Frigerio . | 6 —_ -- ” de Santo Saluatore de Coriano de d.no X.phoro di Bianchi - 5 2 — i de Santo Nazaro et Celso de Bresso®, de d.no Benedetto di Pescara . 8 —_ -- de Santo Martino de Niguarda de d.no "Fiaincesco Miradeno ; 7 — - Cappella de Santa Maria de Pracentenano alias de d.no Santino di Riboldi da Bexana 1 15 — 3810. 5 de Santa Maria de Bruzano de d.no Batta del Maìno . : i . 2 8 — Item per il suo Can.to de Bruzano ) . 2 10 — Canonica de Santo Alesandro, Sexino et Martirio de Briuio. PP.ra de Briuio ded.no Christoph.*di Marchetti L. 20 S. — D. — Canonicato de d.no Hercole Ghisolfo . i . 10 — _ n z Francesco Borrono 6 16 — 815. ù si Josepho di Segurri 4 12 — x x Bernardino da la Croce I 13 8 = Leone Vimercato . 3 to — Item per la cappella de Santo Ant.° in Brivio (a) 8 — — Canonicato de d.no Alessandro da l’Acqua. 5 — — 820. i Jo. Antonio de Dotio 4 IO — Item per la rettoria de Merate 9 — —_ Canonicato alias de d.no Vincentio Vimiencato 2 8 — Canonicato et Mazaconiato alias de d.no Jo Antonio Scotto . . 4 16 —_ Custorija de Briuio de d.no Ambrosio: Marliano 3 Io — 425. Canonicato de d.no Francesco di Negri . . 6 14 —_ (1) Vedi al n. 125 la Prepositura e al n. 811 un Canonicato ; ma nel 1398 eranvi altri cinque Canonicati dei quali qui non restano traccie. (2) Vedi al n. 138 altra (?) Cappella di S. Antonio di Brivio. 156 S}0. d};. 838. SLS. Sq0. 650. MARCO MAGISTRETTI Rettoria de Santo Georgio de Vizagho de d.no Benedetto Molgula . ; = 0 ; de Santo Damiano d’Airuno de d.no Fermo Brambilla a de Santo Marcellino de Inibersaglio de d.,no Arcangelo da Caxate ; de Santa Maria de Merate alias de d.no Francesco Caxato . Cappella de Santo Joanne evangelista in Salita Alesandro de Robiate de d.no Ambrosio Airoldo , i ui de Santo Stephano de Nouate de d.no Arcangelo Caxato Rettoria de Santo Floriano de Verdenio de. d.no Michele di Scotti * de Santo Vigilio de Calcho de no Battista de Rippa . Cappella de Santo Ambrosio de Ciicho dla de d.,no Raffael Vimercato . Rettoria de Santo Martino de Castronsgho de d.no Hercole Ghisolpho . ; ì Cappella de Santo Jacomo de Paderno de d.no Antonio Airoldo ; seu rettoria de Santo Zenone de Porchera de d.no Hercole Ghisolfo Canonica de Santo Petro de Beolco (1). Canonicato de d.no Jo. Antonio da Dotio . L. 5 : Jo. Antonio Airoldo i » Jo. Pietro di Re È i Jacomo Filipo Airoldo . h Andrea Jacobono . alias de d.no Raffael Vimercato ò Jo. Antonio Scotto de d.no Battista Capra ” n ” ”» Canonica di Bellano. PP. de Bellano de d.no Julio di sali 2 E Item per il suo canonicato. ; . Canonicato d.no Jo. Antonio Borello n alias de d.no Francesco Magno Cappella de Santo Jo. Battista i de Santo Antonio È de Santa Madalena et Caihieima: Rettoria de Santo Laurentio de Mugiasca . (1) Vedi al n. 126 la Prepositura (GÒ ogle IO ND | »W 4 009 o w LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS Canonica de Santo Saluatore de Barzanore. 854. PP. de Barzanore de d.no Guido Biragho L. Canonicato de d.no Francesco da Pirouano i A Battista Caponagho È, n Ambrosio da Corte i iù Franc. Bernardino da Nava È Julio Simonetta S60. Cappella de Santo Blasio ut s.ì de d.no Jo. Antonio Pirouano. > de Santo Vittore seu Siluatore de d.no Francesco Pirouano i ; Canonica de Santo Vittore di Corbetta. $62. PP.r di Corbetta de d.no Franc.° di Marconi L. Item per un canonicato . 1 3 ; Canonicato de d.no Jacomo Visconte . N65. s alias de d.no Francesco Caxato i de d.no Christophoro Borro i » Jo. Antonio Porro A a Folco Spinella ù î Jo. Angelo di Berri s70. i n Francesco Pozzo . » Battista Landriano S alias de d.no Hieronimo Cattia Cappella de Santo Jo. Batta in Santo Vittore dotata per d.no Joanne di Borri i de Santo Jo. Batta et Antonio in detta chiesia de d.ni Jo. Ant.° et X.phoro de Borri i d75. E de Santa Maria Madalena uu preuosto de Santo Vittore et de d.no Jac.° Filippo Borro Rettoria de Santo Martino de Mazenta de d.no Federico Criuello Un’altra portione de la sudetta rettoria de d.nu Bartalomeo Peregho _ Rettoria de Saata Maria de Viiugolo de d.no Siluio Resta Cappella de Santo Nazaro et Celso: in detta de sia de d.no Antonio Maria Cattaneo 850. Rettoria de Santo Petro d’ Abia grasso (sic) de d.no Hieronimo de Fanno Un'altra portione de la sudetta rettoria de d.n0 Francesco Sinibissio Cappella de Santo Ambrosio d’ Ab grasso de d.,no Andrea Pionno 5 de Santo Antonio d’Abia grasso glia de d.no Dionisio Francono . Go ogle I VI oO\+ dd 00%%wW 0di dg N d) I2 IO 157 D. 3 5 D. — 3 5 6 SE;. £090. SyS. 900. 905. MARCO MAGISTRETTI Rettoria de Santo Andrea de Casterno de d.no Filippo Raxino. ; Je: Un'altra portione de la siidlerta rettoria de d.no Ludovico Predasanta Rettoria de Santa Magia de Bestazzo i dn no Je como Terzagho : Cappella de Santa Maria de Mazenta de d.no Ludovico di Medici. Rettoria de Santo Remigio de Sidriano de d.no Jo. Maria Ghisolpho Cappella di Santa Maria d'Albairate de d.no LA tonio Cadamosto Rettoria de Santo Georgio d’ Albairate de d.no Antonio Caregnano. Un'altra portione de la sudetta retionia de duo Carlo di Cani . Cappella de Santo Joanne de Albairate de dino Antonio Cadamosto. A de Santo Vitto de Bestacio de d.no Jo Maria Nidaxio . Rettoria de Santo Jo. Batta de Cisliano ue d.no Ott.no Mozato . é n de Santo Nazaro et Celso de Baregio de d.no Pompeo Gilassiato SE de Santo Nazaro et Celso de Mercallo de d.no Baldesar Crivello Clericato de Santo Salvatore de Mercallo de d.no Hieronimo Parpagliono . i de Santo Georgio ne ia sudetta de d.no Dominico Glussiano Cappella de Santo Bartolomeo de Ossola de d.no Ambrosio di Medici i i de l’Anuntiata in Santa Maria de Mexero de d.no Gaspar Settara - Clericato de Santo Innocentio de Mexero de d.no Battista Crivelo Una cappella ne la chiesia de Santo Vivtore de Mazenta Rettoria de Santo Christo phoro de Ossona de d.no Hieronimo Romano Cappella Ducale in Abbiate grasso de di no Rigo: stino Aplano Monasterio sive Cappella de Santa Maria Celestina mendicante (1) (1) Vedi al n. 135 la chiesa di S. Maria Celestina di Magent:. [2 18 IO 22 14 II ‘1 IO IO LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS Canonica de Sante Joanne de Cexano. 906. PP.'radeCesano de d.no EminioRitio alias(sic) LL. Canonicato de d.no Jo. Battista Lodi . È i Bernardino Beolco ; A Gaspar Bosso A 010. ui z Battista Alfero ù ; Carolo Varexio i alias de d.no Petro de Zuchi — ———» Rettoria de Santo Geruaxzio et Prothasio de Romano banco de d.no Jacomo Antonio da Monte ; i »«. Li È de Grancino con la cappella de Corsico de d.no Jo. Battista da Lodi. 9IS. : de Santo Sebastiano de Vighignolo de d.no fra Paulo da Mariano i de Santa Margarita da Settimo de d.no Agostino Morono x A de Sant Ambrosio de Trezano de d.no Hieronimo Pozzo : de Santo Apollinare de Baggio de: d.no Jo. Paulo Baggio ; de Santa Maria de Gheregnano de d.no "aédi Filippo Mezabarba 920. Cappella sive rettoria de Santo Desiderio d’Asagho de d.no Bernardino Mantegaza . Cappella Ducale de Santo Antonio de i de d.no Francesco di Vaghi . . Canenica di Crenna. Canonicato de d.no Hieronimo di Moneda . L. ; a Francesco Scolla . i Donato Beacqua . . 925. Rettoria de Santo Zenono de Crenna de d.no Francesco Sperono . 4 12 13 Il 159 HI Ii 6 Canonica de Santa Maria al Monte (1) cen la Canonica de Castigliono. Canonicato de d.no Ambrosio Piantanida . L. Arcipresbiterato de ARET de d.no i Castigliono Cappella de Santa Maria noua de Castigliono ce d.no Joanne de Castigliono I5 I5 9 S. — D. (1) Al n. 112 è tassato l’ Arcipresbiterato di S. Maria al Monte per L. 48. 160 MARCO MAGISTRETTI Cappella Sacratissimi Corporis X.pi d.ni EIMURDI Castillionei È le 930. Un'altra cappella come di sania de di no Jo. Antonio Castigliono i Cappella de Santo Nicolao et Bernardini de Ca stigliono 4 n de Santa Maria, Stephano et Laurentio de Castigliono de d.no Hieronimo Item pro alia cappella ut supra Cappella dell’Assumptione in Santo Uaurenio de Castigliono de d.no Jo. Petro Castiono 93}S. 4 de Santa Maria de Castiono de d.no Joanne de la Stella . 17 13 4 6 Canonica de Santo Joanne Evangelista de Castelseprio. 936. PP. de Castelseprio de d.no Jo. Petro Hormexino (I) : ? : ; + db, Canonicato de d.no Alesandro Natiizioio. A A Stephano Pusterla ù y Scipion Bracello . 7 940. x i Hieronimo Codegha Li ; Jo. Antonio Carnagho . ì ; Petropaulo Bosso. . Ù i Cesare Bosso. 3 » alias de d.no Hieronimo Cattia. ZLS- A de d.no Francesco da Castilliono ” s Gabriel da Castiono . Canonici in fcudo minore. 9.47. Canonicato de d.no Filippo Castiono . = Ly A î Leonardo Castiono "i ù Jo. Donato Carnagho . 950. , " Jo. Angelo Carnagho . n 5 Joanne Borghetto . 952. Cappella dotata per d.no Prete Beltramo . L. È de Santo Paulo de Castelseprio de d.no Antonio del Conte . : ; de Santa Maria fora de le porte de Castelseprio . y;S. a de Santo Leonardo et Anno n Venegono inferiore d& d.no Ludovico del Conte . (1) Vedi al n. 113 la « Prepositura di Castel Seprio » è tassata per L. N N o\ Ww UU diu dI U VIUr SD vw W o Iwluwl 1 50. 960. 970. 973. 960. LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS Cappella de Santa Maria de Venegono inferiore de d.no Francisco da Limidi. ; «» «Ls Rettoria de Santa Maria et Michele da Venegono ss.to del ss.to d.no Francesco Cappella de Santo Nazario de Vicoseprio de d.no Jo. Antonio Castagliono ò de Santa Maria de Vicoseprio de d.no Alessandro Martignono . 1 de Sant’Ambrosio de Morazono siue rettoria de d.no Barthalomeo Castiono Rettoria de Carono de d.no Jo. Andrea Serbelono . Cappella de Santo Barthalonieo de Rouate de d.no Batta de Machi s de Gornate Inferiore de d.no \Ginne da Castiono A de Santo Michele de Gormdie Superigre . Rettoria de Santo Petro et Paulo de Lonate Ceppino de d.no Antonio Castiono ” de Santo Stephano de Tradate de d.no Melchion Bilia . Cappella de Santo Sepolcro de Tradate de d. lo: Dominico Tradato . > de Santa Maria de Tradate de ia Bartholomeo Pusterla Un’altra cappella de Santa Maria de Tradate de d.no scolastico (sic). Rettoria de Santo Pancratio de Vedano de d.ni Batta Buzo et Franc.° Castigliono a de Santo Martino de Carnagho de d.no Bartholomeo Bosso. Cappella de Santa Maria de Cariglio de d.no Christophoro Bosso. j . ; Canonica de Santo Petro de Cliuio. Arcipretato de Cliuio de d.no Bern.do di Judici L. Canonicato de d.no Francesco di Judici È ì Jacomo Buzo ò x Jo.Petro Besozzo da Bardello 3 Jo Antonio Castigliono. Rettoria de Santo Sirro de Cliuio de d.no Hieronimo Buzo Cappella de Santo Martino de Cliuio de d.no | Hieronimo Buzo Un’altra cappella de Cliuio ie d.no ‘Martino Cattia II 12 (i YI 16 II 16I IO IO 162 9SI. 985. 990. 99). MARCO MAGISTRETTI Canonica de Santo Vittore de Canobio. PP.ra de Canobio de d.no Francesco Mantello L. Canonicato de d.no Jo. Maria Thomacino . = Thomaso Cigalino i Bartholomeo Cerretto . Francesco Pontio . > Gaspar Mantello . 7 ; Jacomo Rainoldo . D) = ®3 3 Item per la rettoria de Brisago . i Ue Cappella siue rettoria de Placio . Rettoria seu cappella de Canero. A de Valle Canobyna. 3 B de Valle Vedascha de d.no Camillo di Gerardi . ? i seu cappella de Trarego. con la Ha imida data per li huomini de la rettoria de Vigiona con le primitie Cappella de Tronzano . A de Pino - 4 S.- D. 4 —__ 3 16 4 _ 4 sis 4 2 4 _— 15 S. 17 D I asa I 2 3 —__ 4 6 5 16 — 8 — I (continua). ia una delle tante poesie inedite del Lancetti da lui {i trascritte e ordinate in un volume, che, secondo l’in- | ij tenzione sua ultima, avrebbe dovuto passare alle > fiamme, ma che viceversa l’ Olivieri, suo figliastro, donò con molti altri manoscritti al Corio e che ora conservasi nella biblioteca Ambrosiana, si ricava l’anno e il giorno della nascita, fatto variare da quanti se ne occuparono fra il 1766 e 1768 (1). À pag. 327 di detto volume, si legge con la data 3 gennaio 1804 una poesia dedicata al suo natalizio che comincia con le parole: Oggi è il tre di gennaio, e in questo dì Trenta sett’anni fa Mia madre (requie a lei) mi partorì. Ma questa data non toglie completamente il dubbio che sia nato in altro anno e cioè nel 1768 poichè così scrisse egli stesso nel foriguardante la sua carriera e nel processo che ebbe a subire nel "23; mentre dall’ interrogatorio del 17 risulterebbe nato nel ‘67. (1) Chi più di proposito finora si è occupato del Lancetti è GiuserPE MaNACORDA, / rifugiati italiani in Francia negli anni 1799-1800, sulla scorta del « Diario » di Vincenzo Lancetti e di documenti inediti degli archivi d’ Italia e di Francia, Torino, 1907, in-4 gr., pp. 226, estr. dalle Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, serie II, to. LVII, Su questo lavoro cfr. A. BuUTTI, in quest’Archivio, a. XXXV, fasc. XVIII, 1908, p. 375-88. Vedi nello stesso fascicolo CARLO SALVIONI, Lettere di Carlo Porta a Vincenzo Lancetti, con un’appendice di una lettera a Tommaso Grossi, p. 340-355. Cfr. inoltre il nostro art. Lettere inedite di Ugo Foscole a Vincenzo Lancetti, in Rivista d’Itaiia, dic. 1915 ove si corregge qualche inesattezza del Manacorda e al nome Biografia degli italiani viventi, Lugano, Veladini, 1819. Aggiungiamo all’ ultimo momento l'art. di G. MANACORDA, 4 proposito di V. Lancetti, massone, poliziotto e letterato, in Rivista d’Italia, maggio 1916, nel quale trovansi varie notizie riguardanti la massoneria e molte indicazioni bibliografiche. Ci tengo a dichiarare che io non ho mai detto che il Lancetti fosse massone fin dal 1800 e che il Manacorda sostenne esplicitamente che il Lancetti era « irreligioso ma non massone » senza determinare l’anno a cui si riferiva. GO ogle 164 ANGELO OTTOLINI Nacque dunque il 1767 o 68 dacche lui stesso lo fa variare fra questi due anni e a Cremona da Carlo Lancetti, uomo versato negli studi ed economici e letterari così che quando per opera di Pompeo Neri, fiorentino, venne stabilendosi in Lombardia il pubblico censimento fu nominato fra i primi cancellieri censuari in Cremona (1). Passò il padre nel 1774 a dirigere la grande amministrazione di casa Andreani a Milano, e quivi rimase con la famiglia fino al 1785, anno in cui fece ritorno a Cremona; nel 1798 fu elevato a prefetto di quel dipartimento e si spense nel 1809. Vincenzo, che aveva seguito le vicende del padre, ebbe, si può dire, la prima istruzione a Milano ove frequentò le scuole di s. Alessandro sotto la direzione del padre Ciani e del padre Ciceri e quelle di Brera sotto il Parini. Con tali maestri e con l’inclinazione naturale alle lettere e al sapere si sviluppò in lui giovanissimo il desiderio ardente di eccellere e di imporsi, di conquistare un posto non comune nella repubblica letteraria, e forse sarebbe riuscito se invece di assecondare l’indole sua avesse saputo contenerla in limiti più ristretti. Con una certa amarezza dovette più tardo riconoscerlo lui stesso, allorchè comprendendo che oramai il miraggio della glotia gli sfuggiva per sempre, nelle lunghe sere invernali del 1812-13 ricopiava parte de’ suoi versi condannandone moltissimi alle fiamme e vi premetteva una prefazione che merita d’ esser nota per quanto riguarda la sua natura, i suoi studi, le sue prime prove nel campo dell’arte. Scrive dunque l’autore a chi legge, proemiando alla raccolta di versi che secondo il testamento doveva essere abbruciata (2). La natura mi ha dato una inclinazione invincibile ad ogni sorta di studio, e un tal piacere alle applicazioni della mente, che sembrava volermi essa destinare con questo mezzo a render forse qualche importante servizio alla società. Ella mi dotò sopratutto di una immaginazione così vivace ed ardente, e mi diede un tale squisito sentimento per il bello, e per l'armonico, che io debbo pur troppo vergognarmi di esser poi riuscito sì poca cosa. (1) Cfr. /nteressi Cremonesi, n. 64, 1° giugno 1889 e quest'Archivio, a. XVI, 1889, p. 514. : (2) Ci fu mostrato, insieme agli emblemi massonici, dal sig. Guido Olivieri, discendente, come si disse, dal Lancetti. ù NOTE PER UNA BIOGRAFIA DI VINCENZO LANCETTI 165 Di otto anni io aveva scarabocchiato un sonetto, e mal copiato con - la matita alcuni disegni del Bibiena; lodi a tredici anni mi compartiva il P. Ciani maestro di umane lettere nelle scuole di S. Alessandro in Milano pei versi latini e italiani che io sottometteva al di lui giudizio, e le correzioni amorose che ne’ due anni seguenti mi andava facendo il P. Ciceri, maestro di poesia nelle scuole medesime, per una quasi intera traduzione in versi sciolti sdruccioli che io feci dell’ Eneide a’ quei giorni. Ai principio de’ miei sedici anni volli passare alle scuole di Brera ove poscia frequentai diligentissimamente fino a tanto che la mia famiglia non si restituì a Cremona, mia patria, locchè avvenne quando contava già il 18° anno. Ma la mia diligenza, l’affezione mia fu tutta verso il grande Parini, e il giudiziosissimo P. Soave, e intanto io non trascurava affatto le altre lezioni filosofiche, matematiche, legali e simili. in quanto le cognizioni che io ne acquistava parevanmi dover servire a farmi un buon poeta: gloria alla quale l'animo mio supremamente aspirava. All’ epoca stessa accadde che io per la prima volta mi innamorai, e buon per me che la giovine era essa pure affezionatissima ai begli studi, e mi eccitava continuamente, e aggradiva con entusiasmo i versi che io andava quasi ogni giorno tributandole. Le disgrazie di mio padre lo obbligaron a rimpatriare e misero me nella necessità di avere impiego, e supplir con esso ai bisogni della famiglia e miei. La carriera degli impieghi, le vicende politiche sopravvenute in Lombardia, la parte che vi «bbi, le occupazioni importanti cui mi vidi chiamato, la necessità di acquistare miglior dottrina nella scienza amministrativa, e nella ragione di stato, l’urto delle opinioni, la successione delle circostanze, il bisogno della famiglia mia propria, i pericoli che ebbi a provare, non disseccarono del tutto la mia vena poetica, ma la dimmuivano notabilmente. Nel 1785, ritornato col padre a Cremona, cominciò la sua lunga carriera-di impiegato, il che non gl’impedì di coltivar la poesia e di stampare i primi suoi saggi poetici nel 1791, pei tipi del Manini, Le idee che provenivano di Francia avevano trovato anche in Cremona buon terreno ed ebbero nel Lancetti un ardente sostenitore. Era stato infiammato alla democrazia dall’abate Giuseppe Vairani, contro il quale più tardi, nel luglio del 1797, scrisse sonetti che sono un libello anzichè una satira, perchè, venuti i francesi, il Vairani divenne nemico del nuovo ordine contro il quale ogni giorno pubblicava un foglio o in prosa o in versi. Questi consistevano in Sonetti al Popolo ed uscivano in Cremona dai torchi del Noce. Il governo volle che gli si opponessero armi uguali ed il Lancetti ebbe” l'ordine di scrivergli contro. Cominciò con sonetti, la maggior parte Arck, Stor. Lomb. Anno XLIII, Fasc. I-II. ll Go ogle 166 ANGELO OTTOLINI dei quali venne stampata in Cremona con la data di Brescia e finì con le Jettere di un soldato Lombardo sugli opuscoli dell’ab. Gius. Vasrani. 11 Vairani rispose con altri sonetti senza nominar il Lancetti il quale a sua volta replicò anche con epigrammi. In questo frattempo coltivò anche l’idea di scrivere un poema su Napoleone, di cui ci ha lasciato un frammento su La presa di Mantova (1) con la data del 27 agosto 1797, ma tale opera smise quando seppe che il poeta Fr. Gianni stava scrivendo il suo Bonaparte. Alla tine del 1797 lo troviamo a Milano e comincia a partecipare alla vita politica. Tutto infiammato di idee rivoluzionarie fa parte del Circolo costituzionale {2) ove si davano convegno il Fantoni, il Ceroni, Giov. Pindemonte, il Foscolo, ecc., e la sera del 2 novembre declama la sua ode // Circolo costituzionale in cui ricorrono i versi: Sacri al Genio possente Che fra noi Libertà dal ciel conduce Qui noi stringe desìo di spander luce Sovra l’ignara gente. Di libertade il tempio Son queste mura, e sacerdoti e figli Noi sprezziamo per lei pene e perigli Con maestoso esempio (3). Il 9 dicembre recita le stanze « ]l congresso de’ fiumi sulla libertà italiana » alla presenza di Giov. Pindemonte e dei Labindo. Gli applausi giungono all’entusiasmo: la poesia è subito stampata: in due giorni se ne fanno tre edizioni in italiano e una in francese. Le predizioni messe in bocca di Proteo nello spazio di due anni si avverano e di ciò compiacendosi il Lancetti, trascrivendo più tardi la poesia, vanta il suo spirito profetico dicendo « est deus « in nobis » (4). Qui inneggia alla libertà che si consegue col coraggio nazionale e alla caduta del potere temporale. (1) Mss. Lancetti presso l’Ambrosiana, vol. Poesie, p. 75. . (2) Cfr. G. Mazzoni, A Milano cento anni fa, in Nouova Antologia, fasc. 636, î6 giugno 1898, p. 579 e sgg. (3) Ass. cit., p. 190-9I. (4) Mss. cit., p. 199. — NOTE PER UNA BIOGRAFIA DI VINCENZO LANCETTI 167 Vuol tempo il tempo, e libertà non vola Ove il coraggio pria non le apra il calle; Non è dell’Alpi il re, non l’Austria sola, Che stringano all'Italia e fianchi e spalle: Altri nemici in scettro e in spada e in stola E di croci segnati azzurre e gialle Le è forza rovesciar, cadran, cadranno, L’ Italo suol più non avrà un tiranno. 1 vari fiumi delle varie regioni concordi acclamano alla libertà e all'unità della patria che si raggiunge con l’aiuto della Francia e Proteo profetizza: O tutta Italia in libertà risorta Mirar dovrete ed ogni giogo infranto O tutta schiava ancor, e tutta assorta Nelle miserie, nel dolor, nel pianto: Ma il destino vuol che libertà le torni; E tu disponti, Italia, a sì bei giorni. Pure in morte del generale Duphaut, a cui era stata promessa in isposa Carolina Bonaparte, la futura moglie del Murat, inneggiando alla libertà, inveisce contro il potere temporale del papa accordandosi con l’Alfieri nell’affermare: Il papa è papa e re; dessi odiar per tre. Anche questa poesia, scritta nei giorni 10 e II gennaio 1798, fu recitata al Circolo costituzionale e propriamente la sera del 20; anche questa fu applaudita come tutte le enfatiche declamazioni (1); ne fu subito approvata la stampa; ne furono tirate due edizioni in-8 in tre giorni ed ebbe l’onore di essere musicata dal torinese Brusano. Quando sopraggiunsero i rovesci delle armi francesi e il Lan. cetti, per sfuggire alla prigionia, emigrò con molti in Francia lasciando a Milano la moglie prossima a sgravarsi, era capo della 1* divisione del Ministero della guerra. Di questo suo esilio lasciò ricordo nel Diario pubblicato dal Manacorda, lavoro non ricco di (1) Cfr. il giornale // Circolo costituzionale, Milano, 1797-98. Sono diciotto numeri che vanno dal 21 dicembre al 4 marzo: qui si dà relazione delle varie proposte, dei lavori letti e dell'entusiasmo provocato. 168 ANGELO OTTOLINI casi e di azioni, ma importante per le persone che vi sono nomi. nate. Dimorando a Grénoble coi più fervidi giacobini italiani il Lancetti cominciò il 12 pratile dell’anno VII (maggio 1799) un poema elegiaco Le Lamentazioni, di cui ci rimangono otto cantiche. Il poema era d’ argomento malinconico: al dolore di aver dovuto lasciar la patria e la moglie incinta si aggiunse la falsa notizia che il figlio natogli era sopravissuto solo sei giorni. La diceria gli somministrò e passioni e pensieri, onde per dar sfogo all'animo suo turbato scrisse queste lamentazioni che, cominciate a Grénoble, furono continuate dalla metà della quarta cantica fino alla settima a Parigi e gli ultimi versi vergati il 27 fiorile anno VIII (17 maggio 1800) quando trovavasi ai bagni ad Aix in Savoia. Mentre trovavasi ad Aix gli giunse l’ordine di raggiungere la legione italica al cui stato maggiore apparteneva e ritornato quindi in Italia non pensò più ad ultimare il poema che doveva risultare di dodici canti. Nominato dal governo provvisorio vice direttore di marina con la retribuzione di cinquemila lire, mentre prima della emigrazione in Francia come capo della 1* divisione del Ministero della guerra era retribuito con novemila lire; fece le sue rimostranze e venne poco dopo eletto segretario generale del nuovo Ministero della guerra con seimila lire di stipendio. Da quest'epoca cominciò a brigare con ogni mezzo per salire; s’inscrisse nella Massoneria e raggiunse i più alti gradi; coltivò la poesia e l’erudizione; pubblicò un poema l’Areostiade che aveva incominciato sul finire del 1783; un poemetto epico-lirico sull’Ztalza incoronata per |’ incoronazione di Napoleone nel maggio del 1805 e moltissime altre cose e di qualsiasi natura; preparò pure un poemetto in versi sciolti Haiti o l'isola di San Domingo che fu rivisto e ritoccato dal Foscolo (1) al cui giudizio fu sottoposto e che doveva comparire sotto l'arcadico nome di Eridanio Cenomano. Il Lancetti, qual segretario centrale del Ministero della guerra, fu presidente dell’ufficio di compilazione del codice militare, a cui pure, come capo della quarta (1) Cfr. L. Corio, Haiti o l'isola di S. Domingo, poemetto inedito di Vincenzo Lancetti con note di Ugo Foscolo, in Vita Nuova di Milano, a. I, 1876, p. 8, 36, 61, 71, 86, 120, 139; C. Cantù, U. Foscolo paralipomeni, in quest'A4rchivio, 9. III, 1876, p. 78. Postille e poemi del Lancetti. NOTE PER UNA BIOGRAFIA DI VINCENZO LANCETTI | 169 sezione presiedeva il Foscolo; codice che, come è noto non venne poi ultimato (I). Dal 1802 in poi il Lancetti, nominato direttore dell’ archivio generale del Ministero, attende più che altro alle sue pubblicazioni e al suoi studi e rimane indisturbato per tutta la dominazione napoleonica e con poche noie anche sotto il nuovo governo, data la sua natura remissiva. Era il Lancetti, dice benissimo il Manacorda che ne ha studiato e compreso come nessuno l'animo e la tendenza (2), un rivoluzionario d’occasione più che di profonda convinzione; si era trovato travolto dalle cose a far la parte di vittima politica, quasi senza saperne il perchè : la sua filosofia della vita è tutta compendiata in quelle curiose riflessioni da lui confidate al suo Diario sotto la data 14 fruttidoro. Alla fin fine (egli chiedeva a se stesso) perchè sono io qui solo, esule, povero? Ho sempre ubbidito, comandasse l’imperatore o i demagoghi francesi! Non sono un individuo pericoloso (diceva compiacendosi) e pur troppo, dobbiamo aggiungere, non era neppure un cittadino maturo alla vita pubblica. Nel continuo mutar bandiera, nella mancanza di ogni idea, nel facilismo poetico, troppo era ancor figlio di quel frollo settecento che contemplò con l’indifferenza dell’ estraneo il grande dramma tra ciò che fu e ciò che sarà, il quale si svolgeva dopo Il ’96 sotto i suoi occhi tra francesi e austriaci, concordi solo nell'opprimere e spremere il popolo, cui non restava che la virtù di saper sempre ubbidire. Indole mitissima, amante dei divertimenti e sopra tutto del teatro, impenitente cacciatore di gonnelle, amante però del quieto vivere casalingo e dei buoni piatti paesani, fuggì con orrore i turbolenti che abbondavano fra gli esuli. Firmò la petizione per l’indipendenza e l’unità d’Italia, solo perchè altri la firmavano, senza capir bene l’importanza dell'atto, pago che gli amici approvassero il suo operato. Ufficiale dello stato maggiore sì preoccupò molto più dello stipendio e dell’acquisto delle spalline e del cappello che non di affrontare a lancia e spada il nemico. (1) Cfr. L. Corio, Rivelazioni storiche intorno ad Ugo Foscolo, Milano, Carrara, 1873, p. 28 e il Progetto, p. 113 e sgg. (2) Op. cit., p. 132. Ciò ci compiaciamo di affermare avendo altrove rile» vato qualche inasattezza, e da lui trascriviamo quasi parola per parola }’ indole e il carattere del Lancetti. 170 ANGELO OTTOLINI Consigliato dai direttori a proseguire la carriera militare, colla lusinga del posto di ispettore generale al Ministero della guerra, esita ad accettare, perchè non sa quanto gli daranno di stipendio. Quanto al resto, in un periodo di esaltazioni e di pazzie, il Lancetti merita lode per la sua equanimità: irreligioso, e massone (1), non vuole, d'accordo col Foscolo, che si perseguitino i preti, perchè equivale a rafforzarne il partito; troppo debole per difendere la patria, ha pure qualche pensiero affettuoso per essa, quando teme che se ne faccia mercimonio in una nuova Campoformio e protesta in cuor suo, vedendo manomesse e non ben custodite le opere d’arte che i francesi hanno predato all'Italia. Delicatissimo negli affetti domestici, nonostante le frequentissime scappate extraconiugali, ha spesso accenti commoventissimi di dolore per la lontananza della sposa e dei figli; egli sogna la sua famiglia, i suoi bimbi, si commuove alla vista dei genitori che hanno presso di sè i loro bambini, piange se un dramma gli presenta una situazione simile alla sua. Data questa sua natura e questo modo di concepir la vita, si comprende come si sia benissimo adattato ai vari governi. Quello ‘spirito guerriero e liberale che sembrava gli ruggisse nell’animo durante i primi anni della rivoluzione francese, non era veramente sentito, si era a poco a poco affievolito per lasciar luogo alla indifferenza in fatto di politica, all’ambizione in fatto di letteratura. Ed eccolo compor versi su versi, tragedie, commedie, libretti d’opera, poemi, tradurre dal francese, dal tedesco, dall’inglese attraverso traduzioni francesi (2), scrivere romanzi, occuparsi di filosofia e di storia, pubblicare almanacchi col diario onomastico degli eroi e riviste di libri usciti nel Regno Lombardo, e una guida dei viaggiatori in Italia con carte geografiche, e le biografie cremonesi e (1) In questo non ci accordiamo col Manacorda al quale sono sfuggiti i documenti esistenti nell’archivio di Stato in Milano, de’ quali dovremo parlare, e lo dice non massone e a ragione, se si riferisce solo al 1800 e non a tutta la vita. Per quanto riguarda la massoneria cfr. anche GaeTtANO CRESPI, 1) patriotismo di Carlo Porta, Milano, 1908, p. 6-7 ove il nome del Lancetti compare sotto la penna del Porta nelle ricevute che questi rilasciava quale cassiere di una loggia massonica, e l'articolo nostro cit., p. 867-68. (2) Tradusse Woodstock ossia il Cavaliere dello Scott; nella nota premessa al manoscritto si legge: « dichiaro che ho tradotto dal francese e non dall’ inglese », 18 giugno 1828. 7 NOTE PER UNA BIOGRAFIA DI VINCENZO LANCETTI 17! la psewdonimia, scrivere insomma « de omnibus rebus et de qui- « busdam aliis » (1) e sotto il suo nome e di Eridanio Cenomano, e di Franco Splitz chirurgo (2) e di Timolao accademico Filopatride e sotto l’anagramma di Vittore o Vittorio Calmetti (3). Riconfermato direttore del R. Archivio di guerra dal Feld Maresciallo conte di Bellegarde, continuò fino al 1840 nell’opera sua, senza avere quelle soddisfazioni a cui ambiva. Non fu difatti un modello di impiegato e più preoccupato degli studi suoi che dell'ufficio, attese ad allargar la sua coltura (4) e a nuove pubblicazioni. La sua serenità ebbe un piccolo turbamento, la prima volta, nel 1817, allorchè subì, il 17 febbraio (aveva allora cinquant'anni, dice nell’interrogatorio) un processo in cui si mirava a stabilire la sua conoscenza e relazione con l’abate Ottavio Albicini e se con lui avesse parlato di società segrete. Più grave amarezza subì nel 1823 quando si vide arrestato col figlio Carlo Alberto e sottoposto a un lungo esame, esame che merita in gran parte d’esser riprodotto perchè serve a illuminare l’aggregazione sua alle società segrete e la parte che vi ebbe. (1) C. SALVIONI, in quest’Archivio cit., p. 340, n. 2. (2) Il CAMERINI, in Avvertenza alle Satire di T. Petronio Arbitro volgarizquite da V. Lancetti, Milano, Daelli, 1863, p. x1, dice: « il Lancetti prima d°es- « sere un polistore fu chirurgo », ma non è vero; come rilevasi dalle stesse sue atfermazioni non si occupò mai di medicina; adottò la parola chirurgo col pseuionimo di Franco Splitz per adombrare il suo nome. (3) Vedi l'elenco delle opere in D. Copara, Cenni mecrologici sul letterato V. Lar:cetti, Monza, Corbetta, 1855, e in MANACORDA, Op. cit. j altro ne aggiunge il BUiT:, Op. cit., p. 377; aggiungi i manoscritti conservati nella biblioteca Ambrosiana e nella biblioteca di Cremona, intorno ai quali ultimi vedi quest'Arch., a. XVI. 1889, p. 514; le carte che si trovano nel Museo del Risorgimento di Milano e nel Civico di Pavia. (4: Intorno alla poca serietà scientifica del Lancetti cfr. F. NovatI, Della vita e delle opere di M. G. Vida, in Sedici lettere di M. G. Vida, lavoro magistrale inserito in quest'Archivio, a. XXI, 1899, p. 195, 5, € specialmente la p. 7 e sgg. Anche nella pseudonimia ricade in vari errori. A_p. iv scrive: « Il mio illustre « amice Ugo Foscolo ebbe la mortificazione di udir fischiata in Milano la sua « bella tragedia il Tieste, per aver indotto un personaggio ad invocare l’ aiuto « de' Salamini ». A parte il fatto che doveva scrivere Aiace e non Tieste, non è vero nemmeno quanto dice; cfr. A. MAnzI, Foscolo, la censura teatrale e îl governo italico, in Rivista d'Italia, maggio-giugno 1912. 172 ANGELO OTTOLINI Esame 5 Maggio 1823 (1). 1° Sulle generali. R. Sono V. Lancetti del defunto Carlo e della defunta Francesca Bussetti, nacqui a Cremona; fino dall’ anno 1797 domicilio in Milano, conto 55 anni, sono ammogliato in seconde nozze con Catterina Maria Pugni di Milano, ho due figli da me concetti con Antonia Piatti ora defunta ed era prima mia moglie, sono direttore provvisorio dell'Archivio dell’ex-ministero di guerra del cessato Regno, Cattolico, non sono stato assoggettato a nessuna censura criminale, e soltanto fui sei o sette anni fa dalla direzione di polizia di questa città, involto in una inquisizione politica pel contatto in cui venni col Canonico Albicini, parmi di Forlì, e con qualche altro individuo, di cui al presente non mi soccorre il nome. Di questa vicenda io mi sono qui pienamente giustificato presso l’autorità investigantc. 2° S'egli sappia immaginarsi il motivo per cui fu chiamato vanti la commissione. R. Ho esaminato con ogni cura la mia coscienza e non saprei da me rammentarmi un argomento che avesse potuto suggerire la mia chiamata avanti la Commissione; a meno che questa non amasse di ritrarre da me una qualche notizia, che riguardasse il contatto da me già menzionato, in cui mi sono ritrovato col canonico Albicini. 3° S' egli abbia appartenuto a società segrete. It. Non nego di avere appartenuto alla segreta Società dei Massoni, essendo nell’anno 1801 o 1802 stato ascritto alla loggia composta per la massima parte di francesi, e che portava il titolo il felice incontro, titolo che questa loggia cambiò dopo la venuta del Principe Eugenio èx-vicerè d’ Italia con quello di Carolina. Ho sempre con amore coltivato lo studio della filosofia, e segnatamente quelle parti della medesima che si occupano delle dottrine le più astratte, e trascendentali. La lusinga di ritrovare nella Società Massonica degli argomenti che potessero appagare il mio desiderio di fare delle scoperte in questa specie di studii, fu la precipua causa impellente che mi mosse ad aggradire l’ invito a me fatto di appartenere alla Massoneria, invito che io aveva precedentemente disagradato perchè proveniente da persone che io non stimava. Due furono le persone che m’introdussero nella Loggia massonica, l’uno era l’in allora colonello e capodivisione al Ministero della Guerra, ed attuale Tenente Maresciallo Austriaco Conte Mazzucchelli, e l’altro era il Capitano Parma Veneto, Io ho percorso tutti li gradi massonici; fui venerabile ed oratore di Loggia, ottenni il trigesinio secondo (1) Trovasi nell'archivio di Stato di Milano fra le carte Lancetti. La parte trascritta è conforme in tutto all’originale. - NOTE PER UNA BIOGRAFIA DI VINCENZO LANCETTI 173 grado, e fuì pure membro del Grande Oriente d’Italia. Prima ancora, che queste provincie ritornassero sotto il dominio austriaco io mi sono ritirato dalle unioni massoniche perchè in queste l'animo mio non ritrovava ciò che bramava, e continuava soltanto ad essere membro del Grande Oriente d’Italia. Non restami che di esporre una verità certamente già nota, che la Massoneria, cicè per quanto almeno io ebbi campo di conoscerla, non si è giammai impacciata nè di oggetti politici, nè di oggetti religiosi, e che anzi studiavasi di comprimere coloro che avessero dato qualche saggio di un’indole irrequieta e smaniosa di innovazioni, impervcchè ella è la prima legge, da cui non può dipartirsi il Massone, di essere suddito ubbidiente del legittimo suo governo. 4° S'egli abbia mai appartenuto alla società denominata L'Ordine di Cristo. R. Non solo non appartenni a questa società, ma nè anche so che essa abbia esistito. 5° S'egli però sappia che dalli Massoni di Milaro andavasi in traccia di notizie relative ad una sccietà denominata | Ordine di Cristo o i Templari. R. Conosco il grado massonico chiamato dei custodi del Tempio, o dei Templari, ma non so che vi fosse una società diversa dalla Massoneria, che avesse assunto il nome di Templari o dell'Ordine di Cristo, nè tampoco mi è noto, che li Massoni di Milano si volessero procurare delle notizie sul conto di questa società. 6° Che i Massoni dl Milano ed esso signor esaminato in ispecialita, si volessero procurare delle notizie sul conto de’ Templari e dell'Ordine di Cristo emerge alla commissione epperciò lo si eccita a voler esaminare in proposito la sua reminiscenza. R. Ignoro che i massoni di Milano abbiansi voluto procurare delle notizie relative ai Templari od ali Ordine di Cristo e dichiaro parimenti dal lato mio, che qual Massone io non ho avuto desiderio di ottenere*queste cognizioni. Non ristarò a indicare due mie supposizioni, che potrebbero per avventura aver dato argomento a ritenere l’emergenza, di cui ho sentito favellarmi in questa interrogazione. Negli ultimi tempi del Regno d’Italia si aveva divisato di introdurre una riforma nella Massoneria per allontanare certe persone credute indegne e per abolire certi usi.ridicoli. Era io pure membro della Comissione a tale oggetto istituita e il progetto da questa compilato doveva essere presentato al Principe Eugenio; ma la cessazione del Regno fece cessare ogni pratica relativa. Ecco la prima supposizione mia, che potesse aver dato adito alla confusione dei nomi e ritenere che la Massoneria si fosse occupata o dei Templari o dell'Ordine di Cristo, ciò che non regge in fatto, giacchè in questa riforma neppure riscontransi questi due nomi e solo ambivasi di stabilire un grado tutto proprio, che lungi dal poter essere ai membri del Grande Oriente Italiano conferito da quelii di GO ogle 174 ANGELO OTTOLINI Francia, fosse a noi del tutto particolare, e spettasse a noi di conferirne ad altri, cosicchè per tal modo si avrebbe fatto cessare l’influenza che il Grande Oriente di Francia esercitava su quello d’Italia. Ma di questo grado ideato non erasi stabilita la denominazione nè stabiliti gli estremi. Passo ora a far menzione del secondo fatto che potrebbe aver dato luogo a ritenere quanto mi fu contestato. Sotto il cessato Regno io divisavo di comporre la storia della letteratura militare, per cui mi facevano mestieri moltissime requisizioni, che io cercava di ritrarre ovunque sul conto pure degli ordini militari ed è certo che io ho chieste delle informazioni dalle persone più colte anche sul conto dei Templari in quelle parti per cui lo si doveva risguardare ordine cavalleresco. 7° S' egli possa indicare le persone dalle quali volle ritrarre le notizie fatte sull’Ordine dei Templari (1). R. Dal Salfi (2) e da Leopoldo Zuccoli. 8° S'egli abbia fatto indagare notizie sull'Ordine dei Templari in Portogallo. R. No, in Portogallo non ho rapporto o conoscenza. 8° (3) S’egli conosca Innocenzo Vincenzo Tassi. R. Conobbi molti anni addietro certo Taxi e non Tassi, scultore di professione che mostrava grande entusiasmo per la massoneria e che dicevasi volersi trasferire in Portogallo ed anche in America per esercitar la scultura e confidava molto nell’assistenza dei massoni. 9° S’egli abbia avuto corrispondenza col Taxi. R. Mi pare mi abbia. scritto una lettera o due dal Portogallo e d'avergli: risposto. Mi sovviene anzi che prima di partire da Milano il Taxi 16 o 18 anni fa volle dichiararmi suo erede nel caso naufragasse. 10° Su quale argomento si aggiravano le lettere scrittegli. R. Mi parlava del viaggio e d’aver trovato dei benefattori che l’avevano assistito. 11° S'egli abbia dato al Taxi qualche incarico relativo all’Ordine dei Templari. i R. È facile che incaricassi il Taxi di annunciarmi quelle notizie che fossero atte a farmi conoscere se quella società sussistesse in Portogallo, aggiungo che in cuel tempo avevo in animo di scrivere la storia della massoneria. (1) Da questo punto abbreviamo alquanto l’interrogatorio riportando solo la parte più importante e senza mutar le parole. (2) Vedi sul Salfi, B. ZumBini, Sulle poesie di V. Monti, Firenze, Le Monnier, 1886, p. 305. Appendice II: Relazioni tra il Monti e il Salfi. (3) Così è ripetuto nell'originale. NOTE PER UNA BIOGRAFIA DI VINCENZO LAKCETTI 175 12° Se il Taxi gli comunicasse le notizie relative alla massoneria di Portogallo. R. Affermo avermi il Taxi partecipato notizie sulla massoneria del Portogallo e d’avermi nominato |’ Ordine ci Cristo. 13° Il Taxi asserisce aver avuto da Lei l’ordine dì rintracciare notizie intorno all’Ordine di Cristo o dei Templari prima della sua partenza di Milano. R. In tanta lontananza di tempo non posso ammettere nè oso escludere quanto il Taxi asserisce. 14° Ebbe l’esaminato ad esporre al Taxi il desiderio di ottenere delle notizie sull’Ordine dei Templari in una unione massonica. R. In loggia massonica è vietato parlare, alla presenza di gradi inferiori, di un grado più elevato e perciò inclino ad escludere che in loggia si abbia di ciò parlato. Il Taxi non aveva che il terzo grado, ossia di maestro. 15° Se questo ragionamento dovesse valere l’interrogato non avrebbe dovuto parlarne al Taxi nè in Loggia nè fuori — eppure risulta che parlò col Taxi in proposito. R. Benchè il Massone di un grado meno elevato non possa conoscere ciò che costituisce la sostanza di un grado più elevato, non è vietato ch'egli abbia la notizia della esistenza di gradi più elevati. Al Taxi raccomandai di comunicarmi tutte quelle scoperte che avrebbe fatto intorno alla massoneria e posso perciò aver a lui nominati dei gradi massonici più elevati al suo. 16° L’ esaminato ha voluto ritrarne delle notizie sull’ Ordine di Cristo. KR. Ripeto che aveva in vista di ottenere notizie che mi sarebbero riuscite utili nella compilazione di opere letterarie. 17° S'egli possa escludere di avere avuto la notizia della esistenza di una società denominata i Templari ossia i Cavalieri di Cristo. R. A mia notizia nun giunse l’esistenza di questa società. Così si chiude il primo interrogatorio: altro ne ebbe a subire nel luglio dello stesso anno e nulla essendo risultato a suo carico venne lasciato libero. Ma l’accusa vera del suo arresto pare sia stata di altra natura, oltre quella d’aver appartenuto a società segrete. E la si deduce dagli stessi suoi scritti e ricordi che ha voluto lasciare intorno a questo fatto. Nel testamento, scritto il 9 luglio 1839 e pubblicato il 1° maggio 1852 dice: Un’ ignominiosa calunnia ha esposto me e ciascun individuo della mia famiglia dall'anno 1823 a questa parte a molte e dolorosissime umiGO ogle 176 ANGELO OTTOLINI liazioni. Le persecuzioni e le trame della invidia mi hanno più volte inquietato e danneggiato. Anche queste parole sarebbero piene di mistero se non soccorresse una nota esplicativa, da lui stesso aggiunta, ad un sonetto che trovasi a pag. 484 del volume di versi conservato manoscritto nella biblioteca Ambrosiana, sonetto già pubblicato dal Corio (1) e che merita d’esser riprodotto: Sulla calunnia contro ine sparsa. SONETTO. Con più d’undici lustri in sul preterito Vivuti sempre in pregio ai galantuomini Con fama d’uomo probo e d’uom di merito, Degno dell’ onestà degl’ onest’ uomini: - Cader tutto ad un tratto in tal demerito Che ne freme l’onor sol che si nomini («&) E saper che tale onta non merito, E iniquo esser per ciò chi me ne abbomini Veder la stima altrui conversa in odio, E la gente fuggirmi al par d’un etico, Eppur sentirmi intemerata l’anima. È de’ miei giorni il più tristo episodio: È cosa in ver da diventare eretico: Ma l’innocenza mi conforta ed anima. 22 luglio 1823. (a) Fu questo il più funesto anno della mia vita, perchè l’imprudenza di mio figlio fermatosi tre giorni a Barcellona quando da Livorno senza mio assenso risolse di andare in Inghilterra, poi tornato a Milano senza eseguire il mio progetto, fece credere a tutti che vi andasse mandato, e quindi fosse spia, ed io per conseguenza venni pure come spia considerato, mentre eravamo due sventurati. Tale accusa di spia venne ed è in parte ripetuta malgrado non abbia in sè alcun fondamento. Ma il popolo allora l’ha creduta e anche l’Austria: il popolo lo evitava perchè lo vedeva strisciante con l’Austria mentre era stato favorevole alla rivoluzione francese e ardente oratore dei circoli costituzionali; l’Austria perchè temeva in lui il Venerabile delle Loggie, il Buon Incontro e l’Im- (1) L. Corro, Notizia intorno a V. Lancetti, in La Vita Xuova, Milano, 1876, p. 9-11. NOTE PER UNA BIOGRAFIA DI VINCENZO LANCETTI 177 perial Carolina e la Real Augusta. Così il Lancetti senza colpa cadde in disgrazia e degli uni e degli altri e non riuscì più ad acquistarsi simpatie. Era del resto alquanto versipelle ed opportunista in causa della sua filosofia del quieto vivere, e lo comprovano anche le varie dediche de’ suoi libri (1) ma, come rilevasi dagli stessi atti segreti, non era una spia. - Sotto la data del 17 settembre 1826 leggesi: Il nome Lancetti vedesi compreso nell’elenco dei carbonari rimesso nel maggio 1822 (2). In questa avendo con nota 1° maggio 1823 ricusato dalia direzione generale d’essere informata’su tutti quegli eventuali rimarchi, a cui la condotta di Vincenzo Lancetti avesse dato occasione dopo la rivolta di Napoli, ebbe il riscontro 3 giugno 1823 dello stesso Signor Direttore Generale nei seguenti termini: « Vincenzo Lancetti impiegato presso l'archivio del cessato Ministero della guerra, benchè fervido massone, ed attaccato entusiasticamente ai principî rivoluzionari, ed in seguito al cessato Governo, non si sa, che dopo il cambiamento di governo e durante la rivoluzione di Napoli e del Piemonte abbia dato motivo a sospicioni sul di lui conto, vivendo quasi esclusivamente a sè ». Nulla di più rapporto a Vincenzo Lancetti presentano gli atti della Commissione, nè fu possibile di trovar traccia della circostanza mentovata nell’ossequiato foglio dell’ E. V. che pel sunnominato abbia la Polizia e specialmente l’assessore Pagani dimostrato favorevoli riguardi; se forse non si riferiscono a Carlo Alberto figlio, che nel 1823 con passaporto limitato ad un viaggio a Livorno, passò a Barcellona, essendosi poi al suo ritorno assentati da Milano li fratelli Luigi ed Ercole Conti Belgioioso ed il giovine Bellerio. Su quest’argomento esistono in atti tre note della direzione generale, firmate le prime due dall’assessore Pagani in assenza del S. direttore, ma dal tenore delle medesime, nè dalle ricerche cui diedero luogo, fatte dalla Commissione alla Polizia, si scorge alcun motivo di sospetto favore pel figlio Lancetti. E qui torna opportuno di far cenno delle confidenziali notizie ora raccolte sul conto di Vincenzo Lan- (1) Il 14 ottobre 1805 dedica al Principe Eugenio l'opera: « Delle qualità « e dei doveri degli impiegati pubblici »; il 3 agosto 1815 si rivolge con lettera dedicatoria a S. E. Enrico conte di Bellegarde; il 20 febbraio 1840 invia una supplica a S. M. per ottenere licenza di dedicargli il dizionario militare e cavalleresco. (2) È uno strascico del processo in cui fu coinvolto anche il suo concittadino G. Montani, sul: quale cfr. il nostro articolo in quest'Archivio, anno XLII, fasc. IV, 1915, parte II, correggendo, come ci avverte l’avv. Guido Coggi, suo discendente, la data di nascita in 1785 e non 1789, come abbiamo scritto seguendo il Vannucci, il Giordani e lo stesso Coggi, e quindi la durata della sua vita in 47 anni, non 43. 178 ANGELO OTTOLINI cetti. Costui sotto il passato governo dalla pubblica opinione veniva giudicato uno spione in rapporti eminenti cui offrisse un mezzo per esercitare lo spionaggio la stessa sua qualità di massone. L’ opinione pubblica non cangiossi dippoi, venendo agevolmente in oggi creduto che egli abbia sempre continuato il mestiere di delatore negli oggetti che più interessano la polizia; anzi gli si fa carico di avere nello spionaggio esercitato altresì il figlio Carlo Alberto, attribuendosì al viaggio di costui a Barcellona un fine politico; ed era voce, che al suo ritorno dalla Spagna rassegnasse alla Polizia quelle lettere che aveva colà ricevute dai rifugiati Italiani, alcune delle quali pei Conti Belgioioso e per Bellerio, supponendo a costoro che gli fossero state perquisite, per cui nel timore di politiche investigazioni si allontanarono dallo stato. Lancetti padre, che nei primi suoi anni a Milano godea pei suoi lumi e pel vivace suo ingegno molta estimazione, fu indi mal veduto nella società, per ciò ben s’accorse che non gli conveniva di più oltre frequentarla. Lancetti figlio è segnato a dito, e da tutti evitato, Un accenno al disgusto e al poco aiuto che ebbe si nota anche nella biografia che ci ha lasciato e che doveva comparire nell’ A4/- manacco dei Letteratt del Regno d’Italia per l’anno 1824, sotto il nome di Franco Splitz Chirurgo, uno dei suoi pseudonimi. Leggesi infatti a pag. 38: Lancerti Vincenzo. — Se la Biografia, che questo scrittore chiamò Cremonese dalla sua patria, venisse da altri imitata per le altre città, valendosi di tutte le antiche memorie sì edite che inedite, sì private che pubbliche, sì della nazione che delle famiglie, non è dubbio che le storie locali ne ricaverebbero amplissimo lucro, e che ogni cittadino andrebbe lieto di veder illustrati i fatti della sua prosapia, e i nomi dei suoi maggiori spesso a lui medesimo ignoti. Ma arrischierebbesi con ciò solo di rieinpir la casa di libri di questo genere, tanto amplamente il sig. Lancetti vi si è versato. E’ ben vero che pochi altri, a nostro avviso, possono trovarsi di tanta pazienza muniti, quanta ne ha egli mostrata, e puchi altri sarebbero nel caso di scriver, com’egli, e si con garbo, così la gloria letteraria, come la militare, così la civile che la ecclesiastica al tempo stesso. Checchè sia di ciò, egli pare che anche il Lancetti, o mal soddisfatto dalla vastità del suo disegno, o indispettito delle spese e fatiche senza alcun compenso fin qui da lui sostenute, abbia sospesa la pubblicazione della Brografia cremonese, giacchè dopo un quaderno del terzo volume posto in luce nella state del 1822 non sappiamo che altro ne abbia egli stampato. Quand’io rifletto agli onori che la città di Bergamo, di Brescia, di Verona, di Vicenza ecc., fecero con medaglie, busti, pensioni e simili a coloro che le illustrarono co” loro scritti ed ingegni, e che odo non avere il Lancetti nulla ottenuto di tutto ciò dalla sua, convei la chiama, nobilissima patria, seppure non NOTE PER UNA BIOGRAFIA DI VINCENZO LANCETTI 179 ne abbia anzi ricevuti gravi disgusti, come parvemi potersi inferire da alcuni cenni della Bibblioteca italiana, e come ritoccherò nel prossimo articolo del conte Litta, io ne trasecolo. Ma così vanno le cose di questo mondo, e sopra tutto in questa Italia. Ben mi duole che il sig. Lancetti abbia preso a tradurre la lunga opera della Storia della filosofia moderna del valente professore di Gottinga D.' Buhle, la quale per quanto sia bella, è un dispiacevole monumento di vaneggiamento della umana sapienza, egli che con la sua traduzione del difficilissimo Petronio Arbitro ci mise in sapore di assai più importanti lavori anche in fatto del tradurre. Ma chi può consigliare o, dirigere siffatti cervelli? Così scriveva dell’opera sua e di sè stesso, forse per non urtare la censura che aveva qua e là castrato il manoscritto della traduzione della Storta della filosofia moderna di Giov. Amedeo Buhle come rilevasi dal manoscritto stesso che contiene anche le . castrature e la nota della censura con la data 31 agosto 1822 N. 2296. In quest'opera il Lancetti fu coadiuvato da altri traduttori quali Gaetano Barbieri e Benedetto Perotti; ad essi dovette ricorrere dice lui stesso perchè parte per malattia, parte per stanchezza, andava troppo lento e lv stampatore aveva premura Dal manoscritto si nota apertamente quale sia la parte da assegnare a ciascun traduttore. Anche dalla sua nota biografica sì rileva disgusto e malcontento e per non esser tenuto nel debito conto e per non aver avuto nessun soccorso nella sua grande impresa, soccorso che non era stato negato ad altri, in altre città. L’Austria, che si valse dell’opera sua finchè lo credette opportuno, non apprezzò mai nè riconobbe la sua attività e non mancò di richiamarlo al dovere. Già in un rapporto del 1825 dava pessimi ragguagli sulla organizzazione degli archivi e in causa del disordinato Lancetti; così con lettera del 16 gennaio 1830 ne biasimava e disapprovava la condotta. Cercò il Lancetti di propiziarsi il governo austriaco, ma, poco fortunato ne’ suoi amori politici, non ebbe i compensi sperati. Ecco che nel 1835 tenta di accostarsi all'Austria col dedicare un'opera a S. A. L, ma la dedica non è accettata; si legge infatti: N. 1745. Pres. II 9.mbre 1835. L’Imp. e R. Presidenza di Governo con disp. 9 corr. N. 858646 in 180 ANGELO OTTOLINI vita a far restituire al Sig. Direttore Vincenzo Lancetti l’opera che accludqe del medesimo con dichiarazione che S. A. I non ha trovato di permettere la dedica. N. 1766. Al Sig. l'incenzo Lancetti Cap. di LI R. Archivi. S. E. il Sig. Conte Hartig Presidente dell’ I. R. Governo con suo dispaccio 9 andante N. 8586 ha incaricato questa Direzione generale di restituire la supplica che ebbe ad umiliare a S. A. I. il Serenissimo Arciduca Vice Re ed annessasi di Lei opera colla dichiarazione che ha proferta a S. A. con rispettato dispaccio 31 8.bre p. p. N. 11255 V. R. ha trovato di non permettere la dedica a suo figlio. Lo scrivente in adempimento degli ordini avuti dalla sua superiorità rende a Lei e la supplica e l’opera suaccennata delle quali vorrà accusarne ricevuta. Li 15 9.bre 1835. ll Direttore Gener. VIGLEZZI. Finalmente nel 1840 consegue il trattamento normale che aveva più volte chiesto e che gli era sempre stato negato; ma l’ottenne per pochi giorni poichè gli viene comunicato il 19 novembre e il 28 dicembre dello stesso anno deve cedere ad altri, al Vitali, l’archivio che gli era stato affidato. Nessuna soddisfazione potè avere, nemmeno quella di possedere l’ambita medaglia quale premio della lunga opera sua. Leggesi nel foglio di referato 2740: Altezza imperiale! - Il rispettato rescritto di Vostra Altezza Imperiale 19 p. p. mese N. 4415 richiama rapporto sulla petizione di Vincenzo Lancetti non contemplato nell’ ultima sistemazione degli Archivi il quale allegando la lunga da lui percorsa carriera invoca il fregio di una medaglia d’onore. Ha già avuto occasione questa Presidenza di indirizzare a Vostra Altezza Imperiale in data del 26 p. p. mese N. 2171 una documentata consulta relativa al supplicante, nella quale colla trasmissione degli atti relativi si notavano le taccie da esso incorse nell’esercizio delle sue funzioni; e si opinava che non fosse il caso di applicargli per la liquidazione del suo trattamento normale il favore delle direttive austriache non sussistendo nel Lancetti il possesso dei requisiti voluti dalla sovrana risoluzione 12 settembre 1824, la quale permette solo che si invochi il beneficio delle direttive austriache per chi ha servito con diligenza, -— - NOTE PER UNA BIOGRAFIA DI VINCENZO LANCETTI 18I con fedeltà, con onoratezza. Riferendomi pertanto alle cose in detta consulta esposte ed al parere già in essa esternato sulla non applicabilità al Lancetti delle normali austriache per un più largo trattamento di pensione in confronto di quello portato dai regolamenti italiani, mi pare sommamente che non possa esser il caso di invocare per lui il fregio di una medaglia d’onore, e con tale riverente avviso mi faccio premura di retrocedere ossequiosamente la supplica Lancetti. SPAUR. Milano, 7 maggio 1841. Il 4 giugno 1841 l’istanza viene licenziata, gli si nega, riferendosi al dispaccio del 23 p. p. mese n. 5315, la medaglia d’onore e si dichiara non essere il caso d’invocare a favore del Lancetti l'implorata distinzione. Dopo sì misero compenso alle dotte fatiche si potrà ancora ritenere il Lancetti una spia dell’Austria ? A noi ripugna l’ animo a crederlo tale e i documenti riprodotti crediamo ci diano ragione : in lui non v'è che uno spirito ossequientissimo a tutti i governi, smanioso di popolarità e di gloria. Ma purtroppo quella gioria e popolarità che con tanto animo aveva cercato non fu che una vana chimera, un’ombra che si allontanò sempre più da lui. Messo in pensione trovò ancora conforto negli studi e s’ abbandonò totalmente alla manìa del bibliofilo quasi potesse, attaccandosi ai libri, rendere più duratura la sua fama. Accumulò così libri su libri spendendo in essi tutto quello che aveva; si narra anzi che la moglie gli vuotasse le tasche prima che uscisse di casa, perchè trovandosi senza denaro si temperasse. Carico d’ anni poi e negietto da tutti, si spense in Milano il 18 aprile 1851, lasciando la vedova Maria Pugni alla quale il governo austriaco il 1° ottobre dello stesso anno assegnò una pensione di lire 2243,85 a datare dal 19 aprile. Non fu il Lancetti, come si è detto, nè un uomo politico nè un grande scrittore nè un grande erudito : ebbe la manìa e la smania di riuscire e tentò tutte le vie. S’accorse presto di non aver la stoffa dei tribuno e tanto meno l’animo ardito del guerriero, e si distolse dalla politica; perseverò nello studio della poesia e ne coltivò tutti i campi senza emergere in nessuno; si smarrì nella erudizione e nelle traduzioni; coltivò |’ amicizia dei potenti e dei grandi cercando di farsene sgabello per salire, e non avendo forza propria fu man -mano lasciato in disparte. Arci Stor. Lomb., Anno XLII, Fasc. I-I[. 12 182 ANGELO OTTOLINI Il suo nome che non sonò mai alto mentr’ era vivo, è legato tuttavia alla pseudonomia, alle Memorie intorno ai poeti laureati d’ogni tempo e d'ogni nazione e alla Biografia cremonese, opere che si consultano ancora e non senza profitto. ANGELO OTTOLINI. Stato personale di Vincenzo Lancetti (1). Cognome e nome. Lancetti Vincenzo. Anno di sua nascita. 1768. Luogo di nascita. Cremona. Religione. Cristiana. Studi percorsi dove e in quali anni. Primi studi sino alla Fisica e Metafisica in Milano dal 1775 al 1784. Istituzioni civili, Belle Arti ed Anatomia parte in Milano dal 1780 al 1784, parte in Cremona posteriormente. Gradi accademici ottenuti dove e quando. Nessun grado per opposizione della madre che gli impedì di andare a Pavia. E’ però membro di varie società letterarie d’Italia. Lingue che possiede e particolari cognizioni. La latina e la francese quanto l’italiana. Conosce le scienze politiche, la diplomazia, la storia, la poesia e la letteratura e ne ha dato vari pubblici saggi. Coltiva anche la filosofia trascendentale. Se nobile, ammogliato, vedovo od ecclesiastico. Ammogliato in 2.8 nozze. Figli a di lui carico, quanti e di quale età. Un maschio d'anni 22, una femmina d'anni 17 dalla prima moglie, una fanciulla d’anni 1o dalla. seconda. Altre persone a suo carico. Una sorella a Cremona, un nipote a Milano. Propri mezzi di sussistenza ed alire circostanze speciali. Nessuno eccetto. l’ impiego. Epoca delPalunnato. Nell'anno 1785. » del primo impiego provvisorio. 1786. » del primo impiego stabile. 1795. » dell'attuale impiego. 1814. » anni di servizio. N. 33, mesi n. to. Impiego attuale. Direttore dell’I. R. Archivio di guerra. (1) Dall’Archivietto (ASM), anno 1814-1819, cartella 62. (GÒ ogle NOTE PER UNA BIOGRAFIA DI VINCENZO LANCETTI 183 Nominato da qual autorità. Da S. E. il conte feld maresciallo de Beliegarde, Plenipotenziario di S. M. I. R. A. Soldo stabile. Lire italiane 5000. Data del decreto. 31 ottobre 1814. Numero del decreto. 4641 Data, 1° novembre 1818. Firma. Vincenzo LANCETTI. Trafila degli anteriori impieghi sostenuti e retribuzione annessavi. | 1785 sino al 1787 impiegato all'Ufficio degli Argini dugali di Cremona. L. 4.10 milanesi al giorno. Alunno (contemporaneamente al sudetto impiego) nell’Intendenza del Censo, poi nella Regia Intendenza politica, indi commesso ispettore di polizia presso la medesima L. 2 al giorno. 1791. Scrittore bimestrale presso la R. Delegazione del Censo fino all'aprile 1794. 1794. Ufficiale aggiunto alla Cancelleria Municipale. L. 1400. 1796. Membro del Municipio di Cremona di cui fu Presidente due volte. L. 1800. 1797. Dichiarato al posto d’ufficiale aggiunto alla Cancelleria municipale. L. 1400. 1797, 11 agosto. Nominato Protocollista dell Amministrazione Dipartimentale. L. 1500. . 1757, 1.° settembre. Vice segretario generale al Ministero della guerra a Milano. L. 3000. 1798. Capo di suddivisione. L. 5000. 1799. Capo della prima divisione L. 9000 oltre il trattamento in natura d’aiutante generale. 1799. Fatto capitano aggiunto allo Stato Maggiore Generale dell’Esercito, grado e carica da lui tenuta e rinunziata quando tornò al Ministero di Guerra. Egli la conservò senza quiescenza intermedia e la esercitò in Francia, sia come rappresentante de’ Cisalpini emigrati, sia come capitano Relatore al Consiglio di Guerra. Fece la guerra del 1800 in tal qualità. 1So0. Vice direttore di Marina, segretario centrale al Ministero dì Guerra. L. 6000. 1802. Direttore dell’Archivio Generale al Ministero. L. 5000. 184 ANGELO OTTOLINI - NOTE PER UNA BIOGRAGIA, ECC. 1805. Confermato. L. 5000. 1807. Fatto comulativamente direttore delie scuole militari del Regno. L. 5000. 1810. Aumentato di emolumento. L. 6000. 18rr. Caposezione delle scuole nella 3.3 Divisione del Ministero. L. 5600. 1814. Referendario presso il Commissario Imperiale Tenente Maresciallo Marchese Sommariva. L. 5000. 1814, 31 ottobre. Rimesso Direttore dell’Imp. R. Archivio di guerra. L. 5000. Go ogle i VARIETA ——PT ————@& Due lettere del cardinale di Pietramala a Gian Galeazzo Visconti (1390-91). mesa UE anni or sono, in questo stesso Archivio (1) noi abbiamo I data fuori una lettera scritta dai fiorentini il 4 agosto 1391 f al doge di Genova per rispondere all’annunzio che quel | principe s'era affrettato a comunicar loro della rotta toccata sulle porte d’Alessandria all'esercito guidato dal conte Giovanni d’Armagnac, e della morte di questo generoso baron francese ch’essi con tanto spreco di denari e di politici maneggi avevano persuaso a scendere in Italia, ond’ annientare la potenza di Gian Galeazzo Visconti (2). Ed allora abbiamo osservato come la catastrofe inattesa che travolse il d’ Armagnac e le sue truppe, avesse riempito di giubilo i partigiani del signore di Milano, i quali ne presero animo a stimolare costui a continuar con più gagliarda insistenza la guerra contro la republica toscana, privata del maggiore de’ suoi appoggi e timorosa dell’avvenire. Tra coloro i quali si mostrarono più preoccupati di accender l’animo del Visconti, fu il cardinale Galeotto di Pietramala, il quale da Avignone, dove allora viveva, indirizzò al Conte di Virtù una lettera tutta vibrante d’odio contro Firenze, e di gioia per la morte del d’ Armagnac, che di Firenze s'era fatto il campione. Ma questa lettera non era la prima che il cardinale avesse inviata al Visconti. Già parecchi mesi innanzi, quando, cominciata (1) Vol. XX, a. XL, 1913, p. 304 e sgg. (2) Per la calata del d' Armagnac, vedi le note, loc. cit. Non vogliam tacere che notizie pregevoli reca anche il GiuLinI, Mem. spett. alla storia di Milano, Milano, 1856, vol. V, p. 764 e sgg. 186 VARIETÀ la guerra, gli eserciti milanesi s'erano venuti indugiando nel molestare i bolognesi, nell’aiutare i senesi, senza prendere un’ offensiva diretta contro Firenze (1), Galeotto aveva rivolto al principe lombardo altri gravissimi avvertimenti. Ei gli faceva presente come fosse vana la speranza di domare i fiorentini, insino a chè non si colpissero al cuore. Faceva mestieri che il vessillo della vipera sventolasse sulle sponde dell’Arno, che i tremebondi mercanti soliti a tessere frodi nelle sale del Palazzo vecchio, scorgessero dall’alto delle torri le campagne percorse dai cavalli viscontei, le messi arse e distrutte, gli agricoltori trascinati prigionieri colle braccia legate dietro il dorso.... Soltanto allora, dinanzi a questo pauroso spettacolo, essi avrebbero deposto l’ardimento e si sarebbero persuasi che la frode e l’astuzia non potevano più sottrarli al meritato castigo.... « A Firenze, a Firenze! » tale il grido che gli amici di Gian Galeazzo facevano, interprete il Tarlati, echeggiare al suo orecchio. Chi era dunque questo porporato che manifestava un così intenso livore contro la repubblica di Firenze, che toscano sposava con tanto calore la causa del Visconti, e la faceva addirittura sua? Galeotto Tarlati, detto « il cardinale di Pietramala », aveva succhiato col latte l’odio contro i fiorentini. Egli apparteneva a quella celebre famiglia aretina che, dopo avere signoreggiato in patria, s'era trovata di fronte, avversario formidabile, il comune fiorentino. Sempre avida d’allargare i propri domini, di allontanare dai suoi confini i pericolosi e turbolenti rappresentanti dell’antica feudalità, Firenze aveva mossa ai Tarlati una guerra senza quartiere, cercando d’annichilirne la potenza, come aveva distrutta a poco a poco quella de’ Guidi, degli Ubaldini e di tant’altri signorotti minori. Costretti a difendersi incessantemente contro l’implacabile avversaria, i larlati davan senz’esitare l’aiuto loro a tutti i nemici di lei; in tutte le guerre, grosse o piccine, che Firenze ebbe a sostenere durante il secolo decimoquarto contro i suoi vicini, essa si trovò ognora di fronte i signori di Pietramala (2). Ed anche nel (1) Cfr. GIULINI, op. cit., vol. cit., p. 752 € sgg. (2) Non riuscirà senza interesse udir qui come Firenze significasse il proprio sdegno contro questi suoi piccoli ma irreconciliabili nemici. Nell'ottobre 1384 il Sire di Coucy, che, abbandonata Arezzo in balia de’ fiorentini, s’ era messo in cammino verso la volta di Venezia, aveva fatto sapere ai fiorentini stessi come Bartolomeo da Pietramala avesse molestato le sue truppe, mentre passavano attraverso le terre di lui, e fatti uccidere in Anghiari taluni soldati mandati în cerca di viveri. A siffatte lagnanze così il 24 novembre la Repubblica rispondeva per Go ogle : VARIETÀ 187 1390, non appena che il Visconti s'era deciso a bandire la guerra contro di essa, egli aveva ritrovato ne’ Tarlati degli alleati modesti, ma fedeli, tanto più fedeli quanto più la caduta d’Arezzo nelle granfie de’ fiorentini aveva esasperato il loro abborrimento ed accresciuti i loro terrori (1). Galeotto, che combattendo Firenze colla penna intendeva venir in soccorso de’ congiunti suoi che l’assalivano colla spada, aveva giovinetto abbracciata la carriera ecclesiastica. Adorno di belle doti morali ed intellettuali, egli era salito prontamente in corte di Roma alle più cospicue dignità: Urbano VI l’aveva creato cardinale diacono di S.Agata (2). Ma la sua fortuna durò poco. Scoppiato lo scisma, il feroce pontefice lo prese in sospetto; credette, a ragione ovvero a torto non sapremmo decidere, che avesse preso parte al complotto ordito in Genova per sottrarre a morte i cardinali che egli voleva sacrificare alla propria vendetta; ed il Tarlati in pericolo di finir male dovè cercare scampo nella fuga. Recossi egli allora a Pavia, quindi ad Avignone, dove, rinnegando il passato, riconobbe come vero pontefice l’antipapa Clemente (3). Ripagato —-< -—-. —-- — — mano di C. Salutati: e Verumtamen non est nova nobis huius extinguende fa- @ milie iniquitas perfida et iniqua perfidies. Tales se semper omnes solent omni- « bus exhibere. Sub mellifluo lepore verborum insidias struunt, cunctis nocent, « fidem rumpunt, et dum aliquid rapiant, ne Deum curant, nec coram hominibus a erubescent, ut non immerito duo nomina fuerint eisdem a mzioribus attributa. « Vetustiori quidem vocabulo T’arlati vulgariter appellantur, quo nomine putrefacta carie ligna terebrisque corrosa iuxta nostram consuetudinem vocitamus. Ut isto nomine detur intelligi, licet extrinsecus appareant incorrupti, quales soleant in occultis operum penetralibus reperiri. Moderniori vero nomine de PetramaJa dicuntur. Vere quidem, de petra, hoc est duritie et obstinatione malorum. Genus enim istud detestabile semper dolis et offensionibus intentum, nulli servit, nisi forsitan ut decipiat, vel aliis afferat nocumentum; nulli servit, nisi forte perversis; nulli servit, nisi maiorem potentiam vercatur. Hii sunt turbatores pacis, insidiatores viarum, mercatorum spoliatores, peregrinorum he micide et infomes latronum principe et fautores. Non ergo miretur vestra sublimitas, si tales fructus ex ipsorum amicicia reportatis ». R. Arch. di Stato di Firenze, Signori, Carteggio, Missive n. 20, c. 39 B. è (1) Intorno all'acquisto d’Arezzo fatto dai fiorentini ed ai vani tentativi de’ Tarlati per impedirlo, cfr. P. DuRRIEU, La prise d'Arezzo par Enguerrand VII, sire de Coucy, en 1384, in Bibliothèque de PECc. des Chartes, XLI, 1880, p. 167. (2) Cfr. CarDELLA, Memorie storiche de’ cardinali della Santa Romana chiesa, to. II, Roma, Pagliarini, 1793, p. 285-86. (3) Cfr. CARDELLA, op. e loc. cit. E vedi N. VaLoIs, La France et le grand Schisme d’Occident, Paris, 1896, to. II, p. 118, 158. Dalla corte di G. G. ViA n 188 VARIETÀ da costui colla dignità cardinalizia di s. Giorgio in Veélabro, Galeotto non lasciò più la Francia, donde continuò, fin che gli durò la vita, a tramare insidie contro i due suoi nemici maggiori: Firenze ed Urbano (1). Le due lettere del Tarlati al Visconti si sono conservate in più codici del tempo (2). Esse dimostrano, come altune altre uscite dalla penna di lui, che ci sono pur essé pervenute (3), come i contemporanei avessero ragione di lodar l’irigegno e la dottrina del porporato aretino (4). Per noi poi offrono un intèerésse anche più sconti, ove s'era rifugiato, Galeotto nell’agosto 1386 indirizzò in unione al cardinale di Ravenna, suo compagno di sventura, una violentissima requisitoria contro Bartolomeo Prignano (H. V. SAUERLAND, Aktenstilcke, p. 827) ai bolognesi. (1) Egli sopravisse però al Prignano parecchi anni, e fra i principali promotori della creazione di papa Beriedetto XIII, in favore del quale scrisse nel 1394 una lettera ai romani. Vedi CARDELLA, op. cit., loc. cit.; VatoIs, vp. cit, to. III, p. 89. Sulla data della sua morte, che si vuol seguita nel 1396, e sul luogo dove avverne non possediamo notizie sicure. (2) Esse si leggono nel codice della Nazionale di Parigi Nouv.-Acq. Lat. 1152, C. 9 B-IO A, nel cod. Vaticano Lat. 5221, c. 82A, nell’ Ambrosiana c. 141 inf., c. 3 B, ecc. Della lettera destinata a porger rallegramenti al Visconti per la morte dal conte d’ Armagnac ha fatto fuggevol menzione in una nota il VALOIS, op. cit., to. II, p. 187. (3) Una sua lettera al re di Francia è stata edita da MARTENE - DURAND, Veter. scriptor. et monum., ampliss. collectio, to. VII, p. 543 € Sgg.-; la lettera ai romani in commendazione di Benedetto XIII si legge nella stessa Amplissima collectio, to. I, c. 1544. (4) Ser Gorello d'Arezzo nella sua cronaca in versi de’ fatti d’ Arezzo dal 1310 al 1384, narrando dell'andata di Carlo di Durazzo in corte di Roma, scrive che colà nessuno mostrò di favorirlo, a cominciar dal Pontefice (MuraTORI, R. 1. S.. to. XV, c. 851): Solo l’accolse con gratioso manto D’aiuto, de favore e buon consiglio «E ciascun altro el dileggiava tanto), Di Pietramala quel Cappel Vermiglio Famoso de virtù oltra l’etate. Ch' egli si dilettasse di studi classici prova poi il fatto che possedeva un codice racchiudente più trattati ed orazioni di Cicerone; come si rileva dalla epistola LXV di Giovanni da Montreuîl, il quale bramava ardentemente di farsene possessore: « Volumen vero praedictum (scriveva il celebre preposto ad un vescovo « ignoto) in quo libri Morales TuHii pluresque orationes suae continentur, habuit do- « minus Albanensis ab executione celebris memoriae domini Curdinalis de Pe- « tramala, et fuit proprium domini cardinalis Ebredunensis, scriptum, quod aiunt, « litera nec antiqua nec nova, et satis correctum respectu tamen incorrectionis Go ogle VARIETÀ 189 vivo, se sì rifletta quanto siano scarsi nel sec. XIV i documenti politici di carattere privato e come poca cosa ci sia giunta della grande attività diplomatica che si svolse dattorno a Gian Galeazzo Visconti. { Francesco NOvaTi. I G. Cardinalis de Petrantala ad Comitera Virlutuni. Princeps illustris et domine mi. Jam vestra benignitas sic me ulnis sue caritatis amplexa est, iam sic in vestra salute mea et meorum salus est conclusa, ut ego michi ipsi suaserim quicquid ex me audieritis non suspicaturum aliunde quam ex sincere fidei fonte manasse. Nec vereor seu adulator arguiì, qui, proprii periculi ‘sollicitus, duin vobis consulere nitor (si tamen hoc verbum non temere dictum sit) propriam salutem quero. Fama est, clarissime princeps, quod si iisdem viribus, quibus Bononiam et alia emulorum petistis, petiissetis Florentiam, huius belli arcem et caput, iam de vestris hostibus esset actum, nec ipsorum exercitus vestros fines intrassent, nec ad Patavinorum auxilium se armasset Germanorum furor, sed, menibus suis inclusi, frustra aliorum, providissent saluti, de proprio desperantes. Nunc cernentes exercitus vestros aut circa Bononiam aut Montem Policianum aut intra senenses terminos fatigari, diluvio externarum gentium amenissimam patriam nostram inundare sunt conati, adeo ut, nisi quod obmissum est reparetur veri satis simile sit aliarum nationum gentes ipsorum opera in detrimenta vestra concitari. Hec autem sic vulgata sunt, ut ea pariter et prudentes et insipientes, senes et juvenes utriusque sexus, denique ipsi hostes clamitent. Ergo, magnanime domine mi, tollite moras, et quicquid non rite factum est, reformate: alios hostes vestros crebris insultibus lacessite: arcem vero hostiunì, Florentiam ipsam, valido exercitu circumdate. Illic hostem vestrum putatote ubi Florentia est. Sentiat vester hostis non Paduam non alia a magnifico vos revocasse proposito, sed in dies animum crescere ad vendictam. Illa, illa urbs petenda est, unde pecuniarum auxilia prodeunt, unde erumpunt fraudes, unde armorum gentibus sub- « aliorum ». Fon. pe MonsteROLIO, Epistolae selectae, in MARTENE-DURAND, op. cît., to. III, ep. LXV, c. 1434. Come ci apprende un’altra lettera di Giovanni, tuttora inedita, che si legge a c. 42A del cod. Lat. 13602 della Nazionale di Parigi, la quale com.: Si forte, venerands pater mi...., il prezioso codice gli fu tolto da altri. Giovanni aveva poi mantenuto col Tarlati ottime relazioni mentre era vivo ed a lui s'era rivolto per confutare l’opinione del Petrarca che fuori d'Italia non si potessero rinvenir nè oratori nè poeti. Cfr. A. THomas, De Joannis de Monsterolio vita et operibus, Parisiis, 1883, p. 36, 105 e sgg. GO ogle 190 VARIETA venitur: nichil erit impossibile eis, dum eorum ager sine hoste erit, dum nudus agricola solvet ad occasum boves quos ad solis ortum ligaverat; dum lanarum colos trahent ruricole mulieres; dum lucrum diei avarus sed quietus mercator numerabit ad vesperum. E contra possibile nichil si de muris victricia signa vestra cognoverint; si vestrorum equorum hinnitus et tubarum clangores de propriis laribus exaudiant; si eorum agrestibus viderint manus post terga ligari; si pecorum armenta vestris militibus dentur in predam, si incendii fumus eorum nares offenderit. Tunc infide mercantie erunt, nec promissum reddent; tunc nequaquam auxilia petentur ab his qui inopes erunt auxilii atque consilii: tunc tellus inculta cum fenore non reddet semen; tunc pestilens civis non fenerabitur fratri suo, qui creber suos est in avarissima civitate. Non Bononia, non Padua inde auxilia sperabunt, ubi miseri cogentur et alterius miseriam spectantes, quid de se agant consulent. j Hec omnia, mi domine, etsi omnes, ut dixi, per vicos claruent et plateas, tamen his proximis diebus a duebus servitoribus vestris de Florentia michi notificata fuere, que duxi vestre celsitudini intimanda hiis litteris, cui me humiliter recommendo. Dat. Avinione, die XIII mensis novembris. CARDINALIS DE PETRAMALA. II Eiusdem Cardinalis ad prefatum Comitem. Nichil unquam audivi letius, magnanime princeps, nihil intellexi iocundius, quam quod nuper vestre littere attulerunt, pestiferam illam barbaroruni congeriem, que ductu comitis Ariminiaci in vestri exitium ad florentinorum stipendia militabat, Italorum vestrorum manu, parva sed forti, fore deletum. In quo quidem tum pro multis vobis nobisque qui pendemus ex vobis, tum pro hoc uno agende sunt gratie Omnipotenti, quod iusticiam vestram sic manifestis signis omnibus palam fecit, ut hostes vestri nisi mentis oculos amisissent, iam veniam de preterito postulantes, colla vestro levi ac benigno iugo summittere debuissent. Sed adeo exoculata eorum mens est, ut fortune ludibriis (1) imputare non dubitent quicquid pro eorum disciplina Deus in vestri victoria ordinavit. Sic ad unum secuntur in omnibus que mundi sunt, non que Dei, Vos vero, mi domine, oro in oppositam partem vos vertite, et quicquid visibiliter per vos actum est invisibili Omnipotentie ascribite. Terruit Deus vestrorum cordia hostium, debilitavit manus, terga vertit; vestris quoque militibus mentes dedit magnificas, manus incitavit, in sceleratorum perniciem addidit pedibus velocibus alas et ad ultimum illis ministris egit que acta (2) sunt omnia. Gracie igitur omni honore omnique (1) Cod. delubriîs. (2) Cod. actu. (O ogle ° VARIETA IQ1 cultu agende sunt sibi et dum victoriam efficacissimis signis pollicetur, amplectenda est. Jam a tergo tuta sunt omnia, iam Patavini hostes debilitati sunt; ubi parte gentium vicinarum terrarum dimisso presidio, in Tusciam cum rAeliquis est vertenda manus. Illic bellum extinguatur ubi .ortum habuit; illic victoria habeatur, ubi sunt hostes; illic pena infligatur, ubi scelera sunt patrata. Plura dicerem, nisi quia alias me recolo scripsisse; et quia sic in omnibus mature agitis, ut meo aut cuiusquam non egeatis impulsu. Valete feliciter, de hostibus vestris victor. Avenion,, XVII augusti. ] paramenti e gli arazzi donati dall’arcivescovo Stefano Nardini alla Metropolitana di Milano. pese ieR1Ico di curia fino dal 1447, Stefano Nardini, di Forlì, Sil per l’abilità spiegata nella trattazione dei negozi della i CAS [a chiesa ottenne successivamente, sotto ì pontificati di NiMie: colò V e di Callisto III, gli uffici di protonotario e di referendario. Nel 1461 Pio II lo creò arcivescovo di Milano, Ma la sua elevazione alla cattedra di s. Ambrogio non ebbe il significato della missione che il capo di una diocesi è chiamato a compiere personalmente per gli interessi spirituali del proprio gregge, bensì di un premio ai segnalati servigi resi nella curia di Roma; ove il Nardini, promosso cardinale nel 1471 da Sisto IV, continuò a prestare la propria indefessa attività anche di poi e sino all’epoca della sua morte avvenuta nel 1484 (1). I lauti proventi del cumulo delle prebende e degli uffici gli consentirono di costruirsi in Roma presso Monte Giordano un suntuoso ed artistico palazzo, indi chiamato del Governo vecchio, e di fondare, nelle case attigue, un collegio per gli studenti poveri, che da lui prese il nome di « Sapienza Nardini ». Dei suoi rapporti con Milano altro non si sapeva di notevole (1) Le notizie della sua vita, desunte, oltre che da quanto ne scrissero il CARDELLA (Mem. stor. dei Cardinali, III, p. 183), il Sassi (.4rchiep. Mediol. Series, III, p. 904), MarcHEsi G. B. (Vita virorum illustrium Foroliviensium, Forli, 1786, p. 70) e Lanciani (Arch. Stor. Rom. d. st. patr., VI, p. 464), dai registri vaticani, sono state riassunte da G. ZiPPeL nelle note alle vite di Paolo Il di Gaspare da Verona e Michele Canensi (RR. II. SS., nuova ediz., to. III, parte XVE, pp. SI, 144, 185 e 314). La notizia della sua morte al 22 agosto 1484 ci è data dal diario romano di Gaspare Pontani (RR. II. SS., nuova ediz., to. III, parte Ila, p. 44. Go ogle 192 VARIETÀ all’infuori dei frequenti carteggi avuti con Francesco e Galeazzo Maria Sforza fra il 1463 e il 1471 sopra diversi oggetti che interessavano la curia romana e il ducato (1). Non si avevano notizie intorno ad una sua dimora, sia pur breve, a Milano; ove egli si era fatto rappresentare da vicari « in spiritualibus » e « in tem-. « poralibus ». Tre atti del notaio della curia arcivescovile, Giampiero Ciocca, accertano la presenza di Stefano Nardini a Milano nel 16 ottobre 1468 e nel 29 e 31 ottobre 1469. Nel secondo dei tre atti il Nardini accenna alla imminente sua partenza per Roma. Sappiamo dallo Zippel (2), di una legazione del Nardini in Francia nel 1467, la quale durava ancora nell'estate dell’anno seguente, È probabile che la presenza dell'arcivescovo di Milano il 16 ottobre 1468 coincida con l’epoca del suo ritorno in Italia dopo compiuta la legazione. Il difetto di sue notizie nei registri pontifici durante il 1469 fa credere ch’ei si sia trattenuto in Lombardia fino a tutto il mese di ottobre di quell’anno, in cui si restituì stabilmente a Roma. Il 16 ottobre 1468 l’arcivescovo, dopo la messa e i] solenne pontificale celebrati in Duomo, fece donazione al capitolo, intervenuto nelle persone del preposto Zanotto Visconti e degli ordinari Cristoforo Grasso, Aniceto Crivelli, Piero da Novate, Giulio Casati, Antonio Calvi, Ardigino Bossi, Piero da ...., Beltramolo da Novate, Luigi Corio, Leonardo Piatti e Martino da Cazzago, di un pallio d’altare, un piviale, tre pianete, tre frontali, una « crociera » per pianeta, ventuno tra « frixii » e « cavecii de frixi » d’oro, un cappuccio per piviale, una mitria con la sua custodia di cuoio, due crocette « per portare in ante » e « per mettere al collo », una croce d’argento ed un messale miniato. L'elenco, già predisposto in volgare ed inserito nell’istrumento notarile dei paramenti e arredi sacri offerti al capitolo della Metropolitara, descrive sommariamente gli oggetti più importanti. L’atto del 29 ottobre 1469 reca la disposizione « mortis causa » fatta dal Nardini a favore della stessa Cattedrale di Milano, di tutte le cose mobili, argenterie e oggetti preziosi di sua proprietà, che all’epoca del suo decesso si sarebbero rinvenuti nelle case dell’arcivescovato. A questa disposizione, di carattere generale, fece seguito, due giorni dopo, una nuova donazione alla Cattedrale, di una serie di diciotto arazzi (« arasie »), che l’atto descrive accuratamente indicandone le raffigurazioni e le dimensioni. Il donante (1) Pasror L., Geschichte der Piipste, II, 1904, pp. 210, 264, 276, ecc. (2).1. <., p. 144. (O ogle VARIETÀ 193 dispose che fossero subito consegnati a Giovanni Braschi « paterio » al Verziere, affinchè li munisse di una fodera di « tela de amitto »; proibì, pena la scomunica, che si dessero a prestito ad altre chiese oltre le basiliche di s. Ambrogio, di s. Nazzaro e di s. Stefano, nelle ricorrenze delle rispettive solennità (1). Il Sassi parla del dono fatto dal Nardini al Cimiliarca della Metropolitana, di una « opulentam divitemque archiepiscopalium « indumentorum suppellectilem », e in particolare di una mitria ricchissima, adorna di perle e di gemme che san Carlo Borromeo era solito portare nelle solenni funzioni, e di un libro liturgico di gran prezzo, messo ad oro e a colori (2). Sembra per altro che il Sassi non abbia conosciuto il testo dei tre atti di donazione. Egli si sarebbe fatto eco della tradizione che attribuiva al Nardini il dono della mitria. Quanto al messale miniato è probabile che il nome dell’offerente vi figurasse disegnato nel primo foglio, insieme allo stemma e fors’anco alla sua effigie. Degli altri oggetti descritti nel primo istrumento crediamo che possa identificarsi il « pallio per lo altar maggiore de razza cum « la passione de Christo, lavorato de oro et argento et seda », come corrispondente al noto pallio di fattura e disegno fiamminghi, che, sebbene barbaramente mutilato nella parte inferiore per adattarlo alle mutate dimensioni dell’altare, costituisce ancora uno dei più rari ornamenti della sagrestia del Duomo di Milano. Rappresenta tutta la Passione, dalla salita al Calvario, alla Risurrezione. Le vesti dei personaggi sono ricchissime e adorne di gemme. Nel prelato effigiato in ginocchio dovremmo ‘riconoscere |’ arcivescovo Nardini (3). La coincidenza del ritorno dalla legazione di Francia (1) E’ notevole-che l'atto, qualificato donazione, con cui il Nardini nel-4-10 giuguo 1480 (R. Arch. di Stato-di-Roma ; protocolli nel notaio Gamillo Beneimbene, 1467-1484, c. 184-186) destinò le rendite del suo ‘grande palazzo a vantaggio dell'ente «« sapientia » ch'egli si ‘proporfeva di istituire nelle case annesse, appare stipulato « in dicto pealatio, in secunda aula seu .camiera paramentorum dicti « R.mi Cardinalis ». Ciò dimostra che oltre agli arazzi e.paramenti donati alla cattedrale di Milano, il Nardini -altri ne aveva comperato per ornamento della propria residenza. (2) Op. cit.. p.:907. (3) L’arazzo è -ato descritto -da - De Mauri (E. Sanasino) (L’iArte della tappeizeria e degli arazzi, Manuale ‘Hoepli, e L’amatore di arazzi e tappeti cantichi, Toriîfio, Lattes, 1908, "pp.:47’e-48). Il De Mauri riferisce .che tanto iquesto, di stile fiammingo, come un altro raffigurante-la deposizione -dalla croce, ma .di stile masteghiesco, - pure -appartenente»dila-sagresria «del Duomo, . si -attribuiscono all'arcivescovo Nardini o al suo successore Giovanni Arcimboldo. 194 VARIETÀ con l’offerta del pallio recante il ritratto del donatore, induce a ritenere che il Nardini avesse portato con sè il pallio medesimo, eseguito dietro sua commissione in qualcuna delle più rinomate officine di tappezzerie di Arras, di Bruges o di Gand (1). L’identificazione di questo arazzo oltre alla mitria e al messale, fra la serie dei paramenti ed arredi descritti nell’atto del 1468, ci fa deplorare la scomparsa degli altri oggetti, in particolcre del piviale di « tafeta » celeste a stelle d’oro, avente il fregio dorato con figure di santi e il « capirone » a tessuto d’oro con la rappresentazione dello sposalizio della Vergine. Nè è meno a deplorare la scomparsa dei diciotto arazzi dell’ultima donazione. Basta considerare i soggetti di taluna delle scene in essi contenute, quali la nave di s. Pietro, l’adultera coi suoi accusatori, la storia di Susanna, il martirio di s. Stefano, le storie di s. Eustachio in mare e nel bosco, e la trasfigurazione di Gesù Cristo, per intravvedere l’importanza artistica che doveva presentare questo complesso di raffigurazioni. Non abbiamo alcun dato per argomentare se questi arazzi fossero, al pari del pallio della Passione, stati eseguiti nelle Fiandre sopra disegni di artisti di quella regione, o se invece fossero stati lavorati a Milano sopra cartoni di qualche pittore italiano, dai maestrì tappezzieri fiamminghi dei quali si hanno notizie per il periodo dal 1450 al 1486 (2). ' G. Biscaro. (1) Non è senza interesse, a proposito dell’importazione che in quell’ epoca si faceva dalle Fiandre a Milano, di arazzi e di tappezzerie, un atto notarile del 18 gennaio 1459 (ASM, protocolli di Antonio da Sartirana), con cui a richiesta di Gio Ambrogio da Venzago, Guglielmo fu Giovanni e Melchiorre fu Pasquale « de Garneris », di Tournai di Piccardia, dichiararono ch’ erano venuti dalla loro città natale a Milano, dietro invito del Venzago « causa portandi et osten- « dendi certum designum regis Alesandri et certas alias tapezarias Il], mo domino, « domino.... duci Mediolani et Ill me domine, domine ducisse consorti eius ». Tra le serie di arazzi uscite dalle officine di Tournai gli storici delle arazzerie fiamminghe ricordano anche quella con le storie d’Alessandro (De Mauri, L’amatore, ecc., p. 107). i (2) MunTz (Histoire de la tapisserie, Paris, 1890), MaALAGUZZI-VALERI ( Ricamatori e arazzieri in Milano nel Quattrocento, in quest’ Archivio, XIX, 1903, p. 34) e De Mauri (L’ amatore, ecc., p. $I) danno molte notizie, desunte dal carteggio della cancelleria sforzesca, intorno a tappezzieri francesi e fiamminghi che lavorarono a Milano nella seconda metà del sec. XV. Essi fanno i nomi di Giovanni da Borgogna (1450-1463), Levino Herselle di Fiandra, Giovanni Felici, Pietro .Aloni, Guglielmo Barvere e Nicolò, tutti di Piccardia, al servigio della corte ducale (1463). Intorno ad alcuni dei maestri ricordati dai suddetti’ strittori Go ogle si VARIÉETÀ 1935 DOCUMENTI (Archivio notarile di Milano; protocolli del notaio Giampiero Ciocca). I Milano, 1468, ottobre 16. MCCCCLXVIII. Indictione secunda, die dominica, XVI, mensis octubris. R. d. S. archiepisaopus M. post missam et pontificales per eum celebratos in Ecclesia sua M. donavit ipse Ecclesie infrascripta sua bona que consignavit Venerabili Capitulo ipsius Ecclesie, in quo fuerunt d. Zanotus de Vicecomitibus prepositus, Christoforus de Grassis, Ancietus de Crivellis, Petrus de Novate, Iulius de Caxate, Antonius de Calvis, ed ad altri tappezzieri stranieri residenti a Milano, abbiamo trovato negli atti notarili del tempo le seguenti notizie: I. Protocolli del notaio Protaso Sansone. a/. 1454. VI. 30. « Magistri loane nes Leureux (il Giovanni Felici dei documenti sforzeschi) fq. Toussayn, idest « omnium sanctorum et Johannes de Croxetis fq. Filippi » si collocano per un anno in casa dei « Magistri Petrus de Zardinis fq. Iohannis et Ichannes de Bre- « gundia fq. Vincentii, socer et gener », tutti della parrocchia di S. Babila « ad « laborandum de arte et artificio ministerii faciendi tapeziarias » contro compenso di 26 scudi nuovi di Francia per Giovanni Leureux e di 14 scudi per Giovanin « de Croxetis » oltre il vitto e l'alloggio. bj. 1457. N. 30. Simili patti fra « Magister Jacobus Dours filius Petri » e i fratelli Pietro « de Zardinis » e Giovanni « de Bregundia » til Giovanni da Borgogna dei documenti sforzeschi). 2. Prot. dello stesso not, 1460. V. 5. Pietro « fq. Petrioli de Medelbeurch », della parrocchia di S. Babila, si confessa debitore di 2 fiorini verso « Gerardo « fq. Petri de Hare », della stessa parrocchia. — teste « Iohannes de Bregonia fq. « Vincentii ». 3. Prot. dello stesso not. 1464. IV. 23. « Alardinus Alman fq. Michelis » si colloca per un anno in casa di « Nicolaus de Campis fq. Zanes et Jacobus de « Dursis fq. Petri », della parrocchia di S. Babila, « magistri celonorum seu pa- « norum de raxiis » per lavorare « in dicta arte que faciunt de celonis seu pa- « nis raxiis », contro compenso di scudi 18 di Francia, oltre il vitto e l'alloggio. 4. Prot. dello stesso not. 1464. V. 29. « lohannes Leureux [de felicis — în- « ierl.]} fg. Tousani de Pichardia » costituisce suo procuratore il fratello Ugo per l’esazione di un credito verso il proprio suocero Giovanni « Locquemale »- e di un altro credito di 6 scudi da Martino Corville « domino de Greviler » per eguale importo da lui prestato a Giacomo figlio di Martino, scolaro a Pavia. — teste « Iobannes de Haveron f. Ovardi et Iohannes de Tremol:a filius fohan- < nis, ambo hab, in civitate Tornacensi ». | 196 VARIETA sa Ardiginus de Bossis, Petrus de ...., Beltramolus de Novate, Aloysius de (‘oyris, Leonardus de Platis et Martinus de Cazago omnes Ordinarii, facientes maiorem partem dicti Capituli, qui ea consignant prefato d. Antonio cimiliarcha conservando cum aliis bonis sacristie. [1] Uno pallio per lo altar magiore de razza con la passion de Christo lavorato de oro et argento et seda foderato de tela azurra cum uno lenzolo subtile dela grandeza del deto pallio per sua conservatione. [2] Uno piviale de tafeta celestro, tutto pieno de stelle de oro cun li frixi da parte de oro cum figure sei: et de drieto el capirono cum uno bello angelo, foderate de tela nigra. {3] Una pianeta de veluto cilestro afigurata cun la croce doro et crucifisso, dove sono figure septe: et in piedi larma del R.mo nostro Sig. arcivescovo, de drieto: et davante una croce de veluto verde, et e foderato de tela verde. [4] Una pianeta de veludo verde afigurata cun la croce drieto doro: dove e la historia dela passione de Christo cum figure sedeci: et a piede larme del prefato R.mo monsignor, et de nanti una croce de veluto rosso afigurato in biancho, cum fodra de tela verde. {5] Una pianeta de veludu rossa afigurata in biancho con la croce de drieto doro dove e la resurrectione de Christo cum figure sei: et in piedi larme dei prefato mons. et demnante una croce de veluto verde afigurato, cun todra de tela verde, {6] Uno frontale daltare de seda, lavorato de stele doro et in mezzo uno razzo de10, cum una franza verde biancha €t rossa. {7] Uno altro trontale de altare rosso: cum septe raggi doro, cum una franza verde biancha et paonaza. [8] Uno aitro frontale de altare rosso pieno de mezze stelle doro cum una franza rossa: biancha: verde: et torchina. [o} Una crocit ra doro per pianeta cum tre figure poste in carmesino et doe stelle suxo le crociere. fto] Uno frixo doro per pianeta de nanti cum due figure simile alla soprascripta crociera. {11} Frixi octo doro cum tre figure per ciaschedun frixo. [12) Et altri octo cavecci de frixo doro: per uno paro de dalmatiche con soi fornimenti de maniche et colare. {13} Uno paro de frixi doro longhi con tre figure per ciaschadun frixo per un piviale. [14] Uno capirono d’oro per dicto piviale cum figure cinque doro e la desponsation de nostra dona. {15] Uno frixo doro largo cum figure tre: per pianeta. (26) Una mitra reformata de novo cum multe perle azontegle et li quatro -doctori de la ghiexia belitissima: et uno belitissimo zafiro. {17) Una casetta coperta de cuoro nova per dieta mitria cum larme del prefato R.mo Monsignor e cum argento intorno. {r8] .La crocetta per portar in anti refatta de novo. cum angumento de oro et argento, et buttoni undece molto belli. Go ogle : VARIETÀ 197 [19] Una crocetta tutta de oro cum quatro perle et una catenella de oro, beletissima per mettere al collo quando si celebra in pontificale. [20] Una croce de argento cum lo crocifixo cum li quatro evangelisti che è in dui pezi, videlicet cum uno pede largo dove sono larme del prefato R.mo Monsignor. {21] Un missale pontificale tutto ameniato ad oro coperto de veluto carmesino afigurato. Actum in sacrastia septentrionali Ecclesie maioris. Il Milano, 1469, ottobre 29. MCCCCLXVIII. indictione III a die dominico X XVIII, mensis octubris. R. d. d. S. archiepiscopus M. habeus ut dixit se transferre ad Curiam Romanain et si casus mortis sue acciderit, quod deus avertat, volens ut dixit de bonis suis disponere reliquit et donavit causa mortis Ecclesie sue M. omnia mobilia bona et argenterias et iocalia que dimittet et reperientur in domibus suis archiepiscopalibus M. — Actum in aula archiepiscopali. III. Milano, 1469, ottobre 31. Donatio pannorum arasie per R.dun d. S. archiepiscopum facta sue Mediolanensi Ecclesie. MCCCCLXVIII, indictione III, die martis XXXI, mensis octubris. R.dus in Christo patre dominus, dominus Stephanus miseratione divina favente Mediolanensis Ecclesie Archiepiscopus ex mera devotione et liberalitate sua donavit et donat prefate ‘sue Mediolanensi Ecclesie infrascriptos decem octo eius R.mi d. Stefani Archiepiscopi pannos arasie ad ornatum ipsius ecclesie sue, mandans quod primo et ante quam illis utatur, consignentur Johanni de Braschis paterio super Viridario Mediolani per eum Iohannem aptando cum tellis de amittis pro eorum conservatione et mandans universis et singulis eorum pannorum gubernatoribus et conservatoribus presentibus et futuris sub pena excommunicationis ipsos pannos non accomandandum nisi Ecclesiis sancti Ambrosii mayoris, sancti Nazarii et sancti Stefani in br..liv pro honorando solempnitatibus que fiunt in ipsis Ecclesiis, qui panni sunt hec. [1] In primis drapus unus arasie pulcherrimus contestus sita cun navicula Petri in medio et multis figuris intus et cum arbore habente crucifigum super et cum armis tribus prefati R,mi d. Archiepiscopi super ipsa navi, brachiorum VI. in longitudine et brachiorum V. in latitudine. [2] Itenr drapus .I. arasie contestus sita auri crucifixo in medio et tribus Mariis ad pedes et tribus aliis figuris maschulinis ad pedes ab alia parte cum arma prefati R.mi d. Archiepiscopi snb pedibus dicti crucifixi. brach. III.or et trium cum dimidio. Arcà Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. I-II. 18 198 VARIETÀ [3] Item banchalia quatuor contesta site cum tribus armis pro singulo prefati R.mi d. Archiepiscopi seu pro singulo eorum tenentibus a duobus angelis cum testa mortui in pede cuiuslibet arme et literis sub capite mortui -dicentibus: memorare novissima. longitudinis brach. VIII. et latitudinis brach. I. cum dimidio pro quolibet. [4] Item drapus unus contestus sita cum Jesu Chisto in medio ad adulteram et accusatoribus ad latera prout in Evangelio et cum arma prefati R.mi d. Archiepiscopi sub pedibus Jesu Chisti, brach. IIIILor cum dimidia ab omni labere. [5] Item drapus .I. cum historia Susane contestus sita cum arma prefati R.mi d. Archiepiscopi in pede in medio. longitudinis brach. XII et latitudinis brach. III. pulcherrimus et cum armis prefati R.mi d. Archiepiscopi in capitibus supra. [6] Item drapus I. arasie contestus site habens in medium Virginem Mariam cum crucifixo in gremio et sex sanctis ab latere et duobus angelis ad spatulas, longitudinis brach. III. et latitudinis brach. duorum. [7] Item drapus .I. arasie contestus site auro et argento cum Jesu Chisto in medio portante crucenì et duobus flagelatoribus ad latere. ‘ongitudinis brach. trium et latitudinis brachii .I. cum dimidio. [8] Item drapus .I. arasii contestus site auro et argento cum Virgine Maria in medio et filio in brachio et duabus sanctis Virginibus ad latere, largitudinis brach. IIII.or et latitudinis brach. .I. cum dimidio. [o] Item drapus .I. arasie cum deo patre in medio habente coronam regiam et septrum Imperiale in manu et ad pedes eius cum agno tenente librum in gremio dei Patris et cum pluribus figuris ad latere et cum quatuor Evangelistis. cum armis duobus ad latere super prefati R.mi d. Archiepiscopi. longitudinis brach. III.,m et latitudinis brach. duorum et quarte uniers. [10] Item drapus .I. arasie contestus sita cmm historia Sancti Stefani lapidati et cum armis duobus prefati R.mi d. Archiepiscopi ad latere super, longitudinis brach. trium et latitudinis brach. I. cum dimidio. [11] Item banchale .I. contestum sita cum anunciata et duobus armis prefati R.mi d. Archiepiscopi, longitudinis brach. quatvor et quarte unius et latitudinis quartum trium. [12] Item banchale .I. eiusdem longitudinis et latitudinis cum sancto Austachio in navi et armis duabus prefati R.mi d. Archiepiscopi. (13) Item banchale .I. cum sancto Austachio in nemore in medio et armis duobus prefati R.mi d. Archiepiscopi, longitudinjs brach. trium cum dimidio et latitudinis quartarum trium. [14] Item drapus .I. arasio contestus sita cum Jesu Christo volante in Orto et tribus apostolis dormientibus et Juda et fariseis. cum armis duobus R.mi d. Archiepiscopi, longitud:nis brach. tiium et latitudinis brach. I. et trium quartanu. [15] Item frontale I. drapi arasie contestus sita cum tribus armi prefati R.mi d. Archiepiscopi longitudinis brach. VIII etlatitudinis tertie unius. Actum in aula sua archiepiscopatus M. VARIETÀ 199 Don Paolo della Silva consultore di Governo e storico del diritto. an uno studio di Pasquale del Giudice intitolato Gabriele Verri e la Storta del Diritto in Lombardia, (1) vediamo i delinearsi la figura dell’ insigne milanese dal punto di vista dello scienziato e dello storico. Uomo eminente per cariche gerite nello Stato milanese, detto allora Lombardia austriaca, egli appartiene a quella corrente di dotti uomini e di patrizi che, per quanto conservatori, sentivano tuttavia la necessità di innovare con nuovo sangue giovanile la vita del diritto. La massa del diritto minacciava di divenire inerte e di isterilire se non si rinnovava. La metà del sec. XVIII presenta già nella vita del diritto milanese due tendenze novatrici. Da un lato la tendenza alla codificazione del diritto positivo, dall’altro lo studio del diritto con metodo scientifico. La storia del diritto, intesa nel suo vero significato, rappresenta infatti l'essenza del pensiero giuridico in veste scientifica. La tendenza alla codificazione è un fatto provato ormai; e sebbene fosse in parte secondato dal Governo, pure non doveva sortire effetti definitivi che verso la fine del sec. XVIII (2): lo studio scientifico della storia del diritto doveva ricevere il maggiore e più vivo impulso proprio dal conte Gabriele Verri. Egli non solo elenca le fonti dello « jus municipale »; ma eleva la sua trattazione compiendo un’opera di critica storica. Era la grande corrente novatrice che in Milano trascinava le menti elette verso il rinnovamento del metodo storico. Lo stesso Giulini non trascura di accennare a qualche punto di storia giuridica come lo prova una sua lettura sul fallimento tenuta all’accademia dei Trasformati (3). Erano in somma maturi i tempi, se lo stesso Verri elogia l’istituzione nell’Ateneo pavese di una cattedra di storia del diritto affidata in quei tempi all’eruditissimo Pasquale Garofolo (4). (1) Rendiconti del R. Istituto Lombardo, serie Il, vol. 42, 1909, p. 904 e sgu. (2) Cfr. Visconti, Note sul diritto d’ interinazione nel Senato Milanese, in quest'Archivio, 1909, appendice doc. VIII. Lo sTEsso, La codificazione del Processo civile a Milano durante la prima dominazione austriaca, in Rivista di Dirilto Civile, 1914, p. I € Sgg. (3) Giulini Giorio, Ragionamento sulle leggi che riguardano i falliti, in quest'Archivio, 1876, p. 6 e sgg. (4) DEL GIUDICE, op. cit., p. 910. Go ogle 200 VARIETA Non deve recar dunque maraviglia, se fra i più colti magistrati dello Stato milanese si trovi qualcuno che ‘tenta qua e là di far oggetto di indagine storica il patrio diritto. Il giureconsulto e consultore di Governo don Paolo della Silva, in modo più modesto assai che non il suo collega G. Verri, tentò raccogliere in un volumetto la storia del diritto pubblico milanese. Egli sentì che voler prender d’assalto e di fronte l'enorme materiale offerto dal solo diritto milanese, sarebbe stata opera troppo grandiosa a cui non dovevano bastare le sue forze e il cumulo degli affari di Stato. Limitò perciò il suo compito al diritto pubblico. Ma l’opera, terminata mentre era podestà a Cremona e datata infatti in questa città il 31 luglio 1759, rimase inedita. Ne accenna il Cusani nel vol. IV della sua -Storia di Milano (1) che lo definisce un erudito lavoro sgraziatamente rimasto inedito. L’operetta del Silva fu probabilmente scritta dietro l’esempio dato da Gabriele Verri e certo era nelle intenzioni dell’autore di pubblicarla: ma saran sorte nuove circostanze a fargli rimettere il pensiero di una pubblicazione immediata; fin che, passati gli anni, non avrà avuto, il vecchio giureconsulto, volontà di pubblicare un lavoro ormai sorpassato. Due manoscritti sono conservati alla biblioteca Ambrosiana e uno di questi contiene alcune varianti, sebbene entrambi sian segnati dalla medesima data, e caratterizzati da una gran copia di correzioni di mano dell’autore medesimo ‘2): il che significa che questi non era contento ancora dell’opera sua e l’andava ritoccando qua e là memore del precetto classico che un libro, una volta scritto, dovrebbe dall’autore esser riposto per nove. anni prima d’esser pubblicato. Anche il titolo del libro non è quale lo dà il Cusani: questi lo riporta incompleto: mentre l’incontentabilità del Silva si esercitò anche contro il titolo. Infatti il ms. originale reca questa intitolazione: « De | iure publico « | Civitatis et Ducatus Mediolani | mutila quaedam et hiantia | « usibus | Don Pauli De Silva | I. C. C. Mediolani et Reg. Duc. « Senatoris ». Il manoscritto corretto toglie « et hiantia », trasporta il « Mediolani », collocato dopo « I. C. C. », e lo mette dopo il « Sena- (1) Cusani, Storia di Milano, IV, p. 199 e nota 1. (2) Ciò è provato dalla dichiarazione seguente posta sopra un foglio bianco in principio del volume: « Le correzioni fatte nel presente ms. sono di pugno « dell’autore medesimo Don Paolo Silva a me molto ben noto. « firm.t0 BELLATI ». VARIETÀ 201 «toris », indi aggiunge di proprio pugno « ac Cremonae Praetoris » per indicare la carica di cui era insegnito intorno al 1759 (1). Segue poi un elogio in versi evidentemente scritto dal cardinale Angelo Durini al nostro. Probabilmente il Silva avrà dedicato il ms. al Durini e questi avrà risposto con l’elogio che il Silva mise in testa alla copia da lui corretta: viene la prefazione al lettore e in ultimo il testo dell'opera a cui l’autore premette il famoso passo: « Turpe Patricio et nobili, ius, in quo versatur «ignorare »: detto che Pomponio attribuisce a Quinto Mucio, I. a $ 4 3 Dig. I, 2). Lo scopo del giurista era sufficientemente caratterizzato da questo detto: egli voleva che il patriziato si occupasse del diritto, e specialmente pubblico, onde governare con saggezza secondo le idee del tempo in cui ai soli patrizi doveva incombere la responsabilità del governo. Il testo è latino e anche nella forma noi vediamo riconfermata la imitazione del Verri, che scrisse il suo Prodromus appunto in latino. E anche questo è segno del forte spirito conservatore che animava i vecchi patrizi e giureconsulti milanesi. Essi sdegnavano la lingua volgare per rivestire le loro giuridiche dissertazioni: e dire che proprio nel 1760 il Giulini mandava fuori la sua storia di Milano in italiano; e l'aver usato il volgare non impedì certo al grande storico di esser nominato storiografo di Milano (2). Ma la mentalità di molti magistrati milanesi del secolo XVIII è ben nota, senza che qui ci si indugi; e il loro spirito conservatore fu già osservato (3). Comunque il Della Silva scrisse il suo volumetto prendendo le mosse dall’anno 1162 risalendo fino ai suoi tempi e studiando l’avvicendarsi delle varie magistrature milanesi e il loro trasformarsi nelle vicende subìte dallo Stato nel corso dei secoli. L’opera del Silva merita d’essere considerata e studiata con interesse perchè potrà portare molta luce non solo sulle condizioni del diritto pubblico milanese, ma sopra tutto potrà servire per co- (1) Si possono consultare i due mss. alla biblioteca Amtrosiana sotto le seguenti segnature: P. 175 (con varianti e correzioni autografe) e P. 260 (questo ms. è inserito in una raccolta miscellanea di mss. del sec. XVIII, riguardanti la storia milanese). | | (2) Cfr. la prefazione alla Storia del GiuLini nell’edizione del 1854, vol. I, Pp. XV, XVI. (3) E’ nota l’influenza reazionaria esercitata da Gabriele Verri, dall’arciv. Pozzobanelli e da Corrado de Olivera, tanio che dopo la morte di costoro fra il 1782-84, le riforme si poterono effettuare rapidamente. Visconti, La pubblica amministrazione nello Stato Milanese durante il predominio straniero, Roma, 1913, p. 45. 202 VARIETÀ noscere lo stato della scienza del diritto nella metà del sec. XVIII. La storia del pensiero giuridico milanese, nel periodo di rinnovamento, che ferve proprio in quell’età, è ancora da fare e certamente potrà riuscire assai interessante e istruttiva e molto vi potrà contribuire la conoscenza dell’operetta del Silva. Se le forze mi basteranno, potrò (a cose calmate e se i fati saranno a noi propizi) tentare una indagine in questo senso nella speranza di poter gettare un po’ di luce su tale materia. È conosciuto e studiato tutto il rinnovamento scientifico ed economico a Milano; ma il pensiero giuridico fu trascurato; eppure in mezzo a tante manifestazioni retrive dei giuristi milanesi (1) non mancano sprazzi di luce che indicano come pur nella compagine serrata del diritto entri l’aria vivificatrice della scienza moderna. E’ incredibile come i politici, gli economisti corrano; e come nella corsa si lascino indietro i giuristi! Comunque, se noi vogliamo dare un rapido e sintetico sguardo all’opera del senatore Della Silva non possiamo non constàtare come sia questa molto inferiore al Prodromus del Verri. Vi manca l’acume e lo spirito critico che si ammira nel Verri: invano sì ricercherebbe l’osservazione originale che dia vita alla storia, vi è in cambio l’esposizione chiara e diligente di istituti di diritto pubblico, sui quali converrà certamente ritornare in altra sede. Noi diamo in appendice un passo, quasi un saggio, del volumetto del Silva riguardante alcune osservazioni sue sulla guerra di successione di Spagna e sul diritto da parte dello Stato dominante di levar soldati in Lombardia ; osservazioni che, dati i tempi attuali, possono non essere prive di qualche interesse. Il. Don Paolo de Rido della Silva nacque a Domodossola da antichissima famiglia ossolana, che si presume discendente dal casato potentissimo dei Clermont in Francia (2). Alla sua nobiltà don Paolo teneva assai e molto eruditamente e diligentemente ne disserta nelle allegazioni presentate al collegio dei Nobili Giureconsulti per otte nerne la iscrizione (3) nel 1726: e più tardi, quando nel 1770 si istituì (1) Cfr. Visconti, La codificazione del processo civile, cit., p. 5. (2) Cfr. BazetTA N., Storia di Domodossola e dell’ Ossola superiore, Domo.dosscla, IQII, p. 190. Sulla vita e opere del Silva si hanno notizie in monografie frammentarie: manca ancora un lavoro, condotto con metodo, che metta in luce la sua figura come magistrato e giurista in rapporto al suo tempo. (3: ASM, Fondo Religione, parte moderna, cart. 2138. Go ogle VARIETÀ 203 il tribunale Araldico, egli presentò una eruditissima dissertazione sul proprio stemma, che il re d’armi, Giuseppe Casati, con relazione 27 settembre 1770 approvò con molti elogi (1). Tal relazione è redatta infatti (strana cosa) in volgare, con buon metodo e con gran copia di documenti. Dopochè il Silva ebbe ottenuto la iscrizione nel Collegio dei Giureconsulti, incominciò la sua carriera nei pubblici uffici. Nel 1753 lo vediamo avvocato fiscale e nel 1749, invocando i servizi prestati, sollecita dal governo il titolo di conte trasmissibile agli eredi (2). Nel 1753 si fa innanzi a chiedere un posto nel Senato: la meta a cui un patrizio illuminato tendeva con tutte le proprie forze (3). Non pare tuttavia che ottenesse tanto presto l’ambita carica, perchè prima ricevette la nomina a capitano di giustizia, altro gradino per giungere a conseguire il grado senatorio (4). Sulla scorta dei documenti ufficiali non è difficile ricostruire il profilo di questo magistrato ligio al suo dovere e al servizio verso lo Stato al quale diede tutta intera la sua attività fino alla più tarda vecchiezza. Nel 1756, con dispaccio datato da Vienna il 24 maggio e comunicato dal governo di Milano l’11 giugno, il giureconsulto don Paolo della Silva si vede finalmente promosso senatore e il 21 giugno giura « inginocchiato nanti S. E. il signor « marchese Corrado de Olivera Consigliere intimo attuale di Stato « delle loro M. M. Imperiali, Presidente del Senato e Pro gran « Cancelliere nella Lombardia Austriaca » (5). Subito dopo vien (Ii ASM, Araldica, P. A., Fam. Nob. Occorr. Partic. Sf.- Sn., cart. 114. In quest'occasione ricorda il Silva un’ antica iscrizione esistente nel suo castello di Crevoladossola e che il Bazetta (op. cit., p. 194) riporta. Tale iscrizione trovasi nella così detta Sala Verde in cui, a dire del Silva, si teneva giurisdizione anteriormente al 1381 nel quale anno la Val d’ Ossola passò in dominio di Gian Galeazzo Visconti. Il Silva la trascrive così: Dont non ghe l'ustitia no ghe paze, Turbase lo mondo e de Virtil se spola EI mato senorezza, lo savio taze Va rotato che ancora ai tempi del Silva v'era una pittura rappresentante una figura umana simboleggiante la Giustizia. Cfr. anche MorBio, /talia e Francia, Milano, Ricordi, 1873, p. 295 € Sgg. (2) ASM, cart. 114 cit., lettera 12 maggio 1749. (3) ASM, Silva (della) Paolo, in Uffici Giudiz. Milano, Senato, Senatori. Lettera del duca di Silva Tarou:a datata da Laxemburgo il 7 giugno 175; al sig. governatore generale conte Pallavicini. (4) ASM, cart. cit, documento in data 19 giugno 1756. (5) ASM, cart. cit., R. Disp. 20 maggio 1756 e Il giugno 1756: giuramento 2I giugno 1756. Go ogle 204 VARIETÀ destinato alla podesteria di Cremona (1). Cremona e Pavia per antico diritto godevano dell'onore particolare d’avere un senatore podestà: e a questa carica si solevano inviare i meno anziani fra i senatori, preferibilmente quelli di prima nomina. Fu durante la sua podesteria che egli condusse a termine il volumetto di storia delle istituzioni di diritto pubblico in Lombardia. Da Cremona il Silva passò a Mantova nella qualità di presidente del consiglio di giustizia e sembra che questo nuovo ufficio ottenesse nel 1760, come appare da una lettera del Kaunitz in data 1° settembre 1760 (2). Nel 1760 consegue il titolo di consigliere intimo (3). Ma fu tre anni dopo che il Della Silva raggiunse il massimo grado a cui un magistrato distinto poteva pervenire. Il 25 aprile 1763 fu da Maria Teresa nominato consultore di governo. Il titolo era precisamente: « Consultore presso il Governo Generale della Lombardia Austriaca ». Il 25 aprile da Vienna il Silva riceveva, probabilmente dal Kaunitz, una lettera d’elogio che riportiamo in appendice specialmente pel modo curioso con cui l’elogio è fatto, modo che certo non torna ad onore dei nostri ex padroni, gli austriaci, giacchè troviamo espressioni di questo genere certo offensive alla nostra dignità: « è per- « suasa S. M. ch’ella, tuttochè nazionale, abbia quella forza di « spirito e quel fondo di vera onestà che si richiegono per essere « superiori a tutti gli attaccamenti e le contemplazionil... » (4.) (1) ASM, cart. cit., documento 22 giugno. Da una minuta diretta al presidente del Senato: si dice che il decreto di nomina a podestà è pronto e si domanda se si dovrà spedire all'interessato il decreto « che, come dice il fun- « zionario estensore della lettera, suole abbassarsi con anticipazione a fine di « lasciargli il tempo necessario a fare i suoi preparativi, oppure se dovrò so- « spenderlo ritenendo ch'egli continuar deve secondo le sovrane disposizioni « dello Ill. S. nell'esercizio della carica di Capitano di Giustizia sino a tanto « che non venghi nominato il di lui successore nella medesima ». (2) Cfr. Visconti, La pubblica Amministrazione, cit., p. 214. (3) ASM, Araldica, P. A., Cons. di Cons. di Stato G. Z., cart. 31, documento 22 gennaio 1761. Il Silva ricorda questa sua nomina a consigliere intimo attuale di Stato avvenuta nel novembre del 1760 in una sua opera ms. conservata a Domodossola nella biblioteca Galletti, avente per titolo Memorie della famiglia della Silva, datata a Milano l' 8 di agosto del 1780 « giorno nel quale « comincio a nominare l’anno novantesimo della lunga e disastrosa mia vita ». Quest’ opera fu cominciata a pubblicarsi dal Bustico in Zllustrazione Ossolana, Bollettino della biblioteca e musei Galletti, 1911, fasc. 2-6. (4) La nomina a consultore ; i carteggi e dispacci relativi trovansi in ASM, Uffici Regi, Governo, Consultori e Segretari di Stato, cart. 81. La lettera sopra citata è nella medesima cartella e non è firmata. Trattasi evidentemente di una copia. Go ogle _ VARIETÀ 205 Il senatore Perlongo doveva sostituire il Deila Silva nell’ufticio di presidente del consiglio di giustizia in Mantova. Se non chè nel 1765 troviamo ancora il Nostro a Mantova gravemente ammalato di angina e di altri malanni, come si desume dal carteggio col governo tenuto dai due medici curanti dottori Valcarenghi e Moscati (1). E da notare la sollecitudine del governo verso il malato e gli auguri di riprender presto il posto che occupava con tanto onore. Dopo questa data non ritroviamo altre notizie di lui che otto anni dopo (2) quando il Silva domanda un passaporto e commendatizie presso il residente austriaco di Torino per potersi recare in quella città ad ossequiare il nuovo re. Infatti nel 1773 saliva al trono Vittorio Amedeo III e il Silva voleva presentarsi al re di Sardegna « trovando troppo preciso quest’atto di venerazione ad un nuovo « sovrano anche di Domodossola; nella qual provincia la mia casa « ha le origini, suoi fondi e residui di sostanze lasciategli dai suoi « maggiori » (3). Vien dallo stesso Kaunitz la risposta che non solo è favorevole, ma vi si aggiunge che gli si concede la licenza di recarsi a Torino per favorire « questo benemerito ministro a « cuì la meditata corsa servirà anche di qualche respiro » (4). Nel 1774 troviamo un carteggio fra il nostro e il Firmian: il Silva erasi recato a Domodossola dalla qual sua terra mancava da più di venti anni. Descrive le accoglienze avute da quella popolazione, accenna ai suoi possedimenti « avanzi d’anticaglie d’una « famiglia che va a terminare in breve », e in ultimo parla perfino del cattivo raccolto dell'uva in quell’anno. Questo dilungarsi in particolari privati dimostra la considerazione e l’intimità che godeva presso il governo (5). Nel 1776 il Silva cade nuovamente (I) ASM, cart. 81 cit. Non credo sia questi il celebre Pietro che si sarebbe laureato in Pavia nel 1758 e avrebbe salito la cattedra in quell'ateneo nel 1763. Credo piuttosto sia il padre Bernardino che fu un rinomato chirurgo. Cfr. su Pietro Moscati la memoria di P. Pecchiai nella rivista L’ Ospedale Maggiore, n. 11, novembre 1913. Pietro Moscati è anche ricordato dal Verri in occasione di un viaggio fatto col Beccaria nel 1768 (Carteggio cit., vol. Il). (2) Nelle epistole di Pietro Verri al fratello Alessandro, troviamo menzionato il Silva insieme col senatore Pecci e altri, fra cui il Verri medesimo, come facenti parte di una giunta nominata nel giugno del 1769 all’epoca dell'arrivo dell’imperatore, giunta in cui trattavansi affari di economia pubblica e di finanza, nell'interesse dei popoli e del loro benessere (vedi Carteggio di Pietro e Alessaudro Verri, a cura di E. Greppi e F. NOVATI, vol. II, 1910, p. 352, 334. (3) ASM, cart. 8I cit., lettera 22 agosto 1773. (4) ASM, cart. 8I cit., lettera 7 ottobre 1773. 15) ASM, ‘cart. 81 cit., lettere 16 e 23 settembre, 14 ottobre 1774 al conte Go ogle 206 VARIETÀ ammalato; ma vediamo il Kaunitz stesso felicitarsi del suo ristabilimento in salute. Egli scrive infatti: « ora che esso si trova in « grado di ripigliare il filo degli affari, ho un doppio motivo di consolarmi seco lui e collo stesso governo per la conservazione « di un ministro benemerito ed attivo nonostante la grave sua età « e le fatiche sostenute nel corso della sua vita » (I). Infine nel 1789 sì accenna a lui come a un magistrato già collocato a riposo (2) dopo una vita lunga passata completamente in servizio dello Stato. Il Bazetta, nella sua opera pregevole riguardante la storia di Domodossola, lo fa morire il 15 dicembre 1784: tale data non sembra corrispondere con le memorie che si hanno di lui posteriormente alla presunta data della sua morte: per cui convien senz'altro ritenere come data certa di sua morte il giorno 18 maggio 1789 (3). Esaminando il profilo di don Paolo della Silva, quale appare dai documenti ufficiali, risulta dominante in ]ui un elevato sentimento del dovere dovuto più che ad amor di patria, nel senso odierno, a un attaccamento scrupoloso al sovrano come capo dello Stato e della gerarchia nobiliare. Egli ha un concetto tutto aristocratico dei suoi doveri verso il governo e delle cariche a cui fu chiamato dalla sovrana volontà. Questo sentimento, unito a una spiccata scrupolosità e diligenza nell'adempimento dei molteplici uffici, lo rese caro al governo che si servì di lui largamente. Era un uomo all’antica, alla maniera del Verri e di molti altri di quel tempo: forse già era ormai un avanzo d’altra età di fronte a nuove correnti di pensiero più vive, che l’« Enciclopedia », giunta e divulgata anche in Lombardia, aveva in noi come risvegliato (4). Ma la sua diligenza si vede anche nelle opere storiche da lui scritte: è scrupoloso nella ricerca per quanto poco profondo e poco critico nella scelta delle fonti; ma è preciso nell’indagine storica & di Firmian. Il viaggio a Domodossola fu descritto dallo stesso Silva in una epistola latina che si conserva ms. all’ Ambrosiana e che fu edita e volgarizzata dall'avv. G. Pagani (vedi Viaggio da Milano alla Val d' Ossola fatto da Paolo della Silva nel 1774, in Verbania, 1911, p. 31, 65, 99). E' un centone storico della regione Ossolana e contiene la glorificazione della sua famiglia. (1) ASM, cart. 81 cit., lettera 15 maggio 1776. (2) ASM, cart. 81 cit., documento 20 maggio 1789. (3) BAZETTA, Op. cit., p. 525; vedi CusANI, op. cit., vol. IV, p. 199 e la lapide in S. Marco a Milano. (4) Cfr. Rota, L’Austria in Lombardia, Milano, 1911, cap. III, p. 143 e sgg. Go ogle i VARIETA 207 delle memorie della sua famiglia e in questo si vede il suo spirito tenacemente conservatore e aristocratico (I). Così in brevi tratti ho creduto conveniente, come studio preliminare, rievocare una figura di magistrato che, per quanto sia inferiore a Gabriele Verri, pure, insieme con lui, completa quell’accolta di menti elette e di oneste coscienze, che rappresentano gli ultimi guizzi di una tendenza fortemente conservatrice nella vita pubblica e che tuttavia operano con grande zelo e attività per lo Stato e pel. principe a cui hanno giurato intera fedeltà (2). ALessaNDRO VISCONTI. (1) Oltre alla memoria ms. citata più sopra e conservata nell’ archivio di Stato di Milano, si confronti un altro volume ms. sulle Memorie della famiglia deila Silva, conservato nella biblioteca Galletti a Domodossola e ricordata dal BAZETTA, Op. cit., p. 525 non che la citata epistola del suo Viaggio nel 1774. Ma ciò che caratterizza il suo spirito ultra conservatore sono due opere anonime, ma sue per indubbi segni, conservate mss. nella biblioteca Universitaria di Pavia. Sono le Noctes cimmeriae e l’altra opera: « Discordie | sua notizia dal 1750 al 1780 « sua Serie | Negli anni seguenti | osservazioni di N. N. N. |. In Milano anno « MDCCLXXXVIII », La seconda è una violenta critica in senso reazionario della politica del Governo austriaco in Lombardia nella seconda metà del secolo XVIII e particolarmente della politica ecclesiastica di Giuseppe II fra il 1781 e 1785. La prima, cioè le Noctes, è Ja descrizione di un regno fantastico per criticare ordinamenti civili, giuridici e religiosi dello Stato di Milano. L’opera è inspirata a un concetto molto reazionario e quindi ricca di particolari interessanti. Cfr, Bustico, Mss. ossolani esistenti nelle biblioteche pubbliche e private d’ Italia, in Illustrazione ossolana, 1912, fasc. 3-4. (2) Non credo in questa sede conveniente diffondermi maggiormente con abbondanza di particolari biografici, sull’ attività e vicende del nostro giureconsulto. Mi basti per ora accennare al suo profilo accontentandomi di qualche scorcio: la sua biografia mì può servire al più per illuminare la sua opera di giurista, che è quanto può realmente interessare come storia del pensiero. Finora il Silva ebbe qua e là l'onore di qualche frammentario studio, purtroppo limitato e pubblicato su riviste di scarsa diffusione, ma tali ricerche hanno lasciato il tempo che han trovato. Il Bustico ci ha tramandato un diligente elenco di op:re manoscritte del Nostro, ma non completo. Comunque, il Silva merita d'esser studiato specialmente come punto di riferimento per la ricostruzione della storia del pensiero giuridico nel sec. XVIII: studiandolo sotto altri aspetti, si finirebbe col far opera sterile e si contribuirebbe ad aumentare la miole indigesta di curiosità araldiche, biografiche, genealogiche: ciarpame storico e non scienza. LO ogle 208 VARIETÀ Appendice Prima. Nel riprodurre questa piccola parte dell’opera del Silva a titolo di saggio, noi seguiamo la lezione del testo corretto dall’ autore, notando in corsivo le varianti e le correzioni di suo pugno e riportando in nota le parti del primo testo che non fu corretto. I. LA GUERRA DI SUCCESSIONE DI SPAGNA (tI). e. 64. Anno ifaque 1700 obiît Carolus II (2) cuius mors late tota Europa excitavit incendium successionem în Regna Zispaniarum illisque adiacentes provincias sive in Europa sive in Asia, Aphrica et America hinc Arciduce Carolo Austriaco mox Carolo VI Imperatore electo inde Philippo Borbonto sibi deposcentibus (3). Bellum hoc diversas in partes universam traxit Europanm implacabilibusque odiis involuit uf mu/lus fere ex Principibus fuerit qui contra Ludovicum XIV quem magnum appellamus Francorum regem vires non (1) Questo passo tratta anche della questione se sia permesso far leve forzate di truppe complementari fra gli abitanti di Lombardia per completare gli etfettivi di reggimenti diminviti di numero in seguito a perdite riportate nei combattimenti. Egli nega questo diritto da parte dello Stato sovrano allegando il fatto che la Lombardia si era redenta dall’onere del servizio militare mediante il pagamento di una tassa apposita (Diaria e Diarietta).” Un ms. conserv.to all' Ambrosiana (Miscellanea di Storia Milanese, P. 260) ci fa noto infatti in che condizioni fosse il Bilancio militare nel 1761: « Per quanto poi la cassa militare « concerne, siccome tutta la sua dote in L. 6.937.091 consiste cioè a dar 300.000 « fiorini che di sussidio annualmente corrisponde la Camera e in 5.118.791 lire « procedenti dalla Diaria o Diarietta e dal Mensuale e con questa sostener debba « il peso di ristorar le fortezze e d'assoldare, vestire, alloggiare e pascer le truppe « e somministrare alla cavalleria gli opportuni foraggi, cosi non è verisimile che « per le sole vestimenta consumi oltre la metà di essa dote, caricata, come già « dicevamo di tant’altre spese che questa di lunga mirano soverchiano » (Dissertazioni intorno alle rendite dello Stato di Milano, p. 161. Però il Silva se nega le leve per l’esercito di prima linea, non esita ad ammettere che pei bisogni della patria si faccia ricorso alla milizia forese e urbana, vera milizia di seconda linea e progenitrice della milizia territoriale con compiti di imera difesa del territorio. (2) Paucos post menses a pragmatica modernae relatae diei 5 Ilan. 1700 obiit Carolus II. (3) Philippo Borbonio Duce Andegavensi, seu Filippo V Hispaniarum rege et Archiduce Carolo Austriaco Hispaniarum itidem Rege III inde Carolo VI Imperatore electo sibi deposcentibus. Go ogle n VARIETA 209 exaruerit suas, ui omni conatu magnis fanti principis ausis valide desisterit (1). Huius nos pars fuimus, immissis in /faliam etiam a Rege Ludovico (2) et ab Imperatore Leopoldo florentissimis exercitibus a quibus multos in annos protractum bellum. c. 65. Ut a Gallis Allobrogum ducem abduceret Caesar eiusque Forcerati, qua ratione transitus a Gallis in Italiam et ab Italia redditus in Gallias Francis intercluderetur, foedus anno 1703, Anglis urgentibus et Batavis, iniere quod “ Quadruplice Alleanza , vocarunt cuique anno 1705 accessit Carolus III eoque (3) conventum confecto bello Alexandriam, Valentiam, Mortariam, Lumellinam ac Vallem Sesitanorum Ducem habiturum. e. 66. Dum hunc Ducatum Galli et Hispani tenebant, evocati anno 1706 primum fuimus ad supplementa Legionibus Gallorum et Hispanorum, quod hoc anno 1759 nobis refricatum est exemplum ut tria hominum millia conscribi faferemur (4) in supplementa Regiminum Clericei et Luzzani. Pustulati de crimine cuius poena non esset mors naturalis vel civilis nomen dare militiae alias cogebantur, nec eos milites conscriptc - res respuebant. Paulatim difficiliores isti se nobis praebuerunt, unde ego pro Fisco scribens ad Senatum declamabam, quo factum, ut anno 1753. Conscriptores iterum nomina istorum reciperent ea tamen conditione, si delati de crimine nulla notati essent infamia quam vel ob delicti titolum vel ob poenae quam iam subissent, qualitatem contraxissent. Ex quo ingravescere coepit internecinum bellum quod postremis his annis Augustissimae Dominae (5) intulit Borussorum Rex ferocissimus paululum quo ad delictorum titulos remitti, placuit, recepique w/: a Romanis alias factum, etiam fures, crumenisecas, effractores, et huius farinae homines, tanta /amen corporum disquisitione ef censura (6) ut ex eorum caterva, quos vel e carceribus offerebamus, vel regionibus perlustratione consecuti fueramus, vagos, desides, laboris impatientes, crapulae otioque deditos, pauci ad modum conscriberent, his, quia statura non iusta, illis, quia impetigine, scabie vel quo alio leviori licet corporis morbo aut vitio affecti (7) reiectis eo fortassis consilio ut viam sibi facerent (8) ad supplementa etiam ex honestis patriaeque utilibus, licet invitis, conscribenda. (1) nullo fere ex principibus qui sortem alterius ex Competitoribus non fuerit secutus. (2) a Gallorum Rege Ludovico XIV. (3) eodemque. (4) traderemus. (5) nostrae. (6) factum. (7) vitio tenerentur. (8) Duces Militares. 210 VARIETÀ c. 67. Si halia ratione habitus fuisset delectus uti ego datis ab hoc Cremonensi Praetorio ad Seren. Administratorem et ad Senatum literis narrabam longe minori regionis damno finem fuissemus consecuti quia alia ad impediendum delectuni proponeremus (1) statum nostrum pecunia ab omnibus oneribus militaribus, diario nempe extraordinario subsidio se redimisse: neque enim militare cogi potest, qui tributa ea mensura pendet qua militibus praebenda stipendiaque errogari et reliqua ad exercitum necessaria pro modo Provinciae, quae ad tributum confert parari queunt. Si tanta apud nos esset hominum copia ut agrorum culturae et caeteris civilis societatis par foret ac (2) superessent qui militia occupari possent frobarent consilium atqui vel (3) seponenda cogttatio augendorun commierciorum el aliud interimittenda cultura agrorusm quibus ex fontibus diarium confluit subsidium, vel abiiciendum consilitmi (4). Nec in exemplum trahi possunt acta anno 1705: labellum enim compescere tunc opportuit e/ dura imperia pati, sive quia ab hoste sumenda non suni exempla, sive quia nobis tunc obiicebatur eum delectum ad necessariam patriae defensionem haberi, milites non extra provinciam a mandandos, sed intra huius fines aut circa illos retinendos (5). Praeterea nundum tunc in unum coacta fuerant onera omnia militaria quod tactum anno I707 quo post restitutum Caesari Ducatum in extraordinarium Diarium subsidium consensimus quibuscumque in opus militiae necessariis exequatum. Demum Gallos ipsos et Hispanos difficultate rei perspecta, hanc abiecisse cogitationem, delectu intermisso, neglecto, mox penitus derelicto. e. 68. De caetero quotiens ab hostibus conatibus tuenda fuit patria, desiderari se non permisit Provincia, obiectis etiam corporis suorum civium, quin crediderimus, nos hac solutos lege e/iam post Diarium iwdictum subsidium etideo saepe vidimus conscriptas hac, illaque occasione cohortes militum urbanorum et castellanorum agrestium easdemque Martis opera facere, arcibus praesidio esse, uti fawcis ab kinc Austris factum (6) stipendiis tamen ex regio aerario awf ex arca diariae eisdem depenso agrestis seu forensis miilitia ineunte saeculo XVII primum instituta (7) iussis civitatibus oppidis et castellis delectum habere, Deuces. (1) proponeremue videlicet statum hunc. | . (2) et adhuc. (3) aut. (4) non abiiciendum consilium: atqui aut necessaria ad culturam agrorum unde diarium subsidium conflatur, intermittenda, ‘aut seponenda cogitatio de supplemento Legionibus conscribendo. (5) nec in exemplo esse possunt acta anno 1705: labellum enim compescere tunc opportet, cum nobis obiiceretur eum delectum ad necessaria patriae defensioneni haberi, milites autem non extra provinciam amandandos, sed intra illius fines, vel circa illos retinendos. (6) nostra aetate factum. (7) Stipendio ex R. Aerario capsaque Diariae eisdem depenso. Agrestis seu VARIETA 2II. sibi deligere (1) qui sub imperio Tribunorum militarent, istique iussa generalis militiae, Magistri fecerunt quorum eligendorum arbitrium sibi Gubernator reservavit. Urbana paulo post conscripta eodem ordine iisdemque gradibus ac privilegiis plena Vicario Provvisionum Mediolanensis civitatis congregationique militari permissa illius administratione ef /uic aller praeest militiae generalis praefectus. Cum haec militia dimittur, Indultum proponi solet quo leviorum criminum co tempore a militibus patratorum aboletur memoria. II. VERSI ENCOMIASTICI DEL CARDINALE ANGELO DURINI POSTI IN FRONTE AL MANOSCRITTO CON CORREZIONI AUTOGRAFE DI Don Carto DELLA SILVA. (Ambrosiana, wmss. P. 175). Ecc,mo D.no Paulo de Silva ex Intimis Actualibus Consiliariis Status SS. II R. A. MM. in Mediolani Gubernio consultori dignissimo Angelus Derinus Archiepiscopus Ancyranus. Astreae Alme Geni, saecli lux unica nostri, Iuris honos, Patriae dextera, norma Fori, Legimus Insubrico quae tu de jure notasti, Res Patriae quantas parva papyrus habet? Haec docuisse puto Themis, aut didicisse fatetur, Nam prius oraclis nihl habet illa Tuis, Atque indignatur tristes exosae latebras, Queis premis immensi grande laboris opus. Quod Romae bisquinque Viri, spartaeque Lycurgus Cecropijsque Solon, Tu potes esse Tuis. Appendice Seconda. LETTERA DEL DUCA DELLA SILva TAROUCA AI. GOVERNATORE PALLAVICINI RIFLETTENTE LA DOMANDA DEI. l. C. C. Don PAOLO DELLA SILVA PER OTTENERE LA CARICA DI SENA: TORE MILANESE. (ASM, Uffici Giud. Milano, Senato, Senatori. — Silva (della) Paolo). Ricevo col venerato foglio di V. E. de 29 prossima scorso, il meforensis militia tempora antiquior est illa urbis Mediolanensis, ineunte enim saeculo XVII illa instituta. (1) constituere. Go ogle 2152 VARIETA inoriale dell'Avv. Fiscale Don Paolo de la Silva col quale si fa egli ad implorare dal!a reale Clemenza di S. M. la cattedra senatoria vacata per la morte del fu Reg.te Marchese de Regibus. Nell’ accennarne alI'E. V. la corrispondente ricevuta, non posso che riferirmi a quanto in tale proposito ho già avuto l'onore di significarle con altra mia antecedente, dandomi ora quello di |rotestarmi cen perfettissimo ossequio Di V. E. Laxemburgo 7 Giugno 1753. Div.mo Obbl.mo Ser.re IL DUCA DE LA SyLva TAROtUCA. A S. E. Il Sig. Gov” Generale Conte Pallavicini. Il. COPIA DI LETTERA SENZA FIRMA (PROBABILMENTE DEL KAUNITZ) AL DELLA SILVA FELICITANDOSI DEGLI ONORI A CUI PERVENNE. (ASM, Uffici Regi P. A. Governo, Consultori e segretari di Stato, cart. 181). Ill,mo ed Ecc,mo Signore, E’ giunto V. E. a quel sommo di Gloria a cui possa mai aspirare un suddito, che abbi impiegata con !ode buona parte della sua vita al real servigio, giacchè persuasa S. M. ch’ella tuttochè Nazionale abbia quella forza di Spirito e quel fondo di vera onestà che si richiegono per esser abitualmente superiore a tutti gli attaccamenti e le contemplazioni, che si portano dalla nascita e si contragono con le successive clientele, si è degnata di darle clementissimamente la più luminosa prova della Reale sua confidenza con destinarla a coprire la vacante importantissima carica di consultore presso il Governo generale della Lombardia Austriaca, tuttochè il sapere, e la costumata esperienza dell’E. V. abbino avuto gran parte in questa sovrana determinazione, quello però, che ha fatto la maggior forza nell'animo benefico di S. M. è stata la fiducia, che ripone nella di lei probità, disinteresse, qualità sopra tutte necessarie in codesti Paesi. Più che perla di lei promozione, felicito dunque V. E. per questa sì vantaggiosa testimonianza che le rende l’Augustissima Sovrana, e certo, che colli di lei Lumi, e colla di lei fermezza, saprà corrispondere adequatamente a sì graziosa aspettazione della M. S., oferendomele senza riserve non solo in tutto ciò che aver possa relazione alla sua nuova carica, ma che sia per riguardarla nel suo particolare pieno di ottime speranze, e di perfetto ossequio sono Di V.ra Ecc.za Vienna 28 Aprile 1763. (non firmato). LO ogle 5 VARIETÀ 213 Paolo Frisi a Bologna nel 1761. IETRO VERRI, nelle Memorie storiche appartenenti alla vita e agli studi di Paolo Fyist (1), ricorda che l’illustre matematico barnabita, trovandosi in Roma nel 1760, ebbe dal papa Clemente XIII l’incarico di esaminare la questione circa «le controversie che allora più che mai si dibattevano * in Roma fra i bolognesi e i ferraresi dipendentemente dal Reno « ed altri fiumi e torrenti di quelle Legazioni ». Attese con l’usata diligenza a quell’incarico e stese un suo progetto (2). Ma, come suole spesso succedere da che mondo è mondo, quell’ attestato di stima che il sommo pontefice aveva dato al P. Frisi, il quale non (1) Di queste Memorie la prima edizione è del 1787. Già prima del Verri avevano onorato la tomba del Frisi il Condorcet nella prefazione fatta per l’elogio frisiano di Maria Teresa, un anonimo con un Elogio di Paolo Frisi senza indicazione nè di luogo nè di data, e il P. Iacquier dei Minimi con un elogio letto in Arcadia e stampato a Venezia nel 1786. (2) Secondo il BertoLDI (Memorie per la storia del Reno di Bologna, Ferrara, 1807) il Frisi non avrebbe fatto altro che modificare alquanto un progetto gia noto di Gabriello Manfredi, pubblico professore di matematica nell’università di Bologna, per cui egli chiama quel progetto « Manfredi-Frisio » (p. 117). Da quanto asseriscono il Verri e l'anonimo, il P. Frisi proponeva un progetto suo e l'anonimo aggiunge che egli accettava l’idea del Manfredi di utilizzare il Cavo Benedettino, e suggeriva di continuarlo « pel tratto di sette miglia fino alla Ba- © stia, attraverso alla minore sezione della valle di Marmorta ». Calle lettere che qui si riporteranno, appare evidente che il Manfredi non avesse molta parte in quel progetto. Ciò è confermato dalle stesse parole che il Frisi pone nella prefazione al suo libro intitolato: Del modo di regolare i fiumi e î torrenti principalmente del Bolognese e della Romagna, Lucca, 1762 c che qui riportiamo: « Ritrovandomi in Roma nell’estate dell’anno 1760, e venendomi ingiunto da Personaggi sutorevolissimi di distendere qualche piano, che conciliasse nel miglior modo i vantaggi delle Provincie interessate, ho proposto di raccogliere tutte le acque del Reno e degli altri Torrenti negli alvei vecchi del Cavo Benedettino, e del Primaro, continuando il Cavo Benedettino alla Bastia, e alia7gando e arginando il Primaro dalla Bastia fino al mare. Nè con ciò ho preteso di farmi il merito di proporre una novità: anzi ho sempre creduto che lo stesso Progetto di accomodare e rettificare gli alvei vecchi dei fiumi, fosse naturalmente suggerito a ciascuno della stessa constituzione dei fiumi e del terreno. Ho pensato solamente di combinare il sollievo del territorio bolognese colla sicurezza del Polesine di S. Giorgio, lusingandomi sncora che la provincia Aa A a (a) Do) Arzh. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. I-IT. 14 LO ogle 214 VARIETÀ contava allora se non trentadue anni, parve eccessivo ad alcuni e, o per voglia di nuocergli o per manìa di succedere a lui nell’onorifica commissione, tanto fecero presso uomini influenti alla corte di Roma che per poco il celebre matematico monzese non fu messo interamente da parte. Era egli tornato al suo Collegio di S. Fridiano in Pisa e attendeva alla stampa del secondo tomo delle sue Dissertazioni (1), e, sebbene non ignorasse che incominciavasi a minargli il terreno, non se ne dava molto pensiero, come rilevasi da alcune sue lettere al P. Paolo Filippo Premoli Generale dei Barnabiti (2), che si conservano autografe nell’archivio romano di S. Carlo a' Catinari, La prima dice così: « B. P. (3) devo ringraziare rispettivamente « V. Paternità molto Reverenda della licenza 4), che mi ha voluto « favorire. Presto s’incomincierà la stampa del libro, che sarà de- « dicato al Serenissimo di Genova (5), mio antico padrone e amico, « di Romagna e le valli di Comacchio non aveva fino allora incontrato alcuna e opposizione ». Gabriele Manfredi, fratello di quell'Eustachio che lasciò bel nome tanto nelle scienze quanto nella poesia, era succeduto al fratello nel 1742 nella sopraintendenza delle acque del bolognese; è celebrato dal Frisi in un E/ogio annesso al libro che abbiamo citato come il più grande algebrista che abbia avuto l’Italia, « quello che ha chiamato di là dei menti e dl mare il calcolo differenziale « e integrale ». Morì ottantenne a Roma il 13 ottobre 1761 in seguito a disagi sopportati nella visita che dovette fare alle Palude Pontine. « Poche ore prima di « morire (dice il Frisi nell’ Elogio citato) r.iccomandò la causa delle acaue al « Signor Eustachio Zanotti ». (1) Il primo pubblicato a Lucca nel 1759 porta questo titolo: Paulli Frisii Mediolanensis Clae. reg. Congr. D. Paulli in Pisano Gymnasio pubblici Professoris, Bononiensis, Beroliniensis et Petropolitanae Scientiarum Academiae Socii ete Dis= sertationum variarum. Tomus primus, Problematum praecessionis aequinoctiorum multationis terrestris axis, aliarumque vicissitudinum diurni motus geometrica solutio, cuius specimen a Regia Berolinensi Scientiarum Academia anno MDCCLVI praemium obtinuit, etc. Tanto il primo che il secondo furono pubblicati per incoraggiamento del conte Donato Silva, milanese. (2) Cremasco, figlio del conte Paolo e della contessa Teresa Grifoni S. Angelo. Fu Generale dal 1755 al 1761. Mori a Crema nel Collegio di S. Marino il 21 marzo 1771. (3) Cioè Benedicite Pater, intestazione di regola presso i Barnabiti quando si scrive a un Superiore. (4) Di stampare il volume sudetto. (5) Agostino Lomellino fu doge di Genova nel biennio 1760-2. E°’ autore di molti sonetti di argomento astronomico. V. Levati, I Dogi di Genova, Genova, I9I5, P. 45-52. Go ogle î VARIETÀ 215 il quale ha già graziosamente accettato la dedica. Se la dissertazione (I) già rivista non potrà portare un volume uguale al « primo tomo, ve ne aggiungerò delle altre che darò umilmente « al R. P. Proposito per poi pregare V. P.tà M. R. delle licenze « consecutive. Ma prima bisogna che veda sul fatto quanti fogli « mi potrà dare la dissertazione medesima. Poco pensiero mi « ha dato il progetto del Canonico Fantoni (2), perchè se vi è un - progetto ineseguibile e immaginario, è quello di un alveo retti- « iineo per tantì e così grossi influenti dove e come il Fantoni (8} lo vorrebbe tagliare. Di maggior conseguenza potrebbero essere « le nuove che mi sono arrivate ultimamente della salute di Noa stro Signore (3). Spero però di avere nuove migliori. La prego « di fare i miei rispetti a” RR. PP. Assistenti e distintamente al « P. Marietti (4) e con baciarle la mano La prego di sua paterna « benedizione. Pisa, S. Fridiano, 17 del 1761. 1). Paolo Frisi ». Venti giorni dopo le cose parevano prendere una piega ancor migliore: scriveva infatti allo stesso P. Generale: « B. P..... Devo « inoltre ringraziare V. P. molto Rev. dell’ importante nuova, che « mi ha favorito di Nostro Signore e dell’ altra del P. Caraccioli. « Avendo io supplito la di lui cattedra per tre anni, ora essa re- « sterà per me, e così avrò finito la Metafisica e la Filosotia Mo- « rale. E’ concertato di sostituire in mie vece il P. Antonioli delle « Scuole Pie, che per dieci anni ha letto logica. ll Sig. Card. « Conti (6) sembra disposto a chiamare alla visita ancora il P. Pe- (1) Questa dissertazione è intitolata: De ingequalitatibus Motus Plunetarum cvinium in orbitis circularibus atque ellipticis. (2) Al progetto del Frisi contrapponevasi oltre un piano del dott. Romualdo Bertaglia ferrarese, un altro del dott. Pio Fantoni bolognese, modificato in parte dal P. Domenico Santo Santini, chierico regolare dei Ministri degli infermi. In favore di questo terzo progetto erasi dichiarato prima di morire (1761) il medesimo Bertaglia. (3) Clemente XIII. (4) E’ il P. Carlo Francesco Marietti, milanese (1727-1789). Fu provinciale in Lombardia dal 1755 al 1858. (5) Pare che il P. Caraccioli insegnasse analitica all’università pisana, mentre il P. Frisi dall'anno 1755 era colà nominato professore di metafisica e morale. Ora, avendolo supplito nella cattedra di analitica per tre anni, il P. Frisi sperava di dovergli succedere în questa cattedra più confacente alle sue inclinazioni. Il che di fatto avvenne; nell’anno seguente 1762, pubblicando quell’ operetta d'idrostatica che abbiamo citato, egli compare come professore ordinario di matematica. (6) Il card. Pietro Paolo Conti, nobile camerinese, aveva ricevuto la porGo ogle 216 VARIETÀ « relli (1) € questa sera comunico al sig. Ambasciatore la risposta « data al Marchese Niccolini, che gli ha fatto delicatamente la pro- « posizione senza lasciargli comprendere di qual parte venisse vera- « mente. Aspetto da Bologna una serie di fatti, che un perito ha « raccolto e sopra i quali travagliano ancora Eustachio Zanotti (2) « e Marescotti, per confutare per ogni parte il progetto del Fan- « toni. Forse l’ interesse pubblico porterà di stampare di nuovo « qualche cosa. Ma V. P. M. R. sarà informata anticipatamente di « tutto. Me le rassegno con tutta l’ubbidienza e baciandole rispet- « tosamente la mano la prego di sua paterna benedizione. Pisa, « S. Fridiano, 8 febbraio 1761 ». _ Ancor meglio si mettevano le cose alcuni giorni dopo: « B. « P.... ora la prego, scriveva al P. Generale Premoli, di volermi « accordare la licenza per stampare due altre operette o tutte e « due o una sola, secondo che riuscirà il volume della prima dis- « sertazione (3). Le prima operetta ha per titolo: Opuscula Mathema- « tica de Problematibus Isoperimetricis, de motu corporum, de afpau rentiis opticis Planetarum ecc. L'altra : Meditationes Metaphysicae. « Se V. P. M. R. è contenta le consegnerò al R. P. Proposito. Il « nostro Perelli per mezzo del Marchese Niccolini ha introdotto “« un opportuno carteggio col sig. Card. Conti, e, senza far compa- « rire nessun altro, ha a quest'ora screditato abbastanza il progetto « Fantoni. A Bologna incominciano ad aprir gli occhi colla scrit- « tura del Montanari, e quando si faranno girare le scritture mie « e degli altri, tutto il fuoco si risolverà in nulla. Con ciò le bacio « rispettosamente la mano e la prego di sua paterna benedizione. « Pisa, 11 febbraio 1761 ». | pora nel 1759. Fu nominato da Clemente XIII visisatore apostolico nelle provincie di Bologna e di Ravenna « affinchè sotto gli occhi di lui e colla di lui « autorità li rendesse legalmente manifesto il vero e il falso dei punti combat. « tenti e rispettivamente propugnati con ardor massimo fra le Parti ». Queste parole sono tolte dalla sua Relazione del Cardinal Conti Visitatore dell’Acque della Provincia di Bologna, Ferrara e Romana alla Santità di nostro Signor Papa Clemente XIII stampata a Roma nel 1764. (1) Tomaso Perelli (1704-1783) di Arezzo, professore insigne di matematica nell'Università di Pisa. Il card. Conti gli affidò difatti « la prescrizione e la di- « rezione delle funzioni geometriche e idrometriche, e di tutti quei rilievi, che « nel corso della Visita occorrer potevano ». Relax. citata. Era quindi il matematico della visita, e fu il Frisi, come egli stesso dice in una lettera che si cierà più innanzi, che propose il Perelli per tale ufficio. (2) II confidente, come abbiamo veduto, del dott. Gabriello Manfredi. (3) Furono difatti stampate tutte e due. VARIETÀ 217 Cessando il P. Premoli dalla carica di Generale nella primavera di quell’anno 1761, cessano anche le lettere del P. Frisi a lui conservate nell’ archivio di S. Carlo; per buona nostra sorte ne abbiamo trovato altre ancora del Frisi sempre intorno allo stesso argomento delle acque nella biblioteca Corsiniana, sebbene non autografe. Appartengono esse alla copiosissima collezione epistolare di mons. Bottari che in quella biblioteca ‘gelosamente si conserva e gettano non poca luce intorno agli intrighi di coloro che avversavano il P. Frisi cagionandogli grave disgusto. Il Verri affermò nelle sue Memorse che il celebre barnabita visitò prima del 1762 le provincie di Bologna e di Ravenna, ma dalle lettere che riporteremo si vedrà come potè esser fatta quella visita. Non è poi nemmeno esatto che egli pubblicasse il suo piano nel 1762, poichè l’operetta allora pubblicata era più che altro uno studio « del corso « e delle regole dei fiumi » che può esser detto ancora il sunto delle lezioni ch’ egli in quell’ anno, fatto professore di matematica all'università di Pisa, aveva creduto opportuno di fare sopra una scienza ch’è quasi interamente, come egli dice, propria dell’Italia « Les auteurs italiens se sont distingués dans cette partie », scrisse il chiarissimo sig. d’Alembert « et c’est principalement à eux qu’on « doit le progrés qu'on y a faits » (1). Facendo speciali applicazioni de’ suoi principî ai luoghi del Bolognese e della Romagna egli espone il suo progetto nella nota questione e la confronta con alcuni altri e ciò più per semplice informazione che per altro (2). Nel maggio 1751 tuttavia, quando il card. Conti col prof. Perelli e con altri dava principio alla visita, il P. Frisi al suo progetto giutamente teneva. Era egli nel Collegio di S. Carlo a Firenze quando ricevette dal card. Conti la lettera seguente : « M. R. Padre. Sarà « chiamata V. P.t ad intervenire alla visita da me già incominciata, allorchè si dovrà esaminare la linea da l-i proposta. Le « ne avanzo intanto questo preventivo avviso, affinchè possa Ella « intanto prepararsi per esser pronto d’incamminarsi a questa « volta ad ogni nuovo avviso, ch’io sarò per darlene, e col solito « mio desiderio di servirla Le auguro ogni compita felicità. Di V. « P.tè ecc. Ravenna per le Mandriole li 16 maggio 1761 ». Il piano del P. Frisi consisteva « nell’inalveare il Reno pel —— ——_—_ (1) Del modo di regolare ecc. Prefazione, p. iv. (2) « Gli altri potranno poi dire e scrivere, e fare ciò che stimeranno a « proposito, ch’io non lascerò l’ Algebra taciturna, e la quiete de’ miei piccoli « studi per ritornare allo strepito d'una questione a cui rinuncio interamente ». Loc cit., prefazione, p. VII. Go ogle 218 VARIETÀ « Cavo Benedettino e condurre altre acque nel Primaro »; piano concepito in Roma, com’egli dice in termini generali, coll’ espressa riserva di fissar poi le cadute dell’ alveo, gli sbocchi, e il modo con cui si potesse continuare il Cavo Benedettino attraverso alla valle di Marmorta dopo che ci fossero fatte le debite operazioni sulla faccia del luogo. Ora egli vedeva che non si voleva tener conto di tale sue risorse e così ne scriveva all’ amico suo mons. Bottari: « ]l],mo e R,mo Sig. Sig. Padron Colendissimo. Non voglio « lasciar partir il degnissimo nostro P. Rosasco (1) senza conse- « gnargli una lettera per rinnovarmi nella preziosa memoria di V. « S. Ill ma e Rev.ma e ripeterle gli attestati della mia gratitudine “« e della mia stima, Il mio dovere sarebbe stato di scriverle subito « dopo la mia partenza da Roma. Ma sono andato sempre diffe- « rendo da un ordinario all’altro perchè volevo pure darle qualche « nuova delle nostre acque e vedevo che le nuove non potevano « essere che eterne e arrabbiate mormorazioni. Mi hanno rovinato « quel poco che io avevo fatto in Roma. La Sacra Congregazione « mi ha fatto entrare, senza alcuna mia previa ricerca, in un de- « creto, senza che nè il Cardinal Prefetto nè Mons. Segretario si « prendesssero poi il pensiero di farlo osservare. ll Card. Visitatore « ha limitato quel decreto al dover io intervenire al solo esame « del mio progetto, nè è mai comparso alcuno a invitarmi e otte- « nermi dal nostro Governo (2) le licenze opportune. La visita è « incominciata al rovescio (vuol dire da quel punto dove doveva « finire); e come se non dovesse finir mai, o non avesse altro « oggetto che il nulla. Il Cardinale visitatore mi scrive or ora « di prepararmi alla Visita. lo avrei mille ragioni di non andarci « per tutte le cose antecedenti e perchè so che è già preso il par- « tito di concludere per nulla. Pure bisogna andarvi per sottrarsi « alle dicerie di coloro che condannerebbero un progetto subito « che l’autore non fosse comparso a renderne ragione sul luogo. « Partiro fra pochi giorni. V. S. Ill, ma e R.ma potrà indirizzare i « suoi ordini stimatissimi a Bologna colla mansione S. Paolo. La « prego di voler aggiungere ora un’altta grazia a tant’altre che mi (1) E' il P. Gerolamo Rosasco (1722-1725) di Trino (Piemonte). Chiaro letterato, diede alle stampe il Rimario toscano (Padova, 1763) e Sette dialoghi sulla lingua toscana (Torino, Stamperia Reale, 1777); le sue profonde cognizioni linguistiche gli meritarono l'aggregazione all'Accademia della Crusca. Il P. Rcsasco recavasi nel 1761 a Roma, sua stanza ordinaria, essendo colà segretario del P. Generale Premo!li. (2) Di Toscana. . LI VARIETÀ 219 ha compartite in Roma, cioè di mettere a’ piedi dell’Em.mo Sig. Card. Neri (1) e dell’ Em.mo Signor Card. Andrea (2) 1’ umilissima mia venerazione e la riconoscenza, che avrò sempre per tanta bontà, colle quali hanno essi voluto onorar il mio soggiorno in Roma. Finalmente offrendoLe tutta la piccolezza mia e implorando la continuazione della prezioza sua grazia, le bacio rispettosamente la mano, e con tutto lo spirito mi soscrivo di V. S. Ill. ma e Rev.ma. Firenze S. Carlo 25 maggio 1761. Um.mo Dev.,mo Obb,mo serv. Paolo Frisi ». Con pari franchezza aveva risposto al card. Conti: « Em.mo, R.s0o Sig. Pron Col.mo, Il veneratissimo foglio dell’Em. V. de’ 16 corr,t° mì è arrivato in un tempo, che incominciavo a pensare d’abbandonare l’affare delle acque e invece portarmi a Genova per presentare a quel Serenissimo il secondo Tomo delle mie Dissertazioni che ora gli ho dedicato. Non solamente perchè in mezzo alle più rette intenzioni, che ho sempre avuto d’esser utile a tutti che mi avevano fatto entrare in quest’affare, mi vedevo assai poco fortunato; ma ancora perchè sentivo incominciate le operazioni sul tratto inferiore di Primaro, ch’ entra sostanzialmente nel mio progetto per la deviazione del Lamone, e per l’arginatura sulla diritta, e per qualche rettificazione, che vorrei proporre sulla sinistra per maggiormente assicurare le valli di Comacchio. Ora prevenendomi gli ordini stimatissimi dell’ E. V. di prepararmi per intervenire all'esame del mio progetto, io resto pronto e disposto e pospongo ben volontieri al dovere di servirla e ubbidirla per quanto la mia salute potrà promettermi il naturale desiderio di ritornare all’algebra taciturna e alla quiete dei privati miei studi. Con ciò le bacio umilmente il lembo della sacra porpora e con tutta la maggior venerazione me le offro, e mi soscrivo. Dell’Em.za V.a ecc. ». Bisogna dire che le influenze di coloro che accompagnavano il card. Conti potessero molto su di lui, il quale per tutta risposta avvertiva il P. Frisi di incominciare a trasferirsi a Bologna in attesa di nuovi ordini: scrivevagli infatti in data del 30 maggio da Ravenna per le Mandiole: « M. R. P.re, L’intervento di V. S.tà al- « l'esame che si farà della sua progettata linea, dalla Bastia sino al Cavo Benedettino, non dovrà molto trattenere in queste parti né lungamente distrarla dalle altre sue virtuose occupazioni. Siamo ora in vicinanza di S. Alberto per proseguire in breve it) È il card. Neri Corsini, creato da Clemente XII (Corsini) suc zio. {2) Andrea Corsini, cardinale dal 1735, nipote del precedente. Cal 220 VARIETA “ “ la visita all’insù del Primaro. V. R. potrebbe intanto trasferirsi al suo Collegio di Bologna (S. Paolo) da dove sarebbe più a portata di essere alla Bastia, allorchè colà ci accosteremo. Sarà però necessario ch’ella mi faccia sapere il suo arrivo in Bologna, in attenzione di che e delle occasioni di servirla, di vero cuore mi confermo. Di V. P.tà ecc. n. Un’ osservazione astronomica aveva già suggerito al P. Frisi di portarsi nella detta Bologna, donde scriveva al card. Conti la seguente: « Lo stimatissimo foglio dell’Em. V. dei 30 dello scorso, = mi fa esser ben contento d’ aver prevenuto i di Lei ordini con portarmi a Bologna per osservare il passaggio di Venere sotto il sole; dimani si farà nelle forme l’osservazione. Ma dopo non saprò che mi fare trattenendomi in questa città. Oltre di ciò V. E. ben vede che il lasciarmi osservare un piccolo pezzo della mia. linea è lo stesso che il non lasciarmelo osservare punto. Le sette miglia che si contano dalla Bastia al principio del Cavo Benedettino, non riguardano che una piccola parte del piano già concertato in Roma. Nè io potrò più parlare sulle mie proprie osservazioni, se per tutto il tratto inferiore di Primaro e per tutto il Cavo Benedettino dovrò attenermi alle osservazioni degli altri. Però se V. E. mi vuole permettere di venir subito alle Alfonsine e dare un’occhiata ai luoghi già osservati a quest’ora e accompagnare superiormente le osservazioni, riputerò una fortuna particolare il poter vedere e ascoltare quanto bisogna e terminare accademicamente la presente questione con dare in iscritto il mio debole sentimento. Quando V. E. non lo giudicasse a proposito, le chiederò rispettosamente la permissione di far un breve giro per le campagne a modo mio e per mia semplice curiosità per ripassar subito gli Apennini. E in un caso e nell’altro la pregherò con tutto il maggior calore di continuarmi sempre l'onore dell’ alta protezione sua che imploro umilissimamente baciandole il lembo della sacra Porpora, e con tutta la venerazione e il rispetto sottoscrivendomi della. Em. V. ecc. Bologna S. Paolo, 5 giugno 1761 ». Pur troppo anche questa lettera trovò inflessibili gli avversari di Paolo Frisi, e il card. Conti non potè che confermare le determinazioni prese e a permettergli quello che a nessuno poteva essere negato. Ecco la sua lettera: “ “ « Molto R. P.re. Ho tutto il piacere che altre cause abbiano già condotta la P. V. in codesta città, ove quando le piacerà trattenervisi, la renderò intesa del quando saremo per accostarci al sìto divisato nell’altra mia del 30 scaduto. Circa l’ intervento Di n VARIETA 221 di V. P. all’esame della sua linea dalla Bastia al Cavo Benedettino non è variabile la determinazione presa, ed a Lei partecipata. Se però vorrà Ella per sua propria soddisfazione e arbitrio fare in altre parti le sue ossservazioni non avrà bisogno di esser da me autorizzata, essendo libero ad ognuno di riconoscere, esaminare l’ andamento dei fiumi, la qualità delle campagne, le loro situazioni e declivi, nè per ciò fare dovrà incontrare ostacolo chi è dotato non meno di dottrina che di prudenza come è la P. V. Io la informo intanto che a misura della considerazione, che ho della virtù sua è il mio desiderio di servirLa, le auguro per fino tutte le migliori felicità. Di V. P. ecc. Dalle Alfonsine, 8 giugno 1761 ». | Evidentemente quanto accadeva di disgustoso per il P. Frisi nen dipendeva dal card. Conti che con le espressioni più cortesi procurava di rendere meno amara la delusione dell’illustre matematico. Questi dal canto suo, grato di quelle cortesie, rispondevagli nel modo più urbano, sebbene l’animo suo dovesse trovarsi in non poca agitazione, aprendogli come avrebbe fatto coll’ amico mons. Bottari, con tutta semplicità il proprio sentimento. « Em.m0 e Rev.mo Principe Sig. Pron Col.mo, Ringrazio con tutto lo spirito V. Em.? delle espressioni umanissime colle quali mi ha voluto onorare nella sua veneratissima dell’8 del corrente. lo veramente non avrei mai pensato a distendere qualche convenzione tra le due parti intervenute (bolognesi e ravennati), se in occasione della casuale mia gita a Roma Nostro Signore non me lo avesse ordinato, siccome non avrei mai pensato di inter. venire alla visita se non fosse stato il decreto che la Sacra Congregazione ha fatto in tempo della mia assenza da Roma e che io non ho cercato ad alcuno. Ora che quel primo decreto più non deve aver luogo e che non serve più a nulla ch'io resti per qualche giorno tra la Bastia e il Margone, stimo di prevalermi della permissione opportuna che V. E. si è degnata di benignamente accordarmi. Resterò sempre con tutte le obbligazioni per la bontà che in tante occasioni V. E. ha dimostrato di favorirmi e per giustificarle in qualche maniera la mia riconoscenza umilissima Le spedicso il primo Tomo delle mie Dissertazioni che avevo già destinato di presentarle personalmente quando avessi avuto l'onore di baciarle il lembo della sacra Porpora e di mettere a’ suoi piedi i sentimenti di venerazione e rispetto coi quali mì sottoscrivo di V. E., ecc. Bologna S. Paolo, 12 giugno 1761 ». Le lettere conservate dal Bottari intorno a questo tratto della vita del P. Paolo Frisi finiscono’ qui. Poichè il Verri ed altri asseGo ogle 222 VARIETÀ riscono che l'illustre barnabita visitò i territori in questione del Ravennate e del Bolognese, bisogna conchiudere che tal visita egli non la facesse che per conto suo, « en amateur », mentre invece, a termini del decreto della Sacra Congregazione che egli ripetutamente ricorda, avrebbe dovuto accompagnare il cardinale in tutta la sua visita e in modo ufficiale. Non sappiamo quali furono i pretesti accampati dagli avversari del P. Frisi per ottenere che i terimini di quel decreto non fossero osservati, ma è certo che una parte di responsabilità è da attribuirsi al Perelli, che, come dice il Verri, « nella questione delle acque bolognesi non aveva preso « quel fermo e libero partito che (il P. Frisi) sì aspettava » (I). E’ anche certo che il Perelli nel corso della sua visita e nella Relazione diretta « all’ Eminentissimo e Reverendissimo Signor « Cardinal Conti sopra il Regolamento dell’ acqua delle tre Pro- « vincie di Bologna, Ferrara e Romagna » in data del 1° febbraio 1763 (2), per compilar la quale era stato mandato a Roma e vi si trattenne ben undici mesi, contrapponeva al progetto del P. Frisi un progetto suo propria. ll progetto Perelli esaminato insieme con gli altri dai matematici Jacquier e Leseur, religiosi Minimi, non fu approvato perchè « mancante delle qualità necessarie », e per essere il « metodo dell’esecuzione esposto a moltissimi pericoli » (3). Ma il fatto non dispiacque per questo meno al P. Frisi, ed è naturale che i rapporti fra lui e il Perelli non fossero più così cordiali come prima. Tuttavia questo raffreddamento non impedì che il Frisi sulla tomba del Perelli dettasse un opuscolo intitolato : Lettera del Sig. Abate Frisi intorno agli studi del Sig. Tommaso Perelli, in cui mette in giusto rilievo le benemerenze dell’amico suo nel campo scientifico. La lettera inviata al Fabroni ed inserita nel Giornale dei Letterati (4) è tanto più preziosa per questo che essendo il Perelli restio per naturale indolenza (5) a dare alle stampe il frutto dei propri studi, poco o nulla di questi noi sapremmo se non ce ne informasse con molta diligenza il P. Frisi dimentico dei passati disgusti. Quella commissione circa le acque del Reno non ebbe per allora alcun effetto pratico. Il progetto del P. Frisi insieme con gli altri per il momento non trionfò. « Tuttavolta, dice il Verri, vi (1) Memorie ecc., p. LXxxIv, ed. 1325. (2) Vedi BeKTOLDI, O, cit., p. 120. (3) BeRTULDI, Op. cit., p. 121. (4) Tomo 53°, Pisa, 1781. (5) VERRI, Memorie ecc., p. LXxxIV. (O ogle îi VARIETÀ 23 a acquistò il Sig. Frisi, oltre alcune rimunerazioni una efficace « raccomandazione del Papa in favore del Sig. D. Antonio Fran- « cesco ‘(suo fratello minore) cui venne conferito un pingue cano- - nicato nella Basilica di S. Giovanni di Monza » (1). Più tardi ebbe pure la soddisfazione di vedere che, ritornandosi ad esaminare la questione delle acque del Reno, la S. Congregazione Generale delle acque con decreto del 2 giugno 1767, in seguito a nuove consulte di detti idraulici, tra cui il P. Antonio Lecchi della Compagnia di Gesù, parecchie idee del suo progetto venivano accolte (2), poco al P. Frisi importando se anche qui si dimostrava « qual sia la sorte di tutti quelli che hanno proposto « e sostenuto qualche utile progetto in Italia; di essere contra- « detti a principio per ogni parte e di essere appena ricordati « quando il progetto è stato riconosciuto generalmente come - buono » (3). Orazio PREMOLI. -— ————— ——-—— (1) Questo canonico Frisi è l’autore delle pregevolissime Antichità della chiesa monzese, pubblicate nel 1794. (2) BERTOLDI, Op. cit., p. 126 e sgg. (3) Frisi, Opere, Milano, 1783, to. III, p. 400-401. BIBLIOGRAFIA Guipo Mengozzi, // Comune rurale del territorio lombardo-tosco (Saggio di ricerche storico-giuridiche), I. Torino, Bocca, 1915, pp. 58. Estratto dagli Studi Senesi, vol. XXXI. La ricca fioritura di lavori dedicati negli ultimi quindici anni ai comune rurale ha portato senza dubbio molta luce sull'argomento; ma il Mengozzi nota a ragione come, per studiarlo in modo esauriente, le indagini si debbano estendere più che finora non si sia fatto. Ed in un saggio, destinato a quanto sembra a servire d’introduzione ad ulteriori scritti, si occupa appunto del problema preliminare del metodo e della comprensione del tema. Elementi fondamentali e costitutivi del comune rurale sono in generale il territorio, la popolazione, la parrocchia ed il vincolo giuridico; i quali elementi tutti nondimeno ricevono, nel nuovo organismo, parziale modificazione e novello assetto. E ciò in modo diverso a seconda che si tratti di comunità rurali sorte su basi territoriali già antiche, o di comunità create da quello stesso movimento sociale per cui raggiungono le nuove guarentigie, o di colonie fondate dalle vicine città. Queste ultime, che spesso rivelano la loro origine già dal nome (Borgofranco, Villafranca...), esigerebbero trattazione del tutto particolare. Onde l’A. sì limita per ora a considerare i primi due tipi. I comuni del primo gruppo (ad es. Arliano nel Lucchese) sono contraddistinti dalla presenza di una pieve, e questa appare generalmente fondata (dal III o IV secolo dopo Cristo) su di un ben più antico organismo civile, il fago. L’A. si diffonde qui a lungo sulle circoscrizioni pagensi, anteriori a suo credere alla stessa dominazione romana sulla penisola. Per ciò che concerne l’organizzazione del pago, non v’è soluzione di continuità fra l’evo antico ed il medio: persistono anche sotto le barbariche dominazioni le terre comuni (conciliaricia, interconciliaricia, viganalia, communia), il vincolo giuridico fra domini e vicini (usus terrae, loci consuetado, fabula), persiste sinanco l’ antica interdizione del vicino trasgressore, sotto il nome di fadw/e pagana. Sopravvisse altresì nel medio evo qualche secolare confederazione di fagi, o conciliabulum: tale il Frignano e verosimilmente la Garfagnana. (O ogle ° BIBLIOGRAFIA 225 L’A. aggiunge che, nell'Italia settentricnale, il pago resistette vittoriosamente anche al latifondo. Antichi latifondi suddivisi in pievi corrispondenti agli originari pagi sarebbero, a suo avviso, la Martesana e la Bazana. Temiamo, a dir vero, che qui il Mengozzi abbia interpretato in senso troppo largo certe ipotesi cautamente esposte dal Riboldi nel suo studio su £ contfadi rurali del Milanese, edito in quest’ Archivio nej 1904. Se anche esistettero nell’ età romana, come è ben probabile, dei fundi marteciani, nulla dimostra che essi abbracciassero tutto quel distretto a cui secoli più tardi appare estesa la denominazione; ed ancor più problematici sono i limit], recenti e remoti, della Bazana. Senza insistere su questo particolare argomento, notiamo come l'autore richiami pure opportunamente l’ attenzione sulla zona deserta (ager arcifinius) che spesso circondava il territorio di un’ antica civilas. Questi tratti incolti, divenuti poi demaniali, avrebbero agito nell’ età di mezzo come valvola di sicurezza contro la pressione delle incursioni e delle ripetute divisioni e suddivisioni di terre fra gli invasori. L'ager comfascuus o arcifinius dovette pure servire di frequente ai sovrani come riserva per concessioni di beneficî ai loro fedeli ed ai loro ufficiali, tanto più che simili zone solevano essere attraversate da in:- portanti strade. Concludendo su questa prima parte, la tenace persistenza delle circoscrizioni romane sembra fuori di dubbio, cosicchè nulla vieta d’ammettere che non pochi comuni rurali trovassero non diciamo il loro germe, ma se non altro la loro base territoriale nell'antico pago o nella pieve che lo continuava. Altri sorsero invece, come si è detto, dallo stesso movimento impetuoso dell'età comunale. A tale proposito l’ autore si rifà molto addietro, e, ripetendo in parte cose ben note, considera il crescere, i[ suddividersi, il disgregarsi delle famiglie marchionali, comitali, vicecomitali, nonchè il sorgere di speciali consorzi gentilizi fra i discendenti ed eredi di singoli capostipiti. Più nuove sono alcune sue acute osservazioni sulle sedi dei grandi possessi feudali ed ecclesiastici, sul castello e sugli oneri di costruzione e difesa di forti imposti ai dipendenti, su districtus e sulle prestazioni. Intorno ad ogni castello si formava un piccolo esercito permanente, reclutato fra individui di condizioni sociali diverse, non esclusa la servile; e questa classe di mi/iles, sebbene inferiore a quella dei sslifes propriamente detti, ebbe poi un’importanza decisiva nell'origine e nella vita del comune, in seguito al processo di dissolvimento delle organizzzioni comitali. Indeboliti gli ordini superiori, sì presentò necessariamente, a guarentire la pace della popolazione, un’altra classe o meglio una moltitudine organizzata; e da questa sbocciò il nuovo ordinamento comunale. Tale la conclusione del Mengozzi. alla quale si può forse solo obbiettare una soverchia generalita. La preesistente organizzazione della corte signorile, la parrocchia, l'influsso suggestivo o direttamente attivo del comune cittadino furono poi fattori i che determinarono l’ordinamento e, per così dire, la forma Go ogle 226 BIBLIOGRAFIA di governo del comune rurale. E fra questi fattori il secondo sembra a noi, come ad altri, particolarmente notevole. Lo stesso Mengozzi infatti avverte a ragione che “ dall'assemblea generale dei vicini davanti alla “ chiesa alla nomina degli ufficiali pubblici, si ritrova, in tutte le mani- “ festazioni di attività sociale e giuridica del comune costituito, un’imi- “ tazione precisa delle forme e dei sistemi ecclesiastici, che riproduce- “ vano in gran parte, alla lor volta, gli ordinamenti del periodo aureo “ del governo di Roma ,. Speriamo che su questo punto come sn altri (che avremmo avuto caro veder sin d’ora più largamente trattati, anche con rinuncia a digressioni per avventura supe: flue su temi collaterali) il dotto e valente autore abbia presto occasione di ritornare in quella più ampia trattazione, che gli verrà agevolata dal materiale già raccolto sulla campagna italiana nel medio evo. GIOVANNI SEREGNI. Versa Ettore, I Consigli del Coniune di Milano, note storiche. Estratto dali’ Annuario storico statistico del Comune di Milano, Milano, Stucchi e Ceretti, 1914, in-8 gr. con 18 ill. c 51 pp. Le origini del Consiglio del Comune si possono ricercare nella generale assemblea cittadina adunatasi nel 1045 per l'elezione dell’arcivescovo al sorgere del Comune stesso, assemblea rimasta depositaria del potere per lungo vo!gere di anni e dalla quale dipendeva l’elezione dei Consoli, del Podestà, degli altri magistrati comunali e l’ approvazione degli Statuti. Raccoltasi dapprima nel Teatro romano, indi in varie chiese, dopo il 1233 fu convocata nel Palazzo della Ragione, allora costruito, in piazza de’ Mercanti. Riuscendo incomodo e difficile il riunire tutti i cittadini l'arengo od assemblea generale non si radunò più che per argomenti di sommo momento : per trattare gli altri il podestà sceglieva ugni anno ottocento cittadini, che venivano interrogati in misura più o meno ampia a norma dell'importanza degli oggetti da discutere: il Consiglio, oltre attendere all’amministrazione del Comune, faceva affermazioni solenni di sovranità riconoscendo nel 1128 Corrado imperatore ed eleggendo Pagano della Torre capitano del popolo allorchè nacquero le fatali discordie fra nobili e popolani. Questa nuova magistratura, che doveva lentamente trasformarsi nella signoria assoluta, rispettò l'antica forma repubblicana malgrado Torriani e Visconti andassero accentrando ogni potere ed il Grande Consiglio si continuò a radunare con una certa frequenza, ma ispirando le proprie deliberazioni ai desideri dei nascenti signori e più che altro per ratificare decisioni gia presc. Così nel 1294 il Consiglio insisteva presso Matteo Visconti, capitano del popolo, perchè accettasse l'ufficio di vicario imperiale, che, abilmente riluttante, non voleva ricevere dall'imperatore. Fu tra il 1317 ed il 1330 che fu apportata una riforma radicale all’ antico consesso, poiche il 14 marzo di quest’ ultimo anno il podestà Guiscardo de GruGo ogle — ° BIBLIOGRAFIA 227 melio ordinava ai novecento cittadini del Consiglio Generale di radunarsi nel palazzo civico per conferire il potere ad Azzone Visconti, che, malgrado il già avvenuto consolidamento del dominio della sua casata, veleva riceverlo dalla rappresentanza popolare e per confermare e pubblicare alcuni statuti, che sono il primo codice della giurisorudenza n'ilanese dopo le molto rudimentali Consue/udiui del 1216. Questi novecento, nonostante il silenzio dei documenti in proposito, pare venissero eletti dai capo-famiglia delle singole parrocchie: come vedenmo erano convocati dal podestà, che in presenza deil’ affermarsi della signoria aveva perduto il carattere di capo del Comune non conservando che il potere giudiziario nel medesimo pur essendone però sempre il prinpale magistrato. li verbale di quella solenne seduta, il più antico ed uno dei pochissimi sfuggiti all’azione deleteria del tempo, conservato nel nostro Archivio Storico Civico, ci rivela come avvenivano le discussioni e l’altro del 1349, nel quale è registrato il riconoscimento a signore di Milano deli’arcivescovo Giovanni Visconti dopo la morte di Luchino, riveste un'importanza peculiare perchè determina il diritto di successione ereditaria nella famiglia dei Visconti, dichiarando che, dopo la morte di Giovanni, la signoria dovesse passare alla discendenza mascolina di Matteo. Come si vede era un'ultima larva di sovranità popolare rispettata dallo stesso Gian Galeazzo quando nel 1395 fu dall'imperatore Venceslao investito dell’autorità ducale: ma sotto il governo di lui, organizzatore mirabile, avviene la distinzione fra i due poteri politico ed amministrativo, sino ad allora confusi. Negli Statuti promulgati nel 1339 il vicario ed i XII di Provvisione, che già appaiono in un documento del 1272, figurano nominati direttamente dal principe; erano, cosa notevole, muniti d’ indennità per ogni giorno di residenza in ufficio ed il vicario veniva scelto, sino alla riforma avvenuta all’inizio del sec. XVI, tra i forestieri affinchè fosse estraneo alla consorteria ed agli interessi locali. Il Tribunale di Provvisione, che aveva dunque attribuzioni meramente amministrative, risiedeva nel palazzo di piazza de’ Mercanti verso il Cordusio e da quegli anni incominciano le ordinazioni conservate nell-Archivio Storico Civico in bella serie, dalle quali si rileva come questo corpo amministrativo si possa in qualche modo paragonare alla nostra Giunta Comunale, ma con attribuzioni più vaste, esercitando pure il potere giudiziario nelle cause interessanti l’amministrazione civica e con giurisdizione più larga estendendosi essa non solo alla città, ma altresì al ducato. Il Consiglio dei Novecento negli Statuti del 1396 appare eletto dal duca nel concorso del Tribunale di Provvisione, il quale ultimo però veniva ordinariamente delegato a farne la nomina dal principe: i consiglieri dovevano avere più di venti anni, essere dei migliori cittadini e rimanere in carica un anno o più a beneplacito del duca: dal Consiglio era escluso il clero e ne facevano invece parte di diritto i giureconsulti, i siilifes, i notai addetti agli uffici degli Statuti del Comune. 228 BIBLIOGRAFIA Giovanni Maria Visconti ridusse il consesso a settantadue membri, dodici per ciascuna porta della città, col probabile intento di rendere più attiva l’opera della rappresentanza cittadina e di stringere sempre più i suoi vincoli col potere esecutivo, che risiedeva nel Tribunale di Provvisione ; ma il successore di lui, Filippo Maria, ripristinò i Novecento, che alla morte sua vennero adunati nel primo anno della Repubblica Ambrosiana per confermare l’elezione dei Capitani e Difensori della Repubblica stessa e quindi per respingere le proposte di pace messe avanti dalla Serenissima. e per autorizzare prestiti sui beni del Comune per la prosecuzione della guerra. Nessun segno di vita invece il Consiglio dà durante il governo di Francesco Sforza e raramente appare convocato sotto il dominio di Galeazzo Maria e di Lodovico il Moro: assume solo importanza durante il ducato di Massimiliano Sforza, che a compensare i gravi sacrifici imposti alla cittadinanza per soddisfare le esigenze degli Svizzeri concesse nel campo amministrativo riforme, che il Verga giustamente definisce d’una liberalità incredibile per que’ tempi. Concesse cioè ai cittadini milanesi di eleggere centocinquanta elettori, i quali alla lor volta dovevano nominare i XII di Provvisione ed il vicario, che pure per l’innanzi sarebbe stato scelto fra i milanesi, Coll’avvento dei francesi il vicario rimase di nomina del principe, che lo doveva prendere da una terna proposta dai Centocinquanta, ai quali però rimase la nomina dei XII di Provvisione: alle sedute del Tribunale interveniva un regio luogutenente. Fino al 1518, e cioè fino alla riforma, che prende nome dal Lautrech, il Grande Consiglio della città conservò un carattere schiettamente democratico, come appare dagli elenchi de' consiglieri, davvero preziosi per lì’ onomastica milanese, dai quali si rileva la cordiale collaborazione delle varie classi . sociali nell’amministrazione della pubblica cosa. È colla riforma del Lautrech che il Consiglio assume carattere aristocratico: i Centocinquanta istituiti da Massimiliano Sforza sono ridotti a sessanta scelti dal Lautrech fra i membri delle principali famiglie della nobiltà milanese devote ai francesi coll’unico mandato di eleggere il Tribunale di Provvisione lasciando in teoria sussistere il Consiglio dei Novecento. Ed il Tribunale di Provvisione talora spontaneamente convocava il corpo de’ sessanta suoi elettori per averne l'avviso intorno a questioni di pubblico interesse così che venne diffondendosi il concetto che i sessanta rappresentassero l’antico consiglio de’ Novecento, concetto giuridicamente affermato poi nelle Nuove Costituzioni di Carlo V. Questo Consiglio dei LX, detto ormai dopo il 1541 Consiglio Generale o Cameretta, va a poco a poco assumendo i suoi caratteri ed i suoi poteri e l’ ufficio de’ componenti suoi, detti decurioni, va diventando perpetuo e quasi ereditario. La Cameretta man mano riunisce in sè le più elevate funzioni dell’amministrazione civica e diventa l’ organismo I — BIBLIOGRAFIA 229 cittadino più potente dopo il Senato, così da tenere in via stabile una ambasciata a Madrid e nel 1635 crea la Milizia Urbana, che doveva servire alla difesa della città e che era composta di seimila militi reclutati fra i diciotto ed i cinquant’anni, divisi tn sei Terzi o reggimenti comandati ciascuno da un Maestro di Campo: è la guardia nazionale sorta, come si vede, assai prima di quanto comunemente si opina e dèstinata a rendere grandi servigi ne’ tempi di guerra e nelle pubbliche calamità riunendo essa tutte le classi sociali all’intento di farle collaborare al comune vantaggio, indice sicuro, dice il Verga, di quello spirito onesto ed attivo, che operò sempre anche sotto l'oppressione spagnuola. E della Cameretta l’A. tesse l’elogio ricordandone l’azione energica sopratutto nel ristabilire l’industria ed il commercio, così spaventosamente decaduti, coll’istituzione del Supremo Consiglio di Commercio, il quale servì a vincere i pregiudizi, che ostacolavano ogni opera di riforma e e di progresso. Con Giuseppe II nel 1784 viene istituita la Congvegasione di Patrimonio composta di diciotto membri, de’ quali parte doveva appartenere alla borghesia, tutta da eleggersi dal Governo su terna presentata dal Consiglio Generale: è un’ affermazione di principio democratico, che riconduce 1’ amministrazione cittadina alla primitiva forma: essa veniva a sostituire la Congregazione dei Conservatori del Patrimonio, che provvedeva al disbrigo degli affari comunali, che non fossero dell’anno in corso e che era scelta in seno al Tribunale di Provvisione. Fu nel 1786 che s’addivenne ad una riforma generale, che s’associava a quella dell’amministrazione delle provincie lombarde, ne’ capoluoghi delle quali venivano costituite altrettante Congrazioni Municipali presiedute da prefetti. Nella Congregazione di Milano il Prefetto sostituiva il vicario, di cui conservava gli eccezionali trattamenti onorifici ed era coadiuvato da otto assessori, de’ quali tre appartenenti alla borghesia eletti direttamente dal Governo, anzi che dalla Cameretta, ma qualche anno dopo Leopoldo II ricostituiva la Congregazione Municipale ripristinando l’ufficio di vicario di Provvisione, che fu affidato a don Francesco Nava, l’ultimo della serie, che dovette poi rimettere il potere nelle mani dei rappresentantt della rivoluzione. Nel 1796 per opera del Bonaparte entrava in carica la nuova Municipalità ed era chiamato a presiederla il Serbelloni, che col Visconti e col Porro rappresentava la piccola frazione del patriziato convertita alle idee yepubblicane. Ne facevano pure parte il Verri ed il Parini; l’azione coraggiosa di quest’ultimo contro le intemperanze della demagogia inperante ben presto lo costrinse a lasciare sdegnosamente le aule del Comune. Durante la prima Repubblica Cisalpina (1797-1799) veniva costituita una nuova Municipalita composta di ventotto membri, della quale facevano parte, tra gli altri, il marchese Giulio Beccaria, il pittore Albertolli, lo storico Pietro Custodi ed il celebre medico Paletta: Arch Stor. Lomb., Anno XLIIT, Fasc. I-II. : 141 GO ogle 230 BIBLIOGRAFIA era essa la magisiratura popolare destinata a servire d’unione tra governanti e governati. Colla ristaurazione austriaca del 1799 abbiamo una nuova amministrazione civica denominata Congregazione Delegata per la città e provincia di Milano, composta di persone d’incontestabile competenza amministrativa, ma devote all’antico regime e presieduta dal Nava, l’ultimo dei vicari di Provvisione, col titolo di prefetto e regio delegato. La Congregazione Delegata durò fino al maggio del 1800, quando, avvicinandosi l’esercito del Bonaparte, fu sostituita da una Reggenza di sette membri investita di tutti i poteri in nome dell’imperatore d'Austria; ma il Bonaparte abolì la Reggenza e nominò l’.4wmministrazione Municipale e Dipartimentale d' Olona a lato della quale stava un commissario governativo. Colla legge 24 luglio 1802 la Repubblica Italiana istituì il Consiglio Comunale, che aveva un presidente e che eleggeva la Municipalità composta di nove membri, la quale si costituiva il 25 ottobre dello stesso anno. Durante il regno d’Italia modificazioni sostanziali erano introdotte, e, pur lasciandosi sussistere-i consigli comunali, si concentravano nel podestà le funzioni attribuite già alla Municipalità, riservando ai sei Savi di deliberare sugli argomenti portati alla loro discussione dal podestà medesimo, il quale non dirigeva le adunanze del Consiglio Comunale, che aveva un proprio presidente: a podestà fu eletto il conte Antonio Durini, che a lungo ed in varie riprese resse le sorti del Comune. Colla seconda dominazione austriaca ha luogo un’altra riforma fondata sul principio, già inaugurato da Maria Teresa, che la rappresentanza civica doveva essere costituita da tutti gli estimati del Comune: dei sessanta consiglieri assegnati a Milano due terzi dovevano essere scelti fra i possidenti estimati almeno per duemila scudi, il resto fra industriali e commercianti; l'accettazione del mandato obbligatoria. I Consigli venivano convocati da un regio delegato. ed il potere esecutivo risiedeva nella Congregazione Municipale composta dal podestà, eletto dal sovrano su terna proposta dal Consiglio, e da sei assessori, quattro possidenti estimati e due negozianti. Agli ultimi di settembre il podestà conte Cesare Giulini, che era successo al Durini, ritornava a capo della rinnovata amministrazione, della quale facevano parte membri delle principali famiglie del patriziato ad i rappresentanti delle più cospicue ditte dell’industria e del commercio cittadino. Siamo ormai vicini allo spiegarsi delle aspirazioni nazionali, che si formano e si concretano durante la podesteria del conte Gabrio Casati, il cui governo culmina nel fortunoso periodo delle Cinque Giornate e che lascia poi il posto a don Paolo Bassi, il quale diede prova d’ illuminato civisme assumendo le redini del Comune in uno dei più difficili momenti e lasciò dopo pochi mesi l’ ufficio ingrato sostituito dal Pestolazza, eletto dal Go ogle BIBLIOGRAFIA —. 231 Radetzky, che provvide d’autorità a costituire |’ amministrazione cittadina di fronte ai reiterati rifiuti degli eletti dal Consiglio, facendo così svanire anche questa tenue larva di sovranità della rappresentanza comunale. AI Pestolazza succedeva nel 1856 il conte Giuseppe Sebregondi, ultimo podestà di Milano nominato dal governo austriaco. La storia della nostra civica magistratura dal 1859 in poi è storia troppo recente perchè l'A. s'abbia ad indugiare troppo a ricordarla: il 6 giugno 1859, all'indomani del solenne plebiscito di Milano, la Congregazione Municipale, data l’eccezionalità del momento, s’aggregava come collaboratori straordinari Alessandro Porro, Giovanni d’Adda e Cesare Giulini, abiatico dell’antico podestà; così, dice il Verga «i cittadini rap- « presentanti dell’ antico regime tendevano le braccia ad uno de’ più « fulgidi campioni del patriottismo lombardo, ad uno de’ più attivi pro- « pagatori dell'idea nazionale durante il decennio » e Vittorio Emanuele II chiamava all’ ufficio di podestà il conte Lodovico Barbiano di Belgioioso. Nell’anno successivo venivano indette le prime elezioni amministrative in base alla nuova lista elettorale ed il 1° febbraio s’insediava il nuovo Consiglio, da cui usciva l’amministrazione Beretta, alla quale la Milano nostra deve l’impulso iniziale alla sua rifioritura economica ed edilizia. Ettore Verga, che per le particolari attitudini e per la ragione dell'ufficio coperto meglio d’ogni altro era indicato a tessere la storia della rappresentanza civica, ha assolto degnamente l’assunto con questa suo studio, che si legge con vivo interesse nell’Annuario sforico-stalistico del Comune di Milano dell’ anno 1914, studio commendevole anche ne’ riguardi dell’iconografia de’ recenti ed anche de’ meno remoti amministratori deila città. E giacchè abbiamo accennato a questo non ultimo pregio del lavoro del chiaro direttore del nostro Archivio Storico Civico non possiamo trattenerci dall’esprimere un desiderio, che crediamo largamente condiviso da quanti professano il culto per le antiche memorie cittadine e cioè che ai ritratti dei podestà, con tanta cura ed amore riprodotti dal Verga, s'aggiungano in opportuna raccolta quelli dei vicari di Provvisione, la cui serie non sarebbe troppo difficile ricostruire con diligenti indagini presso le famiglie del nostro patriziato, delle quali sono usciti gli antichi capi della rappresentanza cittadina. ALESSANDRO GIULINI. Go ogle 232 . BIBLIOGRAFIA Cesare Manaresi, ZI Registri Viscontei, Milano, Palazzo del Senato. MCMXV, (Orvieto, tip. M. Marsili), in-4 gr., pp. LIT-172 con una fototipia. Il volume, in signorile e severa veste tipografica riproducente sulla copertina e nel frontespizio l’artistico stemma visconteo che fa parte del monumento di Azzone Visconti conservato presso il principe Trivulzio e intercalato di un fac-simile con belle miniature della prima pagina del registro n. 2 (Elias C.), si apre con una sobria e significativa dedica del sovrintendente conte comm. Luigi Fumi al Ministero dell’Interno, e con una dotta prefazione del dott. Cesare Manaresi alla cui attività e intelligenza si deve il lavoro. La prefazione ci mostra il largo e pro ondo studio dell’autore nel preparare e condurre a termine il lavoro. Se è interessante per quello che ci narra intorno all'opera spiegata da Francesco Sforza per il ricupero degli atti de’ suoi predecessori, spinto dalla necessità di rintracciare le carte o le copie di esse per poter ben governare lo Stato, poichè, come è noto, l’archivio visconteo conservato nel castello di porta Giovia andò distrutto alla morte di Filippo Maria, ed alle vicende storiche dei registri, lo è in particolar modo per le notizie che, nel preparare il volume e nel disbrigo dei doveri d’ufficio, ha potuto raccogliere sui notai che rogarono per i Visconti da Azzone a Filippo Maria, e per averci fatto conoscere altri quindici tascicoli, già riuniti in un registro e poi divisi e sparpagliati per le varie sedi dell’archivio, i quali contengono il sunto e talvolta la copia di atti viscontei politicamente assai importanti, e rimasti finora sconosciuti agli studiosi. E’ questo, nota giustamente il Manaresi, uno dei risultati più manifesti e più soddisfacenti dell’opera che si va compiendo nell’ archivio di Stato in Milano per la reintegrazione dei fondi. E a proposito del quarto fascicolo, che si riferisce ad atti rogati dal notaio pavese Giovanni de Oliariis, lA. ha trovato modo di discutere sulla data del celebre testamento di Gian Galeazzo Visconti e venne a conchiudere, dopo acuta disamina, che quel testamento fu rogato da Giovanni de Oliariis, principale rogatario, e da Andriolo de Arisiis, rogatario in sottordine, tra il 26 novembre 1399 e il 30 giugno 1400, e ciò contro quanto ebbe ad affermare l’Osio che l’attribuì al 1397. I registri inventariati sono diciasette: i primi otto appartengono a Catelano de Christianis (il primo e il secondo sono copiari, il terzo copia di copiario, rl quarto, il quinto e il sesto copiari, il settimo e l’ottavo breviari), e susseguentemente due a Donato de Cisero de Herba (copia di imbreviature), tre a Gian Francesco Gallina (breviari), due a Lorenzo de Martignonibus (copia di imbreviature), e gli ultimi due sonò fascicoli cancellereschi, e perciò di natura affatto diversa sebbene anche questi racchiudano atti di grande importanza. Sono registri originali dell’epoca viscontea i cinque copiari di Catelano de Christianis, i quali appartennero alla cancelleria dei Visconti; sono formati di fascicoli pure 7 7 BIBLIOGRAFIA 283 dell’epoca viscontea, ma riuniti insieme a registro in un tempo poste» riore, i breviari del medesimo e quelli di Gian Francesco Gallina; sono copie di imbreviature notarili eseguite al tempo di Francesco Sforza quelli che recano gli atti di Donato de Cisero de Herba e di Lorenzo de Martignonibus; e del secolo XVI la copia del copiario, oggi perduto, di Catelano de Christianis. Va notato inoltre che Catelano de Christianis e Gian Francesco Gallina furono notai e segretari di corte e rogarono esclusivamente pel duca; furono invece notai pubblici e rogarono contemporaneamente per la corte e per i privati Donato de Cisero de Herba e Lorenzo de Martignonibus. I diciasette registri contengono complessivamente ben 1566 atti che vanno dal 1372 al 1447. Ad ogni registro si premette la rispettiva descrizione, e di ciascun atto, colla data di tempo e di luogo, vien dato un breve ma compiuto sunto, senza trascurare gli atti inserti, riproducendo, quando non erano monchi od errati, i titoli quali erano nel registro, formandoli in lingua italiana negli altri casi. Per la forma diplomatica gli atti contenuti nei registri, anche quando sono redatti da notai di corte, non si allontanano dagli atti notarili fra privati, coi quali hanno in comune, tranne forse un’unica eccezione, lo stile “ a nativitate , e l’indizione costantiniana. Segue in appendice la descrizione degli atti di tre copiari, oggi perduti, del notaio Catelano de Christianis, dei quali finora nessuno ebbe notizia. Il volume si chiude opportunamente con un indice cronologico e con un repertorio alfabetico. Riguardo alle indicazioni bibliografiche, per ciascuuo dei documenti, il Manaresi credette bene di astenersi, perchè tranne in casi sporadici, non avrebbe dovuto fare altro che ripetere sempre gli stessi nomi di L. Osio e di G. Romano. Il volume, a differenza dei noti lavori dell’Osio, del Romano, e della Società Storica Lombarda aventi uno scopo storico, è d’indole essenzialmente archivistica, ed è di così evidente importanza che non val proprio la pena di spendere parole in proposito. Tutti coloro ì qualì hanno rapporti di studio col grande archivio milanese non potranno a meno di accoglierlo con soddisfazione, perchè se faciliterà agli archivisti le ricerche interne, non sarà di minore utilità come guida agli studiosi ai quali fornirà inoltre facile e copiosa inesse di notizie. “ A ben poco, “scrive il Fumi, servirebbero gli archivi senza buoni inventari e questi, "una volta fatti, a pochi giovano se non vengono resi di pubblica “ragione. Tanto più utile ne sarà la divulgazione, quanto meglio varrà ‘“sia a fornire i dati sicuri della consistenza totale delle serie, come ‘cogli inventari sommari o generali, sia a riassumere i titoli o la sostanza “degli atti singoli, come con gli inventari descrittivi e gli analittici ,. Pertanto questo primo volume della serie dei Aegesti e Inventari ci fa vivamente desiderare gli altri aventi con esso relazione: in tal modo avremo la pubblicazione sistematica degli avanzi dell’archivio visconteo, opera archivisticamente buona e di grande vantaggio agli studi. Dal 1908 vi è nel Palazzo del Senato una silenziosa e fervida opeGo ogle 234 BIBLIOGRAFIA rosità di riordinamento del vasto materiale colà accumulato, applicandovi il principio scientifico delle provenienze. Si tratta, in altre parole, di far ritornare le carte nelle loro serie originali, scomposte coll’ arbitrario sistema peroniano, come vuole la ragione storica. Lavoro lungo, paziente, irto di difficoltà che richiede gran cautela e particolari cognìzioni, per non dover poi, in dati casi, rifare un lavoro già fatto. Certamente che il sistema peroniano, colle sue classi artificiali e colle sue voci copiose, dà a prima vista il senso di una pronta e facile praticità nell’uso quotidiano delle ricerche, ma è un’illusione perchè ha il gravissimo ed insanabile difetto di aver scompaginato i fondi originari, dove le carte si richiamano e si illustrano a vicenda. Le carte così distaccate vengono a perdere il nesso logico coi loro correlativi, potendo riuscire talvolta a dare di un fatto un concetto monco od errato, mentre è soltanto su una completa ed esatta conoscenza delle fonti che si fondano gli studi storici, che non vogliouo essere facili ed incompleti articoli di notizie o di curiosità storiche e genealogiche. Perciò siamo convinti che il sovrintendente Fumi, assecondato da un’eletta schiera di valenti collaboratori, lascerà nell’Archivio di Stato in Milano un’orma di vera e auratura benemerenza. R. BERETTA. FERORELLI N., Gli ebrei nell'Italia meridionale dall’età romana al secolo XVIII. Torino 1915, in-8, pp. xxn-258. Gli studî di storia delle colonie israelitiche in Italia, tanto utili per la conoscenza delle condizioni economiche nell'età di mezzo e nel periodo del rinascimento, sono ora molto in onore. In generale però, specialmente per il mezzogiorno, essi si restringono a monografie locali, o a indagini su brevi periodi storici. L’ A. ha avuto il merito di darci un’organica storia degli ebrei nelle province d’Italia meridionale, fino al secolo XVIII, sfruttando accuratamente lavori particolari e qualche opera più lata (quella, per esempio, dei Pisano-Verdino e lo studio del Tamassia sulle colonie giudaiche fino all’epoca sveva) e ciò coordinando su copioso materiale di notizie derivate direttamente da documenti degli archivi di Napoli e di Milano e di biblioteche napoletane. ll ricchissimo materiale inedito dà molto pregio all’opera, che si raccomanda anche per ordine, chiarezza e facilità di esposizione. . Riassunta l’opinione corrente sull’epoca in cui gli ebrei presero stabile dimora nell'Italia meridionale (nello stesso tempo che a Roma, cioè dopo l’espugnazione di Gerusalemme fatta da Pompeo nel Gg av. Cristo) PA. nota l'isolamento che li caratterizza da altre comunità, e la tenace conservazione del tipo arcaico. Nel sec. VI gli ebrei di Napoli dànno la misura della floridezza raggiunta da alcune colonie, mostrandosi fra i principali artefici della resistenza a Belisario: nè variano molto le condizioni loro sotto i greci e i longobardi. Poco si sa delle colonie giudaiche Go ogle BIBLIOGRAFIA 235 nei quattro secoli seguenti e al tempo della Signoria normanna: migliorò senza dubbio il loro stato economico, tantochè nel sec. XIII pagavano il 5“ celle imposte dello Stato. Passate le giudeche alle dipendenze degli episcopii, si turbò la tranquilla esistenza degli ebrei, sì da impensierire Enzico VI e Federico II, che ne limitarono i tributi, vietarono di molestarli e di estorcere loro danari: il secondo specialmente intuì la speciale funzione che essi potevano avere nella vita finanziaria del paese; si che dal tempo suo gli ebrei cominciano ad essere in realtà i banchieri ufficiali del regno. Gli angioini invece, secondando nel clero il riacceso ardore per le conversioni, richiamarono persino in vigore il c.stume obbligatorio su quanti professavano la “ iudaica obstinatione ,. Il principio del sec. XVI segna il limite massimo delle persecuzioni contro le colcnie giudaiche, costrette ad asserragliarsi nelle case durante la settimana di passione. Re Roberto e Giovanna I iniziarono un'opportuna azione di difesa, che continuò sotto Ladislao e Giovanna Il, 1 qgvali fissarono anche l'interesse legale; enorme (40 e 50 per cento) e pur tuttavia accolto con viva soddistazicne, per le misere condizioni d'allora. Ma la crescente prosperità degli ebrei provoca leggi restrittive, abrogate poi per l’utile funzione economica di banca che le giudeche esercitavano nello stato. Alfonso I d’Aragona fu veramente amico e pictettore degli ebrei: tantochè anche numerosi lombardi (ricordiamo due nomi noti nella storia giudaica, Graziadio e Maestro Jacob) si recarono nel regno di Napoli, diventato per gl’israeliti il più ospitale paese d'Europa. Il re interponeva pure i suoi uffici presso il duca e la duchessa di Milano, per mezzo di Cicco Simonetta, a favore di Consiglio epreo di Pavia, in causa con Leone di Lodi, per « certi cunti del banco elcre in Milano »; la duchessa di Calabria raccomandava alla duchessa di Milano sua madre un Macstro Vitale ebreo, suddito carissimo e fecele; e supplicava poi il duca di esentare Benedetto da Cremona da paganierti d’imposte. L’A. esamina minutamente le condizioni di vita degli ebrei meridional: nella seconda metà del quattrocento: distingue la gindeca dal ghetto, ricstra l’organizzazione delle giudeche, colla sinagoga la scuola e il cmiterc; si.occupa delle discipline e specialmente delle lingue straniere insegnate (sotto una certa vigilanza ecclesiastica) nelle scuole ebraiche; e finaimente tratta dei maestri del culto, degli uffici civili, degli schiavi e deila costituzione famigliare ebraica. Un capitolo a parte è dedicato alle professioni, alle arti, alle industrie e al commercio (notevole l’attività giudaica nell’arte e nel commercio del libro); ed accurate indagini c’ illustrano l’occupazione preferita dai più, ‘usura: le licenze dei banchi, i tassi di sconto, la forma, le condizioni del prestito su pegno o senza pegro, e perfino i tentativi di fondar società a fine di monopolizzare ll prestito. Meno importante, perchè meno nuova, ma non priva d’interesse, è la parte del libro che tratta delle relazioni fra cristiani e ebrei sotto gli aragonesi e specialmente dopo di loro: storia di persecuzioni e di Go ogle 236 BIBLIOGRAFIA saccheggi miserevoli, che culminano dopo la calata di Carlo VIII, fino ad arrivare al famoso decreto d’espulsione del I510, susseguito da un altro, più ampio, nel 1541. I secoli XVI e XVII si caratterizzano per una sistematica ed implacabile caccia ad ebrei e ad ebraizzanti; e la fortuna loro parve solamente risorgere sotto Carlo di Borbone, che nel 1740 bandiva un invito agli ebrei di qualunque luogo, perchè si portassero nel regno, assicurando loro notevoli libertà ed ampii privilegi. Disgraziatamente, l’opera del re fu ostacolata su ogni verso: ai primi ritorni di famiglie ebraiche seguirono nuovi e più dolorosi esodi; e solo col 1830 può dirsi che le colonie ebraiche si ristabilirono definitivamente nel napoletano. A.C. GaLtLoni P., Sacro Monte di Varallo, Varallo, tip. Zanfa, 1914, in-8, con ill, 2 tav. e 415 pp. - Fu verso il 1481 che il padre Bernardino Caimi, milanese, di cui PA. ha pubblicato anni sono la biografia, veniva autorizzato con rescritto pontificio ad accettare la donazione del Monte e del convento in Varallo fattagli dalla Vicinanza Varallese. Il Caimi, secondo la tradizione, aveva portato da Gerusalemme una croce formata da legni di que’ paesi, che formò oggetto di venerazione nella maggiore cappella del Sacro Monte. Il Galloni passa in rassegna le varie cappelle antiche e colla scorta de’ documenti le riporta alla forma originale ideata dal fondatore, che aveva seguito l’ ordine dei fatti della passione del Salvatore, quali si sono svolti ne’ Luoghi Santi, ed esamina le opere di pittura e di scoltura e particolarmente quelle di Gaudenzio Ferrari, che segnano la fase più attiva e gloriosa dello svolgimento artistico del monumento. Il secondo periodo è invece legato al nome del gentiluomo milanese Giacomo d’Adda, che unitamente alla moglie sua Francesca Scarognini fondò il seminario di Varallo, fece erigere a sue spese la cappella della Creazione e formare il grandioso progetto contenuto nel Libro dei Mi sferi, progetto che non va attribuito a Pellegrino Pellegrini, ma piuttosto a Galeazzo Alessi secondo l’avviso espresso in proposito da Luca Beltrami, che ebbe ad esaminare il Libro di recente donato dall’ora defunto marchese Luigi d’Adda Salvaterra al municipio di Varallo. Il Galloni chiude questa sua ottima monografia intorno al Santuario, di cui è benemerito conservatore, studiando quale sia stafo l’ influsso esercitato dal celebre architetto perugino, e, seguendo il progredire e lo svilupparsi dell’opera artistica, tratta d’ogni cappella e del tempio, quali oggi stanno, con larga copia dì documenti ricostruendo abilmente la storia dell’insigne monumento valsesiano. Nè ultimo merito del chiaro A. è quello d’attirare l’attenzione degli studiosi sulle prime manifestazioni della carriera artistica di Gaudenzio Ferrari. A. G. Go ogle È BIBLIUGRAFIA 237 ALBERTO SERAFINI, Giro/amo da Carpi, pittore e architetto ferrarese (1501- 1506). Roma, 1915, Fratelli Bocca, in-8 gr. illustrato. Esamino qui questo pregevolissimo lavoro per ciò che riguarda la Lombardia. | Nel quadro “ La Vergine col Bambino ,, della cattedrale di Ferrara (fig. 1), PA. osserva che “ il Bambino alquanto rigidetto, conserva re- “ miniscezze boccaccinesche, e ci mostra come l’ artista non fosse ri- “ masto indifferente alle pitture del palazzo di Lodovico il Moro in “ Ferrara , (p. 16). Infatti i putti rappresentati in queste pitture (VzxTURI, Storia dell'Arte Italiana, vol. VII, parte 38, fig. 849-80) presentano delle somiglianze col Bambino del quadro del Carpi. Nel polittico dell'ateneo di Ferrara (fig. 91-92), in cui l'A. vede ta collaborazione di più artisti, cioè i Dossi, Benvenuto di Garofolo e, pel lavoro di finimento, il Carpi, pur attribuendone il disegno generale al Dosso, c’è, nel gruppo de’ Santi, assegnato dall'A. al Carpi, una figura, quella di S. Giovanni, di cui si scorge solo una parte, il busto, che mi fa pensare all’angelo della Vergine delle Roccie di Leonardo al Louvre (VENTURI, Op. cit., parte 43, fig. 626). Essa ricorda nella testa (viso ovale, fronte triangolare, capelli a riccioli leggermente bipartiti sulla fronte e scendenti sul collo, occhio alquanto socchiuso e mesto) e nella spalla (abito a pieghe angolari) la bellissima figura vinciana di Parigi volta meno di profilo, cioè quasi di faccia, anzichè di tre quarti, verso l’osservatore. Come spiegare questo tipo leonardesco ? Il Carpi avrà visto la Vergine delle Roccie che è ora a Parigi, o una copia di questa, o si tratta d’una somiglianza casuale ? Se il Carpi, come, secondo l'A. “ non “è imprubabile , (p. 312) fu a Milano nella sua giovinezza, vi fu dopo il 1301, mentre, che accenni l’A., non fu mai a Parigi; egli potrebbe quindi aver visto la Vergine delle Roccie del Louvre a Milano, poichè, secondo il Beltrami (“la Vergine delle Roccie di Louvre è dipinto ori- “ ginale di Leonardo da Vinci, in Rassegna d’ Arfe, maggio 1915) non sì sa “ in quale modo la tavola del Louvre sia entrata nel patrimonio “ del re di Francia ,, risultando da nuovi documenti che questa tavola “ non è quella che si credeva ritirata e portata a Parigi da Luigi XII nel 1499. Non parlo dell'esemplare di Londra, rimasto a Milano fino al 1785 (Beltrami, artic. cit.), perchè il S. Giovanni del Carpi assomiglia assai più all’ Angelo del quadro di Parigi che a quello del quadro di Londra. L’A. estende l’opera di finamento del Carpi nel polittico di Ferrara al “ S. Giorgio di destra ,, anzi ritiene la “ costruzione , di questa figura “ più prossima a quella che noi conosciamo solita nel Carpi che a quella “ del Dosso ,. E nota che se si confrontasse questo S. Giorgio con quello della Pinacoteca di Brera in Milano del Dosso “ si sentirebbe “ la grande differenza che corre tra le due pitture , (p. 224, n. 1). Infatti il S. Giorgio del Dosso (MaLaguzzi-VALERI, Cafalogo della I. Pie nacoteca di Brera, con cenno storico di C. Ricci, tav. XXIX, p. 221) è (O ogle 2358 BIBBIOGRAFIA diverso da quello del Carpi, specialmente nell’ espressione del viso; e giustamente rileva l° A.: “ l’immagine sentimentale e malinccnica del “ Santo cavaliere coincide con la tendenza psico'ogica che si osserva “ in tante figure isolate di Girolamo , (fig. 93, p. 221-26). Il ritrattto di Alfonso I d’Este della Galleria Estense di Modena (fig. 30), attribuito dal Venturi a Battista Dossi, e al Carpi dall’ A., il quale suppone che questo ritratto abbia servito a Tiziano per quello che il Vecellio fece dello stesso Alfonso I circa due anni dopo la morte di questi, e che il Carpi copiò nel quadro della Galleria Pitti (fig. 29). “ Le due teste appaiono identiche ,, osserva con ragione l’A. (p. 206) assomiglia, secondo me, nell’ atteggiamento e in alcuni particolari a uno del Bassano (Giacomo da Ponte) nella Pinacoteca del Castello Sforzesco a Milano (ll piccolo Cicerone Moderno, n. 7; Le pitture del Castello Sforzesco, tav. XIV). In entrambi i ritratti il braccio destro è lievemente piegato e la mano impugna nello stesso modo il bastone del comando; i bracciali dell’armatara si assomigliano così come i bianchi sbuffi delle maniche, e la lumeggiatura dei metalli avviene “ in linea “ retta parallelamente alle membra umane che essi coprono, distribuita “ quasi sui medesimi punti ,, (p. 108), come rileva l’A. pel ritratto di Modena e per gli altri affini (Ateneo e Cattedrale di Ferrara). Ricorda questo ritratto del Castello Sforzesco anche un altro del Carpi, quello di Gerolamo Falletti (?) nella Galleria Corsini a Roma (fig. 31), e specialmente nel braccio sinistro appoggiato sul fianco e negli sbuffi delle maniche, brevi e bianchi. Il Falletti (?) posa la mano destra su un gatto accovacciato su due libri, motivo che richiama un po’ quello del libro e del cagnolino nel ritratto del Pordenone nella Pinacoteca del Castello (op. cit., tav. XIII). Al Carpi dà lA. anche il ritratto di Tommaso Mosti dell’Accademia di Venezia (fig. 32), attribuito at Dosso, e lo confronta con quello dello stesso personaggio dipinto da Tiziano, ora alla Galleria Pitti, il quale prova, secondo l’A., che il ritratto del Mosti del Carpi non è andato perduto, come si credeva. E’ un ritratto tizianeggiante, del tipo di quello del conte Antonio Porcia del Tiziano a Brera (* La Pinacoteca di Brera , in //usfraszione Italiana, Natale 1913-14, p. 33; cfr. MALAGUZZI, Op. cit., p. 98), che il Frizzoni confronta con quello di Francesco Maria della Rovere agli Uffizi (MaLaGuZZI, op. cit., p. 99). Nel ritratto di un giovane cavaliere del Prado (fig. 35), in cui l'A. vede l’influsso parmigianinesco subìto dal Carpi, io scorgerei un po’ la imaniera del Lotto, quale appare nel ritratto di giovanetto della Pinacoteca del Castello Sforzesco (op. cit., tav. VIII), sia per la finezza dei lineamenti, l’ illuminazione laterale del viso, lo sguardò penetrante, la pupilla fissa a sinistra, lasciando scoperto il bianco dell’occhio a destra, il taglio della bocca e del mento, che per l’eleganza del collarino bianco rivolto sul nero del vestito, largo nel Carpi, stretto nel Lotto, ma in entrambi ricamato e appuntito agli angoli. Ambedue i giovani tengono davanti un libro. La testa del S. Girolamo in S. Paolo di Ferrara (fig. 21) assomiglia (O ogle i BIBLIOGRAFIA 239 :ssai, sembrami, a quella di vecchio della maniera di Tiziano a Brera (Il piccolo Cicerone moderno, n. 1, La Pinacoteca di Brera, tav. XVII). Neli“ Adorazione dei Magi , in S. Martino di Bologna (fig. 18-19), dipinta nel 1530, secondo l'A. “ una delle cose più importanti e più certe “ che abbia eseguito Girolamo Carpi ,, (p.64) e nella quale “ continuano “ commisti gli elementi ferraresi-dosseschi; come si sente più accentuata “ l’espressione parmigianinesca di qualche figura , (p. 65), l’A. vede “ nella posa forzata del re inginocchiato avanti al Bambino molta affi- “ nità con quella della simile figura nell’ ‘Adorazione dei Magi’ già ap- ® partenente al cardinal Monti ed ora nella Galleria di Brera ,, (p. 74). Possiamo ora dal Carpi pittore al Carpi architetto. Questi, secondo l’A., avrebbe conosciuto le opere di Bramante sino dalla giovinezza in Lombardia: “ secondo la testimonianza del Vasari fu eertamente in. “ Pavia, e non è improbabile che arrivasse sino a Milano , (p. 312). La pianta dell’edificio nello sfondo nel quadro “ Il miracolo di S. Antonio , del Carpi (fig. 184-85) che, secondo l’A., è una “ correzione * classica-bramantesca , alla chiesa di S. Francesso in Ferrara di Biagio Rossetti, trova riscontro, a parer mio, in quella parte centrale del S. Satiro di Milano, ideata da Bramante (MaLaguzzi-VALERI, La corte di Lodozico il Moro, II, fig. 45); le due piante si corrispondono perfettamente nella navata centrale, nella crociera e nel coro, sia pel disegno, per le proporzioni e pel nemero delle campate (cinque in entrambe), e differiscono solo nei sostegni: colonne nelle piante del Carpi e pilastri nel S. Satiro. O Il cortile del palazzo Naselli - Crispi in Ferrara (fig. 155.60) è, secondo me, di carattere bramantesco della maniera lombarda: archi alti e stretti, pilastri leggeri e slanciatì, a specchi rientranti (nel piano superiore), finezza di sagome, motivi decorativi propri del Bramante lombardo; caratteristiche tutte che si vedono nelle costruzioni bramantesche di L: mbardia (vedi MaLacuzzi, op. cit.). L'idea delle mezze conchiglie nelle finestre del pianterreno, derivate forse, secondo l’A., dalle nicchie cel catino a mezza conchiglia dell’ esterno della chiesuola di S. Ptetro in Montorio di Donato Bramante (p. 335, n. 1), appare anche nel Battistero di S.Satiro a Milano (MaLaguzzi, op. cit., II, gg. 83) ove le conchiglie, come nel palazzo Naselli, si aprono verso l’alto -entro nicchie arehitravate, meatre nel tempietto di S. Pietro in Muntorio si aprono verso il basso entro nicchie senza architrave, come quella dell’arco di Giano quadrifonte al Foro Boario a Roma, da cui forse tolse Bramante questo motivo. Anche il motivo dei tondi disposti a semicerchio intorno alie finestre dello stesso pianterreno, potrebbe forse, secondo me, derivare da Bramante, che ne fece uso nelle sue fabbriche lombarde, sia sotto forme di finestrelle, come in S. Maria delle Grazie (arconi delle cupole) e in S. Satiro di Milano (testata del transetto) (MaLaGuzzi, op. cit., fig. 219 e 46-47; cir.la facciata della chiesa dei Miracoli a Venezia), che come semplici motivi decorativi, ad es. la porta della chiesa di S. Maria di Piazza a Busto Arsizio (MALAGUZZI, op. cit., fig. 342). Go ogle 240 BIBLIOGRAFIA L'ordine dorico del cortile del palazzo Spada a Roma (fig. 172-4) ha, a mio parere, una grande affinità stilistica con quello superiore del primo cortile dell'ex monastero di S. Ambrogio a Milano (ora Ospedale Militare) dal Malaguzzi messo a confronto con un disegno bramantesco dell’archivio di Stato di Milano (op. cit., fig. 293 e 256). A parte le dimensioni diverse, più piccole nel cortile milanese, c le finestre inserite nelle arcate di questo, i due ordini si assomigliano moltissimo nelle proporzioni degli archi e dei pilastri, nelle sagome, nelle cornici e nei capitelli, nei parchi oggetti dei pilastri. Della pianta della chiesa di S. Giovanni Battista in Ferrara (fig. 187-88) “ Bramante aveva sviluppato “ il tipo nel gran piano per S. Pietro, che presentava poi analogie co- “ struttive con quello di S. Lorenzo in Milano ,, (p. 398). Questa pianta è “ un quadrato inserito in una croce greca con cupola centrale ,, (p. 398), che al Carpi “ permetteva di creare, agli angoli rientranti della “ croce medesima, quattro cappelle quadrate (fig. 187) con funzione di “ contrafforti ai pilastri della cupola, distribuendo equamente sugli archi “ di esse la spinta che la cupola molto alta doveva formare sui pilastri “ dei grandi arcòni che la reggono , (p. 300). Analogo infatti è il concetto fondamentale della pianta e della struttura del S. Lorenzo in Milano, colle sue quattro torri quadrate agli angoli rientranti della croce greca, absidata, come in S. Sofia di Adrianopoli (MonNERET DE VILLARD, “ Note di archeologia lombarda ,, in quest’Arckivio, a. XLI, 1914, fasc. I-II, p. 55 e 69) e nel S. Pietro, secondo il disegno di Michelangelo, che corrisponde, in forma molto diù semplice, a quello di Bramante. Fra gli allievi del Carpi l’A. pone Pellegrino Tibaldi, che avrebbe studiato le architetture del Carpi a Ferrara. “ La conclusione si trae “ dall’analogia stilistica esistente fra le opere architettoniche del Tibald» “ in Milano c quelle del Carpi in Ferrara , (p. 412). Mì sembra invero che qualche nota dello stile del Carpi si possa trovare ad es. nell’ordine inferiore del cortile del palazzo arcivescovile e della chiesa di S. Sebastiano e in alcune parti della chiesa di S. Fedele a Milano, il primo certamente, la seconda dubitativamente e la terza in parte del Pellegrini (MaLacuzzi, M:i/ano, Bergamo, 1906, parte II, p. 41, 43 e 47); gli gli archi, i pilastri e i capitelli dei due primi monumenti ricordano nelle linea e nelle proporzioni la maniera del Carpi nell’ordine inferiore dei palazzi Naselli Crispi a Ferrara e Spada a Roma; la disposizione delle pietre intorno agli archi del cortile del palazzo arcivescovile richiama quella della parte dei due palazzi sopraricordati, non che di quelle dei palazzi Genta e Bentivoglio a Ferrara; i piedistalli delle colonne della chiesa di S. Fedele, alti e severamente sagomati, con un coroncino nella parte superiore, ricordano quella dei pilastri della chiesa di S. Giovanni Battista a Ferrara (fig. 189) Arturo Frova. (O ogle i BIBLIOGRAFIA 241 A. Copazzi, Contributi alla Storia della Cartografia a°Italia. IV. Carte topografiche di alcune pievi di Lombardia di Aragonus Aragonius Brixiensis (1608-1611), Firenze, tip. Ricci, 1915, in-8, pp. 157 con 24 figure e 4 tavole. (“ Memorie geografiche pubblicate come suoplemento alla Rivista Geografica Italiana dal dott. Giotto Dainelli ,,). Dai volumi degli Atti di Visita, conservati nella Curia Arcivescovile di Milano, la Codazzi ha potutoraccogliere un gruppo omogeneo di vecchie carte topografiche, riguardanti le pievi di Lecco, Oggiono, Incino e Missaglia, da permetterle uno studio. Le carte sono di un Aragonus Aragonius, mediocre pittore bresciano, che nel primo decennio del ’600 si trcvava in Milano al servizio del card. Federico Borromeo al quale prestava anche l’opera sua di ingegnere come risulta da numerose sue piante di chiese. Per Oggiono e Lecco si ha la sola carta generale della pieve (16081, per Incino (1610-11) e per Missaglia (1611) si hanno altresì le carte delle singole parrocchie: migliori per fattura sono quelle della pieve d’Incino, le meno curate quelle di Missaglia delle quali manca inoltre carta della parrocchia di Torrevilla. Queste -carte furono delineate in occasione delle visite pastorali del card. Federico, e si trovano rilegate nei rispettivi volumi, tranne quelle della pieve d’Incino che stanno a sè, essendo andato disperso il volume che le conteneva. Sembra che il Borromeo, uomo santo e colto, avesse intenzione di avere una rappresentazione grafica particolareggiata di tutta la diocesi, e l'ipotesi, messa innanzi dall’autrice, ha molto del verosimile giacchè anche il Bescapè, vescovo di Novara, faceva stendere e stampare in quegli anni la carta della diocesi novarese. La mancanza di altre carte dell’Aragonius Ja si può ascrivere o alla sospensione del progetto o alla dispersione delle medesime, come da seri indizi ha potuto constatare la Codazzi. Le carte sono disegnate su fogli rettangolari dalle dimensioni che si aggirano in media sui cm. 32 X 43: solo per le carte di pieve, e per rara eccezione in tre carte di parrocchia (Missaglia, Nava, Casatenuovo), furono uniti insieme due fogli per ottenere una misura di cm. 43 X 64. Sono a colori: per l’orografia è usato un colore giallo-verde, che impal. lidisce fino a divenire quasi bianco quanto più elevato è il rilievo del terreno; per i laghi l’azzurro intenso, per i corsi d’acqua l’azzurro che si trova disposto lungo la linea mediana di una striscia bianca che sta ad indicare il solco della valle. Le case e le chiese sono bianche coperte da tetti di color rosso. Sui fianchi dei colli e lungo i corsi d’acqua sono disposte a profusione delle piante. Nello spazio eccedente dei fogli, o dove meglio lo riteneva opportuno, l’Aragonius rappresentava quindi l'azzurro del cielo o dei castelli, e disegnava le cartelle coi nomi dei inoghi, la distanza delle singole località dal centro parrocchiale o pievano, o altre spiegazioni che riteneva opportuno di dare. Per indicare l'orientamento della carta tracciava, benchè non sempre, due righe incrociantesi generalmente nel centro del disegno. Le carte sono prospettiche e panoramiche. L’Aragonius delineava innanzi tutto le cartine 242 BIBLIOGRAFIA delle parrocchie: si recava sui luoghi e per prima cosa schizzava la direzione del corso d’acqua che vi osservava, poi delineava le accidentalità del terreno, in seguito collocava le sedi abitate nella disposizione che gli poteva venir suggerita da un occhio di paesista, da ultimo sulla carta esplicativa segnava la distanza dei singoli luoghi in miglia e suoi sottomultipli, valutando le distanze in linea retta, invece di calcolarle, secondo l’uso di allora, seguendo le strade. Ma il guaio si è che le disegnava senza una scala fissa, operando con un criterio molto empirico: aveva davanti dei fogli di misura presso a poco uguali, ma, varia essendo l’estensione delle singole parrocchie, veniva con ciò ad aumentare la scala quanto più la parrocchia era piccola e a diminuirla quanto più era grande: fatto ciò localizzava i punti cardinali in corrispondenza all’orientazione delle carte. Ne avvenne di conseguenza che le carte delle pievi, da lui compilate ricorrendo alle cartine già fatte e senza badare che non erano tutte alla medesima scala, ebbero alterati i corsi d’acqua nel loro percorso e ì diversi paesi nella loro situazione, e la superficie dei laghi e le loro grandezze sformate. Hanno pertanto maggior fedeltà di rappresentazione le carte di parrocchia che non quelle ci pieve. Tuttavia, nonostante i loro difetti, le carte dell’Aragonius rimangono notevoli non solo perchè ci offrono uno dei primi tentativi, tra di noi, di rendere in modo non convenzionale la forma del terreno, e di aver introdotto nella rappresentazione cartografica quel movimento nel paesaggio che fino aliora era stato esclusivo della pittura, ma ancora perchè costituiscono la prima rappresentazione particolareggiata della regione briantina e ci ricordano alle volte (come per le paludi e per certe località che più non sussistono) delle condizioni che il tempo e l’opera dell’uomo hanno modificato e trasformato. Questi pregi la Codazzi seppe così bene intuire ed illustrare col suo studio da ottenere il “ Premio Moise Lattes di fondazione Elia Lattes ,. Nella prima parte ci presenta uno “ Sftudio complessivo delle carte , (le carte di pievi di Lombardia - estensione della regione delineata dalle carte - data delle carte - l’autore delle carte - scopo che diresse le delineazioni - caratteri esteriori delle carte - la scala: valore del miglio - rapporto tra le carte di parrocchia e le carte di pieve - il disegno orografico - il disegno idrografico - particolari antropogeografici - rapporti tra le carte dell’Aragonius ed alcuni schizzi anteriori conservati in Curia - come è rappresentata la Brianza nelle migliori carte di Lombardia dal 500 all’800), e nella seconda parte un’ “ Esame particolare delle singole carte ,,. In appendice vi aggiunge l° “ Elenco dei nomi ricordati nelle carte dell’Aragonins; “La rappre- “ senltazione dei laghetti briantes nelle carte di Lombardia dal so0o alia “ fine del 700; , e un “ Elenco delle carte e schissi topografici conservati “ner volumi degli “ Atti di Visita (Archivio della Curia arcivescovile di “ Milano), disposto secondo l'ordine alfabetico delle Pievi ,,. La Brianza, amena e interessante regione finora troppo imperfettamente studiata, ha finalmente avuto una degna illustrazione per la cartografia antica. L’autrice si appresta, com'’ella scrive in una nota, a darcì e (O ogle BIBLIOGRAFIA 243 un altro lavoro ricavandolo dall’esame dei documenti raccolti nei citati volumi degli Atti di Visita. Senonchè essa lamenta che in quell’archivio oltre alla tirannia dell’orario fissato per lo studio, non vi siano nè indici nè cataloghi che facilitino le ricerche fra quei più che duemila volumi, giacchè non merita il nome di repertorio quel coso tenuto lì a maggior dispetto di chi voglia consultarlo, e che le indagini siano rese ancor più difficili. dal fatto che nei volumi, i quali portano incollati sul frontespizio un cartellino con delle date che vorrebbero indicare gli estremi limiti di tempo al quale si riferiscono gli atti contenuti, capita talora di incontrarvi delle carte e magari delle pergamene che: con quelle date nulla hanno a che fare. Non c’è che dire: la Codazzi ha pienamente ragione. All’inconveniente della ristrettezza dell’orario si potrebbe facilmente ovviare coll’aprire l'archivio non da mezzogiorno alle due del pomeriggio, ma alle dieci come tutti gli altri uffici di Curia: si avrebbe così il vantaggio di due ore di tempo messo a disposizione degli studiosi, e specialmente di quei preti che calano a Milano dai lontani paesi della diocesi per ricerche riguardanti le loro parrocchie. Ma quello che più si impone si è che all’archivio presieda non un addetto qualunque, la cui mansione sia soltanto quella di levare le fedi per coloro che vi ricorrono, ma un vero archivista il quale lavori con criterio scientifico a schedare, a compilare inventari sommari e analitici, ecc. Lavoro lungo e paziente, senza dubbio; ma è pure evidente che se non si incomincia si rimarrà sempre allo s/afu quo. E' semplicemente strano che un'archivio, sotto diversi aspetti così importante, sia lasciato in tale stato, mentre d’ufficio si inculca ai parroci di tenere ben ordinati i loro archivi parrocchiali. Diciamolo francamente, tutto questo, mentre oggi pubblici e privati archivi si vanno con lodevole gara scientificamente riordinando, non fa certo onore alla Curia Arci» vescovile di Milano. R., BERETTA. Il primo Parlamento Elettivo in Italia. Memoria del prof. Luigi Rava, presentata nella seduta del 2 marzo 1915 alla classe di scienze morali nella R. Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna. Bologna, Gamberini e Parmeggiani, 1915. A degnamente celebrare la cinquantesima ricorrenza annuale dalla proclamazione del Regno d’Italia, il nostro Parlamento deliberò, come è ben noto, la stampa dei volumi delle Assemblee del Risorgimento. La preziosa raccolta comincia dal 1826. In seguito lo stesso Parlamento decideva (Legge 22 giugno 1913, n. 759) di pubblicare anche gli atti delle Assemblee che riguardano il periodo 1797-1825. La cura della nuova pubblicazione venne affidata ad una Commissione che risiede presso la Reale Accademia dei Lincei e che è presieduta da Luigi Luzzatti. Un interessante prolegomeno ce ne viene fornito da questa MeLO ogle 244 BIBLIOGRAFIA moria del prof. Rava, la quale fa seguito ad altra Memoria che l’Autore presentava nel 1914 alla stessa Accademia, sulla Costituzione Cispadana. Come anche il titolo mette in rilievo, codesto della Repubblica Cispadana in Bologna fu il primo parlamento elettivo che si riunisse in Italia: ciò che lo addita in particolare all’ attenzione degli studiosi, Eppure i verbali delle discussioni giacquero finora dimenticati nell’Archivio di Stato di Bologna e i principali scrittori di Storia del nostro Risorgimento mostrano dai frettolosi cenni su quell’ Assemblea di non averla tenuta nel debito conto. Il Rava si prupone di colmare la lacuna scrivendo la storia del Parlamento Cispadano, ed ora comincia col farcene conoscere la parte più viva, le discussioni: al qual proposito giustamente osserva che esse sono “ la voce del primo parlamento composto di politici, di scienziati, “ di soldati, di patriotti italiani, che vedremo poi emergere o anche ri- “ fulgere di gloria nei Parlamento Cisalpino, nella Consulta di Lione, “ mel Senato e nel più alti uffici del Regno italicc, e seguire e aiutare “ nobilmente ed efficacemente la fortuna di Napoleone, che degli uo- “ mini dell’ Emilia e dell’opera loro nel governo fu saldo e costante “ ammiratore ,. La Memoria è divisa in quattro parti: nelle prime due sono seguite e riassunte sui verbali le discussioni del Consiglio dei Sessanta e del Consiglio dei Trenta, quali erano stati eletti in base alla Costituzione Cispadana, con evidente imitazione del Consiglio dei Cinquecento e del Consiglio degli Anziani, organi legislativi del Direttorio. La più importante fra le discussioni, quella che occupa anche un maggior numero di sedute e dà luogo ai più vivaci dibattiti, si aggira intorno all’Imposta progressiva, che per ragioni politiche e finanziarie trova nel Consiglio dei Sessanta caldi fautori, ma che è respinta dal Consiglio dei Trenta. Eco della discussione è un opuscolo, che il Rava riporta integralmente, di Luigi Compagnoni, professore di diritto costituzionale (è la prima cattedra di tale disciplina in Europa) nell’ università di Ferrara. Egli è avverso all’ imposta progressiva. Questa fu poi sostituita da un prestito forzoso, La terza parte è una raccolta di documenti che non avevano trovato posto nelle due parti precedenti (Il testo della legge sul prestito forzoso. — Le istruzioni per la riscossione del prestito nelle provincie della R. cispadana. — Il manifesto per le elezioni dei Deputati cispadani. — Gli eletti di Bologna agli uffici pubblici. Aprile 1797. — Gli eletti delle provincie cispadane al Parlamento cisalpino: Novembre 1797). Da ultimo sotto il tito!o: La fine della R. Cispadana, l’Autore mette iu luce quanto vi fu di lodevole nell’opera di quel parlamento, “I deputati cispadani, egli scrive, si mostrano franchi nelle procedure nuove della, vita parlamentare, e preparati alle discipline necessarie per regolare le discussioni: costituiscono bene l’ufficio presidenziale; danno a ispettori di sala scelti fra luro la cura della polizia interna; prescrivono la regola per le tribune pubbiiche; pongono le norme per la chiusura e E î BIBLIOGRAFIA 245 per le votazioni; regolano la verifica dei poteri; affrontano il problema grave dei rapporti col potere esecutivo, con l’altra camera legislativa, coi cittadini (diritto di petizione); interpretano e integrano con finezza giuridica la Costituzione del 1797; sollecitano il generale Bonaparte a mantenere la promessa fatta per l’ unione delle Romagne, mirano a formare uno Stato libero di maggior ampiezza territoriale; discutono la politica ecclesiastica; sorvegliano e frenano la vendita dei beni delle chiese; iniziano, cauti, la legislazione civile; affrontano per necessità di cose il problema urgente delle finanze ,, Un così aperto elogio riveste tanto maggior valore pensando alla breve durata (due mesi!) del Parlamento Cispadano, e all’ averlo formulato un autorevole parlamentare quale è l’on. Rava. Tanto che sarebbe forse un cedere allu spirito ipercritico l’andar notando, proprio sulla traccia di quei riassunti che lo stesso Autore ci fornisce, le facili inesperienze, le piccole ingenuità, e qualche frivola discussione di quel primo parente dei nostri Parlamenti. Forse codesti nèi sono inevitabili in tutte le assemblee, spiegabilissimi nel periodo del loro tirocinio ; del che ci persuadiamo tanto più ricordando, come già fu detto, che di quel piccolo Parlamento facevano parte uomini destinati a ben maggiori prove nei più vasti campi della Cisalpina e del Regno italico : quali il Paradisi e il Veneri, il Nobili, il Luosi, il Ricci e il Guastavillani. G. B. Arch. Sto”. /omb., Anno XUTIT. Fasc I-Il. do BOLLETTINO DI BIBLIOGRAFIA STORICA LOMBARDA (dicembre 1915 - giugno 1916) n —— _2aq-—- ._ I libri segnati con asterisco pervennero alla Biblioteca Sociale. AGLIARDI (card. ANTONIO) & MORETTI (dott. ANDREA). Cortese polemica religiosa tra due filosofi cristiani. 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Se in questo volume il Baluze non precisa d’onde egli abbia estratti questi documenti, si può tuttavia stabilire tanto dai riferimenti ch’egli dà nei suoi Capitularia regum francorum quanto da una nota dell'abate de Camps, che si tratta di un Vetus codex longobardicus, conservato nella Camera dei conti ed altri indici permettendo inoltre di stabilire che si tratta d’uno dei due registri conservati negli archivi del castello di Pavia e trasportato nel 1499 0 1500 a Parigi, dove sì conservano negli archivi della Camera dei conti. L’Auvray, chiarito con precisione questo problema, dà la lista dei trentasei documenti copiati dal Baluze e riproduce il testo di tre bolle di Gregorio IX, una di Francesco IV e una di Giovanni XXX, fin qui rimaste inedite. Barocco (Il) piemontese: soggetti architettonici ricercati e scelti da G. C. Dall’Armi, e corredati di notizie storiche e illustrative. Torino, G. C. Dall’Armi (Silvestrelli e Cappelletto), 1916, in-4 fig., p. 8, con 12 tavole. BASTICI (A.). 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Tra i maestri, provenienti quasi tutti dalla Lombardia, sono a notarsi nel 1509 Aronne Battaglia di Treviglio, già ricordato dall’Argelati, dal Mazzucchelli e dal Casati, e Bono Mauro di Bergamo, il commentatore del Vitruvio stampato dal Cesariano in Como nel 1521 (cfr. la Vita del Cesariano del De Pagave, edita dal Casati, Milano, 1878). — La storia artistica della Collegiata di Bellinzona. Con ill. — Ind:cateur d’antiquités suisses, vol. XVII, fasc. IV, 191;. Anche in nuova edizione illustrata, con prefazione di Francesco Chiesa (Lugaro, tip. Luganese, 1916). Vi avrebbe lavorato il Rodari. ‘ Brixia Sacra. Bollettino bimestrale di studi e documenti per la storia ecclesiastica bresciana (direttore il sac. d." Paolo Guerrini). In-8. Brescia, 1916. Anno VII, n. 1, gennaio-febbraio. GRAZIOLI (p. LeonIipa). Del P. Lorenzo Maggio e della sua ambasciata in Francia, 1587 (con ritratto). — Aneddoti, notizie e' varietà: Un busto del cardinal Quirini di Antonio Calegari; Go ogle 250. 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I vigili del ‘fuoco a Milano (Gli incendi ed il servizio di prevenzione e spegnimento nel passato e nel presente). — Rievocazioni storiche: 4) Ricorrenze centenarie (1816); è) Milano negli scrittori italiani e stranieri [Madame du Bocage, 1757, Giuseppe Baretti, 1766]; c) Milano nei suoi poeti (Carlo Porta). — Rievocazioni.... comiche (Un trentennio di vita comunale in caricatura, 1884-1913). — Musei ed Archivi municipali. N. 2, febbraio. I vigili del fuoco a Milano. Gli incendi ed il servizio di prevenzione e spegnimento nel passato e nel presente. (Parte II: L' organizzazione contro gli incendi nel passato). — Rievocazioni storiche : 4) Ricorrenze centenarie (1816); 2) Milano negli scrittori italiani e stranieri (La Lande, 1766); c) Milano ne’ suoi poeti (Il Carnevale). — Musei ed Archivi municipali (acquisti e doni). N. 3, marzo. Rievocazioni storiche: 4) Ricorrenze centenarie (aprile 1816); b) Milano negli scrittori italiani e stranieri [Duclos nel 1767]; c) Milano nei suoi poeti (Il Teatro al tempo del Parini). — Musei ed Archivi municipali (doni ed acquisti). — La vita intellettuale a Milano (Lettere, storia, arte). N. 4, aprile. I vigili del fuoco a Milano (cont.). — Rievocazioni storiche : 4) Ricorrenze centenarie (1816); è) Provvidenze d'altri tempi contro la carezza del pane (1847 e 1853); è) Milano negli scrittori italiani e stranieri (Piozzi, 1784); 4) Milano nei suoi poeti (Il Duomo). — BELTRANI (L.). La scuola ‘superiore d’arte applicata nel Castello sforzesco. — Musei ed Archivi municipali (doni ed acquisti). *CLERICI (G. P.). Un punto oscuro della vita di P. Giordani ora finalmente chiarito. — Bollettino storico piacentino, settembre-ottobre 1915. * Collezione Napoleonica e Milanese del dott. Luigi Ratti {Catalogo illustrato]. 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Romolo Putelli, valoroso illustratore della natia Valcamonica, cui ha consacrato un’ ampia, riccamente documentata storia, ricordata già in questo bollettino bibliogratico e della quale l’.Archivio nostro darà, speriamo, ampio resoconto, per penna più competente della nostra. Del Putelli è pure l'interessante studio sulle Relazioni commerciali tra Venezia ed il Bresciano nei secoli XIII e XIV comparso lo scorso anno nel vue Archivio Veneto. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 257 LAENG (G.). Fra Idro e Garda: storie, leggende e scene della valle di Ledro. — ‘Rivista mensile del Touring, n. II, 1915. LAZZARESCHI (d.' EucenIo). Francesco Sforza e Paolo Guinigi. Contributo di documenti inediti. Lucca, Baroni, 1916. in-8, pp. 21. LtoxarDo Da Vinci. — v. Anderson, Beltrami, Benoit, Gronau, Mona Lisa, Psriodico di Como. LEONE (AnDpREA). A proposito di alcune recenti guide dell'Ossola. (Estr. La Geografia). Novara, Istituto geografico De Agostini, 1915, in-8, pp. (8). LESCA (G.). 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GO ogle : BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO | 259 MONTAGNIER (Hexry F.). A bibliography ot the Ascents of Mont-Blanc from 1786-1853. London, Spottiswoode, 1914, in-8, pp. 1v-35, Monza. — Per la Bandiera del Comune (Relazione del Sindaco [E. Riboldi] alla Giunta e al Consiglio Comunale. Monza, Cooperativa tipografica operaia, 1916, in-4, pp. II, € 3 tavole. — v. G.(R.) e Modorati. MORETTI (Anprea). La parola di Dio e i moderni Farisei, appello al sentimento cristiano. Ristampa con cenni biografici. Bergamo, C. Conti, 1915 [v. Agliardi]. * MUSSI (can. dott. Luici). Alcune memorie di Mons. Francesco Maria Zoppi, primo vescovo di Massa. Assisi, tipogr. Metastasio, 1916, in-8 gr., pp. 7. Mons. Zoppi, nativo di Cannobio, degli Oblati di S. Carlo, già parroco di S. Pietro in Caminadella e preposto di S. Stefano in Milano, qui morto vescovo titolare di Gerra e canonico della Metropolitana nel 184I. Sue lettere al canonico dott. Pietro Reschigna, pure lombardo e morto a Massa, canonico teologo della cattedrale. NAPOLEONE. — Alla prima espositione di « Napoleonica » in Milano. — Pagine d’Arte, n. 5, 1916, In occasione di questa mostra, organizzata da Antonio Curti, a benericio del Comitato milanese per i bisogni della guerra, la rivista Napoleone, diretta dalo stesso Curti, ha pubblicato un fascicolo speciale. NATALI (GiuLio). Idee, costumi, uomini del settecento: studi e saggi letterari. Torino, soc. tip. ed. Nazionale, 1916, in-8, pp. 356. — Il pensiero religioso di Giuseppe Parini. — Bilychnis IV, 11-12. Saggio del volume Idee, costumi, uomini del settecento, che ha ora veduto la luce. — Il Bramante letterato e poeta. — Rivista ligure di scienze e lettere, XLII, 5-0. NEERA. Crepuscoli di libertà. Romanzo. — La Lettura, novembre 1915-aprile 1916. L'azione si svolge in Milano nel periodo 1847-1848. NICODEMI (Giorgio). La pittura milanese dell’ età neoclassica. Milano, A)fieri & Lacroix, 1915, in-8 gr. ill., pp. 174 € 64 tavole. I. Le origini del movimento neoclassico. II. La pittura a Milano nella seconda metà del Settecento. III. Martino Knoller, Giuliano Traballesi. IV. La società artistica nella quale l’Appiani e il Bossi svolsero la loro attivvità. V. Andrea Appiani, Giuseppe Bossi. VI. I continvatori della tradizione neo classica. *— Un dipinto significativo di G. Paolo Lomazzo. — Rassegna a'arte, aprile 1910. NIEVO (IrpoLito). Le confessioni di un ottuagenario. Firenze, Salani, 1916, in-16, 2 voll. [v. Grandi). 260 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. NIGRA (Costantino). La rassegna di Novara. (Versi). Bologna, N. Zanichelli, ° 1926, in-8, pp. 15. * NOVATI (Francesco). Spigolature da una raccolta d’autografi (Beccaria, Foscolo, . Manzoni). Collezione Medici di Marignano. — Giornale storico della letteratura italiana, fasc. 200-201, 1916. * NULLI (Siro ArTILIO). Echi platonici nei tentativi filosofici di A. 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A proposito della pubblicazione del Lesca. PASCAL (Carto). Attilio De Marchi. Commemorazione. Milano, Paravia, 1916, in-8, pp. 42. In appendice, un'accurata bibliografia degli scritti del commemorato, compilata dall’egregio nostro consocio dott. A. Calderini. [v. Calderini]. * PASCHINI (Pro). I patriarchi d’Aquileja nel sec. XII. — Memorie storiche forogiuliesi, a. X, fasc. 1-3, (1916). | La chiesa d’Aquileja esercitava anche i diritti metropolitici sopra i ve- . scovadi di Como e di Mantova. PASETTI (C.). Giovanni Battista Palletta. — L'Ospedale Maggiore, di Milano, 1915. — Riforme e provvedimenti che l’ amministrazione dell’ ospedale Maggiore di Milano fece nel 1845 per dare una migliore assistenza agli ammalati. (Estr. .. Buon Cuore). Milano, s. tip., 1916, in-16, pp. 21. * PASINI-FRASSONI (FERRUCCI). Libro d’oro del ducato di Renata, ,—— Rivista araldica, febbraio, marzo e aprile 1916. 4 Go ogle BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO' 261 Castiglioni (inilanesi). — Chiesa (della) oriundi dalla Lombardia. — Crivelli. — Cunio (Barbiano). — Curioni (oriundì milanesi). — Dragoni (Cremona). — Erba (Como). — Fachini (Mantova). — Ferracci o Ferrazzi (oriundi lombardi). “PATETTA (Feperico). Di alcune poesie di Gaspare Tribraco in onore dei Gonraga. — Atli R. Accademia delle scienze di Torino, vol. LI (1916). * PECCHIAI (Pio). Questioni archivistiche. — Gli Archivi italiani di Roma, a. III, fasc. I, gennaio-marzo 1916. Esposizione dei criterî dal P. seguiti nel dare ordine all'Archivio degli Istituti ospitalieri di Milano. *PELLEGRANI (Antonio De). Genti d'arme della Repubblica di Venezia. I con- ‘dottieri Porcia e Bruguera (1495-1797). Udine, tip. Del Bianco, 1915, in-8 gr. ill., pp. 320. | PELLIZARI (A.). Gli Sposi promessi. — Un grande avvenimento letterario: come il ms. degli « Sposi promessi » fu liberato dalla reclusione. — — Giornale Italia, 27 novembre e 18 dicembre 1915. A proposito della’ recente pubblicazione di G. Lesca. ‘Periodico della Società storica per la provincia e antica diocesi di Como. Fasc. 86-87. In-8 gr. Como, Ostinelli, 1916. Scotti (prof. Giulio). L'antica famiglia varennate degli Scotti. — MostI (SANTO). Compromessi politici del 1854 e 1859. — Lo stesso. Curiosità letterarie-$toriche artistiche. Serie 3* ed ultima: Gioviana- VincianaRaffaello Sanzio d’Urbino. — CERUTI (dott. ANTONIO). Cartario pagense di Chiavenna (continuazione anpi 1178-1187). PICCIONI (L.). Ugo Foscolo contro i giornalisti. — Fanfulla della domenica, XXXVII, 31. | CA gg. nei no. 33 € 41: ANTONA-TrAveERsI (C.). Noterelle foscoliane; nel Ù Li 34: Rava (L.). Per il € Timocrate » di. U. Foscolo ; nel n. 36: Orto- "Lai (A.). Note foscoliane. . PICCO (Erauia)i Virtù italica: don Enrico Tazzoli. Seconda lisuamipa stereotipa. Torino, Paravia, 1916, in-16, pp. 95. (Edizione per l'istituto nazionale delle ‘ biblioteche del’ soldato). ST “ PICOTTI (G. B.). Tra il poeta ed il lauro: Pagine della vita di Agnolo Rali. ziano. Parte II. — Giornale storico della letteratura ala, fasc. 196-197 ( 1915). - SE ‘ Agnolo Poliziand ei Gonzaga. ua va nen, i pai «2 ai vi’ ee * PLATYNAE Historici. Liber de Vita, Ghuisti. ac è omnium sona . Rerum Italicarum Scriptorum, ediz. Fiorini, tomo III, parte I, in-4. Città di Castello,, ti Lapi, 1g; (fase. faze). So SHIT Hd Adi ee TE bef CIPaIlA. pro LUO ati ha Arch. Stor. Lomb., Anno XLIIF, Fasc. i-Ii. 17 A 262 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO PRATI (Giovanni). I canti del quarantotto, con prefazione di Luigi Gasparotto. Milano, Sonzogno. In-16, p. $ì. (« Biblioteca universale », n. 470). * PREMOLI (p. O.). Due lettere del p. Giovenale Saccchi al p. Giambattista Martini. — Rivista musicale Italitina, vol. XXI, fasc. IV (1915). Il p. Sacchi, barnabita, nto a Milano nel 1727 e mortovi nel 1589 è noto per i molti libri suoi prégevoli riflettenti la musica. ll’ p. Premoli fa- .rebbe cosa buona illustrando Il suo carteggio, ch'egli ricorda conservarsi nell'Archivio di S. Carlo a’ Catinari in Roma. * — I pennacchi del Domenichino in S. Carlo a’ Catinari. Roma, stab. tip. Befani, 1915, in8 gr. ill, pp. 14. Pennacchi frescati nella cupola con le Virtù cardinali, d'ordine dei Bar= nabiti. Il soggetto è allegorico, anzi l’allegoria si estende a S. Carlo Borromeo cui l’ artista allude setvendosi delle varie parti dello stemma famigliare del santo e delle imprèst di casa Borromeo (1630). * — Maria di Savoia (1594-1656). (Estr. dalla Rassegna nazionale, fasc. 1-12). Fi renze, 1915, in-8, pp. 37. Per la gita di Maria di Savoia, figlia di Carlo Emanuele I, a Milano per visitare la tomba di S. Carlo Borromeo, nel 1642, cfr. p. 26-27. QUAINI (Giovanni). S. Savina, matrona lodigiana: discorso pronunciato nell’istituto di S. Savina in Lodi fl 31 gennaio 1916. Lodi, tip. Borrini-Abbiati, 1916, in-8, pp. 12. * RAINA (Pio). Per chi studia l'Equicola. — Giornale storico della letteratura italiana, fasc. 200-201, 1916. RASI (P.). In memoria di Giovanni Canna. Venezia, 1915. * RATTI (dott. Luici). — v. Collezione Napoleonica. RAVA (Luigi). Le prime persecuzioni austriache in Italia: i deportati politici cisalpini del dipartimento del Rubicone ai lavori forzati in Ungheria e alle tombe di Sebenico, 1799-1800, con riproduzioni di antiche rare stampe. Bologna, Zanichelli, 1916, in-8, pp. 176. (Estr. Rendiconto della R. Accademia delle scienze). — La prima missione diplomatica del marchese Visconti- Venosta. — La Le lura, 6, 1915. RIBOLDI (E.). — v. Monza. RICCI (Conrapo). Bramante pittore, da un articolo pubblicato nel 1902 mella rivista Cosmos catbolicus. Roma, Descite, 1916, in-8 fig., pp. 11. (Estr. 4/- manacco illustrato delle famiglie cattoliche). * Rivieta di storia, arto, archeologia della Provincia di Aleccandria. Fasc. LIXLX, In-8. Alessandria, tip. Gazzotti, 191€. Go ogle i BOLLETTINO. BIBLIOGRAFICO 263 Nava (E.). Carlo A- valle e Stefano Gioseffo Aliora, — CHIABORELLI (C.). Notizie sulla famiglia Scati. — GasParoLo (F.). Sei documenti del sec. XVII riguardanti il feudo di Fontanile Acquese. — Campora (B.). Tomaso Conte, di Novi Ligure, podestà e castellano di Capriata d’ Orba sul principio del sec. XX. — Gasparoto (F.). Feste in onore di Napoleone | celebrate dalià Massoneria Alessandrina negli anni 1809 e 1812. — Lo sesso. Magistrature ed Offici del Comune di Alessandria (secoli XVI-XVIII). — Memorie e notizie [v. sotto Gasparelo]. ROLLONE (Luigi). La provincia di Milano. Terza edizione, riveduta, corretta e ampliata. Torino, ditta Paravia, 1915, in-8 fig., pp. 70 con tavola. R08SI (Arnocro). Ultime epigrafi. Appendici (Una lettera manzoniana). In-8. Perugia, Unione tipografica cooperativa, 1916. ROTA (C. M.). L'antico Comitato Laudense. Studio storico-critico-coreografico dal sec, VIII al secolo XII. Saronno, 1915. SABBADINI CR.). Ancora le orazioni finte di Plinio. — Rivista di filologia e di istruzione classica, a. XLIV, fasc. I (1916). | SADA (C.), Lettera aperta al sindaco di Milano presidente della commissione pel coronamento del duomo. Catania, tip. C. Galàtola, 1915, in-4, pp. 7. SALZA (A.). Note biografiche e bibliograficte intorno a Paolo Rolli, con appendice di sei lettere al Muraiori. Perugia, Unione tip. cooperativa, 1915, in-8, pp. 60. - SMIMANCO (A.). Lettere di Nicola Castagna a Cesare Cantù. — Rivista Abruzqese, XXXI, 3 (31916). * SANTA MARIA (sac. Carro). | vari stemmi del Governo Milanese e Lombardo. — Rivista Araldica, gennaio-marzo 1916. *— Appunti di araldica e assiografia ecclesiastica. — ‘Rivista Araldica, febbraiomarzo 1976. Stemmi di abbazie (S. Ambrogio, S. Simpliciano (a p. 89). S. Agata in Cremona, Chiaravalle, S. Pietro in Gessate, S. Maria alla Scala in Milano (p. 63-64). * SCAVINI (Caraste FarpinANnDO). Una rarissima a nErnta di Fontana e Carcano. — Pagino d’Arte, n. 2, 1916. L'Aurora del XX settembre 1870. Seiwoizerisches Kinetler-Lexikon. Rediegiert von D.' Carl Brun. Supplement, ITI* Lieferong. In-8 gr. Frauenfeld, Huber, (1915). - Come nelle precedenti dispense, abbondanti sono le citazioni di artisti comacini anche in questo fascicelo di supplemento [Moretto-Z, e A-Birmann]. (O ogle 254 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO SELLA (A1TILIO). Le rappresentazioni sacre in Valsesia. Novara, tip. S. Gaudenzio, 1916, in-8 fig., pp. 64. * SERENA (A.). Un insigne amico di Venezia [Tullo Massarani). — Atti Istituto Veneto, to. LXXIV, fasc. X (1916). SFORZA (Giovanni). Papa Rezzonico studiato ne’ dispacci inediti di un diplomatico lucchese. — Memorie della R. Accademia delle scienze di Torino, vol. LXV (1915). Dispacci dell'agente della Repubblica lucchese, mons. Filippo Maria Buonamici, presso papa Clemente XIII (Carlo Rezzonico, 1758-1769) (1). * SOLMI (Arnico). Le leggi più antiche del Comune di Piacenza. — Archivio storico italiano, fasc. n. 279, 1916. — Il.diritto di superficie nei documenti italiani del medio evo. — Rivista di diritto civile, a. 1915, n. 4. 9 Studio condotto su tre documenti piacentini tratti dagli Ospizi civili. STAMPINI (E.). Il codice bresciano dî Catullo. Torino, Bocca, 1916, în-8, pp. 48. STERN (prof. ALFRED). Die Berichte des Obersten Luvini, ausserordentfichen cidgenòssischen Bevollmachtigten in Mailand, aus dem Jahre 1848. — Politisches Jahebuch der schweizer. Eidgenossenschaft, XXIX, 1915. I rapporti dei colonello Luvini, ticinese, inviato straordinario svizzero a Milano, nel 1848. . Storia di un croato: satira antiaustriaca del 1848, riesumata per cura del rag. Giovanni Comini di Brescia. Brescia, Geroldi, 1916, in-16, pp. 24. (Nella commemorazione delle X giornate di Brescia, 1916). * Supplemento al volume L’ Ospedale Maggiore e i suoi benefattori. Milano, tip. Parravicini, 1915, in-4, pp. 13. * TARAMELLI (Torquato). Di Giovanni Maironi da Ponte e di altri naturalisti bergamaschi del secolo scorso. — Rendicogti Istituto Lombardo, vol. LXIX, fasc. VII-VIII, 1916. Gli altri naturalisti sono Lorenzo Rota, Antonio Curò, Asciano Varisco e Giovanni Piccinelli. TRIBOLATI (Pierro). Il primo « Filippo » di Maria Teresa coniato nella recca di Milano. — Bollettino italiano di Numismatica, n. 5, ottobre-dicembre 1915. * VALMAGEGI (Luigi). Pindaro e Parini. — Bollettino di filologia classica, giugno 1916. VEDRANI (ALsERTO). Un grande naturalista trentino: Fefice Fontana. Lucca, tip. ed. G. Giusti, 1916, in-8, Pe 97 ’ s v*ur.;: 3 n TO e È . î 3 x 2003 a (1) Agg. ORLANDINI (U.). Ex libris Rei in Rivista Araldica, marzo 1916. LO ogle É 5 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO — 265 VENTURI (ApoLro). Storia dell’arte italiana. VII. 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Bergamo, Secomandi, s. d. * ZANCHI (Francesco TERENZIO, bergamasco). La prima guerra di Massimiliano contro Venezia. Giorgio Emo in Val Lagarina 1507-1508 (Commentario). Padova, Crescini, 1916, in-8 gr., pp. 70. Edito dal conte Carlo Emo, con note biografiche intorno all’A. a prefazione dell’opuscolo. ZICCARDI (G.). Intorno al Torquato Tasso di Carlo Goldoni. — Studi di lette» ratura italiana diretti da Erasmo Percopo, vol. IX-XI, (Napoli, 1909-1915). t APPUNTI E NOTIZIE +. MUSEI ED ArcHIvI DEL CasteLto. — Dal “ Lollettino statistico del Comune di Milano , togliamo le seguenti notizie relative all’ incremento dei Musei ed Archivi nel Castello sforzesco, a partire dal gennaio del 1915: Museo Artistico ed Archeologico. — Sono entrati a far parte delle collezioni i seguenti oggetti: Un quadro del sec. XV, proveniente dalla collezione Piccinelli di Bergamo : rappresenta la mezza figura della Vergine, nell’ atto di porgere un fiore al Bambino, che sta in piedi su di un parapetto; offre un particolare interesse per la tecnica dell’ esecuzione, giacchè mentre la carnagione del volto e delle mani della Vergine e di tutto il corpo del Bambino son dipinti sul tessuto, i capelli e i panneggiamenti sono, del pari che il fondo, a ricamo serico, completato da piccoli ornati metallici, dischi, mezze sfere, fiorami. Il pittore si è accordato colla tecnica del ricamo così fiorente in Lombardia nei se- coli XV- XVIII, Il dipinto è ‘della maniera dei pittori lombardi Bergognone e Bevilacqua. Un quadro di scuola veneta proveniente dai soppressi edifici annessi al cimitero della Moiazza, Per legato della signorina Ida Seletti, un’antica copia della S. Anna di Leonardo al Louvre: il ritratto del chirurgo Fioravanti di Daniele Crespi; una sacra famiglia di scuola veneta; una Madonna col Bambino, ricamo in seta di Rosa Baroni, 1761. Una serie di ritratti dallo scorcio del sec. XVIII sino alla fine del XIX, provenienti dalla famiglia Menclozzi che fu tra le più antiche di Milano, tra i quali meritano essere segnalati: il ritratto ad olio del cav. Filippo Guenzati, del pittore Carnevali, detto il Piccio, 1841, e quello della signora Giuseppina Coridori, opera di Eliseo Sala, 1842. Altri sono interessanti per i costumi dell'epoca Coi fondi del legato della contessa Luisa Morelli di Popolo, vedova del conte G. Galeazzo Visconti di Rosasco, fu acquistata una “ Sacra Famiglia ,, di Daniele Crespi, uno dei dipinti di questo artista che ebbero maggioe voga; una Vergine col Bambino e S. Antonio di G. B. Crespi, Go ogle APPUNTI E NOTIZIE 267 detto il Cerano; il ritratto dello scultore Francois Girardon (1629-1715) dipinto nel 1689 dal suo amico Hyacinthe Rigaud (1659-1743), ritrattista in voga alle corti di Luigi XIV e Luigi XV. Queste dipinto, di gran valore e interesse, proviene dalla raccolta dell’ incisore milanese Giuseppe Longhi (1766-1831). Un bassorilievo del secolo XV, proveniente dalla cascina Lavagna, raffigurante la facciata dell’ antica chiesa di S. Maria maggiore di Milano, sotto la protezione della Vergine, colle figure dei santi Pietro e Giovanni e un’iscrizione ricordante il legato di un fondo fatto da Tommaso Grassi alla Fabbrica del Duomo. Un mobile di noce întagliato, dell’epoca sforzesca, cospicuo esempio dell’arte dell’intaglio in Milano nel secolo XV, ottimamente conservato, proveniente da un oratorio a Radecesio (Lambrate) di pertinenza della mensa arcivescovile. Acquistato coi fondi Morelli di Popolo, come pure wh letto intagliato e dorato del sec. XVIII. Per la collezione di abiti e stoffe un abito completo maschile di panno finamente ricamato, e di buonissima conservazione, appartenuto al Consigliere aulico G. Rollando Rampini, 1790. Nella sala delle oreficerie è entrato un tabernacolo, splendido lavoro dell’oreficeria milanese del principio del sec. XV, in argento massiccio, dorato in molte parti, finamente cesellato e smaltato. La iscrizione, disposta sopra una fascia a smalto, attesta come l’oggetto d’arte sia stato eseguito per la chiesa di S. Lorenzo di Voghera, e la data del lavoro corrisponde alla tradizione che il cimelio sia dono di mons, Pietro Giorgi chiamato nel 1391 alla sede vescovile di Voghera. Il tabernacolo venne quindi eseguito negli anni in cui la scuola della cattedrale cominciava a spiegare le sue caratteristiche fioriture gotiche prese ad esempio dai cesellatori; infatti tutti gli elementi decorativi hanno corrispondenza colle cornici trilobate, i doccioni, le cuspidi, i trafori del nostro duomo. (Acquistato coi fondi Morelli di Popolo). \ Un cofanetto in ferro, ageminato d’oro, rinchiuso in custol'ia di legno intarsiato, lavoro del sec. XVI. Saggi diversi di maioliche milanesi del sec. XVIII e sei terrecette antiche persiane, smaltate. Nella sezione archeologica: Una testa femminile in marmo d’epoca romana ; anfore di terracotta, rinvenute durante i recenti scavi per la fognatura in via Palazzo reale; materiali di scavi (spade galliche, vasi di terracotta, ecc.), rinvenuti a Carpianello ; una urnetta cristiana del VI secolo, in pietra calcare, recante in una delle faccie minori l’iscrizione: LVX M)) XP° TVS che sovrasta al simbolo della croce fra due colombe: proviene da Agrate Brianza; monete di bronzo, romane, provenienti dagli scavi di Socna in Libia. Le raccolte numismatiche hanno avuto un notevolissimo inceemento con ottocento dei sigilli che costituivano la pregiata collezione del dott. Luigi Ratti. Acquisto interessante anche del punto di vista della storia Go ogle “x 268 APPUNTI E NOTIZIE di Milano, comprendendo la serie dei sigilli della Repubblica francese, cisalpina, italiana, del Regno italico e i massonici dell’epoca napoleonica, della dominazione austriaca e della città di Milano. E’ entrato pure in questa sezione il conio antico che serviva a coniare i ducati d'oro del duca Galeazzo Maria Sforza. Galleria d'Arte Moderna. — ‘Tra i numerosi acquisti menzoniamo : “ L’epidemia , dipinto ad olio di Lorenzo Viani; ritratto del pittore Formis, dipinto ad olio da E. Magistretti; dipinti di A. Piatti, A. Gallotti “ lago di Misurina ,, Egidio Riva, Guido Zuccaro; due quadri di Stefano Bersani: “ Alba sul lago , e “ Molino della linosa ,; acqueforti di Frattino, Agazzi, Vigetti, Conconi, Stanga, Beccaria, Rayper, Turletti, Avondo, Fontanesi, Bertea, Quadrone e Grosso; disegni di A. Bucci; parecchi studi del Fontanesi; un autoritratto del pittore Cherubino Cornienti (1816-1860), tela di grandi dimensioni raffigurante il giovane artista al lavoro, reca la firma e la data 4. XI. 1843; un grande disegno di Luigi Sabatelli, rappresentante Caronte che tragitta le anime all’inferno, una delle grandi composizioni che il Sabatelli disegnò per essere incise all’acqua forte; un ritratto ad olio, in costume del Seicento, dipinto da Mosè Bianchi. Infine nella scultura: la statua “ Caino , dello scultore Ripamonti; una statua di Bassano Danielli “ignara mali ,, e un busto femminile in marmo dello scultore Emilio Bisi. Nell’ ingresso della sala delle ceramiche fu collocato il ricordo al marchese Carlo Ermes Visconti proposto dalla Commissione dei Musei e deliberato dalla Giunta all’indomani della morte del benemerito ordìnatore delle collezioni artistiche del Comune in Castello. Consta di un medaglione in bronzo, con iscrizione dettata dal prof. Francesco Novati: SOPRA IL TESORO D'ARTE | IN QUEST’ AULE ADUNATO | VIGILI VENERATA L'EFFIGE | DI CHI A DECORO DELLA PATRIA | LO RACCOLSE E CUSTODÌ PRIMO. Archivio Storico. - Per via di doni e di acquisti l'Archivio storico sì e arricchito di un bel numero di documenti, per esempio: un gruppo di pergame":e e carte riguardanti le famiglie Correnti, e Lampugnani di Palazzolo Milanese ; altre relative a proprietà del Luogo pio di S. Corona; un dec:eto origimale del duca Francesco II Sforza, con firma autografa, 26. IV. 1523, con la grazia fatta ad un condannato per omicidio; vari manoscritti di materia medica e provvidenze contro il colèra ed altre epidemie; carte relative all’arciduchessa Maria Beatrice d’Este e al suo ingresso in Milano; tutti i documenti Seletti relativi a Busseto e Stato Pallavicino, in aggiunta alla cospicua collezione già lasciata all'Archivio del compianto nostro cav. Emilio Seletti, e cioè : biografie di illustri bussetani, manoscritti di Giuseppe Seletti (poesie e commedie), manoscritti storici e archeologici del canonico Pietro Seletti, documenti intorno a chiese, conventi e Opere pie di Busseto. Infine un manoscritto originale con tabelle demografiche del Magistrato della Sanità in Milano nel sec. XVII. La Raccolta Portiana si è arricchita con un manipolo di otto at tografi di Carlo Porta frammisti a un centone di poesie manoscritte, la maggior parte in dialetto milanese, e a copie sincrone di versi del ManGo ogle APPUNTI E NOTIZIE 269 zoni, del Grossi, del Pellizzoni e d'altri. Inoltre con due acquerelii del Migliara rappresentanti “la nomina del Cappellan , e un episodio del “Lament del pover Marchionn ,. Nella Raccolta cartografica, topografica e iconografica sono entrate alcune vedute milanesi di D. Aspàri che mancavano, di mado che oramai la serie degli Aspàri nell’ Archivio Civico può dirsi completa. Inoltre parecchie incisioni del Dal Re, autore ben rappresentato in quella raccolta, due acquerelli del Sanquirico con scene del Teatro della Scala e un bel ritratto ad olio dell’architetto Leopoldo Pollak. Nell’ Archivio storico sono entrate anche le sei chiavi delle Forte di Milano presentate il 18 giugno 1702 a re Filippo V, fuori di Porta Ticinese, dal Vicario di Provvisione, Filippo Maria Visconti. La Biblioteca dell’ Archivio si arricchì con acquisti di pubblicazioni rare, grazie alla dotazione che da alcuni anni il Comune ha concesso a questo Istituto. Museo del Risorgimento. - Rapido e intenso è stato l’incremento del Museo del Risorgimento nazionale. Vi è entrato l’intero archivio personale del barone Generale Camillo Vacani, contenente, fra l’altro, il copialettere dilui, dal 1813 al 1861, gran numero di lettere a lui dirette da sovrani, generali, austriaci e francesi, uomini politici, magistrati, scienziati e artisti; carteggi relativi alla missione del Vacani per la definizione dei confini verso la Lunigiana, 1843; disegni e rilievi di fortificazioni in Ispagna; una miscellanea di manoscritti e disegni sulle strade ferrate italiane e straniere, memorie sulla laguna di Venezia e sulla sistemazione del Danubio presso Vienna; il corso di lezioni tenute dal Vacani ai figli dell'arciduca Carlo (1833-34). Di particolare interesse per gli studi milanesi sono i numerosi documenti orginali che riflettono la partecipazione, molto attiva, presa dal Vacani, al rinnovamento edilizio di Milaro e alle discussioni per la sistemazione della piazza del Duomo e per la stazione ferroviaria. L’ Archivio del Museo, già così vario e cospicuo, si è arricchito con: memorie e carteggi, in parte inediti, di Angelo Brofferio; diciassette lettere di Cesare Correnti a Giuseppina Appiani, da Torino, 1849, interessanti per originali considerazioni filosotiche sull'Oriente; due lettere autografe del maresciallo Radetzki; una lettera di C. Cavour, giugno 1852, sulle dimissioni del Ministero D'Azeglio ; due lettere autografe di Vincenzo Gioberti al Massari, da Bruxelles 9 aprile e 17 giugno 184I. Importanti documenti furono acquistati alla vendita delle collezioni del compianto ing. Carlo Clerici; un carteggio di trecento lettere indirizzate a G. B. Containi Constabili, che fu uno dei primi cinque direttori della Cisalpina, le quali si riferiscono particolarmente al periodo 1796-1804; lettere di J. Lambertenghi e ]. Mancini, membri del Direttorio cisalpino, del 1797; del Somenzani, Prefetto deì Reno sotto il Regno italico; del General Vignolle, del Cardinal Consalvi; documenti relativi a G. B. Tarchini, segretario aulico nel Regno Lombardo-Veneto Go ogle 270 APPUNTI E NOTIZIE sei lettere dei fratelli Bandiera, dal luglio 1843 al giugno 1844, riguardanti la cospirazione della Società Esferia. L'ultima, firmata dai due fratelli e da N. Ricciotti, può ritenersi una delle ultime che abbiano scritto, giacchè, sette giorni dopo, venivano traditi e fatti prigionieri; due lettere di Giuseppe Mazzini a Nicolò Fabrizi, 1* e 21. XI. 1850, lumeggianti il contrasto nei metodi dei due cospiratori; lettere di Manfredo Fanti, D. Cucchiari, Giacomo Medici, tutte al Fabrizi, alcune delle quali contengono molte notizie sulla guerra di Crimea; una lettera 26. IX. 1838, firmata /osé Garsbaldi, in portoghese, scritta a Brajo, nel Rio Grande del Sud, al Maggiore Bernardo Pirez a Piratimim, circa un carico di grano che Garibaldi gli inviava pei repubblicani di Rio Grande; lettere di Felice Orsini, dall’Ongaro, A. Poerio, G. Montanelli, G. Tamburini. Nelle raccolte iconografiche sono entrati: quindici figurini, ad acquerello, provenienti dall’ armeria Uboldi, rappresentanti le uniformi dell'esercito italico: molte stampe, figurini di costumi, ritratti di Napoleone e di militari napoleonici; un ritratto ad olio del generale Fontanelli, dall'originale di Andrea Appiani; un bel ritratto ad olio dell’abate Luigi Anelli; una raccolta di ritratti fotografici di ufficiali combattenti nel 1859; un quadro ad olio di F. Zennaro: « la battaglia di Bezzecca ,. Un acquisto cospicuo è stato quello di una bandiera della Repubblica italiana, in seta tricolore, con frangia e ricami d’oro, recante da una parte lo stemma della Repubblica, quale fu decretato nel maggio 1802, e la leggenda: * Repubblica italiana — guardia del Presidente ,,, dall’altra: “ Bonaparte Presidente allo squadrone di granatieri a cavallo: disciplina-subordizione ,. E' una delle quattro bandiere distribuite nel gennaio del 1814 alle Tuileries dal Primo Console. Si è di molto arricchita la Biblioteca del Museo con acquisti e doni; essa, come è noto, conta oramai più di quindicimila pubblicazioni relative al risorgimento nazionale. Ha pure progredito la Raccolta speciale intorno a Napoleone III, fondata dal senatore Luca Beltrami. ‘Nel Museo si è avviata una Raccolta di documenti, cimeli e pubblicazioni relativi alla guerra attuale e già ha ricevuto parecchio materiale. Dei numerosi acquisti fatti all’ asta delle collezioni del dott. Luigi Ratti il “ Bollettino, promette di dare una particolareggiata descrizione in uno dei prossimi fascicoli. +e MONACO DI VILLA, snilanese. — Fra i legati ai quali Ottone IV ci Germania, dopo la sua incoronazione in Aquisgrana (12 luglio 1198), diede pieni poteri per trattare con Innocenzo III, c’ era anche, assieme ad un prete aquileiese, diventato cappellano del cavalleresco Riccardo Cuor di Leone, un Monaco di Villa, cittadino di Milano. [Mensorie sforiche Forogiuliesi, a. X, fasc. III, p. 354]. si APPUNTI E NOTIZIE 271 +°, RuceERINO pa Mirano. — Nel fasc. 3-4, vol. XXXVIII dell’Archivio della R. Società Romana di storia patria si è compiuta la pubblicazione dell’interessante memoria del Marchetti-Longhi intorno alla legazione in Lombardia di Gregorio da Monte Longo negli anni 1238-1251. E’ ora da aggiungervi l’ altro studio di Pio Paschini: Ciociari ed altri italiani alla sua corte, quand’era patriarca di Aquileia (tf 1269) (1). Costantemente a fianco del Montelongo sin dal principio del patriarcato noì troviamo il suo osfiario Rugerino di Milano. Nel 1254 il patriarca concesse a costui in feudo retto e legale sette mansi e mezzo nel territorio di Forni, ch’erano stati di Warnerio d’Artegna, traditore della chiesa e che per il tradimento di lui erano ritornati possesso diretto del patriarcato. Egli compare spesso nei documenti degli anni successivi, finche nel suo testamento del 31 agosto 1269 il patriarca si professò debitore verso di lui di quattromila libre di grossi Veneziani e dispose perchè gli fossero pagati. In quel testamento è ricordato anche un altro milanese: Giovannino gn Adrigo giudice, quale servitore (2). s°o PER LA BIOGRAFIA DI BartoLoMEO CoLLeoni. — Il Colleoni se ne stava nel suo castello di Malpaga meditando un’ impresa grandiosa, che gli consentisse di chiudere degnamente la sua carriera militare, allorchè nel 1467 gli si porse l’occasione di partecipare alla lotta, che s’andava ad impegnare nel centro d’Italia coll’obbiettivo di combattere il re di Napoli. Bartolomeo Colleoni parte con mezzi proprî, parte con quelli de’ fuorusciti fiorentini e della Serenissima mise insieme un esercito di ottomila cavalli e seimila fanti e mosse contro la Toscana (3), forse anche attratto a questa nuova spedizione dalla lusinga d’ impadronirsi del ducato di Milano (4). Invaso il Bolognese si trovò il Colleoni di contro l’esercito alleato de’ fiorentini, del papa, del re di Napoli e del duca di Milano, di cui era capitano generale Federico d’ Urbino. Venuti a Molinella (5) * loco sicurissimo et molto atto per rinfrescar li cavalli s e per le giente d’arme , (6) le due schiere si scontrarono il 25 luglio (1) In Memorie storiche Forogiuliesi, X, fasc. IV, 1915, p. 492. (2) Certamente è noto che nel codice ambrosiano R. 71 Sup., contenente rime provenziali, v'è una e Nenia de obitu Gregori} de Monte Longo Patriarche Aquilei », codice membranaceo del sec. XIII. (3) Cfr. Ricorti E., Storia delle compagnie di ventura in Italia, Torino, 1815, to. III, p. 206 e sg. (4) Cfr. Rosa G., Bartolomeo Colleoni di Bergamo in Archivio storico italiano, s. III, to. IV, p.* I, 1866, pp. 170.71. (5) La battaglia si denominò anche della Ricardina. Cfr. Spino P., Historia della vita et fatti di Bartolomeo Coglione, Venezia, 1569, p. 204. (6) Cfr. Cronaca di Anonimo Veronese edita da G. Soranzo, Venezia, 1915, P. 250. 272 APPUNTI E NOTIZIE in una mischia sanguinosa, nella quale Bartolomeo fece prodigi di valore (1) pur rimanendo indeciso l'esito del fatto d'arme. Già ormai vicino alla vecchiaia, il Colleoni ammalava gravemente per le fatiche sostenute durante la battaglia, tanto da far temere della sua esistenza (2); a quest’episodio della vita sua, sul quale sorvola il biografo Spino, si riferiscono appunto alcune lettere venuteci fra mano esplorando quella ricca miniera, che è il Carteggio generale del nostro archivio di Stato. In essa sono messi in rilievo alcuni particolari di qualche interesse, che potranno tornar utili per una moderna biografia del grande condottiero bergamasco. L'oratore milanese a Roma, Agostino de’ Rossi, pochi giorni dopo la battaglia di Molinella scriveva al suo duca: “ Quisti dì passati face- “ vano li oratori venetiani et quisti Cancelleri de Bart.° Coleoni insieme gran fumo de zanzare digando chel suo campo cazava el nostro per tutto et che li nostri erano fugiti quasi tutti li fanti da pede et più de CXKXXV homini d’arme et andati a loro in modo chel non era dubio et havariano a discretione et facevano gran menazate , (3). Più tardi lo stesso oratore avvertiva che il Colleoni “non poteria stare “ peso et anche luy de la persona sua sta amalato , (4), notizia, che l’oratore fiorentino presso il duca di Milano, Angelo della Stufa (5), confermava poi in modo più preciso: “ B. Coglione nel termine che è “ non ha a campare di questo male et quando ben campasse rimarra “ in modo della vita non sara da farne mai più stima veruna , (6). E qualche giorno dopo in una lettera diretta al duca (7) venivano dati questi curiosi particolari intorno alla malattia del Colleoni: “... uno “ giovine bolognese che vene questa matina intro nella camera de Bartolomeo insieme col suo barbiere et tocco luy tenere la candela et che Bartolomeo si fece tagliare li peli de la barba intorno alli labrì perche li peli de luno labro pungevano l’altro et luy non li poteva patire et dicta che ad pena poteva parlare et che pare morto benche ancora habia fiato et più dice che vide nel catino el sangue chel haveva smaltito fuori si che credo chel se ritrovaria assai più contento “ = (1) Ctr. Bonomi G. M., 1) castello di Cavernago e i conti Martinengo Colleoni, Bergamo, 1884, p. 4I. (2) Cfr. NicoLini G., Lettere di Pietro Cosimo de Medici a Otto Nicolini in Archivio storico italiano, 1897, fasc. II. (3) Cfr. ASM, loc. cit., busta 136, lettera 3 agosto 1467. (4) Ivi, lettera 16 agosto. (5) Cfr. quest'Arehivio, 1886, p. 756. (6) Cfr. ASM, loc. cit., lett. 21 agosto. (7) Ivi, lett. 23 agosto di Giovanni Bianchi. Go ogle l E APPUNTI E NOTIZIE 273 * chel non fa sel fosse ad Malpaga al governo de quelle soe cose la ,. I soldati colleoneschi intanto tumultuavano e la Serenissima inviava Geronimo Barbarigo, il quale con promesse riuscì a sedare la sommossa così che Bartolomeo in poco tempo ricuperava la salute (1) smentendo ì neri pronostici degli avversari suoi e poteva poi far ritorno alla sua Malpaga a trascorrervi gli ultimi anni della vita nel geniale consorzio de migliori cultori delle arti e delle lettere. A. GIULINI. + IL TIPOGRAFO PARMENSE ANNIBALE Fossio ALLIEVO DEL VALDARFER. — Come già lasciava trapelare il chiar. dott. Gerolamo Biscaro (2), le ricerche nell’Archivio notarile di Milano, da lui forzatamente interrotte pei suo trasloco in più alta sede a Roma, continuano da parte nostra onde potere di comune accordo più tardi presentare in questa (vista un vero “ corpus , illustrativo della storia della tipografia nel ’400. Ma «ggi non ci sembra dovere rimandare la notizia di un documento, x°ecentemente scoperto, che oftre un particolare interesse per i nomi che vi figurano. Ai 9 agosto 1476 “ domînus Christotorus Valdarter de Ratispona. i del q.m Pandòlfo, abitante in P. Cumana, nella parrocchia di S. Nazzaro Pietrasanta assumeva’ in apprendista per due anni Annibale, figlio di Filippo “ de Fosio , del q.® d. Andrea di ed in Parma, abitante in Porta Custina, parrocchia di S. Silvestro (3). Coll’ autorizzazione e garanzia del padre, Annibale si obbligava di andare ad abitare con il Valdarfer, e “ laborare et personam exercere cum ipso domino Christoforo in arte et exercitio componendi et disponendi litteras pro stampandis libris et eidem domino Christoforo ‘ obedire in limitis et honestis et laborare temporibus debitis et fi- “ delis esse ,,, Per contro maestro Cristeforo prometteva “ ipsum An- “ nibalum instruere totis ejus viribus in arte predicta , prestandogli * cibos et potus , per detto tempo, oltre ad una mercede di L. 50 imperiali; inteso che trascorsi sei"tesi, e diportandosi bene Annibale, ed & lui occorrendo abiti o scarpe “ pre nécessitate ejus persone ,, detto Cristoforo glieli fornisse, deducendone l' importo dalle L. 50. Tenuto al risarcimento dei danni per inadempimento di lavoro o per cose illecite commesse. I patti vennero rogati dal notaio Gaspare Maria Rasini, e tra i testi figura un altro tipografo ben conosciuto: “ dominus “ Petrus Antonius de Burgo dictus de Castiliono , del q.m Antonio, che allora abitava nella parrocchia di S. Maria Passerella. o de. el. I INC PECE TETORE TIZIO s. (1) Cfr. NICOLINI, op. e loc. cit. (2) Panfilo SA e gli sez cola stampa a Milano, in quer Archivio, fasc. I-II, 1915. (3) A patti trait Valdarfet ‘è i° fratelli ‘Sant! RUESO: set” 1477” gii ‘iccennammo (A. S. L., fasc. IV, 1900). sil 274 ‘APPUNTI E NOTIZIE Ora, a parte la curiosità di tali patti (di consimili per Milano non ci consta siansi già editi) il documento ci rivela nel giovane apprendista un futuro distinto tipografo parmense, Annibale Fossio, Fosius, Foxo o come altrimenti si sottoscrive nelle sue edizioni di Venezia de} 1485-1487 (1). E forse neppure si sapeva ch’egli fosse stato allievo del Valdarter. Ve lo indirizzò forse il compatriota Antonio Zarotto ?.... E, giacchè siamo sul tema’ di tipografia, ricorderemo che il Della Santa, non molto tempo fa, ha rinfrescata la memoria di Bonino de’ Borini, il tipografo dalmata che lavorò anche a Brescia (1480-81) (2). Ma questa volta non discorre di lui come tipografo, per il quale nuove ricerche negli archivi veneziani riuscirebbero affatto infruttuose per già compiuta esplorazione sistematica, ma ne illustra con abbondanza di . documenti la sua importante missione di “ confidente, della Repubblica di Venezia a partire dal 1497 da Torino, da Lione e dall’Italia. “ Fede- “ lissimo e onesto suddito di Venezia , egli non è da confondere con altri tipi di agenti secreti, veri avventurieri, quali l’ing. militare Basilio della Scola ed altri. Curiosa e nuova, a nostro parere, la notizia che il Bonini s’era dato alla vita ecclesiastica, ottenendo dei benefizi e salendo nel 1501 alla dignità di decano del capitolo del duomo di Treviso. Non è il caso d’intrattenerci oltre intorno alle ultime vicende del Bonini, rimandando all’ uopo alla bella memoria del Della Santa: aggiungeremo soltanto ch’egli sembra abbia cessato di vivere nel giugno del 1528 (3). E. M. eo CASTELLANI DI CARIMATE. — Del castello di Carimate, oggid? splendida villeggiatura di nobile famiglia lombarda, ha trattato con largo corredo di documenti il compianto archivista P. Ghinzoni in quest Archivio (XVIII, 1890, p. 789 e sgg.), illustrando specialmente il soggiorno fattovi da Massimiliano I] nel 1496, nel suo incontro con Lodovico il Moro. Possiamo ora aggiungere che vi erano casteliani Bonifacio de Nava nel 1462 e Zristano da Carcano nel 1475. ll primo figura procuratore speciale della magnifica Catterina Beccaria del q.® Lancellotto e vedova, (1) Cfr. Arrò, Saggio ‘di memorie sulla tipografia parmense, Parma, 1793, p. xLn1 e le Giunte e correzioni al Saggio del Affò del Pezzana. Parma, 1827, P. 33. (2) Il tipografo dalmata Bonina de’ Boninis « confidente » della Repubblica di Venezia, decano della cattedrale di Treviso in Nuove Archivio Veneto, vol. XXX, 1915. (3) Raccomandabile altresi il lavoro del dott. Giorcelli, infaticabile ricercatore della storia del suo Monferrato, sui Tipegrafi di Alessandria 0 di Valenza del secolo XV e tipografi monferrini dei secoli AV 0 XVI che stamparono in Ve nezia, in Rivista di storia di Alessandria, XXIV, 57 (1915). n APPUNTI E NOTIZIk 275 di Scaramuzza Visconti, abitante nel detto castello, usufruttuaria di tutti i beni del marito (1). Del secondo, figlio del q.m Bernabò de Carcano, personaggio non sconosciuto del periodo sforzesco, si ha un istrumento di vendita di beni, in data 7'marzo 1475 (2). ee ARAZZI DI Gastone DI Foix? — Non v'è chi non conosca gli avanzi del monumento di Gastone di Foix, duca di Nemours, morto ventiduenne nel 1512 alla battaglia di Ravenna. Possedeva egli dei bei arazzi ?.... dovremmo ammetterlo a giudicarne da un istrumento 9 gennaio 1516 (3), per il quale il magnifico e “ stre- “ nuus armate militie miles dominus Zinianus de Feragutis galicus ,, del q.m Giovanni, abitante allora in Milano, a nome degli eredi di Gastone ovvero “ ill.mi nunc q.® domini de Foys olim ducis de Nemors ,,; confessa d’aver ricevuto dal reverendo dottore decretorun Lodovico da Landriano, figlio del q.m mag.co Antonio (4) preposto di Viboldone, scudi 80 d’oro ed in oro del sole per completo saldo “ illarum petiarum trium * tapazarie de quibus in prefata ordinatione [di Benedetto Albriono, “ vicario di giustizia di Milano] fit mentio, die hodie facta , I celebri arazzi illustranti la battaglia di Pavia al Museo Nazionale di Napoli, dovuti a Bernardo van Orley furono oggetto di studio da parte di diversi, dopo che l’arch. sen. Luca Beltrami li fece conoscere mediante una delle sue solite splendide pubblicazioni illustrate. L'argomento è stato recentemente trattato dal dott. Ernesto Gagliardi, in Zurigo (5): i sette arazzi, riprodotti in nitide eliotipie, di formato più ridotto, vennero da lui sottoposti ad un minuta analisi secondo il loro valore non soltanto artistico, ma anche storico ed iconografico che giudica importante. E. M. *, PER LA BATTAGLIA DI Marignano. — Delle letture fatte l’1I febbraio scorso all’Académie des inscriptions et belles lettres notiamo quella del conte Durrieu intorno alle miniature in grisaille eseguite ad illustrazione di una parafrasi di venti versetti del salmo XXVI, in onore della vittoria di Marignano (1515). Il poema e le miniature erano state ordinate dalle regine Luisa di Savoia e Claudia di Francia, madre e moglie di Francesco I a Goffredo il Batavo, autore delle grisailles del manoscritto di Chantilly. (1) ANM, rog. not. Giosafatte Corbetta, 15 novembre 1462. (2) ANM, rog. not. medesimo. x (3) ANM, not, Gio. Ambrogio Castani. (4) Il noto tesoriere ducale, assassinato da Simone Arrigoni. (5) Die Schlacht ven Pavia auf den Teppichen des Museums zu Neapel. Zorich, 1915 e 1916, in-4 ill., 2 fascicoli (« diana der. Feuerwerker-Gesellschaft », 1915 € 1916). ' 276 APPUNTI E NOTIZIE Il Durrieu, autorità riconosciuta in materia d’arte, fin dal 1894 aveva, in collaborazione con Marquet de Vasselot, fatto conoscere il manoscritto delle Oratsons de Cicéron en francois di Stefano Le Blanc, pure dedicato a Francesco I e nel quale l’ unica miniatura rappresenta Francesco I che carica gli svizzeri a Marignano (1). E’ nella Nazionale di Parigi ed è opera probabilmente del miniaturista Bartolomeo Guetty. Tuttochè nota nei suoi particolari la celebre battaglia dei giganti, descrizioni inedite della medesima, saranno sempre le ben accolte. Noi richiamiamo p. e. l’attenzione su quella del cronista comasco Francesco Muralto, ma ben inteso non quelia prodotta nella stampa de’ suoi Awsali (Milano, 1861, p. 196), bensi quella assai più dettagliata contenuta nel codice trivulziano, forse autograto, del Muralto. Altra notizia coeva leggesi nel diutile del notaio milanese Filippo da Liscate, altro codice della Trivulziana, per non citare, per oggi, le diverse poesie a stampa sulla Roita de Sgutzari, rarità bibliografiche delle quali doviziosa va quella biblioteca (2). . A E. M. 1 CONFALONIERI OREFICI NEL ’500, — La nota ditta di oreficeria Contalonieri deve avere origini ben antiche, trovando che nel 1548 già eravi in Milano un “ gioielierius , Gio. Giacomo Confalonieri, figlio del q.m . d. Giov, Pietro, abitante in Porta Orientale nella parrocchia di S. Paolo in Compito (3). . ac Chiedian:0: dove fini il prezioso codice contenente la matricola degli orefici milanesi del 300 già posseduto dal marchese Gerolamo d’Adda e da lui e dal Cafti reso noto ? (4). E quello similare del ’400 già della biblioteca Landau emigrò esso pure in America ?... ee ATTESTATO DI MORTE DEL PADRE Onorrio Branpa. — Nel suo bel lavoro sulla Storia dei Barnabiti (Roma, 1913, p. x1) il p. Premoli ricorda che ad una storia dei barnabiti aveva posto mano nel sec, XVIII il ben, noto p. Branda. Ben noto per quella guerricciuola tra lingua e dialetto da lui suscitata e sfuriatamente combattuta a pasquinate, a bosinate, a libelli, sicchè di libri ed opuscoli stampati allora c’è da riempire (1) Vedine la riproduzione nel loro lavoro Les Manuscrits à miniatures des Héroides d’Ovide traduites par Saint-Gelais et un grand miniaturiste francais du XVI sitcle, in L’ Artiste di Parigi, maggio-giugno 1894. Di questa traduzione dei Discorsi di Cicerone s'è pur i il Delisle nel Journal des Savants, agosto 1900. (2) Per gli svizzeri a Novara ea Marignano vedi anche Biiivezo ANT. GeoRrgIO, Discorsi di filosofia militare, Milano, 1629, p. 229-30 e a: Quesiti militari, Roma, 1606, p. 13 e 165.. (3). ANM, Rog. 21 I. 1548, notaio Gervaso Bilieai. ò (4) D'Appa. Indagini sulla. Libreria di Pavia, spetta: 1879 *e CAFFI in Ì RR 1880, p. 594 e sgg. E meat e Sa Ì È APPUNTI E NOTIZIE 277 un buon scaffale. Non è nostra intenzione darne la bibliografia, il che hanno già curato il Mazzuchelli ed altri (1): crediamo invece non inutile riferire l’elogio funebre che del frate battagliero sta sotto la data del suo decesso negli Atti del Collegio di S. Alessandro. Ce lo ha favorito il cortesissimo preposto parroco don Luigi Manzini. . Ex Act. Coll. S. Alexandri 7 feb. 1776. “Summo, iustissimoque omnium nostrum dolore extremum diem obiit * P. D. Paullus Onuphrius Branda aetatis annorum 66 omni eruditionum * genere clarissimus, ut innumerì ab ipso in lucem editi libri testantur, “ sanctissimae vitae vir, religiosae vitae tenacissimus semper custos “ virtutum omnium et perfectionis vivum exemplar, unde ne dum nobis * sed omnibus carissimus erat, summoque habebatur in honore. “* Toleratis autem per annus plures valetudinis incomodis, ac prae- * sertim gangraena in crure sinistro, ob cuius pertinaciam iteratas vi.. * vae carnis lacerationes, et sectiones admirabili animi fortitudine, ve- “ reque heroica patientia sustinuit; tandem gravissimo tuelationis morbo * afflictus, Divinis omnibus mysteriis expiatus quae ipse tempestive * expostulavit, summaque animi devotione suscepit, placidissime quievit * in Domino. Dies noctesque in officiis pietatis transigebat tanto animi “ ardore et spiritu contentione, ut intuentes ad pietatem excitaret. Tanta “ erat humilitate ut abiectissime de se sentiret, et inutilem servum se * crederet, et huic Collegio se tantum oneri esse dictitaret. Tanta erat “ obedientia ut ne dum prompto animo Maiorum vel aequalium, sed et “ inferiorum voluntatem et iussa semper faceret. Lenis erat, et mitis in “ omnes, in se unum rigidissimus, adeo, ut ne autumnalibus quidem fe- “ riis ullum unquam levamen sibi concesserit. “ Summo zelo animarum saluti nullis parcens laboribus impense “ deservivit, sive pluribus editis asceticis libris, sive exemplo, sive au- * diendis confessionibus. “ Porro tot cumulatum meritis fidentissime speramus ea nunc ipsum “ trui caelesti gloria, ad quam in dies singulos festinare totis viribus “ studuit ,. +°. l'egregio dott. Diego Sant'Ambrogio richiama la nostra attenzione su di una testinionianza della sagacia del compianto nostro Presidente, prof. Francesco Novati, nella rispluzione di intricati quesiti storici, che vien resa dal sig. Paolo Fournier, in un dotto articolo da lui pubblicato sul vescovo Bonizone da Sutri nella Bidliothique de l'Ecole des Chartes (maggio-ottobre 1915). (1) Collezioni abbastanza complete di Brandana e Antibrandana stanno nelle nostre biblioteche. Quella forse più copiosa che è in Trivulziana appartenne al poeta Tanzi. Anche la nostra Società possiede molti di quei componimenti, per lascito del marchese Visconti. Arch. Stor. Lomb., Anno XLIIT, Fasc. I-Il. 18 (O ogle 278 APPUNTI E NOTIZIE Nel commento che il Novati fece all’Obifuario della Caliedrale di Cremona (in quest Archivio della. 1880), soffermandosi egli alquanto sui resti dell’ iscrizione funeraria al vescovo, oriundo di famiglia cremonese, Bonizone da Sutri, di cui tessè in breve le vicende, espose l’ avviso che, dopo gli oltraggi sofferti da Bonizone nella persona a Piacenza in un tumulto popolare, Sì da averne mozzate le orecchie, il naso ed essergli stati tolti barbaramente entrambi gli occhi, l’ardito prelato cremonese non sia morto, come vollero taluni, nel 14 luglio 1089, ma sia sopravvissuto molti anni ancora, tantochè il Locati, iù Campi e ìl Vairani nelle Iscrisioni cremonesi fissarono la di lui morte all'anno 1114. Di questo ritardo di ben venticinque anni alla data 1089 tenuto per ammissibile dall’Ughelli, dal Sanclemente e dal Ciacconio, lo stesso professor Novati si mostra dubbioso, ma non esitò il chiaro scrittore ad assegnare la data della morte del vescovo Bonizone, ad a.cuni anni certamente dopo quella data del 1089, pel fatto che non poteva ritenersi supponibile che il forte polemista dell'autorità papale nella lotta per le investiture, scrivesse la sua memoria is. Ugorem, il trattato de Sacra. mentis e il suo Liber de vita christiana nel breve intervallo di un solo anno, quando cioè si ammettesse che non già in detto anno 1089 ma in quello successivo venisse egli a mancare di vita, come era stato supposto da alcuni scrittori in relazione alla nomina del suo successor nella diocesi di Piacenza. È appunto di questa erudita chiosa ed attestazione che il Fournier rende elogio al defunto Presidente della nostra Società e ne diamo qui notizia a titolo d’onore e ricordanza per i lettori del nostro Archivo. 1°, BARTOLINO DA Novara. — Sotto il titolo A:vendicaszione nobiliare leggiamo a p. 59 del fasc. I, 1916 della Rivista araldica quanto segue: “ Bertolino de Ploti da Novara, architetto militare del XIV secolo che costrui il meraviglioso castello Estense a Ferrara, propagò in questa città la sua famiglia ascritta al patriziato, insignita del titolo di conte ed estinta nel conte Agostino Novara (7 10 agosto 1787), il quale lasciò erede universale il Comune di Ferrara. A Gualdo, nel ferrarese, esiste da tre secoli e più una famiglia Navarra i cui ascendenti diretti furono chiamati alternativamente Novarra e Navara. Con buoni argomenti l’attuale rappresentante della famiglia Navarra, cav. Francesco, già ufficiale. del R. Esercito, cav. Mauriziano ha ottenuto con R. Decreto motu proprio dal Re V. Emanuele III la rinnovazione del titolo di conte e la nobiltà ferrarese. Ha inoltre ottenuto con altro d. reale l’aggiunta del cognome Ploti a quello Navarra,trasmissibile al proprio nipote colonnello Ugo Sani». ‘»° L’egregio consocio arch. U. Monneret de Villard ci segnala che un Baldassare da Vigevano ha firmato le miniature del codice contenente le Istorie di Trogo Pompeso della biblioteca di sir Th. Phillipps a Cheltenham (n. 3353). A nostro avviso trattasi di un miniatore finera sconosciuto. Go ogle n APPUNTI E NOTIZIE 279 e", Il dott. Ferretto continua in Pagine d’arte (n. 4, 1916) le sue comunicazioni di fonti dell’arte ligure. Notiamo: 1609, maggio 2. Giacomo Solaro, pittore, paga al Rettore di S. Torpete l’ affitto della loggia di S. Torpete che tiene in locazione sin dal- l'aprile 1608. 1665, novermbre 13. Maestro Luca Carlone presenta il conto dei restauri nel neftare stucchi e pitture, nel palazzo di Gio. Francesco Grimaldi posto nelle vicinanze di S. Francesco. +*. Per iniziativa della società “ La Letteraria e Amici dei Monumenti , la quale conta già parecchie benemerenze in fatto di memorie storiche e di cimeli d’arte sottratti alla distruzione o al deturpamento, si è addivenuti alla costituzione di un Comitato permanente in cui oltre alla Società proponente sono rappresentate la Società Storica Lombarda, la Società degli Artisti e Patriottica, la Famiglia Artistica e la Società degli Architetti lombardi. Il Comitato si propone di esercitare un’opera vigile e quanto è possibile preveggente perchè, pur tenendo conto delle indeprecabili esigenze a cui dà luogo il rinnovarsi della vita cittadina siano rispettate le vestigia del passato che parlano spesso un eloquente linguaggio anche sotto modeste forme. Il Comitato, valendosi del prestigio che gli conferisce l’essere interprete del pensiero di così autorevoli associazioni, curerà in particolar modo che l’opinione pubblica sia in tempo avvisata e possa quindi pronunciarsi in merito a temuti danneggiamenti prima che questi abbiano un principio di esecuzione. Con intenti almeno parzialmente analoghi la Famiglia Artistica indisse nello scorso aprile una esposizione di quadri, di pastelli, di acqueforti, intitolata “ Milano vecchia e nuova , e trovò gran concorso dì artisti e di visitatori. Delle due medaglie d’oro assegnate alle opere migliori una toccò al pittore Eugenio Marana per il suo “ Cimitero della Mojazza », l’altra ad A. Fossombrone per il suo pastello “ Corso Vittorio Emanuele ,. Parecchi artisti esposero impressioni di luoghi o dò speciali atteggiamenti di vita milanese ormai scomparsi e di qualche interesse storico. Non è improbabile che l’esposizione sì ripeta e in maggiori proporzioni. .*. Alla “ Pro Cultura , di Milano, nello scorso febbraio si iniziò, in continuazione del corso di Sforia milanese, una serie di monografie sulla “ Vita milanese del seicento nei Promessi Sposi di A. Manzoni , tenute dal nostro consocio prof. sac. Emilio Galli. I temi trattati, continuando le letture nei mesi successivi, furono: “ Milano edilizia e trafficante ,, I due Borromei ,, “ Aristocrazia e popolo ,, “ Letteratura e scienza nella Biblioteca di don Ferrante ,, Politici, guerrieri e governatori ,. Lo stesso professore tenne, in continuazione del corso di storia della rivoluzione francese, conferenze su “ Il Direttorio e la 230 APPUNTI E NOTIZIE conquista della Lombardia ,, * Le difficoltà del nuovo Governo in Francia e la campagna del Bonaparte in Italia ,, * La conquista francese della Lombardia , e “ I governi rivoluzionari in Italia ,. L'Archivio storico lombardo spera di potere, in un tempo non lontano, dare del prof. Galli un suo utile e desiderato studio su Mi/aso siel Seicento. «*, NUOVI MANOSCRITTI LOMBARDI ALLA NAZIONALE DI PARIGI. — H. Homont, con costanza ammirabile, continua ad offrire nella 2Bibltothéque de l’Ecole des chartes l'inventario dei nuovi acquisti di manoscritti tatti dalla Nazionale di Parigi. Nei fasc. 1-5 del 1915 egli ci offre quello per gli anni 1913-1914 che noi spigoliamo per la parte lombarda. Il ms. lat. 2446 Recuei! de pièces originales relatives à l’histoire de France et PItalie (1370-1803) contiene a fol. 17 lettere patenti di Francesco I, re di Francia e duca di Milano, confermanti i privilegi dei Gerolomitani di S. Sigismondo fuori le mura di Cremona (13 giugno 1516). Il ms. franc. 11218 contiene una lettera di Tiraboschi (Milano, 23 maggio 1791). Il n. 11267 dei Documents originaux relatifs a la mission aupres de Francois-Marie Sforce, duc de Milan, a° “ Albert Merveilles, gentilhormme ordinaire de la Chambre du Roy ,, (1532-1533). Notiamo ancora: n. 22250, fol. 115 “ Relation des motifs qui ont élevé le cardinal Odescalchi au pontificat , (Innocenzo XI); n. 22200, lettere di F. Odorici, Paciaudi; n, 22301 (6), priorato di S. Giacomo di Pontida (Bergamo); n. 22334, Melanges sur l° histoire a’Italie, tol. 87, investitura del ducato di Milano accordata da Carlo V a Filippo di Spagna suo figlio; fol. 200, sonetto “ Au Roy sur le secours que sa Majesté donne à Mantoue ,, firmato “ Chanvallon ,,; fol. 418 “ Notizie concernenti l’originaria fondazione dell’I. R. Istituto Lombardo di scienze, lettere ed arti ,, (1846). +. Nel Catalogo n. 309 (libri, stampe, autografi) della nota libreria antiquaria P. Luzzietti, di Roma (maggio 1916) figurano tre manoscritti d’interesse lombardo. N. 291. Diploma di cittadinanza romana concesso a Pietro Antonio Casari nato in Roma, figlio di Sante Casari Milanese 1712 (L. 250). N. 321. Il trasformato. Comedia di Quintilio Lucino Passalaqua da Como, Can.ico della Cattedrale e dottore di leggi. L’ Anno M. DCViij coll'occasione delle feliciss.me nozze che fra gli Illmi SS.ri il Sig. Honorio Gallio, e la Sig.» Lveretia Odescalca furon fatte. Autografo di 208 pag. in-4 (L. 100). N. 321 bis. Statuta Civitatis Mantuae. Sec. XVI, di oltre 200 cc. in-fol. (L. 75). e» Dalla Relazione del bibliotecario della Comunale di Bologna, il prof. Albano Sorbelli, che con tanta dottrina ed amore dirige 1° ArchiGo ogle : APPUNTI E NOTIZIE 281 gianasio, bollettino della medesima, entrato col 1916 nel suo undicesimo anno dì vita (fasc. 1-2, p. 7), apprendiamo che fra i molti donatori del 1915 va particolarmente notato l’on. Luigi Rava per gli interessantissimi manoscritti di Pietro Tamburini del sec. XVIII. +, Nei prossimi fascicoli della Revue Historique vedrà la luce un lavoro di Eugenio Griselle su Carlo Gonzaga, duca di Nevers e la successione di Clèves-Juliers (1). «ee Per scempio vandalico e mera inciviltà l’esercito austro-ungarico ha distrutto il borgo di Loppio fra Mori e Riva nell’atto di doverlo abbandonare definitivaménte all'esercito italiano. In tale distruzione è scomparso quel gioiello di antichità e di arte ch'era la villa dei conti Castelbarco-Visconti-Simonetta; ed è stato disperso e incendiato |’ archivio preziosissimo di quella famiglia patrizia, che conteneva pergamene che risalivano al 1100, autografi di Carlo V, documenti vari illustranti la storia della regione. [Gli archivi italiani, a. III, 1916, fasc. I, p. 73, Roma]. (2). + Nella seduta della R. Accademia dei Lincei, del 20 febbraio scorso, il Luzzatti ha dato notizia dello stato dei lavori della Commissione per lo studio e pel commento delle carte costituzionali e politiche dal medio evo al 1831, commissione sorta sotto il patronato dell’ Accademia e da lui presieduta. Egli illustrò due documenti che appariranno nei volumi di prossima pubblicazione sulla Repubblica Cisalpina ; nei quali documenti, alla vigilia di Campoformio, i Venezianize i Cisalpini mettono in rilievo la necessità assoluta per l'Italia di non dare all’ Austria l’Istria e la Dalmazia, Bonaparte non tenne conto di quei consiglì e fece il funesto trattato di Campoformio. Oggi l’Italia unita e concorde è erede dei voti degli italiani del 1797. [Rendiconti Acc. Lincei, fasc. 1-2, 1916, p. 85]. 0° I CARTEGGI DELLA GUERRA ALL'ARCHIVIO DI STATO DI BRESCIA. — Togliamo dalla Provincia di Brescia del 21 maggio scorso: “ La raccolta dei carteggi autografi della guerra istituita presso l’Archivio di Stato, non è più un'iniziativa, ma un fatto che felicemente si compie. Sindaci, parroci e famiglie hanno inviato in questi mesi cartoline, lettere, fotografie dei militari morti in guerra, e la manifestazione di intelligente premura nell’opera di raccolta e trasmissione di tali documenti fa prova di un senso storico e patriottico del quale è legittima la compiacenza. (1) Ai Dardanelli cadeva Giovanni Loew, della École des chartes donde ne era uscito promosso nel 1912 colla sua bella tesi consacrata a Luigi principe di Mantova, duca di Nevers. (2) Ricordi di quella storica villa, accompagnati da vedute illustrate, si leggono, a cura di A. Zucchini, in La Lettura, marzo 1916. Go ogle 282 APPUNTI E NOTIZIE “ Come era stato facile prevedere, l'interesse di tale scrittti è già ora ben diverso e maggiore di quello che avevano modestamente pensato i loro autori. La cartolina illustrata, che porta l’ultimo saluto, sporca di terra per le continue esplosioni di granate sulla trincea, la lettera a linee barcollanti, perchè scritta appoggiando la carta sul calcio del fucile, sul chepy, o sul tamburo, non sono più carte che si possono toccare senza brividi di religiosa commozione. Vi è un notes-diario attraversato da una baionettata, e qualche pagina non si può svolgere perchè troppo intrisa di sangue. “ Il contenuto non è sempre informativo di notizie guerresche, ma è sempre istruttivo dei sentimenti che reggono il cuore dell’ uomo nei giorni supremi. Sotto le varie parole e talora.incolte espressioni, si può dire che i capisaldi del pensiero sono: famiglia e religione. “ Quali assistenze gli studi di storia del Risorgimento saranno per procurare ai morti di questa guerra, oggi non è possibile di stabilire; ma se anche per la maggior parte dei caduti la modestia del ceto sociale e del grado militare non renderanno facile il ritrovo di documenti che ne assicurino con precisione i ricordi, questa raccolta governativa dei loro scritti resterà reliquiario, a cui nipoti non immemori potranno muovere in visita come a pellegrinaggio pio. La conservazione di modeste carte private nel Regio Istituto, che ha per funzione quella delle carte del Governo, è già di per se provvedimento non privo di significato, quale segno di riconoscenza nazionale a chi per la Patria ha dato la vita. “ Non tutte le persone chiamate a collaborare alla raccolta hanno naturalmente cooperato in grado uguale, e ve ne furono anche di quelle che diedero nessun contributo; ma di tali casì probabilmente scusabili col minor grado di cultura delle persone, non hanno impedito che la Direzione dell’Archivio raggiungesse almeno in parte, per altre vie, la finalità propostasi, e conferirono miglior merito ai volonterosi che risposero all’appello, dimostrandosi aiutatori efficaci. “ Meritano menzione distinta per quantità, qualità e diligenza di d contributo, i Municipi di Calvisano, Carpenedolo, Cremona, Lonato, Rivolta d’Adda, Salò e Soresina; ma, naturalmente, anche il parroco di una piccola pieve, come quella di Presegno, o di un sobborgo come le Fornaci, che ha fornito solo uno o due carteggi, perchè soltanto uno o due furono i morti della sua giurisdizione, non può certo dirsi in difetto di collaborazione. Anche a questi benemeriti si fa doverosamente pervenire un segno dl grazie, e i loro nomi verranno pubblicati in appositi elenchi. “ Quanto alla collaborazione degli ecclesiastici, si può augurare che alla fiducia di cui la Direzione dell’Archivio ha loro dato pubblica prova, procurino di corrispondere con un impegno maggiore. “ Come è noto, la raccolta è sotto gli auspici del Ministero dell’Interno e i Prefetti di Brescia e di Cremona vi hanno dichiarato il loro personale interessamento. Il Ministero della Guerra ha permesso che = APPUNTI E NOTIZIE 283 gli Uffici Notizie contribuiscano con le opportune informazioni; e così mentre l'Archivio di Stato, con i cortesi aiuti della Presidenza della Sottosezione di Brescia, -prende qui direttamente le indicazioni di cui abbisogna (e si compiace della perseverante attività di quelle distinte signore e signorine mobilizzatesi volontarie della guerra), la Sottosezione di Cremona si tien in rapporto con l'Archivio e gli ha con accuratezza eseguito un vistoso lavoro di spoglio. "* Opere di corredo alla raccolta dei carteggi sono: “ urto schedario speciale bio-bibliografico dei caduti, che un impiegato dell’Archivio redige sui quotidiani e riviste; “ e una collezione di stampe occasionali, come i Manifesti pervenuti dal Comitato presso il Ministero dell’Istruzione, il Quaderno fer i soldati edito dai medici di Milano e i fogli Per i so/dati e il popolo, pubblicati dall'Istituto Piemontese per le Biblioteche dei soldati. La Direziocne Centrale dell'Ufficio Notizie inviò i propri regolamenti ed istruzioni; e alto, ambito dono, il Comando Supremo spedì direttamente i propri volumi. “ Forse mai una raccolta archivistica si è trovata in così immediato contatto con la vita della Nazione. E’ un piccolo Pantheon dei nostri Morti per la Patria ,. Troppe volte la nostra penna deve scorrere tra i segni di lutto, in memoria di buoni consoci, di cari amici e di valenti studiosi della storia nostra che la morte travolge, inesorabile. Nel decorso di un anno quanti ci hanno lasciati, oltre il nostro Presidente! Rivolgiamo a tutti il nostro mesto ricordo. Primi in ordine di data il nob. Alessandro Litta Modignani, il dottore Antenie Biagi di Cremona ed il comm. Emilio Silvestri. Il dott. Biagi è stato un modestissimo studioso di provincia, il quale dopo avere dato buon saggio di sè nello studio della paleografia, ed avere anche pubblicato anonimo un suo scritterello nelle primissime annate dell’ Archivio, si è poi ridotto a modesta vita senza lasciare di sè altra traccia che quella di un cittadino onorato. Alessandro Litta Modignani, gentiluomo colto e cortese, fece parte della Commissione Araldica Lombarda, e in questo suo ufficio diede prova di non comuni qualità. 3 Emilio Silvestri ({ 10 maggio 1915), cresciuto in mezzo all’agiatezza € portato a vivere di una esistenza tutta mondana, ha saputo costantemente unire alle qualita più brillanti del gentiluomo l’amore e la deferenza per gli studi storici. Divennto per eredità possessore del castello di Calcio, gia feudo dei conti Secco, il Silvestri deliberò di riordinare quell'’ammasso di carte che il castello stesso racchiudeva, testimone delle passate grandezze de’ suoi antichi possessori, egli affidò questa cura al dott. Bonelii, il quale seppe egregiamente compiere il lavoro, e l’/uven 284 APPUNTI E NOTIZIE i tario dell'Archivio Silvestri di Calcio, di cui due volumi videro la luce, rimane a testimoniare del suo mecenatismo e della sua cultura (1). ‘ In Aosta, dove s’era recata a villeggiare, si spegneva improvvisamente il 28 agosto 1915 Ida Seletti, unica figlia del compianto nostro Presidente avv. Emilio Seletti, che per tanti anni fu tanta parte dell’opera nostra. Essa che ad onorare la memoria del padre, ci fu generosa in vita di cospicua donazione, in morte, ubbidendo certo alle supreme volontà paterna, legò al Civico Archivio Storico, alla nostra Società strettamente connesso, Di lei e del prof. Giovanni Collino, caduto nel medesimo agosto, vittima di una disgrazia alpina presso Fenestrelle, il nostro Archivio ha già commemorato la inattesa scomparsa (III, 1915, p. 532). Seguiva il conte Gabrio Casati, della illustre famiglia milanese che ebbe tanta parte nella storia nostra antica e moderna. Era suo avo il conte Gabrio Casati, presidente del Governo Provvisorio di Lombardia, Gran Collare dell’Annunciata e padre Luigi Agostino, senatore del Regno. Era benemerito della storia del Risorgimento per le pubblicazioni tratte dai documenti del suo archivio privato, prima fra di esse le Letiere e Memorie di Federico Confalonieri (1890), marito appunto della virtuosissima di lui prozia Teresa Casati Confalonieri. Il Casati, che era dotato di buona cultura storica attinta all’ ambiente famigliare, nel quale era tradizionale il culto delle patrie famiglie, per lunga serie d’anni fece parte della Commissione comunale, che sovraintende al Museo del Risorgimento. Dal 1905 era membro corrispondente della R. Deputazione di storia patria di Torino; appartenne dal 1881 alla nostra Società. A lui tenne dietro un altro distinto gentiluomo, nostro socio sino dal 1909, il marchese Gerolame Parravicini di Persia. Successivamente spegnevasi in Livorno il 3 novembre un socio ricco di dottrina e di pietà, il padre Pietro Gazzela barnabita, del quale a lungo resterà la memoria per l’ardore nel bene, le concezioni filosofiche, la vasta dottrina biblica, l’erudizione nelle lingue orientali (2). Nei mesi successivi perdevamo tre distinti cittadini che, accordandoci l’onore della loro associazione, intendevano continuare le tradizioni di cultura e di civismo delle loro famiglie, e cioè il dott. Giulio Rezzenico, figlio del dott. Antonio, anch’esso medico distintissimo e zelante propugnatore di benefiche istituzioni, prima fra esse la guardia medica notturna, e il nob. dott. Carle Frisiari, discendente da antica famiglia patrizia milanese, insigne nella storia nostra per cariche cospicue e nipote (1) Della sua collezione di libri, ricca di opere intorno alla storia della chiesa e più specialmente dei conclavi, v'è un cenno assai preciso nel volume delle Biblioteche milanesi, edito a cura del Circolo Filologico. (2) Vedere i necrologi del padre Luigi Manzini (Milano, 1916) e di Francesco Rubbiani in Bilychnis di Roma (1916) e quello nel Boll. stor. piacentino, 1915, P. 239. | ° Do APPUNTI E NUTIZIE 285 di don Paolo Frisiani, astronomo illustre dell’ Osservatorio di Brera. Anche il nob. Carlo Frisiani era medico, ma, provvisto di ricco censo, dedicava specialmente la sua attività ad opere di beneficenza, continuando la tradizione della sua casa. Fra i vari legati disposti a favore di istituzioni cittadine ve n’ha anche uno da destinarsi in opere di restauro al Castello. Il terzo di questi concittadini simpatizzanti con noi, perchè affezionati per sempre alla storia milanese, fu il notaio dott. Antonio Menciozzi (f 13 novembre), uno dei più insigni per coltura giuridica, dignità di vita, saviezza di consiglio. Discendeva da una delle più antiche nostre famiglie, da una famiglia che appare nei documenti nostri sin dai primi secoli di questo millenio, e continuava così le tradizioni benefiche, laboriose ed oneste della più eletta nostra cittadinanza. Uomo invece professionalmente, gloriosamente dedito ai nostri studi tu il padre Fedele Savio, spentosi in Roma il 18 febbraio di quest'anno. Nato a Saluzzo il 21 dicembre 1848, esordì con un pregevole lavoro intorno a Bonifacio III, marchese di Monferrato, rivelando in esso attitudini non comuni all’ indagine della critica storica. Narrò le gesta dei vescovi del Piemonte e di Milano, in due tomi, che furono accolti con plauso dagli studiosi (1). Il padre Savio è morto lasciando pronto per la stampa il terzo volume, ossia gli Antichi vescovi delle altre diocesi lombarde ed inoltre un materiale quasi completo di altri tre volumi: L’Emilia, La Toscana, La Liguria. Da un decennio copriva la carica di storia ecclesiastica all’Università Gregoriana, e ci onorava della sua adesione sino dal 1901, essendo altresì stato collaboratore del nostro Archivio (2). In forma diversa collaborò assai efficacemente alla conservazione di memorie storiche un altro nostro socio defunto, il dott. Luigi Ratti, intelligente ed appassionato raccoglitore. Purtroppo del suo importante Museo Napoleonico e Milanese, andato venduto come tutti sanno, nel marzo scorso, non rimane come ricordo che il particolareggiato catalogo illustrato a stampa, preceduto da un’affettuosa biografia del dott. Ratti, a cura di Alfredo Comandini. Nel 1907 il Ratti aveva pubblicato un volume sulle Poste, corrieri, locomozione e trasporti ad illustrazione della mostra retrospettiva che ebbe luogo nella nostra città in occasione dell’Esposizione internazionale del 1906. Due anni sono, compiendosi il primo centenario della morte del Prina, pubblicò un altro volume col titolo // Ministro Prina. Era nostro socio dal 1906. Più recenti sono i lutti del rag. Paolo Cardani, uno dei ragionieri, degli amministratori più reputati della nostra città, che per lunghi anni si (1) Cfr., ad esempio, l'articolo L'origine della chiesa milanese del consocio sac. dott. C. Pellegrini, in Scuola Cattolica, luglio 1913. (2) Per l’attività storica del padre Savio cfr. la memoria del canonico prof. R. Pasté nella Scuola Cattolica, aprile 1916. Agg. il necrologio del sac. dott. Guerrini, in Brixia Sacra, n. 2, 1916. GO ogle 386 APPUNTI E NOTIZIE dedicò alla nostra Cassa di Risparmio, quale membro attivissimo, autorevolissimo del suo Comitato Esecutivo. E appartenne altresi al nostro Consiglio Comunale. Dell’ ing. Antenio Cemi, industriale milanese fra i più attivi e più fortunati, che diede grande impulso alle industrie nostre metallurgiche e tu per lunghi anni consigliere comunale. Dell’ arch. prof. Angele Saveldi, che è fortemente legato alla storia milanese per avere coll’ arch. Borsani restaurato il Palazzo dei Giureconsulti, le Scuole Palatine, la Loggia degli Osii e cioè tutti quegli edifici che sono più particolarmente legati ai ricordi della nostra vita comunale e commerciale. Grande consenso riscossero i lavori da lui fatti, e non minor plauso si ebbero molte altre costruzioni che meno si attaccano alle nostre tradizioni storiche. Chiuse la sua nobile vita con un nobile testamento, poichè fece erede delle sue sostanze l’Ospedale di S. Matteo di Pavia e beneficò anche istituzioni milanesi fra cui l’Ospedale dei Rachitici (1). E finalmente ultimi in questa triste serie, il nob. ing. Giuseppe Sertoli di patriottica famiglia valtellinese, veterano delle patrie battaglie, rappresentante della Provincia di Sondrio nella Commisione amministrativa della nostra Cassa di Risparmio, ed il comm. Otto Jeel, spentosi il 25 aprile a Milano, sessantenne. La sua attività fu principalmente dedicata alle grandi istituzioni di credito del nostro Paese, e principalmente alla Banca Commerciale dove occupò successivamente le cariche di direttore centrale, di consigliere delegato e di vice-presidente. Fu considerato come mente finanziaria di primo ordine, ma la sua vasta coltura non limitavasi alle materie più strettamente congiunte cogli uffici da lui coperti, poichè estendevasi anche alle scienze economiche e sociali e alle stesse nostre discipline storiche, delle quali non ultima testimonianza fu l’adesione alla nostra Società. L'interesse che egli, uomo d’ affari, prendeva ai nostri studi, conterma ancora una volta come l’analisi storica non sia pura speculazione contemplativa, ma costituisca altro degli elementi di una mente rivolta con larghezza di intenti all'azione e al governo degli interessi nazionali e come la nostra Società sia considerata degna di rappresentare quel magistero della vita che è il compito più alto assegnato per vecchia e seria tradizione alla Storia. La ® . Non era fra i nostri Soci il milanese protessor Attilio De Marchi mancato ai vivi il 29 dicembre 1915 e l’opera sua si svolse per gran parte in un diverso campo, le antichità classiche che egli professava dal 1895 nella R. Accademia Scientifico-Letteraria ; pure non piccolo per mole e notevolissimo per valore fu il contributo da lui dato alla storia milanese. Ben ventidue numeri della bibliografia pubblicata in appendice all’aftettuosa commemorazione di Carlo Pascal, a cura della Se. zione milanese dell’ Atene e Roma, riguardano argomenti che interes<> contenta n, — APPUNTI E NOTIZIE 287 sano Il periodo romano della nostra storia locale, e tra essi sono alcune mote pubblicate in questo stesso Archivio. Il De Marchi studiò come nessun altro prima di lui le epigrafi romane di Milano, e coll’aiuto della sua profonda cultura classica ne trasse sprazzi di luce che illuminano la vita pubblica e privata milanese di quel tempo, sopperendo così alla scarsità di accenni da parte degli scrittori. Fuori degli studi epigrafici, si può citare come esempio di rigoroso metodo e di acuta visione la nota presentata all’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere sotto il titolo: A proposito della « Forma urbis Mediolani ». 2 La felicità dell’indagine si accoppiava nel De Marchi alla genialità della sintesi e dell’esposizione. Le due conferenze // Muricipio di Milano (Milano, 1897) e Passeggiata archeologica in Milano romana (Milano, 1912) sono quanto di meglio e nel tempo stesso di più piacevole a leggersi sia stato scritto sull’ argomento. Le note apposte alla prima di esse, sobrie e concise, oftrono agli studiosi un tesoro di osservazioni. E convien pure di ricordare la parte presa dal De Marchi nella questione, capitale per la storia di Milano romana, che riflette gli scavi di S. Lorenzo. Ma con Attilio De Marchi non è soltanto scomparso un dotto e geniale scrittore; Milano ha perduto in lui un eminente cittadino che, troppo serio o modesto per brigar uffici ed onori, se li vide spontanea. mente tributati dalla stima e dalla benevolenza che l’ingegno e la bontà gli avevano largamente procacciato presso i migliori. Quando il nostro compianto Presidente, prof. Novati, lasciò 1’ utficio di Preside- Rettore della Facoltà milanese cdi lettere e filosofia, 1 Colleghi chiamarono il De Marchi a sostituirlo ; e il modo con cui egli resse l’alto ufficio fu la più manifesta prova di quanto felice fosse stata la scelta. Lodatissime pure le sue iniziative come Presidente del Comitato milanese dell’ Atene e Roma, il cui Consiglio si appresta ora a pubblicare insieme a’ suoi commenti inediti a epigrafi di Milano romana, altri studi del De Marehi su argomenti di storia milanese: e renderà cosi un degno omaggio all’Estinto e un prezioso servigio ai nostri studi. (1) Agg. GoLci Camizto, Note commemorative sul prof. arch. Angelo Savoldi. Pavia, Marelli, 1916, con ritratto. Go ogle ATTI DELLA SOCIETA STORICA LOMBARDA ——————+6———_—————_—_—_— ld Adunanza generale ordinaria del giorno 20 giugno 1915. PRESIDENZA DEL PRESIDENTE prof. F. NOVATI. Presenti 20 soci. Si sono fatti rappresentare per delegazione i soci: prof. Giulia Cavallari Cantalamessa, conte F. Foucault de Daugnon, ing. A. Giussani, prof. Piero Magistretti, sac. prof. Giuseppe Molteni. dott. A. Nizzoli, prof. Bernardo Sanvisenti, ing. V. Tonni-Bazza. La seduta è aperta alle ore 14 colla lettura ed approvazione del processo verbale della precedente adunanza del 6 gennaio. Il Presidente, dopo aver ricordati i molti soci che non possono assistere all’adunanza perchè chiamati sotto le armi o partiti volontariamente per la guerra (maggiore V. Adami, conte Alessandro Casati, dott. Ugo Bassani, dott. Alessandro Visconti, prof. Felice Fossati, prof. G. Mira ed altri) esprime l’augurio che siano essi testimoni e partecipi di gloriose vicende € futuri storici di lungamente invocate fortune della nostra Patria. A_ nome della Presidenza propone che la Società Storica concorra colla somma di L. 500 alla sottoscrizione milanese per le famiglie dei soldati, proposta che l'assemblea con unanime plauso approva. Il Presidente rende quindi conto dei lavori sociali in corso (Indici della IV serie dell’Archkivio, Carteggio dei Verri, Repertorio Visconteo e Catalogo a stampa della Biblioteca sociale), i quali, compreso lo stesso Archivio Storico, subirono ritardi per le condizioni del momento, ma non vennero interrotti. Egli commemora i soci defunti: nob. Alessandro Litta Modignani, dott. Antonio Biagi di Cremona e comm. Emilio Silvestri, rilevandone i meriti che li rendevano cari al nostro sodalizio. Il socio Antonio Curti domanda all’assemblea se non sia il caso dì intervenire presso le competenti autorità, onde ottenere che si rinunzi al progetto di nuovi battesimi a vie e piazze di ricordi storici acquisiti. Risponde il Presidente, cui s’unisce il Vice-Presidente sen. Greppi, din n ATTI DELLA SOCIETA STORICA LOMBARDA 289 mostrando, allo stato delle cose, l’impossibilità di riuscita di nostri passi presso il Municipio, trovandoci di fronte a proposte già votate in Consiglio Comunale. La Presidenza terrà presente l’invito del socio Curti per future nuove designazioni storiche ed artistiche delle nostre vecchie contrade. Letto ed approvato il rapporto dei Revisori del Bilancio consuntivo per l’anno 1914, si elegge a nuovo socio il sac. dott. Giovanni Maria Stoppani in S. Pietro Martire. La seduta è sciolta alle ore 16. p. Il Presidente Ù E. GREPPI. Il Segretario E. MOTTA. (ERI Commemorazione del Presidente Prof. Francesco Novati. Domenica, 13 febbraio scorso, la Società Storica Lombarda si riuniva nella sua sede in Castello Sforzersco per commemorarvi il compianto suo Presidente, prof. comm. Francesco Novati. I soci intervennero numerosissimi, molti anche fra i non residenti a Milano. Erano rappresentati l’Istituto lombardo di scienze e lettere, la Società per PAlta Cultura, l'Accademia scientifico-letterrara, l’Archivio di Stato, le Biblioteche Ambrosiana e Braidenze, l'Archivio storico civico, i Musei del Risorgimento e d’Arte del Castello, la Societa bibliografica, l'Archivio di Stato di Brescia, ecc. Avevano scusato l’ assenza l’avv. Uberto Novati, fratello del commemorato, mons. Ratti, prefetto della Vaticana, il comm. Fumi, sopraintendente agli Archivi di Stato e molte altre cospicue personalità (1). Dopo che il Vice Segretario dott. Vittani ebbe comunicate le numerose adesioni, sorge a parlare il Vice Presidente senatore Emarnuele Greppi: (1) Fra le numerose lettere di condoglianza pervenute alla Società all’ atto della morte notiamo quelle di S. E. Paolo Boselli, presidente dell'Istituto storico italiano, della Deputazione di Storia patria per l' Umbria, dell’ Istituto di Studi Catalani di Barcellona, del Comitato Bergamasco della Dante Alighieri, dei senatori Facheris, Ponti e Sormani. Dal suo letto d’ infermo, quasi alla vigilia di seguirlo nella tomba, padre Fedele ‘Savio così scriveva, con mano tremante: Go ogle 290 ATTI DELLA SOCIETA STORICA LOMBARDA Vi sono momenti, sovratutto momenti di disgrazia, nei quali certe situazioni che parevano facili, semplici, si cangiano, ricordano doveri quasi dimenticati, impongono responsabilità. Tale sentimento, insieme al dolore per la perdita dell’illustre amico, ho provato quando ci venne inaspettato l’annuncio della morte di Francesco Novati.. Io tenevo da lunghi anni la carica di Vice-Presidente di questa Società, ma tale carica mi pareva piuttosto un dono gratuito dovuto alla squisita cortesia dei socii e dei colleghi del Consiglio, anzichè un ufficio onorevole, ma con corrispondenti speciali doveri. Senonchè improvvisamente sparisce la figura principale della nostra Società e l’altro illustre collega, il Vice-Presidente Monsignar Achille Ratti trovasi ora impegnato nell’ ufficio eminente di Bibliotecario della Vaticana, onde a me rimase il dovere di comfhemorare colui che abbiamo perduto; dovere non facile anche a persone più competenti di me, perchè richiederebbe un apprezzamento della vastissima opera sua, la rievocazione della sua nobile figura sotto i molteplici aspetti della sua vita e della sua attività. Fortunatamente però egli ebbe, vivo e morto, dei valentissimi estimatori che dissero egregiamente di lui, primo fra tutti Henry Cochin nel bellissimo studio che pose come prefazione alla Bibliogratia degli Scritti del Novati, pubblicata nel 1908 dopo le solenni onoranze che gli erano state rese in occasione del compimento del suo venticinquesimo anno di insegnamento universitario, poi, nei giorni che seguirono alla morte, Michele Scherillo nel Corriere della Sera, Pio Rajna nel Marzocco, Giuseppe Bonelli nel Cittadino di Brescia, Mario Borsa nel Secolo, Annibale Grasselli nella Provincia di Cremona (1). Finalmente i colleghi del Consiglio Motta, Bognetti e Giulini vollero completar le notizie e prepararmi « Nessuna notizia [più dolorosa] dopo quella delle perdite del Prof. Renier, ed ora dell’ insigne Presidente Prof. Novati mi poteva giungere alla fine di questo travagliato anno 1915, nel quale anch'io pago il mio tributo stando a letto da sei mesi, « ]l Prof. Novati era una illustrazione della scienza ed una persona compitissima. Chiunque l'abbia conosciuto ed avvicinato lo ricorderà sempre con grata e cara memoria. La prego di far presente ai Soci questi miei sentimenti, e ai Soci e alla Famiglia le mie condoglianze », (1) Oltre ai sopracitati, ma senza la pretesa di offrire un elenco completo di quanti scrissero ricordando nelle diverse riviste il nostro Presidente, citiamo. qui gli affettuosi ricordi del Cian nella Nuova .4ntologia, del Celoria e dello Zuccante nei Rendiconti dell'Istituto Lombardo, del Comandini nell' Illustrazione italiana, del Dejbb nella Revue critique d'histoire, del D’Ovidio nei Rendiconti dell Accademia dei Lincei, del Fermi nel Bollettino storico piacentino, del Levi. nella Rivista d’Italia, del Malaguzzi nella Rassegna d’ arte, del Nicodemi in Pagine d'arte, del De Nolhac (Parigi), del Rossi nel Fanfulla della domenica e dello. Zingarelli. Lo ricordarono inoltre }’ Archivio storico di Lodi, il Bollettino mensile municipale di Milano, l’Emporium di Bergamo, il Bollettino delle pubblicazion italiane di Firenze, il Polybiblion di Parigi e s' intende il Giornale storico della (O ogle ì ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA | 291 anche quanto apparentemente sembra desunto dal lavoro degli altri; ma fra questi il Conte Alessandro Giulini fece ancora di più, disponendo egli stesso un resoconto dell’opera storica del Novati risguardante la Lombardia che fra brevi momenti avrete il piacere di udire da lui. Valendomi pertanto del concorso di tutti questi benemeriti amici del compianto nostro Presidente io assolverò in quel miglior modo che mi sarà possibile il compito mio, confortandomi anche il pensiero che il largo uso di citazioni, corrisponde al metodo di esposizione che il Novati prediligeva. « Francesco Novati » dunque, scrive Pio Rajna nel Marzocco del 2 gennaio, e era nato negli agi di una famiglia ragguardevole a Cremona il 10 gennaio 1859. e Il padre, uomo degno e assennato, amante delle belle arti e buon pittore di- « lettante egli stesso, curò molto la educazione dei figliuoli, Francesco e il mi- « nore fratello Uberto che ora rimane a piangere amarissime lacrime. Compiuti « in patria gli studî secondari, Francesco, che si sentiva chiamato alle lettere, « deliberò dii andare a Pisa. Ve lo dovette attrarre la vivida luce che irradiava c il D'Ancona. E del D'Ancona egli fu subito scolaro quanto mai devoto, presto e guadagnandosene una stima e un affetto durato poco meno di quarant'anni ». Del D'Ancona, aggiunge lo Scherillo, « conquistò la benevolenza che cie venne ben presto preferenza »; e Annibale Grasselli ricorda come in lui il Novati ravvisasse più che un maestro un padre, tantochè commemorandolo l'anno scorso a Milano dicesse: e non è il professore che onora un collega defunto, ma « il giovinetto venuto da Lombardia, che rievoca con affetto di figlio colui che « aveva saputo guidarne i primi passi. » Della sua aggregazione giovanissimo al corpo dei professori universitari «i ha narrato il Rajna: « Credo » egli scrive « che appunto nel 1881 mi sia accaduto di conoscerlo. « Ci avvicinò la venuta a Milano del comune maestro d’Ancona: giacchè a M*- « lano il Novati adempiva come volontario di un anno gli obblighi del servizio « militare. L’° avvicinamento portò conseguenze. Quando nel 1883 l'Accademia « milanese doveva provvedere alla cattedra di storia comparata della letteratura « neo-latina, che io lasciava per venire a Firenze, l’amico e collega Coen mi « fece pensare al Novati ed io richiamai su di lui gli occhi del Presice “el « l'Accademia, l’ottimo Vigilio Inama ». La singolarità del caso, di un volontario di un anno che impone tanta stima ad un provetto ed illustre professore, da farlo ritenere poco tempo dopo, per le reminiscenze dei giorni insieme passati, il più atto a succedergli in una cattedra, si spiega altresi col valore delle pubblicazioni che rendevano già a-prezzato il letteratura italiana che continua ora le sue pubblicazioni, diretto dal prcî. Egidio Gorra, mantenendo immutati il carattere e l'indirizzo impressogli dal Novati e dal Renier. È poi da augurarsi che sia dato presto alle stampe il discorso del prof. Alfredo Galletti detto nella solenne commemorazione indetta în Cremona al 21 maggio scorso da quel Municipio, ed alla quale la nostra Sccietà era rappresec= tata dal Presidente E. Greppi e dal Vice Presidente-conte A. Giuhni. Go ogle 242 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA nome del giovane Novati, prima che indossasse il modesto uniforme di soldato volontario. , Sedici ne ho contate che portano una data non posteriore al 1880 e che pertanto furono pensate e scritte durante la minore età. Fra di esse tre pubblicazioni intorno ad Aristofane, che, a giudizio dello stesso Rajua, bastavano per poterlo additare ad nna cattedra di letteratura Greca; e il primo lavoro dedicato al nostro Archivio Storico, l'obituarium ecclesiae cremonensis riportato in tre dei nostri fascicoli, indice già del metodo che il Novati doveva seguire per tutta la vita; abbondanza cioè straordinaria di ricerche e specialmente di notizie biogratiche, su tutte le persone menzionate nel documento. Ma lo Scherillo rammenta altresi un lavoro originalissimo, che non fu pubblicato e che data proprio dalla sua adolescenza, e cioè dal novembre 1876. — Aveva scelto » egli narra @ per un lavoretto di scuola un tema che a molti giovani non sarebbe riuscito attraente: illustrare cioè quella corona di sessanta gemme che Dino Compagni, o chi altri sia l’autore del poema dugentesco dell'Intelligenza, pone sul capo di Madonna. Le virtù delle Pietre, secondo quanto raccontava lo stesso Novati, descritte con tanta predilezione da autori Greci, Arabi, Latini avevsno già solleticata la sua curiosità giovanile ed egli volle approfondir l'argomento ». Tanta precoce varietà di coltura e di azione era forse parsa sino eccessiva al Rajna e soltanto da questa esuberanza aveva tratto qualche motivo di esitazione prima di proporlo a suo successore; e ma » continua lo stesso Rajna, « si « traeva su di lui una cambiale, si poteva trarre con fiducia, e il fatto lo mo- « strò. Che non tardasse a mostrarlo non bastò tuttavia perchè, dopo tre anni « di incarico, gli fosse risparmiata la necessità di uno straordinariato triennale « a Palermo e quindi di uno biennale a Genova. Solo dopo queste prove il Novati fu restituito a Milano e all'Accademia. E di Milano non tardò molto ad apparire uno dei cittadini più cospicui per tutto ciò che concerne la vita dello spirito ». E della vita dello spirito parlano di preferenza i biografi suoi, primo fra essi Enrico Cochin. « Il suo ragicnamento » egli scrive « è sempre alto e largo. « Egli diffida di una critica eccessivamente negativa e del dubbio troppo siste- « matico; ma egli ha grandemente contribuito in Italia alla prevalenza della « critica storica sopra la critica puramente estetica negli studî che risguardano « la storia della intelligenza. La critica della letteratura ha fatto il suo tempo. « Essa ha fondato troppo spesso i suoi ragionamenti sopra cose che non si co- « noscevano e cioè sul nulla. Il giudizio estetico non si può sostenere che ap- « poggiato ad una solida base storica. Questo principio è specialmente necessario « quando si tratta di intendere gli autori italiani della grande epoca, perchè « questa grande epoca è ancora, se mi è permesso dirlo, una età paleografica. « Stabilire i testi, secondo i buoni metodi, è oggi il primo dovere per chi si « attenta di conoscere Dante, Petrarca e gli altri, di giudicarli ed anche per « chi si attenta di amazrli. « La scienza, dicevasi un tempo in linguaggio scolastico, è principio di amore, «e e come mai si amerebbe ciò che non si conosce? « I principi che enumero non sono di proprietà esclusiva del Novati, ma A RA An R _aA a l ATTI DELLA SUCIETÀ STORICA LOMBARDA 293 « egli li abbraccia e li professa con una energia e con una libertà che gli sono « personali. Egli è senza timore e senza pietà nel demolire i pregiudizi, nello « smascherare quelle parole fatte, quelle frasi convenzionali che, trasmesse di « generazione in generazione, non servono ordinariamente che a perpetuare una « ignoranza od una menzogna ». Nè meno felice nel sintetizzare la figura intellettuale è un suo fedele discepolo, il Bonelli: « Scompare con lui la persona, a mio avviso, più rappresenta- « tiva degli studî letterari, storici ed eruditi italiani, poichè se altri vive che « attinse più alta sfera nella concezione speculativa del pensiero letterario e filo» « sofico, mi pare che il Novati per la stessa relativa modestia della sua azione « scientifica abbia migliore il merito di aver reso più largamente stimati e pre- « giati gli studi e le ricerche d’erudizione ». ' Questi studi, queste ricerche sono enumerati nella bibliografia dei suoi scritti, pubblicata, come si disse, all’epoca del suo giubileo universitario, A tntto il 1908 dunque erano già almeno quattrocentoventi, e fra di essi prevale d’assai la letteratura italiana che comprende ben centosessantacinque numeri, i quali, senza che nessun secolo sia omesso, ci conducono dal periodo delle origini all'ottocento. « In tutti », scrive il Bonelli, « anche materiali in apparenza inconditi e meno « degni di studio diventavano pregevoli sotto la sua trattazione, perchè, scopren- “ done egli i rapporti con altre manifestazioni della coltura, erano sprazzi di « nuova luce che egli ne ritraeva, a chiarire origini, vicende, atteggiamenti del « pensiero antico >». Dì questi suci scritti il Cochin ricorda alcuni con quel garbo, con quella finezza, con quell’affetto misurato, ma tenero che i francesi sanno ancora portare nelle loro manifestazioni. « Quando per esempio » egli scrive « il Novati mi « presenta a Paolino d’Aquileia mi sembra di non avere davanti a me un uomo « sconosciuto, ma uno di quegli amici che si vedono raramente, ma che però, « quando se ne presenta l’occasione, si ha un gran piacere di incontrare ». « E più ‘ancora, mentre io vado leggendo i grossi volumi dell’epistolario di « Coluccio Salutati, l’opera sua veramente monumentale, mi sembra che le re- « lazioni più cordiali si stabiliscano fra me e lui. Io lo vedo non soltanto come « un politico abile e discreto della fiorita Firenze, ma lo vedo in tutta intimità, « quasi in veste da camera, quale ce lo presenta una sua miniatura un poco « sbiadita: vecchio lavoratore appassionato, con un manoscritto fra le mani, col a dorso curvo dalla età, coi piedi entro le pantofole, colle ginocchia distorte. Egli e è là, e presso di lui sono tutti coloro che egli ha conosciuto, i suoi amici, i € suoi corrispondenti, i politici, gli eruditi, gli scettici gaudenti che a lui soprav- « viveranno, i monaci spaventati dal movimento pagano che travolge l'umanità. » lo mi sentirei trascinato a continuare in queste suggestive citazioni, ma l'esame delle sue opere è impresa troppo vasta per una conferenza, fosse pure di persona competentissima; mentre invece la nostra Società potrebbe vagheggiare di chiamare i più degni di interpretarne il pensiero ad una etticace collavorazione, affinchè ciascuno ne dica per quella parte in cui a lui si sente più affine. Così si potrebbe fare per lui quell'opera di risurrezione che tanto egregiamente gli era riuscita per l'umanista Coluccio Salutati. Non posso però trascurare uno dei suoi ultimi lavori, un lavoro in cui, Arch. Stor. Lomb. Anno XLIII, Fasc. I-II. 19 A 294 ATTI DELLA SOCIETA STORICA LUMBARDA quasi per contrasto, il mio nome è aggiunto al suo, sebbene io non vi abbiz avuto altra parte se non di indicare ai Conti Sormani, dopo una sommaria ispezione che essi gentilmente mi affidarono, il Novati quale l'uomo più indicato per illustrare la corrispondenza di Pietro e di Alessandro Verri, integralmente conservata nell'archivio della madre, ultima rappresentante della storica stirpe. Di questa corrispondenza egli aveva già pubblicato due volumi ed era quasi pronto il terzo, ma pur troppo la sua morte crescerà le difficoltà della continuazione, ed impedirà che le note illustrative raggiungano l'ampiezza e il valore di quelle da lui apposte sinora. Tuttavia questa impresa non dovra essere abbandonata, poichè trattasi della più bella corrispondenza che manifesti il pensiero italiano nell’epoca di transizione e di contrasto fra le vecchie idee e le moderne, proprio quando si va preparando e poi divampa la rivoluzione francese. Rappresentatevi due fratelli di grande ingegno che il caso pone ai due poli della civiltà italiana del settecento, l'uno a Milano fervida di idee nuove politiche e sociali, l’altro a Roma sublime centro della tradizione. Essi si sono lasciati con una assoluta comunione di aspirazioni e di giudizi, ma poi, sotto la pressione dell'ambiente, l’uno di essi, Alessandro, va divergendo, pur conservando identità fondamentale di pensiero. I due fratelli nelle dispute e negli accordi si possono paragonare alle onde del mare che ora'si rizzano di fronte cozzando, ora si confondono per battere insieme ritmicamente la sponda; e questi fratelli parlano di tutto, della politica generale, della economia cittadina, delle vicende domestiche, della purezza e della adattabilità della lingua italiana, dei più bei libri del giorno ed anche di autori più antichi come lo Shakspeare, che si andava allora esumando ; degli spettacoli teatrali, degli incidenti di Corte e di Società; di moltissime persone e fra esse delle più note, delle più celebri anche ai giorni nostri. Questo mondo già per sè stesso interessantissimo nella lettura della corrispondenza, era fatto rivivere, era completato, ingrandito per mezzo delle note apposte dal Novati con una precisione, una acutezza, pari, anzi superiore alla r:- surrezione del mondo umanista, da lui evocata nelle Lettere del Salutati. Nei primordi di tale pubblicazione io poi ebbi particolarmente occasione di apprezzare la meravigliosa agilità del Novati. I personaggi secondari, che non appartenevano alle lettere, gli erano poco conosciuti, eppure se ne impadroni in brevissimo tempo, tantochè gli divennero famigliari, onde quel mondo di funzionari, di finanzieri, di dame e di gentiluomini pareva diventato il suo. Che fortuna, io dicevo, l'andare a scuola da lui, ma l'allievo ebbe poche lezioni e ne trasse poco profitto. Ben maggiore profitto ne trassero i veri suoi allievi. Uno di essi, il Borsa, lo ricordò specialmente sotto questo aspetto nella commemorazione fattane nel Secolo del 28 dicembre. « Ma sovratutto » egli scrive «€ va ricordata con rico- « noscenza la sua lunga opera di insegnante amoroso; della quale rimane e rimarrà il segno sensibile nella istituzione che prese il suo nome. Quando nel 1908 vollero celebrare il venticinquesimo anniversario del suo insegnamento universitario ì suoi allievi dettero alla celebrazione una forma più cara e più simpatica di quella consueta della Miscellanea; vollero che la celebrazione si legasse in modo particolare a questa città nella quale trascorse il più e il mef LAglio della sua vita e che vi avessero parte principalissima gli studenti nel preGo ogle di _ ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 295 « sente e nel futuro. Cosi istituirono un premio da decretarsi ouni anno allo « studente che abbia fatta la prova migliore nel campo degli studi medio-evali, e il premio Novati. » Ed un altro dei suoi discepoli, il Bonelli, con affetto profondo ce lo rappresenta amoroso collaboratore dei suoi allievi, pronto a rivederne e sorvegliarne le pubblicagioni come fossero sue proprie. « Come insegnante » egli aggiunge « fu un direttore di coscienza, quanto un direttore di studi, un giudice singo- « larmente abile in discernere nei suoi allievi ciò che li rendeva più atti a cole laborare nell'opera comune, un potente avviatore di intelletti che a ciascuno rivelava la sua vocazione coi modi migliori di utilizzare i propri sforzi, e « l'amico affettuoso di coloro che sentiva degni della sua stima e confidenza. » Sentimenti egualmente forti di riconoscenza e di affetto ha destato in noi, Soci della Società Storica, suoi compagni nel Consiglio direttivo. Noi non vorrenmo disputare se maggiore fosse la sua devozione all'insegnamento o alla nostra Società, ma sappiamo per certo che a questa dedi. ò tutta la sua energia, tuito il suo fervore, tutto il suo ingegno affinchè le nostre pubblicazioni fossero monde di ogni anche leggiero difetto. Ben disse il Bonelli che non una riga si pubbiicava senza la sua revisione. Nel suo primo discorso presidenziale tenuto il 28 gennaio 1900, esponendo scbriamente un programma, così si esprimeva: « Io +: dirò quanto tenace ed incrollabile sia il proposito mio di fare tutto quello 3 che sarà in mio potere perchè la Società nostra proceda con passo sempre più « franco e spedito per la via finora battuta, mantenendo intatta quella fama di < serietà e di dottrina che ha saputo guadagnarsi per tutto quanto concerne le e storiche discipline. » E mai promessa fu più seriamente mantenuta pel non breve periodo di sedici anni, ma io, profano, per spiegarvi più chiaramente l’indirizzo dato alle nostre pubblicazioni, in mancanza di una formola o di un paragone più conveniente i dirò che fra l'indirizzo storico dato da lui ed altri pur non indegni di essere apprezzati, eravi la differenza che passa fra la manifattura inglese e la tedesca. Egli si preoccupava cioè più della intrinseca bontà dell'oggetto che del gusto degli avventori. Per prodotti secondari made in Germany egli era anzi sin troppo spietato. Per continuare però nel paragone commerciale io vi dirò che, nonostante la sua rigidità, sapeva fare ottimi affari. Il numero dei soci nel 1899 era di 225; sali nel 1914 a 381. Le entrate sociali nellò stesso periodo crebbero da L. 7024 a LL 10703; e il patrimonio da L. 8998 a L. 21221, pur dedicando circa quindici mille lire a pubblicazioni non strettamente obbligatorie in base allo Statuto sociale; ma la prosperità della gestione economica, oltrecchè dal maggiore contributo dei soci, fu determinata da cospicue donazioni, principalissime quelle ripetute dal Lattes per la pubblicazione del Repertorio Visconteo, le quali furono particolarmente dovute alla grande stima personale che l'illustre donatore aveva pel nostro Presidente. E parimenti, a render possibili pubblicazioni di valore scientifico, ma di difficile smercio concorrevano l'abilità sua nello stipular contratti cogli editori, la deferenza di questi verso di lui, il valore del suo nome, la fama della svia coscienziosità. Go ogle 296 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA Tanta era infatti la fiducia, che pubblicazioni, anche non sue, ma da lui patrocinate venivano senza esitazione acquistate dalle biblioteche e dagli istituti storici nazionali e stranieri, poichè i loro direttori non pensavano aver bisogno di altre indagini per convincersi che un’ opera, anche costosa, da lui raccomandata era veramente degna di figurare nel loro catalogo. Una biblioteca degnissima diventò pure quella della nostra Società che crebbe assai pel cambio con numerosissime riviste d’ogni paese e per cospicue donazioni, molte delle quali dovute alla sua generosità, e per qualche giudizioso acquisto. Egli amava il libro e insisteva perchè se ne curasse la conservazione materiale mediante opportune rilegature e perchè, mediante le indicazioni di un buon catalogo, se ne diffondesse più facilmente la vita spirituale. Grazie dunque alle sue premure accorsero numerosi alla nostra biblioteca gli studiosi della storia, tanto più che la Società ha saputo prima conservare la magnifica sede nella Rocchetta che precedentemente le era stata accordata dal Comune, poi cambiarla vantaggiosamente coll’ altra nostra sede attuale quando le insistenze dei Musei cittadini mettevano in pericolo Ja proroga della concessicne. . Le nostre sale risuonarono specialmente della voce del nostro Presidente, le cui relazioni, le cui commemorazioni anche in occasione delle assemblee ordinarie assurgevano a dignità di conferenza; ma furono più volte aperte anche ad estranei ed affollate per vere e proprie speciali conferenze, come quando egli ci descrisse il crocchio letterario di casa Agudio o quando egli ottenne che ci intrattenessero il D'Ovidio, il Luzio, il Daugnon. Oltre alle pubblicazioni dell’ Archivie Storico e ai suoi perfetti indici sistematici, la nostra Società pubblicò sotto la sua Presidenza il Repertorio Visconteo e due nuovi volumi della Biblioteca Historica italica, le relazioni cioè fra Verona e Mantova nel secolo XIII; e il volume dello Zanoni sugli Umiliati in Lombardia. Poi, cogliendo la opportunità delle circostanze, ci procurò altresi un volume: Roma e la Lombardia offerto al Congresso Storico di Roma nel 1903, e un volume miscellaneo: Petrarca e la Lombardia, edito nel 1904 pel centenario petrarchesco. L’attività sua come Presidente della Società Storica, non essendo che un'appendice al suo grande Javoro personale come scrittore e come erudito, e alle sue cure di insegnante avrebbe dovuto esaurire quel poco di tempo che le altre sue occupazioni gli lasciavano, eppure il nostro Archivio Storico non era che una, sebbene la prima, delle molte Riviste alla cui direzione egli si dedicava. Le ricorda, sebbene forse incompletamente lo Scherillo: e Non è ancora un anno » egli scrive « che, con abnegazione assunse da solo la direzione del Giornale storico della letteratura italiana, che aveva fondato in compagnia del Renier e del Graf fin dal 1883. Il Graf, precocemente stanco, aveva, parecchi anni prima dalla sua morte, lasciato per via i suoi due alacri collaboratori: e il povero Renier cadde sul lavoro. E il Novati continuò da solo il cammino non ostante avesse sulle spalle, oltre il nostro Archivio Storico, anche la direzione de I! Libro e la Stampa, organo della società bibliografica. Ogni lavoro di quel genere lo allettava e conquistava; ed egli era quasi incapace di resistere. E così diresse quella Biblioteca storica italiana che dal 1892 si venne via via ristampando a Bergamo dall'Istituto Italiano di Arti Grafiche, che ebbe in lui un consigliere e f A£A A a un collaboratore efficacissimo, e quella collezione Novati di codici manoscritti Go ogle ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 297 « e di stampati con miniature e disegni, riprodotti a fac-simile, anch'essa edita « dall'Istituto bergamasco;. e quegli Studi medievali, preziosa raccolta di scritti « suoi ed altrui, cominciata nel 1904 e continuata fino a qualche anno fa. » Eppure egli non sembrava accasciato dal lavoro, non sembrava un asceta della erudizione, aveva anzi apparenza ed abitudini piuttosto mondane. Già aveva notato il D'Ancona fin dai tempi di Pisa, come il più laborioso dei suoi discepoli fosse in pari tempo senza confronto il più elegante. « Aitante dalla persona », ce lo dipinge esattamente il Bonelli, « ricordava « quella di un gran Lord inglese, spirito vivace trovava tempo a tutto. Parteci- « pava con genio ai divertimenti mondani, ai convegni dell’alta società, facendo « meravigliare come nelle molte e multiformi imprese di studio riuscisse anche < a trovar l’ora di presentarsi nei teatri e nei salotti con sì distinta signorilità « da sembrarvi più un arbiter elegantiarum che un professionista dell'ingegno. » Il segreto di così meravigliosa operosità sta forse nel sacrificio occulto del più dolce dei riposi, del sonno. A mezzanotte infatti lo si vedeva ancora nelle società e nei teatri, ma i più ignoravano che prima dell’aurora, fra le cinque e le sei, lasciava il letto, indossava la veste da camera e per ben cinque ore lavorava raccolto, indisturbato. Quando si avvicinava il meriggio Faust, senza bisogno di un Mefistofele, mutava le vesti, entrava nella vita comune, la quale, pure essendo operosissima, differiva meno da quella che facciamo anche noi. Con un raggruppamento di citazioni io ho finora procurato di rappresentarvi Francesco Novati nelle sue svariate attitudini, e tuttavia noi profani, più esigenti forse dei dotti, non ci arrestiamo alla analisi, pretendiamo la sintesi e la sintesi parve a me rivelata dal titolo di uno de’ suoi libri più belli, dell'ultimo: Stendhal c l’anima italiana. L'anima italiana, io mi dissi, ecco quanto il Novati cercava, sia nei documenti dei secoli, sia nel contatto colla vita sociale contemporanea. Io però non avrei osato intrattenervene, se la guida fedele, il Cochin profondo conoscitore dell'amico, non esprimesse egli stesso questo giudizio: e Ciò che ammiro in lui » egli dice « è l’unità del suo sforzo ». « Io riconosco dal principio alla fine l’unità « della linea che egli ha seguita ». E questa unità egli dimostra con quel modo dolcemente persuasivo che gli è proprio, ma che forse può riassumersi in tre brevi citazioni, che rappresentano non soltanto il concetto fondamentale, ma anche il suo progressivo sviluppo. « La materia del Novati è la storia del pensiero dei popoli e in modo par- « ticolare la storia del pensiero latino. « Ciò che egli vorrebbe conoscere, sebbene riesca assai difficile osservare, è « l'anima del popolo ». : « Ma verrà poi un momento in cui gli uomini, dei quali egli cerca di co- « noscere il pensiero e la vita, si distingueranno gli uni dagli altri dinnanzi ai « suoi occhi per qualche carattere lor particolare, o, se vi piace meglio, per e qualche loro colore. Allora rimaniamo ancora nella filosofia, ma la poesia non « è lontana ». Quest'ultima forma, la forima biografica, era sempre stata nelle predilezioni del Novati, ma andava particolarmente affermandosi negli ultimi anni e tale sua predilezione lo avvinse di grande simpatia ad uno scrittore molto diverso da lui, per l’esattezza delle affermazioni, lo Stendhal. . Go ogle 298 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA La teoria dello Stendhal infatti si accordava coi suoi sentimenti in quanto poneva a base delle grandezze e delle miserie d'Italia-lo sviluppo eccezionalmente potente delle singole individualità. Fra i molti passi dello Stendhal che nel libro a lui dedicato, il Novati traduce e commenta riferirò questo soltanto: e Le arti hanno bisogno per sorgere e per fiorire di una temperie diversa da quella che suole promuovere il benessere e la felicità delle nazioni. L'impero della legge, che dà modo a tutti di esplicare liberamente i proprii diritti pone ostacolo allo sviluppo delle individualità e raffrena le passioni. Ora se queste si indeboliscono, se l'essenza diminuisce, anche le arti che dalle passioni traggono il loro alimento precipuo, sono fatalmente condotte a decadere ». Queste parole dello Stendhal s’accordano con un giudizio del Cochin sul programma biografico del Novati. Di lui infatti egli dice: « Egli si occupa del- « l'uomo del passato semplicemente perchè è uomo, senza pregiudicare il suo spirito colle differenze di costumi, di opinioni che possono eccitare o distogliere la sua simpatia. Egli parte dal principio che la vita di un uomo, quali che siano le apparenze, non può essere cosa assurda o antiumana. Egli accontentasi dunque di osservare e di annotare, semplicemente, onestamente ». C'era dunque armonia prestabilita fra lo Stendhal e il Novati, e per questo il critico, ordinariamente severo, mostrasi molto indulgente, troppo anzi a giudizio di alcuni, per le teorie dell'amico. Il critico infatti che del libro sullo Stendhal trattò nel Marzocco del 9 gennaio, pur riconoscendo che la difesa è condotta in modo superiore a quella di qualsiasi altro apologista, con dottrina e con temperanza pari all’ingegno del “compianto nostro Novati, ritiene però che essa faccia ancora una parte troppo bella alle bizzarrie dell’autore, poichè non ammette, come il Novati pur misuratamente acconsente, che vi sia seria analogia fra gli spiriti cinquecenteschi e le passioni italiane del tempo in cui essa preparava il proprio risorgimento. Non si può invece negare che il Novati, citando per esempio, opportunamente una pagina del biografo di Felice Orsini sul carattere di costui ed in geriere sul carattere dei cospiratori italiani, non produca qualche serio argomento in favore della teoria dello Stendhal accettata da lui, ma il suo critico gli oppose che Alessandro Manzoni, il quale ha pure diritto di essere considerato come un rappresentante nella stessa epoca dell’ anima italiana, costituisce una figura diametralmente opposta a quella di Felice Orsini. E sta bene, sta bene forse anche che il Novati avrebbe dovuto più chiaramente ricordare che il tipo italiano, con tanta arte ritratto dallo Stendhal, non era l’unico tipo che offrisse la nostra stirpe, nè in tempi remoti, nè, tanto meno in quello a noi più vicini, ma questo, pur con una certa concisione, il Novati stesso riconosceva e proprio nella conclusione del suo libro, dicendo: e Nè io voglio pur così scrivendo dichiarare che la teoria enunziata dal Bevle intorno alla genesi ed allo sviluppo del Rinascimento sia in ogni parte origina'e, nè, tanto meno da accoglierla senza opposizioni, chè sarebbe un errore. Ma non è possibile negare che egli per il primo ha saputo mettere in evidenza, dando loro il giusto peso, valori morali e sociali sino allora negletti o misconosciuti ». Aa _RRÈ2 A A A aR_ RR "“'A a A Go ogle ATTI DELLA SOCIETA STORICA LOMBARDA 299 Lo Stendhal, dice poi il Novati, appoggiato alla autorità del Sainte-Beuve, è un eccitatore di idee, e per questo gli fu caro, in quanto riusciva a stimolare lui stesso nel dar vita e anima all'immenso materiale di dottrine che andava accumulando. Stimolatore di idee riesce a me stesso, in questo momento in cui il nostro pensiero fatica a trattenersi sovra altre cose che non siano le sorti delle nostre armi con tanta abnegazione, con tanta persistenza adoperate alle porte d'Italia, su quegli aspri monti di confine che andiamo conquistando. E lo stimolo viene da una postilla, di mano dello Stendhal, riferita dal Novati, perchè la trovò apposta all’esemplare della Storia della Pittura în Italia del Lanzi, della quale lo Stendhal si era servito e che il Novati aveva poi acquistato, per aggiungerla a quella squisita suppellettile letteraria ed artistica che lo circondava nella elegante solitudine della sua dimora, popolata di pensieri e di ricordi Nella postilla lo Stendhal designa coloro che molte volte aveva chiamato gli Happy few. i pochi felici, cioè quella minoranza eletta che sola egli avrebbe voltto giudice dei suoi scritti, argomento e tema delle sue osservazioni. « Gli Happy few » egli scrive, « che sentono le arti si trovano soltanto in « quella parte del pubblico che ha meno di trentacinque anni, più di cento Luigi , e di rendita, meno di ventimille Lire e che non possiede la croce di Cavaliere ». Certamente l'originale designazione di una classe privilegiata dello spirito entro i limiti tracciati dall'autore, pecca come sempre, di paradosso e di esclusivismo, eppure la classe così determinata ci fa pensare ad una classe quasi analoga che si distingue non tanto per l’amor delle arti, quanto per un intelligente amor della Patria; e cioè ai nostri valorosi giovani ufficiali dell’esercito attivo, e agli ufficiali, che erano detti ufficiali in congedo, di complemento o della territoriale, ma che ora sostengono tanta parte delle fatiche di guerra. La maggior parte di questi ultimi erano professionisti, impiegati, imprenditori, negozianti che lavoravano faticosamente a formarsi una posizione. L' incipiente loro agiatezza fu gravemente compromessa pel disordine portato ai loro affari dalla chiamata in servizio di guerra. Eguali per educazione, per aspirazioni a compagni a loro superiori per condizione di fortuna; dalla delusione di qualche loro aspirazione, dalla constatazione di qualche ingiustizia a loro danno per opera diretta o indiretta dello stesso nostro Governo, avrebbero potuto trarre motivo di tiepidezza per la causa delle istituzioni e della Patria. Eppure esssi furono i più pronti, i più entusiasti al pericolo e al sacrificio. Le membra, un poco intorpidite dal lavoro sedentario, si snodarono energicamente nelle fatiche del campo, la razionale disciplina delle aziende industriali adattossi alla più rigida disciplina militare, ma infuse in essa qualche cosa di meno meccanico, di più personale. Appresero rapidamente le particolarità del servizio di reggimento e di guerra, mentre infusero nuovo vigore agli ordinamenti logistici, trasfondendo in essi quella esperienza pratica, quelle. iniziative che si imparano nell'esercizio delle professioni, della industria e del commercio. I nuovi ufficiali oramai rivaleggiano coi vecchi per intelligenza, per valore, per sentimento d’onore, per sollecitudine verso i propri soldati; e da questi, al pari dei vecchi ufficiali, sono contraccambiati con un amore, con una divozione illimitata. LO ogle 300 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA Non contradirebbe certo il Novati a questa mia illazione da una postilla provvidenzialmente pervenutagli sopra un libro prezioso. Nè si sarebbe arrestato alla obbiezione che parrebbe quasi ironia chiamare: happy few coloro che per la guerra hanno incontrato i maggiori sacrificii, hanno lasciato le tamiglie nel maggior disagio, sono esposti più degli altri ai colpi del nemico, alla mutilazione, ‘alla morte. Happy few nello intendimento dello Stendhal erano coloro che, anche per una forzata sobrietà di soddisfazioni materiali, trovano nella vita dello spirito, nella nobiltà della coscienza un compenso ai più misurati favori della fortuna; ma l’antico appassionato interprete degli umanisti sarebbe anche tornato in comunione con loro, pensando con quanto calore, con quanta enfasi, sulle tombe dei nostri caduti avrebbero esclamato: Dulce et decorum est pro patria mori. Questo sentimento, questo pensiero che va fuori dai confini segnati, non è però estraneo alla nobile, alla patriottica figura del Novati; lo ha espresso egli stesso nella dedica al Cochin del suo libro sullo Stendhal. Questa dedica è scritta così: « Ad | Henry Cachin | elettissima tempra | di scrittore di cittadino | con l'affetto antico | fiammeggiante più vivo | oggi che nell'atroce duello | contro l'eterno nemico | Francia ed Italia | rinsaldano | la fraternità indefettibile ». . Confondiamo dunque pure il dolore nostro presente al dolore pei morti nostri sul campo, confondiamo pure l'affetto nostro per gli studiosi e pei guerrieri: appartengono tutti ad una Italia che opera, che soffre, che crede. L’ Assemblea, dopo aver ascoltato con religiosa attenzione il discorso del senatore Greppi ne accoglie la chiusa con un lungo, commosso applauso. Prende poi la parola il Consigliere conte Alessandro Giulini per considerare il prof. Novati quale cultore della storia lombarda e nella multiforme attività come presidente della Società Storica : È con animo davvero trepidante ch'io prendo la parola: dire di Francesco Novati e dirne degnamente non è impresa che si convenga alla modestia delle mie forze, e, se raccolgo l'invito cortese (che per me è un comando) dell’ illustre vice-presidente, il quale assai più autorevolmente vi avrebbe potuto intrattenere sull’ arduo argomento, attribuitelo, piuttosto che a temerità, alla fiducia vivissima ch'io nutro nel vostro benevole compatimento. Consentitemi dunque d’intrattenervi alquanto nel considerare il Novati quale cultore della nostra storia locale e nella sua multiforme attività come presidente del nostro Sodalizio. Era ancora giovinetto e fin d'allora (è Egli stesso che ce lo dice nell’affettuosa necrologia del suo grande maestro, il D'Ancona) curioso di carte vecchie frugava e rifrugava da cima a fondo le raccolte documentarie della sua Cremona e la collezione di libri e di manoscritti adunati dal Robolotti, e, mentre i coetanei suoi davansi agli spassi propri dell'adolescenza, Egli non dimentico, anzi animato da tenerissimo affetto pel piccolo nido, ove era venuto crescendo, rie ATTI DELLA SOCIETA STORICA LOMBARDA 301 vocava intorno a sè le ombre dei padri e degli avi remcti a celebrarne a domestica facta ». A quest'epoca va ascritta la sua eccellente monografia intorno a Domenico Bordigallo ed alla sua Cronica, prezioso contributo per la storia lombarda de’ primi decenni del Cinquecento, da Lui trovata negletta ne' polverosi scaffali della patrizia biblioteca dei Pallavicino e pubblicata nell’Archivio Veneto con numerose note illustrative al nobile intento di togliere all’inglorioso oblio l'’erudito notaio cremonese. Quasi contemporaneamente il Novati, entrato da poco a far parte della Società nostra non ancora cinto del lauro dottorale conquistato presso quella facoltà di lettere dell'Ateneo pisano, che produsse una schiera così numerosa e gagliarda di studiosi, pubblicava nell'Archivio Storico Lombardo un notevole lavoro sull'Obituario della Cattedrale di Cremona, necrologio, che, iniziato da un prete Alberto, resosi defunto nel 1208, abbraccia il periodo corrente dal 1067 al 1527 e riesce per tal modo un monumento di certo non ispregevole per la storia ecclesiastica di Cremona, anzi dell'intera Lombardia. L'obituario cremonese non è solo un arido elenco di nome e di date, giacchè accanto a quelli ed a queste s'adunano per opera di diversi registratori copiose e curiose notizie intorno ai vari personaggi, de' quali si celebrano la pietà, la dottrina, la munificenza, così che viene a dischiudersi avanti alla mente di chi legge una parte cospicua della vita locale contemporanea. Il Novati nel dare alla luce il prezioso documento non s'è limitato a pubblicarne il testo, come fu fatto per altri del genere, ma ha voluto illustrarlo con annotazioni, nelle quali sono condensate e messe in bella mostra notizie interessantissime intorno agli individui ricordati nel necrologio, così che le note illustrative del medesimo riescono una vera miniera di erudizione storico ecclesiastica locale con particolare riguardo alle vicende ed alla genealogia delle famiglie notabili cremonesi. È davvero sorprendente la preparazione che il Novati, poco più che ventenne, rivela nei due lavori, de’ quali abbiamo fatto cenno brevemente, lavori che farebbero onore a qualsiasi erudito nella piena maturanza della sua attività scientifica: egli è che il Nostro era un precoce, ma, a differenza di molti altri affermatisi in altri campi ed in altre discipline, Egli non esaurì ogni lena nello sforzo iniziale, ma progredì diritto, vigoroso nello svolgersi della sua attività attingendo sempre novella forza man mano che andava addentrandosi nella ricerca e nello studio del passato. E ciò che ancor più fa meravigliare è la versatilità dell'ingegno fin da queste prisne manifestazioni addimostrato se si pon mente alla facilità, colla quale il giovane allievo della Scuola Normale Superiore di Pisa passava dalle ricerche di storia medioevale lombarda a quelle non meno ardue di filologia classica, di cui è saggio la monografia intorno alle Nubi d’Aristofane secondo un codice cremonese. E Cremona fu sempre oggetto d'ogni affettuosa cura da parte del Novati, che parve ritemprasse quasi le sue forze e ricevesse sollievo alle sue faticose ricerche scrutando il passato della città natale. Ne sono testimoni sicuri parecchi studî apparsi nell'Archivio, ove, fra l’altro, il Nostro venne esumando gli Statuti dei canonici della cattedrale di Cremona del 1247, che Egli aveva saputo scovare, documento importante per la storia della chiesa cremonese, ultima reliquia di quel dovizioso archivio capitolare, che forni al Tiraboschi e particolarmente al Muratori preziosi materiali per le sce Go ogle 402 | ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA dotte dissertazioni sulle antichità medioevali. Così gli antichi rapporti fra Trento e la città lombarda, ove Egli nacque, sono acutamente studiati e posti in evidenza nella monografia, ove rettifica ed integra le notizie, che in argomento aveva già da tempo raccolto ed ordinato uno storico assai reputato del Trentino, il buon Mazzetti, al quale riconosceva il merito d’avere colla sua pubblicazione creato un vincolo di più fra la sua bella città nativa e la gran madre Italia. Due grandi cremonesi, che pure ebbero frequenti e non trascurabili relazioni con Trento, sono particolarmente pel Novati oggetto di diligenti ed amorose ricérche: Francesco Sfondrati, giurista eminente, sagace politico, diplomatico consumato, buon poeta e pio porporato, intorno a cui Egli aduna dati interessanti e poco noti e del quale mette in luce i fonti per una futura biografia: Marco Gerolamo Vida, vescovo di Alba, esecutore operoso e zelante precursore dello stesso S. Carlo Borromeo nella riforma tridentina. Del Vida, che Nicolò Tommaseo detinì uno de’ personaggi più immeritevolmente ignorati, uomo dotato di coltura squisitamente umanistica, poeta profondamente classico e nel tempo stesso fervidamente religioso il Nostro è venuto pubblicando documenti inediti, da’ quali traspare il carattere adamantino dell’autore della Cristiade in tutta la sua lombarda schiettezza: documenti, che riescono interessanti sopratutto perchè ci rivelano i rapporti del Vida col crocchio umanistico cremonese, dì cui egli stesso fu per lungo volgere di anni capo riconosciuto e riverito. Quando la nostra Società pubblicò la miscellanea di studi petrarcheschi in occasione del VI centenario della nascita del grande poeta, la cui figura è legata da vincoli molteplici alla storia lombarda, il Novati vi inserì un suo lavoro su I rapporti del Petrarca coi Visconti facendo conoscere parecchi documenti inediti, che riflettono nuova luce su di alcuni episodi della vita del cantore di Laura, del quale Egli studia le relazioni coi vari signori della dinastia viscontea e particolarmente con Bernabò e con Gian Galeazzo. l Fu in una di quelle peregrinazioni all’estero, nelle quali Egli soleva impiegare con tanto frutto i mesi lasciatigli liberi dalle cure dell’insegnamento, che il Nostro per capriccio del caso ebbe la ventura di scoprire in un codice miscellaneo della biblioteca reale di Madrid, un esemplare di quel De Magnalibus civitatis Mediolani di Bonvesin da Riva, nel quale il buon fraticello, emulo di Ausonio, decanta le bellezze e la superiorità su d'ogni altra della sua città natale. Il manoscritto guasto, scolorito, corroso dall’ umidità, trasportato in Spagna due secoli or sono da uno di que’ boriosi gentiluomini, che non avevano certo scruroli nello spogliare d'ogni buona e bella cosa il nostro povero paese, venne dal Novati trascritto, corretto, reintegrato, in quanto era possibile, e pubblicato nel testo intero nel Bollettino dell'Istituto Storico Italiano, accompagnato da una sobria e vivace analisi, in cui si accenna ai luoghi largamente sfruttati dal Fiamma, pei transunti del quale era soltanto fino ad ora conosciuta l'opera di fra Bonvesin, che va annoverata fra le fonti storiche più preziose del secolo XIII e che senza dubbio ha preso un posto notevole tra i monumenti della storiografia milanese. E davvero, scrive il Nostro, grazie a Bonvesin da Riva « la metropoli lombarca c ci si schiude ancora dinanzi quale appariva secent'anni or sono al visitatore, < rinserrata nella cerchia delle sue mura romane, colle innumerevoli chiese, i < cento suoi campanili, le anguste e tortuose viuzze, dense d’una moltitudine ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 303 « operosa, dove strepitano giocondamente le officine e sulle incudini si martel- « lano le bell’armi rilucenti, orgoglio d'un popolo, avvezzo non a mercarle sol- « tanto, ma a provarne ancora la tempra sui campi di battaglia in petto ai ne- « mici. p Splendida rievocazione questa della fisonomia della nostra antica Milano, che il Novati ci ha dato con quell’arte tutta sua di far rivivere il passato, diffondendo tra gli spiriti nuovi il senso della perenne poesia dell’antico. Scorsa così nel miglior modo, che ci fu dato, l’opera del Novati quale cultore della storia lombarda vediamo di esaminare quella, che ci tocca ancor più da vicino, come capo autorevolissimo della nostra Società. Ammesso nel nostro sodalizio, come abbiamo visto, appena ventenne, mentre ancora frequentava. i corsi dello Studio pisano s’ addimostrò subito collaboratore apprezzato dell’Archivio Storico Lombardo e tale continuò ad essere durante la presidenza del conte Porro Lambertenghi, del Cantù, di Felice Calvi collaborando efficacemente ne’ consigli direttivi ed intervenendo quale delegato nostro al VI Congresso Storico Italiano raccoltosi in Roma nel settembre del 1895, dove Egli svolse, ottenendo intorno alle sue conclusioni l’unanime consenso, una proposta intesa a propugnare la riproduzione integrale de’ testi latini e volgari tanto dell'età di mezzo, che de’ tempi posteriori mediante il più scrupoloso rispetto per la grafia dei documenti storici. Fu sul finire del 1899 che il Novati fu chiamato a succedere al Calvi, ormai sotto il peso degli anni e mostratosi desideroso di quiete. A questi, che coll'opera sta di storico s'era di preferenza diretto non tanto agli eruditi, ma piuttosto agli uomini colti, che leggono solo collo scopo d’allergare le proprie cognizioni generali, succedeva un erudito, che s'era fortemente affermato nel campo degli studi e s'attendeva da Lui un mutamento nell’indirizzo dell'attività sociale. Il breve discorso, col quale Egli aperse la prima delle nostre adunanze da Lui presieduta nulla lascia scorgere in proposito, ma il nuovo presidente mostrò subito ne’ criteri direttivi della Società e della rivista, che è organo della medesima, come, pur ritenendo opportuno che si procedesse su basi rigorosamente scientifiche, non intendesse esercitare esclusivismi d’alcuna natura, che sarebbero ternati di nocumento sicuro all'istituzione nostra. E che tali fossero i suoi propositi ci è dato di stabilire scorrendo quanto Egli ebbe ad affermare in una di quelle sue geniali comunicazioni ai soci, nelle quali soleva dar conto dello stato e dei progressi de’ lavori sociali. In quell'occasione il Novati insorgeva contro chi avrebbe voluto bandire dal tempio delle storiche discipline quanti non avessero segnato in fronte il suggello professionale e non esitava a definire come riprovevoli e meschini siffatti criteri e così concludeva: e Invigilate il lavoro scientifico, dittondete le cognizioni dei metodi veri, dei criteri sicuri, movete guerra alla vana rettorica. fate risplendere la bellezza augusta del vero, ‘disvelate il fascino delle vecchie pergamene ingiallite, testimoni mute di febbri sparite e di scomparsi ideali. Ma non rinnovate le gilde, le corporazioni, i collegi dell’età di mezzo, non chiudete a nessuno le porte per ragione nessuna. Il tempio della scienza a dev'essere a tutti dischiuso come quello della fede. » A tali concetti ispirò AnA_ Gf“AI f a 304 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA invero l’opera sua ed il programma così fedelmente seguito attirò al nostro sodalizio le migliori simpatie, che vollero rendersi manifeste non solo coll’aumento graduale dei componenti, ma pur anche mediante cospicue elargizioni fatte per attuare sempre meglio quelle forme di attività sociali, che resero l’opera della nostra Società Storica apprezzata non solo in Italia, ma pure oltr'Alpe, così che potemmo andar lieti di salutare come colleghi, per tacer d'altri, uomini quali Henri Cochin, il Pélissier, 1’ Isambert, il Weil, il principe d'Essling e il principe regnante di Thurn e Taxis, che solo qualche anno fa, non dimentico dell'origine lombarda non mai smentita dalla sua casa sovrana, con munifica offerta addimostrava il suo gradimento per l’opera compiuta dalla nostra Società. Intimamente persuaso che quest’ ultima dovesse far conto esclusivo sulle proprie forze, atteso il contributo governativo non certo cospicuo, il Novati ne promosse ed ottenne nel 1907 l’erezione in ente morale sperando che ciò valesse a renderla viemeglio la naturale custode del patrimonio storico cittadino, la protettrice delle tradizioni famigliari e delle domestiche memorie: come tale Egli la chiamava a protestare per gli attentati consumati o divisati contro venerandi monumenti cittadini, quali la Pusterla de’ Fabbri e le colonne di San Lorenzo, ovvero a pronunciarsi intorno all’inopportuno trasloco in località remota dell'Archivio di Stato minacciato nel 1908 od alla deplorata distruzione di cospicui archivi domestici, pervenuti in eredità all'Ospedale Maggiore, invocando in tale circostanza dai poteri competenti norme legislative e regolamentari intorno alla vigilanza degli archivi degli enti morali ad integrazione di quelle insufficienti in vigore. Così riuscì a dotarla dell’attuale e decorosa sede concessale dal Comune e fu pel suo particolare interessamento che l'illustre prof. Lattes continuò a sussidiare munificamente le pubblicazioni sociali, mentre altri cospicui doni pervenivano alla Società, come l’elargizione fatta in occasione delle onoranze a Marco Formentini all'intento di promuovere le ricerche e lo studio della vita economica e finanziaria dell’antico ducato di Milano. La biblioteca sociale s'’andò pure arricchendo . di preziosi manoscritti, come le» Memorie del Gorani e quel nitido codice contenente la storia d'Arnolfo e di Landolfo, che, già posseduto dalla libreria della nostra Metropolitana, aveva sulla fine del XVIII secolo valicato purtroppo le Alpi- con molti altri compagni di sventura, e che, or non è molto, venne restituito a Milano e donato alla nostra Società dal consocio Casati, E giacchè abbiamo più sopra accennato alle generose elargizioni del Lattes permettete che v’intrattenga alquanto intorno ad una delle imprese, che, a preferenza delle altre, raccomanderà il nome del nostro illustre e compianto presidente alla gratitudine ed all’ammirazione degli studiosi, il Codice Diplomatico Visconteo. Già una ventina d’anni sono il Novati aveva proposto alla Società d’intraprendere studi per l’edizione di un Carfolario Visconteo e dell’Epistolario degli ambasciatori sforzeschi presso le corti italiane: il disegno della pubblicazione, esposto allora nelle sue linee generali, prese forma concreta quando il Lattes nel 1897 elargi lire tre mila destinandole alla pubblicazione del Regesto diplomealico visconteo dai primi tempi della signoria dei Visconti al 1402, anno della morte di Gian Galeazzo, col quale il grandioso edificio visconteo si sfascia e Ja compagine del ducato si va dissolvendo, dopo che il biscione s'era affermato vittorioso su ben metà della penisola. Il lavoro era di gran lena e richiedeva lunghe ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 305 e non facili ricerche, giacchè si volevano raccogliere tutti i documenti riguardanti i Visconti e la signoria da loro esercitata sulle varie città italiane in modo che il complesso e grandioso organismo visconteo apparisse in tutti i complicati suoi congegni politici ed amministrativi. Il Novati non paventò la grandiosità e la difficoltà dell’impresa, alla quale chiamò a collaborare quella schiera di devoti e valenti discepoli suoi, che Egli, a guisa del suo grande maestro, il D'Ancona, aveva il segreto d’innamorare dello studio e di eccitare a dedicare ad esso le. forze migliori della loro giovane esistenza. A mezzo di questi giovani coadiutori, singolarmente addestrati alla ricerca scientifica, s'iniziarono sistematiche esplorazioni e si condussero indagini negli archivi e nelle biblioteche delle città e dei paesi, non esclusi i minori, ove s'era esteso il dominio visconteo e non vennero trascurate quelle ne’ fondi esteri per rintracciarvi materiali di storia lombarda. La prodigiosa ricchezza degli archivi italiani fornì un contributo grandissimo di materiale, assai superiore a quanto si sarebbe atteso all’inizio dell'impresa, che procede ora lenta, ma sicura verso il suo compimento. A rendere più completa l’opera condotta con sì grande ardimento e serietà di propositi il Novati ideava l’intrapresa di lavori laterali, di carattere sussidiario, che dovevano essere, così Egli ben diceva, come i gruppi statuari ed i bassorilievi per un maestoso monumento: tali una nuova origine dei testi storici milanesi dalla fine del secolo XIII agli inizi del secolo XV, ne’ quali sono narrate le vicende connesse al governo visconteo, la ricostituzione critico-storica della libreria visconteo-sforzesca di Pavia, un’iconografia ed un’araldica viscontea, non che una nuova genealogia della celebre casata, ristretta all’età più remota della stirpe, eretta sulla scorta di documenti antichi e coll’intento di sgombrare il terreno dalle molte favole intessute intorno all'origine della medesima dalla boria o da ragioni, ancor meno nobili, di lucro. Un primo saggio di siffatto genere di studi ce lo ha offerto qualche anno fa il chiarissimo nostro consocio D.r Biscaro colla memoria apparsa nelArchivio intorno a ) maggiori dei Visconti signori di Milano. In essa, rispondendo all’invito del Novati, ripetuto anche nella sua prefazione al De Magnalibus, col quale invocava uno studio approfondito, che spargesse un po’ di luce sul complesso di favolose, ma interessanti scritture, che riguardano le origini viscontee, il Biscaro con dotta critica abbatteva le costruzioni genealogiche dei falsari, che, come il Galluzzi ed il Bianchini, accumularono in argomento tante menzogne in servizio di future rivendicazioni politiche da parte di membri ambiziosi della casata viscontea. Se il Repertorio diplomatico visconteo fu oggetto di tanta e sì amorosa cura da parte del rimpianto nostro presidente, altre iniziative sociali ebbero da Lui il primo impulso o vennero felicemente condotte a compimento, come la trascrizione della Cronica del Bordigallo, sulla quale, come già vedemmo, si erano svolte le sue indagini giovanili; la Esposizione cartografica della città e territorio di Milano in occasione del IV Congresso Geografico raccolto nell'aprile del 1901 nella nostra città; la pubblicazione della miscellanea nel VI centenario della nascita del Petrarca, in cui, come già ebbimo occasione di rilevare, sono studiati accuratamente i rapporti fra il grande poeta e la Lombardia; la Bibliograjia storica lombarda, a servizio della quale vennero fin ora pazientemente schedati il Predari ed i doviziosi fondi dell'Ambrosiana e della Trivulziana: la pubblica 306 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA zione infine dell’Epistolario di Pietro ed Alessandro Verri, corrispondenza spontanea e schietta, che rievoca in modo mirabile la vita del tempo in ogni sva manifestazione, fonte preziosa quindi per la conoscenza della vita italiana dell'epoca e del mondo svariato dell’Arcadia e dell’ Enciclopedia. Nè qui il Novati intendeva che si dovesse arrestare l'attività del nostro sodalizio: Egli avrebbe desiderato che venissero avviati con severi criteri, con metodo rigidamente scientifico studi intorno alla storia ed alla genealogia delle famiglie nobili milanesi allo scopo d’integrare l'opera del Calvi e de’ suoi collaboratori: avrebbe voluto che in un prossimo volume della nostra Bibliotheca Historica Italica comparisse una serie di documenti atti a spargere nuova luce sull’assetto finanziario e lo sviluppo degli ordinamenti amministrativi dei comuni lombardi nei secoli XII e XIII, come pure vagheggiava il riordino su larghe basi e dietro nuove investigazioni della Bibliotheca Scriptorum Mediolanensium dell’Argelati e la compilazione di un Cerpus Inscriptionum Italicarum medii aevi dal VII al XV secolo, che raccogliesse con criteri moderni non solo i titoli inediti, ma riconducesse a genuina lezione anche quanti di essi furono nelle vecchie sillogi sottratti a sicuro disperdimento; disegno questo ultimo che il Nostro accarezzò con particolare predilezione e che volle fare oggetto d'un tema da Lvi svolto, a nome della Società Storica Lombarda, al Congresso Internazionale di Scienze Storiche raccoltosi in Roma nell'aprile del 1903. Tale il programma di lavoro, che il Novati era venuto tracciando col)’altissimo fine d’ illustrare con pubblicazioni documentarie grandiose le fasi più rilevanti della vita lombarda: programma, che per la sua vastità aveva qualche volta reso peritante lo stesso suo ideatore, il quale s'augurava che ai successori suoi venisse concesso di fare quanto Egli poteva solo vagheggiare, non eseguire. E lo spirito eletto dell'uomo insigne, che piangiamo, pare aleggi in quest'aula e ripeta ancora una volta l’augurio e l’incitamento, che soli possono confortare, unitamente al vostro consenso, quanti saranno chiamati a raccoglierne la onorata eredità. Infine prende la parola il prot. comm. G. C. Buzzati anche a nome degli amici del prot. Novati. La natura dei miei studi cosi lontani e diversi da quelli cui Francesco Novati dedicò il luminoso ingegno non mi consente di parlare dell’opera Sua di letterato, di storico, di critico, di insegnante con la doverosa necessaria competenza: anche se potessi farlo, ne sarei trattenuto da un sentimento di reverenza, quasi direi di sbigottimento, di fronte a tanta e così varia e vasta mole di lavoro quale Egli ha tramandato alla nostra ammirazione. Mi sia concesso tuttavia, dopo che il senatore Greppi ed il conte Giulini hanno maestrevolmente ed amorosamente tratteggiato la figura e le opere del Grande scomparso, mi sia concesso aggiungere poche parole di profondo incancellabile rammarico per la Sua immatura fine, a nome degli amici Suoi. Se non lo facessi, mi parrebbe di mancare ad un preciso dovere, a quello che a me viene dalla affettuosa intima amicizia che mi univa al Novati ed ora pur troppo non è più che un ricordo per sempre caro al mio cuore. Goo gle Di ATTI DELLA SOCIETÀ SIORICA LOMBARDA 307 Per avvertire senza indugio, e rimanerne insieme ammirati e sedotti, la acutezza della Sua, mente, la sconfinata inesauribile coltura, non era neppure mestieri conoscere la produzione letteraria e storica del Novati, aver letto l'/nflusso del pensiero latino sopra la civiltà italiana del Medioevo o le note all'Epistolario di Coluccio Salutati, monumento di erudizione che da solo basterebbe ad assicurare imperitura fama all’autore; bastava avvicinarlo, conversare o meglio ancora avere con lui frequente consuetudine di vita. Una epigrafe medievale o un emistichio della Chanson de geste, un motto popolare o una data storica, un capitello romanico o un frammento di pergamena, ogni più eccelsa e ogni più umile cosa, un canto della Divina Commedia, o il gallo di ferro cigolante al sommo di un campanile evocavano alla sua mente lontane, interessanti e curiose memorie sconosciute ai più, gli suggerivano rapporti originali e raffronti impensati, porgevano occasione a quelle Sue conversazioni agili, dense di pensiero, spigliate, piacevolissime, dove spesso un motto di spirito si intrecciava ad osservazioni argute sempre. Lavoratore formidabile, indefesso, il primo raggio di sole d'inverno e d'estate lo coglieva intento infaticabilmente allo studio, circondato dai Suoi libri sapientemente adunati, nell’ appartamento di Borgonuovo, dove aveva da ogni parte raccolto con finissimo gusto d'arte cento cose belle; dalle pareti pendono tavole fiamnainghe, quadri di artisti nostrani, arazzi, ritratti: il riflesso gaio di maioliche antiche rifulge qua e là nella penombra e dagli scaffali la pallida doratura di una madonna trecentesca o di un elefante di bronzo: pendole numerose, bellissime, d’ogni stile, d'ogni foggia, segnano il fatale andare del tempo: alti, annosi alberi, reliquie di un calmo paesaggio urbano del vecchio quartiere, cingono di pace la elegante solitudine, dove la bianca immagine marmorea del Padre adorato sembra vigilare amorosamente pur sempre sugli studi del figlio diletto. Quanti pensieri, quante memorie, quali fantasmi rievocati in quelle stanze solinghe: Tristano e il suo poema di amore e di morte e le epiche gesta del ciclo carolingio; la gaia vita e la rozza poesia delle corti del secolo XIII e la divina semplicità del Poverello d’ Assisi. — Fra Bonvesin della Riva riede a parlare della Milano del dugento e i Goliardi a ripetere il ritmo delle gioconde canzoni: — via via passano le figure tutte della letteratura italiana, da chi balbettò malcerto le prime sillabe del nostro idioma ai sommi, a Dante, a Boccaccio, a Petrarca, ai maggiori del cinque e seicento, ai fratelli Verri, ad Alfieri, a Manzoni; della letteratura latina medievale, di quella francese dalla epopea provenzale allo Stendhal. Tale infinita varietà di indagini, la stessa scrupolosa minuzia delle sue incessanti ricerche fecero da alcuni avventare il giudizio che la mente del Novati fosse più di eridito che di storico. Mai più ingiusta sentenza: — a dissipare l'errore basterebbe l’opera disgraziatamente incompiuta sulle origini della lingua nostra, ancora più forse lo studio sull’Influsso del pensiero latino sopra la civiltà italiana del Medioevo, dove la visione e comprensione di quei secoli oscuri appare così generale e profonda ed acuta e suggestiva quale mai prima nelle opere storiche anteriori. — « Il titolo stesso del lavoro, osservava giustamente Henry Cochin, dice molte cose. Per adempiere il programma che indica non si tratta di scrivere la storia di una letteratura: poi che questo è un soggetto limitato: esso Go ogle 305 ATTI DELLA SUCIETA SIORICA LOMBARDA si arresta alle opere scritte in una lingua determinata e, per di più, non com prende tutte le-manifestazioni della storia intellettuale di un popolo. La materia del Novati è la storia del pensiero dei popoli e, in particolare, la storia del pensiero latino. Egli lavorava già da vent'anni e insegnava da tredici, quando diede codesta definizione che, estendendola fuori d’Italia, è così generale quanto una simile definizione può essere. Essa deve servire a farci comprendere tutto ciò che precede e tutto ciò che segue. Il fine che il Maestro definisce. è insomma, la storia della civiltà latina, in Italia particolarmente, dopo la decadenza dell'Impero romano. E' già un fine così alto e così lontano che lo storico non ardisce assegnarlo a sè stesso. Rinnovare, egli dice, quel miracolo di erudizione e di critica, l'opera di Girolamo Tiraboschi, è una chimera. Ma noi tutti abbiamo bisogno di una chimera: e verso quella il Novati mosse. La storia della civiltà non comprende soltanto quella dei dottori, giuristi, artisti, sapienti e letterati. E' la storia evo per evo, dello svolgimento dello spirito umano: in realtà la storia degli spiriti umani ». Chi in questo eccelso campo seppe arditamente segnare un’orma così vasta e secura come il Nostro perduto, ben più a ragione della indiscussa fama di grande erudito, merita quella di principe dei medievalisti italiani. Chi conosceva il Novati soltanto da' Suoi scritti e mai lo avesse incontrato poteva facilmente raffigurarselo assai diverso dalla realtà. Egli stesso mi narrava un giorno con un sorriso non scevro di intimo e ben giustificato compiacimento, che, presentato un giorno ad un collega d'oltr'alpe questi, con atto di meraviglia, esclamasse: « Ccme ? Lei è il Novati? ma io la credevo molto più vecchio e molto meno elegante! ». Era appunto Suo pregio mirabile e certo raro in un uomo di studi rigorosi non far pesar mai la superiorità dell'ingegno e la dovizia delle cognizioni su nessuno: di saper scuotere di dosso la dotta polvere degli archivi e delle biblioteche per apparire sempre accuratissimo della persona, di distinzione perfetta nel linguaggio e nel tratto: di non lasciarsi rinserrare nel passato, ma di aprire l'animo ad ogni manifestazione d’arte, di vita, di spirito moderno: curioso d'ogni nobile cosa, aborrente da qualsiasi forma di volgarità, ricercato nei piacevoli conversari, frequentatore di teatri, di concerti, di eleganti ritrovi mondani: aveva percorso più volte l’ Europa, visitato l’ Egitto: di abitudini largamente signorili, egli conosceva il difficile segreto di profittare degli agi ed allettamenti della vita, senza mai sacrificare i suoi doveri di insegnante e di scienziato da lui sempre adempiuti con austerità oserei dir religiosa. Non fu prodigo della Sua stima, nè facile alle amicizie: ma le poche che ebbe sentì vivamente e fedelmente: e quando si trovava nella cara intimità affettuosa d’una casa amica era di una semplicità, di una bonomia, di una bontà che l'apparenza un po' rigida non lasciava sospettare. Mi pare ancora vederlo nella mia villa, far chiasso sul prato co’ miei bambini, o, tenendoli sulle ginocchia, ripeter loro con infinita pazienza i monotoni antichi ritmi di canzoncine infantili tramandate nel popolo di generazione in generazione. Il 2; marzo 1909 l'Accademia scientifica letteraria era in festa: vi si celebrava il ventesimoquinto anniversario d'insegnamento del Nostro: una folla commossa di discepoli, di amici, di colleghi, di studenti circondavano plaudenti il Maestro non meno commosso. Rispondendo alle parole alate rivoltegli da Gioì ” ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 309 vanni Bertacchi, Egli osservava che în quel lieto giorno indimenticabile la sola tristezza, la sola ombra stava nel ricordare che venticinque anni erano trascorsi. Quanto più accorata tristezza oggi: quanta più densa e ormai impenetrabile ombra avvolge l’amico Nostro! Di Lui che abbiamo amato e reverenti ammirato rimangono bensi le opere le quali vivranno celebrate nel tempo lontano: troppo inadeguato conforto tuttavia questo al desiderio, all’ognora vivo rimpianto amarissimo dei nostri cuori. Ma io, Signori, dimentico che parlo ai membri della Società storica e mi lascio trarre troppo lontano dalle dolorose ricordanze. Perdonatemi. A noi che abbiamo avuto la grande ventura di stare sotto la Sua Presidenza, di assistere al progressivo sviluppo, mercè Sua, del nostro sodalizio, spetta un caro dovere: quello di onorare la Sua memoria nel modo per noi possibilmente più degno: proporrei quindi che un numero dell'Archivio Storico sia a Lui esclusivamente destinato: che vi si riproduca il Suo ritratto e inserita la commemorazione dettata dal senatore Greppi come quella del Giulini: aggiungendo altri scritti che illustrino la Sua vita e le Sue opere. Se la Presidenza e voi consentite nella mia proposta, potremo tra non molto possedere noi tutti una tangibile memoria dell'insigne Presidente la quale insieme ci ammaestri ed esorti a mantenere la nostra Società all'alto fastigio di importanza e di universale estimazione, cui Egli sapientemente seppe condurla. i La proposta, riassunta dal Vice Presidente, viene accolta con unanime approvazione dell'adunanza; la quale così suggella 1’ affettuoso omaggio alla memoria del benemerito e indimenticabile Presidente. Adunanza generale del giorno 19 marzo 1916. Presmenza DeL Vice- PRESIDENTE senatore E. GREPPI. Sono presenti 30 soci e rappresentati per delegazione i soci prof. G. Capasso, cav. A. Bruschetti, comm. A. Carnelli, senatore E. Conti, preposto C. Donini, ing. A. Giussani, sac. dott. P. Guerrini, mons. C. Locatelli, dott. G. Nicodemi, dott. A. Nizzoli, mons. dott. A. Ratti, prof. S. Ricci, prof. A. Stefini e dott. G. Vittani. La seduta si apre alle ore 14 colla lettura ed approvazione del Processo Verbale della precedente adunanza. Il Vice-Presidente, accennato che la nostra ultima riunione fu esclusivamenta consacrata alla commemorazione del nostro Presidente, il prof. Francesco Novati, spiega i motivi per cui la Presidenza ha creduto di proporre una modificazione all’art. 3° dello Statuto sociale nel senso di portare da 4 a 6 il numero dei suoi Consiglieri. La scomparsa del Novati che sì gran parte aveva nell’avviamento e nella direzione delle Arck. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. I-IL. 20 gio ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA differenti pubblicazioni scientifiche richiede ora che nel Consiglio direttivo abbiano a partecipare forze maggiori e nuove: un tale aumento assicurerà una più larga attività per lo sviluppo del programma sociale Ricorda quindi i numerosi lutti che hanno colpito la nostra Società dal luglio dell’anno decorso e volge un mesto pensiero ai defunti prof. Giovanni Collino, signorina Ida Seletti, conte Gabrio Casati, marchese Gerolamo Parravicini di Persia, padre Pietro Gazzola, dott. Giulio Rezzonico, nob. dott. Carlo Frisiani, dott. notaio Antonio Menclozzi, rag. comm. Paolo Cardani, dott. Luigi Ratti, ing. Antonio Comi, arch. G. B. Savoldi, padre Fedele Savio e ing. nob. Francesco Sertoli (I). Il socio prof. A. Solmi, dubbioso che coll’ aumento del numero dei consiglieri le forze siano più vitali, raccomanda di accingersiì alla raccolta e alla pubblicazione di tutte le fonti storiche lombarde, dalle più antiche a tutto il ’200, valendosi del concorso delle altre società storiche regionali e facendo istanza presso i diversi enti morali della Provincia e della Lombardia onde avere adeguati sussidi per la stampa di un Corpus di 10 a 12 volumi di Fonti. La Società potrebbe poi creare tanti comitati di lavoro nei vari rami dell’attività sua. Il Vice-Presidente, pur riconoscendo l’ utilità della proposta avanzata, fa rimarcare che nei tempi difficili in cui viviamo, tutte le forze sono devolule ai grandi bisogni della guerra nazionale, sicchè sarà ben difficile ottenere oggi dei sussidi pecuniari speciali, in grande od in piccola misura. In seguito il dott. Giuseppe Bonelli, del Regio Archivio di Stato di Brescia, svolge la sua coinunicazione sul tema molto interessante per gli storici presenti e futuri “ Per la conservazione dei giornali ,. Oramai i giornali dell’ oggi saranno la fonte principale della futura storia della immane guerra attuale. Occorre quindi, anche per i più piccoli e quindi più rari, raccoglierli e conservarli, e possibilmente conservarli in copie, tirate su carta speciale che non sia quella troppo deperibile dei giornali soliti. Conservazione che egli dimanda di ottenere, rivolgendosi alle direzioni dei vari giornali ed agli uffici comunali, provinciali ed altri dove sia possibile conservare le raccolte dei giornali, e metterlì a disposizione dei futuri studiosi. Non solo nei grandi centri, dove ci sono biblioteche ed archivi, ma e più nei piccoli centri e per i giornali locali più facili a sperdersi, occorre provvedere. Il Vice-Presidente ringrazia il consocio dott. Bonelli per la bella e vivacissima relazione, e ne approva i concetti esposti, a parte la difficoltà della loro attuazione. Essa dà luogo ad una larga discussione, a cui prendono parte il prof. Solmi, il prof. Carotti, il dott. Magni, il dott. Vi- —————— (1) Vedi in quest'.4rchivio a p. 283 le notizie più diffuse. (O ogle n ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA ZII sconti, 11 comm. Labus, l'arch. Monneret, il prof. Volpe, il conte Vdazio, il prof. Bognetti. Rispondono a tutti il Vice- Presidente ed il Relatore e sì dà affidamento che verranno fatte dalla Presidenza le pratiche per ottenere l’intento desiderato. Segue la presentazione, da parte del cons. delegato, prot. Bogncetti vel Bilancio preventivo per l’anno 1916 che chiude con un presumibile avanzo di L. 245. Il socio ing. Monneret domanda perchè non siasi presentato anche il consuntivo del 1915, esigendone lo Statuto la presentazione prima del mese di marzo. Malgrado le spiegazioni date dal VicePresidente, dal Cons. Bognetti e dal Segretario, che se ci fu ritardo nelia convocazione delle sedute e presentazione di bilanci, lo si deve unicamente imputare alla morte avvenuta al 27 dicembre scorso del Presidente, e che nell'adunanza indetta a solennemente commemorarlo non era certamente il momento di trattare d’affari, il sig. Monneret insiste nel suo rimprovero e vuole sia messo a verbale che noì siamo fuori dello Statuto. L’assemblea concede la sanatoria ed approva il preventivo I9I6. E’ all'ordine del giorno la proposta del Consiglio perchè nell’ articelo 3° dello Statuto sociale alle parole “ quattro Consiglieri , si sostituiscano le parole “ sei Consiglieri ,; ed alle parole: “ si rinnovano ogni anno per un quarto e per anzianità , si sostituiscano le parole: “ si rinnovano ogni anno per un terzo. La scadenza è determinata per il primo biennio dal sorteggio, poi dall’anzianità ,. L'Assemblea, udite le precedenti dichiarazioni del Vice-Presidente, accetta la modificazione statutaria così proposta. Segue la nomina dei tre revisori del Bilancio 1915 e risultano con- ‘ermati gli attuali revisori: arch. A. Annoni, prof. G. C. Buzzati e dott. G. Gallavresi. ia seduta si chiude coll’ammissione, a voti unanimi, dei nuovi soci dott. Guglielmo Castelli, conte Gottardo Frisiani-Parisetti, Pio Pecchia], direttore dell’Archivio dell'Ospedale Maggiore, signora Eva Silvestri-Valentini e prof. Pier Enea Guarnerio. L'adunanza si scioglie alle ore 16. Il V. Presidente E. GREPPI. 11 Segretario E. MotTA. Go ogle 312 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA Adunanza generale del giorno 7 maggio 1916. Presipenza DEL VicE PRESIDENTE SENATORE E. GREPPI. Presenti 39 soci. Sono rappresentati per delegazione i soci conte Emerico Albertoni, conte Alberto Alemagna, arch. Ambrogio Annoni, barone Giuseppe Bagaiti Valsecchi, avv. comm. Demetrio Benaglia, can. Angelo Berenzi, sac. Rinaldo Beretta, contessa Elisa Borromeo, conte Guido Borromeo, arch. Augusto Brusconi, prot. G. C. Buzzati, prof. Aristide Calderini, prof. Gaetano Capasso, cav. Flaviano Capretti, dott. Giulio Carotti, contessa Luisa Casati Negroni, dott. Giovanni Casnati, ing. Carlo Clerici, senatore dott. Einilio Conti, marchese Carlo O. Cornaggia, ing. Giovanni De Simoni, conte Gottardo Frisiani-Parisetti, ing. Antonio Giussani, sac. dott. Paolo Guerrini, comm. Ausano Labadini, prof. comm. Elia Lattes, dott. Antonio Marietti, march. Luigi Monticelli Obizzi, prof. Bartolomeo Nogara, sac. dott. Carlo Pellegrini, prof. Serafino Ricci, nob. Ivan Ritter-Z4hony, prof. Attilio Stefini, Antonio Venini, senatore Giulio Vigoni, nob. Rachele Villa-Pernice e dott. Giovanni Vittani. La seduta sì apre alle ore 14 }/, con l'approvazione del processo verbale della precedente adunanza. Su proposta del socio dott. G. Calvi, appoggiata da altri consoci che per l’impegno di presenziare altre sedute, devono abbandonare presto la sala sociale, il Vice Presidente, annuente |’ Assemblea, inverte l'ordine del giorno delle trattande, iniziandole colla nomina dell’intiero Consiglio di Presidenza, e cioè del Presidente, di due Vice Presidenti, di sei Consiglieri di Presidenza, del Segretario e del Vice Segretario, scaduti per morte, per anzianità o per dimissioni, o da eleggersi a norma di quanto fu disposto nell’assemblea del precedente 19 marzo. Riconosciuto dagli scrutatori comm. A. Carnelli e dott. N. Ferorelli che i soci presenti sono 39 e che 37 di essi hanno avuto la delegazione da altro socio, accertate quindi le schede di votanti in numero di 76 si proclamano eletti a pieni voti: a Presidente il senatore nob. Emanuele Greppi; a Vice Presidenti il conte comm. Alessandro Giulini e l’ ing. Emilio Motta; a Consiglieri il dott. cav. Achille Bertarelli, il prof. cav. Giovanni Bognetti, il nob. cav. Guido Cagnola, il conte comm. Luigi Fumi, mons. dott. Marco Magistretti ed il dott. cav. Ettore Verga ; a Segretario il conte dott. Alessandro Casati ed a Vice Segretario il prof. cav. Giovanni Seregni. Il Presidente, dopo aver commemorato il defunto socio comm. O. Joel, comunica che a seguito della lettura’ tenuta nell’ ultima adunanza dal consocio dott. G. Bonelli per la conservazione dei giornali e della relativa Go ogle - ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 313 discussione, la Presidenza ha stimato opportuno di richiamarvi l’attenzione e sentire il parere delle varie Deputazioni di storia patria, Accademie, Istituti e Società storiche dell’Italia, e legge la circolare loro diramata (vedi Allegato A). Il cons. delegato prof. Bognetti, in assenza giustificata dei Revisori, legge il loro rapporto sul Bilancio consuntivo per l’anno 1915 che viene approvato senza opposizione (vedi Allegato B). Si passa quindi alla nomina del Delegato della Società Storica Lombarda presso l’Istituto Storico Italiano e riesce eletto per acclamazione mons. dott. Achille Ratti, prefetto della Biblioteca Vaticana in Roma. Da ultimo si eleggono a nuovi soci i candidati signori: cav. Giuseppe Baratelli in Varese, conte Camillo Carena Castiglioni, conte Antonio Dal Verme, mons. Cesare Mambretti in Milano, cav. Carlo Manziana in Brescia, nob. ing. comm. Giuseppe Padulli, conte ing. Luigi Paravicini, sac. Carlo Santamaria, conte ing. Cesare Sertoli e avv. cav. Mario Tanzi in Milano. L’ adunanza è sciolta alle ore 16,30. ll Vice Presidente E. GREPPI. Il Segretario E. Motta. ALLEGATO A. Un benemerito membro di questa Società, il dott. Giuseppe Bonelli del R. Archivio di Stato di Brescia, ne richiamava recentemente l’attenzione su di un problema che interessa, oltre gli attuali studiosi di storia contemporanea, anche quanti delle venture generazioni vorranno conoscere i particolari dei grandi avvenimenti che si svolgono sotto i nostri occhi e i loro molteplici riflessi sulla vita politica, sociale e privata. E’ il problema della conservazione e dell’agevole consultazione dei giornali: non solo dei maggiori; bensi anche di quelli dei piccoli centri, che sono come specchi di vita locale e che più facilmente vanno soggetti a irreperibili dispersioni. Tre sono i punti che sembrano più degni di considerazione: 1° La possibilità e la convenienza di una statistica dei giornali esistenti in raccolte più o meno complete presso i diversi enti pubblici o privati, dal 1860 ad oggi, e la pubblicazione del relativo elenco. 2° L'opportunità di promuovere disposizioni legislative atte ad assicurare la conservazione delle effemeridi e il loro concentramento, in guisa da rendere più facili le ricerche agli studiosi. Go ogle 314 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 3° Lo studio di quei mezzi tecnici, i quali valgano ad ovviare alla facilità di deperimento (resa ancor maggiore ai giorni nostri dalla crisi dell’ industria cartaria) dei fogli quotidiani: così che sia lecito dubitare che le loro raccolte, tanto più se consultate con qualche frequenza, possano, nel corso di poche diecine d'anni, diventar inservibili. La Società Storica Lombarda gradirebbe vivamente di avere intorno al dibattuto argomento l'autorevole avviso di codesto illustre Consesso e l’ assicurazione che, ove il problema fosse ritenuto come a noi pare di qualche importanza, esso troverebbe negli Enti che promuovono e tutelano gli studi storici il necessario appoggio per condurlo a soddisfacente soluzione. IL PRESIDENTE Emanuele Greppi. ALLEGATO B. Egregi Consoci, Designati nuovamente nell’ultima adunanza dalla vostra fiducia, ancora questa volta, pel 1915, rivedemmo il Bilancio Consuntivo, Ed ancora, come sempre, constatammo e vi additiamo la regolarità della gestione e dei conti; dei quali le cifre riassuntive appaiono stampate nel medesimo avviso di convocazione, ed i documenti particolari fanno perfetta fede e garanzia. Vi invitiamo PERRnIO ad approvare il Bilancio nelle sue risultanze. Il nostro compito sarebbe finito, se non credessimo opportuno per parte nostra ed utile per una più coscienziosa approvazione qualche breve commento. Nel confronto fra il conto preventivo del 1915 ed il relativo consuntivo, le cifre rispettivamente sia delle Rendite e sia delle Spese coincidono ; ma tale corrispondenza - in tempi anormali per troppe ragioni - è effettiva solo nel complesso. In particolare si ebbero delle diminuzioni in alcuni cespiti che servono ad equilibrare l'aumento degli altri. E cioè: i e proventi della vendifa di pubblicazioni sociali » previsti in L. 700,— si limitarono in realtà a L. 535,55 per il mancato o scemato commercio con l'Estero. Dall'altra, si ebbe un risparmio nelle « spese di stampa dell’ Archivio Storico », prevista in L. 5800,— ed efiettiva di L. 4548,—, perchè per mole i fascicoli furono realmente tre (non quattro), comparendone uno doppio solamente per regolarità di numerazione. La mancanza di materia per cause troppo note e troppe nobilmente superiori giustifica tale riduzione, e le L. 1252,— così risparmiate permisero di attribuire alle spese normali gli importi per la « Stampa del Catalogo della Biblioteca » (L. 413,60) e per l’« Indice della IV serie dell'Archivio Storico Lombardo » (L. 564,70), che zaia dovuto attingere agli appositi stanziamenti di complessive L. 3500. Non senza aggiungere che, essendo esaurito il fondo della « Donazione Lattes >» pel Repertorio Diplomatico Visconteo, si dovette e si potè far posto nelle spese normali anche per ciò. La cifra delle « Spese diverse (straordinarie) » che 2 tutta prima appare d'una certa entità, non lo sembrerà più quando si sarà ricordato che vi figurano le L. 500.— versate alla sottoscrizione cittadina per i bisogni della guerra, per l ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 315 deliberazione dell'Assemblea del 20 giugno 1915. E, pertanto, la si sarebbe voluta poter inscrivere ed approvare ben più cospicua! I tempi e le circostanze spiegano, in parte, l’altra cifra relativamente non piccola di L. 340,— per « Perdita sull’esazione dei crediti ». L'altra parte, inspiegata, ma facilmente spiegabile, meriterebbe dei provvedimenti dai quali l’indole della Società nostra rifugge, augurandoci che i pochi Soci cosidetti morosi, che non si trovano nè all’ Estero nè sotto le armi, vogliano essi stessi mettersi definitivamente in regola. Con l’augurio che lo spirito di Francesco Novati aleggi sulle sorti della nostra Società amche in ciò che ne riguarda l’ incremento dei mezzi materiali per sempre più grandi e più feconde seminagioni di studi e di lavori, noi concludiamo questa Relazione; vi ringraziamo non soltanto della fiducia, ma anche del piacere fattoci di poter constatare per voi tutti la regolare ed ottima nostra amministrazione. Anche vi ringraziamo di avercelo rinnovato, ma non vi nanascondiamo il desiderio - sia o no da voi esaudito - che pure ad altri vogliate procurare insieme con l’onore dell’ incarico il compiacimento della constatazione. A. AnnonI, G. C. Buzzati, G. GALLAVRESI. Go ogle 316 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA STATUTO DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA ART. I. La Società Storica Lombarda, di carattere esclusivamente scientifico e letterario, si propone d’indagare ed illustrare la storia e le memorie delle provincie lombarde, e di rendere pubblico il frutto de’ propri lavori. Essa può, all’evenienza e per sua iniziativa, vegliare alla conservazione de’ monumenti e documenti lombardi, e promuovere il concorso dei Comuni e delle Provincie a lustro ed incremento dell’arte e della storia. Art. II. La Società è composta di un numero illimitato di Soci. Tutte le cariche sono gratuite e conferite soltanto ai Soci. Le elezioni avvengono nel dicembre di ogni anno. Obblighi e diritti sono personali. I Soci sono eletti alle cariche in assemblea generale a scrutinio segreto ed a maggioranza assoluta di voti. Essi sono sempre rieleggibili. ART. III Il Consiglio di Presidenza si compone di un Presidente, due Vicepresidenti, sei Consiglieri, un Segretario, un Vicesegretario, i quali tutti hanno voto deliberativo. È radunato dal Presidente per trattare gli affari ordinari della Società. L’adunanza delibera a maggioranza di voti, e a parità prevale il voto del Presidente. Le sue deliberazioni sono esecutive. ART. IV. Il Presidente rappresenta la Società, convoca le adunanze e ne dirige le discussioni; veglia all'osservanza dello Statuto: propone quanto giova all’incremento della Società ed ai fini di essa; elegge le occorrenti Commissioni; firma gli atti d’uffizio e la corrispondenza: cura © ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 3I7 l'esecuzione delle deliberazioni dell’assemblea, e può prendere provvedimenti d’urgenza, riferendone alla prossima adunanza del Consiglio. Dura in carica tre anni. | I Vicepresidenti lo suppliscono in ordine di anzianità: anch’ essi durano in carica un triennio. I Consiglieri si rinnovano ogni anno per un terzo. La scadenza è determinata per il primo biennio dal sorteggio, ‘poi dall’anzianità. In caso di sostituzione straordinaria di qualche membro della Presidenza, il nuovo eletto sottentra in luogo e stato del cessante. ART. V. Il Segretario assiste il Presidente nel disimpegno delle sue funzioni, compila i processi verbali delle adunanze, attende alla corrispondenza d'ufficio, alla conservazione del sigillo e degli atti della Società. A lui è pure affidata, quando il Consiglio non credesse di delegarla ad altro socio, la sorveglianza sulla biblioteca. Dura in carica quattro anni. Il Vicesegretario lo coadiuva e lo supplisce. Dura anch’esso in carica quattro anni. ART. VI. Uno dei membri del Consiglio, designato dalla Presidenza, cura la riscossione del contributo dei Soci ed ogni altro provento attivo della Società; firma le quietanze, paga le spese stanziate nel preventivo o deliberate straordinariamente dalla Società sovra mandato firmato dal Presidente; tiene un registro di entrata e uscita; compila i bilanci preventivo e consuntivo d’ogni anno da presentarsi previa l'approvazione del Consiglio di Presidenza, alla Società in ordine dell’Art. XII. Art. VII. I soli Soci possono valersi dei libri, i quali saranno loro forniti dal Bibliotecario, osservate le norme stabilite dal Regolamento. Art. VIII. La Società pubblica un periodico intitolato: Archivio Storico Lonbardo, destinato a raccogliere dissertazioni, memorie, documenti illustrati riguardanti la storia lombarda, e gli atti sociali. I Soci hanno diritto ad un esemplare dell’ Archivio. Le pubblicazioni di maggiore importanza, come edizioni di cronache, statuti, cartari, raccolte epigrafiche e bibliografiche, debitamente commentate, alimentano una raccolta intitolata: Bib/follteca Historica Italica. Gli autori degli scritti ammessi alla pubblicazione devono assoggettarsi alle norme e alle condizioni determinate dal Consiglio di Presidenza” LO ogle 318 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA Ciascun autore è responsabile delle sue pubblicazioni e ne conserva la proprietà letteraria. Art. IX. La proposta per l'ammissione di un nuovo Socio si fa con lettera firmata da tre Soci al Consiglio di Presidenza, il quale, ove non abbia eccezioni, la presenta per l'accettazione nella prossima adunanza della Società, indicando nella lettera di convocazione i nomi del candidato e dei proponenti. Quando il Consiglio di Presidenza abbia deliberato di proporre all'assemblea l'ammissione di un nuovo Socio, questi verra invitato a firmare la dichiarazione che egli conosce gli obblighi del presente Statuto e intende di uniformarvisi. Il candidato che, a scrutinio segreto, ottiene due terzi di voti, si ritiene ammesso; quello che non raccoglie un terzo di voti favorevoli non può essere riproposto se non trascorso un anno. Art. X. Ogni Socio è tenuto al pagamento di un contributo annuale di venti lire. L'obbligo sociale è per un triennio. Il Socio che, avanti il settembre del terzo anno non dichiara in iscritto di uscire dalla Società, rimane obbligato per un altro anno, e l’obbligo annuale continua fin che non sia disdetto entro il settembre dell’anno in corso. Il Socio, che nel primo trimestre di ciascun anno non ha sogdistatto al contributo sociale, vi è invitato con lettera della Presidenza; se nel successivo trimestre non si pone in regola si ritiene rinunciante di diritto e di fatto alla Società, la quale si riserva l’esercizio delle azioni e ragioni sociali pel conseguimento del suo credito.. Chi offre 400 lire è, previa accettazione dell’assemblea, considerato Socio perpetuo, esente dal contributo annuale; e ha diritto ad un esemplare di tutte le pubblicazioni delia Società e agli altri vantaggi e diritti di cui fruiscono i Soci effettivi. ; Chi, per donazioni superiori alle 400 lire o per servigi eminenti, se ne fosse reso degno, potrà essere dall'assemblea, su proposta della Presidenza, proclamato Socio benemerito, e parificato nei diritti ai Soci perpetui. Art. XI. Il provento dei contributi sociali, degli assegni, dei donativi, del ricavo delle pubblicazioni viene erogato nelle spese di uffizio e di stampa, a norma dei preventivi approvati dall'assemblea. | Pel servizio di economato e di cassa la Società tiene un conto corrente con un Istituto di credito della città. n ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 319 ART. XII. Per gli affari scientifici ed amministrativi la Società è convocata dal Presidente. Nella lettera di convocazione si comunica l’ordine dei giorno. Nel dicembre il Consiglio sottopone all'approvazione della Società il bilancio preventivo dell’anno seguente; e in quell’adunanza l’assemblea elegge tre Soci incaricati della revisione dei conti relativi all'anno in corso: questi, entro il febbraio, li esaminano e il Rendiconto, sopra loro rapporto, viene presentato per l’approvazione in un’adunanza dello stesso mese o del successivo. Per la legalità delle adunanze occorre la presenza di un quinto almeno dei Soci residenti in Milano. Se però dopo un’ora da ‘quella fissata nella lettera d’invito non si raggiunge quel numero, si apre ugualmente la seduta e le deliberazioni sono valide, qualunque sia il numero dei presenti. Le deliberazioni dell’assemMfea obbligano tutti i Soci. Sono ammesse le delegazioni limitatamente ad una per Socio. Sono escluse le discussioni estranee allo scopo della Società o alla sua amministrazione. Qualora si tratti di persone si procede per votazione segreta. Ogni Socio può chiedere che siano inscritte all’ordine del giorno proposte di propria iniziativa. Occorrendo comunicazioni urgenti alla Società o provvedimenti istantanei in ordine all’assunto scientifico, è in facoltà di cinque Soci provocare dal Presidente una convocazione straordinaria. Per deliberazione del Consiglio di Presidenza possono tenersi adunanze solenni con invito di estranei, Art. XIII. Nessuna aggiunta o modificazione può esser fatta al presente Statuto se non sovra proposta del Consiglio o di almeno dieci Soci, da esser poi sottoposta a votazione nella successiva adunanza. La votazione deve riportare il voto di due terzi dei Soci presenti, tenuto conto, per la validità dell'assemblea, di quanto dispone il terzo comma dell’Art. XII. Se l’aggiunta o modificazione viene ammessa, il Segretario ne cura l'inserzione nello Statuto e la partecipazione ai singoli Soci. Le norme succennate valgono anche nel caso di scioglimento della Società. La suppellettile scientifica (manoscritti, stampati, ecc.) posseduta dalla Società al verificarsi di tale scioglimento diventerà proprietà del Comune di Milano da essere conservata a vantaggio della pubblica coltura. 320 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA ART. XIV. Un apposito Regolamento interno, redatto dal Consiglio di Presidenza, dà le norme per la pratica attuazione di questo Statuto. Art. XV. Il presente Statuto entra in vigore col 1° aprile 1904, dal qual giorno in avanti è abrogato lo Statuto del 1888 sinora vigente. Arprovato nell’assemblea del 20 marzo 190.4, e ‘modificato nelle assemblee del 5 gennaio 1908, 26 maggio 1912, 21 giugno 1914 e 19 marzo 1916. i ELENCO DFI SOCI" DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA (Giugno 1916). PATRONO S. M. IL RE. PRESIDENZA GrepeI nob. senatore EMANUELE ; : : . Presidente Giulini conte comm. ALESSANDRO } a ; . Vice-Presidente Motta ing. EMILIO x BERTARELLI dott. cav. uff. ACHILLE . i i . Consigliere BocNETTI prof. cav. uff, GIovanNnNI ; ; ; : Ù Cacnota nob. cav. Guino Fumi conte comm. Luici MAGISTRETTI mons. dott. Marco . VERGA dott. cav. uff. ETTORE Casati conte dott. ALESSANDRO . e . : . Segretario SEREGNI prof. cav. GIOVANNI - 3 : . Vice-Segretario (*) I segnati con un asterisco sono soci fondatori. (**) I segnati con due asterischi sono soci perpetui o benemeriti. Il numero in fianco al nome del socio indica l’anno d'iscrizione alla Società Go ogle 322 ELENCO DEI SOCI S. M. IL RE VITTORIO EMANUELE II S. M. LA REGINA ELENA S. M. LA REGINA MADRE MARGHERITA Adami ten. col. Vittorio Adamoli ing. Giulio, senatore 50 Regno . n è Agnelli prot. cav. Giotanni è Ajroldi di Robbiate barone cav. Paolo. . . . . Alberti (degli) conte Mario Albertoni conte Alberto Albertoni conte Emerico Albertoni nob. Muzio Luigi Albertoni di Scalve contessa Giana Albuzzi sac. Luigi . Alemagna conte Alberto Alemanni prof. sac. Emilio. Anderloni dott. Emilio . Angelini ing. Luigi sa Annoni arch. prof. Ambrogio . Annoni conte ing. Federico . . Archivio di Stato . . . . . Bagatti- Valsecchi barone comm. Giuseppe . . OD acli Baratelli cav. Giuseppe st dt Barbiano di Belgiojoso conte architetto Alberico . . | Barbiano di Belgiojoso d’ Este principessa Maddalena . Barbò nob. ing. Lodovico . . . Baroffio dall’Aglio barone comm. Giuseppe . . ... 0... I Micano, via Princ. Umberto, 2 Besozzo (Varese) LoDpi, Biblioteca Comunale Mirano, via Ad. Saffi, 34 ToRINO, via Fanti, 6 Miano, via Vivaio, 11 n w Vivaio, 1I » Vivaio, II Crimoia Via Tibaldi, ro Mirano, Can. di s. M. Segreta = via Moscova, 18 CeLANA (Bergamo) Collegio pareggiato MiLano, via S. Orsola, 6 BERGAMO, Borgo s. Caterina, 13 MiLano, Bastioni Magenta, 2 i via Boschetti, 6 BRESCIA Milano, via Gesù, s VARESE, Via Cavour, 7 Miano , Gesù, 11 Passione, I Durint, 17 ” w ” » 5 corso Magenta, 30 ELENCO DEI SOCI S. E. Baslini avv. comm. Antonio, sottosegretario di Stato Bassani dott. Ugo . . . . ; Bassi maggiore nobile Culo: Bazzero avv. conte Carlo . Bay ing. Francesco . . .. Belinzaghi Bianca. . . ... Bellini avv. cav. Giuseppe . . Benaglia avv. comm. Demetrio . Benaglio conte avv. Giacinto, deputato al Parlamento. Berenzi prof. mons. Angelo . . Beretta sac. Rinaldo. . . Bertarelli dott. cav. uff. Achille. ® Bertarelli dott. comm. Ambrogio Bertoni Giovanni Battista. . . Besozzi-Visconti nob. cav. Francesco, Vice-Prefetto . . Bianchi Angelo Domenico . Bianchi ing. Guido . Biblioteca Comunale . . . . Biblioteca Comunale . . . .. Biblioteca Comunale . . . .. Biscaro dott. cav. Gerolamo Bognetti prof. cav. uff. Giovanni. Bonardi avv. Carlo . . . . Bonelli dott. Giuseppe Bonetti cav. maggiore Carlo . Borghi ing. comm. Fedele . . Borromeo conte Febo . . . Borromeo conte Guido Borromeo Arese contessa Elisa. Borsani dott. Gaetano . . . Botta Gustavo . . . .. ù Bottini prof. Pietro . . . . . Brambilla dott. Giuseppe Bruschetti cav. Ampellio . . Brusconi arch. prof. Augusto. Buttafava-Valentini nob. GiusepPINA e è + Su A Buzzati prot. comm. Giulio CeSalerno ee RE ee Cagnola nob. cav. Guido . . . Cagnoni Gian Franco . . . . Calderini dott. prof. Aristide . Calvi nob. dott. Gerolamo . 1908 1912 1906 1882 I9IO 1905 1886 1885 1909 1898 IQIO 1900 1906 1913 1902 1909 1900 I9I2 IQII 1906 1904 1900 1912 IQ0I 1907 I90I 1900 1902 1874 190I 1913 1897 1905 1906 IQII 1904 1900 1896 190I 1908 1894 323 MiLano, via Monte di Pietà, 12 ” n» Gest, 4 a via Spiga, 12 i » Gorani, { ” » Sì Spirito, 22 5 » Cernaia, 5 i »s Torino, 68 + » S. Spirito, 24 BERGAMO CREMONA, Liceo Vescorwile RoBBIANO DI Giussano Mitano, via s. Barnaba, 18 » » S. Orsola, I Brescia, via Cesare Arici, 7 PARMA VARESE Mirano, Foro Bonaparte, 6} BERGAMO UDINE VERONA Roma, Piazza S. Cosimato, 40 MiLano, via Bossi, 2 BRESCIA BreESsCcIA, 0. Archivio di Stato CREMONA, via Biblioteca, I MiLano, via Conservatorio, 7 Pa » «Ad. Manzoni, {I piazza Borromeo, Io i n Borronico, 10 Mesero, (prov. di Milano) Mirano, Bast. P. Vitoria, 37 È via Giulini, 7 : sn Torino, j1 E n Clerici, 4 A » (otto, S Nugabella, 10 S , 5 n Se Marco, 12 a n Cusani, 5 ; w Cusani, 16 i » L. Palazzi, 10 a » Clerici 3 324 ELENCO DEI SOCI Capi avv. Emilio, deputato al s Parlamento . . . . . . . 1902 Mrtano, via V. Monti, 23 Canevali prot. cav. Fortunato . 1913 BrENo Capasso prof. cav. uff. Gaetano, preside del R. Liceo Manzoni. 1902 Miano, via: F/li Ruffini, r1 Caporali dott. Vincenzo. . . 1889 Varese per Vicciù. Cappelli dott. Adriano, diréitore del R. Archivio di Stato . . 1892 PARMA Capretti cav. Flaviano . . . 1913 Brescia, via A, Tagliaferri Carena Castiglioni conte Canili 1916 Mitano, via V. Monti, 37 Carnelli comm. Ambrogio . . . 1901 i » Cernaia, 5 Carones cav. Agostino . . . . 1909 i » Cappuccio, 7 Carotti dott. prof. cav. Giulio . 1883 ; » “Solferino, 22 Carozzi ing. Luigi. . . . 1902 A Bastioni Vittoria, 11 ** Casati conte dott. Alessandro (cu: cio benemerito) . . . . .° 1906 = via Soncino, 2 Casati Negroni contessa Luisa . 1913 ; » Soncino, 2 Casnati dott. Giovanni . . . I90I 5 » Princ. Amedeo, Ir Castelbarco Albani conte Alberto 1906 s » Princ. Umberto, 6 Castelbarco Albaniconte Costanzo 1909 ù » A. Appiani, 7 Castelbarco Albani conte Giuseppe . . . . +. +. +. 1909 n » Princ. Amedeo, I Castelbarco Albani principessa Maria . . . . . + 1904 i » Princ. Umberto, 6 Castelli dott. Gui dine . . . 1916 ” » Meravigli, 12 Cavallari Cantalamessa prof.ssa Giulia . . . . . . +. 1912 Torino, Villa della Regina Cavallazzi arch. Antonio . +. +. Igii Mitano, via Bigl 18 A Caversazzi dott. Ciro. . . . . 1906 BERGAMO Cesa-Bianchi ing. arch. Paolo . 1879 Miano, via S. Eufemia, 19 Chiodi ing. Cesare. . . . . IQIO è » Pietro Vervi, 14 Cian dott. prot. cav. Viuorio . 1900 Torino, vfa Berchiet, 2 Cicogna conte Giampietro . . . 1874 Mitano, via Monforte, 23} Cicogna conte Mario. . . . . 1902 ; » Monforte, 23 Cipolla conte comm. prof. Carlo. 1900 FIRENZE, via Lorenzo il Magnifico, è Circolo Filologico Milanese . . 1904 Mtano, via Clerici, ro Clerici ing. Carlo . . . . 1904 . » Broget, 10 . Cochin Enrico, ex deputato alla Camera Francese . . . . . 1904 PARIGI, Qua: d'Orsay, 2} Colombo prof. Alessandro. . . 1903 VIGEVANO Colombo cav. uff. Guido, archivista di Stato . . . . 1886 Mitano, ia s. Maurilio, 20 Conti dott. comm. Egilio. senatore del Regno. . . . . . 1878 P » Monforte, 26 Conti ing. comm. Ettore . . 1903 5 » Aurelio Saffi, 25 ELENCO Corbella can. cav. Pompeo "i Cornaggia-Medici march. Carlo Ottavio: sg. si dg 4 Corti march. Gaspare . . . . Crespi comm. Cristoforo . . . Crespi Mario. . . ... Cusani-Confalonieri march. Li D'Ancona prof. Paolo . . ; Da Como avv. Ugo, deputato al parlamento . Sa Dal Verme conte Antonio . Da Ponte nob. cav. Pietro . Del Mayno Simonetta contessa Carolina . . . E RI: De Conturbia nob. Luigi Carlo . Decio dott. Carlo . . . . De Francisci nob. dott. P. E. è De Herra nob. avv. Cesare . . Della Croce nob. cav. avv. Ambrogio . . . . . ; . Della Croce nob. Beno, Là di Stato: sx e e asi e La Dell'Acqua sac. Carlo . . . . De Marchi dott. cav. Marco . . Demetrio (di) Cadmo. . . L'e Simoni ing. comm. Giovanni L’onini prevosto Cesare. . . Doniselli dott. Alfredo . . Dozzio dott. Stefano . . . . . Esergrini Gian Andrea. . . . Facchi Gaetano. . . è tacheris avv. comm. Ciovsnoi senatore del Regno . Feroreili dott. Nicola. toulques Jocelyn Constance. Fiorani dott. nob. Pier Luigi. . Fogolari dott. Gino . Foligno dott. prof. Cesare . Fontana ing. cav. Vincenzo . Fornasini cav. Gaetano . . . Fossati prof. Felice . . . - Foucault di Daugnon conte Frane cesco. . . 5 Friedmann Coduri Dial Teisiù Frisiani-Parisetti conte Gottardo A'ch. GO ogle Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. DEI SOCI 325 1901 MiLano, via Lanzone, 28 1899 ; » Cappuccio, 2I 1909 x corso Venezia, 22 1888 3 via Borgonuvvo, IS 1904 s » Manzoni, 10 1908 19I5 n » AAX Settembre, 35 1912 BRESCIA 1916 Mitano, Zoro Bonaparte, 25 1874 BRESCIA. 1913 MiLano, via Crocefisso, 12 igio Como, via A. Volta, 5 1900 Mirano via Passarella, I0 1903 ; » S. Maria Valle, 7 1892 ” ” Gest, 7 1909 VIGEVANO 1908 MiLanNO, corso Buenos Ayres,I7 1914 x via Vigentina, 34 1903 i » Borgonuovo, 2} 1907 TRIESIE, via Rossini, 20 1888 Mirano, via Carducci, 32 igio Brignano D’Appa (Bergamo) 1895 Mitano, via Monte Napol., 22 1910 È » Biglh, 10 1912 Î » Bigli, 19 1901 si » Durini, 18 1908. ” » Bigli, 19 1912 A » Via Senato, 10 1906 Lonpra W, Pelham Crescent, 11 1909 MitLano, via Ztovello, I 1900 VENEZIA, AA. Gallerie 1900 OxrForp, Zay/orian Institution 1905 Torino, piazza Vitt. Em., 12 Igio BRESCIA via Frat. Lombardi, 4 1903 ViGEvANO 1879 CREMA, piasza Franc. Grassi 1906 Mitano, via Carlo Tenca, 1; 1916 È piazza s. Annbrogto, 2 I-IT. 21 326 ELENCO DFI SOCI Frizzi dott. comm. Lazzaro, senatore del Regno. . . . . 1874 Mitano, via Monte di Pietà, 18 Frova dott. cav. Arturo . . . 1902 1 Piazsa Castello, 6 Fumi conte comm. Luigi, direttore del R. Archivio di Stato. 1908 i via Senato, 10 Gabba avv. comm. Bassano . . 1882 È n S. «Andrea, 2 Gafturi ing. cav. uff. Paolo . . 1900 BeRrgawvo, via s. Lazzaro, I Gaggia mons. Giacinto, vescovo di Brescia. . . . +... +. IgIio BRESscIA Galeati prof. Giuseppe . . . +. 1914 CRkeEMosna, via S. Mattia, 4 Gallarati Giuseppe, archivista di Stato. . . . . . + + 1886 MiLano, cia Monforte, 19 Gallarati Scotti dub lett Tommaso. . . - . +. + + 1904 A » «i Marzoni, 30 Gallavresi dott. fici cav. Giuseppe . . . .- +. +. 1900 i » Monte :Vapol., 28 Galli sac. prot. dal . . + «+ IQ0I ù u Manin, 23 Galli Emilio . . . . . +. 1913 i » Mascheroni, 5 Galli dott. sac. Giuseppe . . +. 1906 w Collegio s. Carlo, corso | P. Magenta Garovaglio Adele ved. Rognoni. 1908 È via Pantano, 1; Gatti dott. comm. Francesco . . 1889 5 piazza P. Ferrari, 10 Ghisalberti cav. Annibale . . . 1900 ; via s. Maurilio, 19 Giachi arch. comm. Giovanni . 1879 D » S. Raffaele, j; Giorgi di Vistarino conte Carlo. 1908 Rocca DE’ Giorgi (prov. di Vo ghera), circond. di Pavia Giovanelli comm. Enrico, Regio Economo dei Benefici vacanti in Lombardia . . . . 1902 Mirano, corso P. Vittoria, 49 Giulini conte comm. Alessandro 1893 ; v Magenta, 30 Giulini nob. Giuseppe . . . . 1913 P via s. P.vo all'’Orto, 15 Giussani ing. cav. uff. Antonio . 1907 Como, piasza Roma, 7 Glissenti avv. cav. Fabio, direttore dell’Archivio di Stato . 1908 BRESCIA Gnecchi comm. Francesco. . . 1878 Mitavo, via Zilodrammmai., 10 Gramatica mons. dott. Luigi. . 1912 Re Bibl,ca Anbrosiana Grassi avv. cav. Virgilio . . . 1902 Ù via Clerici, 7 * Greppi nob. Alessandro . . . 1873 n n S. Antonio, 12 Greppi nob. avv. comm. Emanuele, senatore del Regno. . . 1882 ; n S. «Antonio, 22 Greppi nob. Enrico. . . . + 1908 * Greppi conte comm. Ciisepso, senatore del Regno . . . . 1873 5 n S. «infonio, 12 Greppi nob. Lorenzo. . . . . 1874 5 n S. Antonio, 12 Guarnerio prof. cav. Pier Enea. 1916 n Foro Bonafarte, } Guerrini sac. dott. prof. Paolo . 1909 BRESCIA, Curia Vescovile ; » -Mfonferte, 26 | _ ELENCO Guicciardi nob. cav. ing. Diego . Hoepli comm. dott. Ulrico. ** Hortis Attilio . . ..... Isambert dott. Gastone . . . . Jacini nob. dott. cav. Stefano. . t Joel comm. Otto = Li Johnson comm. Federico . . Labadini comm. rag. Ausano. ‘* Labus avv. comm. Stefano . Landriani Martini contessa Antonietta . . . .... Lanzoni Giuseppe . . Lattes dott. prof. ‘Alessandro: ** Lattes prof. comm, Elia (socio benemerito) . . . . . . Lepetit dott. Emilio . Lechi conte dott. Teodoro Litta- Modignani march. Gaetano Lizier prof. Augusto, R. Ispettore Locatelli mons. Carlo, proposto di S. Stefano Locatelli sac. prof. Giuseppe . Lombardi mons. Emilio, preposto mitrato di S. Agostino, canonico della Cattedrale Loling ing. Emilio. x Luzio cav. Alessandro, direttore del R. Archivio di Stato . Luzzatto avv. comm. Carlo Vittorio, R. Prefetto . ; Magistretti mons. dott. Marco . Magistretti prof. Piero . Magnaguti conte Enrico. Magni dott. cav. Antonio . Majnoni d’Intignano march. arch. Achille . ul ed Majnoni d’Intignano nob. Gerolamo. . . . Majocchi mons. prof. Rodolfo Mambretti mons. Cesare Mangiagalli prof. comm. Luigi, senatore del Regno . . . Mannati Vigoni nob. Teresa . . Go ogle DEI SOCI 1909 1900 1874 1904 1904 1908 1905 1909 1873 1916 1905 327 MiLano, via fonte \Vapol., 22 ; » XX settembre, 2 TRIESTE, Biblioteca Comunale Parigi, 169, boul. Haussinann MtiLano, via Lauro, 3} a » Borgonuovo, 11 ; corso P. Nuova, I5 c via Bazzoni, 8 ; n S. Andrea, S Sovico-LamBro (Milano) Maxnrova Toro, via Vitt. Amedeo II, 16 Micano, via Prince. Unnberto, 28 È » Cernata, 2 Brescia, corso Vitt. Eman., 43 MiLano, via Pantano, 1 Torino, , S. Chiara, }1 Mirano, , Zaghetto, 17 BeRrgGAMO, Biblioteca Civica CREMONA Miano, corso Venezia, 62 MANTOVA UDINE Mirano, via Arcivescovado, 16 È corso Italia, 23 FAENZA Miranò, via Aununciala, 19 ; Palazzo Reale PineRrOLO, Scuole di Cavalleria Pavia, Collegio Borroi:co Mirano, via S. Maria alla Porta, 10 ” n Fatebenefrat., 2E 328 Manziana cav. Carlo . . . . . Manzoni dott. prof. Giovanni. . Mapel:: conte Gerolamo . . Maraini avv. comm. Clemente Marazzi conte Fortunato, generale, deputato al Parlamento Marictti dott. Antonio sd Marietti dott. cav. uff. Giuseppe Maroni avv, Rodolfo . . . . . Martinengo Cesaresco contessa Evelma. c u& a Matto] Edoardo . . * da Mazzi prof. cav. Angelo . . . Medici di Marignano marchese Gian Angelo. . .. . . Meli Lupi di Soragna nob. Antornio: 4 £ e & Ve . Melzi d’Eril nob. Benigno . . Meraviglia-Mantegazza marchese ing. Saule . . . . . Mezzanotte ing. Paolo . . . Mina ing. Enrico ; Mira prof. Giovanni . . .. Molteni sac. dott. Giuseppe . Munneret de Villard arch. Ugo. Monteverdì dott. Angelo de Montholon-Fè d’Ostiani contessa Paolina . . . . Monticelli Obizzi march, Luigi . Moretti prot. arch. comm. Gaetano Motta ing. Emilio . . . . .. Muller Carlo... ..... Museo Storico-Artistico del VerDans. ss oi e de Mylius cav. uff. Giorgio . . . Nava ing. arch. comm. Cesare, deputato al Parlamento . Negri sac. Luigi, preposto. Negri Vincenzo . . l Nicotemi dott. Giorgio . : Nizzoli dott. cav. Achille 1% Nogara dott. comm. Bartolomeo. Noseda cav. Aldo. 0.0.0. - 1916 1910 1898 1907 1907 1895 1892 IQIO 1913 1901 1912 1909 1879 1902 IQII 1905 1900 1909 1908 1914 1913 1896 1900 ELENCO DEI SOCI BRESCIA MiLano, cia Pontida, 1 o » Borromei, 2 Roma, Villino Maraini, via Nibby ( fuori P. Pia) CAPERGNANICA (presso Crema) Mirano, via Borgospesso, 21 ; piazza s. Sepolcro, ;} ; via Clerici, 1 SALÒ Mirano, corso P. Nuova, IS Bergamo, Biblioirca Comunale NAPOLI, Reggia di Capodimonie Mirano, via A. Manzoni, 40 ” ” Pantano, } » » Borromet, I Monza, via A. Manzoni, 16 MitLano, via Moscova, 16 Seregno, Scuola Tecnica Comunale | MILANO, via Goito, 5 Cremona, via Orfanotrofio, 2 Brfscia corso C. Aiberto, s4 MiLano, , Venezia, 14 ” Bastioni Monforte, 15 n via De Amicis, 53 INTRA PALLANZA Mirano, via Monfebe!lo, 32 A via s. Euferiia, 19 ROSATE MitLano, via s. Antonio, 20 GALLARATE Prcocnaca (Mantova) Roma, via l'itt. Colonna, 40» inferno, 12 Miano, corso P, omar, 6 ELENCO DEI SUCI 329 Oberziner prof. Giovanni . . . 1903 Mirano, via Marin, 3 Occa avv. Luigi. . . . 1907 ; n S. -Vicolao, 10 Odazio di Castel d’Isola Fusata conte ing. Ernesto. . . . . 1896 " corso P. Vuova, 9 Odescalchi nob. sac. Luigi. . . 1909 ; via s. Maria Segreta, 3 Oldotredi Tadini conte Gerolamo 1906 ; Villa Reale Orano prof. avv. Domenico . . igor Roma, piazza Pia, )0 Orombelli nob. Marco . . . . i1gio Mitano, via Monfort, 15 Ostinelli dott. Giuseppe. . . . 1903 ; » Brera, 19 Padulli nob. Giulio . . . . . 1906 Era, Villa Amalia Padulli nobile ing. comm. Giu. seppe. . . . . . .. +. 1916 Mirano, via S. Marta, 14 Paleari avv. Giovanni . . . 1903 ” » Boccaccio, 4 Paravicini conte cav. ing. buigi 1916 i » De Amicis, 47 Parrocchetti nob. Antonio . . . 1909 è Bastioni Monforte, 3 Pasinetti sac. Severo preposto . 1909 BERGAMO, via lignolo, 77 Pedrotti dott. Pietro. . . . . 1906 Rovereto (Trentino) Pellegrini dott. sac. Carlo. . . 1898 Mirano, Can. di s. Calimero Peregalli avv. Eugenio . . . . 1909 x via Leopardi, $ Pestalozza nob. dott. prof. Uberto . . . . «+. 1904 s piazza s. Sepolcro, I Petraglione prot. Giusi . . 1905 Bari, via Argiro, 95 Piantanida avv. Alberto . . . 1906 Mitano, via Senato, 14 Pietrasanta prot. cav. Pagano . 1890 5 » Boccaccio, 25 Pio di Savoia principe Giovanni 1884 * » Borsonuovo, II Pirelli comm. ing. G. B., senatore del Regno . . ..... 1999, si Donte Seveso, 19 * Ponti march. comm. Ettore, senatore del Regno . . . . . 1873 ” n Digli, Il Porro prof. avv. E. A. . . . . 1909 » Solferino, 22 Postingher cav. cap. Teodoro . 1906 Bar ERE1o (Trentino) Premoli padre Orazio . . . . 1905 Roma, via Chiavari, 6 Prinetti conte Emanuele . . . 1906 Mitano, via Manzoni, 4} Prior cav. D. H. . . . . . . 1906 VARESE, Villa Litta * Pullé conte comm. Leopoldo, senatore del Regno. . . . . 1873 Mitavo, via Brera, 1) Putelli prof. Raffaello . . . . 1913 VENEZIA, S. Cassiano, Id85d Radice Fossati ing. Carlo . . . 1907 Mitano, via Cappuccio, 13 Ramazzini dott. Amilcare . . . 1879 Mopena, contrada Ganaceto, 4} Rapazzini ing. Guido. . . . IgIo Mirano, via s. Andrea, 5 Ratti mons. dott. cav. Achille, Prefetto della Vaticana . . 1895 Roma Redaelli dott. Carlo . . . . . 1898 Mitano, via Cusani, IN Regazzoni Giuseppe Max . . . 1907 9 » MVanzoni, 31 Ricci dott. comm. Corrado. . . 1902 Roma, piazza Venezia, 11 LO ogle 330 ELENCO DEI SOCI Ricci prof. dott. Serafino . . . 1898 Miraxo, via Statuto, 25 Rigogliosi sac. Carlo, prevosto di S. Lorenzo . . . +. + IQII a Can.ca di s. Lorenzo Richard arch. Giulio FO - . . 1905 a corso Venezia, 52 de Ritter-ZAhony nob. Ivan . . 1908 w via Borgentovo, 4 Riva prof. dott. cav. Giuseppe . 1898 Monza, casa Cambiaghi Rivetti sac. Luigi. . . . . . 1913 CHIARI, Biblioteca Morcelliana Rocca prof. sac. Luigi . . . . 1900 Mitano, corso Magenta, 5 Rollone prof. Luigi . . . . . 1897 a viale dei Mille, I4 Romano dott. prof. Giacinto . . 1889 Pavia, A. Università Roncalli sac. Angelo . . . . . 1909 BERGAMO, Épiscopio Ronchetti rag. Agostino . . . 1893 Mitano, via £. De Amicis, 43 (presso il sig. Paolo Colombo) Rossi sac, prof. Davide. . . . 1901 Gora Miwore, Coll. Rofondi Rossi dott. prof. comm. Vittorio. 1894 Roma, via Mecenate, 19 Ruberti cav. Ugo . . . . . 1899 Quistetto (Mantova) Rilbsam dott. cav. Cinsspre: . I9gI2 REGENSBURG Rusconi sac. dott. Pietro . . . 1904 Mtuano, corso s. Celso, 27 Sala Trotti nob. Mina . . . . 1909 i via Bigli, 21 Salvioni prof. dott. Carlo . . . 1900 9 » Artosto, 4 Santamaria sac. Carlo . . . . 1916 r » S Siro, I Sanvisenti dott. prof. Bernardo . 1900 ; corso Venezia, 62 Sassi de’ Lavizzari nob. dii FranCESCO O... . . + 1905 si via Monforie, 35 Scaravaglio NETTI . . + 1907 corso P. Roniana, 9 Segafredo prot. Giacomo . . . 1897 Lovi R. Liceo Segre prof. Arturo . . . 1902 Torino, via V. Amedeo Il, 1} von Seidlitz dr Waldemaro, cons. intimo . . . . 1903 DRESDA, Cose/- Palais Sepuleri prof. dii Alessandio . 1902 Mitano, via Borgonuocvo, 25 Seregni prof. cav. Giovanni . . 1897 A A n 9 Sertoli conte ing. Cesare . . . 1916 ; » S. Andrea. 12 Signori ing. comm. Ettore. . . 1901 CREMONA, Guido Grandi, ! Silvestri comm. Giovanni . . . 1901 ; n Venezia, 16 Silvestri Valentini Eva. . . . 1916 MitLano, corso Venezia, 10 Silvestri Volpi Bianca Maria. . 1904 . » Venezia, 10 Simeoni prof. Luigi . . . . . 1901 Mopena, A. Liceo Muratori Sina sac. Alessandro. . . . . 1912 Costa Votpino (prov. di Bergamo) Sioli Legnani Conti Gigina . . 1909 Mitano, via Vivaio, II Sola conte Gian Lodovico. . . 1909 E corso Venezia, 22 Solmi prof. cav. Arrigo . . . 1914 Ù via Tasso, Is Somaglia (della) conte Gian Giacomo . . 1907 n corso P. Romana, 13 Sommi Dicenatili nol dott Gioni Francesco... ... 0.0. 190I ; ma Cerva, 42 Go ogle ELENCO DEI SOCI Soragra Melzi marchesa Luigia (Biblioteca Melziana). Sormari Andreani conte Pietro, seratore del Regno . . . . Squassi dott. Alberico . Steffens dott. prof. Francesco Stefini dott. Attilio Stoppari sacerdote dott. Giovanri Maria ; Stucchi-Prinetti ing. cai Talamoni sac. dott. prof. Luigi . Tallachini avv. Vittorio Tanzi avv. cav. Mario . . . . Tarsis conte Paolo Tencajcli Oreste Ferdinando Terruggia ing. comm. Amabile. Terzi conte Giuliano . . . ** Thurn e Taxis (S. A. R. il Sri: cipe di) (socio benemerito) Toeplitz Lodovico. do cd Tonni Bazza ing. Vincenzo . . Treve=: Tedeschi Virginia. . . Trivulzio principe Euigi Alberico Ubertalli avv. Gian Paolo . Uboldi Ferdinando . . . . Venini Antonio... ... . Verga dott. cav. uff. Ettore . . Vergani dott. cav. Giovanni . Vergine Giuseppe. . . . . +. Vigoni nobile Giulio, senatore dei Regno sE ** Villa Pernice donna Rachele . Vimercati Sanseverino conte Giddo» io Visconti dott. prof. Alessandro . Visconti march. Roberto . . . Visconti di Modrone conte comm. Giuseppe . . . . : Visconti di Modrone nie comm. Guido Carlo... .... Visconti di Saliceto conte Alfonso Vistalli sac. Francesco . Vitali sac. comm. Luigi. LO ogle 1896 1914 1915 1902 1912 1915 1908 1901 1906 1916 1906 1906 1900 1909 1914 1914 1913 1905 1900 333 MiLano, via Manzoni, 40 i corso P. Vittoria, 2 i via Silvio Pellico, 7 FrIBORGO (Svizzera), re Saint Pierre, 20 CeLANA (Bergamo) Pareggiato Collegio S. Pietro MARTIRE (Seveso) Mirano, via Manzoni, 45 Monza, Seminario Arcivescuv. MiLanO, piazza P. Ferrari, 10 ù S. Pietro all’Orto, 18 i via s. Paolo, I Spontini, 4 A. Saffi, 17 ” ” ” ” BRESCIA REGENSBURG MiLano, piazza Castello, 28 Roma, via Flavia, 6 Mirano, via Mario Pagano, 65 i piazzas.A ona 0,4 A via Torino, s1 i corso P. Romana, S2 i via s. Maurilio, 21 ” corso Italia, 46 x piazza s. Ambrogio, 2 BRESCIA, via Trieste, 30 Milano, via Fatebenefrat., 2I ; n Cusani, I} Vajano Cremasco (Provincia di Cremona) Micano, via del Crocefisso, 6 n » Borgonuovo, 5 ” ” Cerva, 4S om » Carducci, 3} Cernusco suL NAvIGLIO Chiupuno (Bergamo) MicLaxo, ca Vivato, ni 332 ELENCO DEI SOCI Vittani dott. prof. cav. Giovanni 1902 MiLano, ina Sestato, 10 Volpe. prof. dott. Gioachino . . 1906 i » E. Praga, 8 Volta nob. avv. cav. Zanino . . 1878 Pavia Vonwiller cav. Alberto . . . . 1909 MitanO, via Beretta, 8 Weil comandante M. H. . . . 1905 PARIGI, rue Radelats, ; Weill-Schott dott. Gustavo. . . 1908 MiLamo, via Monforie, 42 Zanelli dott. prof. cav. Agostino 1900 Roma, sia Cavour, 150 Zanoni dott. Luigi. . . . +. . 1909 im - = OPERE pervenute alla Biblioteca Sociale nel | semestre del 1916 Apami VittoRrIO, Una pagina di storia della brigata Savoia nel 1566. Città di Castello, Unione Arti grafiche, 1914 (d. d. s. Motta). ALoisio sac. ENRICO, La mia famiglia. Noterelle storico-genealogiche. 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Betani, 1914. — I pennacchi del Domenichino in S. Carlo a’ Catinari. Roma, tip. Befuni, I9I5. 336 OPERE PERVENUTE ALLA BIBLIOTECA SOCIALE PreEMOLI p. Orazio, // Quietismo in Piemonte. Note e appunti. Monza, tip. Artigianelli (d. d, s. A.) Priox HENRY, Quelques documents inedits relatifs a Alessandro Manzoni et à Massimo D'Azeglio. Milano, U. Allegretti, 1915 (d. d. s. À.). Rava Luici, 1/ primo parlamento elettivo in Italia. Bologna, Gamberini e Parmeggiani, 1915 (d. d. A.). Ravizza ing. VALENTINO, Restauro della Villa Dall'Orto ora Ravizza in Arcore. Milano, Modiano, 1916 (d. d. A.). Scotti Giulio, L'antica famiglia varennate degli Scotti. Como, tip. Ostinelli, 1916 (d. d. A.). SismonpI S., Storia del risorgimento, de’ progressi, del decadimento è della rovina della libertà in Italia. Lugano, Ruggia, 1833, 2 voll. id. s. Motta). STAURENGHI CESARE, L’Ospedale Maggiore di Milano e i suoi antichi sepolcri, particolarmente il Foppone ora detto la Rotonda. 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Artigianelli, 1913 (d. d. A... Upuszcoli e stampati diversi riguardanti la guerra europea 1914-1916 id. d. s. Monneret de Villard), | ROMANENGHI AxceLo F RANCESCO, gerente-responsabile. Milano - Cita Ecitrice L F. Cogliati - Corso F, Romana, 7. 7 Di Original from Digitized by CORNELL UNIVERSITY Original from STatizes by i “CORNELL UNIVERSITY © — Original from Digitized by CORNELL UNIVERSITY Digitized by T _. Originalfrom __ CORNELL UNIVERSITY ARCHIVIO STORICO LOMBARDO — Digitized by Co ogle Original from CORNELL UNIVERSITY‘ ARCHIVIO STORICO LOMBARDO GIORNALE DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA SERIE QUINTA ANNO XLIII — PARTE SECONDA MILANO SEDE LIBRERIA DELLA SOCIETÀ FRATELLI BOCCA Castello Sforzesco Corso Vitt. Em., 21 1916, La proprietà letteraria è riservata agli autori dei singoli sci & Original from ge — to Digitized by CORNELL UNIVERSITY I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI CRISTIANI DI LOMBARDIA incHE ad un osservatore superficiale dei musaici pavi-» i mentali cristiani anteriori alla metà del VI secolo in i Occidente, l’epoca barbarica propriamente detta, ed + alla caduta del dominio bizantino in Africa, in Siria e nella Palestina, appare evidente una grande divisione in tre gruppi artistici differenziati da un diverso e quasi opposto ideale artistico. Il gruppo africano dapprima, il più ricco come numero di monumenti conservati non solo ma anche il più importante per il contenuto iconografico, che si stende dalla Cirenaica alla Mauritania Tingitana : esso continua artisticamente la grande produzione pagana e, pur cambiandone il contenuto simbolico o rappresentativo, sì può dir non ne varii i metodi di rappresentazione, sì che niuna interruzione artistica corrisponde al radicale modificarsi dei concetti religiosi e morali, e le forme espressive continuano la loro vita in una naturale evoluzione verso la decadenza e la morte che quasi naturalmente avviene al sopraggiungere dell’invasione islamica. Il gruppo orientale, che ha il suo maggior centro produttivo intorno ai santuari dei Luoghi Santi e radi esempi sparsi nella Siria e nell’ Asia Minore, meno si riattacca ad una tradizione antica e più mostra i caratteri di una produzione nuova, sorta dal (O ogle 342 UGO MONNERET DE VILLARD naturale svolgimento d’alcuni principî artistici caratteristi asiatici. I musaici pavimentali d'Occidente meno facilmente sì caratterizzare: troppi e diversi elementi entrano nel proce borativo delle loro forme, elementi distribuiti in diverse zioni da luogo a luogo, perchè si possano considerare co manti un nucleo unico con un’unica storia. Alcune grandi « si impongono necessariamente: così il piccolo gruppo di cristiani della Spagna viene a riattaccarsi al gruppo africano musaici tombali di Denia e di Manacor nell’isola di Maiorc più innanzi terrò parola, mentre gli altri rari esempi spagi sono sufficientemente importanti per formare una scuola s mostrando essi sia un contenuto iconografico quanto fori stiche comuni a tutto il bacino mediterraneo (1).. I rari pavimenti cristiani di Roma (2), quelli dell’ Ital: dionale e della Sicilia, o non escono dalla tradizione classì quelli di Roma od appartengono, come gli altri, all’epoc: tina (3). Dove invece si è formata una vera scuola di musaici p. tali e numerosi e caratteristici se ne presentano gli esempi l’Italia settentrionale, nella Lombardia e nella Venezia, chè 1 regione artistica formavano nei primi secoli medioevali. ( è osservato e come sempre si deve osservare per ogni ma (1) Tale il pavimento con la figura d'Orfeo ad Arnal. Cfr. M. D in Seminario pintoresco esp., 1857; quelli di Burguillos, HùBNER, /ms. < suppl. 360; M. R. MArTINEz, in Bol. de la R. Acad. de la Hist., XX] quello di Merida con iscrizioni in HùBNER, Op. cit., n. 39 e l’altro ric Prudenzio. (2) I più importanti sono quelli del mausoleo di Costanza riprod. BARU, in L'Arte, 1904, fig. a p. 460; del cubicolo cimiteriale dei SS. N e Pietro, riprod. in Emporium, 1906, fig. 30 a p. 430; del cimitero di ad duos lauros in MarcHI, Monumenti, tav. VI-VIII, e quello di Via V tembre, GaTTI, in Boll Comm. Comun., XXIX, 1901, pp. 86-39. (3) Il siciliano di Salemi, SALINAS, in Mot. degli scavi, 1393, pp. 391, 428; quello di Teano, SpinazzoLa, idem, 1907, pp. 697-703; € Taranto, VioLa, idem, 1894, pp. 321-325; quello di Reggio Calabria, Qt idem, 1905, pp. 281-288. Il noto musaico anconitano appartiene all’am l'arte cristiana primitiva: vedine la bibliogr. in CABROL, Diction. d’arc et de liturgie, Art. Ancòne, coll. 1994-1999. Go gle I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 343 zione artistica di questi luoghi e di questi tempi, le stesse forme d’arte che troviamo nell’Istria e nella Regio X e XI, sono anche quelle di opere analoghe del Norico, della Dalmazia e di quella parte della regione balcanica che ne forma l’ « hinterland ». D'altra parte, come sempre avvenne nell’epoca pre-romanica, la Gallia Cisalpina è stato il centro di convergenza di svariati influssi orientali, giunti parte per la via terrestre balcanica, parte per il mare all’Esarcato. Nella valle del Po influssi barbarici ed orientali si sono fusi nel fondo di tradizione romana, e ne è sorta una nuova arte, che poi dal grande centro di Milano si è diffusa pei valichi alpini nei paesi d’oltre alpe. Questo fenomeno che si osserva costantemente fra il IV ed il IX secolo vogliamo ora studiare nel caso particolare dei musaici pavimentali. E dapprima prenderemo in esame i caratteri esterni, epigrafi, iconografia, tecnica, poi più propriamente le forme artistiche. Il. Un elemento importante dello studio dei musaici pavimentali dell’epoca cristiana, elemento fino ad ora da nessuno studiato, è quello che si riferisce ai donatori del monumento ed alle iscrizioni che tale fatto ricordano. L'analisi di queste epigrafi, unita all'analisi stilistica dei monumenti, ci permetterà di caratterizzare un gruppo di musaici, centro artistico della cui produzione è la valle del Po, ma di cui le propaggini si estendono in tutte quelle regioni che dominò la civiltà.gota; da qui la doppia qualifica con cui provvisoriamente li determino : lombardo-goti. E noto che già in epoca romana i donatori dei musaici pavimentali erano ricordati con iscrizioni tracciate in questi, generalmente con tasselli. Il più antico esempio è certo quello del pavimento ritrovato in Roma sotto la chiesa di S. Giovanni Calibita sull'Isola Tiberina, in opera signina, facente parte del tempio di Giove Jurario, elevato verso il 150 a. C. da L. Furius Porpureo (1). Della fine della Repubblica è quello di una sala dell’edificio ter- (1) C. I. L., VI, 3879; BESNIER, L’ile Tiberine dans Pantiquite, p. 255, Sg&- Go ogle 344 UGO MONNERET DE VILLARD male di Crotone (1); mentre sono generalmente dell’Im altri ritrovati per tutte le provincie e le regioni (2). Alcune iscrizioni ricordano, come. caso particolare, cl vimento è stato eseguito a compimento di un voto (3); cc quello di Thruxton (4) e certamente quello del santuario turnus Sobariensis a Khanguet-el-Hadja) (5): PEtRONIV! CVLINVS QVI VOTo VESTIGIVM FECIT, accompagn l’immagine dell’impronta di due piedi, forma di ex-voto abi comune (6), che ritorna anche al musaico della soglia della Hilariana a Roma, e, cosa più interessante, richiama l’is della chiesa di S. Pietro ad Gallicantus in Gerusalemme (| ETTYXICTE®ANE sotto la quale sono rappresentati due sandali rossi. Salvo in questi casi specialissimi, in tutti gli altri l’ iscri: ci fa sapere o che il pavimento è stato eseguito da un pri (1) Orsi, in Not. degli scavi, 1917, supplemento, p. go e tav. V (2) Ne ricordo alcuni: Roma, Castro Pretorio, curiosa per la s C. 1. L., VI, 29822; Bull. Comunale, 1872, tav. I, n. 2; Civita Cast tevole per l’epigrafia retrogradata, C. I. L., XI, 3156,a2; NEMI, Not. sc pp. 317-319; Nepi, C.I.L., XI, 3222; Acqui, /Vot. scavi, 1899, p. 423 bicana, Not. scavi, 1914, p. 395. Fuori di Italia ricordo quelli di Avrar qeiger f. Schweizer. Altertbumsk., VIII, 1906, pp. 156 e 277; Cabeza« Revue des études anciennes, 1902, p. 247; Lydney, interessante dal pun religioso, C. I. L., VII, 137. (3) Nei pavimenti lombardi cristiani ricorre la formola DE DONI Aquileia, C. I. L., V, 1619; Dos Trento, Arch. Trentino, XV, 1900 270 e XX, 1905, p. 129-183; Grado, C. I. L., V, 1592; la formola E: a Vicenza, Arte e Storia, 1895, pp. 192-196; a Grado, C. I. L., V, formola VOTVM SOLVIT ed analoghe a Grado, C. I. L., V,1583 1 1591, 1594-1598, 1601-1611, 1613, 1614; la formola PRO VOTO analoghe a Parenzo, Trieste, C. I. L., V, 695, Teurmia, Jahresh. -d. Inst., XIII, 1910, Beibl., coll. 167-170 ; Ila formola PRO COMMEMOF a Pola, C. I. L., Pars, Suppl. ital., 1104. (4) C. T. L., VII, 3. (5) Gavexcis, Invent. des mosaiques, n. 465. (6) Cfr. il musaico di Bir-Chana, GAUCKLER, op. cit., n. 452, e lapidee in Lupi, Epit. Sever., pag. 63; GraEviO, Thes., t. XII, c. VII, { (7) GERMER-DURAND, in Echos d’Orient, 1908, pp. 76-30; VINCENT Biblique, 1908, pp. 406-409; GERMER-DURAND, in Revue Biblique, 1914. } (8) Si vedano alcune iscrizioni lapidarie che ricordano delle « musive, in FURIETTI, De musivis, Roma, 1752, pp. 1-3. Original from Digitized by CORNELL UNIVERSITY 1 DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 345 il suo edificio privato, o se questo si trova in un edificio publico risulta che. fu fatto per opera di un magistrato come atto stesso della sua carica. Non mi consta che si sia verificato il easo di un musaico di santuario eseguito come opera devota da un fedele o da un gruppo di fedeli, quale contributo alle spese del culto -ed all’erezione del tempio. | i Ciò invece si verifica negli edifici delle nuove religioni che andavano conquistando l’Impero negli ultimi secoli della sua vita. Nel mitreo ostiense presso le terme di Antonino Pio, il pavimento è stato donato da un fedele che ben due volte con due iscrizioni (1) identiche vi ricorda il suo nome: SOLIGSINVICTISMIT D(D($L($AGRIVS($CALENDIO(S E nel Sabazeum pure ad Ostia è forse uno schiavo che lo dona e vi fa tracciare l’epigrafe (2): FRVCTVS SVIS « IN PENDIS CONSVM MAVIT Lo stesso fenomeno si rivela nelle sinagoghe elevate prima della pace della Chiesa: così ad Egina il pavimento è donato dall’archisinagogo Teodoro (3), ad Hamman-Lif due iscrizioni, una nella grande sala ed una sulla soglia del vestibolo, ci danno i nomi dei vari fedeli (4) che hanno contribuito all'esecuzione, e pure i nomi dei fedeli donatori, Giuseppe ed i suoi figli, figurano nell’iscrizione musiva del pavimento di Kefr-Kenna (5). Gli stessi santuari isiaci (1) CumonT, Textes et monuments, pp. 241-252, iscr. n, 131. (2) VaGLiERI, in C. R. Acad. Inscr., 1909. pp. 187-188. (3) FRAENKEL, /nsc. Gr. A6g...., n. 190 e add. p. 379. (4) C. I. L,, VIII, 12457. (5) CLERMONT-GANNEAU, in C. R. Acad. Insc., 1900, p. 555; 1901, p. 852; Rec. d’arch. orient., IV. pp. 345 e 372. Forse nel medesimo senso va interpretata l'iscrizione di Seforis; cfr. CLERMONT-GANNEAU, in Viaup, Nazareth, Parigi, 1910, pp. 184-191. ì Go ogle 346 UGO MONNERET DE VILLARD offrono esempio dello stesso uso: in quello pompeiano sono probabilmente di donatori i nomi recati dall’iscrizione (1): N POPIDI * AMPLIATI N © POPIDI * CELSINI CORELIA * CELSA Gli stessi fatti verificheremo nei musaici cristiani: anche qui figureranno come donatori un sacerdote, un fedele od un gruppo di fedeli. I santuari dei misteri, le sinagoghe e le chiese cristiane formano un gruppo ove si rivelano fenomeni analoghi, diversi, anzi opposti a quelli che appaiono nei templi pagani. E ben si comprende: il culto antico era ufficiale, statale: agli edifizi lo Stato provvedeva per mezzo de’ suoi funzionari. Ma per i culti orientali, per il giudaico e per il cristiano, la faccenda era diversa: essi erano i culti di una comunità, di un gruppo di fedeli; ed era naturale che questi contribuissero coi loro mezzi alla decorazione ed alla conservazione del santuario. Da tale diversa costituzione intima delle religioni dipende anche la loro diversità in rapporto alle opere decorative dei santuari ed ai loro donatori; opposizione fra il culto pagano ed il cristiano, parallelismo fra il cristiano ed il culto ebraico e quello dei misteri. Le iscrizioni di donatori sono frequenti nei musaici cristiani. Il primo gruppo in cui possiamo suddividerle è quello dei musaici donati da una sola persona, vescovo, sacerdote, ricco fedele tutto al più accompagnato dai membri della sua famiglia. Esempi di questo caso si trovano distribuiti per tutto l’orbe cristiano, dalla Palestina all'Africa, e naturalmente presentano una certa monotonia. Così a Seriana, l'antica Lamiggiga, l’abside di una piccola chiesa reca l’iscrizione di dedica del musaico (2) in cui risulta che l’opera fu fatta eseguire dal vescovo Argentius, che viveva ai tempi del grande Gregorio, donatista secondo il Monceaux (3): DIGNIS DIGNA *‘ PATRI ARGENTIO CORONAM BENENATVS TASSELLAVIT. A Sétif sta invece l’iscrizione FLavius INNOCENTIVS (1) C. I. L., X, 843. » (2) DE PACHTERE, /nvent. des mosaiques, n. 206. (3) Io C. A. Acad. Inscr., 1908, pp. 308-310. Cfr. il formulario dell’ iscrizione del mitreo ostiense. — I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 347 NVMerarius PRO SALVTE SVA SVORVMQOVE OMNIVM TESSELLAVIT, e in un altro frammento: FELIX(?)....ILIE FELIX. CVM OMNibus (1). Nel mausoleo di Bordj-el-Joudi in Tunisia (2), sotto un quadro raffigurante Daniele fra i leoni, è scritto: MEMORIA BLOSSI HONORATI INGENVVS ACTOR PERFECIT. A Cartagine, in una memoria presso la basilica di Damus-el-Karita, sta l'iscrizione FLAVIVS VALENS SENIOR SODALICi MEMORIAm HAnC FECIT - SIC SEMPER (3). Nella basilica di S. Reparato ad Orléansville un’ iscrizione commemora la costruzione della chiesa stessa (4). Se lasciamo il grande gruppo dei musaici africani e prendiamo quello palestinense, rileveremo lo stesso fenomeno, espresso però con formole ampollose e magniloquenti che contrastano con la semplicità cristiana delle prime. Ricordo l’iscrizione di Bettir (5) che dà in breve. tutta la storia e le ragioni dell'esecuzione dell'opera; quella gerosolimitana armena che indica quale donatore Giacomo « capo dei primi eletti », probabilmente il vescovo armeno di Gerusalemme che viveva nell’ anno 614 (6); quella di Yadoudeh (7) che ricorda quale donatore il vescovo Teodosio (653?); parecchie di Madaba datate del 579 (8), 595 (9) e 608 (10). Sono certamente delle donatrici quella Teodora e quella Georgia i cui nomi figurano nel musaico gerosolimitano con la rappresen- (1) De PacutéRE, Invent., cit., n. 313 e 314. Probabilmente era di un solo donatore il musaico di Tigzirt, cfr. C. I. L., VIII, 20727 e De PACHTRRE, op. cit, n. 339-340. (2) GauckLER, Invent., n. 514. Riprodotto in Bull. Antig. de France, 1898, tav. XIII ; l'esatta lettura dell’epigrafe in MERLIN, /nvent., suppl. n. 514. (3) GauckLER, Invent., n. 874. Si veda anche n. 756 frammentaria. (4) C. I. L., VIII, 9708-9711; DE PACHTÈRE, Imvent., n. 451. (5) VincENT, in Revue Biblique, 1910, pp. 254-261. (6) Più volte edita, cfr. HornING, in Zeitsch. f. D. Pal. Ver., XXXII, 1909, p. 125. (7) Cfr. Savignac, in /evue Biblique, 1903, pp. 434-436. (3) ManFREDI, in Revue Biblique, 1902, pp. 426-428 e 599. (9) Più volte edita, cfr. Brinnow und Domaszewski, Die Provincia Arabia, III, 1909, pp. 357-358. (10) SAVIGNAC, in Revue Biblique, I9IT, pp. 437-440. 3480 UGO MONNERET DE VILLARD tazione d’Orfeo (1), e la Susanna di un musaico al Monte Ulivi (2). Ne fra i musaici occidentali mancano gli esempi di iscr dei donatori. Gli esempi anteriori all'epoca barbarica sono simi nell’Italia centrale e meridionale, e veramente non sapri tare se non il caso di uno dei due musaici siciliani di Salemi un'iscrizione, disgraziatamente molto guasta, può forse esse: terpretata come il ricordo di una donazione vescovile (3). Nei musaici dell’Italia settentrionale, quelli che ho chi: del gruppo lombardo-goto, tali iscrizioni sono frequenti. In mazia abbiamo quella importantissima inserita nell’ambulac torno al coro della basilica episcopale salonitana, datata de dal nome dei vescovi che hanno fatto eseguire il musaico (4 Norico, a Sant Peter im Holz, l’antica Teurmia, un bel m ‘appare col nome del donatore in uno con la moglie: l’iscrizior piuttosto scorretta, dice infatti: VRSSVS CVM CON IG()ARSINA PROTOTO SVS FECERNT HEC Il musaico della chiesa dei SS. Cosma e Damiano a Dos T sul colle di Verruca, appare eseguito, non si vede bene se tu in parte data la presenza di frammenti d’altra iscrizione illegg da un Lorenzo cantore della chiesa (6). (1) Più volte edito, cfr. la prima notizia di VINCENT, in Revue B: 1901, pp. 436-444 } 1902,- pp. 100-103. (2) GERMER-DURAND, in Revue Biblique, I, 1892, pp. 573-574; II, p. 213, n. 20. Può però anche essere iscrizione sepolcrale. Si veda anche scussa iscrizione lapidea di FI. Evelpidius a Cesarea, GERMER-DURAND, in Biblique, IV, 1895, pp. 75-76 e 240-241; Le BLANT, in C. R. Acad. 4 gennaio 1895. (3) Salinas, in Not, degli scavi, 1893, pp. 339-342, 39I € 428. (4) La bibliografia è ricchissima; vedine la più recente edizione in E BervaLDI, Kronotaksa solinskih Biskupa, Zagabria, 1912-1913, pp. 26-27. (5) EGGER, in fabresheft. des osterr. arch. Inst., XIII, 1910, Beiblat 167-170, figg. 80-86. Credo che la lettura IS data nella terza linea da studioso sia erronea. (6) OBERZINER, in Archivio Trentino, XV, 1900, pp. 248-270; Ciro: Archivio Trentino, XX, 1905, pp. 129-133. Original from i "= n Digitized by CORNELL UNIVERSITY I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 349 Così nella Venezia il pavimento della primitiva cattedrale d'’Aquileia appare dall’ iscrizione eseguito intorno al 314 dal vescovo Teodoro (1); a Milano è Serena, la moglie di Stilicone, che fa pavimentare di preziosi marmi libici la chiesa degli Apostoli (2); a Ravenna, secondo un testo d’Agnello, è Galla Placidia che fa pavimentare S. Croce (3), Neone fa il pavimento del suo triclinio (4) ed il vescovo Agnello quello della chiesa di S. Martino, poi S. Apollinare nuovo (5). Come si vede codesta forma di munificenza è diffusa indifferentemente per tutto il mondo cristiano: ma lo è pure una seconda, quando cioè parecchi donatori, parecchi fedeli, si associano per sopportare le spese dell’opera, e quindi vari nomi appaiono nelle iscrizioni. Ciò si verifica in Algeria nei musaici di Guelma, di HenscirGuesseria, di Djemila (6), di Beni Rached (7); in Tunisia in quelli di Medinet-el-Kedmia, di Feriana, di Thala, dell’ Uadi-Ramel (8), di Souk-el-Abiod e di Sbeitla (9). Così in Palestina l’iscrizione del musaico di El-Mehaiet ricorda parecchi donateri e donatrici (10); il pavimento del santuario dedicato alla Vergine in Madaba fu eseguito a cura della città nell’anno 663(11); ed in Madaba ancora il pavimento dell’Elianco fu eseguito per opera di parecchi donatori le cui offerte furono raccolte dal vescovo Sergio (12). In generale qualunque sia il numero dei nomi dei donatori l'iscrizione è unica; non però così nel caso di Djemila che ho ci- (1) Cfr. principalmente SwoBoDba H., Neue Funde aus dem altchristl. Oesterr. Rektoratsrede, Vienna, 19c9. Vedasi anche l’iscr. del vescovo Elia a Grado. (2) De Rossi, Inscr. christ., 1I, parte I, p. 181, n. 14. (3) Liber pontificalis, ed. Holder-Hegger, M. G. H., p. 306. (4) AGNELLO, Op. cit., p. 292. (5) AGNELLO, Op. cit., pp. 334-335. Cfr. Anche i pavimenti donati da un custode a Trieste e da un diacono a Brescia, C. I. L., V, 695 e 4842. (6) De PACHTÈRE, Invent., cit., n. 63, 180 (C. I. L., VIII, 2335 € P. 951), 298 (C. I. L, VIII, 8344-8348) e De Rossi, in Bullett., 1878, p. 31. (7) C. R. Acad. Inscr., 1913, pp. 663-666. (8) GaUCKLER, Invent., n. 332 (C. I. L., VIII, 11270), 334, 341, 463. (9) MERLIN, in Bull. Arch. du Comité, 1912, p. 515 e Invent., n. 337 b. (10) ABEL, in Revue Biblique, 1914, pp. 112-115. (11) L'iscrizione fu più volte edita, cfr. Brinnow und DOMASzEWSKI, Op. cit, II, 1909, p. 360. | t12) Vedi le fonti innanzi citate. 350 UGO MONNERET DE VILLARD tato, ove per cinque donatori vi sono cinque iscrizioni diverse (1). È la stessa cosa che si osserva in un musaico d’Occidente donato da parecchi fedeli, quello della chiesa dei SS. Felice e For. tunato a Vicenza (2). Ivi per sette donatori abbiamo sette iscrizioni diverse. Ciò non vuol dire che i pavimenti che ebbero parecchi donatori siano rari nella regione lombardo-gota ; tutt’ altro; essi, come vedremo, sono invece frequentissimi e si può dire anzi che siano il caso normale. Ma tutte le iscrizioni che li ornano hanno una caratteristica che è esclusiva a questo gruppo, che non si rivela cioè al di fuori di esso. Ogni iscrizione cioè non ricorda solo il nome dei donatori, la sua carica, accompagnata dalle comuni formule VOTVM SOLVIT, PRO VOTO, ecc., come si vede a Djemila o Vicenza, ma per di più indica quanti piedi quadrati di pavimento ha fatto eseguire ogni donatore. I casi finora noti non si sono incontrati se non nel Norico, in Istria, nella Venezia e nella Gallia cisalpina: ma i musaici che recano iscrizioni di questo tipo sono stilisticamente identici a quelli della penisola Balcanica, ad esempio quelli del IV secolo della basilica di S. Sofia a Sofia (3). Assai probabilmente una più profonda esplorazione archeologica di queste regioni permetterà di conoscervi iscrizioni identiche a quelle già note. Ad ogni modo il gruppo d’opere musivo viene a delinearsi non solo per criteri artistici, ma anche epigrafici. Vediamo in dettaglio la geografia di codeste iscrizioni: le più occidentali sono quelle della regione bresciana, nel pavimento del vecchio Duomo di Brescia (4) e di S. Pietro de Dom (5), nonchè quello nella chiesa di Inzino (6); segue poi geograficamente il mu- (1) Il musaico fu riprodotto da Ravoisté, I, tav. LII, LIII. (2) Cfr. BorTOLAN, Pavimento in musaico nella chiesa di S. Felice e Fortunato in Vicenza, in Arte e storia, 1895, pp. 192-196. Altre iscrizioni di questo tipo si hanno a Parenzo, a Grado. (3) Jahrbuch d. K. D. Arch. Inst., 1911, Arch. Anzeiger, coll. 358-362, fig. 4; id. 1912, coll. 558-563; Rom. Quartalsch., 1911, p. 175; FiLow BonGan, Sainte-Sophie de Sofia, Matériaux pour l'hist. de la Ville de Sofia, 1. IV, Sofia, 1913. (4) L. BeLtRAMI, Terza relazione delPUfficio regionale per la conservazione dei monumenti in Lombardia, Milano, 1895, p. 69, fig. (5) C. I. L., V, 4841. (6) La bibliografia in C. I. L., V, 4917. I musaici sono scomparsi. I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 35I saico di Verona scoperto a più riprese (1), parte noto già sin dal secolo XVIII, parte rinvenuto alla fine del secolo XIX. Ben più notevoli sono i pavimenti di Grado; nel 1906 sì scopersero in Piazza della Corte gli avanzi di due basiliche sovrapposte, e la più antica conservava parte del pavimento a musaico con quattro iscrizioni recanti col nome del donatore la superfice dell’opera tassellata da lui fatta eseguire (2). Mentre nella chiesa di S. Maria delle Grazie le iscrizioni menzionano, nel pavimento delle due sagrestie, solo i nomi dei donatori, nel Duomo, dedicato a S. Eufemia, ne troviamo sia dell’un tipo quanto dell’altro (3), miste sì da non potersi far un concetto della ragione che ha presieduto alla scelta di uno o dell’altro tipo. Con tutte queste si trova anche l'iscrizione del restauro dovuto al vescovo Elia (571-586) (4). Non so davvero se la diversità del formulario epigrafico sia dovuta semplicemente ad una ragione cronologica, o se invece vi intervengano altri fattori, certo morali, che non è facile precisare. Nell’ Istria, a Parenzo, due edifizi ci hanno dato avanzi di simili pavimenti; il primo è la chiesa oggi scomparsa di S. lomaso, di cui il musaico fu scoperto nel 1886 scavandosi le fondazioni nel palazzo arcivescovile (5). Un primo pavimento, a mt. 0.74 sotto il piano attuale, ha un’iscrizione tripla, cioè indicante tre gruppi di donatori e la superficie di musaico fatta a spese di ognuno di questi gruppi. Un pavimento superiore, cioè a mt. 0.42, reca tre iscrizioni separate. Un’ analoga stratificazione musiva possiamo esaminare nel gruppo monumentale della basilica eufrasiana: nel musaico di ingrandimento del primitivo oratorio cristiano abbiamo sette iscrizioni, in quello superiore della basilica pre-eufrasiana (410-540) (1) Per la parte più anticamente nota cfr. C. I. L., V, 3893-3895; per la più recente VicnoLta, in Not. degli scavi, 1884, pp. 401-408; 1885, p. 307; 1906, pp. 213-218. i (2) Jahresh. d. dst. arch. Inst., IX, 1906, pp. 22-23; Mitth. d. Central commission, 1913, coll. 232-234. (3) Vedile in C. I. L., V, 1583-1616. — (4) È riportata in MURATORI, p. 1884, n. 3 e nel C. I. L. a p. 149. (5) Atti 0 mem. soc. istr. stor. patria, Il, 1886, pp. 208-211; XXVIII, 1912, Pp. 212-215. 352 UGO MONNERET DE VILLARD abbiamo tredici iscrizioni, ed in quello della basilica eufrasiana (543-554) ne abbiamo cinque (1). Ancora nell’ Istria, a Pola, il pavimento di S. Maria Formosa recava un’iscrizione di donatori (2). A Celeia, nel Norico (3), abbiamo nel pavimento quindici iscrizioni. Vediamo ora quali considerazioni possiamo trarre dall'esame di questo materiale. Dapprima quella già accennata della sua limitazione topografica; il gruppo è limitato nell’Italia settentrionale, nel Norico, nell’Istria, e se possibilità di estensione vi sono con quasi certezza dobbiamo attenderla nell’ Emilia e Romagna, in Dalmazia e nelle regioni balcaniche a questa vicina. Il limite cronologico va dalla fine del IV alla metà del VI secolo (4), il periodo insomma e parte dell’ area signoreggiata dalla dominazione gota, quella parte però ove tale signoria ebbe i suoi centri ed il suo massimo splendore. Come si vedrà dall’ analisi stilistica sono questi limiti tratti solo dalle iscrizioni quelli che risulteranno anche dall’ analisi delle forme artistiche. L'estensione della scuola resta così segnata. Ill. Disgraziatamente lo studio archeologico dei monumenti in cui tali musaici sono od erano conservati, è stato sempre, salvo rarissimì casi, condotto in modo così grossolano che infiniti elementi importantissimi per la storia non sono stati rilevati o addirittura furono distrutti, Uno di questi è la stratigrafia e la posizione dei - ————6—____r_________Ò (1) Atti e mem., cit., XXVI, IgI0, pp. 21-23, 29-33, 65-67. (2) C. I L., Pars, Suppl. îtal., n. 1104. (3) Mitth. d. Central-comm., 1908, tav. I-IV; Jabresh. d. ost. arch. Inst., | 1898, Beiblatt, coli. 30-35; C. I. L. III, 14368 (8-20). (4) Debbo osservare che nell’identica area e negli stessi limiti di tempo si osserva un altro particolare uso funerario : la sepoltura in sarcofagi di piombo. Si veda E. SicHER, in Atti e memorie dell’Accad. d’agric., scienze, lettere, arti e commercio dî Verona, ser. IV, v. XI (1911), pp. 141-156; v. XIV (1914), PP. 37-48, studio superficiale ed incompletissimo specialmente riguardo alla diffusione del tipo nelle Gallie, ma che ha il merito ci raccogliere molto materiale italiano altrimenti difficilmente accessibile. (O ogle 7 I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 353 loculi sepolcrali al di sotto del pavimento. È cioè a noi ignoto se, dato l’uso di seppellire i fedeli nelle chiese e specialmente i fedeli di vaglia, l'esecuzione di una parte di pavimento a spese di uno di questi e l’inserzione dell’epigrafe di donazione, avesse corrispondenza con la sua tomba. In ‘altre parole non sappiamo se tali iscrizioni ricordanti la donazione funzionassero anche in qualche modo da iscrizioni sepolcrali dei donatori stessi. Certo desta meraviglia che nelle enormi superfici coperte dai musaici pavimentali lombardi anteriori all’ epoca longobarda facciano quasi totalmente difetto le iscrizioni sepolcrali propriamente dette, così frequenti invece tanto nei pavimenti africani quanto nei palestinensi. Il più antico esempio di iscrizione sepolcrale musiva presso di noi è quello, d’epoca longobarda, che Agnello (1) ricorda in Ravenna: l’epigrafe che ornava la tomba del vescovo Mauro ({ 671) nell’ardica di S. Apollinare. I casi sono invece frequentissimi nell’Africa settentrionale, non pochi in Algeria(2), ma il massimo numero nella Tunisia (3). La forma artistica di codeste tombe a musaico sembra quasi propria di quella regione, d’onde si è diffusa in altre che con essa hanno avuto stretto rapporto archeologico durante i primi secoli cristiani; così nella penisola iberica. Infatti ivi ne troviamo uno a Denia (4) e due a (1) Liber pont., ed. Holder-Egger, M. G. H., p. 353. (2) Gli esempi sono elencati in DE PacHTÉRE, Inventaire, cit., t. II, n. 9, 10, 90-94, 248, 249, 315, 326, 363, 380, 382-390, 392, 395-398, 400-402, 446, 47, 452. L'esempio datato più recente è dell'anno 508 a Tebessa, cfr. C. I. L., VIU, 2013 = 16516. Inoltre C. R. Acad. Inscr., 1914, pp. 211-215. (3) P. GaUCKLER, Zuvent., cit., t. II, n. 19, 20, 22, 23, 24, 27, 36-47; 49- 58, 60, 102-115, 118, 183, 210-216, 249-258, 262-306, 308-310, 342, 453, 459 461, 494, 507, 513, 516-522, 781-784, 787-791, 805. 829-845, 854, 855, 858, 861-863, 866, 869-871, 878, 915, 941-958, 960-976, 9738-1016, 1020-1026, 1028- 103I, 1033-1086, 1039-1047, 1050-1053, 1055, 1056; MERLIN, /nvent., cit., suppl., n. 60 d-60 f, 218 a-2181, 251-258 a, 305 a, 306 a-306 i, 334 a, 492 2, 4992, 5342, 586 a, 8542-854c, 863 c, 864d, 1049a,c,e-i, k, n, v; C. R. Acad. Inscr., 1914, pp. 100-104; 1913, pp. 432-436; Bull. Antig. France., 1912, p. 321} 1909, p. 176. L'esempio più recente datato è dell’anno 562 a Lemta, cf., Iuvent., n. 103 =C.L.L., VIII, 11128. Probabilmente pagano è il musaico tombale di Dougga, Pornssor, in Bull. Arch. du Comité, proc. verb. des séances, 1913, p. xitt. (4) Hosner, Inscr. Hisp. Crist., n. 410. Arch Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. III. 23 Go ogle 354 | UGO MONNERET DE VILLARD Manacor (1), nell’isola di Maiorca, opere che hanno stretto rapporto sia stilistico quanto epigrafico con le africane (2). Il formulario di codeste iscrizioni tombali è in generale assai semplice; il nome del defunto, qualche volta la. sua età ed una acclamazione che in generale è il primitivo IN PACE. (3) formulario semplice, ben lontano dall’ampollosità dell’epoca bizantina. Codesto secondo tipo appare invece nei musaici palestinensi: qui abbiamo delle lunghe iscrizioni storiche piene di importanti notizie. Tali sono, per citare alcuni esempi, quella di Ciriaco fondatore della chiesa di S. Giorgio a Gerico (4), di Kalistratos diacono della S. Anastasis a Gerusalemme (5), ed altre di alcuni preti e monaci a Gerusalemme (6), la cameretta sepolcrale di Nazaret (7). In Italia due soli esempi so citare, oltre il ravennate già ricordato. In Silicia, a Salemi, presso il Canale dei Mulini, si scopersero due pavimenti sovrapposti: l’inferiore recava tre iscrizioni sepolcrali frammentarie, due delle quali erano greche (8). Un musaico non propriamente pavimentale, ma che rivestiva il fondo di una tomba, fu rinvenuto nel 1907 a Teano: vicina stava un’ iscrizione lapidea dell’anno 370. Sul musaico era rappresentata l’adorazione dei Magi, ed il registro superiore portava l’iscrizione d’incerta lettura (9): Lac TERE SEMPER & FIIX (?)..... FELICITA P-S (1) J. RuB.ò v BeLLver, in Annuari de VPInstitut d’estudis catalans, III, 1909-I9I0, pp. 371-373, figg. 16-20; Revue de l'art chret., 1914, p. 132, fig. 17 a pag. 135. (2) Un uso che non si riscontra se non in Africa è quello delle tombe a cassone rivestito di musaico, cfr. gli esempi in GAUCKLER, Invent., n. 21, 22,. 2II, 1023, 1031, I033 e sopratutto quelli di Tipasa in De PACTHÉRE, Invent., n. 378, 393-396. L'uso di decorare ed anche di rivestire i sarcofagi con musaici € di antica origine egizia, cfr. GAUCKLER. Musivum opus, in DAREMBERG et SaGLIO, Dict., pag. 2091. Si veda in ogni modo più avanti. (3) Su alcune iscrizioni più complesse, metriche, di Sidi Abdallah, Tigzirt, Matifu, Sidi Ferruch, Tipasa, cfr. MonceaUX, in Revue .Archéolog., 1906, I. p. 465 ; II, pp. 134-138, 140-141, 297-307. (4) ABEL, in Revue Biblique, 1911, pp. 286-289 e 440. (5) GERMER-DURAND, in Revue Biblique, 1892, p. 571. (6) LAGRANGE, in Revue Biblique. 1895. pp. 92-94, 437-439. (7) Viaup, Nazareth et ses deux églises, Parigi, 1910, pp. 87-88, 92-93. (8) SaLINAS, in Mot. degli scavi, 1893, pp. 339-342, 39I, 428. (9) SpinazzoLa, in Not. degli scavi, 1907, pp. 697-703. Go ogle n I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 355 La ripartizione geografica dei musaici tombali può essere spiegata in rapporto con la diversa ripartizione delle scuole di scultori di sarcofagi nei primi secoli cristiani. È naturale che la diffusione dell’un tipo di tomba contrasti quella dell’altra: ed infatti i musaici tombali sono rarissimi o mancano là dove vi è una forte scuola di scultori di sarcofagi. Così per tutta l’Italia, da Roma a Ravenna, nelle Gallie che vantano i centri di Arles, Bordeaux e Poitiers, la Spagna settentrionale che ha quello di Gerona. L'Africa invece manca di tradizione scultoria: i sarcofagi di Lambese o di Philippeville sono grossolanissimi prodotti. Sulla diffusione dei musaici tombali deve aver anche influito la maggiore o minore facilità con la quale ci si potevano procurare delle belle lastre marmoree su cui tracciare l’epitaffio. Le due ragioni sono in generale concomitanti: la presenza del marmo scultorio facilita lo svolgersi di una scuola di marmorari. Dove questa manca si approfitta di altri mezzi per la decorazione della tomba. Ciò può anche spiegare la rarità delle iscrizioni sepolcrali musive nell’antichità pagana. In generale le iscrizioni che sì riscontrano nei pavimenti degli edifici sepolcrali rammentano tutto al più il possessore della tomba, il suo costruttore. Così l’iscrizione della tomba nella vigna Silvestrelli posta fra il IIl ed il IV migliario della via Latina (1); quella dell’ edificio sepolcrale della famiglia Marcella alla vigna Codini sull’Appia (2); il musaico del sepolcro di T. Flavio Posidone pure sull’Appia (3); quello del sepolcro di Pomponius Hylas (4); il pavimento di edificio sepolcrale sulla via Labicana (5). Sono invece vere e proprie iscrizioni sepolcrali quelle di una tomba della via Salaria (6), e meglio ancora quelle di un colombario dell’ Appia (7). Ma la figura del defunto riprodotta a musaico sulla tomba non (1) Not. degli scavi, 1876, p. 58; C. I L., VI, 29956. (2) C. I. L., VI, 4419. (3) C. I. L., VI, 10203. (4) CaMmPana, Di due sepolcri romani del secolo d’Augusto. Roma, 1840, tav. II, B.; C. I. L., VI, 5552. (5) Not. degli scavi, 1914, p. 395. (6) Not. degli scavi, 1902, p. 45; Bullett. Comm. Comun., 1912, p. 82. (7) FornARI, in Studi romani, I, 1913, p. 362. - 356 UGO MONNERET DE VILLARD appare, per quanto mi consta, se non nell’arte cristiana. I più antichi esempi che si possono citare sono forse i due ritratti della catacomba di Ciriaca, passata alla biblioteca Chigi (1). Nella catacomba di S. Agnese sulla via Nomentana fu trovata nel 1876 una lastra di marmo con iscrizione della. fine del II secolo, in cui era praticata una cavità esagonale entro la quale stava un piccolo musaico rappresentante il ritratto della defunta Sirica, eseguito con cubi di smalto rosso, pasta di vetro verde, lamine d’oro e d’avorio (2). Il Boldetti (3) ricorda anche una lastra di terracotta con sopra eseguito a musaico il monogramma di Cristo. Se gli artisti romani si sono accontentati di decorare la tomba con simboli o ritratti limitati al solo busto, quelli delle provincie africane hanno seguito un più largo concetto. Sulle tombe di queste regioni è tutta la figura del defunto che appare, non in qualità ed aspetto di morto, ma generalmente in quella dell’ « orante ». Non mancano, è vero, altre rappresentazioni. In un « martirium » di Tabarka (4), nel luogo detto Bordj-Messaoudi, un musaico tombale mostra nel registro superiore un paesaggio dove fra gli alberi e sul suolo sparso di rose, in un volo di colombe, galoppano tre cavalieri. Nel registro inferiore è la nave della chiesa segnata con « e @, seguita da un delfino e navigante verso il crisma costantiniano (5). Pur non uscendo dal gruppo ricchissimo dei musaici tombali di Tabarka, ricordo ancora la rappresentazione del Buon Pastore (6), e l’altra, unica nel suo genere, con la quale fu decorata la tomba di una Valentina, ove è rappresentata l’ ECCLESIA MATER (1) De Rossi, Musaici, tav. I, Roma 1872. Vi si può avvicinare il ritratto citato da MùNTZ, La mosaique chrétienne, p. 66. Sono attribuiti al IV secolo. (2) DE Rossi, Roma sott., III, p. 593; Mintz, in Mém. des antiq. de France, 1891, pp. 298-299. (3) Osservazioni sopra i cimiteri dei SS. Martiri, Roma, 1720, pp. 522 e 547: ARMELLINI, Il cimitero di S. Agnese, Roma, 1880, tav. VIII e VI. (4) Ora al museo del Bardo, cfr. GAUCKLER, Iuvent., n. 1024. Sulla prospettiva di codesto paesaggio vedansi le interessantissime osservazioni di W. DE GRONEISEN, Sainte Marie Antiqua, Roma, 1911, pp. 229-231. (5) Cfr. anche GAUCKLER, /nvent., n. 1014, 1038 e 969 ove la nave è forse simbolo della professione del defunto, giacchè l'iscrizione dice FELIX IN PACE VIXIT AN -LXXV NAVICVLARIVS AB ORIIS CERNIS. (6) GaucKLER, Invent., n. 984 (O ogle : = I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 357 nella sua realtà architettonica di una basilica a tre navate (1). Nè mancano i simboli che generalmente accompagnano la tomba cristiana; l’agnello (2), il calice da cui escono rose (3), le colombe affrontate ad un calice (4), e forse più d’ogni altro frequente il monogramma di Cristo (5). È quest’ultimo tipo che ritornerà anche nella Spagna. Il più sovente vi troviamo rappresentata la figura del defunto, generalmente col gesto dell’ « orante ». Non sempre però: un musaico Henscir-Thina (6) ce lo mostra semi sdraiato su un letto da riposo, mentre con la destra alza un bicchiere. ll formulario dell’epigrafe: * DMS AMIANTHVS VIXIT - ANNIS XX se è cristiano, per l’uso dell’ acclamazione D*M- deve ritenersi molto antico. Una rappresentazione molto simile è su una seconda tomba della stessa necropoli (7), ove le iscrizioni non hanno alcuna caratteristica prettamente cristiana. Dubito che il Gauckler sia caduto in errore e che tutta la necropoli coi suoi cinque musaici (8) non sia cristiana ma pagana. Certamente cristiana è invece la tomba di Tabarka contenente due scheletri e recante sul musaico una doppia rappresentazione (9): sotto un’ « orante » e sopra uno scriba barbuto sta al suo (1) GAUCKLER, /Invent., n. 1021. (2) GAUCKLER, /nvent., n. 248, 261, 864, 967, 972, 985, 987, I014, 1018, 1028, 1026, 1036, 1037, 1039, 1045, 1049. (3) GaucKLER, /nvent., fra i molti, n. 954, 970, 976, 1050, 1055. (4) GauckLER, Invent., n. 948, 949, 952, 955, 960, 962, 979, ecc. (5) GAUCKLER, Invent., fra i moltissimi, n. 945, 947, 951,952, 956, 960, 962, 965, 967, 969, 971, 978-983, 989, 995, 1002, I0Og-IOII, 1013; 1015, 1016, 1022, 1024, 1026, I103I, 1033, 1040, IO4I, 1043, 1050, IOSI, 1054, 1056. In generale sono d’epoca vandalica o bizantina. | (6) GauckLER, Invent., n. 24. (7) GAUCKLER, Invent., n. 27. (8) GAUCKLER, /nvent., n. 23-27. (9) Ora al museo del Bardo, cfr. principalmente : .Mém. present. par divers servants à l’Acad. des Inscr., XII, I parte, 1907, pp. 214 e sgg., n. 238, e fig. a p. 215. LO ogle 358 UGO MONNERET DE VILLARD tavolo fra due rosai. Così è caratteristico un altro musaico di 'l'abarka (1) ove un personaggio abbigliato con la tunica a maniche ‘ e la « paenula », i piedi calzati di porpora, la testa nimbata accostata da due crismi, ha inginocchiati ai suoi piedi due personaggi che tendono due ceri. È un santo o un alto dignitario ecclesiastico? Così in un musaico di Sfax trovato incompleto ed oggi distrutto (2), è rappresentato un personaggio che stringe contro il petto la rappresentazione di un piccolo monumento a frontone triangolare: forse il donatore dell’edificio ove stava la tomba? Il ricchissimo gruppo dei musaici tombali con la rappresentazione dell’ « orante » si può dire caratteristico del cimitero di Tabarka (3); pochi altri esempi si trovano a Tipasa (4), Sfax (5), Henscir-Rmirmir (6) e a Cartagine (7°. Il gesto dell’ « orante » meglio che ad origini-classiche (8) deve essere ricondotto ad alcune stele egizie anteriori al cristianesimo (9). Alcuni indizi ci permettono di collegare le tombe a musaico africane con alcuni prototipi egiziani: il primo è che l’Egitto conserva i piu antichi esempi di sarcofagi decorati a musaico, dalla tomba della regina Uazmit al museo del Cairo, per i frammenti di coperchio del museo di Torino, ai parecchi sacofagi del Fayum (10). (1) Ora al museo del Bardo; vedilo nel catalogo di La BLANCHERE et GauCKLER, p. 18, n. 56, tav. IV, fig. 56. (2) GauckLER, in Monuments et Mém. Piot, XIII, 1907, p. 2TI, n. 3; Revue archéol., 1887, Il, p. 185. (3) GAUCHLER, Invent., n. 941-944, 950; 953, 963-968, 973, 983, 986, 987, 1013, 10153, 1022, 1037, 1044, 1048, 1052- 1055; MERLIN, Invent., Suppl., n. 1049b, e, f, h, i, p,q,s, u (4) DE PACTHÉRE, Invent., n. 493-394; mancano d'’ iscrizione. (5) GAUCKLER, Invent., n. 53-57. (6) GAUCKLER, Invent., n. 454. (7) GAUCKLER, Invent., n. 781, 876. Uno a Feriana è dato da MERLIN, /nvent., Suppl., n. 3342. (8) Su queste si veda il materiale raccolto in LEcLERCO, Manuel d'archéologie chrétienne, I, Parigi, 1907, pp. 152-155. (9) Si veda specialmente STRZYGOWSRI, Drei Miscellen, II. Bin Grabrelief mit Darstellung der Orans aus Cairo, in Romische Quartalsch., 1903; W. E. Crum, Notes on the egyplian orantes, in Procedings of the Society of Biblical Archaeology, 1899, pp. 251-252. In generale KAuFMANN, Aegyptische Terrakotten, Cairo, 1913. (10) GAUCKLER, in DAREMBERG ET SagLIo, Dict., art. Musivum opus, p. 2091. E se I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 359 Il secondo indizio è l’antichissimo uso egiziano di raffigurare il morto innanzi alla sua tomba (1), uso perpetuatosi nei sarcofagi con figure dipinte e nei ritratti su tavolette da inserire fra le bende della mummia. Fra queste opere ed i musaici tombali africani vi sono strettissimi rapporti: e nessuna ragione può opporsi a codesta trasmigrazione di forme già sino dall'epoca pagana, continuata poi senza interruzione nella cristiana. Se i ritratti musivi delle catacombe romane possono essere considerati quali espressioni di una estrema e poco intensa propaggine di codesto antichissimo tronco egizio, nulla ci permette di supporre che la sua azione si sia fatta sentire anche nell’ arte dell'Italia settentrionale. Qui nessuna figura del defunto accompagnata da epigrafe sepolcrale. Ma dei ritratti però sono inseriti nei nostri pavimenti, come in quelli d’Aquileia del vescovo Teodoro, eseguito certamente innanzi l’anno 320: essi sono dei personaggi importanti, come si riconosce dal loro costume, certo i donatori che hanno contribuito all'esecuzione del musaico e che assai probabilmente furono seppelliti sotto questo. Tale serie di ritratti non può essere in alcun modo riallacciata con gli esempi africani a cui sopra ho accenato. Ad altri prototipi forse possono riallacciarsi opere d’arte della Siria settentrionale. Sono questi due pavimenti musivi che adornavano delle grotte sepolcrali dei dintorni di Urfa, presso la porta di Samosata (2). Entrambi recano una grande iscrizione dedicatoria; nel primo sta scritto: « Io Belai figlio di Gusi, ho preparata « questa casa d’eternità per me, per i miei figli e per i miei eredi ». E nel secondo: « Io Aftoha figlio di Garmu, feci questa casa d’eter- ————— € ———_+<6&y€_66 (1) W. DE GRUNEISEN, Intorno all'antico uso egiziano di raffigurare i defunt collocati avanti al loro sarcofago, in Riv. Soc. Romana di Storia Patria, XXIX, PP. 229-239, 534-537. (2) J. EuTING, Nolulae epigraphicae; mosaique syrienne d’Ourfah, in Flori- legium de Vogué, Parigi, 1909, pp. 231-235; per il secondo: RAPHAEL DE NINIVE, Album de la mission de Mesopotamie et d'Arminie confiée au F.F.M.M. Capucins de Lyon, Lyon; CHaBoT, Notes sur quelques monuments épigraphiques arameens, in Journal asiatique, 1906, I, pp. 281-290; J. RenpeL Harris, The cult of the haevenly twins, Cambridge, 1906, p. 108 sg., tav. IV. Per i rapporti stilistici col pentateuco Ashburnham, cfr. STRZYGOWSKI, in Byzant. Zeitsch., XIX, 1910, p. 66. Il primo musaico è distrutto, il secondo è ora al Museo Imperiale Ottomano. 360 UGO MONNERET DE VILLARD « nità per me, e per i miei figli e peri miei eredi, nel giorno del- « l’eternità ». In entrambi il musaico reca semplicemente dei busti di persone aventi a fianco una iscrizione col loro nome ed il grado di parentela che li lega al capostipite. Codesto secondo musaico è attribuito al III secolo; dell’altro, distrutto, nulla si può dire, ma probabilmente è sincrono. Sono questi certo indizi insufficienti per stabilire un rapporto fra la Siria e la Gallia cisalpina: ma se ricordiamo quante altre ne esistono fra l’arte delle due regioni, anche queste vaghe somiglianze acquistano un valore documentario. La scomparsa dei busti dei donatori dopo l’inizio del IV secolo, dopo cioè il musaico d’Aquileia, non può certo esser dipesa da mancanza d’abilità dei musivari lombardo-ravennati, chè troppo grandi prove hanno dato nei lavori parietali. E’ stato invece causato da una modificazione dell’indirizzo estetico, il quale, dopo la metà del IV secolo ha avuto la tendenza di sostituire ai musaici pavimentali con figurazioni, scene, personaggi e paesaggi, dei motivi quasi esclusivamente geometrici o decorativi. Il posto in origine tenuto dai busti dei donatori è stato poi preso dalle iscrizioni ricordanti la loro donazione: queste sono, dalla metà del IV secolo al VI, le corrispondenti di quelli. Non dimentichiamo che l’inserzione di ritratti nei musaici pavimentali del VI secolo non è solo nella tradizione cristiana: il musaico dei filosofi di Colonia insegni. IV. Assai meno importanti sono le altre iscrizioni, le storiche escluse, che noi incontriamo nei nostri pavimenti. Alcune hanno un significato ed un valore protettivo: sono queste delle invocazioni che il fedele eleva alla Divinità, come quel EXAVDI DEVS ORATIONEM MEAM, che sta scritto nel musaico absidale di una cappella di Thelepte, l’odierna Medinet-el-Kedima (1); GLORIA IN ESCELSIS DEO ET IN TERA PACS (1) GAUCKLER, /uvent., n. 324. Cfr. anche C.I.L., VIII, 20912, troppo frammentaria per essere integrata sicuramente. I ni 3 I DATI STORICI RELATIVI Al MUSAICI PAVIMENTALI 361 OMNIBVS si legge ad Uppenna (1). Nè poche sono le invocazioni alla Divinità che si leggono sui musaici palestinensi (2), ed in quello tunisino di Beni Hassen (3) sta scritto SI DEVS PRo NOBIS QVIS CONTRA NOS. Ma una curiosa iscrizione profilattica, su cui dobbiamo_fermare l’attenzione un po’ lungamente, si legge però su un pavimento lombardo. Sul musaico di Pieve Terzagni, in provincia di Cremona, appare un’iscrizione che ha molte volte attratta l’attenzione degli studiosi. Essa dice: | SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS Qua'e significato e quale valore essa abbia, è ciò di cui dobbiamo occuparci. La formola non si presenta qui per la prima volta: l’esempio più antico che possiamo citare è il grafito sul muro di una casa, quasi certamente romana, in Inghilterra, a Cirencester, l’antica Durocornovium (4). Ivi però la disposizione è la seguente: ROTAS OPERA TENET AREPO SATOR (1) GAUCKLER, /nvent., n. 261. (2) El-Mehaiet, Revue Biblique, 1914, pp. 112-115; Gerusalemme, idem, 1892, pp- 573-574 e 1893, p. 213, n. 20; Màdabà, idem, 1892, pp. 638-644; 1895, p.- 241; 1896, p. 263 sg.; 1898, pp. 422-425. (3) C.I.L., VIII, 11133. Cfr. Paoto, Epist. Rom., VIII, 31. La stessa for» mola sta su di un disco in marmo del museo di Cartagine; cfr. DELATTRE, Un pelerinage aux ruines de Carthage et au musée Lavigerie, Lione, 1906, p. 38; inoltre, C.I.L., VIII, 2218, e X, 15. (4) C. W. Kinc, Early Christian Numismatics and others antiquarian tracts, Londra, 1873, p.187; Journ. of anthropol. Inst., 1899, p. 306; WARD, Antiquary, XXVI, 1892, p. 152; Ephem. epig., IX, 1903, n. 1001; HAvERFIELD, in Arch. Journ., 1899, pp. 319-323. Essa è ora al museo di Cirencester. GO ogle 362 | UGO MONNERET DE VILLARD Non ci è noto a quale epoca possa risalire quel graffito; ma certamente è di epoca romana. | Gli esempi occidentali della formola non sono frequenti nei primi secoli cristiani, anzi bisogna venire al IX secolo per trovarne altri. In una Bibbia copiata nell’anno ‘822, che col fondo di SaintGermains-des-Prés è pervenuta alla biblioteca Nazionale di Parigi (1), essa è riprodotta. In un manoscritto greco della stessa biblioteca (2) essa si presenta scritta in caratteri greci corsivi ed accompagnata da una traduzione: ‘ , Pi LA to to p 7) STELIMY a 3 oÈ 5 To xpoTo LOOT0OV TE VET nox:ei òOTEI x fora poTtas T90/0S. sator arepo, tenet opera rotas. °O arelpmv Aporpov, xpatet Épya Tpoyovs. In un manoscritto proveniente da Reichenau, ora a Karlsruhe (3), del IX secolo essa è scritta in tondo così: Sator | arepo | tenet | opera | rotas. Anche in altri manoscritti più recenti la formola ritorna (4): ed alcune volte con spiegazioni sul suo valore. Così in un documento genovese del 1259 (5) essa è inquadrata dal versetto biblico « Et erit tamquam lignum quod plantatum est | secus decursus —————————__ --_——— (1) Lat. 1505. Cfr. Mowat, in Mémoires de la Soc. Nat. des Antiq. de France, 1903, pp. 41-68, specialmente 59-64. (2) N. 2511, fol. 60, v. (3) N. CCXX, fol. 113. Cfr. HoLpER, Die Reichenauer Handschriften, vol. I, Lipsia, 1906, p. 502. (4) Fra gli altri n. 448 (269) Digione, X sec., fol. 74, r., proveniente da S. Benigno; cod. Augiense 159, fol. 152, r.; ms. di Oxford del XIII sec., in Meyer, Doc. manus. de Panc. litt. de la Francc conservés dans les bibl. de la Grande Bretagne, I, 1871, p. 170; ms. di Monaco, XV sec., in K. RorH, Kleine Beitràge zur deutschen Sprach-Geschichts-und Ortsforschungen, IV, p. 152. ($) Atti notarili di Giovanni Amandolese, car. 2, fol. 128, in Atti Acc. Sc. Torino, XXXIX, 1893-1894, p. 49. (o ogle I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 363 « aquarum quod fructum suum | dabit tempore suo et folium ejus « non defluit | et omnia quecumque faciet sepes prosperabuntur » dal Salmo I, 4-5 vulg., 3 ebr. E’ anche accompagnata dalla annotazione: « Scribe has litteras cum his verbis circumscriptis et liga a in coxa mulieris dextra et statim pariet ». Lo stesso valore di amuleto ha la formola, scritta: + sator + arepo + tenet + opera + rotas +, in un rotolo magico, ora al British Museum (1), contro i dolori del parto. Oltre che sui manoscritti la formola appare incisa sulle pietre di non pochi edifici, tanto francesi (2), quanto italiani (3), ed il suo uso non si è perduto nei secoli, tanto che ancor oggi essa è usata quale scongiuro (4). Il Mowat (5) ed il Wescher (6), basandosi su alcuni dei fatti e documenti citati, chè non tutti essi li conobbero, tentarono una spiegazione e fecero alcune supposizioni sull’origine della formola. Per il Mowat la parola « arepo » è gallica; è nelle Gallie che si deve cercare l’origine dell’ enigmatica iscrizione, nelle Gallie ove oltre Sidonio Apollinare (7) tanti altri scrittori furono celebri per simili giochi di parole; la parola « arepo » sarebbe da avvicinarsi ad arepennis (8). ——T—_———____—_6 (1) Rot. Harl. T. rI. Cfr. Sparrow-Simpson, On a magical roll preserved in the British Museum, in Journal of the archeol. Assoc., XLVIII, 1892, pp. 33-54, spec. p. 51. E' del XVI secolo. Sull'uso della formola come amuleto cfr. Verhand, Ber]. Anthrop. Gesellsch,, 1880, pp. 42-45, 215, 276; 1881, 35, 85,131, 162-167, 301-306; Zeitsch. fur Ethnol., XIX, pp. 69-75. (2) Rochemaure (Ardèche) nella cappella di S. Lorenzo nel Castello; Val. bonnais; Jarnac. Cfr. Mémoires de la Soc. Nat. des Ant. de France, Bull., 1874, 152; 1877, p. 143. | | (3) Cattedrale di Siena; S. Pietro in Valle Tritana presso Capestrano e alla Matrice di Magliano de Marsi, cfr. PicciRILri, in Rass. abruzz. di arte, storia, .... II, 1899, n° 7; S. Maria Maddalena di Campomarzo Veronese, cfr. BranCHINI, Not. stor. delle chiese di Verona, 1749-56, VII, p. 86. (4) ReinHoLp KoHLER, Kleinere Schriften zur neueren Literaturgesch. Volkskunde und Worthforschungen, III, 1900, pp. 564-572. Sugli amuleti di Thasos che la recano: DEONNA, in Revue des études grecques, XX, 1907, pp. 364-382. (5) Op. cit., p. 59. - (6) Bull. de la Soc, cit., XXXV, 1874, p. 153 sg. (7) Ad Burgundionem, 1. 1X, n. XIV, ed. KruscH, pp. 166-168. (8) Cfr. Thesaurus linguae latinae, II, col. 506; DieTRICH, in Abhein. Museum, LVI, 1900, p. 92. Go ogle 364 UGO MONNERET DE VILLARD Il Wescher, osservando il caso del. manoscritto greco della biblioteca Nazionale di Parigi, constata che il numero delle sillabe è lo stesso sia nella frase latina, quanto nella greca. Sembrerebbe che l’autore abbia voluto fare un trimetro giambico, opinione che è confermata nel manoscritto dalla virgola posta all’emistichio. Per codesti studiosi la formola sarebbe di origine occidentale o tutto al più bizantina: disgraziatamente essi non hanno conosciuta tutta un’altra serie di fatti che contrasta gravemente la loro teoria. Se lasciamo il caso romano di Cirencester, il più antico esempio occidentale della formola è del IX secolo: ora prima di quell’epoca essa era largamente usata nell’Egitto cristiano. Essa appare nel secolo VIII in un'iscrizione copta di Faras, nella Nubia, sulle pareti di una tomba che ha servito anche da chiesa: essa è accompagnata dai nomi di cinque dei sette dormienti d’Efeso, di quello dei quaranta martiri di Sebaste e dalla lettera di Cristo ad Abgar (1). I nomi dei sette dormienti, che variano secondo le diverse redazioni della leggenda (2), furono usati in Oriente durante il medioevo quali formola magica contro l'insonnia, le febbri, i vermi ed altri mali; non nel mondo cristiano soltanto, ma ancora nel. l’islamico (3). | Anche il nome dei quaranta martiri, il cui culto fu largamente diffuso nell’Egitto copto (4), serviva quale formola. magica (5): e lo stesso valore protettivo aveva la chiusa della lettera di Cristo ad Abgar (6). Perciò essa era scritta su molte porte di città, come (1) A. H. Savce, Gleanings from the Land of Egypt, in Recuecil de travaux relatifs à la philol. et à l’archéol. égypt. et assyriennes, XX,.1898, pp. 174-176; R. PIETSCHMANN, Les inscriptions coptes de l'aras, idem, XXI, 1899, pp. 133-136. (2) M. Huser, Die Wanderlegende von den Siebenschlafern, Lipsia, 1910. I nomi dell’ iscrizione di Faras si trovano già, nel VI secolo, in THeoposius, De situ terrae sanctae, ed. Gildemeister, Bonn, 1882, p. 27. (3) S. SELIGMANN, Das Siebensch!afer - Amulett, in Der Islam, V, 1914, pp. 370-388: Mapponarp D. B., in Zeitsch. f. Assyriologie, XXVI, pp. 267-269. - (4) D. N. BonweTSscH, Das Testament der 40 Marlyren, Studien zur Gesch. der Theol. un der Kirche, Lipsia, 1898, pp. 72-95. (5) Cfr. ms, Leida in PLevtE ET BOESER, Man. coptes du Musée d° Antig. des Pays-Bas è Leyde, Leida, 1897, p. 441 sg.; ERMAN, Ein Koptischer Zauberer, in Zeitsch. f. dgypt. Sprache nnd Alterthumskunde, XXXIII, 1895, p. 46. (6) E. von DosscHutz, Briefwechsel zwischen Abgar und Jesus, in Zeitsch. fur wissenschaftliche Theologie, XLIII, 1900, pp. 422-486. ui I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 365 ad Edessa (1), o di case private (2); e, leggermente trasformata, fu impiegata quale amuleto sui papiri copti o greci del Fayum (3). Nella iscrizione di Fars, una vera raccolta di formole magiche, viene infine la dicitura Sator, preceduta da una indicazione, che allo stato attuale del testo, richiede una correzione. Quella proposta dal Pietschmann la farebbe interpretare come una formola di scongiuro contro i serpenti. | L’iscrizione di Fars non è però il solo caso copto nel quale si presenti la formola di Sator; essa si incontra tanto su amuleti, quanto su ostrakon (4), sola od accompagnata dalla formola (5): a\)pa ) E @ v po vo a vnEp Tutto considerato siamo dunque innanzi ad una formola magica di un tipo antichissimo ed anteriore al cristianesimo. E’ il tipo a cui apparteneva quella scritta su una foglia d’oro, scoperta in una sepoltura a Vars presso Angouléme (6): AEFEHBIOTOo © YOIHEA EHIOYWewA YTOIHEA©% HI OToAE OITHEA6GOY I OTooA IH (1) Procopio, de bello persico, II, 12; EvaGRIOS, Historia ecclesiastica, ed. Reading, III, 1720, p. 45; cfr. Lirsius, Die Edessenische Abgar-Sage, Brunswick, 1880, p. 2I, agg. I. (2). A Edessa: cfr. Jahres. d. Oesterr. Arch. Inst.,-III, 1900, Beiblatt, coll. 90-95; moschea di Gurdja, cfr. ANDERSON, in Journal of Hell. Studies, XX, 1900, pp- 156-158; Alkat-Adji-Koi, cfr. Cumont, Revue des ét. grecques, 1902, p. 326, n. 36. (3) Linpsay, The Fayoum papyri în the Bodl. Libr., in Athenaeum, 1885, p. 304; NicHoLSON, id., 1885, p. 506; KRaLL, Koptische Amulette, Papyrus Rainer, v. 1892, pp. 115-122, n. 64 e 17354. (4) W. E. Crum, Coptic monuments (Catalogo del museo del Cairo), 1902, p. 42, n. 81147. (5) La trascrivo in lettere greche. (6) E. Winer, Recherche de lantiquité d’Engoulesme, Engoulesme, 1567; G. WiLmanns, Exempla ‘inscript lat., Berlino, 1873, II, n. 2751. LO ogle 366 UGO MONNERET DE VILLARD E’ un quadrato di vocali, simile a quello che si osserva su di una ametista edita dallo Spon (1) di su le note del Peiresc, la quale ha la disposizione: AEHI O Vo EHIOTwA HIOToAE I O0TYrooAEH O YwAEHI TwAEHITO vAEHIO VV Le sette vocali figurano ancora sulla celebre iscrizione di Mileto (2), in corrispondenza ai sette pianeti ed ai sette arcangeli che sì invocano a protezione della città (3). Codesti quadrati di vocali vanno avvicinati ai quadrati di numeri, che ne avevano lo stesso valore magico (4). Ciò però non vuol dire che ad un quadrato magico di lettere si possano sostituire i corrispondenti numeri, per cercarne la spiegazione. Tutto ciò ci induce a ritenere che l’origine della formola di Sator debba ricercarsi nel simbolismo gnostico e sia perciò di origine egiziana. | Se è sicuro il suo valore magico e l’uso profilattico, non lo è certo il suo significato. Fra le varie opinioni emesse ricordo quella (1) J. Spon, Voyage d’Italie, de Dalmatie, de Grèce et du Levant, Lione 1678, III. p. I, p. 157. Altre formole analoghe in MATTER, Mist. du gnosticisme, vol. III; FICORONI, Gemimae litteratae; PasseRI, Thesaurus gemmarum astriferarum, passim. (2) Le Bas, Voyage archéolog. en Asie Mineure, +. III, parte I, Inscr. n. 218, tav. XIII, n. 4. (3) L'invocazione agli arcangeli Michele e Gabriele è frequentemente incisa su architravi di case siriache (Il-Anderîn, Kalb-Lauzeh). Cfr. PRENTICE, in Amer. Journ. of Archaeol., 1906, pp. 137-150, sopratutto p. 143. i (4) Sui quadrat, numerici cfr.: VioLLE, Traite complet des carrés magiques, Parigi, 1837; GUùNTER, Vermischte Untersuchungen zur Gesch. der Mathem., Lipsia, 1876, cap. IV; Luca, Recreations mathématiques, Parigi, 1882; M. CanTOR, Vorlesung. ùber Gesch. der Mathem., I, Lipsia, 1907, p. 438, 514-515, 635, 675, 688, 740-741, 786, 801; A. Margossian, De l'ordonnance des nombres dans les carreés magiques impairs, Parigi, 1908. l De I DATI STORICI RELATIVI Al MUSAICI PAVIMENTALI 367 del Heim (1), ripetuta ‘dal Deonna (2), il quale vorrebbe vedervi il precetto monastico: SAT OR|ARE PO|JTENter ET | OPERA [re RatiO TuA Sit. snaturato in modo da dare un verso ricorrente (3) ed usato senza comprenderne il senso letterale. Ad una diversa conclusione è giunto il Pansa il quale crede che « tenendo presente il concetto della rota, quello spostamento « delle lettere e la lettura che può farsene in tutti i sensi, ciò da « destra a sinistra, dall’ alto in basso e viceversa, altro non do- « vrebbe significare che il volteggiare in tutti i sensi che fa la « rota » (4). A codesta spiegazione si oppone il fatto che in molti dei più antichi esempi della formola, negli amuleti copti ad esempio, la formola non ha la disposizione in cinque linee sovrapposte, ma invece le cinque parole sono scritte su di una sola linea l’una dopo l’altra (5). Ciò rende anche poco logico l’applicarle le formole numeriche dei quadrati magici (6). Per curiosità ricordo la spiegazione che ne diede il padre Kircher: « Praedicta nomina tantum obtinuisse aestimationis, ut ea « non in latinorum dumtaxat, sed in Arabum, imo Aethiopum ora- « tiones invocatorias irrepserint. Aethiopes quidem postquam sanis « precibus Deum Christumque fatigaverint insanas has voces ad- « dunt; si quidem virtute horum nominum, maius pondus robur- (1) Incantamenta magica, in Fleckeisen Jahrbuch, suppl. XIX. (2) Op. cit., pp. 371-372. . (3) Sul valore magico dei versi e delle parole leggibili in diverso senso cfr. Kopp, Beitrage zur griech. Excerptenlitteratur, p. 65; Scuwarz, Der Zauber des rickwarts Singens und Sprechens, Indogermanische Volksglaube, p. 257. (4) G. Pansa, Di una nota iscrizione carcinica usata come talismano nel medioevo e del suo contenuto simbolico, in Studi medioevali, 11I, 1908-1911, pp. 672- 682; cfr. p. 679. Il Pansa, come gli altri, non conosce se non gli esempi occidentali della formola. (5) Cfr. KRALL, op. cit., n, 17354 € 64. (6) Così tentò E. Hris, Sammlung von Beispielen und Aufpaben aus der aligemeinen Aritmetik und Algebra, Colonia, 1872, p. 329. Go ogle 368 UGO MONNERET DE VILLARD « que, ad id quod intendunt obtinendum, se sortituros amentes « sibi persuadent. Porro eadem nomina: Sator, Arepo, Tenet, Opera, « Rotas in orationibus Arabum leguntur et nullibi apud Mago Ca- « balista desunt » (1). Per il suo largo uso presso i copti, la formola facilmente si trasmise agli islamiti: essa si trova infatti incisa su una coppa di fattura arabo-ispanica che, frutto di qualche fortunata rapina, andò a finire nell'isola di Gothland dove fu trovata (2). Per comprendere l’uso della formola nei monumenti cristiani e specialmente nei musaici pavimentali, come quello di Pieve Terzagni, dobbiamo ricordare altri esempi di iscrizioni a gioco di lettere disposte in quadrato. Due se ne presentano nel pavimento della basilica detta di S. Reparato ad Orléansville in Algeria, però facilmente leggibili. Il primo non dice altrose non SANCTA ECLESIA, con la disposizione (3): A.It SEL CE.CLE S.A ITSELCEAECLESI SELCEATAECLES ELCEATCTAECLE LCEATCNCTAECL CEATCNANCTAEC EATCNASANCTAE CEATCNANCTAEC LCEATCNCTAECL ELCEATCTAECLE SELCEATAECLES ISELCEAECLESI AISELCECLESIA (1) Arithmologia sive de abditis numerorum mysteriis, Roma, 1665, p. 220. (2) HiLpEBRAND, Dunefyndet, in Kongl. Antiquitets Akad., Stocolma, 1382, p. 89, fig. 19. (3) Si veda la grande tavola in Moniteur Algeérien, 4 ott. 1843; cfr. BerBRUGGER, in Revue Africaine, I, 1856-1857, p. 249 e XII, 1868, p. 146; C.I.L,, VIII, n. 9710 e 9711. (O ogle a I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 0369 Il secondo va letto MARINVS SACERDOS: SODRECASACERDOS ODRECASSSACERDO DRECASSVSSACERD RECASSVNVSSACER ECASSVNINVSSACE CASSVNIRINVSSAC ASSVNIRARINVSSA SSVNIRAMARINVSS ASSVNIRARINVSSA CASSVNIRINVSSAC ECASSVNINUSSACE RECASSVNVSSACER DRECASSVSSACERD ODRECASSSACERDO SODRECASACERDOS Iscrizioni di codesto tipo non erano usate nei primi secoli cristiani solo nei musaici pavimentali, ma figuravano anche dipinte sulle pareti delle chiese. Per non ricordare che un solo esempio si pensi a quella che compose Venanzio Fortunato (1) e che inviò a Siagrio vescovo di Autun, perchè ne ornasse la parete del vestibolo della chiesa allora costruita di S. Stefano. Se ne hanno anche altre incise su lastre di pietra che dove. vano essere infisse sulle pareti dell’ edificio (2). Così quella di Oviedo (3), che si legge SILO PRINCEPS FECIT, probabilmente dell’anno 783. Un'altra iscrizione di questo tipo è quella che figura sulla croce detta di S. Tomaso in S. Giacomo d’Anagni (4), che dà una formola a scongiuro del fulmine: Crux mihi certa salus + Crux est quam semper adoro Crux domini mecum + Crux mihi refugium. (1) VENANTI HonorI CLEMENTIANI FORTUNATI opera pottica, ed. Leo, M. G. H., p. 116. Cfr. Le BLANT, Recueil, t. I, n. 8, p. 22. (2) Alcuni labirinti medioevali erano disposti verticalmente su pareti: ricordo quello di Lucca. (3) Hasner, /nscr. Hisp. christ., n. 145. (4) Revue de Part chretien, 1893, p. 208. Di un altro esempio modenese cfr. SANDONNINI, Croci e colonne in Modena, in Atti e memorie Dep. St. Patr, prov. modenesi, 1915, p. 20 dell'estratto. Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. III 24 (O ogle 370 UGO MONNERET DE VILLARD Ma ritorniamo un momento all’iscrizione di Orléansville: essa è scritta nel centro di un musaico raffigurante; il labirinto; in un certo qual modo ne è la continuazione, labirintò di lettere in un labirinto di parole. Conservando il valore profilattico della formola, essa fu probabilmente scritta in un musaico pavimentale appunto per questo suo carattere di labirinto, assieme o al posto di una di quelle rappresentazioni schematiche del monumento dedaleo che così frequentemente ritornano sul suolo degli edifici religiosi medioevali. Di questi probabilmente doveva avere lo stesso uso e lo stesso significato simbolico. L’ iscrizione musiva del musaico cremonese aveva dunque doppio valore, profilattica come amuleto, e simbolica come labirinto. I casi di iscrizioni profilattiche su musaici cristiani, senza essere molto comuni, non sono però nemmeno rarissimi. Generalmente si hanno acclamazioni augurali che accolgono il fedele sin dall’accesso al santuario, come già in epoca pagana sulla soglia del tempio d’ Esculapio a Lambese (1) stava scritto: BONVS INTRA MELIOR EXI A tale tipo di iscrizioni si riattacca quella della cappella di Sidi-Ferruch, presso Algeri (2): PAX INTRANM(TIBVS) In Palestina, abbastanza di frequente, le iscrizioni sulle soglie riproducono alcuni versetti dei Salmi ehe ben si confanno allo scopo. A Betlemme su di un musaico scoperto nel 1894 a due terzi (1) C.I.L., VIII, 2584; cfr. l’iscr. delle terme di Setif, idem, 8510, a, b. (2) Cfr. De PACHTÈRE, Inv. des mosaig., n. 363. i I DATI STORICI RELATIVI Al MUSAICI PAVIMENTALI 371 della collina che forma il lato settentrionale dell’uadi Kharroubeh, stanno scritti i versetti 19-20 del salmo CXVII (1): « apritemi le « porte della giustizia, io vi entrerò e vi celebrerò l'Eterno. Questa « è la porta del Signore, i giusti vi entreranno ». A Gerusalemme appare, in un musaico del santuario di S. Pietro ad Gallicantus (2), il versetto 8 del salmo CXX : « Che il Signore protegga la vostra » entrata e la vostra uscita » (3). Ancora a Gerusalemme, in un musaico scoperto sul monte degli Ulivi nel convento dei Carmelitani (4), sono combinati i versetti 20 del salmo CXVII e 8 del CXX. L’uso di codeste formole di benedizione per coloro che entrano nel luogo sacro, non è limitato ai templi pagani ed ai cristiani: lo ritroviamo anche nelle sinagoghe, come in quella di Egina (5) ove l'iscrizione è probabilmente del Ill secolo, e nei santuari dei misteri, fra i quali quello dedicato ad Attis scoperto nella vigna Casali a Roma (6), ove l’iscrizione dice: INTRANTIBVS < HIC - DEOS PROPITIOS © ET © BASILICae HILARIANAE Codesti due esempi mostrano, come sempre, il naturale trapasso dal paganesimo al cristianesimo, attraverso il culto giudaico e quello dei misteri. (1) SEjouRrNnf, in Revue Biblique, IV (1895), p. 442; LAGRANGE, stesso period., pp. 625-626; HorniG, in Zeitsch. f. deut. Palast. Ver., XXXII, 1909, p. 132. (2) GERMER-DURAND, in Echos d’Orient, 1908, p. 78; HORNIG, Op. cit., p. 124; Vincent, in Revue Biblique, 1908, pp. 409-410; ZACCARIA, in N. Bull. arch. crist., 1912, tav. I-Il; GERMER-DURAND, in Revue Bibligne, 1914, p. 227 e tav. IX, n.8. (3) Questo versetto figura anche su alcuni architravi di chiese siriache, come a Sabbà (del 546) e Serdjilla: cfr. W. K. PRENTICE, Magical formulae of lintels of the Christian period in Syria, in Amer. Jour. of Archeol., 1906, pp. 141 e 149, e in Transactions of Americ. Philol. Assoc., 1902, p. 94. : (4) GERMER-DURAND, in Revue Biblique, I (1892), p. 585, e Cosmos, XVII, P. 73. : (5) FRAENEEL M., Inscript. Gr. Aeginae, ...., 1902, n. 190 e add. p. 379. (6) Cfr. fra tutta la ricca bibliografia del monumento, la relazione in Notizie. degli scavi, 1889, p. 398; 1890, pp. 79 e 113. L'iscrizione era accompagnata da un «€ fascinum »; perciò il suo doppio valore di acclamazione e di amuleto. Su tale « fascinum » si cfr. Melusine, VIII, coll. 55-57. 372 UGO MONNERET DE VILLARD L’uso di codeste iscrizioni si riconnette con l’antichissimo con-- cetto della santità della porta, ma durante l’epoca classica non hanno maggior importanza di un semplice saluto o di un avvertimento o di un consiglio. Tali sono le formole musive di Pompei, HAVE, SALVE, SALVE LVCRV, LVCRVM GAVDIVM, CAVE CANEM (1); nelle terme, come a Brescia, è la formola BENE LAVA (2); sul pavimento di una casa di Cartagine sta scritto AGIMVR NON AGIMVS (3); mentre l’acclamazione greca KAIRE si ha a Salemi (4) e a La Mas Foulc nella Narbonnese (5). Maggior sviluppo ha quella che sta al centro di un musaico di Elche (6), che alcuni autori erroneamente hanno voluto cristiano: IN H - PRAEDI S VIVAS CVM i TVIS OMNIB MVLTIS AN NIS 4 Alla santità della porta era necessariamente congiunta la protezione di questa contro ogni qualsiasi influenza maligna: i due concetti, strettamente legati, dovevano dar origine ad un’altra serie di iscrizioni e di figurazioni magiche ed agli scongiuri protettivi, amuleti fissi, invariabilmente connessi con l’edificio od il luogo che dovevano proteggere. | Le rappresentazioni del « fascinum » sulle soglie, eseguito in musaico, si constata in hon pochi edifici tunisini, come ad El ——_ —- (1) C.LL., X, 872-875, 877. (2) C.I.L., V, 4500; cfr. anche quelle delle Terme di Timgad, in DE PACHTÉRE, Op. cit., n. 77 € 100. (3) GAUCKLER, Invent. des mosaig., n. 593. (4) Notizie degli Scavi, 1875, p. 357; 1893, p. 428; 1895, p. 356; Ameri. Journ. of Archaeol., XI, 1896, p. 296. (5) LaravE, Iuvent. des mosaig., N. 341. (6) P. IsArra, in Jabrbich. d. K. D. Arch. Inst,, 1899, Beiblatt, p. 198, e Revista de la Asociation artist. arqueologica Barcelonesa, 1899, n. 16, p. 320; Wochensch. f. Klass. Philol., XVI, 1899, p. 1353; Buletin de la Real acad. de la Hist., XXXVI, 1900, p. 166 sgg.; Rom. Quartalsch., 1900, p. 227; Revue des études anciennes, Il, 1900, p. 65; Ephemeris epigraphica, IX, n. 351. I DATI STORICI RELATIVI Ali MUSAICI PAVIMENTALI 373 Aerg (1); la casa di Sorothus a Soussa (2); la casa d’ Industrius a Udna (3) ove il « fascinum » è accompagnato dall’iscrizione OES | AES; quello pornografico di Tor de’ Conti accompagnato dall’iscrizione greca EPPE (4), il contrario di Yaîge, che fa pensare al cattivo umore di quel proprietario di casa di Cherchel (5) che ha fatto scrivere nel musaico LEGE ET CREPA; quello di Sussa, ora al museo, con l’iscrizione O ‘ CHARI -. Non so se hanno valore protettivo gli oggetti rappresentati su una soglia di casa pompeiana, accompagnati dall’iscrizione LVCRVm ACIPE (6). Sono note le iscrizioni lapidarie contro l'invidia, come quella su una porta dell’isola gi Zacinto e l’altra su un epitaffio lugdumense (7), e quella contro il malocchio di cui una variante, BIDE VIVE BIDE POSSAS PLVRIMA BIDere, appare sul musaico alla soglia dell’oecus verso l’atrio di una casa romana a Cartagine sul terreno degli Uled l’Agha (8). I musaici di questa casa sono attri-. buiti ai see. V]-VII, e presentano un curioso miscuglio di forme pagane e cristiane, miscuglio che si rivela anche con la presenza dello scongiuro antico in piena epoca cristiana. L’uso di inscrivere formole magiche nei musaici pavimentali non soffre continuità dal mondo antico al medioevo. (1) D. Nowak, Fouilles d’une ville romaine, Publ. de Passoc. hist. de DAfrique du Nord, 1901. (2) GAUCKLER, Iuvent., n. 121. (3) GAUCKLER, Mon. et mém. Piot, III, 1897, p. 181 sg.; La BLANCHÉERE Er GAUCKLER, Catal. du musee Alacui, A, p. 28, n. 189 e tav. VIII. (4) Corp. Insc. Graec., 6131, c. Sul fallo profilattico, Mélusine, VIII, coll. 103-109. (5) C.LI.L., VIII, 9421. (6) C.L.L., X, 876. (7) Corp. Inscr. Graec., 1935 e 6792. Su un'iscrizione contro il malocchio e l'invidia, a Khamissa, cfr. C. ‘R. Acad. Inscr., 1916, pp. 38-39. (8) Nouv. Arch. des missions, XV, 1907, tav. XXVII; GAUCKLER, C. R. Acad. Inscr., 1904, p. 695 sg.; ENGELMANN, Berliner Philol. Wochenschr., 1906, p. 1119, n 35, © 1907, p. 478 e sg.; GUNDERMANN, Rbein. Mus., LXII, 1907, p. 157, Sg. Cfr. l'iscrizione di Thala, HOC VIDE VIDE ET VIDE VT POSSIS PLVRA VIDERE: cfr. JaHun, in Berich! d. Sachs. Gesellsch., VII, 1855, p. 57, 66 sg.; TucHmann, in Mélusine, VIII, coll. 103-104. 374 UGO MONNERET DE VILLARD V. Tutti gli elementi sin’ora raccolti se forniscono molti dati interessanti intorno alla storia dei musaicì pavimentali lombardi, se pur mettono in evidenza alcuni influssi che ha subìto questo gruppo o scuoka che dir si voglia, non sono suffigienti a delinearne la storia: ci mancano dati intorno agli esecutori ed iscrizioni storiche che li fissino cronologicamente. E’ vero che in generale assai poco sappiamo intorno all’arte- . fice che lavorava i musaici durante l’epoca cristiana, il « musearius » dell’editto diocleziano (1), « musivarius » nel codice Giustinianeo, in quello di Teodosio ed in Cassiodoro (2). Giustamente il Gauckler osserva (3) che questi nomi non dovevano designare in origine se non l’operaio in « musivum » ben distinto, come si vede dal codice Teodosiano (4), dal « tessarius » o « tessellarius » o « pavi- « mentarius » (5). Le firme degli esecutori sono assai rare; quella di VEOAOTAOT a Soussa (6) palesa l'epoca bizantina. Interessante è quella dell’edificio cristiano di Beni-Hassem (7), ove è scritto IC OFICINA LAVRI PLVRA FACIAS ET MELIORA EDIFICES. Due altre firme troviamo in Palestina: un Antonio Galoga su un musaico di (1) VII. 6. (2) Cod. Just., X, 64, 1; Cod. Theod., XII, 4, 2; Cass., Var., VII, s_ Cfr. anche ORELLI, 4238. (3) Mote sur les mosaistes antiques, in Mém. de la Soc. Nat. des Antiq. de France, 1902, pp. 188-198. (4) XII, 4. 2. Cfr. C.I. L., IV, 4508, 7044; ORELLI, 2965. Dell’ a' artifex « artis tessalariae lusoriae » di ORELLI, 4282 nulla sappiamo. (5) Musaico di Porciano, C. I. L., XI, 1223, 6730, n. 3. L' iscrizione dell'Appia C.I.L., VI, 243, del 19 e. v., indicante l’esistenza di un collegio di pavimentari, è documento unico e non del tutto alieno da sospetti. (6) GAUCKLER, Invent., n. 163, del VI secolo. (7) GAUCKLER, Invent., n. 117 e C.I.L., VIII, 11153, V secolo. I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 375 Bettir probabilmente del VII secolo (1) ed un Salamanios a MAdaba (2). In Italia nessun altro ricordo del genere abbiamo se non quello trasmessoci da un grafito della Platonia nel cimitero ad catacumbas, di un operaio e dei suoi allievi: MVSICVS CVM SVIS LABVRANTIBVS VRSVS FORTVNIO MAXIMVS EVSEbius. .......... Ne meglio stiamo con le iscrizioni storiche cioè datate o ricordanti qualche grande personaggio, tali cioè da fornirci un documento cronologico sicuro. Infatti nel gruppo di monumenti che ci interessa non abbiamo se non quattro iscrizioni storiche: la più antica è quella del vescovo Teodoro ad Aquileia datata del primo quarto del IV secolo; segue quella di Serena moglie di Stilicone per il pavimento della chiesa dei SS. Apostoli o di S. Nazaro a Milano della fine dello stesso secolo; quella dell’ ambulacro della basilica episcopale di salona dei vescovi Simferio ed Eutichio cioè dell’inizio del V secolo. Un'ultima iscrizione, a Dos Trento, porta il nome del vescovo Eugippo, cioè è del 536-542 circa (3). | Davanti a codesta povertà per raggiungere una determinazione cronologica sufficiente dobbiamo ricorrere a tutti gli altri indizi. Il primo è quello del formulario delle iscrizioni stesse, intorno al quale ho già dato qualche criterio di massima. Poi la grafia stessa delle lettere, ed a proposito di questa è necessaria una osservazione. Non si debbono osservare e studiare le iscrizioni dei musaici con lo stesso criterio con cuì si studiano le iscrizioni incise su marmo, o dipinte, oppure le calligrafie dei manoscritti. Il mu- ————__ (1) VINCENT, in Revue Biblique, I9IO, pp. 254-261. (2) MANFREDI, in Revue Biblique, 1902, pp. 426-428. Il nome è semitico: si confrontino le forme vicine che si presentano nel Hauran, in WADDINGTON, n. 2262, 2337 e 2147. E' pure nome semitico quello di Barnabion, padre di Eutiches che firmò il musaico pagano di El Mas’ ùdije sull’Eufrate: ctr. Von OrreNHEIM unD LuKas, in Byzant. Zeitschr., XIV, 1905, pp. 58-59 e tav. IV. (3) Cfr. Archivio Trentino, XV, p. 248 sg.; XX, p. 129 sg. Lo stile del masaico concorda con la data. - Sar: 376 UGO MONNERET DE VILLARD saicista dispone di uno strumento assai meno duttile non dico solo della penna e del pennello ma dello scalpello stesso: i vincoli im postigli dalla struttura e dalle dimensioni delle tessere sono molto forti. Egli è quindi per necessità condotto ad alcune forme grafiche: così le lettere quadrate riescono più facilmente eseguibili in musaico che non le tonde. Sarà facile quindi riscontrare la forma quadrata della C, dell’O, la N quasi simile ad H, anche in epoca nella quale le iscrizioni in marmo o la calligrafia non offre con frequenza simili varianti. Bisogna tener conto che i pavimentari erano degli umili artisti, ed in questi è sempre insita una certa qual forza conservativa di usanze già tramontate. Si dovrà quindi agire con grande prudenza in questo ordine di ricerche, onde non troppo invecchiare le opere pavimentarie (1). Altro sussidio per la storia dei musaici ci vien dato da quella dell’edificio in cui si trovano: ma è a tutti nota la povertà dei dati di cui disponiamo relativi ai monumenti del primo periodo medioevale. Inoltre è sempre arduo stabilire se il musaico è sincrono alla costruzione dell’edificio o frutto di un abbellimento posteriore. In più solide basi fondiamo le ricerche quando ci è dato studiare la stratigrafia di parecchi musaici sovrapposti, l’epoca di uno dei quali almeno ci è nota. L’esempio più importante di questo caso ci è dato dal complesso monumentale della basilica Eufrasiana di Parenzo. Ivi abbiamo un primitivo oratorio cristiano ove in un pavimento pagano sono stati inseriti dei simboli cristiani. Successivamente un ingrandimento . della primitiva ecclesia che offre già un pavimento con iscrizioni di donatori: l’uso del nome di Melania venuto caro ai cristiani dopo l’anno 4oo circa e tenuto conto che l’unico avvenimento che può aver provocata la trasformazione dell’edificio fu la traslocazione del corpo di S. Mauro, ci permettono di datare il pavimento del 403-408. Al di sopra di questo sta il pavimento della basilica pre-eufrasiana, compresa quindi fra gli anni 4io e 440. Infine il pavimento della basilica di Eufrasio, databile dal 543 al 554. (1) Di questo criterio non mi sembra abbia tenuto conto sufficiente il CiPoLLA, Il velo di Classe, in Gallerie Italiane, III, pp. 240-241, studiando le iscrizioni dei musaici lombardi e piemontesi. È I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 377 Tutte le considerazioni di questo genere possono essere di validissimo aiuto nel redigere la storia dei musaici pavimentali: ma un altro criterio ancora può esserci di sussidio, intorno al quale è bene soffermarci lungamente, ed è l’iconografia delle scene rappresentate sui musaici. VI. Il criteriò iconografico è uno dei più difficili ad applicarsi e dei più delicati nell'uso; ciò a,causa principalmente del perseverare di alcuni motivi per lungo tempo. | All’inizio dell’arte cristiana nei musaici pavimentali, come in tutte le forme d’arte, l'iconografia pagana fa largamente le spese delle nuove rappresentazioni. Le scene bacchiche del mausoleo di Costanza sulla Nomentana sono un esempio; e a noi più vicino il musaico del vescovo Teodoro ad Aquileia mostra, come molti musaici africani, il perseverare in epoca cristiana delle più belle figurazioni antiche. Ciò è naturale in opere eseguite all’inizio del IV secolo, come è naturale trovare diffusissimi i simboli e le figurazioni del nuovo culto; il Buon Pastore ad Aquileia, una figura nimbata, Cristo od un santo, a Tabarka (1), l'adorazione dei Magi a Teano. Solo quando gli scrupoli del concilio di Elvira ispireranno il Digesto (2) e la legge di Giustiniano, sarà impedito di rappresentare sui pavimenti i segni del Salvatore. E il concilio dell’anno 787 proscriverà la rappresentazione delle scene dell’ippodromo e di danza così frequenti sui musaici africani. Ma i soggetti mitologici mai non-scompaiono dall’antichità sino alla rinascenza del secolo XI; così i miti delle fatiche d’ Ercole ritornano nell’arte bizantina a Costantinopoli sul suolo della chiesa del Pantocrator. Il mito d’Orfeo che, forse per il suo significato (1) La BLancHWérE ET GAUCKLER, Musée Alaoui, p. 18, n. 56, tav. IV. (2) Nemini licere vel in solo, vel in silice, vel in marmoribus humi positis, signum Salvatoris Christi insculpere vel pingere. Digesto, lb. I, tit. VIII. 378 UGO MONNERET DE VILLARD sepolcrale {1), fu tanto diffuso nei primi secoli cristiani, persevera nel musaico pavimentale di Arnal (2), forse cristiano, ed in quello di Gerusalemme. Dal punto di vista del simbolismo sepolcrale, un musaico lombardo merita più attento esame. Uno dei più interessanti musaici pavimentali di Lombardia è quello scoperto in Como sul finire del 1908, durante i lavori di sterro per il nuovo palazzo della Società Bancaria Italiana, all’angolo fra la via Vitt. Emanuele e Tomaso Perti. I frammenti, incompleti ed in parte mal restaurati, si trovano quasi tutti oggi al Museo Civico di Como (3). Il musaico rivestiva interamente il suolo di un locale rettangolare, di circa 8,40 X 7,00 mt. A tale locale si accedeva a mezzo di due porte sui, due lati maggiori, immediatamente addossate ad uno dei lati minori, dell’apertnra di mt. 1,75. Il pavimento vermicolato era posto sul solito sottofondo di tipo classico, « nucleus », « radus » e « stratumen »; ‘erano cioè tre strati, uno ad acciottolato, il secondo di grossolano impasto calcareo, il terzo di malta cementizia di calce con coccio pesto. Il piano del pavimento era a mt. 2,50 sotto l’odierno suolo, corrispondente cioè al piano romano e paleo-cristiano di Como. Era formato con tessere irregolari di circa 11 mm. di lato; esse erano di otto colori, ottenuti con ‘pietre naturali. Il nero era marmo di Varenna, il bianco calcare comune, il grigio da vene di cipollino lacuale, il rosso da pietra d’Arzo, il giallo e l’incarnato con marmo probabilmente veronese. Solo il verde e l'azzurro erano ottenuti con paste vitree, simili a quelle del musaico milanese di via Passerella. (1) HeussnER À., Die altchristl. Orpheusdarstellung. Cassel, 1893; GRUPPE in RoscHER, Lexîk., coll. 1202-1207. (2) M. pe Assas, Nociones fisionomico-histéricas de la arquil. espafi., in Seminario pintoresco esp., 1857. E’ dubbio assai sia cristiano il musaico di Herkstow come lo vuole il LecLERCO, in CaBROL, Dict., art. Brettagne, coll. 1182, fig. 1634. La bibliografia e l'elenco dei musaici con la rappresentazione di Orfeo si veda in GRUPPE, Op. cit., coll. 1189-1193, GAUCKLER, in DAREMBERG ET SAGLIO, art. Musivum cpus, p. 2119, n. 5, e negli indici degli /nventaires più volte citati. (3) Per i dati intorno al ritrovamento cfr. F. FrIcERIO e B. Nocara, Gli scavi ed il musaico della società Bancaria Italiana, in Riv. Arch. d. Prov. e antica Diocesi di Como, 1912, fasc. 63-64. = Archivio Storico Lombardo - 1910. - w o” (7 _ - EA î . WI. x tr tr, E è | n 4 : ZILozite ie 9 "n "RI TERT pre n È è age è _Y COMO - Musaico pavimentale cristiano. Original from Digitized by CORNELL UNIVERSITY Original from — Digitizéa by — CORNELL UNIVERSITY I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 379 Il musaico è tutto racchiuso da una fascia ornamentale composta da tre zone: l’interna e l’esterna sono bianche, la mediana è percorsa da una linea serpeggiante nelle cui sinuosità stanno racchiuse, nelle parti più vicine agli angoli della camera, dei fiori a tre petali, mentre nella parte centrale vi sono delle foglie d’edera, Il tipo di tale fascia non è nuovo: la prima parte ripete un motivo decorativo di origine egizia che largamente fu usato dai musaicisti bizantini del V e VI secolo (I), e fu qualche volta anche usata, con schema semplificato a semplici ondeggiature, dai musaicisti latini del Lazio (2). La seconda parte appartiene al repertorio abituale del musaico romano, ed è specialmente diffusa nella Naybonnese. Il campo del musaico è diviso in due parti: l’una ha una decorazione geometrica composta fondamentalmente da circoli inscritti entro esagoni sui lati dei quali sono costruiti dei quadrati che racchiudono fra loro dei triangoli. Entro tali figure geometriche stanno delle decorazioni di vario genere, forme schematiche e forme vegetali, nonchè animali, pesci, lepri, uccelli e granchi. La parte miriore del musaico, ma la più importante, forma un quadro a sè, racchiuso in una propria cornice decorata a tortiglione. Nel campo è raffigurato un triplo porticato retto su quattro colonne: le due centrali sono decorate da spire formanti delle colonne torte, mentre le due estreme sono colonne squamate. Gli archi impostati sulle colonne sono decorati con una linea serpeggiante a foglie d’edera, e nei triangoli mistilinei fra gli archi e la cornice sono dei cesti di vimini da cui escono dei tralci di vite con grappoli. Ad ogni arco è figurato appeso un vaso fiancheggiato da due colombe e fra le imposte dell’arco sono tese delle sbarre da cui pendono, nell’arco centrale dei festoni, e nei laterali delle cortine raffigurate aperte e legate alle colonne. L’ intercolonnio centrale ha nel mezzo un cantaro portato da una bassa colonna torta fiancheggiata da due cervi; nell’ intercolonnio di destra il musaico è disgraziatamente lacunoso, ma do- (1) Per non citare se non qualche esempio cfr. i musai di Henchir-Chigarnia, Soussa, Tabarka, Henchir-Sidi-Djedidi, Oudna e El-Djem, in Invent. des mosaiques. Tunisie, n. 261, 163, 940, 523, 375 € 71, ridrodotti nelle tavole dell’atlante. (2) Cfr. Ricci, I/ mausoleo di Galla Placidia, pp. 69 e 70 dell'estratto. 380 UGO MONNERET DE VILLARD veva portare una rappresentazione analoga a quella di sinistra, ove è rappresentata una figura virile che s’appoggia con la sinistra ad un tirso e tiene la destra tesa. E’ vestita con una tunica senza maniche, serrata alla cinta. Il monumento presenta dunque un assieme di motivi vari ed interessanti; ma la sua esecuzione è rozza ed irregolare, il disegno molte volte sgraziato e scorretto, specialmente nella figura maschile. Ha cioè tutte le caratteristiche di un’opera provinciale che ripete i motivi tolti alle produzioni delle grandi città, ma eseguiti da maestranze poco abili e non all’altezza del compito. I problemi che dobbiamo risolvere riguardo a questo musaico sono quelli dell’ epoca della sua esecuzione, del suo significato e quindi della destinazione del locale che esso decorava. Nulla ci insegna la struttura del sottofondo. La sua struttura, per la quale non vi erano certo regole canoniche come ci insegnano gli infiniti musaici sino ad oggi studiati, è la più comune, quella che si osserva quasi di regola, il che le toglie ogni valore cronologico (1). Qualche maggiore indicazione ci offre il materiale impiegato e specialmente l’uso delle paste vitree. Queste non entrano nella composizione dei pavimenti se non in un’epoca tarda che non è per I’ Italia cisalpina anteriore al IV secolo. Il loro uso è anche molto limitato e non comincia a diventare relativamente frequente se non nel V secolo. | Anche la parte geometrica del musaico ci può offrire qualche lieve indizio. Essa è, molto deformata e pessimamente eseguita, la struttura ad esagono stellato. Tale struttura sappiamo essere di origine orientale e non romana, e solo relativamente tardi introdotta nell’arte d’Occidente. La conoscenza incompleta si presenta nel musaico di Zollfelde in Austria (2), mentre essa è ben appli- (1) I musaici delle Gallie, a cui è bene confrontare il nostro, posano su fondie diversissimi: cfr. BLANCKET A., Eiude sur la decoration des édifices de la Gau\ Romaine, Parigi, 1913, pp. 72-75. La stratificazione di Como si osserva a Dalheim nel Lussemburgo ; cfr. Publ. de la Soc. d. Mon. hist. du Luxemb., IX, 1853, p.93. ed è quasi eguale a quella di Neuville-sur-Seine; cfr. Bull. Monument., XX, 1854 p. 58, e di Les Cléons. (2) Mittheilungen d. Centralcomm., 1899, p. 52. = I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 381 cata in quello di Bir-Chana (1). Strutture simili alla comasca si hanno ad Aix di Provenza e Aps (2). E l’uso che a Como si osserva di inserire piccole figure di animali nel tracciato geometrico ci richiama alcuni musaici cristiani palestinensi (3). Già questi indizi ci inducono a porre l’esecuzione del musaico lombardo in epoca cristiana: però la maggior conferma l’avremo dallo studio della parte figurata, il motivo architettonico delle arcate poggianti sulle colonne torte e squamate, i gervi affrontati ai lati del cantaro e la figura bacchica. E cominciamo l’analisi dagli elementi architettonici. Il primo elemento che attira la nostra attenzione è la decorazione delle colonne che figurano sul nostro musaico. Non è il caso di ripetere quanto è già stato detto a proposito dell’origine orientale della colonna torta e della diffusione sua in Occidente (4): qui non la reale colonna, elemento architettonico, ci interessa, ma ben più la sua rappresentazione su sarcofagi, su avori, su musaici, in generale su opere d’arte decorativa. Infatti troppo poco elementi abbiamo ancora oggi per stabilire l'epoca della introduzione della colonna torta architettonica nelle singole regioni e provincie dell'Impero. Due esempi frammentari di colonne torte, del diametro di mt. 0,40, si sono trovate nella regione comacina: l’una sta al museo di Como, l’altra fu rinvenuta nel 1912 durante i restauri della basilica di S. Vincenzo in Galliano. Una rappresentazione di tali colonne figura sul misterioso monumento scoperto nel 1840 in via G. Verdi in Milano (5). Su così scarsi elementi non si può fondare nulla. (1) GAUCKLER, Invent. des mosaiques, n. 447 e tav. (2) LaravE, Invent. des mosaiques, n. 45 e 273. Il più bell'esempio del tracciato è il celebre musaico dei Filosofi a Colonia. (3) Cfr. quello della cripta dell’Elianeo a Madabà, il musaico al convento della Croce a Gerusalemme e in questa stessa città il musaico armeno sul monte degli Ulivi presso la casa dell'archimandrita Russo, forse del tempo del vescovo Giacomo (614). Il musaico di Midabi è datato da un'iscrizione del vescovo Sergio dell’anno 595 d. C. Per le rappresentazioni di animali entro scomparti geometrici cfr. anche l’altare d’Agnello nel Duomo di Ravenna. (4) Cfr. V. CÒapor, La colonne torse et le décor en hélice dans Part antique, Parigi, 1907; U. MonnERET De VicLarp, La colonna torta, in Il Politecnico, 1910, n. 24. (5) Ora al museo Archeologico: riprodotto in Romuss:, Milano ne’ suoi monumenti, Milano, 1912, p. 139. 382 UGO MONNERET DE VILLARD Certo è che la rappresentazione di colonne torte su musaici anteriori al IV secolo non credo sia stata mai documentata (1). Nel musaico di Como le colonne sono anche squamate: è un tipo decorativo che si può dir ignoto all’ arte romana e che nel nostro monumento presenta forme che si riallaccino alla decorazione figurata orientale, e che ricordano, pur senza essere per nulla simili, le decorazioni miniate che ornano il Cronografo dell’anno 354. Anche le artate su colonne sono elementi entrati nella reale architettura d’Occidente solo dopo la costruzione del Palazzo di Spalato (2), benchè anteriormente appaiano nella decorazione dei sarcofogi (3). Nei musaici romani sono rare: lasciamo da parte la rappresentazione del « navale » ostiense, ove le arcate poggiano su pilastri (4), ed alcuni musaici della Gallia meridionale, come quelli di Taron nei Bassi Pirenei, due a Nimes, quello di SaintRomain-en-Gal (5), e quello di Brigantium (6), che in generale non vogliono essere se non rappresentazioni prospettiche di quadriportici. Anche nel musaico tunisino di Gafsa abbiamo delle rappresentazioni di arcate direttamente poggianti sui capitelli, retti per di più da colonne torte: è la rappresentazione dei portici e delle carceri dell’anfiteatro (7). L’opera è assai rozza, d’epoca bassa assai, bizantina o vandalica. | La serie di queste rappresentazioni di reali edifici ci offre altri monumenti d’epoca cristiana: così il musaico algerino della basilica (1) Cfr. il musaico di Centcellas in Put y CADAFALCH, FALGUERAS y Gonar, L°arquitectura romanica a Catalunya, I, Barcellona, 1909, pp. 236-238, fig. 293, da alcuni ritenuto cristiano. (2) Gli esempi pompeiani studiati dal Rivoira, L’arch. musulmana, Milano, PP. 75-76, tig. 65 (e Not. Scuvi, 1910, p. 319, fig. 2) non sono se non architravi curvi, piattabande arcuate, su cui ritornerò per dimostrare il loro nessun rapporto con l'arco di Spalato. (3) ALTMANN, Architektur und Ornamentik der antiken Sarcophage, Berlino, 1905, passim. (4) PascHETTO. Ostia colonia romana, Roma, 1912, p. 349. (5) G. Larave, Invent. des mosaiques, n. 418, 297, 299 € 301; 243. Alcuni dettagli del musaico di Taron in GERSPACH, La mosaique, p. 16. (6) Mittheil, d, Centralcomm., 1886, p. 73. (7) Invent. des mosaiques, Tunisie, n. 321. Si cfr. le colonne torte del musaico di Suèvres, Znvent. cit. Gaule, I, n. 956. - I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 383 di S. Reparato ad Orléansville (1), certamente anteriore all’anno 475, raffigura un’ arcata portata da due colonne torte, ai fianchi delle quali sono dei cantari ove vengono a bere delle ‘colombe. Ma la rappresentazione del pavimento di Como non è punto realistica ma decorativa. Deve essere messa in rapporto con certe terracotte romane con figurazioni di paesaggi nilotici, una in doppio esemplare, al museo di Berlino (2) ed al museo di Campidoglio, e l’altra scoperta ad Ostia nel 1912 nella via che corre lungo il muro nord della caserma dei vigili (3). Meglio ancora richiamarci ai sarcofagi cristiani, specialmente a quelli di tipo ravennate, ad arcate su colonne. Uno di S. Apollinare in Classe (4) porta la stessa rappresentazione di cortine aperte che sono sul pavimento di Como. E la lavorazione musiva di queste è identica alla tecnica delle cortine raffigurate, pure in S. Apollinare in Classe, nei tabernacoli con le figure di Urso, Ursicino, Severo ed Ecclesio (5). La rappresentazione di Como ha tutto l’aspetto d’essere derivata dall’imitazione di un fianco di sarcofago ravennate: non dico che però le arcate decorative manchino sui musaici, tutt’ altro. Il motivo d’inquadrare in arcate su colonne personaggi o scene è quanto mai diffuso nell’arte cristiana dalla miniatura, cominciardo con l’evangelario di Etschmiadzin (6), sino ai musaici parietali di Ravenna già citati, quello absidale di S. Francesca Romana e più che tutti quello scoperto nel XVIII secolo nella chiesa della Dorada a Tolosa (7), che offrono esempi del motivo adattato su piani verticali. | (1) Invent. cit. III, Algerie, n. 451; cfr. sul musaico di Grand (Id. n. 1600) la rappresentazione di un teatro (?). (2) Riprodotta in Erman, La religione egiziana, Bergamo, 1908, p. 269, fig. 158. (3) Riprodotta in No/. scavi, 1912, p. 278, fig. 8. (4) Fot. Ricci, n. 70$. (5) Fot. Ricci, n. 279, 280. (6) A questo proposito ricordo l'evangelario armeno del convento mechitarista di Venezia (X sec.) ove sotto le arcate dei canoni è un vero paesaggio egiziano con barche, coccodrilli e piante. Ciò riconduce all’origine egizia del motivo: cfr. STRZyGOWSKI, in Wiener Studien, XXIV, 1902, p. 433 Sg. (7) Invent., cit., I, n. 369: riprodotto in De MontÉGut, in Memoires de PAcad. de Toulouse, I, 1782, tav. IV. 384 UGO MONNERET DE VILLARD In codesto musaico di Tolosa si hanno tre file sovrapposte di arcate: sotto le ventidue della prima fila sono personaggi e scene del Vangelo, in quelle della seconda fila gli apostoli, i profeti e gli angioli, e sopra ancora i personaggi dell’antico Testamento. ll processo verbale, steso nel sec. XVIII, lo attribuisce al V secolo, ma credo se ne debba abbassare l’esecuzione al medioevo inoltrato. Nei musaici pavimentali il motivo appare a S. Ireneo di Lione, in un monumento, oggi scomparso, attribuito al secolo X, ove sotto file d’arcate erano raffigurate le scienze, designate da iscrizioni (1). Nel musaico di S. Colombano a Bobbio ed in quello di S. Michele di Pavia vi sono le rappresentazioni dei mesi; in quello di S. Benedetto di Polirone, del 1151, stanno invece le virtù. Come si vede il motivo prosegue in piena epoca romanica. Per comprendere però quale valore e quale significato esso aveva bisogna estendere l’indagine ad una più vasta serie di momumenti e ricordare conie il motivo delle arcate inquadranti figure o scene simboliche sia largamente diffuso. Lasciamo per ora da un lato i monumenti ove, entro’ talé cornice architettonica, si ha la rappresentazione dei mesi. Allora essa non è se non una semplice decorazione architettonica, senza alcun valore rappresentativo o simbolico. ll partito è già adottato nel celebre calendario dell’ anno 354, eseguito a Roma da un artista orientale ai tempi dei figli di Costantino il Grande; e si ripete per tutto il medioevo sino in piena epoca gotica: infatti figura, per ricordare alcuni esempi, nelle pitture di Santa Maria ad Cryptas (2), sull’architrave della porta di S. Ursino a Bourges come su quello di Rampillon (Seine-et-Marne) e sui fonti battesimali di SaintEvroult-de-Montfort (Orne) (3). Altrettanto deve dirsi di quelle opere ove sotto arcate sono rappresentate le arti o le scienze: oltre i casi citati si veda la stoffa trovata nella tomba di Clemente IV a Viterbo (4). (1) Riprodotto da ArTAUD, Hist. de la peint. en mosaique, tav. XIII (2) BeRTAUX, L'art dans l’Italie meridionale, p. 303, fig. 118; migliore riproduzione in Emporium, vol XXIV, Bergamo, 1906, n. 144, p. 459. (3) De LASTEYRIE, Architecture romane, fig. 717. 3 (4) Riprodotta in L'Arte, 1899, p. 283. < - I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 385 Bisogna invece prendere in considerazione un altro ordine di monumenti e risalire alle prime epoche, ai tempi di formazione dell’arte cristiana. . Sarà bene perciò meglio precisare l’epoca di esecuzione del pavimento di Como. Gli elementi già raccolti indicano che esso non può essere anteriore al IV secolo: la tecnica sua è per di più meno accurata di quella dei musaici pavimentali lombardi massimianei, come i milanesi, il geometrico superiore di via Gorani e di casa Stampa ed il musaico degli animali di piazza S.Giovanni in Conca. Nel musaico di Como sono negli archivolti dei cesti da cui escono rami, pampini e grappoli d’uva, motivo bacchico largamente diffuso: e non dimentichiamo la figura umana col tirso sotto l’arcata sinistra. Tutto ciò farebbe pensare che esso ornava il pavimento di una sala da mangiare (1). Ma la struttura architettonica dell’edificio di Como ove fu trovato si oppone a tale interpretazione: sarebbe logico e naturale allora attendersi una struttura musiva con quadro centrale circondato da un bordo, oppure un musaico a varie scene. L’esser la parte tigurata lungo uno dei lati, e disposta in modo da non poter esser guardata se non addossandosi al lato stesso, rende poco spiegabile la struttura della camera. Per di più il locale, per quanto si può sapere, era isolato giacchè non pare che durante lo scavo, disgraziatamente condotto a dispetto di tutte le regole archeologiche, si siano trovati attacchi di murature che possano far pensare aver appartenuto la camera rettangolare ad un più vasto complesso architettonico. Nè la rappresentazione degli animali ci riconduce necessariamente a considerare il pavimento come di edifizio civile. Essi apparivano su musaici religiosi con frequenza (2), dal musaico di Sour (3), per i palestinensi già citati giù giù all'epoca romanica, sia in basiliche, come in Aquileia nel musaico del vescovo Teo- (1) Per tali decorazioni sui musaici delle Gallie cfr. BLANCHET, op. cit., pp. 112-114; il loro significato funerario (/ahreshefte des dosterr. arch. Inst., IV, 1901, Beiblatt, coll. 127, fig. 15) non è per il nostro caso. (2) MunTz, Étud. iconograf. et archéol. sur le moyen-dge, Parigi, 1887. Les pavements historiés, pp. 36-42. (3) Duranp, in Annales archéolog., XXIII, XXIV. Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. Ill. 25 386 UGO MONNERET DE VILLARD doro (a. 308) (1), quanto in altri edifici annessi (mausoleo di Costanza, ecc.). Ammessa la cristianità del musaico comasco, questo deve essere posteriore al IV secolo: infatti dalla lettera di S. Ambrogio al vescovo Felice si rileva come alla metà di quel secolo la nuova religione non solo non era largamente ed universalmente diffusa a Como, ma richiedesse una intensa propaganda. Gli edifici religiosi di Como, sorti alla fine del IV od al principio del V secolo le chiese cioè dei SS. Pietro e Paolo, di S. Carpoforo e di S. Protaso, erano ancora esterni alla città. Ma l’argomento migliore per la cristianità del monumento ci è dato dalla rappresentazione centrale, il cantaro affiancato dai due cervi. Rappresentazioni analoghe ritroviamo su pavimenti di edifici battesimali: quello della basilica Urbana di Salona, quello di Sens ove il quadro coi due cervi è stato inserito in più antico pavimento (2), e quello di Mileto (3). Tali scene non sono se non la figurazione grafica del concetto espresso nel salmo XLI, 1-2; e ì versi figurano sul musaico salonitano: SICVT CERVVS DESIDERAT AD FONTES AQVARVM ITA DESIDERAT ANIMA MEA AD TE DEVS Queste rappresentazioni sono assolutamente analoghe a quella di Como e formano un gruppo attribuibile al V od al VI secolo. Il simbolo del cervo è esenzialmente cristiano; già S. Gerolamo compara l’animale al catecumeno (4). Da ciò la loro figurazione sui pavimenti dei battisteri e nelle pitture parietali, già dal 340 circa, con le pitture del cimitero di Marco e Marcellino (5), seguite da (1) Fra i molti studi intorno a questo monumento si vegga PLANISCIG, in Emporium, Bergamo, 1909, fasc. XII. Si cfr. i musaici tunisini di Dermesch e dell’ Uadi Remel in GauckLer, 2asilig. chret. de Tunisie, Parigi, 1913, tavv. I e XVIII. (2) Gazette archeol., 1877, to. Ill, tav. 31-32; Bull. Soc. Nat. Antig. de France, 1866, p. 188; BLANCHET, Invent. des mosaig. cit., n. 890, (3) WIEGAND, in Abband. der Preuss. Akademie d. Wissensch., 1908. (4) ln psalm. XLI, P. L., XXVI, col. 949. (5) Cfr. Bull. Arch. crist., 1865, p. 12. # 1 DAT1 STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 387 quelle del battistero di Ponziano (1), sino al musaico del battistero di Valence (2). Anche dei cervi scolpiti o fusi erano nei battisteri: ricordiamo quello che al Lateranense donò Costantino, come racconta il « Liber pontificalis » nella vita di papa Silvestro I, e quelli aggiunti da Sisto Ill. Altri cervi furono dati’ alla basilica dei SS. Gervaso e Protaso da Innocenzo |, ed un cervo di rame era nel battistero costruito da Venanzio vescovo di Viviers. A conclusione di tutto ciò non si può negare il carattere cristiano del musaico di Como. Solamente si potrebbero sollevare obbiezioni per la figura bacchica; ma non bisogna dimenticare che decorazioni bacchiche sono nella vòlta del mausoleo di Costanza, che Orfeo non disdegna apparire sui pavimenti cristiani anche in epoca tarda (3) e che furono usati da cristiani dei sarcofagi recanti scolpite delle scene di estrema esaltazione dionisiaca. Ricordo quello del cimitero Vaticano (4) ed uno del cimitero di S. Agnese (5). Era dunque un battistero l’edificio di Como ornato dal musaico ? Due obbiezioni si oppongono a questa ipotesi: Ja mancanza di ogni traccia di vasca dapprima. A questa si può opporre che non è necessario che il musaico si trovasse proprio nel locale battesimale, ma poteva essere, come a Salona, in un locale annesso, il « consignatorium » o altro. Più grave è la seconda, quella cioè che richiama che sino all’inizio del secolo X] la cattedrale di Como fu fuori della città murata, a S. Carpoforo prima e ai SS. Pietro e Paolo poi. Non dobbiamo però nasconderci che certo nell’interno della città doveva esser sorta, nel V secolo, una chiesa nel centro urbano: e di tale chiesa, del titolo di S. Eufemia, troppo poco sappiamo per negare a priori che possedesse un battistero. La moltiplicazione di tali edifici in quei secoli è tutt'altro che rara. La conclusione è che il musaico di Como debbasi attribuire al V o meglio al VI secolo, come elemento di quel gruppo di fi- (1) WiLPERT, Pitt. delle catacombe, tav. 269, n. 2. (2) Gazette archéolog., 1877, t. III, p. 195. (3) Ricordo il bel pavimento di Gerusalemme, d'epoca bizantina. Cfr. Revue Bibligue, 1901, p. 4;6, Sg.; 1902, p. 100, sg. STRzYGOWSKI, in Zeilsch. f. deut. Pal. Ver., XXIV, 1901, p. 139, sg. i (4) CANCBLLIBRI, De secretariis, Roma, 1786, III, p. 142, tav. (5) BOLDETTI, Osservazioni, Roma, 1720, pp. 466-467. 388 UGO MONNERET DE VILLARD gurazioni che da Mileto, per Salona, la Lombardia, giunge nelle ° Gallie a Sens e Valence, la ‘solita linea che congiunge le manifestazioni dell’arte orientale con la lombarda e la propagazione delle forme elaborate da questa nei paesi d’oltre alpe. E che deve aver adornato un locale di culto annesso alla basilica di S. Eufemia, la quale probabilmente deve la sua origine, come l’omonima dell'Isola Comacina (1), al trasporto delle reliquie della Santa operata da Abondio vescovo, di ritorno dalla sua legazione a Costantinopoli, mentre il suo collega Senatore lo diffondeva a Milano. Ciò avveniva nell’ultimo terzo del V secolo. Il ricondurre a codesta origine il musaico può anche spiegare le sue forme bizantineggianti. Oltre ai particolari di cui ho già parlato, uno ancora voglio ricordarne. Le basi delle colonne figurate sul musaico di Como sono, non del tipo romano, orientali. Esse appaiono a tre scaglioni, rappresentazione cioè di tre parallelepipedi sovrapposti. Basi dì tale tipo sì trovano realizzate nel VI secolo nell’Italia superiore, al S. Vitale di Ravenna. Tale forma, rarissima, scompare dopo quel tempo dal repertorio dei costruttori, mentre persevera nelle rappresentazioni miniate fino al sec. X nell’ « Exultet Casanatense » (2) ed anche al XII, come ci mostra la figurazione della MATER ECCLESIA dell’ « Exultet Barberi- « nlano » (3). Così datato ed analizzato il musaico comense assume una speciale importanza: viene cioè a costituire un muovo anello di quella catena di fatti artistici e di monumenti che nel VI secolo collegano lo sviluppo dell’arte lombarda con l’orientale. Un ultimo punto ci rimane da risolvere per esàurire lo studio del musaico di Como: il suo significato iconografico. Che vuol rappresentare tale porticato? Non certo è la riproduzione di un monumento reale, nè sta col valore di sola cornice: esso ha funzione e significato simbolico. In una iscrizione di Aquileia (4) sotto le linee del testo sono (1) U. MoxxeRrtT LE VILLARD, L'Isola Comacina, Como, 1914, p. 18. (2) Riprodotto in SCHLUMBERGER, L’epopee byzantine, 1, Parigi, 1896, p. 217. (3) Riprodotto da Wicpert, in Rom. Quartalschr., 1899, tav. I-II, e pgg. 23- 24: sulle basi a scaglioni posano due colonne torte, come nel musaico di Con.o. (4) Pars, Suppl. ital,, n. 336. — - I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 389 rappresentate cinque arcate entro ognuna delle quali è una figura di orante, avente sopra il capo il monogramma sacro. Così in una epigrafe di Clermont (1) sotto le arcate, portate da colonne torte, stanno dei vasi a cui bevono degli uccelli; e non poche iscrizioni visigote recano entro le arcate il monogramma costantiniano (2), oppure il testo dell’epigrafe (3), struttura questa che appare anche nella iscrizione longobarda di Galliano (4). Il prototipo di codeste iscrizioni sepolcrali è dato dalle stele copte. Tutto ciò fa pensare che la figurazione dell’arcata retta da colonne, e assai di frequente da colonne torte, ha stretti rapporti col simbolismo funerario, e che codesto tipo di iscrizioni sepolcrali sia da ritenere in stretto rapporto ideologico col tipo di stele a porta di tomba. L’ arcata delle iscrizioni cristiane è la porta dell’ al-di-là, e meglio, nel desiderio dei sopravissuti che la fanno scolpire, la porta del paradiso in cui sperano sia accolto il defunto. Che nel simbolismo cristiano primitivo l’ingresso del paradiso sia stato concepito come quello di un suntuoso edificio, aperto fra colonne dalle quali pendono dei velari, ce lo prova un frammento d’epitaffio ben noto (5), oggi conservato al museo Lateranense. Anche una pittura catacombale, a S. Ciriaca presso S. Lorenzo in agro Varano (6), ci mostra l’anima introdotta al paradiso attraverso ad una porta di cui s’ aprono le cortine. L’ uccello che beve al vaso nell’epitaffio di Clermont è, come l’orante di quello d’Aquileia, l'anima salvata che gode nel cielo dopo le sofferenze (1) Le BLANT, Nowuv. recueil d’inscript. chrét. de la Gaule, p. 233, n. 234. (2) Quelle di Ronda e Moròén de la STORIE in Boletin i la R. Acad. de la Hist, 1908, pp. 352-353. (3) Quelle di Mértola e di Ebona, in HùBNER, /nsc. christ. Hisp., n. 11 e Suppl., n. 300, 304, $12, 313 e 318. (4) U. MonNERET DE VILLARD, Museo civico arch. di Milano, Catal. delle iscr. crist., n. 36. (5) PERRET, Les catacombes de Rome, V, tav. XXIV, fig. 47; PERATÉ, L'archéol. chret., 1892, p. 154; fig. 112. (6) WILPERT, Pitture, tav. 241 e p. 76; cfr. testo Epist. agli ebrei, V. 19. L’antica figurazione del Paradiso come giardino, ritorna nel XIll sec. Cfr. M. EscuericHi, Zur Symbol. d. Paradies PECORE, in Rep. f. Kunstw., XXXIII, 1910, pp. 358-362 390 UGO MONNERET DE VILLARD della vita quel refrigerio domandato nel canone della messa: « lo- « cum refrigeri ut indulgeas deprecamur ». A codesta espressione simbolica deve esser riattaccata la creazione del sarcofago ad arcate, che parte del tipo a pilastri di cui il più bell'esempio è dato dal Lateranense N. 174 (1), ove per rappresentare Gesù fra gli Apostoli nella gloria del cielo, lo si è rappresentato sotto ad un portico retto da otto colonne ornate di pampini. Da codesto antico esempio si inizia una serie di rappresentazioni che dura sino in epoca gotica: Gesù e gli Apostoli sotto ad una serie di arcate. Ricordo l’architrave di Saint-Genis-desFontaines (1020-1021), di S. Stefano a Cahors, di Ganagobie, di Meillers, di S. Croce alla Charité-sur-Loire, in Italia a S. Pietro maggiore di Pistoia, nella Spagna a Santa Maria la Real di Sanguesa ed a Moarbes. E non sui portali solo la rappresentazione appare, ma ancora sugli altari, come a quello di Silos ora al museo di Burgos; e sulle tombe, come quella di Eulger (4 1149) alla cattedrale di Angers e quella di P. de Saine-Fontaine ad Airvault. Dal blocco monolitico del sarcofago, dell’altare, della tomba, la rappresentazione si diffonderà ad occupare la facciata tutta della chiesa, come a Nòtre-Dame-la-Grande di Poitiers. L’architrave della porta di Conques ci mostra sotto una serie di arcate Abramo che riceve le anime: è la Gerusalemme celeste, e lo scultore romanico non ha fatto se non tradurre in forme plastiche le invocazioni degli antichi epitaffi, in cui il defunto supplicava d’essere accolto nel seno del Patriarca. Ma per ritornare ai sarcofagi a colonne ed ad arcate noi ben sappiamo come alle rappresentazioni a figure si siano ben presto sostituite quelle simboliche, specialmente nell’ Italia settentrionale e nelle Gallie, il gruppo di Ravenna e quello di Bordeaux, Tolosa e Poitiers. La rappresentazione del Paradiso è evidente in un sarcofago del mausoleo di Galla Placida (2) ove l’agnello sacro nimbato stà ritto sulla collina da cui sgorgano i quattro fiumi, fra due altri agnelli e due palme: più succintamente è espressa in quei sarcofagi ove due agnelli o due pavoni affrontati hanno nel mezzo il crisma. (1) Fickeg, Die altchr. ‘Bildw., 117-174; VENTURI, Storia dell’arte, I, fig. 181. (2) Ricc:, Il mausoleo di G. P., fig. 4; fotogr. Alinari 18110 — - I DATI STORICI RELATIVI AI MUSAICI PAVIMENTALI 391 Palme, croci, agnelli o pavoni che bevono al vaso ritornano sui sarcofagi ad arcate, con identico significato simbolico. Come la primitiva letteratura cristiana ha chiamato atrio od aula il Paradiso (1), così l’arte lo ha realmente rappresentato dopo il IV secolo, come il triplice od il multeplice ingresso di una sontuosa dimora. È una facciata di palazzo od una facciata di chiesa che si rappresenta sui sarcofagi o nel musaico: il sarcofago a colonne che è, nell’ arte pagana, la rappresentazione della casa del morto, diviene nell’ arte cristiana la casa eterna, come dicono le epigrafi (2). AI simbolismo delle catacombe, che vuole il Paradiso un giardino chiuso, succede una rappresentazione : più materialistica, che però ha più stretto legame con la realtà visibile (3). Sotto la triplice arcata del musaico comasco i cervi bevono alla fonte, quasi traducendo in forma plastica le parole del quarto Evangelio (4), e gli uccelli volano (5). La figura bacchica non è se non una forma del Pastore che sta nei prati fioriti dell’ Elisio. Il musaico di Como rientra così nel ciclo iconografico delle figurazioni dei sarcofagi ravennati: codesta conclusione viene a confermare la cronologia del monumento sopraindicata ed a farlo ritenere opera, al più presto, della fine del V o dell’inizio del VI secolo. Contemporaneo dunque, oltre che analogo; al musaico salonitano con la stessa rappresentazione, ove l’iscrizione già citata è tolta dalla traduzione ieronimiana della Bibbia. E dunque un prodotto della breve dominazione bizantina in Lombardia questo monumento che pur uno studioso accurato quale il Nogara aveva voluto d’epoca pagana. Ciò mostra a quale attenta indagine si debbano sottoporre i dati iconografici per trarne un sicuro indizio storico: dati che deb- (1) Du Cance, art. Paradisus; Thesaur. linguae latinae, art. Aula, coll. 1458-1459. (2) Su questa derivazione cfr. fra gli altri DuTscHKE H., Ravennatische Studien, Lipsia, 1909, il cap. Hadespalast und Himmelshalle, pp. 122-142. (3) La giustaposizione delle due rappresentazioni si ha in alcuni sarcofagi ad arcate sotto le quali sono degli alberi raffiguranti il giardino paradisiaco: cfr. i due sarcofagi ravennati n. 74 e 78 in catal. DUTSCHKRE, op. cit. (4) IV. 14. (5) Sul simbolismo degli uccelli-anime, cfr. WEICKER, Seelenvogel, Lipsia, 1902. 392 UGO MONNERET DE VILLARD bono essere vagliati volta a volta in rapporto allo sviluppo cultu: rale ed artistico della regione, giacchè nessun rigido criterio cronologico si può fissare a priori per tutto l’orbe cristiano. È quindi dallo studio preciso e dettagliato delle forme artistiche che potremo trarre i più sicuri elementi per la storia dei musaici e gli elementi per comprendere le ragioni del loro tras. formarsi ed evolvere col variare degli ideali artistici e col sopravvenire di influssi volta a volta rinnovantisi. Uco MovxnNERET DE VILLARD. = CRISTOFORO DELLA STRADA e un episodio delle lotte guelfo-ghibelline in Milano durante il dominio del duca Giovanni Maria Visconti REMETTIAMO che questo non è uno studio esauriente, ma un semplice riassunto di note storiche desunte da carte || inedite, che, sommariamente riallacciate alla trama della i ="=J storia già conosciuta, ci parve non inutile pubblicare, bene si presentino alquanto frammentarie e slegate fra loro. Unite tutte nondimeno da un nesso logico, perchè aggruppate attorno ad una sola figura di gentiluomo milanese, le note che seguono sono storicamente divise in due parti ben distinte, delle quali la prima integra ‘la genealogia della famiglia Pusterla, l’altra mette forse in maggior luce che non abbia fatto il Corio lo svolgimento e la portata del conflitto guelfo-ghibellino del 1407 e la pace seguitane. e è è Cristoforo Della Strada, figlio non unico di Maffiolo (eran suoi fratelli un Bernardo e un Gasparino) (1), trovavasi già nel 1390 al (1) Le notizie genealogiche della famiglia Della Strada non vanno oltre il sec. XIII. Par che fosse di Pavia, d’onde si sarebbe trasferita a Milano nel 1263. Anteriormente però è noto un Torello Della Strada podestà di Parma nel 1220. (FaGNANI, genealogia Della Strada in biblioteca Ambrosiana). Di questa famiglia dice il citato Fagnani: « Haec familia etiam uti Gibellina, et Vicecomitibus ami- « cissima pro Galeacio (sic) Maria Vicecomite duce Mediolanensi arma sumpsito_ « anno salutis humane 1404 contra Casatos, et alios Guelphos mediolanenses, « qui introducto Othono Ruscono cum non modica armatorum manu Viceco 394 PIO PECCHIAI servizio di Gio. Galeazzo Visconti, che in quell’anno lo inviava a Verona e Vicenza a fare e provvedere tutto quanto fosse occorso alle truppe che in quelle parti teneva ai suoi stipendi, e di più a ispezionare i castelli e il loro munizionamento, con autorità di operare e disporre ogni cosa a suo talento. Il decreto relativo valeva anche di salvacondotto per un anno, tempo assegnato al disimpegno dell'incarico, ed in virtù di quella carta i podestà, capitani, vicari, . officiali, ingegneri e sudditi avevano l’obbligo di prestare al Della Strada, occorrendo, ì loro servigi, mentre i castellani dovevano riceverlo ed ammetterlo in ogni castello del dominio insieme con la sua comitiva, purchè i componenti di essa non superassero il numero di tre (1). Nel citato diploma Cristoforo Della Strada è qualificato per famigliare del Visconti; in altro del 1392 alla prima qualifica sì aggiunge quella di collaterale. Col secondo decreto Gio. Galeazzo, « confidentes de suffitientia industria et legalitate nobilis viri Chri- « stofori de la Strata », lo incaricava di sovraintendere « Monstris « Cassationibus Remissionibus et ceteris innovationibus stipendia- « riorum provisionatorumque » a piedi e a cavallo, in ogni città, terra, distretto, esercito, fortilizio e bastita « et quos adesse et mo- « rari contigerit in eis, necnon Potestatum Capitaneorum Castella- « norum Conestabilium seu Custodum portarum quarumlibet.... cìvitatum :terrarum et districtuum earumdem ac exercituum et bastitarum ». Il Della Strada doveva entrare in carica il 18 ottobre, giorno successivo alla data del diploma, e rimanervi a tutto beneplacito del suo signore, percependo: un salario di trenta fiorini mensili. Tutti i podestà, capitani, provvisionati, castellani e stipendiari di ogni luogo dovevan quindi riceverlo « cum uno notario « et duobus famulis », seguito che forse era necessario ad esercitare il suo ufficio, e mostrargli e spiegargli quanto concerneva le truppe e il loro equipaggiamento. Chiudeva il diploma preghiera [SI bs e mitum imperium destruere conabantur. Post cruentam itaque pugnam Guelphi « magna suorum parte caesa vel capta mediolanensem urbem deserere coacti « fuerunt ». Di Cristoforo dice pure il Fagnani: « Clarus etiam fuit in eadem « familia Christophorus Stradensis seu de la Strada ». (1) AOM (Archivio Ospedale Maggiore, Milano), Diplomi Viscontei, Ss agosto 1390. = CRISTOFORO DELLA STRADA E UN EPISODIO, ECC. 395 agli amici di lasciar libero il passo su le loro terre al messo visconteo (1). In servizi militari era il Della Strada anche nel 1394, e all’uopo il suo signore avevalo munito di un salvacondotto che gli assicurava liberta di transito e immunità di ogni gabella e pedaggio « cum equestribus sex, suisque armis valisiis rebus bonis et ar- « nisiis » fra Milano e Pavia (2). Altri incarichi, relativi anch’essi alla milizia, conferì al Della Strada Gio. Galeazzo Visconti con diplomi 1397 € 1399, col primo dandogli pieno arbitrio « bayliam et « potestatem.... cassandì scribendi et diminuendì in quibuscumque « baneriis peditum tam ballistariorum quam pavesariorum » (3), e col secondo mandandolo « ad partes romandiole et ad nonnullas « alias partes, causa firmandi et conducendi ad stipendia et ser- « vitia » del duca « tan: per modum stipendi) extensi quam medii « stipendii, et per modum sotietatis aliquos conductores et capo- « rales armigerorum cum illa lancearum quantitate aut equestrium « numero de quibus ipsi Christoforo videbitur » (4). Appare manifesto, dunque, che già sotto il dominio del Conte di Virtù Cristoforo Della Strada occupava un luogo non disprezzabile alla corte viscontea, tra i numerosi famigliari e collaterali del primo duca di Milano. | La * * Consorte di Cristoforo Della Strada era Caterina Pusterla, figlia di Bernardo e Franceschina Pagnani, e pronipote di quel Franciscolo, che Luchino Visconti fece morire sul patibolo insieme con la moglie Margherita. (1) AOM, Diplomi cit., 17 ottobre 1392. (2) AOM, Diplomi cit., 12 febbraio 1394. (3) AOM, Diplomi cit., 9 ottobre 1397. (4) AOM, Diplomi cit., 26 luglio 1399. Oltre i citati diplomi, due altri riguardano il Della Strada : uno del 18 aprile 139t, col quale gli veniva rilasciata quietanza di L. 12,160 da lui pagate in soddisfazione di un debito equivalente che aveva col Visconti; l'altro dell’11 aprile 1395, per cui il luogotenente del duca d’Orleans in Asti giustificava l'erogazione, non specificata, di 15,487 fiorini dal Della Strada percepiti ed erogati per ordine del detto magistrato. Riguarda il Della Strada anche un istromento 8 agosto 1399 rog. Catellano Cristiani nello interesse del Duca a favore di Agostino da Sapore. (ASM, Registro Visconteo B alias N, c. 150°). 396 . PIO PECCHIAI Secondo il Litta, da niun altro genealogista, a nostra conoscenza, completato, il ramo Pusterla concernente Franciscolo sarebbe stato il seguente: ° MACANEO » FRANCISCOLO SORLEONE Pagano con con MarGRERITA VISCONTI AcgnESE ALIPRANDI Re e e A Rrstora = Zacarota IsoLtina FraxciscoLo Brrnarno CaATRRINSA FRANCESCA Ora possiamo completare la discendenza di Sorleone, che gli scrittori chiamarono anche Zurione, e che i documenti chiamano . Superleone o Sopraleone, col seguente alberetto: BERNARLO con FRANCESCHINA Pasvani (11 CATERINA “con Cristororo DeLLa STRADA Vedremo come Caterina Pusterla si diceva figlia ed erede « pro dimidia parte » del padre Bernardo, dal che deduciamo aver ella avuto un fratello o una sorella; però nessun’altra notizia abbiamo trovata in proposito. E’ noto che Luchino Visconti, dopo aver tolti di vita i coniugi Pusterla, si appropriò anche i loro beni, che forse non erano l’ultima causa della morte di quegli infelici; e poi che i beni di Franciscolo Pusterla si trovavano ancora indivisi con quelli del fratello Superleone (di Pagano non si fa parola), così anche questo rimase privo de’ suoi averi. Passati parecchi anni, Bernardo Pusterla reclamò le sostanze paterne presso Galeazzo Il, e, morto questo, presso la vedova di lui Bianca di Savoia, ottenendo nel 1385 un decreto, col quale gli veniva accordata la restituzione dei beni a (1) AOM, Carte ereditarie, famiglia Pusterla, atto 5 giugno 1393, dove appare Franceschina Pagnani moglie di Bernardo Pusterla. Questi è nominato in altro atto 5 gennaio 1396. CRISTOFORO DELLA STRADA E UN EPISODIO, ECC. 397 lui pertinenti. Ma il decreto non fu eseguito, e nel 1404, morto già Bernardo, Cristoforo Della Strada ricorreva a Giovanni Maria, rivendicando l’eredità spettante a sua moglie. Il Della Strada riportò integralmente, nella propria, la supplica del suocero, che esponeva: « occaxione asserti delicti excogitati per « dominum Francischolum de Pusterla », fratello del padre suo Superleone, « in personam quondam bone memorie domini Luchini « Vicecomitis » tutti i beni del fu Macaneo, padre dei detti fratelli, e quindi per metà spettanti a Superleone, essere stati « apprehensa «a per prefatum dominum Luchinum », sebbene Superleone « illius « asserti delicti non fuerit unquam repertus culpabilis et staret in « discordia cum dicto domino Francischolo ». Sul quale particolare insisterono anche i magistrati che, per incarico ricevuto, riferirono in merito alla supplica del Della Strada, affermando come dall’esame di varii notabili testimoni risultasse che « Francischolus et Superleo « magnum habebant odium adinvicem eo tempore quo ipse dominus « Francischolus debuit excogitasse scelus predictum et ante ipsum «tempus per aliquod tempus » e che mentre abitavano « in eodem s sedimine », non sì parlavano « adinvicem nisi in malo ». Asserivano in oltre « quod ipse Superleo erat una persona bona, ho- « nesta, pacifica, non multum sagax, et non erat deditus insidiis « et fraudibus, et quod ante tempus quo ipse dominus Franci- « scholus fugam aripuit a dominio dicti domini Luchini et ipso « tempore et post per multos dies ipse Superleo stetit et moram « traxit quid in terra Nove quid in loco de Grogniotorto et par- « tibus circumstantibus, palam et patenter conversando cum vicinis « et notis et taliter quod prefatus dominus dominus Luchinus po- « tuisset de facili in sua potestate ipsum habere si voluisset »; e che, sebbene dipoi anche Superleone fosse fuggito, però non aveva preso la fuga per essere stato implicato nel delitto del fratello, ma perchè Luchino voleva fargli sposare una sua figlia naturale « quod « omnino facere recusavit, et recusabat: timens sevitiam » da parte del Visconti, fuggì dallo Stato. E benchè « innocens a dicto scelere « communiter reputabatur et reputatus fuit », pure « propter odium « quod ipse dominus Luchinus sumpsit » contro di lui, « bannitus « fuit per contumatiam vigore statutorum comunis Mediolani, ha- « bitus fuerit pro convicto et confesso ». I beni dei Pusterla, confiscati da Luchino Visconti, erano: le 398 1 PIO PECCHIAI possessioni di Colturano, Balbiano e Cambiano (date in dono a Galeazzo Aliprandi); la possessione di Carpiano con le circostanti cassine (data al priore della Certosa di Pavia); la possessione di Pizzobelasio (data ai preti di S. Maria della Scala); le possessioni di Camenago e Guizina (donate a Beltramola Grassi « amaxiam « quondam domini domini Bernabovis », e assegnata poi ad Antonio Visconti); una casa e un prato in Monza e le possessioni di Vigonzone col castello al Lambro, di Trenno « cum Quarto et « Malpaga », di Brossano e Sacconago, delle Caselle e di Calvenzano (donate a Giovannina Borri, altra « amaxiam » di Bernabò e quindi tenute dagli eredi, o più tosto « per certos qui vocantur « heredes » di lei); in fine le possessioni di Ponteredario, del Molino Guidone, di Pozzolo, di Piemonte, delle Cascine degli Abbati, di Novarasca, Rancate, Rosate e Zentirino. Oltre a ciò era stata confiscata la dote della moglie di Superleone, del valore di duemila lire, e tanti altri beni mobili e immobili per la somma complessiva di più che cinquantamila fiorini. Bernardo Pusterla domandava dunque la metà dei beni confiscati e la dote materna. Fra Pietro di Candia (il greco Filargo che fu arcivescovo di Milano fra il 1402 e il 1409) (1) e altri magistrati incaricati dal governo signorile di esaminare le ragioni di quanti reclamavano beni confiscati, proposero di restituire al supplicante due possessioni, una di quelle date alla Borri e una di quelle date alla Grassi, le due amanti di Barnabò. Bianca di Savoia, con decreto 9 novembre 1385 (seguita a narrare il documento) dato dal castello « Zoyoso » (2), consentì che si restituissero i beni indicati, tenuti « per Grassam et illam de « Burris ». Cristoforo della Strada da parte sua, rimasto ineseguito il decreto del 1385, pretendeva « jus dotis matris ipsius Ber- « nardi olim uxoris dicti Superleonis » compreso l’interesse decorso « et etiam jus legitime debite jure nature » che era la terza parte dei beni di Superleone. Il magistrato ducale incaricato di riferire, che fu Paolo Arzoni cancelliere e membro del consiglio di giustizia, giudicò doversi rilasciare a Cristoforo della Strada (già siniscalco e famigliare del Conte di Virtù) la metà delle possessioni sovr’accennate: e così decideva il duca Giovanni Maria (3). (1) E papa col nome di Alessandro V (1409- 0); (2) Castello di Belgioioso. (3) AOM, Diplomi cit., 2 maggio 1404. > CRISTOFORO DELLA STRADA E UN EPISODIO, ECC. 399 | Ma nè pure il decreto di Giovanni Maria potè avere esecuzione; essendo morta nel 1399'la Giovannina Borri, questa lasciò erede dei beni, così poco onorevolmente acquistati, Pietro Visconti, Giacomo e Francesco Aliprandi e Princivalle Besozzi; e costoro, com’era da aspettarsi, con tutti i mezzi si opposero a che fossero assegnati alla moglie del Della Strada i beni ereditati. Dovette quindi Cristoforo Della Strada rivolgere nel 1406 altra supplica al duca, riandando i precedenti della questione, il diploma ottenuto due anni prima, su relazione e parere di Paolo Arzoni e in conformità al giudizio del consiglio ducale (composto allora dell’arcivescovo di Milano, di Antonio Visconti d’Orago, Francesco Visconti, Giovanni Pusterla, Andreazzo Cavalcabò, Giacomo Della Croce, Tadiolo Vimercati, Cristoforo Castiglioni, Giovanni Aliprandi e Bartolino Zaneboni), e chiedendo la conferma delle già note decisioni ducali, il che ottenne (1). Ma ne nacque, fra gli eredi della Borri e Caterina Pusterla, una lite, che ancora durava l’anno appresso, e della quale non sappiamo la conclusione (2). Nella seconda supplica, or accennata, di Cristoforo Della Strada, inserta nel diploma ducale del 20 aprile 1406, troviamo degli spunti di fatti storici che meritano menzione. Narra il supplicante come la possessione delle Caselle nell’episcopato di Lodi, ch'era pretesa dagli eredi della Borri, fosse stata a questa confermata con decreto di Gian.Galeazzo de’ 27 luglio 1385 « pro victu suo et sue familie », non avendo altro, sembra, per vivere; ma la concessione escludeva ogni diritto per parte degli eredi della concessionaria, morta la quale, infatti, il governo riprese i beni in questione. Ma poi « quando « facta fui* novitas Francisci Barbavarie, cum modis qui tunc tem- « poris tenebantur », gli eredi della Borri tornarono ad impadronirsi della controversa possessione. Al fatto del Barbavara accenna il Corio, e la frase del Della Strada « con modi che allora si te- « nevano » bene esprime l’anarchia che successe in Milano alla morte del Conte di Virtù. (1) AOM, Diplomi cit., 20 aprile 1406. (2) Ivi, Diplomi cil., 19 giugno e 24 luglio 1407. 400 PIO PECCHIAI Cristoforo Della Strada, che di varie cariche era stato investito, come vedemmo, da Gian Galeazzo, conservò il suo posto alla corte viscontea anche sotto il principato del figlio Gio. Maria. Trovasi infatti il suo nome fra quelli dei « Nobiles familiares et « officiales de curia nostri illustrissimi principis et domini » enumerati in un registro di lettere ducali (1); ed in oltre dal diploma 2 maggio 1404, già citato, apprendiamo ch’ egli copriva in quell’anno la carica di siniscalco del duca (2). L’anno stesso il Visconti lo nominava castellano e custode « medietatis pro indiviso » del castello di porta Giovia, a partire dalla data del decreto in poi, a suo beneplacito, con la provvigione di venti fiorini mensili nitidi e più cinquanta paghe vive, metà delle quali per balestrieri e metà per pavesarii, intendendosi costituita ogni paga, di quattro fiorini per i primi e di tre per i secondi. Di più il Della Strada poteva iscrivere nelle cinquanta paghe sei parenti, con la eccezionale retribuzione di sei fiorini ciascuno, e un « ferrarium seu fornarium » (particolare tre volte ripetuto nel documento), cui sarebbe spettato il salario d’un fiorino mensile. Fra le istruzioni del castellano v’era l'espresso divieto di permettere ad alcuno degli officiali e soldati del castello di uscire senza speciali lettere del duca, sigillate con sigillo secreto, ed ogni trasgressione veniva punita con la pena capitale. Però, ove fosse rimasto in castello l’altro suo collega, o anche uno dei fratelli dello stesso Cristoforo, veniva concessa a questo particolare licenza di assentarsi, purchè non uscisse dalla città e nel castello tornasse in ogni modo a dormire (3). Entrò dunque in carica il Della Strada; ma aveva ancora ad esser pagato di precedenti servizi, de’ cui stipendi non era stato sodisfatto. Domandato finalmente il suo avere, il duca nell’ottobre 1405 emanava apposito diploma, dove, riconosciuto il debito della sua Camera verso il castellano per la somma di circa quattrocento (1) ASC (Arch. Stor. Civico), Reg. Lettere Ducali 1393-1409, fol. 180. (2) € Recepta supplicatione pridem nobis porecta (sic) per nobilem virum « Christoforum de la Strata Sescalcum nostrum etc. ». Così il documento. (3) AOM, Diplomi cit., 7 dicembre 1404. * CRISTOFORO DELLA STRADA E UN EPISODIO, ECC, 40I fiorini, dovutigli « a die primo Jullij anni cursi MCCCCIIigusque ad « diem ultimum aprilis anni cursi MCCCCIIII quo tempore servivit « nobis » diceva il duca « pro familiari et camerario nostro quam « etiam pro omni et toto eo quod petere posset a die quintodecimo « Junij dicti anni MCCCCIIII usque ad diem septimam decembris « eiusdem anni quo tempore servivit pro Conservatore castri no « stri porte Jovis Mediolani », gli assegnava in pagamento, a ti» tolo di vendita e donazione o dato in paga, i beni confiscati a Paganino Villani, giudicato reo di tradimento, donandogli quel plusvalore che, rispetto al credito, si fosse riscontrato nelle sostanze assegnategli, e ciò in premio dei servigi da lui resi al padre Gian Galeazzo (1). Alcuni mesi più tardi però il Della Strada era ancora creditore per lo stipendio e le paghe dovutegli nella sua qualità di castellano. Il credito era così determinato: 1. L. 825,3,1 per lo sti. pendio dell’intero anno 1405; 2. L. 699,4 per le cinquanta paghe di novembre e dicembre detto anno; 3. L. 120, rimanenza della maggior somma di L.240 promessagli a Natale dello stesso anno e pagatagli solo per metà: in tutto L. 1644,7,1 imperiali. Per pagare il nuovo debito il duca, sprovvisto forse di numerario, cedè al Della Strada un sedime in villa Visconti o cascina Bulgaroni, un pezzo del vecchio giardino incluso in quello di porta Giovia, della misura di ottanta pertiche, e un pezzo di terra presso la chiesa di s. Ambrogio ad nemus col diritto d’irrigazione e adacquamento con le acque dell’Olona e dell’Acquetta* (2). Circa un anno dopo il saldo de’ suoi crediti, Cristoforo Della Strada indirizzava al duca una supplica, ove rammentava , una pro. messa fattagli « ex sua benignitate pluries et pluries iam annis « duobus preteritis in presentia quamplurium » di rendere immuni da ogni tassa, dazio o balzello ordinarii e straordinarii i suoi possedimenti e i suoi massari; promessa di cui domandava l’adempimento in grazia speciale, considerato « quod faciendo servitia do- « minationis vestre », diceva, com'era tenuto e intendeva fare sino alla morte, si trovasse « in totum consumptum.... pro combustio- « nibus robariis et incisionibus massariorum » da lui sofferte, di (1) Ivi, Diplomi cit., 24 ottobre 1405. (2) AOM, Diplomi cit., 4 febbraio 1406. Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. III. 26 402 PIO PECCHIAI (TA modo che i suoi beni si trovavano abbandonati. Domandava in fine che ogni suo debito con la camera ducale, se ve ne fosse, gli ve nisse condonato. Il duca accoglieva pienamente le preghiere del suo cortigiano, ed esentava da ogni gravame fiscale tutti i suoi beni e massari presenti e futuri, estendendo il privilegio anche a tutti i discendenti del supplicante (1). + Questo documento è di particolare importanza. Con la data esso ci porta a quattro giorni prima della ribellione dei capi ghibellini, in cui il Della Strada si trovò immischiato, e coi danni lamentati. da lui ci vien ricordato che proprio in quei giorni sì combattevano fiere battaglie fra guelfi e ghibellini, i quali anzi già avevano avuto la peggio, onde è lecito credere che anche le possessioni del Della Strada venissero messe a ruba dai capi della fazione a lui contraria. La è » Dai documenti che abbiamo riassunti fin qui rileviamo che Cristoforo Della Strada fu conservatore del castello di porta Giovia dal 15 giugno al 7 dicembre 1404, e da questa data in poi teneva il grado di castellano per metà « pro indiviso » con Vincenzo Marliani, come da altre notizie si desume. Il Calvi afferma: « Il « Dal Verme, destituito dal duca, dovette cedere il posto ai ca- « stellani Della Strada e Marliani » (2) e nell’ elenco cronologico dei castellani del castello visconteo nota: « 1401 - Raffaele Gherardengo da Novi. « 1406 - Cristoforo Della Strada e Vincenzo Marliano » (3). Le due notizie del Calvi sono dunque da correggere; primo, perchè non sembra che il Dal Verme fosse mai castellano di porta Giovia; secondo, perchè il Della Strada, come abbiamo veduto, fu eletto a quel posto nel 1404. Su la carica di conservatore del castello non possiamo fornire schiarimenti, e ci riesce al tutto nuova, come riuscirà del pari ai cultori di storia milanese; ma non ci sembra difficile interpretare quel titolo come indicante la carìca (1) Ivi, Diplomi cit., 26 marzo 1407. (2) Felice CaLvi, Il Castello visconteo sforzesco nella storia di Milano, Milano, Vallardi, 1894, p. 18. (3) Op. cit., p. 539. — CRISTOFORO DELLA STRADA E UN FPISODIO, ECC. 403 interinale di reggitore del castello, durante la vacanza del castellano. Siamo pervenuti adesso ad uno dei più movimentati episodii del ducato di Gio. Maria Visconti. I Narrano gli storici, su le orme del Corio, che i capi guelfi, scacciati di Milano dai ghibellini, nelle cui mani si trovava il duca, rafforzatisi potentemente e comandati da Jacopo Dal Verme e Ottobono Terzi, vennero verso Pavia; incontratisi a Binasco nelle forze ghibelline capitanate da Facino Cane, mandato loro addosso dal duca, o da quelli che gli erano intorno, le sconfissero ed. in breve poterono rientrare nella capitale del ducato. In questo frangente i ghibellini rimasti in Milano, e cui stavano a capo il fratello naturale del duca, Gabriele Maria, Antonio Visconti, Giovanni Pusterla, Nicolò Mandelli e Tadiolo Vimercati, non trovarono altro scampo che salvarsi nel castello di porta Giovia, tenuto da Cristoforo Della Strada e Vincenzo Marliani. Tutto ciò accadde nella terza decade di marzo. Il 27 di quel mese, giorno di Pasqua, fecero il loro ingresso trionfale in città i guelfi, e il Terzi, che per avere a’ suoi ordini gran numero di gente stipendiata si credeva in diritto di usare maggiore arroganza degli altri, manifestò subito, in quei giorni .di pace e perdono, feroci propositi di vendetta. Egli voleva impedire alla parte avversa di rilevare il capo, sterminandola puramente e semplicemente, intanto che la forza era nelle sue mani e fuggiaschi e dispersi si trovavano i ghibellini dopo la rotta di Binasco. Un saggio del regime di terrore ch’ egli si proponeva instaurare lo ebbe subito la cittadinanza con la uccisione di Jacopo e Francesco Grassi, tra i più influenti di parte ghibellina, effettuata da’ suoi cagnotti il 30 marzo. Nel tempo stesso era corsa la voce che la notte seguente avrebbe avuto luogo lo sterminio di tutti i ghibellini. Ma tanta ferocia non andava a sangue di Jacopo Dal Verme, che forse temeva più tosto non avesse il Terzi a rendersi troppo potente e insignorirsi dell’ intero ducato; quindi, dopo tentata ogni via di persuasione. col sanguinario signorotto di Parma, al fine lo minacciò di una sollevazione di popolo, che già appariva stanco degli eccessi cui i guelfi vincitori si .erano lasciati andare dopo il loro reingresso in Milano. Quest’ ultima ragione persuase più di tutte le altre Ottobono Terzi, sì che abbandonò, sebbene a malincuore, il suo progetto; ma intanto la 404 PIO PECCHIAI voce della esecuzione di esso, come abbiam detto, si era sparsa in città ed era penetrata, sembra, anche nel castello, dove i capo- - rioni ghibellini si stavano ben guardati, onde questi, o non avessero altrimenti notizia della forzata rinuncia del Terzi, o quella non credessero sincera, o in fine stimassero d’incutere timore nell’avversa fazione coi mezzi violenti di cuì disponevano (inaspriti fors’anche e resi audaci dall’omicidio dei Grassi); fatto sta che la notte del 31 marzo le artiglierie del castello ducale presero a bombardare la città, con quanto terrore e scompiglio de’ poveri abitanti è facile immaginare (1). I guelfi allora attaccarono il castello, e la battaglia irifierì fra assediati e assedianti, con morti, feriti e ruine di edifici. | Poco men di due mesi durò questo battagliare: poi finalmente il Dal Verme, da savio e da accorto, vedendo come ben difficile impresa era l’impadronirsi di quella fortezza (chè i ghibellini avevano rafforzato il castello con improvvisati bastioni elevati verso e contro la città e tutti guerniti di artiglierie), e come a nulla approdavano le gride ducali, che dichiaravano ribelli i castellani e quanti si trovavano con essi, trovò più opportuno inchinare l’animo del duca, mutevole e pauroso, ai negoziati, ond’egli stesso, il Dal Verme, patteggiò con gli assediati e ricondusse la pace fra ìi due pa:titi, il che avvenne il 19 maggio (2); e i cittadini dimostrarono la loro sodisfazione per la quiete riacquistata, portando per le vie le immagini dei santi. Pochi giorni appresso, il 3 giugno, secondo il Corio, Ottobono Terzi, furente di non essere riuscito a mettere in esecuzione i suoi disegni, benchè carico di denaro taglieggiato (1) Vedremo dai documenti che riferirenio in seguito come la iniziativa dell'attaccu dal duca stesso venisse attribuita ai guelfi, che avrebbero improvvisamente assalito il castello per metter le mani addosso ai loro nemici colà rinchiusi. (2) La cronaca bossiana (Donato Bossi, Chronica, Milano, Antunio Zarotto MCCCCLXXXII, Calendis Martii), differisce notevolmente dal Corio. Ivi è narrato: « Die decimo Maii: arx porte lovis Mediolani : que sub prefectis Vincentia « Marliano et Christoforo Strata contra ducem Mediolani tenebatur vallo eircum- « sederi cepta est: ob quod qui intra arcem erant bombardis ac aliis machina- « mentis urbem desertare aggressi sunt: sed nono post die qued.m federa inter € partes icta sunt ». Concordano però i due scrittori, come si vede, nella data della pace, 19 maggio. Il Bossi pone al 23 giugno il nuovo assedio dei castello, al 1° novembre la restituzione della fama è al 12 l'ingresso nel castello degl uficiali del dura. Dci fatti del gennaio 1408 il ssi non parla. =: CRISTOFORO DELLA STRADA E UN EPISODIO, ECC. 405 e fatto per lui taglieggiare dal duca (oltre centomila fiorini d’oro) e provvisto di quattrocento capi di bestiame, era forzato a lasciare Milano (1). | Avvenuta la pace, il 87 maggio il duca emanava una grida, in cui spiegava i fatti occorsi. Narra il documento che, essendo Gio. Maria fuori di Milano, « ad non veridicos quorumdam relatus « et falsas suggestiones mendatium », negli animi di alcuni era sorto sospetto contro i due castellani, per cui seguì l’assedio del castello, dal che ne vennero spese e danni al duca. Fu rovinato il muro del suo giardino, ch’era appunto presso il castello (come vedemmo già dal diploma 4 febbraio 1406 in favore del Della Strada), e lesioni e ruine soffersero alcune case ed alcuni edifici, sì dentro che fuori del castello medesimo. Tornato quindi il principe in città, di tutto volle essere diligentemente informato, e dopo aver bene investigati e conosciuti i fatti, si convinse che i castellani e la loro compagnia erano, ed erano stati sempre, fedeli e leali servitori del suo dominio e del comune di Milano, « suspectionemque prefatam « ortam fuisse ex falsis et ilegittimis querelis et relationibus semi- « natis ex invidie livore a malorum et zenzanie satoribus ». Quindi ordinava si cessasse subito dall’assedio; e i castellani e i loro compagni « filii obedientie et fideles servitores » del duca, desisterono dalle offese, cioè dall’uso delle artiglierie, « Quo circa (continua il « decreto) ut omnis rubigo et macula que ex predictis et eorum « causa vel occasione orriri posset penitus auferatur, declaramus « ex certa scientia et de nostre plenitudine potestatis etiam abso- « lute sepedictos castellanos et .utrumque eorum et quemlibet de « eorum seu alterius eorum comitiva fuisse et esse bonos, fidos et « legales servatores nostros et nostri comunis Mediolani ac ipsos « et utrumque eorum et quemlibet etc. liberamus et absolvimus et “« absolutos reddimus etc. » da qualsiasi responsabilità per le conseguenze del conflitto avvenuto, cioè le spese fatte dal governo, le ruine e i danni subìti dagli edifici pubblici e privati, le ferite mortali e non mortali causate alle persone ecc., ecc. Annullava quindi il duca ogni procedimento iniziato e atto processuale compiuto contro i due castellani (2). (1) Il racconto del Corio venne seguito dal GiuLINI, Memorie spettanti ecc., dal Rosmini, Storia di Milano, dal CALVI, op. cit. ed altri. (2) AOM, Diplomi cit., 27 maggio 1407. 406 PIO PECCHIAI Ma la pace conclusa da Jacopo Dal Verme fu breve ed effimera. Le cose, appena distrigate, tornarono ad imbrogliarsi per gl’intrighi dei cortigiani, e lo stesso Dal Verme, che, secondo quel che ne scrissero tutti gli storici, satebbe stato l’unico idoneo a stabilire una sensata forma di governo, disgustato di tutti e sfidu« ciato dalla piega che prendevano gli avvenimenti, se ne partì da Milano poco dopo il Terzi, e trattenutosi qualche mese ai servizi del conte Filippo Maria fratello del duca, offerse la sua spada alla repubblica di Venezia, sotto le cui insegne, combattendo contro i turchi, a detta del Corio, finì i suoi giorni. Intanto i ghibellini non erano usciti dalla ròcca, e ciò fa pensare che la pace fatta non offrisse loro troppa garanzia d’immunità, come anche induce a credere la grida del 27 maggio, tutta in favore dei due castellani, ma nella quale dei compagni di essi non si fa parola. | Doveva certo premere sopra tutto al duca riavere il suo castello, tanto per la sicurezza del suo dominio, quanto per il suo prestigio; ma è probabile che Gabriello Maria ed Antonio Visconti, il Pusterla, il Mandelli ed il Vimercati, non ostante il perdono ot. tenuto dai castellani, abbiano impedito a questi di rendere la fortezza. La pace fu allora stracciata e il duca pubblicò una nuova grida contro il Della Strada e il Marliani. « Ut universis et sin- « gulis pateant manifeste proditio et periurium Christofori de la « strata et Vincenti] de Marliano olim castelanorum nunc deten- « torum nostri castri porte Jovis Mediolani (è detto nel documento, dove con la parola « olim » è fatto intendere ch’ essi erano stati destituiti dalla carica di castellani, e con l’altra « detentorem » che erano trattenuti, forse loro malgrado, nel castello) « qui contra eo- ‘ « rum juramenta et promissiones nobis et gubernatoribus nostris « factas et propriis manibus suis in testimonium veritatis subscriptas « non veriti sunt impudenter omnia mala tractare in subversionem . « status nostri ac depopulationem huius nostre magnifice civitatis « tenendo stricte cum hostibus nostris et melius exequerentur ne- « fandissima vota sua ex multis et magnis machinationibus quas « orditi sunt in hanc si potuissent pestem quas foret prolissimum « enarare, hanc solam duximus detegendam ». Si narrava quindi nella grida come i « diabolici viri suprascripti ut conceptum diu « virus suum quo crepabant evomerent novissime evocarent prout : la CRISTOFORO DELLA STRADA E UN EPISODIO, ECC. 407 plurimis literis et fidedignorum etiam testimonio habuimus Canem Facinum cum gentibus suis ut simul cum aliis hostibus nostris concurreret de presenti ad nostri demolitionem status et sacomanum et totalem pernitiem dicte nostre magnifice civitatis quibus eorum taliter perpenderantibus demeritis manifestis ipsos Christoforum et Vincentium et eorum utrumque nostros pronuntiamus et declaramus ac nostri comunis Mediolani infames rebeles et proditores perfidos, exnunc eorum bona queque tam mobilia quam immobilia et se moventia ubicumque reperiantur nostre camere applicantes et applicari protinus debere mandantes et pariter eos ab utraque parte pallatii nostri brolleti novi in locis videlicet eminentioribus depingi suspensos ad furcas per. pedes quanto vituperiosius fieri poterit ut merentur. Ita quod eorum proditio et periurium clareant magis cunctis et pictura hec etiam in suorum vertatur perpetuam calompniam et ygnominiam posterorum. Mandantes potestati nostro Mediolani et ceteris ad quos spectat quatenus hiis viris dictam picturam solempniter fieri faciant, et de harum etiam nostrarum continentia litterarum in locis solitis dicte nostre civitatis fieri proclamationes publicas opportune ut hec omnia ad singulorum notitiam deveniant pleniorem » (1). Sembra dunque che i ghibellini raccolti nel castello di porta Giovia si fossero intesi con Facino Cane, ramingo dopo la sconfitta di Binasco, suscitando l’ira dei guelfi e mandando a monte la pace conclusa. Tre giorni appresso la pubblicazione della grida sopra citata, un’ altra il duca ne faceva pubblicare, con la quale intimava che La « [al quaelibet persona cujusvis status, gradus, dignitatis et conditionis existat, vel preheminentia tenens, vel possidens, seu poene se habens aliqua bona mobilia, seu immobilia, res vel jura inferius descriptorum rebellium nostrorum, vel etiam alicujus alterius praesentialiter existentis in castro nostro Portae Jovis, et in castro, vel terra Modoetiae, quos etiam pro nostris rebellibus habemus (2); seu alicujus eorum, seu eisdem, vel alicui eorum dare debens aliquid per cartam, vel scripturam, seu alio modo, debeat (1) ASM (Arch. di Stato di Milano), Registro Panigarola B., lett. ducale 7 luglio 1407. i | (2) Allude ai fuorusciti rifugiatisi nel castello di Monza tenuto da Estore sconti. 408 PIO PECCHIAI « comparere coram prudentibus viris negotiorum gestoribus camere « possessionum nostrarum, et eisdem in scriptis clare, particulariter « et distincte portasse ipsa bona et quantitates ipsorum debitorum, « scilicet habitantes in civitate et suburbijs, vel corporibus sanctis, « infra dies tres; habitantes vero in ducatu, infra dies octo p. f., « sub poena etc. » Si pretendeva in oltre che u quilibet notarius « qui rogavit aliqua instrumenta pertinentia eisdem inferius de- « scriptis et aliis existentibus ut supra, vel in eorum favorem de- « bent notulam substantiae ipsorum instrumentorum portasse in « scriptis dictis negotiorum gestoribus etc. » (1). Lunga era la litania dei proscritti. Della famiglia Della Strada si trovavano chiusi nel castello, oltre a Cristoforo, due fratelli di lui, Bernardo e Gasparino, uno zio, Melchiorre fu Leonardo, un Marco figlio di Marco, un Florio figlio di Pietro, un altro Cristoforo di Palamede, e poi un Luigi e un Franco, di cui non è indicata la paternità. Del Marliani vi si trovavano, oltre Vincenzo: Azino, Filippino, Antonio, Cristoforo, Andreolo, Albertolo, Giovanni, Mafiolo, altro Mafiolo e Giovannino. Particolari rotevoli, fra i ribelli verano anche due barbieri, Giovannino Mandela e Rizardo da Robiate, un calzolaio, Giacomolo detto Giolo di Affori, e due formaggiai, Andreolo di Pergamo e Vertuano. Alcuni giorni dopo il duca ordinava con altro decreto che dall’ elenco dei ribelli venissero cancellati Luigi Della Strada e altri quattro cittadini (2). Tre altri pure ne faceva togliere, perchè compresi erroneamente fra i ribelli, con altre lettere di poco posteriori (3). Non contento poi dei provvedimenti presi contro i beni dei ribelli nella grida del 30 luglio, volle raftorzarne l’efficacia, promettendo la quarta parte di essi beni a ‘chiunque ne denunciasse la esistenza e palesasse i nomi dei debitori entro otto giorni dalla data del decreto (4). Con altro simile rinnovava il duca l’ordine di consegna dei beni dei ribelli alla camera ducale entro quattro giorni, da parte dei cittadini, ed entro otto, da parte degli abitanti dello Stato, sotto pena del doppio del valore dei beni stessi, ovvero, in (1) C. MorBIo, Codice visconteo-sforzesco, Milano, 1846, p. 54 e sgg. Dipl. 30 luglio 1407, gridato il 31 detto « ad scalas palatii Broleti novi » ‘ecc. (2) MORBIO, op. cit., p. 59. Diploma 3 agosto 1407. (3) ASM, Reg. Panigarola B., lettere ducali 7 e 8 agosto 1407. (4) Ivi, loc. cit., lett. duc. 9 agosto 1407. = - do CRISTOFORO DELLA STRADA E UN EPISODIO, ECC, 409 caso d’insolvenza, di quattro colpi di curlo e tre mesi di carcere, con la promessa della terza parte di essi o del loro valore ai denunciatori. Veniva in fine comandato ai notari di portare al vicario e all’ufficio delle provvisioni gl’istrumenti rogati nell’interesse dei ribelli, entro cinque giorni per i notari della città e dieci per quelli del ducato, sotto pena di tanta multa in denaro quanta la somma dei crediti portati dagli istrumenti (1). In fine Gio. Maria Visconti ordinava severamente la consegna, da farsi entro dieci giorni dalla data del decreto relativo, ai suoi ufficiali di ogni specie di fortilizio e luogo fortificato de’ dominii ducali (2). | Ma la lotta era impari. Il principe combatteva a colpi di pergamena e di gride: i ghibellini, bene afforzati nel castello, avevano a portata di mano le artiglierie, e potevano ridersi delle vane ire del loro signore. Tuttavia rimaneva ad essi il timore, non vano, di essere poi costretti a rendersi per fame. In tale stato di cose, imbarazzante per tutte e due le parti, ma specialmente forse per i castellani, che in fondo par che fossero devoti al duca, e che probabilmente eran forzati da Gabriele Maria e da’ suoi fautori a seguire la parte al principe divenuta nemica, soccorse un personaggio allora d’alto credito, che, come pochi mesi prima il Dal Verme, s’incaricò di metter pace. Fu costui Bernardone Serri, governatore di Asti, il quale, dopo laboriosi negoziati, concluse una capitolazione in tutta regola fra ì castellani e il duca. ld * * Data la notizia della pace del 19 maggio, il Corio, subito dopo, fa sapere che con grida del 1° novembre fu restituita la fama ai due castellani. ll particolare è esatto, perchè tanto la capitolazione patteggiata da Bernardone Serri a nome del duca, quanto i conseguenti decreti di restituzione della fama, reintegrazione di gradi e di beni e cancellazione delle pitture ingiuriose fatte eseguire in Broletto, portano tutti la data del 31 ottobre 1407, ed è noto, e lo abbiam visto anche per quella del 30 luglio, che le gride ducali venivano di solito pubblicate per mezzo dei banditori del comune è (1) ASM, Reg. Panigarola B, lett. duc. 12 agosto 1407. (2) MORBIO, op. cit., dipl. 21 agosto 1407. 410 PIO PECCHIAI il giorno seguente alla loro data, e venivano poi più spesso citate con la data della pubblicazione, che con quella della emanazione. Il 31 ottobre, dunque, venne conclusa la pace, e questa constò di sedici articoli, che riassumiamo: 1° Restituzione della fama e di tutti gli onori ai due castellani e cancellazione delle pitture fatte eseguire in loro disdoro nel palazzo del Broletto nuovo; loro reintegrazione nel favore del duca quali fedeli servitori e sudditi e pubblicazione di tutto ciò per mezzo di gride, previo consenso anche dei governatori ducali (1); 2° Consegna di un salvacondotto, nei termini che il Della Strada eil Marliani avrebbero dettato, che assicurasse loro e a tutti i dimoranti nel castello di poter uscire con sicurezza dal castello medesimo, e andare, stare, dimorare e tornare dovunque ad essi fosse piaciuto, sì nel dominio del duca, come in quello del conte di Pavia suo fratello; 3° Pagamento integrale di tutti i loro crediti, secondo i libri del tesoriere ducale Maffiolo Toscani, e più di quei crediti che, pur esistendo, non fossero stati annotati; 4° Consegna delle bollette per la loro provvisione e stipendio delle cento paghe mensili pei mesi di aprile a tutto ottobre e pel tempo in cui fossero ancora stati nel castello e pagamento delle bollette stesse; 5° Pagamento anche di venticinque paghe di quattro fiorini ciascuna, cuì i due castellani, singolarmente, avevano diritto oltre le cento su dette, e ciò pure pei mesi indicati; 6° Restituzione al Delia Strada e al Marliani, nonchè a tutti i loro parenti ed affini e agli altri dimoranti nel castello, della roba loro tolta dalle genti del duca o del conte di Pavia, e reintegrazione di tutti i su detti « in eo grado conditione ac jure omnium « suorum bonorum predictorum in quibus erant ante guerram vi- « gentem de presenti »; 7° Riedificazione delle case dei due castellani nello stato in cui si trovavano quando, dichiarati essi ribelli, vennero abbattute, e ciò appena i due castellani avessero prestato giuramento, della (1) Evidentemente questa clausola fu voluta per tirare nella capitolazione anche coloro che allora potevano disporre del favore ducale ed impegnarli a rispettare i patti dal duca accettati. Go ogle + CRISTOFORO DELLA STRADA E UN EPISODIO, ECC. e 4II qual cosa il duca era tenuto a dar sicurezza al mediatore delle parti, cioè a Bernardone Serri; 8° Permesso a tutti i dimoranti nel castello di toglierne quanto a ognuno d’essi apparteneva « massaritia, victualia, uten- « silia, ligna et -arma »; discarico da ogni responsabilità per le munizioni e masserizie distrutte e consumate nell’assedio, rimanendo però l’obbligo di lasciare quanto nel castello rimaneva. _ 9° Pagamento al Marliani di 640 lire imperiali, prezzo della possessione di Melzo ch’egli aveva comperato dalla madre di Lodovico Lonati, cui era stata data a saldo di stipendii, e che erasi restituita agli eredi del fu Parolo Rozzi; 10° Promessa del duca di rimettersi al giudizio di Berna done Serri circa l’obbligo, o meno, dei due castellani di far attare 1 ponti e dar loro lavoranti per abbattere il bastione verso la città; 11° Permesso ai due castellani di costringere « realiter et « personaliter » alcuno dei dimoranti nel castello, se ve ne fosse stato, che verso di essi si trovasse in debito; 12° Permesso ai su detti di portare armi di giorno e di notte e di farsi accompagnare ciascuno da dieci « famulis sive sotiis » nella città e nel ducato di Milano e nel contado di Pavia; 13° Decorsi dodici giorni dalla capitolazione, essendo i detti castellani rimossi dalla carica, s'intendessero liberi di stare ancora nel castello tanto che potessero toglierne tutte le robe loro, pur essendo tenuti a us:re ogni sollecitudine; 14° Essendosi Bernardone Serri obbligato a sborsare ai due castellani 1500 fiorini in rimborso dì spese da essi sostenute, prometteva il duca far portare a Melzo la parte di detta somma spettante al Marliani; 15° Obbligo del duca di far pagare tutti i crediti di cui sopra al due castellani, per mezzo del Serri, entro dodici giorni dalla capitolazione, con facoltà al Serri medesimo di farli « contentos « antequam intret dictum castrum et accipiat liberam possessionem « dicti castri »; 16° Impegno del duca di rimettersi al giudizio del Serri in ogni discussione che fosse potuta sorgere sul trattato e di mantener fede a tutti i capitoli espressi (1). (1) AOM, Diplomi cit., 31 ottobre 1407. ur 412 PIO PECCHIAI Come corollarii alla capitolazione riassunta, il duca, lo stesso giorno, emanò tre altri decreti. Col primo si accenna di nuovo al sospetto elevato contro i due castellani, all'assedio posto al castello; « et tandem (continua « il duca) interventu magnifici Bernardoni de Serris gubernatoris Astensis disposuerimus cum ipsis conferre ». Chiariti quindi i pretesi equivoci, i due castellani vennero assolti, come sopra si è detto, da ogni responsabilità circa le ruine e lesioni di stabili, la dispersione delle munizioni, i danni e le ferite e persino le morti seguite nel conflitto, e fu ordinato l’annullamento di qualunque atto processuale contro di essi iniziato. Col secondo il duca ci fa sapere che il Della Strada e il Marliani erano stati dipinti « in loco Brolecti novi », e che per l’avvenuta capitolazione (qui informa che i due castellani uscirono dal castello per conferire con Bernardone Serri e pel riconoscimento della loro innocenza, ordinava che quelle pitture fossero cancellate. Col terzo in fine venivano restituiti ai due castellani tutti i beni loro tolti e che possedevano « ante guerram vigentem de « presenti n. » * * Ai decreti ducali successero quelli del governatore di Asti, Bernardone Serri, che asserisce sin dal primo suo atto essersi concluso il tutto « de conscientia magnificorum Gubernatorum et « consiliariorum » del duca. Il primo decreto del Serri ordina che per un anno, dal 12 novembre 1408 (anniversario della capitolazione) al 12 novembre del 1409, nessuno dia molestie ai due castellani e loro compagni né per prestiti, nè per taglie, nè per altra simile cagione (1). Con altro successivo decreto veniamo informati che « in quibusdam locis aliqui obloquutìi sunt: de egregijs viris Christoforo de la strata et Vincentio de Marliano.... suggerentes in eorum infamiam quod in reasignatione (2) castri.... non observaverunt « bonos modos in factis spectabilium virorum condam domini |Jo- « hannis de Pusterla et Antonij de Vicecomitibus » (3). A_ smentire tali ciarle asseriva il Serri che « in omnibus requisitionibus factis (1) AOM, Diplomi di Governo di città varie: Asti, 29 agosto 1408. (2) Per « resignatione ». (3) E’ noto che il Pusterla e il Visconti furono messi a morte dopo la loro uscita dal castello. - i R è ini (n) CRISTOFORO DELLA STRADA E UN EPISODIO, ECC. 413 per ipsos Castellanos spetialiter semper ipsi castellani requisiverunt securitatem omnium existentium in ipso castro ut precipue predictorum Johannis e Antonij. Quibus tandem per illustrem dominum dominum ducem Mediolani, de conscientia Reverendissimì in Christo patris et domini domini Cardinalis Mediolani et magnificorum dominorum €aroli de Malatestis et Jacobi de Verme gubernatorum prefati domini et Antonij domini Vercellini de Vicecomitibus consiliari) prefati domini per patentes litteras prelibati domini sigillatas eius sigillo, ut in ipsis apparet, ac etiam ad eorum maiorem securitatem per prefatum dominum proprio hore plene promissum fuit que expedientia erant circa securitatem personarum predictorum ut in ipsius litteris latius continetur. Quodque nobis promissum fuit per patentes litteras prefatorum dominorum ducis, Caroli, Jacobi et Antonij penes nos existentes, eorum sigillis sigillatas pro pleniori securitate omnium, quamvis de predictis domino Johanne et Antonio contra ipsas promissiones sequutum fuerit id de quo condolemus, sed non dolo, nec culpa ipsorurn Castellanorum, nec alterius eorum. In qua re sic ipsos repperimus amicos fideles et vidimus constantes et benivolos predictorum domini Johannis ei Antoni} ac omnium aliorum qui erant in ipso castro sicut ipsorummet. Ut nos exinde magis eos magnipendamus, et apud quoscumque magis eos reputemus commendandos. Licet eis promissa, tam circa securitatem personarum predictorum, quam circa alia non fuerint observata ». E conclude Serri: « Hec ideo sic attestari disposuimus, ut quicquid dicant, qui obloquuti sunt vel obloqui vellent de predictis, veritas elucescat » (1). Dopo le mormorazioni circa il contegno tenuto dai due castellani verso il Pusterla e il Visconti, altre se ne intesero, certo non indipendenti dalle prime, giusta le quali il Della Strada e il Marliani avrebbero ricevuto dal duca gran quantità di denaro, e a ciò smentire il Serri pubblicò un’altra grida, in cui asserì aver egli, quale mediatore e procuratore ducale, pagato ai due castellani solo quel tanto che loro spettava a norma dei patti espressi nella capitolazione (2). (1) AOM, Diplomi di Governo di città varie: Asti, 15 maggio 1409. (2) AOM, Diplomi di Governo cit.: Asti, 17.. . (forse 17 maggio 1409) Il diploma € in due esemplari entrambi mutili da un lato. 414 PIO PECCHIAI Sappiamo dagli storici, ed è confermato dai diplomi del Serri, che, non ostante la pace fatta coi castellani, il duca non potè riavere il suo castello se non nel gennaio 1408, con l’opera del suo nuovo governatore Carlo Malatesta, al quale, in riconoscenza, volle la misera città, già non poco smunta dal Terzi e da quanti in quel. l’epoca avevano facoltà vi taglieggiare, facesse un ricco donativo (1). Il Della Strada, appena ebbe sistemati alla meglio i suoi affari, credè prudente cambiare aria. Nel 1409 lo troviamo in Montechiari, presso Asti, certo sotto la protezione dell'amico Serri (2); l’anno dopo e parte del seguente tenne la podesteria di Como (3). Forse era tornato a Milano nel settembre 1411, allorchè il duca autorizzava il proposto di S. Nazaro Daniele Bossi a comperar beni fino alla somma di 2000 fiorini da lui, Cristoforo, e da’ suoi fratelli Bernardo e Gasparino (4). Nel 1413 il Della Strada otteneva da Filippo Maria la conferma del privilegio d’immunità fiscale del 27 marzo 1407 (5); e due anni appresso supplicava il duca ad annullare ogni atto compiuto contro di lui dal 27 febbraio 1408 al giorno in cui Filippo Maria era successo al fratello; e ciò perchè, essendo egli, Della Strada, assente da Milano (dopo la patteggiata uscita dal castello) « propter odium tunc gubernatorum ducalium », erano state emanate alcune sentenze a lui contrarie per presunti — danni e vantati debiti: una concernava alcuni beni ed una vacca consunti nel memorabile assedio del castello, un’altra i beni della Borri, reclamati, e forse già restituiti a quell’epoca, da sua moglie Caterina Pusterla; ed altre simili sentenze a lui nocive, e contro le quali stavano i diplomi già concessigli dal duca Gio. Maria, te- (1) ASC, Lettere ducali, 22 gennaio e 13 marzo 1407. (2) AOM, Carte ereditarie, famiglia Della Strada, atto 19 agosto 1409. (3) Ivi, Diplomi di Gov. cit.: Como, 15 decembre 1409; 10 marzo 1410: Carte ereditarie, famiglia cit., atti 8 marzo 1410 e 31 marzo I4gI1. (4) AOM, Diplomi viscontei, 6 settembre 1412, recante inserto il precedente 7 settembre 1411, del quale è una conferma. Dalle Carte ereditarie cit. il Della Strada risulta in Milano da atti del 30 agosto 1412, 24 febbraio 1413, 18 maggio e 21 settembre 1414, II maggio 1416 e 21 maggio 1418. | (5) AOM, Diplomi viscontei, 22 giugno 1413. CRISTOFORO DELLA STRADA E UN EPISODIO, ECC. 4 meva il Della Strada fossero pendenti. Il duca accolse pienamente la supplica (1). | Dal favore che il nostro cortigiano aveva riacquistato presso il Visconti possiamo arguire che non sia privo di fondamento ciò che il Fagnani, nel suo breve cenno biografico di Cristoforo Della Strada, ci racconta della sua fedeltà alla casa ducale e dei servigi resi, insieme col Marliani, al nuovo duca, nella difficile conquista di Milano dovuta imprendere da lui dopo l’assassinio del fratello. « Constantissime de inde (scrive il Fagnani, dopo aver data notizia della ribellione e della pace negoziata dal Serri) « semper in fide « Jo. Mariae Vicecomitis fide semper {ssc) manserunt (Della Strada » e Marlian:), adeo ut, interfecto a multis coniuratis Vicecomite « anno salutis humane 1412, multis ad Eustorgium Vicecomitem (2), « Bernabovis ex Carolo filio nepotem, Stradensis et Marlianus ar- « cem licet maxima annone penuria laborarent semper in fide Phi- « lippi Mariae Vicecomitis defuncti ducis fratris conservaverunt, « licet mediolanensis urbs ab Eustorgio occupata foret; sublevata « deinde aliquantulum inopia, publici edictis promulgarunt nullum « laesum iri nisi qui mortis Jo. Mariae authores fuissent, idque « factum est ut facilius Philippus Maria a mediolanensibus admit- « tetur, cum hostes promulgassent Philippum Mariam Civitatem « praede militibus concessisse. Id effecit ut tandem Philippus per « pacem in urbem ingressus, facile urbem in suam redigeret podestatem » (3). Pochi anni ancora visse Cristoforo Della Strada: nel 1422 egli era già passato da questa vita (4). Rimasero di lui tre figli, Stefano, (1) AOM, Diplomi cit., 28 maggio 1415. (2) Estore Visconti, detto anche Ettore, figlio, non nepote, di Barnabò, che l'ebbe dalla concubina Beltramola Grassi. (3) FAGNANI, genealogia cit. Nel Registro Visconteo di Catellano Cristiani si trova l’istromento di fedeltà giurata il 24 giugno 1412 dal Della Strada al nuovo duca Filippo Maria. (ASM, eg. Visc. E alias C, c. 4*). Ivi pure si trovano (cc. 46 e 76') due istrumenti concernenti il Marliani: 12 luglio e settembre o agosto (data incerta) 1412. Circa la castellania di Porta Giovia, dai documenti appare la sola rielezione del Marliani avvenuta nel 1412. Veggasi G. Romano, Contributi alla storia della ricostituzione del ducato milanese sotto Filippo Maria Visconti in Arch. st. lomb., VI (1896), pp. 240-43. (4) AOM, Carte ereditarie, famiglia Della Strada, atto $ decembre 1422, dove compare Caterina Pusterla « relicta condam domini Christofori de la strata ». DI “i . 416 PIO PECCHIAI Michele e Pietro Paolo (1). Nel 1459 il secondo era morto (2): nel 1467 il solo Stefano riceveva dalla duchessa Bianca Maria ViscontiSforza la conferma del privilegio d’immunità fiscale già al padre suo largito dagli ultimi duchi viscontei (3). Nel 1482 anche Stefano più non esisteva, lasciando però discendenza (4). E’ notevole che nel 1449 Stefano e Michele Della Strada vennero dichiarati ribelli dal governo comunale (5), il che può dare un’idea della fedeltà di quella famiglia ai Visconti, come prova il rinnovato favore ad essa concesso dagli Sforza. Pio PECCHIAI. (1) Ivi, Carte cit., atto 31 maggio 1429, nel quale è citato il testamento 2 febbraio 1408 rog. Giorgio da Molteno di Cristoforo. Egli istituì eredi universali i tre figli sopra nominati, disponendo di un legato di 5 fiorini d’oro a favore della, chiesa di S. Maria Materdomini, da impiegarsi in restauri di cui essa aveva bisogno. Detta chiesa sorgeva fuori porta Nuova, presso la qual porta il Della Strada aveva la sua dimora, in parrocchia di S. Pietro in Cornaredo. (2) Ivi, Carte cit., atto 15 febbraio 1459. (3) Ivi, Diplomi viscontei, 21 ottobre 1467. (4) Ivi, Carte cit., atto 4 decembre 1482. (5) ASC, Cronologia, atti 21 marzo e 26 maggio 1449. ì Contributi alla biografia di Leonardo da Yinci (PERIODO SFORZESCO) i accingersi ad un lavoro di qualche ampiezza sopra la vita di Leonardo, o sopra uno dei grandi periodi, nei plessi problemi, che si lasciano difficilmente padroneggiare da ogni lato e perciò non tardano a vendicarsi, esercitando. la critica, riaccendendo più vivaci le discussioni. Così avviene che, prendendo a considerare i risultati degli ultimi sforzi costruttivi (1) dedicati alla biografia vinciana, io mi trovi stimolato a pubblicare gli appunti, che qui raccolgo, intorno ad alcuni particolari o sconosciuti, o mal noti, o controversi del periodo che lega il nome di Leonardo a quello di Lodovico il Moro. E poichè chi espone le proprje opinioni prendendo a partito una o più pubblicazioni, nelle quali viene ravvisando con interesse, con avidità, con un’attenzione viva e pugnace le svolte, i. pendii, le difficoltà della via che anch'egli ha, un tempo, percorsa, stabilisce quasi inevitabilmente non (1) Mi riferisco, in special modo, per il primo periodo fiorentino, intorno al quale spero mi sia data in seguito l’occasione di esporre qualche ricerca personale, alla pubblicazione del norvegese J. THirs (Leonardo da Vinci, Kristiania, 1909), della quale è apparsa nel 1913 (London, Jenkins) la traduzione inglese; e, per il piimo periodo milanese, del quale qui particolarmente mi occupo, al vo» lume di Francesco MaLaGuzzi VALERI, La corte di Lodovico il Moro: Bramante e Lionardo da Vinci, Milano, Hoepli, 1915. Del ricco lavoro del MaLaGUZZI, considerato nel suo complesso, ha parlato in quest’ Archivio L. Fumi, nella puntata del 21 febbraio di quest'anno. Arck. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. III. 27 418 GEROLAMO CALVI pochi contrapposti, io faccio qui anticipata ammenda di ciò che possa, in queste ‘pagine, apparire il frutto di un troppo confidente ardore personale di ricerca e di discussione, dichiarando ch'io so troppo bene che spesso alla pagliuzza nell'occhio altrui fa riscontro la trave nel proprio, e confessando di dover accampare per me stesso un motivo d’indulgenza. Distratto da varie occupazioni, ho, negli anni più recenti, lasciato alquanto sonnecchiare gli studi, che qui tento di riprendere, ed ai quali, durante un periodo ormai lontano, avevo dedicato una più costante attività. Così che, per la miaggior parte, le cose che verrò esponendo riproducono osservazioni ed idee già contenute nel saggio, che, più di dieci anni fa, io avevo messo insieme, di una storia della vita e delle opere di Leonardo da Vinci, e che ha perciò obbedito al noto precetto oraziano, non sempre rimunerativo nel campo degli stud! storici. Nè io oserei, senza prima avere aggiornato, con una maggiore estensione di ricerche e di confronti, il mio lavoro biografico, dar fuori queste note, se dalla lunga dilazione non mi fosse provenuta qualche impazienza, e se ad un tempo, i giorni ardenti che attraversiamo, richiamando con insistenza dagli studi alla vita, non affrettassero la penna; se infine le stesse pubblicazioni, dalle quali, come ho accennato, prendo le mosse, non mi fossero in certo modo garanti dello stato dell'opinione circa i problemi dei quali mi occupo: così che io mi risolvo a trarre nova et vetera dal mio piccolo bagaglio. 1. La questione, che suo] presentarsi per prima a chi voglia studiare le relazioni di Leonardo con gli Sforza, concerne la controversa lettera dell’artista a Lodovico il Moro, il tempo e la cagione della venuta del Vinci a Milano. E poichè tra i possibili motivi della partenza del pittore da Firenze viene indicata (1), per (1) II Tuis (op. cit., ed. ingl. cit., p. 34) pensa che Leonardo possa essere andato a Milano, perchè « non abbastanza apprezzato dal gran mecenate di Fi- « renze ». Il MatraguzEI, Op. cit., p. $65, accenna alla stessa congettura, ma senza insisttrvi e dando maggior peso ad un'altra considerazione (l’opulenza degli Sforza) che, come si dirà più avanti, può avere attratto il Vinci. Sulle relazioni di Leonardo coi Medici s'indugiò un poco il SoLmi (Leonardo e Machiavelli) in - — CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 419 ipotesi, l'indifferenza di Lorenzo il Magnifico verso il giovane maestro, conviene risalire un po’ più addietro e domandarci: Ebbero i Medici una parte preponderante e decisiva nelle sorti di Leonardo durante quel primo periodo fiorentino della sua attività artistica, che terminò appunto col trasferimento del Vinci in Lombardia? lo non dubito di rispondere affermativamente; e l’argomento, decisivo ancor esso, mi è dato da un passo vinciano, che, nell’ edizione. del Codice Atiantico (1), sì trova trascritto in modo diplomaticamente esatto, ma non appare essere stato, criticamente, bene inteso. A fol. 159 recto c del codice ora citato si legge, in fondo a una serie di figure e d’appunti di geometria, questa brevissima e singolarissima nota di Leonardo: « li medici mi creorono « e desstrussono », cioè (come avrebbe dovuto intendersi, se non si fosse dato, come si fece nella trascrizione critica del codice, l'iniziale minuscola e il significato comune alla parola medici): « Li Medici mi creorono e destrussono » (2). La pagina, ove sì trova quest’ appunto, si può, fortunatamente, assegnare, per questo Archivio, serie quarta, XVII (1912), pp. 209-219, riuscendo a conclusioni anch'esse alquanto disformi da quella che qui appoggio alla testimonianza di Leonardo. Già il Muùnrz, parlando dei signori e dei mecenati italiani della Rinascenza aveva, assai tempo fa, emesso un giudizio, che non appare corrispondere al dato autobiografico di Leonardo, nè ai cenni biografici dell’Anonimo Gaddiano: « Parmi ces amateurs distingués par leur goùt cu leur magnificence, « Ludovic le More a marqué sa place au premier rang à còté de Laurent de « Médicis et encore a-t-il sur le Mecène florentin un avantage, celui d’avoir « deviné le génie de Léonard ».(La Renaissance en Italie et en France à l’époque de Charles VIII, Paris, Firmin-Didot, 1885, p. 216; cfr. Luzio E RENIER, Delle relazioni d’Isabella d'Este Gonzaga con Ludovico e Beatrice Sforza, in questo Archivio, serie seconda, VII (1890), p. 93). (1) Il Codice Atlantico di Leonardo da Vinci nella biblioteca Ambrosiana di Milano riprodotto e pubblicato dalla Regia Accademia dei Lincei sotto gli auspici e col sussidio del Re e del Governo. Fasc. XIII. Milano, Heepli, 1897, p. sis e tav. DXIV. (2) Nelle citazioni deì mss. di Leonardo mi sono attenuto alla grafia originale. Tuttavia, trattandosi di frammenti, che sono tutti o quasi tutti già riprodotti e pubblicati, ho, per l'intelligenza del testo, scritto tra parentesi () in carattere tondo le lettere o parole che disturbano la lettura, e in carattere corsivo le parole o lettere che si trovano cancellate nell’originale; ho aggiunto tra parentesi { ] quelle necessarie ad agevolarla; ho sciolto le abbreviature, diviso regolarmente le parole, messo gli accenti e gli apostrofi dove si richiedevano. 420 GEROLAMO CALVI considerazioni intrinseche ed estrinseche, ad un determinato periodo della vita di Leonardo. Essa appartiene a quella serie, abbastanza numerosa, di fogli (per la maggior parte conservati nel Codice Atlantico), ove il Vinci ha lasciato traccia di certi suoi pazienti, assidui etudî di trasformazioni di figure curvilinee e di equivalenze geometriche, ch’egli svolge negli ultimi anni della sua vita e raccoglie sotto varî titoli (1), dei quali i più caratteristici per noi. e fors’anche gli ultimi in ordine di tempo sono quelli di « elementi « ludici geometrici » (2) e di « ludo geometrico » (3). Varie considerazioni ci inducono ad assegnare l’intero gruppo o almeno la principalissima parte di questi studî a quello che si può chiamare il periodo romano della vita di Leonardo ed agli anni successivi ed estremi del suo soggiorno in Francia. Tra i codici, che, avendo conservato in tutto o in parte la compagine primitiva, costituiscono i nostri migliori termini di confronto per la datazione approssima- (1) Cfr. Cod. Atl, 114 recto bd (« de trasmiutatione »), 136 recto a (« delle trasmutatione delle superfitic churve in rette »), 139 recto a (« elementi geometrici curujlinj — travagliamenti di varie figure curujlinje »), 156 recto 5 («a de transmutatione de superfitie »), 165 recto d (« della trasformatione delle super- « fitie churvilinie in superfitie rettilatere e della ( f) trassfighuratione delle ret- « tilatere in churvilinje . cioe di superfitie continuate di note proportionj »), etc. Il passo più interessante, perchè ci da un'idea complessiva di quest'opera matematica del Vinci, si trova a fol. 170 recto. a dello stesso Codice Atlantico: e Di « quesste mja superfitie curvilinje (.) molte ne son quadrabile in sè medesime « cholla trassmutatione delle sue propie parte nel suo tutto E molte ne son che « colle sue propie parte sono inquadrabile Ma(s)si dà quadrati equali a(1)loro « tolti d’altre superfitie e chon queste si c[o]npone l’ultima mia opra di cento 138 libri da me conpossti (la) nella quale è 33 modi variati di dare quadrati rettilini equali a(c)circoli c[i]oè equ[a]li in q[u]antità » ecc. (2) Cod. Atl., fol. 45 recto a: « elemenij ludici gieometricj ». (3) Cod. Atl., fol. 45 verso a: « avendo io finito lì contro vari modi di « quadrare li circuli cicé dare quadrati di capacità equali alla capacità del circulo « (al presente do) e date regole da prociedere in jnfjnjto al. presente comi[n]cio < il libro detto de ludo gieometricho (el) e do ancora modo di prociesso infi- « njto ». Cfr. 174 verso b: « de ludo gieometricho »; 259 verso: « De ludo gieometricho »; etc. Già un precursore di Leonardo, Leon Battista Alberti, si era applicato a questo ramo della geometria: cfr. De lunularum quadratura (ex codice Florentino bibliotheca Magliabechianae 243, classis VI, f.° 77, qui Alberti libellum Ludi mathematici inscriptum conplectitur) in Leonis BAPTISTA ALBERTI Opera inedita et pauca separtatim impressa Hieronymo Mancini curante. Floren tue, J. C. Sansuni, editor, 1890, pp. 305-307. n_A È Sud CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 421 tiva dei fogli staccati o artificialmente riuniti, il ms. G, che il Vinciì ha riempito delle sue note durante il periodo romano (1), ci mostra che Leonardo aveva allora preso a prediligere gli studî, ai quali ho accennato (2). Ma, anche più direttamente, qualche data e qualche altro riferimento all’epoca tarda ed ai soggiorni di Roma e d’Amboise si può desumere qua e là dai fogli stessi del Codice Atlantico, che contengono quei caratteristici esercizi geometrici. Così, per segnalare alcune delle prove più notevoli, la data apposta da Leonardo ad una delle sue dimostrazioni geometriche: « finjta addi « 7 di luglio a ore 23 a beluedere nello studio fattomj dal magni- (1) Oltre che dall'analisi dei contenuto, la datazione approssimativa del ms. G. si può ricavare dal seguente appunto, particolarmente interessante per i rapporti, che intendiamo illustrare: « partissi il magnificho givliano de medici addi « 9 di giennaio r51s in sull'aurora da(r)roma per andare a(s)sposare la moglie « in savoia — e in tal di ci fu la morte de re di francia » (Ms. G., verso della copertina; v. CHarLEs RavaIsson-MOLLIEN, Les manuscrits de Léonard de Vinci, V, Manuscrits G. L & M. de la Bibliothèque de l’Institut. Sulla data della morte di Luigi XII, che si pone al 31 dicembre 1514 0 al 1° gennaio 1515, v. HauSsER (HenR1), Sur /a date exacte de la mort de Louis XII et de Pavinement de Frangoîs Jem in Revue d’histoire moderne et contemporaine. Tome V, numéro III, (15 déc. 1903), pp. 172-182. Leonardo (se la cifra, che nella riproduzione non è leggibile, fu trascritta esattamente) segna probabilmente il giorno in cui la nofizia fu conosciuta a Roma. Cfr. anche, per l'appartenenza del ms. G al periodo romano, il foglio 43 recto (« Zeccha di Roma 3). (2) Cfr., nel citato manoscritto, i fcgli 17 recto e verso, 40 recto, 43 verso, 55 verso, 56 recto e verso, $8 recto e verso, 59 recio e verso, 60 verso, 66 recto, 69 recto e verso. Per i medesimi studî cfr. anche Feuillets inédits de Léonard de Vinci. Notes et croquis de geometrie, Paris, Rouveyre, 1901, fol. 2 recto, 2 verso, etc. Il ms. E (con l'appunto datato relativo alla partenza di Leonardo per Roma, il 24 settembre 1513 e con un'altra noticina datata, del 25 settembre 1514), di poco anteriore al ms. G., così da doversi riferire anch'esso, almeno in parte, agli anni che Leonardo passò ai servigi di Giuliano de’ Medici, offre pure studî di geometria, ma non così specializzati; onde ci troviamo inclinati a credere che agli « elementi ludici geometrici » Leonardo non abbia dato la sua attività che intorno al 1514-1515 e negli anni successivi. La nota del 7 luglio 1514 sul fol. 90 verso a del Cod. Atl. può considerarsi vicina all’inizio di questa serie di studi. Leonardo vi segna il giorno, in cui compie una dimostrazione, che ha agli occhi suoi qualche importanza e forse gli apre nuovi orizzonti in queste ricerche; non mi sembra doversi veder qui (come parve al SOLMI, Leonardo, Firenze, Barbera, 1900, p. 197) quasi l'explicit del De ludo geometrico: denomimazione che su questo foglio non compare. Certo è che a questi stuui egli si dedica con crescente attività negli anni successivi. 422 GEROLAMO CALVI « ficho 1514 » (fol. 90 verso a); il frammento di minuta di lettera (della quale faccio parola più sotto) a Giuliano de’ Medici (fol. 9a recto b); l’appunto sulla « stalla del magnificho » (fol. 96 verso a); quello sui fossili di monte Mario (fol. 92 verso c); il breve scritto {non di mano di Leonardo) recante l’indirizzo di un medico di Roma (fol. 114 recto a); la data del 3 di marzo 1516 sul foglio 230 recto a; la nota relativa a S. Paolo di Roma, dell’ [ago]sto 1516 (1) (fol. 172 verso b); e, per il periodo francese, il foglio colla data del « dì « dell’As[{c]ensione in anbosa 1517 di maggio nel clu » (103 recto d); le scritture di mano francese, che si trovano sui fogli 174 verso c (coll’indicazione di Amboise) e 177 recto a; etc. Sul foglio stesso, che c’interessa, si trova, oltre agli appunti ed alle figure di geometria, rapidamente tracciata, una piccolissima pianta di chiesa a tipo centrale, che offre singolari analogie colla costruzione di San Pietro, che Bramante, morendo nel marzo del 1514, lasciava interrotta. La scrittura poi, in gran parte dei fogli contenenti gli accennati studî di equivalenze geometriche, si presenta, sia per la qualità della carta adoperata, sia per una minor cura nel temperare la penna, sia per certa pesantezza della mano che risente dell’età già avanzata di Leonardo, meno nitida che negli scritti dei periodi precedenti. Il tratteggio delle figure è per lo più irregolare e impaziente e lo scritto assai spesso sbavato e annebbiato, cogli occhielli e cogl’ intervalli delle lettere non di rado accecati dall’ inchiostro. Abbreviature caratteristiche per termini usati con grande frequenza (circulo, triangulo, quadrato, quadrare, quadratura, etc.) si ripetono continuamente in tutta la serie dei fogli accennati. Tutto ci induce a concludere che il foglio 159 recto c del Codice Atlantico, recante l'appunto, che ci interessa, deve appartenere al periodo che comprende gli ultimi cinque anni della vita di Leonardo, ma più probabilmente al biennio 1515-1516, quando già il Vinci era deluso nelle speranze che lo avevano tratto a Roma. L’assunzione di Leone X alla sede pontificale aveva determi. nato un risveglio ed un aumento della colonia fiorentina a Roma, ed era stato il segnale d'un nuovo movimento degli artisti verso (1) Cfr. anche G. B. Ds Toni, e E. Soci, Interno all'andata di Leonardo da Vinci in Francia. Nota in Atti del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, anno 1904-1905, to. LXIV, par. II, p. 490. — CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 423 la città eterna. Leonardo vi giungeva sotto l’egida ed ai servigi di Giuliano de’ Medici (1), il quale amava promuovere la coltura con intendimenti scientifici e si faceva mecenate degli artisti, che s'erano sviluppati in tale senso. Si volgeva, nello stesso tempo che Leonardo, a Giuliano de’ Medici fra Giocondo (che moriva a Roma il 1° luglio del 1515) (2), dedicandogli la seconda edizione del suo Vitruvio, che si stampava per Filippo di Giunta a Firenze nell'ottobre del 1513, proprio quando il Vinci vi passava per recarsi a Roma: « Virtutes tam liberales quam mechanica tanto « magis proficiunt perficiunturque, quanto apud eos tractantur, qui « illarum delectationibus detinentur et indefesso solertique studio « eas persecuntur, ut de te audio Juliane medices uir optime et s earum studiosissime.... Accipe igitur animi mei amoris et uene- « rationis erga te indicia, et cum tibi hactenus notus non fuerim, « his initiis me nouisse claritatem tuam non pigeat » (3). Forse anche Leonardo sperava, con tale protezione, di poter pubblicare una parte dei suoi studi. In nessun periodo infatti il lavoro teorico sembra essere stato più intenso che in questi anni passati dal maestro a Roma. lì Magnifico Giuliano aveva fatto a Leonardo uno studio in Belvedere (4); la tranquillità pareva dover essere assicurata al grande artista; ma le cose, come è risaputo, non volsero propizie al Vinci nella Roma di Leone X. Di certe noie, ch’egli ebbe a soffrire da parte di due meccanici tedeschi e che, a cagione del- (1) Il Vasari, nella Vila di Leonardo, scrive: « Andò a Roma col duca « Giuliano de’ Medici nella creazione di Papa Leone, che attendeva a cose filo- « sofiche e massime alla alchimia ». Le Vite, con nuove annotazioni e commenti di G. MiLangsi, IV, Firenze, Sansoni, 1879, p. 46. (2) Cfr. Giuseppe Fiocco nella introduzione premessa alla Vita di Fra Giocondo (collezione delle Vite vasariane diretta da P. L. OccHINI ed E. Corzani), Firenze, Bemporad, 1915, p. 51; e nota a p. 75. (3) Vitruvius iterum et Frontinus a locundo revisi repurgatique quantum ex collatione licuit. [In fine:] .... « Florentiae sumptibus Philippi de Giunta Florentini. « Anno Domini MDXIII mense Octobri »; v. il verso del frontispizio e il recto sg. Fra Giocondo dedicava a Giuliano anche la stampa aldina (1513) dei Commentari di Cesare, da Jui parimenti curata. (4) Cfr. l'appunto, già riferito, del Cod. Atl., fol. 90 verso a; e il documento segnalato dal MùNTZ in Mistoriens et critiques de Raphael, Paris, 1890, p. 133. 424 GEROLAMO CALVI l'età e di una salute forse già assai scossa e affaticata (1), egli potè risentire più acutamente, troviamo il ricordo in certe minute di una lettera che Leonardo indirizzò o pensò indirizzare al Magnifico Giuliano, ancora conservate nel Codice Atlantico (2), nel quale non mancarono di potarle i biografi. Vi appare la suscettibilità dell’inventore e dello scienziato, il suo disagio nel vedersi disturbato in mezzo alla paziente ricerca e ferito nelle prerogative del suo pensiero. Appare inoltre da queste (1) Cfr., nella minuta di lettera a fol. 247 verso dè del Cod. Ati., le parole: « Tanto mj son rallegrato (0) illustrissimo mjo signore (del grande acquesto) del « (famoso) desiderato acquisto di uosstra sanjta (il îo haffatto riavta la sanjta « mja son sono all'ultimo del mjo male) el mal mjo da me s'è fuggito della quasi « rin(ar)tegrata salute di uosstra eccellentia (ch’el mig) ». E più sotto, in un altro tentativo di redazione: « Tanto mi son raliegrato Illustrissimo mjo signore « del desiderato acquissto di vosstra sanjta che quasi il (m1jo) male da me s'è « fugito ». (2) Cod. Atl., fol. 247 verso b, cit., 92 recto b, 182 verso c. M." CHARLES Ravarsson-MoLLIEN (Léonard de Vinci avec Louis de Ligny et Jean Perréal sous Charles VIII avant Pexpédition de Naples in Revue du temps present, Parigi, 2 febbraio 1912) crede che la minuta di lettera a fol. 247 verso d si trovi sulla contropagina del foglio (247 recto a) che porta alcune parole anagrammate, in una delle quali appare il nome del Ligny (cfr. Raccolta Vinciana, fasc. III, luglio 1906- luglio 1907, pp. 99-107); e da questo presupposto (affatto erroneo, perchè si tratta di due fogli distinti, inseriti su una stessa carta del grande codice) muove ad una serie di considerazioni, che, da un lato, vengono così a mancare dell’argomento principale a favore della ipotesi da lui emessa sull’epoca, alla quale dovrebbero riferirsi i rapporti tra Leonardo e il Ligny; e dall'altro non infirmano l'opinione, fondata su indizî troppo evidenti, che ritiene aver Leonardo scritto la minuta di lettera a fol. 247 verso è del Cod. Atl., mentr'egli si trovava ai servizî di Giuliano. Tutt’ al più si potrà dubitare se la lettera debba con tutta sicurezza ritenersi indirizzata a Giuliano de’ Medici piuttosto che ad un alto personaggio, dal quale gli artisti, che servivano il principe. riconoscessero la loro dipendenza. Il piccolo saggio di esegesi, col quale avevo cercato (in Raccolta Vinciana cit.) di chiarire il significato degli anagrammi sul fol. 247 recto a, non è stato molto fortunato. È successo che delle due ipotesi, che il nome e i più ovvii dati raccolti sul Ligny mi avevano suggerito e delle quali facevo arbitro il lettore, l’una fosse opposta all’altra coi miei stessi argomenti (cfr. quest’.Archivio, serie quarta, X, 1908, p. 357, nota); e il SEIDLIT2, Leonardo da Vinci, II, p. 123, forse sviato da ciò e da un altro appunto del SoLmi (Le fonti dei mss. di Leonardo da Vinci, Torino, Loescher, 1908, p. 335, nota) ha cresciuto il groviglio, facendomi assegnare le relazioni fra Leonardo e il Ligny ad una data, che si trovava da me tassativamente esclusa (cfr. Race. Vinc. cit., p. 107), come anacronistica. _ CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 425 minute che si era tentato d’ impedirgli gli studî anatomici, biasimandoli presso il papa (1). Se queste erano le prove subìte dallo scienziato, l’artista, che anche a Roma dovette forse apparire troppo distratto dalle sue ricerche analitiche, sembra rimanere nello sfondo di una scena ove si avanzano altri protagonisti. Da un aneddoto, -che il Vasari racconta (2) ed al quale non sappiamo che fede si debba prestare, si sarebbe tentati di credere che Leone X non fosse inclinato a prendere molto sul serio Leonardo come pittore. Il sentirsi lasciato in disparte e quasi negletto, mentre si conducevano grandi opere artistiche,.la decorazione pittorica delle Stanze, la costruzione di San Pietro, nella quale il Vinci poteva vagheggiare di succedere al Bramante, dovette tornargli amaro nel confronto di periodi per lui più splendidi. Ma il disappunto più grave, quello che, secondo il Vasari, avrebbe deciso Leonardo a recarsi in Francia, sarebbe nato da un episodio, al quale il Vasari stesso accenna oscuramente e che avrebbe avuto relazione coll’allogazione della facciata di San Lorenzo, l’opera che Leone X, sostando a Firenze al suo ritorno dal convegno con Francesco I in Bologna (dove Leonardo ebbe pure a recarsi con una comitiva del duca Giuliano) (3) mostrò di voler promuovere e che diede luogo alle grandi discussioni accennate dal Vasari (4). Benchè il Vasari non nomini il Vinci tra coloro che fecero disegni per la facciata, vi fu chi congetturò (5) che, nella concorrenza di coluro che potevano aspirare a un tale incarico, dovesse rinnovarsi ancora una volta la contrapposizione di Leonardo e di Michelangelo. Ma, anche senza ch’egli mirasse direttamente a quell’allogazione (del che non si (1) Cfr. anche BARATTA, Curiosità vinciane, Torino, Bocca, 1605, pp. 3-4. (2) VASARI, Vite, ed. cit., a cura di G. MILanEsI, vol. IV, p. 47. (3) V. il documento esistente nelle carte strozziane, già parzialmente prodotto dal RicHTEr, The literary works ecc., cit., II, p. 407, € più recentemente trascritto e illustrato dal De Tonr e dal SoLmi, Intorno alPandata, ecc., cit., in Atti cit., p. 490. ; (4) Cfr. Vasari, Vite, ed. cit., VII, pp. 188 e 496. (5) Vedi la nota al Vasari in Vite, ed. cit., IV, p. 47-48. D'altra parte la biografia di Michelangelo, in qualche recente pubblicazione, ove si trovano raccolti e vagliati minutamente i dati relativi all’allogazione della facciata di S. Lorenzo (cfr. Justi, Michelangelo, Lipsia, Breitkopf e Hartel, 1900, p. 259, sgg.; TÙope, Michelangelo, Kritische Untersuchungen ber seine Werke, II, Berlino, Grote, 1908, p. 85, sgg.) non sembra tener conto di tale congettura. 426 GEROLAMO CALVI hanno le prove) il Vinci avrebbe potuto attribuirsi, palesemente o segretamente, qualche diritto alla preferenza dei Medici, di fronte a Michelangelo ; e il prevalere dell’antico rivale, del quale gli era noto l’esclusivismo sdegnoso, lo avrebbe toccato come voto di sfiducia e chiaro segno di sconfitta. Si può pensare che tale sia il significato - dell’ oscuro passo del Vasari, nella Vita di Leonardo: « Era sdegno grandissimo fra Michelagnolo Buonarroti e lui: per « il che partì di Fiorenza Michelagnolo, con la scusa del duca « Giuliano, essendo chiamato dal papa per la facciata di San « Lorenzo. Lionardo, intendendo ciò partì, ed andò in Fran- « cia » {1). Nel frattempo quell’appoggio, che il Vinci poteva forse ancora sperare di avere dal Magnifico Giuliano, gli era venuto meno per la malattia e per la morte di questi, avvenuta nel marzo del 1516. L’ultima traccia della presenza di Leonardo in Roma è una nota autografa dell’ agosto 1516, che ho già ricordato, e che contiene certe misure della chiesa di San Paolo: il De Toni e il Solmi, da questo passo e dalle vicende dell’allogazione a Michelangelo, sono inclinati a porre verso la fine del 1516 la partenza del Vinci da Roma (2). Dell’insuccesso doloroso del Vinci sotto i figli di quel Medici, che aveva veduto la sua prima promessa e favorito le prime manifestazioni del suo genio ritorna l’eco nella malinconica, nostalgica riflessione lasciata da Leonardo sul foglio 159 recto c del Codice Atlantico: « Li Medici mi creorono e destrussono ». Mentre lamentava che il Magnifico Giuliano e Leone X avessero segnato il tramonto della sua fortuna, Leonardo riconosceva di dovere, per non piccola parte, ai loro maggiori, nel primo periodo del suo sviluppo artistico, la sua ascensione e il suo successo. Ho insistito su questo incisivo frammento vinciano e sulle vicende che possono averlo suggerito, perchè la sua interpretazione, che non mi sembra poter essere diversa (3) da quella che qui ne è data, reca un im- (1) Vasari, Vite, ed. cit., vol. IV, p. 47. Su tutto ciò si veda la citata nota dei signori De Toni e SoLmi, in Atti cit., pp. 487 sgg. (2) Cfr. Atti cit., p. 489 e 495. (3) Leonardo piglia qualche volta l’occasione di dir male dei medici nel significato comune della parola. Egli li chiama, nel ms. F. (fol. 96 recto), « destrut- « tori di vite »; e, nei fogli dell'anatomia, dà questo precetto: « e ingegniati di « conservare la sanjta la qual cosa tanto più ti riusscirà quanto più da'’ fisici ti - î CONPRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 427 portante elemento autobiografico all’illustrazione dei periodi estremi della vita di Leonardo. E per il primo di essi, cioè per gli anni che precedono la venuta del maestro a Milano, essa concorda singolarmente con ciò che l’Anonimo Gaddiano ci dice della protezione accordata al Vinci da Lorenzo il Magnifico: « Stette da gio- « vane col Magnifico Lorenzo de Medicj, et dandoli provisione per « se ei faceva lavorare nel giardino sulla piazza di san Marcho dj «-Firenze » (1). Da questa prima e notevole coincidenza col dato autobiografico, che abbiamo messo in luce, non può non ricevere qualche maggior credito anche ciò che l’Anonimo dice subito dopo: « .... haveva 30 annj, che dal detto Magnifico Lorenzo fu mandato « al duca di Milano a presentarlj insieme con Atalante Migliorottj « una lira, che unico era in sonare tale extrumento » (2). Che quanto all'anno del trasferimento di Leonardo a Milano l’Anonimo ci avesse fornito un dato cronologicamente esatto (o quanto mai approssimativo), poteva ormai affermarsi con sicurezza in base agli elementi di fatto e di giudizio via via radunati dalle pubblicazioni del Milanesi (3), del Maller-Walde (4) e del Biscaro (5). Alla fine di set- « guarderai — perchè le sue conpositione son di spetie d’archimia della quale « non è meu numero di libri che si sia di medicina » (cfr. Dell Anatomia fogli A, pubblicati da TH. SABACHNIKOFF, trascritti e annotati da GiovanN: PIUMATI, Parigi, Rouveyre, 1898. Fol. 2 recto. Ho corretto in un punto la trascrizione). Ma mi pare del tutto escluso che il frammento del fol. 159 recto c del Cod. Atl. possa riferirsi ugualmente ai medici nel significato comune; l’espressione « li me- ’ « dici mi creorono » non vi avrebbe senso alcuno, mentre creare, creato (cfr. il Vasari, che nella Vita di Leonardo (Vite, ed. cit., IV, 37) dice che il Vinci « prese in Milano Salai milanese per suo creato ») ed oggi ancora creatura sono termini adoperati, con traslato abusivo, per chi è stato messo in buona condizione da un altro. (1) CorneLIO De FaBsriczr, /) Codice dell’Anonimo Gaddiano (Cod. Magliabechiano XVII. 17) nella biblioteca Nazionale di Firenze, in Archivio storico italiano, quinta serie, to. XII, anno 1893, p. 87. La biografia vinciana dell’Anonimo Gaddiano era stata già pubblicata prima dal MILANESI. (2) Ivi. o G. MiLanEsi, Documenti inediti riguardanti Leonardo da Vinci in Archivio storico italiano, serie terza, vol. XVI, Firenze, 1872, pp. 219-230. (4) MuùLLer-WaLDE (Paut) Beitràge zur Kenniniss des Leonardo da Vinci, I. Ein neues Dokument zur Geschichte des Reiterdenkmals fur Francesco Sforza, iu Jabrbuch den kbn. preussischen Kunstsammlungen, XVIII, 1897, fasc. II-III (5) Biscaro GrroLAMO, La commissione della « Vergine delle Rocce » a Leonardo da Vinci secondo i documenti originali (25 aprile 1483) in Arch. stor. lomb., serie quarta, XIII, 1910, pp. 125-161. Be. ® 428 GEROLAMO CALVIO tembre del 1481 il Vinci si trovava ancora in Firenze, poichè i frati ‘di San Donato a Scopeto; i committenti d’una pala d’altare, che si suole identificare colla tavola dell’ Adorazione dei Magi, oggi esistente, non finita, nella collezione degli Uffizî; gli addebitavano « uno barile di vino vermiglio ebbe qui a sancto donato » (1); e nell'aprile del 1483 egli era a Milano, già abbastanza famigliare col suo nuovo centro di lavoro, se lo vediamo associato con un pittore locale, Ambrogio de Predis nell’assumere e nel firmare l’elaborato contratto del 25 dello stesso mese (2) per la pittura della Vergine delle Roccte. Sta proprio in mezzo alle due date il 1482 (3), il ‘trentesimo anno della vita di Leonardo. Niente esclude che il Vinci potesse arrivare a Milano nella vernata del 1481-82: ed anzi si era ritenuto dal Muller-Walde (4), per via di congetture indirette, che la venuta del maestro dovesse ascriversi alla fine del 1481. Il Malaguzzi Valeri (5) inclina a credere ch’egli giungesse a Milano verso la fine del 1482. Non pare che si abbiano elementi sufficienti per spostare con qualche sicurezza la data verso l’uno o verso l’altro estremo; e noi lasceremo che il lettore pesi per conto proprio le probabilità, volgendosi a considerare, come facciamo anche noi, le circostanze e i motivi del trasferimento di Leonardo in Lombardia. Abbiamo escluso che il Vinci potesse lagnarsi d’essere stato negletto da Lorenzo il Magnifico. ll favore dei Medici, quand’anche non lo si voglia ritenere accordato subito e direttamente alle pro- (1) Cfr. MùLLeRr-WALDE in Jahrbuch cit., p. 121. (2) Cfr. il documento pubblicato dal Biscaro in Lirch. stor. lomb., cit, pp. 151-155. (3) Già circa mezzo secolo fa GeroLAMo Luigi CaLvi, nella III parte delle sue Notizie (Leonardo da Vinci, Milano, Borroni, 1869, p. 15-16 e sg.) aveva, benchè appoggiato a dati incompleti ed incerti, designato il. 1482 come anno della venuta di Leonardo a Milano; ed è al tutto inesatto scrivere (cfr. Raccolta Vinciana, fasc. VIII, 1912-1913, p. 67, dove si è male inteso ciò che il MùLLERWALDE dice (Fin neues Dokument, ecc.) in Jahrbuch cit. p. 100) ch'egli abbia proposto la data del 1487, da lui richiamata soltanto, perchè con un documento di tale anno, da lui nuovamente scoperto, si veniva a fornire una prova anteriore a quante sino allora n’erano state offerte, della presenza di Leonardo in Milano. (4) Ein neues Dokument, e:c., in Jahrbuch cit. Non tutte le congetture del MuLLER-WALDE si sono confermate; e la sua dimostrazione non raggiunge la prova, pure avendo, a suo tempo, fatto grandemente progredire la questione. (5) Op. cit., p. 366. w # CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 429 messe del suo genio, gli era stato conciliato dal posto che suo padre, ser Piero, occupava come notaio della Signoria e da quello che il suo maestro, Andrea Verrocchio, teneva come artista ufficiale e fidato dei Medici, quale appare in grandi occasioni di varia natura, che ce lo mostrano scultore del sepolcro di Piero de’ Medici, decoratore delle feste per la venuta di Galeazzo Maria Sforza a Firenze nel 1471, della giostra di Lorenzo nel 1469 e di quella di Giuliano nel 1475, ecc. (1). Di questi lavori, di questi non oscuri compiti, che toccavano così da vicino lo splendore della casa, che veniva sorgendo sulle rovine della libertà fiorentina, Leonardo dovette avere la sua parte. E, quand’ egli si ebbe aperto l’avvenire, la linea della sua attività (se si astrae dalla instabilità, della quale parla il Vasari, e che sin da quel tempo ne inceppò i risultati immediati) doveva allora essere indicata, a un dipresso, dalle vie medesime che percorrevano il Verrocchio, i Pollaiuoli, il Botticelli. L’allogazione della pala d’altare per la cappella di San Bernardo nel palazzo della Signoria, ritolta a Piero del Pollaiuolo, al quale era stata data appena diciassette giorni prima e assegnata a Leonardo il ro gennaio del 1478, è una riprova, se non di un vero atto di parzialità a favore del Vinci (il che, allo stato degli atti si potrebbe sospettare, ma non provare) almeno delle ottime disposizioni della Signoria, che è quanto dire dei Medici, verso il giovane pittore. Nè, prima che il Vinci sì fosse stabilito in Lombardia, l'allogazione venne trasferita in altre mani. Ma, se le opportunità di valersi di condizioni abbastanza privilegiate non mancarono in patria a Leonardo, non può d’altra parte negarsi ch'egli non fosse l’uomo più adatto per approfittarne. Il Vasari rilevò già la varia instabilità delle sue occupazioni, la sua incontentabilità, il suo trascorrere da un problema ad un altro, il suo perpetuo ricominciare, il suo non finir mai le opere incominciate. Il primo trentennio della sua vita, passato in Toscana, si chiudeva per il Vinci lasciandolo nelle condizioni di un debitore insolvente. Non aveva condotto a termine la pala d’altare per la. cappella di S. Bernardo e riservava la stessa sorte all'opera commessagli dai monaci di San Donato. La sua attività si volgeva al termine ideale delle proprie opere, al perfezionamento personale, i (1) Cfr. C. ne FaBriczy, Andrea del Verrocchio ai servizi dei Medici, in Archivio storico dell’ Arte, serie seconda, I, 1895, pp. 163-176. 430 GEROLAMO CALVI trascurando in più o meno larga misura di assolvere gli impegni presi verso i committenti. Non si può quindi ritenere inverosimile che la vita di Leonardo, negli ultimi anni del suo primo periodo fiorentino, abbia incontrato difficoltà crescenti, nonostante l’ottimo | avviamento ricevuto nell’arte e le prospettive, che gli erano state aperte. Qualche traccia di affanni, che non sarebbero stati estranei all’ esistenza di Leonardo, sembra uscir fuori dalle pagine manoscritte di quel tempo. Su un foglio del Codice Atlantico (71 recto a) si leggono queste parole alquanto slegate: « de non m’avere a vil « ch’i ’non som povero . povero è quel che assaj . chose desidera « dove mi poserò dove di quj a(p)pocho . tempo . tu ”l sapraj. « risspusi per te sstessi di quj a pocho tempo » (1; [seguono monosillabi e parole, di cui non appare il significato nè la con- | nessione]. E’ questa una risposta alla colonna di versi, che troviamo sullo stesso foglio, scritta da altra mano e coperta da una larga macchia d’inchiostro, così che riesce possibile leggerne solo poche parole (« lionardo mio non....... |do [de] lionardo perchè « tanto penate »)(2)? Non è facile indovinarlo: ma qualche tristezza sembra dominare quelle righe di Leonardo, e così il frammento, che si trova nell’altra colonna del foglio, sull’inesorabilità distruggitrice del tempo. Ma circa quest’ultimo passo, che tornava comodo di citare per dipingere la figura di Leonardo filosofo o di Leonardo poeta, non sì è sin qui posto mente (nè io stesso avevo avuto occasione di notarlo prima d'ora), ch'esso è la traduzione di alcuni versi del libro XV delle Metamorfosi d’ Ovidio: Metamorfosi, XV, vv. 233-396: Cod. Atl, 71 recto a: fiet quoque, ut in speculo rugas aspexit aniles, « O tenpo chomsumatore delle chcse Tyndarie, et secum, cur sit bis rapta, requirit. e o invidiosa antichità tu diestruggi tutte ‘Tempus edax rerum, tuque, invidiosa vetustas, le cho[se] e chonsummate tutte le chose omnia destruitis, vitiataque dentibus aevi da(/)” durj denti della vecchieza appocho paulatim lenta consumitis omnia morte. appocho chon lenta morte elena quando si sspecchiaua vedendo le u[ijzze grinze del suo viso fatte per la vecchiezza piagnie e ppensa secho perchè fu rapita du(e) volte. « O tenpo chonsumatore . delle chose . | e0 invidiosa . antichità per la . quale . | tutte le sono chomsummate « (3). (1) Lo trascriviamo scostandoci in qualche minimo particolare dalla trascrizione diplomatica a stampa. (2) Altre parole staccate si possono decifrare qua .e là. (3) In capo al frammento si trova un altro tentativo, cancellato, di ‘reda» - - CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 431 Il raffronto. è interessante, non solamente perchè ci mostra la fonte di queste parole scritte da Leonardo, ma anche perchè il libro decimoquinto delle Metamorfosi, nel quale Ovidio ha raccolto le idee filosofiche, che meglio potevano connettersi col suo tema, sembra aver interessato il Vinci anche per altri lati. Si sarebbe tentati di credere che qui abbia preso radice quella specie di pitagorismo, che par di trovare in certe caratteristiche idee vinciane (1), e, tra l’altro, nelle abitudini vegetariane (o forse soltanto nel rispetto osservato e raccomandato verso gli animali), che gli furono attribuite (2), e che sono particolarmente inculcate in queste pagine ovidiane. zione dello stesso concetto: (O tenpo chensumatore (di tutte le) delle chose 0 (antichità tu diveri ciò che ssi vede e 0) invidiosa antichità (tu chomsumj) distruggiete e ghuassif ciò che ssi uede e cchomsumate ognj chossa). (1) Alludo a quella specie di misticismo cosmico, che sembra associarsi in Leonardo all'indirizzo sperimentale e matematico. L'UzieLLI (La vila e i tempi di Paolo dal Pozzo Toscanelli, p. 36) nota come « gl’infiussi della scuola pita- « gorica si facessero sentire a Padova al principio del secolo XV, quando vi « furono studenti Paolo Toscanelli e il Cusano » e lo induce appunto dalla grande impronta, ch' essa ha lasciato nell’ opera del cardinale da Cusa. Ora dal Toscanelli, che Leonardo conobbe (egli lo nomina, con altri scienziati fiorentini, sul foglio 12 verso 4 del Codice Atlantico che ho occasione di citare nella pagina seguente) e del quale può presumersi ch'egli apprezzasse grandemente Ja formazione mentale, il Vinci potè avere una spinta su questa via, rivolgendo la sua anenzione, come alle dottrine aristoteliche (v. anche il nome dell’Argiropulo sul foglio citato) e arabo-aristoteliche, così alle traccie delle dottrine pitagoriche. È anche interessante rilevare come dal libro XV delle Metamorfosi Leonardo potesse avere il primo fondamento delle sue teorie e delle sue osservazioni sulle trasformazioni del paesaggio terrestre dovute ai corsi delle acque e sull’ origine dei fossili, che Ovidio formula in alcuni lucidi versi (lib. XV, 262 sgg.) « Vidi ego quod fuerat quondam solidissima tellus « esse fretum; vidi factas ex aequore terras; « et procul a pelago concha iacuere marina, < et vetus inventa est in montibus ancora summis; etc. (2) La testimonianza è del viaggiatore fiorentino Andrea Corsali in una lettera scritta da Cochin, il 6 gennaio 1515, a Giuliano de' Medici: « Fra Goa « & Rasigut, o ver Carmania, vi è una terra detta Cambaia, doue l’Indo fiume « entra nel mare. è habitata da gentili chiamatà [chiamati] Guzzaratti, che sono « grandissimi mercatanti. Vestono parte di essi all’apostolica, & parte all'uso di « Turchia. non si cibano di cosa alcuna, che tenga sangue: nè fra essi loro « consentano che si noccia ad alcuna cosa animata, come il nostro Leonardo da 432 GEROLAMO CALVI Su di un altro foglio del Codice Atlantico (12 verso a), dove sono notati da Leonardo i nomi di alcuni uomini cospicui della Firenze del suo tempo, si trovano, con spunti e saggi di varia redazione, come nel caso precedente, altri concetti ispirati alle relazioni della vita umana col tempo, anch’essi d’intonazione pessimista (se originali o tratti da altri, non saprei dire) «[...] ne modi di chonpartire e misurare [...] giornj ne’ quali ci doviamo « affatichare di non trapassarli |. ..}a misera vita non trapassi sanza « alchuna [...] lassciare di noi alchuna memoria (e /oda) nelle « ment) de mortali. « [...] do in (j)ssaperlo spendere [...] difendere e chontas- « stare [...]li el piv delle vol[t]e son chagione [...]ssta nosstra « mjsera vita » + + + . (non ci mancha' modi nè vie di chonpartire « e mmisurare quessti nosstrj miseri giornj i qualj ci debba ancor « piaciere di non esspenderli e trapassalgli indarno e sanza alcuna « loda e sanza lassciare di sè alchuna memoria nelle menti de’ « mortali « acciò che questo nosstro mjsero chorso non trapassi im- « darno ». E in capo ad uno di questi frammenti (dove ho lasciato un tratto punteggiato) si legge, a commento d’una figura disegnata accanto - allo scritto: « vn peso di pionbo spigniendo e chalchando un « sacchetto di chuoio pieno d’aria ti potrà anchor luj mosstrare « l’ore ». Il pensiero filosofico-morale e l’applicazione tecnologica. non sono, lo si può arguire facilmente, senza relazione l’uno coll’altra. Non farebbe meraviglia che Leonardo coltivasse e connettesse i riferiti concetti simbolici sul tempo colla dipintura, che, a quanto pare, egli si era incaricato di fare, intorno alla metà del 1481, dell’oriuolo dei monaci di S. Donato a Scopeto (daì quali già aveva avuto l'allogazione della pala per l’altar maggiore) e per la quale viene compensato con « una soma di frasconi e una di e Vinci. Vivono di risi, latte & altri cibi inanimati » (in G. B. Ramusio, Prime volume delle navigationi et viaggi, ecc. In Venetia appresso gli heredi di Lwcantonio Giunti l'anno MDL, fol. 194 verso; cfr. G. UzieLLi, Ricerche intorno a. Leonardo da Vinci, serie seconda, Roma, Salviucci, 1884, p. 448). CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 433 « legne grosse » (1). Ma non è ben certo che qui si tratti di Leonardo da Vinci. Finalmente sui fogli 4 recto 6 e 4 verso b del Codice Atlantico (che possono ascriversi alla stessa epoca) si leggono, scritte quasi esclusivamente nel senso ordinario (con lettere e parole ripetute come per esercitazione grafica), frasi staccate, simili a spunti di lettera : « chome io vi disi ne’ dì passati voi sapete che io sono « sanza alchuno » ......« de de gli amicjn......«e”l « uerno #...,. « che uole de’ fatti vosstrj » (verso). Sul recto (dove troviamo le frasi: « mi ritrovaj ne(n)' dì passati » e « essendomj « sollecitato », e la seguente massima: « chi tenpo a . e tenpo « asspetta, perde l’amicho e denarj non à mai ») ci otcorrono nomi toscani (2), e, a parte, il nome di Antonio da Pistoja, forse il poeta Antonio Cammelli da Pistoia (3), ma più probabilmente lo suocero od il marito (4) d’una sorella (Violante) di Ser Piero, Sul verso poi è il nome dello zio « franc® d’antonio di ser piero », Questi appunti ed altri, che si trovano su qualche altra pagina, rivelante caratteristiche grafiche abbastanza giovanili, coi nomi di « compari », danno qualche motivo a supporre che, in tempo di strettezze o d'’altre difficoltà sopravvenute a Leonardo durante (1) Cfr. MiLanesi, Documenti inediti, ecc., cit., in Archivio storico italiano, anno e vol. cit., p. 229. Il MùLLer-WALDE, Fin neues Dokument, ecc., in Jahrbuch cit., p. 121-122, n., vorrebbe che si trattasse qui di un altro pittore (e fa il nome di Lionardo del Bene). (2) « bernardo . di simone saluesstro di stefano bernardo . d'iachopo francesco di matteo boncianj antonio di giovannj ruberti ». (3) Cfr. BeLtraMmi L., Nomi di persone e di località nel Codice Atlantico, ecc., in Raccolta Vinciana, fascicolo IV, 1907-1908, p. 73. (4) Secondo che crediamo a ciò che l’UzieLLI dice nel testo delle sue Ri. cerche, 1» ediz., Firenze, Pellas, 1872, p. 54, e 23 ediz., Torino, Loescher, 1896, P. 34 (« Violante, che poi sposb Simone di Antonio da Pistoia ») oppure alla tavola genealogica, che si trova annessa alla 1° ediz. citita dalle Ricerche stesse, e dalla quale risulterebbe invece che Violante sposò Antonio da Pistoia. In quest'ultimo caso non sarebbe del tutto escluso (benchè non troppo probabile) ch'egli e il Cammelli, ch'era di famiglia originaria da Vinci e soleva firmarsi Antonio Vincio da Pistoia o anche semplicemente Antonio da Pistoia, fossero la stessa persona. Arch, Slor. Lomb.Anno XLII, Fasc. III. 23 434 GEROLAMO CALVI questo primo periodo egli si volgesse, per aiuto, alle relazioni famigliari o alle amicizie, ch’egli aveva. Suo padre, ser Piero, che pure deve aver favorito l’allogazione a Leonardo della pittura per i monaci di San Donato, giacchè egli era notaio del convento e si trattava di un’opera connessa con una disposizione testamentaria, dovette trovarsi tanto meno indotto a provvedere direttamente al grande artista, quanto più cresceva la sua famiglia legittima. | Comunque le cose stiano, le interruzioni e gli indugi frapposti ai lavori commessigli dovettero rendergli meno desiderata (come di nuovo gli saranno causa di noie a un certo punto del suo soggiorno milanese) la sua permanenza in Firenze, in un tempo, nel quale l'emigrazione degli artisti della sua città, richiesti dai varii centri della coltura italiana, si faceva sempre più frequente, e Leonardo poteva ricevere da un senso di emulazione (1) lo stimolo .a maggiori imprese, condotte con larghezza di mezzi. E si può così meglio pensare ch'egli cogliesse a sua volta una delle occasioni, delle quali spesso si faceva arbitro, per via diplomatica o diretta, Lorenzo il Magnifico; o ch’egli stesso, in modi più personali, cercasse di richiamare sopra di sè l’attenzione di Lodovico il Moro. Il giovane Leonardo doveva essere stato spettatore della magnifica pompa, che nel 1471 Galeazzo Maria Sforza aveva spiegato nella sua, visita a Firenze: per quelle feste era stato allestito I’ « adornamento e aparato » (2) del suo maestro Verrocchio, al quale egli poteva essere stato, in quella circostanza, d’aiuto. Lodovico il Moro, che aveva accompagnato allora suo fratello, doveva ritornare in Toscana in epoca più vicina al termine del primo periodo fiorentino di Leonardo, in quel tempo cioè, nel quale la (1) Sandro Botticelli e Piero Perugino, che già gli erano stati compagni nella bottega del Verrocchio, si trovavano, il 27 ottobre dell’anno 1481, a Roma con Cosimo Rosselli e Domenico Ghirlandajo « per adempire l’obbligazione da essi « assunta di dipingere in meno di sei mesi, e cioè entro il 15 marzo del 1482, « dieci storie del Vecchio e Nuovo Testamento nella Cappella Sistina », CaVALCASELLE E CROWE, Storia della pittura Italiana dal secolo II al secolo XVI, vol. VI, Firenze, Le Monnier, 1894, p. 234. E circa due anni prima il maestro di Leonardo, Verrocchio, aveva ricevuto dalla repubblica di Venezia l’allogazione per la statua equestre del Colleoni. (2) Cfr. C. pe Fagriczy, Andrea del Verrocchio ui servizi dei Medici in Archivio storico dell’ Arte cit., p. 167. a CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LFONARDO DA VINCI 435 Reggenza milanese, per difendersi dai suoi maneggi politici, lo tenne, ma con poco frutto, confinato a Pisa. Noi vediamo come, al principio del 1478, il Moro si fosse già mansuetamente avvicinato all’oratore milanese presso la Signoria ed a Lorenzo il Magnifico; com’egli facesse in Firenze qualche furtiva dimora, della quale rende conto al governo di Milano appunto il legato sforzesco, Filippo Sacramoro, ed assistesse persino ai preparativi, e, come giudice, allo svolgimento di una giostra, che aveva luogo il 29 gennaio del 1478 (1). Non è inverosimile che, da un lato, lo Sforza (1) Il Sacramoro, il quale aveva domandato (in data 5 gennaio 1478) istruzioni sul modo di comportarsi in questa congiuntura, scrive, il 28 di gennaio, due lettere a Milano per dar ragguaglio delle mosse dello Sforza, il quale con la sua sottile arte d’insinuante correttezza sta già, come si può scorgere da queste lettere del Sacramoro, preparando le sue vie: « Lo Ill, Sig.re Ludouico », scrive tra riservato e indulgente il rappresentante della Corte milanese, « l’altr'heri non uenne: como me hauea mandato ad dire per Augustino suo cancellario: per occupatione sua de esser conducto ad uedere prouare giostranti: et heri anco per occupatione hauea io nel hora: mi mandò ad significare che lo expectasse: per hauere ad essere cum la Sig."is: como ne l’altre mee: hogi S. Sig.ria ha satisfacto el respecto suo verso le cel." v.: et usatomi molto humane parole: che non sono state d'altre [sic] rasonamenti pero: cha de uisitatione: et de- « monstratione de fidele: et bono animo erga le Subl.te V.: È facta . S. S.ria « iudice a questa giostra: la quale se expedirà domane: deo uolente ». (ASM, Documenti diplomatici. Dominio sforzesco. Duca Giovanni Galeazzo. Gennajo 1478). Della giostra poi l’oratore ducale dà (il 31) queste notizie: « Ill.mi P, et ex.mi S. mei « Singlmi. La giostra se expedi anteheri: non gli è altro che scriuèrne: che de « la distributione di doni: de quali el primo hebbe vno homo d'arme del Conte « Nicola de Pithiano: et l’altro M. Gasparro figliolo de M. Roberto: Ogni altra « cosa fo per l’ordenario: excepto de tanti apparati: si sumptuosi: como ne l’altre « s'è usato: che sonno state de assai minore spesa: per non hauer potuto fare « paramenti li citadini: che gli ne sonno stati solo tri però: vno de Tornaboni: « vno de Martelli: l’altro di Bonromei: et el résto fino a X in tutto soldati: nè « de recami: nè de brocati: nè portare gioye per certa prohibitione se fece per « certa lege per comune vtilitate ». (ASM. Busta citata. La stessa corrispondenza si trova nel copialettere dell’oratore ducale, in altro fascicolo della medesima busta). Lodovico Sforza ripartiva da Firenze il 4 febbraio, per essere, non a Pisa, a causa della peste ivi scoppiata, ma « li intorno: a vno pallazo di Martelli » (cfr. lettera del Sacramoro da Firenze, alla Corte di Milano, in data 5 febbraio 1478. ASM. Documenti diplomatici citati. Gennaio 1478). Egli rimaneva così in contatto coll’ ambiente fiorentino, oltre che per Je comunicazioni con Lorenzo il Magnifico (nel quale sembra che la Reggenza milanese confidasse « per tenerlo « cum l’animo quieto », come si scrive da Milano, in data 11 gennaio 1478, al A a 436 GEROLAMO CALVI, avesse avuto occasione di sentir nominare, di vedere o di conoscere Leonardo e che, dall’altro, il Vinci fosse stato condotto dalle medesime occasioni, oltre che dai discorsi correnti, a riflettere sull'’opulenza, sui mezzi e sui disegni della casa sforzesca. A quale dei figli di Francesco Sforza il Vinci intendesse spedire la lettera, della quale ci resta un esemplare sul foglio 391 recto a del Codice Atlantico, la lettera stessa, mancante dell’indirizzo e della data, non dice; ma non sembra possibile di ritenerla diretta ad altn che a Lodovico il Moro, dopo che questi era riuscito a divenire, se non di nome, di fatto il capo della casa sforzesca. Il Ravaisson-Mollien (1), riscontrandovi caratteristiche di scrittura, che sì Sacr.moro (cfr. busta citata in ASM): si vedano ancora le istruzioni che da Milano si mandano al Sacramoro alla fine dello stesso anno (ASM. Documenti dipiomatici cit., dicembre 1478, lettera del 20 dicembre 1478) e la risposta del Sacramoro (ivi) in data 27 dicembre), per i suoi rapporti con la famiglia dei Martelli, nella casa dei quali, a Firenze, fu o frequentò più tardi Leonardo da ‘Vinci. E’ possibile, come si è detto, che il grande artista divenisse, già durante quell’ anno, di fama o di fatto noto a Lodovico, in un'occasione come quella della giostra, per l'allestimento della quale il giovane pittore poteva per avventura aver prestato l’opera propria, o quando, il 27 gennaio, il Moro visitava la Signoria fiorentina (si veda la seconda corrispondenza del Sacramoro in data 28 gennaio 1478, ASM, Documenti diplomatici citati, gennaio 1478), che aveva da pochi giorni allogato al Vinci il quadro per la cappella di San Bernardo; e, anche senza di ciò, per poco ch'egli s’interessasse al movimento artistico, che assumeva tanta importanza in Firenze, averne notato il nome tra quello degli artefici più. promettenti e geniali. « Frequentando circa un anno i Medici », dice il Dina, « è ben naturale che, come già Galeazzo Maria. nel noto viaggio « del 71, anche Lodovico venisse a riconoscere la superiorità della coltura fio- « rentina sulla milanese, e che, fra i sogni della sua mente ambiziosa, accarez- « zasse anche quello, se mai giungesse a cingersi la corona ducale, di chiamare « alla sua corte alcuno dei poeti, degli artisti, dei dotti, che rendevano così « splendide le adunanze nelle sale di Lorenzo ». A. Dina, Lodovico Sforza detto îl Moro e Giovan Galeazzo Sforza nel canzoniere di Bernardo Bellincione in Archivio storico lombardo, serie seconda, vol. I, 1884, p. 719-720. Tra le occasioni, che Lodovico ebbe, di recarsi a Firenze, una solenne colse, al 27 d'aprile 1478, subito dopo l’uccisione di Giuliano de’ Medici: « Fl S.re Ludovico uenne « heri a condolersi cum Laurentio et offerirli la persona et quello che uoleua: « dicen[do] . sempre essere così la uoglia de le Cel.ne v. et così è qui » scrive il Sacramoro da Firenze il 28 aprile 1478 (ASM, Documenti diplomatici cit., aprile 1478). (1) CÒiarces Ravarsson-MoLLIEN, Les ecrils de Ltonard de Vinci (estr. dalla Gazette des beaux-arts), Paris, 1881, pp. 23-24. - CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 437 scostano dalle leonardesche, ne impugnò l’autenticità, non solo estrinseca, ma anche logica, affermando non potersi confondere questa colle numerose pagine, che denotano in Leonardo minore orgoglio e non minore genio. Sotto questo riguardo l’opinione del dotto francese non regge, poichè una coscienza molto viva della propria capacità potrà notarsi, in altre occasioni, nel Vinci (1). Per le ragioni grafiche gli appunti del Ravaisson-Mollien sono fondati, quando negano che la scrittura sia di mano di Leonardo; non lo sono più, quando tendono a concludere che il Vinci non è l'autore della lettera. Parecchi argomenti concorrono invece a farci ritenere ch’essa, quanto al contenuto, derivi da lui; l’essere stata introdotta nel Codice Atlantico, senza che il foglio porti al rovescio altra scrittura o disegno vinciano, che ne giustifichino altrimenti l’introduzione ; tutte le proposizioni relative alle prestazioni d’ingegneria militare, tanto rispondenti agli studî leonardeschi, in questo campo, che il Maller-Walde potè raggrupparli ed esaminarli valendosi di tale traccia; e l’accenno al cavallo di Francesco Sforza. È ragionevole ammettere che si abbia qui, in originale o in copia, la stesura, dovuta ad altra mano, di una lettera che Leonardo si propose di spedire o effettivamente spedì. Che la scrittura non sia autografa, si può agevolmente provare col confronto dei brevi e rari, ma concludenti saggi, che della scrittura in senso ordinario Leonardo ci ha lasciato in casi affatto eccezionali, per esempio (se vogliamo attenerci ai termini di confronto che, per l’epoca, meglio possono servire al nostro scopo) nei fogli 4 recto è e 4 verso b, del Codice Atlantico, che abbiamo testè avuto occasione di ricordare, o nella firma al contratto (2) per la Vergine delle Roccie, del 1483, o in una riga di scritto in capo al foglio 4 recto del ms. B (3), (1) Nella nota minuta di lettera ai tabbricieri della cattedrale di Piacenza si trovano, per esempio, scritte di mano di Leonardo, queste espressioni: « Non ci è homo che vaglia e credetelo a me . saluo (quel) lonar fiorentino « che(f)fa il chauallo del duca franc° di bronzo che non ne bisognja fare stima « perchè à che fare il tenpo di sua vita . e dubito che per l’esere sì grande opera « che nolla finjra maj ». Cod. Atl., fol. 323 recto d. (2) Riprodotto da G. Biscaro nella tavola annessa alla citata memoria su Le commissione della « Vergine delle Rocce », etc. in questo Archivio, serie quarta, vol. XIII, 1910. | (3) Cfr. in Rava:sson-MOLLIEN, Les manuscrits de Lbonard de Vinci. Ma 438 | | _— GEROLAMO CALVI che non riteniamo posteriore al 1490. In questi casi ravvisiamo. gli stessi tratti alquanto stentati (sebbene, in occasioni solenni, come per la firma del contratto del 1483, la cura posta nello scrivere nasconda in parte lo sforzo), che rivelano, benchè in grado minore (e lo si comprende, quando si pensi che chi si trova fuor della regola è Leonardo e deve pure, per qualche necessità pratica, acconciarsi talora a rientrarvi) la fatica e lo studio, che dovrebbe mettere uno di noi nello scrivere da destra: a sinistra, in direzione inversa a quella che ci è abituale. Le incertezze e le false opinioni perdurate sino ad oggi sulla supposta originalità così della lettera allo Sforza, come dell’altra istanza al cardinale Ippolito d’ Este, posseduta dal r. archivio di Stato in Modena, dimostrano che non si è ancora ben radicata tra i leonardisti l’opinione, che dovrebbe ormai apparire la sola ragionevole (1) circa la scrittura leonardesca : Leonardo essere stato mancino; da questo fatto per un meccanismo naturale ed istintivo, non corretto dall'educazione o dalla volontà, essere provenuto l'altro dalla grafia a specchio; la scrittura nel senso ordinario (da sinistra a destra) essere rimasta sempre per lui il prodotto di uno sforzo, di una nuscrits B et D de la Bibliothèque de PInstitut, Paris, Quantin, 1883, al fol. cit,, l'appunto : « addi . 28 d'aprile . ebbi da marchesino . lire . 103 . è s[oldi] . 12 ». Il MALAGUZZI, a p. $14 dell’op. cit., crede (forse per essere Marchesino Stanga nominato in un documento che concerne appunto la pittura della Cena) che questo accenno possa alludere ai lavori del Cenacolo: il che è sommamente improbabile, trattandosi di una nota che appartiene al ms. B, cioè ad-un codice, che (coi fogli complementari formanti il ms. Ashb. i) ci sembra doversi riferire al periodo compreso tra il 1485 e il 1489. (1) Cfr. GILBERT BALLET, L’ecriture de Léonard de Vinci. Contribution è l’éitude de l’écriture en miroir (extrait de la Nouvelle Iconographie de la Salpétrière), Paris, Masson et Cie, 1900; G. ANTONINI, Perché Leonardo da Vinci scriveva a specchio, Pavia, Marellìi, 1903 (estratto dalla Gazzetta medica italiana); Mario BARATTA, Perchè Leonardo da Vinci scriveva a rovescio, in Curiosità vinciane, dello stesso, Torino, Bocca, 1905, pp. 3-55 (il BARATTA, tuttavia, segue, op. cit., p. 28, l'opinione comune circa la lettera al cardinale Ippolito, sulla fede del CAaMmPORI); e vedi ivi, in fine, le referenze date per lo studio della questione in genere, sulla quale cfr. anche D. Lincuerri, Un caso speciale di scrittura d specchio, in Rivista di psicologia applicata alla pedagogia ed alla psicologia, a. MI, Bologua, 1907, n. 4, pp. 245-252. Per.il mancinismo di Leonardo nei disegni, v. Gusravo FRIZZONI, Di una specialità di Leonardo da Vinci come disegriatore, nel Marzocco di Firenze, 11 ottobre 1904. : = CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 439 reazione volontaria all'uso spontaneo, e quindi presentarsi, nei radi esempî che ce ne rimangotio, come più o meno rudimentale, o studiata, rendendo però nelle forme più inesperte e di più stentata corsività ancora l'impronta dei caratteri tracciati da destra a sinìstra. UT La questione della lettera a Lodovico il Moro sarà meglio chiarita, se esamineremo prima quella che riguarda l’istanza al cardinale Ippolito d’Este (1) (datata da Firenze il 18 settembe 1507), sia perchè questa fu presa a termine di confronto per ritenere autografa la prima (2), sia perchè l’opportunità, che abbiamo di dimostrare falsa l'opinione comune, che la giudica scritta di mano di Leonardo, ci permetterà di estendere più facilmente tale conclusione al foglio del Codice Atlantico, del quale la scrittura è già stata messa in discussione. Premettiamòo che, quando non ci lasciamo fuorviare dalle apparenze del discorso diretto e della firma, ma ci atteniamo ai criteri diplomatici e paleografici, che sono in questo caso i soli legittimi, possiamo arrivare agevolmente ad escludere (come già ho accennato in ordine alla lettera a Lodovico il Moro) che il docu-. mento dell’archivio di Stato di Modena sia stato vergato da Leonardo. L’ istanza è scritta da un’abile penna cancelleresca, da per- (1) Pubblicata per la prima volta dal marchese GiusEPPE CAMPORI negli Atti e Memorie delle RR. Deputazioni di Storia Patria per le Provincie Modenesi e Parmensi, vol. III, Modena, per Carlo Vincenzi, 1865, p. 49. Il MaraGuzzI ne da il facsimile a p. 644 dell’op. cit. Il cardinale Ippolito, nato nel 1470, figlio di Ercole I e fratello di Altonso, di Ferdinando, di Beatrice Sforza Este e d’Isabella Gonzaga Este, era stato fatto arcivescovo di Milano nel 1497. Fu coinvolto nelle vicende politiche di. Lodovico il Moro ch'egli segui, secondo il Litta, nella fuga del 1499 e nel successivo ritorno in Milano. Leonardo dovette in questo tempo avvicinare il cardinale, chie potè vedere le ultime sorti del modello della statua equestre e fors'anche suggerire al padre, Ercole I, di tentar di farselo cedere dai francesi. Il cardinale Ippolito ebbe in commenda il vescovado di Modena l’anno stesso, 1507, al quale rimonta l’istanza di Leonardo: egli era ancora arcivescovo di Milano, ma non residente (avendovi un suo vicario): cfr. questo Archivio, serie terza, V, 1896, p. 146. Il Vinci lo prega, nella lettera della quale discorriamo, di volerlo raccomandare a Raffaello Girolami (della Signoria di Firenze), al quale si trova principalmente affidata la risoluzione della causa ereditaria vertente tra Leonardo e i fratelli. | | (2) Dallo SMIRAGLIA SCOGNAMIGLIO, che cito più avanti. I “2 ' 440 GEROLAMO CALVI sona pratica del formulario, con una disinvoltura, che manca a Leonardo tutte le volte ch’egli deve scrivere lettere d’importanza, così che lo vediamo cominciare e ricominciare faticosamente le sue minute. Ill confronto paleografico, poi, tra il documento del 1507 e quei frammenti che, in mezzo ai mss. vinciani, ci presentano per eccezione la scrittura destrorsa di Leonardo (1), è decisivo. Ma a questa conclusione diretta viene, per una singolare coincidenza, ad accoppiarsi un’altra constatazione, che, oltre a riprovare che la lettera al cardinale Ippolito non è scritta di pugno del Vinci, ci offre un filo conduttore per riconoscervi un’altra mano e ci pone così un quesito dei più interessanti, che potrà essere a suo tempo risolto. Esistono nel Codice Atlantico (fogli 74 recto d e 74 verso €) tre colonne di scritto (in senso ordinario) dovute ad una mano che non è sicuramente quella di Leonardo, e contenenti, di seguito ai nomi di alcuni dei personaggi, una traccia storico-descrittiva della Battaglia d’ Anghiari, che il Vinci, come è risaputo, aveva preso a tema d’una pittura murale da eseguirsi nella sala del Gran Consiglio di Firenze. Il rimpianto prof. Solmi aveva, qualche anno fa, in un articolo inserito nel Grornale storico della letteratura italiana (2), proclamato Niccolò Machiavelli autore e scrittore di quelle (1) Col documento del 1507 si possono confrontare, p. es. (trattandosi di epoca poco lontana), gli appunti del foglio 71 verso dè del Cod. Atl., tra i quali è il ricordo (9 luglio 1504) della morte di Ser Piero, padre di Leonardo. (2) Pagine autografe di Niccolò Machiavelli nel Codice Atlantico di Leonardo da Vinci in Giornale storico della letteratura italiana, vol. LIV, 1909, pp. 90-102. Il SoLmi ritornò sull'argomento (riproducendo in parte quanto aveva già esposto nel Giornale storico) nella memoria su Leonardo e Machiavelli, in questo Archivio, serie quarta, XVII, 1912; cfr. le pp. 238-244. La sua trascrizione delle pagine, ch'egli attribuisce al Machiavelli, va corretta nei seguenti luoghi (trascuro alcune piccole differenze di grafia in altri punti): Arch. Stor. Lomb., vol. cit., p. 239, 1. 26: « e valli irrigate »; corr.: « e valle irrigata » » >» n » >» 28: « al campo delle genti »; corr.: e al capo delle genti » » >» > > >» 34: « guardato dal (popolo)»; corr.: e guardato dal papa » » » » 240 » 7: « inoltrare le nostre »: corr.: « inclinare e’ nostri.» » > >» » » g9:u«iti li inimici»; corr.: « iti li'nostri » » » =» 2 >» I3: € © SÌ NAScosero >; COIT.: € O SÌ n#& SCOSONO > CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 441 note. La sua opinione, confortata dal parere di Oreste Tommasini (1), passò, se non erro, senza contrasti; e anch’io (2), contestando una affermazione contenuta nello scritto del Solmi, tenni per legittima quella tesi, alla quale non saprei più aderire, non solo perchè ho rivolto maggiore attenzione allo stesso raffronto delle scritture, che fu proposto dal Solmi nel facsimile annesso al suo articolo e che non è tale da convincere chi lo faccia oggetto di un esame severo, ma anche per aver potuto, prima di licenziare queste pagine, vedere, grazie ad una cortese comunicazione della on. Sovrintendenza del r. archivio di Stato di Firenze, altri fac-simili di autografi del Machiavelli (3), di data assai vicina a quella presunta dello scritto esistente sul foglio 74 del Codice Atlantico. Alcune sensibili e costanti differenze (4) mi sembrano addirittura escludere che il Machiavelli possa aver scritto le pagine a lui attribuite dal Solmi. Ma, indipendentemente dalla identificazione della persona che ha vergato i citati appunti descrittivi della (1) In una comunicazione personale al SoLMI, riportata in Giornale Storico cit., p. 90-91. Tuttavia nè il ToMmMASINI, pubblicando nel 19I1I il secondo volume della sua opera (La vita e gli scritti di N. M. ecc., Roma, Loescher), nel quale pure aggiunge qualche appunto bibliografico dell’ ultim’ora (cfr. }a pretazione a pp. xxII-XXIV, nota), fa cenno del contributo del SOLMI, nè questi nella memoria del 1912 per l'Archivio storico lombardo, si riferisce nuovamente al parere del TOMMASINI, l'opinione definitiva del quale potrebbe essersi scostata da quella privatamente espressa. (2) Il Codice di Leonardo da Vinci della biblioteca di Lord Leicester in Holkham Hall, Milano, Cogliati, 1909. V. l’Introduzione, a p. xv-xvVI. (3) L’on. Sovrintendenza del r. archivio di Stato di F.renze, alla quale esprimo le più vive grazie, mi ha segnalato ed ha cortesemente trasmesso in deposito temporaneo presso il r. archivio di Stato di Milano (del quale parimenti ringrazio l'on. Sovrintendenza), perchè io potessi esaminarle, alcune diapositive a bianco-nero con fac-simili di autografi del Machiavelli del 1502 e del 1509, tali, cioè, da poter essere, per l’epoca, utilmente confrontati coi due documenti dei quali qui mi occupo. Le diapositive furono fatte eseguire dal Gerber, che ne riprodusse qualche parte tra i facsimili dati in appendice alla sua pubblicazione: Niccolò Machiavelli, die Handschriften, Ausgaben und Ueberseizungen seiner Werke im 16 und 17 Jabrbundert, Gotha, Perth, 1912; alla quale ho pure ricorso con profitto (cfr., oltre ai fac-simili in appendice all’op. cit., il primo capitolo (fp. 3-5) sulla lingua e sulla scrittura del M. come criteri cronologici). (4) In particolare differiscono le lettere d, e, z, e la congiunzione et, così nella forma compendiosa caratteristica del Machiavelli (cfr. GERBER, Op. cit., cap. I cit.) come in quella non abbreviata. 442 | GEROLAMO CALVI Battaglia d’ Anghiari, un fatto singolare e perfettamente dimostrabile esce fuori da un altro confronto (al quale mi ha dato ora occasione la redazione di queste pagine), da quello cioè che si può stabilire tra quegli appunti (che potremmo ragionevolmente far risalire ad un tempo vicino all’allogazione della pittura, circa l'ottobre del 1503) e la lettera del 1507 al cardinale Ippolito d’ Este. I due documenti sono della stessa mano. La prova dell'identità della scrittura (più grande e corsiva nel saggio del Codice Atlantico, più accurata e minuta nella lettera) si raggiunge agevolmente e pienamente. Tutte le lettere (ad eccezione di qualche maiuscola (1), che non si trova rappresentata in entrambi i documenti e per la quale il confronto non è possibile) si ritrovano colla stessa forma e col medesimo ductus in tutti e due i casi; le loro legature si corrispondono. E, quasi lo scrittore ci avesse voluto fornire a esuberanza i contrassegni utili a questa dimostrazione, siamo in grado di rilevare un buon numero di caratteri comuni dovuti appunto all’abbondanza dei segni, che vengono a corredare il primo e più semplice parallelo di tutta la serie alfabetica minuscola. Egli usa infatti due c, due d, due e (da notarsi specialmente l’e (della legatura fe) finale, tratteggiata corsivamente al modo nel quale lo scrittore eseguisce la x, senza il distacco della penna (2), due f, due g, due 7, due r, due s, due & (particolarmente caratteristica la # in forma di 7 allungato) (3); e le stesse coppie di lettere, colle identiche forme, ricorrono così nell’uno, come nell’altro ‘scritto. Identico è in entrambi il nesso et; identico l’altro segno, usato per la stessa congiunzione, in forma di un sette accorciato e provvisto alla base di un uncino (1) E ad eccezione pure della ? in legatura che si trova una volta (nella formula finale di saluto) nella lettera al cardinale Ippolito, ma non compare nella traccia della Battaglia d’ Anghiari, ed ha invece riscontro nella lettera a Lodovico il Moro a fol. 391 recto a del Cod. Atl. “ (2) Nella lettera al cardinale Ippolito questa legatura te si trova una volta sola, in fine della parola molte a linea quartultima; e quattro volte nella colonna di sinistra del foglio 74 verso c del Cod. Atl. (3) Si confronti il f di frouando, nella 23 linea della lettera al cardinale Ippolito d'Este col f di fra nella 23 riga della narrazione sul foglio 74 recto del Cod. Atl. | - CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA‘ DI LEONARDO DA VINCI 443 ° volto a destra (1); identica l’abbreviatura di che {circa la quale e da osservarsi soltanto ch'essa è eseguita con maggior corsività e quindi tracciata senza il distacco della penna a l. 3* dell'ultima colonna dello scritto contenuto nel Codice Atlantico) e quella di fer; identica pure l’abbreviatura di eccetera (2); identici certi apici che separano di quando in- quando le parole (3). Le coincidenze sono così esaurienti e persuasive da non lasciare alcun dubbio sull’ identità della mano, alla quale sono dovuti entrambi gli scritti. Utinam fosse altrettanto sicuro provare ch’essa è la mano . del Machiavelli, come dovrebbe concludersi, quando venisse confermata la tesi del Solmi! Ma, come ho già accennato, sembra lecito dubitarne : così che rimane aperto il quesito, a quale amico Leonardo fosse debitore, circa il 1503, dei cenni descrittivi della Battaglia d’ Anghiari, e, nel settembre del 1507, della diligente compilazione e stesura della lettera al cardinale ]ppolito d’Este. Riservando ad un’ulteriore indagine la soluzione di questo secondo problema, se mi sarà dato raggiungerla, pongo fine alla digressione per ritornare alla lettera-programma di Leonardo allo Sforza ed affermare che, se il Vinci si valse nel 1507 dell’opera di un amico per stendere la sua istanza all’estense, potè ricorrere ad un procedimento analogo circa venticinque anni prima; e, in secondo luogo, che, anche per la lettera a Lodovico il Moro, bisognerà chiedere ad opportuni confronti paleografici qualche luce sullo scrittore. Lo Smiraglia Scognamiglio, in una sua recensione delle AR:- cerche di Gustavo Uzielli (4), aveva sostenuto esservi analogia di (1) Nella lettera al cardinale Ippolito questo segno s'incontra due volte alla nona e alla quintultima riga; nei fogli citati del Codice Atlantico s'incontra assai più di frequente. (2) Si veda la perfetta corrispondenza di questa abbreviatura nei due documenti, confrontando la prima linea della lettera al cardinale e l'ultima della descrizione della Baftaglia d'Anghiari. (3) Oltre ad essi si notano nella lettera del 1507 non rari accenti sulle. toniche finali delle parole. Nella descrizione della Battaglia d’.Anghiari, meno accuratamente scritta, essi mancano quasi completamente: tuttavia si veda la parola mandò a linea 33 della seconda colonna. (4) Nino SMmiraGLIA ScocNnaMIGLIO [recensione del volume di Gusravo UzieLLI, Ricerche intorno a Leonardo da Vinci, serie prima, vol. I, ediz. 2°, Torino, Loescher, 1896], in Arch. storico dell'Arte, serie seconda, anno II, 1896, pp. 461-464. L’UzieLLI sostenne che Leonardo dovette far copiare da altri la lettera allo Sforza. 444 GEROLAMO CALVI scrittura tra l’ istanza al cardinale Ippolito e quella allo Sforza ; e partendo dalla supposizione (che abbiam visto erronea) che il documento di Modena sia un autografo di Leonardo, ne aveva concluso che anche il foglio 391 recto a presentava un esempio « di « quella che vogliam chiamare calligrafia diplomatica di Leonardo « da Vinci » (1). Vi sono bensì delle coincidenze notevoli tra l’una e l’altra scrittura, ma non così esaurienti ed assolute da farci condividere, senz'altro, l’affermazione dello Smiraglia quanto all’identità della mano: tutt'al più esse sono tali da non farci escludere, di primo acchito, la possibilità che si tratti, in entrambi i casi, del medesimo scrittore, in considerazione del lungo intervallo di tempo (se lo scritto che si trova a fol. 391 recto a del Codice Atlantico non è una copia di un documento un po’ anteriore) che li separa e che può quindi giustificare sensibili modificazioni. I due documenti sono ad ogni modo, per la scrittura, più vicini tra loro di quel che lo siano ai saggi, che ci son conservati, della scrittura diritta di Leonardo. Se il ravvicinamento dello Smiraglia dovesse esser confermato, bisognerebbe vedere anche nella lettera a Lodovico il Moro la stessa mano, che ha vergato gli altri due documenti appartenenti ad un’epoca di tanto posteriore. Ma tutto ciò dev’essere riservato, come s'è detto, ad un ulteriore esame, per il quale non posseggo attualmente tutti gli elementi di confronto. La lettera di Leonardo allo Sforza, per concludere, non è autografa : il che non significa (come abbiamo detto e come già osservò (2) l’Uzielli) che non derivi da lui; chè anzi, e per l'esempio posteriore dell’istanza al cardinale Ippolito e per quegli argomenti, che scaturiscono dalla critica interna del documento, siamo indotti a ritenerne autentico il contenuto. Ora, la menzione del cavallo di bronzo, che viene ultima nella serie delle prove, che Leonardo si dichiara, in quella lettera, pronto a sostenere, sembra il primo e più antico dei temi, che abbiano avvicinato le ambizioni dell’artista a quelle del mecenate. Bisogna ricordare che il Vinci poteva già trovarsi interessato come aspirante o impegnato come concorrente all’esecuzione della statua (1) Ivi, p. 463. (2) Ricerche intorno a Leonardo da Vinci, serie prima, vol. I, 28 ediz. cit., p. 84 Sg8. © — CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 445 equestre, prima ch'egli lasciasse Firenze (1). E tale ipotesi si fa più probabile non solo per le congetture, che si possono fare a proposito della menzione di « vna testa del ducha » in mezzo ad un elenco, contenuto nel Codice Atlantico (2), di disegni e lavori, che il Vinci enumera, a modo d’inventario, verisimilmente intorno al tempo nel quale egli lasciava Firenze; ma anche per il modo stesso, or ora accennato, con cui l'argomento del cavallo di bronzo è introdotto nella citata lettera sul foglio 391 recto 4a, dove esso viene per ultimo, non come proposta nuova, ma piuttosto come richiamo a rapporti e a fatti precedenti. Il Vinci, presentandosi in qualità d’ingegnere militare (e si noti che nel 1481-1482 i prodromi di guerra (3) potevano giustificare preparativi bellici), aggiungeva (1) Della stessa opinione è il MORELLI (Le opere dei maestri italiani nelle gallerie di Monaco, Dresda e Berlino, Bologna, Zanichelli, 1886, p. 86), il quale supponendo Leonardo giunto nella capitale lombarda intorno al 1485, presume tuttavia ch'egli fosse già stato prescelto nel concorso per la statua equestre alcuni anni prima e avesse eseguito, a Firenze, un modello di cera, oltre ai disegni. (2) 324 recto a. Nel saggio biografico inedito, che ho già avuto occasione di ricordare, mi sono occupato un poco di questo interessante elenco, che si suole citare a caso rispetto all’attività artistica del Vinci. Vi ho espresso l’opinione che la menzicne di « vwna testa del ducha » possa riferirsi all’effigie del duca Francesco Sforza, del quale Leonardo, già prima di lasciare Ja Toscana per la Lombard'a, vagheggiava di poter eseguire il monumento equestre. Avere, ricavandolo dalle monete o da altro documento iconografico, un tale elemento, poteva importare all'artista anche soltanto per presentare un primo saggio della sua concezione. i (3) Giova qui notare (perchè può anche questo far parte dei leggeri indizi, che concorrono a darci una maggiore approssimazione nel congetturare la data della lettera di Leonardo a Lodovico il Moro) che lo Sforza, intorno al marzo del 1482, premeva sulla Signoria fiorentina, perchè, col consenso e col concorso di questa e degli altri collegati, si potessero attaccare presto i Veneziani. L’oratore sforzesco, Filippo Sacramoro, così scriveva a Lodovico il Moro in data 24 marzo 1482: « Ill.me ac ex.me D. D. mi unice. A le cose ch’io proposi a questi « Signori per parte de la Celsitudine vostra juxta la continentia de le sue de e 20 m'hano mandato le Signorie loro ad fare la risposta per el suo Cancellero: e et fare intendere questa essere la resolutione facta da la practica hersera: Et « in primis al rompere de la guerra ad Venetiani in Giera d’Adda dicono pa- « rergli ch'el tempo serua ad poter indusiar a questo: tanto che la conducta del « Ill. Duca d’ Urbino sia conclusa: Et poi potersi opportunius consultare de quello « parerà piu expediente: per la diffensione del stato del Ill.mo Duca de Ferrara: « et che quando ad tale roptura se hauera ad venir per la dicta casone, questa 446 GEROLAMO CALVI . nuovo peso a suo favore in ordine all’aggiudicazione definitiva della statua equestre, o, se questa gli era già stata fatta, alla chiamata sua a Milano, dove egli avrebbe in ogni modo dovuto recarsi e trattenersi per l’esecuzione del colosso. Il Vasari, e, prima di lui, l’Anonimo Gaddiano hanno connesso l’andata di Leonardo in Lombardia con la presentazione di una lira a Lodovico il Moro, per conto di Lorenzo il Magnifico. I biografi hanno qui ricordato .un particolare, che può esser vero; ma hanno forse dato l’importanza di fatto primario ad un fatto secondario, concomitante alla venuta di Leonardo alla corte milanese. i Non è, d’altro lato, inverosimile che lo .Sforza, nella ricerca di un artista e maestro fiorentino per gli scopi, ai quali Leonardo rispondeva, si fosse rivolto, per mezzo dell’oratore mediceo in Milano, a Lorenzo il Magnifico. Col gradimento di Lorenzo Leonardo deve esser venuto a Milano; e non vi sarebbe difficoltà ad ammettere che il Medici incaricasse l'artista di presentare un dono gradito al signore, che egli aveva già avuto occasione di avvicinare famigliarmente e che veniva ad assumere una nuova importanza nella politica italiana. Che il motivo originario e principale della chiamata di Leonardo a Milano fosse la esecuzione del monumento equestre, si rileva da una ben nota affermazione del Vinci îh una sua bozza di lettera: « ecj. uno 1) quale il signjore * per fare questa « sua opera à(t)tratto di firenze che è degnjo maestro ma à tanta « (tata) facsenda nolla finirà maj » (1). « Repubblica non mancherà de concorrere a tutti li subsidi} per la ratta loro per « quanto seranno l’oblighi soy: & le force de questa Cità portarano: Et pari- « mente serà presta ad concorrere ut supra in qualunque loco serà indicato esser « il bisogno ». (ASM, Carteggio diplomatico. Firenze - Cartella 244). Nello stesso tempo, Lodovico il Moro aveva guerra nel Parmigiano, dov'’epli favoriva la fazione Pallavicina contro Pier Maria de’ Rossi e i suoi fautori, (1) Cod. Atl., fol. 323 verso è (passo cancellato). Che Leonardo parli qui di sè stesso, si può accertare, leggendo il recto dello stesso foglio. Cfr. la n. 1 a iù 437 supra; v. anche MùLLER-WALDE, Ein neues Dokument, ecc., in Jahrbuch , p. 99} SoLmMI, Leonardo, Firenze, Barbera, 1900, p. 42; Mac Cuxpr, Leon da Vinci, London, George Bell and sons, 1904, p. 13. CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI Il. Le cose dette sin qui possono, da sole, farci dubitare che il Malaguzzi sia interamente nel vero, quando afferma (1) che « a « Milano il giovane artista giunse quasi sconosciuto, nè, per allora, « la corte sforzesca, da altre cure preoccupata, poteva pensare a « venirgli ìin aiuto n; o quando sostiene (2), in più luoghi del suo libro, che l’abbandono, nel quale Leonardo fu lasciato, dovette durare per lunghissimo tempo, cioè, a un dipresso, sino all’ epoca dell'esecuzione del Cenacolo. Si può e si deve ammettere, come appare anche da qualche testimonianza dei manoscritti, che gli effetti non corrispondessero, per il Vinci, alle grandi speranze da lui concepite nel mettersi ai servigi di Lodovico il Moro; che la sua attività artistica potesse rimanere, di quando in quando, nell’ombra per cause che sono tuttavia da ascriversi in parte al sistema da lui seguito e come connaturato col suo genio, di sperimentare molto e di produrre poco (s'intende rispetto alla quantità, non già alla qualità delle opere); che i suoi rapporti colla corte, e i suoi stipendî non corressero sempre regolarmente; ch’egli dovesse subire, in qualche congiuntura, contrasti e disappunti morali ed economici. Ma il trarne la conclusione che un artista, così mirabilmente dotato e non mediocremente conscio del proprio valore, si rassegnasse, dopo aver goduto i favori dei Medici, a vivere per molti anni negletto dalla Corte ‘sforzesca e privo di mezzi nella nuova residenza, nella quale s’era trasferito con grandi prospettive, non sembra ragionevole. Ed è, specialmente per gli anni che precedono il 1489, cosa alquanto arrischiata il voler stabilire, con quei tratti riassuntivi, che siamo, più o meno, tentati di adoperare allorchè si tratta di concludere su dati insufficienti, quale sia stata nei rapporti di (1) Op. cit., p. 374. | L: (2) Op. cit., pp. 380-381, 634 (ove si conclude, in base ad un argomento non decisivo, che il Vinci non faceva parte della Corte ducale), 637, 468 (ove il giudizio del MaLaGUZZI subisce qualche restrizione di tempo e d’oggetto). 448 GEROLAMO CALVI Lodovico il Moro e della Corte di Milano l’attività di Leonardo. I documenti scarseggiano, e dalle loro lacune, come in genere dagli argomenti ex silentso, è pericoloso trarre conclusioni troppo affrettate. Intanto, come la lettera a Lodovico il Moro appare scritta in un periodo, nel quale l’artista stesso comprendeva di dover preporre le arti della guerra (1) a quelle della pace, così non abbiamo un fondato motivo di escludere che Leonardo si appligasse realmente, se non in tutto, in parte a quei compiti d'ingegneria mili. tare, per i quali egli si era offerto, Si può anzitutto chiedersi se la scarsità, che in quel tempo si sentiva in Lombardia, di buoni fonditori facesse allora ricercare l’opera di Leonardo, oltre che per il monumento a Francesco Sforza, anche per apprestare le artiglierie. Tra i più antichi fogli, che contengono studi leonardeschi d’arte militare, e che, per la scrittura, potrebbero ritenersi dei primi del periodo milanese o immediatamente precedenti e preparatori ad esso, parecchi (così, nel Codice Atlantico, i fogli 9 recto d, 14 verso a, 26 verso a, 26 verso b, 34 verso a, 40 recto a, 40 verso b, 56 verso a,ecc.), contengono studî relativi alle bombarde ed ai loro affusti, due particolarmente (Cod. Atl. 19 recto a, 19 recto b) (2) concernono le forme delle bombarde. Il tema della fusione delle bombarde è trattato tuttavia più diffusamente nel codice Trivulziano, che riterremmo il primo scritto dopo il ms. B (2), o, se vogliamo essere più riservati, appartenente con questo al tempo compreso tra gli anni 1485 e 1489(-1490). Dal confronto tra i più vecchi fogli del Cod. Atlantico (3) e le materie dei manoscritti B e Trivulziano riesce ad ogni modo possibile indurre che it periodo, che si trova racchiuso tra essi, è stato dei più attivi per quanto riguarda l’arte militare (1) E' da notarsi che, nel programma allo Sforza, enumerati i compiti guerreschi, ai quali si dichiara atto, egli prosegue, come accennando ad una condizione che non si verifica nel momento, nel quale parla: « In tenpo di pace « credo satisfare » ecc. (Cod. Atl.. fol. 391 recto a cit.). (2) Riprodotti prima dall’ ANGELUCCI, Documenti inediti per la storia delle armi da fuoco italiane, Torino, Cassone, 1869, tav. VII e VIII. (3) Oltre ai fogli indicati, sembrano fra i più antichi alcuni studî per inganni e difese murarie (così Cod. Atl., 49 verso b, 372 verso È, oltre al fol. 34 verso a cit.). Inoltre ricordiamo un disegno di balestra sul verso del noto disegno del 1478, esistente nella collezione degli UffAzi. CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 449 e che il programma, che Leonardo proponeva nella famosa lettera è stato, se non praticamente, almeno teoricamente seguito dal Vinci nel primo settennio del suo soggiorno milanese. BisognaJpure ricordare come Bartolomeo Gadio avesse ormai compiuta la sua lunga carriera presso gli Sforza (1), ch’egli aveva servito con così attiva fedeltà in guerra e in pace. Le qualità di questo architetto avevano, agli occhi del duca Francesco, assunto un grande valore dal tempo, in cui il Gadio aveva mostrato nel fatto quanto abile ingegnere militare egli fosse, non solo esperto nelle opere di die fesa e d'attacco, ma nella stessa fabbricazione degli strumenti jguere reschi (2). Si può supporre che il desiderio di non trovarsi senza il modo di sostituire un uomo di tanto pregio fosse nutrito ed anche manifestato da Lodovico Sforza. É certo che Leonardo si studiò di piacere da questo punto di vista, allorchè offerse l’opera sua al principe. Non è, d’altronde, dubbio che gli ufficî prima attribuiti al Gadio furono poi affidati in gran parte (specialmente quelli d’indole amministrativa) ad Ambrogio Ferrario; ma Leonardo avrebbe potuto lusingarsi di sostituire quel maestro nelle più difficili pratiche dell’ingegneria militare. In un noto documento (3), non datato, ma assegnato al decennio successivo a quello del quale in (1) Il Gadio figura raramente nei documenti degli anni dal 1481 al 1483, Per il 1483 si trova ancora qualche lettera ducale indirizzata a lui- una riguardante i lavori del castello (12 marzo) e altre tre (24 aprile, 18 inovembre, 24 dicembre) concernenti l'invio di munizioni da guerra; « a partire dal 1484 « gli ordini per la spedizione di munizioni sono diretti ad Ambrosino Ferrario « e Filippo Corio: la morte del Gadio si deve quindi ritenere avvenuta verso « il principio del 1484 ». BELTRAMI, // Castello di Milano, 2* ediz., Milano, Hoepli, 1894, p. 429 € 439. (2) « Nella sconfitta toccata ad Alessandro Sforza, presso Lodi, facevasi « prigione dai Veneti il maestro Ferlino, eccellente meccanico, che aveva « ideato un nuovo genere di bombarda; che non poteva perciò essere dall’inven- « tore eseguita, con vivo dispiacere del duca Francesco. Non borioso però per « meriti e per sapere, assumeva tale incarico lo stesso Gadio, il quale diresse la « fusione di questo nuovo strumento guerresco, che portò a lungo il nome del « suo inventore (1455) ». G. L. CaLvi, Notizie sulla vita e sulle opere dei prine cipali architetti, scultori e pittori, che fiorirono in Milano durante il governo dei Visconti e degli Sforza, parte II, Milano, Agnelli, 1865, p. 47. (3) Cfr. G. L. Cavi, Notizie, ecc., cit., parte III; Leonardo da Vinci, Milano,, Borroni, 1869, p. 89. Arck. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. II. DIE 450 GEROLAMO CALVI questo momento ci occupiamo, Leonardo figura tra gli ingegneri ducali: questa potrebbe essere stata una sua attribuzione fissa anche prima del 1490, giacchè, se quel documento si deve ritenere posteriore, nulla esclude però che Leonardo si trovasse, per dir così, in ruolo prima di quel tempo. i Ma, anche lasciando di discorrere delle vicende politiche e guerresche, che assorbirono le preoccupazioni di Lodovico il Moro dal 1482 al 1485 (1) e poterono influire sull’indirizzo dato all’attività di Leonardo; o di ricordare qualcuna delle ipotesi più ardite, come quella d’un vasto disegno di rinnovamento edilizio, che sarebbe stato suggerito a Leonardo dalla pestilenza del 1484-1485 (2°, e qualcuna delle più verisimili, come quella che vede nel Vinci l’optimo pictore, al quale era stata commessa nel 1485 una tavola da inviarsi in dono al re d'Ungheria, Mattia Corvino (3), si dovrebbe sempre tener conto di alcuni elementi noti: le testimonianze, circa alla statua equestre, di Sabba da Castiglione, dell’oratore fiorentino Pietro Alamanni, e di Leonardo stesso ; il compito, più cortigiano che non vorremmo, del ritratto di Cecilia Gallerani, eseguito, secondo ogni probabilità (4), in epoca non troppo inoltrata; il posto che nella costellazione sforzesca, nella nuova Atene di Lodovico il Moro assegna al Vinci il Bellincioni, un poeta troppo superficiale o troppo servile per giudicare e lodare secondo criterî, che non fossero, almeno in parte, dettati dalle apparenze, conformi alle . (1) In tali circostanze reca minor meraviglia che scarseggino le notizie sull’attività del Vinci durante i primi anni del soggiorno milanese, allo stesso modo, per esempio, che sono scarsissime, per i primi tempi del governo di Lodovico, secondo osserva il BeLTRAMI, I) Castello di Milano, 2* ediz. cit., p. 429, quelle che riguardano i lavori del castello, d'altronde già sistemati nel loro complesso, salvo lo sviluppo della parte decorativa. (2) Cfr. SoLMI, Leonardo, cit., pp. 49-50; MALAGUZZI, Op. cit., pp. 369-370. (3) II documento è riportato dai Monumenta Hungariae historica nell’Archivio storico dell'Arte del 1889, a p. 171 (Miscellanea - Un pittore della corte degli Sforza nel 1485). Ctr. MALAGUZZI, Op. cit., p. 426. (4) Come s'induce specialmente dalla lettera di Cecilia Gallerani-Bergamini a-lsabella d'Este, pubblicata dal Luzio in Archivio storico dell'Arte, 1888, p. 181, cfr. G. CAROTTI, in quest'Archivio, serie seconda, XVII, 1890, p. 781. Il SEIDLITZ, op. cit, I, p. 157, e il MaLaGuUZZI nel volume su La' vita privata e Parte a Milano nella seconda metà del quattrocento, p. 509, s'accordano anch'essi a ritenere il ritratto della Gallerani probabilmente eseguito intorno al 1485. - ì CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 451 aure che spiravano a corte; gli stessi rapporti che, come i manoscritti vinciani ci rivelano, l’artista aveva con Benedetto Dei (1), col Bellincioni (2), con Galeazzo da Sanseverino, con Marchesino (1) Rettificando la trascrizione di un passo del Codice Atlantico, fol. 311 recto a, ho (nella Raccolta Vinciana, fascicolo III, luglio 1906 - luglio 1907, p. 100, nota) rilevato dovervisi leggere il nome del Dei, al quale Leonardo indirizzava, come per burla, certe « nvove de le cose qua di levante », in una lettera, che sembra una caricatura della corrispondenza di quel gazzettiere, e della sua smania di raccogliere e di spedire notizie sesquipedali. Il Dei era stato, fra i toscani che si trovavano presso Lodovico il Moro, uno dei primi a frequentarne la Corte; infatti, nel carteggio Dei, esistente presso l’archivio di Stato di Firenze, si trovano lettere dalle quali risulta che (oltre ad essere già stato a Milano co' Medici nel 1472) Benedetto si trovava già stabilito « in corte du- « cale di Milano » nel 1480 (la data del 1486, in Maracuzzi, La vita privata e Parte, ecc., cit., p. 455, È riferita in mcdo da dar luogo ad un equivoco). Amico dei Martelli, egli poteva aver avvicinato Lodovico il Moro sin dall’ epoca del confinamento di questi a Pisa. Nè sarebbe stato improbabile ch’egli avesse conosciuto Leonardo o la famiglia di Leonardo, prima che questi si recasse a Milano. Egli doveva avere anche occasione di recarsi o di dimorare in Vinci, giacchè, se un mio vecchio appunto non mi tradisce, una delle lettere del Dei (archivio di Stato di Firenze, carteggio Dei, V]I, fol. 194) è scritta « in vincj a « ‘di 8 luglio 1489 ». Le ricerche sul Dei sono dovute sopratutto a Lupovico FRATI, che ha parlato a più riprese del singolare cronista: vedi Cantari e sonetti ricordati nella cronaca di Benedetto Dei in Giorn. stor. della lett. ital., IV, 1884, pp. 162-202; Un viaggiatore fiorentino del quattrocento in Intermezzo, l, 1; Tre sonetti di Benedetto Dei sulla guerra di Sarzana del 1487 in Giornale ligustico, anno XII, 1885, fasc. 1-2; Un cronista fiorentino del quattrocento alla corte milanese in questo Archivio, serie terza, II, 1895, pp. 98-115. (2) Anche con lui Leonardo prende un’aria di canzonatura. Il Bellincioni non è, per quanto mi è dato sapere, nominato nei manoscritti di Leonardo sin qui pubblicati. Ma v’è, in una pagina vinciana, una curiosa frase che non si saprebbe ritenere detta per altri che per quel suo concittadino poeta: « ti dia- « ciano le parole in bocha . e(f)faresti gielatina ifn} mongibello » (Cod. Atl., 289 verso c). Chi scorra le poesie facete di messer Bernardo vi nota un abuso volgare di termini gastronomici e particolarmente della parola gelatina, ch'egli ficca con frequenza, a dritto e a rovescio, nei suoi sonetti: vedi le Rime, nell’ediz. curata dal FANFANI, Bologna, Romagnoli, 1876-1878, I, p. 133, sonetto XCI; p. 145, sonetto C; p. 153, sonetto CVI (nella didascalia del sonetto, dovuta probabilmente al TANZI); p.. 198, sonetto CXLIII; p. 212, sonetto CLVI; II, p. 65, son. LX; p. 71, son. LXVI; p. 98, son. XG; p. 140, son. CKXXIV. Cfr. ancora maccheron gelati nel son. CXX, I, p. 168. Vedi anche l’altro nome; Mongibello usato più d'una volta dal Bellincioni, p. es., I, p. 184, son. CKXXIII II, p. 67, son. LXII. Ritengo anche probabile che appartenga ad un sonetto del . ® g 452 GEROLAMO CALVI Stanga, con Gualtieri da Bescapè, con Bergonzio Botta, con Ambrogio Ferrario, con messer Mariolo, con Giovanni Antonio di.Mariolo (1), ecc., con non pochi personaggi, insomma, dell’amminiBellincioni, o a qualche altro poeta burchiellesco, la terzina, che si trova nel ms. Trivulziano (fol. 1 verso, BELTRAMI, Il cod. Triv., tav. I) « se 'l petrarcha amò sì forte i[l] lauro « fu perch'egli è bon fralla salsicia e tor[do] « i' non posso di lor-giance far tesauro » perchè troviamo nelle Rime del Bellincioni, I, p. 240, son. CLXXIX, un'espressione analoga: « Se” targon ch'è tra la salciccia e ’1 tordo » e, come si è detto, questo poeta rifrigge spesso in molte guise certi suoi motivi. Per corrispondenze intercorse tra il Dei e il Bellincioni, v. V. Rossi, Nuovi documenti su Bernardo Bellincioni in Giornale ligustico, XVI, 1889, p, 302 n. (1) Cfr. Cod. Atl., fol. 311 verso d: « per giannj antonjo . di mariolo ». Il Prumati non ha trascritto interamente l’ultimo nome, per dubbi di lettura, omettendo due lettere, come segue: ma[..]olo; ma mi sembra che il nome risulti abbastanza chiaro, dalla stessa riproduzione pubblicata. Il nome di Giovanni Antonio di Mariolo mi era occorso in due interessanti liste (senza data) di alloggiamenti (per comitive, che dovevano accompagnare Lodovico e Beatrice in un viaggio a Parma), esistenti nell’archivio dell'Ospedale Maggiore (prima della infausta dispersione di documenti), delle quali, disgraziatamente, non accertai la collocazione, avendole esaminate soltanto per un’ occasione indiretta. Nell’ una (Lista de la Comitiua de lo Illmo S. Lodouico per li alogiamenti de parma) si leggeva Îl nome di m. Mariolo seguito da quello di m. Io. Ant, ed in un'altra (Lista de alozamenti del . S. Ludouico, che riproduce parecchi degli alloggi della precedente e quindi è da ritenersi riferibile alla stessa città) si ritrovava, accanto a quella di Mariolo, la più precisa menzione di Johane ant.” de mariolo, la quale non deve tuttavia farci ritenere che l'uno fosse figlio dell'altro, giacchè, come risulta da un doc. prodotto dal dott. Biscaro in questo Archivio, serie quarta, XII, 1909, p. 375 n., Mariolo e Gio. Antonio de’ Guiscardi erano fratelli. Giovanni Antonio di Mariolo prende parte alla giostra del 1491 (v. Arch. stor. iomb., serie prima, IX, 1882, p. 531 e 533) della quale verrò a parlare ; e potrebbe darsi che l'appunto vinciano « per giannj antonjo . di mariolo » servisse al maestro di memoria per qualche prestazione relativa al torneo, dove questo cavaliere appare vestito alla turchesca;...... « sopra l'elmo uno che cavalcha una tigre » (Arch. stor. lombardo, cit., p. 531), motivo, quest'ultimo, affatto conforme al gusto decorativo di Leonardo, che s’occupò, come vedremo, di quella giostra. ]l foglio, dalla parte della menzione detta, porta studi d'ala artificiale, dall’ aitra appare, disgraziatamente, ritagliato. Il MALAGUZZI, nel vol. cit. su La vitu privata ecc. (cfr. le pp. 481, 482, 564, 735). sembra non distinguere i due personaggi citati (Mariolo e Giovanni Anton è di * CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 453 strazione ducale o della corte intima di Lodovico il Moro; la traccia di qualche pagamento, che non dovremmo ritenere posteriore al 1490 (1); le stesse querele che più tardi Leonardo farà circa il trattamento ricevuto, con oscuri accenni a beneficî, dei quali avrebbe goduto in passato (2); certe piccole prestazioni, che non si sogliono affidare a chi non sia già vincolato da maggiori obbligazioni, e che, quando si voglia vedere negli schizzi ed appunti che le riguardano soltanto semplici rilievi indipendenti da lavori personalmente eseguiti, dimostrano a qual segno Leonardo fosse accolto nell’ intimità dei palazzi ducali; il libero aggirarsi dell’artista nei castelli di Milano, di Pavia e di Vigevano; e finalmente alcune delle allegorie di Leonardo, delle quali fu recentemente messo in dubbio lo scopo, ma che, esaminate nei loro elementi costitutivi, confrontate colle poesie del Bellincioni e del gruppo che vi fa capo, e con qualche miniatura sincrona (ricordata anche dal Malaguzzi), e ravvicinate ai maneggi di Lodovico il Moro(3) Mariolo) ma farne uno solo. Ora, la distinzione si trova, come nei documenti accennati, così in Leonardo (cfr. il noto passo nel ms. S.K.M., III: « morel « fiorentino di messer mariolo chaval grosso à bel chollo e assa[i] bella testa »). Nei ragguagli, che Tristano Catco (Residua, etc., Mediolani, apud Johannem Baptistam et Julium Caesarem fratres Malatestas, 1644, p. 97) e i documenti pubblicati dal Porko (Arch. stor. lomb. cit., pp. 522, 530, 532) danno delle nozze Sforza-Este, troviamo che anche Mariolo de’ Guiscardi prende parte alla giostra datasi per festeggiare quelle nozze, e che il secondo premio è stato diviso per | metà tra c Mariolo Guischardo camerero et alevo de lo Ill . S. nostro barba « [cioè di Lodovico il Moro] » e « Jacomo similiter alevo de M.° Galeazo », Arch. stor. lomb., cit., p. 522. (1) V. la nota a p. 437-438, supra. (2) Cfr. MùLLeR-WALDE, Fin neues Dokument ecc., in Jabrbuch cit., p. 109. (3) Saremmo tentati di aprire una discussione, ma non è qui il luogo, sulle opinioni che il MaLagGuzzi sostiene, nel primo dei suoi volumi sforzeschi, in ordine alle responsabilità di Lodovico verso il nipote Gian Galeazzo. Per consentire col Malaguzzi, bisognerebbe poter dimenticare così il primo colpo di stato del Moro (quando s’' impadronì della Reggenza) e le circostanze, che lo accompagnarono, come il secondo, allorchè usurpò la successione; bisognerebbe ammettere che tra gli attentati alla vita umana non vi sia anche quello che colpisce le prerogative, la dignità, lo scopo, il significato stesso d’un’ esistenza. Togliere dei vanti al mecenatismo di Lodovico il Moro, e, per converso, menar buona la sua condotta politica e dinastica equivale ad esprimere delle opinioni originali; ma sono esse altrettanto giuste? Nè, quanto all'aver chiamato in Italia Carlo VIII, 454 GEROLAMO CALVI ed alla fede di questi in certi suoi metodi di propaganda e di governo, mettono e metteranno sempre in imbarazzo coloro che vogliono negarne la portata od almeno l’intenzione politica (1), per ingenua ch’essa possa sembrare : tutte queste cose, e non soltanto queste, dovrebbero essere vagliate prima di sottoscrivere ad una opinione troppo recisa sull’abbandono e sull’ isolamento di Leonardo durante i primi tre lustri del periodo milanese: sull’ isolamento, intendo, imposto all’artista e non su quello ch’ era cercato da lui, allorchè s’immergeva, solitario e lutto suo, nei suoi studî prediletti. Ma, oltre agli elementi, che abbiamo qui in parte accennato © che sono più o meno noti e discussi, ve ne sono altri che, se non erro, sono stati sinora trascurati e che riguardano in special modo la partecipazione presa da Leonardo all'allestimento delle feste nuziali sforzesche del gennaio-febbraio 1489 e del gennaio 149I (2). Non senza interesse si notano nel ms. B accenni a modi di allestire apparecchi da festa e altri compiti decorativi. Sul fol. 3 possiamo certo accontentarci di pensare che dai diminuir l'accusa si è incaricato uno storico francese. Vaud « L'opere sue Non furon leonine, ma di volpe » vien fatto di pensare davanti alla figura di Lodovico il Moro, che, se deve ad alcuni degli scrittori più recenti il temperato verdetto che infrena la tradizionale accusa di veneficio, ha pur sempre mostrato di appartenere ad un’ epoca,. nella quale perduravano quei tratti caratteristici, che il ManzoNI ha posto così bene in evidenza a proposito del Conte di Carmagnola (v. la Lettre a M.C**° sur l’unité de temps et de lieu dans la tragedie in Le tragedie, gl’inni sacri e le odi di ALessanpRo Manzoni, a cura di MicHeLe ScHeERILLO, Milano, Hoxpli, 1907, p. 354-355). (1) Della più notevole di tali allegorie ho brevemente parlato in questo Archivio, serie quarta, II, 1904, pp. 482-483, a proposito della pubblicazione fattane dal CoLvin. Temi di questa natura, se fossero semplicemente rivolti ad uno scopo morale generico, verrebbero espressi în corpore vili: le favole hanno sempre servito per questo. Ma quando vediamo comparire le insegne o i nomi di chi sta in alto è difficile sottrarci alla conclusione che, allura come oggi, tali rappresentazioni s'informino a un concetto politico. (2) L'UzieLLI (Ricerche ecc., 2* ed. cit., p. 113) volle correggere il MILANESI, che, nel prospetto cronologico allegato alla vita vasariana di Leonardo, aveva sotto entrambi gli anni presunto tale partecipazione, che qui risulta, per il 1489, più che probabile e, per il 1491, certa. - - CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 455 «erso di quel codice si trovano indicazioni di temi allegorici, che sembrano essere considerati da un punto di vista pittorico (« a la «fama si de’ dipignjere », etc.): s'aggiunga che qualche altro appunto del medesimo ms. potrebbe far ritenere che si trattasse, in quel tempo, di dare opera a decorazioni murali: infatti sullo stesso foglio è indicato un modo poco costoso di fare l’azzurro, e a fol. 35 recto sono disegnati dei « palchi portativi per agiugnier (a) a « ornare muri », ed anche pennelli da imbiancare (1), fissì su lunghe aste. In secondo luogo vediamo che il Vinci prende qualche cura di studiare addobbi di stoffe, e disegna, prima a scacchiera, un quadrato formato di « pannj bianchi e cilestri tessutj « ’n schachi per fare uno aparechio » (ms. B, fol. 4 recto) e poi, a scarlioni, un altro di « pannj tirati in a.b.c.d.e f g.h.i.k a da(f)fare uno cielo a uno aparechio » (1v1, le lettere sono ripetute sulla figura). Sappiamo quanto gli Sforza (2) amassero valersi di tappezzerie e di drappi, così a scopo di allestimento interno, come di decorazioni speciali in occasione di ricevimenti e di feste, anche per la città. Verso la fine del 1488, essendo appunto imminenti le solennità per il matrimonio di Gian Galeazzo Sforza con Isabella d'Aragona, si danno le disposizioni, perchè siano trovate « le tapezarie che bisognano per hornare el Domo, el Castello no- « stro de porta Zobia de Milano et lì altri loci sarà necessario « in la venuta dela Illustrissima nostra Consorte |il documento è « in nome di Gian Galeazzo|, quale ha essere in brevi et desi- (1) Per non trascurare nessun dato, che riesca utile ai nostri confronti, notiamo che il CaLco, parlando dei preparativi per le nozze di Gian Galeazzo con Isabella, dice: « Triclinia cubiculaque omnia renouato tectorio dealbantur » TRE srani CÒatci Mediolanensis historiographi Residva e bibliotheca Patricij Nobilissimi Lvcii Hadriani Cottae nunc primo prodeunt in lucem, studio et opera Ioannis Petri Pvricelli. Mediolani, apud Johannem Baptistam et Julium Caesarem fratres Malatestas, etc, MDCXLIV. Vedi Nvuptiae Mediolanensium Dvcum sine Johannis Galeacij cum Isabella Aragona, Ferdinandi Neapolitanorum Regis nepte, p. 64-65. (2) Il BELTRAMI ha pubblicato, nella sua opera sul Castello di Milano, parecchi documenti, che non mancano d'interesse a questo riguardo. Si veda l’op. cit., 2° ediz., alle pp. 241-242, 348-349, e specialmente 331-332 per i telai dei capiceli, che si stendevano nelle sale della Corte (vecchia) e del Castello. Anche il lauro e il ginepro (di cui parliamo più avanti) servivano usualmente per decorazioni, come, per esempio, nelle famigliari cerimonie natalizie, cfr. BELTRAMI, Op. cit., documento del 1471 a p. 277. 456 GEROLAMO CALVI « deramo honorare più poteremo » (1). Descrizioni notevoli degli sponsali, e dell'apparato fatto in quella occasione si trovano in una relazione dell’oratore fiorentino presso la Corte degli Sforza (2), in un documento pubblicato nella edizione moderna del Giulini (3), nella narrazione di Tristano Calco (4), e in quello del canonico Stefano Dolcino (5). Dall’ opuscolo di quest’ultimo. ricaviamo un tratto, che ci sembra divenga interessante per i nostri appunti leonardeschi: DE ARCIS APPARATU sed iam in regum Thronum penetremus. In arce louis quae Diuorum principuni est sedes penitior aula : Palatium illud grande descendentibus prima genialis diei signa patefecit: Huius enim areae forma quadrangularis est: duplici coenaculo a tribus lateribus circumsepta, Triplinthii muri mira altitudine sublimes: Medii fascia Cyanea duobus cubitis lata inter Ecphoras circumuestiti. Hanc fasciam uarii centaurorum: Deoruinque syluestrium lusus implent. Supra infraque luniperi torquibus: hederarum coronamentis: & lauri plectis restium more inter se implicitarum frondenti gyro totum ambitum cingentibus: Ab his Ducalis potentiae: & subditarum ciuitatum in hederarum spirulis corruscantia insigria dependebant. Ad caput uero capacis Area supra proiecturze pra cinctionem binae Aquilae : ‘totidemque uiperae coronis radiantibus seuientes in orbiculatis Trichis demittebant. Quartum latus temporaria porticu alia omnia superante: desinentis muri utrumque linbum eodem tenore continuabat. ex lunipero tanquam ex marmore stantes columnae fron- (1) BeLTRAMI, /l Castello di Milano, 2° ediz. cit., pp. 444-445. Il documento è datato da Vigevano, 15 dicembre 1488. (2) In Roscog, Vita di Lorenzo de Medici, III, Pisa, 1799, appendice (Doc. n. XXIV), p. xc e sg. E° la stessa lettera pubblicata nel vol. su La vita frivata, ecc., cit., p. 458, dal MaLaGuzzI, che lo trascrive colla data del 2, ma, per una svista, alla quale ha evidentemente dato occasione il numero romano, lo presenta con quella dell’rI febbraio. (3) GiuLINI, Memorie spettanti alla storia, al governo ed alla descrizione della città e campagna di Milano nei secoli bassi, Milano, Colombo, 1854-57, vol. VI, pp. 649-655. Ivi si premette che la descrizione è tratta dalla parte inedita (presso l’ASM) delle Memorie sulla storia dell'ex ducato di Milano, di MicHELE DaAvERIO, che l’avrebbe tratta, a sua volta, da un ms. esistente pure nell’archivio di Stato milanese, (4) Vedi la citazione a pagina precedente. (5) DuLcinius (P. STEPHANUS), Scalae Canonicus. Nuptiae INustrissimi Ducis Mediolani. Opera et impensa Spectabilis Viri. D. Io. Antonii Coruini de Arretio: uir in hac arte ingeniosissimus Antonius Zarotus Parmensis impressit Mediolani M. CCCCLXXXVIIII. - CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 457 deos fornices Corymbiferis Capitulis sustinebant: eo artificio concamerati & auro intercrepitante rasiles: ut nulla foliorum asperitas: nulla ramorum inter se connexorum inconcinnitas artis pretium imminueret. Putares haec uel ita nata: uel pictorum penicillo ellaborata: Sub hoc quasi quodam Topiario vpere: principalis Ponipa equis insidens ad arcis portam tecta perueniebat (1). I particolari di questa decorazione del castello, che si riferiscono all’ allestimento di un portico rivestito di verzura, concordanti con quelli dati dal Calco (2), richiamano le note e gli schizzi a fol. 28 verso del ms. B. Ivi troviamo disegnate armature in forma di colonna e di portico, colle spiegazioni concernenti il rivestimento di esse: « a cquesta cholona si lega dintorno 4 pertiche dintorno « a Je quali s'inchioda vinchi grossi uno dito e poi si fa da piè e « uassi in alto legando mazoli (di gin) di cime di ginepro cholle « cime jn basso cioè sotto sopra » « sia da l’uno a l’altro cierchio uno '/, . braccio e ’] ginepro « si de’ vigiere chole cime in giv cominciando di sotto ». « modo come si debe mettere le pertiche per legare i mazoli « de’ ginepri sopra esse pertiche le quali sono chonfitte sopra l’ar- « madura . della volta e (c) lega essi macolj [mazoli] chon salcj e le « superfrue [superflue] cime tosa colle. forbici o lavorale co’ salci ». « modo come si fa l’armadure per fare ornamenti in forma di « edifitj » (3). i (1) Ivi, fol. 8 recto e verso (numerazione nostra). (2) « Ab altero compluuij capite, quod sub diuo patet, excogitatum est noui « generis tectum. Porticus id fuit, ramulis virentis iuniperi excitata, septem for- « nicibus continuato opere, ac totidem columnis consimili viriditate fabricatis: « qua res, prater iucunditatem aspectus, gratissimum etiam late odorem fun- « debat. Ipsorum fornicum transuersarij liminaresque arcus aureis fasciolis di- « stincti: & in medio atque in capitellis tabellae cum superiorum Ducum ima- « ginibus affixae », TRIST. CHALCI, Residua cit., p. 65. (3) Ho dato una trascrizione il più possibile vicina alla trascrizione diplomatica: la riproduzione del RAvaIsson-MOLLIEN è in parte confusa; e il confronto coll’ originale esistente a Parigi mi ha fatto notare qualche errore nella lettura dell’editore francese (così, nel terzo frammento, « movere » invece di « mettere »; « superfatte » invece di « superfrue »; e rosa » invece di « tosa >). Oltre ai passi trascritti cfr. ancora la nota (coi relativi schizzi) a fol. 54 verso: « armadura da uno tiburio da festa » e a fol. 78 verso (sempre del ms. B): « Questo . è il modo d’armare vno . palcho . da(f)feste e(s)se non uoj . che 458 GEROLAMO CALVI Queste indicazioni di Leonardo fanno pensare ch’egli fosse incaricato dei preparativi per la decorazione nuziale o almeno li seguisse ed osservasse assai da vicino. La coincidenza appare sopratutto nel particolare, che riguarda la tosatura delle cime dei ginepri, operazione che, nell’ apparato per le nozze di Gian Galeazzo, fu così bene eseguita da dar luogo alle riportate espressioni del Dolcino: « .... eo artificio concamerati et auro intercrepitante rasiles: ut nulla foliorum asperitas: nulla ramorum inter « se connexorum inconcinnitas artis pretium imminueret. Putares « haec uel ita nata: uel pictorum penicillo ellaborata ». Gli sposi, dice un terzo descrittore riassunto dal Daverio, « tenendosi per mano, entrarono in castello, nella corte del quale « erano stati tappezzati /i muri con fanno azuro su del quale « eranvi dei festoni d’edera e di alloro facto all’ antiqua. Inoltre « su dello stesso eranvi le insegne ducali, quelle della città e dei « castelli dello stato, con centauri depinti alla custodia d’epse. Nella « grande corte del castello verso la rocca, cominciando dal ponte « fino alla porta di mezzo, ch'era un tratto di cammino di 140 « braccia, si era costrutto un port'co in vuolto sostenuto da sette « colonne, tutte de zenevro con gran arte ornate de le soprascripte La e « arme et liste d’oro’ » (1). I festeggiamenti per il matrimonio di Gian Galeazzo con Isabella furono interrotti dal lutto, che in quegli stessi giorni recava la notizia della morte d’Ippolita d'Aragona, madre della sposa. ll Solmi ritenne probabile, in base alla didascalia d’un sonetto composto dal Bellincioni a proposito della rappresentazione del Paradiso, ideata da Lodovico il Moro ed allestita col concorso di Leonardo, che questa dovesse far parte degli spettacoli allora preparati e dovuti poi rimandare a causa del luttuoso evento (2). Lo « chagia . attraverso . ferma . ferma [sic] il legnjo. m. ne(s)simile .r.s. « chon.r.p.||m.gp.in. nel pedale del legnjo. o. p. ». Si vedano pure i i senza scritto a tal 29 verso, con quelli ini a fol. 28 Vera: e l'indicazione a fol. 20 verso « per rizare vn antena con facilità ». (1) In GIULINI, ed. e vol. cit., p. 652. Giova avvertire che la descrizione è data qui di seconda mano dal Daverio, che l’ha rifusa lasciando in corsivo le espressioni originali. (2) E. SoLmI, La festa del Paradiso di Leonardo da Vinci e Bernardo Bellincione (13 gennaio 1490) in Arch. stor. lomb., serie quarta, I, 1904, p. 78 e 39, nota, - CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 459 stesso autore mise-in luce la data effettiva di quella rappresentazione, pubblicando in questo Arc/:vt0 un importante documento isegnalatogli dal Bertoni) della biblioteca Estense, nel quale la festa è descritta con abbondanti particolari, ma senza che noi vi troviamo il riferimento, che al Vinci è fatto nelle parole (1), che sono premesse ai versi composti dal Bellincioni per quella festa. Tali parole, tuttavia, insieme col ricordo delle altre occasioni nelle quali vediamo all'opera il de/itrarum maxime theatralium muirsficus inventor et arbiter (2), e la natura dello spettacolo, allestito con speciali meccanismi, sono sufficienti a farci ritenere che Leonardo vi attendesse. Rimandiamo i lettori alla descrizione sincrona pubblicata dal Solmi per l’apparato, le fogge degli intervenuti, il trattenimento che precedette la rappresentazibne e quindi l’azione teatrale, che corrisponde fedelmente all'ordine dei versi del Bellincioni; nei quali non troviamo nè genialità, nè elevazione, ma certa pesantezza cortigiana, che si strascina dal principio alla fine. Probabilmente il sommo Leonardo non fece gran caso del secentismo anticipato del poeta, e non attese che alla perfezione dell'apparecchio ed all’ordinato svolgimento dei compiti, che erano stati affidati a lui. Abbiamo noi appunti o ricordi personali di Leonardo riguardo a quella festa sforzesca? Il Solmi (3), a proposito dei « x1J signi, « con certi lumi dentro dal vedro, che facevano un galante et bel “« vedere », ricorda lo schizzo di una lampada a fol. 80 recto a del Codice Atlantico e la nota che lo accompagna: « questa palla es- « sendo di vetro sottile c(n) piena d’acqua renderà gran lume ». (1) Le quali si debbono ascrivere a Francesco Tanzi, che raccolse e pubblico le poesie del Bellincioni, dopo la morte di questi. Il Tanzi, nella lettera dedicatoria a Lodovico il Moro, pur ricordando la dimestichezza avuta col Bellincioni, onde più facilmente ha «e possuto cognoscere la intentione sua », dichiara che l'ordinamento del libro gli è riuscito difficile e laborioso e per aver € trovato, como ho predicto, queste rime molto confuse, senza ordine et senza « tituli, o vero argumenti » etc. Di qui è lecito arguire che le didascalie siano opera del Tanzi. Le parole che ricordano la festa del Paradiso possono esser credute anche per la breve distanza (tre anni, a un dipresso) che la separò dalla data dell'edizione delle poesie del Bellincioni, curata dal Tanzi. (2) Pau: Iovn, Leonardi Vincii vita, rip. in Bossi, Del Cenacolo di Leonardo da Vinci, Milano, Stamperia Reale, MDCCCX, p. 20. (3) In Arch. stor. lomb. cit., p. 86, nota. 460 GEROLAMO CALVI Ma nè forse il Solmi pretese darci altro che un termine di confronto per il sistema, al quale potè ricorrere Leonardo, nè la connessione immediata collo scopo della rappresentazione sarebbe qui provata. L’ elegante candelabro, sul quale poggia il globo della lampada, parrebbe piuttosto indicare una diversa e più durevole destinazione. Il Malaguzzi (1) richiama utilmente un altro frammento vinciano, pubblicato dal Richter, e la menzione, che si trova accanto ad un rapido schizzo sul foglio 231 verso a del Cod. Atl., di un « ocel « de la comedia », che si riconnette quasi certamente coi congegni teatrali di Leonardo per questa o per altra occasione. Forse è da connettersi con la prima parte della festa e con la scelta o con la disposizione di una sala, che s’adattasse bene allo svolgimento del programma allora eseguito, l’ interessante passo, che si trova a fol. 214 recto b (2) del Codice Atlantico. e che potrebbe tuttavia appartenere ad un anno più inoltrato: la sala della festa vole avere la sua colletione in modo che prima passi dinanti al signjore e poi a’ chonuitati e(s)sia il camjno ifn]} modo che hessa possa venjre in sala i[n]} modo nun passi dinanzi al popolo piv che(l)l’omo si voglia he sia dall’oposita parte situata a risscontro al signjore la entrata della sala e(l):e scale comode i[n] modo . che sieno anplie i{n] modo che le giente per quelle non abino vrtando ?inmasc[h]Jerati a guastare le loro [f]oggie quando vsscissi [...]la turba d'omjnj] [....] chon tali imasschefrati] Vole tale sala a[vere] due camere per testa [....] sua destri doppi [Oltre] a di questo vn vscio [per la coljletione e vn per li mafsche]ratj - , (3). (1) Bramante e Leonardo da Vinci, cit., p. 469. (2) Per errore di stampa, questo foglio è numerato 213 nella pubblicazione del codice. Il passo è stato pure trascritto dal MùLLER-WALDE, in appendice al citato studio, Ein neues Dokument, etc., in Jabrbuch cit., pp. 157-158; ctr. p. 96, nota; e ricordato fuggevolmente dal SEIDLITZ, Op. cit., I, 147. Il dubbio sulla corrispondenza cronclogica del foglio ci è dato dalla scrittura e da una breve serie d’appunti, che si trova sulla stessa pagina. (3) Per completare quanto possiamo raccogliere dai manoscritti circa alla parte che Leonardo può aver avuto nell’ organizzare travestimenti, ricordiamo anche il seguente frammento del ms. I (fol. 49) [I] verso): « veste da carnovale « per fare vna bella veste togli tela sottile e dalle vernjce odorifera fatta d’olio « di trementina e vernjce in grane e oi [sic] colla stanpa traforata e bagnjata « a ciò non si apichi e questa stanpa sia fatta a gruppi i quali poi sien rienpivij « di mjglio nero e ’l canpo di mjglio bianco ». CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 461 Sia che il passo sopra riportato si riferisca alla festa ora descritta, sia che debba ascriversi ad una data posteriore, esso può ad ogni modo dimostrare come, con simili disposizioni, quando Leonardo era incaricato di organizzare un divertimento di tal genere, egli si preoccupasse dapprima di assicurare la regolarità e l’ordine del suo svolgimento : e questa può essere un’ altra ragione per confermare a Leonardo la parte da lui avuta in questa festa, la quale, come dice il documento già più volte citato, « è stata « tanto bene ordinata et conductta, et con tanto scilentio et bono » modo, quanto al mondo sia possibile a dire et exprimere con « lingua » (1). La prima parte della festa del 13 gennaio 1490, che ci ha richiamato quel frammento del Codice Atlantico, consisteva appunto (come si rileva ancora dalla citata relazione manoscritta) nella successiva presentazione di gruppi di maschere, con fogge, rispettivamente, a « la spagnola », « a la polacha », « a la ungarescha », « a la turchescha », « a la todescha », e « a la francese »; ciascun gruppo recava un omaggio a Isabella da parte del sovrano del paese, dal quale fingeva di provenire; e ad ogni nuova presentazione seguivano balli di maschere. Il travestimento « a la todescha » è così descritto: « quattro chioppe {coppie) de maschere, vestiti « tutti de panno verde, et così le calze, con certi mongini facti a « la todescha fino a la polpa de la gamba, le quale erano tutte. « tagliuzate, et sotto v’ era brochato d’oro, che faceva uno bello « vedere, in testa avevano chaviare lunghe arizate, como porta li « todischi, con un retorto sopra ditti capilli e nel quale dinanzi » avevano penne de scargette con uno balasso dentro ne la fronte « et conle scarpe da le punte lunghe » (2). Un disegno di Windsor, che il Muller-Walde riferisce al precedente periodo fiorentino, ci presenta (3) una figura di giovane cavaliere, ritto, colle gambe div.ricate, un’asta leggera nella mano destra, la sinistra poggiata al fianco, il corno a tracolla, il corpo vestito d’ un caratteristico costume ricchissimo di liste e di svo- (1) Arch. stor, lomb. cit., p. 80. (2) Ivi, pp. 84-85. (3) Braun n.° 192; MùLLER-WALDE, Leonardo da Vinci . Lebensskizze, etc.,cit., ill. 36; SEIDLITZ, op. cit., I, tav. XXIII, a fronte della p. 144. "e 462 GEROLAMO CALVI lazzi alle maniche (dalle quali sporge tuttavia libero l’avambraccio) scendenti sino ai polpacci delle gambe, e con una giubba di pelle o di stoffa maculata, stretta in vita, portante una divisa sul petto, e frastagliata alquanto irregolarmente dov’essa termina, cioè alle cosce. La capigliatura, che scende folta e arricciata sulla nuca, è raccolta, all’altezza della fronte, da « uno retorto », sul davanti del quale, appunto come nel costume « a la todescha » della festa, s’ergono delle penne. Questo dettaglio, le « chaviare lunghe arizate, « como porta li todischi » e l’altro particolare delle maniche pendenti e frastagliate sino ai polpacci, nelle quali ci sembra riconoscere i « mongini facti a la todescha » della descrizione pubblicata dal Solmi, favorirebbero la supposizione che noi ci troviamo davanti ad uno studio fatto per questa festa. Anche indipendentemente da tale supposizione, il carattere del disegno, più molle e fuso che quello del periodo fiorentino, fa ritenere che, anzi che a questo, come suggerisce il Muller-Walde (1) il disegno ora descritto ed un altro (con una figura femminile, anch’essa in costume), pure di Windsor, si debbano assegnare all’ epoca milanese. En- (1) Op. cit., pp. 74:75, € ill.» 36, 37. Il secondo di questi disegni rappresenta a figura intera una giovane donna, col busto raccolto in una specie di maglia corazzata, della quale l'intreccio abbastanza fitto si svolge a minuti scarlioni e termina in lembi palmati, all’altezza delle cosce, dopo essere :tato stretto alla vita da un cordone che, annodato davanti, nel mezzo, cade intrecciandosi al di sotto con un doppio giro di curve. La gonna è semplice, leggera, agitata in graziose pieghe. Le maniche sono ricche, a rigonfiamenti e a liste elegantissime, e queste, lungo l'avambraccio, dove la manica è più attillata, condotte a spirale. L’ acconciatura è in parte raccolta e in parte sciolta. Il braccio sinistro disposto ad ansa, col dosso della mano poggiato al fianco, offre l’identico atteggiamento che quello corrispundente della figura maschile prima descritta (colla quale potrebbe formare una delle coppie mascherate): la disposizione delle gambe alquanto divaricate e la direzione del viso sono poco differenti. La mano destra tiene, invece dell’asta, una palma. Il MùLLER- WALDE mette distintamente in relazione colla giostra di Giuliano de’ Medici, del .8 gennaio 1475 (ch'egli riferisce al 28 giugno 1476) le due figure ricordate supponendo anche, op. cit. p. 75, che la seconda possa rappresentare la Simonetta) ed un terzo disegno, op. cit., ill. 38, che rappresenta una figura intera di cavaliere in sella e che, per il caratteristico tratteggio di mano mal ferma proprio di alcuni fogli leonardeschi degli ultimi anni, parrebbe doversi riferire al soggiorno di Leonardo in Francia. ì CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 463 trambi i figurini sono eseguiti, caratteristica che sembra potersi rilevare sopratutto negli anni che ora studiamo, a graffite (1). Ed ora, prima di venire a parlare delle feste del gennaio successivo per le nozze di Lodovico il Moro con Beatrice d’ Este e di Anna Sforza con Alfonso d’ Este, e della parte che vi prese Leonardo, gioverà accennare a qualche ben noto dato cronologico relativo alla statua di Francesco Sforza. Circa sei mesi prima che Leonardo allestisse la rappresentazione del Paradiso, l’artista aveva corso il pericolo di vedersi ritolta l’allogazione del gran cavallo, nella quale sì può ritenere che avesse riposto la sua più alta speranza di fama. È conosciuta la lettera scritta dall’ oratore fiorentino, Piero Alamanni, a Lorenzo de’ Medici per chiedergli, in nomè di Lodovico il Moro, l’invio di un nuovo scultore atto a sostituire Leonardo, dal quale lo Sforza sembrava ormai disperare di ottenere l’opera compiuta. È probabile che quest’atto di Lodovico il Moro sia stato determinato dalle note lentezze e incertezze di Leonardo ed anche dal desiderio impaziente, che Lodovico doveva nutrire, di poter almeno far figurare, come simbolo maggiore della grandezza della sua casa, il monumento equestre nelle nozze sforzesche. Forse (ed io mi scosto in ciò così dal Malaguzzi (2), il quale tende a ritardare la data dell’allogazione e a sorvolare sul primo periodo degli studî e dei lavori di Leonardo per il colosso, come dal Muller-Walde, il quale suppone (3), contrariamente al tenore della lettera dell’Alamanni, (1) Un quarto disegno, che il MoLLER-WALDE, op. cit., p. 75, ascrive pure al primo periodo fiorentino scorgendovi una rappresentazione di Beatrice (ma della Beatrice dantesca e non di Beatrice d’ Este, come, per una svista che rimonta all’ Uzielli (cfr. MùLLer-WALDE in Jabrbuch cit., p. 104, nota) crede il MALAGUZZI, nel presentare questo disegno a p. 528 del vol. cit. su La vita privata e l’arte, ecc., Milano, Hoepli, 1913) è riprodotto dal MaLaGUZZI, l. c., a fronte della figura maschile, che abbiamo esaminato per prima; ed entrambe sono considerate come possibili costumi per rappresentazioni teatrali. Ma, mentre per la figura maschile ciò può ritenersi quasi certo, la così detta Beatrice, che potrebbe realmente appartenere al primo periodo fiorentino, non ne presenta indizî altrettanto convincenti. (2) Bramante e Leonardo da Vinci, cit., p. 438 sg. (3) Fin neues Dokument, etc., in Jabrbuch cit., p. 93. L'opinione è ripetuta, un po’ attenuata, dal SEIDLITZ, op. cit., I, 157. Già l’UzieLLI, fondandosi sulla lettera di Piattino Piatti, che citotii seguito, opinò che alla fine del 1489 il modello fosse terminato e pronto ad essere gettato. V. Ricerche, ecc., serie prima, 2* ediz, cit., pp. 117-118. + , ® " "% 464 GEROLAMO CALVI che Leonardo avesse già portato a buon punto, nel 1489, un primo modello giudicato sfavorevolmente dal Moro) dopo una lunga serie di disegni, di studî preparatorî e di tentativi, l’opera non entrava nella sua fase esecutiva che per lo stimolo prodotto dalla nuova minaccia sull’animo di Leonardo. E d’altra parte, nel ms. C si legge, a fol. 15 verso: « a di . 23. d’aprile . 1.4.9.0 cho- « minciaj. questo . libro e richominciaj . il cavallo ». Che l’artista si desse attorno, appena vista la mala parata, per evitare il ritiro dell’allogazione a lui affidata e per ripristinare prontamente la fiducia in lui riposta, parve confermato (1) da una lettera scritta, il 31 agosto dello stesso anno, da Piattino Piatti, nella quale questi pregava lo zio G. Tomaso Piatti di far pervenire a Leonardo da Vinci un suo epigramma per la statua di Francesco Sforza: « Tetrastichon meum his litteris inclusum : uelim pro tua hu- « manitate mi Patrue per unum ex Famulis tuis Leonardo Flo- « rentino nobili statuario quamprimum meo nomine reddendum « cures. Quod a me iam pridem ipse petierat; et ego receperam « me facturum in statuam equestrem loricatam : quam diuo Fran- « cisco Sfortiae benemerenti: gratus optimo patri filius Ludouicus « Princeps positurus est. Recepi inquam : licet imparem me tanta « rei cognoscerem: cui ne a poeta quidem egregio satisfieri pos- « set: sed non sum ausus offitium tam debitum ei denegare. Tum « propter ingens studium meum erga Principem illum: tum non « leui quadam que mihi cum ipso Leonardo intercedit amicitia. « Neque tam temere suspicor idem a compluribus aliis eumdem « artificem petiisse : qui multo fortasse disertius rem istam expri- « ment ». Etc. (2). Benchè l’invio dell’epigramma, chiesto e promesso sam fpridem, potesse essere indipendente da un risveglio d'attività nello scultore per effetto dell’episodio accennato, rimane tuttavia probabile che Leonardo rompesse gl’indugi e le prove, e si accingesse al- (1) Cfr. SoLmi, Leonardo, cit., p. 57. (2) La lettera si trova a carte 21 delle Epistolac Platini cum tribus orationibus et uno dialogo (stampate da Gottardo da Ponte nel 1506) e riportata dal Bossi nelle note alla sua opera sul Cenacolo, Milano, 1810, p. 258. Cfr. ATTILIO SIMONI, Un umanista milanese, Piattino Piatti, in questo Archivio, Il, 1904, p. 285-286: dove si dà, per una svista, alla lettera la data del settembre. Go ogle i CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 465 l'esecuzione o la riprendesse: e sarebbe naturale che il lavoro, condotto sotto lo stimolo di congiunture impellenti, dovesse in breve apparire, stornata la minaccia che gli era stata di sprone, precipitato all’artista lentissimo e dubbioso, che esercitava continuamente una critica severa sopra sè stesso: e perchè le operazioni effettive non erano avviate od uscite da una fase affatto rudimentale che da poco tempo, il maestro si lasciasse vincere nuovamente da considerazioni di scelta e di disegno,. e ricominciasse il modello. Un tale svolgimento di fatti (conforme alle relazioni cronologiche, nelle quali starebbero la lettera dell’Alamanni, quella del Piatti e l'appunto del 23 aprile 1490) sarebbe il più spiegabile in una natura come quella del Vinci, desiderosa di riuscire quanto inclinata all’abulia dal pensiero analitico. Nei manoscritti di Leonardo non abbiamo trovato sinora traccie dirette di una vertenza tra Lodovico- il Moro e l’artista, anteriore o immediatamente successiva alla lettera dell’Alamanni, nè delle. giustificazioni del maestro, le quali è da supporsi che non mancassero di essere da lui avanzate, come lo furono dopo la più grave rottura più tardi avvenuta tra lui e lo Sforza, allorchè egli aveva l’incarico di dipingere i « camerini ». A questa, e non all'episodio del 1489, come suppose il Solmi (1), dovrebbe riferirsi lo scritto frammentario a fol. 315 verso a del Cod. Atlantico, il quale è certamente dello stesso tempo degli altri appunti, disgraziatamente monchi, per una lettera al Moro sul fol. 335 verso a dello stesso codice (2). Invece, come la parte avuta dal maestro nella festa e rappresentazione del Paradiso ci dimostra che al principio (1) SoLMI, Leonardo, cit., p. 56. Lo stesso A. nelle note in fondo al volume, dove cita il foglio del Cod. Atl. secondo l’antica numerazione, adottata dal RicHTER, aggiunge tuttavia: « Altri riferisce questo frammento al 1499. » (op. cit., p. 228). Nei regesti vinciani pubblicati nella Raccolta Vinciana, fasc. 29, PP. 35-36, i due passi a fol. 315 verso a e 335 verso a del Cod. Atl. sono elencati, dubitativamente, sotto l'anno 1490. li MALAGUZZI accetta anch’ egli, sotto riserva (Bramante e Leonardo da Vinci, cit., p. 440) la stessa data, che non ritengo essere la vera. Cfr. MoLLER-WALDE, Fin mewes Dokument, etc., in Jahrbuch cit., p. 107-118. (2) Si può rilevare la concomitanza dei due fogli con certezza, oltre che da considerazioni intrinseche, dalla perfetta somiglianza della scrittura minuta, e specialmente dal fatto, che il maestro ha disegnato, con l’identico stile e tratteggio, su entrambe quelle pagine, le foglie d'una medesima pianta in due diverse posizioni. Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc, III. 30 " 466 GEROLAMO CALVI del 1490 l’artista si rendeva tuttavia accetto alla corte degli Sforza, un altro indizio, in apparenza insignificante, sembra rivelarci come Leonardo si ripromettesse di vincere finalmente la sua causa per quanto riguardava le opere di fama, nelle quali riponeva i proprt titoli di gloria: Il Beltrami, esaminando, a proposito di un libro del prof. Baratta, i rebus di Leonardo, conservati nella raccolta di Windsor, rileva che una di queste innocue ricreazioni, combi. nata sulle parole: « infino a(c)questo tenpo non è fatto maj al. « cuna opera ma io so che le presenti mi faccino trivnfare », ci porta « a ravvisarvi un nesso colle condizioni in cui ebbe a tro- « varsi Leonardo nei primi tempi del suo soggiorno alla Corte a Sforzesca, alla quale si era annunciato colla famosa lettera elo- « giante le svariate sue attitudini. Con quella frase » (prosegue lo stesso autore) « Leonardo riconosce di non aver compiuto alcun « che di notevole ma esprime la persuasione che i lavori in corso « gli faranno buon nome. Il rebus quindi si spoglia del vano e « superficiale suo interesse per costituire, non solo una intima ri- « velazione dell’animo di Leonardo, ma una testimonianza di ac- « corgimento dell’artista, in un momento difficile della vita. Le « note lentezze di Leonardo nei lavori commessigli da Lodovico « il Moro non dovettero tardare a suscitare diffidenze contro di « lui. in tale condizione di cose non è lecito forse di pensare che « l’artista, il quale non godeva certo di quella familiarità presso « il Duca che noi siamo inclinati ad ammettere in considerazione « del suo ingegno » (il Beltrami si accosta, ma in modo meno unilaterale, a quell’opinione, che ho condiviso solo a metà), « abbia « veduto nell’ innocente passatempo dei rebus destinati ad allietare « le serate della famiglia ducale il mezzo per richiamare l’atten- « zione di Lodovico il Moro su di una frase che voleva essere « giustificazione del proprio operato, e rinnovato impegno a cor- « rispondere alla fiducia in lui riposta? » (1). Una considerazione ci sembra venire, per il tempo, del quale ci occupiamo, a confermare la geniale supposizione del Beltrami. Mentre i fogli di Windsor, contenenti i singolari rebus di Leonardo, non portano, a quanto pare, alcuna data, essi trovano tuttavia un disperso ma prezioso termine di confronto in un appunto lasciato dal maestro sul fol. 76 verso a del Codice Atlantico, dove, appena oltrepassata la metà (1) polifilo. I « rebus » di Leonardo, in Corriere della sera, 16 febbraio 1905. i CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 467 della pagina, a destra, si legge la frase « molti ci gabano » e sotto all’ultima parola si vede disegnato un gabbano (1). Qui abbiamo dunque un piccolo saggio di rebus accompagnato dalla sua spiegazione, come negli esempî di Windsor, è, per una coincidenza fortunata, il foglio (capovolto) presenta la data a di 23 d'aprile 1490. Questa data è molto interessante perchè è la stessa che si ritrova nel ms. C, a fol 15 verso, come abbiamo già visto : « a dì. « 23.d’aprile.1.4.9.0 chomjnciaj . questo . libro e richomjnciaj. « il cavallo ». Di seguito a questa memoria troviamo nella stessa pagina del ms. C ricordi di data posteriore, venendo sino all’aprile del 1491, onde si potrebbe supporre che la data del 23 aprile 1490 si trovasse fissata in altra parte dello stesso codice, dalla quale il Vinci la riportasse, e che forse quel foglio (76 a) dell’Atlantico, che per il formato sembra corrispondere al nominato manoscritto parigino, vi appartenesse originariamente. Ad ogni modo la coincidenza tra le due date e il piccolo rebus, come aggiungono peso alia ipotesi del Beltrami, così rendono doppiamente interessante lo studio di quella pagina del Codice Atlantico, se per avventura essa serbi ancora qualche elemento significativo per le manifestazioni ‘dell’artista in quel punto della sua vita. Noi vi troviamo ancora l'eco del desiderio di una gloria non peritura, col quale l’artista lavora e pensa alle opere che rendono l’uomo indenne delle fatiche sopportate: « O dormjente . che chosa. è sonno Il sonno à « (s)simjlitudine . cholla . morte. O perchè non faj.adunque tale « opera che dopo la morte tu abi simjlitudine di perfetto viuo che « ujuendo . farsi chol son[n]o simjle ai tristj mortj — ». Sullo stesso foglio Leonardo biasima la vanità degli alchimisti: « I bugiardi interpitrj di natura . affermano lo argiento viuo. es- « sere . chomvne semenza . a(t)tutt} . i metallj. non si richordando « che(l)la natura varia le semenze . sechondo la diuersità delle « chose che essa vole produre al mondo »; respinge la critica degli incompetenti : « Mal faj se laldi e pegio . (is) [se] tu riprendi « la cosa quando bene tu nolla intendi ». E tra sentenze, facezie (con un’allusione anche all’architetto Giovanni Bataggio da Lodi) e ricette, ritroviamo su quel foglio il (1) Evidentemente il significato era quello che è nell'uso moderno toscano: « Sorta di mantello con maniche usato per lo più dai contadini ». GIORGINI, Novo vocabolario della lingua italiana, II, Firenze, Cellini, 1877, p. 203. LO ogle 468 GEROLAMO CALVI formatore nelle sue operazioni in ordine al modello, od alla fusione delle artiglierie : « per richuocere . il giesso che [...] non si « disfacia per gittare mettiuj dentro gromma di uasello (e) cruda « cioè chom'ella . esscie det uasello e gittato che aj metti la forma « i{n] molle e disfarassi ». Verso la metà di giugno dello stesso anno 1490, Leonardo si recava, come risulta da un documento (1), con Francesco di Giorgio, a Pavia per le consulte sulla fabbrica del Duomo di questa città. È possibile che, quando Francesco di Giorgio lasciava Pavia (dopo. una dimora di pochissimi giorni), Leonardo (che pure aveva alloggiato alla stessa locanda, e poteva avere lo stesso motivo di ripartire, cioè quello di seguire nuovamente in Milano lo svolgimento della questione relativa al tiburio) vi si trattenesse invece - con qualche discepolo, che poteva averlo seguito o raggiunto in quella occasione. Tuttavia gli elementi, coi quali il Solmi (2), proponendo l’ ipotesi di un prolungato soggiorno dell’artista a Pavia, procurava illustrarla, non sembrano doversi riferire all'anno 1490, mentre il documento, che ne formerebbe la prova principale, deve essere, come vedremo, ripreso in esame per una. rettifica ch'è, al nostro proposito, decisiva. Le referenze del Solmi sono quasi tutte tratte dal codice B, che difficilmente, come già ho osservato, si saprebbe ritenere scritto oltre il 1489. Ed è perfettamente ragionevole il credere che Leonardo avesse già visitato una o più volte Pavia prima di tale anno. Un altro ricordo è quello citato a fol. 225 recto b del Codice Atlantico : « fa d'avere. vitolone ch’è nella li- « breria di pauja che tratte [tratta] delle matematic[h]e », altra nota che non riveste per sè carattere d'attualità rispetto al 1490 piuttosto che ad altri anni. Così le prime furfanterie di Giacomo possono essere accadute a Milano o a Pavia, indifferentemente. Non v’ha dubbio che, a partire dal 26 gennaio del 1491, i tirì del piccolo mariuolo sono fatti in Milano; e se i precedenti avessero (1) In MALASPINA DI Sannazzaro, Memorie storiche della fabbrica della cat tedrale di Pavia, Milano, Pirotta, 1816, p. 10, riportato in UZiELLI, Ricerche, 2° ed. cit., p. 122-123, e in MAJOCCHI, Giovanni Antonio Amadeo, Pavia, Fusi, 1903, p. 22. Cfr. anche i documenti dell’ 8 e del 10 giugno 1490, pubblicati l’uno da E. MOTTA in Bollettino stor. della Svizzera îtal., 1884, p. 19 e l’altro, che citiamo più avanti, del MALAGUZZI. (2) Leonardo, cit., pp. 53-55. E prima di lui I'UzieLtLI, Ricerche, 2 ed. cit, pp. 128-129. Go ogle i CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 469 avuto luogo nell’altra città minore, Leonardo avrebbe probabilmente notato una tale circostanza, come si ricorda-spesso di fare. Riprendiamo ad ogni modo le mosse da questo divertente episodio, del quale si trova il riepilogo a fol. 15 verso del ms. C sotto alle parole già citate, che fanno memoria dell’inizio dato al libro, il 23 d’aprile del 1490, e ridato al cavallo, lo stesso giorno: Jachomo vene a stare.cho[n] mecho ]Jl di della madalena (1) nel mille 490.d’età d’anj Io lì sechondo di li feci tagliare 2 dii uno paro di chalze e vn gilu]bone e(c)quando mj posi i dinari allato per pagare dette chose lu) mj rubò — (“ladro bugiardo ostinato ghiotto ,, scrive, in margine a questo passo, leonardov ,) — detti dinari della scharsella e maj fu possibile farliele chonfessare bench’io n’avessi vera cierteza lire 4 Il dì seguente anda) a ciena chon jachomo andrea (2) e detto iachomo. cienò per 2 e fece male per 4 inperochè ru(/er)pe 3 amole versò il ujno e dopo questo vene a ciena dove me Ite[m] a di 7 di settenbre. rubò uno graffio di ualluta di 22 soldi a marcho che staua cho mecho JI quale era (dî ua/uta di) d’argiento e(t) tolseglielo del suo studiolo e poi che detto marcho (g/ielede) n’ebe assaj cier[c]o lo tro(vò) naschosto (i)nella chassa di detto rachomo ire] 1 s[oldi] (3) item an. chona: a di 2 d'aprile \assciandi giannantonjo uno graffio d'argiento sopra uno suo disegnjo esso iachomo gliele rubò il qual era di ualuta di soldi 24 i[ire] 14 sfoldi] 4 Questo passo, che tosto avrò occasione di completare, oltre a darci un curioso ragguaglio dei misfatti di Jacomo ed una prova del paziente spirito del maestro, il quale, in casi di questo genere, si limita, alla resa dei conti, a fare, come sembra, una nota dei danni per chi ha da rispondere del ragazzo (4), e del resto non par (1) 22 di luglio. (2) Giacomo Andrea da Ferrara. (3) Riproduco poco più sotto la parte, che ometto qui. (4) Nella parte inferiore del foglio, una nota a matita, che sembra di spese sostenute da Leonardo (tra le quali colpisce l'enorme consumo di scarpe), tende a confermare tale supposizione: Il primo anno vwn mantello lire . 2 camjce 6 . lire 4 3 givbonj lire 6 4 . para di chalze lire 7 sfoldi] 8 vestito foderato li[re] 2 24 para di scarpe li{re] 6 s[oldi] 5 wna beretta li[re] I an AAS n fain cinti string[h]e lire 1 ». Go ogle 470 GEROLAMO CALVI che pensi a disfarsi del poco promettente allievo, è prezioso per le informazioni, che ci dà sopra la vita in comune del maestro e dei discepoli. Noi veniamo così a sapere in modo positivo che un gruppo di questi era intorno a lui nel 1490-91 (e i nomi di Marco e di Gianantonio hanno fatto ritenere ovvio che si tratti di Marco d’Oggiono e del Boltraffio): nel qual gruppo il più giovane si può supporre fosse questo incorreggibile sackomo. A proposito del quale ci è nato un dubbio, che non vogliamo lasciare di esporre, perchè potrebbe, se confermato, rettificare i dati biografici d’uno degli allievi o famigliari del Vinci. In una nota di manoscritto posteriore (ms. L, fol. 94 recto), su pagina datata del 1497, sì legge (1): « Salai « rubò li soldi n: quasi una postilla al conto, che ivi si trova, delle spese fatte per la cappa del garzone, il quale, si direbbe, apprcfittò dell’ occasione per appropriarsi i denari. Quest’ appunto e la pazienza vinciana, che neppure in questo secondo caso si stancò, richiamano alla memoria le mariuolerie commesse, sette anni prima, dal decenne Jacomo, venuto a stare con Leonardo il dì della Maddalena (il 22 luglio) del 1490; e il ravvicinamento desta il sospetto che anche in questi ricordi del 1490-91, e precisamente nel piccolo Jacomo, possa ravvisarsi lo stesso Salai, quando si ammetta un caso d’errore nel nome (Andrea) tradizionalmente attribuito a questo allievo del Vinci, ma non contenuto, che io sappia, nè nei mss. di Leonardo, nè nelle menzioni che sono fatte del Salai così nel testamento di Leonardo, come nella procura del De Vilanis a Francesco Melzi il 29 agosto 1519; nè nella biografia dell’Anonimo magliabechiano, che ricorda lo stesso famigliare del maestro; nè nella vita scritta dal Vasari. A dubitare sul nome di battesimo mi ha tratto d’altra parte la coincidenza dell'indicazione del ms. C, ora citata, col risultato di una ricerca del Caffi, apparsa nella quinta annata di quest’ Archivio (2). Del Salaj, dice il Caffi, « il casato, la patria « non erano noti fin qui. Ora, in due atti dell’archivio Notarile di « Milano, ricevuti dal notaro Pasio Isolano quondam Gottardo nel- (1) Cfr. Ravarsson-MoLLIEN, Les mss. de Léonard de Vinci, cit., v. Manutcrits G. L. et M. (Paris, Quantin, 1890), al fol. indicato. La frase citata, scritta a matita, è a pena visibile nella riproduzione. (2) Di alcuni maestri di arte nel secolo XV in Milano poce noti è male indicati, in Archivio storico lombardo, serie prima, anno V, 1878, cfr. p. 95 sg. Go ogle z CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 471 « l’anno 1524, trovasi menzione di un domino Jacobo de’ Caprotti « detto Salay, figlio di domino Giovanni Pietro abitante nel quar- « tiere di Porta Vercellina, nella parrocchia di San Martino al “« Corpo, che in quell’epoca era fuori delle mura di Milano. In quei « dintorni aveva pure soggiornato il Vinci negli ultimi tempi della « sua dimora a Milano, in quei dintorni era la vigna, o giardino « che il duca Lodovico Maria Sforza aveva donato a Leonardo, « ed entro cui Andrea Salai aveva edificato et constructa una casa, « che poscia con metà della stessa vigna a lui medesimo veniva « legata da Leonardo nel suo testamento. Non. potrebbe questa fa. « miglia dei Caprotti essere quella medesima dell’Andrea Salajno « la cui dimora era precisamente nello stesso confine di Porta Ver- « cellina, nella stessa Parrocchia di San Martino al Corpo? Non « avrebbe potuto il domino Jacobo dei Caprotti essere stato il padre « di Andrea, il quale pare sia nato poco prima del 1500? ». A me sembra che la domanda debba piuttosto farsi, come ho accennato, riguardo al famigliare stesso di Leonardo. La qualifica di dominus poteva coesistere con quella di magister (che d’altra parte non so se spettasse proprio al Salai) e sostituirla, come qualche altro documento ci dimostra. Che il Salai ad ogni modo fosse nato prima del 1490 e nel 1497 già famigliare di Leonardo, è provato dal citato fol. 94 recto del ms. L. Ma, anche prima, è nominato due volte nel ms. H (fol. 64 verso, datato 26 gennaio 1494, € 142 verso), la seconda in modo da farci supporre ch'egli aiutasse già il maestro in determinati lavori. E allora, non sarebbe possibile e forse, più ancora che possibile, probabile, che colui, che viene tradizionalmente chiamato Andrea, avesse invece il nome di (Gio.) Giacomo, che Leonardo pòteva avergli conservato nei primissimi tempi, per chiamarlo poi sempre col soprannome di Salai ? Dei documenti citati e in parte pubblicati dal Caffi non ho, in una breve ricerca fatta nell’archivio Notarile (1) di Milano, allo scopo di esaminare gli originali prima di licenziare quest’articolo, trovato, sotto l’anno indicato (1524), la traccia; mentre colla data stessa del 10 marzo 1524, che il Caffi assegna ad uno dei due documenti da lui prodotti, veniva alla luce un’altra scrittura del medesimo noL) (1) Rendo vive grazie al signor dott. Arganini, conservatore, per le agevolezze concesse alla mia ricerca. Go ogle L 472 GEROLAMO CALVI , taio, concernente l'eredità di /o. Jacobus de caprotis dictus Salai;, morto poco tempo innanzi: così che sembra di poter indurre essere incorso qualche errore negli elementi cronologici indicati dal Caffi. Il nuovo documento (1), sul quale ha messo mano di primo acchito l'esperto archivista, sig. Bonomini, a cui sono debitore di ogni più cortese ed illuminata assistenza, mi offre l’opportunità di portare qualche dato interessante nella questione sollevata tanto tempo fa dal Caffi. Trascrivo la parte, che ritengo più utile al nostro proposito, dell’atto 10 marzo 1524, col quale le sorelle ed eredi del defunto Gian Giacomo de’ Caprotti detto Salai, Angerina, vedova di Battista da Bergamo e Lorenzina, moglie di Tomaso da Mapello, provvedono ad estinguere due debiti chirografarî lasciati dal fratello verso Battista Fontana detto il Fossa (questo soprannome richiamerebbe l'autore di un poemetto sulla calata di Carlo VIII, se ad identificare questo poeta non avessero già concorso (2) autorevoli congetture) mediante la cessione a Bernardino Fontana, padre di detto Battista, di un credito, parimenti lasciato dal Salai, verso i coniugi Battista Corte e Margherita Pagani. In nomine Domini anno a Natiuitate eiusdem millesimo quingentesimo xxI3° inditione x1 die Jouis decimo mensis marcij (3). Cum alias nunc quondam dominus Jo. Jacobus de caprotis dictus Salaij in vna parte muthuo habuerit a domino Baptista de fontana dicto el fossa filio domini Bernardini schuta (4) quatraginta a sole et in alia parte habuerit muthuo nt supra schuta septem auri et colanam vnam auri ponderis schutorum decem et prout latius in bimis scriptis seu chi- (1) L'imbreviatura si trova nella filza delle imbreviature del notaio Pasio Isolano q. Gottardo, del periodo dal 4 marzo 1523 al 7 dicembre 1524. La prima carta, per i guasti arrecati in passato dall'umidità a questa e ad altre scritture della stessa filza, manca di qualche frammento delle prime righe. (2) Cfr. questo Archivio, serie terza, XIII, 1900, pp. 128-135. (3) Precede il segno del tabellionato e l’intestazione: @« Imbreviatura mei « pasij ysolani filii quondam domini gotardi porte verceline paruchie sancte marie « secrete Mediolani notarii publici ». (4) Invece di muthuo habuerit (scritto sopra la linea) etc. sino a schuta, si era prima scritto, come risulta dalle cancellature e dalle correzioni: se obligaverit versus dominum Baptistam de fontana dictum el fossa pro summa schutorum, etc = CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 473 rografis (1) factis per superscriptum Salaij . vnum videlicet sub die xVIlJ° maij anni 1523 et aliud sub die quinto Septembris dicti anni proxime preteriti . Cumque sit quod dictus Salaij (2) ex sclopeto nature concesserit et decesserit ab intestato relictis dominabus angerina et lorenzina sororibus de caprotis sororibus su[is ......] (3) et heredibus equis portionibus[......](4) relicto inter cetera dicto onere dictorum chirogfrafcrum] nec non relicto inter cetera credito librarum trecentum viginti quinque imperialium erga dominum franciscum de castillioneo et dominam margaritam de paganis [iugales] in solidum nec non contra dominum baptistam «e curte eorum iugalium [fideiussor em] prout consiat instrumento obligationis desuper confecto et rogato per me notarium infrascriptum anno etc. in eius hereditate et bonis. Cumque dite sorores uti heredes ut supra instarentur a dicto domino Baptista nomine dicti patris sui et a dicto domino Bernardino (5) pro satisfactione dictorum creditorum suorum ut supra et modum ipse sorores (6) de presenti non haberent soluendi in pecunia numerata et pro obuiando expensis precibus amicorum intervenientibus conventum est fieri ut infra Hine est quod suprascripta domina Lorenzina vxor legiptima thomasij de mapello et dicta domina angerina relicta quondam baptiste de, pergamo ambe sorores de caprotis filiae quondam Jo. Petri et heredes (7) equis portionibus superscripti Salai] olim fratris sui prout dixeruut etc. ad petitionem etc. non recedendo etc. (8) ambe (9) porte romane parochie Sancti Satari Mediolani (10) voluntarie etc. et omnibus modo etc. Cessionem et datum titulo et ex causa dati in solutum ad proprium etc. Fecerunt et faciunt (1) super cancellato. , (2) Qui lo scrittore trovò qualche difficoltà nell’ indicare la causa della morte del Caprotti, dovuta, a quanto pare, ad una fucilata. Incominciò a scrivere dece; poi cancellò e scrisse morte ...... decesserit: parole cancellate anch'esse e tra le quali si trovava un’ altra parola, che, per essere stata soppressa da una più deliberata e fitta cancellatura, non mi è riuscito di leggere. (3) Qui la éarta è lacera, (4) Altra lacuna dovuta al guasto della carta. (5) Le parole nomine dicti patris et a dicto domino Bernardino sono aggiunte nell’interlineo e in calce. (6) uti heredes ut supra cancellato. (7) in solidum cancellato. (8) videlicet dicta domina [o dicte domine) cancellato. (9) Un piccolo tratto è lasciato vuoto nella linea. (10) videlicet dicta domina [o dicte domine) cancellato. 474 GEROLAMO CALVI dieto domino Bernardo (1) de fontana filio quondam domini Bel. trami (2) porte cumane parochie sancte marie secrete mediolani ibi presenti stippulanti et acceptanti etc. Possiamo dunque ricavare, dalla parte qui riportata dell’ imbreviatura del 10 marzo 1524, che Gio. Giacomo de’ Caprotti detto Salatj era morto, per causa d’una fucilata (3), dopo il 5 di settembre del 1523 (anzi, come si vede dal documento che citiamo qui appresso, dopo il 16 di novembre (4) dello stesso anno), senza lasciare figli (il che non favorisce l’ ipotesi del Caffi, che Gio. Giacomo potesse essere padre di Andrea); e che, per conseguenza, la sua eredità spettava ab intestato alle due sorelle di lui, maritata l’una, vedova l’altra. | Un altro istromento dello stesso notaio e della stessa « filza », trovato durante questa nostra ricerca, e anch’esso diverso da quelli citati dal Caffi, contiene la vendita fatta, sotto la data del 16 novembre 1523, per il prezzo di lire millecento imperiali da Francesco de Lomeno e da Camilla Visconti, jugales, a Duo Jo: Jacobo dicto ‘ Salaij de caprotis filio quondam Domini petri porte verceline parochie sancti martini ad corpus foris mediolant ibi presenti supplicanti et recipienti ac ementi, di un sedime « siti et iacentis in porta ho- « rientali parochie sancti Babille foris mediolani quod est cum suis « hediffitijs apotecis cameris in terra et solario ac solarijs curijs « duabusorto putheo necessario et alijs suis iuribus et pertinentiis ». Tutti questi dati non discorderebbero (se non forse per il (1) Corretto da Baptista. (2) Corretto da Bernardini. (3) Forse per un'imprudenza nel maneggio dell'arme O per un accidente di caccia. Della quale (dato il caso che si tratti qui dell’allievo di Leonardo) il Salai poteva avere avuto già prima occasione di djlettarsi. Infatti, dalle minute di lettera già ricordate a proposito dei rapporti del maestro col Magnifico Giuliano de’ Medici appare che a Roma, in mezzo al gruppo dei collaboratori di Leonardo, c'era chi (il tedesco, del quale il Vinci si Jagna con Giuliano) « se n’an- « dava in compagnia cholli scopietti amazando vcciellj per queste anticaglie ». Cod. Atl., fol. 247 verso bd. (4) Da una prima e rapida scorsa, data, sul punto di licenziare le bozze di questo articolo, al Necrologio milanese presso l’ ASM, per il periodo accennato, non mi risulterebbe che la morte del Caprotti vi sia ricordata: forse egli mori fuori di Milano o si omise di registrare il decesso (cfr. MottA in quest' Archivio, serie seconda, VIII, 1891, p. 253). ua CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 475 prenome Giovanni, che Leonardo non suole in altri casi omettere e che non appare premesso alla menzione di Jacomo; e per le condi. zioni finanziarie del Caprotti (1) anche più floride di quel che avremmo potuto supporre) da quelli, ché ci sono forniti dai ricordi manoscritti di Leonardo. Come già ha osservato il Caffi, egli è della stessa porta e della stessa parrocchia, dov’era naturale che il Salai risedesse per effetto delle disposizioni, che a suo favore aveva lasciato il Vinci. E lo stabile che Gian Giacomo Caprotti acquista, come s'è veduto, nel 1523, si trova in un quartiere ed in una parrocchia, che il famigliare di Leonardo dovette abitare col maestro nel 1508. È particolarmente interessante notare come dall’atto del 10 marzo 1524 risulti che il Caprotti era l'unico fratello delle nominate Angerina e Lorenziraa, e che queste si erano maritate, così che, ove la nostra ipotesi avesse colpito nel segno, e l’autore delle mariuolerie commesse a dieci anni nel 1490-91 fosse una persona sola col Salai, che nell’ottobre del 1508 si faceva prestare da Leonardo tredici scudi « per compiere la dota alla sorella » (2), sarebbe stato natu- —_———— ————— y (1) Giova tuttavia ricordare che gli appunti vinciani ci mostrano ripetutamente il Salai come cassiere di Leonardo per le spese giornaliere; e che, data l'indulgente larghezza del Vinci, è a credere che, nei reciproci rapporti d'affari, chi guadagnasse fosse sempre l'allievo. In un giorno di riscossione, appena il ‘ maestro ha intascato trenta scudi, gliene sono chiesti tredici dal Salai « per « compiere la dota alla sorella », e Leonardo li presta, ma, edotto dall’esperienza, esce in questa catena di aforismi: € non pr[e]stauis bis « si prestauis non atebis « sì abebis non tam cito « si tam cito non tam bona « e si tam bonum perdas amicum » (Ms. F, recto della coperta; RavaISssoNn-MOLLIEN, Les manuscrits etc., cit., vol. IV). E allo stesso Salai Leonardo concedeva di edificare una casa propria nella sua vigna: il che era come consentirgli una presa di possesso anticipata delle otto . pertiche, ch'egli doveva poi lasciargli in eredità. (2) Ms. F, 1. cit. nella nota precedente. E’ noto che Leonardo si trovava, nell'autunno del 1508, in Milano: e, in particolare, per l'ottobre dello stesso anno, ciò risulta dai documenti scoperti dal MoTTA, dei quali ha dato un primo cenno il BELTRAMI in Rassegna d'Arte, XV, 1915, pp. 97-I01, circa la risoluzione della vertenza per la Vergine delle Roccie. Da essi risulta pure ehe Leonardo abitava allora, come si è detto, nel quartiere di porta orientale, in parrocchia di S. Babila. 476 GEROLAMO CALVI rale ch’egli, allora di ventotto anni, avesse una sorella da marito e dovesse occuparsi di accasarla se già il padre era morto. Una falsa attribuzione del nome di Andrea potrebbe spiegarsi per uno scambio col Solari ed aver preso radice in tempi, nei quali si guardava poco pel sottile in fatto di storia e di critica dell’arte (1), La confusione era resa facile da affinità fonetiche: e, anche soltanto nell’aprire qualche recente dizionario biografico degli artisti (2), si vede come la transizione potesse avvenire. Del pari poteva contribuire ad un equivoco sul nome una erronea illazione della lettura di una firma, come quella di Andreas Mediolanensis, che sì trova su un dipinto della Galleria di Brera, assegnato al Solari non senza essere stato attribuito (:3) anche al Salaino (4). Ed ora, dopo la lunga digressione, alla quale ha dato appiglio l nome del protagonista, completiamo il racconto vinciano dei misfatti di Iacomo, per riprendere il filo dell’indagine principale: Item a dì 26 di gienaro . seguente [1491] esendo io in chasa di messer galeazo da(s)sanseuerino a [o]rdinare la testa della sua giostra e spugliandosi cierti staffieri per prouarsi alchune veste d’omjnj saluatichi ch'a detta festa achadeano. Jiachomo s’achostò alla(s)scharsella d'uno di loro la qual era in sul letto chon altri panvj e tolse quelli dinari che dentro vì truvò lire 2 s[oldi] 4 pr (1) In epoca tuttavia relativamente antica: "‘l’equivoco, se tale fu, si era già prodotto prima della fine del secolo XVI; poichè il MoriGIA nella sua Nobiltà di Milano, edita nel 1595, libro V, cap. I, p. 277, nomina Andrea Salaino, presentandolo .confusamente come « dis:epolo dell’immortal Sesto ». Invece il Lomazzo nel suo Trattato, edito nel 1584, al libro VI, cap. L, p. 437; lo chiama ancora semplicemente Salai. (2) Cfr. SinGER, Aligemeines Kinstler-Lexicon, 33 ediz., IV, Frankfurt a. M., Rùtten e Loening, 1901, p. 1 s2: « Salaino (Salai, Salario) Andrea, Maler des « 16 Jahrhunderts...... ». (3) Nel NacLER, Aligemeines Kiunstler- Lexicon, XVI, Linz, 1910, p. 63, lo si ascrive ancora al Salaino, pure aggiungendosi che sotto il nome di Andreas Mediolanensis poteva pure intendersi il Solari; e lo stesso dizionario, nei cenni biografici dedicati al Solari, op. cit., XIX, Linz 1912, p. s1, dice ch'egli viene, come discepolo di Leonardo, scambiato spesso con Andrea Salai o Salaino. (4) Un’alira ipotesi concernente il Salai si troverà in E. MunTZ, Recherches sur Andrea Salaino, élève de Léonard de Vinci in Courrier de l'art, 1889 (21 giugno) n. 25. Cfr. (Ravarsson-MOLLIEN) lo stesso periodico, n. 27 (5 luglio) e il Bulletin de la Société Nationale des antiquaires, 1889, stance du 28 juin, p. 206; cfr. anche l’ Archivio storico dell’ Arte, II, 1889, p. 264. Go ogle n CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 4771 Item essendomj da maestro agostino da pauja donato in detta chasa una pelle turchesca da fare uno paro di stiualettj. esso iachomo infra uno mese me la rubò e vendella a un aconciatore di scarpé per 20 soldi de’ qua[li] dinari sechondo che luj propio mj chonfessò ne chonprò anjci chonfettj lire 2 (1) Nom v’ ha dubbio che allora, come apparirà anche meglio dal commento a questo testo, il Vinci si trovava a Milano. Vi era egli, come altri pittori, richiamato da Pavia per attendere ai preparativi delle feste destinate a solennizzare le duplici nozze Sforza-Este? . Il Moro, nell’imminenza degli sponsali, disponeva che fosse decorata a îsforîe la gran sala della Balîa nel castello di Milano e ordinava ai referendarî e podestà di varie città del ducato d'’ indirizzare ad Ambrogio Ferrari i pittori atti a tale opera, che si trovavano allora nelle rispettive loro circoscrizioni (2). Nel documento, che contiene tali ordini, furono letti i nomi dei pittori Magistro Augustino et Magsstro Leonardo, alterandosi (crediamo, per una svista del Casati) la lezione vera, ch'è: Magistro Augustino de Magisiro Leunardo. Il confronto paleografico non lascia dubbio: si deve leggere de e non ef. Così che non si può affermare, in base a questo documento, che il Vinci (come fu ripetuto più volte) “fosse allora tra i chiamati. Potrebbe darsi che il citato magisiro Augustino facesse parte dell’entourage di Leonardo (e tanto più perchè è ovvio ritenerlo una stessa persona col maestro agostino da pauja nominato dal Vinci nel frammento riportato da ultimo), e che il referendario di Pavia .fosse incaricato di andare appunto a cercare presso il Vinci detto pittore; ma l’'interpretazione logica del documento condurrebbe piuttosto, una volta corretta la lettura, a ritenere che Agostino fosse figlio o compagno od aiuto di un locale maestro Leonardo, distinto dal Vinci. E, pure attenendosi alla lezione erronea (sovrappostasi a quella retta, se non assolutamente precisa, data già nelle Notigte di G. L. Calvi (3) ed. alla ——___———__—_ rr. -— (1) Ms. C, fol. 15 verso cit.; Ravarsson-MoLLiLN, op. cit., vo]. II. (2) ASM, Missive, Reg. 181, fol. 244 recto - 245 recto. Cfr. GeroLamo Ltici CaLvi, Notizie cit, parte seconda, Milano, Agnelli, 1865, p. 242, nota; C. CASATI, Vicende edilizie del Castello di Milano, Milano, Brigola, 1876 (v. il doc. LXVI a p. 104); L. BsLtRAMI, Il Castello di Milano, 2° ediz. cit., pp. 453-454. (3) Il Cacvi, cfr. Notizie, vol. e p. cit., aveva letto: « Maestro Augustino « del maestro Leonardo ». CO ogle 478 GEROLAMO CALVI trascrizione del Porro (1), che aveva reso fedelmente questo passo), il Malaguzzi (2) ha fatto bene a richiamare l’attenzione dello studioso su qualche altro artista minore, in particolare su Leonardo Vidolenghi (3). Senonchè 1’ essersi messo sulla buona strada, col. l’ escludere, come già fece il Muller -Walde (4), che si trattasse qui di una chiamata del Vinci a Milano, è stato forse la causa d’'indurlo ad affermazioni, ch'egli avrebbe altrimenti vagliato con maggiore attenzione ed oculatezza. Egli passa infatti senz'altro ad escludere (5) che il nome di Leonardo figurasse nelle feste per le nozze sforzesche e considera come indipendente da esse e -dovuta ad un’altra occasione la giostra di Galeazzo Sanseverino, che appare invece compresa nel programma delle pompe nuziali. Nel precedente volume sulla corte sforzesca (a proposito del quale sarei tentato di notare che l’autore, posto tra la volubile abbondanza della materia variamente raccolta e la sobria severità di metodo e di tono, che la critica storica si sforza di raggiungere, non ha sempre avuto il coraggio o forse, per le tiranniche esigenze editoriali, il tempo di sacrificare quella a questa) il Malaguzzi (6) era (1) G. Porro, Nozze di Beatrice d’Este e di Anna Sforza in questo Archivio, serie prima, IX, 1882, p. 498. L*errore sopravvenuto nelle successive pubblicazioni del documento, per parte del CAsATI, ecc., è stato già corretto dal MùLLERWALDE, cfr. Ein neues Dokument, etc., in Jabrbuch cit., p. 106, e dal SEMLITZ, Leonardo da Vinci cit., I, 146 e nota 7 a p. 405. (2) Bramante e Leonardo da Vinci cit., p. 475. (3) Nella raccolta del Palazzo Bianco in Genova si trova o certo si trovava (Sala VI, n. 21) un dipinto, del quale lo JACOBSEN dava il seguente cenno: « Fra « i quadri più antichi noterò: 21. Una Madonna sul trono, circondata da parecchi « santi, attribuita .a un Leonardo da Pavia. Nel quattrocento Genova ricorreva « spesso ad artisti di Pavia. Questo quadro è firmato: LEONARDO DE PAPIA, € « porta una data confusa: MccccLXvI secondo Federico Alizeri, che ricorda questo « dipinto nella sua grande opera: Notizie dei professori del disegno in Liguria « [Genova, 1870, I, 261] »; EMiL JACOBSEN, Le gallerie Brignole - Sale De Ferrari în Genova, in Archivio storico dell’ Arte, serie seconda, anno Il, 1896, p. 124. Dev’essere questo il dipinto, del quale altrove (Maestri minori lombardi, in Rassegna d’Arte, 1905, p. 89), sulle orme del MaroccHi, fa cenno il MaLaGuzzi, aggiungendo di non averlo potuto rintracciare. Cfr. anche VENTURI, Storia dell’arte italiana, vol. VII, parte IV, p. 1093. (4) Ein neues Dokument etc. in Jahrbuch cit., p. 106. (5) Op. cit., p. 475- (6) La vita privata e l’arte, ecc., cit., p. 42. Ivi, a p. 558, si parla invece del Sanseverino e di Leonardo. — CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI, 479 passato accanto ai documenti, che ci permettono d’identificare la giostra di Galeazzo da Sanseverino col torneo, che servì ad ornare le nuptiae mediolanensium et extensium principum, ma, toccandone di sfuggita, aveva scambiato il protagonista, cioè il Sanseverino, col duca Galeazzo; e non pensò poi a riprendere l’ esame delle stesse fonti (che non furono del resto, ch'io sappia, sin qui adoperate a provare e ad illustrare l’intervento di Leonardo nelle feste sforzesche del gennaio 1491) per farle servire da commento al passo vinciano testè riportato. Se noi consideriamo i particolari, che Leonardo ci fornisce circa l’allestimento della giostra del Sanseverino, che prendeva così una parte primaria (1) alle feste preparate per l’occasione delle nuove nozze sforzesche, troviamo che il breve appunto di Leonardo corrisponde perfettamente ai ricordi e alle -descrizioni del tempo. Il Vinci accenna, come si è visto, ai costumi indossati dagli staffieri: « a di 26 di gienaro seguente [1491] esendo io in chasa di « meser galeazo da(s)sanseuerino a [o]rdinare la festa della sua giostra e spogliandosi cierti staffieri per prouarsi alchune veste « d’omjnj saluatichi ch'a detta festa achadeano » ..... « Lo Il], mo « M: Galeazo » dice un elenco descrittivo dei partecipanti al torneo, elenco datato appunto « 1491 26 Januarii Mediolani », « con X « stapheri vestiti in homini salvatici altretanti trombeti vestiti « a medesma fogia a cavallo sopra cavalli salvatici: la sua S.ra « sopra uno cavallo salvatico; sopra l'elmo uno animale, serpente del mezo indreto et una testa con due corna » (2). Una descrizione abbastanza ricca della giostra (3), per la parte promi- (1) Come già aveva supposto l’ UzieLLI, Ricerche ecc., 22 ed., cit., p. 136. (2) G. Porro, Nozze ecc., cit., in Archivio storico lomb., vol. cit., p. 530. (3) Dell'importanza della giostra, a veder la quale si dicono convenuti innumerabili forestieri; dei premi di broccato d’oro assegnati dal duca e vinti, il primo « da M. Galeazo nostro [il Sanseverino] como quello che de virtute et « fortuna ha preceduti tutti queli quali hanno meritato laude in el correre de « la giostra », e il secondo, in parti uguali, da Mariolo Guiscardo « camerero « et alevo » di Lodovico il Moro, e da « Iacomo similiter alevo de M. Galeazzo », dà notizia una partecipazione senza firma, ma evidentemente di fonte sforzesca, al cardinale Visconti, oratore presso il sommo Pontefice, e, în simili forma (una - aggiunta è fatta per l’oratore bolognese) disposta per essere comunicata agli altri legati presso le diverse Signorie italiane; pubblicata da Giulio Porro nel vol. cit. di questo Archivio, pp. 521-523. Cfr., in ordine a queste feste anche F. Cavi, Il Castello Visconteo-Sforzesco, 2* ediz., Milano, Vallardi, 1894, pp. 82-86. 480 GEROLAMO CALVI nente che vi ebbe il Sanseverino, è data da Tristano Calco, nella sua ornata relazione delle nozze allora celebrate: Sed Galeacius frater, Gentis columen & Ludouici gener noua specie hominum in se oculos auertit. Monstrosus primo equus erat, squamis aureis contectus: quas etiam pictor pauoninis veluti oculis illuminauerat. Ex ijs, qua dehiscebant, rari hirtique enascebantur pili, atque horridiores fera. Caput auro penitus flauum, toruum alioquin, & cornibus sursum intortis emicans. Par sella ornamentum, & pectori brachijsque Viri circumdabatur. Cuius ab capite serpens alatus prodibat, cauda pedibusque terga Equitis complectens. Clypeo barbata facies auro lita micabat. Sic incedentem comites promissA barbA sequebantur, varijs setarum globis sparsim per equorum membra agglutinatis. Nam reliquo amictu simillimi syluestribus incultissimisque barbaris videbantur; vt confestim nobis Scytharum memoriam subiecerint, & eorum quos nunc vulgo Tartaros vocant. Verum nuncius ad Principem accedens, primo externa, mox ceu interpres Itala linguA loquutus, filium esse docuit Indorum Regis: qui domitis Nationibus maximis, Occîduum Orbem petere cupijsset, cum virtutis extendenda gratia, tum vt eas terras inuiseret, in quibus proximo Anno louenm descendisse cum caeteris Numinibus intellexerat. Allusit videlicet ad id, quod superiori hyeme maxima celebritate & sumptu actum est, cum hemispherali machine, ferreis circis concinnatae, crebris lampadibus suspensis, septemque pueris, qui ceu Planetae largius radiarent, atque loue medio throno inter assidentes Deos eminente, voluentis est Caeli reddita imago (1). Atque inter hos cogitatus apparuisse mercatorem ait, qui inde e media Europa profectus videretur; quo veluti optimo via duce oblato iter ingressus aduenerit, & Dei Numen veneraturus, & preaesentî ludicro (si tam longiquo aduena liceat) eiusdem in honorem pugnaturus. Laudata est oratio, vt rei temporique accomodatissima. Nam, vt caeteris etiam rebus sibi fabula apte congrueret, nodosos inforinesque truncos manibus gestabant, & decem tubicines argutioribus lituis exoticum nescio quid insonabant, tum caprinae pelli insertis fistulis pro vtre vtebantur (2). Nel frammento riportato dal Calco troviamo non solamente descritti gli « omini salvatichi », che fanno parte della festa allestita da Leonardo per la giostra del Sanseverino, ma ‘anche un MONSÉrOSus ..,equus...Squamis aureis conteclus: quas etiam picior (1) Abbiamo qui un'interessante reminiscenza della festa del Paradiso; v. supra p. 28, nota. . (2) TristANI Charci MepioLaNENSIS Nvptiae Mediolanensium et Estensium Principum scilicet Ludouici Maria cum Beatrice, Alphonsi cum Anna, Ludouici nepte, in Residva cit. (Mediolani MDCXLIV), pp. 94-95. GO ogle = CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 431 +pauoninis veluti oculis illuminauerat. E che il pictor fosse stato, anche per questi particolari, Leonardo, sembra potersi desumere da un’altra pagina vinciana, che (non avendola sin qui riscontrata sull’originale, nè avendone una riproduzione fotografica) trascrivo (attenendomi alle note diplomatiche) dall’utile, ma non sempre fedelissima opera del Richter (1). Il frammento è estratto dal manoscritto posseduto dal British Museum (fol. 250 recto): Sopra dell’elmo fia una, meza . palla la quale à(s)significhatione . dello . nosstro emissperio in forma di mondo sopra il quale fia uno paone cholla choda disstesa che (2) passi la groppa richamente ornato e ogni ornamento che al cavallo s’apartiene sia di pene di paone in chanpo d’oro a(s)significhatione dalla belleza che risulta della gratia che viene da(c)quello che (3) ben serue Nello schudo uno spechio grande a(s)significare che chi ben uol fauore si specchi nelle sue virtù Dall’oposita parte fia similmente chollochata la forteza cholla sua cholona in mano vestita di biancho che significha..., E tutti coronate e la prudentia chon 3 occhi la sopraveste . del chavallo fia di senplice oro tessuto seminata di(s)spessi ochi di pagoni e(c)questo s'intende per tutta la sopravesste ‘del chavallo . e dell’omo e "l suo torchione di pene d’oro di paon.in chianpo d’oro Dal lato . sinistro fia vna rota il cientro della quale fia cholochata al cientro della coscia dirieto del chauallo (4) ....... (1) The literary works of Leonardo da Vinci, 1, London, Sampson Low, 1833, $ 674. (2) chi, secondo la nota diplomatica del RICHTER. (3) chi, RICHTER, c. s. (4) Ometto le ultime righe del frammento vinciano, perchè la trascriz. dipl. del RICHTER si presenta oscura e malcerta, nè voglio integrarla arbitrariamente. E’ da notarsi che, di seguito al testo riportato, e dalla medesima pagina del ms. British Museum il RICHTER trascrive quest’appunto vinciano: « Messer Antonio « gri venetiano chonpagno d'Antonio Maria ». Se, come sembra, le note relative agli emblemi da parata riguardano la giostra del Sanseverino, e l’altro breve appunto ora citato rimonta allo ste:so tempo, sarebbe difficile ammettere l’interpretazione, che il SOLNI diede di tale pagina in questo Archivio, serie quarta, X, 1908, p. 330, e che già per sè, forse, eccedeva un poco gli elementi in essa contenuti (il nome del Grimani, benchè già il RICHTER nel testo e in una sua nota al 1. c. lo abbia dato per certo, non pare potersi indurre a sufficienza dalla prima sillaba, che si trova nel ms.) e da lui, com'era suo costume, vivacemente interpretati. Arch Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. III. 31 LO ogle 482 GEROLAMO CALVI Questa giostra (1), che durò tre giorni, all'ultimo dei quali il Sanseverino si presentò, in altre spoglie (2), a ricevere il più onorevole premio, era stata preceduta da altre pompe narrate dal Calco. | Così gli stessi contemporanei si fossero occupati di tramandarci qualche diffusa notizia dell’ attività che Leonardo dedicava, durante quei medesimi anni, ad arti meno effimere! Nel 1493, allorquando nuovi sponsali, quelli di Bianca Maria, rallegrano la corte sforzesca, l'attesa e la fama del colosso equestre si fanno più vive. Ma le fonti sincrone, alle quali si è attinto, non sembrano giustificare la conclusione, che ne fu tratta circa l’esposizione, che sarebbe allora stata fatta, del gran modello. Non mi lascio indurre a riandare qui la serie dei disegni vinciani in ordine all’ intricata questione della loro tripartizione fra i due stadî del lavoro di Leonardo per la statua di Francesco Sforza, e il terzo progetto di un monumento al Trivulzio. Mi basti accennare che, secondo ogni probabilità, Leonardo, nel rimettersi al lavoro dopo la minacciata sostituzione del 1489, si trovò presto condotto a prescegliere alla figura del destriero impennato quella del cavallo in un movimento di trotto o di passo vivace; decisione sulla quale sembra fosse venuta ad influire anche qualche considerazione sull’antica statua del Regisole in Pavia (3). Il lavoro di Leonardo, assistito da qualche aiutante, dovette (1) Il citato documento pubblicato dal PORRO a pp. 529-532 del vol. IX di questo Archivio, contiene, oltre al nome di Sanseverino, quello di molti altri giostranti, e ne riferisce i costumi, e gli emblemi degli elmi, anch'essi interes» santi per noi, perchè ci offrono esempî della ricca elaborazione degli elementi che entravano a comporli, quale può apparire anche in appunti e schizzi leonardeschi per imprese. (2) Cfr., oltre al cit. doc. pubblicato dal Porro, TRISTANO CaLco, Residua cit., pp. 96-97. (3) P. MaùLLeR-WALDE, Beitràge zur Kenntniss des Leonardo da Vinci, VI. Leonardo da Vinci und die antike Statue des Regisole etc., in Jahbrbuch cit., XX, 1899, p. 81 sgg. L’appunto vinciano, che si riferisce alla statua di Pavia (Cod. Atl., fol. 145 recto a) non è, per quanto possiamo giudicarne noi, posteriore al 1500, ma piuttosto di parecchi anni anteriore, e la serie dei disegni, che richiamano il Regisole o per lo meno presentano il cavallo in posizicne analoga a quella statua (tutti ascritti dal MuLLER-WALDE al monumento trivulziano, al quale Leonardo avrebbe atteso, secondo lo stesso autore, verso il 1506) dovrebbe sempre, in gran parte almeno, considerarsi connessa col compito del colosso sforzesco. Goo gle l CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 483 procedere anche negli anni successivi al 1490. Dal Vasari (1) (del quale riferiamo questo passo con la riserva che deve accompagnare le notizie vasariane, se non vengono confermate da prove dirette; ma anche cen interesse, poichè non sembra che i biografi di Leonardo vi abbiano posto molta attenzione) apprendiamo come Lorenzo de’ Medici, che non risulta aver fornito a Lodovico il Moro uno scultore, in sostituzione od in concorrenza di Leonardo, per l'esecuzione del colosso, avesse invece mandato a Milano, nel 1492 (2) un architetto, Giuliano da San Gallo, « acciocchè « gli facesse un palazzo per lui » (3). « Perchè, presentando « egli il modello per parte del Magnifico Lorenzo, riempiè quel « Duca di stupore e di meraviglia nel vedere in esso l’ ordine « e la distribuzione di tanti belli ornamenti, e con arte tutti e con « leggiadria accomodati ne’ luoghi loro; il che fu cagione che pro- « cacciate tutte le cose a ciò necessarie, sì cominciasse a metterlo « in opera. Nella medesima città furono insieme Giuliano e Leo- « nardo da Vinci che lavorava col Duca, e parlando esso Leonardo « del getto che far voleva del suo cavallo, n’ebbe bonissimi docu- « menti, la quale opera fu messa in pezzi per la venuta de’ Fran- « cesi; e così il cavallo non si finì, nè ancora si potè finire il « palazzo ». È probabile (4) che il Vinci nel 1492 e nel1493 rivolgesse particolare attenzione alle modalità del getto; ma possiamo ritenere che il modello si trovasse pronto prima della fine del 1493? Il Codice Atlantico, a fol. 216 verso a, ci offre un disegno della forma (5) chiusa entro un’armatura, come per indicare il modo (1)Vita di Giuliano e Antonio da San Gallo in Vite, ed. cit., VII, 315-316. (2) Cfr. C. von Fagriczy [Recensione di | Gustave CLausse, Les Sangallo, etc., in Repertorium far Kunstwissenschaft, 1904, p. 76. (3) Deve intendersi, per Lodovico il Moro (cfr. FABRICZY, art. cit.). (4)- Cfr. Jahrbuch cit., p. 86. (5) Il cavallo vi è rappresentato al passo e collo zoccolo levato poggiante sull’orcio che si rovescia. Quest'ultimo particolare non è stato forse osservato abbastanza attentamente dal MaLaGuzzi nella sua analisi e distribuzione dei disegni vinciani. Il cavallo da lui riprodotto colla fig. 495 2 p. 441 del vol. già più volte citato su Bramante e Leonardo, non poggia « le due zampe alzate su due aggetti, « forse due cimieri, posti in terra » (op. cit. p. 454), ma presenta invece, per questi due dettagli, gli stessi motivi dell’anfora che si rovescia e della tartaruga (richiamante l’esempio dato già dal Verrocchio nella tomba di Piero de’ Medici in San Lorenzo), che si trovano in un altro disegno, pure riprodotto dal MaLAGUZZI nella metà sinistra inferiore dell’ill. $11, a p. 457 dell’op. cit. 484 GEROLAMO CALVI del suo trasporto. Dobbiamo in tale disegno ravvisare l’opera così assicurata per esser condotta dalla Corte vecchia, dove l’artista vi attendeva, al Castello, ove si sarebbe elevata alla vista del pubblico nell'occasione delle nozze di Bianca Maria Sforza Visconti ? La nuova solennità sforzesca, preparata anche questa volta di lunga mano da Lodovico il Moro, che tra i mezzi adoperati a cattivarsi l’animo del rc dei romani sceglieva, a quanto pare, anche l’invio di una pittura di Leonardo, una tavola d’altare, della quale ha dato notizia il primo biografo del Vinci (1), si celebrava (il matrimonio contraendosi, da parte dell’imperatore, per procura) in Milano, ai 30 novembre del 1493 (2). Pietro Lazzaroni, uno dei poeti, che s’incaricarono di cantare l’avvenimento, ricorda l’esposizione dell’ effigie equestre di Francesco Sforza: Fronte stabat prima quem totus noverat orbis Sfortia Franciscus Ligurum dominator et alta Insubria portatus equo (3). La supposizione che il poeta intendesse qui alludere al modello eseguito da Leonardo parrebbe legittima, e come tale è stata ac: cettata da quasi tutti (4) gli scrittori. Si può tuttavia dubitare che essa corrisponda veramente alla realtà o per lo meno che la prova sia stata raggiunta. Una lettera, che ad Isabella d’ Este mandava la sorella Beatrice per descriverle l’apparato ch’era stato fatto in onore del matrimonio di Bianca Maria, offre il seguente particolare: « In l’entrare de la giesia [cattedrale] se vedeva l’una et « l’altra banda coperta de paramento de brochato fin apresso a la —_—i > ae - (1) Cfr. C. pe FaBRICZY, I! libro di Antonio Billi in Archivio storico italiuno, V serie, t. VII, 1891, p. 331. L'AnoNIMO GaDDpIanO, v. Arch. stor. ital., V serie, t. XII, 1893, p. 89, riportò la notizia; ed il Vasari, nella Vita di Leonardo, la dà a sua volta, dicendo che la pittura rappresentava una Natività. (2) Cfr. F. Cauvi, Bianca Maria Sforza-Visconti e gli ambasciatori di Lodovico il Moro alla corte cesarea, Milano, Vallardi, 1888; L. BeLTRAMI, Gh sponsali di Bianca Maria Sforza Visconti, in Emporium, 1896, pp. 83-95. (3) Pietro Ì AzzaRONI, De nupliis Imperatoriae Majestatis . Anno 1493. Mediolani apud Zarotum 1494. (4) Fanno eccezione il MùLLER- WALDE, Fin nenes Dokument etc., in Jabrbuch cit., pp. 106-107, il quale afferma che in questo caso, come nelle altre solennità sforzesche, si trattava di un'imagine dipinta dal duca Francesco, la quale faceva parte del bagaglio sforzesco; e il SerpLiTz, Leonardo da Vinci cit., I, p. 149 e 182. Go ogle È CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 485 eminentia del choro, inante al quale era fabricato uno arco triun- « fale sopra colomne grande quale era tutto depincto et haveva nel « fronte la effigie de lo Illmo S.re quondam Duca Francesco a cavallo cum el ducale de sopra et Parma del Ser.mo Re dei Romaui de sopra. Questo arco triumphale, facto in quadro, haveva or- « namento de picture facte de feste antique » etc. (1), L’imagine del duca Francesco in pittura (2) ricompariva in tutte le solennità sforzesche (3), così come le storie decorative che l’accompagnavano, e forse questa volta s’era messo tale apparato in nuova forma e in maggior rilievo, ma probabilmente non s’era ancora potuto offrire di più: e non sembra perciò doversi vedere nei versi del Lazzaroni che quanto è descritto da Beatrice d’Este nella sua let. tera. Di più bisogna osservare che il Taccone, altro poeta di quelle nozze, s'esprime, nel parlare della statua affidata a Leonardo, un po' diversamente nei noti versi: Vedi che in corte fa far di metalio per memoria dil padre un gran colosso i credo fermamente e senza fallo che gretia e Roma mai vide el più grosso guarde pur come è bello quel cavallo Leonardo uinci a farlo sol s'è mosso. statura bon pictore e bon geometra un tanto ingegno rar dal ciel s' impetra (1) II do:umento (datato da Vigevano, il 28 dicembre del 1493) è stato pubblicato da Luzio e RENIER in questo Archivio, XVII, 1890, p. 384. Il corsivo è mio. (2) Probabilmente al dipinto si era impresso Il carattere monumentale. (3) Cfr. anche, per le nozze di Gian Galeazzo, l’op. cit. di SteFANO Dorcino, fol. 11 verso; e per gli sponsali Sforza-Este (nella qual circostanza può credersi che gli apparati siano stati fatti di nuovo, col concorso dei pittori allora chiamati a Milano) uno dei documenti pubblicati dal PorRO nel cit. vol. di questo Archivio, IX, 1882, 520-521: .... « la sala grande de la balla è stata preparata ad questo uso {cioè per la e festa delle donne », del 24 genn. 1491] cum ornamenti: l’uno nel sufficto ornato di stelle d’oro in campo azuro a similitudine del celo, l’altro ne le pariete coperte di pictura posta in tela ne la quale havemo per questa festa facto mettere tutte le victorie e gesti memorabili de lo Ii], mo S. nostro avo cum la effigie sua de un capo contro la porta a cavallo sotto un arco triumphale cum questo titulo che per le victorie et virtù sue "A G Anoi altri suoi posteri triumphamo et faciamo queste feste ». LO ogle 486 GEROLAMO CALVI E se più presto non s'è principiato la uoglia del Signor fu semper pronta non era un Lionardo ancor trovato qual di presente tanto ben l’impronta che qualunche ch’el uede sta amirato e se con lui al parangon s’afrunta Fidia: Mirone : Scoppa e Praxitello diran ch'al mondo mai fusse al più bello (1). Il Taccone sembra dunque parlare del colosso equestre, come di opera che tuttavia l’artista stesse modellando (o che, almeno, si trovava sempre nel laboratorio dello scultore), e quasi esprime una scusa ufficiosa « se più presto non s’ è principiato ». Egli poi, a differenza del Lazzaroni, che concentra la sua attenzione sulla figura dello Sforza, non parla che del cavallo. Che se passiamo dai versi dei due poeti alla prosa descrittiva offertaci anche questa volta da Tristano Calco, che (come abbiamo potuto vedere, per la rispondenza delle notizie, ch’egli ci ha dato, a fatti che risultano da altri documenti e dai manoscritti leonardeschi) si dimostra abbastanza diligente, malgrado il tono alquanto curiale e amplificatorio, che assume (altra ragione per ritenere che non avrebbe trascurato la esposizione del colosso) non troviamo in alcun modo fatta da lui menzione della statua equestre, accrescendosi così i motivi di dubitare dell’interpretazione, che si suol dare all’accenno del Lazzaroni. Quella corrispondenza, che già due volte abbiamo notato tra le relazioni auliche, che il Calco ci ha lasciato delle nozze sforzesche del 1489 e del 1491 e gli appunti personali e privati di Leonardo, parrebbe invece rinnovarsi una terza volta, a proposito dell’epilogo dei festeggiamenti nuziali. Una ricca comitiva scortò allora Bianca Maria, che, attraverso il lago di Como e la Valtellina, andava a raggiungere l’imperiale marito. Il Calco (2) ne prende argomento per descrivere alcuni dei punti più interessanti del Lario (così, p. es., la fonte Pliniana, Bellagio, Fiume Latte) e della via che se ne diparte a settentrione, illustrando così (1) Coronatione e sponsalitio de la serenissima Regina . M. Bianca . Ma. Sf. «Augusta al’ Illustrissimo . S. Lodouico . Sf . uisconte Duca de Barri per Baldassarre Taccone Alexandrino cancelleri etc. composta . [In fine :) Impressit Leonardu pachel M.CCCC.LXXXXIII. (2) TRISTANI CHALCI, Nuptiae Augustae, in Residua etc., cit., pp. IIO-I11. — î CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 487 quel viaggio principesco. Leonardo nota gli stessi luoghi in pagine del’ Codice Atlantico (1), che possono rimontare a quell’ epoca: la sua curiosità si direbbe svegliata nella stessa occasione e nello stesso punto 2). | III. Risalgo nuovamente di qualche anno la biografia di Leonardo per segnalare una pagina vinciana, che, quantunque si trovi già pubblicata nella costosa edizione del Codice Atlantico, attende tuttavia di essere divulgata per corredare i documenti sin qui raccolti sulla partecipazione del Vinci (3) al concorso per la risoluzione del problema architettonico del tiburio del Duomo di Milano. Le fonti archivistiche hanno, già da molto tempo, rivelato come Leonardo attendesse, nella seconda metà del 1487, coll’aiuto del falegname Bernardo Maggi da Abbiategrasso, alla costruzione di un modello proprio. Il fol. 270 recto c del Codice Atlantico ci mostra com'egli intendesse accompagnarlo con una relazione, nella quale dovevano svolgersi i concetti da lui seguiti nell’idearlo. A quali condizioni il modello s’informasse, non è possibile indurre che in via di congettura dai rari schizzi o disegni sparsi nei manoscritti vinciani, Il Beltrami ne ha tratto le indicazioni più notevoli, osservando che Leonardo aveva da prima adottato un partito allora comune all’Amadeo (e da questi successivamente abbandonato) di scaricare una parte del peso del tiburio « sopra gli « otto piloni più vicini ai quattro maggiori mediante archi che (1) Cod. Atl, fegli 214 recto e, 214 verso 6; commentati, con qualche altro franimento vinciano, in UzieLLI, Leonardo da Vinci e le Alpi, in Bollettino del Club Aipino Italiano, XXIII (1889), p. 81 sgg., e in CERMENATI, Leonardo da Vinci in Valsassina, Milano, Cogliati, 1910. (2) Ricordiamo che il collega di Leonardo, Ambrogio de Predis faceva parte del corteo di Bianca Maria crme pittore ufficiale, Inoltre ricordiamo i rapporti di Leonardo con Marchesino Stanga, che aveva la sua villa sul promontorio di Bellagio e vi ospitava sontuosamente la comitiva nuziale. (3) La pubblicazione più ampia che sia stata fatta su questo argomento, è quella di Luca BELTRAMI: Leonardo da Vinci negli studi per il tiburio della Cattedrale di Milano, Milano, Allegretti, 1903 (per nozze Beltrami-Rosina). 488 GEROLAMO CALVI « da quei piloni vanno agli angoli dell’ottagono »(1); ch’egli aveva inoltre studiato speciali forme e collegamenti d’archi, concorrenti a produrre l’effetto accennato con « speroni meno inclinati che « trasmettevano il peso ai piloni delle navate laterali » (2), e speciali disposizioni, nelle ossature staticamente più importanti, di conci indentati l’uno nell’altro (3) per assicurare la solidità del sistema. Che il Beltrami, nell’affermare che il progetto del Vinci era sopratutto dominato dalla preoccupazione di risolvere scientificamente il problema, si apponga molto bene, è anche dimostrato dalla pagina, che ho testè citato e della quale credo utile di far seguire la trascrizione. Leonardo, nel prendere a ordinare in forma espositiva le sue idee, per indirizzarle, come illustrazione e difesa del proprio modello, al Consiglio della Fabbrica, dichiara doversi rimediare all’organismo malato del Duomo con una razionale composizione di forze, con un ritorno alle regole, dalle quali il retto edificare deriva e che si fondano sui concetti scientifici di peso e di forza. Il Vinci si rifà più volte da capo, come gli avviene spesso nel lavoro faticoso di redazione, specialmente allorchè si tratta di esporre ai grandi od al pubblico i concetti, che rivolge in mente: Signjori. padri . diputatj. sichome . ai medicj tutori curatori de li amalat} . (corti) bisognja . intendere . che chosa . è homo che chosa . è vita. che chosa è sanjta (e infe) e in che modo vna parità vna concordanza d’elementj la mantiene . e chosì vna dischordanza di quelj .la rujna . e disfa e conoscivto be[n] le sopra dette nature . potrà meglio riparare che chi n'è privato (st come la medicina . è atta . a chontrastare a la malattia) vo) sapete le medicine (esser) esendo bene adoperate rendon sanjta . ai malat):; questo bene adoperate sarà . quando . il medico . con lo intendere la lor natura jntenderà . che chosa è homo che chosa.è vjta che chosa è chonplessione . e così sanjtà . chonoscivte be[n] queste bene chonoscierà il suo contrario . (e chosì) esendo chosì ben vi saprà riparare voj. sapete le medicine . essendo . bene . adoperate . rendon sanjtà. ai malatj.(/a persa sanjià) e quelo . che bene le chonoscie ben l’adopererà . quando ancora luj conoscierà che cosa .è homo. che chosa è vita e chonplesione . che chosa è sanjta . chonosciendo queste bene canoscierà i sua contrarj . essendo così piv(i) visino sarà al riparo c[h]'al- (1) Op. cit., p. 45. (2) Op. cit., pp. 47-48 (3) Op. cit., p_ 47. Ò : CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 489 cun altro Questo medesimo bisognja al malato . (edifitio) domo . cioè vno medico architetto . che ’ntenda bene. che chosa è edifi(chare)tio . e da che regole (/o e) il retto edificare diriva . e donde dette regole sono tratte e ’n quante parte sieno divise e (c)quale sieno le cagione che (b)tengano lo edifitio jnsieme e che lo tano premanente e che natura sia. quela del pesa [peso] .e quale sia il disiderio de la forza e in che modo sì debono . chontessere . e cholegare insieme. e congivnte che effetto partoriscjno . chi di ques e sopra dette cose. arà vera chognjtione . vi las(c)ierà (di sa). di sua rason e opera sadisfatto (e quella mede) (e quale luj si sia. dateli.la impresa). Onde . per questo io m’jngiegnjerò . non ditraendo non (#0/jnando) (n)infamando .alchuno (Onde per questo .sanza detrare o infamare alchuno . m’jngiegnjerò . giusta . mia possa .) di sadisfare in parte chon(n) ragion) e in parte coll’opere . alchuna volta dimostrando li effettj per le cagionj alcuna vol[t]}a . affermando . le ragionj chole sperienze (e ’n(s)sieme) chon queste achomodando alcuna alturjta. deli architettj. antichi le proue de ]j edifitj . fatt} e qualj sieno (/e ragto) le cagionj . di lor ruina e di loro premanentia . ecc. e chon quele dimonstrare.quale .(quale./a chagione) prima del carico e quale e quante sieno.le chagionj . (de rui) che danno rujna. a ]j edifitj . e qu le . (e quale) e il (mm) modo. della loro, stabilità e premanenza Ma per non(n) essere plorisso [prolisso]. a vostre [e]‘ielenze dirò. prima la inuentione . de(/ we)l primo . architetto del do(40)mo . e c[h]iaramenti vi dimost[r]ero qual fussi sua intentione . affermando quela . chol(la) principiat(a ofera)o . edifitjo . e. (e (s/s’i0 vi farò) faciendou) questo intendere chiaramente potrette conosciere .il modelo da me fatto.avere in se quella . simetrja. quella chorispondentia quela (sa) chonformjtà quale s'apartiene. al principato. edifitio che chosa è edifitio.e donde le regolc del retto. edifichare. anno dirivatione e quante e qual) siano le parte apartenente a (c)quelle o iv o altri che lo dimostri me’ di me pigliatelo mettete da canto ognj pasione (1) Che questo scritto sia connesso col concorso per il tiburio della cattedrale milanese non mi sembra dubbio. Leonardo si rivolge ai « deputati » (come son chiamati (domini deputati), anche nei documenti sincroni, i fabbricieri del massimo tempio); parla del « malato domo », si richiama al suo modello, dimostra di averlo eseguito in concorrenza con altri e chiede su di esso un giudizio (1) Cod. Atl, fol. 270 recto c cit. e _ 490 GEROLAMO CALVI spassionato. É nota e fu già ripetutamente pubblicata (1) una relazione che porta il nome del Bramante (opinto Bramanti super templum magnum), altro dei concorrenti. Essa è ascritta al 1490 €, anche per la critica dei progetti, che già si trovavano sub sudice, parrebbe appartenente o vicina a quell’anno piuttosto che al 1487. Il caso inverso mi sembra invece probabile per la bozza frammentaria di relazione, ora veduta, del Vinci, la quale si potrebbe ravvicinare al modello ed agli studî leonardeschi del 1487-1488. Osserviamo anzitutto a questo proposito che Leonardo si vale, nel caratteristico paragone che gli serve da spunto, di concetti, che ritroviamo nel Codice Trivulziano (fol. 4 recto) (2): « medicina è « riparegiamento de’ disequalati elementj »; « malattia è dischor- « danza d’elementi fusi nel ujtale corpo ». Lo stesso Codice Trivulziano contiene degli schizzi, che sono stati riferiti, non senza qualche fondamento, agli studî di Leonardo per il tiburio; ed anche delle annotazioni di statica sulla resistenza dei pilastri e degli archi, le quali, per il loro carattere generale, parvero al Malaguzzi (3) un argomento (benchè non il solo) per escludere qualche foglio dal novero di quelli che possono riferirsi al problema del tiburio, mentre la pagina trascritta ci dimostra che (come sempre da un compito pratico nasceva per Leonardo un’indagine teorica) la maggior parte delle ricerche vinciane sulla statica delle volte, ecc. (4) deve ascriversi agli anni, nei quali il Vinci si occupò del modello per il Duomo di Milano. È ragionevole pensare che il Codice Trivulziano sia stato in parte scritto intorno al 1487-1488, anni quasi centrali rispetto al periodo 1485-1489(-1490), al quale si potrebbe (col ms. B) ascriverlo (5). (1) Annali della Fabbrica del Duomo di Milano, vol. III, Milano, Brigola, 1880, pp. 62-64 (sotto l’anno 1490); G. M[oncERI], Bramante e il Duomo, in questo Archivio, prima serie, V, 1878, pp. 538-544; cfr. BELTRAMI, Op. cit., pp. 38 39; Mataguzzi-VALERI, Bramante e Leonardo da Vinci, cit., p. 113. (2) Cfr. L. BELTRAMI, Il Codice di Leonardo da Vinci nella biblioteca del principe Trivulzio in Milano (Milano, Dumolard, 1891) tav. 68. (3) Op. cit., p. 435. (4) Degli appunti vinciani, che riflettono questi studi si trova nella citata raccolta sistematica del RicHTER, The literary works, etc., II, pp 75-99, una abbastanza copiosa serie. (5) Per una congettura, che connette un appunto di quel codice con l’eclisse di sole del 16 marzo 7485, cfr. CAROTTI in questo Archivio, 1891, p. 177; SEIDLITZ, op. cit., I, p. 112; MALAGUZZI, op. cit., p. 426. Go ogle CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 497 In secondo luogo quella, che si potrebbe chiamare l’ ultima fase dei lavori di Leonardo per il tiburio e che coincide colla venuta di Francesco di Giorgio a Milano, non parrebbe rispecchiare il momento della maggiore iniziativa per parte di Leonardo. Il. Beltrami (1) opina che, dopo aver avuto agio d’intrattenersi, specialmente in Pavia, col vecchio architetto senese sul tema del tiburio, il Vinci « vedendo ormai avviato il problema verso quella « soluzione più semplice e razionale, che doveva pochi giorni dopo « essere adottata, non abbia ritenuto di sostenere maggiormente « il suo concetto ». Come i documenti ci attestano, Leonardo aveva ottenuto, il ro maggio 1490, dal Consiglio della Fabbrica. di ritirare il suo modello per aggiungervi sfalas es areptas seu devastatas e restituirlo poi ad omnem requisitionem (2). Forse sopratutto per lo stimolo, che gli provenne dalla notizia del prossimo intervento di Francesco di Giorgio, Leonardo desiderò di riavere il modello. L’avergli i deputati accordata la retrocessione di questo, con una risposta che suonava assai più deferente di quella data a fra Giovanni Meyer, al quale si diceva: « non expectet nec laudationem « modeli nec aliquid aliud cum praefata fabrica » (3): l'avere, sette giorni dopo, autorizzato il tesoriere (ch’era quell’anno Gio. Antonio da Landriano) a pagargli 12 lire imperiali « super ratione « unius modeli per eum construendi de presenti et hoc impositione « nonnullorum dom. deputatorum praefata fabrica » (4): dimostrano che v’era almeno una corrente favorevole a che il Vinci si ripresentasse nelle migliori condizioni in questo secondo stadio della discussione. Ma anche questa volta, come in altre congiunture della sua vita artistica, Leonardo, sul punto di cogliere il frutto delle sue fatiche, sembra ritrarsene o mutar rotta. Del modello di Leonardo non si parla più, nei successivi documenti a noi noti, in via diretta : si segnano, bensì, negli anni posteriori, a debito di Leo- (1) Leonardo negli studi per îl tiburio, cit, p. 54. (2) V. il doc. in G.L. CaLvi, Notizie ecc. cit. Parte IIl (Leonardo da Vinci), doc. VIII, pp. 91-92; BELTRAMI, Op. cit., p. 75. (3) La deliberazione che riguarda il MEvER, del 26 aprile 1490, si trova a p. 56 del vol. III degli Annali cit. (4) Vedi il doc. in BELTRAMI, op. cit., p. 75; cfr. G. L. CALVI, op. cit., p. 92; e cfr. anche l'annotazione corrispondente del Registro verde, sotto la stessa data del 17 maggio 1490, pubblicata dal BELTRAMI, Op. cit., p. 75. Go ogle x 492 GEROLAMO CALVI nardo, le 12 lire imperiali (1) delle quali s'è fatto parola poc'anzi: un fatto, questo, il quale tenderebbe a confermare che Leonardo non adempisse l'impegno, e non riconsegnasse il modello ch'egli aveva ritirato per riattarlo o lo riconsegnasse nelle medesime condizioni. Nella lettera del Calco, in data 10 giugno 1490, pubblicata dal Malaguzzi (2), si parla del fervore, col quale Francesco di Giorgio, il vecchio ingegnere senese, attende a terminare il proprio modello (quello che nella seduta solenne del Consiglio della Fabbrica, il 27 di giugno, alla presenza di Lodovico Sforza, è il primo nominato tra i modelis ibidem existentibus): quanto a Leonardo, si aggiunge solo che « sarà sempre aparechiato omne volta sij richie- « sto », un’ espressione che richiama l’ad ommnem requisitionem del documento già visto, per la restituzione del modello, ma sembra reticente, quasi il Vinci si sottraesse ad ogni iniziativa personale per lasciare il primo posto a Francesco di Giorgio. Forse una parte degli studî o dei preparativi, che il Vinci poteva avere istituiti, rimase assorbito nel lavoro di Francesco di Giorgio. In fatto, del modello di Leonardo, ai 17 di maggio ancora menzionato per eum construendi, non è fatta, dopo tale data, nei documenti sin qui noti, più alcuna menzione diretta, mentre Francesco di Giorgio, giunto in Milano agli ultimi di maggio, ha presentato, prima della fine del mese seguente, dopo aver passata una parte di questo tempo col Vinci, il modello che, come si è detto, compare nella seduta solenne del 27 di giugno 1490. IV. Circa i lavori di Leonardo nei castelli e nelle residenze ducali di Milano, Pavia e Vigevano, le opinioni si vanno rivolgendo da troppo confidenti congetture di una larga attività del maestro a riserve, forse troppo guardinghe, ma certo più saggie, sulla parte, che il Vinci avrebbe effettivamente avuto in alcuna delle (1) AMOREITI, Memorie su la vita, gli studi e le opere di Leonardo da Vinci, premessa al Trattato della pittura nell’ediz. dei Classici Italiani, Milano, 1804, pp. 27-28. Cfr., per un successivo documento del 1494, BELTRAMI, Op. cit., p. 75. (2) In Repertorium fiîr Kunsiwissenschaft, XXIV, 1901, p. 95. Go ogle CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 493 svariate opere, colle quali Lodovico il Moro volle munire le sue rocche, abbellire i suoi palazzi, rendere fruttifere le sue possessioni. Lo stesso Malaguzzi, col procedere dei suoi studî, si scioglie dalle ipotesi (1) presentate con qualche favore nel volume del 1913, e si attiene a giudizî più maturi e riservati. Nonostante ciò, qualcuno dei documenti illustrativi, ch'egli desume dai manoscritti, non sembra rispondere ad una ipotesi plausibile: così, per esempio, gli schizzi di fortificazione, ch’ egli riproduce dal fol. 43 verso a del Codice Atlantico, inclinando (2) a vedervi abbozzati gli antichi torrioni del castello, mentre questa pagina, sia per il modo con cui sono condotti i disegni, già alquanto diversi dal tratteggio usato durante il periodo milanese, sia per certi dettagli che dimostrano nuovi rapporti studiati da Leonardo tra i mezzi d’offesa e quelli di difesa, appartiene, con tutta probabilità, all’epoca, alla quale sono da riferire altri appunti e disegni contenuti nel ms. L ed in parecchi fogli del Codice Atlantico, cioè al tempo, nel quale Leonardo si trovava in Romagna, come ingegnere militare di Cesare Borgia. Al castello di Milano sembra invece doversi riferire un appunto, che il Malaguzzi (3) ascrive all’estate del 1492, astenendosi dal connetterlo con una realtà determinata. Sul particolare del quale si tratta, le cause d’incertezza o di confusione rimontano, per la biografia di Leonardo, molto addietro, e vale la pena di rifare la strada per rimettere in chiaro le cose. Un erroneo rilievo in un manoscritto vinciano ha fatto già assegnare all’anno 1482 (1) Mi riferisco principalmente al modo, con cui, sulla scorta del SoLMI, le questioni, che concernono Vigevano, sono trattate nel volume su La vita privata e l’arte a Milano neila seconda metà del quattrocento, cit., p. 641 sgg., e al riserbo che sopravviene, per lo stesso argomento, nel volume su Bramante e Leonardo da Vinci, cit., pp. 478-486. (2) Bramante e Leonardo da Vinci, cit., p. 379. (3) « Nel principio del 1492 fu a Sesto Calende, a Varalpombia, nel marzo « a Vigevano; nell'estate pensava, fra l'altro, al padiglione del zardino della du- « chessa e al modo di distribuirvi or l’acqua calda or la fredda. Egli nota: per « iscaldare l’acqua della stuffa della duchessa torrui tre parti d’acqua calda e quattro « parti d’acqua fredda. Ma nulla assicura che quel padiglione e quello disegnato « dallo stesso artista rispondano a realtà o siano un parto della sua fantasia », op. cit., p. 476; cfr. AMORETTI, Memorie storiche, etc., cit., pp. 45 e 48; UZIELLI, Ricerche, ecc., 2% ediz., cit., pp. 138 e 153-155. Go ogle 494 GEROLAMO CALVI uno dei passi riguardanti il castello di Milano, a fol. 12 recto del ms. B; ed una malcerta interpretazione di esso attribuire a Leonardo il padiglione della duchessa di Milano, relativamente al quale sono ivi appunti e schizzi architettonici di mano del Vinci. L’Amoretti (1), citando il P. Della Valle, scrive che il De Pagare avrebbe letto nel Codice Atlantico, Ambrosiano, alla pagina seconda, che Leonardo disegnò in Milano un padiglione del settembre del 1482. Il confronto col Codice Atlantico e il risultato negativo di esso fanno supporre che la data proposta dipendesse da una falsa lettura di qualche passo del ms. B(2), dove, a fol. 12 recto, si trovano i citati disegni relativi al padiglione. L’Amoretti ritorna sullo stesso tema più avanti, dove dice: « Una sua [di Leonardo] opera « da riportarsi a quest'anno [1492] fuil Bagno fatto per la duchessa » Beatrice nel parco o giardino del Castello. Lionardo non solo « ne disegnò il piccolo edifizio a foggia di padiglione, nel cod. se- « gnato Q. 3, dandone anche separatamente la pianta; ma sotto « vi scrisse: Padiglione del giardino della duchessa ; e sotto la « pianta: / ondamento del padiglione ch° è nel mezzo del labirinto u del duca di Milano. Nessuna data è presso il padiglione, dise- « gnato nella pagina 12, ma poco sopra fra molti circoli intrec- « ciati vedesi = 1o Luglio 1492 =; e nella pagina 2 presso ad « alcuni disegni di legumi qualcuno ha letto (3) Settembre 1482 « invece di 1492, come doveva scrivervi e probabilmente scrisse « Leonardo. Disegnò pure le chiavi colle quali dare al bagno l’ac- « qua ora calda ora fredda, e così temprarla, nominando tal con- (1) AMORETTI, Memorie storiche, ecc., cit., p. 28; DeLLA VALLE, Supplemento alla vita di Lionardo da Vinci nel tomo V delle Vite del Vasari, ediz. di Siena 1792, p. 6;; cfr. anche JorDaN, Das Malerbuch des Lionardo da Vinci, Lipsia, 1873, p. 80. (2) L’unica data, che si noti attualmente nel ms. B, manca dell’indicazione dell’anno (che potrebbe tuttavia essere obliterata), ed è quella, già citata, che si trova appunto, scritta in senso ordinario, a fol. 2 (4 recto della numerazione originaria) del Codice: « Addi 28 d'aprile ebbi da marchesino . lire . 103 e sfoldi].12.». La cifra 28, sbadatamente considerata come scritta in senso inver:0, avrebbe potuto dal De Pagcave esser letta 82; nia non si saprebbe poi indovinare donde cavasse il settembre. D'altra parte i legumi disegnati, ai quali accenna l’AMORETTI, sembrano dover essere quelli che si vedono sul fol. 3 [1] recto dello stesso ms.: non potrei escludere che il disegno nasconda qualche frammento ms. (3) Vedi la n. preced. Go ogle ni 7 CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 495 « gegno: Sciavatura del bagno della duchessa (fol. 28): e indicando « eziandio le proporzioni dell’acqua bollente colla fredda per averne « il piacevol tepore conveniente al bagno, onde scrive alla pag. 34: « per iscaldare l’acqua della stuffa della duchessa torrat tre parti « d’acqua calda e quattro parti d’acqua fredda » (1). Ora, per l'Àmoretti, come per gli autori da lui citati, sono certamente avvenute delle confusioni riguardo all’identificazione dei manoscritti e delle pagine datate. Infatti il manoscritto B non porta alcuna data d'anno (2); ed evidentemente neppure lo stesso Amoretti ha con- . trollato direttamente la supposta data, settembre 1482, ch’egli esclude soltanto per un ragionamento indiretto,,e quasi per incompatibilità con quella, ch’egli ha, in un’altra pagina, rilevato, del 10 luglio 1492. Questa si può ritrovare e leggere a fol. 34 verso del ms. Ashburnham do, che fu acquistato dalla Biblioteca Nazionale di Parigi, avendovi la segnatura 2038 Ital., e passò poi alla Bibliothéque de l’Institut, dove raggiunse il ms. A, al quale era originariamente unito. Ivi, tra un intreccio di circoli, si legge infatti: « a dì 10 di luglio 1492 »; e in corrispondenza alla data si trova un conto di denari, probabilmente ricevuti da Leonardo (3). (1) AMORETTI, Memorie storiche, ecc., cit., p. 48. Cfr. UZiELLI, /icerche, ecc., 2° ediz. cit., p. 154 sgg.;: e ]. P. RicHTER, 7he literary works, etc., cit., I, nota al $ 75. (2) Cfr. ]. P. RICHTER, l. cit.; e v. la n. (2) a p. precedente. (3) Tale registrazione di Leonardo presenta, come per un’ esazione od una verifica di cassia, una breve serie di importi, secondo le diverse qualità di monete, per la somma complessiva di 811 lire imperiali. E poichè questa somma corrisponde, salvo la lieve differenza di 11 ‘lire, a quella che i confratelli della Concezione avevano pattuito di dare a Leonardo da Vinci e ad Ambrogio de Predis e che i due artisti ammettevano, nella supplica non datata pubblicata dal MOTTA (v. questo Archivio serie terza, II, 1894, pp. 972-989) di aver ricevuto, io mi domandai (in via di semplice congettura e in un tempo, nel quale la supplica citata e un riassunto di essa, del pari sprovvisto di data, segnalato dal MaLaguzzi (cfr. Rassegna d'Arte, 1, 1901, p. 110), erano i soli documenti noti sulla sirigolare vertenza protrattasi sino al 1508) se potesse vedersi nella registrazione di Leonardo il pagamento avvenuto per la Vergine delle Roccie. Il dott. Biscaro volle cortesemente far cenno e tener conto di quella mia congettura (cfr. questo Archivio, serie quarta, XIII, 1910, p. 148, nota), allorchè pubblicò il contratto originale riguardante Ja commissione della « Vergine delle Roccie »; dal quale sopravvennero, anche in ordine alla mia ipotesi, nuovi elementi di considerazione. ]nfatti il contratto del 25 aprile 1483 fissava l'ordine dei versasia è. £ - Go ogle uN. ” 496 GEROLAMO CALVI Poichè sul citate fol. 12 del ms. B si legge: « padiglione del « zardino della duchessa di milano » il Richter (1) si chiede se l’annotazione debba riferirsi alla duchessa Beatrice o alla duchessa Isabella, e, considerando l’anzianità de] codice, conclude per la seconda. A me sembra come già è apparso da qualche elemento di discussione, che il ms. B debba ritenersi, nella maggior parte dei suoi dati, piuttosto anteriore che posteriore al matrimoniodi Gian Galeazzo Sforza; ma, anche indipendentemente da ciò, inclino a credere che. Leonardo abbia voluto riferirsi ad un edifizio già esistente e detto « della duchessa » per effetto, della destinazione, ch’ esso aveva menti, il primo dei quali, di cento lire imperiali, doveva farsi ai due pittori il primo di maggio, otto giorni dopo la stipulazione dell'atto, e non si può ragio» mevolmente ammettere che gli artisti abbiano rinunziato (e massime essendo in due) alla riscossione, nè che i Confratelli della Concezione avessero, a così breve distanza dall'impegno preso, un motivo per negarla. S' aggiungano le risultanze dei documenti nuovamente scoperti dal MorTtA e dei quali ha dato notizia il BELTRAMI (in Rassegna d'Arte, XV, 1915, pp. 97-101): la sentenza arbitrale del 1506 riconosce (ivi, p. 100) come i due artisti avessero ricevuto lire 730 imperiali, alle quali erano state aggiunte «Itre lire 100 « pro et occasione solutionis « predicte ancone et tabule ». Ora, poichè l'appunto di Leonardo colla data del 10 luglio 1492 riflette una somma costituita da divise monetarie differenti di cui l’accertamento parrebbe fatto de visu in una sol volta, piuttosto che il riassunto di danari diversi avuti in lontane scadenze; nè (dato il caso che Leonardo avesse invece trascritto e riassunto precedenti annotazioni, al che poteva muoverlo la vertenza coi Confratelli della Concezione) si trova corrispondenza nei versamenti; io stesso dovrei aggiungere una più esplicita riserva al dubbio, col quale avevo emesso quell’ ipotesi. Ma, sia che questa possa serbare ancora qualche valore, sia che il saldo della somma, che la supplica a Lodovico il Moro confessava essere di lire 800 imp. e il lodo del 1506 definiva in lire 830 imp., avesse avuto luogo prima o dopo il 1492, è ormai provato che l'adempimento degli impegni dei due pittori verso i Confratelli e forse anche la consegna della tavola si fecero attendere oltre ogni previsione. Il dubbio che la pittura non fosse ancora stata consegnata sin che, come sembra, il De Predis s'adoprò, col tepido concorso di Leonardo, a condurre le cose in porto dal punto di vista giuridico, (ed anche dal punto di vista artistico, aggiungono non senza qualche fondamento i critici) nasce così dall’ espressione della supplica: e aut che essi scolari /asano « ali dicti exponenti dicta nostra donna », come dal termine di due anni accordato nel 1506 ai due pittori per compiere l’opera. Ma per un maturo giudizio su tutto ciò conviene attendere la pubblicazione în extenso, assai desiderata, dei documenti trovati dal Motta, e dei quali il BeLTtRAMI ha dato una prima comunicazione. (1) Cfr. RicHTER, I. cit. LO ogle Ù CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 497 ricevuto sin dal tempo di Galeazzo Maria; che non si tratti quindi di un progetto del maestro, ma piuttosto (1) della costruzione veduta e descritta nel 1480 dal fiorentino Ridolfi come una delle curiosità interessanti nel recinto del castello: « Et evi uno padiglione « che v’è sotto ammattonato et intorno intorno ha l’acque vive « con siepe a mo' di labirinto » (2). Quanto agli appunti vinciani, che si riferiscono al « bagno della « duchessa », bisogna tenerli ben distinti dalle annotazioni, che riguardano il padiglione ora nominato. Essi appartengono ad un altro manoscritto e ad un tempo alquanto più tardo; così che, quand’anche si ammetta che il bagno potesse trovarsi nell’interno del padiglione, sarebbe alquanto arbitrario il volerlo affermare in base alle indicazioni di Leonardo; e sarebbe, in particolare, contrario ad una sana critica il voler attribuire i due temi ad una stessa occasione e ad uno stesso anno, che per giunta è stato anch'esso, come s’ è visto, designato arbitrariamente. Aprendo il ms. 1, vi ritroviamo gli appunti citati dall’ Amoretti: « Sc[h]iavatura del bagnio - della duchessa » (fol. 28 verso); « bagno — per isscaldare l’acqua « della stufa della duchessa torai 3 parte d’acqua chalda sopra 4 « parti d’acqua fredda. » (fol. 34 recto) Di conformità alla supposta data (3) di quella parte (la prima, designata 1,), del manoscritto che (1) Cfr. MùLLER-WALDE, Ein neues Dokument etc., in Jabrbuch cit., p. 104, nota. Giova rilevare che il BELTRAMI si mantiene tuttavia più riservato, che al MutLeR-WaLDE non paia (cfr. Il Castello di Milano, 2* ediz. cit., p. 475). Cfr. anche Mac Curpy, Leonardo da Vinci cit., p. 17. (2) Vedi la descrizione del RipoLFi in Zibaldone, anno I, n. 10 (Firenze, ottobre 1888), p. 158; e in BELTRAMI, 1/ Castello di Milano, 2° ed. cit., pp. 425- 427. Sembra che Galeazzo Maria fosse solito frequentare quella parte del castello sopratutto colla sua consorte, occupando con essa specialmente « due camere... a presso alla porta del paviglione » (doc. del 23 giugno 1477 in BELTRAMI, Op. cit., pp. 382-383); cfr. un altro documento del 28 agosto 1470, pure in BELTRAMI, op. cit., p. 257: « quelle doe camere dove solemo dormire et mangiare comua niter la nostra illustrissima consorte » (da questo documento non appare che il padiglione fosse già costruito): cfr. per quella località ancora il BELTRAMI, op. cit, pp., 262 e 263, nota. : (3) Il ms. I è stato pubbiicato, con gli altri oggi esistenti nella biblioteca dell’ Istituto di Francia, dal RA\W@isson-MOLLIEN (Les mss. etc, cit., vol. IV); il RicHTER ( The literary works etc., cit., I, p. 5)-Io pone al 1497 (ma con un punto interrogativo quanto alla parte designata I,). Il codicetto, per la sua parte più Arch Stor. Lomb., Anno XLIIT, Fasc. III. 32 ld Go ogle 498 GEROLAMO CALVI li contiene, essi dovrebbero giudicarsi scritti intorno al 1497. Bisogna tuttavia ricordare come altri schizzi ed appunti relativi ad apparecchi, che servivano al bagno della duchessa isabella (1) si trovino sopra un foglio del Codice Atlantico (104 recto d) portante in fronte la nota datata: « a di primo d’agosto 1499 . scrissi qui de moto . « e peso ». L'attenzione rivolta ai congegni del bagno della duchessa parrebbe un po’ strana in quei giorni, nei quali il ducato era invaso dai nemici: forse la nota preesisteva sul foglio allora preso in mano per scrivervi « de moto e peso », argomento che ne occupa così il recto come il verso. Distinti così i due temi, ritorniamo al primo di essi per osservare che nel ms. H e nel Codice Atlantico si trovano davvero degli schizzi ed appunti relativi ad un più modesto padiglione, antica (benchè nel suo complesso mi sembri oltrepassare il 1497) potrebbe infatti prender le mosse dal 1496-1497: di poco o immediatamente anteriore ad esso è il ms. S. K. M. II (altro libretto da tasca per gli appunti quotidiani), col quale ha parecchi punti di contatto, Delle profezie, che si trovano più numerose nel ms. I, alcune appaiono già nel ms. S. K. M. II ; ed in entrambi si hanno ricerche di forme e d’iutrecci ornamentali, che si possono ascrivere ad un medesimo ordine di studi. Si considerino inoltre il rapporto che vi presentano gli appunti di matematica coi mss. I e K. Forse questi libretti d’annotazione furono adoperati da Leonardo a più riprese. Il ms. S. K. M. II contiene a fol. 70 verso (89 recto della numerazione di Leonardo), relativamente al Castello, un interessante schizzo a matita, d’un’ armatura di legname, coll’appunto: « covercio della « predica del castello ». Si veda anche, a fol. 53 verso (II recto) dello stesso ms. uno schizzo fatto « in sancto anbroso ». Il ms. I (I,), contiene pure (fol. 32 verso, 38 verso) due piccoli schizzi e brevi appunti commentati dal BELTRAMI, relativi al «€ modo di inondare il fossato circondante il Castello di Milano scavando un « canale di comunicazione fra questo fossato ed il giro dei redefossi; e dimo- « stranti il pericolo, al quale di conseguenza poteva trovarsi esposto il fortilizio ». (BeLTRAMI, Il Castello di Milano, 2* ediz. cit., p. 465-466). (1) « della [sic] bagno della duchessa isabella » « fatto per la stufa over » bagnjo della duchessa isabella ». E, con riferimento ad una delle figure, rappresentanti il congegno a vite ed a molla, quest'altro appunto: « è posto perchè « il massc[h]io della vite non si uolti insieme colla sua femmjna ». Il MùLLERWALDE, Fin neues Dokument, etc, in Jahrbuch cit., p. 103 e nota ivi, pensa (malgrado il diverso titolo) che sia qui nominata la marchesana Isabella d'Este, e ribadisce la sua opinione in un successivo articolo (Leonardo und die antike Reiterstatue des Regisole, cit., nello Jahrbuch del 1899, XX, p. 90). Secondo il MuLLERWaLpe Leonardo si troverebbe già, al primo d'agosto 1499, a Mantova. Ma la sua Opinione non sembra plausibile. Go ogle =“ CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 499 questa volta non semplicemente ritratto da una struttura già esistente, ma, a quanto pare, studiato in tutti quei particolari, che possono farci ritenere Leonardo incaricato della sua costruzione. È il padiglioncino « di legni », che dovremmo ritenere ideato per la residenza ducale di Vigevano e che il Malaguzzi, riproducendone le parti disegnate sul foglio 283 verso c del Codice Atlantico, crede (1) un armadio o stipo a muro coi particolari per le cerniere e per gli sportelli. Il ravvicinamento di altri dati ci permette di confermarci nella nostra opinione circa la sua probabile destinazione. Sono presumibilmente del 1494 più annotazioni, non ignorate dal Malaguzzi, relative a Vigevano, contenute nel ms. H; delle quali le seguenti sembrano riflettere operazioni da farsi: « da(s)serare a chiave vno inchasstro a Vigievine » (2); « padigl(i]on di legnj a Vigievine » (3). Quest’ ultima nota è accompagnata da schizzi e appunti di dettaglio sullo stesso foglio, ov’essa si trova, e sul recto del foglio seguente: « piegatura di pa- « riete di pavione », « angolo del padigl[i]one », « angolo di pavione « d’asse », « catenaccio » (4). Da alcuni di questi particolari sembra di poter arguire che si tratti di studi per lo stesso padiglione, che troviamo accuratamente e compiutamente disegnato con le sue misure sui fogli 283 recto b e 283 verso c del Codice Atlantico. Infatti le misure i, +, sei sì ritrovano, in corrispondenza a certe scompartizioni del padiglione così sul foglio 283 recto è del Codice Atlantico come sul foglio 78 verso del ms. H,, benchè in diverso {ma non contradditorio) ordine; inoltre la parte d'ossatura della testata del padiglione, disegnata nel basso del foglio 79 recto del ms. H, s’accorda colla pianta dell’ intera testata a fol. 283 recto b, citato; infine i due dettagli a fol. 283 verso c del Codice Atlantico, « angolo del pavione » e « catenaciolj per disgivgnjere e con- «givgnjere » coincidono coi corrispondenti riuniti in un solo schizzo a fol. 19 recto del ms. H,. Ai fogli indicati ci sembra di dover (1) Op. cit., p. 482 e fig. 533 a p. 484. Le parole « angolo del pavione » scritte da Leonardo accanto ad uno dei particolari disegnati, e le altre « usscio « serrato », « finesstre doppie » indicano la vera destinazione del disegno. (2) Ms. H, fol. I recto. (3) Ms. H,, fol. 78 verso. Nel volume su La vita privata e l’arte a Milano, ecc., cit., p. 663, il MaLagGuzZI lo aveva ricordato, citando il SOLMI. > (4) Ms. H,, fol. 78 verso, 79 recto. Go ogle 500 GEROLAMO CALVI aggiungere ancora il 34 verso 6 del Codice Atlantico, con altri disegni ed altre indicazioni manoscritte, tra le quali i seguenti appunti: « tutti i ferramenti vanno di dentro »; « ogni ase debbe « essere asscosta dentro alla superfitie del legnjame insino al cientro « del suo polo eicjquesta regola farà che li usscj o(f)finestre non « faranno nell’aprire alcuno spiraculo - ». Dettagli minuti e ripetuti, come quelli che si trovano in queste pagine, legittimano l’opinione che in questo caso si tratti realmente di un lavoro, del quale Leonardo aveva assunto l’esecuzione (1). Le due più famose opere di pittura, alle quali Leonardo attese durante il periodo sforzesco, la Vergine delle Roccie e la Cena, sono state ripetutamente l’oggetto di felici ricerche e di studî miìnuti e coscienziosi, ai quali aggiunge un notevole corredo illustrativo anche il Malaguzzi. Il trattarne nuovamente a fondo non è da queste pagine frammentarie, né chi arriva, per usare un’ espressione di Leonardo, ultimo alla fiera può invidiare trc ppo facilmente i maggiori temi o le questioni più ardue che li riguardano. Mi sia dunque consentito di limitarmi, qui più che altrove, all’ esame e alla discussione di qualche particolare, connesso coi disegni o coi dati manoscritti, che possono riferirsi a quelle opere. Parecchi critici sono venuti tentando di scernere la parte presa (1) Invece nei passi del Codice Leicester (fol. 21 recto, 32 recto), che ricordano una scala idraulica della Sforzesca, si riflette un'osservazione e non già un'invenzione di Leonirdo; come risulta anche da un terzo frammento del citato ms. H (H,, fol. 65 [17] verso). Il MaLaguzzi, Bramante e Leonardo da Vinci, cit., pp. 482-483, riconduce a questo proposito entro più legittimi confini l'ipotesi, ch'egli aveva, nel precedente volume (La vita privata, ecc., cit., p 671) mutuato dal SoLmi. Egli avrebbe potuto anche più risolutamente ritornare sul suo cammino e, col distinguere nettamente i frammenti ch'egli cita, e col darne le lezioni migliori, esaurire la piccola questione; giacchè s’ egli attribuisce un po’ di colpa, in questi casi, allo stadio, nel quale si trova la pubblicazione dei manoscritti vinciani e a qualche discordanza tra le lezioni adottate dagli studicsi, non è però men vero che dei manoscritti e dei frammenti, ch'egli cita, esistono non solamente le. trascrizioni, ma anche le riproduzioni fotogratiche, alle quali conveniva ricorrere direttamente. = Go ogle th CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 501 da Leonardo e quella che sarebbe stata abbandonata ad Ambrogio de Predis nell’ esecuzione della Vergine delle Roccie di Londra. Il Seidlitz (1) è dj quelli che sostengono addirittura (ribadendo l'opinione del Morelli (2), il quale però non si atteneva al nome del de Predis) che il collaboratore del Vinci avrebbe da so'o 0 quasi senz’ intervento di Leonardo eseguito, copiando l’esemplare attualmente posseduto dal Louvre, il dipinto oggi a Londra, nel quale tuttavia altri critici non vogliono (e non senza buone ragioni) vedere semplicemente la mano di un copista. Il biografo citato poi ritiene (e in ciò s'incontrerebbe coi nuovi dati cronologici relativi alla Vergine delle Roccie) che il de Predis vi mettesse mano piuttosto tardi. Ma ciò che m'interessa di notare è, ch'egli attribuisce al de Predis il bel disegno su carta verde, nel quale egli e gli altri critici, compreso il Berenson (3) (che fa le sue riserve sullo stato, nel quale lo schizzo si trova) hanno visto sin qui uno studio per la testa del S. Giovannino nella Vergine delle Roccie, e ne fa uno dei capisaldi della sua dimostrazione. In una nota (4) egli riferisce le dimensioni della testa del San Giovannino ‘che nell’abbozzo misurerebbe dall’inserzione dell'orecchio all’estremità dell'occhio sinistro in larghezza, 4 cm., e dalla radice dei capelli della fronte al mento, in altezza, 9 cm., mentre le corrispondenti misure, nel quadro del Louvre, sarebbero di 5 cm. e di 8 cm.) per affermare che il disegno non coincide coll'esemplare parigino, ina dimostra invece di appartenere alla pittura della Nationa! Gallery. Questa seconda asserzione non è però corredata, come la prima, da altri dati paralleli relativi alle dimensioni. Forse il Seidlitz si fidò della sua impressione personale e dell’indirizzo, al quale lo volgevano le sue convinzioni ormai formate (è un fenomeno al quale sappiamo tutti quanto sia difficile reagire) e non sì preocLL _ __ _——_— — (1) Op. cit., I, pp. 169 sgg. (2) Della pittura italiana, Milano, Treves, 1897, pp. 182 e 191, nota (3) « 1067 - Study for the head of the Baptist in the « Vierge aux Rochers ». « So much made over as scarcely to count as Leonardo's . Silver-puint heightened « with white, on greenish paper . Photo Braun Louvre 170 ». (B. BERENSON, The drawings of the fiorentine painters, II, London, Murray, 1903, p. 60). (4) SEIDLITZ, op. e vol. cit., p. 410, nota 27; cfr., dello stesso, Ambrogio Preda und Leonardo da Vinci, estr. dallo Jahrbuch der kunsthistorischen Summlungen, 1906, p. 35. Go ogle 502 GEROLAMO CALVI cupò di aggiungere una prova, che avrebbe, pensiamo, sconvolto la sua dimostrazione. Un fatto poteva tuttavia, insieme con nuovi confronti, esser cagione di qualche sospetto: che tra il disegno e il dipinto del Louvre non soltanto cambiavano le dimensioni, ma anche i rapporti tra le, dimensioni, i quali venivano ad invertirsi. In altri termini, l'inclinazione della testa è mutata e questo diverso atteggiamento non è meno sensibile, anzi oseremmo dire che è, rispetto al disegno, più accentuato nell’esemplare di Londra che in quello di Parigi. Parve a me, nel tempo in cui cercai di scorrere quanto potei dell’opera di Leonardo, che il disegno di cuì si tratta fosse in relazione non già col S. Giovannino della Vergine delle Roccie ma col Bambino Gesù del gruppo della Sant'Anna nel cartone attualmente posseduto dalla Royal Academy di Londra. Ed oggi ancora mi vengo confermando nell’opinione che, se non in via assoluta (non possedendosi tutti gli elementi di giudizio), certo in via relativa, il disegno sia da ravvicinare piuttosto a questa che a quell’opera. L’orientazione del volto secondo una linea diagonale che differisce notevolmente dalla linea quasi perpendicolare, che l’asse mediana del viso ha nei due esemplari della Vergine delle Roccie; il modo nel quale sono trattati i capelli, più radi e meno ricciuti che nel San Giovannino; la maggiore sporgenza della guancia, e dell’occhio sinistro, dovuta anch'essa alla diversa inclinazione del capo; e, per la stessa ragione, l'orecchio, diversamente situato rispetto alla curva del mento e all’altezza degli occhi; i tratti più infantili; tutto ciò mi sembra rendere abbastanza persuasivo il doppio confronto, che permette di staccare il disegno dalla serie di quelli che riguardano la Vergine delle Roccie e di ravvicinarlo, se non di ricollegarlo senz'altro, al cartone della Sant'Anna. Qualche diversità si nota invece nell'apertura degli occhi, più abbassati nel cartone che nel disegno. È questa una modificazione che avrebbe potuto avvenire, per le esigenze della composizione, dopo che la testa fosse stata riportata. Giacchè il disegno del Louvre è, come il ritratto d’ Isabella d’ Este, pure esistente nella stessa collezione, sforato lungo il contorno, avendo evidentemente servito per un riporto (1). (1) Non ho avuto l'opportunità di verificare, nè nelle presenti circostanze potrebbe esser dato di farlo, se le dimensioni della testa nel disegno e rel cartone si corrispondano. Mi limito a notare che la sovrapposizione di un lucido Go ogle E CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 503 lo sono inclinato a credere che Leonardo eseguisse il superbo studio posseduto dalla Royal Academy in tempo assai vicino all'esecuzione dell’altro cartone, che suscitò tanta ammirazione in firenze nel 1501, senza per altro indurmi ad identificarlo con questo, giacchè la descrizione, che ce ne ha lasciato, in un noto documento (1), Fra Pietro da Novellara, accenna piuttosto ad un aggruppamento, che sì trova in relazione colla S. Anna del Louvre, ed al quale Leonardo è giunto attraverso diversi stadî d’ideazione, alcuno dei quali ancora attestato. La composizione della /®oya/ Academy, nella quale il tema si variava, usciva matura da un’altra serie di tentativi e di schizzi, ma non fu per questo, a quanto pare, condotta in pittura dal maestro, e la diffusione, che essa potè avere per parte degli imitatori, rimase limitata, Il Luini ebbe la fortuna di vederla e ne sentì tutta la dolce poesia consona al suo temperamento pittorico (2). E si potrebbe, tra l'altre cose, chiedersi se il disegno del Louvre, che, come si è visto citando il Berenson, non è, neppure per questo critico, al riparo da ogni discussione, non si debba annoverare invece tra gli studî che hanno servito al Luini per eseguire il dipinto dell’Ambrosiana. Senonchè la diversità, già notata, nell’apertura degli occhi, che si vedono ugualmente abbassati (in direzione del San Giovannino) così nel cartone della Roval Academy come nel quadro luinesco, sembra escludere che in un disegno, che dovrebbe considerarsi intermedio tra l'originale e la copia, potesse alterarsi tale particolare. I critici, se vorranno consentire nel ravvicinamento fatto, potranno con maggior sicurezza commentarlo. | E vorrei terminare con qualche brevissimo contributo allo studio dei lavori di Leonardo per la Cena. Un disegno a matita rossa, appartenente all'Accademia di Venezia ‘3), è stato da lungo tempo, dei disegno ad una riproduzione del cartone, nella quale le proporzioni della testa ‘ siano poco differenti, riesce favorevole al confronto. Nel disegno del Louvre, la tinta che ricopre il resto del foglio sul quale esso si trova, sembra occultare linee di scritto. it) Cfr. Archivio stor. dell’ Arte, I, 1888, p. 45. (2) Si veda, su questo dipinto, L. BELTRAMI, Luinî, Milano, Allegretti, 1911, pp. 526, 525-557; A. RATTI, Ancora della « Sacra Famiglia » di Bernardino Luini in Rassegna d’Arte, marzo 1912. (3) Raccolta dei disegni. Cornice 46, n.° 254. 104 GEROLAMO CALVI studiato quale prezioso documento del lavoro preparatorio del maestro. Del foglio, che porta anche, di mano del Vinci, le indicazioni dei nomi degli Apostoli, si è ultimamente contestata l’autenticità da qualche critico d’arte (1). Certa rigidità nel modo, col quale sono tratteggiate le figure, poteva suscitare qualche diffidenza senza tuttavia estendersi a tutta la loro serie. Nella scrittura alla sanguina, minuta e quale può attendersi nel periodo della Cena, non appare alcun indizio di falsificazione. Onde, a fronte di qualche voce isolata, benchè autorevole, prevalgono sempre i difensori dell'autenticità del disegno. A me sembra che non soltanto si debba dar ragione all’ opinione comune, ma anche si possa cercare il modo di spiegare quelle (se è lecito dir così) deficienze, che hanno fatto ribellare qualche critico. Nell’ abbozzo dell'Accademia di Venezia sono disegnati, come in una rapida rassegna, curante forse più delle note personali e delle attitudini dei singoli Apostoli che della composizione, Gesù con tutti i personaggi della scena sacra. San Giovanni, a sinistra del Divin Maestro, s'è abbattuto sulla tavola, tenendo il viso afflitto tra le braccia conserte, e occulta gran parte del braccio e della mano sinistra del Cristo, che stende la destra nella direzione opposta, avendo dallo stesso lato San Pietro e il piatto (disposizione analoga a quella di un disegno di Windsor), appena accennato da una rapida linea circolare, al quale accosta la sua mano il traditore. Ravvisiamo una raffigurazione non inerte, ma tradizionale, quale potevano concepirla Giotto, o il pittore, che ha dato in qualche grado alle figure della Cena frescata a Viboldone (ed un parallelo poteva forse trovarsi nella chiesa madre di Brera, ben nota a Leonardo) moto, vita comunicativa, contrasto. Il disegno di Venezia, che si concatena strettamente alla tradizione e rivela un’esecuzione affrettata, schematica, potrebb’essere un abbozzo direttamente eseguito, ‘per scopi mnemonici, dinanzi ad una rappresentazione preesistente della Cera, dipinta, o miniata in un codice. Per contenere tutto il disegno, fatto alla sanguina, sul foglio di piccole dimensioni, ch’egli aveva alla mano, Leonardo ha diviso —_— —————__— (1) Carro Loeser, Note intorno ai disegni conservati nella R.-Galleria di Venezia, in (assegna d’Arte, III, 1903, p. 183, ritiene questo disegno « una vol- « gare parodia della grandiosa composizione », e aggiunge: « dovrebbe essere « anche questa eliminata dai disegni attribuitigli ». Go ogle ù CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 505 la scena in due sezioni sottoposte l’una all’altra (1). Il numero delle figure è di tredici, quindi completo: alla maggior parte di esse il Vinci ha scritto sopra il capo, il nome, omettendelo solo per uno degli Apostoli, e per le tre ‘persone, che la rappresentazione basta ad indicare chiaramente : il Cristo, S. Giovanni e Giuda. Di uno degli Apostoli poi, e cioè di Filippo, è ripetuto due volte il nome, su due figure diverse. Delle attitudini che si trovano su questo disegno non . è stata adottata, nella pittura di Leonardo, che quella di Simone, il quale vi serberà anche lo stesso posto che nell’ab. bozzo (2). La matita rossa è il mezzo che serve molto spesso a , Leonardo per fissare le sue impressioni momentanee e, per dir così, di viaggio. Tutte queste coincidenze, cioè lo stile tradizionale delle figure centrali; il carattere del disegno che sembra offrire una serie di indicazioni piuttosto che una composizione tutta ordinata da uno spirito personale; la ripetizione, per raccordo, all’estremità sinistra della sezione superiore, di una parte della figura ch’è prima a destra nella sezione inferiore, i nomi segnati sopra agli Apostoli, mi hanno fatto ritenere non improbabile, come ho accennato, che Leonardo abbia qui desunto da un altro e più primitivo autore una traccia, specialmente per la determinazione degli Apostoli. Senonchè altre considerazioni, connesse, per esempio, coll’attribuzione del nome di Filippo a due distinte figure; o coll’accennata adozione, che sarebbe già definitiva, dell’attitudine di Simone; o col tentativo, che nel disegno di Venezia già apparirebbe chiaro di ottenere, con un partito, che nella pittura si vede generalizzato, il collegamento di tre figure in gruppo (all'estrema destra della tavola: si osservi il braccio proteso, che un Apostolo fa passare dietro ad un altro, giungendo a toccare la spalla di un terzo), presentano qualche non lieve obiezione a tale congettura, ch’io stesso vorrei per ora, più che propugnare, proporre alla discussione. Più risolutamente può invece richiamarsi un particolare delle ricerche per la Cena, leggendo un laconico e significativo frammento vinciano, che si trova a fol. 6 recto del codicetto S. K. M. Il, (1) Cfr. BeLtRAMI, La ricomposizione di uno’ studio di Leonardo per il Cenacolo in Raccolta Vinciana, fasc. VI, pp. 118-122. (2) Della figura di Giacomo Maggiore ritiene inoltre in parte l’atteggiamento quella di Filippo nella Cena. 506 GEROLAMO CALVI e che (se mi sono apposto bene nel completarne la lettura fattane già dal Richter) si riferisce a un dettaglio, al quale Leonardo pensava, nel disporsi a dipingere la figura del Cristo. Non v’ha dubbio che Leonardo abbia lungamente meditato come plasmare, secondo la dignità del soggetto, il volto e la figura del Cristo. E tuttavia è in un’attenta ricerca obiettiva ch’egli anche ad uno scopo così alto, raccoglie gli elementi per una rappresentazione perfetta. Nel piccolo ms. S. K. M. II, uno di quei libretti da tasca, che servivano a Leonardo per le note giornaliere e occasionali, si trovano due appunti, che riflettono la ricerca, nel primo di essi forse soltanto rivolta allo studio di un precedente iconografico, nel secondo (quello che desidero qui segnalare) intesa ad uno dei dettagli, che il pittore andava spiando dal vero. Il primo, già noto nella sua vera lezione, € CrISSto « giovan conte quello del chardinale del mortaro » (1) può dare argomento a credere sia che Leonardo trovasse in Giovan Conte (2) caratteristiche degne di studio (3) per la figura, che il Vinci voleva idealmente elaborare, sia ch’egli pensasse studiare il tipo del Cristo quale si trovava in qualche dipinto, che potesse tornargli particolarmente interessante per essere d’origine orientale (come le imagini edessene) o per qualche altra ragione iconograficamente degno di considerazione, e potesse vedersi presso Giovan Conte od il cardinale del Mortaro, o da questo (secondo l’ interpretazione più naturale del passo) fosse pervenuto nelle mani di quello. L'altro appunto, del quale non credo che si siano sin qui rilevati il significato e l'importanza, si trova, poco più avanti, nello (1) Fol. 2 recto; cfr. J. P. RicutER, The literary works etc., I, $ 667. (2) Non so dire se possa trattarsi dello stesso personaggio, ch’ è nominato in documenti sforzeschi del tempo di Galeazzo Maria, pubblicati dal BELTRAMI (cfr. Il Castello di Milano, 22 ed. cit., alle pp. 282, 294, 295, 311-322, 366-367). Il nome di un Johannes de Comite, iscritto nel Pio Luogo- della Misericordia il 4 febbraio del 1476 e morto il 21 gennaio 1522, si trova pure nel documento pubblicato da F. CaLvi in questo Archivio, X1X, 1892, p. 745. (3) In questo senso il frammento è inteso dal RICHTER (l. c.), dal SOLNI, Leorardo cit., p. 101, e dal Maiaguzzi, Bramante e Leonardo da Vinci, cit., p. 513. Go ogle î CONTRIBUTI ALLA BIOGRAFIA DI LEONARDO DA VINCI 507 stesso ms. (a fol. 6 recto) ed è scritto, come il precedente, a matita rossa, al modo solito delle note occasionali del Vinci: lo riporto dalla mia trascrizione di su l'originale, trattandosi di passo che fu letto inesattamente: « alessandro charissimo (se) da parma per la man di xpo. » Il Richter (Zhe. literary works etc., cit., $ 1403, Il, p. 425) trascrisse imperfettamente l’ultima parola, e interpretò male la frase, traducendo: « My dear Alessandro from Parma by the hand of.... » Ma la parola carissimo è il cognome del personaggio nominato sul frammento, e l’ultima abbreviatura della frase è quella del nomen sacrum, tradizionalmente usata pel nome di Cristo. Leonardo aveva dunque trovato in Alessandro Carissimo da Parma (1) un particolare — la mano — del quale gl’interessava lo studio per ‘ la figura divina nella Cena ; e il frammento ci dimostra primieramente a qual punto Leonardo spingesse la sua ricerca tra le forme offerte dalla realtà, per valersene nella incarnazione dell'ideale concepito, in secondo luogo come fosse l’ideale stesso rappresentativo che attraeva a sè gli elementi, che gli convenivano, e non un semplice realismo d’imitazione, che assorbisse quella. Il che può anche mostrarci in qual senso sia da intendere ciò che troviamo detto nell’ Ztinerarto (2) del cardinale d'Aragona, che vedeva, nel secondo decennio del secolo decimosesto, a pochi anni di distanza (1) Il personaggio nominato nel frammento Leonardesco appartiene, secondo ogni probabilità, alla stessa famiglia parmense, dalla quale è uscito l’omonimo Alessandro Carissimi, che fu vescovo di Castro dal 15 dicembre 1615 al 1631, anno nel quale mori (cfr. AFFò, Memorie degli scrittori e letterati Parmigiani, T. V, p. 14). La famiglia fioriva in Parma anche nel secolo precedente. Un Battista Carissimi nel 1532 è deputato dal Comune di Parma a correggere ed approvare gli Statuti dell'Arte de’ Merciaj (op. cit. [continuazione di ANGELO PEZzZANA] T. VI, P. II, Sez. II, p. 687). Un Angelo Carissimo si trova agli stipendi del governo francese nel 1s1o (si veda l’Estat de Millan pour lannée finissant mil Vc dix, pubblicato in appendice alle Chroniques de Louis XII di JeAN D'AUTON, edite a cura di R. pe MAULDE, Paris, Renouard, 1891, II, p. 359 (Ratiornnateurs generaulx). (2) Cfr. Pastor, Die Reise des Kardinals Luigi d’ Aragona ecc., Freiburg in Breisgau, p. 176. 508 GEROLAMO CALVI dall'esecuzione della Cera, il capolavoro già minacciato da rovina: « Li personaggi di quella son de naturale, retracti da più persone « de la Corte et de Milanesi di quel tempo di uera statura ». Di ciò che un remotissimo e forse insigne cicerone potè riferire a quell’ illustre viaggiatore noi non concluderemo che Leonardo abbia asservito la rappresentazione sacra ad una preoccupazione ritrattistica, ma riconosceremo con quale penetrante ricerca egli abbia spiato e colto nell’umanità passeggera che lo circondava, gli elementi, coi quali egli aspirava a rendere in modo universalmente vero la scena eterna. GeroLAMO CALVI. Go ogle : LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS OSSIA CATALOGUS TOTiuos CLERI CIVITATIS ET DIOECESIS MEDIOLANENSIS, cuM TAXA A SINGULIS SoLVENDA PRO SUSTENTATIONE SEMINARII INIBI ERIGENDI — compilato l’anno 1564. (Continuazione e fine, vedi fascicolo precedente). Canonica de Cliviascha. 997. Canonicato alias de d.no Rocho Quadrio . Li 1 S.15 D. 3 n de d.no Petro di Ferrari. 4 4 — ‘ n . Bernardino Somatio 4 12 1000. 3 È Primo Santio. I 18 5 Rettoria de Santo Stephano de Tesserario 3 IO ì de Santo Vitto de Carnago . a I 8 Cappella de Santo Stephano de quelli di Husoli 3 — _ Pa de Santo Stephano de Cliuiasca . — 16 — È de quelli de Somatio . ; ; . — 6 Canonica de Santo Geergio de Cornate (1). 1006. Canonicato de d.no Antonio Biffo . « Le Si 8° Do n a Jacomo de Scotti. 7 — — È » Francesco Cavenagho 3 4 — i alias de d.no Jo. Petro Bexana I IO — (1) Vedi al n. 109 l’Arcipresbiterato. gIo MARCO MAGISTRETTI Canonica de Santo Petro de Corniano (sic). 1o1o. Canonicato de d.no Hieronimo di Regni (1) L. i ; Francesco Buzzo » s Jo. Batta Castano » » . Ambrogio Filagho Rettoria de Santo Michele de Trocaciano de d.no Jo. Antonio Majoragio . L. I01I5$. A de Santo Andrea de Albignano de d.no Stephano Raimondo . ? A de Incugnate de d.no Georgio Rettaino x siue Cappella de Santo Alessandro et Margaritta de Melzo Cappella de Santo Andrea de Melzo de d no AI berto da Ello ; de Santo Ambrosio de Melzo di d.no Francesco Barengho } 1020. di de Santo Johanne de Cassano sopra Adda de d.no Petromartire Pozzo è de Santo Hieronimo nela chiesia de S.to Ales.ro et Margaritta de Melzo de d.no Jo. Antonio Maioraggio . Rettoria de Santo Georgio de Corniano de d no Jo. Paulo Vittale Canonica de Santo Vittore de Caxorate (2). 1023. Canonicato de d.no Christophoro da Rò. L. de —— (sic) 1025. Cappella de Santo Jo. Batta in Santo Vittore de Caxorate de d.no Francesco di Radici È ì de Santo Antonio de TAN de d.no Stephano Rotia ed dee UI 13 12 II° o. ui . II 16 19 (1) Manca l’ indicazione della Prepositura della Canonica di Cormeligno, che pure figurava nel 1398. (2) Vedi ai nn. 121-122 la Prepositura e la Rettoria di Besate. LO ogle ui LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS Clericato de Santo Prothasio de Caxorate de d.no Agostino Visconte . a Cappella de Santo Alessandro de Bexate de d.no Thomaso Sacco Rettoria de Santo Cosmo et Damiano de Pesti. ragho de d.no Bartholomeo d’Abbiate . 1030. Cappella de Santo Cassa de la Motta del fiolo de d.no Donato Moneda Rettoria de Santo Antonio da la Motta de d.no Jacomo Suardo ; : de Santo Inuentio de Gazzano de d.no Battista di Re Canonica de Dairagho (1). 1033. Canonicato de d.no Carolo da Varexio . L. : x Benedetto da la Croce 1035. i > Christophoro dala Croce Prete Petroimartire Seregno Jacomo de Vaghi Battista dala Croce Cappella de Santo Johanne evaugelista nela chiesia de Santo Genexio de Dairagho de d.no Andrea Rozza . 1ogo. Rettoria de Santo Saluatore de Busto Garolfo de d.no Battista Fossato celo de Santo Martino de Inuruno de d.no lo. M.a Bonacina ; de Santo Georgib de Cugiono de d.no Antonio di Negri A de Santo Jacomo et Filippo de Casteletto de d.no Georgio Beolco de Santo Vittore de Padregnano de d.no Ambrosio Pechio IO ”; UV 00 0 14 12 20 24 18 16 (1) Vedi al n. 139 la Prepositura con una Cappella di Dairago. Go ogle SII 512 1045. 1050. 105S. 1060. MARCO MAGISTRETTI Rettoria de Santa Maria de Turbigo de dno Johanne Ferraro . L. ; de Santo Michele de Mapiagho de d.no Redolfo dala Croce. 3 de Santo Petro de Borsano de duo Romulo Massalia a de Santo Zeno da Castano de o , Ambr.° Piantanida . Un'altra portione de la sudetta rettoria de d.no Battista Cantono î Cappella de Santo Ioanne de Castano con la Cappella de Santa Maria del sudetto Cantono Rettoria de Santo Eusebio d’Arconato de d.no Gaspar Settara . Cappella de Santa Maria L'Avconate de. dino Melchion de Ferrari seu de d.no Laurentio de Tabi). i 7 de Santa Maria de Borsano del. ss. to Ferraro u de Santo Bartaluimeo di Busto Garolfto de d.no Io. Maria Bertolio . Rettoria de Santa Maria de Buscate de d.no To. Petro dala Porta seu d.no Ioanne de Ferrari Cappella de Santo Thadeo et Santo Antonio de d.no Aloisio Modono ; seu Clericato de Santo Mauritio de Gu: giono de d.no Bernardino de Pino x de Santo Remigio de Busto Garolfo de d.no Stephano Pusterla i de Santo Antonio de Santo Ottolino (sic) de d.no Ioanne Ghiroldo : de Santa Margaritta de Busto Garolfo de d.no Battista Fossato Canonica de Santo Donato in Stratta. 1061, PP. de Santo Donato alias de d.no Agostino 1065. Cadamosto P O Canonicato de d.no Ladevico Giranio i ; Hieronimo Bencacciato » » Hieronimo Luppo ù ; Cesare Bosso seu Hector Coyro î 6 S. 3 D. — 19 14 _ 12 4 — Io — — 8 IO 6 8° — _ 5 Da = 5 a sali 4 18 — 2 10 — 5 i ima 7 = 2a se 12 = 8 da cui I 12 _ 4 IO —_ 7 S.tio D. — II 8 — 7 12 3 3 du DE 3 8 LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS Canonicato de alias de d.no Otto da Monza. L. A de d.no Francesco Barengo alias de d.no Batta Balestrero Rettoria de Santa Maria de Poascho ‘de d.no Franc.° Tradato seu d.no AloisioRuscono. L. 1070. Rettoria de Zello de d.no Cesare Bosso . i de Morsenchia 9 Clericato de Santo Sirro de Triuultio alias de d.no lacomo Filippo Bagio . Canonica de Santo Zenone de Decimo (1). 1073. Canonicato de d.no Agostino Tessera. L. ù in loco de d.no Hectore Coijro 1075. ) de d.no Battista Castigliono sa alias de d.no Io. Antonio Criuello . a de d.no Gabriel dala Croce î ù Antonio Litta Rettoria de Santa Maria de Zibibi de d.no Ambrosio di Ratagij . ; i da 1080. Clericato de Santo Iacomo de Zibido de d.no Francesco Bernardino Sellanoua . Un altro clericato in detta chiesia alias de d.no Fabricio Criuello Rettoria de Santo Petro de Cucigho de dino Bernardino di Bianchi . ; Cappella siue Rettoria de Santo Bartolomeo de Siciano de d.no Francesco di Oliva Rettoria siue cappella de Santo Siluestro de Badilio de d.no Battista Figino . 1085. » "de Santo Donato de Cazxiragho con la cappella de Santo Petro de Mettono ; de Santa Agatha de Basilio de d.no Benedetto seu Bernardino Lesia . 3 de Santa Maria de Badilio de d.no Anibal del Conte i de Santa Maria de la Chiarella “ d.no Hieronimo Caluo (1) Vedi al n. 117 la Prepositura. Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. III. Leni C0 te @ ndui ome N IO II II 18 33 514 MARCO MAGISTRETTI Canonica de Santo Materno de Dexio. 1089. PP.» de Santo Materno de Dexo de d.no Io. Antonio Strata. x c | 1090. Canonicato de d.no Baldesar Biffo » » ” ” Z09S. » ” L) L) ” 1100. ” Francesco Besozzo Georgio de Cogliate . Petro da Crema. : Bernardino di Pansechi Innocentio da Cogliate Battista Pozzo Innocentio di Pansechi Francesco da l’Orto . dllae de d.no Francesco Lemo seu Hieronimo Guenzato . de d.no Paulo Pozzo ù Francesco de la strata , Ioanne Malberto . A Francesco Casteletto . Rettoria de Santo Pancratio de Boisio de d.no Z105. % IIIO. de de de de de de de de de de Io. Petro Formento. : » SL Santo Petro de Varedo de d.no Filippo Pozzo . Santo Martino de Parazola de d.no P.r0 Oropello Santo Nazaro de Liviano Santo Michele de Paderno de d.no Francesco de Brusatoribus Santo Martino de Cusano de d.no Io. Petro di Conti . Santo Martino de Balsamo de d.no Thadeo di Maueri . Santo Ambrosio de Cinixello de d.no Benedetto Auerta . Santo Petro de Mugloe de Uno Antonio Rozono Santo Ambrosio de Néuate de d.no Georgio da Cogliate sive Antonio Santo Martino de Biassono de d.no Battista Pirouano "xi I» p v ne LO ogle privi ui L dn l na S. 12 16 LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS 1115. Rettoria de Santo Stephano de Vedano de d.no Battista Cermenato. _. . L. Ù de Santo Geruaxio et Prothasio de Macherio de d.no Michele di Bazij Ù de Santo Vittore de Seregnio de d.no Bernardino Agostino È de Santo Petro et Paulo de lissone de d.no Ioanne da Mongutio. ; de Santo Ambrosio de Seregno de d.no lo. Maria da l’Orto. : A 1120. Cappella de Santo Cosmo et Damiano de Blaxono de d.no lacomfilippo Mezabarba ni de Santa Maria in Siluis Pi d.no ) Stephano Pusterla de d.no Iacom’Antonio da Cantonu Canonica de Santo Petro et Paulo de Deruio. 1122. PP.ra de Deruio de d.no loseph de Regibus L. Canonicato de d.no Io. Antonio Sottocasa Ò ; lulio de Stuppis . 1125. * alias de d.no Bertholino Sormano. n ; E Simone Caxato . i Pi Ù Iacomo Buzono. Rettoria de Santo Thomaxo de Coreno A de Santo Martino in Montanea de d.no Io. Petro Guasco : 1130. E de Santa Agatha de Tremenico . Cappella de Santo Nicolao et Georgio de Deruio Canonica de Sante Petro de Gerenzano. 1132. PP.ra de Gerenzano alias de d.no Hieronimo Cattia “ . s- de; Canonicato de d.no Hietonima Giendito.. A È Hieronimo Codegha . . 1135. i i Ambrosio Balbo . . ge Bernardino Caimo 1 ; lacomo Aliprando Go ogle Len IS e 20 II IwWwuwwa 16 IO . 10 00 I 516 | MARCO MAGISTRETTI | Canonica de Santa Maria de Gallarate. 1138. PP.r de Santa Maria de Gallarate de d.no Camillo Lomeno . è Ò v. dl Canonicato de d.no Ambrosio Balbo . IIS. ” lo. Stephano Luino Francesco Ierago. loanne Mantegatia Io. Angelo da Ferno Seniore Alberto Raxino Francesco Ursino Maijno del Pozzo Georgio Lomeno Andrea de Clapis Battista Rigono . 1150. ” Î Agostino Ferno . i i Leone Castigliono s » Iacomo Cardano . È i Francesco Resnado 3 » FrancescoOlgiato siue d.no Battista Moneda 11SS. 2 A Hieronimo Finallo a Ù Georgio Ursino . IIgj. ” 3 3°îa 2 si 3xe % è Cappella de Santo Petro Gallarato de d.no Georgio Lomeno ; ; Corporis Xpi in Santa Maria de Gal: larate de d.no Francesco Resnado è de Santo Antonio de Gallarate de d.no Ludovico Undegardo 1160. ” de Santo Stephano de Gallarate de d.:no Francesco Ierago ; ? de Santo Iacomo seu rettoria de Ierago da d.no Francesco Pallauicino Rettoria de Santo Martino de Ferno de d.no Martino di Brusatori da Ferno Item per la cappella de Santo Francesco in detta chiesia . : Rettoria de Santo Saluatore de Samarate de d.no Francesco da Daverio Goo gle » feti n lwautdwbdwwwWwwkw Il 14 16 14 18 I al (CA) LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS 1165. Rettoria de Santo Anastasio de Cardano de d.no Io. Antonio Purusello . + a de Santo Nazario de Arnate de d.no Ambrosio Ferno n de Santo Georgio de Cediatà de d.no Francisco Rusnagho i ù de Santa Maria dal Corno de d.no logn: ne de Cairate in Cassano Magnagho ù de Santo Ambrosio de Bolladello de d.no Io. Ambrosio Martignono 1170. z de Santo Iulio siue cappella de Cassiano Magnagho de d.no Gaspar Crespo | ‘ » de Santa Maria de Peneraniia del preuosto de Castano Cappella de Santo Mauritio, de Sulbiate uni l'Arno de d.no Sigismondo di Bianchi Rettoria de Santo Alessandro de Albizate de d.no Ic. Antonio Carnagho Cappella de Santo Ludovico et Ioanne decollato de Albiate de d.no Battista Bosso. 1175. Rettoria de Santo Martino de Benate de d.no Cras’ Antonio (sic) . i de Santo Eusebio de Cayello de: d.no Battista di Bianchi . n de Santo Stephano de Ugiona de d.no Paulo da Samarate. Cappella de Santa Maria de Ugiona gltas sr d.no Bonaventura Castigliono nunc d. Ambrj. Balbi Rettoria de Santa Maria de Valle dA fn A d.no Iacomo Ghiringhello 1180. Cappella de Santo Georgio de Ieragho de d.no Francesco Pallauicino i i de Santo Ambrosio de Lonato Pozoldo de d.no Ambrosio Caremoro Piantanida G * Un’altra portione de la ss.ta rettoria de d.no Iulio Spetia Cappella de Santo loanne Evangelista in i Santa Maria de Lonapozoldo de d.no Aloisio Modono ù de Santa Maria in Santo Nasino de Lonapozoldo de d.no Ambrosio Plantanida . cd s LO ogle 7 S. a D 2 15 5 I 15 8 8 SHE 5 IO ; _ 3 cc 6 » 9 — 8 18 6 sai 8 16 4 6 I3 19 6 4 7 — 8 dai 4 n 4 — 518 MARCO MAGISTRETTI 1185. Cappella de Santo Bartolomeo in Santo Ambrosio de Lonapozoldo de d.no Io. Petro Carcano. - . i: è. Le #5. 6 Di, ; de Santo Ioanne in Santo Anastasio de Cardano de d.no Iacomo Cardano 1 15 3 Canonica de Santo Geruasio et Protasio de Gorgonzola (1). 1187. Canonicato de d.no Gabriel Pagano . . L. 17 S.19 D. 5 3 alias de d.no Leoncio Antiquario . 1 4 <— ù alias de d.no Andrea Vimercato 3 5 — 1190. ù de d.no Francesco Sola . I 19 9 A de d.no Battista Filagho . P . 3 o) 2 n =. alias de d.no Ioanhe Canario. 3 — — x de d.no Francesco Roncadello I — — n de d.no Melchior Bilia . ; . 24 I 4 1195. a alias de d.no Bernardino Gafurro . 1 15 3 ”» de d.no Bernardo de Grotij ouer de Brotij . é . « # IO — ; alias de d.no Francesco A Negri . I. — — ; alias de d.no Bernardino de Pino nunc de d.no Francesco Resta 3 Is 8 E de d.no Francesco Barengo . 5 a = 1200. » —de d.,no Cesare Bosso 3 16 — " de d.no Ludovico Brughora 93 4 — x de d.no Battsta dala Baretta . 2 — — ù del S.r Caxato Senatore alias. 3 IO — i de d.no Hieronimo Triuultio . 3 — — 1205. i in loco de d.no Petr’Antonio Marlo 3 18 — î alias de d.no Siluestro Gruello 3 — — s alias de d.no Aloisio Bosso I —_ — Rettoria de Santa Maria de Inzagho de d.no Hieronimo di Leoni i 6 -- — i de Santo Lazaro de Trexella de d.no Galeaz Glussiano . 8 6 n 1210. Ù de Santa Maria de Pozolo (2) de d.no Ludovico Lampugnano . È . 20 — _ (1) Vedi al n. 1x4 il « Clericato de S. Maria de Colciellata » (sic), manca però il beneficio prepositurale, che esisteva già nel 1398. (2) Al n. 131, è indicata una « Cappella de Brenna con la chiesa de Poz- « zolo » — Brenna però dovrebbe appartenere alla pieve di Mariano. Go ogle LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS Rettoria de Santo Michele de’ Birinzagho de d.no Benedetto Marliano - SL de Santo Ioanne de Masate de d.no Deodato Oxio . de Santo Zenono de Cambiantio ded. no Antonio Besozzo : de Santo Petro de Glassiate de dn Ambrosio Tonso : i 1215. Ù de Santo Cornelio et Cipriano de Bornagho de d.no Hieronimo Pozeto de Santo Nazaro et Cornelio de Bussero de d.no Battista Castiono de Santa Maria de Cernusculo Asinaro de d.no Andrea Castiono de Santa Catterina nela sudetta chiesia del sudetto Castiono Clericato de Santo Genexio de Cernuscalo 2220. Canonicato de d.no Petro Paulo Bosso Rettoria de Santo Ambrosio de Vignate de d.no Io. Petro Verona . A ; Clericato in detta chiesia de d no Bapta Cermenato a ì Rettoria de Santo Vitale et Valeria de Pessano de d.no Angelo Gauante Canonica de Santo Vincentio de @allano. 1224. PP.rade Galiano alias de d.no Filippo Archinto L. 1225. Canonicato de d.no Iacomo Grasso Jo. Batta Cermenato . ù Francesco Sola Andrea Carchano : ù , Francesco Cermenato. 1230. È è Antonio Verano . sè i Gasoar da Ello è » Francesco Pozzo. Angelo Cermenato o Francesco Cermenato. 1335. 5 x Hermes Predasanta loanne da Ello Ioanne Vettera . Filippo Archinto . Iacomo Predasanta I5 Il 14 ‘15 12 Mi OD PtWD IO foto (I) Od de N a 9 IO 519 520 MARCO MAGISTRETTI 1240. Canonicato de Guglielmo d'Alzate . €. L. x de d.no Antonio Cattanio de d.no Antonio Litta A alias de d.no Alberto Cattanio Cappella de Santo Io. Batta de Galiano . 1245. n de Santo Abdon et Zenis nela chiesia de Galiano de d.no Iacomo Grasso Rettoria de Santo Paulo de Canturio (1) per una portione de d.no Jo. en di Arienti. Un'altra portione dela sudetta ettari de d.no Frahcesco Barengo. Rettoria de Santo Petro de Vighizolo de dino Paulo Carcano. i de Santo Leonardo de Tntintiano de | d.no Donato Marudo ì 1250. Cappella de Santo Georgio de Casteletto de d.no Francesco Sola i de Santo Christophoro di Cantorio alias de d.no lacomo di Piatti nunc de d.no Francesco Solla. i Rettoria de Santa Agatha de Rozagho de d.no Francesco Sola Cappella de Santo Bartholomeo et Theodoro de Canturio de d.no Joanne da Ello Rettoria de Santo Geruasio et Prothasio de Cugiagho de d. loanne di Grassi . 1255. Cappella de Santo Michel de Canturio alias de Archinto . Rettoria de Nouedrate de d.no Ludovico Radice i de Santo Petro d’Alzate de d.no Stephano Balduino o : a ù de Santo Georgio de Carimate . Item per la rettoria de Santo Alessandro de Carimate . 1260. Rettoria de Santa Maria et Martino de Figino de d.no Io, Maria Ubizono % de Santo Antonio de Prato dele Monache de Santa Maria al Monte . Ù de Santo lIoanne Evang.ta de Montorfano de d.no Pagano da la Chiesia 4 aI U IO 13 8 8 12 14 12 14 8 (1) Al n. 377 è registrata anche una « Preceptoria di S. Antonio de Can- « turio ». LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS Cappella de Santa Maria nela sudetta chiesia del ss.to Pagano . ; Li : de Santo Marco de Canturio de d.no Francesco Sola i 126;. o de S.to Antonio de Vighizalo dere Monache de S.to Ambr.° de Canturio Ù de Santo Juliano fora de Canturio, de d.no Jo. Antonio Borrono i de Santo Appollinare in Santo Theodoro de Canturio de d.no Bartholomeo da Ello . Canonica de Santo Stephano et Agnexa de Garlate. 1268. PP. di Garlate de d.no Vittore da Riva (1) L. Canonicato de d.no Gaspar da Castano 1270. ; i Battista da Riva. Li n Hieronimo d’Adda È A Christophoro Isacho . Rettoria de Santo Joanne Evangelista de Galbiate de d.no Vittore da Riua Canonica de Santo Juliano ad Coloniam. 1274. Canonicato de d.no Francesco Buzo . « CL » i Francesco Resta. A Battista da la Baretta è a Julio Cesare Belino Rettoria de Vimodrono de d.no Jo. Ambr. Balbo e Canonica de Santo Juliano in Stratta (2). 1279. Canonicato de d.no Jacomo Visconte : Li RA ; Antonio Criuello . ; . E n Francesco Pozzo. i ; Cesare Bosso ; = alias de d.no Leoncio Antiquario . È alias de d.no Francesco Imperiale. 1285. A de dmo Francesco Barengho, alias. Lu] 16 0 Cn Î con» uu ve 16 ollswal (1) Vedi al n. 140 la medesima Prepositura di Garlate tassata per L. 338 s. 4. (2) Vedi al o. 123 Ja Prepositura. 522 MARCO MAGISTRETTI Rettoria de Santo Floriano de Triginto de d.no Filippo Lainato : . L. 85. — D.— ” de Santo Martino de Oliario de d.no Apol.° Scarauagio . ; . 8 — — de Santo Marciano de Sexto Otiriano alias del’Ep(iscop)o Simonetta —. 12 — — ” de Santa Maria de Bustighera de d.no Polidoro . ° 17 a 1290. Clericato de Santo Joanne et Paulo è Mugloi alias de d.no Jo. Petro Raxino . 2 —_ — Canonica de Santo Fidele de Incasate. 1291. Arcipresbiterato de S. Fidele de d.no Julio Sinionetta . la ; - /L Canonicato de d.no Stephano Porro . Battista Bosso ; n Jo. Antonio Porro 1295. Ù Pi Jo. Petro Porro . ” ” 4 DSNQIU Canonica de Santa Euffemia d’ Incine. 1296. PP. de S.ta Euffemia de d.no Ant. Carpano L. Canonicato de d.no Battista Cermenato Jo. Batta Confanonerio i i Cristophoro Carpano 1300. 1. Lu Antonio dela Strata . Pagano dala Chiesia . alias de d.no Evang.ta Sant'Agostino de d.no Antonio Subcasa , . Antonio Carpano. 1305. s 5 Agostino Marliano Alberto di Corti. Nicolao di Judici. alias de d.no Francesco Pallauicino alias de d.no Xphoro dala Chiesia » » w do I nom © | È Tala vd wa DU al Î 1310. Rettoria de Santa Euffemia d’Incino . . 8 — — de Santo Petro de Bucinigho de d.no Antonio Carpano . i I 6 —_ Item per la rettoria de Santa Maria et Marta de Herba . : . « «È 18 5 Item per la rettoria de Santo Sezino Martirio et Alessandro de Grauena . .- 4 — —_ Rettoria de Santo Bartolomeo d’Incino de d.no Antonio Alciato i A ; . 12. — — itzed y - LIBER SEMINARI! MEDIOLANENSIS 1315. Rettoria de Santo Stephano de Canzo de d.no Jo. Petro di Conti . i Li de Santa Maria de Mazonio de d.no Francesco Carpano. de Santo Domitio de Proserpio SE d.no Antonio Carpano 3 de Santo Petro de la Bivona CR d.no Cristophoro ue Conti ; de Santo Georgio de Corneno de d.no Jo. Petro de Conti. : i 1320. Item per la cappella de l’Assumptione in detta chiesia alias de d.no Paulo di Conti Rettoria de Santo Georgio de Casteletto de d.no Lanzalotto Vim.to . de Santo Michele d’Anzano de d.no "Da nato Pallauicino i de Santa Maria de Masnagho dé d.no Jo. Petro Sauiono ; % de Santo Hippolito et Cassiano de Rozeno de d.no Ludovico Carcano 1325. s de Santo Martino de Orsinigho de d.no Andrea Alzato. de Santo Dionixio de Carchano de d.no Agostino Algerio : de Santo Vittore de Villa de d.no ; Donato Frigerio . de Santa Maria de Casilio de d.no | Bal: desar Pallau:cino . : A de Santo Fermo de Scezana de d.no Hieronimo di Nobili 1330. Cappella de Santo Petromartire de Herba de d.no Francesco Carpano. 4 Rettoria de Santo Petro et Marzelino de Caluenzana de d.no Agost.° da Rippa de Santo Joanne de Luragho de d.no Ambrosio Giussano. Santo Blasio de Mongutio de d.no Nicolo di Judici ; Cappella de Santo Mauritio et Usi de Herba de d.no Jo. Jacomo Vignarca 1335. Rettoria de Santo Vincentio de Galiano de d.no Nicolao de Judici . è i de Santo Jacomo de ia Ferrera sfiaa de d.no Jo. Ant.” Pelizono, adesso de d.no Francesco Carpano . » o» Go ogle IO Io IO IO 523 II 524 MARCO MAGISTRETTI Rettoria de Santo Jo. Batta de Castromartire de d.no Jo. Antonio Pelizono . L. 7 S. 15 D. 4 % de Santo Ant.° et Bart.° de Pallauicino 9 — — de Santo Georgio de Calpuno de d.no Andrea Glussiano . ; . 18 — "a 1340. Cappella de Santa Maria nela chiesia de Santo Vittore de Villa de d.no Nicolao di Judici . ; . - 9 — = Rettoria de Santa Maria de Mazonio (2) de d.no Francesco Pallauicino . i I 12 —_ Cappella de Santi Sebastiano Firmo et Nicolao nela chiesia de Santo Niculao d'Anzano de d.no Donato Pallauicino . 1 10 — Rettoria de Santo Clemente de Conserni. . 1 12 — Ù de Santo Georgio de Ruzinada de d.no Santo de Conti con la cappella de Vilincino . ; 5 15 6 1345. s de Santa Maria de Mornigho Teri o di Creuena . . 8 —_ _ Preceptoria de Santo Antonio ‘de Herba a d.no Jo. Antonio Carpano . 2 —_ — Canonica de Santo Magno de Legnano. 1347. Canonicato de d.no Hieronimo Guenzato. L. — S. 4 D.— » ù Nicolo Gallasio . ; . — 19 — È i Antonio Raxino . è . I — —_ 2350. > t Jacomo da Monte : . — 6 — Cappella de Santo Ambrosio de Legnano de d.no Stephano Bosso . . 2 3 4 » de Santo Martino de Legnano de d.no Marc’Antonio Legnano . ‘ 4 3 - s de Santo Jo. Batta de Legnano de d,no Jacomo Vismara . o é «9 6 —_ Rettoria de Santo Cipriano et Cornelio de Cerro . de d.no Jacomo Criuello. ; 13SS. È de Rescaldina de d.no Baldesar Bosso 5 6 — Priorato de l’Hospitale de Santa Maria de Legnano de d.no Bernardino dala Croce ; i ; i . 18 12 — =J \Ò | a (1) AI n. 1315 già è indicata la rettoria di Mazonio; qui probabilmente si tratta o di cappella o di porzione della medesima rettoria. Go ogle LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS Canonica de Santo Stephano de Lezuno. 1357. PP.rs de Lezuno alias de d.no Hieron.° Cattia L. Canonicato de d.no Thimotheo Molteno ù Damiano Besozzo alias de PP.to d’Angleria i alias de d.no Francesco Picinello . de d.no Baldesar Besozo. » Jo. Jacomo seu Stephano da Castiono . . i È Primo da Luyno. 1365. Item per la cappella de Santo Michele de Montebello . Canonicato de d.no Matheo da Montebello Antonio di Bianchi 1360. ”» ” Cappella seu rettoria de Santo Primo de Lezuno de d.no Lantisberto da Besozzo . È seu rettoria de Cerexolo de Santo Deffendente de d.no Lazaro da Riua 1370. Rettoria de Santo Jacomo et Maria de Leueno de d.no Jo. Petro Carnagho . Cappella seu rettoria de Santo Michele de Montebello de d.no Jo. Petro Luyno . Rettoria de Santo Stephano de Mombello con la cappella de Santo Nazaro de d.no Leonardo Castiono . Cappella de Santa Maria de Mobello (sio) del ss.to Cattanio . î . Canenica de Santo Georgio de Liscate. 1375. Arcipretato de Santo (sic) Bernardino de Busero . ì a - si Canonicato de d.no Nijincsseo Cauenagho ù i Hieronimo Parpagliono ; x Jacomo Filippo Mezabarba alias di d.no Jacomo Filippo Baggio . ‘Canonica de Santo Geruasio et Prothasio di Lecco. 1379. PP.ra di Lecco alias de d.no Francesco Caxato L. Canonicato de d.no Hieronimo d’ Ada % Scipione Estense. i . alias de d.no Matheo Beringardo . UU) ti seN n IO . 17 IG. DAw 0 IO 526 1385. Canonicato alias de d.no Galdino Beolco, L. MARCO MAGISTRETTI Sì de d.no Vincentio di Longhi . » ” Francesco Lomeno . i Rettoria de Santo Georgio d’ Eguado de d.no Battista Gauatio . ; : Cappella de Santo Antonio de Lecco de d.no Ambrosio Bonnome è Rettoria de Sancti Petro et Laurentio è d.no Francesco di Gasparitii . Cappella de Santo Bernardino de Lecho de d.no Matheo de Bugho i ; 1390. Rettoria de Santo Andrea de Mazanigho . de Santa Maria Mad con il Clericato de Santo Martino d’Agro Cappella di Santo Nicolao de Lecho . Canonica de Santo Joanne de Monza (1). 1393: Canonicato de d.no Jo. Petro da Barzanore L. 1395. 1400. 1405. Ig10. ”» ” » » ”» ” ” ” » y n »” ” ” n » n Li ” » » ”» ”» n ” ”» ” ” ” ” ” » » ” alias de d.no Joanne da Marliano . Cesare Varexio . Bartolomeo Melzo Antonio Carpano seu d.no Scipione da Castano Carolo da Varexio Battista Brianza seu Battista Varexo Nicolao Billia Alberto Marliano Nicolao Cattia Nicolao da Casteno Antonio Pioltino . Julio di Fideli Marc’Antonio Castoldo Cesare Landriano Alessandro Simonetta Bart.° Catt.° alias de d.no Cesare Rabia . Jo. Antonio di Negri Jo. Battista Caponagho Galeaz Rabia Jo. Petro Rabia . Jo. Petro Arsagho wu o c a ou lauaman | 00 dt Wv Aa10 NI 1a 7 17 9 16 (1) Vedi ai nn. 102-106 l’Arcipresbiterato con quattro altri Canonicati. r 0A) LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS 1415.Canonicato alias de Filippo da la Torre . L. ; ii Jo. Angelo Gauante » ° Jo. Angelo Sola. Cappella di Poronzoni de d.no Jo. Antonio Pioltino . P . Sa de Santa Maria de Vellaie de dina Hieronimo Florentia 1420. ì de Santo Carpophoro . A de Santo Alessandro al Bosco . z de S.to Petro et Paulo in S.to Joanne de Monza de d.no Jo. Rizzo. » de Santa Agatha de Monza Clericato de Santo Mauritio de d.no Jo. Batta Castano arciprete : 1425. % de d.no Marc’Antonio Ortenso . Un'altro clericato de Santo Mauritio de d.no Battista Varexio . Cappella de Santo Fidele de d.no Ai Sellanoua seu Bernardino Scotto A de Santo Vincentio con il clericato de Santo Martino de d.no Jo. Batta Castano arciprete È de Santo Donato presso la orazio de d.no Marc'Antonio Ortensio 1430. ; de Santo Georgio appresso il Vello. È de Santa Maria in Santo Joanne de d.no Batta Caponago . . . j del Crucifixo in detta chiesia de dino Paulo Brenna . Un’altra cappella del Crucifixo de di no Hieronimo Arsagho . 4 Cappella siue clericato de Santo Laurentio de d.no Sebastiano da Peregho. 1435. ù de Santa Lutia alias de d.no Joanne da Marliano adesso de d.no Bart.° Banfo “ dottata per d.no Jofnne Visconto Rettoria de S. Stephano de Sesto Joanne con il Clericato de Santo Michele de d.no Ambrosio da Rò " o . Clericato de Santo Alessandro de Sesto Josfine alias Acurtij ; Z4g0. Un’altro clericato de Sesto Joanne de dino Batta Calcaterra 6 . Cappella de Santo j]acomo in Sesto Joanne die d.no Ambrosio - : WDI IO Ul JI 12 16 00 18 IO Il IO 528 MARCO MAGISTRETTI Cappellani Ducali in Santo Joanne de Monza. Cappella Duc. alias de d.no Jac. F ilippo Baggio L. P alias de d.no Hieronimo da Ozxio : Duc. de d.no Jo. Petro Cerruto. . 1445. 5 » alias de d.no Petr’Ant.° Marliano 5 » de d.no Petro Brughora n » de d.no Alessandro Gauotto ù » alias de d.no Petro Scarsella ù » alias de d.no Agostino Morigia . I4so. n de Santo Stephano in Santo Joanne de d.no Donato Guenzato . Canonica de Santo Stephano de Mezana (1). 1451. Canonicato de d.no Zacharia Piantanida . L. Ù ; (Ambr.°) Dacono siue Ant. » È Jo. Petro Bregontio Ù s Petro Paulo Bosso I4SS. ” i Cesare Bosso Rettoria de Santo Martino de Cimbro de d.no Hieronimo di Girardi a de Santa Maria de Lambro de dino Mafrino Beletto seu Santa Maria de Villa. Cappella de Santo Stephano de Mezana de d.no Francesco Piantanida Rettoria de Santo Joanne Evang.ta de Cairate de d.no Battista Sola Canonica de Santa Maria de Monate. 1460. Arcipresbiterato de Santa Maria de d.no Antonio da Castelbesozzo . L. Canonicato de d.no Petro Martignono în z Alessandro Ferreto » È Christoforo Besozzo E A Ludouico Ferretto Canonica de Mezate. 1465. PP. de Mezate de d.no Ludouico Ayroldo L. "= Rettoria de Santo Ambrosio de Lainate de d.no Jacomo da Monte (1) Vedi al n. 107 la Prepositura. Go ogle i mi _D | » 10 Il ww IO LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS Canonica de Sante Joanne de Melegnano. 1467. PP." de Melegnano de d.no Pre Batta Pauexe L. Canonicato de d.no Hieronimo Ferraro E ; Battista Verderio 1470. | # Francesco da Cortenoua . Clericato de Santo Fermo de Arcagnagho de d.no Pelegrino. Un altro Clericato de Santo Petro, ut svipra de d.no Francesco Cortenoua . ‘ Canonica de Santo Stephano de Martiano. 3473. PP. de Santo Stephano de Marliano alias de d.no Antonio Carpano . _. L. Canonicato de d.no Hercole Galbexio Jo. Jacomo Castoldo . Vincen.° Galbexio siue Batta Cesare Bosso Joanne Chiappano Petromartire Marliano Antonio Morando Cesare Landriano vicepp.to Benedetto Citenico . Jacomo Filippo Mezabarba Gabriel Aliprando . . Ambrosio Pozzo. 5 1475. 1480. 1455. . Cappella de Santa Maria in Santo Stephano de Marliano de d.no Jo. Jacomo Chiap- | pano. Rettoria de Santo Nazaro et Celso d’Arozio de d.uo Bernardino Glussiano Ù de Inuerico de d.no Antonio Carpano i de Carnagho de d.no Petromar.® Marliano . s ‘ 1490. È de S.to Martino de lo ganeno de d.no Andrea Sormano . 5 de Santo Georgio seu Martino de Cabiate de d.no Jo. Maria Marliano, A de Santò Laurentio de Villa de d.no Lucha Glussiano Areh. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. III. DANA 12 2I v 529 10 IO 530 MARCO MAGISTRETTI Canonica de Santo Vittore de Massaglia. 1493. D.no Contino Pirouano PP.to (1). —-. *. L. Camonicato de d.no Michele da Souico î 7495. Pi ui Bartolomeo Vimercato CI È. Battista da Riua. % ‘ Julio da Rippa i alias de d.no Jo. Antonio Gallo E de d.ni Jo. Jac.° Fomagallo et X.ph.° da Naua insiema . è : de d.no Francesco Pirouano . alias de d.no Stephano Pirouano . 1500. Rettoria de Santo Georgio de Caxate (2) de d.no Adriano Criuello . ; de Santa Maria de Torreuilla Clericato de Santa Maria de Torrevilla de d.no Battista Caponagho. ; 1sos. Rettoria de Santo Vitto de Barzanore de d.no Francesco Pirouano de S.ta Veronica de Hoe de d.no Joan ne Alderio ‘ Cappella de Santa Croce de Ciipoa de d.no ja como Caxato . $ Un'altra cappella de Santa Croce de d. no Batta Spessia Cappella de Crippa de d.no a) 1510. Rettoria de Santo Vincentio de Viganore de d.no Francesco Pirouano 3 : de S.to Joanne de Monteuegia de d.no Jo. Petro di Rè da Ello. Clericato in detta chiesia de d.no Guid’Antonio Airoldo . : a Rettoria de Santo Sexino Martirio et Alessi: dro de Cremella de d.no Christophoro de Peregho . : de Santu Joanne Evagelista de Cernusculo Lombardono de d.no Jo. Antonio da Ello . .. ; (1) Vedi al n. 136 la Prepositura; nel ms. i nn. 1493-1498, per errore evidente di trascrizione, furono posti dopo il n. 1504. (2) Vedi al n. 133 la Cappella di S. M. di Casate Nuovo unita con Casate Vecchio. GO ogle i 15 bf 12 16 IO IO (e.°) 12 ISIS. 1520. 1525. I528. 4530. 1535. LIBER SEMINARIT MEDIOLANENSIS Cappella de Santo Dionizio ut supra con Santo Laur.° de d.no Galdino Carpano. L. Rettoria de Santo Stephano de Osnagho de d.no ‘Bernardino Vimercato . : i Cappella de Santo Nazario de Pirouano con la Cappella di Santo Michele, de d.no Cesare Pirovano . mm. z i ; ù de Santa Maria sotto Pirbnano . è Rettoria de Santo Bartolomeo de Barzagho de d.no Ambrosio Ixaco . % de Santo Joanne Evangelista de Bul- , giagho de d.no X.phoro da Naua. x de Santo Vittore de Brianza de d.no Christophoro Briosco . : È de Santa Agatha de Montexello de d.no Jacomo da Peregho . de Santa Maria de Sirtori de d.no Julio da Rippa. è Cappella de Santo Blasio de Galgians de li fratti dele Gratie Rettoria de S.to Georgio de Rouagnate e d.no Antonio Olginato Cappella de Santo Jo. Battista con il deriso ‘de Bulgiagho Canonica de Monte Varenna. PP. de Monte Varenna, de d.no Bartholameo de Inuitti . ; Li Canonicato alias de d.no Radeea Vimereato s de d.no Joanne da Erba . È è Altobello da Ungharia Ù È Antonio Vigono. Rettoria de Santo Georgio de Varenna Cappella de Santo Jo. Battista de Varenna . Canonica di Neruiano. PP. di Neruiano de d.no Bernar.no dala Croce L. Canonicato de d.no Ambrosio Segazono (sic) . : ù Ambrosio Zerbo . Item per la rettoria de S.ta Maria et Margarita de Carono é è (è . Go ogle MON WWW00 13 12 12 IO IO 00 12 531 532 IS$go. 1545. 1550. MARCO MAGISTRETTI Canonicato de d.no Hieronimo Dugnano . L. È i Francesco Bern.no Bosso . 5 ù Julio Juditiario di alias de d.no Bernardino de Pino . Rettoria do Santo Petro di Poyano de d.no Battista di Aprilli. È de Santo Angelo et Nazaro de Ce | naredo de d.no Hieron.® Dugnano . de Santo Petro de Serono de d.no Francesco Zerbo ) ; Cappella de Santo Georgio di Neruiano . . Rettoria de Santo Cassano de Venzagho de d.no Vittore da Intra alias, adesso de d.no Mapheo Verpelio s de Udrugio de d.no Hieronimo Lupo Cappella de Santa Maria con il Clericato de Santo Apolinare de Cornaredo de d.no Federico Balbo Retttoria de Santo Petro de Ledenate de d.no Bernardino Pagano. 5 de Santo Pietro de Preguana de d.no Pompeo Casteletto . SRDRECA de Santa Maria Colourina de d.no | Bernardino Prandono . Rettoria de Santo Quirico de Poliano de d.no Galeaz Visconte Canonica de Santo Stephano de Olgia Olona (1). 1555. Canonicato de d.no Hieronimo Lupo . . L. e i Donato di Amirarij i " Jo. Antonio Pioltino ; i Ottauiano Rodello PE È Ambrosio Pozzo. 1560. 5 ; Andrea da la Chiesia, di ; Francesco Barengho . 5 d. Reeleiàa (sic) ù, " Jo. Maria di Bianchi . Ò n Filippo Visconte . 1565. A n Laurentio Busto . Rettoria de Santa Maria de Gorla Maggiore de d.no Batta Pusterla. ; i de Santo Julio de Castelanza de d.no Batta Cogliato . (1) Vedi al n. 141 la Prepositura. Go ogle » WW NN SOS IO Io 12 I au LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS Cappella de Santo Bernardo in detta chiesia de d.no Archangelo Bosso. . L. Rettoria di Saconagho de d.no Paulo Bosso . 7570. ” de Santo Jo. Battista de Busto Arsitio divisa in tre parte cioè d.no Laurentio Ferrario per una portione et d.no Hieronimo Crespo per l’altra, et d.no Batta Candiano per l’altra Cappella de Santa Maria de Restagno de d.no Petro Rainoldo de Santa Catherina con la de Santo Cosma et Damiano nela chiesia de Santo Michele de d.no Gabriel Crespo. de Santo Ainbrosio et‘ Ératiuno de Busto nela chiesia de Santo Joanne de d.no Manfrino de Gallatij. . 1575. Rettoria de Santo Michele de Busto Arsitio de 1580. A d.no Petr'Antonio Tonso et Gabriel Crespo de Sulbiate sopra l’Olona de d.no de nato Admirario de Santa Maria Petro et lacoino de Cistilagho de d no Bern.no Villano de Santo Ambrosio de Marnate de d.no Baldesar Bosso de Santo Laurentio de Gorla Minore de d.no Jacomo Dada . sé de Santo Nazaro de Prospiano de d.no Jo. Maria di Bianchi : siue Cappella de Santo Vittale et Valeria de Gorla Maghiore de d.no Jo. Jacomo Urigono de Sancto Martino de Fagnano de d.no Battista dala Chiesa de Santo Joanne. de Bergaro de d.no . Paulo Crespo . “RO de Santo Martino de Cairate ie d.no Francesco Oldrino . é 4 S. 6 II IO 6 Canonica de Santo Geruasio et Prothasio de Parabiagho. 1585. PP." de Parabiagho de d.no Fiippo Biance L. Canonicato de d.no Andrea Rotia 5 Jacomo Pozzo Cesare Simonetta 9g S. 4 3 3 TI 16 533 I), II 534 MARCO MAGISTRETTI Canonicato de d.no Jeronimo Aliprando alias de d.no Joanne Simonetta.L. — S. 8 D. — 1590. ; alias de d.no Jo. Maria Concorezzo — 6 00 Rettoria de Santa Maria de Canegrate de d.no Petro Guarguante . 14 — — È de Santo Petro de Uboldo dè. dinò Francesco Santo Gallo . .. II 4 4 s de Santo Petro d'Arluno de d.no Julio Simonetta . . ò 12 6 —_ 5 de Santo Georgio et Salvatore de Caxoretio de d.no Benedetto Citerico 8 — —_ 1595. Cappella de Santo Joanne de Canegrate detta de quelli di Maravelia. De d.no Ambrosio Maraueglia . P 7 — — ; de Santa Maria d’Arluno de d.no | Hieronimo de Clapis . : i - 4 — — Canonica de Santo Joanne Evangelista de Pentirele (1). 1597. Clericato di Santo Prothasio de Trezzo (2) de d.no Bernardino et Lanz.to Vi. mercati . : ; . L a S.- D.— Item per un altro clericato . 2 2 — Clericato ut supra de d.no Camillo Alferro 5 — — 1600. D.nus .... in loco d.no Egidio di Santi I 6 —_ Canonicato de d.no Antonio Francesca Rainerio 3 4 — Clericato de Santa Maria de Crino de d.no pre Ambrosio Caxato . . 2 Io 3 D.no .... in loco de d.no Galbexio . ; 3 = i Clericato de Santo Pruthasio de Trezzo de d.no Francesco Acino detto de Lecco. 2. tro —_ 1605. x de Santa Maria de Trino alias de d.no Ludouicho di Capitanei da Vimer. cato .. . I 16 — , de Santo Alesstidro ie Golnagho de d.no Antonio Cusano . 2 7 3 Rettoria de Santo Joanne Evangelista de: Busnagho de d.no Jo. Petro de Leuato seu di Re da Ello . ; * - 5 8 — (1) Vedi al n. 142 la Prepositura coi Canonicati. (2) Ai nn. 378-380 sono registrati due priorafi e una rettoria allora esistente nel borgo di Trezzo. iti :R È 4610. 1615. 1619. 1625. 1630. 1633. 1635. LIBER SBMINARII MEDIOLANENSIS Rettoria de Santo Ruffino de Cropelo del archiepiscopo de. Milano . . L Clericato in detta chiesia . . i Un altro clericato in detta chiesia alias de d.no Hieronimo Gallarato . . Rettoria de Santo Nicolao de Vaprio alias de d.no Paulo Corigia adesso de d.no Marc’Antonio Auinati : Clericato de S.to Columbano et Paulo de Vaprio Un altro cler.to alias de d.no Hieronimo da Certe Rettoria de Concexia de d no Vincentio Cusano Clericato in Santo Michel de Sinexio de d.no Filippo Cattia Rettoria de Santo Martino de Giatiagho del R.mo Cardinale Morono Clericato nela chiesia de Concexia alias del Cadamosto . Rettoria de Santo Caipophore de Tersapo de d.no Jo. Petro Brughora Canonica de Santo Vittore de Preletia. PP." de Proletia de d.no Jacomo Meleghino L. Canonicato de d.no Stephano Sabadino i 5 alias de d.no Bartolomeo Castiono. ; de d.no Jo. Battista Gualdono. È x Francesco de Biumo . i » Alesandro Castiono i alias de d.no Francesco Pieno. Rettoria de Santo Petro de Seueria . Cappella de Santa Maria de Proletia. Rettoria de Santo Fidele de Garlasco ù de Santo Georgio de Gottero PA de Santo Georgio de la Cima Clericato de Santa Maria de Albizerio A de Santo Celso de Proletia . Canonica de Santo Vittore de Rb. PP.ra da Santo Vittore de Rò (1) .. e. 3a Canonicato de d.no Fabritio Criuello . ; i Brumanexio de Valle Mazonia . ; » ” Jo. Antonio Vespolato pa * c00 00% (1) Vedi al n. 134 il contributo fissato per la Prepositura di Rho. Go ogle ‘536 MARCO MAGISTRETTI . Cappella de Santa Maria de Castel de Rò del ss.to Vespolato »— è - L. Rettoria siue cappella de Sant'Antonio de Passerana de d.no Jo. Antonio Magno . Cappella de Santa Maria de Rò in Pasquirolo de li frati de Santo Agostino mendicanti . 3 ; 6 1640. x de Santo Bernardo et Sebasitano in Santo Vittore de Rò Canenica de Santo Stephane de Roxate. 1647. PP. de Roxate de d.no Franc.sco Centuriono L. Canonicato de d.no Galdo Carpano Batta Spissia ; Francesco Centuriono Cesare Simonetta Jo. Antonio Pioltino . Petro Reyna Christophoro Casarino Ambrosio dala Valle . Christophoro de.... +. Archinto Hieronimo Guenzato . 1645. 1650. Rettoria siue cappella de Santo Ambrosio de Vermezo (1) ; de Santo Martino de Imbolino 16SS. È de Santo Julliano de Zello de d.no Ottorino Cittadino : « ù de Santo Sirro de Ozano de: d.no Gai. do Mainardo di de Santo Quirico de Gudo le d.no và: spar da Ello (1) E de Santo Andrea de Barate de d.no Batta Montenato . i de Santo Petro de Tainate de. d.no Vincentio Soncino . 1660. È de Santo Eugenio de Vigano i d.no Ambrosio da Valle . È de Santo Michel de Mairano de Uno Bernardino Corio . . Cler.to de Santo Cosmo et Damiano de Roxato Cappella de Santo Joanne in Santo Stephano de Roxate . A F (1) Vedi ai nn. 118-120 tre altre NERONE: di S. Zenone di Vermezzo, Sporzano e di Gudo. Go ogle “uri N TW W £* 0dd I HU Ia re » O W 16 5 LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS Canenica de Santa Anexa de Somma (1). 1664. Rettoria de Santo Michele de Golasecha de d.no 1665. 1668. 1675... 1676. 1680. 1685. Jo. Jacomo Guazono > be E > de Santo Euxebio de Sasona de d.no Jo. Angelo Reposso. ì de Santo Martino de Vergiate de d.no Jo. Petro Bregontio. o Le a de Santu Georgio de Colcenio de d.no Jo. Maria di Bianchi Canonica de Sante Ambrosio Settara (2). Canonicato de d.no Paulo Santello alias de d.no Folco Spinello . . L. 3 i Hieronimo Guenzato . . Rettoria de Santo Jacomo de Colladroe de d.no Ambroxio Bexana. Un clericato in detta chiesia Rettoria de Santo Joanne Euafgelista. de Lucino de d.no Jo. Angelo Porrono . A de Santo Thomaso de Premenugho de d.no Ambrosio Bexana . Cappella de Santo Jo. Battista in detta chiesia de d.no Michaele Mariano A de Tranzanesio de d.no Andrea Rozia Canonica de Segrate. PP. de Segrate de d.no Leone Alzato . L. Canonicato de d.no Andrea Rotia » È Galeaz Glussiano È i Hieronimo da Canturio È ; Hieronimo Pioltino wo » CaroloTriuultioseuFranc.co Coppiatico è 3 Eusebio Cattanio. i Bartholameo. . . i s alias de d.no Donato da la Tore n alias de d.no Jaiomo Zerbo ; de d.no Jo. Antonio Airoldo I6 12 537 (1) Vedi al n. 108 la Prepositura coi Canonicati, che nel 1398 erano SRG (2) Vedi al n. r1o la Prepositura. Go ogle 538 1691. — 1695. 1700. MARCO MAGISTRETTI Rettoria de Santo Andrea de Pioltello de d.no Ambrosio Superto . : L, u de Santo Vincentio de Cossndlica de d.no Folco Spinello. i de Santo Georgio di Limidi de dino Ludovico Vismara (1) È de Santa Maria de Corte Regina de d.no Batta Settara . Canonica de Seuexo. PP. de Seuexo de d.no Caesare Aroxio. L. Canonicato alias de d.no Petro Frixiano . È ù Gabriel Bosso . Rettoria de Santo Vitto de Lentà de d.no Stephano Porro A de Santo Alesandro de Co ieno de d.no Ambrosio Copreno. Cappella de Santo Blaxio de Lentate de d.no Jo. Maria di Aliuerta Rettoria de Santo Quirico de Camnagho de d.no Santino di Conti . ù de Barlassina de d.no Jo. Petro Porro & de Santo Stephano de Cexano de d.no Batta Trabattono Cappella de Santa Maria de Blanzagho Rettoria de Santo Georgio de Limbiate de d.no Cesare Mandrino ; de Santo Stephano de Solario dc din Stephano Nubilono . de Santa Maria et Vittore de Cerliano de d.no Ambrosio Cassolio A de Coliate de le Monache de Santa Maria Valle 1705. Clericato de Sante Sirro de Mizxinti & i no sn (1) Vedi ai nn. 115-116 altre due rettorie, quella di Limito e quella di ronimo Biragho Rettoria de Santo Sirro de Mixinti de ana Battista Carcano ; i Clericato de Santo Stephano de Mixinti de d.no Cesare Arexio. ; Rettoria de Santo Laurentio de Lund alias de d.no Bernardino de Pino. Pantigliate, tassate rispettivamente per L. 30. Go ogle — 4 4 S. — D. S. tr D. 13 /710. 1713. 1715. 1718. 1720. 1225. 1730. 1735. 1740. LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS Cappella de Santo Stephano de Lentate de d.no Stephano Porro . L. ù de Santa Maria de Lemine de d.no Gabriel Porro . R de Santa Catherina et Abu brosio DA Solario de d.no Agostino Terzagho Rettoria de Santa Maria et Sebastiano de Medda de d.no Stephavo Bizozero Canenica de Santo Jo. Battista de Trenno. PP.ra de Trenno de d.ne Jo. Antonio di la L, Item per il suo Canonicato . é 4 ; Canonicato de d.no Pompeo Casteletto seu i no Francesco di Negri. Rettoria de Santo Martino di Figino de d.no Nicolao Pazeda a Ù de Santo Petro d’Arexio de d.no Io Angelo da Cogliate. Canonica de Santo Vittore de Varexio. PP.ra de Varexio de d.no Jo. Battista Pozzo L. Canonicato de d.no Bernardo Peraboue Antonio Maria Carabello . Arcangelo da Pristino Jo Antonio di Negri . Jacomo Mantegatia . . Francesco Ruscono i z Alesandro Solaro Francesco Picinello LL ” » » w "” () ” Pi L Francesco da Biumo . ” i Jacomo Biumo È = Andrea de Clapis E 4 Joanne de Bianchi " i Francesco Griffo. s È Battista del Torchio . ; Francesco Fossato R » Stephano Bosso. È ù Battista Rigono . P È Jo. Antonio d’Orduo . 5 i Paulo di Bianchi. A È Ottauiano di Bianchi . 4 A Jo. Antonio Zauatono. ” » . Bernardo di Papi ” $ Jo. Jacomo Origono ” Ù Jo. Maria Pelegrino Go ogle 4 S.16 D. 8 12 9 13 | e ND wWwWuINN =“ DDORD UV woNW 4 DN Na r vw II 16 539 IO lsgauo = luo | DÈI avwu NAMZL Jo 540. MARCO MAGISTRETTI Canonici in feudo minore. 1743. Canonicato de d.no Arcangelo da Pristino L. 1745. 1750. Protasio Cardano A u Battista di Bianchi . è ù Francesco di Buzi È ; Francesco Pellegrino . ; - Benedetto Picinello » u Cesare Bosso » A Thomaso Buzzo . Cappelle. 1751. Cappella de Santo Vittore de Varexio de d.no 1755. Eliseo di Alberti . . . L. de Santo Jo. Battista in battisterio de d.,no Archangelo Pristino : de Santa Maria Longha in Santo Vittore de d.no Bernardino Peraboue de Santo Ambrosio et Cat.na in Santo Vittore de d.no Francesco Biumo de Santa Maria dela Speranza de d.no Francesco Fossato . de Santo Antonio nela chiesia del'Hospitale nouo de Varexio del sud. Fossato . _. . . “ 1757. Rettoria de Santo Marco et Ambrosio de Mo1760. 1765. roxolo de d.no Joanne di Bianchi de Santo Hippolito et Cassiano de d.no Gaspar di Bianchi . de Santo Eusebio de Casciagho de d.no Stephano Casciagho : de Santo Petro de Masnagho de d.no Paulo da Vellate de Santo Eusebio de Bizozero de d.no Ludovico di Bianchi ; de Santo Martino de Schianno de d.no Hippolito Castiono . Cappella de Santa Maria in Santo Stephano de Bizozero de d.no Fran.°0 Bizozero de Santo Georgio de Schianno de d.no Hippolito Castiliono de Santa Maria de Azate de d. no | Aloisio Dauerio . A de Santo Hieronimo dAgue de d.no Arcangelo Bosso IO di qaaaÈ aa . 13 14 13 16 15 18 O IO LIBER SEMINARII -MEDIOLANENSIS Capella de Santo Laurentio de Castel d’Azate de d.no Stephano Bosso. +» SL ù de Sant'Antonio d’Azate de d.no Gabriel Bosso : : i de Santo Joanne Evangelista d'Azate 1770. Item per il feudo de Sant'Ambr.° de Zubiano . 1775. 1780. 1763. Rettoria de S.° Geruasio et Prothasio de Galiate — de dino Bonaventura de Galiate . ù de Santo Petro de Dauerio de d.no Aloisio Daucrio. Cappella de Santa Maria de Daverio de d.no Stephano Bosso Rettoria de Santo Georgio de Lannaghé de d.no Francesco Dauerio . Item per la cappella de Santa M.* de la Gazada Rettoria de Santo Cassiano de Vellate de d.no Antonio da Orduo . Cappella de Santa Maria de la Selierana (sio) de d.no Antonio Maria Carabello . Rettoria de Santo Ambrosio de Molina de d.no Jo. Antonio Bizozero . . 3 de Santo Martino de Malnate de d.no Donato Carcano Cappella ducale de Santo Bernar.no in ‘Monte A de d.no Romulo Missalia Un'altra cappella ducale de Santo Bernardo in in Monte de d.no Joanne de Romani Clericato de Santo Laurentio in Pontata . Feudi di Varexio.(a). Feudo de Santo Mauritio de Masnagho de d.no Jacomo Biumo . i i a Le Un altro feudo in detta chiesia de d.no Jo. Antonio de (sic) 1785. Feudo de Santo Petro de Biumo laferiore de d.no Francesco Suardo *. . ù de Santo Georgio di Biumo Superiore unito con la mensa capitulare de la rescidentia de Varexo 5 de Santo Vitto de Loinato unito ut s.3 de Santo Dionisio nela chiesia de Santo Joanne in battisterio de quelli de Cazinigho seu de d.no Thomaso Bizozero . ; ? 5 : ‘ (1) Vedi al n. 112 l’Arcipretato di S. Maria al Monte; (2) Vedi sopra, al n. 1770, il feudo di Giubiano. Go ogle 9 S. 4 D II 12 4 — 2 — 9 I IO — 4 19 4 2 6 i 6 8 9. 4 6 8 4 17 10 _ IO = — 14 3 12 — 16 I Ie 2 1 12 4 S 12 cfr. anche il n. 926. MARCO MAGISTRETTI Canonica de Sante Vittore de Valle Travaglia. 1789. PP.ra de Santo Vittore de Valtrauaglia de d.no Simone Calderolo . ) si Li 1790. Item per il suo Canonicato . Canonicato de d.no Stephano VMisenzaia. 1795. 1800. Battista Buzo . . Gotardo Pagano . Andrea di Passera Daniel Buzo seu d.no Petro Nic.0 de Montegrino Jo. Batta Campagnano Bernardino Buzo Mathéo da Bedere Martino Campagnano. Stephano Ballerano Battista Rolando. Matheo Luino Rettoria de Santo Joanne de Germignagha de II | o d.no Stephano Balarano. i z de Santo Petro da Luyno de d.no Def. fendente da Luyno. 1805. i de Santa Maria de Oldobio de dino Francesco Campagnano . ù Ri de Santo Ambrosio de Montegrino de d.no Ambrosio Jotto * de Santo Stephano de Macagno de d.no Gotardo Pagano A de Santo Georgio de Dugmentia - d.no Jo. Antonio da Dugmenta Custoria de Santo Nazaro.de Dugmentia 1810. Cappella de Santa Maria Mad4a in Sancto Victore de d.no Andrea di Passari 3 de S.° Julio con la capp.* de Grantula » de S.° Petro Georgio de Vachano con Musadino . Ù seu rettoria de Santo È usgbio d Agia x de Santo Francesco de Luyno . Canenica de Santo Stephano de Vimercato. 1815. PP.r de Santo Stephano de Viinercato de d.no Bernardino Ferraro. s i «di Item per il suo Canonicato . Goo gle (AS) \O n LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS Canonicato de d.no Ercole Bonalancia sE; 1820. È Hieronimo Biffo . ; Cesare Simonetta ar" Alessandro Simonetta . Andrea Marchesio « È Jo. Angelo da Ferno . » Alfonso da Mariano Ottauiano Secco . 1825. Item pei la réitonia de Santo Jacomo et Xphoro de Oldaniga » per il clericato de Incinello. Canonicato de d.no Sigismondo Foppa 1830. x x Battista Ghisolfo. ui Petr'Antonio Ghisolpho ù Jovita da Bergamo .’ » Stephano Geroxa P Jacomo da Osnagho u Francesco Marinato . } 1834. Rettoria de Carughate de d.no Battista Baretta 1840. ù de Santo Eusebio de Gradi de d.no Joseph Gafuro . 3 è de Santo Giuliano de Caponaglio dc d.no Bernardino Brambilla de Santo Julio de Cauenagho de d.no Julio Simonetta .. de Santa Agatha de Ornsgho da d.no Jo. Franeesco Rusca de Sant'Antonio de Brentana de d.no Joseph di Judici . è F de Santo Martino de Belusco del R. Episcopo Terracina et de d.no Petr'Antonio Ghisolpho . Cappella de Santa Maria de Belusco del d.no Filippo Catia . . Item per la rettoria deli Curtij de sto Lune i Rettoria de Santa Maria de Bernaregio (1) de d.no Francesco Sellanoua alias Cappella de Santo Dionisio de Passirano ne la chiesia de Santa Maria de Bernaregio de d.no Galeaz Foppa . 1&4s. Rettoria de Ronco de d.no Franc.° Tetamanzo (1) Vedi al n. 132 la di Bernareggio; cfr. anche il n. 1859. ouer il suo successore Go ogle Tie ai ne 16 16 18 5 2 % Gi N00 00» be colossi II IDO oNnnpuulbpe 14 00 MARCO MAGISTRETTI . Rettoria de Santa Maria de Mezagho de d.no Antonio Biffo con la Cappella de Santo Vittore. . ; - Li Item per un clericato in detta chiesia Rettoria de Santo Vitto et Modesto de Buirago 18so. Rettoria de Villanoua de d.no An.° Confanonerio 1855. 1860. 1864. Cappella de Bernate Rettoria de Santo Eustorgio de Aeon de d.no Ambrosio Marchesio = de Oxio da Usmate de d.no Hieronimo Villa Item per la cappella de Usmate. . Rettoria de Santo Michele de Opreno de d.no Paulo Mapello Cappella de Santo Nazaro de Opreno de d.no Bernardino da Opreno Rettoria de Santa Maria de Lesmo de d.no Dominico Arexio Cappella de Santo Cosmo et Damiano de Bernaregio de d.no Sigismondo Foppa (1) Clericato de Santo Maurilio de ‘Vimereato de d.no Hieronimo Codegha Rettoria de Santo Zenono de Omate de d.no Hieronimo Biffo . Cappella de Santa Catherina nela Chiesa de Santo Laurenzo de Vim.to de d.no Petr’Antonio Ghisolfo i Rettoria de Santo Alesandro da Passirano de d.no Jo. Batta Ferraro . i de Santo Cosmo et Damiano de Concorezzo diuisa in due portioni de d.no Dominico di Leonardi (2) Canonica de Santa Euffemia d’Uglono. PP." de Uglono de d.no Scipione Estense L. Canonicato de d.uo Georgio Ixaco s : Eurialo Glussiano i ; Battista da Rippa ; » =Jacomo da Rikbpa non trove la spiegazione. ra re UNa 16 26 (1) A questo numero, in margine, è posto un segno di richiamo, cd quale (2) La Rettoria di Oldaniga, che qui manca, è registrata sopra al n. 1825. è. a —t LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS 545 Cappella de Santa Maria in la ss.ta chiesia de d.no Petromartire Ixaco . L 5 S.16 D.— 1870. Rettoria de Santa Maria de Dulzagho de d.no Christophoro lxaco. . >» ‘9 IO — Clericato in detta chiesia de d.no Petr'Antonio Ghisolpho. . 3 16 3 Rettoria de Santo Georgio de Molteno de d.no Jacomo da Rippa . ì : >»: 8 4 — Canonica de Vallesassina. 1873. PP.ra de Valsassina de d.no Bart.° di Plazatori LL 9 S.— D. Canonicato de d.no Prothasio de Molino . , — 14 — 1875. Ù î Venturino da Riua . . — 16 — A ; Damiano Adriano . è — 6 mina Rettoria de Santo Alesandro de Barsio de d.no Bartolomeo Maysio. . + 7 — —_ î de Santo Dionisio de Premana . . 4 17 —_ ta de Santo Martino et.Gotardo de Indouerio . . a. 7 3 1880. î de Santo Viento de (Pasturio. .- 6 — — A de Santo Bartolomeo de Marnio de d.no Roberto Cortexio . s >. 9 12 9 ; de) Santo Andrea de Pagnano (sic) . 1 IO —_ i de Santa Maria de Tasseno de d.no Petromartire de Madio . è 2 16 8 5 de Santo Georgio de Cremeno de d.no Venturino da Rippa i 3 3 4 7 1885. A de Santo Gervasio et Proth.° de Cor: tenoua è 3 6 8 A de Santo Michel di lntrobio (1). 5 2 3 GERRADADDA. Carauagio. 1887. Rettoria de Santo Fermo de Carauagio per una portione, de d.no Hieronimo di Oliui . L. 10 S.— D.— Un'altra portione di detta rettoria de d.no Vincenzo Thadino . . 10 — — ; u di detta rett. d.no Luca di Lupi 10 — se 1890. : 5 de l’antescritta rett.» de d.no Zacharia Prata . é . IO —_ = (1) Vedi ai nn. 2119 e sgg. altri benefici in agro bergomensi, in seguito passati alle dipendenze del Pievi di Brivio, Olginate, Primaluna, ecc. Arehk. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. III. 35 546 | MARCO MAGISTRETTI Un'altra portione di detta rettoria de d.no Jo. l Maria di Dodi . . L. ro Clericato nela sudetta chiesia de Santo Firmo de d.no Firmo Mascarolo . - cd Mixano (1). 1893. Canonicato de d.no Andrea Rozza . . L. 10 ui = Jo. Petro Brugora : . 8 1895. 5 > Maffino di Pauexi, adesso i d.no Lodrixio Spagnolo . 10 A alias de d.no Brunello adesso d.no Emilio Brunello . ; ; > DE Vidalengho. 1897. Rettoria de Santo Joanne de d.no Joanne de Vescovi . : . i . L. 2I Clericato in detta chiesia de d.no Marc'Antonio Landriano. : 3 s , . IO Un altro clericato in detta chiesia de d.no Hieronimo di Oliui : È A . 10 Arzagho (2). 1900. Canonicato de d.no Alesandro di Ganassi. L. 1 n Aduardo Curtio . ; . 19 Jo. Maria Saxetta 4 . 10 Der x Francesco Catt.° Cap. in Santo Alessandro et d.no Dominico dela Coua (?) per la mittà . : . 10 Caxirate (3). | 1904. Clericato de Santo Georgio de Caxirate nela chiesia de S.* Maria de d.no Franc. Zoncha L. 3 Caluenzano. 1905. Rettoria de Santo Petro de Caluenzano de d.no Jo. Petro Menclotio. : . L. to Cler.° in detta chiesa de d.nv Ascanio Longho 15 (1) Vedi al n. 127 l’Arcipretato di Misano. (2) Vedi al n. 144 la Prepositura d’Arzago. (3) Vedi al n. 128 la Rettoria di Casirate. red I\ S. IO . 14 ». 12 1907. 1910, 1915. 1920. 1923. 1925. LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS Mezzanicha. Rettoria de Santo Steplano de Mozanicha de d.no Julio Vassallo . . Ag DA Item per un clericato in detta chiesa. Clericato de Sant’ Ambrosio de d.no Marliano di Ferrari. Riuolta (1). Canonicato de d.no Camillo Bellauita. i, «È è alias de d.no Santino Raxore . ; : de d.no Hieronimo di Zuchi Ù Ù Francesco Aldigheto con la capp.* de Santo Stephano ; n Firmo de Nicolla. mu j Jo. Petro di Petroni * Jacoino Carminato Caxa de la pp. de Santo Petro de Vicoboldono per la cappella de Santa Catta (2). Canonicato de d.no Sigismondo di Aprilli. Item per.il clericato de Santo Georgio Canonicato alias dell’Episcopo Simonetta . Item per il cleric.° de S.° Georgio in detta chiesia Monasterio Maggiore di Milano per li beni de d.na Paula . . . Cappella de Santo Stephano de d.no Hidnessso de Ardigheti da Inzagho Vailate (3) et Bregnano. Rettoria de Vailate per uua portione di d.no Jacomo Antonio Bossono. - Un’ altra portione de detta rettoria de d.no Joanne Forcato P Item per la cApp.* de Santa Maria in ie chiesa Un’altra capp.* in detta chiesia de d.no Jo. Antonio de Rossi. : Rettoria de Santa Maria de Hieuhato de d.no Andrea di Costi i Un’altra portione del’antescritta rettoria de d.no Stephano di Costi (1) Vedi al n. 145 la Prepositura di Rivolta. 16 do UI oul (2) Di patronato della Prepositura degli Umiliati, v. D. 37. (3) Vedi al n. 146 la Rettoria di Vailate. Go ogle 16 547 548 MARCO MAGISTRETTI Clericato de d.no Marc’Antonio Landriano L. 1930. i nela ss.ta chiesia de d.no Baldesar di Aratori , ©. : è ‘ Cappella de Santa Catt.s de Boeznano del comune di Bregnano . . A A de Santa Catterina nela suda chiesa de d.no Baldesar di Aratori. Fornouo (1). 1933. Arcipresbiterato di Fornouo de d.no Julio Mass.* seu Francesco Castello. . L. 1935. Canonicato de d.no Antonio Maria Soncino . i i Martinella — ; A Lucha Luppo ; ù A Agostini Magno con un cler.° Cassano (3). 1938. PP.» de Cassano sopra Adda de d.no Fabritio Landriano. i À «- Li Pagazano (2). 1939. Canonicato de d.no Jo. Andrea Costa n Vba Can.to et clericato de d.no Benedetto Baruffo . Triuilio (4). 1941. Rettoria de Santo Martino de Triuilio de Calisto di Daiberti i : . i. L. Un'altra portione dela detta rettoria de d.no Battista Racha. 5 Un'altra portione dela suddetta rettoria de d.no Sermono Rozono Un'altra portione de l’antescritta rettoria de d.no Paulo da Rouate 1945. Un’altra portione dela sudetta rettoria de Gao Bernardino Botinono . Clericato in detta chiesia de d.no Hier.mo Chiivazo Rettoria ut supra de d.no Honesto Rozono Item per la cappella de Santo Rocho (1) Presso Caravaggio. (2) Vedi al n. 128 la Rettoria di Casirate. (3) Vedi al n. 129 l'Arcipretato di Pagazano. (4) Vedi al n. 2134 e sgg. altri benefici în agro bergomensi. 22 IO 00 coD : CRE v . Io «i LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS Canenica de Farra. 1949. Arcipretato de Farra de d.no Gugliel.° Bolognino 14 1955. 1960. 1965. 1970. Canonicato de Dominico di Caffi 7 alias de d.no Sebastiano Airoldo 7 de d.no Battista Landriano 7 Rettoria de Santo Alesandro de Farra per una portione del R. Vicario di Bergamo "e e . IO Un'altra portione dela sudetta rettoria de d.no Battista Valentino . : : . 8 e —— __- Priorato de Portexana de d.no Ambr.°Caxato(1) L. 10 Preceptoria de Santo Antonio de Canturio de d.no Francesco Cermenato Priorato de Santo Bartolonieo de Trezzo . » 16 13 de Santo Domenico de Trezzo . . 22 Rettoria de Santa Christina in detto loco . 20 » de Santa Maria et Laurentio de Chignolo de d.no Francesco Cuxano . 11 Cenuenti (2). . Conuento de Santo Petro martire de Monza L. 9 de Santo Francesco de Monza . 9 de Santo Francesco de Canturio 6 de Santo Francesco de Gallarate 9 de Santo Francesco de Pozolo . 3 de Santo Petro martire de Barlassina 6 de Santo Francesco de Milano . . 128 de Santo Marco de Milano . 95 de Fratti Carmelitani . 60 de Santa Maria de le Serui ; . 44 de Santa Maria de le Gratie de Milano coi suoi membri . . 40 de Santo Ambrosio al Nemo de Milano con le unione vz la cappella de Casterno monasterio de la Vittoria (1) Si ripetono le indicazioni date sopra ai nn. 376-381. (2) Vedi, in principio, altre case religiose maschili ai nn. 2-71. Go ogle 00 . 13 SI 549 550 i MARCO MAGISTRETTI 1975. et monasterio de Santa Maria de Olginate insiema ; "2: è «La 54 -S. Conuento de Santo Petro Celestino > " de S.Maria presso Cuxagho unito con il monasterio de Santo Marco de Milano . 22 Monasteria monialium (1). 1979. Domus de Sinadochio . A ; 3 . L. 14 S » Santi Martini de Varixio. .- 4 A de Putheo Vagheto monialium Modocuie 19 n de Bernadigio monialium Modoetie Il Ministra Domus Santi Joannis de Gallarate 2 Domus Dominarum de Lonate Pozoldo 2 1985. Monasterio Capuzzo de Mediolano 22 3 de Santa Lutia . 18 A de Santo Ambrosio ad Costa 8 % de Santa Maria dela Stella fora de Porta Vercellina . 5 È de Santo Martino de Monza 6 Caputiarum. 1990. Monasterio d.ne Beatricis de Lambro . L. 12 S. Ù de Santo Petro de Cremella . 22 " de Santo Fidele de Gallarate siue ministra. I Ministra de Santa Lutia de gusta Parole 7 n de la caxa de M.3 Andreiola unita con il ss.to monasterio . 3 1995. i de la caxa de Santo Petro apostolo in detto borgo . I i de la caxa de Ma Alegranitiole in Doi nato Pozoldo ut supra . : 5 n de la caxa de M2® Fina ut supra. 5 a de S.to Petro M.re de Lonate Pozoldo 10 A de la caxa de Santa’ Aggatha IO 2000. i de la caxa da Monte 4 A de la caxa de Santa Cat. de Marra in burgo ut supra > i. ; dele donne vergine vecchie uianda in burgo ut supra 7 (1) Vedi sopra altri monasteri, n. 153 € Sgg. -—- fn [el -aalkfleuno D. co Io (S°) LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS 551 Monasterio de Santo Pancratio unito con il monasterio de Cairate . . LL 20 S—- DT E de Santa Clara de Bosto. ; - 17 5 IO 2005. ; de Santo Ambrosio de Canturio . 20 —_ — è de Santa Maria de Seregno . . 7 — — È de Ponenzano . i 2I 4 — i de Santo Vincentio seu Ladro da Vimercato . : : i . 14 — — HOSPITALI (1). 2009. Hospitale dele noue fonte de Varixio . L. Io 15 8 A de Carate . : : . 23 3 — î de Santo Erasmo de Lagnalé ; . 2I — — Landriano (2). 2012. Rettoria de Santo Vittore de d.no Christophoro Landriano. ì . L 8 S—- D. — Un'altra portione dela sudetta seno de d.no ; Benedetto Strata . i 8 È — —_ Capp.* de S.° Quirico de d.no Jacomo Landtigno 8 — — HOSPITALI, SCOLE, ET ALTRI LOCHI Pij. In Porta Orientale. 2015. Scola de Santa Maria dela Neue nela chiesia magiore . ; . L. (3) S- D.— de Santo Joanne a fonte ut RA 3 . — —_ — de Santa Catherina de Senna ut supra. — — — de S.t0 Rocho in S.° Vittore deli Ziponari — _ — detta deli orbi in Santo Saluatore in Sinodochio . 4 : . — —_ — 2020. » del Corpus Dini in Santo Raffael P . — — — » del Corpus D.niinS.to Paulo in Compedo — — — » de Santa (sic) detta il Scurolo in Santo Paulo ut s*. ; A . . — — —_ (1) Vedi sopra nn. 150-152, 525 € segg. passim nelle diverse porte, n. 2039 € segg. passim. (2) Nel 1398 Landriano figura come dipendente dalla Canonica di S. Mi- chele di Bescapè (Basilica Petri) insieme alla Rettoria di >: Maria di Pairana, ricordata sopra al n. 124. | (3) Da qui sino alla fine non è esposta alcuna cifra di contribuzione al inario. Go ogle 552 2025. 2030. 2035. 2040. 2042. 2045. 2050. 2055. MARCO MAGISTRETTI Scola dele Quattro Marie . * Lx » del Corpus D.ni presso Santo Casino al Pozo bianco . P s » del Corpus D.ni in Santo Babille A » de Santa Maria ut supra . ; 5 » de Santo Romano presso Santo Babille . » de BatutiaSanta Marta in porta orientale » de Batutiin Santa Maria pisa Santo Petro Celestino . i . » de Batutiin S.° Rocho presso S.° ‘Damiano » de Batuti in Santo Rocho fora di porta orientale . » del CorpusD.iinS.to Siephano.i in Bralio » de Santo Jobin Santo Stephano ut supra » de Santa Maria ut supra . » de Santa Lutia ut supra . » de Santa Catherina at supra » de Santo Bernardino sopra del Cimiterio de Santo Stephano ut supra . de Santa Maria dela Fontana . : Hospital \de Brolio sotto regimine de l’ Haspitale grande. . ; è s : Loco Pio detto la Divinità . ed A Scola de Santa Maria et Elixabetha in Salito Michel sotto domo In Perta Romana. Scola del Corpus D.nì in S.° Nazaro in Brolio L. de Santa Catharina, et S.° Rocho ut s.* de Batuti in Santa Agatha presso S.° Nazaro in Santo Joanne Gugiarolo é de Santo Michel et Santo Josepho in Sanio Calimero . : » de Santo Rocho fori di Porta Romana ; Hospitale de Pellegrini de Santo Petro et Paulo A de S.° Lazaro sotto regimine de l’ Hospitale grande . Scola del Corpus D.ni et de ogni Santi in Santa Euffemia . » de Santa Maria presso Saito Celso. Hospitale de Santo Celso sotto regimine de l’Hospitale grande . : . : Scola del Corpus D.ni in Santo Joanne L.eicrano » de Santa Maria Rotonda ut supra . » de Santa Maria in Santo Sattiro : Hosp.le dela Pietà presso S.° Michele muro rotto 3 ®& sas == LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS In Porta Ticinexa. 2057. Scola de Santa Maria in Santo Vincentio fuora 2060. 2065. 2070. 2075. 2078. 2080. 2085. 2090. de P. T. . ? va. & «-L. Hospitale de Santo Vincentio sotto regimine de l’Hospitale grande . Scola de Santo Calocero de Batuti de S.° Gotardo in S.° Laucenio del Corpus D.ni ut supra . de Santo Aquilino . ‘ de Santa Maria . . de Batuti in Santo Petro Scaldasole. de la Trinità fora di Porta Ticinexa de Santa Maria al Gintilino . de Santa Maria sopra il nauilio de Santa Maria presso Santa Croce de S.° Rochino ala Torre de l’imperatore de Santo Petro martire in S.° Eustorgio de Santa Maria del Rosario ut supra de Tri Magi ut supra de Santa Maria a Santo Michel la Cluxa del Corpus D ni in S.° Georgio in Palatio de Batuti a Santa Martha presso Santo Georgio de Santo Antonio in Santa Maria Beltrada del Corpus D.ni ut supra. In Porta Vercellina. Scola de Batuti a Santo Martino a Corpo. L. Hospitale de Santo Ambrosio sotto da de l’Hospitale grande . Scola de Santo Sepulcro in Santo Vittale. dela Micheta presso S.° Nicolao in porta Vercellina. ‘ : de Santo Rocho presso ut siprà de la Conceptione B. M.a V. in Santo Francisco , ; de de li Genouesi a Santo Fr. rancisco de Santo Bernardino ut supra. Hospitale de Peregrini de Santo Jacomo sresio Santa Maria Porta . Loco Pyo de la Humiltà presso S.* Maria Pedone de Santa Corona presso la Roxa Scola del Scurolo de Santo Ambrosio » de Santo Sigismondo presso S.° Ambrosio de Santo Agostino ut supra . 553 554 2095. 2/00. 2104. 2105. 2110. 2115. 2117. MARCO MAGISTRETTI Scola del Corpus D.ni in S.° Vittore a Trenno (1) L. » de Santa Maria in Santa Maria Segrera Loco Pio del Monte de la Pietà. LI In Porta Cumana. Scola de Santa Maria nela chiesia presso Santo Simpliciano . ; i i » de Batuti inS.t0 Jo. Battista presso ut s.* Hospitale de Santo Simpliciano . ; Scola de Santa Maria et Ant.° in S.0 Carpoforo mn de Batuti de Santo Rocho in Santo Prothasio in Campo » de la Madalena ut supra . Loco Pyo de la Misericordia Scola de Santi in Santa Maria de Carmen de Santo Eligio in Santo Michel al Gallo In Porta Noua. Scola de Batuti in Santo Michel et Santo Jcobo in P. N. . : ; ; Pla » de Santa Anastasia ut supra . Hospitale dele Pute orphane de Santa Caitiarina Scola de Batuti de Santo Blasio in Santo Primo Loco Pyo de li Poueri de Santo Martino presso Santo Pietro Cornaredo . Scola de Batuti in Santo Ambrosino presso S.to Eusebio in Chiuassino . » de Batuti in Santo Joanne in Ca rotte » de Santo Josepho presso Santo Siluestro Hospitale de Santo Dionisio sotto regimine de l’Hospital grande Loco Pyo dela Carittà . Scola dei Corpus D.ni in Santo Bijoriazio sd Monachos . Diverse altre scole secrete presso Santo Ambrosio Magiore et presso Santa Maria detta del Giardino . Fabbrica del Domo de Milano . ; >». da Fabbrica de Santo Joanne de Monza . (1) Infra pag. 559, nota I. 2/19. 2120. 2125. 2130. 2134 2140. 2145. 2150. LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS BENEFICI IN AGRO BERGOMENSI. In Valle Santo Martine. Rettoria de Santo Ambrosio de Briuio citra Abduam . ; A i se Mi de Sant'Ambrosio de Caprino de Santo Paulo de Montemerentio . de Santo Geargio de Montemerentio. de Santo Michel de la Bretta de Santo Laurentio de Russino. de Santa Brigida de Lorencino. de Santa Martino de Caloltio de Santo Geruasio et Prothasio de Vercuragho in Villa de Rippa d’Adda de Santo Andrea de Villa d’Adda Ghiesia de Valle de Talegio supposita a la diocesi de Milano . ) è i ; Rettoria de S.to Ambrosio sotto Tittulo de Jus: patronato . de Santo Jonnne Battista in ‘Contrada Sotto Chiesia de Santo Petro in Concita ‘Olda de Santo Jacomo in Contrata Pigeria Alia beneficia in Agro Bergomensis Mediolanensis Chiesia de Santo Andrea de Sforzaticha . L. | Clericato in detta chiesia i in detta chiesia ; Chiesia de Santo Michele de Sabbia . Clericato in detta chiesia Chiesia de Santo Petro de Lage Clericato in detta chiesia s in detta chiesia Chiesia de Santo Laurentio de Merano io) Clericato in deita chiesia . ì Chiesia de Santo Zenono de Oxio ie Sotto Clericato in detta chiesia ù in detta chiesia Chiesia de Santo Georgio de Boltero Cappella in detta chiesia . 3 : Chiesia de Santo Marco de Ciserano Clericato in detta chiesia . 3 Chiesia de Santo Petro da Verdello Magione ; Clericato in detta chiesia f Go ogle Diocesis. CENE: ATER 555 556 MARCO MAGISTRETTI Chiesia de Santo Ambrosio de Verdello Minore L. — S. — D.— Clericato in detta chiesia . ; . . . — — —_ 2155. Clericato in detta chiesia . : — —_ —_ Chiesia de S.° Cosmo et Damiano di Paparo —_ — — Clericato in detta chiesia . i ; ; . — — —_ Chiesa de Santo Michele de Arcene . i . — — — Clericato in detta ‘chiesia. . ; ) a — —_ 2160. Chiesia de Santo Alesandro de Capriate . — — — Clericato in detta chiesia . 7 . — — — Chiesia de Santo Geruasio de Santo Cernasio — — _ Clericato in detta chiesia . ; — — A Chiesia de S.° Faustino et Jouita de Hiambae — — = 2165. Clericato in detta chiesia . a ; : i; — — Nicolans Ormanetus Vicarius Archiepiscopalis Mediolan. Jo. Franciscus Sormanus ordinarius deputatus. Sfortia Specianus deputatus. Alexander Vicecomes praepositus Mediolani deputatus. Jacobus Philippus Sormanus deputatus. Bartholomeus Parpalionus Curiae Archiepiscopalis Mediol. Cancellarius. Liber Seminarij Mediolan. per multum R. J. U. doctorem D. Nicolaum Ormanetum Prothon,.rium ap.cum Ill, mi et R.mi DD. Caroli, p.bri Car.lis Borromei nuncupati S.te Mediolanen. ecclesiae Archiep. Vicarium Generalem et Visitatorem, etc. De Consilio R.di J. U. doctoris D. Jo. Franc.ci Sormani Ordinarij Ecc.e Mediolan. et R.di J. U. D. Sfortie Spetiani ellectorum et deputatorum ab ipso R.do d.no Vicario, necnon et R.di D. Alexandri Vicecomitis praepositi Ecclesiae Mediolanen. ellecti et deputati a Capitulo p.tae ecclesiae, ac R.di J. U. Doctoris D. Jacobi Philippi Sormani ellecti et deputati a R.do Clero Mediolan., Consignatus D. Bartholomeo Parpaliono Cancellario Curiae Archiepiscopalis Mediolani die Jovis quinto mensis Octobris Anni Millesimi quingentesimi sexagesimi quarti indic.* octava, praesentibus D. Christophoro Venegono f. q. D. Johannis praedictae Curiae Notario et D. Hier.mo Cagarana f. q. D. Bapte. P. T. p. S. Michaelis ad Cluxam Mediolani, testibus ambobus Idoneis ad praemissa vocatis specialiter atque rogatis. Nicolaus Ormanetus. Jo. Franciscus Sormanus. Sfortia Specianus. Alexander Vicecumes praepositus Mediolani. Jacobus Philippus Sormanus. Bartholomeus Parpalionus Cancellarius qui supra. I a LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS 557 APPHENDICEK « MISCELLANEA DI COSE DI STORICA ERUDIZIONE MILANESE » (I). Note DI Francesco Castetti, Ordinario della Chiesa Milanese, morto nel 1578. Perte et parochie (2) civitatis Medielani. Porta orsentalis pro insignia defert leonem nigrum. S.ti Babille intus et foris. S.ti Martini in Compito. S.ti Stephani intus et foris. S.ti Stephanini ad Nusigiam. S.t Stephani in Burgondia. S.ti Simplicianini, S.ti Zenonis in Pasquirolo. S:ti Michaelis subtus domum. S.te Marie Passarelle. S.ti Raphaelis. S.ti Vitti in Pasquirolo. S.ti Salvatoris in Xenodochio. S.ti Petri ad Ortum. S.te Tecle. S.ti Georgij ad Putheum Album. Morrasterii Lantasii. S.ti Pauli in Compito. Porta Romana defer! pro insignia vexilum ex toto rubrum. S.ti Calimeri. S.tr Andreae ad murum ruptum. S.ti Nazarij in Brolio. S.ti Michaelis ad murum ruptum. S.ti Stephani in Brolio intus et foris. S.ti Michaelis subtus domum. S.te Euphemiae intus et foris. S.ti Alexandri in Zebedia. S.ti Johannis ad Concham. S.te Mariae Beltradis. S.ti Victoris ad Crucetam. S.ti Galdini. S.ti Zenonis ad Crucetam. S.ti Johannis ad Fontes. S.ti Johannis Isolani. (1) Tale è il titolo da Francesco Predari (Libliografia Enciclopedica milanese, Milano, 1857) dato a questo opuscolo di sole 12 pagine. L'originale ora sta pressso di me, mancante però del foglio di riguardo anteriore, sul quale probabilmente v'era scritto il titolo e la data di compilazione dell’opuscoletto: come e quando questo opuscolo passò fra le schede del dott. Giovanni Dozio, a me pervenute, non saprei indicare. Il Predari scrive: « Il volume (sic) ha la data « del 1550. Sta nell’archivio della Metropolitana e nell’Ambrosiana (sic), insieme 2 e quest'altro: Status ecclesiae Metropolitanae, ecc. ». Gli opuscoli del Castelli sono interessanti per notizie sulla chiesa milanese all’epoca della venuta di S. Carlo Borromeo nella Diocesi di Milano. (2) Si avverta come da questo elenco risulti che il territorio di alcune parcechie non apparteneva esclusivamente ad una porta. 558 MARCO MAGISTRETTI Porta Vercelina defert pro Insignia balsanam. S.ti Martini ad Corpus intus et foris, S.ti Nicolai intus et foris. S.ti Petri supra dorsum. S.ti Bartolomei parvi intus et foris, S.torum Vitalis Naboris et Felicis, S.te Valerie. | S.ti Petri intus vineam. S.ti Laurentini in Civitate. Ste Marie ad circulum. S.te Marie Pedonis. Porta Nova defert pro Insignia S.ti Bartolomei intus et foris. S.ti Primi intus et foris. S.ti Andreae ad Pusterlam novam. S.ti Domnini ad Maziam. S.ti Victoris et Quadraginta Martyrum. S.ti Stephanini ad Nusigiam. S.ti Martini ad Nusigiam. S.ti Petri ad Cornareduin. S.ti Johannis supra murum. S.ti Petri ad Linteum. S.te Marie ad Portam. S.ti Vincentii Monasterii Novi. S.ti Nazarii ad Petram Sanctam. S.te Marie Secrete. S.ti Victoris ad Theatrum. S.ti Matthie ad Monetam. S.ti Michaelis, ad Gallum. quadratum ex albo nigrum. S.ti Benedicti S.ti Fidelis. S.ti Eusebi]. S.ti Silvestri. S.ti Laurentini in Turrigio. S.torum Cosme et Damiani. S.te Margarite. S.ti Protasij ad Monachos. Porta Ticinensis defert pro Insignia totuni album. S.ti Vincentii intus et foris. S.ti Laurenti majoris intus et foris. S.ti Petri in Campo Laudensi intus et foris. S.te Euphemie intus et foris. S.ti Michaelis ad Clusam. S.ti Firmi. S.ti Petri in Curte. S.te Marie in Valle. S.ti Petri in Caminadella. S.te Marie ad Circulum. S.ti Viti in Carubio. Sti Xisti. S.ti Quirici. S.ti Victoris ad Putheum. S.ti Maurilii. S.ti Ambrosini in Solariolo. S.ti Georgiìi in Palatio. S.ti Alexandrini in Palatio. S.ti Alexandri in Zebedia. S.ti Sebastiani, S.te Marie Beltratis. S.tî Johannis ad Concham. S.ti Matthie ad Monetam. S.ti Michaelis ad Gallum. Porta Cumana defert pro Insignia tabulatum ex albo et rubeum (sic). S.ti Protasij in Campo foris. S.ti Simpliciani foris. S.ti Carpofori intus et foris. ‘S.ti Protasij in Campo intus. S.ti Johannis ad quatuor facies. S.ti Silvestri, S.ti Marcelini. Go O gle sea S.ti Thome in terra amara et in cruce Sichariorum. S.ti Nazarii ad Petram Sanctam. S.te Marie Secrete. S.ti Cipriani. S.ti Protasii ad Monachos. S.ti Michaelis ad Gallum. LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS 559 Templa idolorum reconciliata ab Infrascriptis Pontificibus. Templum Minerve nunc S.te Tecle, reconciliata a S.to Barnaba ab Ambrosio appellata maior intramurana. Templum Jovis | nunc S.ti Ambrosii, reconciliata ab ipso divo Ambrosio. Templum Apolinis nunc S.ti Calimeri. reconciliata ab ipso S.to Calimero. Templum idem (sic) Apolinis nunc S.ti Balille. reconciliata a S.to Anatalone. Templum Jani | nunc S.ti Johannis ad 4 facies. reconciliata a divo Ambrosio. Templum Pantheon nunc S.ti Dionisi]. reconciliata a divo Ambrosio in Salvatoris et omnium prophetarum et confessorum honorem. Templum Herculis nunc S.ti Genesii. reconciliata a divo Ambrosio. Templum Bachi nunc S.ti Gregorij ad S. Victorem. reconciliata a divo Materno. | i Terme Herculee nunc S.ti Laurentii. reconciliata a divo Ambrosio. Antiquitates que Mediolani erant. Arcus Triumphalis tendens a S.to Nazarij usque ad nusetam. Circulus Maximus et Insimul tendebant a S. Maria Circuli usque ad Hippodromus S. Petrum in Vinea et loca circumvicina. Theatrum Trene ad S.m Victorem trenum (1). Et Trene appellantur quia ibi propter martyrium fiebant lamenta, Theatrum Pulcrum ad S.m M. Beltradam per beltranum (?). ibi Joca fiebant. Terme Herculee erant templum S.ti Laurentii a divo Ambrosio consecratum et in ecclesiam conversum. Turis Imperatoris subtus eam confluebant omnes aque civitatis et cognominatur Victabia quia dabat vitam pratis que ex ea irrigabantur et ex ea nisi ex licentia Imperatoris nullis impartiebatur, nisi soluto certo tributo, Aodîe timiunis el exempia utentibus ex ea. Fons S.ti Eustorgij Antiqui Romani non habebant puteos Fons S.ti Caloceri nisi fontes ideo libenter inhabitabant Fons intra aedes S.ti Eustorgij ) hanc regionem. Ibi etiam baptizabantur Fons S.te Crucis infiniti Christiani ad fidem venientes. (1) BONAVENTURA CASTIGLIONI nel suo opuscolo inedito, « Vite dei primi € XI arcivescovi di Milano », ci fa sapere che, nell'uso popolare del suo tempo, la chiesa di S. Vittore al Teatro dicevasi S. Vittore treno. 560 MARCO MAGISTRETTI Fundatores Infrascriptarum Ecclesiarum. Paulina nunc S.ti Eustorgii (1). Filipea i nunc S.ti Naboris. Faustiniana nunc Sti Vitalis. Portiana nunc S.ti Martini ad S.m Victorem (sic). Poliandrum nunc In Monasterio S. Francisci. Xenodochium nunc S.ti Salvatoris. A dateo archipresbytero fundatum pro expositis. Ecclesia Rozonis nunc S.ti Sepulcri. Ecclesia Ghisonis nunc S.te Margarite. Ecclesia ad refugium nunc S.ti Victoris altera. Ecclesia ad Scorum concilia nunc S.ti Romani. Ecclesia ad ulmum nunc S.ti Victoreli Capuzinorum. Basilica Apostolorum nunc S.ti Nazari). Ecclesia ad tres moros nunc S.ti Celsi Ecclesia S.ti Vincentii ad septem allas ubi Frontus archiepiscopus simoniacus ab igne persequtus (sic) tandem ibi terra aperta eum deglutivit prope crucetam p. Romane. ista ecclesia erat intra aedes Vicecomitum et appellatur ad 7 allas quia ibi sunt 7 vie (?). Infrascriptae sunt Porte Civitatis Mediolani, alias oocluse et hodie aperte que pusterule appellantur. Pusterula S. Ambrosii Pusterula Fabrorum. Pusterula S.te Euphemie nunc P. Ludovica. Pusterula Tonse nunc P. Tonsa. . Pusterula Montis Fortis Pusterula S.ti Andree Pusterula Brayde nunc P. Beatrix. Pusterula Jovis loco istius fuit fabricatum castrum P., Jovis. Abbatie principales Civitatis Mediolani S.ti Ambrosii mitrata. S.ti Simpliciani mitrata. S.ti Dionisi mitrata. S.ti Celsi S.ti Victoris S.ti Vincentii Preceptoria S.ti Antonii Prioratus S.te Crucis (1) Corretto di 23 ma., ma non è intelligibile la prima scrittura. LIBER SEMINARII MEDIOLANENSIS 561 Domus equitum hierosolimitarum seu templariorum. S.te Marie del templo. S. Johannis in burgo P. R. Alamanie S.ti Georgij ad putheum album. Sunt secutares sed non possunt esse uxorati et Alamanus major habent ad pias causas diversa onera et decedente Alamanus minor maiore minor succedit et sunt de domo Menclotiorum. Colegiate ecciesie Mediolani. Capitulum ecclesie Mediolanensis. Capitulum S.° Marie ad Fulcurinum. Capitulum S.ti Ambrosii. Capitulum S.ti Thome in terra aCapitulum S.ti Nazarij in Brolio. mara. Capitulum S.ti Laurenti). Canonici quatuor S.ti Bartolomei. Capitulum S.ti Stephani in Brolio. Canonici tres S.ti Calimeri. Capitulum S.ti Georgij in Palatio. CanonicitresS.ti Martini ad Corpus. Capitulum S.te Marie della Scalla. Canonici tres S.ti Sepulcri. Marco MAGISTRETTI. Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc, III. 36 VARIETÀ Un appello contro sentenza dei consoli di Milano al tempo di Ottone IV. guaLcHE anno fa Girolamo Biscaro pubblicò in questo peI riodico (1) con ricco corredo di erudizione alcuni docui menti dai quali sì ebbe la prima e finora unica notizia e di sentenze d'appello emesse in confronto di sentenze dei ui di Milano. La prima di quelle sentenze, che erano due in tutto, si riferiva ad una lite vertente tra l’abate di Sant’ Ambrogio e il comune di Cologno e fu pronunciata da « Oprandus... assessor lIacobi Mainerii, cui Iacobo dominus Fre- « dericus imperator — causam appellacionis commiserat »; di essa è menzione in un atto della curia imperiale del 30 aprile 1186 da Lodi nel quale Ottone Zendadario, giudice della stessa curia, dichiara spettare all’abate il diritto di appellare (2). La seconda concerneva una vertenza per diritti di « districtus » accampati dalla, badessa del monastero di Meda sui vicini di Barlassina e fu proferita il 22 gennaio I119I da « Passaguerra imperialis aule index et « appellationum Mediolani et eius iurisdictionis cognitor »; questa ci pervenne in copia della prima metà del sec. XVIII desunta da una pergamena che, riportatone il tenore da una copia autentica insieme a quello di una sentenza interlocutoria data il 24 dello stesso mese da Ottone Zendadario e Passaguerra « regie aule (1) Serie IV, vol. 9, p. 213 e sgg. Gli appelli ai giudici imperiali dalle sentenze dei consoli di giustizia di Milano sotto Federico I ed Enrico VI. (2) L'atto appartiene alla raccolta membranacea del monastero di S. Ambrogio ci nservata nel nostro Archivio di Stato e porta la segnatura T. V, c. 1, n. 234; se ne conserva copia nel volume ms. del sec. XVIII dello stesso monastero intitolato Exemplaria diplomatum et documentorum, II, p. 399. 1 i SE VARIETÀ 563 « judices et appellationum Mediolani et eius iurisdictionis cogni « tores » per dichiarare di essere legalmente investiti della cognizione dell’appello inoltrato dalla badessa, conteneva un decreto originale di Enrico VI del 23 novembre 1191 che confermava quest'ultima sentenza, perchè essa, nonostante una precedente conferma imperiale, era stata infirmata « de facto, non de iure », da Pietro giudice del podestà di Milano (1). | Il Biscaro, considerando le molteplici difficoltà che avevano ostacolato l’appello della badessa di Meda, la quale fu messa prima nell’ impossibilità di far constare della sua dichiarazione d’appello e poscia sì vide infirmata la sentenza interlocutoria dal giudice del podestà, e non avendo d’altra parte trovato traccia dell’esercizio della giurisdizione d’appello per il Milanese durante gli anni di Ottone IV, ritenne che si fosse formata a Milano, come egli dice, la consuetudine, quasi una « communis opinio », della inappellabilità di fatto delle sentenze consolari, quale tacito ma. doveroso omaggio all’alta autorità morale dei magistrati ordinari, alla sovranità del comune. . Invece volle il caso che, facendo io ricerche con tutt'altro scopo, tra le carte delle corporazioni soppresse conservate nel nostro Archivio di Stato, rinvenissi nel fondo delle benedettine di S. Maria Valle una sentenza d’appello, precisamente del tempo di Ottone IV, la quale non è tanto importante per il suo contenuto giuridico, quanto perchè è una prova che fu continuata la consuetudine di appellare dalle sentenze dei consoli e perchè permette di prospettare diversamente ì rapporti tra ì consoli stessi e 1 giudici degli appelli (2. (1) La copia, che reca sopra un foglio la sentenza d’appello del 22 gennaio 119I e su due mezzi fogli gli altri due atti, è oggi conservata nella biblioteca dell'Archivio di Stato (cartella Codice diplomatico lombardo); essa è della stessa mano che scrisse gli indici delle pergamene del monastero di S. Ambrogio i quali furono compilati tra il 1735 e il 1738 (cfr. Annuario del R. Archivio di Stato in Milano, 1911, p. 77) e dovette servire, assieme ad altre copie della stessa mano esistenti nella stessa cartella, per la scuola di diplomatica allora istituita in quel monastero. La pergamena, onde fu tratta la copia e che portava le tracce di un sigillo imperiale perduto, apparteneva all’archivio delle monache di San Vittore di Meda, archivio che all’epoca napoleonica fu consegnato, come avvenne di moltissime carte delle corporazioni soppresse, agli acquirenti dei beni del monastero (cfr. Aunuario cit. p. 71). (2) Il documento potè sfuggire alle diligenti ricerche compiute dal Biscaro nel materiale del nostro Archivio di Stato, come era passato inosservato anche Go ogle 564 VARIETÀ La sentenza riguarda una delle tante vertenze sorte a quell’epoca tra i signori laici ed ecclesiastici da una parte e i rustici dall’altra per contestazioni di diritti di « districtus ». Tra il comune di Uboldo e i fratelli Oprando e Corrado Crivelli, della nobile famiglia che figura nella matricola del 1277 (1), erasi agitata una lite davanti ai consoli di giustizia di Milano. I detti fratelli, costituendosi attori, avevano domandato che il comune di Uboldo senza l’ intervento loro, cui apparteneva l’ « honor et districtum et iuris- « dictio loci de Uboldo pro magna parte », non eleggesse più nè i consoli, nè il decano, nè il camparo, nè il vaccaro, nè il ferraio, nè alcun altro pubblico ufficiale; volevano inoltre che lo stesso comune non potesse imporre taglia nè sui cereali, nè sul debito, ne sopra qualsiasi altra cosa e neppure giurare patti o far convenzioni ; infine chiedevano che il comune assegnasse ad essi i proventi delle « conpostularum (o, come è detto in altro passo del do- « cumento, delle « compositurarum n) et mendantiarum », cioè delle multe e delle ammende. A queste richieste si erano opposti i vi- «cini dicendo che il « districtus » del luogo già da gran tempo era stato diviso fra i condomini i quali singolarmente percepivano dai « districtabiles » le prestazioni, come si poteva intendere dalla circostanza che separate liberazioni erano state fatte da uno di essi. AI che rispondevano i due fratelli che il « districtus » non era stato diviso, ma soltanto erano state divise alcune prestazioni di loro natura individuali, come quelle dei trasporti fatti con carri e dei polli, e che le liberazioni fatte da uno dei condomini non menomavano i diritti degli altri (2). Sulla vertenza il console Giovanni al Giulini che pure compul:ò l'archivio di S. Maria Valle e ne pubblicò un atto in data 6 agosto 1159 (Mem. 2VII, 124), perchè nel riordinamento subito da quel fondo sui primi del sec. XVIII era stato incluso in una serie di atti considerati come estranei agli interessi del monastero e perciò non registrati sull'apposito indice cronologico degli atti dell'archivio. Avvenne'così che questi atti, tra i quali è un originale del 28 giugno 1084 che potrebbe figurare degnamente nella raccolta del Museo Diplomatico, quando fu ord:nata con la creazione dell’Archivio Diplomatico la concentrazione delle pergamene antiche degli enti soppressi, poterono rimanere nascosti presso l'Amministrazione del Fondo di Religione, dove ancora si celavano entro una cartella recante sul dorso, senza indicazioni di date, la classifica Estranei. (1) GiuLINI, Mem., 2IV, 644. (2) Sul valore di questa ragione cfr. il Liber Consuetudinum, rubr. XNIV e BIscARO, articolo cit, p. 225, n. 2. (GO ogle VARIETÀ 565 Pasquale (1) aveva pronunciata una sentenza favorevole ai rustici di Uboldo. Non essendosi acquietati, i due fratelli Crivelli avevano invocato un giudizio d’appello nel quale Iacopo Mainerio, in nome suo e di Mudalbergo giudice dell’aula imperiale, in virtù di delega in loro fatta dall’ imperatore Ottone, essendosi rifiutati i consoli di Uboldo di intervenire al giudizio d’appello, pronunziò il 9 luglio 1210 in contumacia degli stessi consoli la sentenza da me rinvenuta la quale accoglieva interamente le richieste dei fratelli Crivelli. Per comprendere appieno il valore di questo atto, il quale è anche l’unica sentenza d’appello milanese pervenutaci in originale, è opportuno ricordare come venisse esercitata la giurisdizione di appello. | La cognizione delle cause in appello rientrava nelle attribuzioni del supremo potere giudiziario (2). Sotto i longnbardi, assodatasi l’autorità regia, spettò al re, e sotto i carolini all'imperatore, il quale talora delegò il proprio potere ai messi regi e in alcuni luoghi ai vescovi e ad altri signori locali (3). Durante il periodo delle lotte per le libertà comunali, essendosi sostituita quasi interamente nell’Italia superiore all’autorità dell’imperatore quella dei (1) Giovanni Pasquale fu console di Milano nel 1202 come rilevasi da tre sentenze consolari, di cui una in data 22 aprile 1202 era nota al GIULINI (Mer. ? IV, 139) e le altre due del 20 aprile 1202 (Archivio di Stato Milano, Fondo di Relig. Capitolo Maggiore del Duomo di Milano, Cass. 46, cart. N 5, num. 1) e del 9 agosto 1202 (Archivio di Stato Milano, Pergamene del capitolo di Monza) rimasero sconosciute anche al RioLpI (Le sentenze dei consoli di Milano in questo periodico, serie IV, vol. III, p. 229 e sgg.). lo però non credo che la sentenza cui qui si accenna sia stata data circa otto anni prima della sentenza d’appello, anche . perchè la decisione d'appello doveva seguire ordinariamente entro due mesi e a « contestatione litis vel a tempore appellationis recepte » (Pace di Costanza in MuratORI, Antig. M. Aevi, IV, 302); bisogna quindi dire che Giovanni Pasquale fu console di Milano nel 1210 o almeno nel 1209 per quanto negli atti che io conosco dei consoli di Milano di tali anni ncn ricorra mai il suo nome. Trova invece che il Pasquale non fu console di Milano nel 1206 perchè il 22 maggio di quell’anno intervenne in qualità di semplice testimonio ad un atto fatto da un minore avanti ai consoli di Milano (Archivio di Stato Milano, Pergamene del capitolo di S. Ambrogio di Milano, sec. XIII n. 33). Un altro dello stesso casato fu nel 1rarr console di giustizia, cioè Alberico Pasquale, del quale si ha la sottoscrizione in una sentenza del 29 luglio 1211 (Archivio di Stato Milano, Pergamene del Monastero Maggiore, sec. XIII n. 39, serie Bonomi). Per altre notizie su Giovanni Pasquale cfr. HPM, Leges, 302. (2) PERTILE, 2VI, I, 39. (3) PertILE, 2 VI, II, 265 e sgg. 566 VARIETÀ rettori della Lega Lombarda, questi esercitarono insieme col potere giudiziario supremo anche la giurisdizione d’appello, sia direttamente che per mezzo di speciali delegati (1), Ma nelle convenzioni della pace di Costanza la giurisdizione d’appello, fino a 25 lire, venne lasciata ai comuni (2) che la esercitarono per mezzo del podestà e dei suoi giudici o di speciali consoli degli appelli (3); di poi a (1) Nella « Petitio rectorum Lombardiae et Marchiae atque Veneciae et Romaniae a domino imperatore » pubblicata dal MuraroRI (.Antig. M. Aevi, IV, 277) con la data del 1177 e attribuita dal VIGNATI (Storia diplomatica della Lega Lombarda, p. 261) all'anno 1175, fu domandato « ut sententiae usque modo a cone sulibus civitatum seu locorum sive a predictis personis vel rectoribus late nec « appellatione suspense, vel si super causam appellationis late fuerint, firma pere maneant »; nelle domande fatte dai comuni nell’aprile del 1133 ai plenipotenziari imperiali (MURATORI, ivi, 299) la richiesta fu rinnovata pressappoco negli stessi termini. Inoltre il VienatI (Codice dipl. Laud. II, 113) pubblicò una seutenza di appello pronunciata il 29 dicembre 1180 da @« Girardus iudex atque consul « Mediolani qui dicor Pistus cognoscens de appellatione super sententia lata a « Girardo iudice qui dicitur de Baniolo assessore Ichannis de Calopino tunc Laudensis potestatis et quam rectores Lombardie, Marchie et Romaniole mihi cognoscendam comiserunt, (ad) quos appellatum fuerat videlicet super discordia que vertebatur inter Albericum venerabilem episcopum Laudensem et ex altera parte Ribaldum Incelsuni ». (2) Acta pacis Constuntiue in MURATORI, Antig. M. Aevi, IV, 307. Auche nel privilegio di Federico Il del febbraio 1219 col quale si riconoscono alla città di Parma « regalia et consuetudines — sicut hactenus habuit » si cice, con parole quasi identiche a quelle della pace di Costanza, che all'imperatore spetta la giurisdizione d'appello solo oltre le 2; lire (HurnLari-BREÉHOLLES, Historia diplomatica Friderici secundi, 1, 608). Q A_A (3) A Como uno statuto del 1231 stabiliva « ut omnes appellaciones facte, « vel que de cetero fient a senienciis consulum Cumarum iusticie vel regociato- « rum et paraticorum et aliorum officialium tam interlocuturiis quam diffinitivis « cuiusque quantitatis sint, fiant et perveniant et fieri possint et debeant a(d) « iudices pallacii comunis de Cumis », cioè ai giudici del podestà che risiedevano nel palazzo del comune (HPM. Leges, II, 89, cap. CCXXXIII). Negli statuti di Novara del 1277 analogamente si legge: « Appellationes sententiarum et causas « mialeficiorum criminalium (ego potestas) suscipiam et iudicabo per me vel per « meuni assessorem secundum leges et consuetudines civitatis Novarie » (HPM. Leges, II, 575, cap. LXVI). Così pure negli statuti di Vercelli si ha: « Item sta- « tutum est, si appellacio fiet ad me (potestatem) de aliqua causa iudicata infra « quadraginta dies bona fide per me vel per meum nuncium iudicabo » (HPM. Leges, II, 1161, cap. CLXXVIII). Ma anche prima della pace di Costanza i podestà, quali rappresentanti dell’imperatore, avevano deciso cause in appello; così il podestà di Bergamo nel 1175 confermò una sentenza di quei consoli contro Co ogle VARIETÀ 567 poco a poco tale giurisdizione fu concessa anche ad altri comuni che non avevano partecipato alla pace di Costanza (1); superiormente a quella somma fu riconosciuta di competenza dell’imperatore, il quale però in casi specialissimi ed in premio di particolari benemerenze lasciò a certe città la giurisdizione d'appello anche per cause relative a somme superiori a 25 lire (2). la quale i soccombenti « appellaverant ad dictum potestatem » (Lupi, Il, 1287). Dopo la pace di Costanza i podestà hanno generalmente la giurisdizione d'appello in quelle cause che, giusta le convenzioni della stessa pace o per speciali concessioni alle città, più non spettino alla curia imperiale. Tra le poche sentenze d’appello pronunciate dai podestà che si rinvengono nei nostri atti, mi piace indicare la seguente del podestà di Como in data 12 settembre 1214 (Archivio di Stato Mil:no, Pergamene del monastero di S. Ambrogio, T. VII, c. 2, n. 129); « (ST) Anno dominice incarnationis milleximo ducenteximo quartodecimo, « die veneris duodecimo' intrante mense septembris, indicione secunda. Super « causa appellacionis que vertebatur ex una parte inter Iohannem Cavasam de « Domazio et ex altera Petrum de Placolo de Rovoledo super sententia lata per « La n)terium Broccum consulem Cumanunmi de iustitia de plaustris sex feni et de dampno, ego dominus Philippus Sappa iudex et vicarius domini Gaspardi Advocati Cumani potestatis talem in scriptis do sententiam, videlicet quod dico bene iudicatum per predictum Lanterium consulem et male appellatum fore. « Data fuit hec sententia Cumis in palatio comunis de Cumis. « Interfuerunt testes Vitta de Vitis, Iohannes Luffa et Ugolus de Canova. a (ST) Ego qui supra Philippus causidicus hanc notitiam sive sententiam dedi et subscripsi. e ‘ST) Ego Guidc de Canonica notarius hanc sententiam iussu suprascripti domini Philippi scripsi et interfui ». Consoli speciali degli appelli vi erano a Brescia nei cui statuti del secolo XIII si legge: « Item quod omnes offitiales iustitiae Brixiae et consules « appellationum de cetero sint iudices de collegio iudicum Brixiae » ( HPM. Leges, il, 1176, cap. CCXIV). Anche ad Asti le cause d'appello inferiori a 25 lire furono trattate avanti ai consoli della città (cfr. il passo riportato nella nota A a seguente). (1) Nel 1186 Federico I a petizione del vescovo di Asti concede a quella eittà « ut causae appellationum quarum summa vigintiquinque libras astensis « monete non excedat ad maiestatem nostram nequaquam deferri per appellatio- « nem debeant sed coram consulibus predictae civitatis decidantur ». (PERTILE, 2 VI, II, 268 nota 22). (2) Tra queste città pare vi fosse Novara con giurisdizione d’appello fino a lire cento; difatti nei suoi statuti si ha che « aliquis non possit appellari a poa testate Novarie seu ab eius assessoribus de aliqua causa que non uscendat ad 568 VARIETÀ L’ imperatore, quando era in Italia, conosceva delle cause di appello, e insieme di quelle vertenti tra comuni e signori che non avevano sopra di sè altra autorità che quella di lui, principalmente a mezzo di una sua speciale curia che si raccoglieva quando egli discendeva in Italia, lo seguiva nelle sue peregrinazioni attraverso ‘la penisola e si scioglieva quando l’imperatore ripassava le Alpi (1). Essa era costituita da un certo numero di « imperialis aule iudices » scelti tra i migliori e più eccellenti giudici delle città italiane, tra i quali Milano ebbe in diversi tempi a rappresentanti Ottone Zendadario, Passaguerra, Monaco de Villa e Mudalbergo (2), ed era « summam librarum centum impèrialium » (HPM. Leges, II, 575, cap. LXVI). Vi era poi certamente Como, alla quale il 15 giugno 1216 l’imperatore Federico II concesse la decisione degli appelli di competenza della curia imperiale qualunque somma involgessero (RoveLLI, Storia di Como, II, 374); e probabilmente la concessione di Federico II per Como, quantunque non sia detto nel diploma, non fu che una conferma del privilegio precedentemente fatto alla città dagli antecessori di lui; difatti negli statuti vi è un capitolo del 1215 (HPM. Leges, II, 88, cap. CCXXX) nel quale, contrariamente ai termini fissati nella pace di Costanza, è stabilito che « omnes appellaciones civitatis et eius iurisdictionis a libris quin- « quaginta (cioè lire 50 terzuole uguali a lire 25 imperiali) supra et infra de- « veniat in potestate(m) Cumarum vel eius iudices vel consules comunis »; inoltre un documento già accennato dal Biscaro (Archivio Storico Lombardo, serie IV, vol. IX, p. 213) fa espressa menzione di un privilegio di tal natura concesso alla città fin da prima del 1197. (I) Si desume dal confronto tra i documenti noti relativi all'attività di questa curia pubblicati quasi tutti dal FickER (Forschungen IV, 154 e sgg.) e l’itinerario imperiale quale risulta dai regesti del BòuMmER (Regesta imperii, V). Qualche volta la curia si raccoglieva anche intorno alla persona del legato dell’imperatore per l’Italia durante la permanenza di questo in Germania; così poco dopo la nomina di Volcherio patriarca - d' Aquileia a legato in Italia, (1209 gennaio 13, Augusta, BòHMER, n. 259) la curia si raduna intorno a lui e lo segue a Brescia, Bologna e Faenza (cfr. in BòHMER gli atti 1209 aprile 21 n. 12339, maggio 30 n. 1234I, giugno 5 n. 12342). Non mi consta invece che la curia si radunasse intorno a Federico vescovo di Trento e vicario della curia imperiale, il quale nel 1213 era legato imperiale in Lombardia (1213 maggio 2, BOuMER, n. 12441) e dal 1215 al 1218 fu legato imperiale in tutta Italia (BOHMER, 1215 settembre 2 n. 12484, 1215 settembre 4 n. 12485, 1218 gennaio 30 n.12520, 1218 febbraio 17 n.12521), e intorno a Corrado de Scharfeneck, vescovo di Metz e di Spira e legato d’Italia nel 1221 (Ficker, IV, 292). (2) Di Ottone Zendadario e di Passaguerra parla diffusamente il Biscaro (Archivio Storico Lombardo, serie IV, vol. 9 p. 233 e sgg.); il primo ci appare nelle funzioni di giudice aulico fra il 1185 e il 1196 (FickER, IV, 154; TOECHE, VARIETÀ 569 presieduta da due vicari quasi sempre di nazionalità italiana (1), i quali pare avessero ciascuno competenza su una determinata parte del territorio (2). Dalle sentenze della curia imperiale non era ammesso ulteriore appello ad altri giudici (3). Ma quando l’imperatore trovavasi oltralpe, sciolta la curia come Kaiser Heinrich VI in Iabrb. des Deutschen); Valtro dal 1187 al 1210 (FickeRr, IV, 172, 228); Monaco de Villa fu giudice aulico tra il 1209 e il 1210 (Biscaro, I. cit. p. 242, BSHMER, n. 312 e sgg.), fu console di Milano nel 1197 e nel 1202 (HPM. Leges, 961); Mudalbergo appare per la prima volta come giudice aulico nel 1210 nella sentenza d'appello che qui si pubblica ed è ricordato con tale qualifica ancora negli anni 1221 e 1223 (BOHMER, n. 12668, 12669 e 12878); lo stesso fu console di Milano nel 1205 (sentenza consolare del 25 ottobre 1205, «Archivio di Stato Milano, Pergamene di Chiaravalle, Rotolo di diversi istrumenti, atto n. 27) e nel 1211 (Sentenza consolare del 29 luglio 1211, Archivio di Stato Milano, Pergamene del Monastero Maggiore, sec. XIII, n. 39, serie Bonomi). (1) Tra i vicari della curia imperiale si vogliono ricordare Corrado vescovo di Lubecca (1185), Bonifacio vescovo di Novara (1185-86), Metello da Brescia (1185-86), Angelo arcivescovo di Taranto (1196), Enrico vescovo di Mantova (1209-1211) e Federico vescovo di Trento (1213-1218). A proposito di Bonifacio vescovo di Novara si può notare come la carica di vicario della curia imperiale non gli impediva di risolvere nello stesso tempo cause ecclesiastiche a lui delegate dal pontefice; difatti ci è pervenuta una sentenza d’app:llo pronunciata da lui il 24 giugno 1185 « de conscilio assessorum ‘suorum » con la quale dichiara giusta una precedente sentenza di Rogerio de Sedriano giudice del cardinale Uberto del titolo di S. Lorenzo in Damaso in una vertenza tra il monastero di S. Ambrogio e la chiesa di S. Giovanni di Bellagio (Archivio di Stato Milano, Pergamene del monastero di S. Ambrogio T. V, c. 1, n. 230); anzi è interes sante a questo riguardo il fatto che lo stesso vescovo ordinò l’autenticazione e la redazione in pubblica forma della testimonianza delle due parti al notaio Arverio Terdonese il quale appunto in quegli anni figura come notaio della curia imperiale (Ivi, T. V, c. 1, n. 223). (2) Sotto Ottone IV, Enrico vescovo di Mantova, aveva competenza sulle cause € tam principales quam appellationes » del territorio che si stendeva « a « Placentia et Cremona in sursum versus Cumas et Taurinum et Terdonam se- « cundum et usque quo Lombardia extenditur » (FickERr, IV, 249, 1211 gennaio 10, Pavia). (3) Il FicKER (IV, 235) ha pubblicato un atto del 12 aprile 1210 da Pisa in cui « Englomarius de Porcile sindicus Porcilis », sentendosi gravato dalla sentenza pronunciata dai giudici della curia imperiale, ad dominum imperatorem vel « ubicumque appellatio posset ire appellavit ab ipsis iudicibus, et ipsi iudices die rerunt quod non recipiebant suam appellationem quia non poterat ab eis ap- « pellari ». 570 VARIETA corpo giudicante e ritornati alle loro case i giudici che continuavano tuttavia a nomarsi « imperialis aule iudices », la giurisdizione d'appello, in conformità dei patti della pace di Costanza che stabilivano non doversi le parti costringere a recarsi in Germania per la decisione delle cause appellate, veniva esercitata da giudici dell’aula imperiale con competenza su singole partizioni del territorio. Per Milano abbiamo già ricordato Ottone Zendadario e Passaguerra ì quali nel 1191, durante l’assenza dell’imperatore, erano « regie aule iudices et appellationum Mediolani et eius iurisdictionis « cognitores »; si sa inoltre che nel 1212 l’imperatore da Boppart nell’arcivescovado di Treviri elesse Guglielmo Pusterla e Maifredo de Osa a giudicare in suo nome di lui in Milano e suo distretto (1). In altre parti d’Italia, soggette ai grandi feudatari dell'impero, pare che questi fossero di preferenza investiti, sempre nell’assenza dell'imperatore, della cognizione delle cause d’appello: così Opizzone marchese d'Este nel 1192 e seguente aveva giurisdizione d’appello nei territori di Treviso, Ceneda, Feltre, Belluno e Verona, giurisdizione che però egli non esercitava direttamente, ma per mezzo di giudici da lui nominati fra i quali aveva ripartito il territorio della sua marca (2). | Pertanto, dopo la pace ‘di Costanza, per cause superiori a 25 lire, durante la permanenza dell’imperatore in Italia, l’appello era di competenza della curia imperiale e durante la sua assenza era*di competenza dei giudici degli appelli da lui eletti a giudicare sopra ì singoli territori. Ma l’imperatore puteva in qualsiasi tempo sottrarre alla curia (1) BòHMeR, n. 489, 1212 ottobre 7. (2) Ficker, IV, 177, VIII: 1192 gennaio 25, « Otoljnus iudex et Rolandinus e de Malpilo constituti ad iudicandas et finiendas causas appellationum Tarvisini a episcopatus, Cenetensis, Feltrensis et Bellunensis a domino marchione Opicone « de Este, constituto a domino Henrico Dei gratia Romanorum imperatore 3, giudicano di un appello presentato contro una sentenza di Drudo vescovo di Feltre. Ivi, 182, 1192 sett. 7, « Nos Albrigetus iudex et Egidiolus de Sintilla « paduanus constituti a domino Opizone Estensi marchione ad agnitionem causarum appellationum Verone et eius districtus, cui cognitio causarum appellationum totius marce Veronensis a di mino Henrico Dei gratia Rcmanorum imperatore concessa est, cognoscentes pro eisdem scilicet pro domino Henrico imperatore et marchione Opizone de causa appellationis facte a sententia quam « tulit dominus Conradinus de Illasio iudex et tunc consul Verone » ecc. Ivi, 187, 1193 agosto I1, in una causa tra la chiesa di Verona e il comune di Porcile figurano « iudices marchionis ex appellaticne cognoscentes ». A Q_R (GO ogle VARIETA 571 imperiale e ai giudici degli appelli le cause di loro competenza e aftidarle di volta in volta a delegati speciali, nello stesso modo che i consoli dei comuni solevano talora delegare a persone di loro fiducia le cause che avrebbero potuto decidere essi direttamente. Questi delegati sono, nei casi noti, oriundi del luogo dove sono chiamati a giudicare, fanno parte il più delle volte della curia imperiale (1) e il loro numero varia da uno a due; ricevono la commissione ogni volta mediante lettere imperiali che si leggono in giudizio (2) e dalle loro sentenze è ammesso l’appello alla curia (3). Le sentenze pronunciate dai delegati imperiali, come quelle pronunciate daì giudici degli appelli, dovevano riportare, per essere pienamente valide, la conferma dell’imperatore (4); pare che il giudice del podestà avesse potere, almeno in alcuni luoghi, di infirmare « de facto » o « de iure » tali sentenze prima della conferma imperiale (5). Ora dalle poche nozioni esposte si comprende agevolmente come la sentenza del 9 luglio 1210 che qui si pubblica rientri fra quelle pronunciate da speciali delegati imperiali e si riconnetta, quanto alla potestà da cui emana, alla sentenza milanese d’appello di cui è cenno nell’atto 30 aprile 1186, la quale fu pronunciata da un assessore di un delegato imperiale, mentre l’altra sentenza d’apn —_ —— _ _____—___—_&m6k {1) Quasi sempre in qualità di giudici; credo però che quel e magister « Metellus » che insieme all’ altro delegato imperiale, Guglielmo Orione, decideva in appello con sentenza del 22 marzo 1193 in Brescia la vertenza esistente tra i comuni di Arco e di Dreno (FickEr, IV, 184), sia una stessa persona con il « magister Metellus Brixiensis » che figura qualche anuo prima tra i vicari « domini imreeratoris ad iustitias faciendas ». (2) FicKER, IV, 184: « inspecto etiam tenore litterarum comisionis domini « imperatoris ». Un esempio di tali lettere di delega del $ maggio 1236 si ha nello stesso FicKER (IV, 354); in esse l’imperatore Federico confida ad « Hawardo « iydici Brixinensi » la decisione in appello di una vertenza definita in prima istanza dal vescovo di Trento. (3) Il FicxeR (IV, 192, IV) pubblicò una sentenza d'appello pronunciata il. 20 settembre 1196 in Piacenza da Angelo arcivescovo di Taranto e vicario della curia imperiale e dai giudici della stessa curia sopra una sentenza emanata il 23 maggio 1196 in Mortara da Guido de Puteo cittadino di Pavia e giudice della curia imperiale, il quaie era « cognoscens in delegatione d. Henrici Roe manorum imperatoris » di una causa tra il vescovado di Vercelli e il comune di Casale. I (4) Cfr. il citato decreto di Enrico VI del 23 novembre II9r pubblicato dal Biscaro in questo Archivio, serie IV, vol. IX, p. 247. (5) Ivi Lo ogle 572 VARIETÀ pello del 22 gennaio 1191 fu emessa da uno dei due giudici degli appelli aventi giurisdizione nel territorio milanese durante l’assenza dell’ imperatore. Uno dei delegati, cioè Iacopo Mainerio, era pure delegato per l’appello ricordato nell’atto del 1186, e ciò mi fa supporre che vi fosse da parte dell’imperatore la consuetudine di ricorrere, per siffatti delicati incarichi, di preferenza alle stesse persone. Il Mainerio non fece parte nè prima nè poi della curia imperiale, ma come mostrano le indagini del Biscaro, fu egualmente uno dei più eminenti personaggi della repubblica milanese: console in patria nel 1170 e 1172, fu podestà di Piacenza nel 1187 e di Genova nel 1194-95, e 18 giugno 1186 giurò con molti milanesi la pace coi Cremonesi al campo imperiale presso Castel Manfredi (1). L'altro delegato, Mudalbergo, era pure un eminente personaggio milanese, come quello che oltre all'essere già alla data della sentenza giudice della curia imperiale, fu anch’esso almeno due volte console di Milano nel 1205 e nel 12II (2). È La sentenza fu data nel broletto di Milano dove solevano avere il loro seggio i consoli di giustizia e fu rogata e scritta dal notaio « Petrus Rabbus » il quale nel 1202 aveva steso un atto per il console Arnaldo de Bumbellis (3). Inoltre essa segue il formulario delle sentenze emanate dai consoli di Milano in quel torno di tempo molto più da vicino che non faccia per il rispettivo tempo quella: del 22 gennaio 1191: reca cioè l’invocazione nominale, l’indicazione del giorno della settimana e del mese col computo diretto, la data di luogo, l'annuncio della sentenza con la formola « Sententiam « protulit N super causa que inter A ex una parte vertebatur et « ex altera B », la petitio dell’attore, la responsto del convenuto, la replicatio dell’attore, la sentenza nella formola « Quibus et aliis « visis et auditis testibus et instrumentis diligenter inspectis pre- (1) Biscaro, l. cit., p. 217, nota 2. (2) Cfr. nota 17. (3) E’ un atto del 20 luglio 1202 col quale Arnaldo Bombelli, console di giustizia di Milano, « ex offitio sui consulatus delegavit de consensu partium « Mirano Muricu!e et Baldiciono Stampe » una causa vertente « inter Arnaldum « Alberium actorem ex una parte et ex alrera Albertinum de Campo et Mar- « chixium de Lanciano ambo de loco Azello » (copia sincrona in Archivio di Stato Milano, Pergamene del capitolo di S. Giorgio al Palazzo di Milano, cas. B, cart. R, num. 5 sotto la data 21 luglio 1202). Un altro atto rogato nel 1201 dallo stesso notaio nel broletto dei consoli di Milano, ma per un privato contratto di vendita, è tra le pergamene del capitolo di S. Ambrogio, sec. XII, n. 2. size 7 ir _a VARIETA 573 « fatus N pronunciavit » ecc., la formola « Et sic finita est causa », l'indicazione dei testi, la sottoscrizione di uno dei giudici, la sottoscrizione del rogatario. Dal complesso di queste osservazioni, e cioè dall’essere stata data la sentenza nel broletto e dall’essere stata rogata da un notaio che aveva già scritto atti pei consoli, nonchè dal seguire essa il formulario delle sentenze dei consoli, mi pare si possa dedurre che l’antagonismo cui allude il Biscaro tra il potere dei consoli derivato dalle libertà comunali e il potere dei giudici e delegati degli appelli che ripetevano il loro potere dall’imperatore più non vi fosse all’epoca di Ottone IV; e dubito forte che esso sia esistito anche prima ai tempi di Enrico VI e di Federico I, per il fatto che quei delegati e giudici erano bensì eletti dall’ imperatore, ma fra le persone del luogo che godevano maggiore considerazione e che avevano coperto le più alte cariche cittadine. lo preferisco credere che, salvo eccezioni di casì singoli, di cui uno può essere precisamente quello fatto conoscere dal Biscaro relativo alla badessa di Meda, l’appello non fosse ostacolato dal potere dei consoli, i quali, a mio avviso, non potevano disconoscere la superiorità di concittadini ritenuti dalla opinione pubblica fra i migliori ed investiti della giurisdizione d’appello dall’ imperatore, molto più che l’autorità imperiale non fu mai discussa, neppure durante il periodo più vivo della lotta per il riconoscimento dei comuni e delle loro libertà. Si potrebbe qui porre la questione se esistette fin da principio un apposito ufficio per i giudici imperiali d’appello con un proprio notaio e propri « servitores », ma pur troppo la scarsezza di documenti non ci permette di giungere a risultati positivi. La sentenza ricordata nell’ atto del 30 aprile 1186 fu pronunciata, come s'è visto, da « Oprandus... assessor lacobi Maineri » e poichè l’« as- « sessor » sostituisce comunemente un pubblico ufficiale, vien fatto di pensare all'esistenza di un ufficio ; così nella sentenza del 1210 si dice che fra i testi era presente « de servitoribus Seccapanis de « Paderno », e si sa che « servitores » erano gli uscieri degli uffici. Ma nel primo caso l’indizio mi sembra troppo debole e indiretto, e nel secondo caso può darsi che, essendosi pronunciata la sentenza nel broletto dei consoli, sì sia ricorso per il recapito degli atti alle parti e specialmente delle citazioni al convenuto, all'opera dei « servitores » dei consoli stessi, dei quali « ser- « vitores » uno sarebbe intervenuto come teste nella sentenza ; debbo però dire che negli atti dei consoli a me noti, nè prima nè dopo il 1210 ebbi a trovar mai menzione del predetto « Sec- « capanis de Paderno ». D'altra parte nessuna luce ci può venire Bi il “Ta 574 VARIETÀ in proposito dalle sottoscrizioni dei notai che rogarono le sentenze perchè, mentre non si conosce chi abbia rogata quella ricordata nell'atto del 1186, e mentre quella del 22 gennaio 1191 fu scritta dallo stesso Passaguerra che la pronunciò, non si potrebbe dedurre la non esistenza dell’ufficio dalla mancanza della qualifica di scriba (1) nelle sottoscrizioni dei due notai « Ambrosius Abando- « natus » e « Petrus Rabbus » che rogarono rispettivamente l'atto 24 gennaio 1191 che fu pure emanato dai giudici degli appelli e la sentenza del 1210; difatti negli atti degli uffici del comune di Milano quella qualifica si incontra assai raramente prima della fine del secondo decennio del sec. XIII (2). Tuttavia, nonostante l’ incertezza dei dati esposti, mi pare che se si possono avere dei dubbi sul- (1) Sul valore di scriba nel territorio di Genova, Piemonte e Lombardia settentrionale e occidentale in contrapposizione a quello di motaris usato altrove cfr. ToreLLI, Studi e ricerche di diplomatica comunale, I, 1911, p. 94- (2) Il più antico esempio che io conosca per Milano di sottoscrizioni di notai di pubblici uffici in cui ricorra la qualifica di scriba è del 1198 in un atto di concordia tra il comune di Milano e quello di Como, pervenutoci in copia nel primo volume dei Vetera Monumenta (c. 42) della biblioteca Comunale di Como (HPM, Leges, II, 385): « Ego Rogerius de Gatto notarius et domini Henrici a imperatoris missus ac comunis Mediolani scriba iussu consulum comunis « Mediolani scripsi ». Ma il secondo esempio, dopo del quale la qualifica di” scriba comincia a farsi frequente, è del 20 febbraio 1219 (Archivio di Stato Milano, Pergamene varie ui Milano) in una sentenza del console Guido Preallone, dove leggesi la seguente sottoscrizione: « Ego Paganus filius quondam « Arderici de Puteo civitatis Mediolani de Sancta Maria Beltrade palatii sacri « notarius et scriba consulum scripsi ». Ciò per altro non significa che i notai che rogavano atti per gli uffici del comune senza usare della qualifica di scriba non si ritenessero ufficiali delle rispettive autorità comunali: è noto difatti che Ugo di Castenianega nel 1213 rispose affermativamente alla domanda che gli era stata rivolta se nel 1183 fosse « scriba et officialis con- « sulum iustitie pro faciendis sententiis et aliis publicis scripturis » (BBRLAN, Le due edizioni milanese e torinese delle consuetudini di Milano, Vene: zia, 1872, p, 178). Forse la ragione della mancata designazione della quali fica sta nel fatto che la qualità di notaio era in essi prevalente, tanto che potevano rogare contemporaneamente anche atti per i privati. Dello stesso Ugo de Castenianega si ha fra le pergamene di S. Maria alla Passerella in Archivio di Stato un atto in data. Milano 3 maggio 1186 col quale « Petrus filius quone dam Girardi qui dicebatur Fodega de burgo Modoecia pro se et pro Girardino « fratre suo qui minor est etate » vende « domno Arderico presbitero ecclesie « S. Marie constructe infra civitatem Mediolani prope portami Horientalem ad « portami ipsius ecclesie suam portionem que est medietas unius case reiacentis « infra suprascriptam civitatem propre predictam ecclesiam ». Go ogle VARIETÀ 575 “ l’esistenza di un apposito ufficio pei giudici imperiali d'appello nel tempo più antico e specialmente durante gli ultimi anni del sec. XII e i primi del seguente, non se ne possono avere più per il tempo che seguì e che fu caratterizzato dalla cura posta dalle singole autorità nella conservazione dei propri atti (I). Ma ecco che qui si affaccia un’altra questione non meno importante, se cioè l’istituto degli appelli alla curia e ai giudici di nomina imperiale fu continuato anche dopo il tempo di Ottone IV. Dirò a questo proposito che, per quanto una risposta esauriente non sia possibile neppur qui perchè non si conoscono atti emanati dagli uffici d’appello, non si può tuttavia mettere in dubbio che almeno in linea di diritto la giurisdizione d’appello nelle cause superiorì a 25 lire continuò per lungo tempo ancora ad essere una prerogativa del potere imperiale. Che se da una parte gli appelli alla curia dovettero farsi sempre più rari in relazione alle meno frequenti visite dell’imperatore in Italia, che non sappiamo neppure se ricostituisse sempre la sua curia, si hanno d'altra parte le prove che l’ istituto degli appelli innanzi ai giudici di nomina imperiale durò fra noi fino al sec. XIV inoltrato. Si ha infatti che nella Tuscia nel 1329 aveva potere di giudicare degli appelli in nome dell’ imperatore « Fredericus comes de Octing pro sacro romano « imperio in Tuscia vicarius generalis » (2); che nel 1330 pei territori di Bergamo e Brescia, Teutaldo de Sovardis e Maffeo de Forestis furono nominati dall'imperatore « iudices ordinarii et au- « ditores generales imperii in omnibus civilibus et singulis causis « et questionibus appellationum et nullitatum » (3); che negli statuti pure di Bergamo del 1333 si parla di « vicarii imperii » ai quali debbono essere presentati gli appelli (4). Quanto a Milano si è visto come nel 1212 fossero nominati giudici imperiali Guglielmo de Pusterla e Manfredo de Osa; e se il Liber consuetudinum non parla degli appelli se non per escluderli nei rapporti dei rustici coi (1) La più antica memoria della conservazione degli atti da parte del comune di Milano risale ai primissimi anni del sec. XIII ed è in un atto di donazione fatto il 4 febbraio 1204 da Ottone Zendadario al monastero di Chiaravalle: in esso tra il testo e la sottoscrizione del notaio si legge, scritto d’altra mano: « Extractum est in quaternis comunis Mediolani per Redulfum de Mo- « neta notarium huic officio constitutum*et subscripsi » (Archivio di Stato Milano, Pergamene del monastero di S. Ambrogio, T. 7, c. 1, n. 32). (2) FickEr, IV, 512. (3) FicKER, IV, 515. (4) Latres, Il diritto consuetudinario delle città lombarde, Milano, 1899, p. 113. Go ogle 5376 VARIETÀ domini (1), il sacramento del podestà di Milano, riferito dal Corio, fa però espresso rinvio alla pace di Costanza (2); di più io ho trovato menzione di due diplomi imperiali perduti i quali ne mostrano che nel 1327 l’imperatore costituì « iudices appellationum d. Guil- « lelmum de Feria et Leonem de Dugnano iurisperitos in civitate et « comitatu Mediolani » e nominò « Paganolum Ardixium notarium « scripturarum et actorum causarum apelationum civitatis et comi- « tatus Mediolani » (3). Dopo d’allora però la giurisdizione d'appello appare quasi dovunque affidata, senza distinzione per la somma in causa, a speciali tribunali d’appello all’ infuori di ogni ingerenza imperiale (4). Ma correndo dietro alle questioni che sono connesse con l’istituto degli appelli e delle quali lascio ad altri il compito di ricercare la soluzione, io mi accorgo di avere ormai di troppo oltrepassato i termini strettamente necessari all’illustrazione della sentenza da me rinvenuta. Cesare MAnNARESI. DOCUMENTO. {ST] In nomine Domini. Die veneris, nono die mensis iulii, in brolietto Mediolani.{Sententiam protulit Iacobus qui dicitur Mainerius pro se et Mudalbergo iudice imperialis aule, voluntate et mandato eiusdem Mudalbergi sutii sui, ambo a domino Ottone Dei gratia Romanorum imperatore delegati, sfuper causa] appellationis que inter Oprandum et Chunradum fratres qui dicuntur Crivelli ex una parte vertebatur, et ex altera Guilielmum Ferrarium, .... Scaravazium et Johanninum Bolzam quondam consules veteres et Frumentum de Scotto et Villanum Bolzam (1) Rubr. XXIV. L'esclusione dell’appello nelle vertenze tra signori e rustici si ha anche negli statuti del 1396 (cap. CLVI) nei quali si legge: « Appellari « non possit a sententia lata in causis — in quibus questio vertitur utrum cum « vicinis vel cum nobilibus burgi vel loci ». (2) Corio, Zistoria di Milano, p. 200. (3) I due diplomi sono riferiti in brevissimo sunto a c. 142 (num. nuova) del Repertorio statutario, ms. del sec. XV che si conserva nell’Archivio di Stato (Statuti dei comuni, Milano I, parte antica IV) e che fu già illustrato da N. FfRORELLI in questo Archivio, IgI11, serie IV, vol. XVI, p. 94 e sgg. (4) PERTILE, 2VI, II, 271 e sgg. Î 5y (GO ogle T: a VARIETÀ 577 modo et in prese[nti consu]jles de loco Uboldo nomine ipsius comunis et universitatis loci de Uboldo. Petebant siquidem prefati fratres qui dicuntur Crivelli quatinus ipsi delegati pronuntiarent sententiam latam a lohanne Pasquale tunc temporis iustitie Mediolani consule iniustam esse et bene appellatum et male pronuntiatum esse super petitione quam ipsi fratres fatiebant contra prefatos consules de Uboldo, suo nomine et nomine universitatis sive comunis loci de Uboldo, ut de cetero non elligerent sive facerent consulem vel consules loci de Uboldo sive in illo loco, nec decanum, nec camparium, nec vaccarium, nec ferrarium seu aliquem alium offitialem pro comuni sine eis vel suo misso; insuper petebant ne facerent aliquam talliam blave vel debiti vel alicuius rei, nec aliquod sacramentum pro comuni, sive aliquam, convenientiam in eo loco sine sua parabola et presentia vel eorum missi; item postulabant ut omnium conpostularum et mendantiarum suam contingentem portionem sibi assignarent; quod autem prefati consules de Uboldo suo nomine et nomine universitatis sive comunis loci de Uboldo prefata lacere et observare tenerentur, dicebant ipsi fratres ea ratione quoniam honor et districtum et iurisditio loci de Uboldo pro magna parte ad se pertinet; quod clarius dicebant coustare per ipsorum rusticoruin confessionem et per quodam publicuni instrumentum. E contra prefati consules de Uboldo respondentes in priori causa dicebant ad prefata nullatenus teneri, allegantes districtum ipsius loci inter dominos fore divisum per sedimina eiusdem loci et divisim a longis retro ten;poribus detentum ab ipsis dominis recipiendo quilibet dominorum a suis districtabilibus conditia pro sediminibus quod presertim ex eo manifeste posse percipi aiebant, cum inveniantur sediminum liberationes singilatin ab uno ex dominis fore factas. Ex adverso psi fratres replicantes respondebant districtum loci non esse divisum nec divisim detentum, et quod dicunt quod conditia sediminum divisim prestantur a rusticis, dicebant ipsi fratres illud fieri ea ratione propter difficilem et inposibilem prestationem ipsarum conditionum, quoniam ipse conditiones que prestantur a rusticis sepius non recipiebant divisionem, puta carrizium et pullus forte et alia similia que prorsus sunt individua, et ideo a dominis ipsis fuisse tantum ipse conditiones divise; quod autem ipsi consules rusticorum obiciunt quod liberationes ab uno ex dominis sediminum sunt facte non nocet, cum huiusmodi liberationes facte tantum intelligantur ab illo domino et non ab alio qui non fecerit; quod ex tenore plurium sententiarum manifeste posse perpendi asseverabant. Quibus et aliis visis et auditis testibus et instrumentis diligenter inspectis, habito quoque plurium sapientum virorum conscilio, prefatus lacobus Mainerius, de mandato et consensu atque voluntate iamdicti Mudalbergi sotii sui ibi presentis, prefatis consulibus sepius peremptorie et legiptime requisitis et citatis etiam ab ipsis delegatis ut ad ipsam causam et ad sententiam audiendam venirent et accederent et ipsis consulibus venire nolentibus et expressim venire recusantibus Arch. Stor. Lomb.. Anno XLIIT, Fasc. III. 37 578 VARIETÀ et per contumatiam ipsis consulibus absentibus, pronuntiavit super his capitulis bene appellatum et male pronuntiatum, videlicet in quibus comune ipsius loci absolutum est ut elligere debeant et possint facere consules de cetero in ipso loco et decanum et camparium et vaccarium et ferrarium et alios offitiales sine eis vel sui missi parabola, et ut facere possint tallifia]m blave vel debiti vel alicuius rei vel aliquod sacramentum pro comuni seu aliquam convenientiam in eo luco sine eorum parabola vel eorum missi et ut non debeant eis prestare et consignare suam contingentem portionem emendantiarum et conpositurarum; quare idem lacobus Mainerius condempnavit predictos consules illius loci de Uboldo nomine comunis ipsius loci et ipsum comune ut deinde non elligant seu fatiant consulem ipsius loci seu in eo loco nec decanum nec camparium nec vaccarium nec ferrarium seu aliquem alium offitialem sine eis vel suo misso aut sine eorum parabola, item ut non fatiant aliquam talliam blave vel debiti vel alicuius rei vel aliquod sacramentum pro comuni seu aliquam convenientiam in eo loco sine eorum parabola et presenta vel eorum missi, item' ut suam partem omniuni conpositurarum et mendantiarum contingentem eis prestent et consignent, in aliis capitulis omnibus ipsam sententiam confirmavit et pronuntiavit bene esse pronuntiatum. Et sic finita est causa. Anno dominice incarnationis milleximo ducenteximo decimo, suprascripto die, indictione tertiadecima. Unde due sententie uno tenore scripte sunt et date predictis Oprando et Chunrando fratribus qui dicuntur Crivelli. Interfuerunt testes ser Iohannes Zavatarius et Martinus iudex qui dicitur de Camenago et Chuùnradus Vicecomes, ‘Ugerius de Faniano, Anzifredus et Ugo fratres qui dicuntur de Figino, Resonatus de Oddonis, Anricus Cagainbasilica, Rogerius Palliarius et Leonus Biffus de Ladenate, Guilielmus Squita de Canturio; de servitoribus Seccapanis de Paderno. [ST] Ego Mudalbergus inperialis aule iudex et ad hanc causam una cum predicto domino lacobo a domino Ottone Romanorum inperatore delegatus interfui et subscripsi. [ST] Ego Petrus qui dicor Rabbus notarius domini Henrici imperatoris interfui et iussu suprascriptorum delegatorum scripsi. VARIETA 579 La cronaca di un collega dell’Azzeccagarbugli. a. Manzoni lamentava la scarsità di fonti storiche e par- { ticolarmente di storia locale a cui attingere per il suo romanzo: « chè della città quasi esclusivamente trato j « tano le memorie del tempo, come a un dipresso accade «sempre e per tutto, per buone e per cattive ragioni » (1). Nè sì può dire che le successive ricerche abbiano, per questo particolare rispetto, di molto arricchito il materiale che egli così maestrevolmente foggiò nel suo romanzo: anche le due brevi cronache pubblicate in questo stesso Archivio (2) non aggiungono che poche notizie d’interesse prettamente cittadino a quanto già ci era noto e nemmeno riguardano propriamente quel tratto di storia patria « più.famoso che conosciuto » (3). Laonde non parrà agli studiosi un fuor d’opera se la Presidenza della Società Storica, essendole stata cortesemente segnalata dalla Direzione dell'Archivio Notarile di Milano la cronachetta d’un notaro forese del sec. XVII, abbia provveduto a farne trarre copia da conservare tra gli altri manoscritti che arricchiscono la biblioteca sociale: nè che ora se ne dia qui un breve cenno. M. Antonio Perego (presentiamo addirittura l’autore) nato nel 1598 in Perego, pieve di Missaglia, da Gerolamo e Celidonia de Capitani, fu iscritto nel Collegio dei Notari il 7 settembre 1620. Se stiamo alle sue assicurazioni, la scelta della professione gli era suggerita da una lunga tradizione domestica: egli cita due suoi zii, entrambi notai, e l’avo che per cinquantaquattro anni esercitò la stessa professione in Perego. Che più? in base a documenti custoditi nell'archivio famigliare e in quello del monastero della (1) Promessi Sposi, cap. XXXI. (2) Memorie storiche milanesi di Marco Cremosano 1642-1691, in quest'Archivio, 1880, vol. VII, pp. 277 e sgg.; VIII, pp. 462 e sgg.; Notizie milanesi degli anni 1565-1570, in quest'Archivio, 1909, vol. XI, pp. 263 e sgg. (3) Promessi Sposi, ibid. 580 VARIETÀ Bernaga, assevera che da ben settecento anni i suoi prestavano tale ufficio a quelle monache. Res sane mira, giustamente aggiunge. Ma quell’ereditaria vocazione professionale non era in lui disgiunta da una certa inclinazione allo scrivere: così che ogni anno, dal 1627 al 1664, in coda all’elenco degli atti da lui rogati, il Perego riassume, dove più dove men concisamente, i fatti più notevoli frammischiando la storia del ducato con quella, per lui non meno importante, delle sue domestiche vicende e costellandola di considerazioni morali, di proverbi, di epifonemi. Qualche volta spinge lo sguardo più in là, occupandosi delle contese tra Luigi XIII e Alessandro VII, della guerra fra Venezia e i Turchi, della ribellione della Catalogna e della rivoluzione del Portogallo. Ma ciò che costituisce il fondo della sua narrazione sono le alterne sorti di quei persistenti contrasti tra Francia e Spagna che cominciano colla guerra della successione di Mantova e del Monferrato e si chiudono colla pace dei Pirenei. Il suo racconto corre quindi parallelo a quello del Ripamonti (1) fino al 1641 e potrebbe esserne considerato come la continuazione dal ’41 al ’64 ove si tenga conto che tra lui e lo storico ufficiale della città di Milano, c’è, ben si comprende, una notevole differenza di valore. ll Ripamonti scriveva sui documenti messi a sua disposizione dal Consiglio dei Decurioni, viveva tra gente colta, nel centro dello Stato: il povero notaio, ove se ne tolga la cronaca locale, non poteva far assegnamento che sulle voci raccolte qua e là, non allontanandosi egli quasi mai dal suo vil'aggio (a Milano dev’essersi recato una sola volta nel 1638 quando ci fu la traslazione del corpo di s. Carlo) e usando con persone in gran parte zotiche. Quel suo scrivere poi, anno per anno, gli avvenimenti come gli soccorrevano alla memoria, e per quanto glielo concedevano gli affari, la salute, gli affanni (v. ad ann. 1644 e 1647) lo porta a delle ineguaglianze e a delle omissioni non lievi (2). Veramente, sul principio egli non si era imposto che un compito uniforme e circoscritto: annotare le sventure pubbliche, di cui pare non ci fosse allora penuria. Le raccontava in (1) Historiae Patriae, 1. Vi. (2) Cito, ad esempio, il trattato di Cherasco, che egli non registra sotto l’anno 1651; la morte dell’arcivescovo Monti, di cui non fa cenno sotto l’anno 1650, mentre aveva ricordato la sua elezione nel 1633 e parecchie delle opere da lui compiute, fra le quali taluna di particolare interesse per il comune di Perego. Così non si trova in lui notizia dei tumulti di Milano resi famosi dal Manzoni, ecc. VARIETÀ 581 distici (1). Poi, codesta imagine leopardiana del mondo cedette ad una più equa visione e in luogo d’intitolare le sue rubriche: De nonnullis infelicitatibus anni o De quibusdam miseriss o De aliquibus flagis registra gli avvenimenti sotto un « Quaedam adversa et «u prospera n; « De aliquibus eventis » ecc. Però, più che le notizie di storia civile, nelle quali riesce evidentemente inferiore ad altre pur non ricche fonti, possono fermare l’attenzione quelle che egli annota su svariati argomenti. Gli studiosi delle vicende meteorologiche trovano nella cronaca del Perego delle indicazioni locali, ma copiose: e lo si capisce facilmente, pensando all’ interesse grande che per lui, proprietario di beni rustici, avevano le nevicate, la siccità, le piogge continuate, il freddo, la grandine. E gli economisti possono mietere con discreta abbondanza i dati relativi ai prezzi delle derrate, special- (1) Eccone un saggio: De quibusdam: calamitatibus anni 1628. Tria sunt quae nos hoc anno infortunia vexant Tam magoa, ut nullus rite referre queat. Annonae est penuria tanta, ut vilia caro Venierint, qualis rapa suum esca fuit. Rapae etenim sextarius anno hoc veniit instar Triticae messis, res miseranda quidem. Annonae est penuria tanta, ut ubique perirent, Illis vel nullo subveniente cibis. Accidit id vero, quod cunctis copia panis Deest, et nullus non eget auzilio. Cunctaque tanta est etenim penuria rerum Multi ut tentarint esse iterum esa prius. Hactenus haec: de dira hoc anno grandine lapsa E coelo sermo nunc faciendus erit. Quae fuit infelix adeo, ut contriverit omnem Sic frugem, vix ut visa sit esse sata. Immitisque adeo fuit, ut sibi quisque timeret Prospiciens velli robora fissilia. Sic fuit horrenda, aiunt, haec ut nullibi talem Post homines natos iam cecidisse putent. Hactenus haec de grandine, nunc de milite dicam Pasto vel nobis deficiente modo. Omnibus hisce diebus nam stipendia danda Sunt, nisi nos mulctant carcere et exilio. 582 VARIETÀ mente agricole, con tutti gli sbalzi che l’imperfetto sistema di scambî rendeva inevitabile. Così non mancano qua e là elementi demografici: intorno alla vexata quaestio della mortalità nella peste del 1630 ci sano discutibili notizie per gli altri luoghi e particolarmente per Milano, ma c’è la conferma che anche in paesi non remoti il flagello fu ben più mite che nella metropoli: a Perego non si contarono che cinque persone colpite dall’infezione e due sole di esse morirono: diversa sorte toctò, fra i paesi della Brianza, a Bestetto, Nava, Tegnone, Vergano e particolarmente a Santa Maria Hoè. I batteriologhi vi leggeranno un’opinione che oggi ha fondamento scientifico: quella che i topi siano un mezzo di diffusione della peste. | Ma il buon Perego colla sua cronaca ci offre, oltre a codesti manipoli di notizie spicciole, un documento non ispregevole di psicologia delle classi medie nel tempo della dominazione spagnuola. E leggendo le sue « confessioni » vien fatto di pensare che se l’autore dei Promessi Spost avesse avuto tra le mani codesto manoscritto forse vi avrebbe colto qualche nuovo spunto per il suo capolavoro. Per converso, nella persona punto eroica del notaio brianzuolo si riconoscono molti tratti comuni alle più note figure del romanzo. Come il podestà, egli è un grande ammiratore del governo spagnuolo, un suddito fedele a tutta prova: le vittorie dei governatori (quando non erano sconfitte) lo rallegrano come se fossero de’ suoi trionfi personali: unica nota discorde sono le lamentele per gli aggravî che gli alloggi militari arrecano alle popolazioni, e quindi a lui stesso. Come don Abbondio, è pauroso ed avaro: proprio come lui, all'avvicinarsi delle soldatesche nemiche, scappa « Ed io alli 15 di detto mese di luglio [1658] subbito « sentita ditta passata dei Francesi mi ritirai con tutta la mia fa- « miglia in Bergamasca cioè al Prato in casa di M. Loretti Man- « gilli: dove condussi la maggior parte del mio miglior mobile, « et l’altra parte l’ascosi al meglio potei qui in casa havendo la- « sciato in casa solo il servitore col Quaresima che la curavano « con li bestiami; et mi sono fermato in Bergamasca per giorni « quindici, et per Dio gratia in tanti scompigli et giravolte non ho « perso cosa alcuna, benchè mi sia costata questa ritirata più di 300 « lire ». Frequenti sono gli accenni ch'egli fa ad un flagello da cui la Lombardia è ora, si può dir, liberata: quello dei lupi che anche un secolo prima era stato lamentato dal Burigozzo nella sua cronaca. « Pestilentiam (scrive sotto la data del 1632) subsecuta est immanis « clades luporum in homines. Truces illae ferae non modo iner- VARIETÀ 583 « mium puerarum ac puella: um stragem ediderunt verum ferocientes « in puberes etiam, et armatos homines irruerunt: varia fuerunt « esurientium luporum ingenia: horum enim quidam longo quasi « ieiunio confecti delaniata corpora avide vorarunt alii cruoris tan- « tum percupidi, sanguine contenti, cadaveribus abstinuere ». Ma poi cade in una discussione degna di don Ferrante: se quelli veramente fossero lupi o non piuttosto uomini: malvagi che con arti magiche assumessero aspetto di fiera per compiere le loro nefandezze. E conclude.... che l’una £ l’altra ipotesi sono degne ‘di essere accolte. Dopo di che non sembrerà strano che egli creda senz’altro alla faccenda degli untori. « At non saeviisset » dice a proposito della festa del 1630 « ita contagio, nisi accessisset execrandum illud « ac detestabile unguentum ex profundo Tartari barathro excitum, « et a communi hoste ad insanabilem humani generis perniciem « compertum ». Nè il processo di Gian Giacomo Mora e de’ suoi complici, di cui diffusamente discorre, era fatto per dissipargli le prevenzioni, i sospetti. Lungo sarebbe del resto l’elenco delle sue credulità e superstizioni: dalla metamorfosi in cane di un nobile russo bestemmiatore, alle malie gettate sui bambini e che li fanno morire. « A dì 22 maggio di detto anno 1660 è morto Jacomo Fi- « lippo Perego .mio figliuolo d’anni 7 et si crede per certo per « causa di malia ». In fatto di morale è piuttosto severo: che anzi attribuisce la maggior parte delle grandi calamità pubbliche ai rilassati costumi: ma nota, senza spiegarci come colleghi i due fatti, che i turpi reati crebbero subito dopo la grande pestilenza del 1630. Dal canto suo , egli si dipinge come un amoroso, ancorchè tardivo padre di famiglia: « Quod autem ad me attinet, subiieere non erubescam me iam « grandem natum (era sui 45) quarto decimo calendas martii. (del « 1640) uxorem duxisse adolescentulam.... »: e cioè, precisando, di 16 in 17 anni. Le mature nozze non gli impedirono di godere otto volte le gioie della paternità, e l’ultima, quando egli già toccava i sessantaquattro anni. ll suo primogenito fu messo anch’ egli sulla via del notariato e a lui dobbiamo le ultime annotazioni del registro e la notizia della morte del padre: non però la continuazione delle memorie storiche, per le quali forse gli mancava il gusto. Pare veramente che gli mancasse qualche altra delle paterne caratteristiche; perchè egli attribuisce la fine del suo genitore non a stregherie od altri malefizi, bensì al medico che sbagliò la diagnosi e conseguentemente la cura: nel che si accosta d’un sol tratto ai tempi nei quali viviamo. 584 VARIETÀ Dalle poche citazioni addotte i lettori avranno già rilevato come il Perego usasse promiscuamente nello scrivere la lingua la: tina e l’italiana. Per essere più precisi diremo che le prime note, quelle che si riferiscono agli anni 1624-1626 sono scritte in volgare: dal 1627 al 1655 anche in latino; e dico anche perchè alla fine del codice per ognuno di codesti anni, tranne che dal 1631 al 1637, vi è, in volgare, una ripetizione o una parafrasi od un’ aggiunta, o fors’ anche la minuta di quello che, in latino, il Perego scriveva in calce al registro degli atti notarili. Dal 1657 al 1664 il racconto è tutto in volgare. Appare nell’A. un certo grado di cultura umanistica, sia per lo stile che qualche volta arieggia quello dei classici, sia per una certa facilità di piegare il latino a esprimere nuovi concetti. Valga ad esempio la descrizione che egli fa delle bombe, allora primamente usate (1). « Arte praeterea subtili « a nostris inventas fabricaverunt ollas, seu bolides incendiarias, « easque tormentario refertas pulvere, atque de more alimento ignis « addito, dimensoque librandi sive emittendi spatio, ex aereis ma- « chinis in id comparatis eiaculabantur in arcem, ea ratione, ut « statim ac ea pestis in hostile propugnaculum amitteretur conciperet illico deficiente ex inopia nutrimenti animatum ignem, qui « parumper luctatus in arcto, tandem flammam et cetera latentia « tela, infestasque glandes magico impetu in propugnatores excu- « teret atque evomeret ». Ma non certamente per i suoi meriti di scrittore saranno lette le pagine del notaio brianzuolo: bensì a chi va studiando con maggior diligenza di quel che non si sia fatto sino ad ora quel periodo della dominazione spagnuola in Lombardia, esse potranno offrire qualche utile riscontro e qualche non trascurabile notizia. Coll’intento di renderne più agevole la ricerca, alla copia fatta eseguire dalla-Presidenza della Società, e che consta di ben 276 pagine in formato protocollo, fu, per cura di chi scrive, aggiunto un particolareggiato /ndex nominum et rerum. x G. BocxneETTI. (1) Cfr. MURATORI ad ann. 1640. Go ogle a VARIETÀ | 585 Lettere inedite di Carlo Porta , a Camilla Prevosti e a Tommaso Grossi. guess RA le carte del compianto prof. Novati s’è trovata una af] busta contenente le seguenti lettere di Carlo Porta, e dal Neg Novati stesso destinate a venire stampate in quest’Ari chivio. Pur troppo, accanto al testo delle lettere, non s'è trovata nessuna nota dilucidativa nè nessuna indicazione circa alla provenienza delle lettere. Solo una postilla a matita apposta sulla prima dice essere questa « di mano del poeta, con evidenti segni « d’essere stata spedita per la posta benchè manchi la busta ». La quale affermazione è però contraddetta da un’altra postilla a penna che si legge scritta sulla lettera al Grossi, e secondo cui solo questa sarebbe indubbiamente autografa, mentre le altre tre son dichiarate copie contemporanee, fatte forse in famiglia. Credo che questa seconda postilla tolga ogni valore alla prima, anche perchè la lettera alla Prevosti è copiata così male, con tali bffese alla metrica, che credo il Porta nemmeno in una stesura o copia affrettata avrebbe commessi. Delle tre lettere a Camilla Prevosti (1), sono inedite sole la prima e la terza. L’altra è nota da un pezzo, e cioè fino dal 1826, quando venne la prima volta in luce nella Raccolta di poesie inedite in dial. milanese di Carlo Porta (Italia |ma Lugano]; v. pp. 165-70), da dove passò nelle numerose ristampe del volumetto e anche in qualche edizione delle poesie permesse del Porta. Forse il Novati quando si fosse accertato che si trattava di una poesia nota, avrebbe desistito dalla pubblicazione. Tuttavia siccome di essa, e di essa sola, ci è conservato un doppio autografo tra le carte del Museo Portiano, così non parrà inopportuno, anche perchè così s'ottiene una lézione corretta, di qui riprodurlo di nuovo insieme alle com- (1) Camilla Prevosti era la madre di Vincenza, vedova Arauco, che il Porta condusse sposa il 29 agosto 1806. Alla quale (ch'è ricordata anche in una lettera del poeta alla moglie datata dal 1.° dicembre 1815 e pubblicata dal Barbiera, p. XXXIII) altre lettere poetiche doveva aver dirette il genero, come appare dai frammenti pubblicati dal CRresPI (Poesie it. di C. P., Milano, Combi, 1909, vedi p. 8). Go ogle 586 VARIETÀ pagne. In nota daremo le varianti per cui il testo Novati differisce dall’autografò, col quale consente la vecchia stampa. Più importante delle lettere alla suocera è la lettera al Grossi, fin qui sconosciuta, Essa integra felicemente una lacuna nel carteggio Grossi-Porta. Poichè appunto rappresenta la risposta a una lettera che il Grossi mandava al Porta da Treviglio il 25 [così e non 26 va letto] luglio 1817. Il Porta tocca infatti all'amico di parecchie cose ond’era quistione nella proposta. La risposta. poi del Grossi al Porta è per avventura implicita nella lettera Grossi ch'è stampata, qual n. 1, nella Appendice alle Lettere di Carlo Porta (in quest’Archivio, aa XXXV, fasc. XVII, pp. 70 e sgg.), e che potremo perciò porre fra il 3 e l’8 agosto di quell’anno. Lo si deduce da ciò che in essa il Grossi dia ricevuta al Porta della costui lettera e delle sestine del Rossari. ' CARLO SALVIONI. I. LETTERE A CAMILLA PREVOSTI. 1. hd «Cara Signora Suocera, Vengo con questa mia a darle nuova del ben star di me, della Vicenza mangiam beviam bene il che è una prova che di malori e guaj ne facciam senza; più : c' ingrassiamo tanto, che una cobbia sembriam di quei che bevon corobbia (1). Siamo stati due giorni alla campagna cioè al Subaglio un dì, l’altro a Basiano paesi tutti due della cuccagna perchè chi ci albergò con larga mano profuse vini, e cibi si squisiti che di piacer ancor lecchiamo ? dit. Non le dirò Signora l’allegria che regnava nel corpo anche ai più gravi dell’arcinumerosa compagnia; sol le basti saper che io fra i più savi ‘| mi distinsi, e ne fei di cotte e crude col curato, ed un frate a gambe nude (2). (1) corrobbia è voce milanese per ‘ rigovernatura *. (2) Il R. Padre don Gerardo da Monza, capucino celebre fabbricatore di Ravioli e direttore del Lanificio Serafico in Como (N. d.. A.). VARIETÀ Dopo dimani, se il ciel m’assista anderò con la moglier, Giulio e Francesca di Gerardo al paese, e di Battista (1) a dar gran saggio di mia bocca fresca là con mio padre starò tutto il giorno ch'è grasso, bello e sano come un corno. Sono tre dì che ho ricevuto, e letto la lista degli errori stralabiati che mi scrisse il Signor Carnevaletto sotto la dettatura dei cognati; però v'era natura, e molta parmi che ve ne fosse almeno in nominarmi (2). Dì natura a proposito, che fanno le gentili e vezzose mie cognate? godon salute? non risenton danno delle povere pancie ingravidate ? Ah il ciel me le conservi, e lor dia figli del mio calibro, e così sia. La prego di aggradire il mio rispetto e dividerlo poscia in parte eguale con quel Signor che con lei dorme in letto, e coll’altro che porta il pastorale; alli suoi figli poi bacci a mezz-oncie purchè non glieli faccia in parti sconcie Di lei, specchio ed onor del lago d’Orta, (3) genero e servitore Carlo Porta. Da casa 31 8bre 1806. S.a Camilla, Giacchè non posso per ragion d'impiego venire a lei col fisico in vettura, le vengo col morale in questo. piego. È magro il cambio assai, pur mi procura certa reputazion d’uomo capace, che sebbene non meriti mi piace. (1) O Giovann, o Gilar ghan nomm a Monscia (N. d. A.). (2) Al Sig.r Carlo Porta scrisse il celebre S." Carnevaletto (N. d. A.). (3) Si ricordi che la Prevosti villeggiava a Borgomanero a poca distanza ‘dal Lago d’Orta. Co ogle VARIETÀ Ma lei per carità non dica niente che tal riputazione nen mi merito, perchè quantunque men che colla mente il salario guadagni col preterito pur mi dò il tono d'uomo affaccendato di qualunqu'altro al par regio impiegato. E tanto più la prego di tacere in quantu imposturando in tal maniera do a me stesso una spinta, onde ottenere di correre più nobile carriera. Fra Modesto non fu giammai Priore e i grandi esempi al fin mi stanno al cuore. E chi lo sa che un giorno non diventi qualche signore anch’ io d’ importanza ? a buon conto sto assai bene di denti: ho bastante presenza ed arroganza, malcreato, mordace e sprezzatore mi farò poi col diventar Signore. Ah con doti si belle, gii e un peccato che quel tempo p ‘ezioso sia decorso, in cui bastava ad essere amirato crin mozzo, gran beretto e voce d’orso, in cui quanto più eri manigoldo ne ritraevi onor, rispetto e soldo. Ah se fosse quel tempo! per Milano mi vederebbe correre severo con' tanto d’occhi in fronte, e sciabla in mano gran flagello de’ nobili e del clero j ma quel tempo felice oggi è passato e sol oggi il mio spirto è sviluppato. Nè in oggi mancherebbermi i talenti di volger pel rovescio la medaglia massima colli esempi ognor presenti d’una quantità simil di canaglia, ch’'oggi Gracchi corcarsi, e all'indomani Tigellini si alzar, Plauzj, Sejani (1). Ma io troppo divergo dal cammino che di far verso lei m’era proposto e la cuffia le avrò rotta un tantino com’è ben natural: Dunque ciò posto temp’è che sul sentier tosto mi metti pel quale al labro van del cor gli affetti. (1) Favoriti di Tiberio, Nerore e Settimio Severo [Nota dell’autografo]. - --- 12 16 40 VARIETÀ 589 E le dica che l’amo di maniera da correr per giovarle, se abbisogna a vendermi al lavor della galera, a chiedere e accettar posto in Bologna, 52 od anche a rimanermene in eterno come adesso impiegato subalterno! Per difenderla poi farei prodezza di cui non udirebbesi seconda; 56 vorrei passare in forza ed accortezza fin gli Eroi della tavola rotonda, ed avere per lei sotto le reni Agramante, li Mori e i Saraceni. 60 Nè creda che il mio dire sia iperbolico Non esagero mai, poi se prometto mantengo la parola da Cattolico cristiano onorato, e quel che no detto 64 le confermo di nuovo, e in fede etcettera mi sottoscrivo, e poi chiudo la lettera. Suo aff.0 Genero Carro Porta. Milano 8 g9bre 1806. VarianTI. — Mancano nel mss. e nella stampa la invocazione, la firma e la data. Uno dei mss. reca: A mia Suocera la signora Camilla Prevosti, l'altro: Alla S. Camilla Prevosti suocera dell Autore che villeggiava [la suocera] în Borgomanero. — Verso 15: mi farò un largo grande, o— Nov.j— v. 21: sto bene d'unghie e di d.— Nov.; — v. 22: presenza bastante Nov.; — v. 25: b—, è un gran pescato Nov.; — v. 28: crin raso Nov.; — v. 33: c— fuori un palmo d’occhj Nov.; — v. 36: e il mio sbirito sol oggi è Nov.; — v. 38: d’apparire un rovescio di m— Nov.; — vv. 41-42: che un di di plebe amici or tutto orgoglio | i sputacchi lambiscono del soglio Nov.; — v. 53: oppure a r— Nov.; — v. 57: sorpasserei i— Nov.; — vv. 59-60: e emulando Sanson m'incaccherei | di cento campi d’Arci-filistei Nov.; — v. 66: prego I— Nov. 3. Alla Sig.a Camilla Prevosti (1), Tre di agosto = da Inverigo Che val più che un Cardinale Perchè è sopra l’Eminenza. Le dò nove di Vicenza Che è sua figlia, e moglie mia Sana e salva, e così sia: (1) Il Novati ha posto questa postilla: « senza data, ma autunno 1809 ». 590 VARIETÀ Ella si aspetta da me una poetica descrizione del sito in cui mi trovo, ed io non volendo ripetere i luoghi comuni dei Poeti perchè mi picco di originalità le dirò Che Inverigo è un bel paese Collocato in dolce clima Dove il popolo è cortese Dove i monti alzan la cima Ricoperti d'aurea veste Col sott’abito celeste, Sono monti aristocratici Portan cipria sul Tupè. Di velluto verdeggiante Son tessuti i lor calzoni Ricamati tutti a piante E bellissimi valloni: Portan poi per centurini Faggi, pioppi, quercie e pini. Han le calze ognor fiorite D’una seta bigin-scura Dove grappoli di vite Vi dipinse la natura Ma le scarpe son di sasso Onde mai non muuvon passo. Praticelli, e più boschetti In cui l’acqua ognor zampilla Son più morbidi dei letti Su cui giace la Camilla Qui il silenzio intorno regna Ne vi sono i sussurroni Dei Catanei e Martignoni E val più della sua stanza Questo colle di Brianza Io ardisco pregarla di venir qui assicurandola che si respira un'aria poetico-filosofica da resuscitare chi fosse morto già da due secoli. Zeffiretto alla mattina Sbocca fuor dalla capanna A portar la medicina Che val più che cassia, e manna E con mano fresca e liscia Alza a tutti la camiscia. Sull’erbette molli e tenere Si distende e move l’ali Par ch’ei fugga l’uman genere Par ch’ei sprezzi que’ mortali Che in città passan la vita Di veleno sol condita (GO ogle È _ VARIETÀ 591 Qui vi sarebbe un bel campo di descriverle che la virtà in campagna si esercita meglio che in città dove le più volte si affetta e si maschera : potrei qui dir male de miei simili per lodare indirettamente me stesso, ma questa lettera diverrebbe in tal caso un messale ed io (sic) troppe cose a dirle, e fra le altre Le dirò che Giovedì Io partito son da qui In soave compagnia A trovar sant’allegria. Era appunto il tar del dì Allor quando donna aurora Mette fuori la man destra Da una piccola finestra Per buttare sulla strada L’orinal della rugiada Che talora è un po’ vermiglia Allor quando piano piano Ci avviassimo a Pusiano. La mia piccola famiglia Col fattore messer Paolo E la giovine sua figlia Che non è mica il diavolo Se n’andava summo mane Preceduta dal nio cane, V’era un fresco eterni Dei! Che l’egual non vi fu mai! Abbiam fatto miglia sei Pria che il sol mostrasse i rai Ma poi giunti al lago in riva Non si trova anima viva. To credo signora mia che uno dei momenti più deliziosi della vita sia quello, dopo un lungo viaggio a piedi, di non sapere in che terra s'’arrivi, il non vedere persona alcuna, fuorchè acqua, cielo e montagne, e l'aver fame e dover rider tutti per non comparire anime deboli. Dai di qua, dai di là Noi scoprimmo una casetta C’ inoltriamo in fretta in fretta Doinandando chi ci stà. Ma il padron pria di ricevere C' interpella: Voglion bevere ? Rispondiamo tosto tosto Beveremo signor sì. Sorte allora un freddo arrosto Di colore cresmotsi Cui vien dietro a capo chino Un iterico stracchino. 592 VARIETÀ Il buon umore, l’apetito ci fecero trovar prezioso questo rinfresco come la manna per gli Ebrei: ne Lucullo, ne Apicio alle sontuose lor cene stracciarono con tanta ingordigia i fagiani e i pavoni con quanta noi tutti divorassimo sino gli ossi e le croste del nostro déjunté. Quand’abbiam la pancia piena . Il padron non vuol un cazzo Ci ringrazia anzi ci mena Egli stesso un bel ragazzo Che c’ insegna a pochi passi Una barca in mezzo ai sassi. Due cortesi pescatori Preparando il pesce stanno Per empire dei signori Le gran pancie tutto l’anno Che a Milano si riceve Mezzo in puzza e mezzo in neve Uno svelto giovinotto Colla gamba nuda e scalza Se ne vola a noi di trotto Prende i remi e in barca balza E cantando su per l’onda Ci trasporta all’altra sponda Dove vuol vossignoria Ch'io lo metta: Egli mi chiede. Quest'è bella : all’osteria, Gli rispondo, e l’ ho per fede. Bravo, ei replica, ancor iv Vo’ dall’oste ch'è mio zio. A nove ore di mattina Con il lago in dolce calma Noi scopriam la ventalina (1) Batte ognuno palma a palma E si salta sulla sabbia Come uccelli fuor di gabbia. Sta Pusiano solitario D'un gran moute a piedi eretto Grande al par d’un reliquiario Ma nel circolo imperfetto Dove stan d’abitazione Assai più di tre persone. (1) Ventalina insegna d’osteria; voce che il Cherubini in tal senso ignora ma che il Porta adopera anche altrove nelle sue poesie milanesi. (GO ogle = VARIETÀ 593 Una balia: un birro: un prete Noi vedemmo andar d’ intorno E chi avesse il diadete Può pisciarvi a mezzogiorno Sul piazzale apertamente Senza esporsi a trovar gente. Son le strade a pietre smosse Sono i muri gobbi, e zoppi Or si saltan guadi e fosse Or s'incontran mille intoppi Colle scarpe, ed è delitto Camminar col corpo dritto, Punto non dubito signora Camilla che leggendo questo paragrafo avrà la prudenza di guardarsi d’ intorno che non vi sieno persone che abbiano gl’indicati difetti perchè la debolezza umana fa sì che una semplice descrizione si reputa una satira personale in tempo che l’autore non se ne sogna nemmeno. Ma andiamo avanti Vi son mosche scelerate Che in veder le gambe appena Su vi saltano aftamate Fuor succhiando dalla vena Tutto il sangue colla linfa E non serve il fonfe-tinfa. Evvi un sole in scotadeo Che parar non può l’ombrello Or abbruggia il culiseo Or la schiena, or il cervello E riverbera coi strali Fin per sotto ai genitali. Noi entriam nell’osteria Se pur può chiamarsi tale Dove l’oste è sempre via Dove un asino e un maiale Stanno in corte per vedere Quando arriva un forestiere. Chi è di là? non c’è nessuno Che ci dia da desinare ? Un Balosso scarmo e bruno Sbadigliando ci compare Con un abito trapunto Di paglietta e di bisunto. Tiene l’uscio semiaperto Per mostrar che ci fa invito: Vi è una sala ossia deserto Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. III. 38 Go ogle 594 VARIETÀ Cui si tocca il ciel col dito Una tavola e due scagni Un ritratto e quattro ragni. Altro quadro rappresenta Un frataccio che comunica Santa Chiara in nera tunica Varie monache protfesse Colla faccia macilenta Hanno in man le torcie accese. Ma se è ver ciò che si dice Qualcheduno per la fame Ha mangiata la cornice E cortese lasciò poi Da mangiare il quadro a noi. Sentirete ora Camilla il complimento fattoci dal Balosso, ossia oste, ossia quel Diavolo che fosse che venne ad accoglierci nella cosidetta osteria. Eccellenza ini rincresce Eccellenza assai mi duole Eccellenza carne e pesce Ritrovar qui non si puole Se ventva un'ora fa La trattava come va. Poi strisciando una lunghissima Sdrucciolata riverenza La beretta sucidissima Mette in testa, e alla pazienza Mi comincia a confortare : E io rispondo: vatti a fare.... Ch’ ho una fame da creppare Eccellenza, ei grida, è vero Che sia Mantova ai Tedeschi ? Ok i Francesi stanno freschi Presa Genova e Tortona Anderem tutti a Lione .... Ed intanto quel bricone Mentre oh Dio mi fa patire Giù si sdraia sula banca Con un’aria da dormire A pelar una polanca. Mosso allor da tanta incuria Il Battista salta in piè E si spoglia con gran furia Del farsetto e del gi/lè — <= VARIETÀ | 595 E si getta a testa china Dove scritto vi è cucina. La cucina di Pusiano In larghezza è poche quarte Stesa l’una e l’altra mano Tocchi l’una e l’altra parte. Se vi è il cuoco non sta il fuoco Se vi è il fuoco, fugge il cuoco Scorsi appena due minuti Scappa fuori il mio Battista Colla faccia nera e trista E gridando: Dio m’aiuti Mi s'appressa dileguato Come un lardo pergottato. Io coll’animo divoto Chieggo il cielo benedetto In soccorso, e faccio voto Di non più veder quel tetto Ed il ciel pietoso accoglie Le mie preci e le mie voglie. Ecco un angiol tutelare Nella corte ratto appare Don Gaetano De-Negroni Giù discende a regalare Il migliore dei bocconi Poi sparisce non volendo Lasciar dir: grazie vi rendo. Questa rara cortesia Questo tratto di bel core Quest’azione santa e pia Che val più che litania.... Ma già veggo l’uditore Impaziente di sapere Cosa diede a me quell’angiolo Quell’onesto Cavaliere. Se ho aspettato tanto anch’io Giusto è ben che chi nvascolta Abbia flemma e il suo desio Farò pago un’altra volta. Or lodar vo’ l’atto umano Del beato Don Gaetano. Don Gaetano il nome vostro Porta in sè la provvidenza: Genuflesso a voi mi prostro Perchè sò che di voi senza (O ogle 596 VARIETÀ Tutti sei ad uno ad uno Crepavamo di digiuno Nessun uomo ha mai riscosso Tanti incensi e versi lirici Come il pesce grasso e grosso Ha riscosso i panegirici Che ci diè la vostra mano O novello San Gaetano! Una tinca di gran peso Colta appena fuor del lago Per un uom da fame preso È un tableau superbo e vago Che ristora l’alma afflitta, E allor poi ch’è calda e fritta Il color della sua pelle Manda un lume che fa invidia Ai fableau di Raffaelle Mi permetta cara Signora Cainilla ch'io tralasci di dipingerle il resto del nostro pranzo composto di risi e fave, erba comune vw/go cornetti, quattro gambari e quattro passaretti, cinque peri avvanzati dalla lapidazione di S. Stefano e due formaggini composti di mascara d’occhi con quattro grani di pepe che parevano pidocchi, tutta mercanzia d'ospitale Ma la rima non mi manca Per descriver la polanca. Questa bestia a dirla in rima Venne uccisa un'ora prima. Era vecchia ma ribalda Nè si volle convertire Benchè messa in l’acqua calda. Ho voluto io pur morire. Nel spaccare quelle floscie Filacciose scarme coscie; Nel spaccar quell’ala dura Fin le punte dei coltelli Per dispetto e per paura Rabuffavano i capelli: Finalmente estenuati Tutti noi per la fatica La prendemmo colla bocca Tutti sei, chi tocca tocca. Ebbe l’un metà del podice Ebbe l’altro il collo in quarti E mangiando sallem snodice Non si fer le ziuste parti. tzery - ui e VARIETA 597 Solo il can fu ben trattato Cui toccò della polanca Tutto il scheletro spolpato Altre occupazioni ci saressimo procurate in Pusiano, Signora Camilla, se l’ indiscrezione di alcune nubi affacciatesi a guardar giù dalle montagne non ci avessero posti in apprensione di un improvviso temporale: fu quindi precipitata la partenza nostra e ritornando pieni di contentezza ad Inverigo salutando le osterie, abbiamo goduto per intermezzo la cioca della Signora Anna Del Buono che avendo bevuto vin dxono era ubbriacca alquanto ed allegra del buono ma con una buona dormita si trovò alla mattina in duomo stato di salute. La consolazione nostra si fece vieppiù grande nel ricevere al nostro ritorno una gentilissima lettera del caro amico Soldini che ci predisse l’arrivo del Taccioli wsi4 prima morosa del Negrino, del Recalcati, del cognato Febo, e di una certa Sig." Luigina che non so chi sia ma sarà forse qualche. macchina d’uno dei suddetti galantuomini, e se sarà di buon umore sarà ben ricevuta perchè falis vifa finis ita. E riverendola di cuore unitam.te ad Ambrogio e tutti Mi dico etcettera E ho finito la lettera. IL LeTTtERA a TomMaso GRossI. Amico C.mo Ti compiego una lettera (1) di Rossari, colla quale risponde alla tua Catilinaria (2) in terza rima. Nova insolenza contro il Tasso che ti metterà naturalmente in orgasmo ogni fibra e che procurerà alla cameretta un trattenimento grazioso per una delle sue prime sedute. L’unione nostra di questa mattina tu breve e poco numerosa, e si sciolse alla (1) Questa lettera sarà stata un’epistola poetica, più precisamente le sestine delle quali il Grossi accusa ricevuta nella lettera 3-8 agosto. (2) Questa Catilinaria non è nota. — Poichè essa dovrebbe, per ragion di date, essere altra cosa da quella che il Grossi nella lettera n. 8 dice d'avere incominciata e lasciata li, e di cui riferisce anche l’inizio. Nella stessa lettera il Grossi tocca di una cantata milanese, non altrimenti conservataci, suggeritagli dalla irriverenza degli amici verso il Tasso; altra cosa dalla quale doveva essere quella di cui tocca il Porta nella sua lettera n. V. Di tutta questa letteratura, come pure delle poesie anti-tassiane del Rossari, non si conosce nulla. 598 VARIETÀ porta del nostro povero Berchet, che fu oggi sottoposto alla undecima cavata di sangue (1). Spero che la seduta prossima sarà ravivata da qualche tua lettera, poichè è per questa via, che noi sentiamo un po’ meno il dispiacere della tua lontananza. | Oggi tutto Milano corre sulla strada che dall’ Ufficio della giustizia conduce al palco della Vetra per vedervi certo famigeratissimo Sig." Manusardi, che ben vestito ed ottimamente calzato porta con disinvoltura al sito della Berlina un ampio cartellone che gli pende dal collo, e che lo mostra autore di quell’assassinio che commise diciotto o venti mesi fa nella persona di quel brutto prete che assiste al banco di S. Giovanni alle Case-rotte. Questo è il terzo dì che subisce tale pena, ed oggi gli fu aggiunto al corteggio un nerborutissimo Vice-Boia armato di un lungo nervo coll’ intenzione di pagargli a nervate tutte le ingiurie che pronunzia ad altissima voce contro il Governo ed i giudiei suoi umilissimi servitori. Ho visto stamattina il tuo Mangiagalli (2), che sta benone e chi: ieri sera fu a sentire Sgricci alla Canobbiana. Non mi pare che ne sia rimasto troppo contento, ciocchè mi ha consolato di aver lasciato fuggire anche questa quarta occasione di udire i suoi versi nè sa che me ne possa rifare, almeno in Milano, trattandosi che il prezzo di L. 3 italiane che volle avere iersera pel biglietto d’ ingresso, gli ha dato nessuna udienza e non vorrà certamente avvilirsi col dare un'altra accademia a prezzo minore. — Aspetto con impazienza tue nuove. Io non ne ho da potertene dare, quindi ti lascio coi soliti saluti degli amici e di mia moglie = Ho incominciato a leggere la dissertazione sullo Stile (3). Povera mia testa! Me la gratto a sangue, e le tante volte dimetto lo scritto perchè il mio cervello non può tener dietro alle sublimità della scienza. Altro motivo per invidiare la percezione tua e la facilità di entrare di tutto slancio in così astrusa materia = Addio, addio = Sonv il tuo Attezionatissimo Amico C. PORTA. Mil. lì 2 Agosto 1817 (1) Di questa malattia del Berchet, il Grossi tocca al Porta nella lettera n. 7 (8 agosto). (2) Di questo signor Mangiagalli di Rivolta, amico del Grossi, si tocca qua e là nel carteggio Grossi-Porta. Doveva essere persona colta, poichè il Grossi vuol incaricare lui di rispondere per le rime alle sestine del Rossari (v. Lett. di C. P., app. n. I); e d'altra parte collaborò col Grossi in quel * pasticcetto * al Rossari, di cui nella lett. s del Grossi stesso. (3) L’opuscolo sullo Stile di Ermes Visconti, che il Grossi aveva mandato al Porta, come appare dalla lettera Grossi n. 5. ie VARIETÀ 599 Un signore di Venezia mercante di libri mi ha fatto il regalo dei primi 3 volumetti della collezione delle poesie venete. Ogni volume è di circa Ioo pagine e vi si vede subito in faccia la solita speculazione libraria — Quanto alle cose stampate, ho visto che sono di Lamberti, che conosco di persona e so valentissimo; Non ho però fin d’ora letto altro che qualche canzoncina così come il caso me l’ha posta sott’occhio, di cui non rimasi-nè poco nè-troppo contento, e sarei forse stato contento addirittura, se non mi fossi incontrato in quelle antipatiche dedicazioni a Nice ed a Clori, che raffreddano l’anima al primo mostrarsi. L’ indirizzo sul tergo della 2 c: Al Sie. Tomaso Grossi. — BIBLIOGRAFIA ToreLLI PieTRO, Studi e ricerche di diplomatica comunale, 1° volume in “ Atti e Memorie dell’Accademia Virgiliana di Mantova ,; 1912; 2° volume “ Pubblicazioni della R. Accademia Virgiliana ,, I, 1915. Non si può lodare abbastanza il disegno maturamente formato ed attuato energicamente dal dotto archivista Pietro Torelli di studiare la formazione dei documenti emanati dai corpi e dagli ufficiali dei comuni dell’ Italia settentrionale nei secoli XII e XIII, in rapporto alle origini e alla graduale evoluzione degli stessi comuni. L’apparente aridità del tema, la sua ampiezza, la difficoltà della consultazione del materiale disperso in numerose collezioni di statuti, di consuetudini e di carte, in libri ed opuscoli, non hanno scoraggiato autore; il quale, chiudendo il secondo ponderoso volume, mentre volge con soddisfazione lo sguardo. sull’aspro cammino percorso, e pur si ‘ lusinga che energie giovanili vengano a lui per concorrere in uno sforzo più intenso al compimento del divisato programma di lavoro, si mostra fiducioso che, ove l’aiuto gli manchi, riuscirà da solo ad assolvere l’arduo compito. Chi conosce la grande attività scientifica del dott. Torelli non può pensare al suo arresto dinnanzi a difficoltà di varia natura che ogni studioso è preparato ad incontrare sulla propria via, e che, per quanto grandi si vogliano immaginare, non ci figuriamo maggiori di quelle sin qui con tanta fermezza di volontà e perseveranza di lavoro, superate. Nei primi due volumi è compiuto l’esame delle funzioni degli organi che nei vari uffici del comune ne redigono i documenti, insieme ad uno studio preliminare sulla natura dei documenti medesimi, come preparazione alle indagini sulla loro forma, che costituirà il tema specifico della seconda parte dell’opera. Imprendendo a studiare gli organi che formano il documento comunale nel periodò più antico, il dott. Torelli osserva che “il concetto di “ una vera e propria cancelleria, intesa come l’ufficio unico, a sè stante, “ espressamente istituito per la redazione dei documenti emanati da un “ ente sovrano, non si adatta alla natura del comune, nel quale in BIBLIOGRAFIA 60I “ pratica l'ente sovrano sfugge dietro la diversa azione di molteplic! “corpi e funzionari, bensì investiti delle attribuzioni di quello, ma nel * fatto agentì, direttamente, e perciò muniti ciascuno per sè di organi “chiamati a redigere gli atti ch’essi emanavano in proprio nome,,. D'accordo che una cancelleria comunale con funzioni analoghe a quelle delle cancellerie papale ed imperiale, in cui l’autorità sovrana unica attribuiva a sé sola la funzione di atti sostanzialmente i più disparati, non ha mai esistito. Però, intorno all’attività degli organi del comune che rappresentavano l’ente nei rapporti con altri enti o con tutti 1 cittadini presi come università, rispetto ai quali si riconosce che era possibile un ufficio aualogo, fino ad un certo punto, alle cancellerie regie e signorili, ci permettiamo di dissentire dall’autore in quanto egli ne assegna la costituzione ad un periodo avanzato di sviluppo delle istituzioni comunali, ad un’età non bene precisata nè precisabile, che per altro, seguendo l’esame delle fonti storiche dei diversi comuni dallo stesso dott. Torelli presentateci, non dovrebbe essere anteriore al secolo XIII; negandosi così che abbia esistito nl primo periodo di vita del comune. a Orbene, se vi è un’epoca, rispetto alla quale, a nostro avviso, è possibile concepire l’unità non solo ideale, ma di fatto, di un ufficio dal quale emanavano i documenti del comune, rispondente entro certi limiti al modo d’essere delle cancellerie regie o signorili, come la personalità giuridica unica, ma solo ideale, del comune corrisponde alla personalità unica, reale e giuridica, del sovrano, quella dovrebbe essere della coustituzione e consolidainento del comune delle maggiori città; che mantiene nell'unico consolato, non ancora sdoppiato nei due collegi, l’uno politico amministrativo-militare, i “consules comunis , o “ reipublice ,; l’altro giurisdizionale, i “ consules iusticie ,, l’unità di fatto della sua rappresentanza, ed accentra in sè l’esercizio di tutte le funzioni d’impero in virtù di delegazioni, generiche o specifiche, conferitegli dalla « univer- “ sitas ,, nei deliberati piesi “in concione,,. Il Torelli scorge nella preoccupazione sulla legittimità, in linea formale, degli atti del comune, che, sostituitosi di fatto alle autorità pubbliche legittime, si trovava ancora nella condizione di un ente privato, la ragione fondamentale della qualità di notaio nell’ufficiale delegato alla formazione dei suoi atti. Il nascente comune trovò nella classe dei notai la preparazione scientifica all'esercizio della funzione che si andava lentamente attribuendo. Il notariato che aveva ragione e tradizioni di vita propria, prestò al comune la propria opera, senza essere ad esso legato da altro rapporto che non fosse quello momentaneo e specifico in cui il notaio si trova col privato che lo richiede della prestazione del suo ministero per un atto determinato. D'onde la conseguenza che “i singoli notai, chiamati a redigere gli atti comunali, non “ furono, neppure nei primi tempi, impiegati del comune ,,. Le premesse, esatte, sulla storia e sulla funzione del notariato, non giustificano le conclusioni troppo assolute che si crede di poterne rica 602 BIBLIOGRAFIA vare. Il Torelli si è proposto di fornire la riprova del suo assunto, in via indiretta col richiamo a testi statutari di epoche diverse dal 1225 in poi, in cui si prescrive che gli atti del comune siano redatti da notai suoi impiegati; ciò che dovrebbe, se bene abbiamo compresa la portata dell’argomentazione, far ritenere che prima di allora vi fosse libertà di scelta del notaio da parte dei funzionari del comune; in via più diretta e positiva col richiamo 1° ad altri statuti della seconda metà del secolo XIII, dai quali risulta che esami testimoniali, confessioni di parte in giudizio e persino sentenze interlocutorie potevano essere redatte da notai non ufficiali del comune, 2.° ai formulari notarili della prima metà di quel secolo che affidano al notaio della parte la redazione delle “carte sindicarie , e “procurationis ad causam, e dei “lbelli appellationis , 3.° per il secolo XII a due sentenze, l’ una dei consoli di Bergamo del 1144, l’altra dei consoli di Padova del 1138, redatte e scritte da uno dei consoli in esse intervenuti, qualificatisi quello di Bergamo “iudex , e l’altro di Padova “ causidicus et notarius ,. In aggiunta alle citazioni di prova indiretta si potrebbe spigolarne dal secondo volume un numero molto maggiore, al fine di stabilire che in via normale e dal principio del sec. XIII, non in via di eccezione e solo dopo il 1225, gli atti del comune figurano redatti da notai ufficiali al servizio dei corpi e dei funzionari dello stesso comune. E’ vero che non solo nel secolo XIII, ma fino dagli inizi delle giurisdizioni comunali si ammettevano notai ‘estranei all’utficio, a raccogliere le deposizioni dei testimoni. La pratica si spiega, nelle sue crigini, in vista del principio adottato, con maggiore o minore rigore e per un tempo più o meno lungo, nelle singole curie, di attribuire alle deposizioni scritte dei testimoni, quali venivano sottoposte all'esame dei giudici, il valore di semplice presunzione di verità, che normalmente attendeva la solenne conferma in giudizio dalla prestazione del giuramento deferito di ufficio a quei testimoni, le cui dichiarazioni erano ritenute influenti sulla decisione della controversia; subordinandosi dai giudici la condanna o l’assoluzione all’effettiva prestazione del giuramento dei testimoni insieme a quello della parte che li aveva prodotti. L’ influenza della istituzione germanica dei “ sacramentales , è palese in questa pratica. Se nel raccogliere ed imbreviare le deposizioni dei testimoni che la parte intendeva produrre in giudizio, il notaio avesse agito come ufficiale dei consoli nella esplicazione di una potestà a lui conferita dallo stesso giurisdicente, non vi sarebbe stata ragione di sottoporle al controllo della ripetizione e conferma nella pubblica udienza. L’interpretazione degli statuti di Bologna del 1250 sulla tariffa per la redazione delle confessioni giudiziali e delle sentenze interlocutorie, in quanto accennano a notai che non sono “ notarii comunis ,, è assai dubbia, in presenza della triplice distinzione desunta dalla stessa collezione statutaria di “ notarii speciales, notarii ad curiam , e “ notarili “extra curiam ,. Quanto alle “ carte sindicarie ,y e ai “ libelli appella- “tionis ,, ci sembra evidente che venivano considerati atti di parte. - — BIBLIOGRAFIA 603 Nessuna necessita del concorso, nella loro formazione, di ufficiali addetti alle curie. Per i “ libelli appellationis ,, vi era anche una ragione d'ordine morale che tratteneva gli ufficiali del comune dall’assumersene la redazione: il riguardo dovuto al giurisdicente, la cui pronuncia veniva nel libello impugnata, spesso con espressioni che suonavano accusa di ingiustizia, di ignoranza e stoltezza e perfino di parzialità. Certamente dalle due sentenze dei consoli di Padova e di Bergamo e dato argomentare la mancanza, alle date rispettive, di notai-ufficiali presso i due consolati. Ma quando si vuol porre questa circostauza in relazione col caratterè arbitrale dei due giudizi, per dire che dunque i comuni di Padova e di Bergamo, il primo nei 1138 e il secondo nel 1144, Si consideravano ancora enti di diritto privato, alla attivita dei cui organi non si poteva attribuire altra base di autorità che il consenso deile parti, noi ci permettiamo di osservare che così dicendo si trascura di tener conto dell’indole particolare delle controversie decise con ie suddette sentenze. Oggetto della disputa del 1138 avanti i consoli di Padova, era la pretesa di Ugucciune da Baone su certe terre, quale feudo dei canonici della cattedrale. La causa era stata discussa a lungo nella curia dei vassalli della canonica, foro competente secondo gli usi dei feudi, e già decisa a favore della canonica. Uguccione non si era dato per vinto, e con violenza aveva ripreso il possesso delle terre. Per evitare guai maggiori * utraque pars se iudicio consulum civitatis, datis pignoribus, summiserunt ,. Dopo che la speciale giurisdizione, competente nella soggetta ma teria, si era definitivamente pronunciata, solo il consenso delle parti poteva ancora dare vita ad un giudizio straordinario avanti un’altra magistratura; la quaie in questo caso veniva a derivare i propri poteri giurisdizionali non tanto dalla pubblica funzione ch’essa normalmente si attribuiva, quanto dalla elezione, libera almeno in apparenza, dei con.- promittenti. Diciamo libera in apparenza. Perocchè sappiamo troppo bene che nella generalità dei casi la forma dell’arbitrato, che si riscontra in molti giudizi consolari, aveva lo scopo di eludere le future eccezioni di nullità per incompetenza nei reclami avanti le curie imperiali o nei nuovi giudizi avanti i tribunali ecclesiastici, che la parte soccombente non avrebbe mancato di proporre; ed è pure noto che spesso il convenuto, se ecclesiastico o per altro titolo esente dalle giurisdizioni comunali, veniva condotto con argomenti assai persuasivi, a sottomettersi al giudizio dei consoli. Per quanto scarsi sieno i documenti rimastici intorno all’attività degli organi del comune di Padova nella prima meta del secolo XII, ad escludere rispetto a questo comune e a quel periodo di tempo, il concetto di un ente costituzionalmente privato, esercitante pubbliche funzioni entro l’ambito ristretto delle persone che ad esso appartengono, per mezzo di commissioni temporanee, i collegii consolari, costituiti di volta in volta che se ne presentava l’occasione, ci sembra che basti il ricordo delle guerre che i padovani sostennero in quegli anni contro (GO ogle 604 BIBLIOGRAFIA Venezia (1111 e 1142-1147) e contro Vicenza e Verona (1147), dei t:attati di pace stipulati coi rappresentanti le città nemiche (1) e di un atto del 1142, (2) col quale, nella pubblica “ concione , il conte, otto consoli, tre “ merighi, e sette “jurati , fecero vendita di un pezzo di pascolo appartenente al “comune civitatis , per destinarne il prezzo al pagamento del soldo dovuto “ militibus extraneis qui serviverunt comune “ civitatis in hostes ,. L'intervento nella “ concione ,, di un triplice ordine di funzionari — consoli della città, “ merighi , delle consorterie dei quartieri, e giurati preposti alla custodia dei beni comunali, — l’esistenza di un demanio immobiliare dell'ente comune, l’assunzione al proprio soldo di militi forestieri per fare la guerra, tutto rivela che le istituzioni comunali si erano consolidate e che il comune si trovava in un periudo abbastanza avanzato del suo sviluppo. Ci pare quindi impossibile rispetto a questo comune pensare che appena quattro anni prima i suoi collegi consolari rossero delle commissioni temporanee, alle quali venivano affidati incarichi per cause momentanee e occasionali. Se l’interesse politico di prevenire gravi conflitti che potevano turbare la pace cittadina, spiega l’intervento, sotto la veste di arbitri, dei consoli padovani nella controversia fra i canonici e Uguccione, uno fra i più potenti personaggi di Padova, un interesse ancora più elevato per la pubblica economia della città e del comitato dà ragione dell'intervento nel 1144, sotto una veste analoga, dei consoli di Bergamo nella vertenza del vescovo coi vicini della valle di Ardesio, relativa all’esercizio delle miniere di ferro, che costituivano una delle maggiori ricchezze del territorio. Se a Padova sono scarsii documenti sull’attività dei consoli nella prima metà del secolo XII, e se l’autonomia di quel comune, come degli altri della Marca, tardò alquanto ad affermarsi in tutta la sua pienezza per il persistente esercizio delle giurisdizioni del marchese e dei conti, quanto a Bergamo non vi è dubbio invece che nel 1144 l'autonomia piena del comune e il regolare esercizio delle giurisdizioni da parte dei consoli datavano da oltre un ‘ventennio; come ne fa fede il * Pergaminus, di maestro Moisè da Broilo (3). Il Torelli ritiene, crediamo giustamente, che il notaio abbia per qualche tempo prestato al comune la propria opera senza essere ad esso ‘legato da altro rapporto che non fosse quello momentaneo e specifico in cui egli si trova col privato che lo richiede del suo ministero per un atto determinato, escludendo così che nel periodo più antico il notaio redattore degli atti del comune fosse impiegato comunale; ed osserva che il fatto non toglie che le autorità pubbliche dovessero anche allora preferire un notaio all’altro e che il grado di capacità e (1) Giuria, Cod. dipl. pad., II, doc. 440 e 1541. (2) Ibid., Il, doc. 409. i (3) Capasso C., Il « pergaminus » e la prima età comunale a Bergamo, in questo .irchivio, a. XXXIII, fasc. XII, 1906. Tized ty — E BIBLIOGRAFIA 605 la pubblica considerazione potessero per un certo tempo, a volte molto lungo, conservare ad un notaio la fiducia degli amministratori del comune. Notaio di fiducia adunque, di fiducia persistente, non notaio ufficiale e molto meno... cancelliere. Qui però è da osservare che quando si parla di periodo più antico del comune per limitare ad un periodo posteriore la presenza, nei quadri dell’ente, di un notaio incaricato di redigere gli atti come funzionario del comune, si vaga un po’ troppo nell’indeterminato. L'esempio ricordato dal Torelli, del comune di Genova, che nel 1122 approva uno statuto per la nomina dei “ clavarii, scribanique, cancellarius pro utili- “tate reipublice ,, che coincide col mutamento verificatosi in quell’anno nella evoluzione del consolato, divenuto annuale, può essere invocato per dimostrare che, non appena superato il periodo iniziale del comune, moventesi alla ricerca di organi adatti ‘alle condizioni della propria vita, e consolidatosi il suo funzionamento con la istituzione del turno annuale dei consoli, si provò il bisogno di porre accanto o, come in fatto si costumava, “ad pedes ,, della funzione del collegio, nel quale si concentrava la somma del potere, quella più modesta, in parecchi luoghi permanente, di ufficiali incaricati della redazione = della conservazione degli atti “ pro utilitate reipublice ,. Nel riscontro dell'esame minuzioso, diligente e assai fruttuoso che il Torelli ci offre dei documenti comunali del secolo XII, delle principali città dell’Italia settentrionale con riguardo all’organu che li redigeva, amiamo soffermarci particolarmente sui documenti di Milano, in vista della discreta conoscenza delle carte medievali di quella città da noi acquisita. Ammette il Torelli che l’ultima delle qualifiche attribuitesi da LLandolfo juniore intorno al 1136 di “lector, scriba, puerorum eruditor, “pubblicorum officiorum et beneficiorum particeps et consulum episto- “larum dictator , denota l’esistenza presso il comune di Milano della funzione del: “ dictator , come ufficio vero e proprio. Ma soggiunge che al fortunato accenno del cronista non rispondono con troppa larghezza le notizie che ci fornisce i! materiale documentario noto. A noi sembra però che la notizia basti intanto a riconoscere per Milano, almeno a partire dal secondo quarto del secolo XII, la presenza e relativa stabilità presso il consolato di un ufficio, quello del redattore delle lettere dei consoli; la cui funzione, se non poteva dirsi specifica del notaio, era certamente una di quelle che più si coordinano al concetto di una cancelleria di stato. Nè la notizia è del tutto isolata, siccome è parso al valoroso e diligente scrittore. Oltre alla coincidenza con l'istituzione già ricordata degli * scribani , e del “ cancellarius , presso il consolato di Genova, giova rammentare le più antiche “artes dictaminis, di origine lombarda, del tempo di Lotario III (1). In una d’°esse, l’“ aurea gemma Wilhelmi,, vi è una (1) WATTENBACH, Iter austriacum, in Archiv fur Kunde CEsterr. GeschichisQuell., XIV, I, 1855, Anhang, 26-27, e Beilage, 67-94. LO ogle 606 BIBLIOGRAFIA lettera di Lotario “ omnibus mediolanensibus minoribus cum maioribus, che risponde ad una legazione a lui diretta per confermargli la fedeltà dei milanesi. In altre due lettere si accenna alla guerra fra Milano e Como che terminò nel 1126 con la distruzione di Como. Più importante è il “tractatus de dictamine,, di origine cremonese, contenente ben ottanta lettere scambiate, in apparenza, fra l’imperatore (Lotaric), il papa (Innocenzo III), il patriarca di Aquileia (Pelegrino), l’arcivescovo di Ravenna, i vescovi di Cremona, Firenze, Brescia, Piacenza e Modena e fra ì cremonesi, i pavesi e i milanesi. Sono notevoli specialmente una lettera a Lotario dei “ cremonenses consules et ceteri cives ma- “iores cum minoribus, che accompagna l’invio di l: gati all’imperatore, una dei “papiensium consules et populus, ai “ cremonensibus consu- “libus ac civibus , per proporre un congresso a Roncalia insieme ai piacentini allo scopo di avviare pratiche, eventualmente anche coi milanesi, in vista della imminente discesa in Lombardia dell’imperatore, ed una dei “ mediolanensium consules et universus populus , a tale “Paradisio illustri et magnifico viro y per invitarlo ad assumere il comando del loro esercito che doveva muovere in campo contro l’esercito dei cremonesi. La serie di queste lettere, scritte per servire di modello ai “ dicta- “tores, delle curie dei principi, laici ed ecclesiastici, e dei corpi comunali, lascia comprendere quanto frequente doveva essere presso i comuni lombardi fino dal primo quarto del secolo XII lo scambio di lettere con altri comuni, col sovrano e con alti personaggi, per chiedere o fornire notizie sugli avvenimenti politici del giorno, formulare proposte di congressi e di leghe, chiedere soccorsi, accreditare legati, inviare omaggi, intimare divieti e proteste. La concatenazione degli avvenimenti, l'indole talora complessa e ia durata dei negoziati che formavano oggetto della corrispondenza ufficiale, pubbiica o segreta, del comune, dovettero ben presto far sentire il bisogno di provvedere alla custodia delle lettere ricevute e alla trascrizione in liste o quaderni delle ininute delle lettere spedite. Pare logico ritenere che queste operazioni a Milano, come a Cremona, a Pavia e a Piacenza, il gruppo dei comuni lombardi che precedettero gli altri nella costituzione dei propri organi, rientrassero nelle normali mansioni dei “dictator epistolarum consulum , che si e visto a Milano verso il 1136 e torse da un decennio o più, rappresentato dal chierico Landolfo, letto: e, scriba, ecc. Il Torelli nota che dopo il passo surriferito del vecchio cronista la prima esplicita menzione di un notaio del comune di Milano è del 1183. Nel 16 febbraio 1213, in giudizio avanti i consoli di giustizia, il sindaco di una delle parti vuol sapere se un notaio colà presente fece l’imbreviatura di una sentenza dell’anno 1183, se la scrisse di suo pugno “et si quando eam scripsit, erat scriba et officialis consulum iusticie “M. pro faciendis sententiis et aliis scripturis et si eam propter offi- “cium quod tunc habebat, fecit et scripsit ,. Il notaio Ugo da Castegnanega, “ visa illa inìbriviatura , risponde affermativamente. (GO ogle a BIBLIOGRAFIA 607 Questo notaio aveva scritto e sottoscritto qualificandosi “ ego Ugo qui dicor de Castegnanega sacri palatii notarius , numerose sentenze consolari dal 1182 al 1207, aggiungendo dal 1187 in poi la qualifica di “iudex et missus d. Federici imperatoris ,. Per il periodo anteriore il Torelli ricorda in ordine retrogrado i seguenti notai presunti ufficiali del comune: | 1.° “ Rogerius Bonafides iudex ac missus d. secundi Chunradi regis , che redasse molte sentenze consolari dal 1170 al 1179; 2.° “ Petrus bellus de Beccaria ,, redattore di una sentenza consolare 2I maggio 1170; 3.** Petracius qui dicor de Sancto Calocero ,, che scrisse il neto statuto agrario 20 settembre I170; 4.° “ Rogerius iudex et missus d. secundi Chunradi regis,, reda:- tore di due atti 6 agosto 1159 e 2 ottobre 1156, portanti il primo la vendita fatta dai consoli di un pezzo di terra, il secondo la concessione di un privilegio alla chiesa di S. Giorgio in palazzo, e di due sentenze consolari dello stesso anno 1156; 5.° “ Dominicus iudex ac missus d. regis ,,, redattore di sentenze consolari dal 1150 al 1153. 6. “ Anselmus notarius et iudex ,, qualificatosi qualche volta “ mis- “sus d. secundi Chunradi regis ,, che scrisse quasi tutte le sentenze consolari dal 1138 al 1150. A proposito di questo giudice Anselmo il Torelli rammenta che in un nostro studio di storia santambrosiana, accennando alla sentenza consolare II luglio 1143 stesa da lui, lo abbiamo qualificato “ cancelliere dei consoli ,, e che ad una sua richiesta di chiarire il significato della qualifica, abbiam» risposto ch’essa rispondeva alla constatazione deil’ufficio di redazione degli atti consolari dal giudice Anselmo costantemente tenuto per dodici anni, senza voler con ciò affermare che a quell’ufficio fosse data la particolare denominazione di cancelleria. L’egregio scrittore mostra di convenire con la sostanza delle nostre spiegazioni, riconoscendo che appunto la presenza costante del giudice Anselmo presso i consoli non lascia dubbio ch’egli coprisse un ufficio, la cui esistenza è resa probabilissima anteriormente dal ricordo dell’ufficio analogo tenuto dal chierico Landolfo. Al difetto quasi assoluto di altri documenti comunali all’infuori delle sentenze consolari per il periodo più antico, dovrebbe attribuirsi la ragione che solo del notaio redattore delle sentenze è giunta sino a noi notizia e che quindi è difficile riscontrare quella moltiplicità di notai che l’azione di magistrati diversi potrebbe facilmente mostrarci. Dobbiamo a questo punto chiedere venia all’egregio studioso, il quale aveva fatto appello alla nostra memoria sui risultati delle ricerche condotte negli archivi milanesi e in particolare sul significato della espressione che aveva destato le sue preoccupazioni, se la memoria ci ha tradito e se alla nostra volta, preoccupati di avere attribuito all’ufficio del giudice Anselmo una denominazione storicamente impropria 608 BIBLIOGRAFIA od equivoca, ci siamo itidustriati di correggere od attenuarne la portata eliminando quanto in essa di preciso e di specifico si avrebbe potuto ravvisare. Sta in fatto, e ce ne siamo avveduti ora che, per renderci esatto conto di questa parte del lavoro del Torelli, abbiamo levata la polvere a vecchi schedari e riletto i pochi nostri scritti di storia milanese, che la qualifica di cancelliere dei consoli non fu da noi data ad Anselmo solo in vista del ministero prestato, durante il periodo di dodici anni, di redattore delle sentenze deî consoli, ma sopratutto perchè avevamo riscontrato che con tale denominazione lo si era chiamato in un notevolissimo atto forense dell’anno successivo alla ricordata sentenza consolare del 1143; e cioè nell’“ allegatio iuris ,, stesa, come a noi sembra, dall’insigne giurista ed uomo consolare milanese, Gerardo Pesto, presentata nell'interesse del monastero di S. Ambrogio ai legati apostolici Guido ed Ubaldo nel giudizio provocato dai canonici della stessa chiesa sopra molteplici questioni, delle quali la maggior parte erano state decise dalla sentenza dei consoli, e da noi pubblicata, non senza qualche errore, nello stesso studio di storia santambrosiana. + Nell'ultima parte dell’ allegatio , si rammenta che il preposto della canonica aveva presentato “ querimonia apud consules supra oblatione “et parochia et campanili quoque novo ecc. ,, e si soggiunge: “ quo “modo autem consules causam per convenientiam ex precepto domini “ Robaldi venerabilis archiepiscopi et eo presente et utrique parti ut “consulum preceptum parerent precipiente . iure iurando insuper ab “utraque parte adhibito . finierint. ex tenore instrumenti per cancella- “ rium consulum pubblice contecti quam plenissime cognoscitur ,. Cangelliere adunque dei consoli, che come tale stende e firma gli atti dal comune emanati dalla suprema sua autorità politica, amministrativa e giudiziaria; per quanto in ossequio alla tradizione il giudicenotaio Anselmo non abbia mai nella sottoscrizione delle sentenze dei consoli assunta una tale denominazione, e si sia modestamente accontentato delle comuni qualifiche di “iudex et notarius y. Si tratta di ben sedici sentenze nello spazio di tempo di dodici anni. Sino al 1145 Auselmo è il solo notaio-cancelliere che redige e scrive le sentenze. Due del 1145 ed una del Ir48 sono scritte da “ Mussus sacri palatii notarius ,, ma sottoscritte da “ Anselmus iudex et missus, ecc. ,; il che fa pensare che fossero state Yedatte ed imbreviate da Anselmo e date da scrivere a Musso, suo collaboratore, per la formazione dell’ “ instrumentum no- “ ticie , destinato alla parte vittoriosa. La circostanza che i due soli atti consolari (1) (2 dicembre 1156 e 6 agosto II59), estranei all’esercizio della funzione giudiziaria, che si conoscono, del periodo anteriore alla distruzione della città, sono redatti (1) Della maggior parte degli atti consolari milanesi che ricordiamo, si hanno notizie precise nelle Memorie spettanti, ecc., di Milano del GiruLini. La serie delle sentenze del sec. XII è stata illustrata in quest’ Archivio (XXXII, fasc. II, p. 229 e sgg.) dal RIsoLDI. T b: - ae x rs VA RR BIBLIOGRAFIA 609 dallo stesso giudice Rogerio Bonafede che dal 1154 in poi è il redattore ordinario delle sentenze consolari, conferma che la qualifica di “ can- “ cellarius consulum , attribuita dall’autore della “ allegatio , del 1144 al giudice Anselmo aveva il preciso significato di ufficiale stabilmente incaricato della formazione degli atti, sia politico-amministrativi che giudiziari, emanati dal corpo consolare, sdoppiatosi verso il 1155 nelle due sezioni dei consoli del comune e dei consoli di giustizia. All’obbligo della formazione degli ‘atti consolari si sarà aggiunto quello della conservazione e custodia delle relative minute o imbreviature e di tutte le altre carte, quaderni e liste anche degli ufficiali inferiori (massari, canevari, ecc.), compresi i quaderni delle lettere del “ dictator ,, ch’era utile tenere a disposizione dei consoli. Nè crediamo del tutto accidentale la coincidenza nella qualifica di cancelliere assegnata a questo ufficiale dei due principali comuni dell’Italia settentrionale, dall’annalista Caffaro e dal giudice milanese Gerardo Pesto. L’annalista dovette farsi eco della denominazione data all’ufficio con marcata analogia a quello corrispondente delle curie imperiali e regie. In particolare per Gerardo la denominazione rispondeva alla tendenza che si nota nella sua grande attività in seno al comune, di affermare la pienezza della sovranità della metropoli lombarda, chiamata a dominare l’antico regno dei longobardi, spezzando i vincoli tradizionali coll’impero. Non bastava essere liberi; si voleva poterlo affermare solennemente in ogni pubblica manifestazione della vita comunale. Sebbene egli stesso fosse messo regio, fino dalle prime sentenze consolari cui partecipa nel periodo anteriore alla distruzione della città, a differenza degli altri giudici milanesi, omette di assumere questa veste, e nella sottoscrizione aggiunge al proprio nome i titoli di “ consul , o di “ considicus ,. Egli è il primo che, dopo il ritorno dei milanesi in patria, al predicato consueto di “consul comunis , sostituisce quello solenne di “ consul reipublice ,. S1 comprende da ciò che Gerardo Pesto amasse designare il notaioufficiale dei consoli con un titolo che doveva richiamare alla mente la costituzione e il funzionamento di una curia sovrana. D'altra parte le tradizioni pre-comunali incorporate nelle classi assai numerose ed influenti dei notai e dei giudici avranno reagito tenacemente contro tendenze innovatrici, nelle quali sì vedeva il pericolo di futuri pregiudizi ad antichi privilegi, a monopoli e lucri consueti, Db: qui il contrasto fra la pratica seguita dal notaio-ufficiale che, riguardoso per i vincoli corporativi con la classe notarile, omette, nella sottoscrizione, qualsiasi qualifica atta a designare la funzione stabilmente conferitagli, e le aspirazioni degli uomini più illuminati, orgogliosi della dignità e del prestigio del comune. Risorto questo a nuova vita nel 1167 dopo il ritorno dei milanesi nella città distrutta, il giudice e messo regio Rogerio Bonatede riprende l'ufficio che aveva abbaudonato con la dissoluzione del comune. Ma egli non è più solo a fungere da notaio-cancelliere in ambedue i corpi consolari. La mole sempre crescente degli affari che gravava sui due Arch Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. III. 34 CO ogle 610 BIBLIOGRAFIA consolati, portò da prima alla divisione del lavoro. Il Bonafede rimase alla camera dei consoli di giustizia; la funzione di ufficiale o scriba dei consoli della republica fu assegnata a Petracio da San Calocero che nel 20 settembre 1170 redige nella publica “concione ,, il già ricordato statuto agrario. Due anni dopo vedremo costantemente intervenire nella sottoscrizione delle sentenze due e qualche volta tre notai. Durante un ventennio Rogerio Bonafede alterna con Ugo da Castegnanega la redazione dell’atto nell’istrumento rilasciato alla parte. Quando uno dei due scrive, l’altro controfirma; il che pare voglia significare che il secondo ha imbreviata la sentenza nei suoi quaderni o schede e ne ha fatto scrivere l’ “instrumentum noticie , dal primo. A quest'epoca, doveva essere ormai venuta meno l’originaria unità dell’ ufficio di redazione e scritturazione degli atti comunali. Da allora in poi e fino ad un certo periodo dopo la costituzione della signoria viscontea non si sentirà più a Milano parlare dell’ufficio del “ cancelliere , (1). E qui avremmo terminata la breve serie degli appunti che ci siamo, permessi di avanzare intorno alle cose dette dal dutt. Torelli sui documenti comunali di Milano del secolo XII; se l'affinià dell'argomento non ci tentasse ad esporre brevemente alcune osservazioni sui caratteri specifici che presenta l'esercizio delle giurisdizioni dei consoli di Milano nelle sentenze del primo periodo fino alla caduta del comune nel 1162, e che c’inducono a rigettare, almeno rispetto al consolato milanese anche nei primi suoi anni di vita, quel concetto di commissioni occasiunali e temporanee, emananti da un ente costituzionalmente privato, cd esercitanti una funzione pubblica nella forma privata degli arbitrati, sotto il quale il Torelli, troppo, a nostro parere, generalizzando, considerò, abbassandoli, così l’organo, come l’ente. Occorre distinguere bene cosa da cosa. Altro è sapere quando il comune, ente politico, è costituito, ed altro determinare l’epoca e le forme nelle quali i suoi organi cominciano ad esercitare funzioni giudiziarie. Alla costituzione e al funzionamento del comune-città, come ente di diritto publico, riconosciuto o non dall’imperatore poco importa, l'esercizio delle giurisdizioni non era indispensabile. Quando vediamo, e l'osservazione è già stata fatta per Padova, un comune indire guerra ad altri comuni, stringere leghe, stipulare trattati di pace, obbligare a prestare servizio nell'esercito, a piedi od a cavallo, con buoi e carri, secondo le rispettive condizioni gli abitanti del territorio, esigere da essi tributi, coartarli a lavorare nella costruzione del muro e dei fossati della città, a scavare canali, aprire strade, allora diciamo che esiste un ente non privato, il quale di fatto esercita i più alti diritti della sovranità; per quauto protesti di riconoscere l’alto dominio dell’imperatore, che è lontano e non ha mezzi per imporre l’obbedienza, e sebbene tolleri la presenza nella città o nel territorio di qualche organo legittimo, a (1) Unica eccezione l’atto del 1242 publicato dal Frisi, che il Torelli ricorda, in cui il notaio rogante si qualifica « canzelarius comunis Mediolani ». BIBLIOGRAFIA G6II titolo beneficiario o personale, dello stesso imperatore e nori lo abbia ancora spogliato di tutti i suoi diritti e dei lucri inerenti all’esercizio delle proprie funzioni. Vi è qualche città (ad es. Trevisu), in cui il conte ha continuato sino oltre la metà del secolo XII a tenere pubblici placiti. Vassalli del conte o del vescovo e vassalli diretti dell'impero esercitano le giurisdizioni sopra qualche zona più o meno estesa del territorio, soggetta per ogni altro rapporto al distretto del comune. Nella marca veronese, al di sopra delle giurisdizioni dei co..ti e dei signori territoriali, vi è quella del marchese. Al disopra di tutti si eleva la giurisdizione dell’imperatore; ch’egli esercita in persena quando discende in Italia e vi tiene i suoi placiti, in caso diverso per mezzo dei suoi messi straor. dinari, alti dignitari dell'impero che vengon d’oltre monte ad amministrare giustizia in suo nome, ovvero ordinari, territoriali, che ’amministrano con le stesse forme e gli stessi poteri nelle circoscrizioni per le quali il sovrano li tia istituiti. | Ma non è a credere che l'esercizio delle giurisdizioni da parte dei conti, dei marchesi e dei messi sia sempre l’espressione di una potestà in aperto ed effettivo antagonismo col comune, o tale da dominarlo interamente. Il più delle volte, forse perchè è stato superato un perivdo burrascoso di lotta e di resistenza gda parte del’investito, non esprime che l’osservanza di una tradizione, che si farebbe volentieri cessare se dal comune si disponessero ì mezzi per corrispondere all'altra parte un compenso adeguato alla perdita dei lucri delle giudicature, Comunque, l’esercizio stesso viene controllato e contemperato dallo intervento, nei placiti, dei maggiorenti del comune, col cui consiglio chi presiede il giudizio pronuncia la decisione, Milano si trovava nella singolare condizione di avere avuto cuntinuamente vacante il comitato dalla seconda metà del secolo X in poi. AAbbia:no gia avuto occasione di indicare le ragioni di questo trattamento fatto dagli imperatori a Milano; determinato sopratutto dalla grande influenza politica dell’arcivescovo-metropolita, potente per 1 vasti possessi territoriali în tutta la provincia, e per l'autorità quasi dispotica esercitata sopra i suffraganei, che gii dava modo di estendere la propria azione ben oltre non solo i ristretti contini del comitato milanese, ma quelli assai più lati dell’archidiocesi. Negata all'arcivescovo la dignità e le funzioni di conte territoriale, cuncesse ad altri vescovi lombardi, che lo avrebbero reso arbitro presso che assoluto della città e del territorio, si provvide alle necessità della vita civile con la nomina di messi regi, investiti delle più larghe giurisdizioni civili e penali nella città e nel comitato, talvolta anche nei comitati limitrofi del Seprio e di Pavia. Seguendo la massima di governo, di tenere diviso il potere fra più organi e di suscitare così germi di antagonismo fra i diversi investiti del potere, si largheggiò nella concessione di importanti regalie ali'aurcivescovo; che divennero ben presto preda, sotto le solite forme beneficiarie, dei più invadenti nella res 612 BIBLIOGRAFIA sa dei “ milites ,, che gli stavano ai fianchi. L’esercizio della giurisdizione ordinaria in città e nei comitati, salvo qualche eccezione per le corti dell'arcivescovo e dei vassalli dell'impero, divenne funzione pressoche esclusiva di un numero ristretto di messi regi, scelti in seno alle famiglie più cospicue della città, che ne ripetevano i poteri da una delegazione sovrana, di carattere personale, destinata ad estinguersi con la morte del titolare. 1 termini di queste delegazioni ci sono noti da due lettere di Enrico II. del maggio 1015. Contengono la concessione della potestà di “difinire omnes lites ac intenciones per pugnam et legale iudicium “tanquam ante presentiani nostram vel nostri comitis palatini, et dare “advocatores clericis et tutores viduis et orfanis sicut nos ipsi,. La funzione doveva essere ambita e tenuta in gran conto anche per 1 lucri inerenti al suo esercizio. Il precetto fatto al messo come ad ogni altro giusdicente, dalle leggi imperanti, di tenere i placiti in luogo aperto al pubblico e di farsi assistere da un certo numero di giudici e dj cittadini dai quali doveva prendere consiglio prima di pronunciare la sentenza, costituiva una garanzia contro il pericolo di arbitrio e di preLotenza da parte di chi si fosse ©:ntito portato ad abusare dell’ulficio a scopo di vendetta o di prevaricazione. Sembra che il numero dei messi regi sino all’ultimo quarto del secolo XI fosse assai ristretto; non più di due o tre contemporaneamente. Poi il numero va crescendo; tal che ne troviamo in funzione sette nell'ultima decade del secolo, e dieci nella terza del successivo. La coesistenza di giurisdizioni parallele e concorrenti è un tfenomeno abbastanza comune nel medio evo. La competenza si determina dalla prevenzione. Con questo semplice criterio si scioglievano in pratica le apparenti difficoltà per la presenza nello stesso luogo, di un certo numero di magistrati investiti di pari giurisdizione, che ognuno era chiamato ad esercitare come giudice singolo. L'attività esplicata per oltre un secolo da questa magistratura attraverso le lotte accanite che sconvolsero la metrupoli in tutti gli ordini del clero e del laicato, tinchè potè trovare il proprio assetto ed equilibrio nel cor. une, dimostra ch’essa aveva in sè 1 requisiti necessari per soddisfare le esigenze, certo assai modeste, della collettività. Ii comune formatosi a Milano dalla unione dei tre ordini, dei capitani, dei vassi c valvassori e dei negoziatori (indi chiamatu, più genericamente, cittadini in contrapposto ai militi dei primi due ordini) che vediamo disegnarsi timidamente nella costituzione del 1067 dei legati apostolici Mainardo e Giovanni Minuto, (1) è già formato ed organizzato negli ultimi anni del secolo XI dopo la vittoria del clero minore e di quella parte del laicato che nella lotta delle investiture aveva seguito il papato contro gli arcivescovi di nomina imperiale e le grandi famiglie dei capitani, parteggianti per impero e per l’autonomia della chiesa milanese. Per il nuovo ente, che nei primi brevi passi si tene legato all'ar- (1) GiuLinI, op. cit., IV, p. 127. BIBLIOGRAFIA 613 civescovo e al clero maggiore, sfruttando l'antica organizzazione della chiesa metropolitana, è di grande vantaggio avere nel proprio seno persone legittimamente investite dell’esercizio delle giurisdizioni. Nessun bisogno di ricorrere alla violenza o alla frode per spogliare i rappresentanti dell’autorità legittima del potere fino allora esercitato, e sostituire alle loro curie la nuova curia comunale. Era il caso invece di servirsi dell’opera dei messi regi per legalizzare i pronunciati della nuova magistratura. Diversamente da quanto si verificava in altre città, ove erano famiglie comitali e marchionali investite della potestà. giurisdizionale a titolo beneficiario, o vescovi-conti, concessionari, per donazione sovrana, del distretto e delle giurisdizioni, era possibile coordinare l’esercizio dell’antica funzione dei messi con le nuove esigenze della vita pubblica. Al concorso che giudici e cittadini erano chiamati a prestare come astanti nei placiti del messo, si sarebbe sostituìto, con inversione della rispettiva posizione, l'intervento di uno o più messi regi nel giudizio collegiale dei consoli; sia che 1 messi cumulassero il proprio ufficio con quello dei consoli, sia che figurassero quasi in soprannumero; salvo in ambedue i casi, ad apporre alla sentenza la propria sottoscrizione con la qualifica di “iudex et missus domini regis...,, a guisa di suggello di legittimità. Poste su queste basi le giurisdizioni comunali, non vi era più motivo per dubitare della legalità delle pronuncie dei consoli. Se ne sarebbe screditato senza ragione il prestigio, se normalmente si fosse fatto ricorso alla forma dell’arbitrato volontario, per rendere, sulla base dell’apparente consenso delle parti, effettiva ed obligatoria l'emananda decisione. L’adito all’arbitrato rimaneva aperto in via eccezionale quando si tusse voluto eludere i divieti fondati su privilegi ed immunità ecclesiastiche, o quando ì contendenti avessero di comune accordo preferito questa forma di giudizio, che presentava il vantaggio di rendere improponibile avanti ogni altra autorità qualsiasi controversia sui punti di questione decisi dagli arbitri, come si di eva “ per convenientiam ,. L’ultimo atto steso a Milano nella forma tradizionale delie sentenze proferite nei placiti dei messi regi, che noi conosciamo, è del 5 marzo 1093 (1). I due messi, Milano-Ottone e Ambrogio-Pagano, avevano fissato la sede del tribunale nella corte del giudice Alberto, presso la chiesa di S. Sisto “ ad iusticias faciendas et deliberandas causas ,. Facevano loro corona altri sei giudici ed erano pure astanti dieci cittadini, dei quali crediamo di riconoscerne due della classe dei capitani, due o tre della classe dei valvassori, e alcuni di quella dei “ cives. , Le apparenze sono di un giudizio; ma nella sostanza non si tratta d’altro che della omologazione (ruboratio) con l’autorità dei messi regi, di un atto di vendita immobiliare, affinchè le relative “ cartule.... sile ntes “ non Sint ,. e facciano tacere le eventuali impugnative dei terzi; chiude (1) ASM, perg. della can. di S. Ambrogio. Go ogle 614 BIBLIOGRAFIA con la solita formula “ et sic finita est causa , e reca la sottoscrizione dei due messi, presidenti del placito, e di cinque giudici, il sccondo dei quali, Eriprando, si dice pure “ missus domini III. Henrici “ imperatoris ,,. Il primo atto giudiziario nel quale intervengono i consoli del cuimmune è il noto “ preceptum , emesso nel 1117, in un placito presieduto dall’arcivescovo Giordano, assistito da preti e chierici dei due ordii 1, essendo presenti i consoli di Milano in numero di dieciotto e un discreto numero di capitani, di valvassori e di cittadini (1). Postulante è Arderico, vescovo di Lodi, il quale chiede si confermi l’ annullamento delle vendite, infeudazioni e distrazioni delle terre della chiesa lodigiana, latte dal suoi predecessori scismatici, già pronunciato dallo stesso Arderico “ in pubblico arengo ...adhuc integra civitate Laudensi , (2). Un messo regio, l’Anselmo che fungerà da ufficiale-cancelliere del coi.- solato, redige l’atto. L’arcWwescovo, come metropolita, aveva piena giurisdizione per conoscere delle “ querimonie , dei suffraganei, relative al patrimonio delle loro chiese. L'intervento in questi giudizi dei laici, consoli e messi regi, è una singolarità di quel periodo tra la fine del secolo XI e i primi decenni del successivo, in cui la discriminazione delle competenze fra vescuvo col suv clero, e popolo e comune non è sempre osservata, ed il comune si ingerisce, spesso coi tumulti delle sue concioni, nella elezione o rimozione del capo della diocesi. Le forine tradizionali del placito si riscontrano ancora in una sentenza pronunciata nel 1125 per definire una lite fra i vescovi di Lodi e di Tortona intorno alla pertinenza del patronato sopra un monastero. Il placito è presieduto dall’arcivescovo Oberto; siedono con lui parecchi vescovi suffraganei e altri chierici, il giudice Gerardc, che, se non assume il titolo di messo regio, sappiamo che era tale, e con lui un certo numero di “ boni homines ,,. Cinque anni dopo (1130) abbiamo la prima sentenza resa direttamente dai consoli seuza l’intervento di altra autorità (3). La causa pendeva tra la chiesa di S. Alessandro di Bergamo e i rustici di Calusco di sopra, della diocesi di Bergamo; aveva per oggetto l’ interpretazione e l’ esecuzione di una sentenza pronuuciata dal vescovo di Bergamo intorno ai diritti di distretto e di signoratico esercitati dalla canonica di quella chiesa sugli abitanti della villa. Fra i consoli intervenuti in numero di sette capitani, sette valvassori e sei cittadini, non riscontriamo alcuno qualificantesi messo o giudice. Ma anche qui, come nei due atti precedenti, il messo regio non manca, sebbene non ne assuma espressamente la veste; è il giudice Ardericu che redige 11 documento, “ ex amonicione predictorum consuluni. , Nel contesto della sentenza non si parla di consenso prestato daile parti (1) VIGNATI, Cod. laud., I, p. 97. (2) Ibid., I, p. 1125. (3) GIULINI, op. cit., VIII, p. 96. Go ogle » BIBLIOGRAFIA 615 alia giurisdizione dei consoli di Milano. L’avocazione da parte di costoro della cognizione della lite costituisce una manifesta usurpazione delle giurisdizioni del vescovo e della città di Bergamo. Nulla, sino da questa prima sentenza, di meno consono al concetto di una giustizia amministrata da un ente costituzionalmente privato sotto le forme dell’arbitrato. L’assenza così nelle serie dei consoli, ccime fra gli astanti ai due atti del 1125 e del 1130, di messi regi, sebbene si trattasse di personaggi fra i più autorevoli della città, e l’omessa qualifica del relativo ufficio nella sottoscrizione dei due notai redattori degli atti medesimi, non ci sembra casuale; molto più se si considera la pratica in senso oppusto instaurata pochi anni dopo ed osservata di poi costantemente. Probabilmente la mancata inclusione: dei messi nel consolato è l’indice di un conflitto sorto fra il comune e ì messi intorno al privilegio da costoro rivendicato delle giurisdizioni; conflitto indi risoluto con un accordo, in forza del quale il comune deliberava di chiamare ogni anno a far parte del cunsolato almeno due giudici-messi regi, e di riservare ai medesimi, e in caso di loro impedimeuto, ai loro colleghi il diritto di sottoscrivere tutte le sentenze e di percepire un compenso in denaro per ogni firma apposta, come surrogato dei lucri degli antichi placiti. La sistemazione dell’esercizio della giurisdizione consolare ci si manifesta iu una prima sentenza del 1138 (1) e in quelle degli anni successivi. Del 1138 in poi dei consoli, i cui nomi figurano nel proemio della sentenza, almeno uno, ma spesso due sono qualificati giudici. Costantemente la sentenza reca la sottoscrizione autografa di questi giudici, che al proprio nome fanno seguire la qualifica “ iudex et mis- “ sus domini.... regis , o “ imperatoris ,. Quando fra i consoli, i cui nomi sono indicati nel proemio dell’atto, vi è un solo giudice, la seconda sottoscrizione è di “ un iudex et missus ,, estraneo al consolato dell’anno in corso. Il significato della sottoscrizione, in ogni sentenza, di due giudici» messi regi, ci pare chiarissimo. Vi è da un lato il riconoscimento che nor era nè giusto, nè equo spogliare interamente i giudici cittadini dei lucri che fino allora aveva ad essi procurato l’esercizio del missatico; dall’altro vi è la constatazione della opportunità di conferire, per mezzo dei messi-regi, alle pronuncie dei. tribunali consolari una garanzia di legittimità che avrebbe dovuto rendere vana qualunque impugnativa per difetto di giurisdizione, che si fosse tentato di sollevare nelle curie dell'impero o della chiesa. Il tradizionalismo, che è uno dei caratteri più spiccati del comune di Milano anche in epoca assai avanzata del suo sviluppo, si rispecchia nella pratica consuetudinaria descritta nel “ liber consuetudinum Me- “ diolani , del 1216 (2). Vì si dice che sino alla pace di Costanza era (1) ASM, perg. di Chiaravalle. (2) MHP, leg., II, I, p. 905. 616 BIBLIOGRAFIA costume che i duelli si tenessero “ in via publica, consule assistente et “ misso regis ,; il quale, dopo. lo svolgimento di un lungo cerimoniale, indiceva la pugna con le parole rituali: “ ego, auctoritate missi regis “ qua fungor, iudico pugnam inde fieri ,,. Il fenomeno della scomparsa del messo regio dalle formalità dei duelli, che gli autori del “ liber con- “ suetudinum , segnalano essersi verificato dopo la pace di Costanza che riconobbe ai milanesi e agli altri lombardi le giurisdizioni, sì era, rispetto alla qualifica di messi-regi, attribuitasi dai giudici firmatari delle sentenze consolari, verificata subito dopo il ritorno deî milanesi nella città distrutta (1167). L'innovazione sembra significare -definitiva rottura con la tradizione imperiale, e affermazione della piena sovranità del comune e delle sue giurisdizioni. Però la innovazione è solo nella forma. La pratica della sottoscrizione apposta negli atti giudiziari da due consoligiudici, coi relativi lucri, continua per lunghi anni; con la differenza che il privilegio si è esteso dalla ristretta cerchia dei giudici-messi regi, a quella assai più vasta di tutti i giudici stabilmente organizzati in “ c. |- “ legium , O corporazione. Nella seconda parte, il campo delle ipotesi e delle congetture si restringe, quanto più si allarga quello dei fatti positivi e concreti, desunti dalle numerose collezioni statutarie e dalla maggior copia di documenti comunali. Qui il dott. Torelli ha potuto distribuire razionalmente la trattazione del lavoro, per materia, raggruppando i dati e le notizie riflettenti le diverse città con riguardo ai requisiti per l’ufficio di notai del comune, alle disposizioni riflettenti l’esercizio dell’ ufficio e lo sti pendio, e alle distinzioni fra notai del podestà e notai dei consigli, fra atti generali e di governo, atti giudiziari, con le suddistinzioni di giustizia contenziosa, civile, criminale e volontaria, ed atti di uffici ammi» nistrativi e finanziari, e con riguardo altresì all’amministrazione delle terre e ville soggette al distretto del comune, e ad altri uffici minori. Il metodo seguito è eccellente; la trattazione dell’ argomento non poteva desiderarsi più approfondita ed esauriente iu tutte le sue parti. L’autore ha usufruito del materiale statutario e documentario fin qui edito, e di parte cospicua di quello ancora inedito. Si è valso con giusta misura, come di fonte sussidiaria, delle trattazioni dottrinali più autorevoli. Qua e là c’incontriamo in brani di lavori di moderni scrittori tedeschi, che toccano qualche punto, quasi sempre secondario, delle questioni trattate nell’opera. Nulla vi abbiamo riscontrato per cui si possa ritenere ch'era necessario od utile di farne conoscere il testo in lingua tedesca. È la solita riverenza che sino a ieri molti dei nostri dotti,ganche fra i più valorosi, costumavano di fare a quelli oltramontani, “ maiores et minores ,; vana ed umiliante, perchè quasi mai ricambiata. BIBLIOGRAFIA 617 Ci limitiamo a presentare brevi osservazioni sui risultati delle ricerche del Torelli intorno ai documenti comunali milanesi del sec. XIII, aggiungendo qualche notizia desunta dai nostri spogli d’archivio. Sui notai del podestà e su quelli addetti ai consigli del comune le notizie sono scarse, mentre abbondano rispetto ai notai di altri comuni. La lacuna si spiega per il difetto di testi statutari milanesi anteriori alla signoria viscontea, e per la parte assai limitata che gli ordinamenti del comune assegnarono per lungo tempo alle funzioni giudiziarie del | podestà e della sua curia, in contrapposto alla funzione tradizionale delle curie consolari e degli altri uftici minori. Il comune ha nel proprio seno le corporazioni numerose e potenti dei giudici e dei notai, attacate tenacemente ai propri diritti e privilegi, ed è costretto a tener conto dei loro interessi professionali. Mentre altrove, appena accolto l’ istituto della podesteria, il podestà assume la somma dei poteri ed amministra giustizia sia personalmente, sia a mezzo dei suoi giudici © vicari, a Milano la giustizia civile ordinaria continua ad essere amministrata dai consoli. Solo col tempo, verso il 1218, il podestà prende a conoscere, e neppure direttamente o a mezzo dei suoi vicari, ma con ’ intervento di giudici cittadini, da lui delegati, delle questioni relative al demanio del comune. I notai che assistono questi ufficiali, si dicono “ ad hoc officium constitutìi per suprascriptos dominos ,. Del resto e per un certo tempo, nè i notai delle curie dei consoli di giustizia, nè quelli che redigono atti podestarili (1218) o per conto del “ canevarius * comunis , (1207-1209) assumono alcuna speciale qualifica indicante il rispettivo ufticio. La qualifica di notai dei consoli comincia nel 1216 in una sentenza redatta da “ Rainerius de Raude notarius ad officium ca- “ mere consulum... constitutus , (I), e si ripete ad intervalli nel 1219 e negli anui successivi con diverse locuzioni: “ notarius et scriba con- “ sulum — scriba constitutus ad acta consulum — scriba camere con- “ sulum, ecc. ,,. Nel 1224 il podestà, e per lui uno dei suoi giudici assessori, giudica in tema di interdetto possessorio “ unde vi ,. Ì contatti della materia col diritto penale e l’urgenza dei provvedimenti richiesti “ ne cives ad arma veniant ,, danno ragione del carattere straordinario di questi giudizii e della loro attribuzione alla curia del podestà; la cui azione poteva svolgersi più celere e più energica di quella delle curie ordinarie dei consoli. Il notaio che nel 22 ottobre 1224 redige un precetto di “ Sigizellus de Baralis iudex et assessor d. “ potestatis ,, Si dice “* scriba comunis M. et illius assessoris ,. La qualifica sì ripete in un atto del 1° gennaio 1225 dello stesso notaio che assiste il medesimo giudice. Dal 1231 in poi gli atti redatti dai notai del podestà o dei suoi assessori, anche quali presidenti dei consigli del comune, si fanno più frequenti; la qualifica è “ scriba palacii comu- “ nis M. ,,, oppure “ scriba camere palacii comunis M. ,. Dal 1250 in (1) ASM, perg. della can. di S. Giovanni di Monza. 618 BIBLIOGRAFIA poi si ha qualche atto della curia del podestà in materia penale. Vi è un giudice-assessore “ qui preest inquisitioni malleficiorum ,. Uno statuto ricordato dal Cerio sotto l’anno 1247 aveva disposto che vi dovevano essere sei notai, uno per porta, sopra il palazzo, da destinarsi dal podestà ai suoi uffici, col salario di lire dieci, più un denaro per ogni atto di confessione, comparizione, licenza, termini, ecc. Intorno alla procedura che si seguiva, per far approvare dai cons gli del comune le così dette riformazioni, alla formazione dei libri dei consigli e delle riformazioni e alla estrazione dai libri stessi di copie autentiche, il Torelli cita un documento del 1228, ove è parola del “ liber consiliorum comunis ,, e un istrumento del 1258 che ricorda il “ quaternus consiliorum ,. Un altro importante documento del 1232 (1) poteva essere tenuto presente. In esso il podestà ordina ad un « nota- “ rius palacii communis , di copiare ed autenticare “ de libro statutorum “ comunis M. qui liber statutorum ibi erat ,, uno statuto ivi trascritto, del quale si riporta il tenore. Lo statuto consisteva in una deliberazione presa il 9 agosto 1232 dal consiglio del comune, ma iniziata il precedente giorno 5 di quel mese, “ reformatum et consumatum ,, il giorno 6, come si era fatto constare dall’istrumento di un notaio “ palacii comunis ,. Il notaio “ palacii comunis ,, al quale il podestà ordina l'estrazione di copia dello statuto, chiude l’atto dichiarando che “ predicta ex statuto comu- “ nis M., mandato ipsius potestatis M., extraxi et imbreviavi in quaterno “ mec ad modum publici instrumenti ut vim et robur publici instrumenti “ ex statutis comunis M. optineat et eis fides adhibeatur tanquam statutis “comunis M.,. Qui vediamo che il formalismo del notariato non consentiva «si formasse un istrumento notarile, fosse pure desunto dagli atti deila più alta autorità dello Stato, senza la relativa “ imbriviatura ,. La prima signoria dei Torriani non segna alcun mutamento sostanziale negli ordinamenti del comune. Napoleone interviene nelle deliberazioni dei consigli come l’anziano, il * primus inter pares ,, del comune, a fianco del podestà. Con la signoria dell’arcivescovo Ottone Visconti si ha la costituzione della curia del capitano del popolo; che in progresso dì tempo si trastormerà nella curia del signore. L’arcivescovo Ottone non ha altre curie che quella della sua chiesa. Egli domina di fatto per l’interposta persona di un capitano del popolo — dal 1279 al 1282 il marchese Guglielmo da Monterrato, nel 1285 il bergamasco Giacomo da Mozzo, nel 1286 il pavese Rogero Catasso, nel 1287 il bresciano Corrado da Palazzo, e dal 1288 sino alla morte di Ottone, il nipote Matteo; il quale assume di poi la signoria, continuando per alcuni anni a farsi chiamare capitano del popolo. Sino dal 1279 il marchese di Monferrato ha un notaio addetto alla sua curia, “ Uberto de Guidono ,, che crediamo non (1) CoLomBo, Docum. Vercelli- Ivrea in Bibl. stor. della Soc. Sub., VIII, 1901. p. 190. i BIBLIOGRAFIA. 619 milanese. Parimenti non milanese ci sembra “ Facio de R chobono ,, notaio nel 1282 di un vicario del marchese. I notai dei tre capitani dal 1285 al 1287 hanno la stessa cittadinanza dei capitani. Consolidatosi con Matteo Visconti il capitanato e la signoria, vediamo fungere nella sua curia per più anni gli stessi notai Franzino da Briosco e Alberto Bossio. Nella stabilità dell’ ufficio assegnato a questi notai presso la curia del signore è dato scorgere in germe la funzione della cancelleria, che andra sviluppandosi ed assumendo forme ed organi .più adatti dopo che Matteo, abbattuto nel 1311 l’emulo Guido Torriano, avrà ripreso con mano più ferma il potere. GeroLAMO Biscaro. E. VERGA, La Camera dei Mercanti di Milano nei secoli passati, aggiunto un Saggio sul palazzo det Giureconsulti dell’ ing. P. Bellini, con 24 tavole in eliotipia. Milano, Allegretti, 1914, pp. xvni-282. Fu davvero felicemente ispirata la Presidenza delia nostra Camera dj) Commercio, quando nel 1914, a celebrare la traslazione dell’ Istituto nel palazzo dei Giureconsulti, volle raccolte in un volume le secolari memorie della corporazione mercantile milanese. AI dott. Ettore Verga, ottimo conoscitore dell’antico archivio della Cainera, depositato da una diecina d’anni presso l'archivio storico Civico da lui diretto, fu dato il non facile incarico: non facile soprattutto a cagione delle vaste lacune che presentano le collezioni dei documenti. Ed il Verga seppe assol. verlo da par suo, estendendo le indagini ad altri archivi cittadini e traendo occasione dalla storia dell’Università dei mercanti per iliustrare consuetudini, leggi, episodi, per rievocare gran parte della gloriosa vita economica di Milano attraverso i secoli. I negotiatores, già ammessi dai Longobardi nell’esercito, godettero sempre presso di noi, anche nei tempi feudali, di una certa estimazione civile; e ben maggiore influsso esercitarono dopo il costituirsi del Comune. Un primo ricordo sicuro della esistenza d’una loro organizzazione (probabilmente più antica) si ha nel 1159; ed è una sentenza prouunciata da quattro Consoli dei mercanti in una causa civile; onde sembra che i Consoli dei mercanti giudicassero non solo di cose commierciali, ma anche d’altre vertenze fra persone addette al commercio. Verso lo stesso tempo Consoli dei mercanti appaiono similmente in altre città. Sotto il 1172 il Fiamma dà varie notizie sulla Corporazione e sui Consoli dei mercanti; e questa magistratura interviene nel 1177 in provvedimenti legislativi e ventidue anni più tardi nell’approvare un trattato di pace con Lodi. Nelle Consuetudini Milanesi del 1216 un capitolo (il 31°) è dedicato a riassumere le attribuzioni di detti Consolì, distinti dalle magistrature comunali, ed in particolare la loro funzione di sorveglianza sui pesi e sulle misure; il 32° tratta del * Dazio della « Ripa , minuscola tariffa di sole ventiquattro voci che nel volgere di Lo ogle 620 BIBLIOGRAFIA un secolo o poco più saliranno a ben 540. Il Verga qui la ricorda, in quanto crede col Giulini che i dazi sulle mercanzie si imponessero e si esigessero dalla comunità dei mercanti. Contro l’avviso del Giulini, tut tavia, egli stima che il dazio di quattro imperiali la libbra sulla seta concernesse la seta greggia od in filo piuttosto che i drappi. La tessitura della seta infatti fu una delle ultime arti che comparisseso in Mi. lano ; ancora Filippo Maria Visconti cercava di allettare con privilegi artefici d’altri luoghi perchè qui venissero ad esercitarla. Negli statuti del 1396, non dissimili in sostanza da quelli (perduti) del 1330 e del 1351, troviamo chiaramente segnate la natura e le attribuzioni della Università dei mercanti, che, a differenza della odierna Camera di Comn.ercio, aveva ampia giurisdizione, così da costituire quasi un Comune nel Comune. La presiedeva un collegio di dodici Consoli della strada, due dei quali a turno tenevano per un bimestre la carica di Abati. Due Consoli di giustizia eletti dai conscli fuori del loro seno curavano la disciplina ed il potere giudiziario. Gli uni e gli altri consoli ricevevano un onorario, ed erano pure salariati altri minori ufficiali: il notaio della Camera (segretario), il camgpsor (archivista), i canevarit (tesorieri), ecc. L’ Università aveva larghi poteri contro i debitori; esercitava una sorveglianza sui banchieri o campsores, sui sensali, sui pesi € sulle misure, sui contratti stipulati da Milanesi in Francia, Borgogna e Germania ed in particolare alle fiere di Champagne; curava le strade e la loro manutenzione con facoltà d' imporre pedaggi; reprimeva l’usura ed altri abusi; giudicava di varie categorie di cause. Vi avevano primaria importanza i negozianti importatori ed esportatori di merci, o wfenles stratis. In processo di tempo, col graduale costituirsi di una classe di intraprenditori, che, quasi intermediari fra grandi mercanti ed artigiani, facevan lavorar questi per conto loro, fornendoli di materìa prima e rivendendo poi il prodotto, sorsero allato della Università dei mercatori speciali corporazioni di trafficanti: prima fra esse, già forse nel secolo XIV, quella dei mercanti di.lana sottile, che tuttora riconoscevano per le cause maggiori la giurisdizione dell’ Università; più tardi quella, con giurisdizione piena, dei mercanti aurî argenti et serici, cioè dei drappi misti di seta ed oro. Cosicchè a poco a poco la Untversitas comprese solo i negozianti all’ ingrosso, detti. oramai in generale ufentes stratîis Lo sviluppo dei traffici con le altre regioni italiane e coi paesi di oltr'Alpe era fra le maggiori cure dell’Università dei mercanti. Negli anni intorno al 1270 questi provvidero a rendere migliore e più sicura la strada del Sempione. Nel 1314 un mercante milanese, Oldrado, vien mandato ambasciatore al duca Leopoldo d’Austria per trattare delie cumunicazioni per la via del Gottardo. A questa come ai valichi deilo Spiuga, «: San Bernardino, del Septimer si riferiscono più altre pratiche © tartative; e non di rado vi hanno parte cospicua gli albergatori presso cui di preferenza alloggiavano nei loro viaggi i negozianti italiani. Era mfatti costume che i mercanti d’una stessa nazione giun- (GO ogle BIBLIOGRAFIA 621 gendo in una città discendessero ad una sola locanda. Il Verga ricorda qualche dissapore fra Milano e Costanza; Basilea invece ci si mostrava sinceramente amica, Ai commercianti lombardi in generale ed ai milanesi in ispecie troviamo concessi salvocondotti e privilegi da non pochi principi stranieri. Ma spesso i nostri, come tutti d’altronde in quel tempo, erano esposti a gravi molestie per l’ istituto delle rappresaglie, che della insolvibilità o malafede d’un commerciante rendeva solidali i suoi concittadini. L’autore ricorda a tal proposito interessanti episodi, e mostra come gli statuti milanesi tendessero a circondare l'istituto delle maggiori guarentigie. In tempo di guerra le rappresaglie continuarono ad esercitarsi oltre l'evo medio; e nel secolo XVIII la Caimera dei mercanti di Mi:- lano si faceva iniziatrice d’una vera campagna per abolirle. I commercianti milanesi e d’altre città italiane affluivano numerosi alle tiere internazionali d’oltr’Alpe; in ispecie a quelle di Champagne e di Brie, più tardi a quelle di Lione. Di qui un altro compito per l’Università. E cura probabilmente maggiore richiedeva allora, come oggi, la materia dei dazi e dei trattati di commercio., Certo la Corporazione mercantile dovette essere ispiratrice dei trattati conclusi, a partire dal 1268, fra Milano e Venezia; importantissimo fra gli altri quello del 1317, che segnò l'inizio d’una nuova fase nelle relazioni commerciali fra le due città. I rapporti con Genova furono regolati con provvisioni del 1346, compilate dal vicario di Provvisione; ma il trattato del 1430 stipulato da Milano con la città ligure fu emanazione diretta dalla Camera dei mercanti, E questa aveva anche parte primaria negli atti concernenti le relazioni di commercio con altri paesi italiani e stranieri. Essa eleggeva pure fra i cittadini genovesi il Console di Milano in Genova, investito di larga giurisdizione in cause mercantili e civili (secolo AV e seguenti). Parimenti dipendevano dalla Università dei mercanti i consolati milanesi di Venezia, Lione, Bari, ecc. Un inieressante capitolo fornisce ragguigli sulla giurisdizione niercantile, su sentenze e bandi dei Consoli di giustizia. Notevoli le disposizioni contro coloro che miravano a sframasare le mercanzie, cioè, seinbra, venderle a prezzo troppo vile per illecita concorrenza o ambigue speculazioni, contro i debitori fuggitivi, contro altre forme di mala fede. La procedura commerciale fu riformata con le Nuove costituzioni del 1552, codice di legislazione milanese fatto compilare e promulgato da Carlo V ad integrazione dei vecchi statuti. Il tribunale mercantile fu ridotto a due Abati ed un solo Console, non senza proteste del Collegio dei Dottori, che vedevano a malincuore escluso il giureconsulto richiesto dagli antichi statuti a fianco del console non giurisperito. Con l'età moderna appaiono le imposte dirette stabili, ignote al Medio Evo. Dopo aver istituita quella sulla proprietà fondiaria, il governo spagnuolo di qui, inosso dalle proteste dei proprietari troppo aggravati e dagli incitamenti delle città dello Stato, Milano esclusa, ri 622. BIBLIOGRAFIA versò una parte dell'onere sulla proprietà mobile, introducendo i’estimo sul mercimonio. L’intento delle città minori era chiaro: il nuovo tri buto infatti doveva necessariamente colpire di prevalenza Milano, ove più fioriva il commercio, La Camera dei mercanti lottò strenuamente per stornare il danno; ma non riuscì che ad ottenere temperamenti. L’estimo del mercimonio, basato sul movimento delle merci, tu esca per due secoli a controversie di varia indole, sinchè fu sostituito da imposte più razionali: la tassa unica mercimoniale sul valore capitale dell’annuo traffico (1775), e di poi, dopo l'abolizione delle Corporazioni, la tassa mercantile, studiata mirabilmente da Cesare Beccaria (1787). Neila organizzazione dei servizi postali Milano fu vera precorritrice, Già i Visconti trasmettevano con un sistema di poste le lettere ufficiali. Gian Galeazzo Sforza (1494-1495) istituisce un regolare scambio di corrieri di Stato con la corte imperiale; presto (1496) troviamo la linea milanese far capo ad Innsbruck, dove compare come Maestro delle Poste il primo della famiglia dei Tassi, chiamata in questo campo d’attivita a tanto avvenire, D'altra parte la Camera mercantile di Milano dichiarava nel 1522 al Duca che essa da gran tempo si serviva di propri corrieri. Ed infatti un documento del 1436 mostra come, ad esempio, tra Milano e Venezia vi fosse regolare servizio per lo scambio delle mercanzie. Nel 1545 si organizza in modo definitivo la posta nello Stato di Milano, ed essa, pur mantenendo il carattere di funzione di Stato, assume insieme il servizio dei privati, cosa un tempo vietata, ma ene trata nondimeno gradualmente nelle consuetudini per forza di cose. Nel 1646 troviamo elencate le lince postali ordinarie da Milano per le principali città d’Italia, nonchè per altri paesi (Francia, Germania, Spagna, Fiandra, Inghilterra), coi giorni della settimana in cuì arrivano o partono i corrieri, Coi Tassi, divenuti arbitri (come è ben noto) delle poste europee, la Camera di commercio di Milano ebbe diverse vertenze, a tutela dei propri diritti e degli interessi del commiercio. Abbastanza curiosa è la storia delle diverse sedi dell’ istituto. Nel 1433 esso era ridotto in un meschino iocale nella c. sa d'un fabbro in Via Orefici. Si costrusse poi nuova sede adiacente all’abs'd: della chiesa di San Michele al Gallo. Nel secolo XIX occupò successivamente locali nel Pretorio, un nuovo edificio sull'area dell’an'ico portico della Ferrata, lc scuole Palatine. Da ultimo si tramutò nel palazzo dei Giureconsulti (1). E qui PA. ricorda la secolare controversia fra la Camera ed il Comune per la proprietà della piazza dei Mercanti e del portico del palazzo della Ragione. Da ultimo egli si ocenpa delle vicende più recenti d: Ila Camera di Commercio, a partire dal 1786, nel quale anno, dopo la soppressione delle corporazioni, fu emanato un editto, frutto degli studi di Cesare (1) L’artistico edificio dovuto alla liberalità di Pio IV ed architettato da Vincenzo Seregni è ampiamente illustrato nella monografia dell’architetto Piero Bellini, che integra opportunamente il volume. Trey - + * È " LI BIBLIOGRAFIA 623 Beccaria, che riformava nelle varie città dello Stato l'ordinamento delle antiche Università dei mercanti. Per tale riforma la Camera fu bensi menomata ne' suoi antichi poteri deliberativi ed esecutivi, ma riguadagnò quella .supremazia che il moltiplicarsi delle corporazioni aveva di tanto scemata e venne investita non solo della tutela degli interessi di una classe, ma anche della funzione di concorrere, quale autorevole curpo consultivo, al progresso ed alla prosperità generale del paese. Sulle successive leggi dell’età napoleonica, della restaurazione, della risorta Italia il dotto autore si sofferma quanto basta per porre in rilievo « il “ filo che collega l’istituzione antica con quella che vive ed opera sotto “ ai nostri occhi ,,. Erede di così nobile tradizione, la nostra Camera di Commercio come le consorelle d’ Italia ha cessato di esercitare una ristretta funzione municipale per divenire cooperatrice “ di una larga “ e complessa attività, la quale non solo si diffonde in ogni parte della “ Nazione, ma raggiunge anche le colonie nei più lontani paesi ,. Giovanni SEREGNI. D.tt. don Romoto PUTELLI, /ntorno al castello di Breno. Storia di Valcamonica, Lago a’Iseo e vicinanze, da Federico Barbarossa a S. Carlo Borromeo. Studio critico, su 1400 nuove fonti documentate, giudicato dalla R. Accademia dei Lincei pel concorso al Premio Reale. Breno, Associazione “ Pro Valle Camonica , editrice, 1915, in-16, pp. xIv-624 con 34 illustrazioni in tavole fuori testo. La storia, divisa in capitoli, tratta degli avvenimenti che si svolsero in Valcamonica da Federico Barbarossa a S. Carlo Borromeo. Particolarmente interessanu per gli studiosi di cose milanesi sono le relazioni intercorse fra Milano e la valle durante il periodo della dominazione viscontea. L’A., è vero, non potè raccogliere gran messe di documenti in riguardo, perchè in massima parte periti nel noto vandalico incendio dell’archivio visconteo avvenuto subito dopo la morte del duca Filippo Maria (1447) (1). Tuttavia quel tanto di nuovo che ci fa conoscere è già molto. (1) C. MAnAREsI, I Registri Viscontei, Milano, Palazzo del Senato, 191; p. X e seg. — L'A. non potè consultare questo volume, uscito posteriormente alla sua pubblicazione, dal quale avrebbe potuto ricavare qualche notizia riguardante la Valcamonica. Ritengo che altre notizie potrà forse trovare nei volumi che successivamente usciranno per le stampe. Riguardo alle relazioni della Valcamonica e sue vicinanze con Bernabò Visconti possiamo additaàre all’A. alcuni nuovi documenti che abbiamo rinvenuti nella biblioteca Ambrosiana nel ms. Fagnani (Commentaria Nobilium Familiarum Mediolanensium) sotto la famiglia Casati. Così, ad esempio, da lettera di Bernabò del 1° agosto 1364 datata da Longagnana, sappiamo che il capitano Alpinolo Casati era stato da lui mandato con truppe e pro certa executione loci de Lozio Valcamonice » e che, - 624 BIBLIOGRAFIA I Visconti iniziarono il loro dominio in Valcamonica nel 1337, come ritiene l'A. nel quale anno il Consiglio della valle mandava ambasciatori ad Azzone Visconti, buono e saggio principe, ad offrirgli la loro sudditanza. Azzone li accolse bene, e, a quanto pare, confermò 1 loro antichi statuti e privilegi. I successori ci tennero a favorire l’autonomia dei Camuni dalle invadenti vicine città di Bergamo e di Brescia per averli affezionati: in Breno, capoluogo della valle, risiedeva il podestà e il vicario. La dominazione viscontea in valle fu tormentata dalle lotte tra i guelfi e i ghibellini, insofferenti i primi per partito e per i favoritismi ducali verso l’aristocrazia ghibellina nella quale primeggiavano 1 Federici, e durò fino al 1427, interrotta dalla preponderanza del riminese Pandolfo Malatesta dal 1414 al 1419. Subentrò quindi la Signoria Veneta, la quale, dopo brevi e contrastati periodi di possesso tentati da Filippo Maria e Francesco Sforza, colla pace del 9 aprile 1544 ne rimase definitivamente padrona. Tra i podestà e i vicari trovo ricordati: nel 1348 il podestà nobile Pietro “ de Ambria ,, col vicario Pietro “de Casalmorano , cremonese; nel 1362 il vicario Martino “ de Magatellis, di Monza; nel 1372 il podestà nebile Filippo “ de Panexio , di Milano col vicario Giacomo “ Clarastinus , di Soncino; nel 1379 Il pudestà notile Lanzalotto col vicario Pomino “de Podio , di Rogno; nei 1382 il podestà nobile Corradino “de Ruschonibus , di Como col vicario Giovanni “ de Bonioanis., di Modena; nel 1386 il podestà nobile Salucino “ de Becaria , e vicario “ laurus de Mediis barbis , di Pavia; nel 1393 il podestà Franchino Crivelli; nel 1396 11 podestà nobile Nicolino “de Bonicellis,, di Novara e vicario Bartolomeo “de Hosmeris (?), di Tortona; nel 1397 il podestà Giacomo Malaspina; nel 1403-04 il podestà Cressone Crivelli; nel 1405 il podestà Amedeo Suardi; ecc. I’A. nella prefazione scrive che per dare un volume pr APPUNTI E NOTIZIE 631 dam hominem contractum. Et dum petet elemosinam: dixit. Aurum et argentum non est mecum. In nomine dni nri yhu xpi surge et ambula. Et statim sanus effectus est. Intrante uero parisius: posuit se cum quodam magistro qui erat aurifex. Et addidicit artem illam nobiliter. in tantum que maiorem famam habebat quam aliquis alius magister. Rex francie audiens famam eius: misit pro eo. Et dum esser coram rege: dixit ei rex. Volo que facias michi unam sellam laboratam auro et argento. Et fecit sibi dari tantum aurum et argentum que credebat sufficere. Et ille fecit dnas sellas: unam pulchram: et alteram pulcriorem. Miratus rex dixit. Vere iste homo sanctus et iustus est. Tunc rex uidens dedit elygius magnum pretium : et elygius omnia dedit pauperibus. $ Alia uice quidam pauper petijt elemosinam ab eo. Etille [fol. clii, r. b.] bene sciebat que pecuniam non habebat. tamen posuit manum ad bursam: et inuenit unam marcham auream: et totam expendit pauperibus. Alia vice alius uenit. et petijt ab eo elemosinam. Et ille dedit sibi unum florenum quem habebat. Et pluries et pluries denudatus est propter eleniosinam faciendam. $ Erat autem de tanta abstinentia: que totuni tempus uite sue reiunebat. Et cum sol occidisset in cubiculum intrabat: et quando alij dormiebant surgebat: et quasi usque ad auroram diei orabat. Postea ad cubiculum revertebat. ut uno sol apparebat: surgebat. Et hoc faciebat: ut ali) reputarent eum inutlem $ Defuncto uero episcopo lingonie: omnes clerici ipsum in episcopatum ordinauerunt. Et ille dum nollet: dicebat Quod facitis: quia illtteratus sumus. Et cum hec diceret: spiritus sanctus in specie columbe descendit super cum: et in omni scientia eum dotauit. Rex trancie hoc audiens. multus gauisus est: et melior deinceps fuit: quia singulis diebus duodecim pauperibus ministrabat: et cum manu propria serviebat. $ Quidam erat in transitu murtis: et rogatus est episcopus a consanguine:s: ut ueniret ad uisitandum eum, Tunc ille init: et manum super eum posuit. «t liberauit eum. Legitur que in suo episcopatu erat quidam sacerdos deliciosus et mae fame : quem bcatus elygius pluries correxit. Ille uero spernebat correpti [foi. clii, v. a.} onem: et sacrificabat: et iam prohibitus erat: et dum plurimum staret in tali culpa : expirauit. Postea angelus apparuit beato elygio: et corpus sancti quintini quod per longum tempus latuitauerat sibi reuelabit. Et ille ipsum accepit: et in parisius in uno magno monasterio collocauit. Alia uice quedam cecum illuminauit. Core peri sanctorum luciani et crispini et crispiniani sibi reuelata fuerunt: et honoritice fecit ea tollere: et commendauit ea custodibus ecclesie sancte columbe. Quidam fur uoluit de nocte depredari altaria. Et custos dum uidit eum uenire : cepit eum. Ille petijt misericordiam promittendo numquani talia facere: et liberatus fu!it. $ Quodam uero tempore silentiv noctis uenit diabolus in spetie mulieris causa tentandi eum. Ile uer.: accepit manu ferrum caudens de fusina: et in faciem eius iecit: sed ille clamans et ululans fugiebat. Habebat autem uir dei in usu tenere ferrun; calidum in manu: et non ledebat eum. Fecit auter: tanta mirabilia: que intellectui humano esset incredibile. Vixit beatus elygius Go ogle 632 APPUNTI E NOTIZIE octoginta annis: et in pace quieuit. et sepultus stetit in loco indecenti per unum annum. In capite anni aperuerunt archam: et inuenerunt corpus eius incorruptum: et barbam cum capillis recentem sicut in prima die quo in sepulcro positus fuit. Obijt uero quarto kalendas aprilis: regnan — [fol. clii, v. b.] te dno nro yhu xpo. U. MonneErET DE VILLARD. «°° UN BENEFATTORE DI ERBA NEL sEcoLO xiv. — Tra i più antichi benefattori di Erba-Incino ricordati dal Meroni (1), merita di non essere dimenticato un Martino “ de la richa ,, figlio del quon. Zani di Erba, il quale dispose in morte di legati per rimedio dell'anima sua, ma che per questo non lasciano, almeno in parte, di avere il loro contenuto umanitario. Si trovava il nostro Martino ammalato, e, sentendosi vicino a morire, dettò il 24 ottobre 1348 il suo testamento (2). Premessa l’invocazione al Salvatore e alla Beata Vergine, protestandeosi edele cristiano e come tale di voler morire, viene a dettare la sua ultima volontà, cassando qualsiasi testamento, ordinamento, codicillo e legato che avesse precedentemente fatto. Vuole innanzi tutto che i suoi eredi risarciscano quelle persone le quali provassero di essere state da lui danneggiate colle usure, colle rapine, coi furti. Ordina quindi che si distribuisca, dopo il suo decesso, cinque moggia di pane cotto di mistura (segale e miglio), delle quali una metà da distribuirsi nel giorno annuale di sua morte ai poveri alla porta della canonica d’Incino, previo il suono della campana, e l’altra metà nel giorno dell’ Ascensione (1) V. MERONI, La Pieve d'Incino, vol. I, Milano, 1902, p. 69. (2) « Actum in dicto loco de herba in domo habitationis' herbete de cassio «in camera una in qua ipse martinus testator cubit infirmus, presentibus mar- «e chio de la ecclesia filio quon. ser pagani, pagano filio domini Corradi de Pa- «ravesino, Arigo filio ripe de lorto, Iacobo filio quon. Corradi de Merono pro « notariis de ipso loco herba. Interfuerunt ibi testes dictus dominus presbiter Fa- « cius de Saccho capellanus ecclesie sancte Marie de Villincino, et mezolus filius « domini zuche de paravesino, lacobus dictus putus pulex filius quon. Zani, Fran- « zius filius domini Guidoti de paraverino, Minatius filius quon. Comini de Sorino, « Molus filius quon. Bertrami pellis, et Lanzalotus filius dicti domini zuche de « paravesino, omnes testes noti de $redicto loco herba ad hoc specialiter rogati «et vocati, et Ambrosius filius quon. Gullielmi citi de loco Bucenigo similiter « notus et rogatus. Ego Petrus notarius filius quon. domini Baldesari de herba « de loco herba hanc cartam rogatus tradidi et scripsi ». L'atto è una copia autentica ricavata dall’originale e come tale porta la sottoscrizione di altri tre notai: Mafeo « de Savionis » figlio del quon. sig. Antonio di Porta Nucva parrocchia di S. Margherita, di Antonio « de sacho » figlio del quon. signor Pietro di Porta Cumana parrocchia di S. Marcellino, e di Ciovanni « de Micherijs » figlio del signor Iacobino di Porta Nuova parrocchia di S. Stefanino « ad nu- « sigiam ». — Arch. Cur. Arciv. di Milano. APPUNTI E NOTIZIE 633. di casa in casa nei luoghi di Erba, Incino, e Villincino. Al cappellano della chiesa di S. Bartolomeo d’Incino, la qual cappella era stata di recente eretta e dotata da Beltramo “ de casselio , (1), allora vescovo di Bologna, lega un moggio di mistura ossia il relativo prezzo che “ pro “ sua rata parte ,, doveva dividere tra il prevosto, i canonici e i capel» lani della chiesa plebana d’Incino, i quali nel giorno annuale della sua morte fossero presenti ai divini uffici da celebrarsi in detta chiesa di S. Eufemia in suffragio dell'anima sua: i sacerdoti celebranti messe dovevano avere inoltre sul detto prezzo sei imperiali ciascuno. A questo scopo obbligava un molino e annessi situati nel territorio di Brugora, detto “ molendinum merlatum supra Lambrum sicchum prope cassinis “ della Brugora cum suis edificijs et domibus et paramentis molendini * et suis pertinentijs et cum terra et prato tenentur cum ipso molen- “ dino rozia mediante ,: la terra prato era di circa sei pertiche. Volle ancora che, ogni anno nel giorno del suo annuale, si distribuisse in perpetuo un sestario di sale ai poveri dei tre luoghi sopradetti, di casa in casa, dove maggiore fosse il bisogno, legandolo su di un suo “ ho» “* spitium quod est et iacet in territorio de herba ubi dicitur incanta- “ rana cum orto seu dosso ,. Dell’ esecuzione e distribuzione di questi legati incaricava il prete Facio “ de Saccho , di Erba, beneficiale della chiesa di S. Giorgio “ de “ mornigo , (2), di S. Maria di Villincino, di S. Maurizio * de meda- “ te, (3) e di S. Cassiano di Bucinigo, “ que omnes ecclesie unum “ corpus existunt ,, il quale li riceveva in nome suo e dei suoi successori e parimenti in nome dei consoli della Castellanza d’ Erba e loro ‘ successori, col diritto di privare di detti beni i suoi eredi qualora vi si opponessero. Legava inoltre al prete Ardico “ de Carbonibus ,, benefìciale della sopradetta chiesa di S. Bartolomeo di Incino, e per.lui alla capellania, in perpetuo due messe ogni mese per l’anima sua, assegnandovi un prato di circa due pertiche e mezza situato nel territorio di Erba “ ubi dicitur in astesano ,, (4). R. BERETTA. (1) Cfr. Meroni, op. cit., vol. II, Milano, 1915, p. IT1 e sg. (2) Crevenna. (3) L'attuale quartiere di S. Maurizio d' Erba-Incino si diceva anticamente Medate, Mevate, Meate. (4) Il testamento contiene altri legati particolari. Ad una Martina, sua abiatica, figlia di Giovanni suo figlio, lasciava liberamente dieci lire terzole. Invece alle tre figlie di un Stefano Oldrado del luogo d’ Erba venti soldi terzoli per ciascuna, e ad una figlia di Martino di Garbagnate Monasterio tre lire terzole per quando verrà il tempo di maritarsi o di entrare in monastero; premorendo il lascito era nullo. All’Erbeta « de cassio », figlio del quon. Primo donava tutto quanto gli era dovuto in denaro e in altri beni mobili. Nominava infine suoi eredi universali, salvi sempre i legati stabiliti, i suoi figli Giovanni Marco e Mafeo. o ogle è o. é » Di 634 APPUNTI E NOTIZIE e", ALCUNE TERRE DELLA PIEVE D'ÎNCINO INFEUDATE AGLI ARCIVESCOVI DI Mitano. (1) — La duchessa Caterina e il giovane figlio/ duca Gian Maria Visconti, infeudarono il 7 marzo 1403 (2) all’arcivescovo Pietro di Candia, e per esso a’ suoi successori, le terre di Canzo, Longone, Proser)io, Caslino, Castelmarte, “ Arzagi ,, Campolungo, Bindella, “Cazo ,, Comeggiano, Morchiuso, Mariaga, Incasate e Casereto. Benche, si dice nell’atto, fosse stata sempre loro premura di onorare e difendere i diritti di tutte le chiese, pure per una singolare affezione si sentivano in particolar modo spinti non solo a far ciò verso la chiesa milanese ma a largheggiare con essa di più degni favori, giacchè * inter “omnes universi orbis Archiepiscopales ecclesias obtinet principatum, €x quo etiam noster ducalis titulus dignius et altius decceratur, ac ad ipsius nostre urbis Mediolanensis, a qua principatus noster sumit initium, decorem tendit et landem ,,. Pertanto “ contemplatione quoque et precibus inclinati Reverendissimi in Christo patris et doniini donuni tratris. Petri de Candia, nunc ipsius ecclesie dignissimi Archiepiscupi et sacre pagine famosissimi protessoris, dilectissimi consiliari) nostri, cuius scientie altitudo, singularium miorum venustas ac vite laudabilis conversatio, tructuosi sepissimique per eum labores passi in legationibus et servitijs nostris et bone memorie Illust. olini principis domini Consortis et Genitoris nostri, maxime ad sedem apostolicam etimperialem aliosque quamplurimos Reges, principes et Barones favores gratiarum uberimos promerentur. Cognuscentes igitur expresse ad 1psam sanctam Mediolanensem ecclesiam et ipsius sedem Archiepiscopalem pleno iure pertinere et spectare imerum et mixtum imperium ac gladij potestatem plenamque iurisdictionem, dominationem, superioritatem etiam temporalem, et omnia Regalia, et ea que Regailum nomen continent, in terris, territorijs et pertinenti)s Canzij, terre “longoni, terre pruserbij, Castellini, Castrimartiris, Arzagi, Cassine “Gambolengi, Cassine Bindelli, Cassine de Cazo, Cassine Comazani, “ Cassine Molgusij, loci de Mariaga, Cassine de Incaxate, Cassine Ca- “ xereti cum eorum districtibus et pertinentijs que licet de facto tantum “per certa tempora hactenus fuerint occupata, animo deliberato, nul-. “loque errore preducti, et animarum nostrarum et ipsorum predeces- (I) Arch. Cur. Arciv. di Milano. — Diploma di Filippo Maria del 7 luglio 1414, il quale riporta inserti i due atti relativi precedenti. È alquanro guasto nelle piegature e manca del sigillo. La prima lettera iniziale maiuscola di Filippus è miniata : intorno all’asta vi è intrecciato il biscione visconteo colla testa di mrstro sormontata dalla corona ducale. — A tergo, da mano del secolo XVIII, si dice che il diploma « spectat ad Archivium- Mensae Archiepiscoe palis », e ancora dalla stessa mano: « 1731. Ex Arm.° Vailis Soldae in Ar- « chivio Visitationum ». (2) « Datum Mediolani die septimo mensis Martij Millesimoquadrigentesimo « tertio undecima Indictione. Andriolus. S. » " APPUNTI E NOTIZIE 635 “ sorum nostrorum volentes providere saluti, etiam Reverendissimorum “ patrum: dominorum Episcoperum et Ilustrium Magnificernim et Spe- “ctabilium procerum et dominorum, nostro assistentium concistorio, “ accedente consiiio, ipsas terras, territoria, partes et pertinentia, me- “rum et inixtum imperium et gladij potestatem, plenariam Iurisdictic - “nem, dominationem et superioritatem, Regalia et que Regalium no- “ mine continentur, et oinnia Iura, honores et honorantias ipsi sedi “ Archiepiscopali seu dicte ecclesie Mediolanensi in partibus predictis “ quomodolibet pertinentes et pertinentia ut prefertur ,. Venivano quindi revocati da quel momento “onines et singuios Potestates, Capitanees, “ Castellancos, Vicarios et officiales per nos seu per prefatum quondami “deminum Consortem et Genitorem nostrum in ipsis terris et partibus “ hactenus quomodolibet constitutos ut ipsorum loco idem dominus Ar- “ chiepiscopus de alijs ad sui libitum valeat providere ,,. Inoltre, “ ut ipsa “ecclesia et Antistites eiusdem presens et futuri cognoscant se a nobis “ potioribus privilegijs esse munitos, omnia et singula privilegia, Inra, “iibertates, lmimunitates et exemptiones a quibuscumque Romanis pon- “ ificibus, ac divis Romanorum Imperatoribus, Regibus, et a quibu- “scumque alijs principibus, ac a nostris predecessoribus, tan: genera- “ liter quam spetialiter, ipsi ecclesie seu pontificibus eiusdem qualiter- “ cunque indulta seu indultas, et precipue privilegium pnoviter dicte “ecclesie et erlusdem Archiepiscopis indultum per serenissimum prin- “cipem et dominum nostrum honorandum dominum Vencislauni dei “gratia Romanorum et Boemie regem, et omnia et singula in co con- “tenta que oculata fide vidimus,. Questa infeudazione veniva confermata dal duca Filippo Maria il 24 marzo 1413 (1), e dì nuovo in modo solenne il 7 luglio dell’anno seguente per togliere qualsiasi controversia in proposito (2). Pietro di Candia, detto il Filargo, — personaggio ben noto — nel marzo del 1403 si era recato a Roma, scrive il Giulini, per indurre Bonifacio IX ad una pace col duca. L’ ambasciata nen sorti l'eftttto desiderato, e dovette ritornarsene a Milano senza aver nulla concluso, e non senza aver corso gravi pericoli nel ritorno (3). Si può quindi afiermare che quella infeudazione gli sia stata concessa prima di partire, quasi a maggior stimolo di tutto adoperarsi per la riuscita di quel negozio veramente pressante data la triste situazione della casa ducale. Il nuovo feudo non rimase a lungo in potere degli arcivescovi: quando e per quali ragioni precisamente lo ebbero a perdere non saprei dire. et ————— (1) « Datum Mediolani die vigesimoquarto Marti) Millesimoquadrigentesimo « tertiodecimo Indictione sexta. Iohannes. S. » (2) « Datum Mediolani die septimo Iullij Millesimoquadrigentesimo quar- « tordecimo Indictione septima. Iohannes. S, » (3) GiuLinI, Memorie della città e campagna di Milano, vol. IV, Milano, 1857, p. 70 e seg. Ea ogle 636 APPUNTI E NOTIZIE Se col trattato del giugno 1409 Gian Maria assegnava al capitano di ventura Facino Cane il vicino antico feudo arcivescovile della Vallassina (1), il 15 giugno 1472 Galeazzo Maria Sforza infeudava le sopradette terre ai fratelli Antonio e Damiano Negroni di Ello, detti Missaglia, in cambio di beni situati presso il castello di Porta Giovia in Milano. Dai Negroni il feudo passava nei Crivelli nel 1677 per retrocessione fatta il 7 settembre dal conte Marco Antonio Negroni alla R. C perchè ne fosse investito il marchese Flaminio Crivelli (2). R. BERETTA. 0°, LA PUBBLICAZIONE DEI DOCUMENTI DIPLOMATICI DI Luici OsIo (3). — L’8 agosto del 1856 Luigi Osio, consigliere aulico e direttore generale degli archivi, inviava alla Congregazione municipale un elaborato rapporto dove, dopo aver messo in luce l’importanza dell’archivio milanese, specialmente del diplomatico, ricordato con quanta premura molte città italiane avessero provveduto a pubblicare i loro documenti storici, e come lo stesso Governo avesse dato prova di tener questi studi in alto pregio coll’ istituire presso la i. r. Accademia di Vienna una commissione filosofico-storica destinata a ricercare e pubblicare documenti antichi, quindi un’ apposita commissione per la conservazione dei monumenti, esprimeva il suo rammarico nel veder gli stranieri, sotto i suoi occhi, investigare i nostri tesori, togliendo a noi anche questo vanto che avrebbe dovuto esser tutto nostro, e proponeva di intraprendere la pubblicazione di tutto quanto di più prezioso esisteva negli archivi di Milano. Pensando all’immensità del materiale affidato alla sua direzione, l’Osio riconosceva l’ impossibilità di pubblicar tutto; ma sembravagli sufficiente l’esteso carteggio degli ultimi duchi della famiglia Visconti e di tutti quelli della famiglia Sforza, cioè dalla seconda metà del secolo XIV fino al 1536; dal quale anzi proponevasi di sceverare la parte amministrativa per attenersi di preferenza ai documenti di natura diplcmatica. Così limitata, la pubblicazione avrebbe potuto compiersi in un decennio. A provarne l’importanza soggiungeva essere in quel carteggio riflessi i più minuti particolari intorno al governo, alle gesta, alle guerre nonchè alle vicende domestiche dei duchi, intorno ai principali avvenimenti di quei tempi, anche nell’ intermezzo della repubblica ambrosiana e sotto il dominio dei re di Francia e di Spagna, intorno alle relaziuni dei duchi cogli altri Stati d’ Europa, intorno ai maneggi e agli intrighi dei più eminenti capitani ed uomini di Stato. Quando l’Osio si rivolgeva al Municipio aveva già presentato alla i. r. Luogotenenza un’ampia relazione, chiedendo fosse interpellato (1) Lazzati, Statuti della Valassina in Corpus Statutorum Italicorum, Roma, 19I5, p. 170. (2) ASM., Feudi Camerali, Corte di Casale. (3) Dagli atti dell'archivio Civico Amministrativo. ©» APPUNTI E NOTIZIE 637 l'i. r. Istituto di scienze e lettere ed invitato a delegare alcuni suoi membri per sovrintendere al lavoro. L’Istituto aveva aderito, la Luogotenenza aveva chiesto un piano anche economico, piano che l’Osio aveva compilato col concorso del dott. Rossi, bibliotecario di Brera e presidente dell’Istituto, di Bernardino Biondelli e di Cesare Cantù; ed ora lo mandava, prima che all’Autorità governativa, al Podestà, forse pensando che, a una richiesta di fondi, la cassa del comune si sarebbe aperta più facilmente che quella dello Stato. « La cosa è matura » diceva l’Osio, “ non manca ormai che assicurare i mezzi ,. Trovarli non gli pareva difficile trattandosi di un’impresa “ eminentemente patria ,,; aveva anzi avuto offerte da privati che sembravano preannunciare la costituzione d’una novella società palatina; ma preferiva rivolgersi anzitutto alla rappresentanza della città. I criteri essenziali esposti dall’Osio in questo piano o “ regolamento “ interno , come si piaceva chiamarlo, si riferivano prima alla scelta dei materiali: dovevano essere inediti, eccettuati i casi di documenti editi in modo incompleto o scorretto, oppure così strettamente legati agli altri da essere indispensabili per la chiarezza dell’insieme. Il lavoro diviso secondo le epoche: al primo posto le lettere di ambasciatori, oratori, agenti diplomatici ducali all’estero seguendo l’ordine alfabetico degli Stati e il cronologico in ciascuna categoria. Tutti seguiti da note distribuite ai collaboratori secondo le singole competenze. I documenti dimenticati o scoperti durante il lavoro relegati in un supe* plemento. La direzione generale “ delle operazioni , affidata all’Osio stesso. Pei lavori preliminari e consecutivi, scientifici e letterari, chiedeva una commissione da dividersi in tre sezioni: consultiva, per la parte scientifica propriamente detta, chiamata ad esaminare tutti i documenti e a dar consiglio nelle eventuali difficoltà; operativa, specialmente dedita alle note; amministrativa per l'erogazione dei fondi. Segretario generale il dott. Luigi Ferrario, addetto alla scuola di paleografia presso archivio. Per la commissione l’Osio proponeva i seguenti nomi: sac. Birago dell’Ambrosiana, prof. Butti, Ignazio Cantù, Giulio Carcano, prof. Cossa, conte Dandolo, sac. Dozio dell’Ambrosiana, Massimo Fabi, Luigi Ferrario, Carlo Morbio, prof. Miller di Pavia, Damiano Muoni impiegato alla Luogotenenza, conte Giulio Porro, sac. Robiati dell’Ambrosiana, G. Rovani, Giuseppe Sacchi, barone generale Vacani, conte Gabriele Verri. Il preventivo per un volume di 400 pagine, in 1000 copie, era così formulato: Composizione, fogli 50, a lire 16 il foglio . . L. 800 Stampa a lire 3,60 il foglio. . . x 720 Carta, risme 50 a lire 8 . . . ; i » 800 Legalufao. » dk Gis die A Du E e 150 Ogni copia, da vendersi a lire 7, avrebbe costato lire 3,27. 638 APPUNTI E NOTIZIE Il comune sarebbe stato proprietario dell’edizione e avrebbe dovuto nominare i membri della commissione amministrativa. Il podestà, conte Sebregondi, accolse con favore la proposta. Neila ‘sua relazione al consiglio, 30 aprile 1857, controfirmata dall’ assessure Angelo Villa Pernice, richiamò l’antica tradizione del comune, cessata, com'ei dice, da non molto teinpo, di stipendiare uno storiograto: il Ripamonti e il’ Ferrario, per esempio, nel 1635 e nel 1651, con duecento scudi; e di sussidiare la pubblicazione di opere storiche; fece rilevare che l’aggravio pel comune, quand’ anche l’opera avesse scarso esito, sarebbe stato minimo, e ad ogni modo “ non a cifre attive di interessi “ materiali, ma anche a cifre attive d’interessi morali deve riportarsi “ la rappresentanza civica ,,. In seno al consiglio comunale, quantunque la proposta incontrasse in massima l’unanime favore, si affermò il criterio che fosse escluso dall'intervento municipale ogni incarico di esecuzione, ogni commercio librario, ogni idea di speculazione, e preferibile sacrificare senz’altro la somma necessaria; cosicchè il podestà ritirò la proposta per ripresentarla uniformata a questi concetti. Il 24 giugno, infatti, i consiglieri l’approvavano in questi termini: “ Il Comune di Milano, allo scopo di incoraggiare nei suoi primordi “ la pubblicazione di documenti storici esistenti negli archivi pubblici “ di Milano, progettata dal signor Osio, determina che il Municipio ab- “ bia a corrispondergli, quale editore dell’opera suindicata, lire duemiia “ subito dopo la pubblicazione del 1° volume, lire duemila dopo il 2°, “ lire duemila dopo il 3°. Ritenuto che ogni volume sia di formato in-4 “ di 400 pagine e realmente contenga documenti inediti o rarissimi ri- “ ferentisi al periodo di storia indicato nel progetto, e ritenuto pure “ nel signor Osio l’obbligo di dare al Municipio due copie dell’ opera “ per corredo degli atti. Ove, per qualunque circostanza, la pubblica- “ zione, almeno del 1° volume, non avesse luogo entro l’anno 1858, cc s- “ serà nel Municipio l’obbiigo di corrispondere le suindicate somme. E “ così pure se nei due anni susseguenti al 1858 non fosse avvenuta ia “ pubblicazione degli altri due volum:, il Municipio non sara vbbligato “ a corrispondere le somme in oggi determinate per quei volumi che “ non fossero interamente pubblicati ,. Nel settembre del 1858 Osio informava il municipio esser prossima la pubblicazione del 1° volume; aver l’autorita accordato il suo assenso, limitato ai tre primi volumi pei quali il coniune aveva assicurato i fond], non volendo lo Stato assumere alcun aggravio. Preveniva il podesta che un eventuale ritardo sarebbe derivato dal fatto che il manoscritto d'ogni volume doveva essere inviato a Vienna, al Ministero dell’ Interne, per la superiore approvazione! * ° Frattanto gli avvenimenti politici facevan pensare ad altro. Assestate le cuse, il simdaco Beretta rimise in campo la proposta dell’Osic, GO ogle i APPUNTI E NOTIZIE 639 anzi ne prese occasione per provocare quel movimente d'idee che portò alia istituzione dell’Archivio storico civico. All’ archivista Torriani il Beretta chiedeva se e quali documenti storici si trovassero nell’ archivio cittadino. Il Torriani, nel maggio del 1860, ricordava‘come l'archivio civico cominciasse solo col 1802, quando coll’istituzione delia Congregazione municipale, tu separata Vanimini strazione civica da quella provinciale, e si lasciò che gli atti anteriori andassero, insieme ai governativi, nell'archivio di deposito governativocivico, pagando il comune un migliaio di iire l’anno per la loro conservazione. Nei medesimo tempo il nuovo sindaco chiedeva all’ Osio esatte informazioni sui documenti civici conservati presso la direzione generale e istituiva, su proposta di Carlo Tenca, la nota commissione per rivendi:carli al comune. Invitato a riferire suila pubblicazione deliber.ia nel 1857, l'Osio, mortificato, narrava una lacrimevole odissea. La deliberazione del consiglio comunale era stata bene accolta dal Governo, ma, nell’autorizzare il lavoro, il Minisiero aveva imposto condizioni che la commissione, composta in gran parte di membri dell'Istituto, non credette di accettare, e, quand’ anche le avesse accettate, avrebbe dovuto rifiutarie lui, Osio, giacchè, mentre era stato l’ideatore deil’impresa e avrebbe du» vuto esserne il direttore generale, secondo le vedute del ministro sarebbe stato ridotto alia dipendenza deila commissione da lul stesso chiamata in vita. Aveva perciò pensato di modificare la prop: sta, lasciando da parte commissione e regolamento, e assumendo egli tutto il carico colla col. laborazione del Cossa e del Ferrario. Credeva d’aver così ridotto le cose alla massima semplicità, ma ahimè! dopo gli avvenimenti politici che condussero “ sotto il governo di S. M. il Re _,,, con non lieve serpresa si vide rimandare la sua istanza dali’ amministrazione centrale della Lombardia, 6 ottobre 1859, che l’aveva rinvenuta fra le carte lasciate inespedite dalla già luegotenenza austriaca, e si era affrettata a restituirgliela “ per quell’uso esteriore che egli credesse di farne ,,, (peregrina espressione burocratica!). Il povero Osio non ebbe il coraggio di confidare il proprio rammarico alla Giunta municipale, ma l’idea di aver già in pronto buona parte dei materiali per dar principio alla pubblicazione e la speranza nel favore dell’ attuale governo, lo indussero a raccomandarsi a Rattazzi: ebbe buone parole ma non conclusive; ritentò con Cavour; il grand’ uomo gli fu largo di encomi, ma, fisso nella sua idea di voler stabilire una specie di fusione delle autorità e degli istituti scientifici della Lombardia dediti agli studi storici colla regia deputazione sovra gli studi di storia patria in Torino, sembrava voler deviare la domanda dal suo corso naturale. Co ogle 640 APPUNTI E NOTIZIE L’Osio non era affatto del parere di lasciare alle cure della deputazione la sua impresa, giacchè, almeno allora, quell’istituto si proponeva di pubblicare documenti di singolare importanza, in base a una continua scelta, mentre la sua pubblicazione non doveva comprendere documenti isolati e interessanti ciascuno per sè, bensì tutta una serie il cui valore stava nel complesso. Tutt’altra cosa, dunque. Al primo suo disegno aveva fatto un’ aggiunta ed era di far precedere al carteggio diplomatico un carteggio confidenziale tra principi e principi, tra il 1366 e il 1474, appartenente all’ archivio di Mantova; documenti che egli aveva mandato alla cancelleria aulica di Vienna nel 1845 e solo ora era riuscito a riavere. Concludeva pregando il Beretta di interporre i suoi buoni uffici presso il Ministero. Pronto ad accontentarlo in questo, il Beretta osservò essere invero mutate le condizioni poste nella deliberazione del 1857, la quale, per questo, non risultava più obbligatoria per il comune. Bisognava sapere a qual nuovo impegno si andava incontro, e definire l’ingerenza della Giunta, la quale a lui sembrava necessaria dacchè l’opera doveva uscire sotto gli auspici del municipio e sotto la sua responsabilità. Tali obiezioni l’Osio seppe ben ribattere, specialmente sostenendo che le accennate condizioni non potevano .ritenersi obbligatorie per lui giacchè non da lui solo ne dipendeva l’adempimento. = Finalmente, giunto il “ placet , dal Ministero, in seguito ai buoni uffici dei sindaco, la commissione per l’archivio storico, interpellata dal Beretta, suggerì di proporre al consiglio la sanatoria, e di stanziare le seimila lire già deliberate nel ‘57. i Così il 26 luglio del 1861 il consiglio comunale, all’ unanimità, confermava l’incarico all’Osio che, associatosi, oltre al Ferrario, al Cossa, al Dozio, anche il marchese Francesco Cusani, si rimetteva al lavoro. Nel gennaio del 1864 usciva la prima parte del 1° volume e seguivano poi le altre con ritardi sempre ben giustificati dall’autore. Quando l’Osio morì, nel 1874, mancava la seconda parte del 3° volume; gli eredi di lui consentirono che l’opera venisse compiuta dagli impiegati dell’archivio di Stato, sotto la direzione di Cesare Cantù, ai quali il comune destinò le ultime mille lire. ETtTtoRE VERGA. e“, ONORANZE a Giorgio Giutini. — Colla pubblicazione di due volumi di ben ottocento pagine il comune di Milano ha testè compiuto sostanzialmente il voto della civica rappresentanza inteso ad onorare la memoria del cittadino insigne, che coi pubblici uffici sostenuti illustrò Milano e cogli studi e gli scritti perpetuò il ricordo de’ suoi istituti e delle sue glorie. Nella prefazione il presidente della commissione municipale per le onoranze al conte Giorgio Giulini, assessore Brocchi, giustifica il ritardo APPUNTI E NOTIZIE 641 subìto nella pubblicazione in causa sopratutto delle vicende politiche, che travagliano tuttora l’Europa. Contengono i due volumi, che ora vengono licenziati, uno studio bio-bibliografico condotto con amore figliale da Alessandro Giulini sui documenti del domestico archivio: una monografia intorno a “ Giorgio Giulini musicista , dovuta a Gaetano Cesari, il ben noto cultore di storia della musica, nella quale viene ‘ messo in bella luce un aspetto assai notevole, e fino ad ora quasi ignorato, dell’attività giuliniana: infine due scritti inediti del commemorato, de’ quali l’uno tratta Delle chiese ed abbazie dello Stato di Milano soggette a patronato regio. Interessante è pure la parte iconografica, che arricchisce la bella pubblicazione, di cui parleremo più diffusamente nel prossimo fascicolo. 0°, LA CONGIURA PER SOTTOMETTERE BoLoGNA AL CONTE DI VIRTÙ. — Nella tornata del 19 marzo scorso l’avv. Palmieri lesse alla r. Deputazione di storia patria per le Romagne una sua memoria intorno alla Congiura per sottomettere Bologna al conte di Virts. Il disserente ricordò anzitutto la lotta quasi secolare combattuta fra i Visconti ed il comune di Bologna, la quale, dopo un breve periodo di calma succeduta agl scacchi subìti da Bernabò, si riaccese più viva quando a lui successe il nipote Gian Galeazzo, Questi, con più fine politica dello zio, cercò di sfruttare a suo favore il malcontento che regnava in Bologna e nel contado contro la fazione dominante, che era capitanata dagli Zambeccari e dai Gozzadini. Una manifestazione di questa politica si ebbe appunto nella congiura ordita alla fine del 1388. L’episodio è importante per la relazione che ha colla storia generale d’Italia e per le persone che vi parteciparono. Furono tra queste il famoso giurista Bartolomeo da Saliceto ed Ugolino da Panico, l’ul- ‘timo forte rappresentante di quella fortissima famiglia di feudatari. Gli altri capi furono Alberto Galuzzi, Giovanni Isolani e Melchiorre da Saliceto. L’ azione loro era diretta a far votare nel consiglio generale la proposta di consegnare senz’ altro la città al Visconti, mentre si preparava la ribellione dei principali castelli. Ma la trama venne scoperta alla metà del novembre 1389, perchè fu trovata una lettera diretta dal Galuzzi a Melchiorre da Saliceto. Furono presi ed incarcerati prima i due Saliceto e l’ Isolani, poscia Ugolino da Panico, mentre il Galuzzi fuggiva, Bartolomeo da Saliceto fu poscia rilasciato per non togliere il grande maestro all’ Università, Egli però non si senti tranquillo a rimanere a Bologna e riparò a Ferrara, dove incominciò ad insegnare diritto dando origine all’Università ferrarese. L’Isolani e Melchiorre da Saliceto furono decapitati il 7 dicembre 1389 ed Ugolino da Panico l’ultimo dello stesso mese. Molte condanne a confine ed a multe furono inflitte ai congiurati minori, che seminarono odii e lutti fra le migliori famiglie cittadine. [Alti e Memorie della vr. Def. di storia patria di Bologna, fasc. I-IlI, 1916, p. 162]. 41 642 APPUNTI E NOTIZIE e°+ Il cons. Bertarelli ha arricchito di un nuovo dono prezioso la nostra biblioteca. Trattasi di un manoscritto dal titolo Raccolta di poesie diverse o sia Trattenimenti de Curiosi ed Intelligenti, manoscritto di poesie milanesi di qualche persona in stretta amicizia col gruppo dei Trasformati. Il ms. non manca d’interesse perchè inedito, e perchè contiene molte poesie in dialetto facchinesco delle quali non è quasi rimasta traccia nella nostra letteratura dialettale a stampa. Il volume, ci scrive il donatore, era carissimo al prof. Novati che si riserbava il piacere di illustrarlo ampiamente, specialmente per la permanenza del facchinesco in epoca così recente. Appunto per l’amore speciale che portava al manoscritto che sino alla morte del Novati era rimasto nella sua biblioteca, il dott. Bertarelli ne fa omaggio alla biblioteca della Società storica, memore dell’ affetto vigile e costante che il buon Novati ebbe per l’Istituto che maggiormente predilesse e della cui dignità era così geloso custode. e: IL R. ArcHivio DI Stato DI BRESCIA attende con lodevole solerzia, degna di essere largamente imitata, alla raccolta di documenti dell’attuale guerra, massime di carteggi dei nostri soldati, mostrando d’apprezzare tutta l’opportunità, scientifica ad un tempo e patriottica, dell'iniziativa caldeggiata dalla Società Nazionale del Risorgimento, dal suo Comitato Lombardo e dalla nostra Società. La Direzione dell’Archivio, assecondata dalla Prefettura, dalla Curia Vescovile, dall’ Ufficio Notizie di Brescia, è già in possesso di copioso materiale epistolario e ‘fotografico, inviato da sindaci, da privati, da sacerdoti, dai Comitati di Preparazione di Chiari e d’Iseo. Il Ministero degli Esteri di Francia spedì in dono giornali di trincee francesi. ed altri ne mandò la Biblioteca Nazionale di Parigi a contraccambiare consimile invio. OPERE pervenute alla Biblioteca Sociale nel II semestre del 1916 ADami ten.-colonnello VITTORIO, Le guardie nazionali valtellinesi alla difesa dello Stelvio nel 1866; nel cinquantesimo anniversario. Milano, Cogliati, 1916 (d. d. s. A.). Annuario del R. Archivio di Stato in Milano, n. 6. Milano, 1916, Palazzo del Senato (d. della Direzione dell’Archivio di Stato). BARTH dott. H., Bibliographie der Schweizer Geschichte, Bd. 3. Basel, Gaaring, 1915 (d. d. Società storica svizzera). BeLLORINI EGinio, /nforno al testo del “ Mattino ,. Nuovi afpunti. Venezia, tip. Ferrari, 1916 (d. d. A.) — Versi inediti di Giuseppe Parini. Padova, tip. Bandi, 1916 (d. d. A.). + Benassi PaoLro, Ultime cure del cardinale Alberoni. Piacenza, tip. Del Maino, 1916 (d. d. A.). BonertTtt Caro, L'assedio di Cremona (agosto-settembre 1526). Roma, tip. Voghera, 1916 (d. d. s. A.). Brixia, 1. semestre, 1916. Brescia (d. d. s. Guerrini). Bustico Guino, Giovita Scalvini e la “ Biblioteca staliana ,. Roma, “ Rivista d°’ Italia ,, 1916 (d. d. A.). -- Il concetto di progresso nella storia. Acireale, tip. Orario delle Ferrovie (d. d. A.). — Il principe dei Benefattori Ossolani. Gian Giacomo Galletti. Domodossola, tip. Porta, 1916 (d. d. A.\. — Le leggi suntuarie nella repubblica di Venezia. Genova, tip. Carlini, 1916 (d. d. A.). — Massimo d°Aszeglio e la Sicilia. Catania, tip. Giannotta, 1916 (d. d. A.). _— Un raccoglitore di lettere della prima metà del secolo XIX. Carlo Emanuele Mussarelli. Acireale, tip. Orario ‘delle Ferrovie (d: d. A.). IT 644 OPERE PERVENUTE ALLA BIBLIOTECA SOCIALE Fabbrica del Duomo di Milano. Relazione del Consiglio d’amministrazione al Ministro della P. I. sulle vicende della facciata dall’epoca del concorso mondiale a tutt'oggi. Milano, giugno 1916, Alfieri & Lacroix (d. della Fabbriceria del Duomo). GauTHEY CHRISTOPHoRUS, Sancius Gaudentius Brixiensis Episcopus et Notarit. Brescia, ed. “ Brixia Sacra ,,, 1916 (d. d. s. Guerrini). GiuLIinI, Vel secondo centenario della nascita del conte Giorgio Giulini istoriografo milanese. Milano, tip. Stucchi e Ceretti, luglio 1916, due volumi (d. d. Comune di Milano). GuERRINI Paoto, // vescovo Fortunato Morosini giudicato da un cronista contemporaneo. Brescia, ed. * Brixia Sacra ,, 1916 (d. d. s. A.). — Un diploma inedito di Federico Barbarossa. Brescia, Unione tip.lit Bresciana, 1916 (d. d. s. A.). KAUFFMANN ARTHUR, Giocondo Albertolli der Ornamentiker des italienischen Klassizismus. Strassburg, Heitz, 1911 (d. d. s. Bertarelli). Inquanez MARIO, Le pergamene del monastero dei SS. Cosma e Damiano di Tagliacosso conservate nell'archivio di Montecassino. LAFFRANCHI L., L'antro mitriaco di Angera e le inonete in esso rinvenute. Milano, Crespi, 1916 (d. d. A.). — Le monete guerresche di un imperatore pacifista. Milano, Crespi, 1916 (d. d. A.) MoreTTI ing. Luici, Relazione sulPandamenio morale ed economico del l’anno 1914 dell'Opera Pia “ Guardia medico-chirurgica notturna ,. Milano, Agnelli, 1916 (d. d. s. Frisiani-Parisetti). SALVERAGLIO prof. FiLipPo, /ndice dei 35 anni della “ Illustrazione ite liana , 1873-1908. Milano, Treves, IgIo (d. d. dott. A. Comandinà. SeGARIZZI ARrNALDO, Contributo alla storia delle congiure padovase. V: nezia, tip. Ferrari, 1916 (d. d. A.). Il ms. che segue, dono del dott. Bertarelli: Raccolta di poesie diverse o sia Trattenimenti de Curiosi ed Intelligent. Ms. cart. sec. XVIII, in-4. RomanENGHI AnceLo FRANCESCO, gerente-responsabile. Milane - Casa Editrice L. F. Cogliati - Corse P. Romana, 17. (GO ogle Il processo per l'annullamento del matrimonio - tra Vincenzo II duca di Mantova - e donna Isabella Gonzaga di Novellara ——==__:-— 1616-1627 ——- Il fatio — Le prime lettere per la conservazione del cappello e il concistoro del 5 settembre 1616 — Il ravvedimento del principe Vincenzo e le false voci di violenza usata contro il fratello dal duca Ferdinando — L'affinità — Di alcuni indizi della malafede di Ferdinando — Le prove e gli argomenti giuridici — L'inflessibilità del papa Paolo V e l’atteggiamento temporeggiatore dei Gonzaga — La prigionia di Isabella — La ripresa della lite — La rinuncia definitiva dei Gonzaga alla causa da commettersi alla Rota. A ON è scevra di forza rappresentativa questa istoria, che -i(x{f mi accingo a narrare: si svolge nei malinconici anni i illuminati dagli ultimi barlumi della Rinascenza e dalla n24€%8 furia della reazione cattolica già pervasi; la sua trama è intessuta da ministri, da ambasciatori, da cardinali, da giudici, da inquisitori; come in un giuoco, essa compone, intorno al rapporto centrale corrente tra Mantova e Roma, una infinità di altri rapporti, non sempre accessorî e de’ quali non sempre è possibile rintracciare una intima ragione di essere. Al processo prendono attiva parte, per i moventi più vari, le corti di Francia, di Spagna, di Toscana; i Farnese, i Savoia, i Nevers, l’imperatore stesso si intromettono più o meno direttamente nel dibattito (1); i segreti (1) Maria de’ Medici, regina di Francia, era zia di Ferdinando e Vincenzo Gonzaga, la cui madre, Eleonora de’ Medici, era andata sposa a Vincenzo I., Il granduca di Toscana, Ferdinando Medici, divenne nel febbraio del 1617 - Arcà. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. IV. 42 Go ogle 646 GUIDO ERRANTE carteggi delineano dei principi i più intimi caratteri nei più salienti rilievi. E, poichè gli ultimi fratelli duchi, Ferdinando e Vincenzo Gonzaga (1), affannosamente si adoperano con l’astuzia e con l’intrigo a prevenir la certa fine della loro casa, una lunga serie di mene diplomatiche riannoda, con insuperabili accorgimenti, l’esterior vita all’interiore, la publica alla privata. L’istoria ha per epilogo la morte di Vincenzo Il, e la discesa dei Nevers a prender possesso del ducato in onta ai moniti imperiali: onde la terribile guerra che si chiuderà con il sacco di Mantova (2). La dignità cardinalizia passò da Ferdinando Gonzaga (3) al suocero di Ferdinando Gonzaga, avendo questi condotta in moglie la figliuol sua Caterina. L’ imperatore, Ferdinando II, era cognato di Ferdinando e ‘suo diretto signore, poichè Mantova era feudo dell’ Impero. I Farnese erano ostili ai Gonzaga, da poi che Vincenzo I, suscitando gravi scandali, avea ripudiato la sua prima moglie, Margherita Farnese: ostili ai Gonzaga erano pure i Savoia, per l’aspre lotte del Monferrato e per ragioni ancor più profonde di mire lontane: e ai Nevers si sarebbe potuta aprire la successione al ducato di Mantova, qualora Vincenzo non avesse avuto un erede. (1) Da Eleonora de’ Medici tre figli si ebbe Vincenzo I: Francesco, che mori subito dopo il padre; Ferdinando, che fu duca dal 1612 al 1626; Vincenzo, che fu duca soltanto alcuni mesi del 1627; e due figlie: Eleonora, che fu moglie di Ferdinando II imperatore; Margherita, che fu moglie del duca di Lorena. (2) Tutti i documenti citati nel corso delia ricostruzione e in appendice son tratti dall'archivio Gonzaga, e precisamente dalle serie seguenti: a) Originali o Lettere de’ Principi. b) Minute della Cancelleria ducale. c) Corrispondenze romane degli ambasciatori. d) Carteggio interno, da Mantova e Paesi del Ducato, co’ Principi. e) Carteggi varî da Bozzolo, Novellara, Goito, ecc. (3) Già fin dal 1612 i Gonzaga si preoccupavano della discendenza diretta nella loro casa: trattative di matrimonio erano corse tra Ferdinando e Marghe rita di Savoia, vedova del duca Francesco; se non che i ministri si erano op- ‘ posti, consapevoli del carattere autoritario della savoiarda: e Margherita, lasciata la figlia Maria nel monastero di Sant’ Orsola a Ferrara, fece ritorno a Torino, nella severa corte paterna. Più tardi Ferdinando, invaghitosi di Camilla Faa di Bruno, damigella della sua corte, con una falsa cerimonia si univa a lei in ma trimonio: ma contro di lui si levarono Je voci insidiose di parenti e di ministri, e la povera Camilla fu relegata a Casale, dove mise alla luce un bambino, che ebbe nome Giacinto. Quando nel 1617 il Gonzaga celebrò le nozze con Caterina de’ Medici, dopo molti altri inganni, Camilla Faa, sdegnando le proGoo gle eli IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, Ecc. 647 fratello Vincenzo nel 1614, dopo due anni che Ferdinando aveva avuto l'eredità del trono. Il cardinale Vincenzo « di bello ingegno e costumatissime maniere », contava appena vent'anni, quando venne relegato nella villa gonzaghesca di Gazzuolo, per farvi penitenza di qualche peccatuccio, che troppo rumore avrebbe mosso, ripetendosi sotto gl’intensi sguardi della corte di Mantova {1). A distanza non maggiore di quattro miglia, viveva donna Isabella Gonzaga di Novellara, vedova del principe di Bozzolo; e precisamente in San Martino dall’Argine. Era costei bella ed umanissima signora; con saggia cura aveva retto le sorti del suo piccolo stato, durante la minorità del figliuol primogenitò Scipione; l’età avanzata non le toglieva ogni grazia, e un particolar fascino anzi le veniva dalla matura esperienza e conoscenza degli uomini e delle cose. Ecco quanto di lei narravano i cronisti del tempo. Or dunque di donna Isabella s'invaghì il giovane cardinale; e non riuscendo a piegarla ai suoì desidcri, decise di condurla in isposa. Nessuna licenza venne chiesta a Paolo V: ma in una sera d'agosto del 1616 Vincenzo, radunati amici e’ consiglieri, di dosso toglievasi 11 manto e di capo lo zucchetto, apparendo in armi e corazza; le nozze si celebrarono nella cappella del palazzo della principessa, a San Martino (2), officiando il parroco, don Orazio Cessa, presenziando il principe Scipione e il conte Alfonso, fratello della sposa (3). Le tepide aure poste di unirsi ad altro uomo, si ritirò a Ferrara; costretta dalla gelosia della duchessa a rinchiudersi nel convento del Corpus Domini. (1) Di Vincenzo Gonzaga Alvise Donato, ambasciatore dei veneziani, riferiva nel 1614 alla Serenissima: « Il signor Don Vincenzo, fratello di Sua Al « tezza, in età di 19 anni, d'animo vigoroso e risentito, di spirito ardente, fa- « rebbe senza dubbio gran riuscita nell'arte militare, quando, chiamato, come « par, dalla fortuna, non avesse ben tosto a mutar abito e professione; non pren- « dendo egli, com’ accostumano altri principi giovani, la milizia per ricreazione, « nè si serve licenziosamente del titolo del suo nascimento, non passa neghitto- « samente il tempo ne’ piaceri e ne’ lussi; ma attende solamente a' negozi, pro- « cura di farsi conoscere a’ soldati, vuol informarsi e imparar da’ periti, studia « d'imitar i migliori, non ambisce cosa vanamente per iattanza, nè s'è veduto « che n'abbia ricusata mai alcuna per timore ». Relazioni degli Ambasciatori Venetî al senato, a cura di ArnaLDO SEGARIZZI, vol. I, Laterza e figli, 1912. (2) Doc. I. (3) G. B. INTRA, Isabella Gonzaga di Bozzolo, Mantova, tip. della Gazzetta, 1897. L' INTRA aggiunge che Vincenzo mandò al pontefice lo zucchetto, accompagnato da una lettera poco rispettosa. Di questa lettera non è traccia nell’ arlà Lo ogle 648 GUIDO ERRANTE del lago non valsero ad attutire l’ira del duca Ferdinando, ne le liete brigate, all’annunzio del matrimonio : l’iperbolica descrizione dello storico Andreasi narra com’ egli svenisse, a tale inaspettata notizia, dopo aver esclamato: — Povera mia casa, povera mia casa! (1). Monsignor Soardi, residente presso la S. Sede, fu subito avvertito: e, poi che il Marzi, coadiutore nella ignobile tresca, si sarebbe recato dal pontefice, occorreva prevenirlo ed evitare che Paolo V accordasse la dispensa dalla dignità del cardinalato. La lettera, del 26 agosto 1616, già esprimeva una speranza, a dir vero, ingenua di Ferdinando (2). Simulare avrebbe dovuto monsignor chivio Gonzaga; nè riscontro alcuno nelle lettere posteriori degli inviati dal duca alla corte di Rema. (1) Lupovico ANDREASI, Vita degli ultimi quattro duchi di Mantova della linea principale dei Gonzaga. Manoscritto inedito, che si conserva nell'archivio Gonzaga. (2) Di Ferdinando Gonzaga parla a lungo, di ritorno da una ambasceria del 161;, l'ambasciatore veneto Giovanni da Mulla: « È adunque Ferdinando Gonzaga, di statura media, di abitudine, oltre l’ordinario della sua casa, magra et asciuta, di delicata complessione, di leggiadro aspetto e di faccia amabile e piena di venustà. È sano convenientemente, e sarebbe forse ancor più, se, abandonando l'opinione d'un suo medico familiare, non frequentasse così spesso i medicamenti come frequenta ». Riferisce inoltre di averlo sentito « .... affermare più volte di non aver avuto altro reffrigerio o sollievo in quest’ ultimi importantissimi travagli che quello della musica e che sarebbe morto talora, se non avesse avuto questo reffrigerio. E veramente l’inclinatione della natura lo porta incredibilmente al gusto della musica e della poesia. E, perchè è di brevissimo sonno, si crede che insino la notte formi nella sua mente qualche composizione; e la mattina nell'uscir dalle stanze ha sempre qualche cosa di prezioso da dire e da comunicare con alcuna persona letterata.... È il signor duca inclinato molto alla giustizia e l’ha commandata ai magistrati molto strettamente, perchè la usino indifferentemente con tutti: insino con l'Altezza Sua, e se vi fosse alcuno che pretendesse alcuna cesa da lei ». Relazioni degli Ambasciatori Veneti, op. cit. In una lettera a un suo ministro, confidava il duca Ferdinando il senso di una particolar scienza politica, così argomentando: « La scienza della ragion di « Stato.ha questo d’incomodo, che nessuna universale propositione manca d'ec- « cettioni, perchè i tempi, i luoghi, le persone, gl’ interessi, i negotij, le congiun- « ture et la serie di tutte queste cose insieme. alterano, distruggono, pungono, « edificano et abbattono qualsivoglia preveduta et in universale considerata po- « litica propositione, a cui la ragion suffraghi ». In calce, di suo pugno, il duca, quasi ironicamente sorridendo, annotava: « Princeps est animal, che vorrebbe « esser più d'uomo et al più delle volte est minor homine cui più l'apparenza « che l'essenza conviene instructus moribus vulpinis et arte pelasga ». R_R AAÀìÀQÀ R A . -— IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, Licc. 649 Soardi e dare a divedere che tutto ancor s'ignorava alla corte e quanto scandalo sarebbe per apportarvi la notizia dell accaduto. a Se il Papa venisse in quello (cosa che non crediamo) di dichiarar ogni matrimonlo nullo come chè sia seguito dinanti la sua accettazione della rinuncia del Cardinalato, assicuratelo che noi cooperaremo a così santo pensiero, et che basterà ci sia accennato il senso suo per aver noi partialissimi persuasori et esecutori della sua volontà, ma per non contradirvi, mostrate che siano concetti vostri, et piacesse a Dio che questa nullità del matrimonio contratto ante acceptationem Pontificis ovvero rinunciam expressam cardinalatus si potesse sostenere, che cì parrebbe di questa maniera di riacquistar tutto quello che perde nel presente negotio ta Casa nostra. ». Da opposte instanze di Vincenzo venne assediato il pontefice e richiesto di decisioni altrettanto impossibili. « Non essendo chi sia per sapere se il matrimonio sia preceduto o no [alla dispensa], niente importando all’essenza del fatto che tal rinuncia si faccia con solennità o senza, dovendo bastare che la S. S. del seguito intorno alla rinuncia et sua accettatione dia poi parte al collegio, come di cosa fatta et della benigna licenza che ci avrà data nel medesimo tempo di accasarcì con sua soddisfatione. Potrete anche toccarli in questo proposito, che averessimo potuto celar il fatto del matrimonio et darne parte a S.S. come di cosa da farsi, ma che volendo più confidare nella sua paterna benignità che in qualsivoglia umana cautella, ricorriamo a lei con sincerità di cuore et rappresentandole come a medico pietosissimo la nostra infermità, speriamo di riportarne quel rimedio che merita la nostra viva devotione et la confidenza grande che teniamo nella 5.5. ». Ma, per parte di Vincenzo, non a Jungo seguitarono gl’impedimenti all’avverarsi del desiderio del duca. Dall’ agosto al dicembre del 1616 il tono delle lettere di Vincenzo, in verità, varia a mano a mano che si determina il suo ravvedimento: sempre umili, sempre ossequenti, queste lettere; ma da prima dichiarano una incrollabile fermezza nel voler in ogni modo conseguir la dispensa, e poi sì piegano, a poco a poco, a tutte le volontà del maggior fratello. Îl 27 agosto: « .... creda che Dio ha voluto così; V. A. è prudente, la suplico di novo della sua gratia, perchè senza di essa son sicuro d’ammalarmi ». E il 27 novembre « .... Il mezzo a ciò fare [a rendersi gradito al fratello] ora sarà il baciare con questa 650 GUIDO ERRANTE mia a V.A. la mano et a suplicarla a concedermi nella sua gratia quel luogo che si conviene e alla sua humanità e alla mia osservanza, assicurandola che nel particolare del mio negotio farò se non cose che saranno in gusto dell'A, V. ». Se tanto rapidamente erasi spento nel giovane Gonzaga l’amore e se con tanta facilità il duca lo avea potuto persuadere, non così propizio alle sorti della casa fu l’animo del papa Borghese: « .... attione delle più dolorose che da S.!° Pietro in qua sì fosse sentita », era nel giudizio del Santo Padre quella del principe Vincenzo: egli doveva dunque esser privato della porpora e invano Ferdinando pregava con umiltà o minacciava con ira o accusava di delittuosi propositi l'odiata Isabella. Citiamo qualche passo delle sue lettere. « .... Può ben credere la S. S. che non possiamo mai deporre così giusto sospetto, anzi abbiamo da persuaderci che in progresso del matrimonio quanto si vedesse questa donna allongato l'esito delle sue speranze, tanto più portata dall’ impazienza et stimolata da questo vehemente desiderio, fosse per machinar con ogni possibil modo contro di noi stessi » (1). E alla duchessa di Lorena, sua sorella, alla duchessa di Ferrara, sua zia, alle maestà di Francia e di Spagna narra la sua disgrazia, acerbamente dolendosene e ripetendo con rassegnato sarcasmo l’accusa. « Ne siamo desolati con quel disgusto maggiore che ne possiate imaginare, tanto più, che vediamo i fini di questo per altro infelicissimo casamento essere fabricati principalmente, per li riscontri che ne abbiamo, contro la nostra pelle ». E in una lettera del 17 settembre al Soardi egli si mostra così addolorato e accasciato, si rivolge con tanto ardore alla clemenza del papa, che quasi sembra gli gravi sull’anima la netta visione del destino che sovrasta alla sua casa. (1) Anche per il vescovo di Mantova, Francesco Gonzaga, Ferdinando ebbe parole severe: lo accusò di aver aiutato la principessa di Bozzolo. « Ora veggasi e quello che sa operar l’Ipochrisia et come il Demonio talvolta per ingannarci « si veste l'abito d'Angelo di Luce », Il duca, essendo di li a poco morto Francesco, ne dava partecipazione all’ arciduchessa di Innsbruck in questi termini: « Finalmente il Vescovo nostro passò a miglior vita due di sono, et la sua morte c è stata il sigillo delle sue Sante operationi. Serenissima Signora, dove la spe- « ranza delia gioria per quella benedetta anima si rende sicura, a me non pare « vi resti luogo di condoglianza, perchè infine Beati sono quelli che morono nel A Signore ... ». Monsignor Soardi fu proclamato vescovo di Mantova. Go ogle I. PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 65I « Monsignor nostro carissimo. - Desideravamo ‘dalla benignità di N. Signore, come per mezzo vostro lo facemmo supplicare, che la dichiaratione fatta intorno il caso di nostro fratello si mandasse più inanti che fosse possibile, sperando che il tempo ci mostrasse meglio con quai disegni si sia gettata questa pietra del matrimonio et ci scoprisse qualche causa da poterlo invalidare. Ora andiamo scorgendo tai fini et spiriti di così cattiva intentione, che ci hanno obligato et vanno continuamente obligando di abbracciar consigli se non buoni almeno cauti, et se non in tutto pii, almeno in tutto politici. Siamo dunque a pessimo termine col sudetto nostro fratelio, il quale come chi ci abbia offeso così gravemente, poco si fida di noi, et come in parte conosca che la Vita nostra et successione di noi sia per esser la sua perpetua infelicità, è forzato (poi che gli errori quasi annelli di catena l’uno con l’altro s’abbracciano) a desiderare quest’unico rimedio alla cosa sua che li potrebbe porgere il tempo, o qualche disastroso accidente che a noi potesse avvenire. Stiamo però alterati l’uno con l’altro, nè l’ingiustizia della sua causa li porge luogo onesto ad alcuna querela, sì che quanto più tenta nascondere il sentimento dell’ animo suo, tanto più cresce l’amaro che gli fa tacitamente mordere il freno, vedendosi privo della Dignità in che era posto, degli aggi et commodità che gli portavano l’entrate ecclesiastiche, et quasi della reputatione. Non si può dunque sperar altro frutto da questa diabolica attione, se non una intestina discordia tra di noi et un continuo travaglio in questa casa, massime conoscendo, che tutto il danno nasce dalla parte della femina, la quale s'e indotta a sposar lui, credendo di sposar il Ducato di Mantova et quello di Monferrato appresso. Suo fratello il conte Alfonso, dopo averci scritto una lettera nella quale egli si dice sospetto de trattare con Principi poco amorevoli di questa Casa et essersi esibito di venire a giustificarsi in questa Città, rompendo la parola sotto frivoli et falsi pretesti con la sua contumacia ci ha mostrato esser verità quello che noi credevamo opinione, onde potete ben dal fascio di questo racconto spremerne un succo di pessime conseguenze, quando la benignità di S.S. non ci abbandoni, potendcci ella favorire senza pregiudizio di alcuno solo col far. la giustizia. Abbiamo ritrovato alcune oppositioni contro questo matrimonio, quali vi mandaremo subito che si siano ben studiate. Fra tanto rappresenterete tutta o ogle 652 GUIDO ERRANTE questa narrativa di cose alla S.S., supplicandola, mentre gli fosse chiesta alcuna dispensa da nostro fratello, o dalla Donna, a ne- _gargliela, assicurando noi S. Beatitudine che ciò non facciamo ad altro fine che solo per liberar questo giovine dalle mani di così | vecchia et artificiosa moglie, dalla quale difficilmente ne può sperar prole. Nè altro può aspettar questa Casa che dolorosi accidenti, non essendo ella più che dama ordinaria, dì stirpe che si tiene offesa dalla famiglia nostra, et unita di volontà con nemici nostri, da’ quali ha fatto sempre la Casa di San Martino professione di dipendere, poichè levate queste così importanti considerationi, non siamo di così mala condizione che vogliamo impedire d’accasarsi al fratello, mentre lo faccia con utile suo et riputatione di tutta casa nostra. Con questo rimedio levarà S.S. l’occasione a maggiori scandali, quali al sicuro succederanno quando non si trovi modo di rompere il fatto. Qui annessa viene una credenziale; in persona vostra assicurate per quanto potrete mai questo punto della ripulsa alla Dispensa, quando da quella parte fosse chiesta. Chè pertanto metteremo all’ ordine le scritture per mandarvele con Corriere espresso. Questo che porta il presente dispaccio sarà rispedito da Voi con diligenza subito che abbiate la risposta di S. S.; la quale potrete assicurare, che non è nè sarà mai questa Casa capace di maggior favore di questo, che si spera dalla benignità sua, nè per conseguenza resterà a noi grado alcuno d’obligo superiore a quello che teneremo alla S.S. col quale possiamo esser da persona alcuna legati et Dio vi guardi » (1). La decisione del concistoro del 5 settembre dileguò subito una delle speranze del duca; in esso solennemente si decretò de- (1) Ferdinando aveva già chiesto ragione al vescovo di Cremona, esercitante su Bozzolo la suprema autorità religiosa, del matrimonio avvenuto dietro suo consenso. Ma il vescovo aveva risposto (vedi doc. 2), protestando d'essere umilissimo servo di S. A., che mai avrebbe lasciato compiersi un avvenimento di tanta importanza, senza avvertirne l'A. S. Il priore della chiesa parrocchiale di S. Martino era stato a chieder licenza di celebrare un inatrimonio omettendo le pubblicazioni; ma come non aveva voluto dirgli chi fossero gl’interessati. scusandosi d’averne avuto notizia in confessione, il vescovo l’avea rimandato, negandogli la licenza. Ferdinando fece ben risaltare agli occhi del papa il disprezzo dimostrato da donna Isabella verso il vescovo di Cremona. IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEI. MATRIMONIO, ECC. 653 caduto dall’alto ufficio Vincenzo Gonzaga (1). « Il S. Cardinale, ora il S. Principe d. Vincenzo, potrà cingere la spada e godere la 5. (1) L’INTRA, Op. cit., aggiunge che Paolo V giurò che mai più la berretta rossa sarebbe stata sul capo di un Gonzaga, lui vivo, e ordinò che tolti venissero tutti gli stemmi gonzagheschi dalle chiese e dai palazzi che quei principi assai numerosi possedevano in Roma. Nè anche di questa implacabile severità abbiamo riscontro nell'archivio Gonzaga. Del resto i termini precisi del decreto concistoriale rion si seppero mai a Mantova. I nemici di Ferdinando, anzi, ne andavan spargendo versioni diverse: e invano si tentò di ottener dal papa copia di quel decreto. Forse, temendo che lo si volesse impugnare, il papa negò sempre tale concessione: e il Castelli così riferiva in proposito il suo negoziato con il pontefice « .... che dopo l’accidente occorso (che le rincrebbe senza « fine), non poteva [S. S.] venire a dichiaratione che fosse manco pregiudiciale « alla Serma Sua Casa, non ostante d'esserle state somministrate considerationi « di qualche sentimento e che sino con li Mercanti volle di sua mano prescri- « verle la forma del ragguaglio loro ». Codesti Mercanti erano i gazzettieri dell'epoca: soltanto, mandavano scritte e non stampate le loro corrispondenze. .\vevano stipendio da principi e da privati: spesso finivano in galera o sulla forca per le loro maldicenze e bugie. C'è uno studio buonissimo del BonGi sui Mercanti, ristampato dal MoranDpI nella sua Antologia critica. Continuava il Castelli: « Quanto alla copia persiste la S.S. nella negativa già data al Sig. Magni, non « dovendo per niun modo esporsi alle censure di alcuno, nè propalare Decreto « fatto in Concistoro segreto, che non è della natura di quelli decreti, sopra « quali si formano le Bolle, e de’ quali si danno le fedi a questo effetto; e che « YA. V. ha per più segni nota l'intenzione sua di compiacerla sempre, ma che « in questo, come cosa che si tirarebbe ad esempio (il che si deve fuggire quanto più si può dalli papi) lo porrebbe in necessità di non negare ad altri, quello che si suole tenere celato a tutti. Ma che quanto al contenuto d’esso decreto, attesta essere vero ciò che disse al Sig. Magni e di nuovo assicura V. A. essere falsissimo, che vi sia la claosola, et quatenus opus sit de novo privamus, ma solo semplicemente lo dichiara, privatum ipso iure, non avendo gionto niente del suo, se non quanto dispone la legge; anzi quasi per certa giustificatione di se medesimo, mi disse, e S. A. ce lo può credere, che Noi non siamo persona di dire, quello che non fosse vero, et io a questo feci quella replica, che conveniva di prestare indubitata fede alli semplici cenni di S.S., ma che solo lA. V. si moveva, per non lasciare radicata opinione diversa e per lasciare a’ pcsteri, con scritture auttentiche, la verità di questo fatto, e che trattandosi dell'interesse del Sig. Prencipe, dovendo egli sapere s'era o non era cardinale, e con quali conditioni privato, non poteva averne certa scienza, se non se le mostrava la sentenza, (per modo di dire) formata contro di lui; insomma feci molte repliche con quella destrezza e riverenza che si conveniva, in modo tale, che mi s'offerse 'di farmi leggere esso Decreto e che l'averebbe dato al S. Card. Borghese a tale effetto, tenendolo la S. S. riposto in un suo scrinio.... » Ma, ripeto, la forma precisa del decreto concistoriale a Mantova non si seppe mai. na R AG AR 2 fAa (GO ogle 654 GUIDO ERRANTE Principessa sposa, poichè il matrimonio è validamente contratto e per conseguenza non è più Cardinale ». Bisognava ormai tendere con ogni forza allo scioglimento del matrimonio: ottenuto questo, forse il Vaticano avrebbe cancellata la-sentenza e Vincenzo avrebbe di nuovo goduti i benefizi ecclesiastici e gli altri vantaggi inerenti alla carica. Non è facile accertare se la parte di donna Isabella esercitasse pressioni in Vaticano, per aver favorevole nel giudizio Paolo V; il consigliere Alessandro Striggio, avvertendo un giorno Ferdinando di certe trattative che passavano tra Bozzolo c Parma, soggiungeva: «.... ben può essere che questo si faccia per ostentatione della S. di San Martino, che vorrebbe dar ad intendere di avere adherenze, et appoggi per tener le sue cose in reputatione, che perchè in realtà il S. Duca di Parma s’interni in simili affari, il che si cava etiandio da certo tocco, che fa la detta signora nella lettera, che scrive al Sig. D. Vincenzo dicendo, che la sua Casa non è forse priva così di spinte e di aiuti, conv’altri crede.... ». È evidente che il pontefice non voleva prender di fronte il duca, per potenza ed ingegno e protezioni avversario temibilissimo; d’altronde, egli nè pure voleva transigere con la propria coscienza, ed era consapevole della importanza di così alto verdetto, in un argomento per il quale assai rigide e intransigenti erano le norme della fede e del diritto canonico: « .... essendosi altre volte più presto lasciato perdersi il regno d'Inghilterra che dissolver un matrimonio validamente contratto ». Mentre dunque monsignor Soardi assillava il Santo Padre con le argomentazioni giuridiche di Ferdinando e, dietro la guida del suo signore, tentava di porre solide basi alla buona riuscita dell'imminente processo, don Vincenzo scontava a Goito la pena, prigioniero quasi e in ogni sua mossa spiato, come risulta da quanto un tal Bonfanini suo servitore scriveva a un ministro della corte di Mantova, il 2 settembre del ‘16. | « Sta la S. Ill.ma malinconichissima, nè per cosa, che sì dica, si può cavargli pure un segno di allegrezza. Mostra col suo profondo pensare d'avere gran cose irresolute nell'animo. S'è dichiarata avere grandissimo dolore del disgusto c'ha S. A. avuto e di questo solamente rincrescergli. Mercori mattina andò a messa dalli Cappuccini e vi si trattenne più di due ore interrogando uno di II. PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, Ecc. — 655 quei padri delle loro osservationi et maniera di vivere, gli fece eHemosina et il dopo pranzo uscì poco di Camera. Giovedì che fu ieri andò a Vespro pure al detto Convento, e vi si fermò ben tre ore nel coro, e mi dice il S, Beccaguti ch’una sol parola dal dopo desinare sino a sera gli uscì di bocca, sul tardi andò a spasso in carrozza poco più d’un’ora, Cenò con più malinconia che mai, si fece porre a letto et è levato alle undici ore, è stato a pescare, et a messa di dove or ora è ritornato. Altro non so per adesso che dire a V. S. Ill ma la quale supplico a non lasciare vedere le mie lettere, con le quali se bene sò che mi salverò semipre la fede che debbo al mio Padrone, tuttavia potriano essere interpretate molto diversamente, da quella che è la mia intentione.... ». Anche quando il principe fu ritornato a Mantova, allora che Ferdinando a Casale tutto era preso dalle gravi cure della guerra del Monferrato, il trattamento del duca non era troppo largo e benevolo verso di lui. Lo Striggio informava, che se non si fosse provveduto direttamente, Vincenzo avrebbe ricorso ai veneziani per aver denaro, « Questo povero signore è agitato altrettanto dall’odio verso Donna Isabella quanto fu già dall’amore, dice d’essere stato da lei burlato e per quanto tien per sicuio ammaliato; egli è degno di gran compassione, se si riguarda il suo infelice stato presente; poi che in questa absenza di V. A. non è alcuno nè della nobiltà nè della plebe che, per dir così, gli guardi addosso. Le sue camere paiono una solitudine et ì suoi servitori sembrano appestati, tanto sono da ognuno aborriti. Egli non pensa ad altro che alla dissolutione del suo infausto accasamento, et in ciò ha così fisso l'animo, ch’ogni via che gli si presentasse d’uscirne, ancor che fusse asprissima, gli parerebbe agevole ». E a Roma andava intanto spargendosi la voce di angherie e di soprusi patiti dal giovane Gonzaga. « Vogliono alcuni che Don Vincenzo Gonzaga sia passato a servire S. A. poi che S. A. lo maltrattava dopo il matrimonio, per il quale si vanno continovando discorsi degli effetti che in poco servitio di quella casa può questa risolutione portare.... ». Ma Ferdinando si schermiva dalla accusa, e si lamentava aspramente della inflessibilità del Vaticano a suo riguardo. » Potrete poi dire a S. S. che ben sappiamo esserli instillato che nostro fratello si mostri alieno dal matrimonio per timore di Noi più che per propria inclinatione, ma che stia sicuro 656 - GUIDO ERRANTE sopra la parola nostra S. B. che il tutto è mera calunnia et che non vi è paura in Don Vincenzo, nè anche riverentia; poi ch'egli potrebbe andare a S. Martino se gli piacesse, anzi li soggiungerete che ben può accorgersi la S. S. dal modo col quale sì tratta questo negotio, che da noi ogni principio di violenza è lontano. Ben non ci potiamo acquetar l’animo a vedere come ci si fa tanto caso costì dell'errore di nostro fratello, che senza dar un minimo momento di tempo a Noi di cergare quello, ch’abbiamo trovato, s'è venuto a dichiaratione di privatione del Capello; non si faccia poi dimostratione contro i preti e frati consultori et conduttori di questa indegna attione, et si favorisca il Conte Alfonso promotore della Causa; il quale costì trionfa della bell’opera fatta, mentre meritarebbe esser castigato per essempio del futuro et per pena del passato, onde pare che il mondo concepisca, che tutta l’acqua sì sia rovesciata adosso a questa Casa pur troppo aflitta, senza l’aggionta di questi travagli et che gli altri se ne vadano esenti ». E il Castelli, che a Roma avea nel frattempo sostituito monsignor Soardi, assicurava il papa che il principe non era affatto violentato ed era libero di ogni suo atto e conveniva perfettamente nel processo di scioglimento; senza il consenso di lui, del resto, non si sarebbe potuto intentar la lite. E d’altra parte, in favore del duca, sta una lettera sua al fratello, da Casale. « Signor fratello. Io non lascio di proseguire in nome mio la causa del vostro matrimonio, per la dissolutione per altro, che per quello che intenderete dal Bardellone al quale restano alcune scritture in mano. Se si può con buona coscienza andare avanti, toccarà a Voi il farlo, et io vi assisterò di tutta la mia autorità, et potere, ma guardate bene a non far cosa che sia contra l’anima nostra, perchè qui non sì tratta di un peccato che possa ricevere assolutione subito fatto, ma si tratta d’un errore, che vi costituìrebbe per tempo in colpa mortale, et in conscienza inhabile ad ogni matrimonio. Voi siete prudente. Parlate col Bardellone et vedete le scritture et consultatele bene, che quando poi come m'accenna il Possevino (1) in una sua questa donna vi abbia con brutte _ ————— (1) Antonio Possevino, medico; uomo di gran talento, ma storico falsario, capace di inventar fin anche i documenti, qualora per un suo scopo ciò gli fosse sembrato necessario. La sua Gonzaga è la storia ufficiale della casa. - — Il. PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, EUC. — 657 maniere alettato, il che è una spetie di violenza, a fare quello che avete fatto, ci vogliono altri rimedî, perchè così non state bene, né siete buon per questa Casa nostra, nè per noi.... ». Finalmente, ai primi di dicembre, dopo la partenza del duca per Casale, si comunicava al papa che il negozio era stato rimesso completamente all’arbitrio del principe Vincenzo. Seguendo, dunque, più che i fatti la ragion naturale delle cose (poi che anche i documenti non escludono che quei principi e quei ministri del Seicento s’infingessero pur tra di loro), non può sembrar davvero necessaria e nemmeno logica questa valuta violenza del maggior fratello sul minore. Certo, la relegazione a Goito e le ristrettezze economiche in cui ebbe a trovarsi Vincenzo non appena perdute le laute entrate ecclesiastiche, dovettero concorrere al suo ravvedersi. Ma anche senza queste inevitabili conseguenze, egli si sarebbe ben presto stancato della moglie; non avendone avuto figlioli, avrebbe ben presto riconosciuto che la sciagura imminente sulla moribonda casa doveva in parte addebitarsi alla sua leggerezza. | Conoscendo ora come fin dal principio si siano disposti gli animi e abbiano agito le persone, potremo seguir meglio le fasi giuridiche del processo e i fondamenti ne’ quali avevano i due fratelli riposto le speranze loro. Ferdinando si diede tutto, non appena 16 concistoro ebbe dichiarato Vincenzo decaduto dalla dignità cardinalizia, alla prova dell’ aftinità che assicurava esistere tra il fratello e la cognata e che sarebbe stata di impedimento al matrimonio. Egli volle subito « dar qualche lume » in proposito al pontefice e vantare, oltre i gravi rispetti che lo muovevano, il « debito di coscienza », assillante per lui, che da sì indegna tresca era per esser « costituito tavola del mondo e suggetto delle gazzette ». Instruì all'uopo il suo residente presso la santa sede. « Direte dunque a S. B. che mossi noi da un mormorio universale che correva con qualche scandalo nella Città della suddetta parentela ché così bene non ci conistava, volessimo intender in che grado erano queste case e trovammo che il S. Ferrante di S. Martino primo marito di D. Isabella era in secondo grado di consanguineità col Signor Duca nostro padre, perchè ebbe per madre la signora Emilia serella naturale del S. Duca Guglielmo nostro avo e figlia del Duca Federico comun stipite di queste due diseendenze o generazioni.... sicchè, venendo 6358 UIDI ERRANTE Donna Isabella ad aver il medesimo vincolo del marito, viene a restar in secondo .e terzo grado con nostro fratello come era il predetto Ferrante, et il suo caso viene ad esser indispensabile per aver essi proceduto a far il matrimonio, non solo senza precedere le denonciationi o la licenza d’ometterle ovvero trascurandole, ma con manifesto sprezzo del Vescovo di Cremona, dopo avergliele negate come ne abbiamo attestatione » (I). Chiara, in tal caso, la disposizione del concilio di lento, Sess. 24, cap. 5: « Si quis intra gradus prohibitos scienter matrimonium contrahere praesumpserit, separetur, et spe dispensationis consequendae careat, idque in eo multo magis locum habeat, qui non tantum matrimonium contrahere, sed etiam consumare ausus fuerit. Quod si ignoranter id fecerit, si quidem solemmitates requisitas in contrahendo matrimonio neglexerit; eisdem subijciatur poenis. Non enim digitus est, qui ecclesiae benignitatem raciie experiatur, cuius salubria praecepta temere contempsit ». E assicurava Ferdinando che la prova dell’affinità era più che certa, constando per testimoni vecchi di 70 ed 80 anni; e molti attestavano di averne sentito parlare dal cardinale Ercole e da don Ferrante, zii dì Emilia e fratelli del duca Federico suo padre, e di aver veduto detta signora da costoro trattata come nipote: e il signor Fabio Gonzaga, figlio d’Alessandro e fratello di Emilia, diceva di aver udito il padre e i servitori vecchi di casa affermar ciò: mentre la fama publica e universale che era sòrta in Mantova, concorreva alla sicurezza del fatto (2). l'na seconda difficoltà, e di diritto, il duca cercava di prevenire e di sopprimere: quella che poteva trovarsi in un’altra disposizione del concilio di Trento, sess. 24, cap. 4: « Praeterea Sancta Svnodus, eisdem, et aliis gravissimis de causis adducta, impediÈ) (1) Doc. HI; Doc. II (2) Per orizzontarsi in questo ginepraio di parentele, sarà bene tener sott'occhio il breve albero genealogico, dimostrativo della voluta affinità, fornito dal duca stesso al Bonatti in una lettera del ro ottobre 1616. FEDERICO duca et IsaBELLA BOSCHETTA sua donna GUGLIELMO — primo grado -- EMILIA Vincenzo — secondo grado -- FERRANTE marito d' ISABELLA, maritata VINCENZO — terzo grado — adesso in ViNncENZO. © — IL PROCESSO l'ER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 659 mentum, quod propter affinitatem ex fornicatione contractam, inducitur, et matrimonium postea factum dirimit, ad eos tantum, qui in primo, et secundo gradu coniunguntur, restrinsit; in ulterioribus vero gradibus statuit, huiusmodi affinitatem matrimonium postea contractum non dirimere n. Ora, Vincenzo era in terzo grado d’affinità con Isabella e la parentela procedeva da fornicazione: ed ecco che Ferdinando instruiva il Soardi in ‘proposito. « Sarete avvertito che il Concilio a punto parla chiaro dell’ affinità che propriamente è quella che nasce tra l’uomo et i parenti della donna conosciuta o della donna con quelli dell’uomo, ma non della consanguineità la quale è tra. i discendenti di un medesimo capo, ancorchè venissero da copula illecita di quel primo. Se bene essendo queste materie assai più trite costì che qua, non crediamo che possa cader questo dubbio in alcuno » (1). Or ecco che, nella prima fase e poi via via nel corso di queste trattative tra Mantova e Roma, una serie di indizi sta a dimostrare la mala fede di Ferdinando e la incertezza delle sue argementazioni. Adducendo una « sospitione gravissima » contro il vescovo di Mantova, Francesco Gonzaga, egli supplica il pontefice a voler commettere la causa ad altro prelato e si dichiara favorevole alla nomina di monsignor Sacrati e alla pronta spedizione della causa: 1 testimonî son decrepiti ed egli teme non ne sopravvenga la morte, prima che sia messa in chiaro « la verità suddetta, con perpetuo pregiuditio dell'anime degl’interessati e della prole che nascesse ». Minacce e rimproveri si muovono a un tal Ghini, avvocato di molta vaglia, perchè scrive motivazioni in favore di donna Isabella (2). Deputando inoltre ii Vaticano a Vincenzo un giudice della Rota e, poi che questo giudice dev’ esser confidente dell’ una parte e dell’altra, essendo necessario di accordarsi con il rappresentante di (1) Doc. III. | (2) Ferdinando, informato che il Ghini patrocinava la causa d'Isabella, avrebbe voluto corromperlo ; ma il Soardi lo richiamò alla realtà delle cose. « Spero di * persuaderlo {il Ghini] in maniera, che li gioverà di credere di non porre peona « dove non li tocca; ma quanto al ritrarlo dall’Avocatione già cominciata a fa- « vore del Conte, non l’ho per così facile, che li parrerebbe di commettere « mancamento di fede, mentre le siano confidate le ragicni di una parte e pas- « sare poi al servizio dell’altra e qui sarebbe riputato indegno di mai più avocare ». 660 GUIDO ERRANTE donna Isabella, Alfonso di Novellara (1), e di citarlo per ciò ad concordandum de Iudice, il Castelli suggerisce al duca un rimedio contro la intransigenza del papa: Ferdinando mandi pure la lista degli auditori confidenti; egli chiamerà Alfonso « come per ufficio +, lo pregherà di esaminare la lista e dichiarar quindi gli auditori suoi diffidenti o confidenti, perchè non possa dubitare che gli sia « usata violenza o fatto pregiudicio alcuno »; in tal maniera, intanto, si verrà a conoscenza degli auditori ne’ quali la parte ‘contraria diffida o confida: così conclude il Castelli. Ancora: quasi intuendo il pericolo, Ferdinando vuol evitare perfino che Vincenzo faccia istanza di commetter la causa alla Rota e spera che possa sostituirlo in ciò un estraneo (tal Francesco di Pace), come se si trattasse d’incesto (2). Il papa ebbe a dolersi più volte delle irregolarità evidentis-" sime nel procedere dei fratelli Gonzaga: « trattandosi di ‘matrimonio tra Principi e di tanta importanza », come superiore del concilio, egli avocò a sè « la facoltà di commettere la cognitione (1) Alfonso, conte di Novellara, arcivescovo di Rodi, fratello di donna Isabella: fu patrocinatore della sorella presso la S. Sede per tutta la durata del processo. Il Soardi, da Roma, scriveva al duca nel giorno dell'arrivo di Alfonso: « .... que- « sto, di sicuro, posso scrivere a V. A., che la Corte non l’accoglie a quel ‘modo, che s'era vociferato, anzi come poco gustata, lo lascia con afflitione d'animo, non ricevendo da’ Cardinali dimostratione di sorte alcuna, lasciandosi loro meco intendere, che molti rispetti li tengono a ciò obligati, ma in particolar modo, quello che devono alla persona di V. A., mostrand’ ognuno di stimar più una scarpa di lei, che tutta la Casa del Conte Alfonso ». (2) I Gonzaga avevano anche fatto eseguire a Mantova l'interrogatorio de’ testimoni, che avevan risposto affermativamente ai quesiti di prova intorno alla pretesa «affinità: ma, mon essendo avvenuta ia citazione della parte contraria, le disposizioni non ebbero valore alcuno. Eppure a Mantova avevan cercato di dar agli esami testimoniali un'apparenza di legalità. In testa al verbale è la data del giorno in cui i testimonî vennero interrogati e il nome del pretore. A capo dell'esame di ogni singolo testimonio, è il nome di questi: terminato l’esame, lo s' interroga per concludere con le seguenti formule: « Interogatus de causa scien- « tiae (come ha saputo le cose dette:?); Interogatus de loco et tempore (dove e « quando le ha sapute ?); Interogatus de contestibus (chi può esserne ancora in- « formato?); super generalibus et recte (l’età, gli averi del teste; se ha deposto « secondo verità e non secondo amore, timore, ira o odio) », In fondo al verbale è la firma del notaio, con il timbro del tabellionato; 3 questa firma è autenticata dalla cancelleria del Senato. - : RR A_A , IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 661 alla Rota » (1). Acerbi rimproveri mosse Paolo V a Vincenzo, contemporaneamente, perchè questi manteneva in Mantova una donna e usava carnalmente con lei. « .... il matrimonio è valido o invalido, se valido, conviene al S. D. Vincenzo, come Principe Christiano, unirsi con la moglie, altrimenti facendo pecca mortalmente; se invalido, è tenuto a metterlo in chiaro con la ragione, per non dare al mondo esempio scandaloso di avere presa moglie e poi lasciarla da sè sola ». La questione giuridica era di prova: perchè risultasse l’affinità, occorreva dedurre « l’accesso del duca alla madre d’Emilia e l'assenza del marito in quel tempo da lei ». Ma il conte Alfonso confidava al papa i tre fondamenti con cui si riprometteva di ribatter quelli della parte contraria. 1°) Emilia, pretesa figliola del duca Federico, era nata di matrimonio; e risultava che a quel tempo Francesco Calvisano, marito d’Isabella Boschetta, pretesa amante del duca Federico, era presente. 2°) Il signor Carlo Gonzaga, che aveva sposato Emilia, era congiunto in terzo grado di consanguineità col duca Federico; e non avrebbe potuto pigliar Emilia per moglie, se fosse stata figliola di esso duca, senza far precedere regolare dispensa dalla sede apostolica. 3°) Emilia, andando sposa, aveva rinunciato ai beni materni e paterni; dunque, codesta rinuncia era prova della paternità del Calvisano (2). Ferdinando opponeva: « Non ci pare di lasciar senza risposta le tre considerazioni rappresentate dal Conte Alfonso a S. S.; acciocchè non trovino tanta approbatione, mentre si passino senza toccarle. La prima di quali, che si cava dal calcolo di tempi della concettione et nascita d’ Emilia, onde s’inferisce che il Calvisano (1) Doc. VI. (2) Donna Isabella mandò a Roma scritture e lettere del cardinal Ercole e del duca Guglielmo, che provavano la rinuncia d’Emilia ai beni paterni e materni: il Soardi allora rispose: « che la rinuntia si doveva intendere nella più « valida forma, cioè de’ Paterni del Duca, essendoli stati confiscati quelli del « marito della Madre [del Calvisano] ». Ma il papa confutò, osservando che la rinuncia era del 1522 e la confisca del 1528. Arch. Stor. Lomb., Anno XLITI, Fasc. IV. 43 662 GUIDO ERRANTE habebat accessum allora alla madre di Emilia, perchè non bandito, par che patisca grande obietto, poichè è da considerare che l’Isabella Madre d’Emilia era stata avuta Vergine dal Duca Federico et che di cinque anni prima dell’ Emilia era nato d’essa Isabella Alessandro, figlio indubitato del Duca Federico, che così era comunissimamente trattato et riputato, onde con la continuatione di quel concorso è verisimile che nascesse anco l’ Emilia dal medesimo Duca, potendo ogni uomo sensato considerare se era cosa probabil che un marito persona privata s’ impacciasse con la moglie dove praticava un Principe, qual faceva tanto conto dei figli che d’essa nascevano et come questo è fuor d’ogni credenza, così non possiamo persuaderci che non sia per indur l’animo di S. S. a sentir con noi questa verisimilitudine. Quanto al secondo, che rinunciasse l'Emilia nell’instromento della Dote ai beni paterni et materni, anzi si ritorce benissimo questa consideratione, perchè non avendo allora il Calvisano beni di nessuna sorte per esserlì stati confiscati era in rispetto di lui soverchia questa rinuncia, onde si deve piutosto verificar nel'vero Padre il Duca Federico, acciochè non parino affatto inutili quelle parole quali applicate al Calvisano riescono omninamente di nessun effetto. Rispetto poi al 3°, sopra di che si fa gran festa, cioè che essendo Carlo congiunto in terzo grado di affinità col Duca Federico, non avrebbe potuto pigliar l'Emilia per moglie senza Dispensa, non ci par così urgente che non abbi buona risposta, attesochè ci può esser stata veramente la dispensa, se bene sin qui non se ne sia avuta notitia. Ma inoltre essendosi allora nanti il Concilio di Trento, nel qual tempo le cose andavano molto rilasciate, non si curavano queste dispense, et da molti essempi si cava che se ben nanti il Concilio eran seguiti matrimonj fra parenti di grado prohibito, non di meno‘non ne era richiesta dispensa; oltre che poteva esser data in voce, che la scrittura non è d’essenza della dispensa ». Ma ancora altri dibattiti sorsero tra le due parti. Il conte Alfonso non chiudeva mai l’infinita serie delle sue dimostrazioni. Una storia mantovana di Cesare Campana publicata nel 1590, mentre poneva l’albero genealogico del Calvisano, attestava aver l’Isabella avuti da lui sei figlioli, tra i quali penultima Emilia; e questa storia da ventisei anni era stata approvata, non solo, ma al serenissimo Vincenzo duca dedicata. La famiglia Gonzaga di Gazzuolo, poi, —-- IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. — 663 conservava un secondo albero genealogico, dove si dichiarava la nascita di un figlio naturale, Alessandro, dal duca Federico e dalla Boschetta; dunque, se Emilia fosse stata figlia naturale di Federico, non sarebbe stata posta nell’albero genealogico del Calvisano, ma in quello dello stesso Federico. In due lettere del cardinal Ercole, in data del 12 maggio 1552 e del 15 marzo 1560, detto cardinale avea chiamato Emilia cugina, e l’avrebbe invece dovuta chiamar nipote, riputandola figlia del fratello; perchè la definizione della parentela si prende dal grado più vicino della consanguineità e non dal più lontano dell’ affinità; il quale ultimo aveva Emilia acquistato sposando Carlo Gonzaga. E il duca inviava a Roma pareri su pareri: interminabili eran veramente le sue considerazioni. Così: il Calvisano stesso più volte aveva confessato, che l'Emilia non era figlia sua, bensì di Federico e della moglie Isabella; e Carlo Gonzaga non l’avrebbe giammai sposata, s'ella non avesse potuto vantare i suoi illustri natali; e in certi atti pubblici e in certe occorrenze Emilia non era stata sempre nominata per figliola del duca Federico, al solo scopo « di preservar l’onore et reputatione di detta S.'a Isabella et della Casa sua apparentemente più che fosse possibile n. Quest'ultima congettura di Ferdinando mal si concilia con le altre già formulate. Anche la regina madre di Francia, Maria dei Medici, mandò in Vaticano un parere della Sorbona; e l’alto consesso si adoperò del suo meglio ad avvalorare e assodare tutti gli argomenti possibili, in favore dei reali nipoti. Il parere, firmato da tre avvocati e in data del 15 novembre 1616, da Parigi, sarebbe un bell’esempio di ricerca giuridica, se non vi fosse a volte troppo palese un ostinato senso di parzialità. Ne scorriamo rapidamente il contenuto. « .... quoties minor vigintiquinque annis ad matrimonium reperitur illicefactus blanditijs mulierum, annis vigintiquinque majorum, inscijs parentibus vel propinquis, et cognatis (quae sunt ipsamet verba lacobi Cujacij ad titulum Cod. De rept. virg.); toties adversus huius modi foeminas, ut criminis raptus reas, vigor iudicialis insurgat, et ista vincula ut illegittima, et vere contubernia, et quaevis alia. potius quam matrimonia disrumpat.... ». È si citano, in proposito, alcuni decreti della curia parigina e delle altre curie di Francia, « .... quibus nostris constitutionibus et Senatusconsultis non solum inter minores annis, set etiam inter majores damnata 664 GUIDO ERRANTE sunt omnia clandestina matrimonia.... ». E la pena inflitta da codeste costituzioni e da codesti senatoconsulti, si spinse quasi sempre fino all'annullamento. « .... Nec enim ad tanti mysterij} complementum quod conjunctionem inter dominum nostrum et suam sanctam Ecclesiam significat, et habet in se Christi et Ecclesiae sacramentum (ut ait Leo primus Epistola 92 ad Ruffinum) sufficere existimamus, solam sacerdotis benedictionem, sed illam praecedere necessario debere, omnes a Dei Ecclesia statutas solemnitates, alioqui, ut ait idem Leo, non omnis mulier viro iuncta uxor est viri; ut nec omnis filius heres est patris.... n. Ci si riferisce qui dunque alla omissione delle publicazioni e delle solennità prescritte dalla chiesa. Si passapo poi in rassegna le prove e il valore dell’impedimento proveniente dall’ affinità; e, si conclude, che nel caso di Vincenzo e Isabella, non deve esser accordata dispensa; «... quae intra Principes debet concedi ob solam causam publicam et bonum quietis.... ». Invece, nel predetto caso, è proprio il matrimonio che sta contro la publica salute e il bene della pace: perchè occorrerebbero figlioli; « .... prosperae autem existimari non possunt nuptiae initae inter viginti duorum annorum-adolescentem, et illam cujus octavum trepidavit aetas claudere lustrum, liberorum sex matrem; jam effoetam et ad senectam vergentem.... ». Si aggiunga a ciò la disparità delle due case, e si vedranno le moltissime ragioni per cul « .... propinqui Domini Vincentij coniunctionem illam, ut per omnia et in omnibus imparem, abhorrent, et execrantur.... ». E pur vero che fu scritto: quos Deus conjunxit homo non separet; « ... sed existimare non debemus Deum conjunxisse illos, qui solemnitates ab ejus Ecclesia statutas; circa matrimonij dignitatem et Santi Sacramenti reverentiam insuper habuerunt.... ». E si ricorda quanto anche la corte di Francia disdegni ed aborrisca un tal matrimonio. « .... Quae omnia non minus acriter urgent Rex Christianissimus, cujus Dominus Vincentius vere gloriatur esse consobrinus, et Augusta regis Christianissimi parens domini Vincentij matertera, qui matrimonium illud praetensum non dedignantur solum, sed abborrent.... ». ll parere si chiude, asserendo che in qualunque corte suprema della Francia, il matrimonio tra Vincenzo e Isabella sarebbe dichiarato nullo. Insomma, la Sorbona esamina i già noti argomenti delle pubblicazioni e solennità omesse, nòn che dell’affinità. In principio soltanto, si ferma sull’idea del - - IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 665 mancato consenso, che potrebbe costituire un impedimento nuovo: non però sciogliere un matrimonio già consumato. Infatti il concilio di Trento (sess. 24, cap. 1) così dispone: « Tam etsi dubitandum non est, clandestina matrimonia, libero contrahentium consensu facta, rata, et vera esse matrimonia, quamdiu Ecclesia ea irrita non fecit; et proinde iure damnandi sunt illi, ut eos sancta Synodus anathemate damnat, qui ea vera ac rata esse negant, quique falso affirmant, matrimonia, a filiis familias sine consensu parentum contracta, irrita esse, et parentes ea rata, vel irrita facere posse: nihilominus Sancta Dei Ecclesia ex iustissimis causis illa semper detestata est, atque prohibuit ». Riferendosi ai tempi, non parrà assurdo che un alto collegio giurisdizionale ponesse, tra argomenti giuridici, il fatto della necessità di un erede e la disparità delle case, o le istanze del re cristianissimo, Per concludere, sia che il ricordato paragrafo del concilio di Trento, annullante, ne’ riguardi del contrar matrimonio, l’affinità proveniente da fornicazione, rendesse insufficiente l’ impedimento vantato; sia che gli accennati argomenti di prova non fossero ritenuti validi dal Vaticano, la corte di Mantova dovette rassegnarsi alla sconfitta. Paolo V aveva parlato con franchezza: « .... che non poteva ricusare d’amministrarle giustitia, facendone come faceva instanza, ma che la poneva bene in consideratione dovere riuscirle difficilissima ». Il duca s’intimorì, la causa non fu commessa alla Rota e ci si soffermò in lungaggini procedurali, non bastando l’animo ai due fratelli di ritirarsi apertamente dalla lotta. Verso la fine del dicembre, lo Striggio delineava in una strana lettera il contegno che si sarebbe dovuto tenere e che realmente poi tennero i Gonzaga « .... quanto alla deputatione del giudìcio, si vedrà di andare temporeggiando; nè si lascierà di far qualche cosa, per non confermar la voce sparsa dalla parte che ci siamo arrestati nel corso per aver conosciuta la debolezza delle ragioni nostre. La qual voce rifertami dal S. Don Vincenzo mi giova più credere che sia stata da quei di Bozzolo publicata ad arte per veder se per questo mezo potessero muovere di passo; poichè nessuna cosa a mio parere più li tormenta, che il ritenerlì in questo stato d’ambiguità e d’incertezza; essendo simile lentezza vero flagello d’ un animo ambitiosamente appassionato, a cui suol rendersi ogni indizio insoffribile di conseguire ciò che strabocchevol 666 GUIDO ERRANTE mente brama: e mi sovviene di quel pensiero del Boccalini che per far confessare ad un Poeta Francese certo delitto, non avendo giovato nè la corda, nè il fuoco, nè altro più grave tormento, dice ch’ Apollo lo fece porre sopra un cavallo pigro e magro, senza c’havesse nè sferza nè speroni: onde vinto dal tedio subito confessò. Mi perdoni V. A. se forse con dicerie spropositate la trattengo, chè ciò m’è uscito inavvertitamente dalla penna.... ». 1 Gonzaga si dimostravan così persuasi che la parte di donna Isabella era certa di vincere; se le attribuivano questo febrile desiderio di terminare la causa. | i Nel febbraio del 1617, il papa avendo ammonito Vincenzo, affinchè si riunisse alla moglie, Ferdinando mal riuscì a contener l’ira che lo tormentava, e i già vantati scrupoli gli serviron di pretesto al rifiuto dato circa la riunione de’ coniugi, alteramente. « In proposito dell’ufficio che il Papa ha passato con Noi per mezo vostro perchè c’interessassimo del S. D. Vincenzo nostro fratello accio egli si riconcigli con D. Isabella, direte per parte mia a S.S. che non possiamo in questo ubbidirla con quiete della conscienza nostra, essendo Noi certificatissimi dell’affinità che passa fra loro et dell’impedimento giustissimo sul quale hanno contratto così infausto e scandaloso matrimonio, et se bene con prove giudiciali non si è fatto ciò sin qui sufficientemente constare a S.S. non è perchè la verità non sia tale et non potendola Noi in conscienza nostra dissimulare, siamo ritenuti da giustissimo rispetto dal passare quegli uffici, che da persone appassionate et partiali sono suggeriti alla S. S., alla quale soggiongerete di più, che nel proseguir il processo giudiciale ci saressimo sin qui mostrati più pronti et ardenti, se havessimo scoperto nella S. S. l’animo più libero in questa materia, non già che dubitiamo della sua pia et santa mente, ma perchè ogni dì più scorgiamo che si sia lasciata guadagnare dagli uffici della parte et che dandosi a credere di favorir la giustitia della causa et di far il servitio di Dio et degli animi degli interessati, si sia resa per così dire partiale della parte di D. Isabella, et ben sa S. S. ch'essendo le prove nei giudici per lo più arbitrarie massime dove dipendono da fatti antichi et occulti nei quali è necessario di dar gran parte alle congetture, è cosa pericolosa l’arrischiarsi al giuditio di chi quasi si dichiara di sentir fl caso diversamente et di chi mostra sotto apparenze, o fors’anche — IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 667 con intimo e verace senso di charità, di credere che stia differentemente da quello che si racconta et certo se non ci fossimo trovati sin quì in questa ambiguità et sospensione, vi diciamo liberamente et lo significarete a S.S. che con animo più ardito avremmo proseguito la processura giudiciale da cui ci diamo a credere haveremmo mostrato con quanta ragione teniamo abhorrente l’animo da questo matrimonio et con quanto interesse siamo tenuti di procurar con ogni nostro potere, che sia, come è in effetto, dichiarato nullo, et perchè S. S. vegga quanto fuor di qua sia stato male inteso, vogliamo che dopo aver vedute le copie delle lettere di Francia che ne mandiamo scritte in questo soggetto concertiate col s. Cardinale Orsino et col s. Amb. di Francia come s’habbiano a presentar le loro alla S.S. et al s. Card. Borghese, potendosi sperare che mossa dall’efficacia di così gagliardi et ardenti uffici sia per piegarsi a sentir con l’animo più libero dalle passioni et suggestioni della parte quello che ci occorrerà di rappresentarle con filiale confidenza in questa importante materia più grave assai et di conseguenze maggiori di quello che la S. S. si possa per se medesima imaginare et Dio voglia che il tempo non lo mostri con sinistri et irrimediabili successi, che non potranno essere a lei ancora se non di grandissimo dispiacere. Procurerete dunque, con gli uffici vostri et con l’aiuto delle lettere che vi si mandino di disporre l’animo di S. S. a deponere quell’affetto che mostra tanto favorevole verso la parte di D. Isabella, assicurandola che non è questa la via di far alcun bene per lei per l’alienatissima voluntà che Don Vincenzo tiene della sua persona et quando ci avisarete ch’ella abbracci il negotio per la via giudiciale con intentione di favorire dentro ai dovuti termini la nostra giustitia, all’hora ci risolveremo di mandar persona espressa a Roma con le scritture ad informarla di quella verità che teniamo per sicurissima, essendoci questa sola et unica strada di sortirne bene da questo intricato negotio, nel quale siamo tenuti d’insistere per tutti quei rispetti che possono essere ben noti alla S. S. la quale se ama la quiete di questa Casa, deve premere nella dissolutione di questo matrimonio, in quanto ella conosca che per giustitia favorita si possa fare poco all'ultimo, dovendo ciò importare a D. Isabella che non è la prima si trovi aver contratto matrimonio ignorantemente con impedimento di affinità o consanguineità, nè questa è 668 GUIDO ERRANTE uua giovanetta a cui debba pesare di star senza marito et che non abbia a curar più la vita et la quiete propria con la sodisfatione dei figli et del capo della casa sua, che l’interesse di trovarsi maritata senza marito, malveduta et abborrita da Parenti et soggetto per sè et per altri a mille sinistri et infausti accidenti, alla quale consideratione se S.S. averà l’occhio, siamo certi che non si lascierà lusingare da uffici di apparente honestà, ma che mirando al publico et privato commodo della parte et sopratutto, alla quiete nostra et della nostra Casa, ci piglierà quei partiti che attenderemo dalla sua molta prudenza. Avertendovi sopra tutto che il Papa non venga in questo, di commettere la causa in Rota ovvero a’ Tribunali ordinarij, perchè restando, come vi dicemmo, gran luogo all’arbitrio, desideraressimo o che fosse immediatamente conosciuta dalla S.S. ovvero da giudici molto confidenti, et con propositi di conseguire dove la giustitia ci arrivi con ogni favorito mezo quel fine che si desidera come dirizzato al servitio di Dio, alla sicurezza della conscienza, alla tranquillità delle parti, a schivar maggiori scandali et a recar a Noi et alla Casa nostra senza altrui considerabile pregiuditio tutto quel maggior benefficio che hoggidì possiamo ricevere dalla sua paterna benignità, altrimenti quando non saremo assicurati di questa buona dispositione, non ci risolveremo di passar più inanti ne d’impegnar di vantaggio la nostra reputatione lasciando per il resto che il tempo mostri la christiana nostra intentione et saremo stati presaghi di quegl’'avvenimenti a’ quali pure ci persuade la nostra pietà di ovviare in quanto humanamente si possa » (1). Ferdinando dichiarò in seguito di non volersi più interessare del tristo negozio, che tanto lo aveva angustiato; nel febbraio del . 1617 celebrò le nozze con Caterina de’ Medici, mentre Vincenzo entrava nell’ esercito spagnuolo (2), che avea posto l'assedio a Vercelli. Ma anche durante questo periodo di sosta, non si placò (1) La lettera, in data del 16 febbraio 1617, è come al solito diretta al Soardi. i (2) Vincenzo, alle congratulazioni giuntegli nell'agosto per gli onori riportati alla presa di Vercelli, così rispondeva « .... Vorrei però anche che S.A. cre- « desse chè il stimolo c'ho del mio nascimento e del desiderio sia tale, che « senza prendere essempio dall’ attione altrui io sia per incontrare qualsivogli « pericolosa occasione purchè sia per risultarmene onore ». © - IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 669 l'odio dei due fratelli e la povera Isabella ebbe a patire nuove ingiurie e a soffrire nuove minacce. Dubitando ella, verso la fine del 1616, d’essere incinta, il duca volle costringerla prigioniera in una delle sue ville, fino a che o non si fosse sgravata o ogni sospetto di gravidanza non fosse scomparso. Temeva la principessa che si volesse persino insidiarla nella vita: ma in una lettera a un parente di lei, il duca seppe così bene giustificarsi e fece balenare, molto dall’alto e con una superbia davvero ducale, così buone speranze nel caso di parto, sempre che la cognata avesse ubidito, che donna Isabella cedette. Ecco la lettera di Ferdinando, in data del 17 aprile 1617 da Mantova. « Non ha la Principessa da ricusare il partito, che se le propone, sotto pretesto di diffidenza, poi che io sarò pronto a prometterle ogni sorte di sicurezza, et venendosi a questo, dica ella a V. E. in qual forma la desideri, et me ne avvisi, che le darò ogni conveniente sodisfattione, oltre che dovendo venir accompagnata dalla sua servitù et da alcuno dei suoi parenti, che la assisteranno nel mangiare, et in ogni altro servigio, se non di quella forza aperta, che nè da mio fratello nè da me se le potrebbe usare, contro la fede datale, senza esempio di barbara crudeltà et con | dishonorevole mancamento. Nè si lasci trasportare da pretesto vano di honorevolezza, poichè ciò potrebbe forse aver luogo se ella trattasse con inferiori, o con pari, ma non col capo della sua Casa et ‘se più di questo non l’avesse a movere il fine di non arrischiar ad inconvencibile incertezza il parto, che di lei nascerà, et a farlo abhorrire, come sospetto dal Padre, che questa apparenza di reputatione quale si sia di dover partorire in casa propria. Ricordi V. E. alla Principessa, che non disdice l’usar ossequio (massimamente verso i maggiori) a chi ne pretende cambio da essi di maggior gratitudine, et che se bene mediante la dispositione delle leggi potressimo mio fratello et lo liberarci con atti giuridichi da queste brighe, a ogni modo ci sodisfarà sempre più di vedere, che tutto passi per via piacevole, et quale sì convenga all’honorevolezza di tutte le parti, poichè protesto alla Principessa, a V. S. et a Dio, che conosce il cuor mio, che nessun altro fine mi muove a pro» curar queste diligenze che quello per sodisfattione mia, et del mondo, della certezza del parto, che assai più doverebbe essere procurata dalla Principessa medesima che da me, risolutissimo per 670 | GUIDO ERRANTE altro di lasciar a Dio et alla Giustitia il merito della Causa Matrimoniale, acciò segua quello che sarà di ragione et che sarà desti. nato S. Div.na M.ta Venendo la Principessa in casa mia, li offro di spesarla con li suoi, mentre ci starà, et quando lo ricusi, o ciò le apporti alcun sospetto, provvegga ella diversamente, come le pare, che lascierò si sodisfaccia ella in ciò secondo il suo gusto ». Isabella temeva tuttavia ancora, essendo incerta delle sue condizioni, di rendersi ridicola se dopo essere stata prigioniera e aver attirato sopra di sè l’universale attenzione, se ne fosse dovuta tornar a casa senza aver partorito. Pregò dunque le si rilasciasse una dichiarazione, come un ordine scritto: avuto il quale, si rimise ai voleri della corte. Pare, dalle sue lagnanze, che la trattassero con molta severità e che la sorvegliassero assai aspramente. Ferdinando non transigeva; e bast» a persuadercene questa specie di decreto, spiccato contro la irrequietezza della bella prigioniera. « Potendo il Serenissimo Signore il Signor Duca di Mantova e Monferrato avere alcun ragionevole sospetto, che la Signora Donna Isabella di San Martino, sotto pretesto di andar a spasso in carozza a sei cavalli, possa un dì all’ improvviso ritornarsene in sua casa, contro l’intentione data, di non partire, sino all’essito dell’ imminente parto, attese massime le molte doglianze fatte da lei con lettere et in voce di essere con troppa stretezza trattata, se bene non si sia mai ecceduto il termine prescritto dalle legg in caso simile: e volendo l’A. S. come mossa da giudte cagioni assicusarsi di ogni sospicione, che non abbi détta Signora a partire senza suo consenso, ha ordinato prima di risolvere alcuna cosa, che dalla sua Consulta sia veduta, e bene considerata quella scrittura, la quale fu stabilita e sottoscritta da S. A. sotto il Gis; quando essa si transferì a Gazolo, protestando l’A. S. di non voler far cosa, per la quale in alcun tempo dir sì potesse, c'habbia mancato di parola a S. E. « È perciò venuta in parere la Consulta, doppo matura consideratione, che in virtù della sodetta scrittura sia in obligo la Signora Donna Isabella di fermarsi in Gazolo, pendendo questo parto, et in conseguenza mentre voglia S. A. provedere ad ogni accidente, che potesse perciò seguire, sia in libertà, senza mancar ponto di cosa alcuna promessa in detta scrittura, di mettervi per guardia formale quella quantità di soldati, che le piacerà, i quali di con IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 67I tinuo in ogni loco e tempo assistano alla persona di S. E. a cui di più S. A. possa far sapere, che per l’avvenire non le sarà permesso di uscire fora di Gazolo, o per andare a spasso, o in altra maniera, sino a tanto non sia cessata l’occasione del parto, ma bene potrà andarsene per la terra col farsi portare in seggetta, ovvero in carozza a due cavalli ». Se non che, ogni speranza di parto perdutasi, Isabella fece ritorno alla sua casa, ancor più triste a angosciata, Nè pure avevan tralasciato, a Mantova, di tentar la via della persuasione, a distoglier la principessa dall’ esigere la conferma del matrimonio. E da principio tanto ella si avvilì, vedendosi così maltrattata, che promise di non opporsi alle mene del marito e del cognato. Al dottor Ciriachi, mandatole da Vincenzo con dichiarazioni almeno poco benevole come questa, per esempio, che « quando si voglia persister [nel matrimonio] può correr rischio della persona et vita, ma non mai sperar di guadagnar l’animo di S. E. et meno quello di S. A. », rispose « che se lei è stata sin’hora ferma nel voler il matrimonio, l’ha fatto credendosi che ciò fosse di sodisfattione di S. E., et per non essersi mai dichiarato tanto inanti, ma che adesso che intende il senso libero d’esso S. Principe non premerà più oltre in esso matrimonio, poi che non essendo curata la sua persona, nè lei ha da curar quella del Si. Principe et che da qui inanti non si opponerà punto al Giudicio d’invalidità, ma lasciarà che camini senza nessun intoppo quanto alla parte sua, soggiongendo però qualche parola di sdegno nel vedersi così poco prezzata ». Ma sia che allo sconforto seguisse lo sdegno, sia che i suoi parenti la esortassero a non cedere, fece Isabella più tardi sapere ch’ella era ferma a continuar la lite; altrimenti facendo, i suoi di casa le avevan dichiarato « che non la lascierebbono al mondo ». Le ambascerie presso Isabella eran però di iniziativa del principe. Ferdinando le disapprovò da Casale, dichiarando i due mali effetti che ne temeva. L’uno, che mostrando essi desiderio di far cedere la parte, donna Isabella li potesse creder privi di quanto occorreva a conseguir l’intento; l’altro, che considerando la debolezza delle ragioni a lei contrarie e la risoluta volontà di Vincenzo, donna Isabella si potesse mettere in guardia e dubitare « che ove mancava la ragione non si fosse per ricorrere alla forza ». 672 GUIDO ERRANTE Per tutto il 1618 e il 1619 il negozio languì, pur non affievolendosi le speranze e non placandosi il rancore di Ferdinando e di Vincenzo. Ma Caterina aveva abortito una volta, nel primo anno di matrimonio; ogni dì cresceva la sua pinguedine, e sempre più si dileguavan gli affidamenti di aver prole da lei; invano si sdilinquiva ella in lettere appassionate a far protesta di « visceratissimo amore » (1). Si dovette pensare ancor una volta a Vincenzo, e tornare al partito, di tentar il possibile, una seconda volta, pur che fosse dissolto il suo matrimonio (2). (1) Caterina, entrando nella corte di Mantova dopo le avventure di Ferdinando con la Faa, ha l’animo grave di gelosia e di sospetti; nè mai, alla corte, è amata o temuta. Le sue lettere al duca sono troppo umili: mandandogli un ritratto, si scusa, quasi riconoscendo la propria inferiorità fisica: « .... suplico a « non mirare le mie bruttezze, ma si bene a considerare l'affetto, reverenza et obsequio.... »; confida a lui una passione inverosimile; « .... amatissimo signore, molto bene provo in me stessa che sono tutta tutta trasformata in lei, anzi che è un altro me, poi che in così lunga absenza io sono stata insensata, poi che dal giorno che V. A. si parti in qua, non ho mai saputo quel che sia gusto o piacere, se non quel tanto ehe guardavo il suo ritrato, o che ricevevo sue lettere o che parlavo di lei, tanto che mi risolvo che l’A. V. nel partirsi portò seco e la mia volontà et anco il core e che non sono più mia ma tutta sua e in eterno... »; e continua insaziabilmente cosi! Ma c’è di peggio; pare che qualche sua epistola desse saggio di una scarsa conoscenza della gramatica o almeno di troppo melensa lungaggine; e il duca la rimprovera ed ella replica, umilmente: «.... è verissimo che chi bene scrive è breve, si come sà fare V. A.S., « ma io, che sono ignorantissima, non so dire il mio concetto se non con lun- « ghezza di parole male messe insieme, nondimeno V. A., che è tanto cortesse, « confido che non s'infastidirà del mio rozzo dire e peggio carateri, non guara dando a quello, ma sì bene al core che con ogni affetto amoroso parla a mel... ». f_ NA A (2) Tanto Vincenzo che Ferdinando durante questi anni eran tornati alla lor vita normale; trascorrendo i giorni fra liete brigate, viaggiando e distraendosi in tutte le maniere dalle cure che li aftliggevano. Nel luglio del 1619, Vincenzo apriva corrispondenza con la duchessa cognata, da Spà, paese di cure nell’Olanda, narrandole le tepide soavità di quel soggiorno, i cui sereni pomeriggi tranquilli fugavano le malinconie della vita. a Ho trovato comitiva di cavalieri e dame di diverse nationi; onde nell'andare alla fontana non manca compagnia. Vi è fra gli altri il principe di Scimay fratello del duca di Arescotto, con la principessa sua moglie, signora di mediocre bellezza, ma d’intiera cortesia. La sera ci riduciamo al Prato, dove chi danza, chi giuoca a lanciare il bastone, e chi se la passa in discorso, con le dame. Si sta senza ostentatione, se ben io da tutti £ èA e particolarmente dal sodetto prencipe ho ricevuto quei trattamenti che si con- IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 673 Le trattative furon riprese subito, e direttamente, tra le due parti, per mezzo del conte Camillo di Novellara, fratello della signora di San Martino. Questa doveva rimettersi completamente al giudizio di S. S., di modo che il matrimonio sarebbe stato dissolto, riconosciuto l’impedimento, e allora ciò sarebbe accaduto senza alcun danno della reputazione di lei, o confermato, e allora avrebbe Vincenzo definitivamente ceduto: « .... ci dichiariamo sotto parola di Cavaliere di acquetarci a tale sentenza et scordatici di tutte le amarezze passate di riconoscere et honorare la signora Donna Isabella nell’ avvenire come nostra Cognata ». E questa volta si cercò di sopire ogni inimicizia; poi che altre cause avevano acceso discordia, oltre quella del matrimonio. Una lettera del conte Camillo, in data del 1° gennaio 1620, protesta illimitata devozione: ma dichiara, anche, le esigenze del principe di Bozzolo, non poche e non modeste, circa al trattamento della madre, durante la pendenza della lite. « V. A. riconoscerà la Sig. D. Isabella per Cognata, et per tale la tratterà et honorerà, et in tal caso potrà stare in Mantua o sul Mantovano co’! Marito, in casa appartata dove più le piacerà.... doppo Madama Ser,ma et Sig.ra Principessa terrà sempre il primo luogo.... sarà trattata di titolo, di luogo, di sedia et d’ogn’altro onore, come la persona del signor Prencipe suo marito n. Ferdinando si dichiarò soddisfatto, tuttavia; e informò Vincenzo da Casale. E certo buoni rapporti dovevano correre in questi tempi tra le due case, se anche tra Ferdinando e Isabella passavano lettere quasi di conciliazione e in termini reciprocamente gentili e affettuosi. Pure l’odio si riaccese e ricominciò accanita la lotta. In verità, di nuovo mutavansi i desiderî di Ferdinando; e ancora voleva che la cognata rinunciasse spontaneamente a’ suoi diritti di moglie e non si opponesse ai suoi disegni. A questo Isabella sì rifiutò recisamente. Sono bellissime le due lettere della principessa, al fratello Camillo e a un ministro di Mantova. Nella prima (24 otto- « venivano. Ma arrivando si depongono l’armi, portando invece un bello bastone « in mano, onde questa villa pare un’ Arcadia.... ». Ferdinando, men fortunato, confidava al fratello la noia di certa sua dimora, priva di signore abbordabili;. noia temperata dal pensiero del beneficio che ne sarebbe derivato alla salute. « Queste dame sono gentilissime, ma non ci è ben che fare per me, perchè. « molte sono parenti, altre sono occupate con gli antichi amanti, et questo è il « meglio, perchè ancor io manco ci penso, et sto più sano ». 674 GUIDO ERRANTE bre 1620) risponde negativamente alle preghiere del duca e ha parole di severa meraviglia per il fratello, che s’intromette impegnandosi a portarle simili ambasciate. Nella seconda (15 dicembre 1620), risponde alla proposta del marito, che sembra voler tornare con lei, mettendo a questo ritorno alcune condizioni assai dignitose. « Signor fratello mio caro. Conforme al apuntamento in che siamo restati, della risposta da darsi al signor Duca, vi ho detto in voce, e replico per vostra sodisfatione in iscritto, che se bene puoco strano mi pare, che l’]ll.mo Duca mi proponga pur di novo il desiderio suo di sciorre il mio matrimonio, parmi però strano assai che lo faccia per mezo d’un mio fratello. Ma perchè l’amba sciata puro da voi mi è fatta e perchè io porto riverenza a S. À., non lasciarò di dirvi per risposta, che io non ho per buoni i supposti di S. A., ciò è della mia inabilità al figliare, e della salvezza della mia reputatione, la quale io voglio e debbo difendere più che la vita. E confido che sia per aiutarmi il mio sangue tutto e particolarmente sui figli, per ogni possibile e lecita via. Se si trattasse di far qualsivoglia altra perdita, S. A. mi conoscerebbe ubidiente sua serva, ma quella non ha ricompensa che vaglia, e però altro non aggiungo, se non che priego Dio che perdoni a tutti che l’offendano, e particolarmente a me, e con questo vi bacio la mano, e prego di scrivere de verbo ad verbum le mie parole come stanno. Siamo arrivati con salute a due ore di notte e tutti baciamo la mano a tutti loro altri Sig." « Vostra sorella che vi ama di cuore u ISABELLA GONZAGA ». « ]l].mo Signor mio colend.mo Si compiacque i dì passati i S. Principe Don Vincenzo di significarmi col mezo dell’Arciprete di Bozolo in voce, il desiderio e il cristiano proponimento suo di riunirsi meco, et io col mezo medesimo et in voce pure, feci sapere a S. E. come le corrispondessi. Ora, che S. E. replica con la scrittura portatami da voi, firmata di suo pugno e sigillata del suo sigillo, e fà istanza di risposta alla stessa maniera, io così risponderò, e precisamente e chiaramente il più, che saprò, secondo che S. E. desidera. E quanto « P.mo Capo, Rispondo, ch’io non ho avuto e non ho pensiere di andare ad abitare col S. Principe Don Vincenzo (secondo che IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, Ecc. 675 voi gli avete riferito di vostro solo moto, et imaginatione) ad un semplice invito, che me ne faccia S. E. con sua lettera: perchè parmi che ciò non basta nè a S. E. nè a me; e l’E.S. ai quesiti, che fa, si mostra dello stesso parere. « Ch’'io ho desiderato, e tuttavia mi sarebbe carissimo, che, avendo da riunirmi con S. E., la nostra cohabitatione si cominciasse e durasse per alcun tempo almeno in casa del Principe mio figlio, dove S. E. mi sposò e mi lasciò, e dove ella sarebbe servita, e riverita, come è stata altre volte, e dove io goderei maggior quiete d’animo, che altrove; cosa pur anche profittevole al fine, che abbiamo, della generatione, non potendo non esser a me di gran disturbo il levarmi dalla Casa d’un figliuolo, quale mi è il Principe, e dove posso dir d'essere allevata; e levarmene d’improviso, passando da un estremo all’ altro; cioè dalla separatione del marito alla riunione, quasi senza intermezo alcuno. « E per questa consideratione a me non pare d’aver pretesa cosa fuor d’ogni ragione e dovere, come S. E. la chiama. « Rimovendomi con tuttociò da tal mio desiderio e proponimento per maggior segno della buona volontà ch’io tengo come Dama e cristiana, dico di più, ch'io andrò ad abitar con S. E. ovunque le piaccia, se dall’ E. S. ci sarò con buona gratia del S. Duca e convenientemente chiamata, e se prima sarà adempito quel che io dirò nella risposta al terzo capo. « Al Secondo. Io non niego aver avuta qualche leggiera diffidenza per li segnali non punto oscuri, che per quattro anni continui e più son durati della disgrazia mia presso di S. A. e di S. E., ma adempiendosi quel che di sopra ho detto, io crederò che per voler di Dio alla fine sia cessata tanta disgrazia; e così nell’ interno, come nell’esterno, misurando l’altrui con l’animo mio. « Quanto alla nominata lettera del dottor Ciriaco, l’Arciprete avrà pigliato errore, non avendogli detto io di lettera, ma d’ambasciata in voce, che per mezo del Ciriaco S. E. mi mandò, alla quale io risposi con lettera. E quale si fosse l’ambasciata, può S. E. cavarlo assai chiaro da essa mia lettera di risposta, ovvero farsela tornare a memoria dal Ciriaco medesimo; si bene io per me professo, che passi tutto in eterna oblivione. « Al terzo. Rispondo et affermo, ch’io so di certo, che fra il CI P. D. Vincenzo e me non è vincolo alcuno di parentela, e se mai 676 GUIDO ERRANTE punto ne avessi dubitato, non avrei sì poco stimato l’onore, e l’anima mia, che mi fossi indotta a congiungermi con lui. Ma questa mia dichiaratione non basta ad assicurare in tutto S. A., la quale mostrandosi dubbiosa per l’interesse tanto della prole quanto dell’anima, è necessario, che in cose, le quali importano il tutto, prenda la totale sicurezza donde può venirle; cioè da N. S.€, procurando che S. Santità dichiari la validità del matrimonio mio e lievi ogni ostacolo per abbondare in cautela. E questo desidero anch’ io, per la parte mia, e domando che si faccia, non già per sanare scrupolo alcuno della mia coscienza, ma sì bene perchè essendo gia divulgatissimo il sospetto della invalidità, e potendo, e dovendo altri credere, che un tal sospetto, che è stato bastante di tener S. E. separato da me quattro anni e mesi, non sia stato irragionevole affatto, nè imaginario solamente, conviene e fa di bisogno di sradicarlo dalle opinioni altrui, con modo non volgare e non privato. Onde chi che sia non possa mai più pensare di metterlo a campo (benchè non sussistente) a disturbo mio, o de’ figlioli, se piacerà al Signore di farcene la gratia. « Al quarto, Rispondo, et affermo di credermi abile alla generatione, non facendomi dubitar punto del contrario nè l’età, nè verun’ altro accidente. E se così non fosse, grande imprudenza io stimerei la mia in attendere a trattato alcuno di riunirmi e di levarmi dove sono. La fecondità, però, così come la sterilità, è soggetta al beneplacito di Dio benedetto, e da lui può S. A. ancora nientemeno del fratello, sperar propri figlioli. | « Attesa questa ferma credenza mia dell’abilità, pare soverchio, ch'io risponda all’altra parte del detto Capo; e tanto più, quanto che io non l’intendo. Nientedimeno per sodisfar quanto posso, anche in questo a S. E., dirò, ch'io non sò, come sia possibile, ch’alcuno l'assicuri, ch'io possa aiutarla a disciogliere intrico, a cavarla fuor di laberinto, siasi l’intrico e ’1 laberinto qualsivoglia: ma s'ella volesse intendere dal Matrimonio, sia certa, che se potessi, io le avrei data pezzo fà questa consolatione, per sua e per mia quiete. « AI quinto, et ultimo, Rispondo, ch'io col mostrar di temere il S. Duca, ho creduto di mostrare insieme di riverirlo, perchè temerità, et irriverenza sarebbe, il non temere di far cosa, che certamente si sapesse essere dispiacevole ad un Principe grande, quale è 5. A.. E se ho detto di riunirmi col S. Principe D. Vincenzo in - = IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 677 casa di mio figlio, anche senza la buona gratia di S.A., l’ho detto, supposto, che sia in S. F. tal risolutione di riupirsi meco, che venendo egli (preceduti necessari concerti) a trovare me, non mi fosse lecito di ricusare senza aggravio e di coscienza, e di riputatione, essendo io obligata a queste prima, e poi al compiacimento di S.A. ‘ « Nè credano S. A., nè S. E. (le supplico) in me alcun timor servile: perchè la protettione, ch’io spero dal Siguore in ogni giusta attione, e il saper io di aver affare con Principi cristiani, e non barbari, m’assicura abbastanza negl’interessi più sostantiali. In conformatione di che, io mi dichiaro di non pretendere assicuratione veruna da S. A., ma si bene di somamente disiderare la gratia sua, e unita e disunita dal marito, e rimetto a S. A. il darmene quella caparra, che la prudenza e la bontà sua le detteranno. « ISABELLA GONZAGA ». Entrambi le lettere sono rivelatrici: il carattere dolce, ma fermo e altero a un tempo, della gentildonna vi si delinea mirabilmente; nè la tristezza dell’abbandono, nè il timore d’esser sopraffatta da tanto potenti avversari potranno abbatterla mai o affievolirle nell’anima la sicurtà delle sue buone ragioni. Vincenzo non accondiscese ai desiderî della moglie; e i due coniugi non si riunirono. Più tardi, un altro tentativo del genere andò fallito. Fino al settembre del 1621, epoca in cui il processo entrò in una fase nuova e definitiva, le relazioni con il Vaticano, riattivatesi al principio dell’anno, s’aggirarono a un dipresso intorno agli stessi fondamenti già considerati; se non che gl’intrighi si diramarono sempre più e divennero sempre più oscuri. Così, oscura è la corrispondenza apertasi tra il duca di Modena e la corte mantovana. Troviamo, in data del 6 febbraio (1), una instruzione a un tale, di cui è taciuto il nome, mandato a Modena per ringraziare S. A. dell'avviso « intorno al trattato toccante la Persona del s. Principe Don Vincenzo », trattato importantissimo perchè riguardante la vita del medesimo. Si vorrebbe la consegna di certi prigionieri, non per « fabricar processo formale in questo fatto, desiderandosi più (1) Doc. VIII. Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. IV. 44 678 GUIDO ERRANTE tosto per rispetto etiandio di reputatione.... che resti sepolto nel silenzio », ma solo per sincerarsi « della verità o della bugia dei loro detti »; e ci si esibisce pronti a restituirli non appena compiuta questa diligenza. E ancora Ferdinando dichiara nella sua instruzione : « Nè vaglia il dire, che per esser i prigioni la maggior parte sudditi del S. Duca, sarebbe il darli attione insolita et conseguentemente sospettosa, perchè dove si tratta della vita di un Principe, è solita cosa dar nell’insolito ». Altri documenti in proposito non esistono: quindi, solo dalle poche parole rilevate e dal fatto che anche più in là sorgeranno simili timori, potremmo indurre trattarsi probabilmente di una congiura contro la vita di Vincenzo: a che fine e da che parte, non è possibile tuttavia chiarire. Certo si è che si prolungan gli attriti tra Ferdinando e la casa di Bozzolo: ma qui pure le fonti sono scarse. Il duca si scusa con il re di Spagna, per certi estremi usati a danno del principe Scipione: come di aver fatto « muover due pezzi d’artiglieria così tirato per li capelli dal troppo suo ardire ». Anche riguardo al conte Alfonso, fratello d’Isabella, Ferdinando ha parole di minaccia e di accusa: non vorrebbe che egli riuscisse a entrare, qual cameriere d’onore, nella servitù del nuovo pontefice, Gregorio XV, ch'è succeduto a Paolo V, morto nel febbraio. E un principio di accusa a carico dell’arcivescovo di Rodi, può ricollegarsi a quanto si è detto circa le relazioni con Modena, coincidendo le date: Alfonso è indegno della fiducia del papa, « con essere anco imputato lui medesimo d’aver insidiata doppo dell’ onore anco alla vita d’esso Principe [ Vincenzo], come sopra di ciò resta carcerato uno in Reggio ». Nell’ottobre del 1621, altro sospetto di congiura; i tempi son torbidi e Vincenzo scrive al duca: « V. A. ha da sapere come domenica passata, che fu li 3 di questo mese, mi venne a parlare un frate Mantovano del ordine di S. Francesco, il quale mi disse che venendo da Verona si trattava di farmi amazzare et che veniva da Bozolo ». Ma è un falso allarme e non se ne fa più parola. Nel frattempo a Roma erano stati inviati certo Aragona e certo Morbiolo; e le trattative si riaprirono sollecitamente, dopo l’avvento del pontefice Ludovisi. Questa volta si era quasi sicuri, da principio, di raggiunger lo scopo: si parlava infatti di un matrimonio probabile tra Vincenzo e la sorella di don Ippolito Aldobrandini, futuro marito della nipote del papa, non appena fosse stato dissolto “i IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 679 ogni vincolo con donna Isabella (1). Il Morbiolo esultava: «... spero in Dio che canteremo l’alleluia, vedendo io bona corrispondenza in tutti li campi ». Questo secondo periodo di relazione tra Mantova e Roma, ripete in tutto il primo periodo, svoltosi durante il pontificato di Paolo V. Evidente il tentativo di sopraffare il nuovo papa, tentativo ripreso con miglior lena: le medesime ansie per il probabile ricredersi e il conseguente smentirsi de’ testimonî, per le eccezioni degli avversarî, per la scelta de’ giudici: gli stessi consigli del papa, le stesse minacce del duca, le stesse pressioni delle corti d’ Europa, le stesse incertezze della corte mantovana. Antonio Possevino, incaricato di trattar con l’arcivescovo® di Rodi, che dimorava a Roma, adoperandosi in favor della sorella, dava il resoconto del negoziato al duca, in una lettera del 19 giugnc 1621: « .... Aggiunsi che gran fortuna sua era essersi incontrato in Prencipe benignissino et lontano dalla vendetta, poi che a V. A. non sarebbero mancate le forze, mezi et modi di risentirsi. Et quando non l’avesse offeso in altro, averebbe intérrotto il corso de’ suoi onori; giacchè era vano ogni ufficio, che da altri pari et minori di V. A. veniva fatto col Papa in suo onore. Questo tocco mi parve che più del resto lo sentisse, poichè si torceva et sospirava spesso ». E l’arcivescovo rispose: « .... che V. A. ha trattata la S. sua sorella troppo aspramente, toccandola nell’onore, stati et robba, processandola, et trattandola da poco onesta... che qualche mal’istromento aveva persuaso V. A. a credere, che quando lui si fosse ritirato dalle ditfese della S. sua sorella, dovesse inimediatamente seguirne l’intento... che sua sorella era donna di senno, quale non dipendeva da lui et che pretendeva farsi li fatti (1) Gl’intenti di codeste nozze erano non poco complicati; basti a dimostrarlo questo squarcio di lettera del Morbiolo, che non cerchiamo nè pure di comentare. « V. A. aquisterà Parma, avendo egli [don Ippolito Aldobrandini] per moglie una sua sorella et il tutto si spera riuscibilissimo col mezzo di Fiorenza, obligandosi V. A. acquisterà in questa maniera il Papa, Farnese et Aldobrandini il cui fratello sarà Cardinale et così V. A. averà la prima et più potente fattione di Roma.... et da qui ne uscirà una grandissima unione di quasi tutti li Principi d’Italia.... ». Strano concetto, quello del matrimonio, a’ que’ tempil Non si parla di matrimonio tra persone, ma addirittura di matrimonio tra città: « .... occorrendo bisogno del Cardinal Farnese presso il Papa, li farà fare tutto « quello che si vorrà, essendo stato egli quello che ha concluso il matrimonio a tra Parma et Fiorenza.... ». A 2_A 680 GUIDO ERRANTE suoi senza aiuto d’ altri. Anzi che avendo lui più volte mostrata questa inclinatione era stato due mesi in colera con lei, in modo che lei non li scriveva, nè rispondeva.... che ogni partito quale includesse l’onor di lei, era sufficiente. Però che le piacevolezze erano istromento ottimo: essendo dispostissima ella più tosto di morire che di essere violentemente maltrattata... ». Il conte si esibiva pronto ad aiutar il duca in quanto non offendesse la reputatione della sorella: e quindi anche nella dissoluzione del matrimonio, se si fosse potuto trovar un modo onorevole di dichiararla. Sopra le armi di lui, all’atto della sua nomina ad arcivescovo, era stato inciso il motto: st Deus pro nobis, quis contra nos; del che lamentandosi il Possevino, s’ebbe per risposta non doversi l’incisione attribuire ad iniziativa dell'arcivescovo, ma ad « arrogante temerità d’un barbiere quale credette darli gusto, dove l’ofiese acremente ». L’incaricato di Ferdinando così concludeva il proprio racconto: « .... perchè la gloria del ‘scrittore historico consiste in dar giudizio, non voglio mancare di far il medesimo; et dico, quando V. A. voglia questo fine; « I. che la piacevolezza mi par opportuna. « 2. Che ora è tempo più che mai. © « 3. Che non è oro che possa pagar questo negotiato. « 4. Che V. A. ha il modo di guadagnar, et la Principessa et il fratello. « 5. Che l’Arcivescovo con tutti indeficientemente, dice il medesimo ch’io scrivo. « 6. Che et lui et tutti son stracchi. Sì che un tantino di blanditie potrebbe mollire ogni rigore. Non perchè a V. A. manchino vie di conseguir il suo intento, a dispetto del Diavolo; ma forse per esser via più secura, più giusta, più commendabile ». Infine, come già nel 1616, la causa non fu commessa nè anche questa volta alla Rota; quasi certezza doveva essere dunque il timore di una sconfitta, ritenuta per vergognosa. Sorgono, però, due punti giuridici nuovi intorno alla nullità del matrimonio. Il primo si basa sulla disposizione del concilio di Trento, sess. 24, cap.1: «Quod si quis Parochus, vel alius sacerdos, sive regularis, sive secularis sit, etiam si id sibi ex privilegio, vel immemorabili consuetudine licere contendat, alterius parochiae sponsos sive illorum Parochi licentia matrimonio coniungere, aut benedicere ausus IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, Ecc. 681 fuerit; ipso iure tamdiu suspensus maneat, quamdiu ab ordinario eius Parochi, qui matrimonio interesse debeat, seu a quo benedictio suspicienda erat absolvatur ». Questa disposizione avrebbe dovuto provocar la punizione di don Orazio Cessa, parroco di San Martino, celebrator delle nozze; che invece nel 1621 diceva ancora messa. E si tentava, ad applicar al caso la legge, di dimostrare: 1) che Bozzolo e non San Martino era la sede principale, il vero domicilio di donna Isabella; 2) che Mantova e non San Martino era la sede principale, il vero domicilio di don Vincenzo; 3) che San Martino distava da Bozzolo non più di mille passi e che gli sposi avrebbero potuto comodamente recarvisi a celebrar le nozze; 4) che don Orazio Cessa non era stato nè era il parroco di donna Isabella nè di don Vincenzo; 5) che dunque era invalido il.matrimonio e che doveva esser sospeso il parroco di San Martiao. La seconda parte della conclusione, dato che realmente il parroco dei due sposi non fosse stato il Cessa, era conforme ai canoni: la prima, era contraria o, meglio, fuor dei canoni, perchè il concilio di Trento parla nella citata disposizione di sospensione del parroco ‘e non di annullamento del matrimonio (1). L’altro punto giuridico nuovo era l’impedimento che poteva derivare da certi sponsali tra il serenissimo duca Francesco (fratello di Ferdinando e di Vincenzo) e donna Isabella. Si citava in proposito il concilio di Trento, sess. 24, cap. 3. « Iustiîtiae publicae honestatis impedimentum, ubi sponsalia quacumque ratione valida non erunt, sancta Synodus prorsus tollit: ubi autem valida fuerint, primum gradum non excedant; quoniam in ulterioribus gradibus iam non potest huiusmodi prohibitio absque dispendio observari ». Ma codesti sponsali erano stati stretti clandestinamente e il duca Francesco s'era poi ammogliato con altra donna (2). | Sono, anche, di questi tempi, alcune lettere che attestano quanto la corruzione potesse azzardarsi e quanto riuscisse a ottenere, almeno di promesse, da qualche alto ‘dignitario della chiesa (3). Già (1) Di questo impedimento si fece maggior calcolo più tardi, nel 1627: ne riparleremo alla fine del nostro racconto» (2) Doc. XI. (3) I documenti che seguono sono, tanto nelle minute che nelle originali, per la maggior parte cifrati. E così, sia detto una volta per sempre, lo sono per la maggior parte quasi tutti quelli riguardanti la nuova fase del processo sui malefici. 682 GUIDO ERRANTE il Possevino, che studiava a Roma gli uomini pazientemente e argutamente, aveva scritto al duca: « So bene che quando l'A. V. ci inclini, non fu mai nè sarà tempo più opportuno; perchè, dipendendo la decisione della causa dall’arbitrio, questo ora è vena= ‘lissimo et mi daria l’animo di avanzarmi per mezo di soldi a qualsisia grado: sic ferunt mores et tempora ». Evidentemente, il Possevino esagerava: tanto è vero, che i Gonzaga dovettero piegarsi e in nulla riusciron vittoriosi. Ma il processo entra ora in una fase ben più grave delle precedenti; onde tralascio altri particolari che si riannodano a quanto sono venuto fin qui esponendo. Il Il nuovo processo dei malefici — Di alcune prove della malafede dei due fratelli — L’interrogatorio — Ancora delle prove della malafede dei Gonzaga — Il ricorso di Isabella alla suprema corte di Inquisizione — Di alcuni documenti giuridici — Il contegno di Isabella a Roma — L'avvento di Urbano VIII e la prigionia di Isabella in Castel Sant'Angelo — Le difese di Vincenzo e di Isabella — Il decreto assolutorio — La ripresa della lite matrimoniale dopo la morte di Ferdinando — La morte di Vincenzo. Nel giugno del 1621 il duca Ferdinando accennava al Morbiolo le sue speranze in « certi novi uffici »; e fin da prima doveva essergli balenata l’idea di venir costruendo le basi per un nuovo processo, se fin dal maggio aveva richiesto al granduca di Toscana i testimonî, che furono interrogati poi a Mantova, dietro imputazione di complicità nei malefici di donna Isabella usati per innamorare il giovane Vincenzo. Del negozio fu incaricato Francesco Gonzaga: | « Intendo che Federico Puelli si sia condotto costà a Fiorenza, il quale come V. S. averà facilmente inteso fu il principale mezano dell’ infelice accasamento del Principe D. Vincenzo nostro fratello con D. Isabella di Bozzolo et perchè m'importerebbe grandemente di saper da lui molti particolari concernenti l'interesse mio et di questa Casa circa la dissolutione del matrimonio che di presente si tenta, lo vorrei aver nelle forze et confidando che coteste A. A. siano per darmelo, scrivo loro in credenza di V.S. pregandola dì IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. €83 passarmi con essi efficacissimo ufficio... » (1). Soggiungeva Ferdinando di confidare in grande segreto alle Altezze Loro, che questo signor Puelli aveva contribuito a stregare il principe Vincenzo. È certo, così, che già prima d°’interrogar gl’ imputati, a Mantova s'era stabilito di tessere quella complicatissima trama, che vedremo: nè esiste alcuna lettera di denuncia, alcun accenno per quanto vago d'accusa da parte di terzi. Della prevenzione ci persuaderemo meglio, del resto, esaminando gl’interrogatorî subiti dal’Puelli e dagli - altri. Le Altezze di Toscana concessero quanto si era loro domandato; ma siccome il Puelli era stato assicurato dal granduca defunto « sotto la sua parola, senza determinatione di tempo », lo consegnarono a condizione che entro un mese e mezzo sarebbe stato loro restituito: condizione che non venne rispettata (2). Quando poi il Puelli ebbe confessato, e vedremo quanto forzatamente, ciò che gli vollero far confessare, a Mantova si dubitò che egli, una volta libero, non fosse per disdirsi dalle sue deposizioni: e si andò rintracciando un altro complice dell’ imaginario delitto, una donna, certa Bianca Montagnana. È evidente che i due (1) Lettera del duca Ferdinando a Francesco Gonzaga: 20 maggio 1621. (2) Un ministro mantovano indirizzava a un ministro del granduca questa lettera, in data del 15 ottobre 1621. «€ .... Non ho mancato di dire al ser.mo padrone et fargli vedere quanto « V.S. mi scrive nel particolare del Puelli per ricordo di coteste A. A. .... Circa « questo negotio S. A. m'ha ordinato di rescrivere a V. E. che quando convenne « con coteste A. A. di rimettere in libertà il detto Puelli passato un mese e « mezo, intese sempre questo tempo dovesse essere utile et non continuo, poichè « essendo stato absente ventisette giorni, et il S. Principe Don Vincenzo molti «€ più, senza cui non si poteva venire alla delucidatione di molte cose, non si è € proseguito alla terminatione di quanto occorreva. Confida però nella benignità « dell'A. A. loro che l’'intenderanno nella medesima maniera et si contenteranno « di compensarle quei giorni dell’absenza in altrettanti seguenti. Non lasciando « di dire a V.S. ch'in dutto tempo non si è stati in mora, ma nelli esami del « Puelli sono ben quatordici contrarietà manifeste et patenti per le quali sarà « forse di necessità venire alla tortura. Jît se coteste A. À. non permettessero questa proroga, sarebbe un rovinar affatto il negotio, che si spera debba ri- « dursi a ottimo fine et il quale devono aver gusto che si chiarisca, ancorchè « ci volesse qualche giorno di più. Et ben sa V.S. che Mad. Ser. le scrive che « quando avesse detta la verità il Puelli non sarebbe stato tormentato nè la causa «€ tirata in lungo, ma egli ha voluto far male a se stesso col tacerla et invilup- « parsi senza profitto.... ». 684 GUIDO ERRANTE fratelli non si sarebbero mostrati così pavidi e non avrebbero usato tante precauzioni, se fossero stati sicuri che i testimoni aveano deposto la verità. Invece Ferdinando, nell’ottobre del 1621, così si raccomandava al Ceoli, ministro del granduca di Toscana: « Ben voglio dire a V. S. che se il Puelli uscito ora di prigione si ridicesse di quanto ha detto, la vegga come anderebbe la cosa, et se ne può temere; perchè un tristo et una volta traditore non si deve giamai supporre più per uomo dabene, et chi fu corrotto con proinmesse può di nuovo con altre maggiori offerte essere guadagnato. Ma se la donna che si procura d’avere cantasse ancor ella come si spera, non sarebbe piagevol cosa al Puello il ridirsi, perchè non gli gioverebbe. Consideri V. S. in che termine sono le cose et di che danno a noi sarebbe la pronta et subita liberatione di costui... ». E il Ceoli s’affrettò a rispondere, dopo pochi giorni: « Arciconfusissime sono rimaste le loro Alt. della depositione del Puelli, et son ben cose da fare arricciare i capelli a ogni persona da bene, et consideratasi l’importanza del negotio, si è concessa la proroga, che V. S. intenderà da quello che si risponde a dette Ser.me Alt.°... » (1). E ancora si ripetono le vive preghiere del duca, che implora la santa sede, per la terza volta, di favori che non gli possono esser conceduti, É residente del duca a Roma un tal Aragona; cui viene solennemente annunciata la terribile scoperta: « ... Abbiamo scoperto ch’è stata fatta una formale stregheria contra S. E. con abusi di sacramenti, et altri sacrilegij che sogliono accompagnare simili attioni.... n. L’Aragona deve parlare al pontefice: e ottenere che l’ istruttoria del delitto venga rimessa al padre inquisitore del foro mantovano, « ancor ch’essendo di misto foro, per la preventione fattane dai nostri giudici, a loro di ragione possa ancora appartenere »: mentre il primo interrogatorio, il fondamentale, è stato già fatto in castello, dal conte Teodoro Pendasi e dal capitano di giustizia. La lettera all’Aragona (2) è accompagnata da altre due, dirette al pontefice e al cardinal Ludovisi (3). (1) Lettera del Ceoli al duca Ferdinando: 26 ottobre 1621. (2) Doc, XIII. i (3) La lettera al cardinal Ludovisi è identica a quella diretta al papa. IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 685 » Beatissimo Padre. L’Aragona Gentiluomo rappresenterà a V. S. in nome mio certo particolare che straordinariamente mi preme; la supplico porgergli benigna udienza, come dall’ infinita sua pietà mi.prometto, assicurandola che della giusta gratia, che se le chiede, serberà questa Casa eterna memoria et indelebile obligatione; di che dovendole far qui viva fede l’Aragona sodetto, a lui mi riporto e baciando i sant.mi piedi a V. S. humilissimamente le auguro felice corso di molti anni di vita. « FFRDINANDO ». Ma, prima di procedere nell’esporre tutte le innumeri pretese dei Gonzaga, sarà utile esaminar gli interrogatorî del Puelli, della | Montagnana e degli altri imputati (1). L’ordine di cominciare il ‘ processo sì apre in nome di Cristo. « In Christi nomine. Amen. Comanda S. A. che gl’illmi ss. Conte Teodoro Pendasi et Capitano di Giustitia di Mantova debbano essaminare il S. Federico Puello sopra l’eccesso che si presupone esser stato commesso contro l’eccel.mo S. Pr. D. Vincenzo come loro è stato esposto, et meglio intenderanno da S. Ecc., procurando di cavarne la verità anche col venir a rigoroso essamine contro di lui, provvedendo ancora contro qualsivoglia complice suo essi medesimi et facendo di mano in mano relatione a S. A. di quanto cavaranno di detti essamini e tutto giudicialmente col procedere ancora sopra il processo informativo, prendendo però i debiti inditij ad arbitrio dei medesimi S. S. delegati, a’ quali in ciò concede ogni opportuna autorità ». Segue la deposizione del principe Vincenzo, il quale dichiara la sua certa convinzione di essere stato costretto all’ infausto matrimonio da fattucchierie; e invero, specialmente dopo essere stato a pranzare in casa di donna Isabella e dopo aver bevuto un certo sugolo d’una vivanda preparata da lei, egli sera sentito irresistibilmentè attrarre verso la principessa. Crede che Federico Puelli sappia qualche cosa in proposito, dato che era il suo mezzano d’amore. Ed ecco, dunque, che per salvare la naturalezza e la verosimiglianza dei fatti, la vittima stessa, soltanto cinque annì dopo, (1) Doc. XIV. L'intera lettera, diretta da Annibale Chieppio al duca, è importantissima come prova dei continui inganni orditi dai Gonzaga nel processo. 686 GUIDO ERRANTE denuncia il delitto e ne accusa gli autori! Il principe Vincenzo ripete le medesime parole che si leggono nella lettera seguente, da lui diretta il 7 gennaio 1622 al padre inquisitore del foro mantovano, quando a scansare il pericolo della Suprema Corte dell’ Inquisizione romana, si credette potesse valere la competenza dell’ Inquisizione di Mantova (1). « Molto reverendo Padre. Avendo inteso che nel Santo Ufficio et dinanti al Tribunale di Vostra Reverenza si conosce la causa delle fattucchierie fatte con abuso dei Santissimi Sagramenti nella persona mia da Donna Isabella Gonzaga di S. Martino, da Bianca Montagnana modonese allora sua serva et da Federico Puello già mio scalco et forse da altri loro complici, mi è paruto per più sicura informatione di lei e del Santo Ufficio di replicarle con la presente quello che so d'aver a bocca detto a lei et ad altri ancora in questo soggetto et è, che per mia ferma credenza tengo et ho tenuto sempre per fermo di essere stato condotto da malia et stre. gamenti et per forza sopra naturale a quell’ infausto asserto matrimonio, che seguì senza mia libera volontà fra me et detta D. Isabella, perchè trovandomi io allora Cardinale di S. Chiesa, et godendo sommamente di quella dignità accompagnata dalla comprotettione del Regno di Francia con grosse entrate ecclesiastiche, come si sa, et con speranza di ottenerne altre maggiori ancora da quella Corona, io non inclinai mai l'animo in quel tempo a pigliar moglie, anzi trattavo alle strette così ancora persuaso dal Ser. S. Duca mio Signore et fratello di condurmi con nobile et ben ordinata famiglia alla Corte di Roma et molto meno avevo applicato il pensiero a detta D. Isabella, di età, di robba et di stato tanto disuguale alla mia conditione, anzi piuttosto avevo l’animo aborrente da lei per rispetto di varie relationi fattemi de’ suoi costumi, che ora tacerò, se non dopo che fui condotto a mangiare a casa sua a S. Martino, perchè allora mi sentii sovrapreso, benchè non mi accorgessi della ragione, et particolarmente dopo che mi fu dato da mangiare certo sugolo, di cui ho buonissima memoria, et di cui più che d’altro ho sospettato sempre, mi ridussi fuori di me medesimo a commettere così grave errore rispetto al sacro abito in cui mi trovavo, come l’ho conosciuto dapoi; et se ciò è vero, come (1) Doc. XIV. IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 687 ‘ io reputo verissimo da mille svariate congetture, non è quasi possibile esso Puelli, come mio scalco et mezano indegno di quegli amori non ne sappia qualche cosa, essendo egli stato quello, che portava in volta le ambasciate, et che si mostrava essere sommamente intrinseco et per così dire l’anima propria di essa D. Isabella. Desidero perciò et faccio instanza, che la Rev. Vos. lo essamini, insieme con detta Bianca, con esquisitezza d’interrogatori).... Più volte furono quelle, che mangiai come sopra con D. Isabella et ben mi ricordo, che con mille vezzi et lusinghe ella et il Puelli m’invitavano con straordinaria instanza a mangiare diverse vivande et pittanze, come fatte per mano di Dama, intendendo sempre di lei, et di bontà squisita, argomento della loro malitia, come da poi l'ha mostrato l’effetto (1); anzi il mio male dopo il matrimonio ancora andò crescendo, riducendomi talvolta quasi a furore et smania, sì che non potevo in quei primi dì vivere ad un certo modo, se non in casa di essa D. Isabella et dove ella si ritrovava. Mi venne dapoi in pensiero, che tutto potesse essere cagionato da malie et stregamenti:. mi feci leggere sopra molte devote orationi da un certo frate dell’ ordine de’ Celestini che qui si dicono di S. Cristoforo et fors’anche deve trovarsi in Mantova, per le quali et per la mia fede in S. Div. Maestà mi sentii non poco allegge- ‘rito da quella estrema passione che tanto m’affliggeva l’animo... Tralascio di raccontare altri lacci et altre reti tesimi più volte in detto luogo di S. Martino da essa D. Isabella et dal Prencipe suo figliolo con darmi largo campo di venir all’atto prossimo de’ miei amorosi furori, per intimorirmi maggiormente quando mi vedevo poi, come si dice, colto su l’ova, et per necessitarmi al matrimonio, che allora da me si pretendeva... che non si poteva patire si differisse pure a giorni, onde senza aspettare da Cremona la dispensa delle pubblicationi, si precipitò con tanta celerità solo per tema, che risapendosi, non fossero scoperte le trame usatemi.... ». Alle dichiarazioni del principe Vincenzo seguono gli esami de’ testimoni. (1) Seguono cancellate le seguenti righe: « Mi fu anco dopo alcuni mesi « donato un certo bracciale da persone che venivano di S. Martino, da legarmi « al braccio, sotto pretesto che valesse contro le malie, quale partori in mede- « simi effetti quasi di furore et di smania...., sì che non potevo ecc., ecc. ». 688, GUIDO ERRANTE Il primo è un tal Mario Ponzanino, cameriere del principe: egli conferma tutto ciò che ha deposto il suo signore, con l’aggiunta di molti particolari. Don Vincenzo prima di recarsi a S. Mar. tino a pranzare, era molto compreso della dignità di cui lo investiva il cardinalato e si mostrava ben fermo nel proposito di continuare il cammino intrapreso. Dopo i pranzi di S..Martino cominciò a penetrarlo una strana malinconia: e subito il Ponzanino e gli altri intimi di S. E. aveano compreso essere malinconia d'amore per Isabella : la quale aveano anche veduta « a lusingarlo, con toccargli il collare e manicini et fargli altri vezzi ». Camillo Bevaguti primo gentiluomo di camera del principe, e Francesco Fiorini, suo primo tesoriere di camera, ripetono le identiche dichiarazioni. Dopo il matrimonio, anzi, l’amore era svanito dall’animo di don Vincenzo ed essi gli aveano sentito più volte dire, che Dio sa come egli era stato indotto a una simile ìinconsideratezza; se non che si sarebbe spiegato ogni cosa, attribuendo l'accaduto a una fattucchieria. Tali deposizioni non bastano certo ancora a far condannare per stregonerie le carezze di due innamorati; si giunge così all'imputato principale, Federico Puelli « prigioniero già scalco di S. E. ». Costui afferma di esser fuggito dal Mantovano unicamente perchè aveva avuto notizia che il duca non voleva saperne del- ’ accasamento di don Vincenzo: anzi, gli era stato ordinato di lasciare gli stati di S. A. Fa poi il racconto del matrimonio, e dice de’ suoi timori, de’ suoi vani consigli; in tutto il racconto, nessun accenno a malie o ad alcun’altra cosa di simile. Incalzato dalle domande dettagliatissime, risponde sempre allo stesso modo, con evidente malumore dei giudici. Così, egli assicura ehe il principe era stato quattro sere a pranzo a S. Martino, specificandole: « .,. ri chiesto che si riduchi a memoria et dica o si o no, se oltre le volte che ora ha raccontato che S. E. fu a mangiare a S. Martino con detto Principe e detta Donna Isabella, vi ha altra volta o mangiato, o desinato, o cenato, rispondc io dico più presto di no che di sì, e non che vi ha mangiato altre volte, non so che vi abbia mangiato in conscienza mia : subdicens non mi ricordo che vi abbia mangiato. Richiesto che si dichiari et risponda assolutamente se S. E. ha mangiato o no in San Martino con detti S. Pr. et Donna Isabella altra volta che le sodette che ha raccontate adesso, ri IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, Ecc. 689 sponde io non so in conscienza mia che vi abbia mangiato et creddo più presto di no che di sì. Richiesto che tralasci ormai le risposte dubie col dire che crede o di non racordarsi, ma risponda precisamente se altra volta S. E. ha mangiato in S. Martino con detti signori, oltre le sodette che ha racontato, risponde no e no e no.... n. Forse quattro sere solamente parevano poche ai giudici, e la deposizione non coincideva con quella degli altri testimonî, che non avevan precisato il numero dei pranzi di donna Isabella, ma avevano detto che erano stati pare-:chi. Il Puelli dichiara poi recisamente: «..,.io non ho mai pensato, nè imaginato nè in alcun modo ho saputo nè potuto sapere per che causa et a che fine si movesse la S. Donna Isabella a mostrar a S. E. così grand’ affetione come mostrava et a far le altre cose che ho raccontato che faceva con S. E. nè mai me lo sono imaginato nè l’ho saputo come nè anco adesso non me l’imagino, nè lo so, nè lo posso sappere, nè posso fare alcun giuditio per che causa facesse con S. E. le sodette cose, che ho raccontato, essa Signora, nè perchè le dimostrasse tanta affettione.... n. Il principe, inoltre, s’era confessato e comunicato il giorno prima delle nozze; e pareva sincero, dicendo che circa il matrimonio imminente si sarebbe rimesso all'ispirazione di Dio, e pareva libero dall’incubo di qualunque già determinatasi volontà. E ancora, l'imputato dichiara: « ....Io non ho tenuto mano in alcun modo nè ho fatto cosa alcuna, che mi abbia comandato nè detto S. E. concernente al detto matrimonio prima che si facesse, nè ho fatto cosa alcuna che servisse o fosse per incaminare o effettuare detto matrimonio, nè manco ho fatto tali cose nè da me stesso, nè manco richiesto dalla S. Donna Isabella, nè da altri.... ». Dunque, in questa prima parte, l'esame non era assolutamente riuscito secondo quanto si sarebbe desiderato. E in verità, il Puelli comincia a contraddirsi per l’ imperversare delle domande minute, rabbiose, che non gli lasciano tregua: o forse tutto l'interrogatorio è una commedia già concertata e abilmente recitata dall’ una parte e dall’ altra? A ogni modo, la corruzione o la minaccia sembrano evidenti, se si considera l’assurdità di queste poche logiche parole che il Puelli ripete ogni qual volta si disdice da quello che ha affermato : «....se bene ho detto d’aver detto queste cose a S. E. con le altre che ho raccontato, non è vero che io le abbia dette a S. E. ma le ho dette et raccontate nei 690 GUIDO ERRANTE miei essami, perchè credevo di avergliele dette... ». E continuano sempre più strane, sempre più prive di senso comune le risposte: «.... Quanto all’aver detto a S. E. che faceva bene a fare detto matrimonio per darle gusto, se bene io l’ho detto col mio giuramento, non di meno conoscendo di aver fatto male a dirlo, io dico ora che non è vero che ho detto a S. E. che facesse bene a fare detto matrimonio, e non so per che causa nè perchè mi movessi a deporre che avevo detto a S. E. per darle gusto che faceva bene a fare detto matrimonio et l’ho detto così impensatamente (1) et non mi ricordo perchè abbia detto questa ragione, nè manco so per che causa non le abbi messo in consideratione le ragioni che ho raccontato per distorlo dal pensiero perchè non facesse detto matrimonio e non è neanco vero che dicessi al s. Marzi andando sù per la scala di corte come ho detto che cercasse di distorre S. Ecc. dal pensiero di fare il detto matrimonio et ho detto d'avere detto al s. Marzi che dissuadesse S. E. dal pensiero di far detto matrimonio, se bene non è vero che gli dicessi tal cosa, così impensaitamente.... ». Aggiunge di aver saputo che don Vincenzo era stato una volta a cena et a dormire da donna Isabella, nonostante che avesse prima dichiarato — e abbiamo visto come ripetutamente — che solo quattro volte S. E. aveva pranzato dalla principessa; e che solo scappando la notte, si sarebbe potuto recare di nascosto a San Martino. L’incalzar delle domande opprime persino chi legge l'interrogatorio: e a un certo punto il Puelli, spossato, risponde. a ogni quesito che non si ricorda più di nulla: « .... VV. SS. facciano di me quello che lor pare.... » S’ interrompe allora l’esame. «.... Tunc domini videntes eius pertinatiam, inherendo etiam ordinibus S. Celsitudinis et eius mandatis de quibus in actis, decreverunt pro habenda responsione congrua et precisa, ad ea de quibus supra fuit interrogatus, ipsum constitutum tormentis subijcere et iddeo iusserunt eum ad locum torturae duci, spoliari, ligari, et funi applicari. _ « Qui adductus, spoliatus, ligatus, et funi applicatus et denuo monitus ad respondendum precise et congrue ut supra, respondit: io ho detto quello che ho saputo et se sapessi altro lo direi. Tunc domini iusserrunt ipsum in tormentis ellevari. Qui elevatus et mo- (1) Eppure lo aveva giurato, come abbiamo visto, e non una volta sola. IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 691 nitus ad respondendum ut supra, respondit: non so altro. Et monitus ad respondendum ut supra, respondit: son morto qui, fattemi metter giù che son morto.; et dirò la verità.... ». La confessione comincia. Il Puelli aveva portato un’ ambasciata d’ amore, e poì era stato pregato da donna Isabella di esortare il principe Vincenzo affinchè si stabilisse a Gazzuolo e l’andasse spesso a visitare in San Martino: il principe Vincenzo, difatti, vi andò: « ...et con quelle occasioni detta Signora le faceva carezze et le mostrava affetione, et da questo è stato causato che il s. Principe Don Vincenzo le prese amore, essendo stato allettato dalle carezze di detta Signora, come di burlare con detto s. Prince. Don Vincenzo con le parole et con le mani, et non mi ricordo altro adesso, et anco mi ricordo che una volta la S. Donna Isabella mi disse che dovessi andare a chiamare S. E. et farla andar a mangiar seco et così feci, et detta Signora le diede del sugolo da mangiare che aveva fatto di sua mano propria in un camarino attaccato alla stanza grande a mano destra nell’entrar dentro da detta Signora; vi aveva un armario con dentro della robba sua.... et detta Sig. Isabella faceva queste cose, per fare che il S. Principe Don Vincenzo le volesse bene, et anco si faceva bella, et le faceva carezze, acciò le volesse bene.... ». Allora, il giudice osserva che sarebbe stato impossibile far innamorare un principe come don Vincenzo, mediante un semplice piatto di sugolo! ll Puelli aggiunge che detta signora si lasciava anche baciar le mani dal principe ; e final. mente : « .... io creddo che fosse fatta qualche poltroneria nel mangiare di S. E. per farla inamorare.... » A poco a poco si giunge così deliberatamente alle accuse di stregoneria. Il Puelli giura di aver visto che mentre quel certo piatto di sugolo stava cuocendo, donna Isabella e una sua serva « cremonese, gialla in volto, di 40 anni circa et di nome Diamante » vi mettevano una polvere con dello zucchero: e avendo egli domandato a donna Isabella che cosa fosse quella polvere, ella aveva risposto: « polvere da far voler bene ». Il Puelli comenta: « nè so poi se dicesse da burla o da dovero ». Giura di non aver detto prima la verità, perchè il diavolo gliel’aveva impedito: « .... et venni allegramente per dire la verità, ma il Diavolo mi ha fatto mutar pensiero ». Tunc domini iusserunt dissolvi, revertiri et ad locum suum reduci... Cessato il tormento, l’ imputato riprende la sua narrazione. La 692 GUIDO ERRANTE sera seguente a quella in cui aveva bevuto il sugolo, S. E. era di nuovo andato a S. Martino; ed essendogli venuta incontro la principessa Isabella, l'aveva abbracciata: sorpresi dal principe Scipione, donna Isabella aveva assicurato Vincenzo che il principe non si sarebbe offeso, poi che sapeva dover egli divenire il marito della madre, secondo la parola data. Era una vera e propria violenza ipnotizzatrice, questa usata all’adolescente cardinale! Misteriosa era stata anche la confezione del sugolo malefico: « ....la detta polvere era fatta et composta d’Ostia consecrata et d’osso di testa di morto, la qual testa detta donna cremonese da me nominata nelli altri miei ultimi esami andò a pigliare sopra il sagrato della chiesa Parochiale di S. Martino, dove io ho veduto che ve n'erano nella muraglia del sagrato in certi buchi di detto muro vicino a terra.... et sopra una parte dell’osso di detta testa di uomo o di donna che detta cremonese portò da detto sagrato, fece celebrare tre mattine delle messe avendo essa donna posta detta parte d’osso sotto la tovaglia dell’Altar Maggiore di detta chiesa.... et l’ostia consecrata detta cremonese la portò da detta chiesa avendola presa in bocca con pretesto di comunicarsi et poi levata di bocca et posta in un fazzoletto.... detta cremonese mi disse che detta testa voleva essere d’ uomo maschio se doveva esser a proposito et che conosceva le teste d’uomini per certi segni che hanno differenti delle teste delle donne.... ». Conclude il Puelli di non aver voluto dire subito la verità, perchè D. Isabella gli aveva fatto giurare davanti a una imagine di Cristo di non palesar mai nulla a nessuno. E si contradice ancora, in ultimo: quella tal donna non era chiamata la cremonese, ma la modenese; ed era « magra, grande e non bella con capelli che tiravano al negro ». Mentre si venivano esaminando così i testimonî, a Mantova aveano rintracciata la complice del Puelli: e il 21 novembre gli stessi giudici incominciarono l’ interrogatorio di costei: «.... coram praedictis dominis iudicibus delegatis astantibus in quadam Camera custodis carcerum castri ducalis constituta quaedam mulier staturae ordinariae et potius altae aetatis ut ex aspectu dignosci potest annorum circiter quadraginta et ultra cum capillis sub nigris, vultu longo macie confecto, cum vestimentis infrascriptis vidilicet, ecc., ecc.... interrogata de nomine, cognomine, Patria et habitatione, respondit: il mio nome è Bianca et il co IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 693 gnome è di Montagnana et son nativa della città di Modona.... ». Era stata otto anni al servizio di donna Isabella; da principio ben voluta da costei, ma in ultimo talmente maltrattata, ch’ ella stessa aveva deciso di andarsene; e v’era riuscita solo dopo molte insistenze. Depone di aver visto a letto con la signora Isabella il signor principe due volte e di aver sentito dire che detta signora s'era sposata; di non saperne di più. Sembra che anche la Montagnana non voglia parlare: richiesta se, oltre ad aver servito come cameriera, aveva mai aiutato a far di cucina, risponde: mai, mai, mai. E per moltissimo tempo la vittima si mantien ferma nel negare; fino a che il custode delle carceri dichiara il cattivo stato di salute della prigioniera, che non dorme e non prende cibo : pure il medico che la visita, conferma la debolezza e sconsiglia assolutamente di ricorrere alla tortura, tanto più che essa gli ha detto « .... di temere di morire sopra la corda... et che ella infine non vuole essere tormentata potendo di meno et più tosto vole che la croce vada a casa delli altri che a casa sua.... ». Così, l'esame si riprende senza torturar l’imputata; e la Montagnana confessa. Ora, per togliere a donna Isabella ogni attenuante possibile, si costruisce una storia oscena di certi suoi illeciti amori. .... lo so, depone la Bianca, che [D. lsab.] voleva bene al suo segretario et anco al S. Principe Don Vincenzo.... ». Questo segre- “ tario si chiamava Ercole Piattesi: «.... et{ella] gli portava grande amore, ma perchè esso segretario prese moglie, la S. Donna Isabella l’ebbe molto a sdegno et per fargli dispetto, s’incapricciò poi del S. Principe Don Vincenzo et fece ogni opera perchè fosse suo marito per esser lei sua moglie.... ». Tanto ella era invaghita del Piattesi che «....non la voleva intendere che pigliasse moglie.... ». La Montagnana entra quindi a deporre circa il maleficio. Aveva in verità fatto qualche volta di cucina per la signora e aveva aiutato a condire le vivande: con il sugulo di cuì il Puelli ha parlato. I giudici le chiedono allora tutti i particolari, che sul principio non coincidono con le deposizioni del Puelli e solo a poco a poco si precisano, fino a corrispondere perfettamente a quelle deposizioni. E ugualmente nominati e distinti sono i personaggi anche secondari: chi aveva versato nel piatto la polvere e chi invece lo zucchero, ecc., ecc. Le poche contradizioni in cui sono caduti i due imputati, spaArch. Stor. Lomb.. Anno XLIII, Fasc. IV. 45 694 GUIDO ERRANTE riscono in un secondo esame subìto dal Puelli il 3 dicembre. Per dissipare le ultime, segue ancora un secondo esame della donna. Così, l’ invenzione veramente diabolica dei due fratelli, va sempre più perfezionandosi. Mentre dai due primi esami del Puelli risultava che la strega, la inventrice del sugolo era stata la modenese e che donna Isabella non aveva fatto altro che comandarla : ora invece si è riusciti ad assodare che la Montagnana era stata sua esecutrice materiale e che maestra di stregonerie doveva ritenersi proprio donna Isabella. Costei aveva ordinato alla cameriera perfino di prendere dell’ olio santo, per versarlo nel sugolo; ordine cui però la cameriera s’ era ribellata. Il Puelli dichiara, che se in qualche risposta s'è ingannato, deve darsene colpa alla sua memoria, non alla sua intenzionc; naturalmente, anche la sua complice dichiara: «..,. se avessi fallato qualche cosa non l’ho fatto per malitia, perchè in verità ero rissoluta di dire il fatto giusto, ma se avessi fallato, questo sarà avenuto per mancamento di memoria et per il gran travaglio che mi trovavo.... ». L’ interrogatorio si chiude: i giudici mantovani tuttavia vogliono ancora avvalorare e consolidare l’opera loro. Domandano alla Montagnana se ha detto la verità: ed ella giura di averla detta, negli ultimi esami; le ripetono che dica la verità e che non aggravi indebitamente nessuno, la mettono alla tortura, ed ella persiste nel suo giuramento. La stessa prova subisce il Puelli; e fa le stesse dichiarazioni. Così termina questa istruttoria : la firma del notaio e il timbro del tabellionato vorrebbero renderla meno arbitraria, porla entro i limiti della legge. Se l’ esposizione dell’ interrogatorio non basta a persuadere della malafede che infirmava le accuse dei due fratelli, altri fatti sorgono a renderla evidente (1). Proprio nel novembre del 1621, Vincenzo tenta una riconciliazione con la moglie: ma donna Isabella è avvisata, mentre sta per partire alla volta di Mantova, che le si vuole tendere una insidia e che, forse, si pensa anche di farla prigioniera: ed ella avverte il principe di non poter aderire alle sue proposte. Al duca, che trovasi in Roma, il Chieppio partecipa (1) Vedi specialmente doc. XIV. î IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, FCC. 695 l'accaduto (1): «.... all’hora che doveva la s. Donna Isabella essere all’imbarco, è venuto da S. E. il Prete Olivi con l’ aggiunta lettera del Prencipe di Bozzolo, che le ha esposto essere stata essa signora avvisata per staffetta da Modena, arrivata quasi nello stesso tempo della partita, come questa donna (2) s’andava esaminando per processarla di malie et stregamento et che per ciò non poteva risolversi di venir secondo il concerto », Una corrispondenza, poi, tra la marchesa Caterina e Ferdinando, illustra ed accerta quel che abbiamo appena accennato : che cioè, solamente dopo che i testimonî eran già stati interrogati nel foro secolare mantovano, e solamente per paura che gl’interrogatorr venissero dichiarati nulli per vizio d’ incompetenza, fu l’inquisitore di Mantova messo a parte del processo. Del resto, a noi pare incredibile, e pur ci risulta dalle lettere ducali che riportiamo, a noi pare incredibile che detto inquisitore avesse tanti rapporti con la corte e desse tante assicurazioni proprio quando più era grave l'incertezza delle conclusioni processuali. Scriveva il 9 dicembre 1621 Caterina al duca: « Ho fatto chiamar subito il Padre . Inquisitore (3) a cui ho comunicata la sua volontà et si è mostrato prontissimo ad eseguirla et cederà molto bene in conformità del ragguaglio che si trova di già aver dato così in genere di questo processo a cotesti Cardinali della congregatione, sino da che con saputa di V, A. egli essamini giudicalmente il Notaro Tarabuzzi. Questa sera constituirà il Puelli essendosene data la commissione alli Giudici della Causa, che prima doveranno partecipargli quella parte del processo che concerne materia del suo Tribunale, et si anderà proseguendo la causa con ogni accurata diligenza, et se la persona del Conte Pendasio si reputerà bisognevole per meglio accertare nella sostanza, farò in maniera tale che senza esser nominato assisterà agl’ essamini.... Domani vederò che parta la persona che destinerà in Lorena, et sin qui ho pensato di valermi del Dot- (1) 24 novembre 1621. Del resto, può darsi che sia vera l'affermazione in proposito dell'ignoto difensore di donna Isabella nel processo all’ Inquisizione di Roma: che cioè queste proposte di Vincenzo ad altro non tendevano, che a insidiare la libertà della principessa. Vedi documento XIX. (2) Bianca Montagnana. (3) Fra Girolamo da Camerino. 696 GUIDO ERRANTE tor Vinciguerra Pendaglia, che poterà bisognando parlar per i termini nella causa di cui V. A. commanda si dia ragguaglio a quelle Altezze, et presso la lettera, che ella scrive a Madama, Io l'accompagnerò con altra mia et starò sui medesimi punti, rappresentandoli però con quell’affettuosa efficacia che forse più convenirà alla persona mia.... ». E il 12 dicembre Caterina di nuovo scriveva : « ll Padre Inquisitore, dopo aver essaminato il Puelli, fu da me molto contento della prontezza, sodezza et minutezza, con cui mi raccontò che aveva deposto in ogni particolare ricercatogli, et ci promettiamo, che farà il medesimo la donna, tutto convenendo con la mera et pura verità. Mi ha detto che darà parte a Roma con questo ordinario alli Padri della Sacra Congregatione dell’ esseguito et che servirà a V. A. et alla Causa come per ogni rispetto deve, il che ho stimato bene che sia noto a lei anche.... Dopo aver scritto sin qui, il Padre Inquisitore mi viene a dar parte d’aver constituita la Bianca et d’averne avuto quanto se n’attendeva con tanta prontezza, veresimilitudine et concordia col Puelli, che non si può dire quanto basta. Ha opinione che il Puelli sappia qualche cosa di vantaggio circa l'origine et maestro del maleficio, però anderà continuando le sue diligenze..... ». Durante tutto l’anno 1622 le relazioni tra Mantova e Romasi riferiscono alla procedura da seguirsi nella lite; il duca vuole che Gregorio XV elegga due confidenti, i quali, studiata la causa, diano il loro giudizio, che a lui sia riserbato il vantaggio di un benevolo arbitrio, che nei particolari del negozio si tenga la massima segretezza; non si dimentica di ricordare ripetutamente « quanto le conclusioni del dibattito concernino non meno il pubblico che il privato interesse, per le conseguenze che possono derivare di commodo e di pregiuditio all'Italia et al Cristianesimo dal restar più o meno assicurata di questi tempi la successione di questa nostra Casa n. Il Pontefice tuttavia non si lascia facilmente persuadere: nomina un tal monsignor Monterenzio ad esaminare l’intero svol. gimento del processo, ma più per non inasprire Ferdinando, che per convinzione; forse egli ha già in animo di prendere atto delle proteste di donna Isabella e di affidare all’ Inquisizione di Roma il giudizio definitivo. Il duca non desiste intanto dai suoi tentativi di corruzione: i IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 697 documenti in proposito si fanno man mano più scarsi e più vaghi, evidentemente per una misura di prudenza e di sicurezza; ma è tuttavia possibile rintracciare qualche accenno. In una lettera del 5 aprile sembra che Ferdinando parli allo Striggio di una vigna comperata per favorire un cardinale, e il 6 maggio ne scrive in questi termini al medesimo Striggio : « Quanto al tocco che ci fate nella vostra, sapremo ballare, come si dice, se essi Signori soneranno, vogliamo dire che questa della Vigna non sara l’ ultima cortesia che riceva da noi, poichè faremo altri regali a luogo e tempo. Questo diciamo perchè sappiate conosciamo la nostra obligazione, non perchè crediamo dovere o potere ciò mover l'animo di Signori tanto ingenui et nostri amorevoli.... ». Ma le speranze del duca ancora una volta son destinate a fallire: e il suo più vivo desiderio, che la causa si decida all’ Inquisizione di Mantova e non venga commessa all’ Inquisizione di Roma, sarà anche deluso. L’ Intra nell’opuscolo già citato (1), narra che donna Isabella, essendo stata condannata a morte dall’ Inquisizione mantovana, ricorse alla suprema Inquisizione di Roma; ed enumera perfino i motivi peri quali da questa sarebbe stato accettato il ricorso della principessa : il processo erasi fatto negli stati del suo nemico; de’ testimonî e complici, l'uno era un dipendente di don Vincenzo, l’altra una sua cameriera licenziata; i giudici laici erarfo sudditi del duca, gli ecclesiastici ignoravano cose e persone; ella non era stata interrogata, nè per lei era stato designato alcun difensore, il che solevasi concedere al più volgare delinquente (2). Nelle corrispondenze e negli altri atti dell’archivio Gonzaga quanto l’Intra ci narra non è certo possibile riscontrare; e a noi sembra più (1) In molti particolari l'opuscolo di Giambattista Intra, oltre ad essere inesauriente, risulta privo di esattezza. Anche la data dell'ultimo tentativo di riconciliazione tra il principe Vincenzo e donna Isabella è inesatta: 1’ Intra la pone nel luglio del 1622 e novi abbiam visto che il tentativo avvenne nel novembre del 1621. (2) Non so dove l'Intra abbia potuto trovare i documenti che provano la condanna a morte di donna Isabella e le motivazioni del suo ricorso; se tali documenti non esistono nell’archivio Gonzaga e se chiuso per chiunque fu sempre e tutt'ora rimane l'archivio della Inquisizione romana. Del resto l’Intra non cita, a sostenere i fatti da lui narrati, nessun documento. 698 GUIDO ERRANTE probabile che, da una parte per la giustizia della causa, dall'altra per le protezioni che non mancavano certo a donna Isabella, il pontefice volesse giudicata la lite dal Supremo Tribunale di Roma: si trattava infatti di un gran delitto, consumato mediante abuso di Sacramento e da persona molto nota e di elevatissima casta. Troviamo bensì nell'archivio Gonzaga alcuni parerì circa le principali questioni del processo. Senza firma è una disquisizione intorno all’ argomento: se sia da condannarsi a morte chi abbia usato a scopo indegno del S.,mo Sacramento, sia nel foro secolare, sia nell’Ufficio della Santa Inquisizione; l’ignoto giureconsulto risponde affermativamente. Senza data, ma con la firma di Carlo Bardellone, è un’altra disquisizione intorno all’ argomento: se i testimoni debbano essere trasmessi alla corte di Roma « antequam ipsamet rea.... in vinculis detrudatur » e se dietro gl’indizî che si hanno « ipsa sortilega sufficienter ad torturam inditiata dicatur »; il Bardellone conclude tanto riguardo al primo che al secondo quesito affermativamenie (1). Un terzo documento adduce le ragioni in favore di donna Isabella : e forse su di esso si basò l’Intra per indurre la condanna a morte della principessa decretata dall’ Inquisizione mantovana e il ricorso accettato dal Tribunale Supremo di Roma. Ma in primo luogo, tale documento risulta come parere e non come sentenza; in secondo luogo, le motivazioni del ricorso sono diverse da quelle enumerate dall’Intra; in terzo luogo, non vi si accenna alla condanna di morte (2). La verità è, ripetiamo, che Gregorio XV, avvisato della causa che fuori de’ limiti di ogni competenza e di ogui diritto, i Gonzaga proseguivano a Mantova, volle egli stesso fare giustizia e diede ordine che a Romasi ricominciasse ab ovo il processo. Non s'era il delitto di cui si accusava donna Isabella consumato a S. Martino, nella diocesi di Cremona (3)? e non era sospetta, codesta (1) Doc. XVI. (2) Doc. XVII. (3) Invano il duca aveva cercato di prevenire gli eventi, facendo domanda al papa di ridurre sotto l'Inquisizione di Mantova quella parte del suo stato sot: toposta alla diocesi di Cremona. Il 1° aprile 1622, infatti, aveva egli scritto allo Striggio: « Fra le cose che ci premono in questo nostro stato per evitar gl'in IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 699 procedura affrettata, irregolare e segreta? e aveva forse l’imputata consentito a che il giudizio si svolgesse a Mantova, in un luogo a lei così ostile? : Prima condizione, dunque, imposta a Ferdinando, fu quella d’ inviare a Roma il Puelli e la Montagnana. Ma il duca solo allora vi si decise, quando ebbe ottenuto che la cognata fosse fatta prigioniera. Inspiegabile, questa pretesa: se non la si interpretasse qual prova evidente del timore di un incontro tra donna Isabella e i suoi accusatori. Gli stessi agenti ducali, da Roma davano questo consiglio al loro signore: « Venendo qui stimata santa, et prudentissima la deliberazione, che S. A. ha fatta di non inviar qua i prigioni prima che donna Isabella sia in prigione, ho voluto dirlo con questa a V. S. Ill. in ziffra, perchè potendosi perder la let. tera, non sì vegga ch’egli scrive diversamente dall’ intentione di S. S. et della Congregatione. Ben è vero, che per non dar et ricever disgusto sarà necessario sino che si abbia tal carceratione andar temporeggiando or con un pretesto, che siano amalati, et or con un altro, et quali pareranno all’ infallibile prudenza di S. A., la qual per captar l’animo di questi signori, deve da un canto mostrarsi pronto a condiscendere, ma dall’altro far quello, che più compete al suo serenissimo servigio et alla salvezza della sua riputatione.... » (1). Ferdinando è intanto occupatissimo a ribatter tutte le innumeri obiezioni che gli vengono mosse dai giudici di Roma. Sembra che questi abbiano perfino accusato il principe Vincenzo di essere stato convenienti che sovente ne nascono, è quello del S. Ufficio di questa città, acciocchè dipendano i nostri sudditi da un solo tribunale et si levi l'occasione d’introdur essecutori di fuori col pretesto di far la causa pressante ad altri inquisitori, che non può esser senza sconcerto col foro secolare col dar materia di doglianze et di molesti ricorsi costà.... Desidereremmo veder accertato il modo con cui il S. Ufficio essercitasse la sua causa senza materia di intoppo nè di disparer alcuno qual sarebbe coll’ottener che quella parte di questo stato sottoposta alla Diocesi di Cremona, fosse transferita sotto l’Inquisitor di Mantova.... ». Ferdinando aveva concluso la sua lettera così: « .... S'è il Principe di Bozzolo sottratto da questo tribunale di Mantova Dio sa con quali preA_R CS R A testi.... D. (1) Lettera di Francesco Comino a un ministro di Ferdinando, da Roma, addi 2 giugno 1623. 700 | GUIDO ERRANTE ancor lui autore o complice d’una qualche malia. E il duca risponde, per mezzo dello Striggio : « .... L’aver il Prencipe nostro fratello (sia qualsivoglia la verità, che non la sappiamo) avuto qualche parte in cose di maleficij, non vediamo come possa sollevar l'altrui colpa, non essendo stati usati i detti maleficij contro donna Isa- | bella, sì che ella si possa scusare d’aver con pari arte voluto circonvenir nostro fratello ». A ogni modo, non è detto che sì debba andar impuniti, per il solo fatto che si è commesso un delitto contro chi dello stesso delitto era macchiato. « Meno ciò può aver luogo nell’ enormità di questo caso intorno a cui si passerebbe molto leggermente, se si potesse sfuggir sotto tal pretesto la pena di tanto sacrilegio, nel quale non si considera l’offesa privata, ma la publica nel disprezzo. fatto a Dio medesimo, et il dubio che nasce sopra l'integrità della fede Cattolica, mentre s° abusa il Santissimo Sacramento così sordidamente... ». Ma o perchè infondata o perchè la corte di Mantova riuscisse a farla tacere, i giudici di Roma non levarono più una tale accusa contro don Vincenzo (1). Le informazioni che il duca riceveva circa il contegno della principessa Isabella, la quale a difendersi erasi trasferita a Roma, dovevan certo esacerbargli il desiderio di vederla rinchiusa in un carcere. Il Soardi nel maggio del 1523 riferiva: «.... I SS. Cardinali, con quali avendo ella trattato, tutti mi han detto, che non sentirono mai donna nè più loquace, nè più altera, et da’ loro ragionamenti ho cavato di sicuro, che poco guadagno n’abbia ‘fatto, venendo talvolta in certe fogose sparate, che passano il segno della sua positura. Di V. A. amaramente si duole, che come Capo di sua casa acerbamente la perseguita (dice ella), Ma io ho a questo risposto che non è V. A. ma il suo peccato et che d’essere di sua Casa non è dei primi luoghi, et esclamando ella, che se veniva a Mantova, quando venir voleva, era tradita, ghi ho fatti capaci, che la scusa che trova di essere stata avvertita non fu, come essa dice, poi che fu avvertita sì, ma ancora avvisata, che la Bianca già sua donna, era nel S. Ufficio prigioniera: del qual avviso fattovi riflessione col sentimento della propria coscienza, non ostante che il Prencipe l’avesse assicurata, che torto alcuno non le sarebbe stato fatto, mancò della parola data con l’allegato pretesto di tra- (1) Doc. XV. IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 7OI dimento.... ». Sembra così che donna Isabella si schierasse apertamente contro i suoi nemici e ribattesse una per una, senza più reticenze nè riguardi, le loro accuse. Anche il Faccipecora informava Ferdinando: «.... Donna Isabella attende a godere il frutto della sospensione, in cui son mantenuti tutti i negotij dalla poca salute di S. Beat., poichè se ne va attorno con molta franchezza, come intendo nelle schiere publiche, senza però far molte pompe delle sue bellezze già ridotte all’occaso, ed offuscate dal velo della propria conscienza, che le deve cagionare grande inquiete nell’animo, tutto che s’ ingegni di comparire allegra e fastosa, come è stata riconosciuta per molto ardire al solo aspetto da un P, Gesuita, anzi disse non so che in vederla: — Hor sì che si deve credere, poi che in altra forma non era atta a guadagnar l’amore d’un Prencipe.... » (I). Lo stesso Faccipecora lamentava in una sua lettera, di aver veduto in chiesa conferire un giorno alla principessa tutti gli onori dovuti: la lettera, di sapore assai secentesco, è dell’aprile 1623. « Questa mattina ritrovandomi a messa al Gesù, ho scoperto in una capella D. I. che raggionava col Card. Borgia, et osservato che si affannava molto nel dire la sua raggione, con la vita et con le mani; doppo longo discorso il Cardinale si partì parendomi che l’abbia assai onorata con l’abbassarsi molto a riverirla, erano a sedere, essa di sopra in uno Imperiale ed il Cardinale in una Carpesana, la quale voglio più tosto credere si ritrovasse a caso nella Capella, che portata apostatamente, per far questa differenza, se bene l’ Imperiale era di Damasco cremisino con oro, e l’ altra di Morlacco, che forse non sono proprie del Convento: ma non credo mai tanto disbaratto. Partito il Cardinale ella venne su la porta de la Capella, ne forse passò più oltre per avermi scoperto che udivo la Messa all’ Altar maggiore, ma quivi s’inginocchiò senza aspettar il Coscino, che li posero doppo avanti, ed è di velluto morello. Nella faccia si conosceva travagliata, e sì conoscono similmente gli anni, tutto che sia molto rimunita et strebiata: l’abito è nero di seta, con un velo in testa all’uso di Roma bianco e nero, con un filetino d’oro, nè teneva gli occhi a segno dispiacendole forse d’esser da me veduta. Si è lamentata con molte (1) Lettera del Faccipecora al duca; r5 maggio 1623. 702 GUIDO ERRANTE signore di non puoter aver audienza da N. Signore: ora se la passa quasi per uno scherzo, con dire che non la vogliono sentire per esser la streghetta, et è sino uscita a dire in visita d’ una dama parente del Principe Savelli, che i Cardinali si guardavano d’andar da lei per paura di non perdere la berretta, ma che a lei bastava d’averla fatta perdere a uno. Esso Principe mi dice d’ averlo detto al Card. Ludovisio, perchè vegga maggiormente con quale baldanza essa va parlando. Mostra il Cardinal meravigliarsi che la Congregatione non sappia risolversi, intorno il farla andar prigione, et che N. S. ne sta con molto travaglio d’animo, venendoli insinuato che si possa dubitare di qualche tumulto per la quantità della gente ch’ ha seco ; a che dice il Cardinale d’aver risposto, che risolva pure S. S. o che si constituisca da sè, o che sia formalmente prigione, lasciando poi a lui il pensiero dell’eseguire nell’ uno o nell’ altro modo senza alcuno strepito. Le parole son belle e gratiose quando non fossero già in possesso di dubia fede.... ». L’inquietudine vaga che gli veniva dalle notizie de’ suoi agenti di Roma, non dava tregua a Ferdinando. Prima di riuscire nel suo intento, nella carcerazione cioè di donna Isabella, egli non ebbe requie. AI re di Francia si raccomandava vivamente, esponendo tutta la serie dei mali che sarebbero derivati da un insuccesso e lamentandosi degli aiuti di denaro e di ogni sorta che i Savoia porgevano ai signori di Bozzolo; i Savoia gioivano al pensiero dell’ « esterminio » della sua Casa, perchè avevan di mira l' acquisto del Monferrato. Al re di Spagna si rivolgeva sdegnato per le protezioni di cui i Nevers beneficavano la cognata, e discutendo i loro diritti di successione. Pregava le A. A. di Toscana perchè s'’interponessero in qualche modo a impedire che Modena e Parma così parzialmente si comportassero in favore della parte contraria. E rimproverava al cardinal Ludovisi la lentezza del tribunale supremo, mostrandosi inquieto anche per l’arrivo a Roma dell’ arcivescovo di Rodi, fratello della principesa di Bozzolo. Invano il cardinale cercò di rassicurarlo : « .... Nella congregatione del S. Officio si trattano, come V. A. sa, le cause con tanta maturità, per condurle al fine, che la Giustitia richiede, che | non possono gli uffici altrui, se non quanto la ragione gli accompagna, operar cosa di momento. Onde per la venuta di Mons. Ar IL PROCESSO PER L’ ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 703 civescovo di Rodi a Roma, V. A. può esser certa, che non si altererà il camigo preso della Giustitia, ma io oltr’ all’ obligatione, che la cosa stessa m’impone, sarò di più tenuto a procurarlo per servire a V. A., li cui comandamenti mi sono segni di gratia et effetti di honore.... ». Ma Ferdinando non si accontentava più di parole: e dimenticava spesso i suoi atteggiamenti d’umile devozione e di pia bontà, per abandonarsi a ogni genere di minacce e d’ingiurie. Così, il 9 maggio 1623 scriveva al Soardi. « Scrivo a S. S. la qui annessa lettera di mio pugno, et si come in essa non ho mancato di accennarle modestamente, che quando mi si neghi la dovuta Giustitia nel fatto di D. Isabella, io sia per risolvermi ad altre risolutioni, che più si conveniranno all’onore et mantenimento di Casa mia, così si compiacerà V. S. di presentarla alla S.S. et soggiungerle a viva voce più apertamente et con maggior libertà di parole, che quando ricorsi a codesta S. Sede per giustitia contro D. Isabella non lo feci già perchè non avessi saputo et potuto farlami di mia mano, come Prencipe di gran lunga maggiore di lei, ma solo per significare al Mondo che il mio procedere viene sempre accompagnato dal dovere et da ragione, la quale se da S. S. mi sarà fatta con quei termini, che mi si convengono, mi sarà caro di riportar frutto degno della mia modestia, che modestia può dirsi quando un Principe libero può prendersi da se stesso vendetta dell’ingiuria, et nondimeno ricorre all’altrui foro a fine di ottenerla per via di giustitia, et se questa per lo contra mi sarà negata, tutti diranno che molto bene ho giustificata la mia causa avendo ricorso al Vicario di Cristo.... n. Soggiunge, che il non essere ancora donna Isabella in carcere, è una prova della poca considerazione in cui lo si tiene; poichè non solo costei ha manomesso il Sant.m° Corpo di Nostro Signore, ma anche, come dagli atti del processo risulta, ha attentato alla sua vita. Giura che se giustizia non gli sarà resa, egli saprà farsela da sè, nonostante tutte le guardie e tutti gli archibugi di cui si circonda la principessa di Bozzolo. Un postscriptum a questa lettera, di pugno di S. A., suona così: « Si rîcordi al Signor Cardinale [Ludovisi], che i Papi non vivono sempre, ma le case de’ gran principi non si estinguono così tosto, et che in questo negotio notoriamente mi si fa torto et perciò vorrò alla fine rivedere | i miei conti n». In fondo alla pagina, però, una nota ci avverte: « il qual poscritto è stato moderato d’ordine di S. A. ». 704 GUIDO ERRANTE Del resto, una corrispondenza fra lo Striggio e Ferdinando ci dimostra, che se nulla fu tentato contro la vita di donna Isabella, ciò si deve al fatto che ne mancò l’occasione. Il 26 ottobre 1623 lo Striggio informava il duca: «Il marchese Tassoni mi scrive l’annessa lettera in credenza di un tale Andrea Landato Napolitano, uomo però ben ali’ ordine, c'ha cera di gentiluomo anzi che no. Costui m’ha detto con gran riserva, ch’egli è familiare intrinseco della Casa Mattei (1) dove sta, e potrebbe a voglia sua dar il veleno a D. Isabella, s’esibisce però prontissimo di farlo con ogni sicurezza e per la mercede si rimette a quello che V. A. vorrà dopo il fatto.... È da notarsi, che questo tale prima di presentarmi la lettera del marchese Tassoni, l’ha aperta e letta, per non si fidar di lui, e poi di nuovo serratala me la diede.... Io nel trattar con lui ho preso sospetto che sia una spia doppia, e me n’hanno fatto dubitare il parlar accorto, il sembiante ardito, la patria di Napoli, il partito largo, dal quale, dice il proverbio, allargati, l'aver aperta la mia lettera, finalmente la grande instanza, d’aver nelle sue mani la mia risposta, la quale io gli diceva c’havrei mandata al S. Marchese per altra mia. Con tutto ciò ho risposto del tenore che V. A. vedrà per copia.... ». Infatti, il giorno prima, 25 ottobre, lo Striggio aveva risposto al marchese Tassoni: « Ho sentito Andrea Landato Napolitano che m'ha resa la lettera di V. E. et ho applicato con grande attentione l’animo ai suoi detti. Ma dopo matura consideratione, conoscendo io la natura di S. A. ch'aborisce ogni attione, che non sia più che retta e giustificata, e sapendo che molte volte ad altre propositioni simili di chi ha voluto levar la vita a’ suoi poco amorevoli ha chiuse le orecchie, per la sua innata pietà e bontà ho risoluto non li far motto di questo fatto, tanto più ch’io naturalmente ancora sono alieno di maneggi di tal qualità.... ». E si avverarono i sospetti dello Striggio, che il 29 ottobre scriveva: « Il s. Marc. Tassoni mi scrive d’aver poi scoperto quel tale Napoletano, che fu da lui mandato in qua, per un falso, a molti inditij che si riserba di dire a bocca: gode però che sia stata scoperta la lepre etiandio qui, onde il S. Prencipe D. Vincenzo adesso si torrà giù del tutto dal proseguir la pratica del (1) Una sorella della principessa di Bozzolo aveva sposato il marchese Mattei: sua ospite fu Isabella durante il soggiorno a Roma. IL PRO€EESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 705 sodetto Napoletano fintamente proposta... =. Ma se il suddetto Napoletano non si fosse rivelato, avrebbe rifiutato il principe Vin-° cenzo la proposta di lui? Non sembra; se ben consideriamo )’ ultima lettera in proposito dello Striggio al duca, dell’11 novembre 1623: « Avuta la risposta di V. A: Ser,ma ch’attessa la carceratione di D. Isabella (1) oltre gli altri rispetti, ella non volesse saper altro della proposta di colui, mi risolsi di saltar il fosso col S. Principe D. Vincenzo, dimandandogli che cosa aveva risposto al Marc. Tassoni, e trovando che da S. E. s’era dato orecchio alla proposta, esposi il senso contrario dell’A. V. guidato da fondatissime ragioni, onde l’ ho indotto a cantare la Palinodia con sua lettera in zifra al medesimo marchese, il quale però ebbe già da me l’avviso di non fidarsi di quel tale, giudicato qui una spia doppia.... n. Tornando adesso un poco sui nostri passi, dobbiamo giungere fino al luglio dèl 1623, tempo in cui un avvenimento inaspettato, la morte di Gregorio XV, aveva interrotto il camminar della lite. A Gregorio XV era succeduto il cardinal Barberini, papa Urbano VIII; e il Possevino comunicava subito al duca da Roma il suo giudizio sul nuovo pontefice: « Se bene V. A. stando alla Corte et forse anco in Francia ebbe commodità di far giuditio della natura et qualità del presente Pontefice, nondimeno, perchè mi pare, che allora meglio la persona si conosca, quando nè deve, nè ha bisogno di simulare, ora in due parole prendo ardire di significare a V. A. qual sia riputata la sua inclinatione. Ne’ propositi è costantissimo, nelle deliberationi tardo, cognosce l’inclinatione di tutti li Prencipi, nè ha la terra uomo, che meglio a prima vista squadri l'interno del Compagno, che lui. Sì che nè adulatione, nè blanditie, nè timore, nè interesse sono bastanti per rimoverlo dal suo pensiero. Sa quello che è et per tale pontualmente vuol esser tenuto.... » (2). E in verità Urbano VIII non esitò a dichiarare subito al Soardi « che se fosse stato Pontefice al principio di questa Causa avrebbe dissuasa S. A. a non intraprendere una tale impresa, che seco porta difficoltà infinite, tenendo opinione... che an- (1) Come vedremo, nel frattempo donna Isabella era stata carcerata in Castel Sant’ Angelo. | (2) Lettera di Antonio Possevino al duca; 16 dicembre 1623. 706 GUIDO ERRANTE che fossero provate le malie (particolare ancora assai incerto per l'instabilità di costoro) non si potesse mai sciogliere il matrimonio non ostante qualsivoglia altro parere in contrario.... ». L’esito del processo rispose a tale dichiarazione : e se pur il papa ordinò che donna Isabella fosse rinchiusa in Castel Sant'Angelo, prima che i testimonî giungessero a Roma, secondo il desiderio del duca, quella della principessa di Bozzolo fu certo una ben lieve prigionia. Non sappiamo l’ultimo dibattimento del processo come si svolse: abbiamo soltanto due documenti importantissimi, non solo in quanto ci aiutano a ricostruire la fase definitiva della lite, ma- anche, e più, in quanto ci forniscono un assai tipico esemplare dei dibattiti forensi secenteschi. Ercole Ripa (1) esordisce nella sua difesa scusandosi dell’ardire che lo conforta nella gravità del compito a bui affidato. « Verum necessitas parendi audaciam excusabit; et propensa voluntas Dominis inserviendi, intenti vires augebit; ut si Herculis humeris coelum sustinere non possim; neque Oceanum disputationum facile transnare, vel navigare confidam; saltem navem causae matrimonialis difficultatibus onustam, quam varijs dubitationibus, quasi ventis in pelago iuris agitatam ad hanc Ripam applicuisse prospicio, quamvis (occasione) tactus dolore cordis: gratanter excipiam; et de Ripa, (cognomen familiae meae), e navi educam iura causae, ac notiori terrestri itinere calcatis spinosis et angustissimis semitis, vepribus obsitis, silvarumque asperitate superata, quasi Hercules, deducam Deo bene iuvante, in laetos campos peroptatae victoriae ». Dichiara che egli non s’occuperà delle altre ragioni che potrebbero invalidare il matrimonio: ma solo « de amatorio maleficio ex parte D. Isabellae procurato ». E più precisamente l’argomento è posto e delimitato così: — Se sia valido il matrimonio contratto per filtro d’amore, o per preceduta malia; o se debba essere annullato. Quando sì convalida un matrimonio nullo, seguendo il consenso. Se sia valido il matrimonio contratto con dolo: o per timore: o tra persone (1) E’ impossibile riportare per intero l’arringa del Ripa, troppo lunga e scritta in latino: ne esaminiamo la struttura e i nessi principali. — IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 707 di condizioni diverse: o per troppo amore; o se si presuma nullo. E che cosa debba presumersi, qualora il Diavolo abbia eccitato l'amore. Se il delitto o l'eresia diano luogo a separazione. Quali siano il consenso e la determinazione che occorrono al matrimonio. Se si debba credere a chi asserisce di non aver consentito. Se il Sommo Pontefice possa sciogliere, e per qual causa, il matrimonio rato; e anche il consumato. Dio permettendo, quale potenza sia quella di cui il Demonio è capace contro gli uomini e gli Elementi. E quale effetto segua alla.dichiarazione che una persona fa di non aver consentito. Che cosa s’intenda per volontario e che cosa per involontario. Quando si può dire che la volontà è libera. — Alla dichiarazione dell’argomento fa seguito un sommario dettagliatissimo di tutti i quesiti da risolversi nella difesa; che arrivano al numero di duecentoventotto. Spesso, un dato quesito ha numerosi richiami ad altri quesiti: di modo che, intrecciandosi e completandosi a vicenda quei richiami, l’arringa è veramente un breve capolavoro di sapienza logica, tanto gli argomenti vi sono ben collegati e distribuiti: nonostante la fioritura di certe imagini iperboliche, di cui un saggio ha dato il Ripa nel suo esordio. Sembra a prima vista che il matrimonio sia valido, sostiene il difensore. Infatti basta a ciò il libero consenso; e la presunzione del libero consenso si ha, quando da ambo le parti coritraenti furono pronunciate le rituali parole: Et ego te in meam accipio; Et ego te accipio in meum. E sembra anche che la presunzione del libero consenso non possa nel nostro caso scomparire, « quia constat huiusmodi philtris et pharmacis, hominis voluntatem non posse tolli aut cogi, sed tantum flecti Demonis arte ». E inoltre, se il Signor Principe aveva intenzione, prima che si compisse la malia, di contrar matrimonio con donna Isabella, se bene lo abbia contratto dopo compiuta la malia, il matrimonio è valido; « quia ante non defuit deliberatio requisita ad peccatum ». E in verità si imputa di peccato anche colui che impazzisce d’amore, se da principio la passione sua fu volontaria; come il battesimo si concede ai pazzi, che prima di diventar tali chiesero d’esser battezzati (1). Di più la di. (1) Tutte le esemplificazioni di questo genere e tutte le sentenze d'indole giuridica e teologica sono corredate di moltissime citazioni: S. Tommaso, Bisfeldius, Sanchez, Vivaldus, ecc., ecc. 703 GUIDO ERRANTE sparità delle persone non annulla il matrimonio, chè uno solo ci è Padre ne’ cieli: « unde qui ancillam vel libertam duxerit, non potest dimitti ». E ancora, l'errore del patrimonio o delle qualità non annulla le nozze, nè esclude il consenso: di ciò è capace solamente l'errore della persona. Nel nostro caso, poi, il matrimonio è convalidato da tutto ciò che seguì alla cerimonia e che potè significare consenso: traductio ad domum, diutina cohabitatio, ecc., ecc. E anche se donna Isabella fosse aggravata di eresia, il matrimonio non potrebbe sciogliersi, perchè nessun delitto de’ coniugi può scioglierlo: « haeresis praebet causam separationis quoad thorum, non quoad vinculum ». Tuttavia, il matrimonio del principe Vincenzo e di donna Isabella non è valido: « quibus non ostantibus, re maiori cura perpensa, praesupposito maleficio, existimavi nullum esse matrimonium, uti contractus ex parte Excellentissimi D. Principis sine libero eius consensi », ° E in verità è sufficiente che il consenso non sia stato libero anche da una sola delle parti, perché il matrimonio sia nullo. Perchè poi il consenso sia libero, occorre che sia libero l’uso della ragione, sì che la ragione possa deliberare secondo le sue proprie determinazioni e concludere secondo la collazione dei giudizi opposti; « consensus enim est actus, quo voluntas ratam et acceptam habet, sive quo approbat sententiam rationis consultatione et deliberatione conciusam ». Il Ripa ci dà ora una definizione del tutto razionale del libero arbitrio: « ideo philosophi definiunt liberum arbitrium esse liberum de ratione iudicium, quasi ratio sit causa libertatis.... quod radix libertatis, formaliter est voluntas, causaliter est ratio ». E il difensore conclude: « igitur certum est consensum in matrimonio requiri liberum cum discursu rationis »j mentre che il consenso del principe Vincenzo non sia stato libero, facilmente si deduce dalla supposta malia, « propinatio ad Amorem captandum et matrimonium copulandum Demonis arte ». in verità, i filtri possono influire molto sull’animo dell’ uomo, e il Demonio può, Dio permettendo, con il malefizio, « elementa concuttere, mentes hominum alienare, corpora laedere, temporalia perdere, impedire usum rationis; de matrimonio facere non matrimonium.... non tamen de non matrimonio matrimonium ». Così è dimostrato che nel matrimonio del principe Vin. cenzo manca il consenso necessario. Ora, se il matrimonio non consumato può essere sciolto dal papa, senza giudizio, anche il si IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEI. MATRIMLNIO, ECC. 709 matrimonio consumato può esserlo: perchè il matrimonio consumato è indissolubile non per diritto di natura, ma per istituzione DS di Cristo, di cui è comandamento: — Quos Deus coniunxit, homo non separet —; quindi il Vicario di Cristo è arbitro in proposito. « Sed non est opus latius insistere: quia deficiente consensu D. Principis, Deus eos non coniunzxit, sed diabolus maleficio execratissimo sua arte iunxit in copulam ». Che poi il matrimonio del principe Vincenzo sia stato contratto non liberamente, lo provano anche molte e molte congetture. In primo luogo: il giuramento del principe. In secondo luogo: le testimonianze le quali accertano che esso principe si sentì preso da un irresistibile desiderio d’amore solo dopo i pranzi di S. Martino; e così, dato che ogni azione si presume causata da un fatto precedente, « fraus arguitur ex actis gestis et matrimonio incontinenti secuto; actus incontinenti post illatum metum, praesumitur factus metu; matrimonium post tractatum de cogendo ad contrahendum, praesumitur metu contractum »: in verità, nessuna passione è più veemente della passione d’amore; nelle Metamorfosi di Ovidio si racconta: « Narcisium etiam ipsum sui ipsius amore exhardentem, in sui nominis florem abijsse ». In terzo luogo: se il principe avesse spontaneamente voluto contrar matrimonio con donna Isabella, quest’ultima non sarebbe ricorsa a un tanto orribile tentativo. In quarto luogo: la disparità delle persone fa sospettare, nel caso di questo matrimonio, una malia: don Vincenzo e donna Isabella sono di diversa condizione, di diversa ricchezza, di diversa età (1); dalle loro nozze non si può sperar prole. In quinto luogo: i mali che seguirono, sono un’altra conferma dell’intervento diabolico; « multae enim turbae secutae sunt: separatio inter eos, carceratio multorum ». Concludendo: non vi fu il libero consenso, il pontefice può annullare, il principe Vincenzo può ammogliarsi con altra donna. (1) Di non troppo rigore giuridico sono a volta le citazioni probanti che fa il Ripa. A prcposito dell'età, per esempio, egli ricorda un passo della quinta satira ariostesca: Di dieci anni, e di dodici, se sai, Per mio consiglio, sia di te minore: Di pari o di più età non la tor mai. Perchè passando, come fa il migliore Tempo, e i begli anni in lor prima che in noi, Ti parria vecchia essendo anco tu in fiore. Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. IV. 46 710 GUIDO ERRANTE « His ita constitutis, superest respondere contrarijs, quae proponebam: ex quorum resolutione, iam dicta magnopere confirmantur».. Prima di tutto, non osta alla nostra conclusione fatta, che il matrimonio si perfezioni con il consenso dei due contraenti, espresso nelle rituali parole d’innanzi al parroco e ai testimoni: infatti, nel foro contenzioso si presume il consenso, ma nel foro della conscienza, ci si deve attenere all’asserzione di chi giura di non aver consentito: del resto, pur ammettendo che il principe abbia consentito, il Ripa sostiene anche in foro contenzioso, non essere il consenso di lui stato libero. Perchè gli atti involontari sono quelli che avvengono o per violenza o per ignoranza. « Violentum autem dicitur, cuius principium est foris et vexat ab externo, non conferente seu non adiuvante eo, cui vis illata est: et cum oppositorum eadem sit scientia, voluntarium definiunt esse id, quod fit ab intrinseco principio cum cognitione finis, aut circumstantiarum circa quas fit operatio ». È certo, quindi, che don Vincenzo non agì secondo l'interno consiglio della sua spontanea volontà, per le congetture suesposte. E qui il Ripa si addentra in una serie di distinzioni scolastiche circa il volontario e l’involontario, il timore intrinseco ed estrinseco; noi le tralasciamo, per continuare a seguire la tesi principale. Non osta alla conclusione fatta, che la volontà dell’uomo non possa essere dal Demonio assolutamente costretta, ma soltanto piegata; perchè il Demonio può invece « hominem dementare et usum rationis impedire, etiam respectu unius rei »: e allora il principe Vincenzo, « cum vero non habuerit lumen rationis sic impeditae, ignoravit quid ageret, atque ideo contrahere voluit, vel certe libere contrahere non potuit». E obiettandosi che la libertà di deliberazione avuta dal principe fu pari a quella che è sufficiente per costituire in peccato, il Ripa risponde « verius forte esse, maiorem deliberationem requiri ad contrahendum matrimonium, quam ad peccandum; quia ad peccatum sufficit consensus praesens; sed in sponsalibus et matrimonio consensus in futurum ». Se poi alcuno ancora opponesse, che il libero consenso vi fu, per la ragione che il Demonio non si adopera se non per indurre in peccato, il Ripa ritorcerebbe l’argomento contro di lui, dovendosi ritenere che il Demonio abbia incitato al matrimonio il principe Vincenzo e donna Isabella, solamente per unirli in una copula illecita. Per il modo poi in cui si svolsero i fatti, è da escludersi che prima del male IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, FCC. TII ficio il principe avesse la volontà di fare simile matrimonio. Nè pure vale la consuetudine, che la disparità di condizioni non sia causa di nullità: « verum id est, quando dispar voluit contrahere, et vere contraxit; sed cum Princeps afferat, se vi nescio qua, scilicet maleficio grassante (ut postea innotuit) impulsum contraxisse, disparitas coadiuvat assertionem ». Come si vede il Ripa si ripete troppo spesso. Nè anche è vero, che don Vincenzo abbia dopo . con atti suoi proprî convalidato il matrimonio: se pure ciò fosse, ricorda il Ripa che dal concilio di Trento in poi, un matrimonio nullo non si perfeziona con il mutuo tacito consenso dei due conlugi, ma con una seconda cerimonia, d’innanzi al parroco coi testimonî. Infine, non giova a donna Isabella che le nozze non possano essere sciolte nè da delitto, nè da eresia, « quia solvuntur defectu totalis, vel liberi consensus, attento doloso sortilegio et consideratis iam dictis ». La pena di morte dovrebbe essere inflitta alla principessa, « ex Decreto Pauli IIIl contra abutentes Sacramentis, edito die 17 februarij 1559. Dignitas non habet privilegium in delictis, vel maleficijs sortilegijs ». Il Ripa conclude quindi con molta serietà: « matrimonium morte solvitur ». Ma donna Isabella peccò per amore: e i delitti d'amore devono essere meno severamente puniti. Il tiranno ateniese Pisistrato, avendo un adolescente baciata sua figlia, alla moglie che lo incitava a colpire l’incauto con l’ultima pena, rispose: « si eos, qui nos amant, interficiamus, quid his faciemus, quibus odio sumus? ». Il benignissimo principe, perciò, non si ostinerà mai ad esigere la morte della nobilissima principessa, a patto che il matrimonio sia sciolto ed egli possa condurre in moglie altra donna. Segue la protestatio fidei e si chiude l’arringa (1). Il Ripa ha dunque dovuto sillogizzare e sofisticare troppo, non avendo una base di fatto su cui porre l’edificio d’una più sicura e pratica difesa. (1) La protestatio fidei era concepita così: « In quibus si quid minus erudite, aut parum caute positum forte contineretur, quod fidei repugnet, aut Sacris « Canonibus, vel Sanctae Romanae Matris Ecclesiae Catholicae et Apostolicae a Constitutionibus adversetur; id omne revoco et pro non scripto, dictove, haberi « volo: Me enim Christianum esse, et vivere, et mori velle profiteor.... ». A} 712 GUIDO ERRANTE Non così l'ignoto difensore di donna Isabella (1). Si può-anzi dire, che costui impostò tutta la sua difesa su una esposizione di fatti. Ed ecco le circostanze che egli considerò nella causa degli asserti malefici. 1, « Perchè e come sieno stati opposti ». Il duca Ferdinando ha ricorso a codesta invenzione, solo quando fu persuaso che ogni altra via era chiusa e ogni altro tentativo vano. 2. « A chi sieno opposti ». Troppo alta è la figura morale di donna Isabella ed ella conta troppe benemerenze, note a tutti, perchè si possa prestar fede a certe accuse. 3. « Per qual causa si suppongono usati ». Inutile sarebbe stato per donna Isabella un maleficio, diretto ad ottenere ciò che da tanto tempo ella era instantemente pregata di concedere. 4. « Gli effetti da’ quali si possa comprendere se siano stati usati o no ». Le male intenzioni del principe contro la moglie, le sue offese, i suoi maltrattamenti appena seguito il matrimonio, non possono sembrare certamente effetti di malia. 5. « La condizione de’ testimonij e come siano stati trattati dalle parti ». Il Puelli era suddito del duca, la Montagnana una ex cameriera della principessa, scacciata dal suo servizio. Avrebbe mai donna Isabella, così prudente com’ era, potuto confidare a simili persone il suo segreto? avrebbe potuto metterle a parte del suo delitto? In ogni modo, la principessa non avrebbe licenziata Bianca Montagnana, proprio quando il duca voleva dissolto il matrimonio del fratello, se fosse stata depositaria del suo segreto. Senza contare, che durante il processo l’imputata fu troppo bene trattata, avendo ella molta libertà e gran numero di servi. 6. « I modi tenuti con la Principessa dalla parte avversa, per conseguire il suo fine ». Il duca Ferdinando « ha più d’una volta mosse l’arme contro i sudditi et stati del Principe suo figliolo, in mille modi gli ha turbata et cercato di usurpare la giurisditione. Ha machinato più volte contro la vita di lei e de’ suoi figlioli, le ha fatte molte minaccie.... le ha fatte amplissime offerte, per sè, e per ì suoi.... e finalmente per potere o privarla di vita, o forzarla a confessare la falsa imputatione, ovvero a consentire alla dissoluttione del matrimonio, fece, che D. Vincenzo procurasse di con- (1) Doc. XIX. — IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 713 durla nel suo stato con brutto tradimento (1) che gli sarebbe riuscito se Dio Benedetto non l’avesse fatto scoprire... ». 7. « Come le sia stato corrisposto dalla Principessa ». Il contegno di donna Isabella, il suo modo di comportarsi in tutte le occasioni, rivela la sua completa innocenza. Chi abbia pronunciato questa semplice, ma serena e sicura arringa, non sappiamo : l’Intra ci dà un’altra informazione che non trova riscontro nell’ archivio Gonzaga; ci narra che donna Isabella stessa si difese mirabilmente d’innanzi ai giudici e constrinse i testimonî a sconfessarsi piangendo e a chiederle perdono. Certo, le notizie inviate quasi cotidianamente a Mantova dal Soardi in questo periodo sono tutt'altro che buone. Il papa per il primo fa osservare, come abbiamo già detto, che anche superate le difficoltà di fatto e di prova della causa, rimarranno sempre quelle di diritto; « .... tenendo opinione la S. S. et i SS. Cardinali della Congregatione, che anche fossero provate le malie (particolare ancora assai incerto per l'instabilità di costoro), non si potesse mai sciogliere il matrimonio n. E così abbiamo vista la difesa del Ripa impostarsi sulla questione filosofica e puramente giuridica della libertà di consenso, sorvolando sui fatti, ch’ egli presumeva indiscutibilmente veri e già provati. Dal 6 gennaio 1624 cominciano le tristi nuove, e definitive questa volta, che il Soardi trasmette da Roma: « .... Hieri sera al principiar della notte fu liberata di Castello D. Isabella, et prima d’andare a casa de’ Mattei, fu a visitar la Chiesa della Pace, et quivi fece cantare il Te Deum da quei Reverendi Padri pro gratiam actionis, et essendo seguita questa liberatione quasi all’improvviso, la corte tiene, che di novo possino essere stati repetiti li testimonij; et questi stati saldi nell’ultimo loro detto.... ». Ora, ci si preoccupa della riputazione della casa Gonzaga, delle voci che corrono, del giudizio più o meno severo dei terzi; a Roma tutti parlano della causa come (1) Si allude certamente al tentativo del novembre 1621, cui già abbiamo accenziato: tentativo fatto, mentre a Mantova procedevano gl’interrogatori del Puelli e della Montagnana. 714 GUIDO ERRANTE spedita, ma nessuna voce si alza ancora contro il duca, anzi «.... il sapere che il Puelli nel S. Ufficio di Roma dai Ministri del Pontefice abbia ratificati tutti li Processi fabricati in questo genere et l’aver S. A. inviati qua con tanta prontezza i testimoni) sodetti ha fatto et fa in questo teatro apparente argomento della sua limpidezza et D. Isabella stessa, parenti et amici suoi parlano di questo modo, levando a’ maligni l’addito del mormorare.... ». Il Soardi consiglia poi il duca a «.... dissimulare il seguito, et se non per sempre, almeno di presente, per non mostrar al mondo qualche occulta passione et correndo tuttavia voce, che D. Isabella scriva o abbia scritto a V. A. lettera di grande ossequio chiedendole perdono d’ogni disgusto dato, et bramando la sua gratia con supplica della protettione per sè, suoi figliuoli et sua Casa, molti stanno in credere, et particolarmente i grandi, che alle sue lagrime V. A. pieghi con condonarle ogni errore commesso ». Intanto donna Isabella è ben sorvegliata; si osserva tutto quello ch’ella fa: « .... poco gusto ha dato nel far cantare il Te Deum nella Chiesa della Pace all’uscir di Castello, essendo paruta vanità et troppa iattanza ». Molto sgradite son certo all’ animo de’ due fratelli queste solenni publiche grazie rese a Dio per la giustizia ottenuta contro di loro. Anche, scrive il Soardi: « ... Andando per Roma questa mattina ho incontrata D. Isabella in un carozzone di panno nero, nobilmente guarnito: aveva i cavalli con fiocchi, una matrona seco, la carroccia quasi chiusa, quattro paggi, sei staffieri et un’altra carroccia d’uomini da spada. Non m’avendo veduto, nè veduta io lei, non vi è passata altra creanza, che un ordinario saluto di cappello a quelli che la seguitavano » (1). Tra Ferdinando e il Vaticano, la corrispondenza dopo il processo è vivacissima: di pugno di S. A. è la seguente lettera a Urbano VIII in data del 27 gennaio 1624. * « Beatissimo Padre, « Vide Iddio inanzi al cospetto del quale sono che nulla devo a Lui nè alla giustitia nella causa di D. Isabella di San Martino; creda V. S. che non mentisco e giudichi, la supplico, della limpi- (1) Lettera del Soardi al duca; 27 gennaio 1624. IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 715 dezza mia nel processo di questo affare, la candidezza dell’animo mio nel maneggio di tal negotio. Io non mi sono affaticato per altro che per gloria di Dio et per zelo del mio servizio a scoprire la verità, la quale per qual occulto giuditio di S. D. M.tà rimanga ora così ecclisata, Egli lo sa, a cui nulla è nascosto. Subornatione alcuna in questa città non si è tentata, ma nè anco immaginata per far che i testimonij deponessero altro che il vero. Sinora non ha mai posseduto l’animo mio contro D. Isabella alcun desiderio di vendetta, poi che l’aver io potuto mille volte lavarmi le mani nel suo sangue et non l’aver già mai tentato è una chiara dimostratione che l’ira mia verso di lei non giungeva a qualità di peccato, se avessi avuto così poca coscienza di ordire una tela così iniqua, avrei avuto ancora tanto cuore di saper coprire colla morte de’ testimonij le mie lordure, ma la confidenza mia nella purità della mia coscienza mi ha fatto sperar in questa maniera; nè me ne pento, Beatissimo Padre, perchè meglio è patir giusto che trionfar colpevole, poi che il tutto ben può condur in trionfo il colpevole ma non già la propria conscienza, quale non si può acquistare per alcuna lusinga di avvenimento prospero. Giudicherà Dio ben tosto questa causa, et mostrerà quanto sieno diverse le vie umane dalle sue, « FeRpINANDO, da Mantova ». Ma il papa è stanco di simili sfrontatezze: e il Soardi ne avverte S. À., a proposito di una ulteriore lettera poco rispettosa del duca: « .... la lettera di lei in risposta del breve $crittogli, non gli ha dato quel gusto che si credeva, mostrandosi nella risposta per quanto mi ha detto S. B., V. A. alterata, et la quale risposta avendola comunicata in voce alli S."i Card, della Congregatione, vi furono di quelli che dissero, che questo Tribunale veniva male trattato senza causa, stando che sanno tutti, dicevano, di aver fatta buona giustitia, et rappresentando questi concetti al Papa in modo di doversi fare sentire, quando in altre corti fossero divulgate le doglianze di lei.... », Se il duca continuerà a scrivere o a divulgar voci contro il tribunale di Roma, Urbano VIII « non potrà se non far apparire al mondo quello che ha lasciato in fin qui per l’amore et rispetto che ha portato a V. A. et dicendomi S. S. queste parole 716 GUIDO ERRANTE quasi con lagrime, molto chiaramente dimostrava il dispiacere dell'animo suo » (1). Tuttavia la S. Sede accondiscese a molti desiderî della corte mantovana. Non volevano, a Mantova, che le conclusioni del processo uscissero in forma di sentenza, ma desideravano che si desse loro la forma di decreto: anche volevano che donna Isabella venisse dichiarata « non colpevole » invece che « innocente ». Il vescovo Soardi non tralasciava mai di avvertir Ferdinando; « ... la parte vorrebbe la declaratoria e la vorrebbe pingue, grassa et oppulenta, ma la Congregatione in fin qui non si risolve a cosa al. cuna, benchè per le mani abbia il caso da studiare, et per quanto da altro canto ho inteso, persiste il Papa ne’ primi termini, che la parte s’umilij et che s’acqueti, inclinando S. S. a tutto suo potere, che questa declaratione, dovendo uscire, esca asciutta, secca e senza pompa.... » (2). E in verità il breve che venne mandato dal pontefice alla regina di Francia, all’imperatrice e a S. A. suonava così: « Charissima in Christo filia nostra salutem (sic). Quam propensa voluntate gratificare cupiamus Maiestati tuae, pauci fere nos alluquuntur, qui non possint luculenter testari. Haerent Pontificiae menti infixa non modo Regis nominis decora, quibus Italiam Galliamque exornas, sed etiam humanitatis officia, quibus Regalem benevolentiam Nobis isthic commorantibus iampridem declarasti. Quare ubi Justitiae et Veritatis causam commendas, facile conijcere potest, quod insit precibus tuis pondus, cum ad Christianissimae Reginae nota Nos hortentur, quod Dei lex iubet et Pontificatus ratio exigit. Curavimus ergo, ut controvertia illa quamprimum dirimetur, quae Mantuanos Principes sollicitos habebat. Exploratum esse potest Maiestati tuae, quam nuper sententiam tulerit sacrum Romanae Inquisitionis tribunal, ubi veritatem non modo Judicum sapientia, sed ipsius etiam coeli lux patefacere videtur. Haesisset non levis in Gonzagico nomine macula, si in ulla nobilissimae domus parte tam impia scelera parta unquam fuissent. Probatum nuper non fuisse tam atrox crimen, omnibus gratum esse debet, quibus gentis illius gloria chara est. Quod vero ad Nos attinet, dabimus operam, ut dilectus filius Nobilis vir Mantuae Dux aman- (1) Lettera del Soardi al duca; 30 marzo 1624. (2) Lettera del Soardi al duca; 6 aprile 1624. —— IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 757 tiorem Pontificem desiderare non possit. Pontificiam enim voluntatem ei conciliant virtutes illae, quibus maiores triumphos auget, tum etiam affinitas et benevolentia Maiestatis tuae, cui summopere gratificari cupimus, et Apostolicam benedictionem amantissime impartimur ». E donna Isabella nel maggio del 1624 non ottenne una sentenza assolutoria, ma un decreto così concepito: — Sacra Congregatio Cardinalium Sancti Officij Inquisitionis decernit relaxari Isabellam principem Sancti Martini ex Arce Sancti Angelis ex eo quod illam non culpabilem. — (1). | Chiudono l’ultima fase del lungo dibattito alcune lettere dirette da Costanza Gonzaga, sorella d’Isabella, alla madre Vittoria di Capua e da costei alla figlia Isabella. Queste lettere furono intercettate dagli agenti del duca: e perciò si conservano tutt'ora a Mantova. Informava il 31 di gennaio Costanza Gonzaga la madre: « +... Mi consta che il Papa non ha voluto far castigare li testimonij per maggior smacco di chi li ha fatti dir il falso, et stia certa, che il Papa ha avuto a core la riputatione di mia sorella et credo che l’animo suo fosse di castigar anche il principale, ma ci veda molte dificultà.... » (2). Bellissima, per tenerezza di affetto e fierezza di sentimento, è la seguente lettera, diretta a Isabella da sua madre, nel febbraio del 1624. « Cara et amatissima figliola mia. O tardo o presto che mi gionghino le vostre lettere, sempre mi sono carissime, sì come m'è stata questa dell’ ultimo del passato, nè occorre far scusa di non (1) A Roma s'era intanto sparsa qualche voce contro il cardinal Ludovisi e si metteva in dubbio la sua. integrità: egli cercava di scusarsi presso lo stesso duca: « .... non devo tacere che vedendomi quelli di Bozzolo forse troppo ar- « dente nella giustitia della Causa hanno detto alla S. S. et a questi SS. Cardi- « nali della Congregatione che il signor Duca mi abbia donato certi terreni di e gran valuta confinanti allo stato loro per comprare con quelli la mia fede et « costituirmi procurator mercenario di quella causa. V.S. veda a che segno ar- « riva la malignità di questa gente ». Lettere del cardinal Ludovisi a un ministro del duca; 10 gennaio 1624. (2) Sembra che il duca Ferdinando volesse a ogni costo puniti i due testimoni, Bianca Montagnana e Federico Puelli; ma il papa gli fece osservare che, avendo perdonato loro donna Isabella, a maggior ragione doveva la corte di Mantova concedere il suo perdono. 718 GUIDO ERRANTE aver risposto prima alle mie, perchè averete avuto tanto da fare dopo che usciste di Castello, che ben ispesso non averete avuto, appena, il tempo da segnarvi. Or sia lodato Dio, che abbiate fatto conoscere la vostra innocenza in cospetto di tutto il mondo et liberata voi et noi da un travaglio sì grande, che se le cose fossero andate alla trasversa, certo che sarei morta di dolore: et essendo passate così felicemente, vi potete imaginare, ch’io non capisco in me stessa di consolatione, et me si accresce col sentire et vedere che tutto il mondo ne giubila, sino alli stessi Mantuani. Talchè l’obligo nostro si fa ogni dì maggiore verso la Maestà di Dio, di così segnalata gratia. S°' io ho fatto et fatte fare orationi per voi, ho fatto quel che doveva, nè per questo voglio, m’abbiate un obligo al mondo. M'è stato caro d’intendere, che foste a ringratiare S.S. della vostra liberatione, et supplicarla, che vi si desse la vostra sentenza assolutoria, in amplissima forma, conforme alla vostra innocenza, nè veggo l'ora, che venghi fuori, temendo sempre, che non sia per essere in quella amplezza che il dovere vorrebbe et noi desideriamo, avendomi scritto Mons. che quei signori della Congregatione tirano indietro a più potere; ma come il Papa stia saldo, la sarà a nostro modo. Gli altri due capi, che domandaste a S.S., cioè che siano castigati li vostri calumniatori et rifusa di tante spese et danno patiti, sono domande giustissime, et di raggione non vi si doverebbero negare; et il Papa lo deve molto ben conoscere, ma per non intaccare della sua riputatione, tengo che non ci si farà altro, pur staremo a vedere, et S.S. disse pur troppo il vero, che senza che nui lo dicessimo, il fatto era pur troppo noto al mondo. Piacesse pure a Dio, che la S.S. potesse trovare qualche forma d’accomodamento, però quanto a me non ci spero punto; com’ anco che sia per fare un bene al mondo alli nostri preti: et quando ve li lodò, et disse di volerli bene, dovevate forse raccomandarceli in buona forma. Quanto alli rispetti, che mi dite, che vi tengono l’animo sospeso a ritornare a casa, vi dico che mentre viverà il Duca di Mantova, non restarà mai di travagliare li vostri figlioli, et se vi sarete o no, bisognerà che si guardino, et quanto ai suditi, essendosi il Principe convenuto con loro, non possono dir altro, et per sicurezza della vostra persona tengo per fermo che in nessun luogo sarete più sicura, che in casa dei vostri figli, che v’amano et stimano tanto, che metteranno sempre la = IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 719 propria vita, non che ciò che hanno per vostro servitio; sì che, cara figliola, tale risolutione a me non potrà mai piacere, et il mondo crederebbe che li vostri figli non vi volessero più a casa: però pensateci bene, prima che stabilire tal pensiero, et se la borsa vostra starà salda alle spese di Roma, avendomi più di una volta detto, che avevate che fare a potere vivere a casa con le vostre entrate; però pregherò Dio che vi inspiri a quello che sarà per Il meglio.... Se mò vi sete invaghita di Roma il buon prò vi faccia, ma mi pare anco una bella cosa il stare a casa sua, a godere le sue creature. Madama fu quella che disse, se bene eravate uscita di Castello, che v’ era però stata data la casa per carcere con sicurtà et che il S. Duca suo era stato ingannato ed il negotio mal guidato, che perciò le vostre cose erano passate bene: anzi uno di questi dì mi fu detto per certissimo che S. A. aveva messo in chiaro, che voi eravate stata quella che avevate subburnati li testimonij a disdirsi, che se ciò fosse vero, metterebbe in campo qualche altra diavoleria, ma certo, che detti testimonij siano stati rilassati senza sorte alcuna di castigo fà maravigliare ognuno, et da questo cavano, che li sia stata fatta la promessa se si disdicevano. Or sia come si voglia lodato Dio, che l’è passata ben per noi. Il conte vostro fratello mostrò di sentire straordinaria allegrezza di questa vostra liberazione et ci ha rese infinite gratie a Dio Benedetto, con far dire molte messe et fatte molte elemosine, ma non c’è stato rimedio di fargliela capire, che scrivesse al Papa in ringratiamento, dicendo le stesse parole che ha scritto a voi. Talchè mi sono risoluta di scrivere io a S, S.tè con questo ordinario et mando la lettera a Monsignore, che ce la presenti. Se la S.S. mi terrà mò per troppo ardita, et si burlerà di me, patientia; credete pure, che l’allegrezze che fanno i vostri figli penetrano le viscere, al Duca di Mantova però suo danno. Iddio lo faccia santo et noi tutti et per fine caramente abbraccio la mia Bellina con il mio Don Carlo, che deve esser lui quello che vuole fermarsi in Roma, prego ad ambidue dal cielo centomilla benedittioni. Virginia vi fa umilissima riverenza. La vostra Mamma che vi ama più che se stessa, Vittoria di Capua Gonzaga ». Ma Ferdinando e Vincenzo non s’erano ancor rassegnati: ancora speravan di indurre donna Isabella allo scioglimento del matrimonio. E spargevan la voce di una promessa fatta dalla princi 720 GUIDO ERRANTE pessa allo sposo la prima notte di nozze. Il duca ne parlava allo Striggio in una lettera tutta di suo pugno, in data del 18 ottobre 1624. « Faccia pure Vincenzo il negotiato con D. Isabella, per vedere di persuaderla a cedere: ma io ci spero poco. Le si può dire che (se pur è vero, come ci giova di credere, avendocelo molte volte affermato il Principe nostro fratello) detta Donna Isabella proponga lei, mentre esibì al detto Principe la notte che giacque con lui, che infra certo tempo non avendo figli avrebbe trovato modo di dissolvere tal matrimonio; ma questa risposta avanti che si dia deve ben considerare il S. fratello come li dicesse D. Isabella et le parole sue formali.... Vogliamo però che preghiate in nome nostro S. E. che non ci affligga più con tal prattica, poi che ci pare di aver fatto assai finora, nè vorremmo altri maggiori disturbi.... ». Intanto, per amicarsi i Savoia, Ferdinando tentava di gettar le basi di un matrimonio tra il principe Vincenzo e sua nipote Maria, figlia di Francesco duca di Mantova e di Margherita di Savoia. A proposito di questo trattato, il pontefice si rallegrò con lo Striggio e si mostrò lieto per la pace d’Italia e per la prosperità della casa Gonzaga: mandò perfino a Ferdinando un breve, felicitandosi (1). Ma noncstanti le benevoli parole di questo breve, Urbano VIII era in realtà disgustato delle ormai troppo lunghe e ostinate macchinazioni. Di ciò, almeno, erasi persuaso Alessandro Striggio. « Le qualità delle lettere del Papa scritte a V. A. et alla Regina di Francia manifestamente insegnano, quanto si possa promettere dall’amor suo. Poichè o sono Amphibologiche, o scolpano Donna Isabella. Dall’ altra parte, mi pongono in sospetto, che il Papa non possa far di più; forse perchè la Verità del fatto et la giustitia così richiedono ». Era abbastanza significativa questa ultima frase sfuggita a un ministro mantovano, a uno degli uomini che più godevano la fiducia e l’affetto di Ferdinando. La principessa Isabella seguiva nel frattempo i paterni consigli del papa: se ne stesse tranquilla, senza inoltrare dichiarazioni o pubblicar manifesti; non acuisse ancor più l’ira e l’odio del duca. Di lei a Mantova giungevano tristi nuove: « Vive al pre- ‘sente con gran gelosia di sè, non si fidando di alcuno che di se stessa et di una sua Damigella, tenendo il proprio vino in una (1) Doc. XX. SS IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 721 Camera contigua alla sua, dove dorme, mentre prima lo teneva nella cantina del S. Asdrubale Mattei, et facendo pur fare nella sodetta Camera il suo mangiare per mano della sodetta sua Damigella. Ella non esce di casa, se non di raro, et accompagnata da buon numero di persone.... ». Ogni più lieve indizio, la riempiva di terrore. Raccontava per esempio lo Striggio al duca, come essendo ella un giorno in Santa Caterina, un modenese entrò in detta chiesa armato di terzaruolo e di pugnale: inginocchiatosi poco discosto da donna Isabella, essendo il terzaruolo lungo « che si calcava sopra la gamba sinistra, volle tirarselo un poco avanti, ma nontantosto fece atto di mettergli la mano, che subito i servitori di D. Isabella cominciarono a gridare ad alta voce ferma ferma traditore ». Il malcapitato ebbe un bel dichiarare d'essere un servo di S. S., d’essere innocente; lo arrestarono ugualmente e si sparse la voce che fosse venuto ad attentar alla vita di donna Isabella, inviato da Ferdinando. Venne poi invece riconosciuto e rilasciato: e la principessa rimase mortificatissima dell’ accaduto, che avea fatto gran chiasso per Roma. L’anno 1625 trascorse senza alcun altro notevole episodio: sembra che i Gonzaga si rassegnassero ormai al loro triste destino, poi che anche ogni speranza di prole da parte della duchessa Caterina era definitivamente perduta. Don Vincenzo, tuttavia, non volle assolutamente piegarsi a tornare con la moglie: anzi, la corte di Mantova non pensò ad altro che a far comporre una quantità di pareri, che dimostrassero l’assoluta innocenza de’ due fratelli ed escludessero l’accusa che da ogni parte levavasi contro di loro, di avere cioè subornati i testimonij; i quali poi, nonostante le minacce, avevan dovuto cedere alla forza della giustizia e della verità. Isabella, dal suo canto, ormai esasperata, cercava di dimostrare il contrario, in onta ai moniti di Urbano VIII. Così, un manifesto di lei affermava, che fin dal 1621 era stata la Bianca Montagnana subornata da un tal Cintio Pedretti, già cameriere del principe di Bozzolo, recatosi a Modena. I Gonzaga risposero allora che questa affermazione era assurda e non consona ai fatti La Montagnana era stata cercata dal Padre Inquisitore e presa con stratagemmi, « non volendo Ferdinando ricorrere al Duca di Modena: il Pedretti e altri tre testimonij confermavano i pianti d’essa donna, quando era stata fatta prigioniera e tradotta 722 GUIDO ERRANTE a Mantova ». Inoltre, ella s'era troppo accusata nelle sue deposizioni; e bastava considerare fuggevolmente le sue risposte agli interrogatorî, per escludere qualsiasi pur lontano sospetto di corruzione; avendo ella per molti giorni ostinatamente tutto negato. E non era forse un’ autoaccusa anche il rifiuto di D. Isabella a comparire a Mantova, dopo aver saputo della prigionia della Montagnana? Del resto, quest'ultima non ebbe concerti con il Puelli; e le loro deposizioni concordarono in linea generale: mentre d’altra parte il fatto di certe lievi divergenze nei loro interrogatori, confermava ancora la certezza che non vi fosse stata subornazione alcuna. Se poi si fosse voluto ordire un simile inganno, non sarebbe stata necessaria la complicità della Montagnana, chè a Mantova c’eran tante e tante donne uscite dal servizio della Principessa. Ricordando l'interrogatorio in Castello e tutto lo svolgimento del processo, non appariscono esatte le asserzioni dei due fratelli Gonzaga. Un altro documento è di grande importanza: del 1625, senza data nè firma, ma di carattere del Marliani, uno de’ segretarî ducali, e con molte correzioni di pugno del duca. E’ una dimostrazione assai ampia, contraria alle pretese subornazioni da parte di Ferdinando e diretta ad accertare invece la subornazione de’ medesimi a Roma da parte di donna Isabella. È densa di notizie gravissime: sulla cui veridicità o meno non sempre è possibile giudicare. Sostiene il Marliani, che la pretesa corruzione sarebbe dovuta avvenire o per opera diretta del duca, o per opera dei ministri dietro ordine ricevuto, o per opera dei ministri spontaneamente. E narra come, quando già erano stati a Mantova interrogati i testimoniî, furono intercettate alcune lettere di un certo Lorenzo Fabroni a donna Isabella, le quali « contenevano che egli le mandava certe scritture con le quali ella avrebbe avuto il suo intento et si esibiva di far cosa in danno di altra persona fin alla morte, (valendosi di parole di far venir maltempo ogni-tanti giorni, ora più or meno, et finalmente piovere quand’ella avesse voluto), che se bene non veniva specificata, si intendeva però chiaramente dall’altre circostanze che voleva dire del Signor Duca. Et per autentico di ciò, congiunte a delle lettere erano altre scritture superstitiose, cioè scongiuri di S. Daniele e di Asmodeo, tutt’ indirizzate a sforzar nuovamentè il Principe a più stretto nodo d’amore con lei ». Allora fu preso il Fabroni: e donna Isabella, interrogata a - = IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 723 Bozzolo da monsignor Monterenzio, confessò il suo fallo; se non che da questo momento ella cominciò a insinuar il sospetto che i suoi accusatori fossero stati corrotti, o con le minacce, o con le promesse. Ma da tale sospetto, sostiene il Marliani, il duca è intangibile: «.... se per questa via avesse voluto rendere colpevole D. Isabella, non aveva l’A. S. maniera di far formare un processo a suo modo per detto dei testimonii et per far che cadesse sopra di loro un’esecutione di vita, che sarebbe restata confirmata la processura tal quale l’avesse voluta? Ma attione così indegna fu sempre dall’animo suo lontana ». Nè i ministri potevano essere stati incaricati da Ferdinando della corruzione in discorso, perchè “ .... non sì poteva fare senza dargli macchia, et apportargli un titolo indegno della sua persona ». Nè i ministri spontaneamente avrebbero osato di ricorrere a un simile espediente « perchè troppo gran temerità, congiunta con imprudenza sarebbe stata la loro ». Se poi la subornazione fosse avvenuta con premî o con promesse di .premî, i testimonî « non si sarebbero mandati con rigore a Roma, et innanti a un tribunale, che ben si sapeva avrebbe cavato il netto », e non si sarebbero a Mantova maltrattati, come delinquenti. E nè pure con la violenza poteva detta subornazione dei testimonî esser avvenuta, perchè « sarebbe stata poco prudente la risolutione di mandarli a Roma per dover mettere in compromesso la- riputatione in modo tale, che la forza dei tormenti avesse con loro operato contrario effetto ». E il duca non avrebbe infine avuto modo, cento e cento volte, di farli scomparire? Sembrano abbastanza ingenue tutte codeste argomentazioni. Quali, adesso, le congetture, che la subornazione fosse invece stata fatta a Roma e da donna Isabella? « L’instanza di D. Isabella per avere a Roma i testimoni; l'essere ella rimasta a lungo libera, nonostante il titolo infame del delitto. Venutosi all'esame del Puelli, confirmò egli nei tormenti la quarta volta, quello che per tre volte in Mantuva aveva deposto essere la verità. Et questo è un nuovo testimonio di subornatione. In questo mentre non mancando i fautori di D. Isabella di tentar ogni via per esimerle da quella giustitia, che le soprastava, et intese le depositioni del Puelli, si rivoltarono agli artifici già preparati col mezzo de’ Religiosi Cappuccini et fecero havere una lettera al Papa, nella quale gli raccontavano come era stato maneg 724 GUIDO ERRANTE giato questo negotio, et S.S. diede ordine a quello che faceva la causa di stare bene attento oculato perchè aveva di buon luogo, che non si caminasse rettamente. Et la S.S. fece, che Mons. Cesarini mandò un suo prete a trattare col compagno del Commissario del S. Off. per vedere di trovar la verità dalla Bianca, et il compagno operò benissimo. Anzi che fu mandato dalla Bianca più volte a trattare come confessore, per intender il fatto. Questo tale era modenese et tra i fautori di D. I. fu nominato il già S. Card. d’Este. Ora fatta una relatione al Papa dal detto compagno del commissario et da Mons. Cesarini di quel modo che si dirà più oltre più precisamente, fece sapere alla Bianca che dovesse dirlo in Congregatione come seguì. Inteso poi ciò da S. B. senza dir parola ai Cardinali del S. Ufficio fece di notte condurre in Castel Sant'Angelo i testimonij, che fu li 25 decembre 1624. Et quando vi furono, ebbero comodità di ragionare insieme, et la Bianca persuadeva il Puello a disdirsi, come successe. Et ai 27 poi di Decembre D. I. fu liberata, la Bianca fu messa nella Casa Pia, et il Puello restò libero in Castello. « Il con. Scotto frescamente ai 3 d’Aprile prossimo passato, l’ha raccontato nel sopradetto modo aggiungendovi, che solamente tre persone sapevano come fosse caminato questo fatto, tra quali egli era uno. Con lettera delli 19 d’aprile di ben informata persona, si ebbe tale avviso, il quale conferma nel più essentiale quello che D. Costanza Gonzaga Mattei scrive di proprio pugno alla contessa di Novellara sua madre: — Le dico di certo, che li testimonij si sono disdetti et che dovemo essere tutti molto obbligati a D. Virginio Cesarini. Ora V. S. stia a sentire. Nelle carceri della Inquisitione, vi è uno di quelli guardiani ch’è amicissimo d’un servitore di D. Virginio. Questi andava spesso da costui et come si fa, si parla di quello che parla il volgo, et cominciarono a parlare della Bianca, et così li disse questo servitore a questo guardiano « ditele che stia allegramente, et che dica la verità ». Or costui ce lo disse et lei li rispose piangendo, che non poteva stare allegra, mentre stava lì rinserrata; et che la verità sempre l’aveva detta. Ora, dopo molte volte che passò questi ragionamenti con costui, questo servitore che sapeva che D. Virginio faceva per noi quanto poteva, li disse quanto era passato con quel guardiano e D. Virginio ce lo rimandò a che facesse sapere alla Bianca, che dicesse — IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 725 pur la verità, che lui li prometteva che il Papa le averia perdonato. Saputolo la Donna scrisse una polizza a D. Virginio, dicendole, che lei averia detto il vero, et così gli scrive, che quello che aveva detto era stata forzata, ma che più chiaro l’averia detto al confessore. Li fecero introdurre il Padre Testis, compagno del Commissario, et gli disse in confessione ogni cosa. Lui fu da D. Virginio, et gli disse che in confessione gli aveva scoperto ogni cosa. D. Virginio le scrisse una poliza alla Bianca, che era necessario che lei desse licenza al Confessore per dirlo al Papa. Lei gli rispose che l’averia fatto, ma che pregava bene il Papa a voler poi tener prottetione di lei. Et così venne il Confessore e contò ogni cosa al Papa et che stette venti giorni prigione, che le minacciarono con i pugnali, et che ci era il Duca, il Conte Striggi et un altro presente, et che li dissero, o che dicesse quanto lor volevano, o che saria morta con quelli pugnali, lei disse che non voleva mai dire quello, che non sapeva con molte altre cose. Finalmente si mise per disperata, che si voleva lasciar morir di fame et stette sei giorni senza mangiare. Finalmente acconsentì. Ora il Papa le fece dire che quello che aveva mandato a dire a lui, bisognava lo dicesse nell'esame che le dovevano fare, o vero in publica congregatione et così lei lo fece nell’ esame egregiamente, dicendo tutto quello che sapeva. Si mandò poi a raccomandare a D. Virginio, che il Papa volesse comandare, che quel capitano che le dava da mangiare, che era mantovano, non ce ne desse più, perchè temeva della vita. Et così l’altra sera li trasportarono tutti e due in Castello con dar le chiavi della prigione al figlio del Vice Castellano, in nome del Papa con ordine espresso, che stesse sempre assistente, quando le davano da mangiare. Lei poi ha mandato a dimandar perdono a mia sorella e D. Virginio anche in nome del Papa ha fatto far ufficio che avrà gusto, che D. I. le perdoni, così crede, che il Papa la farà mettere in qualche monastero fuori di Roma, acciò stia sicura del Duca. Il Puello non si sa di certo, che si sia disdetto, ma che abbia variato ancor lui, che ne dice? non è stato un miracolo? — ». A questo racconto, chi sa mai quanto attendibile, il Marliani fa seguire la citazione di una lettera della signora Magalotti Vaini Lucrezia, nella quale costei ringrazia la contessa di Novellara, diArch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. IV. 47 726 GUIDO ERRANTE cendo che nè pur con la vita sua o de’ suoi figli ella potrebbe ricompensare D, Isabella dei regali magnifici ricevuti. E Il difensore del duca comenta: « Ciò che possino importare le sodette parole di benefici ricevuti dette da una Vicecastellana, parente del Papa, tanto è facile il dirlo, quanto il crederlo ». Seguono altri brani di lettere, scritte da quei di Novellara durante il 1624 e il 1625, dove sì ladano e si rallegrano della premura che il papa dimostra verso di loro: tra i quali questo, di una lettera di donna Costanza, in data del 31 gennaio 1625, già citato: « Mi creda che il Papa non ha voluto castigare i testimonij, per maggiore smacco di chi li ha fatti dire il falso et stia certa che il Papa ha avuto a cuore la reputatione di mia sorella, et credo, che l'animo suo fosse di castigar anche il principale, ma ci veda delle difficoltà ». Continua il Marliani: « E che argomento si potrà fare dall’essersi saputo che l’Arcivescovo di Rodi sapeva dal notaio della causa tutto ciò che faceva? l’avviso è dato al Serenissimo di Mantova da persona confidente che |’ ha di bocca d’un prete dell’Arcivescovo, il quale non volle nominare i] notaio, scusandosi d’averlo sub sigillo confessionis. Si sa poi chiaramente, che dopo la loro liberatione i testimonij sono stati accarezzati, premiati e provveduti.... Onde si vede che non’essendo stati castigati come complici dell’abominevole delitto, tante volte confessato, sono stati premiati, almeno dopo essersi conosciuti falsi e spergiuri ». Ma tutti questi argomenti e queste recriminazioni non approdarono a nulla: il duca Ferdinando poi era malato, stanco dei fastidî subiti e non voleva più sentir parlare di donna Isabella, nè di processi, nè di riconciliazioni. Non così il principe Vincenzo: morto il 29 ottobre 1626 Ferdinando, egli ne diede l’ annuncio a Carlo Cattaneo, residente presso la S. Sede e subito, nella stessa lettera in cui dava la partecipazione funebre, lo avvertì che egli avrebbe dovuto adoperarsi per lo scioglimento del matrimonio e che non doveva assolutamene sopportare che a Isabella si dessero il titolo e gli onori di duchessa. Voleva Vincenzo a ogni costo riaprire la lite: e mandò a Roma il senatore Franco Faenza, con una lunga istruzione, dalla quale intendiamo che la lite si sarebbe basata essenzialmente sulla dimostrazione, che non essendo il parroco di S. Martino parroco di Isabella, il matrimonio da lui celebrato non poteva considerarsi IL PROCESSO) PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC, 727 per valido (1). « Sopra ogn' altra cosa avvertirete di dimostrar a S. S. come non fu mai nostro pensiero di camminar per la via già attentata al tempo del S. Duca Ferdinando nostro fratello con l'accusa di sortilegi, attesoche solo dal titolo, ancor che non giustificato, suol apportar disonore, et noi vorremmo il nostro bene senza l’altrui male... ». Il duca scriveva anche all'ambasciatore presso la corte di Francia, pregandolo di far risaltare agli occhi delle MM. loro i punti de’ quali avrebbe egli potuto valersi per la dissoluzione, ossia « la parentela che è in secondo e terzo grado tra noi e D. Isabella, l’incompetenza del Parroco, la sterilità, la publica utilità ». Sarà opportuno che l’ ambasciatore convinca anche il cardinale di Richelieu, essendo questi capace di dare grande aiuto. Ma donna Isabella intanto non perdeva tempo. Da un consulto di medici fu dichiarata atta alla procreazione : richiesta tuttavia « se pur era vero ch'ella si fosse lasciata intendere, che sarebbe venuta a Mantova, se S. A. l’avesse chiamata, rispose ch’ella diceva di no liberamente, et che l’avrebbe ben fatto nel principio, per l’opinione che aveva di essere amata da S. A., et che le cose passate fossero state senza consenso di lei, se non in quanto per aderire alla volontà del duca Ferdinando ». E in verità, Vincenzo non le risparmiava certo nessuna avviliente dichiarazione ; ella se ne stava sempre rinchiusa in casa, a evitare gl’ inconvenienti del suo falso stato, mentre il duca avvertiva il Cattaneo, che se D. Isabella fosse andata spacciandosi per sua moglie « fomentata da gente poco intentionata verso questa casa », egli avrebbe dovuto farsì intendere che chiunque trattandola come tale, avrebbe offeso il duca di Mantova. « Però state avvertito per osservar coloro che dessero in una tale stravaganza, con voler dar essi la sentenza prima, che sia incamminato il giuditio, che secondo la qualità dei personaggi, ci moveremo ». Ma a Roma gli animi eran maldisposti verso il Gonzaga; alcuni complici furono arrestati sotto l’accusa di volere attentar alla vita di donna Isabella ; e il duca cercò invano difendersi dall’ombra di un tal sospetto (2). Anche, s'era sparsa la voce che l’erede al trono di Mantova (1) Doc, XXI. (2) Doc. XXII. 728 GUIDO ERRANTE sarebbe stato don Giacinto, il figlio naturale del duca Ferdinando e di Camilla Faa: e si cercava di abbattere ogni fondamento giuridico della parte attrice. « Tuttavia nelle Anticamere et Camere di Cardinali et dello stesso Pontefice non si tratta d’altro, che di questo negotio, e stimano niente il fondamento del Parroco per la causa nella passata lettera di V. E. I. accennatami, perchè D. |. stasse sei mesi continovi in S. Martino; et aggiungono i più la licenza, ch’ella abbia et avesse del Parroco di Bozzolo; et questa è divulgata in modo, ch’ ognuno ne parla ». In quanto alle voci circa la successione di don Giacinto, il Faenza le ribattè decisamente; erano di pochissimi, nemici della casa Gonzaga. Ma il buon senso degli stessi ministri del duca non veniva del tutto meno; per i primi, gli agenti ducali scartavano certi tentativi assurdi. Avrebbe Vincenzo voluto che ci si fondasse nuovamente sul mancato consenso suo al matrimonio. Come fondarsi su ciò, replicava il Faenza, se in quell’atto il cardinale « prestò il consenso affermativo, se con l’atto positivo di rimandar qua il capello lo confermò, se con lettere proprie di S. A. chiamandola consorte maggiormente lo dichiarò? E se si dovesse stare al giuramento circa all’interno, o quanti e quante cangiarebbero vivande. Ma di più, mentre noi procuriamo d’instillare nella mente di ciascuno, che 5. A. non abbia intentione di macchiar la reputatione di detta Si. gnora, in tal maniera mostraressimo, che s’ internamente S. A. non aveva allora intentione di acconsentir al matrimonio, adonque fintamente per ingannarla, adonque sotto fintione di sacramento renderla disonorata. Aggiongiamo, che questo fondamento servirebbe per corroboratione alla contraria parte, mentre appresso tutti si sforzi imprimere, che siccome è andata ben fatta alli Duchi di Mantova precessori d’aver due mogli viventi, così sino allora avesse pensiero S. A. di pigliarne un’altra » (1). Intanto, con breve del 3 aprile 1627, Urbano VIII commise alla Rota la causa matrimoniale. Fioccaron subito le lettere del duca dirette a tutti gli auditori della Rota; poi che il Faenza aveva consigliato di accattivarseli, anche per mezzo di doni. « Il donare è necessario, così m°’ afferma il s. Dottor Persio caro servitore et amico della S. V. Ill.ma: anci questi ss. Auditori, come non prov- (1) Lettera del senatore Faenza ad Alessandro Striggio; 20 febbraio 1627. 0 — IL PROCES30 PER L’ANNULI.,AMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 729 visionati a bastanza conforme del stato e grado loro dalla Camera apostolica, apertamente li aggradiscono in supplemento delle loro spese e fattiche e non a conto di donativi, e presenti, per li quali però non commetterebbero una indegnjtà, ma in arbitrarijs d’ogni minima cosarella (non essendo riconosciuti) dubbitarebbero sempre e trovarebbero mille difficoltà in terminare » (1). Suppliche di Vincenzo giungevano anche al pontefice: egli lo pregava a voler condurre rapidamente la lite; come poi era stato chiesto dalla Rota l’invio dei testimoni a Roma, egli desiderava almeno la remissoria in qualche terzo luogo: altrimenti troppo a lungo si sarebbe protratta la causa. Donna Isabella nel frattempo - e precisamente il 27 di marzo - riunì a casa sua « la Congregatione delli suoi avvocati col procuratore in numero di sei ». I quali, considerate alcune lettere tra donna Isabella e Vincenzo, in cui questi la nominava « dolcissima moglie, con altre parole affettuosissime tra marito e moglie, sottoscrivendosi Consorte », e « considerate le spese avute dalla principessa nella passata lite e i danni sentiti per tutti i travagli trascorsi, e le sue entrate sul mantovano.... trattenutegli », le riconobbero il diritto di considerarsi moglie del duca, e di ottenere gli alimenti e le spese della lite, corrispondentemente allo stato di duchessa. Alle quali pretese si ribellò Vincenzo; a ciò sarebbero occorse infatti, rispose egli, due condizioni: « paupertas petentis et praesumptio boni iuris ». Donna Isabella non era povera e anche il secondo requisito le mancava: «... quia neque docet se esse in quasi possessione matrimoni), neque docet, quod matrimonium fuerit contractum coram proprio Parocho ». Gli agenti del duca eran divenuti ìn questo periodo pure superstiziosi; e non sapendo più in chi sperare, speravano in Dio. Il Faenza riferì fra le altre un consulto avuto con un tal. Padre Domenico de’ Carmelitani Scalzi, « che miracolosamente fuggì l’esercito del Palatino »; essendo stato a visitarlo, egli scriveva (2), « mi venne in pensiero di raccomandare all’orationi d’esso Padre, communemente tenuto per Santo, il Ser.mo nostro padrone e questa sua causa, et lui fu il primo a domandarmi come stava il s. Duca (1) Lettera del sen. Franco Faenza ad Alessandro Striggio; 13 marzo 1627. (2) Lettera del Faenza allo Striggio: 8 maggio 1627. 730 GUIDO ERRANTE Vincenzo, e che buone nuove avessi di S. A. e che lui portava la Ser.ma Casa Gonzaga scolpita nel petto, e mi promise di pregar Iddio particolarissimamente per S. A. e per il presente negotio, qual chiamò importantissimo et di grandissime conseguenze (1); e poi conforme al suo uso, cominciò a trattare cose spirituali, et a certo proposito le rinovai la preghiera per la salute di S. A. che nelle sue Orationi gli fosse a cuore; non mi diede risposta, e per un puoco restò sopra di sè (dicono sia solito molte volte a far si: mil effetto, quasi rapito in estasi) e poi con voce più alta di prima et con atto di resolutione disse: Scrivete al s. D. Vincenzo che sia divoto di Maria Vergine e faccia qualche dimostratione di questa sua imagine tanto miracolosa (cioè a quell’istessa, che nel sodetto conflitto aveva appesa al collo, la quale in questa Chiesa con molte gratie e miracoli giornalmente mosse stupore), che farà piacere alla Vergine, e grand’utile al suo negotio; e lo faccia e.lo faccia e scrivetegli così da parte mia ». E il Faenza continuava, scrivendo ancora che il frate, mostratagli una lampada donata dal duca Ferdinando, gliene aveva chieste altre due più piccole, che Vincenzo avrebbe dovuto inviare, affinchè egli potesse mettervi in mezzo quella grande del defunto duca! A quanto sembra, frate Domenico era conscio de’ suoi poteri quasi divini. « .... disse, che quando lui passò per Mantova e comunicò le Serenissime Altezze, tra quali era la Maestà dell’ Imperatrice, allora Principessa, predicesse a lei, che sarebbe stata Imperatrice, e che l'Imperatore addimandasse a lui di tre Principesse, quale si dovesse eleggere per moglie, egli rispondesse, quella di Mantova ». E molti, consapevoli della idea fissa di Vincenzo, ne profittarono per estorcergli quattrini; come una tal Costanza Vivaldina Arragona, la quale s'era offerta di dar alcune scritture dimostranti « che la sig. D. Isabella fosse stata goduta dal s. Duca Vincenzo il padre »; e aveva chiesto un pagamento di « almeno dodici ducatoni ». E fosse per la mala fede degli Ambasciatori, fosse perchè ancor questi ormai eran sotto l’incubo di quel desiderio, il duca (1) Questa lettera del Faenza è annotata da uno della corte, che sembra prestasse poca fede alla fama di santità del padre Domenico: le note in fatti suonano presso a poco tutte così: « piano con questi miracoli », € molti lo « contradicono », ecc., ecc. IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC, 731 continuò per molto tempo a sborsare somme favolose a ogni primo venuto, senza reticenze. Aveva infatti autorizzato il Faenza: « Allargate voi la mano alli donativi, come, dove et quando giudicherete bene il farlo, pendendo più tosto alla liberalità che alla strettezza ». Anche, Vincenzo promuoveva sospensioni, pene, traslochi per chiunque osasse difendere donna Isabella; il Generale de’ Gesuiti, per esempio, traslocò da Roma un tal padre Ferrante, che aveva preso le parti della principessa. Ma ogni tentativo fu vano: .il papa rimase inflessibile. Volle i testimoni a Roma, condannò Vincenzo a pagare alla moglie fortissime somme; e forse per non dare al duca di Mantova lo smacco di una terza sconfitta, cercò di andar per le lunghe, sospendendo ogni tanto la lite. Così i testimonî s’ impazientivano; e aumentavano i timori del Faenza sulla costanza loro. « V. E. I. non dubiti che i testimonij non siano benissimo trattati e datto a loro quel gusto maggiore, che sia possibile dal s. Cap. Margonello, e da me, tenendoli in speranza di presto ritorno, ma un giorno a lor par mille anni, e cominciano a torcersi, non vedendosi dar alcun principio; e non passa giorno, che non gli dia una ricercata e li faccia ripetere con destrezza la lettione.... » (1), Quando poi il Faenza supplicò il papa di una pronta spedizione, in premio dell’ invio de?’ testimonî a Roma, Urbano VIII gli rispose: « Non se ne impacciano, non se ne impacciano, lasciano la cura alla Ruota, l’abbiamo rimessa a lei, li Auditori sono tutti uomini da bene e d’integrità, se il s. Duca avrà ragione, gli sarà fatta ». « Disse queste parole, per dir così, in un fiato, presto presto, nel suo parlar fiorentino; e licenziò il messo ducale « con venticinque benedittioni una più presta dell'altra ». Evidentemente, il pontefice non voleva più su- (1) Lettera del Faenza allo Striggio; 7 giugno 1627. Altre lettere del Faenza ci illuminano sulla onesta sicurezza del duca e sui suoi mezzi leali per tentar la vittoria. 10 luglio 1627 « Il Padre non ha potuto persuadere Mons. Decano a ricevere la « Cassettina, qual si chiama e si professa partialissimo et obligatissimo di V. A. ». Nella stessa lettera, parlando di un amico del monsignore, cui era stato fatto un donativo in iscudi, il Faenza dice: « Ha saputo Mons. di questo donativo e « ne ha avuto consolatione, e gli ha detto solo, che bisogna fidarsi di puochi e « tener la lingua fra denti e che sarà tutto di V. A. ». 732 GUIDO ERRANTE bire pressioni, nè amava sentir più parlare di questa troppo lunga e intricata storia. I partigiani e gli agenti del duca molto si dolevano nel « veder un vil verme soprastare ad un leone ». E il Faenza sì preoccupava oltre modo di certe voci calunniose che andavansi spargendo per la città. « Continua la voce che di costà siano stati mandati uomicidiali qua per uccidere D. Isabella, non mi posso salvare a rispondere a tutti: o che maligne inventioni! Benefacite his, qui oderunt vos ». Il fatto sta, che tre dei prigioni sospetti, confessarono d’essere stati mandati dal signor marchese Federico Gonzaga generale delle forze di S. A.; furono impiccati, e solo per riguardo alla casa dei Gonzaga il papa volle che nella sentenza del processo non si facesse il nome del duca (I). Questo avvenimento precipitò la causa e tutta la rivolse contro Vincenzo; come subito aveva presentito il Faenza, che il 22 novembre confidava allo Striggio: « Quelli che sono neutrali tengono che il Ser.mo Padrone sia innocentissimo, ma non si può persuadere ad alcuno per fargli credere, che almeno da coteste parti non siano stati mandati da qualche personaggio o per desiderio della contentezza del Ser.mo Pa- (1) Oltre alla quasi certezza che questa volta i sicari fossero stati inviati dal duca, è grave il sospetto che può sorgere da una lettera misteriosa, diretta da Vincenzo al Bonatti, da Goito, il 1° ottobre 1627. « Illustrissimo ecc.... Con una lettera del Marliani delli 29 del passato ci « fate intendere, che con cento duzatoni di più si aggiusteranno tutte le partite « come sperate, et che sarebbe necessaria l’espressione della nostra mente per « pagar l’opera, quando fosse perfetta. Et con altra lettera a noi direttiva ci av- « visate, che già tutto resta accordato, et che oggi una parte anderà al suo viag- « gio. Se dobbiamo esprimere la nostra mente per il pagamento della fattura, è « di dovere, che sappiamo prima la pretensione del maestro. Se già resta accor- « dato et gli operai sieno partiti, non saremo loro ingrati. Vi mandiamo del « liquore, che desiderate. Stimiamo però bene, che se ne faccia l’esperienza, come « vi scriverà il Marliani, et riuscendo darete poi la norma di adoperarlo a chi « dovrà servirsene, Quanto al particolare del Conte Scotti, se dovessimo aspet- « tare la persona che sapete, andrebbe il negotio tanto in lungo, che forse ci « sarebbe domandato, et non potressimo negarlo. Onde stimiamo bene, che si « camini avanti, et si cavi giudicialmente quello che si può.... ». Riguardo al tentativo dei sicari di Roma, il duca giurava e spergiurava d'essere innocente; più volte egli aveva avuto offerte da servitori e da amici di donna Isabella « che si sarebbero prestati a ucciderla »; ed egli ne conservava tutt'ora le lettere. Ma s'era veduto che egli amava « piuttosto la via della giu- « stitia, che quella della forza ». Documento XLIV. IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 733 drone et in questo caso conchiudono esser stato malissimo governato il negotio, come che fosse in mettersi in evidentissimo pericolo dell’ultima rovina e precipitio della causa matrimoniale, o per proprio e particolare. interesse, acciò non si vedesse a punto mai più il fine di quella, che pare soprastare felice; e di ciò peggiormente discorrono; non si può tenere la lingua ad alcuno; buon’ è che Pasquino e Marforio adesso non parlano. N. S. mostra con buon senso di non credere consenso alcuno di S. A. in questo fatto, che non mi par puoco, nè voglio dubitare che non dica davero, avendo il medesimo detto, replicato e confirmato al s. Prencipe Savelli, ma nel resto mostrg d’aver a credere che costoro da coteste parti siano stati mandati ». | L’ultimo tentativo con cui Vincenzo aveva cercato d’infamare la moglie, andò pure fallito. Le speranze s’eran fondate su di un certo Giuseppe Romagnoni minor osservante, il quale affermava che D. I., per aver « commercio libero » con parecchi amanti, aveva, poco dopo la morte del marito, preso rimedî atti ad impedire la generazione; era quindi divenuta inabile al matrimonio, essendone la prole il precipuo fine. Ma l’accusa non si potè provare nel processo. Lunghissime anche questa volta le difese degli avvocati di Vincenzo; e altisonanti di belle frasi, dense di contorte construzioni giuridiche, sparse di sofismi. Una ne disse il Lotterio e un’altra il Ripa: alle quali brevissimamente rispose il padre Ferrante: « Questo si propone non come cosa della s. Principessa, ma come pensiero atto a trattare e conchiudersi con l’una parte e con l’altra, dal Padre Ferrante. « D. Isabella Gonzaga nel primo matrimonio sposata con d. Ferrante Gonzaga sig. dello Stato di S. Martino abitò ivi, e mentre visse il detto marito e doppo la morte di esso, come in abitatione dal marito lasciata tutrice, curatrice e amministratrice di tutti li figliuoli e del primogenito e del Stato; ricaduto doppo alcuni anni per morte d’un zio paterno Prencipe di Bozzolo il Stato di Bozzolo, lontano da S. Martino due miglia, al suo primogenito, - determinò per sodisfatione dei novelli Vassalli, che lo desideravano, e per miglior governo, essendo amministratrice, abitar l’inverno a Bozzolo e l’estate a S. Martino, tenendovi sempre casa a parte e fornita di tutto punto; e per ciò avendo nella detta guisa 734 GUIDO ERRANTE abitato nell’uno e nell’altro: stato venendo di giugno a S. Martino e partendo di novembre per Bozzolo alcuni anni, venne l’anno... conforme al solito in S. Martino, e trattandosi matrimonio tra d. D. Isabella e D. Vinc. Gonzaga, si conchiuse; e si fecero li sposalizij nel fine del mese d'agosto alla presenza dell’Arciprete.... paroco ordinario per molti e molti anni di S. Martino, con testimonij e servata la forma determinata dal Sacro Concilio ». Così, morendo, di trentadue anni appena, il 25 dicembre 1627 il duca Vincenzo, si chiude l’ultima fase di questo interminabile processo del Seicento: nè è possibile affermare che, malgrado gli inganni e le violenze, non trionfasse anche allora*una ferma e severa giustizia. — Qualche lettera del Faenza accenna dopo la morte di Vincenzo al processo interrotto; il Faenza è addoloratissimo « di non aver potuto vedere il fine di sì bella causa » (1). E per qualche tempo ancora si parla delle pretese di donna Isabella, come di voler essere chiamata duchessa di Mantova, di voler essere riconosciuta creditrice per fortissime somme, dal nuovo duca. Poi, più nulla. Gravi vicende attendono i paesi ch’eran stati teatro della nostra storia. Vincenzo II ha nel testamento dichiarato suo erede Carlo di Nevers (2) e al letto di morte ha voluto che questi s’unisse in matrimonio con la sua nipote, principessa Maria. E i Nevers scendono a prender possesso del ducato: onde poi la guerra che ha per epilogo il sacco di Mantova. Isabella s’ è frattanto ritirata a Bozzolo, nel monastero delle Vergini Agostiniane: nel 1630, nè pure il principato di Bozzolo resta immune dalla invasione; e i lanzichenecchi vi portan la terribile peste, di cui ha eternamente Alessandro Manzoni fermato il ricordo. Ed è in que. sto tempo e di questo male che muore la principessa di Bozzolo, Guino ERRANTE. —___— — _—_—T——-_——-———_—- (1) Doc. XXIV. (2) Coc. XXIII. -— IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 7135 I DOCUMENTI Il Duca Ferdinando a Monsignor Agnelli Soardi. Monsignor nostro carissimo. Spediamo questo Corriere in diligenza, acciocchè se sarà possibile arrivi inanzi il Marzi, et voi possiate far gli uffici che vi si incaricano, quali doverete eseguire con ogni prestezza et celerità, perchè siano fatti con quella efficacia, che si conviene. Subito adunque ricevuta questa, procurerete l’udienza avanti che l’abbia il Marzi et rappresentarete a S. S. come il Cardinale nostro fratello in San Martino ha contratto matrimonio con la Vedova Principessa di Bozolo Donna Isabella per verba di presenti in faccia della Chiesa inanti il Parocchiano, e più di due testimonii; e subito poi consummato. La Voce non è affatto publicata, ma la verità è tale, et se costì non hanno altri libri, che i nostri, dubitiamo che il matrimonio si possa rompere, il che li assicuriamo sarà di non poca ruina in questa Casa, ncn essendo noi giamai per soffrire di vederci Cognata tale avanti gli occhi, che con le sue astutie ha ridotto nostro fratello a ccsì inconveniente partito, ehe sappiamo sicuro lo costituirà favola del mondo e soggetto delle Gazette. Il Marzi quanto a noi ci ha mano, et però farà quanto potrà per sostener il fatto et forse, quando il caso fosse dubio, per acconciarsi le carte in mano, cercarà d’adoperare l’autorità di S. B. verso di noi, acciò ci rimoviamo dalla di già fatta risoluzione. Con quali consigli Donna Isabella abbia ciò tentato et quai fini ne abbia avuto, non lo possiamo indovinare, poi che quelli che hanno manco dell’ irragionevole sono troppo empii. Quando adunque si trovasse modo di dissolvere questo matrimonio, come pare che alcun Dottore tenga potersi fare, questa sarebbe la Triaca vera contro così pestifero veleno, del quale al sicuro ogni dì se ne vedranno effetti peggiori. Noi abbiamo in pegno la parola d’esso Cardinale che, potendosi rompere, desisterà dal contratto et così in questo caso riceveressimo dalla mano di S.S. il più segnalato’ favore che potesse già mai Romano Pontefice conferirsi in questa Casa, et sarebbe un legame, che obligarebbe noi perpetuamente alla divotione di questa S. Sede et ad ogni servizio della eccellentissima Casa di S. Bet.ne Dovrete adunque preoccupare l’animo di S.S., acciò, quando si possa distornare il fatto, ci aiuti con ufficii come le detterà 736 GUIDO ERRANTE più la sua somma prudenza, accioche questo gioviue non segni con così malo inchiostro il foglio della sua riputatione, et quando pur la cosa non abbi rimedio, procurarete che S. S. conosca il devoto nostro affetto verso codesta Santa Sede, et quanto noi abominiamo et detestiamo così abbominevole attione, et assicuratevi almanco che l’autorità di S, Bet.ne non s’impieghi in pro’ di chi l’ha sì fattamente demeritata; che per il resto che possa occorrere di nostro interesse spediremo persona espressa; et se per sorte il Marzi avesse avuta audienza all’arrivo di questo corriero, procurate di spiare e penetrare gli uffici che avra passato con S.S. et a che strada egli abbia incamminato il negotio, perchè possiamo meglio sapere l’intrinseco della volontà del Cardinale e di Donna Isabella et i fini, che hanno loro mosso, et per accorgersi se ci sarà mantenuto quanto esso Marzi et il Cardinale ci hanno promesso, farete studiare il Caso, et farete il possibile, con la dovuta segretezza, se pure vi è rimedio, e se la cosa si rendesse dubia, acciò si rompa il fatto et S.S. essorti e comandi al Cardinale a persistere nella professione, ch'egli tiene. Per ultimo perentorio, quando non possiamo fare altro, ottenete che non si admetta questa rinuncia del Cappello per sei ovvero otto mesi, perchè fra tanto si renderebbe il giovine più capace di ragione e questi amorosi furori si scemarebbero. Ma quando il negotio non abbi rimedio, et che il matrimonio sia valido nè si possa rompere, et per il contratto sia cessata la Dignità, racomanderete alla S. Bet.ne la riputatione di questa Casa, supplicandola a condonare alla intercessione nostra et alla Divotione che portiamo verso cotesta Santa Sede quella parte di penitentia, che tocca al fratello per lo sprezzo mostrato della sacra porpora, che potrebbe diminuire la riputatione di questa Casa. Non comunicarete questa nostra altrimenti al Marzi, anzi preoccupando l’audienza come vi abbiamo scritto, procurarete che la S. S. differisca l’ascoltarlo sin tanto che si abbia fatto bene studiare il caso da voi et da S. Bet.ne, et se pur si potesse sostenere la nullità, alla prima risposta parli in modo S.S. al Marzi che non abbia ardire di replicargli altro, perchè egli è pusillanime. Staremo attendendo con grandissimo desiderio alcun avviso del vostro negotiato et Dio vi prosperi felicemente. Di Porto, 28 agosto 1616. FERDINANDO. Il. Il Vescovo di Cremona al Duca Ferdinando. Serenissimo Signor mio Padrone mio colendissimo. Merita in qualche parte l’umile et diusta mia servitù a l'A. V. Ser.ma quella parte della sua gratia della quale ella si compiace di onorarmi, perciò che se le forze agguagliassero la grandezza dell'animo che tengo, ardirei di dire ch'io non cedo ad alcun servitore per osservante e riverente che tenghi lA. V. Et se nel particolare del matrimonio dell’ Eccellentissimo Signor IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 737 Principe Don Vincenzo suo fratello è stato presuposto a V. A. che io abbia dato licenza, che si faccia senza le requisite publicationi, me ne duole sino al più vivo dell’ anima per il dispiacere che mostra averne sentito l’A..V., ch’ in quello che tocca a me, come so di non aver commesso simile errore, così mi persuade la benignità et clemenza di lei, che restarà appagata dell’attione mia et non mi privarà della sua gratia. È vero che l’antivigilia di S. Bartolomeo venne da me il Priore della Chiesa parochiale di S. Martino, et mi dimandò licenza di fare un matrimonio ommesse le pubblicationi, ma avendo io fatte le diligenze che dovevo in cercare di sapere chi fossero le persone, egli non me le volle specificare, scusandosi d’aver notitia degl’interessati in confessione, et replicando io quello chè mi parve conveniente egli si slargò più nel particolare della donna, di cui parlò in maniera che mi fece dubitare che fosse la medesima signora di San Martino, ma dell’uomo parlò niente, et io che non potei neanche penetrare se fosse pari o inferiore o superiore della donna, lo lasciai andare senza dargli licenza di fare il matrimonio, del quale non sentii mai ragionare, sintanto ch’essendo io a Casalmaggiore alli quattro del corrente giorno di Domenica, intesi con meraviglia per via di Mantova quello che dicevano essersi celebrato tra il su detto signore et la signora di San Martino, et allora m’imaginai che fosse quello di cui m’aveva parlato il Priore di detta terra. Che se prima ne fossi potuto venire in cognitione, credami certo A. V. che per l’obbigo ch’io professo verso di lei, non averei perdonato a fatica, nè ad altra cosa che mi fosse parsa conveniente ch’ io facessi che subito non l’avessi essequità, acciò una cosa di tanta importanza si fosse fatta con intiera sodisfattione di V. A. et con totale reputatione della Ser.ma sua Casa. La suplico umilissimamente a credermi questa verità, et a conservarmi la sua buona et da me desideratissima gratia, quale io sempre in tutta l’occorrenza mi affaticherò di meritarè con l’opere, et fra tanto umilissimamente la riverisco, et le bacio le mani. Cremona, 17 sett. I6I0. : Umailissimo et devotissimo servitore Giovan Battista, Vescovo di Cremona. III. Il Duca Ferdinando a Monsignor Agnelli-Soardt. Monsignor nostro carissimo. Mentre si van mettendo all’ ordine le giustificationi autentiche del grado di parentela che passa tra la Casa di San Martino e la nostra, che dicemmo di mandarvi per assicurar S. S.tà dell’impedimento che rende nullo il matrimonio di nostro fratello con Donna Isabella, abbiamo giudicato bene di dar qualche lume alla 738 GUIDO ERRANTE - S.tà Sua del vincolo in che ci trovamo per l'informazione che già ne abbiamo e della cagione che adesso lo rende indispensabile e loro indegni della benignità della Santa Sede, acciò all’ istanze loro o de’ parenti, trovandosi costì il Conte Alfonso fratello di lei, non si venisse a condiscendere alla dispensa con doppio nostro disgusto, il che non vogliamo però credere della S.tà Sua informata già da noi dei gravi rispetti che ci movono, oltre il debito di coscienza a contradir a questo matrimonio. Direte dunque a S.S., che mossi noi da un mormorio universale che correva con qualche scandalo nella Città della suddetta parentela che così bene non ci constava, volessimo intender in che grado eran queste case e trovammo che il S. Ferante di S. Martino primo marito di D. Isabella era in secondo grado di consanguineità col Signor Duca nostro padre, perchè ebbe per madre la signora Emilia sorella naturale del S. Duca Guglielmo nostro avo e figlia del Duca Federico comun stipite di queste due discendenze o generationi, come vedrete meglio dalla genealogia descrittta distintamente nel congiunto foglio, sicchè, venendo donna Isabella ad aver il medesimo vincolo del marito, viene a restar in secondo e terzo grado con nostro fratello come era il predetto Ferrante, ed il caso viene ad esser indispensabile, per aver essi proceduto a far il matrimonio, non solo senza precedere le denonciationi o la licenza d’ometterle ovvero trascurandole, ma con manifesto sprezzo del Vescovo di Cremona, dopo avergliele negate come ne abbiamo attestazione per sua lettera di cui vi si manda copia, e come forse deve già constar alla S. S., nel qual caso è chiara la disposizione del Concilio di Trento sess. 24, cap. 5, ove dice..........., con la ragione che appresso segue, anzi che possiamo dire che oltre lo sprezzo vi sia stato manifesto dolo di D. Isabella, avendo mostrato con Monsignor di Diocesarea, quando ne l’ha avvertita del suddetto impedimento, d’averne già notizia, sì ben, per non esser disturbata nei suoi disegni, non ha forse voluto mettersi a rischio di domandar la dispensa. Quanto alla prova della parentela e del grado non vi è dubbio alcuno constando non solo per testimoni) vecchi di 70 et 80 anni, Cavalieri degni di fede, et altri che attestano d’averlo sentito dire al Cardinale Ercole et a don Ferrante zii di Emilia et fratelli del duca Federico suo padre et averla veduta trattar e tener come loro nepote, ma ne fa fede ancora il S. Fabio Gonzaga figlio d’Alessandro fratello della medesima Emilia di padre e madre, il quale dice di averlo sentito dire al Padre et ad altri servitori vecchi di casa, oltre la fama publica et universale in questa Città adminiculata con scritture et altre prove, senza che vi si possa dir cosa in contrario come si mostrerà in giudizio formale; il che essendo verissimo in fatto, resta indubitata la nullità del suddetto matrimonio. Ma perchè costì non si cadesse a prima facccia in un errore, che qui è caduto in qualche dottore, che per esser nostro fratello in 3 grado l’impedimento non osti per proceder la parentela da fornicatione del Duca Federico padre d’Emilia, come dice il Concilio alla detta sessione capitolo 4 con quelle parole...... sarete avvertito che il Concilio parla - sì IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 739 a punto chiaro dell’ affinità che propriamente è quella che nasce tra Puomo et i parenti della donna conosciuta o della donna con quelli dell’uomo, ma non della consanguineità la quale è tra i discendenti da un medesimo capo, ancorchè venissero da copula illecita di quel primo. Se bene essendo queste materie assai più trite costì che qua, non'crediamo che possa cader questo dubbio in alcuno. Con la sicurezza dunque ch’abbiamo del suddetto impedimento, parendoci tenuti per ogni rispetto ad illuminar nostro fratello dissimulando seco ogni disgusto e qualsivoglia altro interesse, l’abbiamo fatto venir qui per levarlo di peccato e con ogni dolcezza è stato da noi persuaso a mandar, com’ha fatto, mons. di Diocesarea a disingannar D. Isabella, la quale, se ben con gran sua mortificatione, ha sentito il caso di cui com’abbiam detto non si è mostrata nuova; si è però dichiarata di non volersi abandonare, ma che sia per tentar ogni strada per ottener la dispensa. A che volendo noi occorrere, ci siamo risoluti di spedirvi quest'altro Corriere con l’informazione suddetta, acciò supplichiate S. S.tà a non voler conceder cosa alcuna prima di sentirci, massime stanti il disprezzo mostrato et il dolo manifesto di lei, che la rende indegna dì ogni gratia, non negando a noi quella giustitia ch’ ella è solita a far ad ognuno; che ben presto le manderemo giustificate prove della nostra intentione, e già potrà dalla lettera di Monsignor di Cremona conoscer chiara la sua malitia; e perchè in questa causa così importante abbiamo sospitione gravissima di questo foro episcopale, non solo per esser il vescovo Cognato di Donna Isabella, ma per essersi fatto il matrimonio con partecipatione e consenso suo, il che con nostra gran maraviglia intendessimo non prima di ieri; però supplicarete ancora S. S.tà a voler commetter la causa a qualch’altro prelato e se con destrezza poteste insinuare che fosse Monsignor Sacrati, sarebbe di nostra intera soddistfazione, di cui sollecitarete quanto prima l’espeditione perchè, essendo ì testimoni) di età quasi decrepita, non succeda il morirsi prima di mettere in chiaro la verità suddetta, con perpetuo pregiuditio dell’anime degli interessati e della prole che nascesse. Alla vostra prudente destrezza et assiduità raccomandiamo questo negotio, sì che non si perda tempo, che tanto importa per quello che si ha da fare, e si fermi S.S. che non faccia alcuna promissione contraria al nostro intento. Et Dio vi guardi. Mantova, 21 settembre 1616. FERDINANDO. IV. Il Duca Ferdinando a Paolo V. Beatissimo Padre. Il difuso ragguaglio che io ho avuto dal Magni al suo ritorno, dei molti effetti di benignità che si è compiaciuta V. S.tà d’esercitare nel caso di mio fratello, m'ha fatto conoscere l’esser debito 740 GUIDO ERRANTE mio di renderne humilissime gratie alla S. V., stimando io l’interesse della commune riputatione causa mia propria; onde concorrerò sempre nella dimostratione d’ossequio et gratitudine, se non quanto ricercano così eminenti gratie, almeno quanto potrà venire dalla conditione mia. A questi Santi favori supplico V.S. ad aggiungerne un altro, come gli esponerà per mia parte Mons. Soardi, perchè non resti oscurato dalla lingua de' maligni il benefitio di lei et in me imperfetta quella consolatione che mi ha voluto porger la sua paterna mano. Ad esso Monsignore perciò mi riporto et alla S. V. bacio humilissimamente i Santi piedi. Mantova, I ottobre 1616. FERDINANDO. V. Monsignor Agnelli- Soardi al Duca Ferdinando. Ill, mo Signore, Padrone mio ecc. Per ritrovarsi il Papa a Frascati a diporto, et per essere il Corriere giunto tardi, per le continue pioggie, non son stato in tempo di andare da S. B.ne e presentarle le lettere di V, A. attinenti all’instanza del Decreto Concistoriale sopra la cessatione del Cardinalato del S. Prencipe, ma bene quanto prima procurerò buona occasione con la quale potrò esporre con ogni termine dovuto il desiderio di V. A., sì come anco di novo replicarli la instanza della deputatione del Giudice, o Commissario in questa causa; et in propos:to del sudetto Decreto averà già l’A. V. inteso con un’altra mia, quanto procurai sapere dal S. Cardinale Tosco, che per essere nel presente anno Camarlengo del Sacro Collegio, suole estendere li Decreti Concistoriali, e la risposta fu, che non v’era alteratione alcuna dalla forma già significata da N. Sig. al S. Magni alla presenza mia, che per correre quì ancora, la varietà delle voci sopra esso Decreto, come pure è penetrata all’ orecchio di lei, m’indusse a certificarmene col miglior modo ch’io potei, ma ora ne resterà più certa, mentre la S.S si compiaccia, non mancand’io di fargliene recente instanza, che se ne possi levare Decreto Autentico; e in quanto alla prova della parentela mi occorre dare parte a V. A. che oltre le persune scritte, che penetrai informate d’essa, ci è anco Messer Angelo Pedemonti, vecchio di 83 anni et a lei noto, ch’asserisce di avere conosciuta la S. Emilia, con la publica voce e fama, che fosse figliola del S. Duca Federigo, ma più distintamente me ne ha dato luce il padre Stanghillino, dicendomi che nel tempo, che viveva il S. Aloigi Gonzaga figliolo del S. Sigismondo, seppe molti particolari, come l'A. V. intenderà dall’immesso suo foglio. Il s. Card. Bonsi, trattando di questi interessi, e particolarmente del matrimonio, dice che quando V. A. abbia in mano da poterlo invalidare, non manchi a se stessa, adoperando tutti quelli mezzi possibili — IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 74I per venire al suo intento, anzi se bisognasse l’opera delle M. M.tà Christianissime, in caso, che N. S. caminasse lento per la publicatione del già fatto decreto in Concistoro, non ponno se non coadiuvare le preghiere, et il rispetto di quelle M. M.tà rincrescendo al S. Cardinale di non essere stato presente nel Concistoro, poi che per tutti gli rispetti, avrebbe almeno detto qualche cosa. Per Roma si discorre, che il Papa faccia studiare la causa, non tanto se il matrimonio sia invalido, quanto invalidandosi, quello che potrebbe succedere, e perciò dicono alcuni, che stia con animo perplesso dell’ evento di questo negotio. Intendo anche che il Conte Alfonso, faccia studiare a difesa della sorella, et in specie si ha relatione che un tale Giovanni Ghino, procuratore dei più principali, abbia scritto a favor suo, concludendo nella medesima informatione che o valido o invalido che sia il matrimonio, resti nondimeno il S. Prencipe privo del Cardinalato per una decisione Lucana di Lancilotto Vecchio, impressa ultimamente fra le decisioni del Farinaccio al numero 8 se bene da nestri Avvocati, si crede di poterli rispondere, persuadendo però essi che la gravità del negotio ricerchi buon numero d’altri Avvocati, e che fossero de’ più principali, e si facesse presto, sì per prevenirli, che non scrivessero contra, come per riputatione della causa et per maggior profitto nel sentire mottivi, et opinioni diverse, et in scritto, et in voce, nei congressi da farsi tra loro per sostenere Ja difesa, il che ho però voluto significare a V. A. per aspettare l’ordine da lei, sì come anco concorrono col s. Card. Bonsi di appoggiare le sue buone ragioni, al patrocinio dei potentati, i quali col mezo di lettere et ambasciatori loro, potessero preoccupare l’animo de’ Cardinali e farne gagliardo uffitio con N. S.re, il che però tuttavia sia rimesso all’arbitrio e prudenza . dell'A. V., alla quale faccio profondissimo inchino. Roma, 8 ottobre 1616. VINCENZO AGNELLI- SOARDI. VI. Carlo Castelli al Duca Ferdinando. Roma, 29 olt. 1616. RIPIENE . Gionsemi mercoledì alle 23 ore il Corriero spedito da V. A. e ritrovandosi in quel tempo il Papa a Mondragone, considerando che l'instanza, che dovevo fare per Lei era di cosa insolita da concedersi dalla sede Apostolica e di materia difficile da sostenersi in Giudicio, me ne andai subito dalli Avvocati di V. A. a discorrere del modo di portare il negotio e di facilitare la gratia, che si doveva domandare, come anco fui da Mons. Datario per la speditione: li quali tanto M. Datario, quanto gli Avvocati, concordando in un istesso parere, che non vi si trovasse essempio, che la Sede Apostolica abbia rescritto mai sopra la Arck, Stor. Lomb. Anno XLIII, Fasc. IV. 48 742 GUIDO ERRANTE materia di essaminare testimoni} vecchi o infermi, ovvero ad perpetuam rei memoriam, si prese nondimeno per espediente di formarne una commissione più giustificata che fosse possibile, tanto per la materia del Capitolo, quoniam frequenter ut lite non contestata, sopra dell’essaminare i testimonij vecchi et quanto alla supposita persona, et intervento dell’estraneo, contro la opinione del speculatore nel Titolo qui matrimonium accusare possent, che tiene non essere luogo alla denontia dell’estraneo, mentre vi siano li Parenti, se bene comunemente riprovata. Ma perchè non avevo io essatta instruttione del fatto, se quell’estraneo Fr. di Pace abbia veramente denontiato et accusato il Matrimonio incestuoso, è servata la forma del detto speculatore et altri, o pure sia per denontiarlo, essendosi posto in dubbio questa parte a Mons. Datario, che la Commissione (di che vi mando copia) non si potesse così bene . giustificare, dovendosi prima che si divenghi all’essame de’ testimoni) in questo proprio caso, che preceda l’Accusa o denontia, e che si citi la parte. Mi consigliò nondimeno ch’io andassi a Frascati dalla S.S. a supplicarnela, che forse S. B. vi troverebbe qualche rimedio; onde transferitomi ieri mattina al detto luogo et avuta Audienza immediatamente dopo gli Ambasciatori di Francia, e di Venetia (che loro ancora vi furono per Audienza straordinaria) e dato conto alla S. S _dell’essame princi- .-piato dalli testimonij, e del desiderio di V. A. per la facoltà di fare essaminare il resto; e che per essere il caso straordinario et insolito, convenendo straordinario et insolito rimedio, si ricorrerà umilmente dalla S. S. nel sacratissimo petto di quale essendo recondite le leggi et i Canoni, si supplicava di commettere al Vescovo di Cremona, come proprio giudice (ancor che non fosse solito) l’essame delli testimonij di Mantova; a che la S. S. mi rispose, che V. A. sì implicava in grandissime difficoltà nel fare essaminare essi testimonij, poi che non essendo formalmente essaminati, non solo non provaranno, ma le difficultaranno maggiormente il progresso della causa, quando che dopo introdotto il Giudicio, si dovranno ripetere, Io risposi, che credevo essere stata servata la forma del Canone, quoniam frequenter, che concede in specie facoltà di essaminare nelle cause Matrimoniali, anco-senza contestatiune di lite, e che essendo li testimonij vecchi assai conforme al fatto antico, et anco infermi, non pareva bene a V. A. di correre il pericolo, che se ne morissero, e che essendo il Vescovo di Cremona giudice compctente della Causa, come ordinario della Donna e del luogo dove fu contratto il Matrimonio, l’essame era legittimamente introdotto, anzi che gli avvocati di lei giudicavano, che il Giudicio principale si potesse introdurre parimenti avanti di quell’ordinario, conforme al Concilio di Trento, disponendo che la cognitione delle prime instanze debbano spettare alli ordinari) del luogo, quando che la S.S. non avesse senso in contrario. Replicò il Papa, che si come l’essame già fatto non vale niente, ne li testimoni) provano cosa alcuna, dovendosi citare la Parte, o che si constituisca in contumacia, il che non è stato fatto, così anco riuscirebbano — M. PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DFL MATRIMONIO, FCC. 743 di nessuno valore li altri, che restano da essaminarsi in Mantova, e che V. A. ricerca gratia, che le sarebbe poi pernitiosa, e che le potrebbe apportare, quando si verrà all’atto di essaminarli formalmente, le difficoltà accennate di sopra, soggiungendo di più, che per la sperienza che ne ha sì per la Theorica, come per la lunga pratica, avendo giudicato tanto tempo, può V. A. prestargliene fede. Anzi si meravigliò che si sia dato mano a questa forma di essaminare, mentre vi era pensiero d’introdurre il Giudicio principale; soggiunsi io, avere V. A. desiderato che la S.S. l’honorasse, sì come la supplico, di commettere sin da principio la causa a qualche Auditore di Rota, il quale andasse in persona ad essaminare e prendersi le necessarie informationi, ma che non avendo riportata sopra di ciò alcuna certa risolutione, dubitando della morte dei testimoni} ha creduto bene, sin tanto che da S, B. fosse deputato il Giudice, di valersi del rimedio delle leggi. Rispose N.S' esserle bene stata fatta instanza da Mons, Soardi della depntatione del Giudice, ma anco dettoli che PA. V. aveva altre scritture da mandarli a vedere; e per questo attendendo prima d'ogni cosa esse scritture, non s'è venuto all'atto di commettere la Causa, la quale è pronto sempre di commettere, mentre PA. V. si dichiari in quale Auditore confida, acciò vadino d'accordo nel Giudice da deputarsi, altrimenti non concordando tra di loro, lo deputarebbe la S. S. per otticio, coll’avere però sempre risguardo ad inclinare dove potrà per Giustitia al gusto di lei; e se bene si potrebbe conoscere dall’ordinario dì Cremona essa causa, non è però conveniente in questo caso, trattandosi di matrimonio tra Principi e di tante conseguenze; onde egli come superiore del Concilio, avocava a sè medesimo la facoltà di commetterne la cognitione alla Rota.... Mi domandò poi S. B. se io avevo inteso altro della prigionia del Conte Chieppio e del Marzi, soggiungendomi che il Conte Alfonso si mostra affatto lontano da ogni colpa, e da ogni partecipatione con loro, facendo grandissime essibitioni di sè, la quale pero non esplicò la S. S.... Risposi di non avere inteso altro di essi prigioni, nè di avere sopra la persona del Conte nè ordine nè notitia alcuna in questo successo, ma che in ogni caso o di essere partecipe o non partecipe, le conveniva di scansarsene e di negarlo et in questo proposito dirò a V. A. che mentre fui ieri a Frascati, intesi essere arrivato al Conte il giorno antecedente un suo servitore in diligenza, si dice sia il mastro di Casa suo nominato Ferdinando, che perciò se ne passasse subito il Conte all’udienza di N. S., e che il detto suo mastro di casa sì sia lasciato intendere, che it Matrimonio fosse in sicuro, che il s. Principe sarebbe tornato presto a godere la sua sposa, avendo anco di più relatione, che dopo l’arrivo di- costui, si stia in grande aliegria in Casa Mattci.... Della negotiatione fatta col Papa e della risposta avuta, concorrono questi avvocati nella medesima opinione di S.S. Che l’essame fatto sin qui delli testimoni), mentre non sia citata la Parte, e fatta la denontia, sia nullo et invalido, e che non provino (ancor che morissero) cosa alcuna; e che a V.A. 744 GUIDO ERRANTE si aggionghino perciò longhezze e difficoltà maggiori nel progreso della causa, dovendosi disputare facilmente del valore di esso essame; e di più si considera da Mons. Datario, che possa partorire anco un altro malo effetto, poi che essendosi scoperti quali siano li testimoni, sarà facile cosa al Conte di andare investigando le eccettioni, o col pretesto di inimicitia, o d'altro da opporli et impedirne la repetitione di essi... VII ll Duca Ferdinando al fratello Don Vincenzo. Signor nostro fratello. Ancorchè io creda che D. Ottavio averà data parte a V. E. del suo negotiato a Bozzolo et delle commissioni con le quali fu da me ultimamente spedito di quà gli ho con tutto ciò incaricato di communicarle di nuovo quanto passa, acciò tenendo ella tanta parte in questi affari, possa averci sopra quella consideratione che merita l’importanza loro, parendo a me, che quando si possa coi mezi proposti effettuare il mio pensiero, s'apra a lei et me larga strada et onorevole di uscire delle passate amarezze et delle future contingenze et in continovatione dell’esshibitione già fatta, mi contenterò che V.E. dia ordine, che le scritture ricuperate dalla Principessa di Stigliano che sono nell'Archivio, si communichino anche per copia semplice se sarà ricercata a chi sarà mandato dal Principe di Bozzolo per tale effetto, ma però nel Camerino adorato d’inanti all’Archivio senza che si portino altrove, et potrà V. E. valersi dell’opera del Conte Striggio presso l'Archivista, acciò tutto passi con la dovuta riserva; benchè intendesi a’ dì passati che il medesimo D. Ottavio abbia parlato di questo suo negotiato con diversi più incautamente di quello che conveniva. Et Dio vi guardi. Casale, 6 gennaio 1620. FERDINANDO. VIII. Istrustone del Duca Ferdinando per una ambasceria presso il Duca di Modena. 6 febbrato 1621. Mantova. FERDINANDO PER LA GRATIA DI Dio puca DI Mantova E DEL MoncFERRATO. Doppo aver presentata la vostra lettera confidentiale al S. Duca di Modena, primieramente lo ringratiarete di nuovo da parte nostra de!- l'avviso comunicatoci, intorno al trattato toccante la Persona del s. Pren-— IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 745 cipe Don Vincenzo nostro fratello, il quale favore si come ci è venuto dalla mera cortesia di S. A. senza nostra richiesta, così ci giova ancora sperare ch’ella vorrà perfettionarlo per deferir qualche cosa di più alle nostre affettuosissime preghiere. Dopo questo complimento direte che il premor straordinario che abbiamo in questo negotio per trattarsi in esso della vita del S. nostro fratello, cara a Noi al pari della propria, ci ha fatti risolvere di spedir persona espressa, per rappresentare i concetti dell'animo nostro con la viva voce più efficacemente di quello, che si sarebbe potuto fare con lettere. Et se per avventura le repliche nostre alla risposta del s. Duca fossero portate da maggior ardore di quello, che fosse per seguire in altra occasione, confidiamo che questa nostra non ordinaria sollecitudine, cagionata da fraterna benevolenza, troverà luogo non solo di scusa, ma etiandio di approvatione et di lode presso la bontà di Sua Altezza, a cui perciò soggiugnerete che s’habbiamo desiderato d’aver qui quei prigioni di Reggio, ciò non è stato, per far fabricàar processo formale in questo fatto, desiderando noi piuttosto per rispetto etiandio di reputatione, come toccammo nella nostra lettera di risposta al S. Duca, che resti sepolto nel silentio e nell’oblivione, et non che vada per le bocche degli uomini et le carte de’ processi, ch’in fine non si possono lungamente tener secreti, ma solo fu nostro pensiero d’averli qui, per poter maggiormente sincerarci dentro di noi della verità o della bugia dei loro detti, che questo solo et niente più pretendiamo, oltre certa onorevolezza del negotio, in testimonio di che ci essibiamo prontissimi di restituir i prigioni subito, che si sarà fatta la sopra detta diligenza; il che stando, cessano tutti i rispetti accennati nella lettera del Sig. Duca, che ci hanno ritardato sin’ ora il compimento del suo favore, così per conto di giuditi) incerti del Mondo, come per la motivata partialità di Giustitia, non si avendo da trattare nè di far causa, nè di formar giuditio, dove abbiano luogo le parti. Doverà insieme cessare ogn’ altr’ ombra negli interessati con la restitutione dei sopradetti Prigioni, aggiunta l’assistenza qui di qualcheduno dei ministri di S. A., ricercata da Noi, non perchè stimiamo ch'ella abbia bisogno d’altra chiarezza della nostra nettezza et ingenuità, ma per sodisfar interamente a chiunque in questo particolare potesse aver interesse. Nè vaglia il dire, che per essere i Prigionieri la maggior parte sudditi del Duca, sarebbe il darli attione insolita et conseguentemente sospettosa, perchè dove si tratta della vita d'un Prencipe, è solita cosa dar nell’ insolito, et certo in caso simile Noi per servir al S. Duca di Modona, nel rimettergli dei nostri sudditi, non ci metteremmo nessuna difficoltà, oltre che trattandosi adesso di prestito et non di assoluta rimessa, questo si suol usare etiandîo in caso di minor consideratione. Ben è vero che ricevendo Noi tal cortesia, sì come la stimeremo singolarmente, così ne vorremo avere obligatione straordinaria. Quanto a quel che ci scrive S. A., che nè di Noi nè d’alcun Prencipe della Casa nostra, non può nascere il dubbio in lei, nè in alcun altro, che potesse 746 GUIDO ERRANTE la trama venir di qua, risponderete che di ciò siamo più che sicuri, ma che quel tocco è stato fatto da Noi, perchè nella copia della lettera del Gatti da S. A. inviataci, se ne fa mentione. Doverete pertanto voi persistere con ogni più efficace et discreta maniera, nel pregar il Signor a favorirci, di prestarci per poco tempo i sopra detti Prigioni, già che non si possono avere liberamente, per ritrarre da S. A. quella risolutione che dall’ amorevolezza sua misurata dalla nostra verso di lui, et de suoi interessi ci promettiamo. Ma quando infine vedeste disperata la pratica, con la totale esclusiva della domanda, farete instanza per avere almeno il Parma, ch'è nostro suddito, tenendo per certo, ch’in questo non trovarete alcuna resistenza. Finalmente vi lasciarete intendere, come da Voi con qualcheduno dei Ministri, quando abbiate da partir senza ottenere cosa nessuna, che Noi non saremo per mandar colà dei nostri, per non cooperare nelia "giustificatione del Conte Alfonso di Novellara, già che si può credere che tutta questa mossa sia fatta per giustificar lui, et non per obligar Noi, tanto più che come abbiamo detto, non intendiamo che si faccia processo di cosa, di cui più tosto abbiamo da desiderare che non se ne parli più, per le cagioni dette di sopra. IX. Relazione al Duca Ferdinando di una ambasceria presso Gregorio AV. Roma, Marso 1621. A’ 19 di marzo fui ai piedi di S. S. e presentai le tre lettere del serenissimo S. Duca come della Reina Christianissima accompagnandole con quelle parole che mi furono più opportune. È sopra quelle del S. Duca dissi in sostanza che duc fini aveva avuto la Signora D. Isabella procurando che nella commissione s’aggiungesser le clausole delle spese e degli alimenti. L'uno d’allungar la speditione che veniva accelerata' dall’altre clausole, del che aveva dato segno assai chiaro con la domanda esorbitante de’ 12000 scudi, l’altro di porre in mal concetto S. A. presso S.S. Ch’al primo per quanto stava in me avevo rimediato subito col rimetter liberamente a Mons. Aviro l’assegnar per questi rispetti quel che li fosse parso conveniente, pur che si camminasse subito alla conclusion del punto principale: perchè se bene, come disse ad esso Mons. il S. Duca, per ragioni evidenti non dovea contribuir cosa alcuna; nondimeno l’importanza del negotio e la necessità, ch’ ha V. A. di saper quanto prima in che stato si ritruovi, devono prevalere in questa occorrenza a tutti gli altri interessi. Ma quanto al secondo capo il S. Duca zeloso, di viver nel buon concetto e nella gratia di S.S., le scriveva le lettere che presentavo, supplicandola non voler creder n IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 747 tanto alla S. D. Isabella che non credesse più alla evidenza del fatto. vedendosi massime essa Sa attaccarsi a termini sempre più vantaggiosi che veri: come quando si dolse di non trovare avvocati mentre ne avea più che non voleva, é noi ci dichiariamo pronti a rinuntiarle anche i nostri. Mi rispose N. S. ch’appunto il dì precedente, la S. D. Isabella era stata a parlarli, e ch'egli le aveva detto che gli rincresce in estremo di non essere assolutamente prove di discior questo matrimonio, perchè stimerebbe sciogliendolo far cosa molto proficua ad essa Signora. E però desiderava sommamente che si rappresentasse modo di poter giustamente disfarlo. Mi soggiunse che da lei era stato ricercato anche d'altre cose, che non avea voluto farne pur una (le quali però nè egli m’espresse, nè io fin'ora ho potuto penetrare), e mi concluse che quanto agli Avvocati ella non potea dolersi, perchè egli le aveva dato i suoi proprij e de’ migliori della corte. Io ripigliai che l’occasion da lei presa di lamentarsi fu perchè un solo avvocato fra quanti ella ricercò, disse che volea prima di prometterle, parlare al S. Cavaliere Ceoli. Mi replicò subito N. S.re che di questo avvocato appunto la S.a D. Isabella si doleva, e mostrava viver con grand’ombra anche d’esso Cav. Ceoli, e che però S. San.tà l'aveva assicurata e le avea detto c'havrebbe fatto che ’1 S. Cav. Ceoli non si sarebbe più inferito in questo negotio. Circa il P. Ferrante, io dissi a S. Beatitudine che se bene era necessarissimo quanto S. A. scriveva, non di meno al presente il P. Ferrante cammina meco con qualche concerto e si va adoprando con ottima intentione. Supplicai finalmente S. S. d’aiutare la presta speditione di questa causa, e premendo quanto potei sopra questo punto che da S. S. non si desidera altro favore che di questa speditione, per li gravi e molti rispetti tante volte replicati, e ponderati, mi licentiai: riportandone promesse amplissime e vivi segni d’amore verso S. A. X. Il Duca Ferdinando al Morbioli. Signor nostro ecc. Già che dall’ ultima vostra degli 8 di questo, vediamo che il negotio del matrimonio va bene, et che i principali interessati ci concorrono con quella buona dispositione che avisate, ci contentiamo che si vada inanti alla domanda dei Delegati et convenendo in tutto et per tutto ‘col s. Card. Farnese, approviamo la nomina pei S. S. Card. Sacrati, S. Susanna e Crescentio, da’ quali ci pro 748 GUIDO ERRANTE metiamo ogni favorevole arbitrio. Per quello poi che tocca al dar principio alla Causa, aspettiamo di sapere da Fiorenza presso la buona intentione che ne abbiamo più sicuro concerto circa il matrimonio, perchè senza questo ci converrebbe di pensar meglio a dar principio al giuditio nel quale si trattarà di tanto nostro interesse et reputatione, et in questo si potrà forse anche sapere qualche frutto degli uffici da farsi con D. Isabella poi che il s. Cardinale Farnese s’è pigliato a carico di tentar il guado col mezo del fratello et del Card. Lodovisio, ma di questo lasciate pure a lui il pensiero che oltre l’essere instrumento più alto, ci darà argomento dall’ impiegarsi in ciò che nel trattato del matrimonio si camini da dovero. Saranno all’ordine le procure et l’altre lettere per la settimana prossima, et si mandaranno sì come vederemo ben assicurarsi il negotio. Intanto caminate di concerto con l’ambasciatore di Fiorenza, che da lui si possono maneggiare questi nostri interessi con più nostra reputatione, mentre le cose ancora stanno in punto di potere et non potere riuscire. Quello che ci conferma le speranze è ciò che ci viene scritto da Fiorenza in conformità delle nostre lettere, se bene quanto alla causa pare che Sacrati con l’ambasciatore di Fiorenza, abbia fatto le speranze maggiori ed data la parola più sicura. Ma in questo sarà sempre miglior consiglio stimar il pericolo per caminare con più cautela et non arrischiare, in cose massime nelle quali tanto si tratta di reputatione. Averete con questa la copia di alcune scritture che settimane sono si ebbero da Novellara col mezo di D. Ottavio, che contengono i fondamenti principali della parte, a’ quali crediamo non mancheranno risposte et da Voi in particolare che siete informatissimo d’ogni cosa. Attenderemo dunque che ve ne valliate con ogni prudenza et circonspettione et che con la risposta di questa vi sarà possibile ci diciate il senso vostro, mentre da Noi si procurerà di andar cercando circa il fatto, come evacuare i fondamenti per nostro parere poco fondati che sj adducono dalla parte. Et Dio intanto vi guardi. Mantova, 13 maggio 1621. FERDINANDO, XI. Il Duca Ferdinando al Morbioli. Signor nostro ecc. Non troviamo quel fondamento che asserisce il Possevino delli sponsali che ci scrivete, perchè i nominati et più intimi servitori del s. Duca Francesco nostro fratello anzi attestano il contrario, dicendo che ben passarono certi amori et forse certe speranze da parte di D. Isabella, ma che mai vi fu promessa di matrimonio tra di loro da cui anch'esso Duca Francesco fosse lontanissimo, = IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. ‘749 cosa che ci si rende assai credibile sì per l’altezza de’ suoi spiriti, come perchè egli contrasse poi altro matrimonio senza che fosse pur parlato mai dell’ impedimento di questi sponsali, onde potrete vedervi di nuovo col Possevino et intendere meglio da lui come egli pensi che si possa provar il fatto, giacchè quando anche si provasse il solo detto del Duca Francesco per molti testimonij, ad ogni modo, come ben lo sapete, non concluderebbe la nostra intentione, tanto più che se li sponsali furono clandestini, non risulterebbe forse la terminatione del Concilio nel capitolo da voi allegato che quoquomodo unita sint, nullum pariant iu-, stitiae publicae honestatis impedimentum. Aspettiamo il vostro giudicio sopra le scritture mandateci di Bozzolo, et nel resto non avisando voi cosa dì più, ci riportiamo al già scritto con altre nostre, pregando Dio che vi guardi. Mantova, 28 maggio 1621. FERDINANDO. XII. ll Duca Ferdinando al Morbioli. Signor nostro ecc. In risposta alle vostre lettere delli 29 del passato non ci occorre dirvi altro, già che da quella della settimana passata averete veduto come non occorra far altro fondamento sopra la nova proposta nullità di cui non si trova in fatto nessuna sicura prova. Et perchè sempre più persistiamo in non dar principio alla causa senza sapere quale deve essere l’essito di essa, vogliamo che anche nella dimanda dei Delegati se all’ arrivo di questi non sarà seguita, si vada temporeggiando, con attendersi quello che di Toscana ci verrà avvisato, in soggetto del matrimonio maneggiato da quelle Altezze principalmente. Fra pochi dì siamo per inviar costà l’ambasciatore destinato a baciar per Noi li piedi a S. S. et col suo mezo ci passa per l’animo di tentare certi novi uffici che senza rischio di riputatione ci pongano o la causa in sicuro o ci persuadano di appigliarci ad altra risolutione et come voi ancora saprete a suo tempo, a cui faremo dar parte di tutto. In questo mentre abbiamo incaricato al Co. Chieppio di mettere insieme gl’Instrumenti et fedi che ricercate, et averemo gusto dì veder .il vostro discorso sopra le scritture che vi mandassimo, acciò tutto ci serva a più matura deliberatione. Et Dio vi guardi. Mantova, 26 giugno 1621. FERDINANDO. 750 GUIDO ERRANTE XIII. Il Duca Ferdinando all’Aragona. Aragona nostro carissimo, Si presenta occasione al s. Cardinale Lodovisio d’obligar Noi et questa Casa alla persona et Casa sua in un *«negotio che ci deve ragionevolmente premere, trattandosi dclla vita et salute del s. D. Vincenzo nostro fratello et forse nostra ancora. Abbiamo scoperto ch’è stata fatta una formale stregheria centra S.E. con abuso di sacramenti et altri sacrilegi) che sogliono accompagnare simili attioni, et già si trova nostro prigione cht consapevole di tanto eccesso l’ha confessato circonstantiato da tanti inditi} che ben può tenersi la sua confessione per vera. Noi però in caso tale abbiamo fatta risolutione per ogni buon rispetto di rimettere la cognitione di tal misfatto a questo Padre Inquisitore, ancor ch’essendo di misto foro per la preventione fattane dai nostri Giudici a loro di ragione possa ancora appartenere. Ma perchè potrebbe essere che nel tirar innanzi la procese sura vengano nominati di quelli che non sono sotto la Giurisdittione del sodetto Inquisitore, onde in négotio di tanta conseguenza caminane dosi per la via ordinaria, si perderebbe del tempo assai, desiderosi noi di vederne quanto prima il fine, v’incarichiamo a far ricorso a S. S. supplicandola in nome nostro restar servita di delegare con la suprema sua autorità questa causa con tutti i suoi annessi connessi e dipendenti al medesimo Padre Inquisitore di Mantova, che nell’ esercitare il suo ufficio potrà valersi del braccio nostro che ad ogni sua richiesta gli faremo assistere per compimento di giustitia, et grande obligo serberemo alla Beatitudine Sua et al s. Cardinale Ludovisio, se mediante la loro giusta protettione metteremo in chiaro così enorme delitto e porremo in sicuro maggiormente per l’avvenire la salute del fratello che amiamo al pari della nostra. Le qui congiunte per N. S. et per il sodetto S. Cardinale sono in nostra credenza, onde potrete opportunamente valervene, dichiarandovi che troveranno in Noi la dovuta gratitudine delle gratie et favori che largamente ci promettiamo dalla loro mano in questo particolare per il quale si fa spedire a posta una staffetta con desiderar di riportarne quanto prima risposta. Et il Signore Dio vi conservi. Mantova, ottobre 1621. FERDINANDO. - IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 75% XIV. Annibale Chieppio al Duca Ferdinando. Illustrissimo ecc. .... Dopo partita V. A. di qua, non s'è atteso ad altro negotio più principale che a riordinare e perfettionare il processo che ora se le manda, rilevato in autentica forma sino a quel segno a cui s’è potuto tirare. Si è formata primieramente l’espositione di S. E. che piacerà a V. A. di vedere, sì come l’hanno anche veduta et approvata questi Signori giudici et si sono fatti precedere tre esamini del Bonfanini, Becaguti et Fiorini, che pare servino grandemente a concludere che la malia abbia veramente operato, per quello che s’è cavato da segni estrinseci, ad intenti osceni, oltre quello che la qualità del negotio stesso per sè così strabocchevolmente dimostra. Si sono osservate diverse contraditioni fra il Puelli et la donna circa il luogo et tempo et se bene non mutano la verità, ad ogni modo avrebbero dato qualche fastidio et s'è procurato di conciliarli, insieme con qualche al. teratione dello scritto et meglio con un novo constituto del Puelli, che si dichiara meglio in alcuni particolari. Io osservai ancora che essendo precedute tutte le diligenze con la donna che sa V. A. estragiudicialmente et non leggendosene alcuna in processo, non pareva così verisimile una quasi spontanea confessione, di chi con tanto artificio aveva prima procurato di negare ogni cosa: onde si è cercato di aiutare quanto s'è potuto questo punto ancora, se bene non s'è ad ogni modo fatto sin qui tutto quello che avrei desiderato, che si anderà però facendo, ma non si possono, come V. A. medesima l’ha provato, superare certe lunghezze. Non sappiamo se il s. Bremio lasciasse copia a Fiorenza di quei primi constituti del Puelli; ma per quando fosse seguito, potendo essere per li sodetti rispetti che variino in qualche parte dalla copia che adesso si manda, s'è preso partito da Madama di scrivere al Cav. Ceoli, che ritrovandosi avere a Fiorenza così fatte scritture, le rinvii subito ben sigillate a V. A. a Roma, a ciò occorrendole se ne possa valere, nel qual caso si averanno da supprimere in ogni modo. È stato insinuato a S. E. dal Conte Pendasio che non si permetta mai che questi prigioni si conducano di qua et m’ha incaricato di avvertirne V. A. Le è anche stato detto, che se la causa fosse solo stata cominciata da questo tribunale del Santo Ufficio, il Papa non la levarebbe may, et è senso, questo, di Mons. Vescovo; averebbe perciò voluto che il Padre Inquisitore avesse incominciato a fare qualche cosa prima. Io non l'ho acconsentito, com’atto irrevocabile, senza il comando di V. A, che così piacendole può darne l’ordine di costà con tanta diligenza, che in ogni modo resterà luogo a così fatta preventione; nè in questo punto, così . 752 GUIDO ERRANTE d'improvviso, saprei darle più fondato parere, parendomi da un canto che il farlo non sia male, et che il non averlo fatto non possa ancora esser tanto di pregiudicio.... Mantova, 3 dicembre 1621. ANNIBALE CHIEPPIO. XV. Alessandro Striggio al Duca Ferdinando. Illustrissimo Signor mio ecc..... Ho tenuto a desinar meco uno di questi giorni il Padre Commissario del Santo Uffitio et mi è riuscito questa seconda volta, c’ho trattato con lui, men partiale dell’altra parte, di quel che mi parve alla prima, poi che dopo magnare venne fuori di alcune particolari cose, se ben mi protestò più volte, che i particolari del S. Uffitio non si possono palesare sotto pena di scomunica. Mi disse, che da Mantova il P. Inquisitore aveva risposto alla Congregatione, che di buona voglia dai ministri di V. A. gli era stato rimesso il processo formato nella causa della malia davanti al foro secolare. Mi soggiunse che il personaggio di cui si tratta, deve esser ormai di quarantacinque anni, e più, et conseguentemente non più abile alla generatione, onde crederebbe, che per questo capo principalmente si potesse annullare il preteso matrimonio, com’altre volte € occorso, per ragione di publico interesse. Io gli andai insinuando la confidenza, ch'ha V. A. nel mezo suo, tanto più sapendo la sua pretensione, ch’ha di proporre un suo fratello per Cancelliere Generale delle Militie in luogo del Freddolino, la qual cosa molto gli preme, sì che per questo verso sì potrebbe guadagnare quasi sicuramente.... Avendo scritto sin qui, ricevo la lettera di V. A. con cui mi evacua la difficoltà dell'oppositione, che si fa al s. Prencipe D. Vincenzo d’esser anch’ egli macchiato della medesima pece, di che non ho parlato per non aver avuto mai sentore alcuno di questo fatto.... Roma, 1 aprile 1622. ALESssANDRO STRIGGIO. XVI. Parere di Carlo Bardellone: se i testimoni del processo de’ malefici debbano essere inviati a Roma; se l’accusata di sortilegio fossa essere sottoposta alla tortura. 1622. Duo proponitur Articuli, sub brevi sed iuridico methodo, more Romano consulendi: primus est, an testes examinati parte non citata pro informatione Curiae Sancti Officij Inquisitionis, in crimine amatorij sor- . LO ogle Di - IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 753 tilegi) hereticalis, debeant Romae transmitti pro eorum repetitione facienda ad instantiam criminosae sortilegae, seu pro illorum confrontatione personali facienda ad ream inquisitam convincendam, antequam ipsamet rea [persona potens et a potentioribus fertur suffulta] in vinculis detrudatur; alter est, an ex informationibus praedictis et in suo. robore subsistentibus ipsa sortilega sufficienter ad torturam inditiata dicatur. Quod primum, constanter dicimus, testes illos nullatenus fore repetendos, et consequenter nec Romae conducendos ante reae carcerationem. Siquidem etsi testes in generali Inquisitione seu pro informatione Curiae recepti, reo non citato non praeiudicent. Attamen quando nomina testium sunt nota inquisito, qui adhuc extra carceres reperitur in sua libertate, qui per se vel per alium posset testes subornare, tunc non est locus tali repetitioni, sed tantum postquam reus est carceri mancipatus, ita in puncto firmat. Addatur, quod quando Inquisitio fit contra certam personam, testes recepti in hac generali Inquisitione in causa haeresis non amplius formiter repetuntur. Imo repertus culpabilis ex prima tela luditij, punitur. Quo circa satis est, ut culpabilis citetur ut veniat ad opponendum contra illam inquisitionem, si opponere vult. Quae Citatio debet fieri carcerato Inquisito, et ideo in praxi Romanae Curiae Inquisitionis servatur. Quod terminato processu informativo, Promotor fiscalis iuxta iam probata in dicto processu, format articulos illosque exhibet carcerato. Qui carceratus, si testes pro informatione Curiae examinatos pro rite et recte examinatos habere voluerit, illos cum interrogatorijs a reo incarcerato datis iterato examinare facit. Et ita concludo nequaquam dari locum transmissioni, et minus repetitioni dictorum testium, ante reae maleficae detentionem sub carceris custodia. Quovero ad alterum articulum cum adsit dictum sagae executricis sortilegij haereticalis, de mandato, et ad instantium reae inpuisitae, tuncto alio teste deponente de tractatu conficiendi dictum sortilegium, et de propinatione poculi vel cibi amatorij Principi patienti, iunctis et iam probationibus de repentina mutatione quietis et animi antea mitis et pacati, in impatientem insaniam amatoriam, utique fatendum est Inditiatam_legitime dici posse ad torturam, ipsammet ream inquisitam. Nam etsi regulariter socius criminis solus non faciat inditium ad torturam contra socium, vel mandatarium maxime in crimine haeresis. Attamen facit inditium sufficiens, concurrentis alijs adminiculis, idem enumerat plura adminiculorum genera in proposito apta ad validandum et coadiuvandum dictam socij criminis pro inditiando reo inquisito socio ad torturam. Sed in casu presenti praenarrata adminicula concurrunt.... Addatur praedictis, quod quando ex perfectione Processus, ipsam inquisitam sortilegij haereticalis, praefati criminis ream fore legitime constituit, mortis naturalis paena plecti debere non est ambigendum. Nam sicuti deturpans imaginem Salvatoris, Virginis Matris, vel SanLO ogle 754 GUIDO ERRANTE ctorum, huiusmodi paenae gravitate dignus reputatur, eo fortius verum Christi Corpus conculcans ac faedans et cum profanis imminens, ad turpissimum et execrabile factum praenaratum illo abutens, in tanti horrendi criminis castigationem, sortilega nequam mortis vere naturalis suplicio ex humanis utroque iure arripi debet. XVII. Parere in difesa di Donna Isabella. 1622. Illustrissimi D. Regula at ab ommnibts recepta, ut Testes plures patientes exceptiones nullam penitus fidem faciant. Cum itaque in causa nostra testes plures videntur pati exceptiones inter quas P.a videtur illa quia fuerunt examinati in loco non remoto ab omni suspicione at timore et tuto: et haec quidem exceptio non videtur sublata, ex eo quod fuérunt iterum examinati in officio S. Inquisitionis, quia non cessabat metus in permanendo in civitate et statu, uti fuerunt examinati, ac in exeundo ab eo sine maximo discrimine. Altera videtur esse exceptio quia sicut testes qui prius subscripserunt fidem extra iudicialiter, si postea se subijcendo èxamini idem deponant, non probant, quae videntur deponere ad subsistendum eorum fidem et ita idem videtur in testibus de quibus agitur, qui prius in loco in quo id poterat eis imperari nulliter deposuerunt. 3.4 est inverisimilitudines quae de se sola operant, ut testibus fides non adhibeatur. i Quarta est qualitas testium, cum una sit mulier vilis e domo Ecc.mae Principissae et alter familiaris; et ex his speratur prout suplicatur nul lam fidem adhibendam esse dictis testibus, ut inter reos describatur nomen Ecc,mi Principis honestate vitae probitate ac nobilitate insignis et solita circumspectione, et maturitate, quae in hoc sancto tribunale adhibetur quando contra qualificatam personam procedendum est. Franco Cal. advocatus. XVIII. ll Duca Ferdinando al fratello Don Vincenzo. Signor nostro fratello. Son restato informato dal Comini di quant'è passato fin'ora nella causa di V. E. Io ne spero buon fine, et perchè è ben principiata, et perchè S. S. mostra gran desiderio di ben terminarla, Go ogle uri IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 755 Viva sicura V. E. che non lascerò via intentata per vederla fuori di questo laberinto. Così vuol l’amore fraterno, che tra noi passa, et la particolare premura, che ho di servirla, in particolare di tanta conseguenza. L'interesse è comune, se ben ha diverse faccie. Et con questo fine bacio a V. E. affettuosamente le mani. Et le auguro felicità. Mantova, 10 novembre 1623. FERDINANDO. XIX. Arringa pronunciata da un ignoto avvocato in difesa di Donna Isabella nella Suprema Corte dell’Inquisizione romana, nell’anno 1623. - Per conoscere l'innocenza della Principessa D. Isabella Gonzaga nella causa degli asserti maleficii, che si pretendono usati nel matrimonio di lei col Principe Vincenzo Gonzaga, sì possono considerare le seguenti circostanze. P.a Perchè e come sieno stati opposti. 2.* A chi siero opposti. 3.2 Per qual causa si suppongono usati. 4.2 Gli effetti da’ quali si possa comprendere se siano stati usati o nò 5.2 La conditione de’ testimoni) e come siano stati trattati dalle parti. 6.* I modi tenuti con la Principessa dalla parte avversa per conseguire il suo fine. 7.2 Come le sia stato corrisposto dalla Principessa. Quanto alla prima circostanza, è notorio, che essendo seguito il matrimonio d’agosto 1616, senza partecipatione del Duca (volendo così Don Vincenzo), egli se nce sdegnò di maniera, che subito sforzò il marito ad abbandonare la moglie, et cominciò ad impugnare il matrimonio sotto pretesto, che fra loro fosse parentela, allegando anco i pretesi maleficii e poi l’incompetenza del Parroco: ma dubitando, che l’obiettione de’ malifici non gli potesse riuscire, essendo stata conosciuta e ributtata da Papa Paolo V di felice memoria, Pontefice zelantissimo della giustitia, massime nelle cause del S. Offitio, che più di ogni altra cosa gli premevano, egli fece ogni sforzo per conseguire l'intento suo con gl; altri due pretesti; il che tentato invano per ispazio di cinque anni continui, et morto il Pontefice informato della verità, ricorse di nuovo all’oppositione de’ malefici, che come l'altre, deve credersi falsa, e tentata per disperatione di potere conseguire quello, che tanto desidera, e per travagliare la Principessa da lui mortalmente odiata. L’oppositione poi è fatta ad una Principessa, che dopo la morte del primo marito avea governati i stati del Principe suo figliolo, con uniGo ogle 756 GUIDO ERRANTE \ versal soddisfattione de’ sudditi, et che sempre s’è mostrata zelante del servitio di Dio, et in particolare verso il Santo Offitio, al quale ha dato ogni aiuto possibile tutte le volte, che ne ha avuto occasione, dalle quali cose e dall’altre sue buone qualità manifeste a chi di lei ha cognitione, si deve presumere la sua innocenza, la quale si può altresì argomentare dall’inverosimilitudine et impossibilità della Causa per cui i pretesi malefici si suppongono usati, cioè per indurre D. Vincenzo a maritarsi con lei, sì per esser manifesto, che i malefici non possono sforzare la volontà degli uomini ad operatione alcuna, massime circa i sacramenti, sì anche perchè il Principe D. Vincenzo, molto prima del matrimonio più et più volte la sollecitò ad accettarlo per Marito, ricusando ella sempre, se ben poi consigliatasi con la buona memoria di Monsignore Gonzaga suo cognato all’ora Vescovo di Mantova, a cui anche ne parlò esso Don Vincenzo (come per altre sue lettere apparse), con la madre, col fratello, col figliuolo, e con altri, gli acconsentì. Onde non sì può credere ch’ ella abbia voluto usare, non solo malefici, da non potersi sospettare d’una para sua, ma nè anche altro mezo lecito, perchè succedesse quello, che dipendeva dalla sua volontà e di che ella era instantemente pregata. . Se poi dagli effetti si vorrà far giuditio, se gli asserti malefici sieno stati usati; certo gli argomenti saranno in contrario, poi che il Principe non ebbe troppa gagliarda resistenza a lasciare la moglie quasi subito celebrato il Matrimonio, essendo stato con lei solamente alcuni pochi giorni in diverse volte, et non solo si lasciò indurre ad abbandonarla, ima anche a giurare di non si opporre alla dissolutione del matrimonio, procurata dal Duca; et di non cooperare alla dispensa, quando fosse bisognata, per togliere l’opposto impedimento della Parentela et se alcuna volta le scriveva, o mandava qualche amorevole ambasciata, il faceva di nascosto per timor del fratello, come provario le sue lettere; anche i suoi mali portamenti non si contennero in simili dimostrationi di poco amore verso la moglie e di molto timore del fratello, ma passarono a manifeste operationi di mala volontà, che per degni rispetti si tacciono; onde se dubitare si dovesse, ch'egli fosse stato verso di lei ammaliato, bisognerebbe concludere, che la malia fosse stata ad odio et non ad amore. Quanto a’ testimoni), che si dicono aver deposto contro di lei, uno è suddito del Duca, non conosciuto da lei se non poco prima del matrimonio, con occasione che serviva al Principe Don Vincenzo, et è persona assai servile et verbosa. L’altra è Modonese Donna povera, di bassa conditione, di natura assai libera, et facile a ciarlare, et per altri suoi difetti molte volte ripresa, biasmata, et anche mortificata dalla Principessa, a cui serviva in bassi esercizi). Tutte circostanze che per se stesse devono far credere, che non solo la Principessa di molto giuditio, ma ogni altra persona roza, che si fosse lasciata tentare d’un tale eccesso, non l’avrebbe confidato a simili persone, e se pure l'avesse — si IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 757 confidato, si sarebbe anco assicurato, che non l’avessero potuta manifestare ad altri; il che non ha fatto nè tentato la Principessa, se bene le era facile; anzi avendo al suo servitio la Donna, che desiderava di continuare, la Principessa non molti mesi dopo il matrimonio, la licentiò in tempo che il Duca faceva palesemente ogni opera per impugnarlo e se ne mostrava sdegnatissimo contro di lei, et non solo allora la mandò: fuori di casa, ma dopo ancora pregata più volte ha ricusato di riaccettarla, il che certo non si può credere che avesse fatto se costei in modo alcuno avesse avuta scientia o inditio, d’un tale eccesso; onde è molto più verisimile, che avendo deposto cosa alcuna in pregiuditio della Principessa, non l’abbia detto per verità ma più tosto per isdegno, o per esser stata o sedotta o sforzata, come dell’uno e dell’altro resultano indizij, dal sesso, dalla povertà, dalla bassezza, e dall’altre sue qualità, e dal modo col quale è stata condotta a Mantova et ivi tenuta; poi che ella vi fu condotta levata da Modona, sopra una carrozza dello stesso Duca da un suo suddito, che professè di usare inganno e forza, non però senza grave sospetto, che il tutto fosse di concerto con lei. Ma sia ciò segvito in qualsivoglia modo, certo è, se vi andò volontariamente, che a lei non si deve prestare nessuna fede; e se vi andò per inganno o per forza, sì può credere parimente, che ingannata o sforzata abbia il tutto deposto, e possa anche essere stata sedotta, con promesse et altri modi illeciti, tanto più che longo tempo è stata tenuta nelle forze dalla parte e trattata sempre molto diversamente da quello che conveniva, poichè è stata tenuta con molta libertà, servitù et commodità, che mai non ebbe in casa propria, nè si concedono a persone di assai maggior conditione, carcerate per cause più leggiere. Nè minore occasione si ha da credere che l’altro testimonio sia stato sedotto o sforzato a deporre a gusto della parte, come quello, che più lo ngo tempo è stato nelle sue forze, che è suo suddito et che ha il fratello, i Parenti, et i suoi, co’ loro beni nello stato del Duca. Si può aggiungere, che l’uno, e l’altra sono stati più volte essaminati dalli ministri della parte, et conseguentemente instrutti, et posti in necessità di non revocare il loro detto ancorchè falso, per timore di non essere puniti per falsari) e spergiuri, come s'intende, che loro è stato minacciato. Nè l’integrità dei ministri può escludere, le presuntioni, che persuadono in questa Causa essersi proceduto non rettamente, poi che sapevano molto bene di fare cosa illecita essercitando giurisditione in causa, nella quale erano giudici mcompetenti; sì per la natura del supposto delitto, che spetta al S.to Officio, come per causa del luogo, dove si pretendeva commesso, cioè nella Diocesi di Cremona e d’onde erano stati levati li prigioni, anzi dall'aver essi proceduto in Causa, che a loro non competeva, sì può credere, che l’abbiano fatto per ordire il processo e far depcrre i testimoni) a gusto del loro Padrone, e non suffraga loro, che dopo in questa Causa sia stato proceduto dall’ Inquisitione e da Monsignor Monterentio; perchè ciò è stato fatto nel dominio della Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. IV. \ 49 758 GUIDO ERRANTE parte, restando i testimonij nelle sue forze, massime quando furono essaminati dall’ Inquisitione, e dopo essere stati instruiti e posti in necessità di confirmare la prima depositione. Ma se il Duca avesse voluto che la verità sì truovasse, senza dare sospetto del contrario, non avrebbe fatte le predette cose, ma procurato di far conoscere la causa fuori di casa sua, in luogo e da giudici non sospetti e competenti; cioè dove si pretendeva commesso il delitto, o dove erano i pretesi rei et testimonij e in questo sacro tribunale, richiedendolo il giusto, nè avendo egli occasione di poter dubitare, che in questi luoghi l’altra parte potesse avere alcun vantaggio. Nè cessano le sospicioni, perchè a giorni passati egli abbia mandati qua i pretesi testimonij, poi che doveva mandarveli spon= taneamente e prima, che fossero instrutti e che fossero stati nelle sue forze, e non dopo, constretto dai commandamenti della Sacra Congregatione a’ quali ha defferito quanto ha potuto d’ubbidire. Come poi il Duca e Don Vincenzo abbiano trattato con la Principessa, lungo sarebbe il raccontarlo. Basti solo che il Duca le ha fatti mille aggravi, ne’ suoi beni, e de’ figliuoli. Ha più d’una volta mosse l’armi contro i sudditi e stati del Principe suo figliolo, per mille modi gli ha turbata, et cercato di usurpare la giurisditione. Ha machinato più volte contro la vita di lei e de’ suoi figliuoli, le ha fatto molte minacce, particolarmente di volerla travagliare con questa imputatione de’ malefici, quando non avesse voluto acconsentire, o almeno non opporsi alla dissolutione del matrimonio, ch’egli voleva procurare, con gli altri due sopranarrati pretesi, le ha fatte amplissime offerte, per sè e per i suoi, acciò che in questo il compiacesse, e finalmente per potere o privarla di vita, o forzarla a confessare la falsa imputatione ovvero a consentire alla dissolutione del matrimonio, fece, che Don Vincenzo procurasse di condurla nel suo stato con brutto tradimento che gli sarebbe riuscito, se Dio benedetto non l’avesse fatto scoprire nel tempo istesso, ch’ella voleva partirsi da Bozzolo, per andare col Marito; onde si deve chiaramente comprendere, che il Duca non abbia la ragione a suo favore, tentando con tante vie illecite di conseguire indirettamente il suo desiderio, e che maggiormente abbia usate le minaccie, la forza, i premij et le promesse verso costoro, che erano in suo potere, e gli abbia indotti a deporre a suo modo, se ha sforzato il fratello a fare quello che gli era di sommo dispiacere e non gli conveniva, come l’istesso fratello con sue lettere confessa. Per lo contrario si può conoscere l’innocenza della Principessa dal. l'essere stata prontissima ad andare nelle forze del Duca, mentre sapeva, che per causa del matrimonio teneva prigioni il Martio segretario di Don Vincenzo, che l’avea negotiato, et il Puello, uno de’ pretesi testimonij; il che non avrebbe’ ella fatto, quando egli fosse stato consapevole d’un minimo suo mancamento, dall'aver ella, subito che intese questo tentativo de’ malefici, fatto ricorso a S. S.* per mezo di Monsignore Arcivescovo di Rodi, offerendosi di venir qua personalmente a a IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 759 far conoscere la sua Innocenza, dall'aver spezzate non solo tante promesse, minaccie, offese, e persecutioni, ma le offerte fatteli più d’una volta a nome del Duca di non lasciar principiare questa Causa, e poi di farle imporre silentio con riputatione et utilità di lei, e dell’essere venuta qua spontaneamente, le quali cose non si può credere che avesse voluto fare, quando fosse stata in alcun modo colpevole. XX. Breve del Papa Urbano VIII al Duca Ferdinando. | Roma, 10 giugno 1624. Duci Mantuae Urbanus P. P, VIII. Dilecti fili Nobilis vir salutem. Negotia quibus Principum concordia et Nobilitatis tuae felicitas curatur, solatia sunt Paternae illius caritatis, qua Gonzagas Principes complectimur. Proinde libenter audivimus dilectum filium Alexandrum Striggium, quem ad Nos allegasti, in eius enim oratione agnovismus sollecitudines illas Italico Principe dignas, quibus non modo domus istius tranquillitati consulere, sed etiam Italicae Pacis praesidia munire studet Nobilitas tua, cui Apostolicam benedictionem per amanter impactimur. XXI. Istruzione del Duca Vincenzo al Senatore Franco Faenza. 8 dicembre 1620. Mantova. VINCENZO PER LA GRATIA DI Dio puca DI Mantova E DEL MONFERRATO. Mettendo noi in vostra mano il più importante negotio che oggidì ci possa occorrere, sete in obligo di corrispondere con la diligenza et fede vostra a questa nostra non ordinaria confidenza. La dichiaratione di nullità del preteso matrimonio di D.I. è da Noi non solamente come sapete desiderata, ma etiandio da tutti gli amorevoli di questa casa, e stiamo pur per dire dai poco ben affetti ancora per rispetto della publica utilità, potendo ogn’uno sapere di quanto momento alla pace generale di questa Provincia sia per essere la sicurezza della nostra successione. Vi mandiamo per tanto a Roma ai piedi del Pontefice per rappresentargli le vive ragioni, che abbiamo d’esser giudicati liberi da qualsivoglia nodo per poterci accasare a nostra voglia.con Principessa 760 GUIDO ERRANTE da cui potiamo sperar d’aver prole, delle quali sì come dovete esser voi più di ogni altro informato, così nostra cura dovrà essere d’informarne non solo S. Santità per renderla d’esse ben capace, ma etiand:o i Sig. Cardinali, ai quali sarete rimesso, che si doverà procurare sieno dei più confidenti, et amici per terminare tal giuditio in quella forma, che a S.S. parerà più conveniente. Farete capo arrivando a Roma al nostro Residente Cattaneo col mezo del quale procurerete l’audienza da S. B. privatamente però per non dar da discorrere al mondo sopra la cagione della vostra missione, la quale desideramo sia secreta più che sia possibile, stimando Noi nostro maggior vantaggio il colpir cogli effetti, prima quasi che si sappiano i tentativi, e che il Mondo veda il lampo della verità della giustizia della nostra causa, prima che senta il tuono delle giudiciali altercationi. Noi non intreremo al presente in discorrervi di punti legali, et degli articoli da discutersi in tal materia, perchè presupponiamo che portiate con voi scritture, et allegationi giuridiche, di cui lodiamo bene che formiate un ristretto perchè il Papa ben intendente di tal professione rimanga sodisfatto dalla vostra viva voce dei più reali fondamenti, che si adducono per la nostra parte et sono l’incompetenza del Paroco, la clandestinità per non esser osservata la forma del Concilio di Trento, et le urgentissime cause, che possano muover l’animo di S. B. a venir a quelle risolutioni, alle quali son venuti altri Pontefici per interessi di minor consideratione. Sopra ogn’altra cosa avvertirete di dimostrar a S S,, come non fu mai nostro pensiero di caminar per la via già attentata al tempo del S. Duca Ferdinando nostro fratello con l’accusa di scrtilegi, atteso che solo tal titolo, ancor che non giustificato, suol apportar disonore, et noi vorremmo il nostro bene senza l’altrui male, et più ci piacerebbe uscire di questa briga con salvezza dell’altrui reputatione, come succederà per 1 mezzi da Voi proposti, che conseguir l’intento con qualche intacco di D. Isabella. La principal premura doverà essere il procurare che siano deputati Cardinali e Prelati a Noi confidenti, et di questi potrete avere nota dal Residente; e il S. Cardinal Ludovisio ancora potrà col suo consiglio darvi gran lume, volendo Noi che deferiate molto all’amorevolezza di lui, che ci è stata tanto largamente esibita. Giudichiamo però in genere che tutti i dipendenti dalla Maestà dell’ Imperatore della Corona di Spagna si devono tener per nostri amici, sì come per diffidenti gli adherenti di Savoia, et quanto a Francia non dobbiamo affatto fidarcene, se bene siamo più che sicuri dell’ottima volontà di quel Re et della Regina nostra zia, che altre volte scrissero per Noi nel medesimo negotio con grande efficacia. Di Bentivoglio et di Pio specialmente averete da guardarvi, et da qualunque altro avesse con loro intrinsichezza, sì come dai prelati parenti del Mattei; ma in questo proposito non discendiamo a maggiori particolarità, poichè in Roma il Cattaneo, il Squarciafico, et il Castello vi potranno dar notitia di tutto ciò distintamente. Go ogle : Seat IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. 761 Questa causa consiste in fatto et in iure. Quanto al fatto per chiarirlo si doveranno esaminar testimoni}, al qual effetto, o si deligherà a qualcheduno tal-carico, o si spicherà dalla Corte persona destinata a tal funtione, et in questo ancora doverà aversi riguardo, alla qualità de’ soggetti, per la confidenza et dittidenza che si potrà avere di loro. Con il Papa dimostrarete come vogliamo ogni nostro bene dalla sua gratiosa mano, da cui se saremo sollevati, lo chiameremo nostro Sommo Benefattare, et i figlioli che di Noi nasceranno serberanno grata memoria di così segnalato benefitio, verso quelli della sua eccellentissima Casa nei secoli avvenire perpetuamente. Vi valerete bensì della ragione di stato con mover l’animo della Beat. S. a procaciarsi una corona di lodi, con lo stabilimento della pace di Italia, et nella Christianità, mediante la dichiaratione di nullità dell’asserito matrimonio di D.I. Ma vi lascerete intendere che noi più ci fidiamo nella giustitia della nostra causa, che in qualsivoglia altro rispetto, sapendo quanta sia la pietà et rettitudine della B. S., bastandoci solo che nelle cose arbitrarie ella ci sia favorevole, et nè a Noi sarebbe onorevole il ricercar di più, nè alla S. S. il concederlo. Doverà comparire alla Corte dopo qualche settimana il S. Conte Francesco da Gambara, mandato dalla Maestà dell’ Imperatore, et Imperatrice per questo negotio, con lui pertanto quando sarà giunto doverete intendervi, passando di concerto in ogni vostra attione, sì come egli dovendo esser prima qui, da Noi sarà avvisato a conferirvi confidentemente tutto ciò ch’in simil proposito vi occorrerà. Vi fermerete in Roma fino a tanto che ne sarete da Noi richiamato, alloggiando nella Casa del Residente, che sarà da Noi rimborsato della spesa, et della sua carroccia vi valerete sì ben quanto alla compagnia di lui basterà che vi introduca nei primi congressi col Pontefice, et col fratello et nipote per farvi conoscere per nostro ministro, ma nel progresso della negotiatione potrete anche far da Voi solo col comunicargli quelle cose che stimerete bene fargli sapere; nel rimanente ci rimettiamo alla prudenza vostra et sul fatto potrete tener miglior partito di quello che Noi possiamo di qua additarvi. Aggiunta alla istruzione al Faenza; 19 dicembre 1626. Oltre quello che si contiene nella vostra instrutione, vi diciamo, che giunto che sarete a Roma non andiate nè da S. S. nè dai S. Cardinali, se non dopo l'arrivo alla Corte del S. Conte Francesco da Gambara Ambasciator Cesareo, dal quale doverete aver la norma del governarvi in questa materia, col passar con lui di concerto, et unitamente secondo ch'egli vi dirà richiedere il servitio della causa. Starete anco sopra ogni altra cosa avvertito a non lasciarvi intendere delle ragioni che siete per addurre o dei fondamenti del negotio e quando anco traterete con gli Avvocati, discorrerete ben con loro del punto del Paroco e dell'altro, 762 GUIDO ERRANTE che riguarda la clandestinità per coadiuvare et quello che si può dire della publica utilità, ma vi mostrerete sempre d'aver qualche altra cosa in manica da non manifestar se non quando non potrete far di meno, ma questo non lo direte se non a meza boca, e quasj incidentemente, in modo tale ch’altri possa presumere che più tosto l’abbiate detto per inavvertenza, che appostatamente, et ciò non solo osserverete con quelli, coi quali doverete andar con riguardo, ma etiandio con gli amici medesimi e confidenti, perchè a suo tempo vi si farà poi sapere, da poi che serà a Roma il Conte da Gambara, quello che di più avrete a fare più distintamente. Ben serà nostra cura con gli Avvocati amici, e spetialmente col Lottero d’informarvi ben di quanto porterete con voi e di restar da loro informato degli stili della Corte, perchè il Conte soddetto vi truovi pronto e preparato per adoperarvi quando sarà tempo. o XXII. li Duca Vincenzo al Senatore Franco Faenza. Carissimo ecc..... Il s. Prencipe Savelli ci dà parte dell’ufficio passato con S.S. nel presentarle la lettera nostra, che voi gli inviaste, et ci ragguaglia del discorso tenuto seco da S. B. circa il sospetto di D.I. che avessimo mandati costì uomini per ammazzarla, il che però non sia stato creduto, nel modo apunto, che S. E. scrive a voi. Lo Strinati parimenti ci ragguaglia dei nomi dei carcerati et del modo, che è stato tenuto con certo cappuccino da uno dei complici per iscoprir gli altri, ma in spetie ci rappresenta, che cotesti tali abbiano deposto di aver parlato con Noi per mezo del Marchese Federico nostro generale. Per quello che tocca la persona Nostra, assolutamente non è vero, nè mai sì troverà nè sapranno costoro dire nè tempo, nè luogo, nè ragionamento passato con Noi. Per quello che tocca la persona del Marchese, l'abbiamo seriamente interrogato et con qualche rigore et egli in parole di cavaliere ci asserisce, che tutto è vanità, et che se alcuno di costoro può provare, o dire per verità di aver trattato seco egli si reputa indegno della gratia nostra. Di modo che bisogna credere che D. I. vedendosi stretta dalla giustitia della nostra causa, et prevedendo la sentenza a noi favorevole, abbia inventata questa calunnia. Et tanto più ci si conferma, quanto che lo Strinati ci avisa, ch’ ella abbia imboccati i birri et un notaio. Noi facciamo di ciò un tocco al s. Prencipe Savelli affinchè trattandone con S. S., lo certifichi che da questa parte et con saputa nostra non è venuta tal risolutione. Et per quello che tocca a’ birri et al notaio, vogliamo che interroghiate lo Strinati come l'abbia risaputo, et come si potrebbe giustificare et quando sia cosa, che abbia — IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO, ECC. ‘763 fondamento, vogliamo che la communichiate al S. P.e et che S. S. la risappia. Ma perchè non vogliamo il male d’alcuno, però prima di palesare quello che si trovasse di verità, vogliamo che S. B. sia in nome nostro supplicata a perdonare al notaio et a’ birri, non avendo noi mala volontà con nessuno. Per sigillo vi diciamo, che apertamente potete lasciarvi da S. B. intendere quando vi parlasse di tal cosa, che se avessimo avuto l’animo inclinato a tali deliberationi, non saressimo passati per la via della giustitia, nè ci sono mancati dei familiari et amici di D. I. che si sono esibiti a levarla del mondo, et ne teniamo vive le lettere, et Dio Vi guardi. Mantova. Novembre 1627. ViINncENZO. XXIII. Carlo di Nevers al Re di Spagna. 1627. .. «+. Avrà V. A. sentita dall’Ambasciatore Striggio la grave indispositione del s. Duca Vincenzo mio cugino, et la dichiaratione, che nel suo testamento fece nominando erede a questi Stati il s. Duca di Nevers mio Padre; avendo risguardo alla quiete publica, al bene dei suoi popoli et a quello che il giusto richiedeva. Ora a me tocca et certo con grandissimo rammarico il dare umilissimo ragguaglio alla M. Vostra, che alle nove ore della passata notte è piaciuto a Dio di volerlo in cielo. Et perchè ebbe S. A. sempre riguardo alla quiete publica, al bene de’ suoi sudditi et a quello che stimò giusto, volle anche, prima di finire i suoi giorni, che la s.ra Principessa Maria sua nipote, ricevutone l’assenso pontificio, si maritasse meco com'è seguito. Io che mi sono allevato in questa Casa devotissima alla M. Vostra, ho voluto di tutto ciò darlene umilissimo conto, sicuro che io conservo meco le obligationi medesime de’ passati Principi di essa verso cotesta Real Corona... XXIV. Il Senatore Franco Faenza a un Ministro mantovano. Roma. 24 gennaio 1628. .<« + Mons. Danozet Auditore di Rota suddito del Ser.mo s. Duca di Nevers nostro Padrone, m’ è stato a ritrovare et assicurare, che la s. D. Isabella ha fatto e fa studiare, pretendendo dal Sermo successore Go ogle 764 GUIDO ERRANTE = IL PROCESSO PER L'ANNULLAMENTO, ECC. buona quantità di robba; poverina mal consigliata; il medesimo ho inteso pure da altra parte et va spargendo fama, che il Sermo defonto, per scarico di conscienza, nel testamento la dichiarasse sua legittima moglie, e però si fa cantare S.ra Duchessa di Mantova fino dalli Cestaroli. Mi passa l’anima di non aver potuto vedere il fine di sì bella causa, e nel più bello siano andati in fumo tanti patimenti e discervellamenti, e perduti i meriti di così estreme fattiche. A Domino factum est istud, fiat voluntas eius... — Il P. Don Pietro Canneti E LA SUA DISSERTAZIONE FREZZIANA È « laboriosissimum », il dotto frate camaldolese don Pietro -=+J Canneti aggiunse iueii di essersi molto occupato del Oiadiirisia e di chi lo scrisse, contribuendo a rialzare il valore d'un poema quasi dimenticato e assegnandolo definitivamente al vescovo folignate Federico Frezzi. Credo infatti d'aver dimostrato in altro mio lavoro ch’ egli ebbe parte grandissima nel preparare l’edizione critica e illustrata del cosiddetto poema dei Regni, che apparve a Foligno nel 1725 e che senza la sua illuminata attività non sarebbe giunta mai in porto (1). Ma il frutto principale e più evidente di codesta attività spesa dal Canneti in onore del Frezzi è la nota Dissertazione apologetica, che egli scrisse appunto in quella occasione per dimostrare specialmente che l’autore del Quadriregto non poteva essere il bolognese Nicolò Malpigli, come allora insigni letterati affermavano, mentre tutto concorreva a convincere in modo assoluto gli studiosi che era il poeta folignate dell'estremo trecento (2). Questo documento, storico e letterario insieme, è invero uno scritto di piccola mole, ma per contro è denso di critica e di eru- (1) Cfr. il mio studio largamente documentato su Un’ Accademia Umbra del primo settecento e l’opera sua principale (Estratto dal « Bollettino di storia patria per l'Umbria »: Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, 1911-1913). (2) Indicherò più oltre il titolo preciso di questa Dissertazione. Go ogle 766 ENRICO FILIPPINI dizione quanto può esserlo un grosso volume di storia o di lette» ratura, e tratta argomenti di non lieve importanza. Tuttavia esso ha già offerto ed offre ancora il fianco a parecchie osservazioni, che a me in parte sfuggirono in un primo giudizio sommario pronunciato pochi anni or sono, quando scrivevo e pubblicavo la mia monografia sui Rinvigoriti di Foligno, in cui non potevo dare una grande estensione allo svolgimento di questo particolare soggetto (I). Su quel giudizio appunto intendo ora di tornare, studiando a parte la Dissertazione cannetiana e tenendo conto di tutti gli elementi possibili. E comincerò dalla storia della sua elaborazione in rapporto con la vita dell’ autore, che finora è stata poco o nulla sviscerata. Verrò poi alla fortuna che il componimento ebbe dalla sua prima pubblicazione fino ai tempi nostri, per passare all'esame interno di esso e di qui alla conclusione che logicamente ne discenderà. E sarò lieto se questo lavoro contribuirà a lumeggiare una delle figure meno studiate e più interessanti fra i nostri eruditi del primo settecento. lo non esporrò qui la vita del p. don Pietro Canneti (1660-1730), del quale si occuparono variamente l’Arisi (2), il Mittarelli (3), il Carini (4) ed altri; ma devo dire che nessuno fino ad ora ci ha dato una biografia completa e particolareggiata di questo dotto cremonese, che fondò la preziosa biblioteca classense, attese finchè visse a studi storico-letterari e fu tanto stimato dai suoi contemporanei (5). Nè i documenti necessari per costruire codesto la- (1) Cfr. lo studio qui sopra cit., pp. 219-225 dell'estratto. (2) Cfr. la sua Cremona litterata etc. (Cremona, Ricchini, 1741), vol. III, pp. 257-273. (3) Cfr. i suoi Annales Camaldulenses etc. (Venezia, 1764), to. VIII, p. 635. (4) Cfr. L'Arcadia dal 1690 al 1890 ecc. (Roma, 1891), vol. I, pp. 327-329. (5) Una biografia del Canneti scrisse, ma non riuscì a pubblicare il MazzuCHELLI nella sua raccolta degli Scrittori d’Italia: essa si trova inserita nel cod. Vaticano 9265 tra le carte 59 e 62 e dev'essere quindi abbastanza estesa, ma io non l’ho vista: ne trovo l'indicazione nella memoria di E. NARDUCCI: Intorno alla vita del conte G. M. Mazzuchelli ed alla collezione de’ suoi manoscritti ora “ IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ. FREZZIANA 767 voro biografico scarseggiano: a prescindere da quanto è stato finora qua e là pubblicato sul suo conto, non dobbiamo dimenticare che la Classense possiede, oltre ai numerosi manoscritti del Canneti inediti, oltre alle sue opere stampate, un carteggio copiosissimo che egli ebbe coi dotti del suo tempo e che potrebbe fornire una messe ricchissima di notizie sulla sua vita, sulla sua mentalità, sulle sue occupazioni (1). Esiste anche manoscritta in quella biblioteca un’Orazione funebre in lode dell’illustre camaldolese, composta nel 1730 dal dott. Giovanni Bianchi di Rimini e letta forse in una tornata di non so quale accademia (2); la quale, sebbene abbondi di retorica e di espressioni enfatiche, non è assolutamente priva d'importanza, sicchè anche io ho tratto qualche partito. A me occorre soltanto illustrare un periodo della vita del Canneti, quello in cui si pose a studiare l’opera poetica e la figura del Frezzi e in cui elaborò e stampò la Dissertazione apologetica in sua difesa: e lo faccio tanto più volentieri in quanto posso riassumere qui ampie ricerche da me già compiute e pubblicate in correlazione con la storia della folignate Accademia dei invigoriti e con quella dell’ ottava ristampa delQuadriregio (3). posseduti dalla Biblioteca Vaticana, estratto dal « Giornale Arcadico », to. 197, 52 della N. S. (Roma, 1867), p. 72. Un accenno stampato al Canneti si trova nella biografia mazzuchelliana di P. F. Bottazzoni; ma vi si allude soltanto alla sua intenzione di occuparsi del Frezzi. Del resto, il Canneti ha avuto la disgrazia di non essere compreso nè nella Biografia universale antica e moderna, nè in quella del De Tipaldo, nè in molte Enciclopedie moderne. (1) Lettere del Canneti devono trovarsi sparse in varie biblioteche: tre volumi di tali documenti dichiarava di possedere nel 1741 l’Arisi compatriota e amico di lui (cfr. op. e l. cit): 4I se ne trovano dirette al Muratori nell’Estense di Modena: II dirette a Giacinto Vincioli nella Comunale di Perugia: e 97 nel copioso carteggio del Fontanini che si conserva nella Capitolare di Udine. Ma certamente molte ne sono andate perdute, come quelle numerose da lui dirette agli amici di Foligno, che non si trovan più. (2) Essa si .trova nella Misc. X (n. 22) della Classense e s'intitola Delle lodi del P. D. Pietro Canneti Cremonese Abate Generale dell'Ordine Camaldolese: Orazione funerale composta dal Sig. Dottor Giovanni Bianchi d’ Arimino. Chi fosse codesto oratore non so; ma il sig. Umberto Scagnardi, a cui devo una copia dell’orazione, mi dice che il Canneti l'aveva in più occasioni e molto lodato in vita, sebbene l’avesse visto e gli avesse parlato una sola volta. (3) Cfr. il mio studio citato e l’altro più breve su L'ottava edizione del Quadriregio nel carteggio fontaniniano, in Varietà Frezziane (Udine, Vatri, 1912). 768 ENRICO FILIPPINI Il Canneti che, secondo il Bianchi, vestì l’abito camaldolese a ventitrè anni (1) e, secondo il Bianchi stesso e l’Arisi, divenne abate, cioè rettore di un’abazia nel 1690 (2), passò come tale il ventennio 1704-1724 in tre sedi diverse. Una lapide commemorativa posta sull'ingresso della biblioteca Classense ci dice che dal 1704 al 1714 egli fu abate di quel celebre convento (3), dove raccolse numerosi e scelti codici e un prezioso medagliere. Nel 1714, non so se per sua elezione o per volontà dei suoi superiori, si trasferì a Perugia per reggervi il monastero camaldolese di S. Severo vicino a Porta Sole di dantesca memoria e noto per gli affreschi del Perugino e di Raffaello, che ne adornano la chiesa. Il suo carteggio da me esaminato non permette di stabilire la data precisa di questo passaggio; ma credo di non errare dicendo che ciò avvenne verso la metà dell’anno indicato (4). E a Perugia il p. Canneti attese costantemente ai suoi studi e si trattenne fin verso il luglio 1719, quando lasciò questa residenza per andare a governare il monastero di S. Biagio in Fabriano (5), antico edificio sorto nel 1251, in seguito (1) Credo quindi che sbagli il MiTTARELLI (op. cit., p. 635) dicendo che il Canneti, vissuto 70 anni, ne passò so nella religione camaldolese. Lo ZENO poi (in commento alla Biblioteca deli’ eloquenza italiana del FONTANINI - Venezia, Pasquali, 1753 - vol. II, p. 139) dice addirittura che il Canneti vesti l’abito camaldolese nel 1684. (2) Dove esercitasse però dapprima codesto ufficio, non so. Secondo il CARINI (op. cit., p. 327) parrebbe che egli fosse restato nel monastero di Classe; ma credo che ciò non sia esatto, a meno che il Canneti non abbia retto quel monastero tre volte, come ben dice il MiTTARELLI (op. e |. citt.). Il BrancHI, che si mostra meglio informato, dice che il Canneti fu abate di Classe due volte, la prima per dieci anni di seguito, la seconda per tre: e vedremo che, mentre il triennio corrisponde all’ ultimo periodo della sua vita, il decennio precedente corrisponde agli anni 1704-1714. (3) Questa iscrizione latina fu riferita testualmente dal CinELLI-CALVOLI nella sua Biblioteca volante (Venezia, Albrizzi, 1735, vol. II, pp. 45-54), in cui parla di diversi scritti del Canneti, ma non fa di lui una vera biografia. (4) Lo desumo dalla lettera del 12 ottobre 1714 che uno dei suoi amici, che nominerò fra poco, gli dirigeva a Perugia e che è la prima di quell’ anno, Essa fu già stampata da me nell’appendice I del mio lavoro cit. su Un’ Accademia umbra ecc., vol. Il, pp. 335-336. (5) Infatti una lettera dello stesso amico, in data 4 agosto 1719, gli fu già spedita a Fabriano, Questa lettera è ancora inedita e si trova nel volume segnato Lettere mss. Busta 36, fasc. 6 della Classense. — IL P. DON PIETRO CANNETI £ LA SUA DISSERTAZ, FREZZIANA 769 più volte restaurato e abbellito di affreschi e tele di qualche valore. Ivi trascorse lavorando assiduamente altri cinque anni della sua vita, chè una lettera del 19 maggio 1724 (1) dimostra assai chiaramente che egli in quel mese, dopo dieci anni di assenza, era già tornato in Romagna e si trovava a Forlì come abate di San Salvatore. Questo fu il periodo di tempo, e questi furono i luoghi in cui il p. Canneti preparò e scrisse la sua Dissertazione frezziana, mentre si occupava di tante altre cose. Quando egli rivolgesse la prima attenzione al Frezzi ed al suo poema non saprei dire. Ma è certo che già innanzi di raggiungere la sua residenza perugina aveva studiato l'importante argomento. Se non aveva cominciato questo studio nel 1795, quando lo vediamo andare per la prima volta nell’Umbria a leggere la sua orazione su La perfezione del beneficio nella giustizia del bencfattore e nella gratitudine del beneficato davanti ai consoli giurati del Collegio della Mercanzia (2), o nel 1796 quando vi recitò un panegirico in onore di s. Antonio di Padova (3), lo cominciò indubbiamente pochi anni dopo, allorchè vide cioè che il Fontanini nel 1700 sosteneva pubblicamente la paternità malpigliana del Quadr:- regio già messa in campo quarant'anni prima dal Montalbani (4), e allorchè conobbe, credo ai Bagni di Nocera Umbra, Giustiniano Pagliarini di Foligno, dotto segretario di quel comune (5), e Giovan (1) Anche questa lettera come quella del 1714, testè citata, fu pubblicata da ime nella prima appendice del lavoro citato, pp. 413-415. (2) Questa orazione fu stampata appunto a Perugia dal Costantini nel 1696. Il CineLLI-CaLvoLI (op. cit.) dice che fu « applauditissima dai letterati ». (3) Questo panegirico è ricordato dall’ARIsi (op. e I. citt.) con titolo latino, ma senza l'indicazione della pubblicazione. E’ strano che l’Arisi dica che il Canneti lo fece durante il suo ufficio di abate del convento camaldolese di Perugia, mentre egli andò a Perugia come abate molto più tardi del 1696. (4) Cfr. L’Aminta di Torquato Tasso difeso e illustrato da mons. Giusto FONTANINI (Roma, Zenobi, 1700), pp. 269-270. (5) Questo illustre Folignate, che meriterebbe un'ampia biografia, visse tra il 1667 e il 1740. Egli fu il primo Principe dell'Accademia dei Rinvigoriti di Foligno e contribuì con la sua dottrina e con la sua operosità a darle il lustro, che essa in pochi anni raggiunse. Molto si occupò del Quadriregio e della sua: ottava edizione, per cui scrisse le note Osservazioni istoriche (v. 1I, pp. 127-220). Fu in relazione epistolare coi primi letterati del tempo e appartenne all’Arcadia per mezzo della Colonia Fulginia, in cui ebbe il nome di Minturno Ponziate. Fu 770 ENRICO FILIPPINI Batista Boccolini di Camporotondo, stimato professore di eloquenza nel liceo folignate (1), entrambi cultori di studi storico-letterari, entrambi premurosi d’illustrare le glorie cittadine. Da allora ebbe principio tra il Canneti ed il Pagliarini quel carteggio, di cui si conserva gran parte nella Classense, ma che non può essere intero, poichè, oltre a mancare di tutte le lettere del primo al secondo, non comprende neanche tutte quelle del secondo al primo. Le lettere del 4 e del 15 luglio 1707 con cuì si apre la corrispondenza del Pagliarini, non sembrano certamente le prime che egli diresse al Canneti (2). Nè in esse si parla punto del Quadriregio e del suo autore, come non se ne discorre in quella che segue immediatamente nella raccolta, con la data del 30 aprile 1708 e che dimostra, al pari delle altre due, che il dotto cremonese era già l'autorevole consigliere del suo amico folignate (3). Ma quando leggiamo nella quarta lettera del Pagliarini in data 15 dicembre 1710 (4) il primo accenno al quadripartito poema e alla sua paternità tanto discussa, noi dalle frasi: « Ho finalmente trovato il Quadriregio » ecc. e « spero che nella lettura di quest'opera si scoprirà maggiormente « la verità che l’autore di essa sia monsignor Frezzi » ecc. ci acanche socio di altre accademie, e le raccolte poetiche del tempo contengono parecchi suoi versi d’occasjone. Per più minute notizie su di lui cfr. il mio citato lavoro: Un’ Accademia umbra ecc., in cui pubblicai molte sue lettere al Canneti e al Muratori. . (1) Era nato nel 1675 e mori net 1728 nella sua patria di adozione, dove fondò l'Accademia dei Rinvigoriti, di cui fu attivissimo segretario. A lui si devono vari lavori storico-letterari non tutti pubblicati: qui ricordo specialmente le sue Dichiarazioni di alcune voci del Quadriregio stampate col poema nel 1725 (vol. II, pp. 221-341), che furono il frutto di lunghi e pazienti studi. Anche lui, come il Pagliarini, fu pastore arcade della Colonia Fulginia col nome di Etolo Silleneo. Pubblicò parecchi versi ed appartenne ad altre accademie. Molte sue lettere si conservano nella Classense di Ravenna, nella Comunale di Perugia e nella Estense di Modena, ed io ne pubblicai già parecchie. Per più minute notizie su di lui, cfr. il mio citato lavoro: Un’ Accademia umbra ecc. Ma anch'egli aspetta ancora il suo biografo. (2) Queste due lettere sono ancora inedite. Cfr. per esse il cit. vol. della Classense. + (3) Anche questa lettera del Pagliarini è inedita. Cfr. per essa il cit. vok della Classense. (4) Questa è la prima lettera del Pagliarini al Canneti da me pubblicata nella Appendice I del mio citato lavoro. n IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ, FREZZIANA 77I corgiamo subito che questa era la continuazione d’un discorso orale o scritto già cominciato da un pezzo e che il Canneti non conservò tutte le prime lettere pagliariniane. Questo, del resto, è dimostrato anche dal fatto che nessuna delle prime lettere del Pagliarini tramandateci dal futuro apologista del Frezzi ci parla del più grande avvenimento letterario folignate del 1707, cioè della fondazione dell’Accademia dei Rinvsgoriti avvenuta il 25 novembre di quell'anno per opera specialmente del Boccolini e dello stesso Pagliarini con lo scopo di esporre la materia di opere letterarie e soprattutto del Quadriregio, ormai troppo dimenticato: della quale accademia divenne poco dopo socio anche il Canneti (1). Ma per tornare al nostro argomento devo notare che quando, molti anni dopo, questi si compiace di riandare il passato e di accennare alla origine del suo lavoro in una lettera al suo confidente Fontanini del 9 dicembre 1725, dichiara espressamente « Il motivo ne nacque « dall’amicizia mia col sig. Pagliarini, ch’ è uno di quegli uomini « rari, de’ quali non è facile trovar chi ne dica male, anzi che non « lodi le sue buone qualità » (2). E sebbene egli non fissi la data di questo accordo, io credo di poterlo dire avvenuto tra il 1707 e il 1708. Dopo il 15 dicembre 1710 il poema frezziano è l'argomento di tutte le lettere del Pagliarini: è ovvio quindi il pensare che anche quelle del Canneti tornassero spesso, se non sempre, su questo tema. Tuttavia il Canneti non si mise di proposito a scrivere alcuna monografia intorno al Frezzi se non dopo il febbraio del 1711, quando cioè egli fu proclamato direttore e protettore degli studi accademici dei Ainvigoriti e, forse nella stessa adunanza, si stabilì anche di ristampare decorosamente il Quadriregio. In seguito a questa deliberazione il Pagliarini, che desiderava di occuparsi lui della paternità del poema, tentò di affidare al Canneti la parte più difficile, cioè la formazione del nuovo testo e il commento dell’opera. Ma il Canneti non abboccò all’amo e rispose che si sarebbe occupato soltanto dell’apologia, che in forma di prefazione avrebbe (1) Cfr. per tutto questo la prima parte del mio citato lavoro su Un’Accademia umbra ecc. | (2) Cfr. il mio citato studio su L'ottava edizione del Quadr. nel carteggio fontaniniano in ). cit., p. 48. Go ogle 772 ENRICO FILIPPINI accompagnato la ristampa. L’impegno fu accettato e il Canneti si mise al lavoro: per tutto il 1712 raccolse notizie e documenti e cominciò a stendere a Ravenna la sua Dissertaszione, tantopiù che essendosi recato in quell’anno da lui e a Foligno Pier Iacopo Martelli, altro fautore del Malpigli, a turbar l’opera dei invigoriti ed essendosi poi sparsa la voce che Pier Francesco Bottazzoni (1), stava per pubblicare una monografia sullo stesso argomento e in favore dello stesso Malpigli, egli dapprima voleva prevenire le mene dei nemici del Frezzi. Ma poi, consigliato anche dallo Zeno e occupato in altri lavori, decise di aspettare che il nemico si facesse innanzi per poterlo sconfiggere e, cercando di mandare avanti la ristampa, non continuò per qualche tempo la sua apologia, con grande dispiacere del Pagliarini e degli altri coaccademici. Nè la riprese quando nel 1714 egli passava da Ravenna a Perugia e si metteva quindi in più stretto contatto cogli amici di Foligno: nè quando poco dopo apparvero le Notizie degli scrittori bolognesi di fra P. A. Orlandi (2), che ribadiva l’affermazione del Montalbani. Egli si occupava sempre d’altro, pur continuando a raccogliere notizie utili per la sua Dissertazione, e non istava troppo bene in salute; del resto, anche la ristampa per diversi motivi si era arrenata e il Canneti non sentiva alcuno stimolo a sollecitare la fine del suo lavoro. Tornò alla sua apologia solo dopo il 1719, dopo cioè il suo trasferimento da Perugia a Fabriano e quando vide finalmente avviata nell'aprile del 1720 la composizione tipografica del Quadr:- 1 egto. Allora, visto che il Bottazzoni taceva ed i Rinvigoriti si lamentavano vivamente perchè egli non assolveva ancora l’impegno assuntosi nel 1711, si rimise con lena all’opera e la condusse a termine nell’ottobre del 1722. Ma avendo intanto potuto consultare il codice bolognese del Quadriregio, su cui si fondava l’attribuzione (1) Il Canneti non nomina mai questo personaggio nella sua monografia, e si capisce; ma certo gli avrebbe dedicato più d'un capitolo, s’egli avesse pubblicato la promessa dissertazione. Egli era bolognese (?-1725) ed allora insegnava umane lettere nell’ Ateneo patrio; apparteneva già a diverse accademie e più tardi fu ascritto anche a quella dei Rinvigoriti di Foligno. Ebbe molti amici fra i letterati del tempo e si era già reso noto per alcuni suoi scritti. (Vedi su di lui le biografie del MazzucHELLI in Gli scrittori d’Italia e del FanTUZZI in Notizie degli scrittori bolognesi). (2) L’opera dell’Orlandi fu stampata a Bologna nel 1714. Goo gle i IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ, FREZZIANA 773 di esso al Malpigli, ed avendo ricevuto altre notizie utili, dovette tornarci su ed ampliarla in più luoghi entro l’anno seguente. Dovette anche occuparsi della dedica di tutta l’opera, perchè di essa bisognava parlare nella prefazione e perchè il Pagliarini si era già compromesso col Muratori per il duca di Modena Rinaldo d’Este. Ma a lui non piacque questo nome e dopo avere invano pensato a mons. Lascaris, frate domenicano e vescovo di Spoleto, si decise pel cardinale Vincenzo Orsini, prossimo futuro papa. Di qui un nuovo e grave dissenso col Pagliarini, che finì con la deliberazione conciliante di separare dal resto la Dissertazione del Canneti con la dedica da lui desiderata e di stamparla prima del poema con tutti i suoi commenti e con altra dedica. Ma la Dissertazione non perdette per questo, come vedremo, il carattere di prefazione che doveva avere secondo i primi accordi dell’autore coi Rsnvigoriti. Il Canneti, quando l’ebbe proprio finita, la fece rivedere al suo amico e confidente mons. Fontanini e poi la mandò a Foligno per la stampa. La composizione tipogratica nella stamperia del Campana cominciò non prima del gennaio 1724, ma per altre piccole aggiunte e contrattempi non potè terminare che nell’ottobre dello stesso anno, quando cioè il Canneti si trovava abate a Forli e il dedicatario era papa col nome di Benedetto XIII già da quattro anni. Questo avvenimento avrebbe consigliato un ultimo cambiamento nella dedica della Dissertazione: ma era troppo tardi. E così la stampa fu messa in circolazione alla fine del 1724 non solo con la dedica al cardinale Orsini, ma anche con la data del 1723 quasi per dare ad essa una maggior ragion d’essere (1). (1) Cfr. per tutta codesta serie di fatti la seconda parte del mio citato lavoro su Un’ Accademia umbra ecc. e l’altro mio scritto citato. Qui credu opportuno di aggiungere alcuni particolari, su quella stampa. La monografia del CANNETI era in quarto piccolo e constava di 88 pagine. Nella prima carta si leggeva: DISSERTAZIONE | APOLOGETICA | di D. Pietro Canneti | Abate della Congregazione Camaldolese | intorno al Poema de’ Quattro Regni, | detto altramente il Quadriregio, | e al vero autore di esso | MonsiGNORE | FEDERIGO FREzZI | del’Ordine de’ Predicatori, Cittadino | e Vescovo di Foligno e Uno de’ | Padri del Concilio di Costanza, | — In Foligno, Mpccxxui | Per Pompeo Campana Stampator Pubblico | Con licenza de’ Superiori. — A codesto frontespizio seguiva nella seconda e terza carta l’Indice de’ Paragrafi. Nella pag. 7 cominciava il testo della Dissertazione preceduta da questa intestazione-dedica: DEL POEMA DE° QUATTRO REGNI | detto altramente IL QUADRIREGIO, | e del vero autore di Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. 1V. 50 774 ENRICO FILIPPINI Ora, tutto questo racconto dimostra che la monografia cannetiana non fu un lavoro, come si suol dire, di getto, quale sarebbe potuto riuscire se l’autore avesse raccolto tutto il materiale occorrente prima del 1712 e se non fosse stato sorpreso da circostanze impreviste mentre l’aveva cominciata a stendere. Ma se questa Dissertazione fu continuata a più riprese entro un periodo di undici anni, non riuscì pertanto meno concludente e pregevole. Il Canneti non ebbe fretta di trionfare: tanto si sentiva sicuro del fatto suo; finì e pubblicò il lavoro suo quando volle finirlo e pubblicarlo, non curandosi di tutte le sollecitazioni, gli eccitamenti, le provocazioni e i lamenti che gli venivano da più parti, e compiacendosi soltanto, forse, di veder crescere ogni giorno più l’aspettazione dei dotti intorno a lui. Egli studiò intanto tutte le mosse degli avversari del Frezzi ed attese per lungo tempo che l’avversario principale scendesse in campo, come avea promesso; e se questo fosse avvenuto, certo la parte più importante del suo lavoro sarebbe stata la confutazione dei suoi argomenti. Ma quando vide vana la sua attesa, egli comprese che la difesa del Frezzi non sarebbe riuscita esauriente senza la critica del codice bolognese il quale attribuiva il Quadriregio al Malpigli, e che la critica sarebbe stata inutile senza l’esame diretto di esso. A questo bisogno di raggiungere la prova tangibile d’una frode letteraria compiuta a danno del Frezzi in un manoscritto del 400 si deve anche il ritardo enorme frapposto dal Canneti fra il principio e la fine del suo lavoro: infatti dopo la collazione del codice alterato egli non tardò che pochi mesi a pubblicarlo (t). E poichè il frutto di quella esso, | Monsignor FepeRrIGo Frezzi. | All'Eminentissimo e Reverendissimo | in Cristo Padre Signore | FRA VINCENZO MARIA ORSINI | DelPOrdine dei Predicatori, Vescovo Por | tuense, Cardinale della Santa Romana | Chiesa, 0 Arci» vescovo di Benevento. — A pag. 79-80 si leggeva un’Aggiunta e Correzione: a p. 81-86 un Indice delle cose più notabili contenute nella Dissertazione Apologetica: a p. 87 le approvazioni delle autorità ecclesiastiche: a p. 88 un breve erratacorrige. (1) L’autografo cannetiano non si è ritrovato fra le carte numerose del dotto frate, che la Classense conserva. Dove sarà andato a finire? Nè l’Arisi in Cremona literata, nè il MAZZATINTI nel suo Inventario della Classense di Ravenna ce lo sanno dire. Che il Canneti abbia fatto dono del suo ms. all'Accademia folignate? Per quanto ciò mi sembri un po’ improbabile, questo sarebbe l’unico modo di spiegarne la perdita, poichè nulla ci è pervenuto degli atti di quell'Accademia. LO ogle ni IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ. FREZZIANA 775 collazione venne ad essere il punto, si può dire, più saliente della monografia cannetiana, la lenta elaborazione che questa ebbe fu la fortuna in pari tempo del Frezzi, dei Rinvigoriti e del Canneti stesso. Il quale, dopo una larga distribuzione gratuita di copie della sua Dissertazione, sì ebbe un coro di elogi e di applausi epistolari. Il padre G. B. Cotta (il famoso autore della raccolta di inni Dio), A. M. Salvini (che fino a pochi anni prima avea mostrato di essere d’accordo coi Bolognesi), P. I. Martelli (che una volta si era tanto adoperato in favore del Malpigli), il padre Bonifacio Collina (che aveva procurato all’ autore della Dissertazione il prestito del codice bolognese), A. F. Marmi, il Fontanini, il Baruffaldi, il Crescimbeni, il Muratori e lo stesso Bottazzoni (che avea dovuto rinfoderare la sua spada inutilmente sguainata in difesa del citato suo concittadino) furono i primi a mettere in rilievo l’importanza dell’opera del Cannetì. A tutte codeste lettere che furono scritte tra la fine del 1724 e il principio del 1725, ne seguirono parecchie altre da Roma, Firenze, Perugia, Ravenna, Fabriano, Colorno e dall’estero, dove il dotto camaldolese aveva amici ed ammiratori specialmente nella gerarchia ecclesiastica: nè mancarono le congratulazioni del papa Benedetto XIII, a cui l’autore avea dedicato il suo scritto (1). Così il mondo letterario e quello religioso furono d'accordo nel tributare lodi al Canneti: non una voce dissonante, non una critica, non un appunto (2): solo qua e là il lusinghiero rimprovero, per l’autore, di non aver pubblicato prima un saggio così importante del suo ingegno e della sua coltura. Nè diversi suonarono gli annunzi bibliografici del tempo, come quelli dei Foglietti letterari di Almorò Albrizzi (3), del Giornale dei letterati d’Italia dello Zeno, che però promise un articolo particolare sulla monografia cannetiana, il quale non venne mai alla luce (4). (1) Tutte codeste lettere sono conservate, quali interamente e quali in estratto, nella Misc. ms. XXVI della Classense di Ravenna. (2) Solo il Baruffaldi, nella lettera del 20 dicembre 1724 si lamentava « della « varietà dei caratteri » usata nella Diss. (Cfr. la lettera cit. nell'Appendice VI al mio citato studio su Un’ Accademia umbra ecc.). (3) Cfr. la rivista cit., vol. III, fasc. del 22 gennaio 1725, pp. 40-45. (4) Cfr. la rivista cit., vol. XXXVI, pp. 347-349. 776 ENRICO FILIPPINI Intanto era terminata la « tiratura » dei due volumi del Quadriregio e dei commenti fatti ad esso dall’Artegiani, dal Pagliarini e dal Boccolini (1); e in fondo al secondo di quei volumi riappariva per una strana ironia la Dissertazione del Canneti, che non aveva potuto precedere come prefazione il poema nel primo (2). E vi riappariva tale e quale come nell’edizione separata, cioè con le stesse intestazioni, con la stessa disposizione della materia, con la stessa impaginazione ed anche con la sua dedica e numerazione speciale di pagine: ciò che dimostra che non si tratta di una seconda edizione del lavoro cannetiano, ma della stessa impressione del 1724 adattata fin d’allora ed aggiunta ora alla ristampa illustrata del poema frezziano. In questa circostanza, fra le lodi tributate al. l'Accademia folignate per la tanto attesa pubblicazione, ce ne furono di nuove anche per il Canneti, che in verità non si era occupato soltanto di scrivere la Dissertazione, ma aveva curato l’edizione critica del Quadriregio più degli altri suoi collaboratori ed aveva inoltre ora riveduto, ora ritoccato, ora ampliato il triplice commento aggiuntovi; per un cumulo però di circostanze diverse, indipendenti, credo, dal valore dell’opera, minori furono gli elogi della stampa bibliografica (3). Del resto, il successo del p.Canneti era già un fatto compiuto ed egli non aveva bisogno di nuove attestazioni di stima. Tuttavia ne ebbe più tardi, prima e dcpo la sua morte, quando specialmente in mezzo al grande sviluppo della critica letteraria anche il poema del Frezzi fu fatto oggetto di nuovi studi per assegnargli il posto che merita nella nostra letteratura poetica. (1) Cfr. IL QUADRIREGIO | O POEMA DE’ QUATTRO REGNI | di Monsignor FepeRIco FREZZI | dell’ordine de’ predicatori | cittadino e vescovo di Foligno | corretto e coll’aiuto d’antichi Codici mss. alla | sua vera lezione ridotto ecc.1 Pubblicato | DAGLI ACCADEMICI RINVIGORITI | di Foligno | e da essi dedicato | alla Santità di nostro Signore | Para BeneDETTO XIII. — In Foligno . Mpccxzv. Per Pompeo Campana ecc. — Quanto a D. A. G. ARTEGIANI (1683-1730), egli è l’autore delle Annotazioni sopra alcuni luoghi del Quadriregio pubblicate appunto nel Il vol. del Quadr. del 1725. Era nativo di Arcevia e fu frate agostiniano: come tale visse parecchi anni a Foligno e fu presto accademico Rinvigorito. Per più minute notizie su di lui cfr. il mio cit. lav. su Un’Accademia umbra ecc., pp. 77 € sgg. dell'estratto. (2) La stampa del poema era cominciata fino dalla metà del 1720. (3) Se ne occuparono, credo, soltanto i citt. Foglietti letterari del 12 febbraio 1725, PP. 74-75. Go ogle ui R IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ, FREZZIANA 777 Se il Fontanini avesse pubblicato la seconda edizione ampliata della sua Biblioteca dell’ eloquenza italiana, che egli aveva preparato nel 1725 e che apparve soltanto postuma nel 1736 (1), egli sarebbe stato il primo in Italia a citare la monografia del Canneti in un’opera di consultazione generale: a citarla, non a lodarla pubblicamente, perchè il dotto friulano pare non potesse perdonare all’autore, come disse più tardi A. Zeno (2), l’accenno al suo errore d’aver ritenuto un tempo autore del Quadr:regio il Malpigli. Invece il primo ad additare ai dotti l’importanza della Dissertazione cannetiana e a valersene largamente fu un francese, il Niceron, che nel 1729, occupandosi del Frezzi e del suo poema, il-. lustrò la grande utilità dell’opera collettiva dei Ainvigoriti di Foligno e disse fra l’altro che l’illustre cremonese avea dimostrato incontrastabilmente la paternità frezziana del Quadriregio (3). Ma contemporaneamente si occupavano di lui gli annotatori dei Commentari del Crescimbeni e il canonico Francesco Mancurti, sebbene ì loro scritti apparissero nel biennio 1730-1731. I primi dissero del Quadriregio: « Che questo poema sia opera del Frezzi e non del « Malpigli lo fa vedere apertamente il P. D. Pietro Canneti Abate « Camaldolese testè degnamente promosso al Generale governo « del suo ordine (4) in una sua dissertazione che noi abbiamo veduta stampata dopo il Poema nell’edizione del 1725 », di cui riportavano il lungo frontespizio citando anche alcune parole dell’apologia (5). Il Mancurti, scrivendo la biografia del Crescimbeni morto nel 1728, comprendeva fra i suoi lodatori anche il Canneti, che lo aveva ricordato nella sua Dissertazione più volte (6). Ma se (1) Cfr. l'avvertenza al lettore, che il nipote del FONTANINI premette all’edizione accennata (Roma, Bernabò, 1736). (2) Nell’ediz. accennata, a p. 563, il FONTANINI citava semplicemente la Dissertazione Apologetica del P. D. Pier Canneti ecc. del 1723. Lo ZENO, ripubblicando più tardi l’opera del Fontanini in due volumi e illustrandola largamente, si occupò dei rapporti tra il Canneti e l’autore in due note a p. 309 del vol. I e a p. 139 del vol. II (Cfr. l’ediz. della Biblioteca ecc. di Venezia, Pasquali, 1753). (3) Cfr.i Memoires pour servir a l’histoire des hommes îllustres dans la republique des lettres etc. (Paris, 1729); Tome III, pp. 143-153. (4) Il Canneti divenne Generale dei Camaldolesi nel 1729. (5) Cfr. i Commentari del CRESCIMBENI, ediz. 1730-31, vol. II, p. I, 1. IV, p. 216: nota. 3 (6) Cfr. gli stessi Commentari, stessa ediz,, vol. IV, p. 269. 778 * ENRICO FILIPPINI il Canneti. potè vedere le parole degli annotatori e compiacersene, non così si può dire di quelle del biografo imolese, che furono pubblicate nel 1731, quando cioè egli era già morto da pochi mesi (1). Allora il Bianchi scriveva in suo onore la citata orazione e fra l’altro diceva: « Se nelle storie particolari dei secoli meno famosi fosse « intendente ben lo riconobbero con rossore que’ malaccorti, che « avendo voluto il poema del Quadriregto ad autor bolognese con- « cedere, con non meno faconda che erudita Apologia al suo vero « autore e a Foligno vera patria di questo restituì » (2). Le quali parole, sebbene inedite, come pare, coronano quel periodo di approvazioni ed elogi, che il Canneti sì era meritate per l’opera rivendicatrice da lui dedicata al poeta folignate. Nel 1735 il Niceron fornì brevi notizie sul Frezzi e l’opera sua agli autori del Supplement au Grand Dictionnaire historique di Luigi Moreri, che pare non avesse letto la monografia cannetiana (3). La quale fu poi registrata fra le opere del dotto cremonese dall’Arisi suo grande ammiratore (4), e ricordata dal Sassi per un’omissione che vedremo in seguito (5). E se il Quadrio, pur avendo conosciuto l’ultima edizione del Quadriregio e perciò anche la memoria del Canneti, non la cita affatto (6), lo Zeno pochi anni dopo non approva il silenzio del Fontanini rispetto all’erudito frate là dove il primo parla dell’ ultima ristampa di quel poema, e trova in- (1) Il Canneti mori a Faenza îl 1° ottobre 1730. Oltre le biografie accennate di sopra, cfr. in proposito una corrispondenza da Faenza alle Novelle della repubblica delle lettere dell'anno 1730, pp. 340-343, che contiene un breve cenno biografico del Canneti e l'elenco dei suoi scritti, tra cui anche la dissertazione sul Frezzi del 1723. (2) Cfr. la cit. orazione funebre, che si conserva nella Classense. (3) Questo copioso Supplemento fu fatto, come è noto, per servire all'ultima edizione dell’opera moreriana del 1732. (4) Cfr. op. e |. citt. i (5) Cfr. la sua Mistoria litteraria-typographica mediolanensis in Bibliotheca scriptorum mediolanensium etc. (Milano, 1745), to. I, p. 574, nota c. (6) Cfr. Della storia e ragione d’ogni poesia, to. IV (Milano, Agnelli, 1749), pp. 262-263, in cui allude chiaramente all'ediz. folignate del Quadriregio. Tutto quel cenno par fatto sulla Diss. del Canneti; senonchè il Quaprio vi aggiunge di suo (o, meglio, del Fontanini), un’ allusione allo Speroni. E’ strano poi che nel to. VI della stessa opera (p. 41) torni a parlar del Frezzi a proposito della Cosmografia attribuitagli da un codice parigino, ima negatagli definitivamente dal Canneti nel cap. 1]X della Diss. # IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ, FREZZIANA 779 giusto che altrove lo nomini soltanto compensando così male le varie espressioni di stima per lui profuse nella stessa” memoria (1). ll Mittarelli, non pago di aver accennato a questa nella biografia del Canneti, vi allude più ampiamente in un’opera bibliografica per i codici e le edizioni del Quadriregio da lui registrati e per la vera paternità del poema (2). Vienè poi il Fantuzzi, che parla della Dissertazione cannetiana in più luoghi dei suoi Scrittori: bolognesi, ma specialmente nella biografia del Malpigli, dove attinge ad essa per determinare il suo principale ufficio a Roma e per negargli la composizione del libro dei quattro regni (3). Poco dopo, il Tiraboschi, toccando dello stesso Malpigli come possibile autore di questo poema e dopo aver riferito le opinioni del Crescimbeni e del Fontanini, si compiace di affermare: « E veramente le ragioni e le pruove « con cui il P. Don Pietro Cannetti (sic) abate camaldolese nella « sua Dissertazione apologetica aggiunta all’ultima edizione del u Quadriregto ha dimostrato autor di quell’opera il Frezzi, sembrano « escludere ogni dubbio » (4). Così ricordano lo scritto cannetiano l’Audiffredi mentre illustra la ristampa bolognese dello stesso poema (1494) (5) e l’Haim che fa un breve accenno alle edizioni dell’opera frezziana, risale ancora all'elenco datone dal Canneti e non si accorge dell’aggiunta del Sassi (6). E quando il Vermiglioli dimostrò di non (1) Cfr. la cit, ediz. della Biblioteca ecc. del FONTANINI, con note di A. ZENO, to. I, p. 309 e to. II, p. 139. (2) Cfr. op. cit., vol. 1X (aggiunte), pp. 144-145, e la sua Bibliotheca codicum mss. monaslerii S.i Michaelis Venetiarum etc. (Venezia, 1779), col. 4I0. (3) Cfr. op. cit., to. V, pp. 145-147, dove dice tra l’altro che il Canneti « ha dimostrato chiaramente » che il tanto discusso Quadriregio appartiene a Federico Frezzi. Il FANTUZZI parla anche di lui, nella biografia di Tommaso Leoni, per confermare ciò che il Canneti dice sulla impossibilità che questi abbia scritto il Fior di virtù e sulla frode da lui commessa nel redigere il cod. bolognese del. Quadriregio. (4) Cfr. la sua Storia della letter.® ital. (Modena 1789 e Milano 1824) to. VI, p. 1228. E’ strano che anche il TiraBoscHÙi attribuisca, come il QuADRIO, al Frezzi la Cosmografia, di cui ho già parlato in altra nota (cfr. l’op. cit., to. V, p- 594 della prima edizione). (5) Cfr. il suo Specimen criticum editionum italicarum saeculi XV etc. (Roma, 1794), pp. 98-99, dove l’autore illustra l'edizione bolognese del Quadriregio. (6) Cfr. la sua Biblioteca italiana ecc. (Milano, 1803), vol. Il, p. 15, n. 3, dove l'autore registra il poema frezziano. Noto che questo bibliografo, dopo aver 780 ENRICO FILIPPINI aver saputo far buon uso della Dissertazione, pur avendone accettate le conclusioni principali, mentre discuteva delle origini della stampa perugina (1), sorse a confutarlo e a difendere il Canneti punto per punto il Brandolese (2). Finalmente il Ginguenè, nel tessere una breve biografia del Frezzi, non potè fare a meno di attingere le notizie principali alla fonte cannetiana, che citò opportunamente in nota (3). Ormai quella monografia, che l’autore stesso, forse con troppa modestia, avea chiamato « operetta », era diventata un documento necessario per lo studio di tutto ciò che concerneva il poeta folignate ed il suo poema: la sua fortuna, specialmente per opera del Tiraboschi e del Ginguenè, era stabilita nella repubblica letteraria. Ma in seguito la Dissertazione avrebbe potuto soddisfare la critica sempre più esigente? Nessuno, credo, ci pensò ed intanto parve anche opportuno fare una nuova edizione del lavoro cannetiano. Questa si ebbe nel 1839 quando fu ristampato per la nona volta anche il Quadriregio. Fu Francesco Zanotto che volle opporricordato la Diss. del Canneti e dopo aver accennato alla supposta paternità malpigliana del Quadriregio, afferma che il poema « è fatto a somiglianza di Dante « e dopo di esso è il più studiato ». (1) Cfr. i suoi Principî della stampa in Perugia (Perugia, Baduel, 1806), pp. 159-163. Il VermigLIoLI parla del Canneti anche nelle sue Biografie degli scrittori perugini, to. I, parte II, p. 351, a proposito di alcuni codici che egli avrebbe trasportati da Perugia a Ravenna. (2) Cfr. il suo opuscolo su La tipografia perugina nel sec. XV illustrata dal sig. Vermiglioli ecc. (Padova, 1807) pp. 38-42. ll BRANDOLESE sottopose a una critica minutissima la monografia del VERMIGLIOLI e ne rilevò tutte le inesattezze, le capricciose affermazioni, e gli errori. Vedremo più oltre il fatto più notevole di questa polemica: qui noterò soltanto che il BRANDOLESE rivendica giustamente al Canneti anzichè allo Zeno l’emendazione del Fontanini sulla paternità del Quadriregio, rimprovera il VERMIGLIOLI per aver copiato di seconda mano e a sproposito una citazione degli Annales del MAITTAIRE e per non aver visto nella Diss. che cosa l’autore pensasse delle ragioni per cui il poema frezziano sarebbe stato pubblicato a Perugia nel 1481 e non a Foligno, dove fin dal 1470 si stampavano libri. 4 (3) Cfr. la sua Histoire litteraire d’ Italie, tradotta in italiano da B. PEROTTI (Milano, Commercio, 1823-25). Nel vol. IV della traduzione italiana, cap. XVII, Pp- 71-79, si parla a lungo del Frezzi e del Quadriregio, e precisamente a p. 72 è citata in nota la Diss. del Canneti come fonte delle notizie biografiche del poeta. IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ. FREZZIANA 781 tunamente inserire nel Parnaso Italiano dell’Antonelli di Venezia anche il poema di Federico Frezzi, che non si ripubblicava da più d'un secolo e che egli considerava come opera d’un « nobilissimo « ingegno e da ascriversi fra coloro che le lettere e le scienze in- « nalzarono nel secolo decimoquarto in questa bellissima nostra pa- « tria l’Italia » (1). Per dare esecuzione a tale suo disegno si valse naturalmente della ristampa folignate del 1725 e pensò bene di premettere al testo poetico la tanto apprezzata apologia del Canneti « siccome quella che oltre a dimostrare essere questo poema del « Frezzi, va toccando qui e qua sui pregi che l’adornano e invo- « glia così il lettore allo studio di esso » (2). Così la dotta Dtssertazione sorta nella mente dell’autore come vera e propria prefazione o introduzione al poema frezziano, divenuta poi lungo l'elaborazione una monografia a sè e finalmente costretta a far da coda al ristampato Quadriregio del 1725, riprendeva nel 1839 il suo legittimo posto. Ma la ristampa del lavoro cannetiano non ebbe fortuna. Essa, per quanto più corretta, più chiara e più pratica della prima edizione folignate, presenta degli altri difetti come quello dell’essere stata distesa in due sottili colonne per pagina e quello dell’aver perduto, con la lunga intestazione originaria, anche l’indicazione del dedicatario, sicchè leggendo il primo capitolo non si sa a chi sia rivolto il discorso. Se poi a codesti difetti si aggiungono quelli relativi alla stampa del poema e dei suoi commenti, si comprende benissimo che l’editore, pur avendo avuto delle ottime intenzioni, si lasciò prender la mano dalla fretta e non rispose a tutte le esigenze degli studiosi. Certo è che questi, non potendo affidarsi completamente alla ristampa del 1839, continuarono a servirsi dell’opuscolo del 1724 o della copia inserita nel secondo volume del 1725; (1) Cfr. il vol. 1V del cit. Parnaso Italiano, in ottavo, e l'avvertenza a chi legge, firmata da Francesco Zanotto. E’ noto poi che contemporaneamente e cogli stessi tipi l’Antonelli pubblicò un Parnaso classico italiano in piccolo formato, in cui fu anche dato posto al Quadriregio (cfr. i tomi LII-LV); ma in quella minuscola edizione la monografia del Canneti fu semplicemente riassunta, forse dallo stesso F. Zanotto, nella breve Vita di Federico Frezzi, che sta in testa del primo volumetto. (2) Cfr. la stessa avvertenza. Go ogle 782 ENRICO FILIPPINI e quella finì coll’ essere dimenticata insieme con la nona edizione del poema (1). È impossibile ricordar qui tutti coloro che si occuparono o ricorsero con profitto alla Dissertasione del Canneti in mezzo al grande risveglio degli studi critico-letterari del secolo scorso e di questi primi anni del secolo ventesimo. Essi sono legione, da G. Cappelletti che toglie da quella monografia un documento importante per la storia delle Chiese d’Italia (2), al padre V. Marchese che oltre a profittare di molte notizie biografiche relative al Frezzi illustra ciò che il Canneti dice sui rapporti che esistono tra lui e l’Ariosto (3); da F. Palermo che, pur discutendo un’ affermazione del dotto cremonese, giudica « chiare » le prove da lui addotte contro la falsa attribuzione malpigliana e « sufficientissima a convincere » quella che si desume dall’alterazione dei famosi versi del cap. 1X del 1. IV (4), al Faloci-Pulignani che, pur facendo le sue riserve su un punto della biografia cannetiana del Frezzi, dice che la Dsssertazione contiene « il più e il meglio delle notizie frezziane » (5); da G. Bragazzi che tien conto di ciò che il Canneti pensa sul primato-tipografico di Foligno (6), ad A. K. Salza che mette in evi. denza un’involontaria inesattezza dello stesso apologista (7); da (1) Cfr. in proposito il mio studio su Le edizioni del Quadriregio in « Bibliofilia », voll. VIII-IX (1906-1907), cap. IX. (2) Cfr. Le Chiese d’Italia, vol. IV (Perugia, Artonelli, 1844), p. 431. (3) Cfr. il suo Saggio intorno agli antichi poeti domenicani in « Scritti vari » (Firenze, Le Monnier, 1860), vol. II, pp. 140-143. Correggo qui una svista in cui caddi nel mio studio su Le relazioni tra i due poemi del Frezzi e dell’ Ariosto in Varietà frezziane citt., p. 16, affermando che il p. MarcHESsE non avesse ricordato affatto la Diss. del Canneti, mentre un esame più attento ora mi mostra che nel luogo citato egli vi accenna in due note a pp. 140-141. (4) Cfr. I manoscritti palatini di Firenze ordinati ed esposti ecc. (Firenze, 1853). vol. I, pp. 599 € 6o4. (5) Cfr. Le lettere e le arti alia corte dei Trinci, ecc. (Foligno, Salvati, 1888), p.123, nota. Ma il FaLoci-PULIGNANI ricorda il Canneti anche in altri suoi scritti. (6) Cfr. il suo Compendio della storia di Foligno (Foligno, Tomassini, 1858- 59), p. 133. E’ però strano che il Bragazzi faccia questo solo fugace accenno alla Diss. del Canneti, mentre avrebbe dovuto e potuto parlarne di proposito nel cap. VII, dove si occupa « delle persone estranee che accrebbero gloria a « Foligno » o nel cap. VI, dove si occupa dei Rinvigorili. 5 (7) Cfr. Lorenzo Spirito Gualtieri rimatore e venturiere perugino del sec. XV in «e Raccolta di studi critici dedicata ad Alessandro D'Ancona » (Firenze, Barbèra, 1901), pp. 279-281. — IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ. FREZZIANA 783 C. Frati che accetta la confutazione cannetiana dell’attribuzione del Quadriregio al Malpigli fatta dal copista Lioni e sostenuta dall’Orlandi, senza accorgersi del capitolo dedicato dal Canneti al Ftor di virtù (1), alla signorina A. Fantozzi che si valse delle ricerche del -Canneti per illustrare il cod. Class. 239 cantenente il Ft/enico di Nicolò da Montefalco (2); dallo Zambrini che qualificò « assennata » l’opera rivendicatrice dell’erudito frate camaldolese (3), a B. Gilardi che, pur notando un difetto generale dell’ apologia cannetiana, ritiene che essa costituisca lo studio maggiore intorno al quadripartito poema « specialmente se si considera il tempo in cui fu com- « posta » (4); da L. Frati che riconosce la non difficile copia di argomenti e di erudizione messa in campo dal difensore del poeta folignate, non senza notare un’ altra inesattezza del Canneti sul Malpigli (5), a chi scrive queste pagine e giudicò forse con troppa fretta la Dissertazione rilevandone altri difetti, ma lodandola anche parecchio (6). Nè ora io riferirò qui quel mio giudizio, anche perchè dovrò modificarlo non poco in base ad altre ricerche da me fatte e ad ogni modo dovrò ritornarvi su nel corso della presente memoria e specialmente nella sua conclusione. Il. Da questa storia della fortuna del lavoro cannetiano appare che esso ebbe più lodi che appunti; ma fin dalla metà del secolo XVIII, cioè pochi anni dopo la morte del Canneti si comin- (1) Cfr. le sue Ricerche sul Fior di virtù in « Studi di filologia romanza », vol. VI (1893). (2) Cfr. Un canzoniere inedito del sec. XV in « Favilla » di Perugia, fasc. del settembre-novembre 1900, pp. 61-94. (3) Cfr. Le opere volgari a stampa dei secoli XIII e XIV ecc. (Bologna, Zanichelli, 1884), 4° edizione, p. 445. | (4) Cfr. i suoi Studi e ricerche intorno al Quadriregio di Federico Frezzi (Torino, Lattes, 1911), pp. 4,5 € 9. | (5) Cfr. Nicolò Malpigli e le sue rime in « Giornale storico della letter. ital. », vol. XXII (1893), fasc. 66, p. 318. (6) Cfr. il mio cit. lav. su Un'Accademia umbra ecc., v. I, pp. 223 € 225. 784 ENRICO FILIPPINI ciarono a notare i difetti della Dissertassone, che divennero poi sempre più manifesti e andarono man mano crescendo di numero, mentre dall’altro canto si continuava a valutare gl’indiscutibili pregi di essa. Nè i difetti sono stati indicati tutti, sicchè non si può dire che su questo documento sia stato pronunziato un giudizio definitivo. Occorre quindi sottoporlo a una nuova e più minuta disangina, indipendentemente dalla ottava ristampa del Quadr:regio per cui fu fatto, studiarlo in tutte le sue parti e sotto tutti gli aspetti, vedere a quali osservazioni della critica « ragionevole e « sana », come la vuole lo stesso autore (1), esso si presti e determinarne tutta l’importanza storico-critico-letteraria. Va notato anzitutto che, mentre l’autore chiama apologetica la sua Dissertazione, le dà per titolo le parole: Zutorno al o Del poema de’ quattro Regns detto altramente Quadriregio e del vero autore di esso Monsignor Federico Frezzi. Questo lungo titolo ci prepara evi. dentemente a una divisione del lavoro in due parti ben distinte; la prima delle quali dovrebbe contenere la trattazione di tutte le materie attinenti al Quadriregio, cioè della concezione, dell’indole, della forma, dell’argomento, del valore poetico e morale, delle relazioni che esso ha col poema dantesco e col medioevo, della lingua, delle trascrizioni, delle edizioni ecc., e la seconda lo svolgimento storico della maggiore quistione a cui il detto poema ha dato luogo, la confutazione della tesi della paternità malpigliana, la dimostrazione dell’altra che ne fa autore il Frezzi e la biografia ancora quasi ignota del poeta folignate. Ora il Canneti ha osservato codesta divisione dell’opera, che egli stesso ha proposto? Ha egli svolto in tutte le . sue parti il doppio argomento ? Ha seguito l’ordine della trattazione indicato nel titolo ? Vediamo. L’autore ripartisce la Dissertastone in 45 paragrafi e comincia coll’annunziare l’incarico datogli dai A:nvigoriti e col dedicare il suo lavoro al card. Vincenzo ‘Maria Orsini, indicandone iî motivi e dichiarando in fine che egli scrive una Difesa del Vescovo Fressi e dell’opera sua (par. 1). Annunzia poi la nuova edizione del Quadrsregio ormai divenuto rarissimo, pur essendo così ricercato (paragrato Il), si ferma su sei ristampe precedenti e specialmente sulla prima (parr. III-V), commenta il favorevole giudizio (1) Cfr. il par. l della cit. Diss. = IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ, FREZZIANA 785 del Corbinelli e la stima in cui tennero il poema Ludovico e Orazio Ariosto, riferendo le postille da essi fatte ad un codice della medesima opera, che erroneamente la attribuiva a Fazio degli Uberti (parr. VI-IX). Questo ms. dà occasione al Canneti di indicare e descrivere altri quattro codici del Quadriregio molto notevoli, specialmente lo Stoschiano, che lo assegnano quasi tutti al Frezzi (parr. X-XI). Di qui passa a fare la biografia del poeta folignate illustrando alcuni testi mss. da lui posseduti e conservatisi a Foligno, l’Accademia dei Concili da lui istituita in patria, due documenti notarili relativi alla sua famiglia, la Bolla pontificia di Bonifacio IX che lo nominava vescovo di Foligno e il suo intervento ai Concilii di Pisa e di Costanza, ove sarebbe morto nel 1416 (parr. XII-XV). Parlando poi dell’attività letteraria del Frezzi, afferma, contrariamente ad altre attestazioni, che di lui non ci è pervenuto che il Quadriregio e si appella a Nicola da Montefalco e a Niccolò Tignosio di Foligno vissuti nel 400 per assodare che in quel secolo il vescovo folignate era ritenuto l’indiscusso autore del famoso poema, in cui avrebbe anche incensato un po’ troppo i Trinci, signori di Foligno e suoi protettori (parr. XVI-XIX). A questo punto il Canneti dice: « Tempo è oggimai di pas- « sare alla lite mossa all'Autore del Quadriregio » (1) e viene così alla seconda parte del suo assunto. Riferisce ed esamina l’affermazione del Montalbani, discute sull’età del Malpighi, la cui giovinezza dovette corrispondere alla vecchiezza del Frezzi, parla della fortuna di quell’affermazione fino ai primi anni del 700 illustrando le opinioni del Fontanini, del Crescimbeni, del Muratori e dopo aver assegnato la composizione del poema al periodo 1380-1400, quella di un bolognese autorevole, il Martelli, del tutto favorevole al Malpigli, per dichiarare come questa sia una delle tante false attribuzioni di opere antiche, che si trovano nei codici e come sia necessaria molta prudenza nell’accettarle; di che si resero ben presto persuasi tanto il Crescimbeni e i redattori del Giornale de: letterati d’ Italia pubblicamente, quanto il Fontanini e il Muratori privatamente, accostandosi chi più chi meno al Frezzi (parr. XXXXVI). Di poi il Canneti passa all'esame del codice bolognese, su cui si era fondato il Montalbani e dapprima lo descrive esterna- (1) Cfr. il principio del prg. XX della cit. Diss. (O ogle P_i 756 ENRICO FILIPPINI mente notando l’attribuzione al Malpigli nel titolo e il nome di Tommaso Lioni come copista nella segnatura finale: illustra la losca figura di questo trascrittore e scopre nell’interno del codice le prove manifeste di due alterazioni del testo fatte a posta per confermare la paternità malpigliana del poema, e precisamente le sostituzioni del bolognese Nicolò della Fava al folignate Mastro gentile e della parola figliuolo a Folegno nel cap. IX del libro IV: sostituzioni dimostrate false dalle ragioni della metrica, della rima, del buon senso e della storia (parr. XXVII-XXX). Nota come il Quadriregio non contenga altri accenni a Bologna ed ai Bolognesi mentre ci parla così spesso dell’ Umbria; esclude che il Lionì sia autore del For di Virtù, che, secondo l’Orlandi, egli si attribuisce: osserva il consenso dei codici e delle edizioni del poema nel farne autore il Frezzi: mette in evidenza la stretta relazione tra le condizioni di questo e la materia da lui trattata, e senza nuocere alla fama del Malpigli e alla gloria di Bologna rivendica il Quadriregio al poeta folignate, che col bolognese non ha neppure al. cuna affinità stilistica, mentre usa qua e là forme decisamente umbre nell’espressione del proprio pensiero (parr. XXXI-XXXVII). Da ultimo il Canneti si ferma a parlar brevemente dell’ele ganza dello stile frezziano, dell’affinità del Quadriregio con la Commedia dantesca, della elevata coltura del vescovo-poeta, del modo in cui questi si occupa dell’amore, dell’ idealità, dell’onestà e della natura speciale di questa passione largamente svolta nel I libro, dei suoi intendimenti morali e del contenuto filosofico del poema (parr. XXXVIII-XLI]). Segue una esposizione dei criteri adottati nella prossima ristampa del Quadriregio e specialmente di quelli riguardanti le varie lezioni del testo, l’ortografia e il doppio titolo del poema (parr. XLIII-XLV). E la Dissertassone si chiude con queste parole : « Ecco quanto ci è occorso dire intorno al Quadriregio e alu l’ Autore dt esso, in occasione della nuova stampa. Se tutto ciò non « è per bastare a mettere entrambi in piena stima di ognuno, noi perciò non saremo per prenderci gran pensiero. Non resta però che, nel metter fine al dir nostro, noi, rivolgendoci al Vescovo « Frezzi, non terminiamo coi versi del Salvini: *# Io non ho lodi, onde il tuo nome fregi: “ Basta che a pochi e non al volgo piaci, “ Chè pochi intendono i tuoi veri pregi, LO ogle ui IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ. FREZZIANA 787 “* E i bei lumi del dire, e quelle faci “ Onde l’ingegno uman s’avviva e accende “ Di sublime virtù semi veraci ,, (1). Ma a queste parole, che suonano una lode illimitata dell’autore del Quadriregio e che ci richiamano subito alla mente la qualità di apologetica data dal Canneti stesso alla sua Dissertazione, l’autore fa seguire un’Aggiunta e correzione in cui si occupa del Tignosio e riferisce il testo dell’ iscrizione che si legge sulla sua tomba posta in Santa Croce fuori di Pisa, per rettificare le date della nascita e della morte del medesimo tramandateci dallo storico folignate Ludovico lacobilli e da lui prima accettate. Ora, considerando codesta aggiunta e correzione come una parte del par. XVIII e prescindendo anche dalla dedica iniziale, la Dissertaztone cannetiana, che nel titolo aveva una chiara divisione in due parti principali, ha preso nel suo corso uno sviluppo assai più largo e i temi trattati in essa sono ben cinque, cioè: 1° Introduzione sull’importanza del Quadriregio secondo le edizioni che se ne fecero e i codici che se ne conoscevano fino ad allora (parr. ll. XI); 2° Vita documentata e attività letteraria di Federico Frezzi, secondo le testimonianze del tempo che fu suo (parr. XII-XIX); 3° Storia della questione della paternità del Quadrtregio, confutazione degli argomenti addotti in favore del Malpigli, sviluppo di quelli che si espongono in favore del Frezzi, e rivendicazione del poema al poeta folignate (parr. X.X-XXXVII); 4° Arte e intendimenti dell’autore del Quadriregio (parr. XXXVIIIXLII); 5° Criteri seguiti dagli editori del 1725 nell’ottava ristampa — del poema (XLII-XLV). Lasciamo pure da parte quest’ultimo tema, che, se non è compreso nel titolo della Dissertazione, è giustificato però dal carattere di prefazione al Quadriregio ristampato, che essa doveva anche avere. Ma degli altri quattro il primo e il quarto si riferiscono alla prima metà del titolo, il secondo e il terzo alla seconda; si direbbe quindi che l’autore abbia voluto fare una suddivisione in parti uguali dei due temi accennati nel titolo: suddivisione che veramente è riuscita alquanto disordinata. Infatti si potrebbe (1) Cfr. la Diss. ecc., p. 78. 788 ENRICO FILIPPINI subito osservare che il Canneti ci parla e ci illustra la figura del Frezzi prima di aver dimostrato che egli è l’autore del Quadrtregio e non il Malpigli, svolge la storia esterna del poema innanzi di parlarci del suo valore intrinseco e separa questi due temi che dovrebbero stare uniti, con l'inserzione degli altri due. Ma vediamo piuttosto se l’autore ha mantenuto le promesse fatte ne] titolo, se cioè il lettore trova nella Dissertazione tutto quello che egli ha diritto di aspettarsi (1), È certo che il tema del vero autore del Quadriregio è stato così ampiamente svolto, che non ammette discussione: questa doveva essere la parte principale della Dissertazione e tale è realmente riuscita. Ma l’illustrazione del Quadriregio è tutt'altro che completa. ll Canneti dà maggiore importanza allo studio esterno del poema che all’interno. Parla di codici e di edizioni, parla del credito in cui fu tenuta l’opera frezziana, parla della lingua, delle varianti e del titolo; ma quando ci si aspetta un’esposizione sommaria del poema, quando si vorrebbe un’analisi della concezione, dell’allegoria e dei significati del Quadriregio, noi sentiamo che tutto questo manca nella Dissertazione. E se l’autore ci parla degli amori che si svolgono nel I libro del poema, nulla ci dice degli altri regni (2): nè si ferma a discorrere della forma che essi hanno e delle relazioni loro con altre rappresentazioni simili. Ciò che riguarda poi l’arte frezziana e l’imitazione dantesca nel Quadriregio è troppo generico e sommario; e se gl’intendimenti morali del poeta sono stati discretamente lumeggiati, lo studio della personalità sua nel poema è stato affatto trascurato, come è trascurato quello delle relazioni del Quadriregio col secolo a cui appartiene e con le condizioni dell’Italia d’allora. Noi del secolo XX pretendiamo forse un po’ troppo da un critico del primo settecento; ma da una mente equilibrata come quella del Canneti avremmo dovuto aspettarci una Dissertazione non solo (1) E’ da osservare qui che essa non è una vera e propria Dissertazione, se per Dissertazione s'intende « un'esposizione ordinata ci quello che uno o più studi abbiano messo in sodo », in cui però non sia necessario addurre le prove d’ogni cosa asserita e che abbia un fare più largo del semplice studio, Questa è piuttosto una larga Introduzione alla lettura del poema, sebbene vi manchino ancora molte cose perchè possa spianare la via alla lettura medesima. Tuttavia continueremo a chiamarla Dissertazione come la chiamò l’autore. (2) Li nomina solo di sfuggita nel par. XLII. - IL P, DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ, FREZZIANA 789 meglio costruita, ma anche più nutrita nella sua prima parte, Sembra a chi la legge che egli non si sia proposto che di difendere e lodare il vero autore del poema, e che di questi parli soltanto per incidente e in quanto occorre per illustrare la figura del poeta, È vero che egli intitola il suo lavoro Dissertazione apologetica, è vero che egli fin dal primo paragrafo parla di Difesa del vescovo Frezzi e dell’opera sua e che dal principio alla fine non abbiamo che una serie di difese e di lodi (1); ma questo partito preso gli fa perdere di vista ogni imparzialità, gli impedisce di mostrare i difetti dell’opera, lo fa sorvolare su parecchi argomenti non poco notevoli per la comprensione generale del Quadriregio. Nè il Canneti, se ascoltasse queste osservazioni, potrebbe invocare a suo discarico il fatto che i suoi collaboratori il Pagliarini, il Boccolini e l’Artegiani avevano illustrato in una lunga serie di note filosofiche, storiche e linguistiche l’opera del Frezzi ed egli non doveva prevenirli, perchè, mentre essì analizzavano e chiarivano tante espressioni frezziane, avrebbe fatto bene a sintetizzare quei commenti, che del resto non erano per se stessi neanche completi (2). Forse (1) Il Canneti non difende soltanto il Frezzi dall'accusa del Montalbani, ma anche da quella, di piaggeria, fattagli dal Tignosio (cfr. par. XIX) e da altre, pos- . s bili, come quella d’una certa rudezza di stile (cfr, il par. XXXVIIB, quella d’aver poetato d’amore egli sacerdote e teologo (cfr. il par. XL) ecc. (2) Dei pregi e difetti speciali di questi commenti io ho parlato tra le pp. 155-157, 201-205 dell’ estratto del mio citato lavoro su Un’Accademia umbra ecc. Riferirò qui soltanto ciò che dissi in generale sulle principali deficienze dei commenti medesimi. a Nessuno degli editori ci parla della struttura generale di quest'opera (il Quadriregio) e della connessione delle diverse parti del viaggio frezziano. Così, se uno di essi (l’Artegiani) cercò di spiegare le allegorie parziali, di cui è costituito il fantastico viaggio frezziano, nessuno s'è occupato dell’allegoria principale e della sua relazione con quella della Commedia dantesca. Spesso nei commenti si accenna all’imitazione del divino poema fatta dal Frezzi, ma in nessun luogo si parla della parte veramente originale del Quadriregio e specialmente del I libro, che serve come di antefatto a tutto ciò che dà materia agli altri tre libri. In genere i commentatori, preoccupati dal bisogno di rilevare il significato e il valore morale e letterario del poema, trascurano di mettere in evidenza la ricchezza e l'opportunità delle immagini, la forza descrittiva e rappresentativa, la bellezza di certe espressioni e l’efficacia di certi versi che si possono qua e là notare da chi legga attentamente £* aAA AA aail Quadriregio » (cfr. lav. cit., pp. 248-249 dell'estratto). Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. IV. | 5] 790 ENRICO FILIPPINI tutto ciò è effetto di quella condizione speciale in cui il Canneti, come dissi nella prima parte della presente memoria, venne a trovarsi, di non aver potuto cioè fare un lavoro ininterrotto e tranquillo; ma qualunque ne sia la causa, la mancanza di una solida orditura e le deficienze generali della trattazione in questa monografia mi paiono troppo manifeste perchè io debba metterle in maggiore evidenza davanti agli occhi dei lettori. Non voglio parlare di altri difetti generali dello scritto cannetiano, minori certamente rispetto a quelli indicati fin qui, come il gran numero delle parentesi curve e quadre, la frequenza delle citazioni nel testo, l’uso eccessivo di differenti caratteri, la mancanza di molti utili chiarimenti e d’indicazioni più precise ecc. che interrompono e rendono meno spedita la lettura. Codeste sono mende proprie di quasi tutte le scritture e le stampe del tempo e non hanno un gran peso nella valutazione dell’ opera. Ma non è certamente da porre fra i difetti minori l’abuso che il Canneti fa della digressione e che giustifica in gran parte l’accusa di prolissità lanciatagli di recente, come abbiam visto, dal Gilardi. Delle frequenti digressioni cannetiane ho già parlato anch’io (1); ma, essendo questo il fatto più caratteristico della /issertazione, sarà bene tornarci su con maggiore ampiezza e mostrare come esse, pur dimostrando la grande erudizione dello scrittore settecentista, nocciano, più che giovare, alla rapida ed efficace trattazione degli argomenti principali, che il Canneti sì propose di svolgere. III La prima digressione veramente notevole ci si presenta nel bel principio della Dissertazione. L'autore ha appena cominciato a parlare delle edizioni del Quadriregio e, sbrigatosi della prima fatta a Perugia nel 1481, dovrebbe occuparsi subito delle altre, quando egli invece si ferma e dice: « Sembra bensì luogo qui non disa- « datto, per osservare come la notizia di questa prima impres- « sione del Quadriregio conferisce ad illustrare maggiormente (1) Cfr. Un’Accademia umbra ecc.; vol. I, pp. 220-232 dell’estratto. i IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ. FREZZIANA 797 « l’istoria dei primi anni della stampa, intorno alla quale hanno faticato con lode e faticano tuttavia molte brave penne di là da «i monti ». E giù un lungo paragrafo (il IV) sulle origini dell’arte della stampa a Perugia e a Foligno, per criticare il Maittaire e l’Orlandi, per citare altre opere uscite dalla prima tipografia folignate e per affermare la precedenza di questa sulla perugina. Ognuno comprende che, se tutto questo è importante per sè, non ha alcuna relazione con la fortuna del Quadriregio e se il Canneti cì avesse risparmiato questo paragrafo, la cui materia se mai sarebbe stata più a posto in una nota o in un’appendice, non avrebbe avuto neanche bisogno di cominciare il seguente con le parole: » Ripigliando il filo delle sei edizioni ecc. ». Così, dopo aver parlato di Nicola da Montefalco e di Niccolò Tignosio come assertori della paternità frezziana del Quadriregio, l’autore della Dissertazione dovrebbe passare senz’altro ad esporre e discutere la falsa opinione del Montalbani e dei suoi seguaci; ma non lo fa subito. Ed ecco che a principio del par. XIX noi leggiamo: « Io osservo però che quanto favorevole al Frezzi è la testi- « monianza di Niccolò Tignosio per vendicargli come sua l’opera « del Quadriregio, altrettanto pregiudiciale riesce al costume ed alla « fama del venerando Prelato nel gettar sopra lui Ja brutta macchia « dell’adulazione, da cui fu sempre lontano. Le parole del passo « addotto (1), venendo sinceramente da un cuore per gli successi « de’ suoi tempi amareggiato, direttamente feriscono tutti i Signori « di casa Trinci come Tiranni, e insieme di riflesso percuote il « nostro Poeta come adulatore. Quindi io mi veggio costretto ad « uscire alquanto di strada per riparare il Frezzi dal colpo, che « viene contro a lui ingiustamente scaricato ». E scrive tre lunghe e dense pagine discutendo punto per punto l’affermazione del dotto medico folignate, illustrando le figure principali di casa Trinci, cioè Trincia, Ugolino e Corrado, dei quali i primi, di cui il Frezzi parla, non furono affatto tiranni come il terzo, contemporaneo dello stesso Tignosio e finito malamente per il suo infame dominio. Ora questa (1) Sono le parole: Falsa est FEDERICI sententia, qua, ut Tyrannis applauderet, dixit Troam fecisse Trevium, exinde Trincios progeniem exisse, che il Canneti nel par. precedente riferisce togliendole da un trattatello De origine Fulginatum del Tignosio, conservato nella biblioteca del Seminario di Foligno. 792 ENRICO FILIPPINI digressione è meno ingiustificata dell’altra, servendo sempre a colorir meglio il carattere morale del vescovo-poeta; ma non cessa per questo di essere una digressione, se non per altro, per il luogo che occupa nella Dissertazione: l’autore stesso lo riconosce con quell’« uscire alquanto di strada », che egli ritiene quasi necessario. Forse il Canneti avrebbe fatto meglio a trasportare questo paragrafo alla quarta parte del suo scritto, cioè là dove studia gl’intendimenti dell’ autore del Quadr:iregto. Qui la lunga esposizione difensiva disturba la mente del lettore e l’allontana dal filo conduttore della discussione, come un particolare episodio ariostesco ci impedisce di seguire l’azione principale dell’Orlando Furioso, seppure il paragone fra un'opera critica ed un poema romanzesco è possibile. Poco dopo, il Canneti non aveva alcun bisogno di occuparsi di Graziolo Bambagiuoli e del suo famoso Zrattato delle volgari sentenze sopra le virtù morali; ma, visto che il Martelli, oltre ad aver chiamato il Malpigli « vero autore del Quadriregio », l’avea posto in compagnia del Bambagiuoli, non seppe resistere alla ter;- tazione di dedicare a questo scrittore un intero paragrafo, il XXIV, solo perchè anche la sua opera come il poema frezziano era stata prima attribuita ingiustamente ad altro scrittore. Ma, sebbene egli dica che questo riscontro « fa molto al caso nostro », tuttavia si osserva che una tale somiglianza di fortuna non apporta nessun elemento nuovo alla soluzione del problema riguardante il Quadrrregio. Lo stesso si deve dire dell’altra falsa attribuzione della canzone malpigliana « Spirto gentil, da quel bel grembo sciolto » a Iacopo Sanguinacci, che il Canneti ricorda alla fine dello stesso paragrafo. Ma il lettore non si meravigli di questa terza deviazione dall’argomento principale, poichè essa non è che il principio di una assai maggiore e più singolare di tutte. Il par. XXV si apre con le seguenti solenni parole: « Immensa « fatica e all’intendimento nostro soverchia sarebbe schierar qui « anco una sola parte delle tante opere falsamente ad autori non « loro attribuite ». Ma poco dopo con manifesta contraddizione si aggiunge: « La storia letteraria ci somministra assaissimi esempi, « de’ quali basterà accennare alcuni più notabili ». E giù otto o nove di questi esempi che sono controversie sui diritti d'autore di certe opere letterarie, da quella « famosissima » riguardante « l’aureo Go ogle i ci IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ, FREZZIANA 793 « libro De imitatione Christi » a quella che si riferisce al volgarizzamento dell’/7istoria destructionis Troiae. Alla fine l’autore dichiara di aver fatto una « forse non inutile digressione »; ed invero il paragrafo tutto interessa molto i bibliografi, che vi trovano una chiara e succinta esposizione dello stato delle varie questioni letterarie fino al primo venticinquennio del secolo XVIII. Può interessare anche qualche specialista per ciò che concerne la Linea salutis monachorum sive eremitarum, a proposito della quale il Canneti ha avuto modo di accennare ai suoi studi sulle lettere del Traversari, a cui quest’ opera manoscritta venne falsamente attribuita. Ma lo studioso del Quadriregio e del Frezzi, più che convinto della possibilità di una falsa attribuzione nei codici, non ha bisogno di veder confermato il fatto con altri numerosi esempi in uno scritto di carattere speciale come la nostra Dissertazione. Egli sente che questo è affare di opere propriamente dette di consultazione generale e che negli altri scritti è semplicemente materiale ingombrante. Cosa può importare infatti a lui di leggere qui, se già non lo sapeva prima, che « la lettera di Pelagio eresiarca « a Demetriade intitolata De virginitate, passò per qualche tempo « fra le opere di S. Girolamo e di S. Agostino? ». Quale interesse proverà a sentir dire dal Canneti che Pomponio Gaurico tolse un distico alle sei E/egre dell’antico poeta Massimiano per pubblicarle sotto il nome di Cornelio Gallo nell’edizione veneta del 1501, ciò che si legge in ogni storia della letteratura latina? Come non troverà inopportuno e pesante il ricordo finale dell’ antico patriarca costantinopolitano Fozio, autore del Myriob:blon, che avrebbe per il primo accennato ad un libro malamente attribuito a Giuseppe Ebreo? Ecco dunque un altro lungo paragrafo, che, avendo una così sottile relazione col. Frezzi e col Quadriregio, aveva meno diritto degli altri sopra indicati di entrare e di occupare tanto posto nella Dissertazione cannetiana. Procedendo per ordine, un’ altra piccola digressione troviamo nel par. XXXI, quando l’autore fa uno strano paragone fra il Mal. pigli come supposto autore del Quadriregio e il Martelli. Egli osserva giustamente che, se questo poema fosse realmente opera del poeta bolognese, forse conterrebbe più numerosi accenni alla patria che l’unico nome di Niccolò Fava, il quale si legge in un solo codice al posto di Mastro Gentile da Foligno. Ma, pur prevedendo una 794 ENRICO FILIPPINI facile obiezione, il Canneti crede di poter contrapporre a questo fatto quello d’uno scrittore bolognese del settecento, che in quasi tutte le sue opere illustra la natia Bologna. E non si contenta di accennare al Martelli, ma esamina le sue Tragedie, il suo Canzoniere, il Commentario e il poema su Gti occhi di Gesù, e cita nomi e versi presi da codesti scritti. Ora non solo il paragone non ha ragione di essere perchè, come si fa obiettare il Canneti stesso, altri erano i tempi e i costumi del Malpigli ed altri quelli del Martelli, ma anche e soprattutto perchè non è necessario che chi scrive in prosa o in versi si occupi del suo paese naturalmente o storicamente considerato. Di fronte al Martelli ci sono centinaia di poeti e prosatori che non hanno mai nominato il loro luogo d’origine nei propri scritti. Del resto, qui bastava che il Canneti avesse detto quel che a principio afferma sul Malpigli: il paragone seguente è un di più. Fino a tutto il par. XXXI il Canneti ha esaminato minutamente il codice bolognese, ha descritto la figura del copista Tommaso Lioni ed ha già qualificato « una palpabile impostura » l’opera di lui ingenuamente compiuta sul Quadr:regio. Non avrebbe egli quindi più bisogno di parlare di lui e dovrebbe passare ad un’altra parte della Dissertazione; ma non è così. Siccome il Lioni è stato creduto anche autore del Ft0r di Virtù solo perchè il suo nome appare in fondo a un codice da lui trascritto, il Canneti si compiace d'’ intrattenersi intorno a questo trattato, che ebbe diverse attribuzioni e che fino ad allora non si sapeva che fosse di Fra” Tommaso Gozzadini come ha dimostrato nel 1893 il dottor Carlo Frati, ma che non si poteva per vari motivi neanche nel primo settecento assegnare al sospettato copista. Perchè ora questa altra digressione che occupa tutto il par. XXXII della Dissertazione, se l’autore qui ammette che il Lioni non pretese mai di comparire autore del Ftor di Virtù, che è opera manifestamente più antica di lui, se il codice da lui vergato non contiene nessuna colpevole alterazione e se più che il copista si vuol colpire l’Orlandi, che lo registrò fra gli scrittori bolognesi? Io non vedo altro m&fivo che quello di poter ripetere in fine dello stesso capitolo ciò che già sappjamo: se il Lioni può essere assolto del delitto di plagio riguardo al Fior di Virtù, non così può esserlo del delitto di falso per ciò che si riferisce al Quadriregio. Quindi la questione resta quella che era prima del presente paragrafo. » IL P. DON PIFTRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ, FREZZIANA 795 Nè codesta è l’ultima digressione dello scritto cannetiano. L’autore ha voluto darci anche un altro saggio della sua tenerezza per questo mezzo retorico di discussione oratoria e della sua abilità nell’usarlo. Quando nel par. XXXV sostiene con grande delicatezza che la rivendicazione del Quadriregio non pregiudica alla gloria della « letteratissima » Bologna nè a quella dell’eloquentissimo Malpigli, scrive un forbito elogio dei poeti bolognesi antichi e moderni. E sarebbe anche qui tentato di fare un’ enumerazione dei rimatori che Bologna ebbe nei secoli precedenti, se ciò non fosse, al solito, fuori del suo intendimento; nomina però e celebra alcuni dei viventi, come Giuseppe Orsi ed Eustachio Manfredi, che veramente si segnalarono di più in altri campi di attività intellettuale, oltre al Martelli già ricordato precedentemente. Così ripete anche i nomi di altri letterati contemporanei bolognesi e li mette per il loro « retto giudizio » al di sopra di quelli di altre regioni italiane. Ma se tutto questo giova moltissimo al Canneti il quale desidera rendersi favorevole l’ambiente che era stato più ostile al Frezzi, che cosa giova alla causa del Quadriregio? L'intenzione del Canneti è troppo manifesta perchè non si possa dire che questa sia non solo una digressione, ma anche una digressione, per quanto breve, altrettanto interessata e perciò poco bella. E che mai è se non una vera digressione l’aggiunta, con cui si chiude l’apologia cannetiana? Io ho già detto che cosa essa contenga e come completi e corregga un’affermazione precedente del Canneti stesso (par. XXIIl) con notizie avute quando la stampa della Dissertazione era già molto inoltrata. Noi possiamo osservare che questa aggiunta non è molto lunga; ma è certo che il nostro autore, se avesse avuto in tempo utile quelle notizie, le avrebbe inserite tali e quali nel testo del suo lavoro e il par. XVIII avrebbe acquistato una estensione maggiore del doppio. Nè questo importerebbe molto, se non si trattasse di materia affatto estranea al poema frezziano. ]l Canneti vuol trovare ancora in fallo lo storiografo folignate Ludovico Jacobilli come ve lo aveva trovato già altre volte (1); ed ora lo fa tanto più volentieri e quasi con « ven- « detta allegra » in quanto s’è accorto a Dissertazione finita e stampata d’essere stato tratto in inganno da lui nel determinare una (1) Cfr. i parr. XV e XVI della Diss., sui quali dovrò ritornare in seguito, 796 ENRICO FILIPPINI data biografica. Ma, mentre le altre rettifiche riguardavano il Frezzi e perciò avevano preso legittimamente posto in questo lavoro, la quarta riguarda il Tignosio semplice assertore dell’opera frezziana nel quattrocento e quindi non è assolutamente necessaria. Se sì pensa poi che il trasportare la vita del Tignosio un decennio indietro, cioè dal periodo 1412-1484 all’altro 1402-1474, non serve che a dimostrare che l'illustre. medico potè semplicemente conoscere nella sua giovinezza, anzi adolescenza, l’autore del Quadriregio, sì comprende anche meglio come questa digressione sia stata suggerita, più che dall’amore della verità, dal bisogno di soddisfare un sentimento poco benevolo verso lo Jacobilli, di cui l’autore rileva qui le notizie « fallaci e insussistenti » e mette in evidenza gli « sbagli », come altrove avea parlato di « abbagli », « confusioni », « svarii » ecc. del medesimo storico folignate (1). Si capisce in uno scrittore il bisogno di correggere un errore storico di poca importanza, anche imputabile alla fonte utilizzata, ma non si capisce l’uso di tante parole per una correzione simile, se non si ammette in lui un fine del tutto secondario. Queste sono le digressioni che saltano agli occhi di tutti coloro che leggono di proposito e per intero la Dissertazione cannetiana. Esse non sono, come s'è visto, tutte della stessa estensione nè tutte affatto inutili. Ma in complesso occupano quasi un quarto della monografia, la quale senza di esse correrebbe certamente più agile e spedita. E’ anche vero che codeste digressioni, come avviene generalmente, introducono nella Dissertasione una certa varietà, che è cosa sempre lodevole nei componimenti un po’ lunghi per se stessi; ma quando sono troppo frequenti e dense di erudizione, producono un effetto negativo, quello cioè di rendere pesante il lavoro di cui fanno parte; e il Canneti non è sfuggito a questa conseguenza. (1) Sul valore dell'attività storica di L. Iacobilli e sui criteri seguiti da lui nello svolgimento della molteplice opera sua scrissero molto bene e molto diversamente dal Canneti, che in fondo non conosceva dello storico folignate altro scritto che la Bibliotheca Umbriae, il FALocI- PULIGNANI (in Le memorie dei SS. Apostoli Pietro e Paolo nel villaggio di Cancelli - Foligno, Artigianelli, 1894 - pp. 91 e sgg.) e il Lugano, in Delle Chiese della città e diocesi di Foligno (lavoro stampato nel « Bollettino di storia patria per l'Umbria », vol. X, fasc. III, pp. 436-439). x IL P, DON PIETRO CANNFTI E LA SUA DISSERTAZ. FREZZIANA 797 Ma alle digressioni, nel componimento cannetiano, si aggiungono altre lungaggini strane, che non si può fare a meno di notare. Già il dotto cremonese era scrittore decisamente analitico, dallo stile vivace ma ampio, dalla parola facile ma abbondante, ed aveva continuamente bisogno d’insistere su certi concetti, di affermare e documentare, anche se la documentazione non era assolutamente necessaria (1). Non riferirò qui tutti gli esempi di simile ridondanza, ma basterà che io ricordi la dedica che si trascina per due fitte e grosse pagine (par. l) (2), i ventotto versi latini dell'Elegia di Gregorio Martinelli che vergò il codice cosiddetto martinelliano (par. X) (3), la biografia del Frezzi premessa nel par. XII a quella molto più ampia che segue fino al par. XV, la trascrizione della lunga bolla di Bonifacio ]X che elegge il Frezzi vescovo di Foligno (par. XVI) e la citazione di ben trenta versi di un capitolo di A. M. Salvini fatti per Dante e qui applicati al poeta folignate (par. XLII): tutte cose che evidentemente si potevano o abbreviare o riassumere o sopprimere affatto. Se oltre a ciò si considera che i parr. XLIII e XLIV sui criteri seguiti nell’ottava ristampa del Quadriregio non servono affatto a chi legge la Dissertazsone per rendersi conto dell’ importanza del poema e del diritto che ha il Frezzi ad esserne ritenuto l’autore, si conclude facilmente che la (1) E le citazioni in queste digressioni e lungaggini sono molto numerose, tantochè lo stesso Canneti ebbe a scrivere più tardi a Mariangelo Fiacchi: « Chi « leggerà tutta l’operetta, conoscerà ch’ho letto qualche cosa ». (Cfr. la lett. del 27 dicembre 1724 nel carteggio Canneti-Fiacchi della Classense, vol. IX). (2) A me pare che in un lavoro come questo la dedica dovesse restar fuori di esso in forma di lettera, come si vede in tante altre pubblicazioni simili del settecento, anzi di ogni secolo. E, poichè la Diss. doveva far parte di tutta la ristampa del poema frezziano, bastava la lettera dedicatoria che i Rinvigoriti avrebbero messo, come realmente misero, nel primo volume di essa. (Così si sarebbe anche evitato lo strano contrasto fra la Diss. dedicata al cardinale Orsini e il Quadriregio dedicato a Benedetto XIII, pur trattandosi della stessa persona. (3) L'elegia cominciante col v. « Forsitan auctoris nomen, Cumane, requiris » e diretta a Guglielmo Cumano non serve ad alcuna deduzione del Canneti, il quale poteva risparmiarsi benissimo di pubblicarla, se non per altro, perchè, se il codice Martinelli è scomparso fin da allora, esisteva ed esiste tuttora il codice Estense, oggi Classense 124, che fu esemplato su quello e che contiene anche l’elegia suddetta. Cfr. il mio studio su I codici del Quadriregio, ni 8 e 17 in « Bollettino di storia patria per l'Umbria », vol. X, fasc. HI. 798 ENRICO FILIPPINI parte veramente utile di essa per la critica letteraria moderna si riduce a poco più di cinquanta delle ottanta pagine in cui fu stampata. i Un altro difetto già da me notato (5) è il‘gran numero di lodi profuse nella Dissertazione a personaggi viventi. Abbiamo già visto quel che il Canneti scrive dei poeti bolognesi; si può intuire, anche se non si legge, quel che egli dice del dedicatario; ma si può affermare che non ci sia letterato del tempo che l’autore non trovi modo di nominare ed esaltare dal Muratori allo Zeno, dal Crescimbeni al Fontanini, dal Salvini al Baruffaldi, dal Beccari al Collina, dal Grandi al Bianchini, dal Boccolini al Vincioli, al Marmi ecc. Diverse sono le ragioni di questi elogi, nè si può dire che siano tutte ingiustificate e immeritate; ma esse sono troppe e troppo frequenti per non dover dire che il Canneti cedesse in questo modo al desiderio di procurarsi quel favore, che può formare la buona fortuna di un componimento letterario. Più d’una volta poi il Canneti cita, come documenti, delle lettere private che non si possono consultare sia perchè egli si è di- ‘ menticato di darne indicazioni precise, sia perchè sono andate perdute. Così, quando egli fa la storia della paternità del Quadriregio, chiude il par. XXVI con queste strane parble: « Intorno a quel « tempo (cioè al 1712) gli altri due sopra mentovati, Fontanini e « Muratori, dopo scoperto l’errore del Montalbani medesimo, ri- « trattarono il primo lor sentimento con lettere indirizzate a noi « stessi e al nostro Pagliarini ». Noi non vogliamo negare il fatto; ma osserviamo subito che ad un accenno così sommario di due lettere importantissime come quelle sarebbe stato preferibile o il riportare testualmente le loro parti più interessanti o il silenzio assoluto. Similmente, quando nel par. XXXII il Canneti si occupa del Fior di Virtù e della sua attribuzione a san Tommaso, che si legge in alcuni codici di esso, afferma: « Questa opinione, come « cortesemente ci riferisce il Cavalier Marmi, corre tra alcuni ce- « lebri letterati dell’Accademia della Crusca ecc. ». Ma la comunicazione del Marmi non è pervenuta fino a noi, e perciò non possiamo sapere quale fosse il'vero suo pensiero. Finalmente, quando il Canneti discute intorno al titolo vero del poema frezziano (1) Cfr. le pp. 223-225 del mio citato studio: Un’ Accademia umbra ecc. Go ogle ua IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ. FREZZIANA ‘799 (par. XLV), osserva: « Meglio però e più propriamente (di Qua- « trtregto o Quadriregio) gli sarebbe convenuto il nome di Quatri- « regno o Quatriregnto, come anticamente si usava scrivere; e in « tal guisa si potrebbe sospettare che da principio fosse scritto « (siccome accennò l’Abate Antonmaria Salvini in una lettera al « nostro Pagliarini) se ne’ libri a mano di ciò apparisse indizio « veruno ». Ora codesta parentesi è troppo poca cosa per chi volesse saperne un po’ di più sulla storia di quel titolo; ed egli non può far altro che ricorrere a una lettera del Pagliarini al Canneti in data 2 settembre 1715, in cui leggiamo: « Intorno alla voce Quadriregio che ha alquanto del barbaro, come dottamente ac- « cenna V. P. Rev.ma, il sig. Abate Anton Maria Salvini, in occa- « sione che gli mandai le rime del Barbati e lo ricercai se avea « presso di sè alcuna edizione di questo Poema, mi scrisse ch'egli « credeva dovesse scriversi Quadriregno o Quadriregnio e che per « errore degli stampatori fusse scorso il vocabolo Quadrtre- « gio ecc. » (1). Ma anche questa dichiarazione non è in tutto soddisfacente, anzi esso nello studioso accresce il desiderio di conoscere addirittura il testo della lettera del Salvini, che oggi purtroppo si ricerca invano. Il sistema, quindi, del Canneti di accennare a documenti privati in modo così incompleto è tutt'altro che bello in uno studio grave e serio come il suo. IV. Fin qui i difetti di carattere generale della Dissertazione cannetiana. Ma, come s’è visto, la critica si è anche esercitata su singoli luoghi di essa per parte di diversi scrittori, anzi queste osservazioni speciali si cominciarono a fare molto prima delle altre. Raccolgo ora qui quelle già fatte e poi ne aggiungerò delle altre, che una lettura più attenta dell’opera mi venne man mano indicando. Ma naturalmente non entrerò in minute discussioni, che in queste pagine non sarebbero opportune e che troveranno sede più acconcia in una serie di note apposte alla Dissertazione medesima. (1) Cfr. la lettera 422 della I appendice al mio citato lavoro su un’ Accademia umbra ecc. LO ogle 800 ENRICO FILIPPINI E parlerò soltanto delle osservazioni che hanno un certo fondamento (I). Fin dal 1745 il Sassi notava che il Canneti non conobbe e perciò non registrò fra le altre l’edizione milanese del Quadriregio apparsa nel 1488 per opera di Antonio Zarotto e considerata la seconda fra tutte e la più importante dopo la perugina del 1481 (2). L’osservazione era giustissima e importantissima, sicchè il Sassi fu il primo ad informarci di quella rara impressione milanese. E il silenzio del Canneti a questo proposito fa più meraviglia ancora se si pensa alle vanitose parole con cui annunzia nel par. Ill della sua Dissertazione le altre sei edizioni del poema frezziano ignote non solo al Maittaire, che in fondo era uno straniero, ma anche a quanti italiani « avevan pubblicati libri particolari sopra la storia « tipografica » come, per es., l’ Orlandi. Molti anni più tardi, il Faloci-Pulignani, nella preziosa biografia che ci ha dato del vescovo-poeta folignate, dissentiva dal Canneti nello stabilire i limiti di tempo, entro i quali il Frezzi avrebbe scritto il suo poema. Infatti, mentre il dotto cremonese chiude il par. XXIII con le parole: « Il detto fin qui basta a mostrare che « il poeta compose l’opera sua tra l’anno 1380 e il 1400, o. quivi « intorno », il critico moderno dichiara: « Io credo che durante « l’ultimo lustro del secolo XIV, mentre cioè dimorava in Foligno, « sì occupasse (il Frezzi) alacremente a comporre il suo poema, ed (1) Dico questo per escludere dal presente novero la critica del VERMIGLIOLI, che fu mostrata senza fondamento dal BRANDOLESE. Infatti, il primo aveva detto che il Canneti pare voglia riprendere nel par. IV il MAITTAIRE ed altri bibliografi perchè non riconobbero in Perugia stamperie innanzi al 1481, pur non sapendo additare egli stesso stampe perugine precedenti al Quadriregio ivi impresso in quell'anno; e aveva ragione il secondo di osservare che il Canneti non si meraviglia affatto di ciò, sibbene del silenzo di questa stampa nella prima edizione degli Annales del Maittaire e che, del resto, il dotto cremonese non trovava in esso alcun accenno ad impressioni perugine precedenti al 1481. Lo stesso si dica della critica di F. PALERMO, che, volendo stabilire la data della composizione del Quadriregio, trova inesatta la congettura del Canneti, che la fissa nel par. XXIII fra il 1380 e il 1400 e crede di poterla estendere anche più oltre per il ricordo fatto dal Frezzi (1. III, c. XI, vv. 86-88) del dominio cortonese di Francesco Casali (1400-1407), mentre il Canneti riferisce anche lui quei versi e dopo la seconda data agginnge: « O quivi intorno ». (2) Cfr. op. e |. citt. Goo gle n IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ, FREZZIANA 801 « in qualunque caso ritengo che non lo conducesse a fine prima « del 1400, nel quale anno morì Baldo perugino, che nel suo viaggio « poetico ritrova fra i giureconsulti, nè dopo il 1403, perchè mentre « egli scriveva, la città di Pisa era ancora dominata dai Visconti, « i quali non cessarono di possederla che in quell’anno 1403 » (1). E’ inutile dire che di queste circostanze non aveva tenuto alcun conto il Canneti. Lo stesso critico folignate, poi, dovendo stabilire la data precisa della morte del Frezzi, si mostrava alquanto indeciso e dichiarava: « E’ vero che il dotto padre Canneti cercò di escludere la « data iacobilliana (2 gennaio 1417) e di accreditare la sua (fine del « 1416); ma finchè in conferma della comune sentenza non si pro- « duce documento alcuno, il valore di essa sarà per lo meno eguale . « all’asserzione del lacobilli, il quale avendo potuto esaminare do- « cumenti locali oggi o sconosciuti o smarriti, probabilmente avrà « letta quella data in qualche carta, in qualche necrologio, del quale « non si curò di tener memoria » (2). Simili considerazioni non poteva fare il Canneti tutto intento, come abbiam visto, a demolire l'autorità storica di Ludovico lacobilli. Nel 1893 Ludovico Frati, nella memoria su Nicolò Malpigli, in cui non potè fare a meno di accennare più volte alla Dissertazione cannetiana, metteva in rilievo l’inesattezza della notizia che si legge nel par. \XI di questa sul tempo nel quale il poeta bolognese sarebbe stato notaio delle riformagioni in patria. E l’inesattezza era dimostrata da documenti d’archivio, secondo ì quali il Malpigli copriva quell’ufficio non nel 1400, come vuole il Canneti, ma non prima (1) Cfr. op. cit., pp. 126-127. | (2) Cfr. op. cit., pp. 134-135. E’ noto, del resto, per quel che precede, che il Canneti si occupa di questa questione nel par. XV della sua Diss. Io non so poi (perchè mi manca presentemente il modo di eseguire questa ricerca) se lo IAcOBILLI, il quale prima della Bibliotheca Umbriae stampata nel 1658 aveva scritto e pubblicato nel 1626 le Vite dei vescovi di Foligno (ignote al Canneti), assegni in questa prima opera l’una o l'altra data alla morte del Frezzi; chè se egli l'avesse posta ivi nel 1416, è logico (per quello che giustamente dice il p. LuGano nello scritto citato sul metodo storico dello Iacobilli) che la data diversa dell’ opera posteriore ha valore di correzione e quindi assume un’importanza speciale. Del resto, di questa questione mi sono occupato anch'io nel mio studio recente: Dopo cinque secoli dalla morte di Federico Frezzi (in « Rassegna Nazionale » del 1° gennaio 1917), concludendo per la metà del 1416. Go ogle 802 ENRICO FILIPPINI del 1406 (1). Senonchè si potrebbe osservare che il Canneti cita anche la fonte, alla quale attinse quella notizia, cioè le Storse di Bologna del Ghirardacci, e quindi non sarebbe responsabile dell’errore sopra riferito. Nel 1901 il Salza, nella biografia del poeta perugino Lorenzo Spirito Gualtieri vissuto nel sec. XV e ricordato dal Canneti nel par. XVII del suo scritto, qualificava come « grave errore » l’affermazione cannetiana essere stato quel poeta al servizio di Braccio Fortebracci da Montone, mentre risulta da documenti ineccepibili che egli fu favorito da Braccio II della famiglia Baglioni (2). Ma evidentemente codesto errore, se ha grande importanza per la ricostruzione della vita di Lorenzo Spirito, non può averne altrettanta per l’argomento trattato dal Canneti, che lo nomina semplicemente come contemporaneo di Nicola da Montefalco, il poeta umbro che avea fatto menzione del Frezzi come protetto di Ugolino Trinci. Tre anni dopo, io, studiando le relazioni tra Federico Frezzi e Serafino Razzi, autore cinquecentista d’una /storia degli uomini illustri così nelle prelature come nelle Dottrine del sacro ordine degli Predicators e quindi anche illustratore (tutt'altro che esatto, veramente) della vita e delle opere del poeta folignate, dissi che a lui non solo non aveva attinto lo Iacobilli, ma neanche il Canneti (3). Infatti nella Dissertazione non è mai nominato questo storiografo, che si occupa del Frezzi in due luoghi della sua Zsforta (4) e sempre a sproposito, pur essendo dello stesso ordine del vescovo-poeta e pur essendo vissuto a lungo nell'Umbria ed a Foligno stessa. E sì che egli avrebbe potuto benissimo riferirsi anche a lui quando nei parr. XV e XVI si intrattiene intorno alle opere attribuite al Frezzi e intorno agli abbagli di coloro che ne avevano scritto fino ad allora. Nel 1908, io stesso pubblicando la prima parte del mio lavoro, (1) Cfr. lo studio cit., in l. cit., p. 309. (2) Cfr. lo studio cit., in raccolta cit., pp. 279 e sgg. (3) Cfr. il mio studio su Federico Frezzi e Serafino Razzi (Foligno, Artigianelli, 1904), p. 4 dell’estratto dalla Gazzetta di Foligno del maggio 1904. (4) Cfr. l’op. cit. (Lucca, Busdrago, 1596), p. 93 € p. 333, in cui l’autore attribuisce al Frezzi la composizione dei « quattro libri de i Re in versi volgari eleganti, quanto quell'età comportava ». - IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTA?. FREZZIANA 803 più volte citato in questa memoria, su Un’ Accademia umbra del . primo settecento e l’opera sua principale e illustrando la figura di don Angelo Guglielmo Artegiani e la sua orazione Del? onestà d’ Amore letta nel 1720 in una radunanza dei invigoriti di Foligno, osservavo la relazione esistente fra quel breve lavoro e la prima parte del Quadr:iregso. Ma espressi anche la mia meraviglia per non aver visto accennato dal Canneti nella sua Dissertazione quell’ importante discorso del suo collaboratore, il quale, sebbene vi filosofeggi un po’ troppo, tuttavia vi nomina spesso il Frezzi e vi richiama anche parecchi versi della prima parte del suo poema (1). La dimenticanza è quasi imperdonabile (2). Un altro errore, ma di minore entità di quello rilevato dal Salza, corresse nel 1909 il padre P. Lugano che nella vita del famoso medico Gentile da Foligno, ricordato con tanto onore dal Frezzi, osservava in nota come il Canneti (par. XXX) ed altri lo facessero morire il 12 gennaio 1348 in Foligno, mentre un suo discepolo attesta che egli avrebbe cessato di vivere sei giorni dopo a Perugia (3). E’ curioso notare poi a questo proposito che il Pagliarini, illustratore storico del Quadriregio e collaboratore del Canneti, ammetteva bensì che Gentile fosse morto il 12 giugno di quell’ anno, ma a Perugia e non a Foligno (4): ciò che genera una manifesta contraddizione, della quale nè il Canneti nè il Pagliarini si accorsero, perchè altrimenti l’avrebbero evitata come un palese difetto della loro opera comune. Nello stesso anno, continuando l’accennato mio lavoro e riferendo quel che nel 1714 aveva stampato il bolognese Fra Pel. legrino Antonio Orlandi sul Malpigli e sul Quadr:regio, richiamavo l’attenzione degli studiosi sulle seguenti sue parole: « Sopra detto « Quadriregio che fu ristampato quattro volte nel cadere del 1400 « e nel principiare del 1500, sta scrivendo un’erudita disserta- (1) Cfr. lo studio qui citato, in « Bollettino di storia patria per l'Umbria >, vol. XIV, fasc. I, pp. 53-56. Cito ora e in seguito il lavoro dal « Bollettino » cit., per la cronologia del lavoro stesso. (2) Il Canneti infatti si occupa anche lui dell’onestà dell'amore nel Quadriregio, e poteva accennare all’orazione dell’ARTEGIANI nei parr. XL-XLII della Diss, (3) Cfr. il suo studio su Gentilis Fulginas Speculator e le sue ultime volontà ecc. in « Bollettino di storia patria per l'Umbria » vol. XIV, p. 196. (4) Cfr. le sue citate Osservazioni istoriche ecc. in l. cit., p. 198. Go ogle 04 ENRICO FILIPPINI « zione il Dottor Pier Francesco Bottazzoni, per levare ogni equi- « voco circa l’autore del medesimo » (1). E osservavo in nota che, se altre affermazioni più o meno errate dell’Orlandi erano state oggetto di discussione da parte del Canneti, questa era stata completamente da lui trascurata (2). Perchè? Fu un riguardo pel Bot. tazzoni professore di umane lettere nell’ateneo bolognese che consigliò il dotto apologista del Frezzi a non raccogliere codesta ampollosa dichiarazione dell’Orlandi ? -Fu l’amicizia che fece velo al suo spirito critico? Fu generosità verso un avversario ormai ritiratosi dall’agone che gli suggerì di non « insaevire in mortuum »? Non so, perchè la storia interessante di quel lavoro rientrato del Bottazzoni non: si conosce ancora in tutti i suoi particolari (3); ma è certo che questo letterato bolognese non fu mai in corrispondenza letteraria col Canneti e che non meritava alcun riguardo dopo la strombazzatura che avea fatto ai quattro venti della sua iniziata dissertazione malpigliana; nè il dotto frate poteva essere così generoso verso di lui, se col Fontanini suo amico e coll’Orlandi stesso avea tenuto ben altro contegno (4). Non sì può dire neanche che egli tacesse per disprezzo verso il medesimo Orlandi, che colpì piuttosto fieramente per altri motivi (5). Non ci resta quindi per ora che meravigliarci del silenzio assoluto del famoso tentativo del Bottazzoni nella Dissertazione cannetiana, mentre l’Orlandi avea fornito all’autore un’ottima occasione per occuparsi anche di lui e per conipletare in questa parte la storia della fortuna del Quadriregio. | Nel par. XII il Canneti afferma che « nella libreria del Con- « vento di S. Domenico di Foligno si conservano fino al dì d’oggi « (e noi li abbiamo veduti e osservati) quattro antichi codici a penna, « quali furono del nostro Frezzi, avendovi ciò egli attestato di sua (1) Cfr. op. cit., pp. 216-217. (2) Cfr. Un' Accademia umbra ecc., in « Boll. » cit.. vol. XV, fasc. I-II, p.125-126. (3) Sto facendo delle ricerche sull’ argomento e spero di poterne pubblicar presto il resultamento. (4) Cfr. quello che ho detto di sopra dell'uno e dell’altro. (5) Basti il dire che il Canneti, informando nel 27 dicembre 1724 il Fiacchi intorno al successo bolognese della sua Diss., sì esprime in questi termini: « L’Ore landi è un pazzo, e gli stanno bene le sferzate che ha ricevuto, se pur le sente ®@ al vivo, come merita ». (Cfr. la lett. cit., in l. cit). — IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ. FREZZIANA 805 « mano » e continua col farne la descrizione in tempo presente. Ma di quei quattro codici, che il Pagliarini, il Boccolini e forse anche il Canneti avevano visto fino dal 1712, già un anno prima della pubblicazione dello scritto cannetiano tre erano decisamente e oscuramente scomparsi. E l’autore non lo ignorava di certo, se una lettera del Boccolini a lui diretta il 6 settembre 1723 e da lui conservataci parla chiaramente della loro perdita dolorosa (1). Anche questo fatto fu da me osservato nel 1909 (2) e se potè sfuggirne agli studiosi l’accenno allora, non è certo fuori di luogo che io lo metta ora di nuovo innanzi ai loro occhi come una delle cose piu strane di questa Dissertazione. Nel seguito della stessa opera, non molte pagine dopo, mi venne fatto di segnalare un’ altra omissione notevole, ed è precisamente quella che riguarda un giudizio letterario di Sperone Speroni (3). Il quale, nell’Orazione in morte del cardinale Pietro Bembo, biasimando la sciatteria degli scrittori precedenti, ebbe a dire: « Miri chiunque « vuol di ciò fede nè testimonio, le stampe antiche, guaste e corrotte « come i giudicii di quella etate; nelle quali senza regola di gram- « matica e senza legge d'ortografia scritti i libri di quegli autori di- « vini vede ancora a dì nostri, chi le loro opere meravigliose così « mal concie può sofferir di guardare. Dunque allora meritamente, « quasi loglio, che per lo vizio della stagione vinca il grano che per « mangiar seminiamo, le cinquanta e le settanta novelle, il Serafino « e quegli altri, Quadr:regio, Dittamundi e mille mostri cotali usciti « fuori di alcune anime disabitate ebbero ardire di comparere » (4). Ora un giudizio siffatto non doveva sfuggire all’acuta critica del Canneti, che pure aveva riferito quello favorevole del Corbinelli; come non isfuggì all'osservazione del Fontanini che lo riportò senza commenti, e di Apostolo Zeno che nel 1753 lo confutò solo in par- (1) Cfr. la lett. 46 del Boccolini al Canneti da me pubblicata nella III appendice al citato lavoro su Un’Accademia umbra ecc. Certamente il Canneti avea provocato quella ricerca con altra lettera precedente. (2) Cfr. il mio lavoro qui sopra citato, in |. cit., vol. XV, fasc. III, p. 436. (3) Cfr. il mio citato lavoro su Un’ Accademia umbra ecc., in |. cit., vol. XVI, fasc. I-II, p. 24. (4) Cfr. le Opere di S. Speroni (Venezia, 1740), vol. III, p. 163. Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. IV. 52 806 ‘ENRICO FILIPPINI 4 te (1). Di esso poteva il Canneti far parola in due luoghi: o nel par. VI della sua Dissertazione, in cui si parla della stima del Quadrtregio nel sec. XVI; o nel par. XLIV, in cui si parla dei criteri ortografici seguiti nella ristampa del 1725. Perchè non lo ha fatto in nessuno dei due luoghi? Non certo per non aver saputo che cosa rispondere al severo censore cinquecentista, egli che non aveva peli sulla lingua e che nella stessa Dissertazione ebbe parole così amare per il Tignosio, per lo Iacobilli, pel Montalbani e per il padre Orlandi. Pochi anni or sono, il Gilardi riprese la questione del periodo dì tempo in cui sarebbe stato composto il Quadr:iregto, questione trattata, come abbiam visto, dal Canneti. Egli, pur tenendo conto della di lui conclusione che il poema sarebbe stato scritto fra il 1380 e il1400, e dei fatti storici ivi accennati e invocati a sostegno della tesì cannetiana, dice ed indica altri accenni frezziani « che permettono di « fissare con maggiore sicurezza gli anni della composizione » e che sarebbero sfuggiti alla osservazione del dotto frate camaldolese. I ricordi di Forteguerra Forteguerri da Lucca (1. II, cap. XI, vv. 140- 143), di Antoniotto A dorno doge di Genova (1. II, cap. XIII, vv. 124-129), di lacopo d’Appiano (1. II, cap. XVI, vv. 97-108), di Gualterotto Lanfranchi di Pisa (1. II, cap. XVII, vv. 140-159) gli permettono di correggere la dimostrazione cannetiana e di concludere « che il Frezzi « lavorò intorno al suo poema dai primi mesi del 1393 sino al 1403 » e, secondo l’interpretazione di certi versi relativi al secondo personaggio, anche in un tempo più ristretto, cioè « tra il .1396 e il « 1403 » (2). La quale conclusione s’accosta di molto a quella, già poc’ anzi esaminata, del Faloci-Pulignani e ne determina la data iniziale, che questi aveva presentato come semplice congettura. Finalmente in un mio scritto recente ho dovuto osservare che « il Canneti, nel par. XV non si domandò neppure se il Frezzi « per caso non avesse potuto chiudere la sua esistenza in una « città che non fosse nè Costanza nè Foligno: tanta importanza (1) Cfr. la cit. ediz. di La viblioteca dell’ eloquenza italiana con note di A. Zeno, vol. I, p. 309, nota. Lo ZENO non tiene conto della frase € mostri cotali « usciti fuori di alcune anime disabitate », che si riferisce certamente al contenuto del Quadriregio e non alla forma. (2) Cfr. op. cit., p. 18. È IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ. FREZZIANA 807 « aveva per il dotto cremonese il fatto che il Frezzi era scomparso « durante il famoso Concilio, a cui aveva preso parte. Ma, in ve- « rità, il suo spirito critico avrebbe dovuto consigliargli, in man- « canza di solidi argomenti favorevoli alla sua tesi, di essere « meno assoluto in questa questione » (1). Non mi pare, infatti, che possa bastare a risolverla, come crede il Canneti, il consenso degli antichi scrittori domenicani, che non fecero ricerche sulla morte del poeta folignate. | Questi i difetti di carattere speciale, che gli studiosi hanno finora notato nello scritto cannetiano e accennato qua e là in varie monografie. Essi non sono molti in verità nè tutti della stessa importanza; ma chi credesse che l’apologia del Canneti non ne contenga altri, s'ingannerebbe a partito. Indicherò quì con la maggiore brevità possibile quelli che io ho potuto riscontrarvi di re. cente e che non sono stati ancora segnalati, mi pare, da alcuno; e seguirò in questa rassegna l’ordine stesso della /issertazione. . V. Anzitutto io credo che l’autore, facendo la storia del Quadr:- regio, avrebbe dovuto cominciare dai codici anzichè dalle stampe. E’ vero che egli ha preso per punto di partenza l’edizione che si stava allora preparando a Foligno (2); ma non mi pare che questa sia una buona ragione per parlar prima, in un lavoro critico, di ciò che cronologicamente è avvenuto dopo (3). E sebbene il Canneti non si sia proposto di illustrare tutti i manoscritti contenenti il Quadriregio (4), tuttavia non sarebbe stato fuori di luogo che egli ci desse un cenno sulla perdita dell’autografo frezziano, del quale non dice mai neppure una parola. E, sempre a proposito di (1) Cfr. lo studio sopra cit. Dopo cinque secoli ecc. (2) Cfr. il principio del par. II. (3) Non si può dire neanche che l'ordine in cui il Canneti ifeviuce le ristampe del Quadriregio sia esatto; poichè nel par. V egli mette addirittura come immediatamente posteriore alla Fiorentina del 1508 la seconda Fiorentina senza data, che tutto fa credere sia anteriore ad essa. (Cfr. in proposito Le edizioni del Quadr. già cit., ecc., pp. 8-10). (4) Cfr. il principio dei parr. X e XI. gt 808 ENRICO FILIPPINI codici, perchè il nostro scrittore ne parla così sparsamente (1) e perchè iliustra il ms. ariostesco, anepigrafo e adespoto, prima degli altri sei, che sono tutti anteriori ad esso? (2). Sembra che egli, parlando dei vari codici esaminati e ordinandoli a quel modo, non dia _ alcuna importanza all’epoca della loro trascrizione, mentre in effetto accenna volentieri alla loro antichità. Nel par. IX, dopo aver parlato del codice parigino 7775 contenente il Ditfamondo di Fazio degli Uberti e dell’equivoco prodotto dalla segnatura a tergo di Cosmografia in terga rima di Federico da Foligno, il Canneti osserva: « Or veggasi a quali solennissimi « sbagli si espone chi de’ titoli in fronte de’ codici manoscritti o « sulla coperta lor registrati si contenta fidarsi e non cura d’in- « noltrarsi a rintracciarvi per entro i veri autori, ma si ferma an- « che talora a fabbricare sopra l’altrui falsità castella in aria (3). « Al vero pregiudica l'ignoranza non meno che l’impostura ». Ma giunti a questo punto ci domandiamo se intenda di parlare del vero in sè o della conoscenza del vero, poichè la verità in se stessa non sente alcun pregiudizio dall’ impostura e dall’ ignoranza: resterà nascosta per qualche tempo, ma poi si manifesta in tutta la sua luce, come avvenne nel caso presente in cui il Boivin scoprì che non sì trattava affatto d’un’altra opera del Frezzi (4). Nel par. XIII, dopo aver discorso delle Accademie dei Concili e di quella che sorse in Foligno nel 400, l’autore conclude: « Laonde « a un teologo e prelato dell’insigne Ordine Domenicano, qual fu « il Vescovo Frezzi, da qui in poi dovrassi il vanto di aver egli « innanzi ad ogni altro istituita ed eretta una tale Accademia nel « convento della sua religione in Foligno ecc. ». Ma il Canneti, così dicendo, non s’accorge d’aver poco prima dubitato di quello stesso primato che qui recisamente afferma, con le parole: « Questa sin- « golare annotazione (che si leggeva in uno dei libri posseduti dal (1) Cfr. i parr. VII-VIII, X-XI, XXVII-XXX. (2) Anche gli altri codici sono descritti disordinatamente. Sulle date di trascrizione dei vari codici cfr. il mio citato studio su / codici del Quadriregio ecc., pp. 31-32, 28-31, 19-21, 36, 24-28, 22-24 e 9-12 dell'estratto. (3) Questo strale è diretto al Pagliarini, che ingenuamente aveva creduto che quel codice contenesse un'opera del Frezzi diversa dal Quadriregio. (4) Cfr. su tutto questo episodio bibliografico la mia nota A proposito d’una sedicente Cosmografia medievale in versi italiani (Menaggio, Baragiola, 1906). Go ogle Di IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ. FREZZIANA 809 « Frezzi) ci scopre l’antichità e forse la prima istituzione di quelle « sagre adunanze, le quali con grande applauso e profitto vedemmo « rinnovate a’ nostri tempi ecc. ». Tanto è vero che nel 1724 fioriva in Foligno oltre a quella dei Rinvigoriti e alla Fulginta colonia d’Arcadia, una terza Accademia detta degli Agrtati, che, secondo il Boccolini, « promoveva anche lo studio de’ Sacri Concili ecc. » (1). Ma di questo non fa alcun cenno l’autore della Dissertazione. Nel par. XIV, quando il Canneti vuole stabilire la data dell'elezione del Frezzi a vescovo di Foligno, ricorda come fonti storiche il Fontana ed il Dorio, ma dimentica lo Iacobilli e 1’ Ughelli. E dico « dimentica » perchè io credo che egli sarebbe stato ben contento di almeno ricordarsi, anche in questo luogo, dello lacobilli se avesse potuto. Infatti fino dal 1713 il Pagliarini l’aveva avvertito che « tanto il detto lacobilli nel Catalogo dei Vescovi di u Foligno quanto l’Abbate Ughelli assegnano il principio del ve- « scovato del nostro Frezzi all’anno 1403; e lo stesso lIacobilli nella « Cronica del Monastero di Sassovivo, carta 152, rapporta che Papa « Bonifacio nono con suo breve sotto li 8 aprile 1393 deputò Am- « ministratore et Abbate Comendatizio di detto Monastero il Car- « dinale Pileo Prasa Arcivescovo di Ravenna, e che Federico Ve- « scovo di Foligno come suo procuratore ne prese il possesso a « dì 20 di detto mese, e si indica l’istromento per mano di ser « Tommaso Vagnucci di detto anno 1393 » (2). Ma, come dice il Pagliarini in altra lettera, nell’atto notarile indicato si parla di un Fredericus de Fu(Igineo), ma non di un Federico Vescovo di Foligno (3). Se quindi lo Iacobilli nel Catalogo ecc, fissa la data 1403 per quella elezione, ciò vuol dire che egli ha fatto una correzione, della quale il Canneti avrebbe dovuto tener conto. E’ noto che l’opera degli Scriptores ordinis Praedicatorum recensiti, stampata a Parigi nel periodo 1719-1721, fu concepita e condotta sino alla fine del sec. XV da Giacomo Quetif e poi con- (1) Cfr. le sue Dichiarazioni citate, in I. cit., p. 333-334. Cfr. anche su questo argomento il mio studio recente su L'Accademia degli Agitati di Foligno in « Bollettino di storia patria per l'Umbria », vol. XXI, fasc. II, pp. 355-374. (2) Cfr. la lettera del Pagliarini al Canneti in data 30 gennaio 1713 da me pubblicata nella I Appendice al citato studio su Un’ Accademia umbra ecc. (3) Cfr. la lettera dello stesso allo stesso in data 3 febaraio 1713 inserita nella stessa Appendice. (O ogle 8io ENRICO FILIPPINI tinuata fino al 1720 da Giacomo Echard. Ebbene il Canneti che ricorre più volte alla prima parte di quest'opera nel par. XV della sua Dissertagione, l’attribuisce interamente ad un solo autore e precisamente al continuatore anzichè all’ideatore vero e proprio di essa, Se questo egli ha fatto per amore di brevità, non ha certamente reso il dovuto onore alla giustizia e all’esattezza storica. È poi notevole che egli ammette coll’ Echard che Ludovico lIacobilli, attribuendo al Frezzi quatuor libros Regum tidiomate italico, non avesse mai veduto il Quadriregio. E se lo lacobilli non dicesse altro, il Canneti e la sua fonte avrebbero ragione; ma lo storiografo folignate premette a quelle parole queste altre che sono riferite, per quanto non abbastanza osservate, dal Canneti stesso: « Edidit Quatriregium sententia- «u rum gravitale referium et de cursu vitae humanae carmine materno: « Bonontae anno 1494 tn folto ». Come ora si possa dalle due affermazioni iacobilliane riunite dedurre che l’autore della Bibliotheca Umbriae non conoscesse il Quadriregio, io non comprendo. Egli avrà potuto sbagliare nell’attribuire al Frezzi, sulla testimonianza di storici precedenti poco esatti (vedi sopra il Razzi), un'opera intitolata quatuor libri Regumy; ma questo non ha che fare col Quadriregio, di cui lo lacobilli riferisce esattamente il titolo, il breve contenuto e una delle principali edizioni, L’asserzione, dunque, del Canneti è puramente gratuita e noi sappiamo anche da quale sentimento poté essere dettata al suo spirito’ passionato. Dello Iacobilli il dotto cremonese si occupa anche nel par. XVI della Dissertazione, a proposito del sonetto « Signor, che per salvar « l’human legnaggio », che una raccolta di Ame sacre e morali di diversi autori stampata in Foligno nel 1629 assegna al poeta Federico Frezzi (1). ll Canneti, mentre esclude che questo sonetto sia stato scritto dall’autore del Quadriregio, afferma che esso appartiene al 600 e che la raccolta è opera dello storico folignate (2). Ma ve- (1) Esso si trova a p. 50 della suddetta raccolta, preceduto: da queste parole: Di Monsignor Federico Frezzi da Foligno, Vescovo della sua patria. (2) ll Canneti accusa anche lo Iacobilli di impostura e falsità, a questo proposito, mentre si può crederlo reo d’una semplice inesattezza involontaria e non d'altro. (Cfr. il mio breve studio Per la storia d'un sonetlo attribuito a Federico Frezzi di Foligno in a Giornale storico della letter. ital. », vol. XLVII (1906), pp. 266- 272). Tanta acrimonia contro lo storico folignate non era certo condivisa dal Pagliarini, che lo nomina spessissimo con rispetto nella prefazione alle Rime del IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ. FREZZIANA 8II ramente non è ancora dimostrato che Ludovico lacobilli sia stato il raccoglitore e l'editore delle Rime sacre e morali (1); e, del resto, il sonettg accennato è d’un altro poeta folignate, Petronio Barbati, vissuto nel 500 e autore di molti versi. E fa non poca meraviglia che il Canneti non si sia accorto di ciò, se si pensa specialmente che le Rime del Barbati erano state raccolte e stampate a Foligno non più di quattordici anni prima che fosse pubblicata la Dissertassone cannetiana, per opera appunto dei A:nvigoritt e soprattutto del Pagliarini (2). Quando poi viene a discorrere del Ft/enico di Nicola da Montefalco (3), all'errore già notato dal Salza il Canneti aggiunge una determinazione tutt’ altro che esatta del componimento letterario finale di quel canzoniere, chiamandolo canzone mentre è un capitolo dedicatorio apologetico (4). E un’inesattezza mi pare che egli commetta anche più oltre allorchè, parlando del Malpigli come presunto autore del Quadriregio, dice che questo poema, non solo nelle stampe ma eziandio ne’ manoscritti, fu attribuito al vescovo Frezzi (5): certo il dotto autore avrebbe fatto meglio se invece del « vescovo Frezzi » avesse scritto « frate Federico vescovo ‘di Fo- « Jigno », che è l’espressione che si legge nei codici e nelle stampe Barbati e nelle Osservazioni istoriche al Quadr., e nelle sue lettere al Canneti. Pare però che anche il « Giornale dei letterati » sferzasse lo Iacobilli: di che il Pagliarini era poco contento (cfr. Ja sua lettera al Canneti in data 29 marzo 1735 nell’Appendice I al mio cit. lav. su Un’ Accademia umbra ecc.). (1) Anche il FaLoci-PULIGNANI nel suo studio recente su L'arte iograita a Foligno nel XVII secolo (in « Bibliofilia » del giugno-agosto 1916, p. 118) registra fra le altre stampe folignati le Rim sacre e morali ecc. e dice che a au- « tore della raccolta figura il tipografo Alterij, che la dedicò al Sersale » governatore di quella città. (2) Il sonetto si legge appunto a p. 211 della raccolta, di cui è il n. 126. Cfr. pel rinvenimento della paternità di esso l’altro mio studio Da un poeta folignate ad un altro (Foligno, Artigianelli, 1907), e per la storia della raccolta barbatiana il mio lavoro tante volte cit. su Un’Accademia umbra ecc., in l. cit., vol. XIV, fasc. I, pp. 12-15. (3) Cfr. il par. XVII della Diss, : (4) Cfr. lo studio cit. della signorina A. FanTOZZI, che ne riporta in fine anche una parte. Del resto, il Canneti poteva trarre dal Filemnico anche altre testimonianze della conoscenza del Quadriregio da parte del Montefalco, come la stessa Fantozzi afferma. (5) Cfr. il par. XXI della Diss. 812 ENRICO FILIPPINI da lui finora esaminati (1). Così quando cita il Musaeum Italicum del Mabillon, egli ci rimanda al numero XXIX, pag. 128 della | parte (2), mentre le parole da lui riportate si trovano tra le pp. 126-127 dell’Zter italicum litterarium, sotto la data del 1 dicembre 1685 (3). Nè so se si possa proprio affermare, come fa il Canneti, che il Mabillon « stimò veramente » opera di Ambrogio Traversari la Linea salutis ecc. che egli trovò nel monastero di Subiaco e registrò nel suo diario (4). | Nel par. XXVIII della Dissertagsone l’autore rimanda, per l’edizione bolognese del Quadriregio, al par. XIV invece che al XV. Nel par. XXXI dice che il Martelli nel suo Cansgoniere accenna anche ai filosofi bolognesi, mentre in effetto non ne nomina alcuno; e fra i poeti nominati nel Commentario dello stesso scrittore dimentica ingiustamente Girolamo Preti. - E come si possono sul serio mettere a fronte l’uno dell’altra un brano del Quadriregio e una stanza di canzone del Malpigli, per trarne, come fa il Canneti nel par. XXXVI, la conseguenza che il poema non può essere stato scritto da questo scrittore? Quei due passi parlano bensì di Amore, ma mettono in evidenza qualità e attributi diversi dello stesso dio; e poi si sa che la lirica ha indole affatto differente dalla poesia narrativa, e lo stesso Malpigli, se avesse scritto un poema, vi avrebbe rivelato uno stile tutt'altro che uguale a quello delle sue canzoni. Più oltre, volendo difendere il Frezzi dall'accusa d’una certa ruvidezza di espressione e affermando la trasformazione progressiva delle abitudini e dei gusti degli uomini, il nostro frate cremonese dice: « Della qual verità ci avvertì fin dai suoi tempi Dante (1) Cfr. le descrizioni da lui dateci nei parr. III, X, XI e i miei studi citati su / codici e Le edizioni del Quadriregio. (2) Cfr. il par. XXV della Diss. (3) Cfr. il v. I del Musaeum ecc. (Parigi, 1685). (4) Infatti il MaBiLLON, dopo aver accennato nel luogo indicato alla sua visita al monastero di Subiaco, dice semplicemente così: « E paucis qui restant « manuscriptis codicibus unus est Adalgeri episcopi ad Boswidam reclausam de « rebus moralibus; liber seu tractatus qui vocatur Linea salutis monachorum sive « eremitarum compositus a religioso viro fratre Ambrosio de Florentia, Generali « Ord. Camald. Dialogi more scriptus est liber, totusque constat ex sententiis « Patrum ». Dov'è ora la base di quella opinione sicura che il Canneti attribuisce al MABILLON, se tutto ciò che è scritto in corsivo appartiene alla intestazione del codice sublacense ? IL P. DON PIETRO CANNETI F LA SUA DISSERTAZ, FREZZIANA 813 « nel libro della volgare eloquenza, riflettendo che ogni cinquan- « t'anni le lingue viventi soggiacciono a mutazione » (1). Dante, infatti, scrisse tutto il lungo capitolo IX del primo libro del suddetto trattato occupandosi specialmente de triplici varsetate sermonis et qualiter per tempora idem idioma mulatur etc.; ma se l’inciso cannetiano: « riflettendo ecc. » si riferisce a Dante, come pare, esso contiene un concetto non corrispondente a verità, poichè il divino poeta, in quel capitolo, non fissa alcun limite di tempo alla trasformazione delle lingue e dei dialetti. - Dobbiamo inoltre osservare che le Annotazioni dei Deputati alla correzione del Decanteron non furono pubblicate nello stesso anno in cui riapparve corrètta l’opera stessa del Boccaccio (1573), come crede il Canneti (2), ma l’anno seguente, come la stampa fiorentina di esse dimostra. - Il verso poi del Salvini « visitò l’ime parti, a/fe e mezzane » è stato trasformato dal Canneti in « visitò l’ime parti, ale e mezzane » (3). Che dire infine dei concetti svolti sull'amore frezziano nel paragrafo XLI? Il Canneti conchiude: « Il dottissimo egualmente e « savissimo Vescovo Frezzi fa di fre amori poetico racconto, e di « quel che il Petrarca chiama gioveni! errore forma in sè, perchè « più viva riesca, una pittura, sensa verameute ritrar se medesimo, « ma qualunque uomo, nell’ età più inesperta preso da amore ». Ora noto anzitutto che lo scrittore, parlando di fre amori, accenna certamente ai primi, cioè a quelli per Filena, Lippea ed Ilbina, ma trascura gli ultimi due che sono quelli per Taura e lonia (4). O1- tracciò, si può comprendere che alla religiosità del Canneti ripugnasse di parlare degli amori reali del giovane Federico Frezzi; ma come può egli negare senz’ altro che il poeta folignate abbia nascosto sotto il velo dell’allegoria le sue giovanili passioni, se il suo grande maestro Dante, da lui tanto imitato, gl’insegnava a servirsi di questa nobile e poetica forma del linguaggio figurato per accennare a fatti anche personali? I critici moderni fanno tutti (1) Cfr. il par. XXXVIII della Diss. (2) Cfr. lo stesso par. della Diss, (3) Cfr. il par. XXXIX della Diss. (4) Cfr. in proposito le mie osservazioni al primo libro in La materia del Quadriregio, cit. Vedremo però fra poco che anche il FaLOcI-PULIGNANI parla del « triplice amore » del Frezzi. Go ogle 814 ENRICO FILIPPINI delle riserve più o meno precise in proposito (1), ed è naturale che le facciano, sebbene il’'nostro poeta non si tradisca mai; poteva perciò farle anche il Canneti, oppure evitare affatto la questione, come l'aveva evitata l’autore Dell'onestà di amore. Ma non si può negare senza prove ciò che ha bisogno di documenti tanto per essere affermato quanto per esser negato. Ed il Canneti, che era un abile ragionatore e un forte polemista, doveva sapere meglio d’ogni altro che nella trattazione di certi argomenti bisogna rifuggire da qualunque affermazione assoluta. Con queste ultime osservazioni pongo termine all’enumerazione (1) Il FaLoci-PULIGNANI, più felicemente, sebbene sia un sacerdote anche lui, dice: « Se ciò che egli (il Frezzi) narra di se stesso nel Quadriregio vuolsi « intendere per fatto reale e non per invenzione poetica, dovremmo dire che ei « passasse la gioventù in un viver lieto, spensierato, lontano dagli studi, dedito « agli amori, ma però non vizioso. Il triplice amore di lui, prima per Filene, « poi per Lippea. infine per Ilbina, dal quale si dice legato, può forse avere un « fondo di verità », (Cfr. op. cit., pp. 123-124). Il VoLPI, meglio ancora, osserva: « C'è qui (cioè nel I libro) qualche cosa di soggettivo: allude il Frezzi ai « propri disinganni amorosi, che potrebbero averlo indotto a farsi frate, o è una « semplice finzione? E’ un fatto che non si trova una frase che tradisca la pas- « sione covata nel cuore, la amarezza d’una repulsa ricevuta da una persona « amata; ma d'altro canto c’è l'amore per la donna soltanto che trattenga dal seguire gl’ inviti di Minerva? Sembrerebbe quindi che egli volesse come proporre se stesso ad esempio, e che quanto al suo amore o ai suoi amori, cogli anni arrivasse a parlarne con indifferenza, rimanendo semplicemente un misogino ». (Cfr. Il trecento, ediz. Vallardi, p. 186). lo, nel 1905, affermavo che il primo libro del poema ha un carattere specialmente personale. Il poeta, quando era ancora un vago giovinetto, si era dato al vivere mondano e si era già innamorato tre volte senz’essere corrisposto, quando stanco di quest'iusuccessi pensò di darsi agli studi. Ma la passione tornò a tentarlo sul bel principio della sua rigenerazione morale, ed egli non seppe resistere a questa tentazione e s'innamorò d’una quarta donna. Questo amore non fu più fortunato degli altri, ma il più disgraziato fu il quinto, quando il poeta, oltre al disinganno, provò un senso di disgusto per Ja donna che lo tradi turpemente. Allora egli giurò di abbandonare per sempre l’amore e si diede interamente e decisamente in braccio alla sapienza ». (Cfr. il mio studio ora cit., p. 23). Finalmente e recentemente il GILARDI, illustrando soprattutto il terzo amore descritto dal Frezzi, conchiude: « Non quindi nessuno, oppure parecchi amori reali, « ma uno, un amore forte e vigoroso, che lasciò profonde traccie nel cuore del « poeta e che nel poema frezziano lontanamente ricorda la Beatrice di Dante ». (Cfr. op. cit. p. 49). AR ARQ AA — IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ. FREZZIANA 815 ed esame dei difetti speciali dello scritto cannetiano; ma non garantisco di averli notati qui tutti. Forse un lettore più attento e sapiente di me ne coglierebbe anche degli altri, che possono essere sfuggiti alla mia disamina: ma, pur ammettendo ciò, credo di averne registrati tanti e tali, che ‘non sia più possibile consultare con animo tranquillo e sicuro la Dissertazione apologetica intorno al Quadriregio ed al suo vero autore. VI. Ed ora concludiamo. L’opera critica del Canneti fu giudicata dai suoi contempo- «ranei un capolavoro addirittura e, per tacere di altri, il Muratori, dopo averne ricevuto una copia in dono, gli scriveva il 31 gennaio 1725 queste precise parole: « Non v’ha dubbio, tutto il mondo « degli eruditi troverà la Dissertazione di V. P. reverendissima stesa « con tale giudizio e uso di fina critica, con tale erudizione e ma- «.niera modesta di conîbattere, che di meglio non si potea fare; « e questo solo pezzo è bastante a far conoscere che il di lei in- « gegno e valore si dee contare fra i primi. L’ho io letta con sin- « golar piacere, e nulla v’ ho saputo ritrovare che non cammini a « meraviglia bene.... » (1). Ma questo giudizio del Muratori ci sorprende non poco pensando alla sua grande dottrina, alla sua nota prudenza ed alla sua ‘indiscussa sincerità; e solo possiamo trovargli qualche attenuante nell’ amicizia che legava l'illustre poli- (1) Cfr. l’Epistolario muratoriano, pubblicato dal CAMPORI, vol. VI, Pp. 2421- 2422). Anche Bartolomeo Casaregi, lettore di filosofia morale e poeta arcade e accademico Rinvigorito, scriveva il 14 aprile 1725 al Pagliarini «che non si po- « téva fare cosa in tutte le sue parti nè più aggiustata nè più dotta nè più pu- « lita » dell'Apologia frezziana e che egli la stimava uno « dei bei libri che « siano usciti fin qui nel nostro tanto purgato e delicato secolo » e che questo era anche il parere « di tutti quelli che (a Firenze) hanno goduto di così ‘bella « lettura » e specialmente dei fratelli Salvini, (Cfr. la cit. Misc. ms. XXVI della Classense, in cui è contenuta copia della lettera del Casaregi, come vi sono contenuti autografi e copie di altre lettere spedite al Canneti o al Pagliarini nella stessa occasione). Go ogle 816 ENRICO FILIPPINI grafo al Canneti e nella fretta con cui egli avrà letto la pur tanto attesa Dissertagione in mezzo al suo poderoso e continuo lavoro intellettuale. Oh se egli avesse potuto a mente serena rileggere quelle pagine! Oh se il grande ricercatore ed osservatore dei fatti storici e letterari avesse potuto giudicare con maggior calma la monografia cannetiana! Certo, non avrebbe per lo meno scritto quelle parole così compromettenti: « Nulla v’ ho saputo ritrovare « che non cammini a meraviglia bene » e si sarebbe tratto d’impaccio con una di quelle frasi stereotipe, che si ritrovano nella maggior parte dei lodatori del Canneti (1), oppure si sarebbe limitato a parlare, come fecero parecchi, delle conclusioni principali della Dissertazione (2). Dire che questo lavoro non ha pregi di sorta, sarebbe lo stesso che negare audacemente la verità più luminosa. Nè il merito del Canneti consiste soltanto nell’aver rivendicato con solidi argomenti al Frezzi il poema, che con altrettanta leggerezza gli era stato contestato dai seguaci del Montalbani, e nell’aver posto fine « a una « famosa controversia che pendea nella repubblica letteraria » (3). Egli ci ha dato anche una biografia documentata del vescovo-poeta e la più esatta che allora fosse possibile. Ha riunito per la prima volta e descritto codici importanti e rare edizioni del Quadriregio. Ha illustrato altre figure, che col Frezzi o col suo poema ebbero qualche notevole relazione. Ha scritto un documento di critica letteraria prezioso specialmente per il tempo a cui appartiene. E tutto codesto ha fatto con una dignità di stile, con una vivacità di discussione, con una purezza di lingua, con una conoscenza della nostra storia letteraria e con una erudizione veramente singolari. (1) Il noto A. M. SALVINI, per esempio, scrisse al Pagliarini il 4 novembre 1724 che il Canneti fa brillare la verità e trionfare la buona critica. (Cfr. l'avvertenza al lettore nel Quadriregio del 1725, vol. 1). (2) Il BARUFFALDI, per es, scrisse il 20 dicembre 1724 al Canneti stesso che l'aveva trovara « cosi concludente che nulla più ». (Cfr. lett. cit. in 1. cit.); e il BoTTAZZONI notava e accettava « le prove e le conghietture di fatto, con « cui il dottissimo apolcgista convince che il poema sia di Monsignor Frezzi ». (Cfr. la lettera al Pagliarini del 5 gennaio 1725 da me ROBOLaG nello studio citato su Un’ Accademia umbra ecc., appendice VIII). (3) Così è scritto nella lettera dedicatoria a Benedetto XIII, che si legge nel Quadriregio del 1725, vol. I e che è firmata da Gli Accademici Rinvigoriti. € IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ, FREZZIANA €17 Ma di fronte a tutti codesti pregi stanno, purtroppo, numerosi e gravi difetti di carattere generale e speciali, che li oscurano non poco. Nel Igro io scrivevo anche che il Canneti non poteva trattare il suo argomento « con maggior senso dell’ordine e con esattezza « più scrupolosa » e che « se l’autore (della Dissertazione) si fosse « proposto una maggiore concisione, l’opera sua potrebbe essere « più apprezzata di quel che realmente non sia » (1). Lodavo inoltre l’abile condotta di tutto il lavoro e concludevo col dire che questo « era destinato ad un reale successo nel campo degli studi lette- « rari, ed il successo fu pieno ed aperto » (2). Orbene, era naturale che io mi esprimessi in tali termini quando non avevo ancora sotto- ‘posto la Dissertazione a una minuta disamina e quando non avevo scoperto in essa che pochi e lievi difetti. Ma oggi, dopo quello che ho detto nella presente memoria, sarebbe strano che io confermassi in tutto e per tutto il giudizio di sei anni or sono. In un lavoro come quello cannetiano, che vuol essere soprattutto critico e definitivo, erano necessari, e mi pare di averlo dimostrato abbastanza, un ordine e una scrupolosità assai maggiori, un procedimento assai ‘diverso. Il successo non poteva mancare in un’epoca in cui il Canneti era troppo conosciuto e stimato e in cui s’aspettava ancora la Frusta barettiana; e il successo suo fu pieno ed aperto ad onta di tutte le promesse non mantenute, di tutte le digressioni e le lungaggini d’ogni genere, di tutti gli errori, le inesattezze, le imprecisioni, le omissioni, le ingiustizie, le intemperanze, le ripetizioni e le affermazioni troppo assolute, che la Dissertazione contiene. Ma se oggi il componimento cannetiano è poco apprezzato, gli è appunto per tutto questo complesso di difetti, su cui i contemporanei dell’ autore serbarono il più profondo silenzio e che invece i critici moderni hanno creduto doveroso d’indicare alla pubblica osservazione. Lungi però da me l’idea che i difetti dell’ opera del padre Canneti siano realmente sfuggiti all’ attenzione dei suoi amici: questi li notarono certamente, ma li nascosero per non dispiacere (1) Cfr. il mio citato lavoro su un’Accademia umbra ecc. in |. cit., v. XVI (1910), fasc. I-II, p. 25. (2) Cfr. lo stesso mio studio, in I. cit., p. 27. Go ogle 818 ENRICO FILIPPINI all’autore, che essi profondamente stimavano. E così avvenne che il Canneti stesso ritenesse d’aver fatto un’opera in tutto lodevole e non sapesse frenare la sua compiacenza per il completo trionfo ottenuto. « Si sente da per tutto ove è capitata, - scriveva il 7 di- « cembre 1724 al Fontanini - anco da Bologna che la Dissertazione « fa strepito e persuade la verità, cessando ogni dubbio contra- « rio » (1). E dieci giorni dopo, rispondeva allo stesso suo amico: « Molto mi consola V. 5. Ill.ma con accertarmi della buona sorte, « che incontra la Dissertazione » (2). Così il 27 di quel mese si confidava con Mariangelo Fiacchi, bibliotecario della Classense, scrivendogli: « La mia Dissertazione fa da per tutto un gran fracasso » (3). E anche un anno dopo, il 9 dicembre 1725, quando già la sua monografia era stata ristampata insieme col Quadriregto, esprimeva la sua gioia al Fontanini in questi termini: « Non so se nessun'altra « controversia letteraria nella storia degli scrittori possa mai deci- « dersi in forma più concludente e che soddisfaccia in tutto gli av- « versari, come riuscì intorno all’autore del Poema de’ Regni » (4). Nulla di piu esatto per ciò che si riferisce all'argomento principale; ma è strano che il Canneti, più di un anno dopo la prima pubblicazione del suo lavoro, non. avesse ancora alcun pentimento per tutto il resto. Egli, certamente, non prevedeva che la critica letteraria non sarebbe stata in seguito così compiacente con lui come in quel periodo e avrebbe denunciato man mano tutte le deficienze della sua apologia sottoposta ad un’analisi minuta come la presente. Della quale è da ritenere che il Canneti, se rivivesse, non si offenderebbe, egli che nella Dissertazione stessa raccolse tanti argomenti « ad abbatter l'errore e a confermare la verità » (5), da lui « principalmente ricercata » (6), e che vi si appellò « al tribu- « nale della ragionevole e sana critica » (7). Del resto, questa vivisezione, per così dire, dello scritto cannetiano non tende a de- (1) Cfr. il mio studio citato su L'ottava edizione del Quadr. nel carteggio fontaniniano, in 1. cit, p. 45- (2) Cfr. lo stesso studio in ]. e p. citt. (3) Cfr. la lett. cit., in I. e vol. citt. (4) Cfr. il mio studio ora cit., in l. cit., p. 48. (5) Cfr. la fine del par. XI della Diss. (6) Cfr. il principio del par. XXIII. (7) Cfr. il principio del par. I. a IL P. DON PIETRO CANNETI E LA SUA DISSERTAZ. FREZZIA NA 819 molire in tutto e per tutto un’opera ispirata a così alti sentimenti e che contiene tanto di buono: nessuno meglio di me, che ho lungamente studiato questo scritto, riconosce quanto lavoro d’indagine e di riflessione sia esso costata al suo autore: nessuno ne apprezza più di me il grande valore storico-letterario : nessuno sente meglio di me che la città di Foligno deve serbarsi grata all’erudito cremonese per essersi occupato con tanto amore d’uno dei suoi figli più illustri e per averle restituito una delle sue glorie più pure. La mia analisi negativa tende semplicemente a mostrare quanto di non buono la Disseriazione del Canneti contenga secondo la critica moderna e che cosa si dovrebbe fare se mai si volesse ristamparla, ciò che sarebbe, se non strettamente necessario, molto utile certamente per gli studiosi. Dopo quanto si è detto sui difetti di questo documento critico, è chiaro che non si potrebbe ridarlo alle stampe senza sottoporlo a delle modificazioni e senza un ampio corredo di note. Ma le modificazioni non dovrebbero essere così estese e numerose, che alterassero profondamente la fisionomia dell’ opera cannetiana, la quale ha diritto a tutto il nostro rispetto (1). Le note poi dovrebbero anzitutto indicare via via i pregi e i difetti del lavoro, illustrare il pensiero del Canneti dove occorra, mostrare lo stato delle diverse questioni da lui accennate, correggere gli errori e le inesattezze in cui è caduto, integrare le citazioni incomplete ecc. Ma queste note, che non potrebbero esser certamente poche, dovrebbero obbedire alla legge della maggiore sobrietà toccando semplicemente di ciò che è indispensabile dire. (1) Basterebbe ritoccare la punteggiatura, l’accentazione e l’apostrofazione secondo le regole della grammatica moderna: limitare il carattere corsivo, di cui l’autore si serve troppo spesso, anche per dare maggior risalto ad alcune sue affermazioni e conclusioni e che dava tanta noia al Baruffaldi: ridurre al puro necessario le iniziali maiuscole e le virgole, così largamente profuse in tutti i paragrafi: chiudere tra parentesi i richiami o parti e luoghi speciali di opere citate. Si potrebbe anche, senza nuocere all’organismo della ‘Dissertazione, toglierne tutti i numerosi riferimenti che vi sono alla ristampa del Quadriregio del 1752, cioè tutte le traccie di quel carattere di_prefazione o introduzione, che il Canneti le aveva dato, e che oggi non ha più ragione di esserle conservato. Ma se si volesse fare anche di più, non si darebbe luogo che ad una sconcia profanazione dello scritto cannetiano. 620 ENRICO FILIPPINI - IL P. DON PIETRO CANNETI, ECC. Il Canneti aggiunse poi in fine alla sua apologia un Zndice delle cose più notabili in essa contenute. E’ un indice di nomi più che di cose, ma che era necessario in un lavoro in cui si parla di tanti scrittori specialmente e si citano tante opere. Ora per una ristampa della Dissertazione questo indice dovrebbe essere rifatto: dovrebbe cioè limitarsi ai nomi personali e alle accademie ed essere completato sotto questo aspetto, perchè il Canneti non tenne conto di tutte le persone da lui nominate: pel resto dovrebbero bastare i sommari dei diversi paragrafi. Solo seguendo questi criteri, colui che si sobbarcasse alla non lieve fatica riuscirebbe a darci una ristampa veramente utile dello scritto cannetiano e a far cosa degna in pari tempo del Canneti e del Frezzi. Del quale non è vano ricordare qui che ricorre ora il quinto centenario della morte e aspetta dai suoi concittadini una conveniente commemorazione (1). Ma nessuna conveniente commemorazione del Frezzi è possibile senza che si rievochi l'opera amorosa dedicatagli dal dotto cremonese tre secoli dopo. E un’edizione illustrata e migliorata della sua apologia frezziana sarebbe certo un desiderato complemento di quella festa commemorativa. Enrico FILIPPINI. (1) Cfr. per questo la cit. mia noterella Dopo cinque secoli ecc. GO ogle nai VARIETÀ Una pia fondazione prediletta da Bonvesin da Riva. ULLA strada nazionale del Sempione, poco lungi da LeSÌ gnano, sorge un vecchio edificio, ove sono tuttora ricoverate alcune povere vecchierelle del luogo. Sulle pareti ti esterne dell’umile ricovero e particolarmente sulla porta -d’ ingresso stanno pregevoli affreschi del trecento ed altri d’epoca più tarda, tra cui notevole il supplizio di s. Erasmo, il vescovo atrocemente martirizzato da Massimiano e Diocleziano, dal quale prende nome l’antichissimo ospizio, che la voce popolare vuole fondato da fra Bonvesin da Riva. Ma fu proprio il pio trovéro lombardo, che morendo lasciava eredi i « pauperes verecundi » di Milano e la cui appartenenza all'Ordine degli Umiliati è tuttora oggetto di discussione (1), il fondatore dell’Ospedale di S. Erasmo in Legnano? | Sulla fede del marmo sepolcrale, esistente ancora alla fine del secolo XVII nel chiostro di s. Francesco, nel quale era detto che (1) Cfr. M. CAFFI, recensione al Tractato dei mesi di Bonvesin da Riva edito dal Lidforss in Archivio storico italiano, 1812, d.* 4.*, p. 496-98; C. CANETTA, I testamenti di Bonvicino della Riva in Giornale storico della letteratura italiana, to. VII, 1886, p. 171 e sg.; F. NOvaATI, Bonvicini de Rippa De Magnalibus urbis ‘ Mediolani in Bullettino dell'Istituto Storico Italiano, n. 20 (1898), p. 33 ed in quest’ Archivio, 1901, p. 191} A. RATTI, Bonvesin della Riva appartenne al terz’ordine degli Umiliati od al terz’ordine di S. Francesco? in Rendiconti del R. Istituto Lombardo, 1901, serie II, vol. XXXIV, p. 823 e sg.; L. Zanoni, Fra Bonvesin della Riva fu Umiliato o Terziario Francescano? in Il Libro e la Stampa, VII (N. S.), fasc. IV, novembre-dicembre 1914, p. 141 e sg. Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. IV. 53 822 = | VARIETÀ Bonvesin « construxit Hospitale de Legniano » esso viene generalmente ritenuto tale (1) e così lo vuole anche il Giulini (2); il Tiraboschi (3) però esprime i suoi dubbî in proposito. Nè' te. stamenti, pubblicati meno esattamente dal Canetta (4) e che pur meriterebbero una nuova edizione più accurata, fra Bonvesin parla a più riprese dell’ Ospedale di S. Erasmo, che egli aveva sovvenuto durante il lungo suo soggiorno in Legnano, ma che però non lascia erede del suo patrimonio; cosa davvero strana se egli fosse stato il fondatore dell’ospizio. Si può quindi ritenere col Ratti (5) che l'ospedale legnanese fu bensì un’istituzione largamente beneficata dal caritatevole rimatore trecentesco, ma di questi più antica, come pure si possono nutrire dubbi circa l’autenticità dell’epitaffio bonvesiniano, che in ogni modo deve essere posteriore parecchio alla morte del soggetto ricordato. Sia o non sia stato fondato da Bonvesin da Riva l’Ospizio di S. Erasmo è una delle più vetuste ed interessanti fondazioni benefiche dell’agro milanese e merita.invero che venga data qualche notizia intorno alle sue vicende attraverso i secoli. E senza dubbio deve essere antichissimo se Bonvesin nel suo testamento del 5 gennaio 1313 disponeva a favore del medesimo d’un legato di cento (1) Il BuFFiNI, Ragionamenti storico economico statistici intorno all'Ospizie dei Trovatelli in Milano, Milano, 1844, parte I, p. 95, opina però per un Domenico Vismara, ma non precisa la data della fondazione. Tale opinione viene pure espressa in una nota contenuta nei documenti riflettenti l’Ospizio di S. Erasmo in Legnano custoditi nell’ArcHivio peLL'OsPepALE MAGGIORE DI MiLano, Origine e dotazione, aggregazioni, mentre il parroco Agostino Pozzo nelle sue Memorie della chiesa di S. Magno, conservate ms. nell’archivio prepositurale del luogo e che abbiamo potuto consultare mercè la cortesia dell’attuale prevosto don Eugenio Gilardelli, ritiene senz'altro Bonvesin come fondatore del pio ricovero e così si esprime: « Et non è da meravigliarsi che un frate de Humiliati « facesse quest'opera in Legnano di fabricare un hospitale perchè quì li medemi « Humiliati havevano una chiesa sotto il titolo di S. Catterina ». (2) Memorie spettanti ecc., to. VIII, p. 440. (3) Vetera Humiliatorum monumenta, 1766, to. I, p. 299. (4) doc. cit. : (5) op. crt., p. 834. Go ogle calli VARIETÀ 823 soldi (1) ad istituire una messa festiva da celebrarsi nella cappella dell’ospizio. Nella Notitia Cleri Medsolanensis del 1398 (2) troviamo ricordati i Fratres hospitalis S. Erasmi de Legnano, che mediante lettere ducali del 18 dicembre 1405 venivano dichiarati da Gian Maria Visconti immuni ed esenti delle tasse nella persona del loro « maestro » Luigi Capra (3). Il duca di Milano, ispirandosi alla devozione nutrita verso s. Erasmo, confermava le lettere d’immunità concesse da’ suoi progenitori e da Bianca di Savoja, sua ava, attesa sopratutto la povertà del pio istituto « passum varias hostiles « predationes raptus et descrimina » in causa delle quali era « ad « nihilum reductum » (4). Quando colla bolla 9 dicembre 1458 Pio II promosse l’aggregazione al nuovo de’ piccoli ospedali esistenti nella città e ne’ sobborghi di Milano, quello di s. Erasmo continuò ad essere autonomo ed amministrato da’ suoi frati: fu solo più tardi, nel 1463, che lo stesso pontefice lo pose sotto la tutela dell’ Ospedale Maggiore di Milano e nel 1477, avendo Baldassare da Lampugnano, ministro di s. Erasmo, rinunciato all’amministrazione dell'ospedale medesimo, i deputati dell’ Ospedale Maggiore pensarono coll’ ordinazione capitolare 23 maggio 1477 di stabilire le norme per la gestione dell’ ospizio affidato alle loro cure. Oltre che dagli atti dell'archivio dell'Ospedale Maggiore (5) ne abbiamo notizia da una memoria stesa da Gio. Rodolfo Vismara (6) intorno (1) Il Prrovano nella Storia di Legnano e sue castellanze, p. 23-24, ms. posseduto dal Municipio di Legnano, della cui visione siamo debitori a quell'Amministrazione Comunale ed all'on. conte Cornaggia Castiglioni, parla addirittura d’una entrata di trecento scudi d’oro da distribuirsi ai poveri del borgo disposta da fra Bonvesin. E' altra delle frequenti inesattezze di questo volonteroso raccoglitore di memorie storiche legnanesi. (2) Cfr. quest'Archivio, 1900, p. 258. (3) Nel 1413 era « magister rector ac gubernator hospitalis seu ecclesiae « Sancti Arasmi de Legnano » un Ambrogio de Lampugnano; nel 1428 e 1432 un Febo de Lampugnano, come appare dagli istrumenti 28 febbraio 1413, rog. Cristoforo Cagnola, 16 dicembre 1423, rog. Pietro Reina e 27 marzo 1432, rog. Cagnola suddetto. (4) Cfr. il documento riportato per esteso in appendice. (5) loc. cit. (6) Personaggio notevole della corte ducale: dedito alla pietà e generosissimo fondò in Legnano un convento di Minori e di Clarisse: col suo testamento del 1492 chiamò erede il Luogo Pio della Carità e Monte Angelico in Milano. Sembra venisse a morte nel 1495. Si veda in argomento Bollettino della Svizzera Italiana, 1891, p. 82 e per più ampie indicazioni bibliografiche quest'Archivio, p. 561-62. 824 VARIETÀ alle « cosse agitate per casone del hospitalle de Sancto Herasmo « metuto apresso al borgo de Legnano da poy che Baldasare de « Lampugnano a renuntiato la administratione del dito hospitale « de Sancto Herasmo », della quale memoria manoscritta esiste copia nell'archivio della Congregazicne di Carità di Legnano (1), attuale amministratrice dell’Ospizio di S. Erasmo. Coll’ordinazione capitolare predetta si stabiliva che ogni anno i deputati dell’Ospedale Maggiore di Milano « ne la festa de Pascha de la Pentecoste « vel circa » eleggessero sei « homini de bona conditione, voce « et fama », di cui tre scelti fra’ gentiluomini abitanti o possidenti in Legnano o Legnanello, per amministrare il pio istituto, colle rendite del quale dovevano mantenere ammalati poveri assistendoli anche fuori dell’ ospizio, qualora fossero « infirmi di tale in- « ‘firmitate che non possono andare mendicando ». Al rinunciante ministro dell’ Ospedale, Baldassare da Lampugnano, erano concesse a titolo di assegno vitalizio (2) « moza xii de mistura sichale et « milio equalmente et brente xvini de vino » di quello raccolto sull’altura di s. Erasmo. A costituire poi il primo capitolo venivano eletti Andrea da Lampugnano, Gio. Rodolfo Vismara, Beltramino Fecido, Ambrogio de Zelati ed Antonio Salmoirago. ll cardinale Federico Borromeo nella visita pastorale del 13 giugno 1593 portava una notevole riforma nella costituzione del Capitolo di s. Erasmo: quest'ultimo non sarebbe stato oltre eletto dai deputati dell'Ospedale Maggiore di Milano, ma dal prevosto vicario foraneo di Legmano. Dagli Ordini appartenenti alli Deputati dell’ Hospitale di S. Erasmo, conservati nell'archivio dell'Ospedale Maggiore di Milano (3), si rileva che il capitolo doveva comporsi di dodici membri, sei « delli nobili » e sei « delli homini della Comunità », compresi in essi il priore, il vicepriore, il tesoriere ed il cancelliere; che doveva radunarsi almeno una volta al mese per deliberare intorno agli affari dell’Ospizio ed a quelli altresì della Scuola della Misericordia e della Fabbrica della Collegiata di s. Magno sottoposta pure alla sua amministrazione. Veniva insomma affermata così l’ingerenza (1) Opera Pia di S. Erasmo, documenti sulla fondazione ed amministrazione. Abbiamo potuto esaminare il ms. delle memorie del Vismara per cortesia del rimpianto cav. dott. Cesare Candiani, benemerito presidente della Congregazione suddetta. (2) Nel ms. di Gio. Rodolfo Vismara, più sopra ricordato, havvi esternamente una nota che dà il Lampugnano morto verso la fine del 1478. (3) /oc. cit. na VARIETÀ 825 del prevosto locale nella gestione dell’ Ospizio, ingerenza che si conservò per lungo volgere di tempo e che non fu sempre priva di contrasti. Fu appunto in seguito a dissensi sorti fra il prevosto ed il capitolo dell'Ospedale di s. Erasmo e degli altri LL. PP. di Legnano che il Senato il 27 gennaio 1672 emise una sentenza (1), contro la quale ricorsero i nobili del luogo, ed in un successivo decreto del 22 marzo dello stesso anno stabilì che il priore nelle deliberazioni capitolari avesse due voti, mentre uno solo veniva concesso al vicepriore ed al prevosto, che interveniva alle sedute in qualità d’assistente apostolico prendendo posto tra il priore stesso ed il luogotenente regio. Il priore doveva essere eletto per votì segreti e durare in carica un anno: gli atti del luogo pio si sarebbero custuditi « sub duplice clave diversae tamen formae inter « ipsas, quarum una sit penes R.dum Praepositum et altera penes « Priorem ». Il capitolo continuò così a funzionare sino al 1784 e cioè sino alla sua soppressione avvenuta in seguito all’istituzione della»R. Giunta delle Pie Fondazioni, che affidò l’amministrazione del nostro Ospizio al prevosto, coadiuvato da elementi locali, che la tenne sino al 1791, anno in cui vennero ripristinati i soppressi capitoli dei LL. PP. (2). Il ricostituito capitolo (3) non ebbe però vita lunga poichè nel 1807, fondate le Congregazioni di Carità, dovette cedere il posto a quella eretta in luogo; ma, soppressa essa pure nel 1825, fu nominato un amministratore stipendiato, che rimase alla testa dell’antica istituzione caritativa fin che, ristabilita la Congregazione di Carità nel 1862, quest’ultima ne assunse il governo, che mantiene tuttora. Nelle Memorie del Pizzi sopraricordate, compilate verso il 1630, è detto che nell’Ospizio di S. Erasmo « vivono alcuni poveri vec- « chi, quali siano della terra huomini et donne vivendo separata- « mente »: più tardi l’assistenza fu limitata alle sole donne, che (1) E’ stampata e conservata nell’AOM, loc. cif. - Cfr. pure ASM, Senato. (2) ASM, Governo, p. ant., Luoghi Pii, Legnano, busta 798. (3) Il capitolo, composto dal prevosto locale e da sei deputati con scadenza quadriennale, era presieduto da un priore ed amministrava, oltre 1’ Ospizio di S. Erasmo, gli altri LL. PP. e la Collegiata di S. Magno. Cfr. ASCM, Vocalità foresi, Legnano, busta 888. 826 VARIETA in numero di una dozzina o poco più vennero costantemente ospitate nel ricovero, come appare dalla serie dei bilanci della benefica istituzione (1). In un memoriale del 5 marzo t778 diretto al conte di Firmian si afferma che le vecchie ricoverate nell’Ospizio erano provvedute di pane, vino, riso, legumi, sale, olio e legna e qualche volta all’anno di uùn po'di carne e che nelle festività di Natale e di s. Erasmo avevano « qualche piciola galanteria »: dovevano però all’atto dell'ammissione fornirsi del letto e del corredo occorrente: trattamento invero non troppo lauto, che le rendite ristrette del luogo pio crediamo non abbiano ancora consentito di migliorare sensibilmente (2). Ma accanto all’assistenza alla vecchiaia un’altra forma di istituzione benefica s’era venuta sviluppando: per antica consuetudine, che alcuno vorrebbe far risalire alla fine del secolo XVI (3), l’Ospizio di S. Erasmo, destinato al soccorso dell’ultima età della vita, si fece raccoglitore dell’ età primissima abbandonata da parenti inumani. Nelle Memtorse del Pozzi, più volte citate, si legge che alla porta dell’Ospizio « si vede una finestrella « quale altre volte era cancellata con alcune asse nella quale si « ponevano gli figliuoli piccoli che da altre parti venivano man- « dati al venerando hospitale; si esponevano perchè non si sapeva « il nome etsi occultavano gli errori di alcuno ». Esisteva insomma a Legnano una specie di torno, al quale venivano affidati tanti poveri infanti, provenienti anche da paesi lontani e persino dalla Svizzera, che a cura e spesa dell’Ospizio erano inviati a Milano alla Pia Casa di S. Catterina alla Ruota, come risulta dai registri di quell’istituto a datare dal 1659 (4). L’uso durò a lungo ed (1) ASM, loc. cit. (2) Nel 1798 le tredici vecchie ospitate in S. Erasmo percepivano una diaria di sette soldi, come risulta da una notifica della Deputazione all’Estimo di Legnano diretta all’Amministrazione Centrale del Verbano il 9 termidoro, anno VI Repubblicano in ASCM, /oc. cit. La Delegazione Provinciale nel 1851, su richiesta dell’ amministrazione dell’ Ospizio, concedeva poi alle ricoverate il combustibile nella stagione invernale e l’uso d'un servo per attingere acqua. Cfr. la nota II settembre in ArcHIvio DELLA CONGREGAZIONE DI CARITÀ DÌ LEGNANO, loc. cif. (3) Il Fasi nella Corografia d’Italia, Milano, 1854, II, p. 258 accenna al 1° ottobre 1595 come a data d'inizio dell'uso d'esporre i figli abbandonati all’Ospizio di S. Erasmo, ma non porta le ragioni che l’inducono a precisare tale epoca. (4) ASM, Delegazione Provinciale, Beneficenza, Comuni, Legnano, busta 510, nota 11 luglio 1833 del direttore dell'Ospedale e LL. PP. Uniti di Milano all'I. R. Delegazione. (O ogle — VARIETÀ 827 il Buffini (1), dirigente della Pia Casa suddetta, così ne parlava ‘nel 1844: « Di notte colpi di sasso alla porta del chiuso ricovero «-avvertivano che un disumano depositava un infelice. Accorrevano le vecchie, destate tosto o tardi dal rumore, raccoglievano l’esposto e nel vegnente giorno l’amministratore lo spediva ai più opportuni asili in Milano. L’espositore per lo più si rimaneva in aguato o si involava tosto che si accorgeva che le buone vecchie avevano raccolto il suo abbandonato ». L’ abuso purtroppo sì prolungò sino alla soppressione del torno e l’autorità provinciale, dalla quale dipendeva e dipende tuttora il servizio degli esposti, così ne moveva lamento: « A Legnano..... non si potè ancora sra- « dicare affatto la cattiva abitudine di esporre i bambini sulla so- « glia del Luogo Pio di S. Erasmo: epperò non si è mancato di « riferirne alle competenti Autorità, che ebbero in qualche caso a provvedere » (2). ff nra x o Ma che rimane ora del vetusto ricovero? Una modesta chiesetta dedicata al santo protettore, che serve ora di cappella al contiguo Ospedale Civico, nella quale si conserva una bella pala d’altare attribuita a Benvenuto Tisi detto il Garofalo ed un umile ed ampio camerone terreno, dove conducono la loro grama esistenza alcune vecchiette, che al visitatore additano con compiacenza lo sbiadito ritratto del creduto fondatore del loro ospizio, di colui, che “ .... primo fecit pulsari campanas ad Ave Maria , (3) e che nello squallore del povero ambiente sta ancora come il genius (1) Op. e loc. cit. (2) Cfr. Grurmi G., Sul? andamento e sulla riforma della Pia Casa degli Esposti e delle Partorienti a S. Catterina alla Ruota negli anni 1867-68. Relazione al Consiglio Provinciale, Milano, 1868, p. 6-7. Con compiacenza chi scrive ricorda l'opera del compianto suo genitore intesa a far scomparire l’uso disumano del torno. Cfr. in proposito E. Porro, Gli esposti, conferenza tenuta il 9 marzo 1890, Milano, 1890, p. 8. (3) Cfr. Giulini, Memorie, to. VIII, p. 439. 828 VARIETÀ loci a rimpiangere col poeta la lenta, continua decadenza dell’ospizio tanto prediletto : LES +. * Ah, i miei malati Non vi son più. Tutto declina, o figlio In quel che resta dell’Ospizio a pena Qualche cadente vecchierella; e il mio Santo e l’opera buona ed il martirio Lava la pioggia e discolora il sole , (tr). ALESSANDRO GIULINI. DOCUMENTO. ASM, Luoghi Pit, Legnano, busta 198. = Mcccevigesimoprimo, die decimo iunii, indictione quartadecima. Egregii viri domini magistri intratarum illustrissimi et excellentissimi, domini ducis Mediolani etc. Papie Anglerieque comitis, attendentes continentiam mandati alias facti et concessi magistro, fratribus et pauperibus hospitalis Sancti Arasmi de burgo Legnani ducatus Mediclani continentia subsequentis videlicet: Mcccevii die nono decembris, Soectabiles et egregii viri domini magistri intratarum nostri illustrissimi principis ct excellentissimi domini domini ducis Mediolani etc. et refferendarius curie prefati domini et comunis Mediolani, receptis litteris prefati illustrissimi domini nostri eisdem dominis magistris et refferendario ad supplicationem magistri et fratrum hospitalis Sancti Erasmi burgi de Legnano ducatus Mediolani emanatis. in effettu continentibus quod prefati domini magistri et refferendarius, visis litteris immunitatis ed exemptionis dictis supplicantibus factis et de quibus in eorum supplicatione fit mentio, taliter provideant quod littere immunitatis et exemptionis praetacte observentur effectualiter. ipsique snpplicantes contra earum dispositionem et formam nullatenus molestentur etc. prout in dictis litteris Mediolani datis die decimo novembris proxime preteriti seriosius cone tinetur, et qui in executione dictarum litterarum diligenter viderunt et examinaverunt litteras immunitatis magistri et fratrum predictorum eisdem per illustrissimum dominum dominum nostrum ducem conces- (1) Cfr. T. Massarani, Grandi e piccole storie, Milano, 1876, p. 40. Go ogle _ VARIETÀ — 829 sas eius vero sigillo pendenti munitas signatasque hoc nomine Bernardus, tenoris huiusmodi videlicet: Dux Mediolani etc. Propter devotionem quam beato Erasmo gerimus volentes Aluysium Capram magistrum hospitalis Santi krasmi de Legnian. necnon fratres et hospitale predictum favorabiliter et benigne tractare concessas eis per felicissime recordationis quondam dominos progenitores nostros peroptime inemorie quondam dominam Blancham de Sabaudia mitam nostram immunitatis et exemptionis litteras confirmantes maxime considerata paupertate et extremitate in quibus constitutum est idem hospitale passum varias hostiles predationes raptus et descrimina multa propter que ad nichilum est reductum, tenore presentium pro eiusdem hospitalis reparatione dictos magistrum fratres et mulinarios et fictabiles quoscumque et hospitale pre- .dictum ab omnibus et singulis taleis oneribus ac datiis et pedagiis impositis et imponendis usque ad nostrum. beneplacitum de novo exhimimus absolvimus et liberamus, volentes etiam quod dicti fratres et mu- .linarius deputatus ad molandinum dicti hospitalis territori Legniani per aliquos offitiales victualium vel mensurarum non possint quovismoudo usque ad.nostrum beneplacitum molestari nec inquietari, mandantes refferendario nostro Mediolani necnon quibuscumque rectoribus vicariis et offitialibus nostris ad quos spectat et spectare poterit in futurum quatenus predictos magistrum et fratres ac molinarium nec» non fictabiles et hospitale predictos favorabiliter pertractantes ipsos contra formam presentem litterarum nostrarum non niolestent nec permittant quemodolibet molestari. In quorum testimonium presentes fierì iuvimus nostrique sigilli apensione muniri. Datuin Mediolani, die xciri decembris mccccv, quartadecima indictione. Bernardus. Visis etiam per prefatos dominos magistros et refferendarium datis et capitulatis incantuum civitatis et ducatus Mediolani quibus expresse cavetur sicut in incantibus hactenus factis hospitale predictum fuit et est a solutione datiorum reservatum et etiam expresse declaratum litteras predictas fore observandas, idcircho in executione omnium premissorum prefati domini magistri et refferendarius precipiendo mandant universis et singulis offitialibus rectoribus et exactoribus prefati illustrissimi domini domini nostri et ducis et comunis Mediolani presentibus et futuris et necnon datiariis, pedagiariis eorumque sociis nuntiis et offitialibus et consulibus comunitatibus et hominibus burgi Legnani et aliorum locorum quibuscumquce ad quos spectat et in futurum spectabit quomodolibet ac offitialibus victualium vel mensurarum presentibus et futuris quatemus litteras predictas observantes et observari facientes inviolabiliter et cum effectu dictos magistrum fratres hospitale eorumque fictabiles et mulinarium pro aliquibus taleis oneribus datiis et pedagiis quoquomodo impositis et de cetero imponendis nullatenus molestent nec molestari faciant nec permittant sub penna florenorum quinquaginta pro quolibet contrafaciente et qualibet vice camere prefati illustrissimi domini nostri applicandorum et omnem no 830 LI VARIETÀ vitatem et molestiam contra ipsos magistrum fratres hospitale fictabiles et mulinarium nec aliquem eorum fictabilium premissorum occaxione penitus revocent et revocari faciant sub eadem pena libere et absque ulla prestatione pecunie. Ego Ambrosius Bossius cancellarius offitii intratarum presens mandatum alias manu dominorum magistrorun intratarum et refferendarii curie signatum a prima nota iterum extrahi feci et me subscripsi. Harum tenore approbantes et confirmantes de novo suprascriptum mandatum ac omnia et singula suprascripta in eo contenta precipiendo mandant quibuscumque offitialibus prefati domini necnon datiariis pedagiariis eorumque sociis et offitialibus consulibus comunitatibus et hominibus suprascripti burgi Legniani ac quorumcumque aliorum locorum quibus spectet et etiam offitialibus victualium et mensurarum presentibus et futuris omnibusque aliis quibus spectet et spectare possit quomodolibet in futurum quatenus presens mandatum et omnia et singula in eo contenta et descripta prout iacent ad litteram observent et faciant inviolabiliter observari nec contra ea aliquod attentare presumant sub penna cuilibet contrafacienti superius contenta. Ego Paulus de Gusperis cancellarius offitii intratarum suprascriptum mandatum de mandato prefatorum dominorum magistrorum per alium scribi feci er subscripsi in testimonium premissorum. Ego Franciscus de Grassis notarius offitii refferendarii domini et comunis extraxi predictas litteras cum mandatis a quadam copia existente ad predictum offitium in quadam filza in qua sunt diverse littere ducales diversis temporibus facte et concesse, et hoc de mandatu spettabilium dominorum regulatoris et magistrorum et in fidem premissorum subscripsi. - VARIETA 831 Appunti su Lorenzo Binaghi architetto. ya] epistolario, quasi interamente autografo, del venerabile Bascapè, da quando nel 1593 cessò di essere Generale dei Barnabiti per passare al governo della chiesa novarese, fino alla morte avvenuta nel 1615 si conserva in ventisei volumi 1 folio nell’archivio di S. Carlo a’ Catinari in Roma; e sesi avesse la pazienza e l’agio di leggerlo, offrirebbe, non ne dubitiamo, notizie curiose, spesso importanti e affatto ignorate. Una di queste ce la presenta una lettera del primo volume diretta dal Bascapè al P. D. Lorenzo Binaghi da Cremona, ai 14 di aprile del 1593, quando cioè non aveva ancora fatto il suo ingresso nella chiesa affidatagli. Per quanto in quei giorni fosse oppresso da occupazioni e da pensieri gravi, come facilmente si può immaginare, il neo-vescovo non perdeva dì vista il suo progetto di ripubblicare gli Att: des Concili provinciali tenuti sotto il governo di S. Carlo Borromeo, progetto che egli aveva sostituito all’ altro di ripubblicare gli Acta Ecclessae Mediolanensis, non appena aveva saputo che il cardinale Federico Borromeo n’aveva dato l’incarico ad altri (1). (1) Lo seppe il 26 dicembre 1592: scrivendo egli al vicario generale di Milano mons. Bernardino Mora in un poscrizto d’una sua lettera: « Ho avvertito « hora nella lettera di V. S., dove mi dice che il Sig. Card. Borromeo ha man- « dato cose per l’Acta, che forse tratta qui di questo con altri o piuttosto altri « con S.S. Ill. e mi ricordo che a’ giorni passati mi fu detto, che una del Card. « di Sans (Sens) parlava qui di tal stampa. Io affermo a V. S. che io proposi il « negozio da me per servizio di Dio senza sspere altro, e se io vedrò che altri « voglia fare, e dire, me ne ritirerò presto ». E così fece e si osservi che aveva già fondate speranze che le sue pubblicazioni sarebbero fatte d'ordine del pontefice dallo stampatore vaticano e aveva ottenuto un breve in lode di s. Carlo da collocare in principio della raccolta (lett. al Mora del 21 novembre 1592). Gli Acta eran stati pubblicati nel 1582, ma l’edizione era omai da tempo esaurita. 832 VARIETÀ | Scriveva dunque al P. Binaghi: « M. R. Padre; Pax Christi. « Con questa saluto V. R. e le do nuova di me che sono arrivato « qua sano per gratia del Signore con la compagnia et insieme la « prego di attendere a quell’opera della fabbrica ecc.°8 acciocchè « la Chiesa possa sentirne giovamento che non sarà poco; et avi- « sarmi del progresso. Anche, mi raccomando alle sue orationi et « priego dal Sig."e larghe beneditioni. Da Cremona il 14 d’aprile « 1593 ” (1). Anzitutto conviene qui richiamare chi fosse il destinatario di questa lettera. Era un religioso barnabita che ha un nome non disprezzabile nella storia dell’architettura italiana, sebbene gli scrittori nostri lo passino quasi inosservato (2), quando non lo confondano con Lorenzo Biffi facendone, senza dircene la ragione, una persona sola, mentre di fatto sono due persone distinte (3). Era il Binaghi milanese, figlio di Francesco mercante di panni (mercatoris pannorum laneorum); a diciotto anni compiuti fu ricevuto nella Congregazione dei Barnabiti dal padre Gian Pietro Besozzi, generale, il 4 dicembre 1572 e prese l’abito religioso il dì 25 successivo. Fece la sua professione dei voti il 2 luglio 1574 e fu ordinato prete per mano di S. Carlo Borromeo il 24 settembre (1) Lettere di mons. Bascafè, to. I, n. 192. (2) Ne parlano tuttavia il MazzuCcHELLI, l’ARGELATI, che non sono però scrittori di storia dell’arte, il FERRARI (Della fabbrica delle chiese, Milano, 1804) il MaLacuzzi-VaLERrI, Milano (Italia artistica) II, p. 110-112 e inoltre gli scrittori barnabiti. Del Binaghi parlano invece con grande stima il GURLITT (Geschichte des Barockstiles in Italien, Stuttgart, 1887, p. 146-8; il DoHME in /abrbuch d. k. preuss. Kunstsammlung, IIl (1882), p. 124-125. Molti materiali per la biografia del Binaghi aveva raccolto il padre Angelo M. Cortenovis, ma andarono perduti; nel Nuovo Giornale de’ Letterati di Modena (to. X, 1776, p. 269) si citano « Le vite del P. D. Lorenzo Binago e del P. D. Gio. Ambrogio Mazzenta, due celebri architetti barnabiti » scritte da PaoLo ONnOFRIO BRANDA, ma non è stato possibile a me di rintracciarle. (3) Se ben mi ricordo tra le memorie del cinquecento o del seicento mi sono imbattuto in un padre Lorenzo Biffi. Poichè solevasi molte volte omettere il cognome e dirc p. es. don Lorenzo barnabita per dire il Binaghi, avvenne l’equivoco di confonder questo con il padre Lorenzo Biffi che non ricordo di quale ordine fosse, ma non era certo barnabita. Nell’ equivoco, tanto comune, cadde pure il padre Galli, barnabita, nella sua monografia sopra la chiesa di s. Alessandro (Milano, 1887). = VARIETÀ 833 1578 (1). Cultore appassionatissimo di architettura e di merito non inferiore al suo confratello e concittadino padre Ambrogio Mazenta (2), fu adoperato continuamente dai superiori per le chiese e i collegi della Congregazione, che era allora in un periodo di vivo sviluppo. A Milano il Binaghi lasciò una insigne testimonianza del suo valore nella chiesa di S. Alessandro che si deve a lui, togliendone però la brutta facciata, opera assai posteriore. Sul padre Binaghi ho tentato di richiamare l’attenzione degli studiosi pubblicando or non è molto una lunga lettera a lui diretta a proposito della benedizione della prima pietra di S. Carlo a’ Catinari (3) e poco dopo una lettera sua sopra il culto di S. Carlo Borromeo in Milano e dirette al beato Giovenale Ancina vescovo di Saluzzo (4). Ma torniamo ora alle lettere del ven. Bascapè. Dalla prima che abbiamo riportato rilevasi che un’opera di architettura ecclesiastica era già stata affidata al padre Binaghi, il quale in allora, come si vedrà, trovavasi a Zagarolo, dove i Barnabiti stavano erigendo un nuovo collegio. Un’ altra lettera diretta allo stesso Padre scriveva il Bascapè alcuni mesi più tardi e questa ci dà nuova luce sopra il desiderio del vescovo e del compito del confratello architetto: « Molto R. P. Pax Vobis. V. R.tià m’ha dato molto gusto con « la sua, sì per la nuova che mi dà di Lei, et sì per l'aviso di at- « tendere tuttavia a quell’opera della fabbrica et suppellettile ecc.ca « et con tale autorità. Quanto ai modi di farla mi rimetto a Lei et « a quei S."i della Congregatione, col qual fine mi racc.9° molto alle « sue orationi, et le priego dal Sig. abondanza di spirito. Di Va- « rallo. 25 settembre 1593 » (5). Qui dunque possiamo affermare che il titolo dell’opera cui at- (1) Queste notizie le ricaviamo dal Libro degli stati personali ms. dell’archivio di s. Carlo a’ Catinari. Nell'archivio di s. Barnaba a Milano conservasi l'autografo della professione, da cui risulta ch'egli la emise a Cremona nel collegio di s. Giacomo nelle mani del padre Francesco Cairo, a ciò delegato dal padre generale Omodei. (2) Di questo, come del padre Binaghi, ho parlato recentemente nella mia Storia di Barnabiti nel Cinquecento, Roma, 1913, p. 375-377. Qui mi piace ricordare la monografiia di Aldo Foratti, L'architetto G. A. Magentu a Bologna, Modena, 1912. Di lui parlo anche per le relazioni che ebbe con Guido Reni in un opuscoletto dal titolo: Guido Reni e i Barnabiti, Roma, 1914. (3) La posa della prima pietra della chiesa di s. Carlo a’ Catinari, Roma, 1912, (4) Il culto di S. Carlo a Milano nel 1603, Roma, 1913. (5) Lettere, ecc., to. I, n. 245. | (O ogle 834 VARIETÀ tendeva il Binaghi era: Della fabbrica e suppellettile ecclesiastica, lo stesso titolo che ha un’ appendice agli Acta Ecclesiae Mediolanensis. De fabrica et suppellectili ecclessastica. Notiamo ancora che se prima l’incarico era stato dato al padre Binaghi dal padre Bascapè, come suo superiore generale, ora, a quel clie sembra, l’incarico gli era stato confermato dalla Congregazione romana dei Riti (con tale autorità e quei signori della Congregastone, e siamo in materia di liturgia). Pienamente d’accordo sopra la opportunità di pubblicare dapprima gli Acta, ed ora i Concili provinciali era l’amico intimo del Bascapè, monsignor Lodovico Torres, arcivescovo di Monreale. Anche questo « veramente raro prelato » (1) come lo qualifica il Bascapè; l’idea di pensare al trattato De fabbrica et de suppellectili ecclesiastica gli era subito entrata, giudicandola una appendice quasi indispensabile per l’edizione progettata dei concili milanesi. ll Bascapè ad una lettera di lui della quale ci spiace di ignorare precisamente il contenuto, rispondeva in questi termini (2): « Ill, mo et R,mo « Sig. mio nel Sig. osserv.mo.... La fatica che V. S. Ill.ma essorta « a fare intorno al libro della fabbrica ecc.°8 lasciai in mano ad « uno dei Padri nostri che ora sta a Zagaruolo; et secondo che « mi scrive, va tuttavia lavorando. Credo bene che haverà bisogno « dell’aiuto et favore di V. S. ]ll,ma per la spesa dell’intagliare e « stampare le figure, però all’incontro raccomando a lei il negotio « acciocchè tutti godiamo il frutto di così utile fatica riconoscen- « dolo ancora dalla sua mano, e veramente io non farò poco a « dare il libro dei Concilii provinciali incorporati insieme e ciò « con l'aiuto d’un buon prete nel quale ho trovato molta attitudine « in questo. Dall’Isola (di S. Giulio) ai 10 d’ott. 1593 » (3). Nuova luce nell’incombenza data al padre Binaghi e da questo accettata: trattasi di accompagnare il testo di intagli e di figure, cosa per la quale ci vorranno dei buoni danari, e il Bascapè, con la confidenza che l’amicizia suggerisce, invita il degno arcivescovo di Monreale a concòrrervi, mentre non manca di far notare la nobiltà dell'impresa e quanta fatica egli stesso, il Bascapè, siasi addossata. Ciò che non si arriva a conoscere bene sì è qui il compito (1) Lettera 26 dicembre 1592 a mons. Mora. (2) Lettere, ecc., to. I, n. 302. (3) Era questi don Domenico Zucchinetti di Suno, già stato al servizio di s. Carlo. Laureatosi in legge a Pavia, fu parroco di Trecate, poi di Pernate e finalmente fu scelto dal Bascapè come suo cancelliere, VARIETÀ 835 del padre Binaghi. Doveva egli stendere un libro nuovo oppure semplicemente illustrare con figure il libro De fabrica et suppellectili ecclesiastica già comparso alla stampa e inserito negli Acta Ecclesiae Medsolanensis? Lasciando per ora da un canto tale questione, non si sa per quali motivi l’opera vagheggiata dal Bascapè incominciò a soffrire qualche contradizione. « Mi rincresce poi, scriveva egli il 2 feb- « braio 1594 al P. Binaghi che quei Sig.ri (della Congregazione) si « siano raffreddati per conto di quell’opera. Però la R. V. non resti « di seguitar la fatica che un giorno verrà occasione di far qual- « che cosa » (1). D'altra parte non mancava chi accusava il Bascapè di ritardare troppo quella pubblicazione. « Se, scriveva egli « al padre Dossena, procuratore generale, quando io sto per comin- « ciare quasi a stampare, mi mandano via e mi dànno un negozio « di tanto intrico, che ne posso io? Il libro è fatto et me lo stra- « scino dietro per tutto: nè trovo tempo di rivederlo et raccomo- « darlo. Non perderò tempo, piuttosto lo ruberò, se tanto mi si « minaccia. Ma V. R. può dire al Sig." Abbate che l’haverà in per- « fettione da Mons. Arcivescovo (2), il quale intendendo ch’io ero « per dar fuori una tale opera, ha messo mano ancor esso ad una « simile, dicendo che tocca a lui, et credo forse che sia quella che « già lavorava il Card. di b. m.: sto pure a vedere se potessi scan- « sare questa fatica e spesa; ma dubito assai che non mi voglia « tor questa prerogativa. 24 febbraio 1594 » (3).- Sembra però che quel progetto dell’arcivescovo Visconti tramontasse assai presso, se mai era stato formalmente fatto. C'è motivo a credere che si trattasse piuttosto di una minaccia suggerita dal timore di vedere violato il proprio diritto. Al Bascapè riuscì facile far constatare che questo diritto non esisteva affatto e d'’altronde a Milano Gian Paolo Clerici, rettore degli Oblati al Collegio Elvetico, a cui era stata commessa la ristampa degli Acta (4) non (1) Lettere, ecc., to. II, p. 76. (2) Gaspare Visconti, che fu arcivescovo di Milano dal 1584 al 1595 in cui morì. (3) Lettere ecc., to. II, p. 140. (4) Mons. Ratti nella sua edizione degli Acta Eccl. Mediolanensis (Milano, 1890, vol. III) ricava dalle scritture della Congregazione degli Oblati questo tratto: « 1594 die 21 Januarii. Mandata est cura M. R. D. Preposti, S. Sepulchri « cum aliis viris peritis reducendi ad unum corpus omnia Concilia provincialia ». Il preposto di S. Sepolcro era allora don Giulio Cesare Bonomi; può darsi che, LO ogle 836 VARIETÀ mostrava di avere l’attività del Bascapè e del canonico Zucchinetti, suo factotum nella edizione dei Concili. Rassicuratosi per questa parte, nel maggio del medesimo anno 1594 scriveva il Bascapè al padre rettore dei Gesuiti di Venezia perchè volesse scegliere uno stampatore e iniziasse le prime trattative (1). Quel padre incaricava d’ogni cosa il padre Gabriele Bisciuoli, al quale il Bascapè, dopo avere esternato la sua gratitudine ed alcuni suoi desideri circa il modo di stampare quel libro, così scriveva: « Fra dieci giorni man- « derò l’opera de fab.°8 ecc.°® già stampata ». Lo stesso annunzio dava al padre inquisitore di Venezia più tardi con lettera del 19 ottobre: « Mandai già più mesi a Venetia in mano de’ R. Padri del « Giesù una compilazione fatta dei Concili provinciali di Milano, et « d’un libro de fabrica ecc.°® opera pure del medesimo m.° (maestro) « che fu il Card.le di S, Prassede, perchè si stampasse, et perchè « mi scrivono quei Padri che ancora l’ha nelle mani V. P.tà per come opina, il Ratti al rettore Gian Paolo Clerici spettasse poi la parte più importante di quella pubblicazione, ma questa ben presto ad ogni modo fu tralasciata e il Clerici continuò ad occuparsi dell'edizione degli Acta. (1) Sarà forse interessante leggere questa lettera del 28 maggio in cui il Bascapè determina con una diligenza grande tutto quanto desiderava perchè la pubblicazione riuscisse interamente decorosa e pratica. e Il Card. di S. Prassede di b. mem. ha celebrato nel corso del suo arcivescovado sei concili provinciali, et così ha lasciati sei volumi di decreti. Di questi horamai non se ne trova più alle librerie, per il grande spaccio che hanno havuto da forestieri et anco così separati riescono incommodi a trovarvi dentro ciò che si cerca, dovendo cercare in sei indici. Hora qui s'è fatta una fatica che rimedierà ad ambedue le incommodità, si sono ridotti tutti in un corpo mettendo ciascuna materia medesima di tutti sei in un sol capo, con aggiungervi un copioso indice commune et desidero per la necessità di questa mia chiesa et di tutta la provincia, et per commodo et utile di tanti stranieri che ricercano questo lume di governo ecclesiastico, fare stampare l’opra et per celerità farlo in cotesta città di Venetia, dove manderò ancora huomo a posta per correggere et guidare bene l’opera, ma ho voluto prima scriverne a V. R. pregandola per carità a « volere trattare di questo con qualche stampatore, ecc. I libri così separati sono « da sei cento carte in ottavo, ma hora vorrei che si stampassero in quarto ». (Lettere, ecc., to. II, p. 348). Nel settembre rinasceva la speranza di poter stampare illustrata da figure l’opera sulla fabbrica « Ho inteso, scriveva D. Bascapè al P. Dossena il r0 set- « tembre, con molto gusto che codesti Signori pensino vivamente ad abbellire « et illustrare con disegni et figure quella buona operetta dell'istruzione della « fabb.ica.... ». Lettere, ecc., to. III, p. 166, ma in realtà non si fece nulla. LI a RA Go ogle ori VARIETA 837 rivedere, vengo con questa a pregarla, che voglia farmi gratia di dare la licenza di stampare tal volume poichè io le fo’ ampia testimonianza che non contiene altro che i detti libri ridotti in un corpo, ì quai libri V. P.tà può assicurarsi che sono già stampati più volte et furono approbati prima et politi con cento lime, et hora sono ricercati come cosa elettissima da tutti i buoni prelati ancora dalle provincie lontanissime; et è già molto tempo ch’io sono sollecitato a fare stampare tale opera da Cardinali et altri prelati, et posso quasi dire da S. Sta stessa, et del favore etc. » (1), A Roma infatti si era impazienti di veder comparire quell’opera e al Bascapè non restava altro che dimostrare che il ritardo non dipendeva affatto da lui (2). Il lettore avrà notato che in questa lettera al padre inquisitore parlando del libro de fabrica ecclesiastica, egli dice d’averlo mandato già stampato, meglio in una copia a stampa, segno evidente, ci pare, che il lavoro del padre Binaghi nel 1593 non era quello di ‘scriverlo, ma solo di illustrarlo con figure. Mentre a Venezia l'opera subiva un ingiustificato ritardo per colpa dell’inquisitore, a Milano tornava in campo un’accusa contro il vescovo Bascapè quasi che egli con quella pubblicazione andasse contro alla giurisdizione arcivescovile (3). Una nobilissima lettera il vescovo di Novara scrisse in quell’occasione all’arcivescovo Visconti il 10 novembre 1594 (4), una lettera in cui ribattè trionfalmente l’accusa e fece capire in bel modo a certi suoi malevoli, ‘che avevano istruito a loro modo il Visconti, che, a questo mondo, specie per fare il bene, c'è posto per tutti e che il suo libro non era tale da rendere inutile gli altri. A sollecitare la pubblicazione mandò quindi a Venezia lo stesso Zucchinetti, il quale peraltro se ne tornava dopo poco tempo, convinto che nulla restava a fare colà, attesa la diligenza del padre Bisciuoli. La pubblicazione del volume si ebbe soltanto nel 1595; sempre però quattro anni prima di quello degli Acta. Vi troviamo RrR È & èxRa 2 (1) Lettera, ecc., to. III, p. 225. (2) « Voi altri da Roma non siete già soliti a spedire le cose così tosto, ‘« onde abbiate da premere tanto adosso agli altri », scriveva il Bascapè al padre Dossena il 23 maggio 1595. Lettere, ecc., to. IV, p. 267. (3) Fu anche per questo motivo che il Bascapè dispose che l’opera si pub- ‘blicasse sotto il nome di don Domenico Zucchinetti. (4) È riferita dal padre Manzini sulla sua monografia S.Carlo e il ven. Ba- .scapè (Monza, 1910) a p. 88-89. 54 838 VARIETÀ l’operetta De fabrica et suppellectili ecclesiastica. E le incisioni del Binaghi? non vi compaiono affatto; unica incisione è quella del cubito, ma è una incisione che troviamo nell’edizione precedente degli Acta Ecclesiae Mediolanensis, dove troviamo l’operetta stessa de fabrica et de suppellectili ecclesiastica. Noi non crediamo che il Binaghi non avesse il tempo per preparare i disegni commessigli dal Bascapè. Il ritardo che la pubblicazione subiva per le ragioni che abbiamo accennato, gli avrebbero dato tutto il tempo desiderabile per ultimarli. La sola ipotesi che spiega la non esecuzione delle figure è quindi la mancanza dei mezzi necessari, e la speranza di dare quindi alla pubblicazione dei Concili tutto il compimento di cui era capace, andò fallita. Almeno ci fosse concesso di vedere ora i disegni preparati dal padre Binaghi per tale scopo, ma per quante ricerche abbiamo fatte, non ci avvenne di ritrovarli. — Mentre leggevamo la prima lettera al Binaghi da noi riportata ci era venuto il sospetto che fosse il Binaghi stesso autore della scrittura e non il semplice illustratore. Ma se in seguito abbiamo dovuto limitare così il suo lavoro del 1593, non potrebbe supporsi ancora che egli lavorasse sopra una antica scrittura sua? Non si potrebbe supporre ii Binaghi stesso autore dell'operetta De fabrica et suppellectili ecclessastica? Questa comparve la prima volta nel 1576 e fino ad oggi l’autore di essa è rimasto sconosciuto (1). Ora che (1) Su questo argomento ecco quanto ebbe a scrivere mons. Ratti nei suoi Acta Eccl Mediol., vol. III, p. xxIr: « Succedunt Instructiones Fabricae et sup- « pellectilis ecclesiasticae libri II. Editione principe eaque authentica prodierunt « ex officina Pacifici Ponti anno 1576; manuscriptas, sed non totas, reperi in duobus codicibus Archivi ven. Curiae Archiepiscopalis (sect. VII, vol. n. 38 et sect. XIV, vol. n. 84: hic continet quae spectant ad fabricam ecclesiae, ille nonnulla etiam de suppelléctili cum correctionibus autographicis ipsius Caroli). Ex his codicibus titulum de manipulo (part. IV, vol. 1560) restituere licuit, quem omnes editiones omiserunt; nonnullae etiam lectiones emendatae sunt. Librum primum, de ipsa scilicet ecclesiae fabrica agentem initio huius saeculi « (XIX) Cardinali Fontana et satis celebri Architecto A. Moraglia hortantibus « italice vertit Leopoldus Brioschi (LeopoLpo BrioscHi, /nstruzione intorno alle « fabbriche ecclesiastiche; prima traduzione italiana dalla latina inserita negli atti « della chiesa milanese, Milano, 1823). Et hic quidem in praefatione sua asserit « Ludovicum Monetam integros duos libros italice primum conscripsisse quos « Galesinus in quadam epistola (Arch. Ven. Cur. Arch, lect. XIV, vol. 139 f. 40) « ad S. Carolum data Mediolani die 18 Julii anni 1577 haec habet: Il libro « della istruzione va innanzi; ma presto mancherà copia perch'io non ho chi scriva. « Di poi bisogna sollecitare Monsignore Moneta per far l’instruttione della faR AA si VARIETÀ 839 si possa (non dico si debba) attribuirla al padre Binaghi non vediamo che vi sia difficoltà. Il Binaghi nel 1576 era nel suo ventitreesimo anno. Se l’età giovane non lasciava supporre in lui una grande esperienza, la sua qualità di religioso-architetto lo rendeva indicatissimo a comporre quelle snsiructiones che giustamente monsignor Magistretti chiamava, non ha molto, un vero codice di prescrizioni pratiche per il modo di edificare chiese per la confezione degli arredi sacri, prescrizioni così sapienti, che vennero seguite anche dalla Congregazione romana dei SS. Riti (1). Nel numeroso seguito del santo cardinale Borromeo non facevan certo difetto persone competentissime in fatto di liturgia, ma per trattare convenientemente di fabbriche ecclesiastiche bisognava essere in pari tempo intendenti di architettura. Bisogna poi osservare che se egli entrò nella Congregazione dei Barnabiti a diciotto anni compiuti, l'architettura dovette averla appresa dalla prima sua giovinezza e quin.ii a ventitre anni poteva avere dell’arte una esperienza non trascurabile. Si noti ancora che il Bascapè nella lettera che abbiamo citato non fa mai il nome dell’autore di quest’operetta. C’è un lavoro ch'egli vuole si faccia attorno ad essa: la illustrazione con figure, ed egli vuole che questo lavoro sia fatto dal padre Binaghi; non è naturale il pensare ch’egli chiamasse l’autore stesso a perfezionare l’opera sua? Torniamo a ripetere, non osiamo dare come certa questa soluzione suggeritaci dalle lettere del Bascapè; ci limitiamo a dire che essa non incontra serie obbiezioni e le circostanze che si possono ricordare per appoggiarla, la rendono molto probabile. L’ Argelati (2) e il Mazzuchelli (3) pongono il padre Lorenzo Binaghi nel catalogo degli scrittori, ma non si sa bene per quale ragione, chè non lo fanno in realtà autore di alcuna scrittura, ma soltanto di disegni per chiese ed altri edifici, Eppure egli real- « brica del monastero delle monache perchè horamai si è al fine del primo libro. e Et revera caput XXXIII et ultimum libri I inscribitur: De monasterio monialium: « utrum autem Ludovicum Monetam totum opus et quidem italice conscripsisse « hinc concludere liceat, an potius dicendum sit, eum utpote cui monialium cura « fuerat demandata solam instructionem de monialium monasterio scripsisse, mihi « non constat. Certo codices a me reperti latine sunt conscripti, nec scriptura « sive textus sive correctionum, Galesino aut Monetae tribui posse videtur ». (1) V. S. Carlo Borromeo nel INI Cent.. ecc., p. 429. (2) Bibl. script. med., to. III, parte II, col, 167. (3) Scrittori d’Italia, to. II, parte II, p. 1233. 840 VARIETÀ mente, ora almeno, può dirsi scrittore perchè ha alle stampe un suo Discorso intorno alla ricostruzione del duomo-di Brescia per cura dello Zamboni nelle sue Memorte intorno alle pubbliche fabbriche più insigni della città di Brescia, pubblicate in Brescia nel 1778 (1). Prima che qui noi lo riportiamo sia perchè da moltissimi ignorato, e sia perchè può servire a darci un concetto di ciò che voleva il Binaghi si osservasse in tema di fabbriche ecclesiastiche, occorre, sulla scorta dello Zamboni, raccontare come il Binaghi si sia interessato di quella cattedrale. Il vescovo dl Brescia Marino Giorgi e il consiglio della città avevano d’accordo nel 1599 determinato di aprire un concorso per la progettata riedificazione. Tra i concorrenti troviamo il cav. Giovanbattista Trotto, cremonese, detto il Molosso e alcuni architetti bresciani, cioè Pier Maria Bagnatore, Gio. Antonio Avanzo e Gianbattista Lantana. Nel 1603 il disegno di quest’ultimo riportò vittoria e fu, con lievi correzioni di Lelio Bazzo, milanese, accettato nell’anno successivo. Ai 12 maggio fu posta solennemente la prima pietra. La fabbrica procedette innanzi fino al 1611 senza difficoltà, quando, nel maggio, incominciarono. alcune critiche circa la nuova costruzione, sì proposero nuovi disegni come più degni di essere eseguiti e tra i censori e i malcontenti primeggiava-lo storico ed antiquario Ottavio Rossi. Godendo questi un certo credito nella cittadinanza, la congregazione sopra la fabbrica del Duomo nuovo decise che senz'altro d’ora innanzi si seguisse il disegno proposto da Ottavio Rossi, e così si sarebbe fatto, se non avessero altri protestato chiedendo che si sentisse il parere di intendenti forastieri. Infatti « per concordare i diversi pareri, dice lo Zamboni, « fu condotto da Milano il P. D. Lorenzo Binago barnabita archi- « tetto intendentissimo, il quale riprovando il disegno proposto « dal Rossi, e commendando il primo, lasciò il suo giudizio in una « scrittura. La Congregazione (della Fabbrica) poi restò tanto per- « suasa delle ragioni addotte a bocca e nella sua scrittura dal dotto « Barnabita che, unitasi alla presenza del Vescovo, il dì 22 di mag- « gio del 1613 deliberò e stabilì che si dovesse continuare la detta « fabbrica in tutto e per tutto giusta il disegno antico e gli ordini « di esso R. P. Lorenzo e protestando tutti, che per l'avvenire non « potesse esser più mutata cosa alcuna importante circa detta Fab- « brica, se la cosa non fosse deliberata dal magnifico consiglio ge- (1) Crediamo in piccolissimo numero di esemplari. na VARIETÀ 84I « nerale della Città ». Da una specie di Grornale della Fabbrica (osserva lo stesso Zamboni) del nuovo Duomo, esistente tra le mani del signor Giuseppe Biagio, misuratore della Fabbrica medesima, apparisce chiaramente che essa fu posteriormente continuata a norma dei consigli del padre Binago, stando in essa registrati quasi tutti i contratti relativi alla medesima, colla seguente condizione loro apposta: « giusta i ricordi del P. Lorenzo Binago » (1). Ed ora ecco il testo del discorso in cui anche questi sì contengono: Discorso del molto Rev. P. D. Lorenzo Binago, Prete dell’ Ordine dei Barnabiti di Milano sopra il disegno, e modelli fatti per fare il Duomo di Brescia. Acciò si veda la differenza della prima Pianta del Duomo alla seconda, mostreremo le cose seguenti: I. — La prima Pianta in spazio per il Popolo è in misura di circa Quadretti 7946. II. — Riesce spaziosa, meno occupata dalla sodezza e senza nascondigli. III. — Nelle altezze riesce più svelta, e più sfogata e massime negli archi minori, e nelle Cappelle con architettura più soda e corrente con i lumi liberi, e senza ingombro deile cornici, e simili oggetti. IV. — È fabbrica di fattura e spesa moderata per essere le cornici correnti senza lisene fuori che nei membri principali, onde riesce pià soda e conseguentemente più maestosa. « V. — Si accomoda questa Pianta con il sito, qual, per quanto com. porta il corpo della Chiesa è quadrato. VI — Si accomoda alla Piazza senza restringerla molto, e nel di fuori compare con bella proporzione, e con proporzionati finimenti in forma di un Tempio. VII. — Questa pianta è ripartita sì, ma unita ed uniforme, onde torna molto comoda per le Processioni, ed altre Funzioni ecclesiastiche, e per il concorso universale di tutto il Popolo solito farsi alle Chiese Catedrali Patronali. VIII — Questa fabbrica ha colonne tonde, che sono il bello delle Fabbriche, ma in quantità moderata, e non ne desidera più, onde si scema la spesa, e talmente disposte che formano come un Teatro nella più bella vista della Fabbrica, e situato in luogo proporzionato, e proprio, talmente, che rendono all’istessa Fabbrica fermezza, leggiadria e maestà. (1) Tratto dal Bollettario III della Fabbrica del Duomo. 842 VARIETÀ IX. — La cupola in questa maniera di Fabbrica è portata da quattro Arconi pari, e proporzionati al peso, e atti a ornarli con sfondati, o rosoni, che arricchiscono l’opera, e la rendono maestosa, e uscirà fuori del colmo del tetto in altezza di B. 30. circa tanto che tutta sarà alta dal piano della Chiesa fin alla maggior sua sommità circa B. 100 e tenendola di collo, e sveltezza moderata. Averà poi di più la lanterna nel mezzo, che per la sua picciolezza rispetto al resto non occuperà la vista; e le quattro finestre se gli caveranno nelle quattro parti sopra i Piloni, come in quella del Gesù in Roma. X. — La forma è stata osservata da uomini principalissimi in professione d’Architettura, come furon Bramante e Michelangelo in S. Pietro di Roma e Galeazzo /A/essi/ Perugino nella chiesa de’ Sauli in Genova e Pellegrino ed altri nell’ Escuriale di Spagna, li quali tutti sono camminati in far le gambe a questi vAti per ripartimento e furtezza, e con l’istesse proporzioni, cioè con far il sodo di tutto il pilastro la metà del Diametro degli arconi, eccetto che in quella de’ Sauli ove il Perugino li ha fatto maggiori, il che la rendono alquanto occupata, ‘ancorchè per altro conto sia vaghissima, e questa fecero questi Periti giudicando così esser necessario per la perpetuità e fermezza atteso le larghezze, basse e gran pesi sopraposti. Quanto alla seconda Pianta. I. — Questa in ispazio per il Popolo è quadretti 6620 che sono meno della prima Pianta 1326. II. — Riesce assai occupata dalli ripieni dei Pilastri, che sono più in numero. III. — Nel passar dalla Nave nella Crociera, pare che si passi da una Chiesa in un’altra, che non è poca sproporzione. IV. — Riesce lo stesso sito della Chiesa più sminuzzato e segnatamente più ingombrato alla prima vista. V.— Essendo in forma di croce manca nella parte di entrata prima della debita proporzione perchè manca delli duoi quadri, che in tal forma sono di necessità. VI. — Le cornici per li Rialti delle Colonne corrono spezzatamente, e troppo lisenate e seguentemente con molti errori nel comparto delle mesole, il che fa che l’opera riesca trita, e perde della sua maestà, e ne cresca la spesa notabilmente, e che le dette Cornici impediscano i lumi superiori ad esse, atteso anco la grossezza delle muraglie ove sono situate. E si aggiunge che, perchè gli archi sono tanto grossi, quanto importa il risalto delle colonne tonde, cagionano che le volte tra arco ed arco, nelle quali si fanno le spese delle Pitture, e mosaici, restano alla vista di chi entra in Chiesa, per la maggior parte ingombrate, per restar troppo sfondate all’ insuso sopra il — VARIETÀ 843 fondo dell’arco. S'aggiunge ancora a questo, che di quattro Archi che portano la Cupola nella crociera si mangiano l’un l’altro con notabile deformità dell’architettura, tanto per questo, quanto per la nascita ancora degli Angoli, che vanno tondeggiando per ridursi a portar la Cupola, si aggiunge di più, che li braccj della Croce restano nudi di Colonne che deve pure secondo li buoni architetti accordarsi negli ornamenti con il resto della Fabbrica. VII. — In lunghezza questa Pianta eccede notabilmente la dimensione del proprio sito, ed occupa assai della Piazza, ed assaissimo delia scalinata, con diminuire in questo la maestà della Chiesa stessa, che ricerca Piazza grande. VIII. — Non torna bene per le Processioni, e per li concorsi pubblici per essere d’una navata sola nè si conviene per far le Processioni si passi per gli stretti ed inviluppi delle Cappelle, nelle quali talvolta, mentre dura la Processione, si suole celebrare la Messa. IX. — L'entrata delle Cappelle minori riescono strette e basse, e gli Altari troppo sfondati, e sepolti nell’ indietro e seguentemente meno goduti dal Popolo. X. — La forma in Croce è bellissima, ecclesiastiea e misteriosa quando si confaccia e sia possibile di farla, e da principio si cominci tale da suo piede; ma questa Pianta oltre che non s’accorda con il sito è rappezzata sopra un disegno fatto in Croce sì ma in altra forma non tanto ordinaria e si sà da Periti, che cose tali non possono riuscire in tutte Ie loro Parti perfette, avendosi a fabbricare sopra principio e forma diversa e non comportandolo la qualità del sito. In somma al mio giudizio in questa seconda forma si farà più spesa nella fattura, perchè vi vengono più ripieni, e minuzzerie, e si averà meno capacità e manco comodità, e splendore, e nel primo si avrà più comodità, meno spesa nelle fatture e più spaziosità. Così starà entro ai confini del sito, e si salverà la Piazza, che è ornamento della Città, e della Chiesa. o Presupposto dunque, che gl’ill.mi signori si compiacciano di seguir la prima Pianta, che si accorda con l’incominciato per lume e dell’ opera istessa, e del modo di lavorare daremo le infrascritte avvertenze con le quali se non si darà in segno in tutto perchè la presenza in questi negozi è di gran momento, si gioverà pure assai. I. — Dunque si vedrà di correggere gli errori fatti; e se non tutti almeno quelli che saranno più correggibili, e che più importano per il comodo della Chiesa. Il. — Perchè le muraglic incrostate di vivo, come sono le esteriori di questa fabbrica portano pericolo di far motivo, quando si seguitano sei za intermissione per non calare il vivo fuori al par del murato dentro, sarà bene per evitare ogni sinistro incontro in questo caso il fondare seguitamente tutta la Chiesa o la maggior parte, e tirarla in alto seguentemente, perchè abbracciando in questo modo assai della Fab 844 VARIETÀ brica, verrà fatto, che si darà tempo al tempo, che mentre si lavora in una parte riposerà, e si fermerà dall’altra, e non ne veniranno i peli e le ruine, che sogliono venire facendo altrimenti. III. — Li Pilastroni si faranno per il più di Pietre quadrate, che per il più largo si affettino in piano, acciò maggiormente vengano a catenarsi una con l’altra, e siano anco cambrate con ferri insieme. IV. — Il Piano della Chiesa monterà dal Piano della Piazza gradi cinque, e la Cappella Maggiore della Chiesa gradi tre e il Piano del Coro e Presbiterio come sta segnato nel Disegno. S’alza dalla sudetta Capella gradi due, e sopra di questo Piano, si alzerà l’altare con gradi cinque comodissimi di larghezza, ed altezza, e si farà in modo che le basi delle colonne sieno fermate sopra questo Piano del Coro in modo che non vi resti dado alcuno sotto. V. — Le Cappelle minori alzeranno dal Piano della Chiesa gradi due, sopra le quali sì metterà la predella e l’Altare. VI. — Le quattro volte, che paiono cupolette sul Disegno non s’alzeranno fuori del tetto, ma si volteranno come cupola interrotta da quattro archi senza spigolo. VII. — La Cupola maggiore si farà conforme al Discgno e si farà quando si sarà arrivati a quel segno. VIII — Il dado esteriore si farà seguentemente all’ intorno corrente, per evitare li cantoni delle brutezze, e per più sodezza, fermezza e maestà della Fabbrica. IX. — Li due Campanili negli angoli della facciata, si potranno tirar sopra le cornici in quell’altezza, che si vorrà e quando si vorrà. X. — Si avvertirà di far le scalette de Pulpiti nei Piloni, ma fatte che siano, si torni a remurar tutto il voto della scala con mattoni forti e creta, e sii ben serrata l’opera cou il martello; poi si faccia il volto al vuoto di vivo, e si seguiti poi compitamente il Pilone; poi finita. la Chiesa e coperta, si cavi fuori la detta materia cotta, che resterà la scala libera, e la fabbrica per esser posata non potrà più patire. XI. — Ne’ casi dubbi si consiglino, acciò non abbiano a fare e disfare; e per questo ancora salvino i fogli della Pianta e alzati. D. Lorenzo BinaGco, Chierico regolare della Congregazione di S. Paolo in S. Barnaba di Milano li 22 maggio 1613. Anche più tardi il vescovo Giorgi volle giovarsi dell’opera del padre Lorenzo Binaghi per la stessa cattedrale e specialmente per una cappella che voleva erigervi a sue spese a fianco della cappella centrale. Infatti ai 28 di agosto 1624 il padre generale Giulio Cavalcani scriveva al proposto di Genova che non poteva manGo ogle = VARIETÀ — 845 dargli « il disegno della chiesa per non averlo finito il P. D. Lo- « renzo, quale è andato a Brescia chiamato da quel vescovo » (1). Vi andò di nuovo « dopo la Madonna » (8 di settembre) e questa volta era accompagnato da una lettera dello stesso padre generale al vescovo in data del 4 settembre: « Viene il P. D. Lorenzo nostro per « ricevere li favori et comandi di V. S. Ill ma con la quale occasione « anch'io riverentemente me la appresento supplicandola etc. ». Nello stesso giorno in una lettera al signor *** di Brescia il Cavalcani diceva: « Dal p. Proposto nostro di Cremona ho inteso il « buon ufficio che V. S. ha fatto con beneficio della nostra con- « gregazione (adoperandosi per facilitare lo stabilimento dei Bar- « nabiti ini Brescia in una chiesa offerta dal cardinal Farnese) et « per condurlo a compimento mando hora il P. D. Lorenzo il quale « per altro era domandato da Monsignor Vescovo per la fabbrica « di cotesto Duomo et di certa sua Cappella. Egli sarà da V. S. « per concertar del modo più facile per l’esecuzione pregando « V.S. a darli tutto quell’aiuto et consiglio che la sua molta pru- « denza li somministrarà, offerendomi con tutto l’animo a riscri- «-verle et per fine a V. S. porgo compiti saluti » (2). La cappella di cui sj parla è probabilmente quella di cui dice il già citato Zamboni: « Il vescovo Marino Giorgi, tanto beneme- « rito di questa cattedrale fece inalzare a proprie spese la cappella « dell'Assunzione di nostra Donna l’anno 1627 ». Doveva essa, ne’ disegni del vescovo, servire per luogo di sua sepoltura e, mancato ai vivi il 28 agosto 1632, il nipote suo dello stesso nome ve lo faceva tumolare con una iscrizione molto elogiativa, ma, trattandosi di un vescovo modello come era di fatto il Giorgi, non mendace (3). Il nostro Binaghi lo precedette di tre anni nella tomba: anche di lui si poteva dire che le virtù religiose non la cedevano per nulla all’elevatezza dell'ingegno e, poichè è di quelle che nella scomparsa di chi si ama noi preferiamo parlare, ecco quanto scriveva il padre cancelliere del collegio di S. Alessandro il giorno della sua morte: « 9 febbraio 1629. Il P. Lorenzo Binago, d’anni 73, « e ore I7, avendo presi tutti i sacramenti della Chiesa soliti a « darsi agli infermi con grandissimo sentimento e devozione, aven- (1) Epistolario generalizio in arch. di S. Barnaba. (2) Ibidem. (3) E' riportata dal CAPPELLETTI, Le chiese d’Italia. 846 VARIETÀ « doli chiesti lui con molta istanza, se ne passò a miglior vita, « avendo faticato nella Religione circa 55 anni indefessamente e « con buona edificazione e osservanza delle nostre regole » (1). Della sua valentia come architetto neppure una parola: ragione di più perchè io qui la ricordassi basandomi sulle scritture del tempo. Orazio PREMOLI. (1) Atti del collegio di S. Alessandro. BIBLIOGRAFIA Dott. CESARE STAURENGHI, L’Osfedale maggiore di Milano e i suoi antichi sepolcri, particolarmente il “* Foppone , ora detto la “ Rotonda ,. — Cronistoria milanese dei secoli XV-XX, con appendici bibliografiche e contenenti osservazioni tanatologiche sui cadaveri estratti dalla Rotonda (con 162 illustrazioni e 42 tavole eliotipiche fuori testo). Opera postuma edita dalla vedova Antonietta Carminati de Brambilla, raccolta e riordinata a cura di Pio Pecchiai; (edizione di 200 copie). — Milanc, Ulrico Hoepli, editore, 1916. A quasi quattro anni di distanza dalla morte dell’A. è apparsa nel presente anno quest'opera, ricca di contenuto e cospicua per mole, sul cimitero dell’ Ospedale maggiore di Milano, che ebbe ufficialmente il nome di S. Michele ai sepolcri e dal popolo fu denominato “ Foppone,, e in seguito “ Rotonda ,. Quella vasta fabbrica di color bruno-rossastro che sorge a forma d’anfiteatro all'angolo di via S. Barnaba e bastioni di P. Vittoria e dal cui mezzo emerge la cuspide d’una chiesa, ora trasformata in moderna lavanderia, attrasse nel 1907 l’attenzione d’uno scienziato insigne, ne occupò per parecchi anni il pensiero e l’attività, fino a fargli pressochè dimenticare, col suo fascino tenace, il culto della scienza perseguito con passione e zelo esclusivi durante tutti i precedenti anni a partire dall’epoca degli studî universitari. Come emanava tanta forza di seduzione sull’animo dell'A. da quel mesto edificio, che non è un monumento d'arte nè una fabbrica di storica importanza e come, per esso, un illustre craniologo, già presso ai cinquant'anni e pieno ancora di zelo e di ansia per le ricerche anatomiche, si trasformò grado grado in storico non meno zelante ed infaticabile nell’indagine? E’ un interessante problema psicologico che additiamo alla curiosità dei lettori. Fu su lo scorcio del 1906, in occasione della grande vuotatura dei sepolcri della “ Rotonda ,, che il dott. Staurenghi venne per la prima volta a contatto e, direi anche, a conoscenza, di ciò che doveva poi formare l’oggetto della sua attività intellettuale per tutti i sei ultimi anni di sua vita. Allora, seguendo la spinta del suo spirito sempre vigile nel 848 BIBLIOGRAFIA cercare nuovi matertali alle proprie osservazioni e meditazioni scientifiche, egli chiese ed ottenne di poter esaminare i teschi dei dissepolti. Da quell’esame venne un’importante raccolta ‘di crani anatomicamente preparati e presentanti ciascuno qualche particolarità d’interesse scientifico, passata, parte al civico museo di storia naturale, parte al museo anatomico dell’ Ospedale maggiore, e venne pure una pregevole pubblicazione dedicata all’illustrazione delle particolarità di struttura osservate nei crani. Con un trapasso che assai facilmente si spiega, il dott. Staurenghi, dotato di spirito instancabilmente vigile venne in curiosità di sapere, spinto anche dai dibattiti della stampa quotidiana, l’origine prima di quell’ immenso deposito di cadaveri. Accertato questo punto, altre questioni gli s’affacciarono, rampollando senza tregua l’una dall’ altra. Cosi, di ricerca in ricerca, egli arrivò a percorrere tutta la storia di quel cimitero; nè di ciò pago, anche si volse ai precedenti di‘esso; e poichè la “ Rotonda ,, era, per così dire, emanazione delllOspedale maggiore, di questo pure si occupò, nonchè dei riti e usi di sepoltura in genere. © : La pubblicazione di quest'opera postuma è dovuta all’affettuosa iniziativa della vedova e alle cure del dott. Pio Pecchiai, direttore dell'archivio degli Istituti ospitalieri di Milano, che con assidua e illumi-* nata pazienza rese idoneo alle stampe il lavoro dello Staurenghi, lasciato da questo in condizioni pressochè caotiche. Nè altri meglio di lui, per le ragioni stesse dell’ ufficio e per la consuetudine d’amicizia goduta col compianto autore, poteva assolvere l’arduo compito. Il dottor Pecchiai ha pure premessa all'opera dello Staurenghi un'importante prefazione nella quale, oltre un’ affettuosa biografia dell’A. ed un esatto elenco bibliografico delle opere di lui, ci dà un ampio e prezioso ragguaglio sulla genesi del .libro in parola e notizie indispensabili per poterlo giudicare e valutare equamente. o Due parti nettamente distinte sono comprese nell’opera: la prima è storica e contiene la narrazione dell'origine e delle vicende del “ Foppone ,, con l’introduzione e le relative appendici; la seconda, da p. 577 alla fine, col titolo di “ Appendice III ,, è scientifica e comprende una serie di osservazioni tanatalogiche sui cadaveri dissepolti della “ Rotonda ,. Naturalmente noi qui ci occuperemo della sola parte storica, che, del resto, costituisce anche il corpo del volume. Nel I capitolo, premesse “ alcune notizie antiche sugli usi funerari ,, si discorre degli antichi cimiteri milanesi. Come altrove, anche a Milano i primi cimiteri dell’era cristiana vennero situati fuori delle mura e dell'abitato. Tutte le chiese più cospicue di Milano avevano annesso il loro cimitero o camposanto, onde i cristiani che non potevano venir tutti in esse tumulati, avevano almeno la soddisfazione d’esserlo accanto alle medesime. L’uso di seppellire nelle chiese pare sia invalso dopo il 1447 e tanto si rese comune che le chiese divennero ben presto altreta BIBLIOGRAFIA 849 tanti cimiteri, i quali, come quelli che le circondavano all’esterno, dovevano essere a quando a quando evacuati e le ossa trasportate nei “ fopponi , in campo aperto. Oltre le chiese pubbliche, anche talune chiese e spedali ebbero il privilegio di possedere un cimitero. Per gli ospedali ciò sarebbe provato dal fatto che coloro che vi morivano non erano ammessi alla sepoltura nelle chiese. Con l’abolizione nella Lombardia delle sepolture intraurbane per opera di Giuseppe II vennero in maggiore attività i cimiteri fuori delle mura di Milano. Però molti monasteri della città e della campagna e anche il capitolo metropolitano chiesero ed ottennero di poter proseguire la tumulazione nelle loro sedi, eludendo così lo spirito dell’editto giuseppino. Tante sono le ossa che andarono raccogliendosi nei numerosi sepolcreti (in chiese, camposanti, oratori, cimiteri monastici, ecc.) che il loro sgombero ancora non è ultimato. (Cap. Il) Gli ospedali, cioè le case per i malati furono in origine ospizi o foresterie annesse ai monasteri dove i pellegrini o gli infermi potevano trovare alloggio e soccorso. Anche i primi ospedali di Milano furono tali. Nel secolo XIII, cessando in gran parte l’ospitalità monastica, cominciarono a funzionare ospedali staccati dai monasteri. è Nel XV secolo erano conosciuti per aver esistito o per essere esistenti in Milano ventinove ospedali. Erano però in condizioni di decadenza e rovina. Fu appunto per ovviare a tali tristi condizioni e con l'intento di ottenere un’ unità organica di più agevole e spedita amministrazione che si pensò da Francesco Sforza alla fusione dei varî ospedali in urf solo grande nosocomio. Al concretamento di tale idea contraria, sia detto en passant, ai moderni principî dell'igiene nosocomiale, assai contribuì l’opera del cardinale Rampini e anche giovarono le prediche tenute in Milano da frate Michele da Carcano. La concessione per la fondazione dell'ospedale fu richiesta dallo Sforza il 22 maggio 1451; la prima pietra fu posta ai 12 d’aprile 1456 e la sanzione papale fu concessa da Pio Il con bolla del 9 dicembre 1458. Per l’ospedale il duca Francesco Sforza donò alla città solamente l’area; la fabbrica fu eretta, su disegno di Antonio Averulino (Filarete), con denaro cittadino. Il nuovo grande ospedale; al quale furono aggregati tutti gli altri spedali cittadini amministrati dagli ecclesiastici, si intitolò in origine « dell'Annunziata ,. Entrò in funzione verso il 1473. Era internazionale ‘e quindi aconfessionale. La fama di esso corse per il mondo e fu celebrato dagli scrittori nostrani come gloria non pur italiana ma europea. L’A. a p. 63-64 elenca i meriti dell’ Ospedale maggiore nel corso della sua storia e il passo merita di essere riprodotto: “ Merito del- “ l'Ospedale maggiore furono: l'aver incentrati per la più parte, indi lentamente annullati gli ospedali minori che oramai usurpavano il titolo d’ospizi sanitari; l'avere scelto un'area dell’ edificio, il Brolo, fuori del nucleo principale delle abitazioni; l’avere istituita un’amministrazione prevalentemente laica; l’essersi formato di crocere ampie 850 BIBLIOGRAFIA “ e sopralzate dal suolo mediante sotterranei grandiosi e arieggiati; l'aver curato con diligenza il deflusso delle materie di rifiuto ; e, primo “ fra gli ospedali cittadini, l’aver dato l’ostracismo ai sepolcri interni. “ In processo di tempo, l’aver stabilito numerose sezioni per determinate forme di malattie (specialità) ,. E’ pur da, segnalare nel passato glorioso dell’ istituto, che, sebbene non avesse sede in città universitaria, creò scuole mediche entro il suo recintò, che, iniziate gratuitamente nel 1636 da Cristoforo Inzago per la chirurgia, prosperarono con valenti insegnanti. La fabbrica primitiva fu ampliata in tre riprese; la prima volta negli anni 1624-1649; la seconda nel 1797-1804; la terza a partire dal 1896 in conformità ai nuovi criteri di costruzioni ospitaliere, per i quali vennero innalzate numerose succursali dell’ Ospedale, Nel cap. III l'A. inizia la trattazione del vero argomento del libro, occupandosi dei sepolcri di cui disponeva l’ospedale per la sepoltura dei morti. I primi sepolcri furono naturalmente dentro l'ospedale. Nella bolla di papa Pio II in data g dicembre 1458 si trova esplicitamente compresa nella fondazione dell'ospedale quella del relativo cimitero. A quel che pare, questo si trovava primamente dietro la cappella dell'ospedale e cominciò ad essere usato verso il 1473. Un nuovo sepolcreto venne costruito sotto la chiesa tuttora esistente eretta al posto della seconda cappella .edificata nel 1587 e demolita per dar sede al fabbricato Carcano (1624-49). Questo cimitero fu chiamato Briijena vecchia e funzionò fino al 1697. Il servizio mortuario annesso alle cappelle e chiese dell’ Ospedale maggiore durò per 226 anni. La storia dl questo servizio “ è tutto un “ succedersi di riempimenti e votature delle tombe ,, un’ * affannosa “ ricerca dei luoghi ove riporre i resti estratti , ed una serie di “ ten- * tativi, pur troppo vani , diretti a trovare “ un mezzo per fiaccare o “ estinguere le putride esalazioni ,. | La lugubre serie dei disseppellimenti si apre nel 1515 e continua per più di due secoli. La materia estratta veniva risepolta dentro |’ Ospedale in un “ foppone , o fossa comune. Presentandosi con troppa frequenza la necessità dell’ evacuazione dei sepolcri, si costrussero nel 1678, come opportuno rimedio, nuovi sepolcri detti Briigna nuova. Risultato vano il rimedio della calce attuato il 1680 contro l’inconveniente del fetore, fu necessità nel 1692 procedere ad una nuova evacuazione delle tombe (sepolcri vecchi), circa sessantacinque bocche, e impresa, tutt'altro che facile, non fu compiuta che in parte. Ma era urgente il proseguirla e per trovare posto ai resti cadaverici da sgombrare, poichè non fu consentito dal tribunale di sanità di valersi d'altri cimiteri o sepolcreti già sussistenti in Milano, si pensò all’acquisto di un podere fuori di porta Orientale, e nello stesso tempo, per evitare il “ funesto discarico dei sepolcri ,, si considerò la possibilità di rimuovere dal Nosocomio l’intero servizio funebre. Furono queste le circo- Ù BIBLIOGRAFIA 851 stanze dalle quali ebbero origine i primi Nuovi Sepolcri di S. Michele arcangelo detti “ il Foppone , o “ la Rotonda ,. Nel 1694 l’idea di un servizio funerario fuori dell'Ospedale, a suo uso esclusivo, era accolta risolutamente e già avviata all’ attuazione. Per l'attuazione del progetto si adoperò con zelo indefesso il conte Fr. Matteo Taverna, che funzionava da priore. I terreni acquistati per lo scopo in parola furono quelli dei fratelli Stella di Caravaggio e della signora Parravicino, presso i bastioni della città fra porta Romana e porta Urientale, dietro il Convento della Pace. Attilio Arrigoni (t 1709), ingegnere dell’Ospedale, apprestò il disegno della fabbrica. Ma perchè il progetto divenisse realtà, si dovettero prima vincere le opposizioni di alcuni conventi esistenti in quella parte della città, i quali temevano dalla fondazione di un cimitero pericoli per la salute. Nel 1698 la fabbrica, iniziata nel luglio 1697, era compiuta e il 25 settembre 1700 veniva solennemente benedetta. I morti vi venivano trasportati nottetempo, mediante carro, uscendo dall’Ospedale per una porta appositamente aperta a tergo dell’edificio, verso il Naviglio, sul quale fu altresì necessità di costruire un ponte. Nel 1714 anche i Nuovi Sepolcri erano pieni di cadaveri, non consumandosi questi con la necessaria celerità e si dovettero perciò cominciare le evacuazioni. Nel 1718 si rese necessario provvedere ad un ampliameuto del cimitero e ultimata finalmente, mercè le premure del conte Francesco Cicogna, una pratica iniziata nel 1706, si addivenne all'esecuzione, valendosi di oblazioni private, cittadine e forensi, tra cui massima quella di G. B. Annone, di un progetto del 1717, pel quale la chiesa allora esistente, dovuta all’ing. Attilio Arrigoni, fu ingrandita secondo un disegno dello stesso Arrigoni e costrutto intorno a questa il grandioso porticato tuttora esistente. Il disegno della nuova fabbrica fu dato dall’ ingegnere dell'ospedale Carlo Francesco Raffagno. E’ voce comune presso tutti gli scrittori che si occuparono dell’argoinento di attribuire la fabbrica dei secondi Nuovi Sepoleri all’architetto Francesco Croce, l'artefice della maggiore guglia del Duomo, ma l'A. dimostra, in modo esauriente, che l’opera di F. Croce si limitò “ a “continuare il disegno e la fabbrica dell’ultima parte del loggiato fatta “ eseguire dall’ Annone, seguendo naturalmente il progetto del Raffagno,. La nuova fabbrica, detta i seeondi Nuovi Sepolcri, fu compiuta nel 1731. Anche nel “ Foppone ,, la questione della lenta decomposizione dei cadaveri (effetto dell’erroneo sistema di tumulare in massa) fu sempre all’ordine del giorno, donde la necessità di diradare ed appianare ogni tanto gli ammassi infoltiti delle salme malamente distribuite. Si fu quindi costretti a ritornare sull’incresciosa questione degli allargamenti e delle periodiche vuotature parziali, che fu una nuova tribolazione, la quale durò per ottantacinque anni, cioè fino al 1782. Sul metodo con cui gli allargamenti e le vuotature erano eseguiti l’A. dà abbondanti e pregevoli notizie. F 852 BIBLIOGRAFIA Nel 1782, per effetto della legge di Giuseppe II contro i seppellilimenti infraurbani, il “ Foppone , cessa di servire da cimitero, subentrandogli in tale funzione il cimitero dei SS. Carlo ed Aquilino fuori di porta Romana, ove s’incominciò a seppellire il 9 maggio 1783 e si proseguì fino al 1827; dopo di che i defunti dellOspedale si trasportarono nel nuovo cimitero di porta Tosa (porta Vittoria), fino al 1876. Dopo varî cambiamenti, fu il cimitero di Musocco, a partire dal 1895, il luogo d’inumazione anche per i morti dell’ Ospedale. Coll’ andata in vigore della legge giuseppina sui cimiteri finisce la storia del “ Foppone , come cimitero dell’ Ospedale maggiore e comincia quella delle vicende della chiesa (un alternarsi di soppressioni e riprese del culto) e dei diversi usi (in genere militari e sanitari) cui fu adibito il porticato. Sotto il dominio francese il “ Foppone , fu occupato militarmente fino al maggio 1799, venendo destinato ad accogliere successivamente una fonderia di cannoni, un arsenale o deposito di artiglieria, una caserma di cavalleria, un ospedale militare. Nella chiesa il culto fu soppresso appena i francesi inaugurarono il loro dominio. Fu ripreso nel maggio 1799 quando Milano venne in potere degli austro-russi, continuando anche dopo il ritorno di Napoleone (2 giugno 1800), fino al Io marzo 1808, quando per decreto del vicerè ne venne ordinata la soppressione. A preservare la chiesa dalla chiusura un generoso milanese che volle serbare l’incognito offrì spontaneamente all’ Ospedale la somma di lire milanesi quarantamila e il culto veniva infatti ripristinato nell’estate del 1809. Senonchè quell’of.- ferta valorizzava d’un colpo l’edificio del “ Foppone , e determinava per conseguenza il progetto di trasformare il “ Foppone, in “ Pantheon nazionale ,, progetto che il vicerè Eugenio Beauharnais sanzionava con decreto datato da Camorn, 22 giugno 1809. Per effetto di tale decreto decaddero le proposte lire 40.000 più non avendo ragione d’essere versate. Nel progettato Phanteon dovevano essere seppelliti gli uomini distintisi per meriti speciali, compresi i dignitari e 1 ministri. Appena una settimana dopo l’emanazione dell’accennato decreto, l’onore delia sepoltura nell’erigendo Pantheon era decretato a M. Cesarotti, all’ab. Bettinelli e al generale Theulié perito a Colberg nel 1805. Stabilita l’istituzione del Pantheon, occorreva rinnovellare il “ Foppone , col magistero dell’arte e a tale uopo il governo francese, non avendo potuto valersi dell’opera di Simone Cantoni, si rivolse all'architetto Luigi Cagnola, che accolse l’invito (5 agosto 1809) e, postosi subito all’opera, ebbe pronti pel 25 gennaio 1810 tre progetti di tipo prettamente classico. Nei “ primi due riformava “ l’edificio preesistente, immaginando nel più semplice d’accorciare quattro bracci della chiesa, aggiungendovi il pronao ai rispettivi prospetti, ornandone l’interno e facendo sorgere sopra una cupola più vasta della precedente e priva del cupolino. Il porticato veniva conservato nella sua configurazione, ma rifatto e abbellito internamente, modificandone la disposizione delle colonne e degli archi, coll’aggiunta a o) « “ - BIBLIOGRAFIA 853 “ dell’architrave con decorazioni statuarie, e una aggraziata e subria ornamentazione palladiesca. Nell’altro progetto la riforma della chiesa era abbinata con la ricostruzione del loggiato, e per purgare questo dalla linea contorta che la licenza barocca avevagli dato, lo trasformava in linea circolare, pur tessendone la decorazione. Nel terzo, infine, il più radicale, ideava il progettante un rifacimento generale organico, erigendo ex novo su la spianata del “ Foppone ,, il proprio edificio del Pantheon italiano ,, (pp. 358-359). E' merito grande dello Staurenghi di aver rintracciati i disegni originali che si conservano nell’arehivio Cagnola nella villa d’Inverigo e di avercene concesso il godimento con le accurate riproduzioni eliotipiche unite al volume tavole XII-XVII). Seguendo il parere del ministro degli interni Vaccari, il Vicerè, ‘esaminati nel marzo 1810 i progetti del Cagnola, decise che questi ne preparasse uno più semplice e meno costoso. Il nuovo rendiconto dell’architetto Cagnola circa le modificazioni introdotte nel nuovo progetto cconomico per il Pantheon ed il preventivo finanziario furono presentati il 14 ed il 26 aprile 1813;.ed il 19 maggio venivano sottoposti al Vicerè rientrato in Milano, di ritorno dalla campagna di Russia, il . giorno prima. Venne approvato il progetto che predisponeva l’intero intonaco in pietra e si stabilì che in quell’anno si eseguisse solamente l’ingresso principale, per il che si stanziava la somma di 20 mila lire. Ma quando la pratica pareva ormai giunta in porto ed era venuto il momento di mettere mano all'opera, “ il precipitare dei turbinosi ri- “ volgimenti politici che nel 1814 portarono all’immensa catastrofe del- # l'epopea napoleonica e conseguentemente alla rovina del dominio * francese in Lombardia ,, travolse, con molti altri, anche il grandioso progetto del Pantheon italico, del quale “ non rimasero che gli atti uf- “ ficiali e i disegni, che, aggiunti alla storia di quei tempi fortunosi ,, costituiscono una “ nuova e viva pagina di politica e d’arte ,, (p. 386). Sotto l’Austria, ridivenuta signora di Milano il 28 aprile 1814, la storia del “ Foppone ,, ritorna ‘ad essere monotona ed insignificante: la chiesa, tornata in possesso dell’Ospedale, è alternativamente aperta e chiusa al culto, il recinto è adibito ad usi militari o sanitari. Un progetto di trasformare il “ Foppone , in casa succursale per gli ammalati dell'Ospedale maggiore, già affacciatosi nel 1846 per suggerimento dell’amministratore Carlo Bellani, è studiato per l’attuazione nel principio del 1848, essendo divenuto urgente il provvedere allo sfollamento dell’ Ospedale. Nell'estate del 1848 il “ Foppone , fu infatti adibito ad Ospedale militare pei sifilitici. Durante l'insurrezione del marzo 1848, essendo chiuse le porte della città e impossibile quindi il trasporto dei morti ai cimiteri, tornarono a funzionare i sepolcri infraospitalieri sottostanti alla chiesa dell’Annunciata (la Brrigma vecchia). Vi furono sepolti i morti di quei giorni, 178 (141 morti per ferite e 37 per malattie comuni), seppellenArck. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. IV. 55 2 RR à ®a 854 BIBLIOGRAFIA dosi separatamente i cadaveri dei feriti dagli altri. In tale occasione si progettarono anche dei restauri al sotterraneo per adattarlo a cella mortuaria. Le pratiche rimasero interrotte essendo gli Austriaci rientrati in Milano al principio dell’agosto 1848. Ma il progetto venne ripreso ed attuato nel 1860-61 e si ebbe così la “ Cella dei martiri delle Cinque giornate ,,, ove le gloriose reliquie rimasero fino al 18 maggio 1895, quando vennero trasportate e pietosamente composte nella cripta snttostante al monumento in bronzo delle Cinque giornate. Tornati gli Austriaci in Milano nell’agosto 1848, il “ Foppone, . (chiesa e portico) ridivenne caserina delle truppe e l’occupazione militare perdurò fino al 1852. Alla fine, il bisogno divenuto sempre più grande di nuovi locali per gli ammalati dell'Ospedale maggiore, fece ottenere, dopo lunghe pratiche condotte negli anni 1854-°55-’56, tra le quali fu anche una supplica diretta all’imperatere nel gennaio del 1857, lo sgombero del “ Foppone ,, da parte delle truppe, avvenuto alla fine dell’anno 1857, per usare di quel fabbricato come succursale dell'Ospedale. Eseguiti gli opportuni restauri ed adattamenti, il “ Foppone , (compresa la chiesa, le cui funzioni sin dall’aprile 1853 erano state dalAmministrazione ospitaliera trasferite nella chiesa di S. Pietro in Gessate) fu utilizzato per ricovero dei cronici, dei quali nel marzo 1859 v’erano già 358. Nel 1866 fu predisposto per i colerosi e difatti funzionò per tale uso nel successivo anno. Nel 1868 tornò ad ospitare le croniche e deliranti e, nella primavera di quell’anno, anche i vaiolosi. Servì pure durante l'epidemia vaiolosa del 1870-71 a ricovero delle ammalate. Similmente nel 1872 e nel 1873 fa predisposto a ricetto dei colerosi, Nel 1878 anche il locale della chiesa fu usato per infermeria dei contagiosi (vaiolosi); insieme vi erano nelle corsie della “ Rotonda ,, le croniche. Per rimediare al pericolo di tale promiscuità furono adottati vari provvedimenti, tra cui nel 1887 l'impianto di una stufa di disinfezione. Nel porla in opera, dovendosi perforare il pavimento, si scoperse un antico sepolcro pieno di cadaveri e si dovette provvedere a evacuarlo, ciò che fu compiuto nei primi tre mesi del 1888, trasportando i resti cadaverici nel cimitero di Calvairate. L’esito felice di tale operazione esigeva come corollario lo sgombero delle rimanenti cripte e infatti si compilò il relativo progetto nel 1890, ma non si passò all’attuazione. L’anno 1896, “ apertosi nel gennaio il nuovo Ospedale dei contagiosi a Dergano, accolti i cronici nella Casa succursale dell’Ospedale “in Cernusco sul Naviglio ed i pazzi nel manicomio provinciale di “ Mombello, la “ Rotonda , cessò d’ essere in azione come casa succur- * sale per ricovero dei malati dell'Ospedale maggiore, dopo trentotto * anni d’esercizio ,. Nel 1897, ispirandosi all’idea del Pantheon italiano, il Consiglio degli Istituti ospitalieri destinò la “ Rotonda ,, a famedio dei benefattori dell'Ospedale maggiore, raccogliendovi, come in esposizione permanente, ì ritratti dei benemeriti donatori dell’Ospedale. — BIBLIOGRAFIA 855 Tale uso tuttora dura ed ogni due anni la pinacoteca ospitaliera, che rappresenta insieme “la più interessante storia del costume che si abbia in Europa ,, e una fulgida “documentazione della beneficenza milanese, è aperta al pubblico che la visita numeroso e commosso. Nel Igor, essendo stato impiantato il laboratorio batteriologico presso la farmacia dell'Ospedale maggiore, venne trasportato nella prima parte del porticato della “ Rotonda , a destra entrando, il laboratorio sussidiario della stessa farmacia, destinato precipuamente alla preparazione del materiale antisettico. Detto laboratorio ancora vi si trova. Si venne quindi alla ponderosa impresa della vuotatura generale dei sepolcri. La grandiosa operazione, praticata in due tempi, dal 24 dicembre 1906 all'aprile 1907 e nell’estate del 1909, riuscì perfettamente. Nel 1909 furono pure intrapresi i lavori per l'impianto della lavanderia a vapore, la quale fu costruita nell'ex chiesa della “ Rotonda ,,. “ Tale il modesto epilogo della storica “ Rotonda ,,, che pure cra sembrata dover assurgere all'ufficio di “ Pantheon ,. Dal riassunto che abbiamo dato della materia svolta nell’ampio volume, ognuno si sarà facilmente accorto che lo sfondo delle memorie della “ Rotonda » è, come lo stesso autore riconosce, “lugubre e scialbo ,. Pure il dott. Staurenghi si applicò alla trattazione del suo tema con zelo grandissimo. Tutte le fonti che erano da consultarsi e che a lui erano accessibili (biblioteche e, archivi pubblici e privati, a Milano e fuori), furono esplorate e interrogate. Ogni lato, ogni aspetto, per quanto secondario del suo tema, fu da lui preso in considerazione, investigato, approfondito. Raccolse così un immenso materiale di notizie più o meno importanti, dirette e indirette, e la sua trattazione è per conseguenza riuscita, in ogni parte, esauriente; anzi sovrabbondante. Considerata l’importanza relativamente scarsa del tema svolto, non sl può non rimpiangere che la sorte non abbia posto innanzi allo Staurenghi un altro più importante monumento da illustrare. Con ciò non si vuol dire che manchino nell'opera pagine notevoli. Anche quei capitoli (III e IV) ove si svolgono argomenti lugubri come la decomposizione cadaverica, il fetore e la vuotatura dei sepolcri, non mancano di una certa loro strana attrattiva. L’A. espone i fatti con l’ imperturbabile obbiettività e freddezza dello scienziato; eppure un fascino misterioso, — quello stesso quasi che parla dalle medievali rappresentazioni delle danze della morte... — emana dal macabro quadro. Di tutta l’opera la parte più importante e di maggiore interesse, è senza dubbio quella contenuta nei capitoli X e XI (pp. 365-389), ove si espone e si illustra il progetto che il vicerè Eugenio di Beauharnais coltivò per parecchi anni (1810-14) con entusiasmo di trasformare la “ Rotonda ,, in Pantheon italico e la cui esecuzione fu affidata all’ architetto Luigi Cagnola. Qui le notizie originali che l'A. ci dà sono veramente importanti per il carattere artistico dell'argomento, per la cele 856 BIBLIOGRAFIA brità delle persone ricordate, per il pregio dei documenti scoperti dall’A., in primo luogo i disegni autografi del Cagnola. Il lettore si sente trasportato “ in più spirabil aere ,. Altre parti importanti del libro sono quelle ove “ si sfata la leggenda che attribuiva all’architetto Croce il disegno della Rotonda ,, e l’altra “ ove si richiamano con particolari ignorati le memorabili gesta del '48,,. All’intero volume aggiungono pure pregio grande le parti ove si toccano incidentemente problemi scientifici d’igiene sanitaria e la monografia sull’ adipocera, pubblicata in appendice, Il metodo seguìto dall’A. nella trattazione del suo tema darebbe luogo, sia nel suo indirizzo generale che nelle varie sue particolarità, a molteplici obbiezioni; ma è a ricordarsi che l’autore, preoccupato di fare opera completa nella sostanza e nella forma, ancora vi stava fa- ‘ ticando intorno allorchè la morte ne troncò la mirabile attività. Per di più devesi tener conto che questa è l’opera di un dilettante, per quanto armatosi di tutto il necessario. Per l’uno e l'altro motivo ogni critica non può essere mossa che con molta riserva. Sia tuttavia consentito qualche rilievo. Anzitutto non si può non osservare come il titolo del libro non risponda al reale contenuto di questo. La storia del * Foppone , è infatti il vero argomento dell’opera. Il titolo enuncia invece come principale argomento “ L’Ospedale maggiore di Milano ,,, che non è che un capitolo accessorio introduttivo. Il lato debole dell’opera di cui ci occupiamo sta nella sproporzione tra la mole del libro e l’importanza relativamente scarsa dell'argomento. Inoltre, tutto il futile e il secondario come il dato importante e la scoperta storica sono trattati alla «stessa stregua col medesimo sistema espositivo e lo stesso apparato documentario. L’A. ci avrebbe dato un lavoro assai più efficace e di attraente lettura, se avesse véluto contenerlo in più ristretti limiti, sceverando nel’ cumulo delle notizie raccolte, quelle importanti, a queste sole facendo posto e rinunciando a tutte le notizie di dettaglio, d’ordine secondario e di carattere eterogeneo. | A pag. 537 lA. caratterizza la sua opera, mostrando come egli si proponeva che fosse, Le sue parole meritano di essere riportate costituendo quasi una giustificazione rispetto all’appunto che gli abbiamo fatto : “ La nostra cronaca, pur avendo per figura centr.le l’antico “ Foppone dell'Ospedale maggiore e rivivendone le memorie, non sta rinserrata ed isolata nella cerchia di quel mesto recinto e neppure nell’ambito del servizio mortuario dell'Ospedale maggiore, chè, es- « sendo questo organo di notevole importanza nella vita cittadina, li trascende ogni ‘volta che occorre per la giusta prospettiva delle relazioni dell'ambiente storico. Perocchè i fatti che vediamo svolgersi * si ricollegano alla storia di Milano, che ne forma lo sfondo, dalla quale il servizio funebre del grande Ospedale non può considerarsi slegato, Alle fasi ed alle trasformazioni più disparate per le. quali passò quel servizio, infatti, parteciparono, oltrechè l'Amministrazione ospitaliera, medici e architetti, conventi e confraternite, anche gli enti “ = - = » BIBLIOGRAFIA 857 “ municipali, ecclesiastici e militari e i diversi governi che enumera la “ storia instabile della Lombardia , Oltre alla trattazione eccessivamente minuziosa delle singole vicende del “ Foppone ,,, anche delle meno significanti (1), contribuì alla mole del libro e alla pesantezza dell’opera l'inserzione nel testo dei documenti nella loro interezza. Il danno e gli inconvenienti di tale procedimento sono efficacemente messi in evidenza dal Pecchiai (p. XV sg.), il quale esprime pure l’opinione che l’A., ove fosse vissuto, maturando il suo pensiero nell’ indagifie storica, avrebbe finito per accorgersi dei difetti di quel metodo e lo avrebbe abbandonato per sostituirgli l'elaborazione dei documenti, così da trarne una narrazione continuata. Da ultimo, qualche cenno è doveroso a riguardo dell’edizione del libro. Il dott. Pecchiai si è reso oltremodo benemerito sobbarcandosi con grande abnegazione alla difficile impresa di preparare per le stampe il manoscritto lasciato dall’A., come già fu accennato, in condizioni caotiche. In tutto si può approvare la via da lui seguìta nell’attuazione del suo cagggpito. Ma il formicolarvi degli errori tipografici, massimamente nei primi capitoli, rappresenta un grave inconveniente che finisce per ledere la stessa serietà dell’opera. Il contrasto tra la meticolosa precisione delle informazioni da una parte e la quantità davvero strepitosa degli svarioni tipografici, dall’altra, è penoso. Dove poi lo sconcio in parola raggiunge il colmo è nelle citazioni delle opere straniere, sopratutto tedesche e inglesi. Nè solo errori di stampa sono da deplorare, bensì anche qua e là manchevolezze e difettosità nel contenuto testuale. Anzitutto devesi notare che, contrariamente all’intenzione dell’A., il quale a pagina 3 della sua prefazione dice “ nella seconda (parte) “ sono le osservazioni tanato-craniologiche ,,, non fu inserita nel libro la ristampa dello studio dello Staurenghi pubblicato nel vol. 46° degli « Atti della Società italiana di Scienze naturali , col titolo “ Varietà “ craniche rinvenute nel sepolcreto della * Rotonda ,, dell'Ospedale “ maggiore di Milano ,. Il Pecchiai ha pubblicato nel volume di cui parliamo soltanto le osservazioni tanatologiche, epperò della omessa ristampa delle Osservazioni craniologiche non avrebbe dovuto mancare una giustificazione. Il cenno al riguardo a pag. XIV non spiega nulla. A pag. 194, n. 9 si annuncia che dell’opera del Croce si parlerà nel Capitolo seguente, mentre è nello stesso cap. VI, a partire da pagina 223, che se ne parla. A pag. 319 si ha la pubblicazione di un ene del 1797, il cuì posto era un paio di pagine prima. (1) A tale proposito vien fatto d'osservare che sarebbe stato desiderabile un copioso indice delle materie e dei nomi. 858 BIBLIOGRAFIA Il documento H del 30 luglio 1809, pubblicato a pag. 331, € prematuro, essendovi menzione di un decreto che è riferito solo in seguito, cioè il decreto 22 giugno pubblicato a pag. 341. A pag. 337 la nota diretta dal Ministero dell’Interno all'architetto Cagnola, in data 9 aprile 1813, è evidentemente monca in fine, non so se perchè già tale nel manoscritto dello Staurenghi o per un’omissione avvenuta nella stampa. Si riscontrano pure delle ripetizioni che era facile eliminare: a pag. 84 si ripete la spiegazione del nome “ Montagna , già data a pagina 31; a pagina 131 il cap. IV incomincia con cinque periodi che già si trovano nella chiusa del III cap. e che erano da togliere a questo; a pag. 188 sg. si cita un passo del Latuada già riprodotto e utilizzato a pag. 183. Anche si sono lasciate nel libro dello Staurenghi incongruenze e “ lapsus ,, che era bene togliere: a pag. 84 si dimostra che l’entrata in funzione dell'Ospedale avvenne nel 1473, mentre a pag. 56 sì era lasciato credere che quell’avvenimento fosse da porre dopo quell’anno; il cap. XV, che porta il titolo “ Il Foppone sotto il Governo italiano », contiene nelle prime pagine (497-498) notizie che si riferisqgpo ancora al tempo del dominio austriaco, Non mancano le frasi sconnesse e sgrammaticate, che sarebbe stato doveroso correggere. Degli errori di stampa sarebbe andar troppo per le lunghe il dare qui l’elenco, oltre quelli che figurano nell’errata-corrige annessa al volume. Ci accontenteremo di segnalarne alcuni tra quelli soltanto che si riscontrano nelle parti in italiano del testo: prevenivono per prescrivono (pag. 174 l. 18), Cuneo per Como (pag. 287 l. 24), fuori per figuri (p. 290 n. 3), roceda per preceda (p. 297 |. 18), studjet per dudjet (p. 356 I. 4 e tI, p. 383 l. 18), 13842.029 per 63$42.029 (pag. 378 |. 33), contemporaneamente per conseguentemente (p. 380 l. 30), cuori per fiori (p. 642 I. 15), evacuaszioni per cremaszioni (p. 525 |. 45), concettivo per connettivo (p. 609 |. 32). C. VOLPATI. Arrigo SoLMi, Le leggi più antiche del Comune di Piacenza, in-8. Firenze, Regia Deputazione di Storia Patria (Estratto dall’ Archivio Storico Italiano, dispensa 3* del 1915). Lamenta il-Solmi al principio del breve saggio sulle leggi più antiche del comune di Piacenza, che “ sulle origini e sulle forme della “ legislazione comunale avanti la pace di Costanza mancano quasi do- “ cumenti e ricerche ,. Davvero tutta la storia del primo periodo dei comuni italiani se eccettuiamo i poderosi e fondamentali lavori intorno a Firenze e a Pisa, attende ancora chi la deve descrivere. - _ BIBLIOGRAFIA 859 Ma prima di arrivare ad assunti generali che riuscirebbero manchevoli e di scarso interesse, occorre gettare solide fondamenta; occorre frugare nei molti archivi inesplorati delle grandi e piccole città lombarde mettere alla luce le mille pergamene, i numerosi documenti che giacciono ancora sepolti e ignoti; solo quando tale granitica base sarà gettata si potranno inalzare le costruzioni teoriche più ardite, che poggeranno però sempre su dati di fatto inconfutabili. La storia milanese in particolare e quella degli altri comuni lombardi in generale, sono in gran parte ignorate nei loro veri e fondamentali elementi costitutivi. Si ripetono i soliti luoghi comuni, ma nessuno ha approfondito mai con lunghe e originali ricerche i fatti noti, nessuno ha presentato lo svolgimento dei fenomeni storici nella loro vera luce. Nè deve fare maraviglia quindi che storici come il Luchaire pubblichino libri sulle democrazie italiane, poggiando le ricerche esclusivamente sul comune di Firenze, quasi che altre regioni d’Italia non abbiano avuto pur esse nella storia comunale periodi di grande splendore non solo, e un'importanza se non superiore, certo pari a quella delle città toscane. Il breve volumetto che il Solmi offre agli studiosi è qualcosa di più di un prezioso contributo alla storia della storia piacentina: i documenti in esso raccolti e illustrati, sono un materiale importante e degro di nota anche per la storia delle istituzioni comunali nell’Italia settentrionale. Le frequenti e antiche relazioni fra Milano e Piacenza hanno generato fra le due città una colleganza stretta e intima di rapporti tali per cui moltissimi fatti storici hanno nell’uno e nell’altro svolgimenti pressochè analoghi, cause ed epiloghi e ripercussioni pressochè identiche. Non è qui il momento, in una breve recensione, di citare fatti e documenti che ci porterebbero lontani dal nostro ristretto compito. Taluni di questi rapporti ha fugacemente segnalato anche il Solmi; ma ho motivo di ritenere che una sistematica ricerca negli archivi piacentini abbia a rivelare un copioso e abbondante materiale tuttora pressochè ignorato. Sicchè moltissimi punti della nostra storia, che spieghiamo malamente e non sappiamo affatto intendere, cì apparirebbero nella loro vera luce. Cosi pure credo che simile ricerca dovrebbe essere condotta nelle altre città che hanno avuto rapporti coi milanesi a Cremona, a Bergamo, a Brescia, a Como, a Vercelli, a Novara in modo da iliuminare e da ricercare le cause di quelle mille controversie che gettano le città le une contro le altre, e le collegano poi insieme contro il Barbarossa per riedificar l'’« diata Milano, e le disuniscono di nuovo appena cessato il pericolo. I materiali non mancano: forma difetto solo forse la Buona Vvolontà e i mezzi necessari per affrontare tali imprese. La storia dei nostri comuni altro non è in fondo che la storia stessa del risorgimento del nostro popolo: da questo momento possiamo datare quel maraviglioso rinascimento della nostra stirpe, che darà tanta luce e splendore 860 BIBLIOGRAFIA nel mondo nei secoli XV e XVI; le origini prime di quel vasto e fecondo moto di pensiero vanno cercate nei secoli travagliosi e oscurì del periodo comunale. Le origini del comune di Piacenza sono mal note come quelle di molti comuni italiani. Il prevalere nelle città del mite dominio vescovile favorisce di molto lo sviluppo e la conseguente affermazione e prevalenza delle classi cittadine, che già da tempo usavano raccogliersi e trattare davanti alla chiesa, le cose di generale interesse. Di mano in mano che il potere vescovile si estende fuori della civitas e si afferma anche sul circostante contado, si va affermando sempre più dentro le mura, la volontà precisa di avere un governo autonomo, spoglio da qualunque ingerenza straniera, interamente capace de’ suoi diritti; finchè al vescovo, nell’opera di reintegrazione del contado sottentrerà il comune adulto nel livellamento delle classi cancellando dappertutto anche il ricordo dell’antico dominio barbarico. Non è qui il caso di estendere nel breve ambito di una recensione la documentazione dei fatti sopra esposti: il Solmi dà ampie prove delle sue affermazioni. Resta tuttavia provato un fatto indiscutibile e cioè che nell’Italia settentrionale il vescovo ha spessissimo un’importanza capitale nella storia delle origini comunali e talvolta, come a Milano, ne è persino la prima e involontaria causa perchè la storia della Chiesa e dei suoi dominii si allaccia strettamente con quella delle vicende politiche, qui forse più che altrove. Gli elementi del governo vescovile di Piacenza sono tutti quanti tratti dalle classi cittadine; c’è la concio, antica assemblea, che si adunava e si adunerà fino al termine del secolo XII sulla piazza della chiesa di Sant'Antonio, già un tempo cattedrale; la milizia, la giustizia, l’amministrazione della città è tutta nelle mani cittadine. - L'aspetto delle classi sociali è anch'esso pressochè identico che di ‘ Milano. A capo della scala, stanno i CAPITANEI e i MAGNATES, quelli che hanno nelle loro mani la somma del potere, che hanno ottenuto dal re o dal vescovo i feudi più importanti. Tra essi come a Milano, tro= viamo alcuni elementi feudali del contado che hanno casa in Piacenza e si mischiano nelle cose cittadine. Vengono poi i MILITES SECUNDI ORDINIS, cittadini arricchiti che hanno potuto aspirare alle maggiori cariche: classe più numerosa questa, formante l'aristocrazia cittadina. In ordine seguono i segoliatores e infine v'ha il popolo: operai e artefici ecc. ecc., classe turbolenta, che già nel secolo XI lotta aspramente contro l’aristocrazia cittadina odiata, e contro i clerici simoniaci e concubinari, per il trionfo degli ideali di Gregorio VII, ma solo più tardi vediamo matura e imporre la propria volontà nel governo del comune come a Milano con la Credenza di Sant’ Ambrogio. Dall'intervento nelle discussioni generali, al tenere nelle proprie mani del tutto il governo della cosa pubblica, il passo è breve. Nel 1126 appariscono per la prima volta ì nomi di cinque consoli piacentini in un accordo con un magnato Corrado Fredenzoni che dona un castello alla città di Piaî BIBLIOGRAFIA 861 cenza. E i consoli sempre più consci dei propri doveri, consolidano, allargano, estendono il potere loro, restringendo sempre più l’ingerenza vescovile. Così passano lentamente al governo cittadino le regalie vescovili concesse, sia con autorizzazioni imperiali, come dopo la seconda discesa dell’imperatore Federico Barbarossa, sia in aperto contrasto col supremo potere; il comune afferma costantemente e rigidamente il diritto di sovranità, e lo esercita come una intangibile prerogativa. Le leggi che il Solmi pubblica sono una prova di questa comprensione sempre più ampia e precisa dei propri diritti e della propria autoriomia. I documenti sono di pochi anni dopo la prima apparizione del consolato, ma le frasi “ statutum est a populo , e fatti “ in communi concione a populo placentino ,, manifestano una piena maturità di sviluppo legislativo, tanto che basterebbero da sole a far di parecchi anni retrodatare la prima apparizione del consolato. La legge del 1135 continuata poi con nuove disposizioni nel 1144 intende fissare in iscritto le regole del diritto consuetudinario per quanto concerne le concessioni fondiarie, nel redigere ie quali si dà preferenza agli usi locali, diver-. genti dal diritto romano ormai prevalente. Nei vari capitoli della legge vediamo importanti applicazioni di principii generali assai diffusi, quali quello del dominio utile e disposizioni intorno al diritto di superficie; principii e disposizioni illustrati dal Solmi con sobria e profonda dottrina. A queste due leggi seguono un regolamento pei notai pur esso del 1135, nel quale si fissano norme per il giuramento, per le alienazioni dei beni ecclesiastici e la competenza loro spettante. Si aggiunge infine il documento con cui il comune concede la fondazione del monastero Cistercense della Colomba; questo attesta i diritti sovrani esercitati già a questi tempi nel contado e presenta il principio della vendita forzata per utilità pubblica. “La serie dei brevi dei consoli dal 1167 al 1180 molto frammentaria- “ mente pubblicata dal Boselli meritava una edizione meno scorretta ,, e a questo provvide il Solmi nella sua bella memoria. Sono questi documenti importanti perchè il breve nasce col consolato medesimo, e di mano in mano che la vita cittadina si fa più ampia, nuove norme si aggiungono alle antiche, altre vengono modificate o abrogate secondo le circostanze e l’uso dei tempi. “ Oramai il Comune si presenta come « l’unione organizzata dai cittadini nel pieno possesso dei diritti sovrani. “ La sovranità dell'Imperatore è un limite riconosciuto, ma di scarsa importanza effettiva: e il processo d’integrazione delle forze sociali che il feudo aveva disperso e teneva in dissidio, sta per conseguire piena e definitiva vittoria ,. U Ugo BASSANI. 862 BIBLIOGRAFIA Pio PeccHIAI, Gli archivi degli antichi ospedali milanesi, ne Gli Archivi Italiani, anno III, fasc. 3, luglio-settembre 1916, pp. 207-241. Il P., dopo avere annunciato di attendere sulla scorta di inventari della fine del sec. XVI alla ricostituzione degli archivi degli ospedali milanesi anteriori alla concentrazione ordinata da Francesco Sforza, archivi che erano stati smembrati nelle varie classifiche dell'ordinamento per materia subìto dagli atti degli istituti ospitalieri, pubblica l’inventario di quello fra essi che viene primo in ordine alfabetico, cioè dell’archivio dell’ospedale di S. Ambrogio, con la promessa di far seguire man mano la pubblicazione degli inventari degli altri. L’inventario dell'ospedale di S. Ambrogio dato dal P. comprende 282 numeri dei quali alcuni di atti finora non trovati, ma segnati negli inventari antichi, ed altri di atti ivi non notati, ma attribuiti dal P. a questo fondo; i numeri sono divisi in tre serie, cioè in quella dei quaderni e registri (n. 25, a. 1248-1497), in quella degli alti di autorità sovrane e costitutte (n. 16, a. 1154-1502), e in quella più numerosa degli istrumenti e atti diversi (n. 241, a. 1131-1546). All’inventario il P. fa seguire, non senza qualche nota illustrativa, la pubblicazione di una sentenza dei consoli di M. in data 20 gennaio 1154 elencata in inventario al n. 1 della seconda serie. Mi congratulo vivamente col P. del sano criterio archivistico che egli dimostra nell'avere pensato a sceverare le carte che appartennero agli antichi ospedali di Milano dalla congerie di atti coi quali erano state confuse in quell’ordinamento che però impropriamente egli chiama peroniano. Ma più ancora mi congratulo del suo proposito di pubblicarne gli inventari, i quali, a mio credere, saranno salutati con piacere da quanti sono cultori di cose milanesi e sanno quale messe ancora inesplorata di documenti si conservi nell’archivio dell’ Ospedale Maggiore di Milano. Chè se qualcuno poteva preferire che il P. invece de Gli Archivi Italiani, il cui carattere è forse più appropriato alla trattazione di questioni archivistiche, avesse scelto Gli Archtvi della Storta d’Italia che il compianto Mazzatinti creò col precipuo scopo di far conoscere gli inventari dei nostri archivi, ciò nulla toglie al valore della presente pubblicazione, il quale sarà anzi accresciuto notevolniente se il P. vorrà, come io penso, far seguire agli inventari un indice dei nomi di persona e di luogo. Con tutto ciò non posso convenire intieramente col P. sul metodo usato nel riordinamento delle carte dell'ospedale di S. Ambrogio e nella pubblicazione del loro inventario; ma le mende che potrei forse rilevare non sono tali da menomare l’utilità del lavoro; d’altra parte, per rilevarle, dovrei trattare di questioni che mì sembrano alquanto aliene dall’indole storica di questa rivista. Mi limiterò perciò ad accennare alcune sviste in cui il P. è incorso a proposito della sentenza dei consoli da lui pubblicata in appendice. BIBLIOGRAFIA 863 Una prima svista è là dove dice che la sentenza fu scritta dal console Ruggero, mentre non si conosce alcuna sentenza milanese che sia stata scritta da un console, e dagli studi del Torelli sulla diplomatica comunale e dalla recensione che ne ha fatto il Biscaro su questo Archivio nel fascicolo precedente a questo è ben noto che Ruggero è un’identica persona con Ruggero Bonafede cancelliere dei consoli in questo periodo. Un'altra svista è quella di dire che fu presente, a difesa probabilmente di una delle parti, il causidico Arialdo, mentre questi era uno dei consoli in carica. Ma la svista maggiore il P.la commise dicendo che “ questo “ documento ci permette di aggiungere i nomi di cinque consoli, Marchisio “ Calcagnola, Alberto di Porta Romana, Ottone Mairola, Roberto Pingi- “ lucchi ed Azzo Cicerani (perchè non dice sei aggiungendo anche il nome “ di Ruggero che pur sarebbe un console secondo lui?) a quelli di sei. “ consoli citati dal Giulini nel suo catalogo cronologico sotto l’anno 1154 ,. Evidentemente il P. non ha badato che i nomi di Marchisio Calcagnola, Roberto Pingilucchi e Azzo Cicerani figurano nell’elenco del Giulini e i nomi di Alberto di Porta Romana e di Ottone Mairola nell’ elenco del Riboldi sotto l’a. 1153, chè altrimenti avrebbe cercato di spiegarsi come mai i consoli di un dato anno figurino in atti dell’anno successivo, e allora avrebbe forse trovato nel Giulini stesso, diligente indagatore anche dei minimi particolari dei nostri istituti, che i consoli di Milano verso la metà del sec. XII scadevano alle calende di febbraio e che questa sentenza per essere del gennaio 1154, anzichè accrescere di cinque nomi la serie dei consoli del 1154 reca nomi già tutti noti dei consoli dell’anno prima. Veramente un nome di console del 1153 non registrato ancora in nessun elenco emerge da questa sentenza, come dalle altre due sentenze che si conoscono del detto anno, cioè il nome del causidico Arialdo; ma la prova che questi era un console, siccome richiederebbe uno spazio superiore a quello che qui mi è consentito, è mia intenzione di fornirla altrove. C. MANARESI Luis: Rossi, Gli Eustachi di Pavia e la flotta viscontea e sforzesca nel sec. XV, Parte I, Pavia, Successori Fusi, 1915, p. 201. Il nome del prof. Luigi Rossi è già da tempo favorevolmente noto tra i cultori della storia per i suoi studi su diversi momenti di quel tumultuoso periodo delle vicende d’Italia che è compreso tra la morte dell’ultimo Visconti e la pace di Lodi. Fu appunto in questo Archivio se non erro, che vide la luce il più recente di tali studi (1). Ed eravi ragione a sperare che l’autore‘fì preparasse a darci anche quell’opera d’ insieme intorno a quegli anni che ancora ci manca. Il Rossi invece ha preferito mietere.in altro campo, perchè ci si presenta oggi con un (1) Luici Rossi, Lega tra il duca di Milano, i Fiorentini e Carlo VII re di Francia in A. S. L., anno 1906, serie IV, vol. V, p. 246. 864 BIBLIOGRAFIA volume sugli Eustachi di Pavia e la flotta ducale, ricco di notizie assolutamente nuove. Già nel rgtI il prof. Giacinto Romano aveva richiamato l’attenzione degli studiosi sull'importanza che ebbe nell’evo di mezzo la navigazione fluviale nell’alta Italia e sulle speciali circostanze di favore nelle quali la posizione geografica e le condizioni politiche avevano posto Pavia, tanto che, per usare le parole stesse del Romano, essa era “ la vera “ chiave delle comunicazioni col Po e con le vie fluviali dell’Italia su- “ periore ,, (I). Lo stesso Rossi poi, nel 1912, aveva studiato di proposito “ com'era governata la flotta, come costituita, come agiva, quanto “ costava ,, identificando i varî tipi di nave e specificandone le caratteristiche, l’uso e la composizione degli equipaggi; e ciò in una breve e succosa illustrazione premessa ad un conto di spese faite da Antonio Eustachi per la flotta ducale (2). Perchè per quasi tutto il secolo XV la storia della flotta dei signori di Milano è così intimamente legata con quella di persone della famiglia Eustachi, che non sì può toccare dell'una senza dover dire dell’altra. Li + ® Singolare vicenda questa degli Eustachi, che in poco più di un secolo assurgono da modesta condizione di famiglia benestante a somma altezza di onori, di fortune e di potere, e ricadono presso che nell’oblio! I documenti più antichi che parlano degli Eustachi, infatti, non risalgono oltre il 1355, e ce li mostrano piccoli proprietari e intimamente legati al traffico del pesce. Fenone degli Eustachi è procuratore del paratico dei pescatori alla venuta di Carlo IV in Italia; Pasello, negli ultimi anni del secolo XIV e nei primi del successivo, appare proprietario di mulini e di terre sul pavese, affittuario di una pescaia della duchessa Bianca di Savoia, fornitore del pesce alla corte ducale; Pasino stesso, prima di esser fatto capitano del naviglio e anche mentre occupa la carica, attende al commercio del pesce e della calcina. Nessuna meraviglia che da condizione relativamente modesta fosse possibile salire a carica sì elevata: I’A. ci spiega che “ piscatores , e navaroli costituivano una corporazione, tra gli obblighi della quale vi era anche dì prestar servizio sulle navi; che i capitani del naviglio si sceglievano appunto tra i “ piscatores ,,; e che tali erano stati anche i predecessori di Pasino. È del resto è fenomeno caratteristico e spiegabilissimo di quel secolo della nostra storia che le persone arrivino ai sommi onori non per nobiltà di natali, ma per virtù propria. Il Rossi riporta per debito di storico l'affermazione che vorrebbe gli Eustachi una derivazione da un ramo della famiglia Giordana, cospicua ed illustre in (1) Giacinto Romano, Pavia nella storia della navigazione fluviale in Bol lettino della Società Pavese di Storia patria, anno 1912, p. 3II € sgg. (2) Lusi Rossi, La flotta Sforzesca nel 1448-49. Ibidem. Anno 1912, p.1 € sgg. BIBLIOGRAFIA 865 Pavia fin dalla fine del secolo XII; ma non vi presta fede, e vi vede piuttosto un omaggio pietoso d’un tardo discendente per linea femminile (1). Gli Eustachi adunque sono di origine popolare; vivono del commercio nel quale non tardano a primeggiare sovra le altre famiglie del pavese. Bisogna tener presente che sin al cadere del secolo XV Pavia, posta com'è sulla riva del Ticino e a poca distanza del punto dove questo sfocia nel Po, fu un centro attivissimo; e mentre dalle terre vicine vi venivano a vender e comperare ogni genere di mercanzie, al suo porto doveva necessariamente affluire tutto il commercio di transito della valle padana, che facevasi solo per via di acqua. Sul primo periodo della vita di Pasino le notizie sono incerte. Ritiene il Rossi, argomentando da un documento senza data, ch’egli sia stato capitano del naviglio una prima volta tra il 1382 e il 1389 con Perino della Pellizzeria, e che in seguito sia rimasto luogotenente dei capitano. Certo però si è che il diploma 5 ottobre 1401 col quale Gian Galeazzo Visconti nomina l’Eustachi capitano generale di tutto il naviglio “ existentis in flumine Padi nec non Ticini ac in quocumque alio “ flumine territorii nostri , non si richiama a nessuna concessione precedente, il che pur sarebbe stato naturale e consentaneo all’uso della cancelleria ducale, ma parla corne di conferimento di carica ex novo. Ancora : nei due confessi del 1396 Pasino è qualificato senz’altro “ mercator calcine ,, e “ fornaxerio ,,, e nella sovvenzione di mutuo dell’anno seguente “ piscator ,. Resta d’altra parte il fatto che nel 1396, all’ingresso di Gian Galeazzo in Pavia, è Pasino che guida il corteo nuziale; e questa circostanza sembra poco conciliabile, a prima vista, con la condizione di un uomo affatto nuovo alle cariche pubbliche. Comunque sia, il primo dato sicuro nella vita dell’Eustachi ci è fornito dal diploma ducale accennato poc'anzi, dell'ottobre 1401, quando Pasino doveva aver di poco oltrepassata la quarantina (2). Qualche incertezza si ha ancora nel decennio che segue. È il periodo tristissimo della storia milanese in cui il ducato, messo insieme con la violenza e con l’astuzia da Gian Galeazzo Visconti, si sfascia per la morte im- (1) BernaRDO Sacco, De italicarum rerum varietate et elegantia, Pavia, 1587, p. 71. Il Sacco aveva sposato una Bianca Eustachi. Il FAGNANI nel suo Comentarium, venendo a dire degli Eustachi, incomincia: « Eustachiam familiam « nobilem et vetustam esse nemo ambigat », espressione generica e stereotipa quasi ch’egli usa per la maggior parte delle famiglie; tace completamente di Pasino e di Antonio; riporta un diploma dell’ultimo aprile 1461 di Bianca Maria col quale concede al nobile Rolino de Eustachio (è il figlio di Giovanni, primogenito di Pasino e premorto al padre) la cittadinanza milanese per sè e per i suoi discendenti; e ricorda Guido e Filippo, il castellano di porta Giovia. (2) Secondo le induzioni del Rossi la nascita di Pasino cadrebbe tra il 1358 e il '60 (ctr. p. 146). 866 BIBLIOGRAFIA matura del suo fondatore, e le città e le campagne, contese tra i diversi pretendenti che in nome degli antichi partiti se ne disputano con le armi il dominio, sono piene di sangue e di rovine. Pasino rimane fedele alla duchessa vedova reggente, e ne ha una prima conferma della carica il 19 gennaio del 1403. Parrebbe però che nei torbidi seguiti in Pavia poco di poi, col momentaneo trionfo dei Beccaria e dei loro aderenti Pasino debba essere stato rimosso, perchè del 6 luglio di quello stesso anno abbiamo un decreto della duchessa reggente che a Pasino sia lasciato esercitare l’ufficio secondo il solito (1). Nell'agosto di quello stesso anno gli è imposto per compagno Antonio della Pellizzeria (segno che la stella della Visconti tornava ad offuscarsi); il qual Antonio dopo tre mesi, nel novembre successivo, è cassato, così che Pasino resta di nuovo solo. Lo troviamo ancora capitano, ed in gran favore, presso Filippo Maria Visconti nel 1406; nel 1408, invece, è dichiarato ribelle e gli sono confiscati ì beni, pare a torto; e infine nel maggio del 14Io è reintegrato nella carica e negli onori. Dal 1410 Pasino degli Eustachi terrà l’ufficio di capitano del naviglio ininterrottamente fino alla morte, sempre più ascendendo in fortune ed onori. Assunto Filippo Maria al ducato dopo la tragedia che toglie di mezzo Gian Maria, uno de’ suoi primi atti è la solenne conferma di Pasino, che avviene con diploma 9 ottobre 1412. E dell’aiuto di Pasino dovette valersi largamente il nuovo duca in quell’opera di repressione dei ribelli e di riconquista delle singole terre sottrattesi al suo dominio durante la tutela di Caterina e la signoria di Gian Maria che tosto intraprese, perchè il nome del capitano ricorre con una certa frequenza nei troppo pochi documenti di quegli anni. Restano a testimoniare della riconoscenza del duca per i validi e fedeli servigi avuti diversi privilegi a Pasino dell’anno 1420, i quali in complesso gli assegnavano una rendita annua di un migliaio di fiorini circa; principale quella concessione delle entrate del porto del Tovo e della Mortizza di Sicomario che dovevano perpetuarsi nei suoi discendenti. Assicuratosi così il possesso dello Stato contro i nemici interni, Filippo Maria rivolge l’animo contro i nemici esterni. Ed è specialmente durante la guerra mossa da Venezia e Firenze alleate che si manifesta l’opera di Pasino. Al primo rompere le ostilità egli è compagno al famoso Filippino dagli Organi nella preparazione della difesa di Cremona, destinata ad essere il perno della resistenza ducale. Ma la flotta veneziana, più numerusa e meglio agguerrita, supera l’ostacolo di Cremona, e risale il Po spingendosi fin sotto Pavia che non osa attaccare, mentre Pasino salva la propria, tenendosi accortamente sulla difensiva. L’anno seguente, dopo un’alterna vicenda di danni reciproci, la flotta veneziana avanza di nuovo con grave minaccia. Pasino tenta opporsi (1) E' edito in MatoccHI: Francesco Barbavara durante la reggenza di Caterina Visconti. Miscellanea di Storia italiana, serie III, tomo IV, p. 290. _ BIBLIOGRAFIA 867 “ al pericolo, ma è sconfitto presso Cremona (agosto 1427). Di questa sconfitta l’A. non sa attribuir colpa al capitano, ma piuttosto all’imperfetta preparazione; e il fatto che Pasino sia conservato dal duca alla testa della flotta e la miglior prova della sua tesi. Si aggiunge intanto anche il disastro di Maclodio, mentre d'altra parte le continue richieste di uomini e di denari alle città vanno stremando le popolazioni. Il Visconti quindi, mentre cerca ed ottiene alleanze ad occidente e attende ad ogni buon conto ai nuovi preparativi di guerra, rivolge il pensiero alla pace, che finalmente è conclusa a Ferrara il 18 aprile 1428. Più che pace è armistizio, del quale approfitta il duca per meglio agguerrirsi e specialmente per meglio preparare la flotta, tacendo tesoro dell’amara esperienza del passato. l preparativi cominciano subito nel ’29, l’anno seguente alla pace, e per la prima volta troviamo associato a Pasino suo figlio Antonio. Preparata la difesa di Cremona, Pasino passa nella Lombardia superiore, con dimora a Locarno, a raccogliere dalle singole terre dei laghi il contributo imposto di navaroli e di denaro. Succede un breve periodo di respiro nei primi mesi del 1430, il quale si protrae poi forse per l’infierire della peste, che fa una . delle sue troppo frequenti comparse, e rivolge l’attività di Pasino a tutt'altro ordine di funzioni, quella cioè di contribuire alla difesa contro il contagio. La guerra scoppia sul cominciare del 1431. Questa volta le speranze del duca si appoggiano principalmente sulla flotta: in quei mesi è un carteggiare vivissimo tra la corte ducale, Pasino e le magistrature civiche del ducato per la somministrazione di navaroli, ai quali si promettono paghe insolitamente laute, un andare e venire di messi dalle singole terre del ducato, oppresse' sotto la duplice richiesta di uomini e di denaro, a protestare l'impossibilità loro di fornire i contributi richiesti. Questo lavoro intenso mette capo ad una vera e grandiosa azione navale sul Po, la battaglia del 21 giugno 1431, nella quale la flotta viscontea, incoraggiata da un primo scontro favorevole e grazie all’accorgimento del Piccinino di imbarcar sulle navi quasi tutte le milizie terrestri, perviene presso che ad annientare l’armata dei Veneziani. Contrariamente a quanto hanno asserito il Biglia ed il Sanuto, in questo fortunato fatto d’arme la flotta viscontea era condotta da Pasino degli Eustachi; e il Rossi appunto, ponendo a raffronto la testimonianza di questi due cronisti con quella di altri contemporanei, con acute argomentazioni rivendica a lui questo onore. Non ostante la brama del Visconti di cavar dalla vittoria tutto il maggior frutto possibile, altre vicende politiche d’Italia e la naturale stanchezza che suole tener dietro ad ogni sforzo fanno sì che non si abbiano più grandi azioni. Della flotta viscontea si vede fatta menzione più volte nel corso dell’anno seguente; ma si tratta di operazioni secondarie, sia ausiliarie alle operazioni di terra, sia di semplice polizia fluviale. E l’aprile dell’anno seguente si rifà, disgraziatamente per poco, la pace. 868 BIBLIOGRAFIA Per la terza volta scoppia la guerra tra i Visconti e Venezia nel 1437, € tosto ripigliano d’ambo le parti i preparativi per la flotta, anzi questa volta con tanto maggior intensità da parte del signore di Milano, in quanto che avendo il marchese di Mantova per alleato, incombe alla flotta viscontea il compito di difendere anche lo stato di costui, più esposto alle vendette della Signoria. Questa volta però i preparativi procedono con maggior lentezza. Manca specialmente, in sulle prime, il denaro, ch’è sempre stato in tutti i tempi e con tutte le forme di governo il nerbo principale della guerra; e le singole terre del ducato, sulle quali fioccano le richieste di contributi in navaroli, lavoranti e militi, oltre che in denaro, esauste, cercano in sulle prime di sottrarvisi, o danno il meno che sia possibile. In conseguenza, mentre il Gonzaga, che si sente sulle spalle la minaccia di Venezia, prega, e insiste, e tempesta per aver Pasino, ripcnendo ogni sua speranza di salvezza solo nell'arrivo dei galeoni viscontei, questi invece è costretto a restare a Pavia per organizzar gli uomini e disporre dei denari, che a poco a poco vanno giungendo dalle terre del ducato. In questa circostanza Pasino, che, si tenga ben presente, toccava quasi la ottantina, è coadiuvato dal figlio Antonio suo luogotenente; ed è specialmente da ascriversi all'energia di quest’ ultimo se alla fine la flotta si trova in pieno assetto ben agguerrita. Tuttavia il 1438 passa senza che avvengano fatti d’arme per acqua, mentre per terra le genti del Piccinino stringono ed incalzano Brescia. L’anno seguente l’apparire di una flotta veneta sul Garda fa sì che si trasporti sul Garda anche la viscontea. Così si viene alla seconda grande vittoria riportata da Pasino, quella del 26 settembre 1439, nella quale, con la collaborazione delle milizie del Piccinino per la via di terra, la flotta veneta del Garda è in parte affondata, in parte dispersa, lasciando nelle mani del nemico oltre sei mila prigionieri. Dopo la vittoria Pasino, o temesse un ritoruo offensivo del nemico, o avesse in proposito di stringerlo più da presso, mantiene la flotta in pieno assetto di guerra. Così fa l’intera invernata 1439-1440, non permettendo ai navaroli che hanno terminata la ferma di ritornar alle loro case se non a patto che altri li sostituiscano; anzi la primavera del ’4o attende ancor più a rinvigorirsi. Ma l'attacco improvviso del 1° aprile per opera dell’armata veneta, che costa a Pasino la perdita di un migliaio di uomini, scoraggia Filippo Maria. Peggio ancora per il duca sopravvengono le gravi sconfitte per terra per opera delle milizie veneziane capitanate da Francesco Sforza, il futuro genero e successore nel ducato. La guerra continua ancora, ma senza grandi fatti d’arme; e più importanza rivestono le trattative per la pace e le schermaglie diplomatiche del Visconti, rivolte ad attirare a sè lo Sforza con la lusinga della mano dell’unica figlia. E la pace finalmente si conchiude il 20 novembre del 1441, un mese circa dopo che s’era celebrato il matrimonio di Bianca Maria con Francesco Sforza. È "> BIBLIOGRAFIA © 869 s Dopo la pace del 1441 non trovasi più che Pasino abbia preso parte a fatti d'arme; ma non per questo la sua attività cessa, perchè molti e complessi erano gli obblighi inerenti al suo ufficio, sia in tempo -di pace, sia in guerra. A questa parte il Rossi consacra nel suo studio alcune pagine, che per la novità delle notizie sono fra le più importanti. Il capitaneato del naviglio contava tra le principali cariche, e secondo ogni probabilità acquistò una quasi completa autonomia dalle altre magistrature con la riforma dell’amministrazione che si deve al Barbavara. Il capitano del naviglio accentrava in sè i poteri più disparati. Ricordare qui tutti gli incarichi che gli erano demandati sarebbe impossibile. Per citarne solo alcuni, egli esercitava la suprema autorità sulla flotta, e doveva vigilare che fosse sempre in ordine; in tempo di .guerra poi poteva anche guidarla (come si è visto fare Pasino) fermo, nel caso contrario, l'obbligo di coadiuvarne il condottiero; visitava i porti e i guadi, e doveva aver cura che la piena delle acque non rovinasse le rive e i ponti; giudicava delle eventuali controversie tra navaroli ed in genere di qualsiasi questione che avesse attinenza col commercio fluviale; aveva parte nello stabilire il calmiere del pesce; ‘curava che non avvenissero frodi nei contratti in materia di acque; teneva registro di tutte le navi e di tutti i navaroli; dirigeva e regolava la navigazione commerciale; in tempo di guerra poi (ed era il compito più spinoso come dimostra con gran copia di documenti l'A.), esigeva dalle singole terre del ducato le contribuzioni di uomini e denaro necessarie per armare la flotta secondo un riparto ch'egli stesso doveva fissare. Accentrava insomma in certo modo le funzioni di ammiraglio, di ingegnere e di amministratore. In caso di epidemia c’era una serie di provvedimenti ch’egli doveva attuare per contribuire a reprimere il diffondersi del contagio: sono ordini minuziosi che l'A. sunteggia da un registro di missive del nostro archivio di Stato ; trattavasi in altri termini di stabilire un cordone sanitario; e basterebbero questi ordini da soli a provare come il suo compito non fosse nè semplice nè facile. Il capitano del naviglio aveva giurisdizione assoluta sui corsi d’acqua, sui laghi e sui paesi rivieraschi; ora si consideri che il solo tratto del Po che cadeva sotto il dominio del Visconti, dai confini del Monferrato a quelli del signore di Mantova, abbracciava ben duecentocinquanta chilometri. Importanza capitale assumeva la vigilanza sui passi di transito o porti. Ve n’era sul Po, sul Ticino, sull'Adda, sul Lambro, sulla Sesia; e IA. li nomina ed identifica ad uno ad uno. Ogni porto era dato in custodia ad un apposito ufficiale che riscuoteva .il diritto di transito, o pedaggio, salvo il passo gratuito ai funzionari del signore e al loro seguito, o a chi fosse munito di speciale licenza. I porti principali poi erano protetti da una torre, talvolta anche muniti Arch. Stor. Lomb., Anno XLIIT, Fasc. IV. 56 870 BIBLIOGRAFIA di una rada per ricovero delle imbarcazioni. In compenso della sua opera il capitano del naviglio percepiva l’onorario, non troppo lauto anche per quei tempi, di dieci fiorini al mese. Vero è che godeva di larghi privilegi d’esenzione, senza contare le concessioni volontarie del signore. La flotta viscontea variava di numero. Nel 1432 (l’anno in cui ci appare più numerosa) era composta di sessanta galeoni, ai quali I°A. calcola sia da aggiungere un numero triplo di navi minori. Vi montavano conestabili, nocchieri e navaroli, oltre, all'occorrenza, balestrieri e bombardieri; quelli formavano gli ufficiali del comando, i navaroli la massa della ciurma. | I navaroli, come già si è visto, costituivano insieme coi pescatori una corporazione retta da appositi statuti; (godevano inoltre di certi privilegi e concessioni sanciti, in pari tempo con gli obblighi loro imposti, in un ordine di Galeazzo Visconti del 1° agosto 1374 che lA. pubblica integralmente togliendolo dall'archivio civico di Piacenza. Essi dipendevano dal capitano del naviglio, il quale era il loro natural protettore. Venivano chiamati a servire sulle navi in caso di bisogno, e vi servivano un dato numero di giorni stabilito in precedenza, nei quali riscuotevano il soldo in ragione di quattro fiorini al mese a carico del loro comune. Spettava infatti ai comuni l’onere di fornire i navaroli in quella misura che erano richiesti dal capitano del naviglio. Trascorso il termine prefisso, il navarolo o riceveva il soldo per altri giorni, o veniva rinviato a casa e sostituito con altri; ciò, s'intende, in tempo di guerra, perchè durante la pace rimanevano alle case loro ed attendevano alle proprie occupazioni. Erano insomma come lA. conclude nelle pagine che dedica loro, “ una specie di milizia territoriale reclu- “ tata in città e paesi rivieraschi ,,. Riassumendo dunque, dei due temi che il Rossi si era pretisso l’uno e l’altro trova pieno svolgimento. Della flotta viscontea egli ci mostra la parte importante che aveva nella difesa dello Stato e nelle azioni di guerra, e, quel ch'è più e che nessuno aveva ancor tentato ce ne spiega l’organismo e illustra il funzionamento. Di Pasino degli Eustachi poi, raccogliendo il poco ch’era noto sporadicamente dai libri e molto aggiungendo dall'esame diretto dei documenti, riesce a ricostruire la biografia per il cinquantennio nel quale Pasino ha parte nella vita pubblica. Uomo di grande energia, per quasi mezzo secolo ’Eustachi esercitò un’autorità indiscussa su tutto quanto si riferiva alla flotta, e nulla si fece in materia di acque se non col suo parere e consenso. La sua attività dovette poi essere straordinaria, se in mezzo alle incessanti cure che gli imponeva la sua carica egli potè continuare ad attendere ai commerci privati. Ce lo dichiara egli stesso in una = BIBLIOGRAFIA | 871 sua supplica al duca, dove, protestando contro l’imposizione fattagli di pagar il focatico contrariamente ai suoi privilegi, espone di aver vertisette bocche a suo carico e solo dieci fiorini al mese di stipendio, “ adeo quod si industria personali non intenderet, tot sunt diversimode “ sumptus, quod eisdem reditus suppetere non possent ,. Questa attività fortunata, aggiunta al favore ducale che lo aveva colmato di concessioni e privilegi, spiega come Pasino potesse raggiungere in vita una prosperità non comune e lasciar alla sua morte un patrimonio, che l’A., dagli atti di una causa ereditaria agitata nel 1449 tra i discendenti di Pasino, valuta a dieci milioni di lire di moneta nostra. All'esame degli atti di questa causa appunto ed alla lapide sepolcrale della tomba di famiglia degli Eustachi, già edita è commentata dal dott. Gerolamo Dell’Acqua(1), l’A. dedica le ultime pagine di questo suo studio. Il primo, oltre portarlo a determinare l’entità del patrimonio di Pasino, gli dà occasione di pubblicare un interessante inventario di mobili, vesti ed utensili domestici di lusso, gioielli, biancheria, armi e libri, e di illustrarlo con note esaurienti. Circa la seconda, rettifica l’in- .terpretazione dell’anno da 1453, cone in sostanza si legge, a 1443 come doveva essere, e dimostra come il documento che pubblica il Dell'Acqua sia da riferirsi non a Pasino capitano del naviglio, ma ad un suo abbiatico. Con la morte di Pasino, che il Rossi dimostra seguita sulla fine della prima quindicina del settembre 1445, correggendo quanto avevano scritto altri (2), si chiude il volume, che comprende la prima parte dell’opera. Opera pensata con vastità di concezione, condotta con pazienza ed amore in mezzo a lunghe ricerche d’archivio e di biblioteca, e della quale va data ampia lode all’autore. Auguriamoci ch'egli possa presto farle seguire la seconda parte promessa. ACHILLE GIUSSANI. (1) GeroLamo DeLL’Acqua, La lapide sepolcrale di Pasino degli Eustachi ed un documento che lo riguarda in Bollettino storico pavese, 1893, p. 93. (2) A proposito di rettifiche può interessare anche la correzione della data di morte di Filippo degli Eustachi, abbiatico di Pasino e castellano di porta Giovia, che tutti gli storici sinora avevano asserito essere stato decapitato il 6 dicembre 1489. Il Rossi invece (La {lotta sforzesca, già cit. p. 4) prova esser egli morto il 3 gennaio 1495 di morte naturale. Ciò, del resto, concorderebbe in parte con quanto scrive anche il FaGNANI, che, ricordato come Filippo fosse a parte della congiura contro il Moro, prosegue: « Auno vero 1490 Philippus « Eustachius cum Ludovicum Sfortiam in arcem venientem humanissime re- « ceptus (sic) iussu eiusdem captus, Abiatum transmissum fuit, ubi brevi temporis « spatio mortem obiit ». 872 BIBLIOGRAFIA CamirLe EnLART, Manne! d’archeologie francaise depuis les temps merovingiens jusqu'a la Renaissance. Tome IIIL “ Le costume ,. Paris, Picard, 1916, in-8, pp. xxx-614. Col terzo volume del suo manuale, il direttore del museo di scultura comparata al Trocadero ha dato a tutti gli studiosi un’ opera di sommo valore ed un prezioso sussidio ad ogni studio medioevalistico: e non ai francesi solo, ma anche agli italiani e speciamente ai lombardi, giacchè il costume medioevale presso di noi ha sempre stretta parentela con le foggie e le mode d’oltre alpe. I vecchi, per quanto pregevoli lavori del Quicherat, del Racinet, del Viollet-le-Duc e del Gay, sono, se non resi totalmente inutili, per lo meno messi nell'ombra da questo lavoro che l’editore Picard, tanto benemerito degli studi storici, ha pubblicato con la consueta cura e signorilità. Il piano dell’opera è assai semplice: una esposizione storica divisa in periodi cronologici. Ogni periodo è suddiviso in sezioni che riguardano gli abiti propriamente detti, i copricapi, le calzature e tutti gli altri accessori, poi i costumi speciali, liturgici, civili e gli abiti militari. Un’ampia bibliografia all’inizio ed un ricco e minuzioso repertorio in fine rendono facile e sicura la consultazione. Dall’epoca merovingica sino al XVII secolo tutte le fonti possibili sono messe a contributo: non le rappresentazioni artistiche solo ma ancora tutti i documenti letterari ed archivistici, gli inventari special. mente. La' storia di ogni indumento assume così una straordinaria precisione, e la terminologia è ricca quant’altre mai. Si comprende facilimente quale somma ingente di lavoro è accumulata in queste pagine e quale inesauribile miniera di notizie esse siano. I riferimenti a documenti lombardi sono frequenti: così ad esempio nello studio dei cappelli di paglia all’inizio del XIV secolo, si ricorda l'industria allora fiorentissima in Lombardia di quelli fatti con paglia di riso, di cui larga esportazione se ne faceva in Francia: industria che forse può spiegare il cappello di paglia che porta, nel quadro del Pisanello a Londra, S. Giorgio. Così sono ricordate le nostre armature milanesi, delle quali forse si poteva dire qualcosa di più. Ma certo l’Enlart, che ben conosce il soggetto, non ha accennato se non a quanto era strettamente necessario al suo compito di studioso del costume francese. Malgrado ciò, quanti non hanno dimenticato che sulla fine del trecento e nel quattrocento, come ci assicurano i nostri cronisti, le foggie lombarde erano ad imitazione di quelle francesi, sanno quale prezioso sussidio può venire allo studio della nostra iconografia e della nostra arte da una così minuta e sicura esposizione. Ed è perciò che abbiamo creduto necessario segnalare quest'opera, degna in tutto dell'autore e completa quanto più non potevamo aspettarci. U. M. V. BIBLIOGRAFIA 873 Ainuarjo del regio Archivio di Stato in Milano, per l’anno 1916, in-8. Milano, Palazzo del Senato (Perugia, Unione tipogr. cooperat.), 1916. Non ostanti le difficoltà provocate dallè circostanze attuali, e la. mancanza di personale, i lavori del nostro Archivio di Stato hanno proceduto ininterrotti durante il 1916, sotto la guida illuminata del Comm. Fumi al quale auguriamo di veder compiuta quell’opera grandiosa di riordinamento sistematico di cui si è fatto iniziatore. L’Annuario del 1916 dà parecchie buone notizie che rallegreranno gli studiosi: l’essere cioè quasi al fine la compilazione di quegli inventari sommari che sono così utili per un primo orientamento nell’intraprendere qualsiasi ricerca, il procedere svelto degli inventari descrittivi per fondi di singolare interesse come sono la “ giustizia civile e cri- “ minale ,,, il compimento, per opera del dott. Ferorelii, del regesto dei registri Panigarola, una delle basi fondanientali per ogni studio sulla storia milanese del quattrocento e del primo cinquecento, il continuato assetto delle pergamene del fondo di religione, fonte prima, e potrebbe dirsi unica, a Milano, per gli studi di storia civile ed economica nel medio evo, e capace di compensare largamente le fatiche di chi, seguendo l’esempio del Biscaro, si accinga a rimestarla con preparazione sicura e tenace pazienza. L'Annuario del 1916 continua nel imeloao inaugurato dali’egregio Soprintendente in questi ultimi anni, e degno, a parer mio, della più ampia lode, continua cioè ad accompagnare le relazioni sull’ordinamento dei singoli fondi con notizie sulla storia, la natura ed il funzionamento dei lDicasteri onde son costituiti. Così per esempio, il dott. Piccardo, che attende a riordinare le carte del R. Econoinato, fa precedere la descrizione dei suoi lavori da un ampio studio storico giuridico su questa importantissima istituzione a cominciar dai Visconti e venendo giù fino ai tempi più recenti, dove ha singolar pregio la parte dedicata ad illustrare il divèrso atteggiamento tenuto, secondo 1 tempi e le circostanze, dai Visconti, dagli Sforza e dai governi successivi di fronte alla Curia romana. Allo stesso modo gli ordinatori della serie * Atti di Governo , illustrano il succedersi dei vari organismi amministrativi a partire dalla restaurazione austriaca fino al 1848, e dal ’49 al ’57, e quello dei diversi Comitati istituiti dal Governo provvisorio di Lombardia nel 1848. Nè meno lodevole è 1l sistema di riassumere, sia pure a larghi tratti, il contenuto dei singoli fondi che si vanno ordinando, mettendune particolarmente in luce il valore per lo studio di determinati argomenti, come si fa per la serie “ Spettacoli pubblici y e per quella interessantissima degli “ Studi ,,, la più scompigliata in passato da chi volle formar la effimera classe degli autografi, e ora a poco a poco reintegrata nell’esser suo originario. Ognun vede come sì vadano a questo modo preparando gli elementi per un altro lavoro d’un’utilità incomparabile, per una Guida 874 BIBLIOGRAFIA dell’Archivio di Stato milanese, il cui bisogno è sentito da tutti, una Guida che, con esposizione sobria e precisa, enumeri e descriva'i fondi, illustri la natura e le vicende degli uffici, faccia insomma conoscere al pubblico quell’immenso deposito che per tanto tempo, con pertinace esagerazione, è stato creduto un caos. Gli Annuari dell’Archivio di Stato di Milano si fanno anche divulgatori d’idee e provocatori di riforme; questa missione di critica ad alcuni sistemi vigenti nel campo archivistico si è assunta, e degna- ‘mente assolve, il prof. Vittani, In quest’ultimo volume egli esamina i difetti nell'ordinamento delle Scuole di archivistica e diplomatica presso gli Archivi di Stato e le cause per cui non danno i frutti che potrebbero, e propone rimedi degni, a parer nostro, d’esser presi in considerazione da chi ha il potere di attuarli. Il duplice scopo per cui queste ‘scuole furono istituite, quello cioè di preparare archivisti e diffondere la coltura paleografica, fu solo in parte raggiunto; e si potrebbe, secondo il Vittani, raggiungerlo per intero quando queste scuole fossero coordinate alle cattedre universitarie in modo da integrarsi a vicenda, quando l'insegnamento presso gli Archivi, equiparato in diritto a quello universitario e limitato agli elementi della paleografia e diplomatica, servisse di preparazione all'insegnamento superiore allo stesso modo che nelle università le cattedre attuali di istituzioni di diritto civile e romano sono i presupposti necessari del corso superiore del giure. Ben volentieri aderiamo all’augurio che, dopo la pace, nella calma serena e feconda delle attività nuove, anche il problema di queste scuole venga discusso e risolto. ErrorE VERGA P. BuzzettI, // falasszo biturrito dei conti Balbiani e le':mura di Chiavenna, Coino, Cavalleri, 1916, in-8, 2 tav. Il volumetto pubblicato da don Pietro Buzzetti, ben noto cultore delle memorie storiche della provincia comense e della Valtellina, ritesse le fortunose vicende del vetusto maniero e delle mura di Chiavenna intrecciate con quelle de’ suoi possessori, i Visconti, i Rusca e particolarmente de’ Balbiani; vicende che sono già state narrate dal Crollalanza nella sua Storia di Chiavenna e che il B. ha nuovamente esposto accompagnandole colla pubblicazione della perizia dell’ ingegnere ducale Guiniforte Solari, tnteressante documento del 1447, che diffonde nuova luce intorno allo storico edificio, il cui possesso a ragione era stimato una delle chiavi del ducato milanese. I Grigioni, i quali nel 1512 ne divennero padroni, lo tennero fino al 1797, ma sotto la loro denominazione il palazzo biturrito di Chiavenna fu brutalmente deturpato ed ora rimane come un corpo scheletrito, triste documento di ferocia, in attesa di opportuno ristauro, che lo renda decorosa sede di istituzioni cittadine. Nell’ ultima parte della monografia il B. tratta " delle mura della graziosa cittadina adagiata sulle rive del Mera: ne narra le vicende, ne esamina la configurazione e chiude esprimendo il voto assai opportuno che il torrione tuttora esistente venga esso pure in modo degno ristaurato. # BOLLETTINO DI BIBLIOGRAFIA STORICA LOMBARDA (giugno-dicembre 19716) I libri segnati con asterisco pervennero alla Biblioteca Sociale. # ADAMI (VITTORIO, 1EN. coL.). - Le guardie nazionali valtellinesi alla difesa dello Stelvio nel 1866. Milano, Cogliati, 1916, 8° fig., pp. 416. #* AGNELLI (GIOVANNI). - Lodi ed il suo territorio nella storia, nella geografia e nell'arte. Lodi, tip. Abbiati, 1917, 8° gr. pp. XVI- 1228. * ALLEN (K.). - Some Glimpses of the Raetian Limes. - The Classical Journal, vol. XI, n.° 2. Nel med. fascicolo: Hype (W. W.) The ancient appreciation of mountain scenery. Ambrogio (S). -- Lieu de naissance de Saint Ambroise. --- Intermédiaire des chercheurs et curieux, 10-30 aprile 1916. 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Cristoforo di Paullo. — Per un'eventuale chiusura di Porta Castello (1789) — Atti della Deputazione storico-artistica nel 1915. — Notizie ed appunti. * ARNOLDI (D.). Un tipografo vercellese patriota e poeta: Giuseppe Guglielmone (1827 - 1872). Il Risorgimento italiano, vol VIII, fasc. 2°, 1915. Il Guglietmone era però nativo di Vigevano; di lui si pubblicano inni e prose patriottiche del ’48. BaPTISTA MANTUANUS i(Beatus). Libri tres de Calamitatibus temporum. Nova editio anno saec. IV a morte auctoris curante fr. Gabriele Wessels. Romae, tip. Pontificia, 1916, 8° fig. pp. 94. BarBIERA (R.). Memorie goriziane e Graziadio Ascoli. — La Perseveranza, 24/8 1916. BARBIERA (R.). Tommaso Grossi notajo - Nuova Antologia n.° 1077, (1916). BARBIERI (CLEMENTE) La b. Caterina Mai-Savina da Gambolò, terziaria domenicana. (Estr. Rosario - memorie domenicane). Firenze, Tip. domenicana, 1916, 8°. pp. 13. * BARNI (prof. LuiGi). La chiesa di S. 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BELLONI (A.). - ll Manzoni e il Seicento. - Fanfulla della domenica. XXXVIII, 30. * BeLLORINI (E.). - Intorno al testo del «Mattino». Nuovi appunto - Atti Istituto Veneto, LXXV, 6, 1916. BELLORINI (E.). - Versi inediti di Giuseppe Parini. - Affi e memorie della R. Accademia di Padova, vol. XXXII, 3, 1916. * BELTRAME (ORESTE). La Farmacia dell'Ospedale Maggiore di Milano. Cenni storici (da documenti inediti). - L'Ospedale Maggiore, novembre-dicembre 1916. BELTRAMI (Luca). - La Galeazesca vittoriosa. Documenti inediti sul «530» delle artiglierie sforzesche. Milano, U. Allegretti, MCMXVI, 8°, Il, pp. 87. BELTRAMI (Luca). - Lezione Vinciana. In difesa «di Edmondo Solmi (1874, { 1912). All’autrice del «Leonardo prosatore». Milano, U. Allegretti, MCMXVI, 8°, pp. 25. * BELTRAMI (Luca). - Altre notizie d’archivio relative a pittori milanesi durante il primo soggiorno di Leonardo da Vinci a Milano. - Rassegna d’arte, agosto 1916. 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VI. novembredicembre 1915, 8°. Novara, tip. Cantone, 1916. | Fascicolo commemorativo ael prof. G. B. Morandi, caduto da prode per la patria sul Carso, con articoli di Viglio, Leone, Massara, Bori, Gabotto, Lizier che ne illustrano la vita, le opere a stampa e manoscritté e le benemerenze quale direttore del Museo Civico di Novara e del Bollettino novarese fondatore. Bollettino del Museo del paesaggio in Pallanza airetto da Antonio Massara. Vol. I, fasc. 1-2, settembre 1916. 8° gr. ill. Intra, tip. Almasio. La Direzione. S. A. R. la Duchessa di Genova madre fondatrice della Galleria d’arte del paesaggio. - Massara (A.) e DE MarcHI (MARco). Parole ed atti di fede. - Relazione sulla fondazione ed avviamento del primo Museo del paesaggio in Pallanza. - M. (A.). La Triplice e Carlo Cadorna ida uno studio su «Il pensiero di Carlo Cadorna ». - - ANTONIELLI' (avv. A.). 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Maria della Pace, a Milano. - Sigilli simbolici di chiese di Milano, Crema, Monza. - stemmi ecclesiastici personali : Scaccabarozzi, Salimbeni, Conti, Cassina in Duomo, S.Lorenzo e S. Ambrogio. - Armi di di- gnità o di ufficio: arcivescovo Nazari di Calabiana, abate di S. Simpli- ciano, abbazia di Chiaravalle. vescovo di Novara. mons. Bonomelli e Comi. Alessandro Volta. - Aggiunta dell'arma della propria chiesa : abate e abbazia di S. Ambrogio. SAVELLI (A). - L'anno fatale per l'Italia (1866). Milano, ed. Fr. Vallardi, 1916. S°, pp. 284. Cfr. la rassegna bibliografica di C. Manfroni in Nuovo Archivio Ve- neto. XXXII. I, (1916), pp. 212-217. = BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 899 #*SCALA (ALESSANDRO). - Il sepolcro del cardinale Guglieimo Longo, bergamasco, : 7 1319). - Rivista Araldica, giugno, 1916. Cfr. i cenni critici in Boll. della Bibl. comunale di Bergamo, n. 3, I0l6, p. 149. ScHUPFER (FRANCESCO). - Il debito e la responsabilità : studio critico sulla | guadia langobarda. 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Le vicende della pittura lombarda vengono studiate in due capitoli, il primo dedicato all'arte preleonardesca, della quale fu massimo rappresentante Vincenzo Foppa: l'altro al rinnovamento dovuto a Leonardo e all'azione esercitata dai seguaci di lui. * VERGA (ETTORE). - Il comune di Milano e l’Arte della seta: dal secolo decimoquinto al decimottavo. (Estratto dall’Annuario Storico statistico del Comune di Milano, 1915). Milano, Stucchi - Ceretti, 1917, 8° pp. 59. © VerGa (Guipo). - La «travata doppia» e la «travata multipla » bramantesche (con 5 ill.). - Rassegna d’arte, agosto-settembre 1916. S. Satiro a Milano, S. Mazii di Canepanova a Pavia, S. Maria delle Grazie a Milano, chiostro di S. Abbondio a Cremona. VILLANI (CARLO). - Stelle femminili : dizionario bio-bibliografico. Appendice. Milano-Roma, Albrighi e Segati, 1916, 16°, pp. 302. Virgilio - Hirst (G.). - An attempt to date the composition of Aeneid VII. - The Classical Quarterly. - vol. X, fasc. 2. La composizione è anteriore a quella degli altri libri. Virgilio. - v. Bourne Bruunholtz, Cerini, Fairclough, Stampini. * Vissac (baron Marc de). - Le président Durono et son code, 1774-1776. - Mémoires de l’Académie de Vaucluse, 1916, I trimestre. La vice-legazione d'Avignone era allora stata trasformata in presidenza, e Angelo Magia Durini, arcivescovo d’Ancisa in partibus fu chiamato a quell’ufficio. Feste date in Avignone in onore del nuovo papa, Pio VI, nel febbraio 1775: corpo di regolamenti promulgato dal presidente e conosciuto sotto il nome di codice Durini: analisi di quel codice. Nel 1776, il Durini eletto cardinale, abbandonò Avignone. VitaLI (L.). - L’amor di patria nel Manzoni. - Rassegna nazionale, 16 aprile 1916. WEBER (A.). - Eine Erinnerung an den 23 august 1570. - Zuger Nachrichten. 1915, n.i 136 e 138. Visita di S. Carlo Borromeo a Zug, 23 VIII 1570. Arch. Stor. Lomb., Anno XLIII, Fasc. IV. 53 902 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Wirz (C.). - Regesten zur Schweizergeschichte aus den pipstlichen Archiven. Heft 5: Das Pontifikat Innocentius VIII, 1484-1492. 8°, Bern, Wyss, 1915. Diversi: di questi regesti degli archivi vaticani riflettono, come quelli aei fascicoli precedenti, il comasco. * WyMAann {d.r Ebuarp). - Das Schlachtjahrzeit von Uri. 8° all., Altdorf, Huber, 1916. II Wymann, archivista del canton d'Uri, passa in rassegna, in questo suo interessante lavoro, i differenti antichi necrologi delle chiese urane, che contengono i numerosi nomi degli Urani caduti nelle battaglie di Arbedo (1422), di Giornico (1478), nell'Ossola contro i Milanesi e nelle guerre mercenarie di Lombardia (Novara, Marignano, Bicocca, ‘on ritratto del landamano Giovanni Piintner, morto a Marignano) # WyMANN (EDUARD). - Zeugnisse iiber den Besuch des hl. Karl am Grabe des sel. Nikolaus von Flùe. - Der Geschichtsfreund, vol. LXXI. (1910). Attestazioni giurate intorno alla visita ai S. Carlo Borromeo alla tomba del beato Nicolao della Fliie (1570). * ZACCAGNINI (Guipo). Soffredi del Grazia e il suo Volgarizzamento dei Trattati morali d'Albertano da Brescia. - Bullettino storico Pistojese, a XVII, n. i. 2-3, 1916. *# Znno (avv. prof. MicHELE). Il diritto privato nei «Promessi Sposi». Estr. dalla Rassegna Nazionale, fascicoli 1. e 16 settembre e 1. ottobre 1916. Firenze, Rassegna Nazionale, 1916 8°, pp. 50. * ZONTA (GiusEPPE). - Francesco Negri l'Eretico e la sua tragedia« Il libero arbitrio». - Giornale storico della letteratura italiana fasc. 200-203. 1916. * Il libero arbitrio del bassanese Francesco Negri,, riparato in Valtellina, ed edita a Poschiavo nel 1546. Al Negri si deve anche il poemetto Rhaetia. i APPUNTI E NOTIZIE «è UNA DESCRIZIONE INESATTA DI UN CODICE MILANESE. — Nella descrizione dei codici francescani della biblioteca riccardiana pubblicata nell’ “ Archivium franciscanum historicum , dell’aprile 1909, a‘pag. 320, > dove si tratta del codice 396 si legge: “chart. mill. 265 190, ff. 108, “ praeter quattuor insiticia, duo scil. in principio et alia duo ad calcem, “ in quorum secundo, quod in initio codicis adest, legitur: Masifr/us € florum seu chronica mediolanensis presbiteri Beltrami de Gallarie ab “ ortu Mediolani usque ad annum 1371. Haec vero nonduni edita est. “ Bonvesinus fraler lertiî ordinis De magnalibus civitatis Mediolans. “ Fxstat pag. Lxxxxui a fergo leg. Tituli et initiales rubeis litteris scriptì et per totum lineis plenis; exaratus saec. XIV. “ In f. 93 rubr. “ Capitulum in quo ponitur cronica fratris Bonve- “ sini de magnalibus civitatis ,,. Inc. “ Anno domini 1288 sub dominio “ Mathei Vicecomitis, sedente Ottone fanensi, Rodulfo imperatore... “ Eodem anno quidam nomine Bombesinus frater tertii ordinis cronica “ de magnalibus civitatis Milani (sic) composuit cuius tenor talis est: “ accepit enim lignum longitudinis duorum pedum...,. In f. 94 v. in- “ venimus “ Est enim in civitate ipsa conventus fratrum predicatorum ; “ in quo sunt communiter fratres CXL; in conventu minorum C. ,. 4 Circa fratrem Bonvicinum sive Bombesinum cfr. Muratori, Antigr:- “« fates italicae, t. Il, col 1048-1049. Cronica edita inveniuntur apud Mu- “ ratori, Scriffores rerum italicarum, t. XI. col. 711-713 ». Da questa descrizione si dovrebbe rilevare che il codice 396 è del secolo XIV e comprende due opere distinte, il Manipulus florum o cronaca milanese di questo Beltramo da Gallarte e la cronaca di Bonvesin da Riva che sembra sia inserta nella prima. Il descrittore chiude col rimando al Muratori. Alle colonne 711-713 dell'XI tomo dei Peru si trova il magro estratto del De mragnalibus di Bonvesino dato dal Fiamma nel Mastpulus florum che occupa buona parte di quel volume. È come si fa a chiamar questa la Cronica Bonvesini? E che c'entra Beltramo da Gal. larte dato come autore dell’altra cronaca ? 904 APPUNTI E NOTIZIE Passando da Firenze ho voluto vedere questo codice misterioso. In uno dei due fogli “© insiticia ,, al principio, si legge appunto la descrizione, di mano moderna, riportata nell'Archivio francescano, la quale corrisponde a quella più ampia data dal bibliotecario D.r Luigi Rigoli nell'inventario manoscritto dei codici riccardiani, dove le due cronache sono pur indicate» distinte, e la prima è attribuita a Beltramo de Gallante (in entrambi i luoghi il nome è scritto così). Il descrittore francescano si è fidato troppo della noticina sul foglio “ insiticio ,. Se avesse sfogliato il volume, cominciante colle ben note parole: “ si autem fiscellam junco texerem ,, avrebbe veduto non trattarsi d’altro che del Manipulus di Galvano Fiamma e avrebbe pensato non essere il caso di citare a parte, come cosa a sè, la cronaca di Bonvesino per quel breve riassunto che tutti sanno esservi compreso. Invece pare si sia accontentato di aprirla alla indicata pagina 93 dove è il “ Capitulum in quo ponitur Chronica fratris Bonvesini de “ magnalibus civitatis y, per ricopiare le prime parole di questa pretesa cronaca; le quali per altro riporta assai male, giacchè non vi si legge: “ anno domini 1288, sub dominio Mathei Vicecomitis, sedente Ottone “ fanensi, Rodulfo Imperatore.... ,, bensi: “ Sedente Ottone, favente Ro- “ dulfo.... , come ha anche stampato il Muratori. Inoltre il descrittore francescano dà il codice come “ exaratus , nel secolo XIV; ma se avesse guardato l’ultimo foglio, vi avrebbe letto questa nota della mano medesima, la quale chiude il volume: “ Hu- “ cusque que per me presbiterum Beltramum de Ga//arate (e non Gal. larte nè Gallante) scripta sunt ad honorem dei et solatium venera- “ bilis viri domini Pagani de Capitaneis de Arsago sive de Bexoxero « Ecclesiae mediolanensis presbiteri ordinarii ac decumanorum archi- “ presbiteri: sunt completa anno domini MCCCCXIII, XIII Martii, in “ mane ,,. C'e dunque la data del codice, coll’ anno 1413, col giorno e con l’ora, e quanto basta per capire che Beltramo da Rallabate non è altro che l'amanuense. Valeva la pena di questa piccola rettifica giacchè il codice riccardiano 396, prima che l’Archivium franciscanum lo segnalasse, era. se non erro, ignorato, e neppure il Potthast pare lo abbia veduto. E. VERGA. “ *, LA CAPPELLANIA DUCALE DI S. MARIA DELLA FLORANA IN S. Nazzaro Maggiore. — Florana! Chi era costei? Questa domanda che don Abbondio si rivolgeva allorchè nelle sue serali letture s’imbatteva nel nome del filosofo Carneade ci ripetevamo noi pure, ben più a ragione, davanti al nome di Floriana o Florana Spata, a suffragio della cui anima Bernabò Visconti istituiva una cappellania nella chiesa di S. Nazzaro Maggiore in Milano, come ci avverte il Giulini nella sua Raccolta di noligie intorno a chiese, a monasteri e ad altri benefici ecclesiastici nello Stato di Milano fondati o ristorati dai sovrani del medesimo recente— APPUNTI E NOTIZIE 905 mente venuta in luce in occasione della ricorrenza del bicentenario della nascita dell’istoriografo milanese (1). Il nome gentile di donna associato a quello del feroce Bernabò ci ha spinto a fare qualche indagine, non del tutto sfortunata, per penetrare il mistero, che avvolge la fondazione della cappellania sopra ricordata, delle cui vicende non è senza interesse il dire pure qualche cosa di più di quanto fino ad ora si è saputo în argomento, Il 10 dicembre 1370 col ministero del notaio e cancelliere ducale Galeazzo Cattaneo o De Capitani da Vimercate, Bernabò Visconti, signore di Milano, fondava due cappellanie' nell’oratorio di S. Bernardo presso la chiesa di S. Maria del Monte sopra Varese e nel giorno stesso ne istituiva altra in S. Nazzaro in Brolio in Milano all’altare della B. Vergine dotandola di beni in Monterobio e Bustighera presso Melegnano, investendo della medesima il prete Simone da Giussano ed ingiungendo al cappellano di provvedere, unitamente al capitolo della basilica, ad un ufficio funebre in suffragio dellanima della fu Florana, figlia del fu Vitale Spata, vicina all’altare della beata Vergine “ honorifice sepulta seu tumulata ,, nel giorno anniversario “obitus eius “ qui fuit die septimo juni huius anni currentis millesimi tercentesimi “ septuagesimi ,, e di celebrare, pure ogni anno la festa della Natività dell® B. Vergine Maria (2). Chi era mai questa Florana tanto onorevolmente sepolta nella basilica de’ SS. Apostoli, per la cui memoria Bernabò Visconti dava novella prova di quella pia munificenza, che faceva davvero contrasto coll’indole sua prepotente e crudele, col suo tenore di vita tanto scorretto? Nessuno degli autori, che in qualche modo accennarono all’ avvenimento, ce lo dice; neppure il Giulini, che solitamente non trascura anche ì minuti particolari. Si sarebbe indotti a credere che Florana Spata fosse altra delle amiche meno note del terribile signore milanese. Ogni dubbio in argomento ci viene anzi tolto da una notizia da noi scovata in uno de’ manoscritti dell’archivista ed ordinario della Metropolitana Francesco Castelli (3), ora custoditi nella biblioteca Ambrosiana. I codici del Castelli sono particolarmente interessanti per le notizie ecclesiastiche dell'epoca di S. Carlo; uno di essi dal titolo (1) Nel secondo centenario della nascita del conte Giorgio Giulini istoriografo milanese, Milano, 1916, v. I, p. 317. Il Giulini ne aveva già fatto cenno nelle sue Memorie, cont., to. II, p. 210 prendendo la notizia dal Libro Economale, p. 164 e sg., di Agostino Bassanini, soprintendente de’ Regi luspatronati presso il R. Economato. (2) Arcuivio peLL' OsfepaLe Maggiore DI MiLano, documerti Viscontei ; BisLioTEca AMBROSIANA, MS., D. S. V. 3, v. 25 e N. A. 112 inf.; ASM, Culto, p. ant., Chiese, Milano, S. .Vazzaro, busta 1143 e Fondo di religione p. ant., Capitoli, Milano, S. Nazzaro, busta 425; REPERTORIO Viscoxtro, v. I, 195. (3) Cfr. quest'Archivio, 1901, p. 7 € 1916, p. 557 non che ARGELLATI, Biblioth. Script. Mediol., to. I, 242-44. 906 APPUNTI E NOTIZIE Compendium vitae principum et ducum Mediolani (1) fu compilato, come dice l’autore, con notizie desunte “ ex scripturis secretariorum duca- “ lium.... et ex archivio Castri Portae Juvis ,. E° in questa operetta che si parla diffusamente della numerosa figlinolanza di Bernabò ed anche di Florana Spata, bellissima giovinetta spoletina da lui molto amata e che non gli diede figli, la quale, col consenso dello stesso Bernabò, si ritrasse dalla via del peccato e condusse vita di penitenza elargendo molte elemosine ai poveri e che egli, desolato per la morte sua immatura, volle degnamente commemorare fondando la cappellania in San Nazzaro e compiendo così una di quelle opere buone, che gli avranno propiziato la divina misericordia pur in mezzo a tanti e così gravi disordini. Ecco quanto dice il Castelli (2): “ De Florana amasia Barnabovis et capella ab ea dotata. Praeterea “ tacendum non est quod praedictus D. Barnabos tx Spoleto Mediol. conduxit iuvenculam speciosissimam quae nominabatur Florana filia Vitalis Spatae multum ab eo adamata et cui infinita dona et monilia “ donaverat et maxime etiam multa praedia situata Bustigere Dioc. “ Mediol. ex qua nullos habuit filios: tandem etiam de conse nsu Bar- “ nabovis retraxit se a peccatis vitam honestissimam perseverando et “ pauperibus personis ultra vietum et vestitum omnia largiendo et moriens dotavit h>noratam capellam in ecclesia S. Nazarii in brolio in qua quotidie missa cellebratur cum honestissimis et ditioribus redditibus et in qua Capella in mausoleo marmoreo cum sua inscriptione iacet et talis capella est principum Mediol. pro tempore collatione ,. IU Torre(3), parlando dei ristauri eseguiti in S. Nazzaro per opera di S. Carlo Borrumeu (4), dice che questi fece chiudere le due porte “ che si ritrovavano ne’ bracci della Croce mutandole in due cappelle, * una dedicata alla Vergine Madre chiamata Fiorana e l’altra al mi- “ trato Sant’ Ulderico ,. Ed il Lattuada (5), discorrendo deli’edicola della B. Vergine posta nel braccio destro della chiesa, aggiunge: « Od in “ questo sito o poco discosta vi aveva prima un'antica immagine della “ stessa Beatissima Vergine esposta sopra un altare, a culto del quale “ Bernabò Visconti fondò e dotò una cappellania ducale sotto il titolo (1) N. 295 a. E’ un codice cartaceo, di piccolo formato, di 64 fogli, portante la data del 1575. (2) Al f, 15. (3) Il ritratto di Milano, Milano, 1714, 'p. 27-28. (4) Negli atti della visita pastorale eseguita da S. Carlo il 14 febbraio 1581 sono contenute le prescrizioni relative all’altare « Sanctae Mariae noncupatum de « Florana ». Cfr. ASM, Fondo di religione, p. ant., Capitoli, S. Nazzaro, busta 425. (5) Descrizione di Milano, Milano, 1737, to. II, p. 310-11. APPUNTI E NOTIZIE 907 “ di Santa Maria della Floriana, co ne si ricava da un istrumento, ro* “ gato da Galeazzo Cattaneo Notaio di Milano e veduto da un amico “ assai versato nelle antichità della Patria, che a noi comunicò gentil- “ mente tale notizia ,, (1). Caduta la dinastia sforzesca, il diritto di nomina del cappellano ducale fu costantemente esercitato dai re di Spagna: nell’atto (2), col quale Filippo IV nel 1657 chiamava don Paolo Sfondrati a coprire la predetta cappellania, quesvultima è detta “ sub “* invocatione Sanctae Florianae ,, con denominazione così inesatta, che dimostra come ormai fosse del tutto svanita la memoria della penitente favorita di Bernabò, cosi da foggiarne addirittura una santa (3). Da una notifica delle pie fondazioni esistenti nella chiesa collegiata di S. Nazzaro (4) risulta nel 1787 investito della cappellauia ducale mons. Daverio (5), che era stato eletto venti anni prima da Maria Teresa nella qualità di Regio Economo, essendo stato il beneficio di S. Maria della Florana assegnato a lui ed ai successori suoi affinchè potessero “ sostenere con decoro una tal carica e far fronte alle spese ine- “ renti ,, (6) Anche attualmente, crediamo, i beni dell’ antica cappellania ducale formano parte della dotazione dell’ Economato Generale. ALESSANDRO GIULINI, ee UN ALTRO FRAMMENTO DI COPIARIO DI CATELANO DE CRISTIANI. — In appendice ai Aegisiri viscontei (p. 124-8) pubblicai la descrizione, fatta al tempo di Francesco Sfurza, di tre copiari oggi perduti del notaio Catelano de Christianis dei quali il piimo conteneva atti del 1387, 88 e 90, il secondo del 1400, l'ultimo del 1422, 23, 24 e 23. Di più, nella prefazione agli stessi Registri (p. xxxvI) diedi notizia di un foglio membranaceo appartenuto ad altro copiario egualmente perduto dello stesso notaio riferibile all'anno 1401 o 1402. Ora, poichè nei lavori di assestamento che si compiono incessantemente nel nostro Archivio di Stato (1) Già nella Notitia Cleri Mediolanensis del 1398, di cui in quest'Archivio, 1900, fasc. 3, p. 20, è fatta menzione di una cappella di S. M°ria « que appel- « latur capella de.la Florana ». (2) ASM, Culto, p. ant, Chiese, Milano, Capitoli, S. Nazzaro, busta 1143. (3) Questa denominazione si ripete nella Tabella Sacrificiorum in Insigni Basilica S. Nazarii perpetuis temporibus celebrandorum anno 167; exposita in ASM, Fonde di Religione, p. ant., Capitoli, Milamo, S. Nazzaro, busta 425. Per notizie intorno all'argomento cfr. pure GuaLno Priorato, Relazione della città e stato di Milano, Milano, 1666, p. 139. (4) ASM, Fondo di Religione, p. mod., Capitoli, Milano, S. Nega busta 450. (5) Michele Francesco Daverio, tenuto in gran conto da Giuseppe II. Cfr. Famiglie notabili milanesi, Milano, 1875, fam. Daverio, tav. Il (6) Ivi, Culto, chiese, comuni, Milano, S. Nazzaro Maggiore, privilegi e legati 1802-1833, busta 1590. 908 APPUNTI E NOTIZIE è venuto in luce un altro foglio membranaceo appartenuto al copiario del 1400, penso valga la pena di dirne due parole per aggiungere un muovo, sebbene modesto, contributo alla conoscenza dell’attività di questo notaio, cancelliere e scriba fra ì più attivi dei duchi Gian Galeazzo e Filippo Maria Visconti. Il foglio, le cui carte furono divise l'una dali’alira con la forbice, misura cm. 37 per 25,5 ed è perciò di formato identico a quello degli altri copiari dello stesso notaio ; presenta alcune leggere macchie di umidità che però non offendono la lettura; l’angolo inferiore sinistro fu in entrambe le carte smussato pure con la forbice; nell'angolo superiore destro del recfo delle rispettive carte sono i numeri LXn1J e Lxv. La prima di esse carte comincia con le parole “ dugalle paludum de “ Gree , e termina con “ de quibus contractibus ,,, recando in fondo alla pagina le /ilferae reclamantes “ videlicet ,. A c. 63 recto e verso e fin oltre la metà delia c. 66 recfo si contiene l’ultima parte dell’atto che nella citata ,descrizione sforzesca è indicato col titolo “ Permutatio d. “ Jacobi de Verme cum d. nostro facta , e che cominciava a f. 60; in calce a c. 66 recto e sul verso della carta stessa v’ha il principio dell'atto indicato nella detta descrizione col titolo “ Traditio et ratificatio “ dominii civitatis et comitatus Perusii ,. Il frammento pervenutoci del primo atto reca parte dell’elencazione dei beni in territorio di Sanguinetto nel Veronese che Jacopo dal Verme cedeva al duca in cambio di beni che per essere contenuti nella prima parte dell’atto non sappiamo quali fossero. La permuta fa fatta dal duca a mezzo del suo procuratore Francesco de Barbavariis e “ presentibus viris Prevedino de Marliano, Jacobino de Mantegatiis. “ civibus Mediolanensibus magistris curie domini Gabrielis et Garono “ de Lampugnano filio domni Leonardi ,. Ne fu rogato Catelano de Chistianis “ scriba illustrissimi principis d. ducis Mediolani ,. Fu scritta sul registro da “ Rolandinus de Tologno publicus papiensis imperialique “ auctorictate notarius ,. La data precisa dell’atto non si conosce perchè era in principio nella parte perduta. Non si conosce la data neppure del secondo atto il quale viceversa l'aveva in fondo. Questo, politicamente, è assai più importante dell’altro.. Premessa una diffusa invocazione alla SS. Trinità, alla Vergine, ai SS. Lorenzo, Ercolano e Costanzo protettori di Perugia, nonchè a S. Ambrogio protettore di Milano, si rende noto che gli ambasciatori del comune di Perugia, costituiti in presenza del duca di Milano, essendo a conoscenza della traslazione del dominio della città di Perugia “ eiusque “ comitatus, fortie et districtus necnon terrarum, castrorum, fortilitiorum, “ artium, bastitarum et locorum quorumcunque dicte civitati Perusii “ quomodolibet spectatium , nelle mani del duca, o meglio nelle mani del procuratore ducale Pietro de Seruvignis, avvenuta il 20 gennaio di quell’anno da parte del procuratore del comune di Perugia col consenso dei signori priori e camerarii delle arti deila città, ratificano detta traslazione. Di quest’ atto, come dell'altro che nel registro seguiva - APPUNTI E NOTIZIE 909 subito dopo a. c. 67 e che portava il titolo “ Declaratio facta per Pe- “ trum de Serovignis de translatione dominii civitatis Perusii ,, non è cenno nè nelle cronache del Montemarte (Torino, 1846, vol. I, p. 98) e del Graziani (Arch. Stor. It, tom. XVI, parte I, p. 274), nè nella Storia di Perugia del Bonazzi (vol. I, p. 535), i quali tutti si limitano a narrare la spontanea dedizione della città al Visconti decisa il giorno di lunedì 19 gennaio 14co nell'adunanza generale dei Raspanti e del popolo e l’occupazione da parte delle genti del duca avvennta il giorno dopo. C. MANARESI. ee PER LA BIOGRAFIA DI Vincenzo Lancerti. — Nel fascicolo |-II, go giugno I916, di questo Archivio, Angelo Ottolini ha pubblicato alcune pregevoli Mose per la biografia di Vincenzo Lancetti (1). Non occorre dimostrare quanto sia da incoraggiare il proposito di questa e di altre biografie degli uomini più rappresentativi, se non dei maggiori, dell’Italia nostra, nel periodo napoleonico; e come siffatte ricerche siano indispensabili a bene intendere tutto il largo movimento di idee che allora precedette accompagnò e seguì le armi francesi. Forse nessun'altra età maggiormente richiede di essere pensata e studiata a traverso le vicende e gli scritti degli uomini che hanno vissuta, tanto nuovi ed impensati erano i casi, e tanto gravi i “ perturbamenti delle opinioni ,,. È per questa ragione che, lodato il proposito dell’Ottolini, mi sembra opportuno, a complemento delle notizie date da lui, e delle altre già prima raccolte dal Manacorda, di far qui ricordo del Lancetti come di uno fra i cinquantasette partecipanti al famoso concorso indetto il 27 settembre 1796 dall’Amministrazione Generale della Lombardia sul tema: “ Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità d’Italia ,. Di questo concorso, delle sue vicende e de’ suoi risultati, io ho discorso ampiamente nel mio libro su gli “ Albori costituzionali d’Italia ,, (2); e appunto là ho ricordato come il Lancetti partecipasse alla gara, sulla testimonianza fornitami dalla cortesia dell'amico archivista Giussani, e tratta dal Cafalogo di vendita della collezione del fu cav. Damiano Muoni, Milano, 1902, dove al n. 1060 si trova elencato: Lancetti VincENZO, Del governo libero più conventente alla felicità d’Italia (3). Nel “ Catalogo , l’opera è indicata come manoscritta. Le ricerche, necessariamente sommarie, da me istituite in Milano, non mi hanno consentito di rintracciarla. Ma io avrei ben voluto, e vorrei, che questo (1) Serie V, anno XLIII, fasc. I-II, pp. 163-184. (2) Torino, Bocca, -1913. — Al « famoso concorso » ho dedicato tutto il cap. VIII, pp. 383-463, pubblicando anche, nel $ 3 (Appendice), il sunto delle 30 dissertazioni che mi fu dato di riunire.. (3) Miei Albori cit., p. 394, n. 3. 910 APPUNTI E NOTIZIE si fosse fatto dall'Ottolini, o da altri a cui le particolari aderenze o la ragione della sede rendessero più facile il compito. Queste linee anzi, oltre la figura del Lancetti, desiderano contenere un invito agli amici lombardi, perchè tengano presente il concorso sopra accennato, e curino provvedere al ricupero, come di questa del Cremonese, così di quante altre dissertazioni possibili, a complemento delle trenta che a me fu dato di riunire. Poichè io penso veramente che fonte migliore e maggiore non possa darsi per la conoscenza del pensiero dei nostri “ politici , in quell’ anno 1796, che vide i primi albori della nuova vita costituzionale d’Italia. Ciascuno ritorna volentieri ai suoi amori più cari. Sia perdonato a me se insisto sopra un tema che ho coltivato con amore grandissi- .,mo, e intorno al quale vorrei vedere sempre vivo l’interesse degli studiosi. Sopratutto preme la raccolta del materiale, e l’indicazione di quello che è presso i privati. Ciascuno vi intenda con lena. La messe, assai ricca, è tale da compensare le fatiche di tutti e da dare piena luce così alla storia delle nostre istituzioni, come alle numerose figure che nelle Aniministrazioni generali, nelle Municipalità, nei Congressi, nelle due Camere, e in ogni forma di pubblica attività, intesero alla risoluzione del problema politico del nostro paese.’ SiLvio Pivano. s'e Tra. i nuovi manoscritti acquistati dalla biblioteca Nazionale di Firenze due vanno quì annotati. Ill primo, il codice settecentesco dei Viaggi di Giovanni Battista Ottobon, fra i quali figura il “ viaggio a “ Milano per vedere l’intrata et funtioni fatte per l’Imperatrice che an- “dava a Vienna.... l’anno 1666 ,. Il secondo codice, membranaceo del sec. XV, è miscellaneo: /tosaio della vita, Distici di Catone, Peregrinasioni di Terra Santa'ecc. Contiene anche un Elogio della famiglia Visconti di Milano, in latino, adespoto anepigrafico (c. 45*-47%), l'Epilaphium, ben noto, dell’arcivescovo Giovanni Visconti (47d-482), l'£pisfola di S. Ambrogio “ O dilecte fili, dilige lacrimas , (72-73) ed un ricordo della leggenda relativa alla fondazione di Milano (80*). Nel margine inferiore dell’ultima carta di mano cinquecentesca si legge il nome di un possessore: “ Est Basilii de Ferrarii civis Mediolanensis , (?) [Bo//ettino delle pubblicazioni italiane ecc. settembre e dicembre 1916]. e°, ll giorno 3 dicembre s. venne inaugurato al R. Archivio di Stato di Milano, il corso di paleografia, diplomatica e archivistica colla interessante prolusione del prof. Giovanni Vittani sul tema Za formazione dell'archivista. x «°, La Pontificia Accademia Iomana di Archeologia, della quale è presidente l’egregio nostro consocio dott. Bartolomeo Nogara, ha aperto il concorso per l’anno 1918 ad un premio di lire 2000 ital. per il miglior APPUNTI E NOTIZIE QII lavoro che sarà presentato intorno all’uno o all’altro dei due temi seguenti: 1° // Gianicolo dalle origini a tutto il medio-evo, 2° Le iscrizioni dei secoli VII-VIII dell’èra volgare in Italia storicamente e paleograficamente studiate. Potranno concorrere gli studiosi di qualunque nazione, eccettuati i soli soci dell’Accademia. Le memorie dovranno essere originali, inedite e non presentate in altri concorsi accademici, Potranno ‘essere scritte in lingua latina o italiana, o in altra delle principali e più diffuse lingue europee; e dovranno essere consegnate non più tardi del dicembre dell’anno 1918, al segretario dell’Accademia prof. Orazio Marucchi (Roma, S. Maria in Via 7a). OPERE pervenute alla Biblioteca Sociale nel IV trimestre del 1916 Annuario Storico statistico del Comune di Milano 1915. Milano, tip. Stucchi-Ceretti, 1917 (d. d. Municipio di Milano). ATTI DELL'ACCADEMIA FISIO-MEDICO-STATISTICA DI MiLano. Anni accademici 1868-1869-1870-1872. Milano, tip. Bernardoni (d. «d. s. Vergani). Benassi UMBERTO, Guglielmo du Tillot. Un miinistro riformatore del secolo AVIII. Fascicolo II. Parma, 1916, R. Deputazione di Storia Patria (d. d. A.). — Catalogo dell’Esposisione di Cartografia parmigiana e piacentina nel salone della Palatina. Parma, tip. Adorni Ugolotti, 1907 (d. d. R. Biblioteca Palatina di Parma). BoseLLI ANTONIO, // carteggio bodoniano della “ Palatina di Parvia ,. Parma, tip. Federale, 1913 (d. d. R. Biblioteca Palatina di Parma). Bustico Guipo, Spigolando da vecchie carte e giornali. Genova, tip. Carlini, 1616. — Il contrabbando del sale a Venezia nel ’;00. Genova, tip. Carlini, 1916 (d. d. A.) — Il lago di Garaa nella foesia del 700. Roma, tip. dell' Unione Editrice, 1916 (d. d. A.). — Lettere inedite di Daniello Bartoli a Leonardo Comuinelli. Genova, tip. Carlini, 1916 (d. d. A.). — Antonio Butiura. Venezia, tip. Ferrari, 1916 (d. d. A.). — Una condanna a Venezia per tradimento durante la guerra di Candia. Domodossola, tip. Ossolana, 1915 (d. d. A.). — Di un viaggio al Messico nell’anno 1768. Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1917 (d. d. A.). CALDERINI ARISTIDE, Imagini ed echi della morte nella civiltà greca di Alessandria. Milano, 1916, tip. Figli della Provvidenza (d. d. s. A). — Leltere private dell'Egitto greco-romano. Prolusione ai corsi della scuola papirologica per l’anno 1915-16. Milano, Scuola tipo-litografica Figli della Provvidenza, 1915 (d. d. s. A.). OPERE PERVENUTE ALLA BIBLIUTECA SOCIAI.E 913 CaLvi p. C. Antonius. Oralro in qua ostenditur, homint, ut hominis vitan in terris vivat solo rationis lumuine hand satis provisuni esse. Mediolani, Galeazzi, 1770 (d. d. s. Motta). Caurvi GeRoLAMO, /7/ Codice di Leonardo da Vinci della Biblioteca di Lord Leicester in Holkam Hall. Milano, Cogliati 1909 (d. d. s. A.) Catalogo della Mosira Bodoniana. Parma, tip. Federale, 1916 (d. d. 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Ed. “ Brixia Sacra , (d. d. s. A.) 9I4 ‘. OPERE PERVENUTE ALLA BIBLIOTECA SOCIALE # LarFRancHi Lopovico, Gli atti di Sesto Pompeo coniati in Sicilia. Napoli, 1916, tip. Melfi Joele (d. d. A.). La Mantia Giuseppe, Su i più antichi capitoli della città di Palermo dal secolo XII al XIV e su le condisioni della città medesima negli anni 1354 a 1392. Palermo, 1916, tip. Boccne del povero (d. d. A.) Libro d'oro della nobiltà italiana. (1910) Roma, Societa Editrice Laziale (d. d. s. Santa Maria). LocateLLI sac. CarLo, “ I fegoli di Casale , Pensieri e criteri manzoniani intorno alla guerra. Monza, Sc. tip. Editrice Artigianelli, 1916. (d. d. s. A). “ LoncHENa Mario, Al/anti e carte nautiche del secolo XIV al X VII conservati nella Biblioteca e nell'Archivio di Parma. Parma, tip. Zerbini, 1907 (d. d. R. Biblioteca Palatina di Parma). Mopona LroneLLo, Topografia della Reale Biblioteca di Parma. Parma, tip. Ferrari e Pellegrini, 1894 (d. d. R. Biblioteca Palatina di Parma). 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Biblioteca Palatina di Parma). Rezzonico Anronio, Gli stabilimenti industriali in Brianza. Milano, tip. Rechiedei, 1872 (d. d. s. Vergani). Ricci Corrapo, Davide Calandra scultore. Con prefasione di Oreste Mattirolo. Milano, Alfieri e Lacroix, 1916 (d. d. Società Piemontese di archeologia e belle arti). Rivari EnRIco, Un feslamento inedito del Cardano. Bologna, tip. Azzoguidi, 1916 (d. d. A). — OPERE PERVENUTE ALLA BIBLIOTECA SOCIALE 915 Rossi PROF. Luigi, Gli Eustachi di Pavia e la flotta viscontea e sforzesca nel secolo XV. Parte I. Pavia, succ. Fusi, 1915 (d. d. A). Rota CarLo Massimo, Nofa corografica su alcuni nonti medioevali della Lombardia terminanti in aco ed ago: Antellaco, Gossenago, Lover. naco. Brescia, tip. Commerciale, 1916 (d. d. A.). Società CabaABRESE DI SToRIA PATRIA. TAX Sellembre. Reggio Calabria, tip. del “ Corriere di Calabria ,,, 1916 (d. d. Società Calabrese di Storia Patria). SoRBELLI ALBANO, Olindo Guerrini. Il critico e l’eruadito. Roma, 1916 tip. 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Remigio Sasgapini. Come il Panormita diventò poeta aulico. Pag. 5 Atessanpro Giutini. Di alcuni figli meno noti di Francesco I Sforza duca di Milano . ; ; i ) ; DL 29 Rinarvo Beretta. Gian Giacomo de’ Medici in Brianza (1527- 1531). : : ; È 7 ; i ì > 53 Marco MacisrretTti, * Liber Seminarii Mediolanensis ,, . + 12I, 509 AnceLo OTttoLINI. Note per una biografia di Vincenzo Lan- , cetti . : : ; ì 5 3 ; ; - n 163 e. Uco MonxereT DE ViLLarp. Î dati storici relativi- ai musaici pavimentali cristiani di Lombardia . : ; ; - n 34I Pro PeccHial. Cristoforo Della Strada e un episodio delle lotte guelfo-ghibelline in Milano durante il dominio del duca Giovanni Maria Visconti . . 4 } î i. Me -893 GeroLaMmo CaLvi. Contributi alla biografia di Leonardo da Vinci (periodo sforzesco) . 1 ; è » 417 Guino ERRANTE. Il processo per l'annullamento del matrimonio tra Vincenzo Il duca di Mantova e donna Isabella Gonzaga di Novellara (1616-1627) ; : i ‘ - n 645 Enrico FiLipPini. Il padre don Pietro Canneti e la sua dissertazione frezziana è 65 VARIETA», $ Francesco Novati. Due lettere del cardinale di Pietramala a Gian Galeazzo Visconti (1390-91) - » 185 GeRroLAaMo Biscaro. I paramenti e gli arazzi donati dall’arcivescovo Stefano Nardini alla Metropolitana di Milano m I9I INDICE 917 ALessanpro Visconti. Don Paolo della Silva consultore di Governo e storico del diritto: . . . . . . Pag. 199 Orazio PremoLi. Paolo Frisi a Bologna nel 1761 . . . , 53 Cesare ManarzEsi. Un appello contro sentenza dei consoli di Milano al tempo di Ottone IV . i 5 ; : - n 562 Giovanni BocneTtTI. La cronaca di un collega dell'Azzeccagarbugli . ; . : i ; : . : . . » 579 Caro SaLvioni. Lettere inedite di Carlo Porta a Camilla Prevosti e a Tommaso Grossi . è 5 ; 5 ; .- » 585 ALessanpro Giucini. Una pia fondazione prediletta da Bonvesin da Riva . . î A 4 i > ; - n 8a Orazio PremoLI. Appunti su Lorenzo Binaghi architetto —. , 831 | BIBLIOGRAFIA. Giovanni SEREGNI. — Guido Mengossi, Il comune rurale del territorio lombardo-tosco . ; j . : ; °- n 224 ALessanpro Giulini. — £ffore Verga, I consigli del Comune di Milano. a ; î ; i ; 3 ; i + n 226 RinaLpo BERETTA. — Cesare Manaqressi, I Registri Viscontei. , 232 A.C.— N. Ferorelli, Gli ebrei nell'Italia meridionale dall'età romana al secolo XVIII ; ; i i ‘& i - » 234 A. G. — P. Galloni, Sacro Monte di Varallo .. . + 236. Arturo Frova. — Alberto Serafini, Girolamo da Carpi pittore'e architetto ferrarese . è cd 0 db - » 237 R. BERETTA. — A. Codassi, Contributi alla storia della Cartografia d’Italia. . n e “ é - +.» 24 G. B. — Luigi Rava, Il primo Parlamento Elettivo in Italia. , 243 GeRroLAMO Biscaro. — tefro Torelli, Studi e ricerche di diplomatica comunale : : ? ; j ; : - n» 600 Giovanni SEREGNI. — £. Verga, La Camera dei Mercanti di Milano nei secoli passati . . . +... +» 619 RinaLpo BERETTA. — Romolo Putelli, Intorno al castello di Breno . i ; i i i i ; i . » 623 Arch. Stor. Lomb.. Anno XLIII, Fasc. IV. 59 918 INDICE B. SANVISENTI. — Leo Wiener, Commentary to the Germanic laws and mediaeval documents . . C. VoLPATI. — Dott. Cesare Staurenghi, L’Ospedale maggiore di Milano e i suoi antichi sepolcri, particolarmente il “ Foppone , ora detto la “ Rotonda , Uco Bassani. — Arrigo Solmi, Le dai n° antiche del Co-_ mune di Piacenza . C. Manaresi — fo Pecchiai, Gli archivi degli antichi ospedali milanesi AcHiLLE Giussani. — Luigi Rossi, Gli Eustachi di Pavia e la flotta viscontea e sforzesca nel sec. XV U. M. V. — Camille Enlart, Manuel d’archéologie frangaise depuis les temps mérovingiens jusau’à la Renaissance . ErtorE VERGA. — Annuario del regio Archivio di Stato in Milano, per l’anno 1916. G. — P. Bussetti, Il palazzo biturrito dei conti Balbiani e le mura di Chiavenna Bollettino di Bibliografia storica lombarda (gennaio-dicembre 1916) . i i é ; è : 7 i . APPUNTI E NOTIZIE. Appunti: Musei ed Archivi del Castello. — Monaco di Villa, milanese. — Ruggerino da Milano. — Per la biografia di Bartolomeo Colleoni (A. GiuLini). — Il tipografo parmense Annibale Fossio allievo del Valdarfer (E. M.),. — Castellani di Carimate. — Arazzi di Gastone di Foix ? (E. M.). — Per la battaglia di Marignano (E. M.). — I Confalonieri orefici nel ’500. — Attestato di morte del padre Onofrio Branda. — Notisie: Bonizone da Sutri e il prof. Novati. — Bartolino da Novara. — Baldassare da Vigevano, miniatore. — Artisti lombardi a Genova. — “ La Letteraria e Amici dei Monumenti ,. — Conferenze storiche. — Nuovi manoscritti lombardi alla Nazionale di Parigi. — Manoscritti in vendita. — Manoscritti di Pietro Tamburini*— Carlo Gonzaga, duca di Nevers. — La villa Castelbarco a Loppio. — Istria e Dalmazia. — I carteggi della guerra all’Archivio di Stato di Brescia . Pag. 625 » 847 » 858 » 862 n 863 » 872 » 873 » 874 246, 875 » 266 INDICE 919 Appunti: La “ legenda , di S. Eligio in Lombardia (U. MonNERET DE VILLARD). — Un benefattore di Erba nel secolo XIV (R. BeRETTA). — Alcune terre della pieve d’ Incino infeudate agli arcivescovi di Milano (R. BERETTA). — La pubblicazione dei documenti diplomatici di Luigi Osio (E. Verga). — Notisie: Onoranze a Giorgio Giulini, — La Congiura per sottomettere Bologna al conte di Virtù. — Dono d’un nuovo ms. alla nostra biblioteca. — Il r. Archivio di Stato di Brescia . > 3 A “a . Pag. 628 Appunti: Una descrizione inesatta di un codice milanese (E. Verga). — La cappellania ducale di S. Maria della Flo - rana in S. Nazzaro Maggiore (ALessanpro Giuni). — Un altro frammento di copiario di Catelano de Cristiani (C. Manargsi). — Per la biografia di Vincenzo Lancetti (SiLvio Pivano). — Notizie: Nuovi manoscritti Lombardi nella Nazionale di Firenze. — Scuola di paleografia. — Concorso a premî ATTI DELLA SOCIETA’ STORICA LOMBARDA. 6 Adunanze generali ordinarie dei giorni 20 giugno 1915, 13 febbraio (commemorazione del Presidente prof. Francesco Novati), 19 marzo e 7 maggio 1916 . ; . 288, 289, 300, 312 Statuto della Società Storica Lombarda » 316 Elenco dei Soci della Società Storica Lombarda (giugno 1916) , 321 Opere pervenute alla Biblioteca sociale nel 1916 . »- 333, 643, 912 =_————1214"TTTzT:---—= ei ° : 7 ] talia . (1) . . . LÌ . pel i ì Ù er | Estero . ° O . » » 25 Fr.zz0 dei fascicoli separati, se disponibili . » 5 — QAANMARIO. x MEMORIE. x» UGO MONNERET DE VILLARD. I dati storici , sttani iani di Lombardia tivi ai musaici pavimentali cri- i . l . Pag. 34I PIO PECCHIAT. Cristoforo Della Strada e un episodio deli cà guelfo-ghibelline in Milano durante il dominio del duca Giovanni Maria Visconti, i » 393 GEROLAMO CALVI, Contributi alla biografia di l.conardo da Vinci seriodo sforzesco) «417 MARCO MAGISTRETTI. « Liber Seminarii Mediolanensis » (cont. e fin., ù 509 VARIETÀ. CESARE Olione MANARESI. lin appello contro sentenza dei consoli di Milano al temp. gi IV . . : ; ; . i : 7 ” » 552 GIOVANNI BOGNETTI. La cronaca di un collega dell’Azzeccagarbugli . 579 CARLO Grossi SALVIONI. Lettere inedite di Carlo Porta a Camilla Prevosti €:a Tommaso . . : . . 58 BIBLIOGRAFIA . ; : ; ; . i ? . . ° 600 Si parla di: Pietro Torelli. — Ettore Verga. — Romolo Putelli. — Leo Wiener. APPUNTI E NOTIZIE . tg ». 628 Appunti: benefattore La « legenda « di S. Eligio in Lombardia (U. MoNNERET DE ViLLarDp). — Un di Erba nel secolo XIV (R. BerErtA). — Alcune terre della pieve d’In. cino infeudate agli arcivescovi di Milano (R. BERETTA). — La pubblicazione dei do- cumenti diplomatici di Luigi Osio {FtTORE VERGA). Notizie: Onoranze a Giorgio Giulini. — La Congiura per sottomettere Bologna al conte di Virti. — Dono d'un nuovo ms. alla nostra Biblioteca, — Il R. Archivio di Stato di Brescia, Opere pervenute alla Biblioteca Sociale :nel I semestre del 1916 . 64: Mirano TORINO Roma FRATELLI BOCCA, Editori % n ————+& ai pi Mirano (27. Corso Vittorio Emanuele). Nuove pubblicazioni: VIRGINIO GAYDA - VIRGINIO GAYDA L'Italia tolte confine) di AUSTRIA Francesco Giuseppe (Le provincie italiane d'Austria) | crecrisiaiun impero) | Un vol. in-16......... L.& | Un vol. in-16. ......L.6 Nella stessa Collezione “ La Civiltà Contemporanea ,, sono in vendita: Borcese G. A., Za Nuova Germania, vol. in-16. . .L. 5. Zaccagnini G., La Vita a Costantinopoli, vol. im-16 yo 4 Scamitz O., Za Società Ron osservata da un tedesco, voli in 16 i Der MATER A., Za politica So li Repubblica: Deda cese, vol. in-16 . » 3-50 Caupa E., /l Commercio dell amore nel Giappone, vol.in-16 » 95 A I germi della decadenza nipponica, vol. in-16 , 3.— CASTELLINI G., Tunisi e Tripoli, vol. in-16 . i» 950 MATTEI F., L Ungheri ia e gli Ungheresi, vol. in° 16 »_ 3. BEVIONE G; L’ Inghilterra d'oggi. vol. in-16. n 5. ; L'Argentina, vol. in-16 » 3.50 5 Come stiamo andatr a Tripoli, vel. in- iù li Sa » L’Asia Minore e l'Italia, vol. in-16 . » 3-50 Niceroro A., Parigi (Una Città rinnovata), In-16 . n 5: Amy A. BernarDpy, America Vissuta, vol. 1n-16 i; e n L'Italia randagia (negli Stati Uniti), vol. in-16. . , 4 FAUSTINI A., Gli Essi (Razza Costumi, Folklore) vol. in- 16. i » 3-50 Giaccone E., // Canale di Panama, voli in-ié. » 3-50 BuonatuTti E. e TurcHi N., L’/sola di smeralao (istanda) vol. im16. 2/20 850 aa AVVISI La Società Storica Lombarda per completare le serie da lei possedute dell'Archivio Storico Lombardo, fa ricerca dei seguenti fascicoli di esso: Marzo 18770, Settembre 1885 Giugno ’ 1879 Dicembre 1885 Settembre 1880 Giugno 1886 Marzo 1885 Marzo 1900 Giugno 1885. Giugno 1904 Si pregano i Privati, i Librai, le Biblioteche che possedessero questi fascicoli e intendessero alienarli, a rivolgersi per le cfferte alla Segreteria della Società Storica Lombarda, Castello Sforzesco, MILANO. La Sede della SOCIETA’ STORICA LOMBARDA è nel CASTELLO SFORZESCO, dove devonsi unicamente dirigere manoscritti, libri, cambi e corrispondenze. Le Sale Sociali sono aperte nella Domenica e nel Giovedì d’ogni settimana dalle 14 alle 16. - La Biblioteca rimane chiusa durante il mese d'agosto. e 7 ev 7 _— Se e e e e e Lr —|{}1{] — — —- . Ch x Di x vi re AS Mir SIERO i ae ' dai 4% , RE È. d RL . iù: cà 5 si F l TP x i " N° PCI) 1 N si di Mi. È è - W. 7B\ vedi È Original from Digitized by CORNELL UNIVERSITY Original from Digitized by CORNELL UNIVERSITY ‘Original from Digitized by CORNELL UNIVERSITY » boe. ae trai p I x ade pigitized by (A Original from CORNELL UNIVERSITY -

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